Sotto il sole di Copacabana

di Neferikare
(/viewuser.php?uid=731613)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- A volte ritornano ***
Capitolo 2: *** Un anello (ed una guerra) sono per sempre ***
Capitolo 3: *** Piccoli mercenari crescono ***
Capitolo 4: *** Tutta colpa dei biscotti all'avena ***
Capitolo 5: *** Senza pietà ***
Capitolo 6: *** Pomeriggio fra donne ***
Capitolo 7: *** Festa col botto ***
Capitolo 8: *** Due di picche... equino ***
Capitolo 9: *** Meduse e complotti ***
Capitolo 10: *** Fiori di ciliegio ***
Capitolo 11: *** Proposte indecenti ***
Capitolo 12: *** Fino alla fine ***
Capitolo 13: *** Eye of the Tiger ***
Capitolo 14: *** There is no love without sacrifice ***
Capitolo 15: *** Let the Storm begin ***
Capitolo 16: *** All Hail the Stormborn King ***
Capitolo 17: *** The peace before the Storm ***



Capitolo 1
*** Prologo- A volte ritornano ***


L'astronave da guerra della dmp era appena atterrata sul pianeta Muscle, con tanto di entrata trionfale fra la polvere che sie ra sollevata e che, tanto per cambiare, si era depositata tutta sul castello facendo sembrare che non venisse pulito da anni:
-Bella impressione, davvero bella.- pensò la regina scuotendo la testa e lamentandosi con il marito -King, vedi di tenere a bada tuo figlio almeno oggi, non voglio che pensino di avere a che fare con dei buffoni!- gli intimò, ma l'uomo era troppo impegnato a mangiare la consueta tazza di riso e manzo giornaliera per ascolatarla.
La prima figura che vide scendere fu quella di una donna con un lungo vestito color avorio ed alcuni gioielli dorati su polsi e collo che camminava al contempo in modo sfacciato e solenne: semrbava quasi una regina di un qualche pianeta, e per unc erto verso lo era anche.
Ah no, era un'imperatrice: non che facesse troppa differenza alla fine.
Oh- disse la donna in lontananza spalancando le braccia -Belinda, tesoro mio, sembri davvero sciupata: e quelle rughe! Cara, dovresti prenderti più cura di te stessa, alla tua età poi.- continuò stringendola in un abbraccio un po' troppo forte per i suoi gusti.
No, non lei, non lei... pensò preoccupata.
L'altra continuò a studiarla dai piedi fino alla testa: -E vogliamo parlare di quei rotolini sui fianchi? Quanti chili hai messo su? Quindici? Venti ...forse?- continuò esaminandole i fianchi, per poi passare ai capelli -E guarda quante doppie punte! Non ne ho mai viste tante in vita mia!
Santo cielo sei proprio diventata brutta, ma non prenderla male eh, te lo dico da amica.- terminò con un sorrisino malefico tipico delle donnette snob come lei.
Cassandra era insopportabile, e la sua bellezza era anche peggio: i lunghi capelli quasi neri in sintonia con il verde-dorato dei suoi occhi ricadevano morbidi sulle spalle perfettamente simmetriche, per poi finire nell'ampia scollatura del seno, i fianchi stretti incorniciavano alla perfezione quei dannati addominali scolpiti che da brava wrestler si trovava, e del fondoschiena non voleva nemmeno parlarne da quanto era perfettamente equilibrato rispetto alle gambe vertiginose che sapeva portare con un passo slanciato e felino allo stesso tempo.
La invidiava, eccome se la invidiava: si era sposata con un imperatore, un imperatore! Lei si era dovuta accontentare di King, che tra l'altro in gioventù era innamorato dell'altra donna ma che era stato rifiutato: la verità era che voleva un uomo che sapesse il fatto suo, un duro, un dmp in sostanza.
La cosa peggiore era che aveva iniziato dal basso: era una ragazza senza nessuno al mondo che viveva nelle peggiori periferie di San Paolo, poi si era trasferita a Rio de Janeiro per vivere con una sua zia alla lontana che la trattava come se fosse una schiava, se non peggio; quando la dmp aveva preso il potere era riuscita a scappare finendo sulla strada ad aspettare una lenta morte, solo Oregon l'aveva strappata a quei luoghi e trattata come una principessa, le aveva ridato una vita ed era per questo che aveva capito che l'unico luogo dove avrebbe voluto essere per il resto della sua esistenza fosse al suo fianco.
Era partita come una poveraccia ed era arrivata ad essere una delle persone più influenti e potenti di quell'angolo di mondo: era questo che faceva rabbia a Belinda, cresciuta nel lusso più sfrenato, una rabbia immensa.
Avrebbe voluto tutto di lei: la voce, il corpo, anche il marito se avesse potuto; e invece ora si trovava con due idioti, marito e figlio, rinchiusa in uno stupido castello a passare le giornate in solitudine, mentre lei no, lei era libera di fare quello che voleva ed il suo matrimonio era più fiorente che mai, stavano insieme da una vita e sembrava che fossero innamorati come il primo giorno.
Cassandra aveva appena smesso di parlare che King aveva già iniziato a sbavarle davanti: -Oh! Quanti anni sono passati bellezza?- disse ammirandone ogni centimetro di corpo -Ti vedo in gran forma, proprio come quando avevi nemmeno una ventina d'anni!- continuò ammiccando senza far caso alla moglie furiosa -Sei ancora impegnata?- domandò senza accorgersi che anche Oregon aveva preso parte alla conversazione.
-Hai detto qualcosa King?- rigirò la domanda facendolo impallidire e lasciando che si mettesse da parte -Niente! Assolutamente niente!- si giustificò distogliendo lo sguardo e tornando al suo cibo: era inquietante e basta, non c’era nulla su cui discutere.
Oregon era diventato da un pezzo il generale assoluto della dmp, prendendo il posto di Akuma Shogun, ed aveva aggiunto ulteriori poteri a quelli che già esercitava come imperatore del pianeta Arkanta, tanto per cambiare: era rimasto imbattuto fino a quel momento e, da come narravano i resoconti degli ultimi decenni, era anche uno dei pochi che avevano sconfitto King senza ricorrere a particolari raccomandazioni.
Più o meno, a parte combattere nella sua forma originale, ma non contava come aver imbrogliato, non sul suo pianeta.
Il re del pianeta Muscle non aveva ben capito perché fosse lì ma era certo che avesse a che fare con gli sviluppi del torneo chojin poichè, dalle voci che aveva sentito, non era felice di come era andato:
Oregon voleva Kid Muscle morto a tutti i costi, l’ultima cosa che gli serviva era che andasse in giro fresco come una rosa a vantarsi del nuovo titolo che aveva ottenuto; se avesse combattuto lui contro quel moccioso avrebbe impiegato qualche minuto per aprirlo in due e la cosa non lo entusiasmava troppo, per quello voleva che fosse Ricardo ad umiliarlo e magari poi anche ucciderlo, morto più morto meno non faceva differenza per lui, l’importante era che la reputazione della sua famiglia non venisse danneggiata in nessun modo a discapito dei modi per riuscirci.
D’altronde con i soldi e le future parentele con i McMadd poteva fare qualsiasi cosa, anche pretendere che le semifinali fossero disputate nuovamente, questa volta come avrebbe deciso lui:
i kinniku avevano le ore contate, ma avrebbe prima dovuto illudere King di essere d’accordo con una tregua fra Muscle League e dmp.
La cosa sarebbe stata semplice, di quello ne era certo: potevano credersi chi volevano, ma erano dei poveri idioti e di idiozia non si guarisce facilmente.
 

____________________________________________


Angolo dell'autrice

Eccomi qui con il prologo di una vecchia fanfiction che avevo fatto con una mia carissima amica incontrata su Facebook, revisionata e modificata per certi versi per renderla almeno presentabile :D                                                                                               
Penso che si sia capito che è una ff principlamente su Ricardo e la sua allegra famigliola che vuole distruggere la dinastia di King Muscle per vendetta dopo il Torneo Chojin (rifarò le semifinali, poi il resto verrà da se).
Mi dispiace tanto, ma provo una sorta di odio verso Kid e la sua innata dote a vincere sempre ogni dannato incontro chiunque sia il suo avversario, motivo per qui il risultato delle semifinali non mi è proprio andato giù: era mezzo morto dai, se non fosse stato per l'aiutino di Jeager sarebbe stato sconfitto D:<
Spero vi piaccia, vi dico che non sarà nè lunghissima nè farò capitoli troppo lunghi come nella mia altra ff su Ultimate Muscle alias Kinnikuman Nisei: cosa dire, se avete voglia/tempo lasciate una recensione :)
P.s. avete letto bene: futuri legami con i McMadd.
Sì, è quello che state pensando.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un anello (ed una guerra) sono per sempre ***


cap2 Dall'altra parte della nebulosa Jaqueline era appena arrivata con il suo jet privato alla spiaggia di Copacabana e, per sua sfortuna, aveva dovuto trascinarsi dietro anche suo fratello Ikimon; così, mentre lei era pronta a far vedere al mondo le sue forme strizzate in un bikini bianco ed oro, lui era lì a mostrare le proprie in quella sottospecie di slip troppo stretto.
Avrebbe voluto vomitare.
Senza guardarlo si sdraiò sotto i raggi cocenti del Sole e cercò di cancellare quanto appena visto, godendosi l'attesa: ordinò giusto qualche di drink e si dilettò per almeno mezz'ora a colpire con gli ombrellini di carta il fondo schiena dell'amato fratellino, ma poi si annoiò anche di quello che stava facendo; era incredibilmente stanca di passare le giornate senza sapere cosa fare, era così da quando era finito il Torneo Chojin, i giorni sembravano tutti ugualmente noiosi e simili.
Ikimon dopo essersi lamentato con la sorella era andato a prendere anche lui qualcosa da bere per mantenere idratata la pelle ma aveva lanciato un urlo di terrore che sembrava provenire da un animale agonizzante: -Vedo che la mia principessa si sta godendo la mancanza del sottoscritto, complimenti.- asserì una voce dietro di lei, ed era una voce che conosceva fin troppo bene.
Lasciò il mojito mezzo vuoto che cadde a terra e gli si lanciò fra le braccia: aveva aspettato quasi un mese, un dannato mese!
Ricardo indicò Ikimon abbastanza irritato dalla sua presenza:
-Ti sei trascinata dietro anche quello scherzo della natura a quanto vedo, devo davvero farlo entrare in casa mia o posso anche lasciarlo fuori?- chiese curioso;
Lei si mise a ridere -E' lui che mi paga la vacanza, quindi temo che dovrai sopportarlo, ma non vedo problemi nel lasciarlo in cantina: non lo voglio fra i piedi di giorno e non voglio sentirlo russare tutta la notte come, non so, una foca.-
-Una foca?- chiese confuso.
-Senti, il sole mi gioca brutti scherzi e non so cosa sto dicendo, magari se ce ne andassimo a casa potrei recuperare la ragione.
Forse se ci fosse anche un regalo farei più in fretta, con un regalo si intende... perchè mi aspettavo un regalo l'altro giorno... non che voglia davvero un regalo eh, però al mio compleanno, quando di solito si fanno i regal...- non fece in tempo a finire che venne zittita -Se la smetti di dire regalo potrei anche dartelo, il tuo... ok non farmelo dire ancora, ci siamo capiti lo stesso.- le disse mentre il suo sguardo parve illuminarsi.
Jaqueline chiamò il fratello e lo mandò a prendere le sue valigie: -Dammi dieci minuti e sono pronta, promesso!- continuò corendo a cambiarsi.
Sapeva già che come minimo avrebbe dovuto aspettare almeno altri trenta, quaranta minuti prima che fosse davvero pronta, le donne erano fatte così: ti dicono dieci minuti e tu sai perfettamente che dovrai aspettare, se ti va bene, il doppio del tempo, se non peggio.
Non che Ikimon impegasse meno tempo per mettersi a posto i capelli.

Come previsto avevano impiegato un'ora fra preparativi e viaggio, ma almeno erano arrivati alla villa che si stagliava sulle colline di Rio dove un tempo si trovavano le distese di favelas, e non era nemeno la casa ufficiale dato che quella se ne stava nel folto della foresta Amazzonica insieme alla sede operativa della dmp: appena Jaqueline mise piede nella proprietà venne accolta da quello che definiva "un morbido batuffolo di pelo assassino" perchè trovava troppo difficoltoso chiamarlo giaguaro: Noir le saltò al collo facendola cadere ed iniziò a farle le feste come se fosse davvero solo un gatto troppo cresciuto, con qualche quintale in più, e come se non bastasse anche Nala, la femmina alfa a capo del branco, si unì al comitato di benvenuto; si era presa un colpo la prima volta, dato che per poco non era finita sbranata, ma d'altonde Ricardo li considerava come cani da guardia, anche se erano gatti.
Finiti i festeggiamenti da parte degli animali riuscì finalmente a sdraiarsi sul primo divano che trovò in casa, ma subito una busta rossa con un fiocco argento ed il suo nome scritto sopra appoggiata sul grande tavolo al centro della stanza attirò la sua attenzione: era per forza il suo regalo, doveva esserlo, così controllò che nessuno fosse in girò ed allungò furtivamente la mano, se non fosse che anche Ikimon era nella stanza -Cosa staresti facendo?- le chiese cogliendola sul fatto e strappandole il pacchetto di mano ed iniziando a studiarlo per capire cosa potesse essere: -Dammelo, brutto idiota! E' mio, mio!- urlò lei sbracciandosi come un'isterica, ma evidentemente non era abbastanza alta per riuscire ad afferrarlo, così si diede alle minacce -Ridammelo o giuro che ti faccio tagliare i fondi per la Muscle League!- disse convinta.
Lui si fermò subito e le diede immediatamente la busta, che la ragazza strinse vicina a sè: bastava parlare di denaro ed Ikimon aveva una sorta di blocco mentale, soprattutto se rischiava di perderlo.
Controllò che non ci fosse nulla di rotto, ma appena provò ad aprirlo Ricardo glielo tolse di mano: -Non sei stata autorizzata ad aprirlo, quindi penso che lo dovrò tenere da parte ancora un po' che ne dici?- si intromise giusto per farla arrabbiare, era troppo adorabile quando faceva la pazza nevrotica, aveva un non so che di attraente
-Ehm, le minacce del taglio dei fondi non funzionano... quindi...- disse lei pensierosa -Quindi posso tranquillamente chiamare tua madre e chiederle che tu ci accompagni a fare shopping, va bene tesoruccio?- domandò sapendo già la risposta;
-Sei irrecuperabile e crudele fino al midollo: aprilo e non provare a chiamarla, potrei non essere responsabile delle mie azioni in quel caso.- asserì sospirando e dandole il pacchetto fra le sue grida di gioia.
Non appena aprì la busta rossa vide un cofanetto bianco che si affrettò a torturare al fine di aprirlo, anche se impiegò dieci minuti solo per capire da dove si aprisse da quanto era intrecciato il nastro verde smeraldo che lo teneva chiuso: non sapeva cosa dire, non di fronte ad un anello.
Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata, dopo tutto erano passati solo pochi mesi.
Lo prese ed iniziò a studiarlo attentamente: al centro l'acquamarina a forma di goccia sembrava perdersi fra i quattro diamanti posizionati ai lati della gemma in una forma che ricordava vagamente un rombo, il tutto perfettamente intonato all'oro bianco di cui era fatto l'anello.
Stette in silenzio qualche minuto per cercare di trovare qualcosa da dire:
-La cosa si fa seria a quanto pare... ne sei sicuro?- chiese senza nascondere un minimo di preoccupazione; Ricardo era tutto tranne che uno che si preoccupava seriamente delle conseguenze, anche perchè ora come ora delle suddette conseguenze gli importava ben poco: -Le cose sono serie da tre mesi, almeno per quanto mi riguarda: ora devi dirmi se per te è lo stesso, nient'altro.- rispose senza mostrare troppo che pensava alla sua reazione da un mese e che sapeva perfettamente che se avesse voluto rifiutare lo avrebbe fatto senza troppi problemi, non era una ragazza che si faceva scrupoli prima di mandarti a quel paese.
Jaqueline non era una sentimentalista, ma gli si fiondò al collo con le lacrime agli occhi: -E me lo chiedi anche? Certo che è lo stesso, lo è sempre stato: a dire la verità ci speravo in un anellino, giusto per vantarmi con quelle... non trovo la parola giusta, mmm... sguattere ecco, della Muscle League- continuò ridendo
-Da adesso potrò andare in giro e vantarmi di essere ufficialmente fuori dal mercato dei single, ho già in mente parecchie persone che ci rimarranno male, ma non me ne frega proprio niente, n-i-e-n-t-e!- disse con una risatina sfacciata mettendosi a giocare con la catena che ricadeva sulla spalla dell'altro.
Non era nemmeno passato mezzo minuto che lo schermo principale che si tovava nel salotto iniziò ad indicare una chiamata persa: -Tuo padre?- domandò Jaqueline vedendo che sembrava piuttosto nervoso -Chi vuoi che sia a quest'ora?- rispose freddo per poi avviare la chiamata.
Ecco appunto, "suo padre".
Quello che dopo due decenni si faceva vivo e ti diceva apertamente "Ehi figliolo ma quanto tempo! Senti non ho tempo da perdere, torna sul tuo pianeta e prepariamo la vendetta sui Muscle."
Più che istinto paterno il suo era un istinto omicida, non c'era molto da aggiungere, oltre al fatto che fosse chiaramente psicopatico.
Eppure era addirittura riuscito a perdonare ad entrambi quegli anni, proprio lui, quello che non accettava scuse da niente e nessuno, aveva perdonato quelli che aveva inziato a chiamare genitori appena qualche settimana prima, se genitori potevano definirsi quelli che abbandonava il loro unico figlio proprio destino fregandosene altamente della sua vita.
Ma il problema non era quello, ma il fatto che si fosse già affezionato a quei due.

Nel grande salone del castello dei Muscle ormai i sovrani dei due pianeti si trovavano l'uno di frotne all'altro, tanto per discutere quella trattativa che King aspettava da una vita: il re non poteva nascondere di essere parecchio preoccupato, soprattutto quando si doveva avere a che fare con uno come Oregon, noto per non pensare troppo prima di passare dalle parole ai fatti; ma soprattutto non si spiegava il motivo per cui era ancora in una forma intermedia fra quella originale e quella che utilizzava fuori dal suo pianeta, forse lo faceva solo per ricordargli che era così che lo aveva sconfitto anni ed anni prima e che poteva farlo ancora senza grossi problemi.
Era furioso, lo si vedeva perfettamente da come faceva ondeggiare la coda nervosamente, che tra l'altro stava lentamente graffiando con le grosse spine caudali il pavimento, e dal modo in cui teneva le ali chiuse sulla schiena: avrebbe anche potuto saltargli addosso e sgozzarlo in meno di qualche secondo se avesse voluto, era certo che quelle zanne avessero tagliato più teste di quante ne potesse immaginare.
Dopo tutto era anatomicamente nato per uccidere.
Cassandra invece sembrava calma, anche troppo: -Allora King caro, cosa volevi chiederci?- disse lei per rompere il ghiaccio; il sovrano la guardò abbastanza preoccupato -Beh... volevo chiedere se la dmp, da come è andato il Torneo Chojin, fosse, come dire, pronta alla...resa.- azzardò mentre un brivido gli percorreva la schiena.
Oregon non poteva, non voleva pensare di aver sentito quelle parole che continuavano a girargli per la testa:.
"Da come è andato il Torneo Chojin volevo sapere se la dmp era pronta alla resa."

La resa? Lui? Ma parlava sul serio?
Come si permetteva di dire una cosa simile?
Aveva dimostrato il suo disappunto piuttosto in fretta: -Chi diavolo ti credi di essere, lurido verme schifoso! Chi sei tu per dirmi cosa devo fare?
Dimmelo, idiota che non sei altro!- gli ringhiò contro nel senso letterale della parola, ma King non voleva perdere il confronto, non quel giorno
-Chi sono? Sono il padre di Kid Muscle, quello che ha conciato per le feste quel fallito di tuo figlio, ecco chi sono!- continuò sentendosi al di sopra delle capacità dell'altro, sapeva di aver toccato un punto delicato.
Fin troppo.
Avrebbe dovuto prevederlo ed avrebbe dovuto stare zitto: non gli ci volle molto per passare nella sua forma più potente, quella con cui lo aveva già distrutto una volta, infatti gli fu addosso in un paio di secondi e riuscì ad immobilizzarlo a terra, fra il sorriso compiaciuto di Cassandra e quello pieno di preoccupazione di Belinda; lasciò che gli artigli anteriori penetrassero nella carne fino a sfiorare la cassa toracica e che quelli posteriori scavassero dei profondi solchi nel marmo bianco della pavimentazione, non lo avrebbe lasciato andare fino a quando non avrebbe implorato pietà.
L'altro realizzò che, anche se si fosse liberato dalla presa degli artigli di Oregon, avrebbe dovuto vedersela con la gabbia di spine che fra coda ed ali si incastrava perfettamente per non permettergli la fuga: la prima continuava a muoversi pericolosamente rischiando di tranciare qualcosa, o qualcuno, le seconde invece erano completamente spalancate ed i sottili artigli che si diramavano dalle ossa che costituivano lo scheletro vero e proprio dell'ala erano abbastanza lunghi ed affilati per penetrare anch'essi a terra.
Aveva tutte le vie di fuga bloccate, non gli restava che chiedergli civilmente di lasciarlo andare: -Su Oregon non prenderla sul personale... lo sai che non mi permetterei mai di dire una cosa simile.- cercò di convincerlo rimediando solo la consapevolezza che le zanne gli stavano seriamente sfiorando la gola
-Oh King, ma davvero non volevi dire quello che hai detto?- rispose l'altro lasciando che una goccia di sangue cadesse a terra -Pensa un po', nemmeno io dicevo sul serio quando ti dissi che ero pronto a scendere a trattative, guarda com'è divertente il caso.- continuò  aumentando la pressione sulla gola per trovare la carotide -Azzardati a nominare mio figlio, provaci una sola volta, una solamente, ed io verrò a cercarti personalmente: non importa dove ti nasconderai, cosa farai, quante scuse ti inventerai, ti troverò e ti aprirò in due davanti a quell'imbranato di tuo figlio ed a quella poco di buono di tua moglie, contaci pure.- spiegò lasciando la presa -Quasi dimenticavo: indovina un po' chi sta portando proprio ora una certa cauzione nelle carceri del tuo misero pianeta? Qualcosa mi dice che tra qualche ora sarete in grossi guai.- terminò alzandosi sulle zampe posteriori ed aspettando che Cassandra lo raggiungesse.
King aveva gli occhi sbarrati: -Tu non sai cosa stai facendo!- gli urlò contro -Scatenerai una guerra Oregon, non puoi permetterti di liberare ciò che noi abbiamo faticato a catturare!- disse sapendo che non poteva fare più nulla.
L'altro lo guardò ridendo. -Ti sbagli King, io posso fare tutto: salutami tuo figlio e digli che sarà il prossimo se non starà al suo posto.- concluse uscendo dalla porta principale e lasciando i sovrani allibiti.
Nessuno dei due sapeva cosa fare; avevano appena perso tutte le battaglie di una vita: la guerra era sul punto di iniziare, di quello ne erano sicuri.


_______________________________________

Angolo dell'autrice

Ecco a voi il secondo capitolo :D
Che dovrei dire? Sono soddisfatta di come è venuto, spero possiate esserlo anche voi :3
Stavolta le cose si mettono male per King e famiglia, soprattutto perchè hanno a che fare con nemici peggiori di quanto potessero immaginare: oregon è dannatamente spietato, per questo lo adoro xD
Tralasciando la crudeltà di quella sottospecie di lcuertola, Jaqueline è così tenera e coccolosa (?), lei voleva un regalo, ma non è che pretendesse un regal... ok basta, anche Ricardo si è stancato di sentirla :3
Leggete, ridete, annoiatevi, appassionatevi, fidanzatevi, lasciate una recensione, fate quello che volete :D
Vi allego una foto dell'anello di Jaqueline, preso dalla collezione della marca "Comete Gioielli":
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Piccoli mercenari crescono ***


Prima di lasciare il pianeta Muscle Oregon aveva ancora un paio di cose da fare, così congedò Cassandra senza troppa premura: -Torna sulla Terra e vai al quartier generale, assicurati che anche tuo figlio e quella sfaticata della sua ragazza siano lì.- disse freddo, così lei si avvicinò e si appoggiò vicino all'incavo fra la spalla ed il collo, stando attenta a non tagliarsi con le spine che uscivano prima dell'ala -Penso a tutto io, tu stai tranquillo e finisci ciò che devi finire; ti aspetterò, non preoccuparti.- lo rassicurò sorridendo per poi tornare all'astronave della dmp.
Lui aveva appena notato l'arrivo di un'altra corazzata da guerra, probabilmente proveniente dal pianeta Iga, dalla quale scese un uomo più o meno della sua età che gli veniva incontro e, dopo un breve cenno di presentazione, mise una mano su una delle due spade che teneva legate al fianco: -Allora?- domandò seccato; Oregon lo fulminò con lo sguardo, che l'altro però sembrò riuscire a sopportare, per cui decise di abbassare la difensiva -Ho appena finito Soichiro, dammi un dannato minuto e potrai tornartene sul tuo amato trono imperiale, sei felice?- gli rispose sfacciato, abbastanza da trovarsi la spada alla gola -Stammi a sentire, lucertola troppo cresciuta, si da il caso che la mia alleanza ti serva e anche parecchio: stai al tuo posto ed io sto al mio, le condizioni erano queste.-
Soichiro faceva parte dell'alleanza a triangolo che Oregon era riuscito a tessere in anni ed anni di trattative: Arkanta, Iga e Dokuro, erano quelli i pianeti che reggevano l'accordo di collaborazione bellica contro il pianeta Muscle; il primo era la patria di tecnologie esageratamente avanzate rispetto al resto della nebulosa, il secondo aveva uno degli eserciti più potenti di cui si ha memoria ed il terzo ospitava la feccia dell'intera galassia.
Era una collaborazione perfetta, abbastanza da portare King Muscle sull'orlo del baratro decenni prima e da controllare le intricate reti burocratiche che si muovevano da un pianeta all'altro: non avevano mai accettato le proposte di resa da parte degli altri pianeti, se volevano arrendersi significava via libera alla distuzione più assoluta, proprio come piaceva fare ad Oregon.
Tuttavia ora come ora l'aiuto di Iga rischiava di venir meno: senza la famiglia reale al completo gli imperatori avevano le mani legate, non potevano accettare nulla a meno che non ci fosse anche il legittimo erede al trono, erede al trono che se ne stava fresco fresco dietro le sbarre tanto per cambiare e, sempre tanto per fare qualcosa, era toccato al pianeta che richiedeva tale accordo pagare la cauzione.
Qualcosa come una cifra a sei zeri, giusto per essere precisi, ma il denaro non era nulla se paragonato ai benefici di una coalizione con Iga.
Non si fece troppo spaventare ed abbassò la lama con un artiglio:
-Lo so, lo so, non intendevo mancarti di rispetto lo sai, diciamo che non sono dell'umore giusto in questo momento.- cercò di scusarsi a suo modo e l'uomo fece un cenno di assenso -Lo stesso vale per me, non posso più permettermi errori come padre, siamo nella stessa situazione o sbaglio?- chiese abbozzando un sorriso e l'altro fece lo stesso -Sono comunque più giovani di noi Soichiro, non si può pretendere di averli sotto controllo per tutta la vita, a volte è meglio lasciarli andare.- asserì sereno, ma l'altro non sembrava d'accordo.
Sergent Muscle tornò dopo una decina di minuti con alcuni documenti. -Oregon, Soichiro, a quanto pare avete vinto voi per oggi- disse seccato -Spero sappiate cosa significhi mettere in libertà dei criminali ricercati in tutta la nebulosa, lo spero per voi davvero tanto.- terminò andandosene stizziti.
Bone Cold aveva un insolito nonchè strafottente sguardo di superiorità verso il kinniku: sapeva di avere appena vinto praticamente tutto dato che ora poteva tornarsene a fare il mercenario a tempo pieno senza il pericolo di essere sbattuto in carcere per l'ennesima volta: -Cosa vuoi?- chiese secco ad Oregon, che in effetti si aspettava quella domanda, così venne anche lui subito al sodo -Diciamo che ho un lavoro per te, niente che possa ucciderti non temere- rispose prendendo una valigetta nera con il marchio del proprio pianeta -L'adorabile zietto di quell'idiota di Kid Muscle dovrà restare fuori dai giochi per un bel po' di tempo, ma non dovrà morire certamente: voglio che passi gli anni che gli rimangono a strisciare sul fondo più squallido della società, niente errori, niente scherzi, altrimenti puoi considerarti un uomo morto.- continuò severo -Qui dentro ci sono ventimila dollari, dovrebbero bastare per il lavoro.- terminò consegnandogliela.
L'altro lo squadrò per qualche secondo, pensando se la cosa fosse fattibile o meno:
Vedrò di non deludere le aspettative, sarà fatto tutto senza che si sappia chi c'è dietro.- concluse prendendo la valigetta e congendandosi senza troppe formalità, anche se prima si fermò da Hanzo: -Se dovesse succedere qualcosa sai dove trovarmi, non provare a sbrigartela da solo chiaro?- spiegò per poi, al cenno dell'altro, avviarsi all'astronave che Sergent aveva dovuto richiamare qualche ora prima, dato che Bone voleva che fosse la
sua personale astronave da guerra a portarlo fuori il prima possibile da quell'insulso pianeta.
Non ci volle molto perchè i portelloni di accesso di chiudessero dietro le sue spalle: si stava lasciando indietro gli anni in quel posto, i soprusi che aveva dovuto sopportare, ma ora sis arebbe ripreso tutto in un modo o nell'altro.
Sarebbe tornato, glielo aveva promesso.

Appena salito a bordo gli sembrò di essere tornato indietro a quando era ancora un principiante, dei tempi in cui lui ed altri cinque idioti facevano i grandi per non sentirsi meno importanti dei loro padri; una ragazza con gli occhi verde acqua ed i caplli color rame gli si avvicinò incrociando le braccia al petto: -Era ora che tornassi a fare il tuo lavoro, qui ti abbiamo aspettato per quasi dieci anni: il minimo che tu possa fare è uccidere subito qualcuno, tanto per ricordare i vecchi tempi.- asserì sorridendo.
Wolfrain non era cambiata, era ancora la ragazza affascinante e dannatamente intelligiente che aveva conosciuto anni prima: -Oh sì, mi hanno già dato un lavoro da fare, ma prima di agire dobbiamo prendere il necessario.- continuò per poi iniziare a spiegare cosa aveva ordinato di fare Oregon, sottolinenando il fatto che Sergent avrebbe dovuto soffrire per tutto gli anni a venire ma non sarebbe dovuto in
nessun modo morire.
La ragazza lo guardò confuso: -Quindi?- chiese schietta -Quindi vai a dire a Nash di impostrare le coordinate per la Terra, per la precisione Cambridge, Massachusetts.- ordinò a lei, che però continuava a guardarlo male -E dove andiamo? All'Università di Harvard?- domandò ridendo di gusto, ma Bone Cold era serissimo -Esattamente.- disse freddo, così il ragazzo al comando della nave impostò le coordinate e, dopo nemmeno qualche secondo, stavano già facendo rotta verso la Terra.

Spero solo che la Hamilton si ricordi di quello che gli avevo chiesto
pensò fra sè e sè.

In circa un tre ore erano arrivati davanti ad Harvard, anche se erano stati costretti a lasciare lontano l'astronave per evitare troppi sguardi indiscreti, tuttavia solo Bone e Wolfrain erano scesi a terra e si erano diretti sicuri verso l'enorme portone di entrata; la ragazza sembrava abbastanza irritata da quegli odiosi studenti che fissavano solo lei, l'altro invece era piuttosto tranquillo, abbastanza da chiedere ad studentessa alcune cose: -Sai dove si trova la Hamilton?- chiese calmo e lei gli indicò una porta con una targhetta non troppo lontano:

Facoltà di Medicina
Classe di Ingegneria Genetica
Prof.essa Carolyne Hamilton

Aprì la porta mentre stava spiegando una lezione: -Qualcuno di voi sa dirmi di cosa parliamo quando dico "Recettore HDMA"? Allora? Nessuno sa dirmi qual è la rispos...- disse senza riuscire a finire
(*)-
E' un recettore postsinaptico dell'acido glutammico di tipo ionotropico che lascia fluire ioni Na+ e Ca2+ all'interno del neurone e ioni K+ al suo esterno; possiamo aggiungere che è costituito da svariate subunità, le più interne delle quali costituiscono la parete del canale ionotropico che permette il flusso degli ioni attraverso la membrana plasmatica. E' corretto?-
Lei annuì -Signor Cold, vedo che si ricorda ancora delle mie lezioni, mi sento onorata di tale privilegio.- disse sorridendo la donna andandosene dalla sua cattedra, ma non prima di aver lasciato qualcosa da fare agli studenti -Per domani voglio l'intero capitolo a memoria, dovete riuscire a spiegarmelo senza interruzioni come vostro solito, e non dimenticate l'esperimento di anatomia: voglio una relazione di almeno dieci pagine, divertitevi.- concluse tra sospiri e sbuffi di ragazzi e ragazze.
Invitò entrambi ad andare nel proprio ufficio: -Mi permetterò di darti del tu, ormai sono abbastanza vecchia da poterlo fare- ridacchiò lei 
-L'ultima volta che sei stato qui lo hai fatto come studente, ora lo fai come mercenario: cambiamento radicale non trovi?- domandò curiosa ma non ottenne risposta, se lo aspettava
-Comunque sia, mi fa piacere riaverti qui- continuò addoclendo il tono di voce mentre Wolfrain stava per impazzire dato che era parecchio sotto stress
-Io pretendo di sapere chi è lei invece! Qui nessuno spiega niente, così mi sono ritrovata in un'Università privata per piccoli Einstein senza saperne il motivo!- le urlò contro cercando di calmarsi; l'altra annuì e le tese una mano per presentarsi
-Sono la professoressa, e dottoressa aggiungerei, Carolyne Hamilton, nonchè amministratrice della Harvard e direttrice della Facoltà di Medicina- si presentò con tono solenne - Il vostro compagno Bone Cold è stato un mio studente per diversi anni ed è stata proprio la sottoscritta a prepararlo per la laurea nella sezione di Ingegneria Genetica; non per vantarmene ma sono stata una brava insegnante se sono riuscita a farlo uscire da qui con il massimo dei voti.- spiegò mentre Bone stava letteralmente sprofondando nella poltrona di velluto e la ragazza la guardava stupita, poi si girò verso di lui -Tu... sei... l-laureato in m-medicina? Parla seriamente?- gli chiese e, dopo aver passato qualche minuto in silenzio, annuì abbastanza imbarazzato -A quanto pare sì, ma non è una storia così interessante o che valga la pena di essere raccontata- tagliò corto lui -Sono qui per chiederle un favore, ma vorrei parlarne in un posto adatto.- disse facendo segno a Wolfrain di attendere fuori, così anche la ragazza si congedò velocemente e restarono solo loro due.
La donna sembrò capire al volo e lo condusse in un grande ascensore che, in un paio di minuti, li portò a quello che sembrava un sotterraneo ben nascosto; Carolyne mise la sua mano sullo scanner per far aprire le tre porte d'acciaio a tenuta stagna che bloccavano l'accesso al laboratorio di Ingegneria Genetica Applicata, a virus e malattie si intende.
Lei si girò verso Bone e lo guardò sorridendo: -Allora, vediamo un po'... ah sì: le provette sono...- spiegò senza riuscire ancora una volta a finire -...Nel terzo scomparto criogenico a sinistra, vicino alle coltivazioni del Lyssavirus, come sempre del resto.- rispose prendendo le chiavi per aprire lo scomparto; lei si fece dubbiosa
-Non ho toccato nulla da dieci anni a questa parte, sapevo che prima o poi saresti tornato per un motivo o per l'altro.- disse con un lieve tono malinconico.
Lo sapeva, certo che lo sapeva: quel posto era stato il luogo dove aveva passato anni ed anni a studiare un modo per manipolare i geni dei virus più pericolosi e mortali che esistessero, era stata la Hamilton a pretendere dal direttore dell'Università la costruzione di quel laboratorio a trecento metri sotto terra, un luogo accessibile solo a loro due, perchè nessuno doveva sapere cosa stava nascendo là sotto.
A quesi tempi conosceva i virus come sè stesso, aveva avuto in mano provette con di tutto e di più e, con qualche rete burocratica che consceva solo la sua professoressa, era stato scelto per avere l'ultima traccia esistente dei virus della peste e della tubercolosi, tanto per modificarli geneticamente dando vita all'UBD.

Ultimate Brain Destroyer,
era quello il nome che aveva scelto.
Si presentava con sintomi non molto diversi da un comune raffreddore o da un'influenza per cui le persone non ci facevano caso, poi però iniziava ad attaccare il cervello nutrendosi del materiale dello stesso: lentamente ma inesorabilmente la vittima perdeva l'uso di parola, udito, vista, capacità motorie e cognitive, ma non moriva, ed era questo il peggio.
Non si era accontentato per cui aveva diviso il virus in tre ceppi: quello che causava la morte, quello che distruggeva cervello e compagnia e quello che lentamente faceva entrambe le cose.
Il primo si insinuava nel cuore e da lì raggiungeva tutto il corpo, poi iniziava a nutrirsi di cellule e tessuti mandando in necrosi organi interni ed arti: la morte sopraggiungeva in fretta a causa delle infezioni ma il virus spariva ancora prima di aver finito il lavoro.
Il secondo attaccava il cervello e distruggeva tutte le aree che lo componevano, poi scendeva attraverso il midollo spinale ed iniziava a consumarlo: pochi giorni e ti ritrovavi paralizzato dalla testa ai piedi.
Il terzo invece era subdolo più degli altri: faceva come il secondo ceppo ed ad un certo punto, quando pensavi di esserti salvato, si moltiplicava nel cuore e lo faceva esplodere letteralmente.
Non c'era una cura, non l'aveva programmata, più o meno: il virus riconosceva solo il suo sangue, lo aveva assimilato quando lo aveva creato per errore, per cui Bone Cold non rischiava di infettarsi, era quello che si poteva definire
paziente zero per cui l'unica cura, se così si poteva definire, era quella.
E non l'avrebbe mai ceduta a nessuno.
Prese una delle decine di provette contenenti il virus e la mise in una valigetta d'acciaio che la donna gli aveva passato: -Qualunque cosa tu debba farci stai attento, non vorrei che si scatenasse un'epidemia incontrollabile.- raccomandò per poi lasciare che se ne andasse in silenzio, proprio come era arrivato -La ringrazio per aver conservato l'UBD per tutti questi anni, non la ringrazierò mai abbastanza per non aver detto a nessuno di quello che facevo qui dentro, a quest'ora mi avrebbero già tagliato la testa probabilmente.- la ringraziò cercando di non lasciar trasparire nulla, lei invece sorrise con fare materno -Figurati, questo ed altro per il mio miglior studente.- concluse per poi andarsene anche lei.
Tornato sull'astronave chiamò immediatamente Oregon, che nel frattempo era in viaggio per arrivare anche lui sulla Terra: -Ho quello che mi serviva, ancora qualche ora e Sergent Muscle sarà solo un ricordo.- disse freddo prima che l'altro annuisse soddisfatto.
Ora poteva anche iniziare a fare sul serio, non poteva certo deludere il proprio
cliente.


____________________________________________

* Wikipedia, "Recettore HDMA"


Angolino dell'autrice

Buongiorno :D
Eccovi il terzo capitolo, è stato una faticaccia immensa da fare ma sono soddisfatta del risultato :3
(Scusate eventuali errori grammaticali)
Avrete notato che è dedicato al modo in cui il tenero Bone Cold ha intenzione di mettere da parte Sergent Muscle su commissione di Oregon, giusto per far crollare emotivamente sia Kid che King in un colpo solo >:D
Il virus di cui si parla, cioè l'UBD (Ultimate Brain Destroyer), è di mia invenzione, anche perchè se esistesse sarebbero grossi guai: magari non è verissimo dal punto di vista medico ma è una ff su un anime, non un trattato di medicina per cui tutto è concesso xD
Sì, Bone si è laureato ad Harvard (non so dove abbia trovato i 65.000 dollari di retta annua) ed a quanto apre si divertiva già a fare il piccolo chimico (?) con virus letali.
Enjoy :D
Penso che l'alleanza Bone Cold-Hanzo-Ricardo ormai stia venendo fuori, soprattutto nei prossimi capitoli, sperando che nessuno venga prima ucciso da qualche virus o peggio *za za za zaaaaaaam*
No, non ucciderò uno di loro tre, potete sperare invano.
Non so se vi sia piaciuto ma sono aperta a tutto, a patto che non mi insultiate xD



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Tutta colpa dei biscotti all'avena ***


Oregon aveva impiegato circa un paio d'ore ad arrivare al quartier generale della dmp nel folto della foresta Amazzonica ed era già irritato, motivo per il quale era ancora nella sua forma origine: non faceva che ondeggiare nervosamente la coda da più di quaranta minuti senza dire nulla, stava cercando di prepararsi al probabile litigo che sarebbe seguito alla notizia del Torneo Chojin, era certo che Cassandra avesse già spiegato a Ricardo tutto per filo e per segno ma d'altronde era meglio così piuttosto che aspettare che venisse a saperlo guardando l'imminente rassegna stampa della Muscle League.
Non facevano altro che litigare ogni volta, non c'era stato un momento in cui avessero parlato civilmente senza cercare di uccidersi a vicenda dato che ogni dannata volta finiva sempre per dire qualcosa che non avrebbe dovuto dire, per rinfacciargli come fosse andato lo scorso Torneo, sembrava quasi che provasse un certo piacere nel continuare a girare e rigirare il coltello in ferite ancora aperte.
Il suo
ondeggiamento-nevrotico-compulsivo-della-coda terminò solo quando l'astronave toccò terra, proprio a qualche metro dall'entrata principale dove Cassandra lo stava aspettando che gli corse incontro e gli mise le braccia intorno al collo -Finalmente sei arrivato- esordì sorridendo -Vieni dentro, ormai sono già tutti qui.- lo invitò facendogli segno di entrare, ma Oregon sembrava riluttante a quell'idea: -Come l'ha presa?- domandò freddo e lei abbassò lo sguardo
-Non bene, ha detto che non devi permetterti di immischiarti nella sua vita dopo che non te ne è importato nulla per vent'anni: lascia stare per favore, non discutere ancora, fai finta di niente.- gli raccomandò ma era già troppo tardi per i consigli.
Ricardo gli fu addosso in qualche secondo: nonostante avesse passato sì e no un mese su Arkanta aveva imparato a controllare quella che suo padre chiamava
istinto omicida tipico di una lucertola di dieci metri fuori controllo; per quanto Oregon fosse preparato era riuscito a prenderlo alla sprovvista e, a dire la verità, ancora qualche centimetro e si sarebbe trovato le zanne piantate nel cranio, e voleva evitare la cosa se fosse stato possibile.
Fu un caso che le su ali fossero nella posizione giusta per riuscire a levarselo di dosso quei secondi che gli servivano per valutare la situazione, che giustamente sprecò per passare alla controffensiva piantandogli gli artigli sul braccio: non era un dolore insopportabile, dopo tutto erano solo due pezzi di ossa affilati come lame che penetravano un paio di centimetri sotto la pelle.
Il peggio erano le zanne che si conficcarono nel collo di Oregon due centesimi di secondo dopo: quello era davvero un dolore lancinante, soprattutto perchè riuscivano a scavare anche per quindici o venti centimetri senza grossi sforzi; liberarsi da quelle richiedeva una forza immensa, soprattutto perchè stava serrando la presa intorno alla carne coperta di sangue.
Non si sarebbe sottomesso ad un principiante, quello mai: riuscì a trovare la forza per piantare gli artigli nella schiena dell'altro ed aprendo una serie di squarci di diversi centimetri, e naturalmente di tutta risposta si trovò la zampa posteriore sinistra con un taglio fin troppo vicino al ginocchio che lo costrinse ad allentare la presa a causa del dolore.
Fu una frazione di secondo e, con un colpo di quella coda coperta di spine, venne messo al tappeto e letteralmente buttato contro un grosso masso che si crepò all'impatto: non riusciva a muovere un solo muscolo, era davvero troppo debole, ed il fatto che fosse suo figlio quello che lo aveva ridotto in quello stato gli metteva addosso una rabbia immensa; quando se lo trovò davanti con le ali spalancate sulla schiena dalla quale uscivano fiotti di sangue azzurrino che appena toccavano il terreno iniziavano lentamente a sciogliere l'erba verde e le zanne coperte del
suo di sangue temette il peggio.
Alla faccia del principiante.
Sarebbe stato pronto a tranciargli la gola di netto se Jaqueline non si fosse messa in mezzo: non si spaventava così facilmente, si era abituata a quelle scene da un pezzo ormai, nemmeno i ruggiti servivano a molto con lei.
-Provaci e questo anello posso anche buttarlo nel mare, contaci pure.- minacciò facendo per toglierselo e solo a quel punto l'altro richiuse tutte e quattro le ali sul dorso accovacciandosi a terra con la coda avvolta intorno al corpo; la ragazza si girò verso Oregon: -Posso capire che lei voglia preservare il nome della sua famiglia, ma mi sembra eccessivo prendere questo genere di decisioni senza chiedere all'interessato: si sarebbe potuto evitare tutto questo, se posso permettermi di farle osservare.- spiegò velocemente -E poi avrebbe almeno potuto avvisarmi del suo arrivo, avrei cercato di farlo ragionare io.-
Oregon la squadrò un attimo, poi sospirò rassegnato: si sorprendeva ogni volta che quella ragazzina viziata e prepotente gli dava del lei, anche perchè a prima vista sembrava, e probabilmente era anche stata, una di quelle che appena aprivano bocca tutti dovevano fare come voleva lei, per non dire che era una di discutibili costumi.
E gli stava facendo la predica, gli stava spiegando come fare il padre.
Sapeva il fatto suo, su questo non c'erano dubbi, ed aveva anche parecchio coraggio a mettersi fra loro due.
Oregon riuscì a sollevarsi da terra e si sedette lasciando ondeggiare per l'ennesima volta la coda senza far troppo caso alle ferite che stavano grondando sangue e corrodendo anche la roccia frantumata a terra:
-Cosa vuoi che faccia? Che mi scusi magari?- domandò a lei che annuì severa incrociando le braccia -Certo, fate pace e datevi una sistemata: là dentro stanno ancora aspettando, non vorrete farli attendere ulteriormente?- rispose lei secca fra i ringhi di uno e le imprecazioni dell'altro.
Impiegò qualche minuto per trovare un modo di muoversi senza sentire ogni volta una fitta di dolore alla zampa posteriore, poi si avvicinò alla ragazza abbastanza da sentire il suo respiro fermo e deciso: era ufficiale, aveva coraggio da vendere.
La decisione di tornare nell'altra forma che usava quando si trovava su altri pianeti fu abbastanza complicata da prendere dato che Ricardo non sembrava intenzionato a fare lo stesso e stava continuando a tenere la difensiva:
-Vedi di darti una calmata e proviamo a parlarne, poi puoi anche costringermi ad andarmene da questo posto e lo farò.- cercò di convincerlo, ma nel momento in cui gli artigli iniziarono a penetrare nel terreno pensò seriamente, per la prima volta nella sua vita, che fosse meglio ritirarsi; fortunatamente fu solo un'impressione dato che non accennava a muoversi, così riuscì ad avvicinarsi fino a quando non si trovò a nemmeno un metro di distanza da lui: era cambiato più del previsto in quei trenta giorni, era riuscito a superarlo in poco meno di un mese, forse aveva un tantino esagerato nell'allenamento intensivo.
Sì, aveva decisamente esagerato.
Un ruggito era sul punto di fargli cambiare idea ma non avrebbe avuto quell'occasione un'altra volta: -Senti, mi dispiace va bene? Lo so che avrei dovuto chiedertelo, me lo hanno già detto una decina di persone, ma sappiamo entrambi che lo vuoi anche tu.- spiegò cercando di sembrare calmo -Se sei in grado di tenere testa a me non ti ci vorrà più di mezzo minuto per finire Kid Muscle, una volta che sarai campione al posto suo io avrò la mia vendetta e tu la tua: mi sembra una cosa equa.- concluse tirando un sospiro di sollievo, almeno era vivo.
Aveva dovuto attendere un altro paio di minuti perchè si convincesse a non sbranarlo ma a parlare civilmente, più o meno: 
-E dimmi, cosa avresti in mente?- gli chiese curioso; Oregon aveva appena capito di aver fatto centro, almeno rimanere coinvolto in un litigo familiare era servito a qualcosa:
-Beh non ti resta che venire dent
ro per scoprirlo no?- rispose lui entrando nel grande ingresso con Cassandra.
Jaqueline gli si avvinghiò al braccio -Andiamo?- chiese in preda all'eccitazione, così al cenno dell'altro si precipitò dentro senza nemmeno aspettarlo.
La prima fase del piano di Oregon era appena iniziata, alla grande per giunta.

Mentre Bone Cold si dilettava a fare il genetista ed Oregon si preparava a pianificare la distruzione della Muscle League, Soichiro tentava inutilmente di far ragionare Hanzo riguardo quello che avrebbe dovuto fare ora che era tornato a palazzo, o meglio su quello che non avrebbe dovuto fare, omicidi compresi.
Se non fosse stato che a lui non interessava niente di niente, a dire la verità nemmeno lo stava ascoltando dato che era ancora impegnato a capacitarsi della cosa: non aveva nessuna intenzione di tornare a fare il
figlio dei sovrani che doveva sottostare agli ordini imperiali, era davvero troppo noioso starsene tutto il giorno a sentire consiglieri che ti dicevano chi doveva essere messo a morte e chi no, chi doveva essere mandato lì o qui, chi doveva muovere guerra a chi.
Era molto meglio andarsene in giro ad ammazzare gente a caso, era un passatempo
socialmente utile, più o meno.
E comunque non gli aveva ancora rivolto la parola, continuava a tenere in piedi quella sorta di guerriglia padre-figlio che consisteva nel non rispondere a nessuna delle decine di domande che gli stava facendo, era particolarmente divertente vedere come Soichiro fosse sul punto di tagliargli la gola da un momento all'altro, divertimento da persone poco sane di mente con istinti omicidi certo, ma era sempre un divertimento: d'altronde riusciva a tenere testa a Bone quando litigavano, e cioè praticamente ad ogni ora del giorno, quindi fare lo stesso con lui non sarebbe stato così difficile.
-Per quanto tempo hai intenzione di comportarti come un perfetto idiota? Ne hai ancora per molto?- si intromise per l'ennesima volta suo padre evidentemente disturbato dalla situazione -Oh sì, potrei andare avanti ancora per qualche mese se è questo che intendi.- rispose secco -Ne avete ancora per molto,
vostra maestà?- rigirò la domanda sapendo perfettamente di aver fatto traboccare completamente la sua pazienza.
Ecco, avrebbe voluto ucciderlo, ma purtroppo Mizuki si era già messa in mezzo:
-Suvvia smettetela con questa sceneggiata: sembrate due bambini che litigano per le caramelle santo cielo.- intervenne giusto qualche secondo prima che
il marito commettesse un omicidio, o forse il contrario, poi prese Hanzo per un braccio e se lo trascinò dietro -Tu vieni con me, e tu vai dai tuoi ufficiali che ti cercavano per discutere come solito: su Soichiro, vai via dai.- gli intimò fra un'imprecazione e l'altra.
Mizuki sapeva farsi valere in tutte le situazioni, era in grado di tenere testa a chiunque, che fosse l'imperatore o il generale dell'esercito di Iga, e riusciva sempre ad averla vinta.
E poi era affascinante come poche altre: i capelli rosa pastello sciolti sulle spalle ed adornati dalla corona di imperatrice si intonavano alla perfezione con gli occhi azzurro ghiaccio su quel volto bianco latte e, come se non bastasse, indossava sempre l'abito reale, quel kimono rosa con alcuni fiori bianchi e rossi tenuto in vita da un fiocco verde chiaro che adorava dal giorno della sua incoronazione.
E poi non era solo sovrana di un pianeta ma anche la sacerdotessa superiore di Iga, colei che aveva il compito di proteggere e, se fosse stato necessario, evocare Alitheia, la
Verità (*), una sottospecie di cervo o quel che era.
Inoltre aveva la sadica abitudine di far vedere al mondo di cosa fosse capace una samurai, anche se su quel punto a volte si trovava in conflitto con il compagno su chi dei due avesse più diritto a dare il colpo di grazia.
Non erano una famiglia normale, quello era ovvio.

Erano saliti solo loro due nella stanza di Hanzo e lei aveva preteso di chiudere a chiave, tanto per poter parlare senza il rischio che a Soichiro venisse in mente di prendere parte alla discussione: -Vediamo un po' da dove iniziare... ah sì: cosa è successo con tuo padre?- domandò mentre si sedeva sul letto ed incrociava le gambe -Allora? Non vuoi parlarne nemmeno con tua madre?- continuò abbastanza confusa.
Lui si girò nervoso: -Non devo spiegazioni a niente e nessuno, posso fare quello che voglio senza dovermi giustificare e non ho intenzione di rimanere qui a parlare ancora per molto: posso andare?- chiese infastidito ma lei non aveva nessuna intenzione di desistere -Andare dove?- continuò la donna mentre sistemava una ciocca di capelli -Ad uccidere il primo che trovi forse?- disse giusto per provocarlo
-Certamente, anzi magari faccio una strage così domani avrai qualcosa di cui parlare con le tue dame di corte no? Avanti, mi vuoi seriamente far credere che tu non sappia perchè ce l'ho con lui o meglio, perchè ce l'ho con entrambi?
Mi stai tenendo come ostaggio nella
mia stanza, nel mio palazzo, sul mio pianeta: cosa speri di ricavare?
Devo ripeterti che avreste fatto meglio a cercarmi anche solo un paio d'ore piuttosto che darmi per morto e tornare a farvi vivi solo quando vi servo per allearvi con quelle sottospecie di lucertole o quel che sono? - rigirò la domanda abbastanza deciso da lasciarla con un'espressione contrariata
-Ti facevo più sveglia, se è così che ti occupi del tuo popolo mi sorprende il fatto che Iga sia ancora in piedi e he non ci siano ancora state guerre civili o rivolte popolari.-
Aveva detto una parola di troppo, giusto un paio forse, per quello si era trovato una lama alla gola: non che non ci fosse abituato, succedeva anche di peggio quando c'era Bone Cold al posto di una donna che si sentiva in cima al mondo;
-Ti senti così brava da metterti contro di me per caso?
Devi esserti persa qualche parte della definizione
criminale-ricercato-in-tutta-la-nebulosa probabilmente, non pensare che mi faccia scrupoli a farti fuori se dovesse essere necessario.- gli disse con tutta la tranquillità del mondo.
Lei lo guardò con aria di sfida. -Oh non preoccuparti, non mi sono persa nulla, sono a conoscenza della reputazione tua e dei tuoi amici: se fossi come sei di solito mi terrei a debita distanza dal tuo braccio per evitare il linciaggio ma sai come sono i mercenari, Bone potrebbe anche avermi detto che te lo ha rotto un paio di giorni fa e, guarda un po' il caso, ora come ora tu non possa uccidermi come vorresti.
Non è divertente?- concluse con una certa soddisfazione abbassando la spada.
Avrebbe dovuto aspettarselo, non si sarebbe avvicinata così tanto se non avesse saputo che era al sicuro: la prossima cosa da fare sarebbe stata far saltare il cervello a Bone Cold, soprattutto se si considerava che era bastata una scatola di biscotti all'avena per convincerlo.
Mizuki aveva un'espressione particolarmente soddisfatta:
-Sei disposto a parlare almeno con tua madre per cinque minuti o no?- domandò cercando di non sembrare troppo severa facendogli segno di sedersi e questa volta le diede ascolto:
-Forza, in
izia pure a raccontarmi la tragica storia della vostra vita dopo la mia prematura quanto fantomatica morte.- asserì lui infastidito dalla situazione; dopo un paio di sospiri lei si mise a ridere:
-Ah beh grazie dalla fiducia- disse fingendosi offesa -Comunque se non ti abbiamo cercato c'è un motivo: dopo quella notte io e tuo padre dovevamo pensare al regno, non avevamo il tempo per la famiglia, questo lo sai benissimo anche tu, e comunque l'incoronazione di tua sorella era a pochi giorni di distanza dall'evento ed abbiamo dovuto pensare anche a quello, se non fosse che Alitheia non l'ha riconosciuta erede legittima e beh, gli ha tagliato la testa ecco.- continuò tutto d'un fiato mentre l'altro la guardava male, molto male:
-Hikari è... morta? Mi stai dicendo che è morta solo perchè un dannato cervo pseudo-antropomorfo non ha ricon
osciuto il suo ruolo? Mi prendi in giro?- chiese cercando di contenere la rabbia.
L'imperatrice abbassò lo sguardo: -Anche tuo fratello è andato incontro alla stessa sorte, solo due anni dopo... poi Alitheia ha detto che non c'era più nessun pretendente e quindi puoi capirlo da solo che ti abbiamo dato per spacciato da subito...- concluse con un velo di tristezza.
Fantastico, suo fratello e sua sorella erano stati uccisi da un cervo psicopatico perchè non erano stati considerati degni della corona imperiale, davvero meraviglioso.
Tuttavia gli restava un dubbio: -Perchè allora siete spuntati così dal nulla questi giorni? Non potevate farlo prima?- domandò piuttosto furioso all'idea che fosse un animale a dettare legge, Mizuki scosse però la testa contrariata:
-Alitheia era scomparsa dopo la morte di Maki ed è ricomparsa solo una settimana fa vicino al palazzo reale dicendo che per Iga c'era ancora la possibilità di far salire al trono l'ultimo erede della famiglia reale e tuo padre, attraverso le sue reti di conoscenze burocratiche, ha casualmente scoperto che eri vivo: in carcere, ma eri vivo.- terminò anche se Hanzo aveva avuto l'impressione che avesse detto con particolare enfasi la parola
carcere.
Non fece in tempo a chiedere se le sue impressioni fossero vere che lo schermo dall'altra parte della stanza mostrò che c'era un messaggio in attesa, così lo aprì giusto per darci una sbirciata:

Spero per te che tu sia sopravvissuto alla chiaccherata con il resto della tua allegra famigliola di sadici psicotici altrimenti beh, posso sempre venire a prendere il tuo cadavere se proprio devo.
Sto andando sul pianeta Muscle a fare una visitina a Sergent, non dire niente a nessuno altrimenti finirai per farmi mettere a morte e non provare a seguirmi perchè ti riserverò lo stesso trattamento se ci provi.
Quando finisco vedo di raggiungerti, sempre che non mi sia fatto beccare prima.
Aspetta il tuo ex compagno di cella mi raccomando.
P.s. Ringrazia tua madre per i biscotti.
P.p.s Spero che la storia sia acqua passata, non ce l'avrai con me per dei biscotti? Sono un mercenario e non dovresti fidarti di me, ma se proprio vuoi possono dartene la metà per farmi perdonare, ma solo se avanzano.

Era evidente che Bone Cold avesse una visione distorta della parola scuse, soprattutto se pensava di farsi perdonare con dei biscotti all'avena.
Biscotti.
All'avena.
Ecco.
Si stava chiedendo cosa avesse in mente e conoscendolo era certo che stesse per cimentarsi in una qualche impresa suicida o simili, motivo per cui era
leggermente preoccupato: era un idiota e basta, si divertiva particolarmente a rischiare di morire ogni dannata volta.
-Abbiamo finito?- chiese a Mizuki che intanto era andata vicino alla finestra a contemplare l'orizzonte -Sì, direi che per oggi può bastare- asserì aprendo finalmente la porta -Ma questa sera devi parlare anche con tuo padre, chiaro?- gli domandò, così lui annuì.

Certo, contaci
pure pensò fra sè e sè.

Bone era arrivato da poco sul pianeta dei Muscle ed aveva fatto il modo che la sua astronave passasse inosservata lasciandola a diversi chilometri dal castello reale, poi aveva preso con sè la valigetta con il virus ed aveva radunato i suoi uomini:
-Da adesso pretendo la massima professionalità possibile dato che dobbiamo vedercela con un avversario che ci darà filo da torcere, niente errori, niente ripensamenti: chi vuole abbandonare lo faccia ora.- disse con tono severo lasciando che il silenzio calasse sui presenti:
-Bene signori e signore, andiamo a far visita ad un vecchio amico.- concluse dirigendosi verso il palazzo mentre Wolfrain teneva pronto il fucile in mano in caso che avessero incontrato qualche guardia.
Ora iniziava la caccia.


___________________________________________


(*) Alitheia (o Aletheia): parola greca che significa "Verità, Svelamento, Rivelazione, Sincerità".
In questa ff è un essere immortale nato con il pianeta di Iga stesso dal sangue dei primi imperatori e per questo ritenuto in grado di distinguere coloro che sono degni di salire al trono imperiale da coloro che non lo sono.


Angolino dell'autrice

(Scusate eventuali errori grammaticali)
Ta-daaaaan! Ecco il quarto capitolo :D *coro angelico*
Che dire, è stato un po' difficile all'inizio ma poi ci ho preso la mano, anche se ho dovuto dividerlo in pezzi per far fare ai vari personaggi diverse cose contemporaneamente; scusate la scarsa fantasia nel descrivere lo sco
ntro fra Oregon e Ricardo ma non sono brava nelle descrizioni xD
Bone ha iniziato la sua missione bio-terroristica (?) nei confronti di Sergent/Ataru Muscle, vedrete come finirà tra poco, mentre Hanzo sta per prendere il posto al trono di Iga prima di diventare l'organizzatore di altri attentati anche lui :D
Attenzione: per chi mi seguisse già su deviantart ricorderà (forse) che Hikari dovrebbe essere la sorella gemella di Hanzo, in ques
to caso però l'ho messa come sorella maggiore per fini inerenti alla trama (quando è successa la pioggia di meteore su Iga Hanzo, almeno in questa ff, aveva 5 anni, sua sorella 19 e suo fratello maggiore 17).
Ed i biscotti all'avena? Loro sono spietati!
Non ho più niente da dire, datemi qualche opinione se vi fa piacere *3*


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Senza pietà ***


Dopo la discussione con Oregon Sergent si era ritirato nei suoi appartamenti a palazzo dato che non aveva intenzione di prendere parte a quella ridicola riunione che suo fratello King aveva indetto, non gliene importava nulla di ascoltare cosa avessero da dire Robin e gli altri, anche perchè avevano le mani legate quando si trattava di cose simili.
Si stava annoiando a stare da solo nella sua stanza a fissare il soffitto, per cui aveva deciso di uscire per fare una passeggiata così da liberare la mente da tutto quello che stava accadendo intorno a lui: questione di pochi passi, quelli che bastavano a far sì che fosse abbastanza lontano dal castello perchè nessuno lo vedesse o sentisse, ed una freccia nera e sottile gli si era conficcata all'altezza del collo.
Non aveva perso la calma ed era riuscito ad estrarla velocemente, poi si era guardato intorno in cerca del nemico, ma non aveva visto niente e nessuno.
O meglio, iniziava a non vedere niente da quando aveva estratto la freccia, se non delle figure a pochi metri da lui, una delle quali l'aveva immaginata fin da subito: stava maledicendo il momento in cui aveva tolto quelle dannate catene a Bone Cold, era stato un idiota, un perfetto idiota.
E di idiozia non si guarisce facilmente, come avrebbe detto Oregon.

L'operazione "Valchiria Imperiale", nome nato dalla discutibile fantasia che Bone e Wolfrain avevano, era una sorta di suicidio di massa: se andava bene sarebbero entrati nelle grazie di quelle lucertole, se andava male finivano sul patibolo.
Spiegazione semplice, ma efficace.
La ragazza che impugnava l'arco era stata fredda e distaccata dalle emozioni, per quello era riuscita a centrare il proprio obbiettivo: l'uomo si era accasciato a terra in pochi istanti, poi era stato trasportato fino ad un vecchio laboratorio abbandonato ai confini delle proprietà dei Muscle, al riparo da sguardi indiscreti, dove era tutto pronto per iniziare con le trattative.

Appena si era svegliato, ovvero quando il veleno aveva smesso di fare effetto, Sergent si era guardato intorno ed aveva visto il buio più assoluto, solo uno spiraglio di luce illuminava la grande stanza; aveva naturalmente provato a muoversi ma non c'era riuscito, così aveva abbassato lo sguardo fino ad incontrare delle spesse catene che lo tenevano incollato al muro.
Era nei guai, ne era certo.
Sentì una porta chiudersi pesantemente e diverse serratura scattarono una dopo l'altra, poi una luce venne accesa per illuminare la stanza: gli occhi ci misero un po' per abituarsi dal buio quasi totale fino all'eccessiva luminosità, così impiegò un po' per mettere a fuoco tutti i presenti.
Bone se ne stava seduto su una sedia a nemmeno un metro da lui e lo guardava con aria soddisfatta mentre mangiava un biscotto:
-Guarda un po' Sergent, ci rivediamo ancora a quanto pare: non sei felice di vedermi?- domandò con nonchalance per poi alzarsi ed andare più vicino
-Con la differenza che ora sarò io a dettare legge, non tu: i ruoli si sono invertiti, a mio favore ovviamente, e per me sarà un piacere farti provare le stesse cose che ho dovuto sopportare io in questi anni, un vero piacere.- continuò con un certo senso di superiorità: sì, le cose stavano decisamente andando per il verso giusto.
Sergent però non sembrava d'accordo: -Avrei dovuto immaginare che un verme come te sarebbe tornato a farsi vedere, non sai contro chi ti stai mettendo lurido avanzo di galera!- gli urlò contro prima che un pugnale si conficcasse nella spalla sinistra
-Avanti, continua a parlare, fallo ed io ti taglio la gola ancora prima che tu te ne accorga: sarò anche parte della feccia di questa nebulosa, ma voi kinniku fate più schifo di quelli che stanno dietro le sbarre in questo momento- gli ringhiò contro abbastanza sicuro di sè da farlo tacere -Sempre a credervi in cima al mondo, voi e il vostro misero pianeta, ma a quanto pare state lentamente cadendo in basso da quando Oregon si è messo in mezzo.- osservò mentre aveva fatto avvicinare un'altra ragazza che teneva in mano una sbarra di metallo che, se la vista non lo stava ingannando, sembrava rovente: -Temo che la situazione si stia scaldando, goditi l'esperienza.- osservò Wolfrain con un ghigno malefico.
Fu un attimo ed il dolore prese il sopravvento: il ferro era penetrato nella carne più a fondo del previsto e bruciava, anche parecchio; come se non bastasse l'estremità inferiore era a forma di uncina per cui quando lo tirarono fuori ridusse la pelle a brandelli; aveva provato ad urlare con tutta la forza che aveva, ma si era subito ricordato che quelle pareti erano insonorizzate all'esterno ed all'interno, e poi era troppo isolato perchè qualcuno potesse sentirlo.
La carne stava ancora bruciando sotto l'effetto delle ustioni quando aveva smesso di sentire il braccio, ridotto ormai ad una distesa di pelle rossa intervallata da strisce nere di tessuto carbonizzato, ed il peggio era che non era ancora finita: Bone aveva preso in mano una boccetta e l'aveva aperta, attento a non versarsela addosso; rovesciò una sola goccia del liquido nerastro per terra ed il pavimento iniziò a sciogliersi sollevando alcune nuvole di vapore
-Sangue di raptor, un regalo di Oregon: quelle lucertole hanno abbastanza acido fluoroantimonico (*) nel sangue da sciogliere un muro di cemento armato, figuriamoci la pelle umana, penso che potrebbe fare male, ma sarà meglio provare prima no?- propose e, senza aspettare le richieste di pietà, versò gran parte della boccetta su un lato del collo dell'uomo così che scendesse fino al torace.
L'acido iniziò subito a corrodere i tessuti in pochi secondi, Bone Cold lo sapeva che era potente ma mai aveva visto gli effetti sulla pelle umana e se ne stava pentendo altamente, per cui in circa mezzo minuto gli strati di pelle erano stati sciolti lasciando intravedere i muscoli e, in alcuni punti del torace, anche qualche costola.
Durò meno di un minuto, durante il quale cercò di tenere a bada lo stomaco che non aveva intenzione di assistere allo spettacolo ancora per molto, ma che volesse o meno non aveva scelta, doveva farlo e basta; versò alcune delle gocce rimaste sul volto di Sergent, abbastanza perchè anche i tessuti della maschera si sciogliessero e formassero un solo strato con la pelle già corrosa, anche se in misura minore che sul resto del corpo.
Inutile dire che aveva lanciato urla strazianti in quei momenti ma nessuno le aveva potute sentire dato il luogo, aveva cercato di resistere al dolore lancinante per qualche secondo invano, non poteva fare niente contro un acido simile, e poi era incatenato.
Bone aveva dovuto prendersi una pausa di cinque minuti dopo la scena raccapricciante, poi si era diretto verso la valigetta di acciaio, l'aveva aperta e stava preparando l'occorrente per l'iniezione finale, quella per cui era stato pagato:
il liquido azzurro-trasparente dell'UBD sembrava risplendere alla luce della stanza, quasi come se avesse una vita propria, così prese la siringa in mano e provò a far uscire una quantitativo minore di una goccia solo per controllare che uscisse dall'ago senza problemi.
Oregon aveva chiesto di non ucciderlo, poi ci aveva ripensato e dieci minuti prima aveva mandato una comunicazione dove richiedeva di torturarlo con qualcosa per qualche giorno o una settimana, qualcosa che alla fine lo uccidesse, ed alla fine Bone aveva optato per il ceppo del virus che prima di uccidere distrugge completamente la vittima, era crudele e divertente, ma almeno avrebbero tutti avuto quello che volevano.
Praticò l'iniezione alla base del collo perchè grazie alla carotide e la giugulare avrebbe raggiunto il cuore ed il cervello in pochi istanti: non avrebbe sentito nulla per quasi mezz'ora, segno che il virus aveva già iniziato a nutrirsi dell'area adibita alle percezioni, poi all'improvviso avrebbe avvertito una fitta di dolore quando avrebbe iniziato ad attaccare i muscoli ovunque ce ne fossero disponibili e poi beh, tutto iniziava ad andare in necrosi; una volta che iniziava non poteva essere fermata e, siccome si sviluppavano diverse infezioni, si moriva e basta.
Veloce, silenziosa e letale.
Bone aveva un'aria stranamente soddisfatta:
-Avrei anche finito ma sai una cosa, voglio dirti tutto, tanto fra un'ora avrai già perso la capacità di parlare e magari avrai anche un po 'di amnesia- disse con aria trionfante -Sai perchè Oregon mi ha mandato qui? Non lo ha fatto solo per ucciderti, no, perchè se ti avessi ucciso subito i tuoi amici della Muscle League non avrebbero visto come si riduce chi si mette contro la dmp:se ti andrà bene finirà tutto in quattro o cinque giorni, se ti va male andrà avanti per settimane o anche mesi, ma alla fine morirai comunque.- concluse facendo agli altri presenti, Wolfrain compresa, cenno di uscire.
Si sistemò su una sedia e si accese una sigaretta:
-Sai una cosa? Alla fine mi ha fatto bene starmene dietro le sbarre per un po', mi ha dato tutto il tempo di riflettere su come ti avrei ucciso una votla uscito, ed oggi ho avuto ciò che volevo: mi dovrei ritenere soddisfatto, penserai, ma non lo sono e sai perchè?- domandò mentre l'altro fece segno di no con la testa
-Perchè non so cosa fare adesso, qualche anno fa sognavo di vendicarmi con mezza nebulosa ma ora come ora non ci riesco nemmeno con quel vecchio pazzo di mio padre, non è così divertente la vendetta, non come pensavo.- riflettè guardando un punto nel vuoto davanti a sè; ok, era uno psicopatico, ma con le ultime forze che erano rimaste al kinniku decise di prendere la parola -Parli come se avessi dovuto patire le pene dell'inferno ma penso proprio che tu non sia nemmeno mai andato in guerra, ti sei solo e sempre limitato a stare dall'altra parte, da quella di coloro che guardano e basta.- sentenziò severo ma l'altro iniziò a ridere in un modo abbastanza inquietante
-Mai stato in guerra?- ripetè togliendosi la sigaretta dalla bocca ed appoggiandola sulla sedia vicina
-E invece ci sono stato, combattevo al fronte con Wolfrain e non mi divertivo per niente: ci ho rimesso un occhio ed una mano, la perdita della sanità mentale è stata solo una conseguenza del trovarsi da un giorno all'altro con un pezzo di titanio nel polso senza il quale potrei anche andare in giro a giocare all'allegro amputato, la cosa non mi attirava troppo.- raccontò guardandolo negli occhi mentre si dondolava dalla sedia lasciando Sergent allibito.
Per tutto il tempo in cui aveva parlato con lui il kinniku non aveva fatto altro che guardare la profonda cicatrice che attraversava l'occhio sinistro quasi verticalmente, ed aveva intuito che lo tenesse chiuso proprio perchè alla fine era un punto morto di cui avrebbe voluto sbarazzarsi: non se ne faceva nulla di un occhio in più se alla fine nemmeno ci vedeva da quello, non aveva un grande senso tenerlo aperto per niente.
Finita la sigaretta Bone si alzò e richiamò Wolfrain. -Riportatelo a palazzo, fate sparire le vostre tracce e tornate immediatamente alla nave dove vi aspetto: prima partiamo meglio è.- asserì per poi girarsi verso l'uomo che, nei pochi attimi trascorsi, sembrava essere già peggiorato anche se di poco
-Tra qualche istante non potrai rivelare a nessuno di tutto quello che ti ho detto, goditi l'esperienza.- lo liquidò velocemente ma, prima di uscire, lo guardò ancora qualche secondo -Probabilmente i tuoi arti andranno in necrosi fra qualche ora, non so se hai già notato quella macchia nera all'altezza della spalla- disse indicandogliela
-Prima di morire saranno costretti, pensando di salvarti, ad amputarti almeno un braccio o una mano o qualcosa, ma tanto morirai comunque.- terminò ridendo e, proprio come era apparso, sparì nel nulla chiudendosi la porta alle spalle.
Ti amputeranno un braccio o una mano o qualcosa, quelle parole furono le ultime che Sergent riuscì a sentire prima di svenire.
Non voleva più svegliarsi.

Appena finito il lavoro si era dileguato lasciando che Wolfrain si occupasse di riportare il kinniku a palazzo, poi si era diretto verso la parte più interna dell'astronave dove si trovava anche la sua stanza: avrebbe dovuto immaginare che lo stomaco non avrebbe retto un minuto di più, erano passati troppi anni da quando aveva torturato qualcuno in quel modo e se ne stava rendendo conto solo ora che non era più abituato a sentire l'odore del sangue che scorre sull'acciaio rovente.
Aveva già vomitato l'anima un paio di volte prima di decidersi a passare agli estremi rimedi, anche se in realtà riusciva solo a stare in piedi appoggiandosi alle pareti ed era stato difficile arrivare alla poltrona dall'altro lato della stanza: impiegò un paio di minuti prima di riuscire a prendere in mano la siringa che aveva lasciato sul tavolino lì vicino e, come se non bastasse, il dolore non accennava a diminuire.
Erano mesi che era in quelle condizioni ed avrebbe dovuto prendersi una pausa prima di tornare a fare il mercenario, ma con Oregon che si era messo in mezzo di pause non ce ne erano state e così era andato avanti come poteva senza rendere di pubblico dominio la questione: non aveva intenzione di farsi compatire, non ne aveva davvero il tempo.
Le persone erano abituato a vederlo come quello che aveva lasciato una scia di sangue dietro di sè per più di una decina di anni, non come chi si piegava in due perchè non reggeva più il dolore, che se ne andava in giro allegramente con un polmone ancora buono ed uno mezzo andato, per non dire completamente andato, perchè tanto se moriva a nessuno interessava, e comunque con i soldi avrebbe anche potuto permetterselo, un polmone si intende.
Oppure avrebbe potuto direttamente ammazzare qualcuno e prenderselo.
Fortunatamente nelle ultime settimane era riuscito a procurarsi abbastanza morfina da tenere a bada i dolori lancinanti che, quando meno se lo aspettava, sembravano squarciargli il torace senza un motivo apparente: tirava avanti piuttosto bene e sembrava funzionare alla perfezione, anche troppo dato che a volte si scordava completamente di quanto facesse male e faceva le cose più disparate come accettare di torturare qualcuno senza pensare alle conseguenze.
Era riuscito a trovare la concentrazione per non infilzarsi il braccio e, a dire la verità, non aveva sentito nemmeno l'ago entrare nella pelle: in compenso si era subito sentito un po' meglio di come fosse il minuto primo, almeno quella era una buona notizia.
Non gli importava più di tanto dei suoi polmoni, o quello che ne era rimasto, per cui si accese una sigaretta giusto per ridursi peggio di quanto fosse già: no, non era un masochista, o almeno sperava di non esserlo, ma ora come ora avrebbe anche potuto morire di infarto da un momento all'altro, che senso avrebbe avuto negarsi un momento di strafottenza verso il mondo?
E poi era un mercenario, quelle cose poteva permettersi di farle senza dover rendere conto a nessuno.
Nessuno tranne che ad Hanzo.
Ecco.
Gli aveva promesso che sarebbe andato su Iga il prima possibile finito di fare il lavoretto per quella lucertole ma, viste le condizioni in cui versava, non poteva intraprendere un viaggio dall'altra parte della nebulosa così, senza riposarsi; decise allora di mandargli una comunicazione, almeno non lo avrebbe ammazzato al ritorno:

Ho appena finito con Sergent ma non posso venrie subito da te, mi ci vorranno almeno dodici ore prima di partire quindi dovra aspettare fino a domani: no, non sto uccidendo qualcuno, sono seduto a farmi di morfina ecco, tanto per mettere le cose in chiaro.
No, non mi sto drogando... cioè in un certo senso sì... però... ok, lasciamo stare te lo spiego più tardi che è meglio.
Ti avevo lasciato cinque biscotti ma adesso ne sono rimasti due... ah no, in questo momento ne è rimasto uno solo, vedrò di non toccare l'ultimo.
Aspettami e non dichiarare guerra a nessuno nel frattempo.
P.s. chiedi a tua madre se può procurarmi altri biscotti all'avena.

Ok, era ufficialmente la cosa peggiore che avesse scritto.
Ma chi se ne frega pensò ad alta voce.

Oregon aveva appena saputo della notizia da Bone quando stava per iniziare la riunione con il resto della dmp: era entusiasta, se non dei più, ma doveva contenere l'entusiasmo per dopo dato che ora avrebbe dovuto parlare di cose ben più serie.
E bravo quel piccolo mercenario arrogante pensò con una certa aria di soddisfazione mentre entrava nel grande atrio del palazzo.
Un kinniku era fuori.
Uno a zero per la dmp.



______________________________________


(*) Wikipedia, Acido fluoroantimonico: è il più potente superacido conosciuto dall'uomo, in grado di sciogliere quasi tutti i composti organici.
E' composto da acido fluoridrico e pentacloro di antimonio, in rapproto 1:1 è circa 20 miliardi di volte più potente dell'acido solforico.
(Solitamente si trova allo stato di gas ma con particolari processi può essere trasformato in un composto liquido molto viscoso).

(Scusate eventuali errori grammaticali dovuti al computer che va alla bene e meglio)
Ta-daan!
Ecco, a grande richiesta, il quinto capitolo!
Mi scuso per il ritardo e la brevità (esiste come parola eh) del capitolo ma volevo che fosse incentrato su Sergent Muscle alias Ataru Kinniku e la sua amorevole fine (che si risolverà nel giro di uno o due capitoli), e poi sono sommersa dalla scuola per cui non aspettatevi aggiornamenti a breve xD.
Che dire, sono crudele, tanto crudele con queste cose: ringrazio però Ms_Fly_K e Ladyloki96 per l'aiuto ad ideare le torture e spero che alla prima sia gradita l'imminente morte dell'amato kinniku <3
E vogliamo parlare di Bone Cold che si droga (?) con la morfina?
Poverino, c'è dolore anche per lui (no, non muore) >:D
Se volete recensite, insultatemi, amatemi, odiatemi, sono aperta a tutto :D






Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Pomeriggio fra donne ***


gu

Era inutile sottolineare che, fra i presenti seduti al grande tavolo del salone, Oregon fosse l'unico che avesse davvero in mente un piano degno di essere chiamato in quel modo dato che gli altri si limitavano ad avanzare ipotesi senza mai fare qualcosa di concreto.
E poi aveva il vantaggio di essere dannatamente inquietante.
Nella stanza c'era un silenzio di tomba, nemmeno osava prendere parola per primo perchè beh, c'era ben poco da dire; ma, giustamente, Shogun doveva distinguersi per forza. -Avanti Oregon, esponi a tutti i tuoi piani dato che te ne vanti tanto, suggerisci a tutti i presenti come distruggere una vo
lta per tutte la Muscle League.- disse con tono irritato ma l'altro sembrò non farci caso
-Oh non temere perchè lo farò di sicuro, ma se provi a parlare come se fossi tu il capo ti rompo le ossa una per una.- rispose di tutto punto e a quanto pare anche Shogun aveva la risposta pronta -E starmene zitto mentre tu lasci le redini della dmp a quello psicopatico di tuo figlio? 
Ma anche no.
Ecco, sarebbe stato il momento giusto per stare zitto ed evitare di
trovarsi con gli artigli alla gola, giusto per precisare: -Tutti i presenti ci hanno provato ed hanno fallito, ora che sono io il capo qui si farà come dico io, e se dico che tu dovrai fare tutto quello che dirò lo farai: chiaro?- chiese prima che l'altro annuisse.
Oregon si mise a girare davanti alle ampie finestre lasciando ondeggiare la coda nervosamente: -Qualcuno ha qualcosa da dire o possiamo iniziare a parlare civilmente? domandò, così tutti scossero la testa -Allora iniziamo.- sentenziò sedendosi a terra con le ali dispiegate che toccavano il pavimento:
-Penso che voi tutti sappiate che la Muscle League ci, ho meglio
vi, ha preso per i fondelli per parecchio tempo da quando e ne sono tornato sul mio pianeta, per questo sono tornato per prendere il controllo della situazione.- spiegò mentre alcuni annuivano ed altri parlavano fra loro.
Oregon richiamò all'attenzione frustando l'aria con la coda:
-Finalmente la dmp non sarà da sola co
ntro la Muscle League, infatti avremo a disposizione tre dei quattro eserciti sparsi per la nebulosa, compreso il pianeta di Iga e le sue tecnologie che ci permetteranno di distruggere la Muscle League ancora prima che se ne possano accorgere.- concluse il primo punto soddisfatto
-Ma io voglio di più, voglio che la stirpe dei kinniku fin
isca per sempre, nessuno dovrò sopravvivere: King ha approfittato anche abbastanza dei punti deboli della dmp, è ora che qualcuno gliela faccia pagare, e penso che tutti siano d'accordo, per cui ho deciso di iniziare a mettere fuori gioco Ataru Muscle, il fratello maggiore di King Muscle: senza di lui l'esercito sarà disorganizzato, non proprio del tutto è vero, ma non avranno motivo di combattere se non c'è il loro generale a guidarli.- continuò facendosi più serio -Mi sono permesso di pagare qualcuno per torturarlo ed ucciderlo, spero siate tutti d'accordo con la mia scelta: se non lo siete ditemelo ora così posso strapparvi le braccia senza che ci siano ritardi sul programma, comunque sia queste sono le condizioni in cui versa il nostro amico della Muscle League.- terminò mostrando le immagine che Bone Cold, giusto per assicurarsi che Oregon non pensasse che avesse sbagliato qualcosa, aveva mandato solo qualche minuto prima.
Nessuno aveva osato parlare, d'altronde vedere alle due di pomeriggio lo pseudo-cadavere di qualcuno mezzo
sciolto nell'acido e mezzo ustionato non era bello o istruttivo, anzi faceva salire il pranzo in un certo senso:
-Non mi interessa se qualcuno dovrà morire, non mi interessa se voi dovrete morire: avrò la mia vendetta e voi la vostra, la Muscle League ed i Muscle verranno cancellati ed i traditori beh, a loro verrà riservato un trattamento a
parte.- concluse prendendo fiato -Io ho finito, andate pure e fate quello che volete ma sappiatelo: se vedete qualcuno della Muscle League fatelo fuori, non voglio sopravvissuti.- liquidò i presenti che, nel giro di cinque minuti, tornarono a fare quello che stavano facendo uscendo dal palazzo.
Cassandra sem
brava entusiasta dei fatti accaduti fino ad ora, non aveva nulla di particolare contro i kinniku ma se quello era ciò che voleva il suo compagno allora andava bene; lo stesso non si poteva dire di Ricardo, che intanto era impegnato nel reprimere l'istinto omicida di tranciargli la testa con gli artigli, dio solo sapeva cosa lo stesse trattenendo dal farlo fuori.
Ah già, c'era Jaqueline a due metri da lui.
Oregon si avvicinò con aria trionfante, anche troppo: -Tu vieni con me.- ordinò al figlio che, nonostante volesse seriamente commettere un omicidio da un giorno all'altro, lo seguì senza fare troppe storie, anche perchè non sarebbe servito a nulla; Jaqueline riuscì a fermarlo giusto qualche minuto prima che con suo padre se ne andasse nel folto della foresta Amazzonica:
-Se mi cerchi sono con tua madre a fare shopping a San Paolo, il mio caro paparino mi ha detto che questa sera ci sarà una sottospecie di qualcosa di non ben definito dove ci saranno quelli del Torneo Chojin e mi ha obbligato ad andarci: non ho un vestito e quindi beh, devo comprarne uno no?- asserì seria mentre lui la squadrava perplesso -Non ne hai già abbastanza di
vestiti?- chiese ma lei scosse la testa, così sospirò rassegnato -Fa come vuoi, tanto è tuo fratello che paga quindi vedi di esaurirgli i fondi per favore.- continuò mentre lei stava già parlando con Cassandra
-Ovviamente! Mi raccomando, non uccidere nessuno.- gli raccomandò prima di vederlo andare via.
L'altra donna le sorrise e, senza troppi problemi, salì insieme a lei sul jet privato e si accomodò su uno dei sedili che davano sul finestrino vicino al quale si sedette Jaqueline: -Pronta per un pomeriggio tra donne?- chiese sorridendo
-Certamente, mi serviva un po' di pace fra una riunione ed un omicidio.- rispose ridendo l'altra.

Impiegarono poco più di mezz'ora per arrivare fino all'aeroporto di San Paolo, poi si incamminarono fino ad arrivare alla boutique di Estrella, una vecchia amica scolastica di Jaqueline che era riuscita a diventare una stilista affermata aprendo diversi negozi sia nel continente americano sia oltre oceano; non era proprio una come tutte le altre e, a dire il vero, non sembrava nemmeno una stilista.
Teneva i capelli castano chiaro raccolti in una treccia, gli occhi color miele erano quasi nascosti da un paio di occhiali bianchi con alcune strisce argentate che continuava a sistemarsi, era un vizio dei tempi della scuola quello, e poi non era nemmeno così magra come le sue colleghe.
Non gliene importava nulla e faceva bene a fregarsene.
Appena la vide le saltò al collo: -Quanto tempo che non ci vediamo!- le disse entusiasta -Mio dio, sei ancora più bella dell'ultima volta che ci siamo viste anche se beh, è stato... cinque anni fa?- domandò a Jaqueline che annuì; a Cassandra non serviva presentarsi dato che era una sua cliente abituale
-Cosa vi serve? Avete già un'idea precisa?- domandò con un certo fare professionale alla donna che annuì -Abbastanza, ci basta sapere che non c'è nessun altra qui ed in
iziamo a darci alla pazza gioia nei camerini.- rispose ridendo ed anche l'altra fece lo stesso -La boutique è tutta vostra madame, fate come se questo fosse un enorme armadio e non fatevi problemi a togliere gli abiti dai manichini tanto non ci vorrà molto per metterli a posto.- le assicurò per poi tornare nel suo studio per finire gli ultimi ritocchi ad un abito a cui stava lavorando da mesi e mesi.
A dire il vero Jaqueline non aveva la minima idea di cosa prendere: era una sottospecie di festa, o almeno così aveva capito, anche se non c'era nulla da festeggiare, che diavolo ci faceva in mezzo a degli abiti da sera?
Ok.
Subito però le saltà all'occhio un abito color magenta semi trasparente che si intonava ai suoi capelli, giusto per restare in tema, lungo dietro e corto davanti, che tra l'altro lasciava ben poco all'immaginazione, e con alcuni ricami
floreali in pizzo nero; l'istinto le aveva detto di provarlo e così aveva fatto, ed era perfetto.
Avrebbe attirato l'attenzione, di quello ne era certa, forse anche troppa.
Non seppe spiegarsi il perchè ma il suo sguardo cadde sull'anello che p
ortava al dito: non che fosse preoccupata degli sguardi indiscreti altrui, ma non poteva andarsene in giro mezza nuda a mostrare le proprie curve ai vecchi decrepiti della Muscle League ed ai rampolli delle altre famiglie, non era proprio il caso di farlo ora.
Anche perchè probabilmente Ricardo avrebbe decapitato qualcuno se fosse scappata qualche occhiata di troppo.
Cassandra aveva notato che era abbastanza delusa dal non potere, o dal non volere, indossare quel vestito, così si intromise come se fosse sua madre:
-Qualche problema?- le chiese con fare materno, l'altra allora sospirò ed iniziò a camb
iarsi nuovamente, rassegnata all'idea che non potesse esserci un altro abito migliore di quello: -Niente di irrecuperabile, non voglio solo che qualcuno pensi che ora che sono fidanzata me ne vado in giro allegramente a farmi sbavare dietro.- spiegò velocemente imbarazzata.
La donna annuì capendo di aver i
nteso quello che voleva dire, poi le fece segno di aspettarla; passarono dieci minuti buoni perchè tornasse con in mano un abito a sirena verde smeraldo con alcune pietre sul corpetto:
-Prova questo, sono curiosa di vedere come ti sta.- disse dandole l'abito, che inizialmente non la convinceva, era verde.

Verde.
Ecco.
Dovette ricredersi dopo qualche minuto: le stava bene, per non dire che sembrava fosse stato cucito apposta per lei, e poi era dannatamente sexy senza che sembrasse una prostitut... ehm, una ragazza di facili costumi, e si intonava anche al colore dei suoi occhi.
-Ti piace?- le domandò cassandra e lei annuì, così lo rimise a posto vicino all'ufficio di Estrella -Bene, ed uno è andato, continuiamo?- continuò sorridendo e correndo a provarsi un abito, anche quello a sirena, viola con dei ricami di pizzo nero ed una fascia di raso dello stesso colore: ok, non nera una ventenne, ma il fisico era quello, ed era mozzafiato.
Jaqueline si lasciò scappare un applauso che l'altra accolse con un inchino, nemmeno fossero sul
red carpet, poi scoppiarono a ridere entrambe
-Ed anche il secondo lo abbiamo fatto, che velocità ragazza mia!- disse la donna soddisfatta.
Erano andate avanti a provare abiti per due
ore di fila e ne contavano già otto fra l'una e l'altra, poi Jaqueline aveva sbirciato dentro lo studio dell'amica ed era rimasta pietrificata: era un abito principesco, il raso si increspava come se fosse fatto di petali e variava il colore da viola, blu, magenta, bianco, arancio e giallo.
Da come era fatto aveva capito sin da subito che era un abito da sposa, non certo un abito da sera come stava cercando lei, però era bellissimo: non che avesse per la mente il matrimonio, non proprio.
Ok sì, ci pensava a volte.. raramente però... no non era vero, ci pensava eccome.
Ma con Cassandra in giro non poteva dare certo a vedere che gli piacesse davvero quell'abito.
Troppo tardi dato che l'altra aveva già chiamato Estrella per farglielo provare; era rossa,
completamente rossa, ed imbarazzata fino alle punte dei capelli: era tipo come dire "Ehi scusa ma vorresti essere la mia futura suocera?" e non voleva che lo pensasse.
Però quando aveva visto la sua immagine riflessa allo specchio aveva dovuto sforzarsi per co
ntenere l'emozione di immaginarsi un giorno in quel vestito: era così leggero che i petali sembravano potersi staccare e volare via con la brezza più leggera, non era il classico abito bianco ma aveva la stessa elaganza e la stessa leggerezza, era semplicemente stupendo.
Entrambe sembrarono illuminarsi: -Sono sette mesi che ci lavoro e devo dire non avrei potuto trovare un'indossatrice migliore!- si complimentò l'amica
-Ti sta d'incanto Jaqueline, non lo penso mai di tutti gli abiti ma questo.. questo è assolutamente perfetto, non pensavo potesse stare così bene a qualcuno.- riflettè ad alta voce versando qualche lacrima per il lavoro finalmente completato
-Sarebbe meraviglioso vederti un giorno con qu
esto abito, sarebbe una soddisfazione inimmaginabile!- continuò sognante e non poteva darle torto, era bello e basta.
In fondo in fondo anche Jaqueline condivideva lo stesso sogno, le sarebbe piaciuto eccome che al suo matrimonio, se mai ci fosse stato, avesse potuto indossare quel vestito.
Ecco, il matrimonio: non è che non volesse che prima o poi succedesse, ma era abbastanza recidiva all'idea di prendersi un im
pegno simile, senza contare che se si fosse sposata sarebbe diventata la prossima imperatrice dopo Cassandra, e gestire un intero pianeta non era un'idea che la allettava più di tanto.
Lei glielo lesse negli occhi e non evitò di commentare, così le si avvicinò e cercò il suo sguardo fino ad incrociarlo:
-So cosa stai pensando, avevo i tuoi stessi dubbi ed ero più giovane di quanto tu sia ora, e non avevo niente di niente a cui aggrapparmi se non i miei sentimenti- iniziò a raccontare più seria di quanto fosse mai stata
-Non puoi nemmeno immaginare quante siano state le persone che mi dissero di lasciar perdere Oregon e di trovarmi un uomo che fosse come me, non una lucertola di dieci metri incline all'omicidio, e sai cosa ho fatto?
Me ne sono fregata Jaqueline, non me ne importava di quello che dicevano: nel mio cuore sapevo che era l'unico uomo che avrei voluto al mio fianco per il resto della mia vita, non poteva essercene un altro.- continuò mostrandosi di una sincerità disarmante, tanto che stava desiderando che fosse la madre che non aveva mai avuto, giusto per avere i suoi consigli ogni giorno
-Lo so che è difficile non ascoltare gli altri, ci sono passata per un'intera vita, ma oggi so che se avessi ascoltato quelle persone, se avessi trovato un altro uomo, io non sarei la persona che sono, non avrei quello che ho, e poi non avrei con
osciuto una ragazza come te. E' dura, lo so, essere imperatrice è una delle cose più stressanti che esistano, ma non hai altra scelta che ascoltare te stessa, non devi dare un peso maggiore alle cattiverie altrui piuttosto che al tuo cuore, non farlo mai: potresti ritrovarti come Belinda o peggio.- concluse accennando un sorriso, ma si vedeva che era emotivamente più coinvolta di quanto avesse previsto.
Jaqueline non sapeva cosa dire nè cosa fare, ma era certa che Cassandra avesse ragione: le persone erano cattive e non si facevano problemi a darle della
ragazzina viziata e provocante il cui unico scopo era quello di portarsi a letto la gente, cosa che tra l'altro non aveva mai fatto, così fingeva che non le importasse ma faceva male sentire quelle frecciatine ogni santo giorno.
Eppure sapeva anche che da quando aveva Ricardo vicino era tutto diverso: gli altri ci pensavano due, tre, quattro, anche dieci volte, prima di dire qualcosa dato che, in effetti, non era una bella prospettiva che un rettile di dieci metri ti staccasse gli arti a morsi, non lo era affatto.
Si guardò allo specchio un'ultima volta, voleva solo essere sicura di quello che stava vedendo, poi all'improvviso Estrella si riprese dalla sua
crisi di gioia improvvisa e prese una decisione che nemmeno lei credeva di poter prendere: -Tieni l'abito, consideralo come un mio regalo- intervenne prendendole le mani
-Mi hai aiutato tanto quando andavamo a scuola insieme, senza il tuo supporto avrei ascoltato Korinne e le sanguisughe pettegole che si tira dietro ed avrei mollato tutto: lo so, sono mesi che
lavoro a questo vestito ed avrei potuto venderlo a prezzi spaventosi, ma voglio che sia tu l'unica che lo possa indossare, non starebbe bene a nessun altra persona che non sia tu Jaqueline.
Era letteralmente paralizzata: -M-ma cosa d-diavolo dici?- sbottò lei
-Ti sarà costato una fortuna per farlo: la stoffa, le ore di lavoro e poi...- non fece in tempo a finire che venne zittita -Nessuna cifra può eguagliare quello che tu hai fatto per me, quindi accetta il mio regalo, vai là fuori e vedi di farti valere, alla faccia di quelle oche che ti parlano dietro le spalle come facevano con me!- la incoraggiò abbracciandola -
Grazie Estrella, grazie.- disse cercando di trattenere invano la lacrima di commozione che le stava rigando la guancia.
Salutata l'amica fece
per uscire dalla boutique quando Cassandra si fermò davanti a lei e le sorrise: -Non dovresti preoccuparti, accadrà tutto prima di quanto tu ti aspetti: per ora goditi la vita da fidanzata.- concluse ridendo.
Ok, non aveva intenzione di cercare di capire quella frase.
Decisamente no.

_______________________________________

Angolino dell'autrice

(Il computer non ragiona più di tanto, perdonate gli errori grammaticali/lettere invertite/lettere mancanti)
Sesto capitolo pwah pwah!
Lo so lo so, è un capitolo tenerello (?) e senza sangue, ma ho voluto risparmiare il prossimo omicidio al settimo capitolo :3
Cioè boh, non è che sia successo chissà cosa qui ma non potevo mettere insieme due che se ne vanno in una b
outique con gente che si fa di morfina o altra che decapita a caso no?
Ringrazio per l'ennesima volta
Ms_Fly_K e Ladyloki96 per l'aiuto con gli abiti.
E quindi eccoci qui, con questo (penoso) capitolo e con la sottoscritta che spera vi piaccia e vi ch
iede, come sempre, di insultarla, amarla, sposarla o magari anche lasciare una misera recensione :D
P.s. Vi lascio le foto dei vestiti che ho descritto in questo capitolo: in ordine sono quello di Jaqueline, di Cassandra e quello da sposa :3


Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Festa col botto ***


Jaqueline aveva appena ricevuto una telefonata da suo padre per avvisarla che quella sottospecie di festa, non sapeva cosa ci fosse da festeggiare, si sarebbe svolta sul pianeta Muscle e che quindi avrebbe dovuto raggiungerlo il prima possibile: inutile dire che ci sarebbe andata con la corazzata da guerra di Oregon, era un'idea troppo entusiasmante fare un'entrata simile, dato che probabilmente gli amici di Kid sarebbero o già stati lì o vi sarebbero giunti con una misera astronave di pattuglia del palazzo.
Ricardo doveva ringraziare il cielo che suo padre gli avesse accordato il permesso di non andarsene in giro come una lucertola di dubbie dimensioni almeno per quella sera, cosa che non avrebbe fatto comunque dato che gliene importava ben poco di quello che diceva, faceva quel poco che bastava per non scatenare un omicidio famigliare e basta; e poi il mantello faceva più serio del previsto, non che lo fosse minimamente certo, ma aveva l'aria da uno che diceva
"Sono il figlio di quello che vuole distruggere questo pianeta, quindi avvicinatevi e potrei anche staccarvi la testa a morsi."
No, non era decisamente serio.
E in effetti l'entrata era stata a dir poco trionfale, soprattutto se si contava che anche Korinne era nei paraggi insieme a Jeager che stava cercando di fare conversazione su qualcosa che non fosse il torneo chojin: scese dall'astronave con una grazia innaturale, non sembrava nemmeno lei a dire la verità, soprattutto con il vestito a sirena che scendeva stretto sui fianchi per far notare volontariamente le curve, doveva pur mettere in mostra qualcosa se proprio non poteva scoprire le gambe.
Con un gesto degno della più vanitosa delle teenager liceali a cui sbava dietro mezza classe si sistemò i capelli facendoli ondeggiare alla leggere brezza che spirava quella sera, doveva pur mettere in mostra l'anello in qualche modo.
L'altra ragazza la fissava a bocca aperta, si sentiva davvero squallida con quel semplice vestito azzurro chiaro liscio con una nastro argento in vita, molto squallida se paragonata a quell'esplosione di pietre che c'era sul corpetto dell'abito verde.
Non aveva mai provato cosa significasse sentirsi secondi: ecco, ora lo sapeva.
Jaqueline avevo una sguardo strafottente, finalmente si sentiva superiore al mondo:
e poi se ne andava in giro con il figlio del capo della dmp, poteva nnche stare certa che la cosa avrebbe destato più scalpore del previsto.
Soprattutto fra Kid e gli altri che intanto erano usciti per andare a prendere Jeager; Roxanne e le altre ragazze avevano avuto la stessa reazione di Korinne: anche loro infatti indossavano dei vestiti nemmeno troppo eleganti o vistosi, si poteva dire che l'altra fosse l'unica realmente vestita per l'occasione.
Se si fosse potuto sentire si sarebbe udito il suono del cuore di Kid spezzarsi lentamente vedendo Jaqueline con Ricardo.
Jaqueline.
Fidanzata.
Con... Ricardo?
Ma seriamente?
No, non voleva crederci, doveva essere uno scherzo; invece, più perfida di quanto si potesse credere, la ragazza si avvinghiò letteralmente, non si capiva se per soffocarlo o per dimostrare come stavano le cose, al collo dell'altro con una mano e con l'altra mise in bella mostra l'anello di acquamarina e diamanti che risplendeva alla luce della luna.
Kid crollò in ginocchio con il cuore a pezzi ed a nulla servirono i tentativi di consolazione di Roxanne, e la cosa peggiorò quando lo sguardo del kinniku incrociò quello di Ricardo: non sembrava nemmeno lo stesso che aveva incontrato al torneo chojin, aveva un qualcosa di terribilmente malvagio negli occhi, eppure Jaqueline si era innamorata di lui e anzi, aveva anche già accettato un anello di fidanzamento.
Un anello di fidanzamento.
Ok.
Non voleva sembrare patetico ma era difficile quando la ragazza dei tuoi sogni è già impegnata e si diverte a sbeffeggiarti allegramente, non era divertente per cui decise di entrare e lasciar perdere ma, da quello che stava per succedere, non lo era nemmeno per Kevin.
L'inglese, sempre occupato a fare il lupo solitario, non aveva mai dato l'idea di essere interessato alla rossa, ma a giudicare al modo in cui si era avvicinato a lei lo era parecchio.
E poi lo aveva fatto, le aveva dato uno schiaffo non proprio fortissimo certo, ma era comunque il doppio di lei e l'aveva fatta indietreggiare di un paio di passi.
E Ricardo non ci aveva visto più da quel momento.

Uno schiaffo.
A Jaqueline.
La sua Jaqueline.
Kevin si era appena scavato la tomba, doveva solo mettercelo dentro e coprirlo con la terra intrisa del suo sangue.

Non ci aveva pensato due volte prima di passare nella forma origine e, che ci fosse la Muscle League o meno, gliela avrebbe fatta pagare cara: nessuno, nemmeno suo padre, si permetteva di toccarla e chi lo avrebbe fatto avrebbe dovuto morire, punto.
Kevin non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse accadendo che si trovò a terra inerme, impossibilitato nel difendersi, schiacciato da tre tonnellate di muscoli e rabbia: ecco, era ufficialmente morto.
Affondò le zanne nel collo fino a quando non aprì uno squarcio dal quale il sangue usciva a fiotti, la giugulare era il suo obbiettivo e l'aveva recisa con precisione chirurgica, ma non era soddisfatto così lasciò che la mandibola facesse pressione sull'elmo blu metallico fino ad accartocciarlo come se fosse stagnola e lasciando che il sangue colasse fino a sporcare il terreno.
Robin Mask guardava la scena e non muoveva un muscolo: d'altronde quel teppista di suo figlio se l'era cercata, fare del male ad una donna era un atto volgare ed incivile per cui non si sarebbe messo in mezzo: poteva anche ammazzarlo per lui e, in una piccola parte del suo cuore, sperava che succedesse per liberarsi di quell'ingrato.
Mollò la presa solo dopo trenta interminabili secondi, dopo i quali Kevin nemmeno provava a rialzarsi da come era ridotto, ma giustamente non era ancora abbastanza felice del suo lavoro: dopo aver premuto la zampa anteriore sul petto per rompergli qualche costola e mozzargli il respiro lo infilzò letteralmente con entrambe le corna all'altezza dei polmoni e, dopo averlo scaraventato all'indietro, lo lasciò ricadere sulla coda.
Che era naturalmente coperta di spine, più simili a pugnali che a tessuti ossei.
L'urlo gli si fermò in gola da quanto era lancinante la fitta che gli attraversò il corpo:
due delle spine gli penetravano entrambe le spalle, altre quattro bloccavano il torace ed un'altra decina di spine più piccole gli squarciavano la schiena in minutissime ma profonde ferite.
Fu solo allora che lo lasciò cadere a terra in fin di vita, per poi tenergli premuta la testa a terra con la zampa e lanciare un ruggito verso il cielo: ecco, ora era davvero soddisfatto, ed anche Robin Mask lo sembrava da come stava applaudendo
-In altre circostanze sarei intervenuto per romperti l'osso del collo, ma se c'è una cosa che non tollero è la maleducazione e l'arroganza di qualcuno che pretende la ragione quando non ce l'ha: bel lavoro, davvero, se lo meritava e basta quindi non posso far altro che ringraziarti per avergli messo la testa a posto.- si complimentò andandosene e guardando il figlio steso a terra schifato.
Era stato uno sforzo immenso fare quello che aveva fatto, così si era accucciato a terra mentre il torace si abbassava ed alzava a ritmo regolare ma accelerato, così Jaqueline gli si sedette vicino:
-Non mi servirà nemmeno più la scorta se adesso mi fai anche da guardia del corpo personale no?- disse ridendo mentre giocherellava con la membrana delle ali anteriori distese a terra
-Mai vista tanta violenza in vita mia, sono sicura che non potrò mai annoiarmi di stare insieme alla mia tenera ed iperprotettiva lucertolina da guerra, mai e poi mai.- concluse alzandosi ed allungando le braccia per sgranchirsele.

In quel momento un urlo straziante squarciò l'aria dall'interno del palazzo e capì costa stava accadendo solo quando si affacciò sulla porta: a quanto pare Sergent era ancora vivo dato che si era trascinato fino alla proprietà del fratello, e dalle facce dei presenti inorriditi non era ridotto bene.
No, in effetti c'erano brandelli di pelle carbonizzata che pendevano dalle braccia e dal petto, ma la rossa aveva già visto il risultato delle torture qualche ora prima per cui non era particolarmente impressionata, mentre King e Kid lo erano eccome.
King Muscle lo aiutò a reggersi in piedi ma a nulla valsero le domande che gli faceva dato che non parlava, o meglio voleva dire qualcosa ma il virus aveva già distrutto la parte del cervello adibita alla parola e le corde vocali, per cui doveva limitarsi ad emettere versi animaleschi.
Ciao ciao resoconto delle simpatiche ore trascorse con Bone Cold.
Kid cadde in ginocchio ed iniziò a piangere: era suo zio quello?
Lo era davvero?
Sembrava più un grumo informe di sangue, carne abbrustolita ed un braccio necrotizzato, non la persona fiera e possente che era stato abituato a vedere e infatti non ci volle molto perchè perdesse conoscenza e crollasse fra le braccia del fratello, in evidente stato di shock, che invitò tutti ad uscire, ma non prima che i giornalisti presenti facessero foto dell'accaduto per metterlo su tutti i media disponibili.
Belinda, nello scompiglio generale, fu l'unica ad accorgersi di una figura femminile con il volto coperto che se ne stava seduta sopra il grande lampadario di cristalli del palazzo, così la indicò alle guardie che cercarono di capire cosa fare.
Troppo tardi.
Un boato assordante, poi il lampadario di cristalli esplose lanciando schegge ovunque e su chiunque: gente che correva disperata perchè era stata colpita, altra che non si rialzava ed altri ancora che seguivano solo la massa.
Poi la ragazza impugnò un arco e, dopo aver accuratamente preso la mira, scoccò una freccia bianca con l'estremità, oltre che ricurva in modo che faticasse ad essere estratta, intrisa di una strana e vischiosa sostanza rosa-dorato che arrivò dritta al cuore della regina, che si accasciò a terra tremante.
Era seguita un'esplosione, nemmeno tanto violenta in realtà ma aveva rotto i vetri delle finestre e sollevato in alcuni punti il pavimento  mietendo giusto qualche vittima, non più di cinquanta o sessanta persone dato che l'obbiettivo per ora era quello di distruggere la famiglia dei kinniku e non di metterci in mezzo dei civili.
Jaqueline era riuscita a starsene fuori dalla scenata con la scusa di aver dimenticato qualcosa sull'astronave, però sentì comunque un brivido percorrerle la schiena che Ricardo percepì abbastanza perchè se la stringesse a sè per farla stare tranquilla:
-L'avrà mandata mio padre, poco ma sicuro.- asserì serio per poi tornare all'astronave
-E' meglio se ce ne andiamo come hanno già fatto parecchi, almeno potranno dire che non eravamo noi i terroristi.- concluse e lei annuì.
Due a zero per la dmp.

Era quasi mezzanotte e mezza quando arrivarono a casa, eppure le luci erano ancora accese: Jaqueline entrò per prima e vide che Cassandra era impegnata nel discutere con Oregon di come sarebbe andata la festa e ci mise un po' prima di metterla a fuoco
-Siete già tornati a quanto vedo, piaciuta?- domandò sapendo già la risposta, così fu Ricardo a mettersi in mezzo -L'hai pagata te vero?- chiese a suo padre che annuì soddisfatto
-Ovviamente, ha fatto un ottimo lavoro non credi anche tu?- rigirò la domanda alzandosi e standosene fermo a nemmeno cinquanta centimetri da lui.
Ecco, ora si ammazzano pensò la ragazza mentre si scioglieva i capelli ma non successe nulla di speciale dato che in effetti nemmeno all'altro dispiaceva più di tanto.
-La prossima volta che vuoi organizzare un omicidio avvisami, non voglio essere presente quando esploderà un'altra finestra.- sentenziò facendo per andarsene con Jaqueline in camera, ma Oregon aveva notato il sangue che colava dalla spalla -Che cosa è successo?- chiese sapendo benissimo che non era il suo sangue, così dovette raccontargli anche tutta la storia di Kevin e quello che aveva fatto.
Ecco, se Oregon si fosse ricordato come fare si sarebbe anche messo a piangere commosso, per cui si limitò ad annuire applaudendo:
-La prossima volta finiscilo, uno della Muscle League in meno fa sempre comodo.- lo liquidò tornando a discutere con la compagna.
Salita al piano superiore Jaqueline aveva voglia solo di dormire, non avrebbe retto un secondo di più sveglia: era già una fatica togliersi il vestito, motivo per cui si era già incastrata due volte nel tentativo di farcela, e poi dove anche rivestirsi per andare a letto?
Ma anche no, nessuno le impediva di girare per la stanza in reggiseno facendosi problemi, certo non è che poteva andarsene così anche per la casa ma in camera non aveva restrizioni, e quindi chi se ne fregava di cambiarsi.
E poi Ricardo approvava la cosa, come se avesse potuto lamentarsi.
Si infilò sotto le coperte con una rapidità felina e, giustamente, se le prese solo per sè, c'erano comunque venti gradi non è che si congelasse eppure Ricardo si stava già lamentando del fatto che lo volesse vedere morto per ipotermia:
-Sssh, tu dormi e non lamentarti, le signorine hanno bisogno di restare coperte altrimenti prendono il raffreddore.- rispose facendogli segno di stare zitto
-E poi le lucertole non hanno bisogno di coperte, stanno calde già di per sè: quindi se proprio vuoi torna la lucertolina psicotica e dormi in giardino.- terminò spegnendo la luce.
Ok, Ricardo aveva seguito il primo consiglio ma di andarsene in giardino proprio no, anche se in effetti era difficile trovare una posizione comoda con quattro ali che, se si fossero accidentalmente aperte, avrebbero fatto qualcosa come sfondare le finestre; alla fine si accucciò per metà vicino alla ragazza e per metà a terra, dove la coda si avvolgeva intorno al letto circondandolo completamente.
Jaqueline accese la luce per vedere cosa diavolo stesse combinando e si mise a ridere fiondandosi sul tanto amato incavo fra le spalle e le ali:
-Ora sei il mio letto, se ti giri mi uccidi e non voglio morire soffocata, quindi stai fermo e dormi: non sognare bistecche ti prego, non voglio finire come Kevin.- concluse chiudendo gli occhi.
No, non sarebbe andata come Oregon si immaginava: no, non avrebbero fatto quello che lui pensava, era quasi l'una di notte santo cielo, c'era appena stato un attacco mezzo-terroristico e lei era ancora stremata per il pomeriggio passato con Cassandra, volevano dormire e basta.
Per ora.

Wolfrain invece si stava crogiolando all'idea di aver fatto un ottimo lavoro, degno di sostituire Bone Cold, più o meno: sarebbe andato lui, lo avrebbe anche fatto volentieri, ma il suo polmone destro era completamente collassato dieci minuti prima che partisse ed Honey, l'unica dopo di lui che oltre alla mercenari faceva il medico, gli aveva ordinato di starsene buono fino a quando non avesse un polmone nuovo di zecca.
Il mercato nero procurava di tutto, un polmone non era stato difficile da recuperare con dodicimila dollari in tasca, considerando che legalmente ne avrebbero spesi più di cinquantamila, ed aveva preteso che finisse sotto i ferri lo stesso giorno.
Così, fra minacce di ammutinamento, era seriamente riuscita a rimettere a nuovo anche il polmone andato e mandarlo allegramente a quel paese quando si era lamentato che gli avesse dato meno morfina di quella che gli spettava.
Era un insopportabile arrogante e presuntuoso, ma era bravo a fare quello che doveva e sopportava parecchio, forse anche troppo.
Quando Wolfrain era tornata alla base lo aveva trovato intento a riflettere nella sala di comando con un biscotto all'avena in mano:
-Vedo che stai meglio.- azzardò cercando di distogliere lo sguardo dal taglio ancora visibile sul petto;
-Non sono morto a quanto pare, dovrai sopportarmi ancora per molto tempo.- rispose lui lasciando perdere il biscotto -Ora potrò vantare una cicatrice in più, posso competere con Hanzo d'ora in poi.- sentenziò riprendendo a scegliere quale fra i due biscotti mangiare per primo.
In effetti, ora che ci pensava, non sentiva il suo amichetto mentalmente imprevedibile da più di otto ore e gli aveva detto che lo avrebbe raggiunto, così cercò di mettere insieme due parole per avvisarlo che sarebbe arrivato:

No, non sono morto, anzi in realtà sono più vivo di prima.
Merito dei biscotti, davvero.
Comunque penso di arrivare fra un'ora, non di più, e su Iga sarà quasi notte quindi vedrò di sbrigarmi, fammi trovare dei biscotti all'avena quando arrivo.
Per favore eh, ti chiedo addirittura per favore.
Ok, mi devono aver sostituito anche il cervello.
P.s. La mia cicatrice è più interessante della tua, ora sono io quello più competente.
P.p.s. No, quelle sulla schiena non si contano.

Ed aveva mantenuto la promessa: all'una e quaranta di notte era atterrato su Iga e, siccome la regina aveva già avvisato le guardie di palazzo che sarebbe arrivato, era entrato senza destare problemi.
Le due lune illuminavano il cielo di una tenue luce biancastra la prima ed azzurro brillante la seconda, creando intricati giochi con l'acqua della vicina cascata dove le onde si increspavano alla riva e, spruzzando schizzi d'acqua, riflettevano bagliori simili ad un arcobaleno dorato e verde smeraldo.
Non si fece troppi problemi ad irrompere nella stanza di Hanzo senza nemmeno bussare, d'altronde lo conosceva e non era certo un estraneo;
l'unica cosa che capì era che lo stava guardando male, molto male.
Voleva ucciderlo? Strangolarlo? Aprirlo in due come un animale?
Si limitò a sospirare irritato come se lo stesse già aspettando da un po', poi Bone realizzò che doveva essere più stanco di quanto pensasse appena arrivato
-Stavi già dormendo per caso? chiese per curiosità e l'altro annuì poco convinto
-Ci stavo provando, mio padre non mi ha dato tregua un solo secondo da quando sono qui- spiegò per poi squadrarlo -Che ti sei fatto?- domandò indicando la cicatrice sul petto con ancora i punti visibili
-Niente di che, sono reduce da un trapianto di un dolce ed allegro polmone che si diverte a farmi respirare decentemente.- ironizzò sedendosi sul bordo del letto e studiando la stanza mentre il compagno si sedette a sua volta -Il braccio ti fa ancora male?- chiese per non passare per quello che se ne fregava di tutto e di tutti
-Oh sì certamente, mi hai solo frantumato la spalla brutto idiota che non sei altro, se avessi saputo prima che lo avresti detto a mia madre ti avrei già fatto fuori, su questo puoi contarci.- disse infastidito -Comunque no, non fa più così male.- rispose girandosi dall'altra parte annoiato
-E' già tardi Bone, per questa notte dovrai accontentarti di dividere il mio letto, la mia stanza ed i miei biscotti: non provare a mangiar... Eh? Santo cielo sono miei!- gli urlò contro, ma a quanto pare gliene importava ben poco dato che si era già messo a mangiarli
-Eh? Oh davvero? E va beh, domani ne avrai altri, per ora li prendo io.- rispose fingendo di non sapere di cosa stesse parlando e cercando ti tenere la bocca chiusa al momento giusto
-Ora dormi e stai zitto, buona notte, buon mattino e tutto quello che vuoi, ma dormi e stai zitto,
z-i-t-t-o.- gli intimò spegnendo la luce, che puntualmente Bone si divertì ad accendere e spegnere come un bambino per dieci volte buone.
Sarebbe stata una notte lunga per sopportarlo, molto lunga.



_______________________________________

Angolino dell'autrice

(Stessa cosa di sempre, ho ancora il computer mezzo andato quindi scusate gli errori grammaticali, varie ed il testo più grande).
Settimo capitolo :3
Niente di speciale, solo un attentato, un morto/zombie che cammina ed un simpaticissimo polmone che fanno festa :D
Comunque, non so ma mi sono divertita a scriverlo, anche perchè non vedevo l'ora di scrivere il prossimo; non ho nulla di speciale da dirvi se non insultatemi, amatemi, datemi dodici mila dollari come Bone o recensite :3
Vi dico solo una cosa per il prossimo capitolo: l'unico antidoto per il veleno che ha colpito Belinda è un fiore che cresce sul corno di un unicorno alato xD

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Due di picche... equino ***


La notizia di ciò che era avvenuto alla festa era praticamente di dominio pubblico, da internet ai telegiornali, era ovunque; Oregon e Cassandra, seduti nell'ampio salotto, stavano ascoltando le prime notizie del mattino con un'espressione vagamente soddisfatta mentre una giornalista in diretta televisiva stava parlando dei fatti accaduti:

L'attentato di questa notte ai danni della famiglia Muscle e dell'intera Muscle League ha provocato più cinquantasette morti e circa duecento feriti, numeri irrisori se paragonati alle perdite della nobile famiglia del pianeta Muscle: il fratello maggiore del re è stato trovato in condizioni tali da necessitare l'amputazione del braccio sinistro proprio poche ore dopo il suo arrivo e, nonostante la prognosi sia riservata, alcune indiscrezioni affermano che gli rimanga ben poco tempo da vivere.

Sembra infatti che sia stato torturato, come dimostrano le numerose ustioni e bruciature, con un potente acido ancora non identificato con una certa violenza, inoltre pare che abbia perso ogni cognizione del tempo e delle persone intorno a lui nonchè la parola.
La stessa sorte è toccata alla regina consorte, trafitta da una misteriosa freccia avvelenata scoccata da chissà dove e da chissà chi, probabilmente da qualcuno con interessi nella morte dei membri della famiglia reale.
Nonostante i primi sospetti siano ricaduti sulla dmp e sugli ex detenuti appena liberati è stato dimostrato che tutti avevano un alibi di ferro al momento dell'attacco sia del sergente che della regina, motivo per cui la polizia sta letteralmente brancolando nel buio.
Che sia la fine dei kinniku?
Qui dal pianeta Muscle è tutto, a voi la linea.

Cassandra stava ancora facendo colazione quando aveva visto le notizie e beh, sentir parlare di gente sciolta nell'acido non è che le mettesse addosso chissà quale appetito: -E' stata una mossa intelligente sì, ma avrebbero potuto scoprire tutto se il tuo nuovo esecutore personale avesse lasciato anche il minimo particolare in giro che avrebbe potuto attirare l'attenzione- disse eprplessa -Fortunatamente non è successo, cosa vuoi fare ora?- domandò perplessa continuando a bere del latte con alcuni biscotti che, puntualmente, cadeva non appena cercava di addentarli con conseguente fila di imprecazioni gratuite.
Oregon allora si alzò e fece per salire al secondo piano: -Cercheranno l'antidoto, che si trova solo su Iga, ma ho già preso accordi con Soichiro e Mizuki- spiegò alla compagna -Quindi per ora vorrei limitarmi a svegliare quei due: sono quasi le dieci e ci sono parecchie cose da fare, potranno dormire anche dopo.- la liquidò velocemente.
Ecco, non è che trovarsi davanti una ragazza mezza nuda che come coperta usa la membrana di un'ala di cinque metri rischiando di tagliarsi la gola da sola sia proprio l'ideale per iniziare la giornata: -Ho interrotto qualcosa per caso?- domandò incrociando le braccia sull'entrata della camera svegliando Jaqueline che impiegò qualche secondo per capire cosa stesse succedendo: -Non è quello che sembra, lo giuro!- cercò di spiegare coprendosi
-Non-è-quello-che-sembra.-
Fortunatamente Ricardo si era svegliato a sua volta ed aveva già capito quello che stava pensando suo padre:
-No, decisamente no.- asserì secco ed Oregon sembrò convincersi, eppure se ne stava fermo -Vedete di darvi una sistemata e scendete, ci sono alcune cose che dovrei spiegarvi.- concluse andandosene.
Scesero dopo una decina di minuti e si sistemarono di fronte a cassandra dato che l'altro girava nervosamente per la stanza -Cosa è successo?- domandò la rossa, che solo dopo fece caso al notiziario e restò ammutolita, così Oregon prese la parola
-E' arrivato il momento che anche il resto della nebulosa sappia che la dmp è pronta a prendere il potere quando la Muscle League cadrà e so già che, dopo aver cercato l'antidoto su Iga e non averlo trovato, verranno qui a trattare per cercare un compromesso al fine di salvare la regina, ma non voglio essere io a rifiutare la proposta altrimenti potrebbero pensare che sia tutto un mio piano, anche se è effettivamente così.- disse prendendo fiato
-Per questo voglio che sia tu a parlare con King e compagnia bella quando arriveranno- continuò rivolto verso Ricardo
 -Un giorno tutto questo sarà tuo e voglio che tu sia già ora in grado di gestire le questioni burocratiche senza dare nell'occhio: togli ogni speranza a quei falliti, combatti contro Kid Muscle e prendi il controllo dell'intera nebulosa, non ti chiedo altro.- concluse più serio di quanto fosse solitamente.
Il silenziò più profondo calò sui presenti: -E' quello che ho intenzione di fare ma non correre troppo sulle storie di conquistare mezza galassia, mi servirebbe pi di un esercito per questo.- rispose ironizzando la cosa mentre suo padre lo fissava con un'espressione indecifrabile
-Iga, Arkanta, Dokuro ed Hydros: quattro pianeti e quattro eserciti, ma per fare una cosa simile è necessario che sia tu a prendere accordi con le alte cariche in questione, Iga in primis dato che Dokuro ed Hydros sono in parte già sotto l'influenza di Arkanta. Tutto chiaro?- domandò e lui annuì, non che avesse comunque scelta.
Jaqueline si intromise, giusto per capire cosa c'entrasse: -E io cosa c'entro in questa storia?- domandò come se tutti si fossero dimenticati di lei, ma Oregon ne aveva anche per la ragazza -Dal momento che tu hai diverse conoscenze nella Muscle League devo sapere se sei pronta a rinunciarci per stare dalla parte della dmp- spiegò anche a lei che rimase allibita
-E comunque se un giorno, facciamo un'ipotesi, tu decidessi di sposarlo saliresti al trono come imperatrice ereditaria; immagino sia inutile che io stia qui a spiegarti le responsabilità che ne derivano, per cui te lo chiedo: sei d'accordo o vuoi fermarti qui?- chiese senza darle troppo tempo per pensare.
Ma non ne aveva bisogno, ci aveva già pensato da quando aveva parlato della cosa con Cassandra:
-Non ho intenzione di tirarmi indietro nè per quanto riguarda separarmi dalla Muscle League nè per i miei impegni, presenti e futuri: se ci sarà bisogno di me ci sarò, nella vittoria e nella sconfitta, anche se la vedo dura di essere sconfitti, sarò sempre presente, è una promessa.- rispose con tono quasi autoritario.
Oregon finalmente sembrava davvero soddisfatto, così liquidò entrambi:
-Benissimo, ho sentito quello che volevo sentire da tutti  due quindi andate pure a fare quello che volete, non ho particolari richeiste per oggi, vedete di prendervi una giornata libera e non pensate agli omicidi almeno fino a domani.- terminò lasciando che se ne andassero in giardino.
Cassandra si avvicinò al compagno e gli mise le braccia intorno ai fianchi:
-E' la cosa giusta averne parlato subito, almeno sanno cosa li aspetta.- asserì e l'altro annuì .
Lo so, spero solo siano pronti per una guerra Cassandra, lo spero proprio pensò.

Su Iga, come aveva previsto Oregon, erano arrivati King Muscle, Master Minch, Kid e Meat per chiedere udienza all'imperatrice, dato che l'imperatore era impegnato con altre questioni su alcuni pianeti vicini, sulla questione dell'antidoto al veleno.
Quest'ultimo era infatti stato ottenuto, secondo i medici di palazzo, da alcune pianete che crescevano nei mari del pianeta Hydros, ai confini della nebulosa, e l'unico antidoto esistente era l'estratto di un fiore molto raro, per non dire introvabile che, su basi storiche e mitologiche ma fondamentalmente confermate, cresceva sul corno di un unicorno alato chiamato Shannara, che rappresentava la vita eterna, mentre un altro antidoto, mai provato prima, era quello posseduto dall'unicorno alato Aerandir, l'incarnazione della morte vera e propria.
Che tanto per cambiare vivevano su Iga.
Anzi, Shannara in realtà era il destriero dell'imperatrice stessa.
Ecco.
Ma a quanto pare Mizuki non era in casa, bensì alla radura vicino alla cascata per parlare con le altre sacerdotesse di questioni legate all'imminente cerimonia di incoronazione che si sarebbe svolta da lì all'indomani, e poi aveva già preso accordi con Oregon sul da farsi.
Aveva praticamente lasciato il palazzo reale in mano a Bone Cold ed Hanzo che, giusto perchè suo padre era assente, aveva preso ufficialmente il ruolo di imperatore almeno per qualche ora: era inutile dire che si sentisse incredibilmente potente a fare il dittatore, motivo per cui preferiva starsene seduto sul trono di suo padre piuttosto che assistere ad un mercenario con problemi psicologici che si drogava di biscotti all'avena e latte.
Dio, a trent'anni suonati si aspettava alcool a litri, non latte.

Minch fu il primo ad entrare e sinceramente si aspettava di trovarsi davanti Mizuki non un ventisettenne che si credeva un po' troppo in cima al mondo, per cui restò un po' allibito: -Hanzo? Com'è che sei qui?- domandò confuso, ma appena l'altro sentì quelle parole tirò fuori la spada e prese a studiarla
-Piuttosto mi chiedo come ti permetti di darmi del tu, Minch- disse scendendo dal trono
-Si da il caso che in questo momento sia l'imperatore, quindi mi aspetterei un vostra maestà quando qualcun si rivolge a me, chiaro?- asserì con una certa arroganza ritirando la spada.
Bone si stava divertendo, parecchio dall'espressione che aveva, eppure si teneva fuori dalla conversazione, Minch allora si dovette adattare alla situazione
-Bene, vostra maestà, mi chiedevo se poteste dirmi dove si trova l'imperatrice Mizuki in questo momento, sempre che non siate occupato con i doveri reali.-
Hanzo lo fissò per un po' senza muoversi, poi fece segno a Bone di seguirlo e guidò gli altri fino alla radura dove si trovava sua madre con alcune donne intorno:
una delle sacerdotesse fece un breve inchino che gli altri imitarono, poi chiamò Mizuki
-Vostra eccellenza, il sovrano del pianeta Muscle chiede udienza al vostro cospetto.- disse con tono solenne, e solo allora anche l'altra si decise a fare l'ormai consueta entrata trionfale degna del suo nome.
Era sul dorso di un cavallo mastodontico, esageratamente grande rispetto ad un cavallo normale con quei tre metri abbondanti di altezza fino alla testa, eppure aveva comunque una grazia innaturale: il manto era castano chiaro con alcune macchie circolari più scure che salivano fino alle orecchie, poi dal torace fino alle zampe diventava di un bianco latte, che si incontrava con il beige-dorato degli zoccoli, come anche la punta del muso.
A parte le dimensioni sarebbe stato anche un cavallo piuttosto comune, se non fosse stato per due particolari: delle grandi ali dello stesso colore del manto ed un corno color oro al centro della fronte, intorno al quale cresceva una piccola pianta simile ad un'orchidea bianca con le punte rosse e nere striate di giallo.
Al suo fianco si stagliava un altro cavallo per dimensioni e forma simili al primo solo che era di un grigio scuro screziato di bianco, a parte il corno dorato su cui crescevano diversi fiori molto simili a gigli azzurri e bianchi con le punte nere; ok, incuteva un certo timore ma dio, sdraiarsi a terra con la pancia all'aria per farsi grattare come un gatto da Hanzo era anche peggio che trovarselo davanti di notte.
E sembrava anche soddisfatto della cosa.
Il cavallo si intende.
Tralasciando i grattini con tanto di pseudo-fusa o pseuso-nitriti o come dir si voglia, Mizuki aveva un'aria vagamente malvagia negli occhi, come se stesse solo aspettando il momento giusto per azzannare al collo la sua preda e lasciarla morire lentamente.
Non era proprio come Oregon certo, non avrebbe potuto fare fisicamente una cosa simile, ma moralmente lo poteva fare eccome, per cui non tardò con le frecciatine:
-Cosa volete?- domandò secca senza scendere da cavallo, così King decise di farsi avanti: -Belinda è stata avvelenata da qualcuno e necessita urgentemente dell'antidoto- tagliò corto lui -Sappiamo che la soluzione ai nostri problemi è avere l'estratto di quel fiore- spiegò indicando quello che cresceva sul corno del cavallo dove era seduta l'imperatrice
-Ti prego Mizuki, permettici di recidere il fiore e salvarla, te lo chiedo per favore.- la pregò con le lacrime agli occhi, poi lei scese e lo fissò disgustata
-Perchè?- chiese semplicemente.
Nessuno osò rispondere.
Il re allora ritrovò il coraggio per un ultimo sforzo di volontà:
-E' mia moglie!- gli urlò contro -Tu devi salvarla, è un tuo dovere come imperatrice aiutare i sovrani dei pianeti vicini!- continuò per poi calmarsi improvvisamente.
E di nuovo silenzio.
Poi la donna iniziò a camminare avanti e indietro per qualche minuto, per fermarsi alla fine davanti a King: -Chi è per me Belinda?- chiese;
lui allora la guardò confuso
-Beh... una... una conoscente, e mia moglie...- rispose ma non aveva finito
-Ok, e tu chi sei per me?- continuò l'altra
-Io? Io sono il sovrano del pianeta Muscle!
Sei impazzita forse?- rigirò la domanda infastidito, e lei fece segno di no:
-No no King, chi sei tu? Oltre che a sovrano di chi sei fratello?- chiese ancora ed il re si trovò spiazzato
-Di Ataru, perchè?- domandò ancora ed allora lei lo fulminò con lo sguardo
-Ataru...- ripetè -Sono felice che stia morendo sai?
Pagherà per tutto King, tutto, dalla prima goccia di sangue all'ultima: non c'è perdono per coloro che si mettono contro la famiglia reale di Iga, nessuno escluso.- disse con un certo tono di rabbia che Hanzo aveva colto fin troppo bene.
Ecco, ora inizia con la drammatica storia della mia vita pensò abbastanza irritato, cosa che Bone non evitò di commentare con le sue solite risatine malefiche da psicopatico mentalmente instabile.
La donna tolse la spada dal fodero ed iniziò a passare la mano sulla lama come se fosse pronta ad usarla:
-Da dove devo iniziare?- chiese senza attendere la risposta
-Oh sì, parliamo del fatto che quel poco di buono di tuo fratello passava le sue serate andando con le prostitute e quando ubriacava come un alcolizzato si divertiva a torturare gente a caso, ma proprio a caso eh, eppure no, non ha vinto, e sai perchè?
Perchè mio figlio domani sarà l'imperatore di questo pianeta, quello che dichiarerà guerra a quel pezzente ammasso di manzo e riso che è il tuo bambino adorato e che gli aprirà la testa come se fosse una noce di cocco, ecco perchè Ataru ha perso King, e così sarà per voi kinniku: ammiro coloro che hanno attentato alla vita dei tuoi famigliari, li sposerei anche se non avessi già un marito, ma hanno fatto bene.- concluse per poi riprendere
-Vuoi l'antidoto? Attaccati allegramente ai tuoi amici allora.- terminò risalendo a cavallo -Andatevene e non tornate, Iga non ha nulla da spartire con voi.- terminò facendo per andarsene.
Kid non l'avrebbe sopportata un minuto di più: era così terribilmente arrogante e presuntuosa, pensava di essere chissà chi.
Poi Mizuki tirò la frecciatina finale, quella che aspettava:
-Salutami quel tossico di tuo fratello e quella putt**ella della tua mogliettina King, ciao ciao.- disse ridendo.
No, non l'avrebbe sopportata.
Le si lanciò contro pronto a darle un pugno in pieno volto, non poteva permettersi di dire quelle cose, non dei suoi famigliari.

Pessima mossa.

Hanzo aveva fatto qualcosa come conficcargli la spada che teneva sul fianco sinistro nella spalla facendolo crollare a terra tra dolori lancinanti: non che un pezzo d'acciaio fosse particolarmente pericoloso se tenuto da qualcuno che non sapeva come usarlo, ma nelle mani giuste staccare l'omero dalla sua sede non risultava così difficile o impegnativo.
Bone osservava compiaciuto: se quello era ciò che poteva fare con un braccio ancora non del tutto ristabilito era parecchio preoccupato di cosa fosse in grado di fare da lì a qualche giorno, magari gli avrebbe tranciato una mano se avesse cercato di rubargli i biscotti.
No, era meglio tenersi alla larga dai biscotti altrui.
In quel momento avvicinare la donna era letteralmente impossibile:
con due criminali che erano peggio di due guardie del corpo, lei che si divertiva a fare la samurai ed un'altra decina di guerriere poco lontane era meglio andarsene, ed alla svelta se non volevano essere fatti fuori.
Cosa un po' impossibile per Kid dato che ora era schiacciato a terra da un cavallo di una tonnellata abbondante che non sembrava d'accordo con la cosa:
-Scusati con l'imperatrice, mortale, o la tua testa finirà in poltiglia.- disse una voce che aveva tutto tranne che qualcosa di umano.
Cioè, quel.. coso... parlava?
Davvero?
Probabilmente era ancora sotto shock, sì.
E invece no dato che anche suo padre e Meat avevano sentito:
-Ehm, Mizuk.. cioè vostra maestà: ci dispiace moltissimo per l'esagerata reazione di Kid ma vede, è molto immaturo e... insomma, vi prego di lasciarci andare vivi se potete.- la pregò Meat in ginocchio e lei fece un segno allo stallone che tolse lo zoccolo
-Dovete scusare Aerandir, è parecchio... irritabile, quindi vedete di andarvene, ora.- li liquidò e, dopo che gli altri ebbero aiutato il giovane ad alzarsi, sparirono sulla loro astronave.
-Non sono irritabile vostra maestà, sono razionale: quell'idiota avrebbe potuto ferirvi, non è prudente lasciarlo andare.- riferì pestando gli zoccoli a terra, ma l'altra non sembrava preoccupata:
-Pazienta e calma il tuo spirito, Oregon ed io abbiamo già preso accordi per questo.- rispose calma accarezzando l'altro animale, che aveva un qualcosa di fin troppo tranquillo negli occhi:
-Infatti Aerandir, tieni a bada i bollenti spiriti.- disse ironica, dato che era una signorina eh, nitrendo soddisfatta senza che l'altro la ascoltasse.
Hanzo, infastidito da quel litigo fra cavalli-unicorni-quel-che-erano, fece segno a Bone Cold di seguirlo: -Possiamo andarcene?- domandò e aua madre annuì
-Andate pure, non penso che torneranno di nuovo: fate quello che più vi aggrada, io finisco alcune cose qui.- li liquidò velocemente per poi veder andar via anche loro.
Scese ancora da Shannara, quello era il nome della sua compagna versione cavallo alato o qualcosa di simile, ed iniziò ad accarezzarle il muso mentre l'altro si puliva le ali da alcune foglie rimaste impigliate fra le piume:
-Domani sarà un giorno perfetto, vorrei che mi aiutaste a tenere a bada situazioni come questa se dovessero presentarsi.- disse ai due cavalli che la guardarono e fecero un breve inchino poggiando le zampe anteriori a terra
-Sarà fatto, vostra maestà.- risposero entrambi all'unisono.
Ci sperava, ci sperava parecchio che sarebbe stato un giorno perfetto.
Altrimenti lo avrebbe fatto diventare tale.



___________________________________________

Angolino dell'autrice

Ottavo capitolo :D
Prima di tutto faccio una premessa che vorrei leggiate, tanto chi è coinvolto capisce perfettamente di cosa sto parlando: io non scrivo per piacere agli altri, scrivo per piacere a me stessa, non vi piace la ff?
Ditemelo esplicitamente, non cercate scuse per dirmi in modo indiretto che non vi vanno a genio i personaggi: immaginate cosa possa interessare a me che non vi va bene se il vostro personaggio preferito muore, se mi fa schifo lo uccido lo stesso gente, non è che se vi lamentate cambio la trama per farvi un piacere (scusate il tono un po' arrogante e prepotente, ma questa storia la voglio chiarire subito così che non mi trovi recensioni pseudo-positive dove devo leggere fra le righe per interpretare certe cose che in realtà sono abbastanza deducibili).
Perchè se scrivete cose che non pensate me ne accorgo cosa credete, ho preso abbastanza schiaffi dalle persone fino ad ora quindi lo capisco perfettamente, non sono così ingenua.
Io faccio del mio meglio, non ho una grande autostima verso ciò che scrivo, quindi vi pregherei di essere sinceri: non lo fate per me e basta, ma anche per voi stessi che almeno non mentite alla sottoscritta ed alla vostra coscienza.
Punto.

Passiamo alla ff: come avete letto Mizuki è incredibilmente str...... :D
Ed anche Aerandir e Shannara lo sono, si fanno fare i grattini sulla pancia awwww (?)
Comunque ve lo dico subito: Belinda morirà, mi sembra ovvio ormai, Ataru anche, altra cosa già anticipata, quindi se non vi va bene fermatevi e non leggete oltre in questa ff così da risparmiarmi scuse da leggere, e magari anche il resto dei kinniku verrà fatto fuori ma devo ancora decidere il da farsi.
Oregon intanto pianifica già imprese per mezzo mondo e, con due imminenti ascese al trono, prevedo tempi duri per la Muscle League ed i Muscle, soprattutto perchè tra poco qualcuno finirà fuori dai giochi in modo imprevisto (no, non è chi pensate)
Va beh: amatemi, sputatemi in faccia, odiatemi, sposatemi, baciatemi (?) e, se volete, recensite sinceramente.
Vi lascio unna piccola idea di come siano Aerandir (quello grigio) e Shannara (quella marrone): NON li ho disegnati io ma sono stati fatti con i lgioco "Fantasy Horse Maker" trovato su Doll Divine.

Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Meduse e complotti ***


Dopo il via libera da parte di Oregon Jaqueline aveva trascinato Ricardo a Copacabana per passare finalmente una giornata senza omicidi, intrighi e mercenari che scioglievano la gente su commissione.
Fortunatamente non c'era nessuno in giro a quell'ora, merito anche del fatto che la loro fetta di spiaggia privata era separata dal resto, per cui non si sarebbe certo risparmiata con l'abbronzatura: quando c'erano Oregon o Cassandra o chiunque altro si limitava a starsene con dei bikini, se così si potevano definire quei costumi striminziti che le coprivano a malapena le forme, altrimenti si dava al topless.
D'altronde doveva pur avere un'abbronzatura perfetta.
E puntualmente l'altro nemmeno commentava: santo cielo, avrà pur dovuto avere un qualche istinto animale, o qualcosa di simile insomma, nel vederla praticamente mezza nuda, per non dire quasi completamente eppure no, sembrava totalmente disinteressato alla sua ragazza che se ne andava in giro sperando di ottenere qualcosa.
E con qualcosa intendeva di finirci a letto, possibilmente non solo per litigarsi la coperta come solito.
Ok, non quando si trovava nella forma origine ovviamente, tipo in quel momento o in qualunque altro istante in cui non fosse impegnato a fare la persona normale o almeno provarci.
Quando finivano in spiaggia si sotterrava puntualmente sotto la sabbia rovente con la coda che spuntava a malapena dal terreno, tipo potenziale trappola mortale, e se ne stava lì a cuocere sotto il sole e, nonostante Jaqueline fosse convinta che le lucertole aliene non avessero bisogno di arrostire con quaranta gradi all'ombra, poteva starsene fermo ore intere senza muovere un muscolo.
Ed era una cosa che la ragazza non riusciva sopportare.
Essere ignorata si intende.
Stanca di starsene lì mezza nuda si rimise la parte superiore del bikini, non che cambiasse molto in realtà, e decise di farsi un bagno nonostante fosse passata nemmeno mezz'ora dalla colazione: non che gliene importasse, era abbastanza grande da decidere cosa fare da sola.
In teoria.

Guardò verso la spiaggia e niente, se ne stava ancora acciambellato sotto uno strato di sabbia di almeno tre o quattro metri, tuttavia fu una medusa criniera di leone che si stava spiaggiando a ribaltare la situazione.
Associare le parole istinto e cibo per un raptor era come associare alcool ed alcolista, non c'era niente di più simile.
Ricardo, almeno quando si trovava in una forma definita da rettile-psicotico-cresciutotroppo-in-fretta-con-istinti-omicidi-verso-la-gente-che-ha-intorno, non si faceva grossi problemi ad attaccare una delle creature più velenose del pianeta, anche perchè con la corazza che ricopriva il corpo c'era ben poco da avvelenare, e poi non aveva fatto colazione per cui doveva approfittarne: non che quella cosa molliccia e gelatinosa potesse essere così appetibile come una person... ehm un animale, ma era meglio che aspettare qualche granchio infilati sotto una coltre di sabbia.
Jaqueline ne aveva approfittato per saltargli al collo cercando di non pungersi con quella cosa che dimenava i tentacoli cercando di liberarsi dalla presa, anche se si arrese pochi secondi dopo, e si era sdraiata sul dorso scostando le ali e lasciando che si distendessero nell'acqua mentre ne prendeva una fra le mani e la osservava controluce.
Era molto più liscia di qualsiasi altra cose che avesse mai toccato, stranamente morbida ed attraversata da migliaia di piccole vene come se fossero ramificazioni di un grosso albero: non aveva ancora capito come una membrana così sottile riuscisse a muovere abbastanza aria da sollevare tre tonnellate abbondanti senza rompersi, era biologicamente ed aerodinamicamente impossibile per una qualsiasi creatura terrestre o simili, cosa non proprio verificata dato che i raptor usavano le ali più come arma che per svolazzare da una rupe all'altra.
Qualche minuto dopo della tenera ed innocente medusa non restava che qualche tentacolo sparso nell'acqua, probabilmente ancora abbastanza pericoloso da tenersene alla larga:
-Mio dio ma che schifo!- esclamò lei lamentandosi
-Ok per gli animali, ok per i serpenti, ok anche per le persone ma santo cielo, le meduse fanno proprio schifo!- continuò stizzita sporgendosi sull'acqua ed osservando schifata i brandelli di tentacoli galleggianti; era schifoso sì, era davvero schifoso immaginarsi il corpo molliccio di una medusa esplodere letteralmente fra le fauci di una lucertola, non era il miglior modo per iniziare la giornata.
Si lasciò scappare un ringhio di disapprovazione e lasciò correre la cosa, quando si trattava di cibo non è che si potesse fare troppo gli schizzinosi per raggiungere il quintale giornaliero necessario a sopravvivere decentemente con Oregon in giro.

Dopo una ventina di minuti sdraiata a prendere un po' di sole sul dorso di una lucertola si stava ormai per addormentare, se non fosse che cadde rovinosamente nell'acqua quando meno se lo aspettava:
-Quante volte devo ripetertelo!- gli urlò contro con i capelli che gocciolavano

-Avvisami quando cambi forma, avvisami.- si lamentò strizzandosi le ciocche rosse dalle quali delle piccole gocce d'acqua brillavano alla luce solare.
Ricardo la guardava con la solita aria strafottente indecifrabile che aveva praticamente sempre e, per quanto si stesse sforzando di rimanere minimamente serio, era impossibile esserlo quando Jaqueline faceva la finta offesa:
-Santo cielo, ti sei bagnata i capelli, questa sciagura potrebbe portare il mondo verso il baratro.- ironizzò mentre l'altra sospirava nervosamente

-Ah-ah-ah, molto divertente, davvero: sarebbe un peccato se qualcuno volesse andare a fare shopping e chiamasse un altro paio di amiche e, casualmente, tu fossi l'unica persona che potrebbe accompagnarci.- disse con aria di vittoria e l'altro alzò le mani in segno di resa
-Ok ok ok, la smetto, ma non provare a chiamare quelle sottospecie di oche schizofreniche mentalmente propense allo shopping ossessivo-compulsivo: potrei non essere responsabile di eventuali omicidi, tanto per avvisarti, e comunque potrebbero fare la fine della medusa.- asserì sospirando.
Lei lo guardò divertita: -Piacerebbe anche a me che al posto di quella medusa ci fossero state quelle sgualdrine: sono così squallidamente... plebee.- continuò giocando con i capelli;
-Oh, guarda chi ha parlato, la principessina di casa McMadd che sfrutta padre e fratello per i propri interessi: sei tremendamente crudele, senza contare che sono io quello che si sente dare dello psicopatico mentre dovresti esserci tu al posto mio.- sentenziò mettendole le mani intorno ai fianchi mentre era ancora girata di schiena
-Ed è un buon inizio per entrare nelle grazie di mio padre, ma a quanto pare lo hai già capito di tuo.- concluse mentre lei rideva
-Ho dovuto capirlo per forza quando mi sono trovata davanti una sorta di rettile che mi intimava di andarmene o mi avrebbe ammazzato, la gente sana di mente non sarebbe sopravvissuta: e poi fra psicopatici ci si intende.- rispose soddisfatta che i capelli fossero finalmente asciutti.
Se non fosse che accidentalmente, mentre se li stava sistemando, il suo dito si impigliò nel laccetto del bikini che giustamente la lasciò a seno scoperto.
No, non lo aveva fatto volontariamente.
No no.
Ok, in realtà sì, era stata un'azione premeditata per ottenere qualcosa.

L'altro non si scompose nemmeno di un dannato millimetro:
-Pervertita.- disse senza girarci troppo intorno lasciandola con un pugno di mosche in mano ed una espressione parecchio delusa
-N-non è vero!- si giustificò lei -Non ho fatto apposta!- cercò di convincerlo senza riuscirci
-Davvero! continuò sbracciandosi come un'isterica mentre l'altro la guardava allibito.

-Dovrei andare in giro con qualcuno vicino quando ci sei tu in giro, potrei seriamente rischiare di essere stuprato da questa piccola e tenera principessa delle maniache dai capelli rossi.- ci scherzò sopra mentre la ragazza continuava a provare a giustificarsi senza risultato
-Non sono una ninfomane, sei tu quello...all'antica- disse senza capire nemmeno lei quello che voleva far intendere.
Ricardo era tutto: egocentrico, manipolatore, psicopatico, bipolare, sadico, schizofrenico e probabilmente aveva anche un disturbo dissociativo dell'identità.
Ma non un maniaco.

Quella era Jaqueline.
Lei iniziò, per evitare di continuare, a studiare la catena che scendeva dal polso sinistro come se fosse incredibilmente interessante:
-Non voglio che tu inizi a pensare che io sia una pervertita solo perchè voglio qualcosa di più dal dormire nello stesso letto, è solo che pensavo che potessimo... sì cioè...- non fece in tempo a finire che venne zittita

-Stammi a sentire, te lo dico subito così evitiamo di litigare la prossima volta: sai meglio di me che vogliamo la stessa cosa entrambi, te l'ho già detto una volta, ma ora come ora non è il momento giusto; tutti questi omicidi e complotti di corte sono pericolosi e non voglio che tu ci finisca in mezzo.
Quando mio padre si sarà dato una calmata ed avrà almeno in parte ottenuto ciò che vuole, e cioè quando Iga avrà finalmente accettato l'alleanza, le acque si saranno temporaneamente calmate e potremo ripensarci.- spiegò mentre lei lo fissava in modo indecifrabile

-Dovrai, o meglio dovremo, aspettare ancora qualche giorno, mi dispiace.- concluse mentre la ragazza si era girata e gli aveva messo le mani intorno al collo.
Almeno ora aveva una spiegazione sensata.
-Non fa niente, preferisco aspettare piuttosto che fare tutto di fretta.- lo rassicurò stringendosi al suo petto
-Ma non provare a toccare un'altra medusa o giuro che potrei vomitare.- terminò ridendo e riprendendosi il costume.

Sì, fra psicopatici ci si intende alla perfezione.

Dopo un paio d'ore erano tornati nella villa di Ricardo a Rio per pranzo, se così si poteva definire dato che non c'era molto in giro per casa da mangiare, e fortunatamente Ikimon aveva levato le tende prima del previsto lasciando la casa libera da individui dalla dubbia sessualità.
Jaqueline si era avviata con lo stomaco che reclamava cibo in cucina ed aveva miracolosamente trovato sul tavolo a penisola un biglietto di Cassandra attaccato sopra ad un involto di carta contenente un pezzo di carne di vitello, probabilmente il petto data la consistenza compatta, che pesava su per giù quattro o cinque chili.
Per fortuna che c'è lei, altrimenti avremmo dovuto saltare il pasto pensò sollevata.
E così si dilettò a fare la cuoca: prese un coltello e, senza tagliarsi qualche dito, riuscì in qualche modo misterioso a tagliare alla bene e meglio due fette di carne dal grosso pezzo per poi lasciare il resto intero.
Dopo aver superato la prova di taglio iniziò a mettere su una padella, giustamente troppo piccola, cercando di non ustionarsi con l'olio che schizzava ovunque, cosa che per miracolo si risolse in piccole e tenere macchioline sul marmo nero venato di bianco del piano di lavoro.
Ecco, ancora una macchia ed avrebbe strappato un assegno a suo fratello per rimediare senza destare sospetti.
Riuscì ad arrivare nel salotto senza rovesciare le bistecche a terra o rompendo il piatto, così si lanciò sul divano facendo sobbalzare i pezzi di carne:
-Guarda, sono stata bravissima- si congratulò da sola applaudendo, poi si girò verso l'altro
-Che c'è?- domandò vedendo che la guardava male;
-Ti ricordo che siamo in due, il sottoscritto non vorrebbe morire di fame se possibile.- sentenziò ma giustamente Jaqueline non si era scordata che c'era qualcun altro oltre a lei.
Se c'era una cosa che la divertiva era il modo che la sua allegra razza di lucertole assassine aveva di mangiare, era troppo inquietante per non divertirsi:
Non avendo praticamente altri denti che una serie di un centinaio di canini, che servivano a lacerare e non certo da masticare, i raptor si limitavano ad ingoiare il cibo intero, che fosse un pesce di venti centimetri o una persona non facevano distinzioni e, per un certo verso, la loro mandibola era più simile a quella dei serpenti per il fatto che si staccasse completamente dalla mascella.
E Ricardo non si faceva grossi problemi a mandare direttamente in gola un pezzo di carne cruda di quattro chili o giù di lì, non che avesse molta scelta alla fine, ma la forchetta era davvero troppo da umani per essere utilizzata.
Jaqueline prese a guardarlo peggio di quanto avesse fatto lui prima:
-Cosa succede se ti infilassi una mano in gola secondo te?- chiese curiosa, il genere di macabra curiosità che solo lei poteva vantare di avere, anche perchè no, non erano domande così normali nemmeno per una lucertola aliena.
Stette un po' a pensare: -Vediamo un po'... oh sì: se dovessi sfiorare accidentalmente un piccolo ed amorevole nervo la mandibola si richiuderebbe molto delicatamente sulla tua dolce manina ancora prima che tu possa toglierla, ti risparmieresti anche i soldi per l'amputazione.- spiegò lasciandola pensierosa, poi lei si sedette vicino e si mise a pensare alla scena.
No, non era normale e no, per ora non ci avrebbe provato.

Oregon stava giustamente complottando alle spalle di mezza dmp come era ormai consueto fare, sperando che Ricardo non gli staccasse la testa appena avrebbe saputo delle sue trame anonime: con Bone Cold che veniva assoldato un giorno sì ed uno no per ammazzare qualche kinniku era praticamente a posto e non aveva ancora nessuno sulla coscienza, non che fosse un problema ovviamente, ma se uccideva qualcuno al posto suo era certamente meglio che esporsi.
Eppure, dopo aver messo fuori gioco Ataru e Belinda ed aver minato fortemente alla psiche di King e Kid, i problemi restavano comunque e necessitavano di una soluzione a lungo termine definitiva: aveva piani su piani per sbarazzarsi lentamente dei membri della Muscle League, aveva piani anche per far fuori chiunque senza che qualcuno lo sapesse, ma non voleva solo avere il potere sul pianeta Muscle, lo voleva sull'intera nebulosa.
E per averlo quel pezzo di roccia vagabondo andava distrutto.
Ok, non che sapesse come si facessero esplodere i pianeti anche solo parzialmente, e non sembrava nemmeno semplice da fare, ma fonti certe gli avevano assicurato che sì, il buon vecchio Bone poteva per l'ennesima volta fare qualcosa.
Qualcosa come far esplodere un pianeta delle dimensioni della Terra.
Perchè ad Harvard le tangenti erano ben accette, soprattutto quando si trattava di visionare i curriculum degli ex studenti dell'Università che finivano con la frase "Possibile pericolo per l'incolumità pubblica".
Incolumità planetaria sarebbe stato decisamente più adatto: sì, decisamente.
Mentre sfogliava le decine di pagine contenute nella cartella privata decise di dargli una svegliata subito, così magari entro quattro o cinque mesi avrebbe potuto finalmente avere quello che gli serviva.

Bone era appena arrivato al laboratorio di Grave Bay, sul pianeta Dokuro, e l'ultima cosa di cui aveva voglia era sentire Oregon: era così terribilmente noioso e malato di mente che avrebbe potuto fare tutto da solo eppure non voleva sporcarsi le mani per il momento.
Affari suoi, i soldi glieli dava comunque.
Wolfrain gli aveva passato la video chiamata sullo schermo centrale appena in tempo per evitare ulteriori imprecazioni: -Che c'è?- domandò secco e l'altro stette in silenzio per un po', poi gli mostrò i documenti, i suoi documenti.
Qualcosa come il resoconto di un passato che aveva provato a dimenticare e nascondere in tutti i modi possibili era lì, nelle mani di quel pazzo omicida capace di tutto per ottenere ciò che voleva.
Sentì il sangue gelarsi nelle vene: non era possibile, non doveva esserlo.
Non aveva intenzione di rispondere, ma d'altronde non poteva nemmeno starsene lì muto a fissarlo:
-Non provarci Oregon, non provare a legger...- non aveva fatto in tempo a finire che era stato zittito dall'altro

-Oh sì invece, ho appena finito di farlo: ti reputavo una persona più intelligente di molte altre certo, ma quel 247 mi ha lasciato spiazzato più di quanto sia mai successo in vita mia, per non parlare del resto.- spiegò con una certa malvagità nelle parole che diceva.
Era un verme schifoso, punto.
Strinse i pugni fino a sentire il dolore penetrare nella carne, decise poi di far uscire la ragazza così quello che si sarebbero detti sarebbe almeno rimasta una faccenda privata fra di loro:
-Dimmi quello che vuoi e facciamola finita con questa storia, non voglio che si venga a sapere di quello che c'è scritto in quei fogli per niente al mondo, niente-al-mondo.- asserì cercando di mantenere la calma.
Oregon ci pensò su un po': -Da quello che ho letto la fisica nucleare non dovrebbe essere una novità per te, e nemmeno il contrabbando lo è-
iniziò a spiegare muovendo la coda a destra e sinistra
-Voglio far saltare un pezzo di pianeta, pretendo che tu costruisca questa- disse mostrandogli un foglio con un nome che conosceva fin troppo bene.

Anche troppo.

"Progetto Excelsior-ZX
Professor Byron Claymore"

Aveva ufficialmente le mani legate, tanto per cambiare:
-Non sono in grado di portare al termine quell'arma, non ci siamo riusciti in due ed io sono da solo: come diavolo vuoi che faccia?- gli domandò innervosito ed Oregon fece segno di tacere
-Fai come vuoi ma fallo: uccidi, corrompi, tortura, fai come vuoi Bone- disse calmo e pacato come non mai
-Ma io voglio quella bomba, che ti piaccia o no, altrimenti sei fottuto una volta per tutte.- terminò chiudendo la chiamata e lasciandolo confuso più di quanto fosse prima.

Sì, era decisamente fottuto.



__________________________________

Angolino dell'autrice

Scusate errori grammaticali e simili oltre che il testo grande).
Buongiorno miei prodi :D
Nono capitolo pwah-pwah!
Niente morti, niente torture, niente di niente: solo meduse che finiscono male ed un Oregon decisamente psicopatico :D
E poi boh, Jaqueline ha bevuto troppa acqua salata e fa cose senza saperne il perchè, oltre che dilettarsi in cucina come la miglior concorrente di Masterchef xD
Lo so, lo so: Bone Cold non è il tipo che sembra seriamente un piccole genio incompreso, anche se nel manga lo è decisamente di più rispetto all'anime, però cercate di capirmi, è l'unico che per ora ha ucciso con le proprie mani e quindi niente, dovete prendervelo così com'è.
Sì, Harvard non è solo un covo di genetisti che creano virus tanto per estinguere l'umanità, ora ci sono anche i terroristi e chissà chi sono (riferimenti a cose o persone sono puramente casuali).
Se volete lasciare una recensione sarò lieta di leggerla :3

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Fiori di ciliegio ***


Bone era mentalmente distrutto: non riusciva ancora a capacitarsi che qualcuno avesse fra le mani il suo passato, il suo dannato passato.
Nemmeno un paio di minuti dopo Oregon gli aveva inviato una copia di ogni singola pagina del progetto Excelsior-ZX e non si era certo risparmiato anche quelle riguardanti la sua brillante carriera da piccolo prodigio universitario di Harvard.
Harvard, dove ti giudicavano a seconda di un piccolo ed insignificante numero, il simpatico risultato dei test del primo anno per verificare il quoziente intellettivo dei figli di papà ospitati nella scuola.
Se sopravvivevi, se non svenivi dopo otto ore di calcoli e se riuscivi a reggere il confronto anche con la commissione interna allora era fatta, altrimenti avevi appena firmato la tua condanna ad una lenta e terribile umiliazione dagli over 175, quelli che si credevano dei geni.
E Bone, nei lontani tempi in cui era ancora un ragazzo di diciassette anni ancora un po' sano di mente, c'era già passato e, francamente, non lo avrebbe rifatto per nulla al mondo.
247.
E da lì era iniziata l'ascesa per entrare nelle grazie della Hamilton e dei suoi illustri colleghi che, nonostante fossero fastidiosi e fin troppo insistenti con la cosa, almeno assicuravano uno dei posti per le borse di studio annuali: quasi settantamila dollari facevano comodo, anche perchè si esaurivano quasi completamente per pagare la retta annua.
E poi c'era Byron Claymore, professore settantenne psicotico che aveva una passione malata per la Fisica Nucleare e che, ogni anno in concomitanza con i soliti test, aspettava qualcuno che avesse un punteggio più alto del suo che, giusto per precisare, era di 218.
Inutile dire che, in quasi cinquant'anni di carriera, avesse dovuto aspettare l'ultimo arrivato per insegnare finalmente a qualcuno come distrugger... ehm migliorare il mondo con l'energia nucleare; in effetti Bone aveva impiegato poco per abituarsi al fatto che fosse non proprio sano di mente e pian piano aveva capito che nemmeno lui era nato per esserlo.
Poi, un giorno come tanti, aveva tirato fuori la storia del progetto Excelsior-ZX.
Una bomba a dematerializzazione tachionica.

Qualcosa come poco meno di una tonnellata di antimateria che, surriscaldata da fasci di tachioni lanciati a velocità superluminale (*) dell'ordine di quattrocento mila chilometri al secondo, si fondeva con dieci tonnellate di acciaio e tre di uranio dando vita ad un tenerissimo buco nero.
Roba da film di fantascienza, se non fosse che Claymore voleva costruirla: ci avevano provato entrambi, avevano sviluppato centinaia di algoritmi ma niente, l'ordigno sembrava impossibile da costruire.
Ed ora Oregon pretendeva che ce la facesse da solo.
E' un suicidio, un suicidio pensò guardando i fogli confuso, ed aveva ragione: non aveva la più pallida idea di come costruire quella roba, o meglio l'idea l'aveva ma non sapeva nè dove procurarsi il materiale, in quantità esageratamente grandi per giunta, nè come unire il tutto senza distruggere il pianeta prima.
Sì, era un suicidio.

Honey entrò nella stanza senza nemmeno bussare, un brutto vizio che si portava dietro dai tempi del liceo, con alcuni fogli in mano ed un'espressione piuttosto cupa:
-Lascia perdere i progetti e siediti per qualche minuto per favore.- gli ordinò con il solito fare autoritario che, quando era preoccupata, prendeva il sopravvento.
Non aveva intenzione di litigarci così Bone obbedì e si sedette alla bene e meglio accendendosi una sigaretta, doveva pur vedere quanto tempo reggeva il suo nuovo amico polmone prima di collassare; la donna invece non sembrava proprio dell'umore giusto per scherzare
-Sono gli esiti dell'ultima radiografia: hai un problema, un grosso problema.- sentenziò cercando di convincerlo che ormai il tempo per scherzare era finito.
Prese fiato e gli mostrò le immagini e le considerazioni che aveva fatto su di esse:
-Le protesi si sono assottigliate troppo, non raggiungono nemmeno i cinque millimetri di spessore, motivo per cui il controllo sulla mano è diminuito così notevolmente in questi ultimi tempi- spiegò lasciandolo abbastanza perplesso
-Mi avevi detto che sarebbero durate una ventina di anni, com'è che dopo nemmeno otto anni mi vieni a dire così?- domandò nervoso e lei abbassò lo sguardo
-Prima facevi solo il mercenario, ti limitavi a sparare o al massimo a pugnalare qualcuno: sono state costruite per quello, non per sopportare gli sforzi di un wrestler, per questo si sono consumate così velocemente.- disse sicura.
Ecco, ci mancava solo questo.
L'altro rimase a pensare per un po', così Honey prese ancora la parola per prima mostrando altri fogli che sembravano più un trattato di meccanica:
-Ho dovuto riprogettare tutto dall'inizio e penso che sostituirle con altre di titanio ed acciaio sia la scelta migliore: sarebbero notevolmente più resistenti e non rischieresti un rigetto come se fossero solo di acciaio- continuò in modo più che professionale      
-L'altra alternativa è l'amputazione, e non solo della mano: con gli anni i tessuti delle ossa adiacenti a quelle del polso sono stati consumati a causa dello sfregamento diretto con il metallo, si parlerebbe di un taglio netto all'altezza del gomito ma, siccome non abbiamo optato per questa scelta nemmeno l'ultima volta e so che giocare all'allegro amputato non è il tuo forte, mi sposterei sulla sostituzione di tutte le protesi che, secondo i miei calcoli, per i prossimi trent'anni non daranno problemi.- terminò sperando che non avesse una delle sue crisi isteriche.
Perfetto, ci mancava solo l'ennesima ottima notizia: prima un polmone, ora la mano, ci mancava che cambiasse sesso e poi era a posto.
Una buona notizia mai, mai.
Solo orribili e schifosissime prese di coscienza che, per quanto lo riguardavano, lo facevano sprofondare sempre più in basso.
Ma Bone che il fondo lo aveva già toccato una volta, non ci voleva tornare di nuovo.
E non ci sarebbe tornato di sicuro.

Mizuki aveva subito avvisato Soichiro dell'accaduto, motivo per cui era tornato giusto qualche minuto dopo che Bone fosse partito, una fortuna considerando che faticava già ad accettare stranieri sul suo pianeta, ed un mercenario come lui non era proprio al sicuro su Iga.
Giusto per evitare di essere decapitato.
E poi era terrorizzato per i preparativi riguardo l'incoronazione poichè se fosse andato male qualcosa sarebbe stata la fine di Iga e della sua stirpe, d'altronde non c'erano mezze scelte:
o gli ambasciatori delle province fingevano di non sapere nulla riguardo la fedina penale dell'erede al trono, cosa piuttosto improbabile ma necessaria, oppure Alitheia avrebbe dovuto riservargli la stessa sorte toccata ad Hikari e Maki.
Aveva già perso due figli durante l'incoronazione, Soichiro non aveva intenzione che anche l'ultimo rimasto finisse con la gola tagliata da un cervo antropomorfo di dubbie dimensioni.
O viceversa.
Lo incrociò sulla via del ritorno e non esitò a fermarlo:
-Vai da qualche parte?- chiese cercando di non farlo sembrare un interrogatorio ed Hanzo scosse la testa
-No, stavo solo tornando a palazzo e basta, non ho molto da fare.- spiegò velocemente e suo padre non perse l'occasione per tentare di passarci almeno un paio d'ore vicino senza che l'istinto omicida prendesse il sopravvento, giusto per assicurarsi che non avesse in mente qualche attacco terroristico:
-Io stavo andando a controllare una cosa per domani, ti va di venire con me?- chiese leggermente impacciato, d'altronde non sapeva cosa avrebbe risposto; ancora una volta l'altro annuì poco convinto: -Fa quello che vuoi, non mi permetterei mai di disobbedire agli ordini di vostra maestà.- continuò schietto.
Ecco, in quel momento lo avrebbe ammazzato volentieri, però doveva sopportarlo, sopportarlo ed ancora sopportarlo.
Ok, era seriamente imbarazzato da tanta freddezza:
-E' un po' lontano, è meglio se chiedi ad Aerandir di farsi cavalcare almeno per mezz'ora, dopo potrà fare quello che vuole.- concluse.
Erano stati i trenta minuti più lunghi della sua esistenza: stare con Hanzo era come stare con il nulla, non parlava nè rispondeva alle domande e, quando lo faceva, si limitava ai monosillabi se proprio era necessario.
La morte sarebbe più di compagnia pensò infastidito rinunciando al tentativo di aprire un discorso sensato.

Arrivarono in una quarantina di minuti, anche troppi per Aerandir che aveva già iniziato a nitrire irritato, in una radura completamente immersa in alberi di ciliegio in fiore dove si trovava un tempio giapponese piuttosto imponente bianco avorio e nero, per raggiungere il quale era necessario attraversare un ponte rosso intenso sotto il quale si estendeva uno dei tanti laghi del pianeta.
Soichiro lasciò il suo cavallo in un angolo verde dove poteva brucare l'erba senza problemi, mentre l'altro si mise da parte pestando gli zoccoli a terra:
-Quanto dovremo stare qui?- domandò ad Hanzo che, nemmeno a dirlo, sembrava già annoiato della cosa, anche se a dire la verità era sempre così quando c'era suo padre in giro: -Lasciamo perdere, non so cosa diavolo abbia in mente e non voglio nemmeno scoprirlo, ma immagino che mi faccia la predica come suo solito.- rispose secco cercando di capire cosa avesse intenzione di fare.
E invece no, Soichiro non lo aveva ancora minacciato-di-morte-se-non-si-fosse-avvicinato ma era più impegnato a contemplare le ombre dei pesci che si vedevano nelle acque calme e limpide del lago.
Sarebbe anche sembrato normale se non fosse che c'era qualcosa come un uccello abnorme appollaiato sulla cima del tempio: le piume di tutto il corpo erano di varie sfumature di rosso, arancio e giallo-dorato, mentre l'immensa coda, composta invece da una serie di piume più fitte ed alcuni filamenti più lunghi, si avvolgeva intorno a tutto l'edificio muovendosi con il vento come quelle che si trovavano sulla testa dell'animale.
Dopo aver studiato la scena per un po' la creatura decise di scendere a terra planando leggermente ed atterrando proprio davanti al cavallo che, di tutta risposta, si impennò spalancando le ali grigio-nere in segno di sfida.
Sfida che fortunatamente non venne accolta.
Hanzo non ci aveva fatto troppo caso all'inizio, poi aveva visto un bagliore metallico fra gli artigli di quella cosa e, cercando di far calmare Aerandir, aveva concluso che no, non era un caso che fosse lì.
Erano passati ventidue anni dall'ultima volta che qualcuno gli aveva parlato della fenice che viveva nei pressi del lago, tuttavia era raro che Ignis uscisse allo scoperto dato che, dopo le guerre che si erano combattute nei pressi del suo nido, era praticamente impossibile avvicinarla senza rischiare di finire carbonizzati o placidamente infilzati da artigli di venti centimetri.
Sì, perchè a differenza delle solite fenici che volavano su Iga, grandi al massimo un metro o poco più, se si escludeva la coda arrivava a toccare i tredici o quattordici metri di altezza.
Era anche fin troppo grande, decisamente troppo, ma non era comunque in grado di reggere un confronto con Aerandir o con Shannara che, per quanto potessero sembrare piccoli, erano estremamente pericolosi quando decidevano di trapassarti con il loro corno.
Imperatori psicopatici, cavalli psicopatici: tutto nella norma insomma.

Abbassò la testa verso Soichiro e lasciò che la spada che teneva nel becco venisse presa da lui, che la mostrò all'altro:
-Questa è l'unica cosa che domani dirà al popolo di Iga che sarai imperatore ereditario: niente corone imperiali, niente chissà cosa, solo questa.- sentenziò severo per poi ridarla alla fenice che, aperte le immense ali, tornò velocemente ad appollaiarsi sul tetto del tempio con aria minacciosa.
Hanzo non sembrava troppo sorpreso:
-Ok, discorso introduttivo molto interessante, davvero, ma mi hai fatto perdere tempo solo per dirmi che l'unico modo per fare il tiranno su questo pianetucolo ai margini della nebulosa è con un pezzo di metallo?
Mi commuove questa cosa.
Anzi no, è la trovata peggiore che abbia mai sentito.- asserì incrociando le braccia e guardandolo indignato.
Dire che Soichiro era rimasto immobile era poco, non poteva credere che suo figlio stette seriamente parlando in quel modo:
-Come sarebbe a dire?- domandò irritato
-Ti sto dicendo che domani avrai in mano un intero pianeta e tu prendi la cosa così alla leggera? Sei un ingrato, un ingrato!- gli urlò contro furibondo, d'altronde nemmeno Hiakri e Maki avevano rifiutato una cosa simile; non che Hanzo lo stesse facendo, ma non sembrava nemmeno entusiasta.
-Ti ho tirato fuori dal carcere se non te lo ricordi, se non fosse per me te e quel tuo amico psicotico sareste ancora là dentro a marcire!- continuò per poi darsi una calmata, momento di cui l'altro approfittò
-Nessuno ti ha chiesto nulla, sei stato tu a volerlo non io: sinceramente stavo molto meglio in prigione, almeno lì non c'eri tu a rompermi l'anima ogni minuto santo cielo.- rispose di tutto punto lasciandolo con un'espressione più che delusa.
L'ennesima dimostrazione che aveva fallito come padre sì, ma non con tutti: mentre Hikari e Maki erano praticamente i figli perfetti, quelli che ti davano soddisfazioni su soddisfazioni, da quando era nato Hanzo non aveva fatto altro se non il ribelle di casa, sempre con quelle sue manie da megalomane incontrollate.
Non riusciva a spiegarsi il motivo di tutta quella voglia di libertà, aveva fatto di tutto per riservare a tutti e tre le stesse attenzioni e lo stesso trattamento, o almeno pensava fosse così.
Ma non era tutta la verità, e lo sapeva bene.

Non ne capiva il motivo ma il fatto che Hanzo avesse lo stesso nome di suo padre gli ricordava che non avrebbe potuto trattarlo come gli altri due; una sorta di istinto paterno leggermente violento il cui unico scopo era di far ricordare a Soichiro che se portavano lo stesso nome c'era un motivo: erano entrambi degli psicopatici con manie omicide con una voglia irrefrenabile di sangue e conquista, la stessa che aveva portato l'adorato paparino a distruggere ogni cosa trovasse sul suo cammino.
E non aveva intenzione che suo figlio seguisse la stessa strada.
Cercò di restare lucido e di mantenere la calma, per quanto potesse riuscirci ovviamente:
-Non intendevo quello, non pensare che mi sia pentito di averti qui- spiegò sperando che gli desse almeno un po' di fiducia
-Lo so che l'hai con me perchè ti ho dato per morto senza nemmeno muovere un dito, mi dispiace ok? Ma avevo altro a cui pensare in quel momento.- si giustificò prima che calasse un silenzio di tomba.
Hanzo non sapeva se essere felice del fatto che suo padre gli stesse parlando civilmente o essere furioso perchè gli stava dimostrando per l'ennesima volta che l'unica cosa che gli importasse era che fosse stato in carcere perchè, a quanto aveva visto e sentito fino ad ora, a tutti importava solo di quello.
-Smettila di cercare scuse, non starò qui a sentirne un'altra, ho già perso abbastanza tempo ed avrei da fare.- tagliò corto facendo avvicinare Aerandir per andarsene e tornare a casa, ma lui gli afferrò il polso prima che potesse muovere un passo
-Lasciami, non ho nulla da dirti che non abbia già detto.- lo minacciò con l'aria di qualcuno che è sul punto di commettere un omicidio, ma Soichiro era particolarmente testardo ed il fatto che il polso nemmeno lo sentisse non era d'aiuto.
Dopo un paio di minuti di minacce e trattative riuscì a convincerlo ad ascoltarlo almeno fino a quando non avrebbero chiarito la questione:
-Senti, non girerò intorno alla cosa e quindi te lo dirò subito: quando ho saputo che eri ricercato in mezza nebulosa mi è crollato il mondo addosso, non avevo intenzione di credere ad una cosa simile, e non voglio nasconderti che se non fosse stato per tua madre avrei firmato i documenti per non riconoscerti in nessun caso come mio figlio, niente di pi...- non fece in tempo a finire che si prese una gomitata ai reni che lo fece barcollare non poco
-Che diavolo stai facend... ok, te la concedo, ma ora siamo pari quindi ti pregherei di starmi a debita distanza per evitare linciaggi a mio danno.- raccomandò all'altro che annuì poco convinto.
Soichiro prese fiato, anche perchè sapeva che la parte peggiore doveva ancora arrivare:
-L'altro giorno non avevo affatto intenzione di proporre al resto del consiglio di Iga di farti salire al torno come successore, tuttavia ho saputo alcune... cose, che mi hanno fatto cambiare idea.- disse ma Hanzo lo bloccò di colpo
-Quanto lo hai pagato?- chiese secco lasciandolo solo per un attimo confuso, infatti sapeva perfettamente di cosa stesse parlando: era davvero così ovvio che avesse fatto un interrogatorio a Bone Cold per avere ogni minima informazione prima di chiarire le cose?
L'uomo sorrise solo per un secondo:
-Biscotti all'avena, penso che siano tipo una droga: dovrebbero inventarne da iniettare endovena... oh guarda, ho anche fatto la rima non è fantastico?- rigirò la domanda ad Hanzo che lo fissava perplesso
-Comunque sia voglio solo che tu capisca che non ce l'ho con te, non più almeno: ho passato troppo tempo a vederti solo come quello che è finito in carcere, non come mio figlio.- continuò con un velo di malinconia
-Sto provando a rimediare, ci provo davvero, ma ti chiedo di fidarti di me almeno quel che basta perchè possa cercare di fare decentemente il padre.-
L'unica cosa che aveva detto, l'unica che valesse la pena di sentire, era quella.
Ok, aveva ufficialmente vinto.
Ultimamente aveva una certa aria di superiorità e, anche in quell'occasione, non se l'era fatta scappare:
-Va bene, potrei anche concederti una tregua- asserì senza smuoversi dalla sua attuale posizione dominante rispetto a quella di suo padre
-Ma giuro che se per quanto riguarda domani mi avete nascosto qualcosa vi faccio saltare il cervello, promesso.- concluse freddo come suo solito.
Soichiro, più o meno soddisfatto della cosa, si diede finalmente una calmata: non che avesse ottenuto chissà cosa, ora aveva la certezza che gli omicidi per il giorno seguente non sarebbero stati un'eventualità, ma quel comportamento distaccato proprio non riusciva a spiegarselo.
E va beh, almeno era ancora vivo.

Soichiro era sopravvissuto a suo figlio, ma con Oregon le cose non sarebbero state così semplici: l'alleanza era ormai una priorità, quello lo aveva capito, e di rimandarla non se ne poteva nemmeno parlare.
Ed era quello il problema.
Nonostante fossero ormai le undici di notte passate era ancora fuori dal palazzo e lo fissava, a volte pensava che non fosse nemmeno la sua casa: era una costruzione enorme, immersa in un campo di ciliegi in fiore come di consueto in quel periodo, di un colore bianco neve con diversi piani, ognuno con il proprio tetto verde acqua con i bordi neri ed alcune rifiniture dorate, illuminate dall'intensa luce delle finestre interne e, come se non bastasse, dal chiaro delle lune che si riflettevano nella cascata poco lontana.
Ed era tutto suo, suo e basta.
A distrarlo fu l'arrivo di Mizuki, che dall'aria assonnata che aveva doveva essere stata in piedi ad aspettarlo a letto: -Non pensare a nulla, andrà tutto bene- lo rassicurò mettendo le sue mani intorno ai suoi fianchi -Se qualcosa dovesse andare storto, se qualcuno dovesse lamentarsi per domani, Shannara ed Aerandir se ne occuperanno, nemmeno Oregon sarà un problema.- promise con una goccia di malvagità negli occhi.
Non voleva capire cosa significasse, era certo soltanto che, dopo la firma dell'alleanza, niente sarebbe stato facile.
Ed aveva decisamente ragione.



___________________________________________

Angolino dell'autrice

(*): velocità suepriore a quella della luce con la quale è terociamente possibile spostare oggetti nel tempo e nello spazio.

(Scusate eventuali errori grammaticali o lettere invertite)
Decimo capitolo, non pensavo nemmeno di arrivarci :D
LO so, lo so: l'ho dedicato principalmente alla spiegazione del già citato progetto Excelsior-ZX e dei teneri discorsi fra Hanzo e (psicotica) famiglia, ma non potevo lasciare indietro questi due, anche perchè altrimenti non posso nemmeno continuare con i piani di Oregon :D
Non temete, tra poco vedrete altri fuochi d'artificio e morti :3
Comunque sia parliamo di questo adorabile capitolo: fenici, fenici ed ancora fenici.
Io amo le fenici, si nota dal nome per caso? XD
tralasciamo i volatili abnormi e parliamo del fatto che Bone Cold abbia un quoziente intellettivo pari a 247.
Sembra un ritardato di solito, questo lo so anche io, ma cercate di capire: deve progettare virus che estinguano interi popoli e bombe che distruggano pianeti, un genio del male normale non bastava.
Certo, se la sua salute fosse come il suo cervello forse sarebbe meglio :D
Hanzo boh, lui niente di niente, è solo un sadico con grossi problemi mentali che gode particolarmente nel far soffrire gli altri <:D
Non ho nulla da aggiungere, se volete sposarmi o lasciare una recensione fate pure :3
Ah già, vi lascio un'immagine del tempio dove vive Ignis (il primo) e del palazzo reale di Iga (il secondo), cioè l'umile casetta di Hanzo :3

Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Proposte indecenti ***


capitolo 12 Bone Cold era appena entrato nella grande sala, dove lui ed i suoi uomini erano abituati a riunirsi in caso di decisioni importanti o comunicazioni urgenti, e finalmente aveva visto il tanto famoso "soldato di Oregon".
O meglio soldatessa.
Che fosse una raptor era evidente, anche se in realtà aveva molto meno della lucertole degli altri che era abituato a vedere: la pelle era d'un bianco e in alcuni punti dove si trasformava in squame vere e proprie, gli occhi erano invece di un grigio intenso che sfumava in un color miele e, a differenza dei raptor puri, lasciavano intravedere iride e pupilla quasi ellittica, cosa abbastanza insolita dato che solitamente queste non si vedevano praticamente mai; i capelli biondo platino arrivavano fino a metà della schiena e lì passavano prima al verde acqua, poi all'azzurro ed infine ad un viola non troppo scuro, lasciando intravedere un paio di corna ricurve nero opaco sulle quali erano fissati alcuni anelli circolari coperti di gemme variopinte che formavano delle sottili catene.
C'era da dire che riguardo l'abbigliamento non si era risparmiata: aveva praticamente tre quarti del seno scoperti, e quello restante strizzato nella parte superiore dell'armatura bianca con dei segni rosa pallido che portava , ed anche il fondo schiena era ben poco nascosto da sguardi indiscreti.
E con sguardi indiscreti si intendevano quelli degli uomini che lavoravano per Bone che, giusto perchè c'erano nuove curve da guardare, avevano abbandonato per qualche secondo i loro impieghi; non ci volle molto perchè un'occhiata di disapprovazione lanciata da Honey li convincesse a tornare a ciò che stavano facendo, sembrava infastidita dalla sua presenza.
Con un breve inchino si presentò ad entrambi:
-E' un onore per me fare la vostra conoscenza, il mio imperatore mi ha parlato a lungo di voi- disse con tono quasi regale e l'altro ricambiò la cosa
-Oh sì, anche noi siamo felici di conoscere una degli scagnozzi di Oregon- disse divertito
-Tu saresti?- chiese curioso e lei annuì nuovamente
-Berenix, generale maggiore dell'Ordine delle Valchirie: sono stata mandata, come penso il tuo vice capitano ti abbia riferito, a trattare per conto dell'imperatore, non ho altro ruolo qui se non questo.- concluse stringendogli la mano anche se poi, quando toccò ad Honey, lei sembrò riluttante alla situazione:
-Ordine delle cosa? Cosa sarebbe, un qualche tipo di setta?- chiese noncurante delle occhiatacce del compagno, ma l'altra non si scompose:
-Siamo una divisione scelta di soldatesse che fanno parte dell'esercito imperiale con il compito di trattare le questione più... delicate, quelle dove la forza bruta non basta; per questo motivo, dato che questa storia deve rimanere il più privata possibile, sono stata scelta io e non un raptor qualunque.- disse tutto d'un fiato.
Bone si decise ad intervenire: -Immagino sia inutile dirti che ruolo io ricopra, vero?- domandò ottenendo la risposta senza troppi giri di parole
-Oh, ma io so perfettamente il tuo ruolo- rispose prendendosi la libertà di dargli del tu anzichè del voi come era solita fare fino a quel momento
-Generale superiore della divisione d'assalto del pianeta Dokuro, fondatore e comandante dei Majestic Five e, almeno dal tuo punto di vista, l'adorabile capo degli altri due psicotici che chiami amici fra i quali spicca vostra maestà l'imperatore ereditario del pianeta Iga- disse come se si stesse prendendo gioco di lui, percezione che colse anche l'altro e che disapprovò fin da subito
-Ti conviene non approfondire la cosa e dirmi subito cosa vuole quella lucertola, non voglio perdere troppo tempo.- asserì facendola sedere.

La ragazza si sedette accavallando le gambe, con conseguente frecciatina da parte di Honey, ed iniziò a parlare:
-Oregon mi ha detto che avete già raccontato della questione di Excelsior per cui eviterò di spiegarti tutto dall'inizio, tuttavia mi ha anche riferito che tu hai accennato a dei tempi di costruzione attorno ai due o ai tre anni, eppure sai bene che il tempo che ti viene dato è di soli quattro, massimo cinque mesi.
E non vuoi far arrabbiare Oregon, vero Bone?- domandò severa
In effetti, sebbene non avesse davanti quello psicopatico, anche quella tizia non era proprio simpatica o rassicurante e Bone Cold, nei pochi minuti che ci stava passando insieme, aveva capito fin troppo bene che non poteva scherzarci troppo.
Con il suo permesso Berenix accese lo schermo centrale mostrando una delle strutture più grandi ed imponenti che lui e la donna avessero mai visto:
-Questo è il Great Firebird Laboratory, il centro operativo dove risiedono le più avanzate tecnologie di Arkanta e, modestamente, della nebulosa- disse quasi solenne per poi andare al sodo
-La proposta è questa: tu e la tua squadra potete lavorare qui alla costruzione dell'ordigno, avrete a disposizione decine di eccellenze nel campo scientifico e tecnico, tutto quello che necessitate vi verrà dato, comprese le materie prime- spiegò schietta
-In cambio dovrete dar vita alla più grande e distruttiva arma mai vista nella storia di questa galassia: sappiamo tutti che è una scelta più che valida, soprattutto considerando le persone che avete davanti.
Se doveste decidere di rifiutare beh... immagino tu conosca le conseguenze.- concluse soddisfatta della propria dimestichezza oratoria.
Nessuno dei due osò parlare, tranne il mercenario che strinse i pugni fino a sentire il dolore sulla pelle:
-Cosa mi assicura che non mi uccidiate subito dopo?

Non mi fido di voi, lo sapete benissimo, e per questo non siete impreparati.- la anticipò e lei si mise a ridere applaudendo:
-Immaginavo avresti reagito in questo modo, anche Oregon lo aveva previsto- spiegò divertita per poi calmarsi
-Hai una trentina di uomini qui, ci impiegheresti troppo tempo e saresti troppo pressato dalla tensione: su Arkanta puoi avere a completa disposizione un centinaio o più di raptor che faranno tutto ciò che gli verrà ordinato, e poi sappiamo entrambi che l'obbiettivo finale, ovvero la distruzione dei Kinniku, è lo stesso che hai tu- intervenne facendosi seria

-Ci guadagneresti e basta, avresti tutto quello che vuoi, tutto ciò che hai sempre sognato di avere ti sarebbe dato: il potere, il denaro, la fama, la conoscenza, tutto.
Lo sai anche tu, non hai più nulla da perdere, tranne la vita ovviamente, ma so che non ti importa più di tanto.- terminò tendendogli la mano.

Bone Cold ed Honey si scambiarono un'occhiata, e allora capì tutto: non servivano parole, non erano mai servite, a loro bastava uno sguardo e capivano tutto l'uno dell'altra, eppure quegli istanti la donna li passò a parlare non tanto per Berenix, a cui non gliene importava nulla, ma per l'altro:
-Non devi farlo, dobbiamo farlo: siamo una famiglia, abbiamo iniziato insieme e finiamo insieme, tutti.
Nessuno resterà indietro, non lo permetteremo.- concluse anche lei sorridendo.
La sua mano incontrò quella della raptor in pochi secondi, e lo stesso fece quella di Honey poco dopo: -Questo sancisce la nostra alleanza, ma dovrà restare tale fino alla fine, sia chiaro: ho io la bomba, posso distruggervi se fate qualcosa che non era programmato.- annunciò e lei annuì.
E' fatta, finalmente pensò decisa senza dirlo, poi si inchinò di nuovo e fece per uscire, ma non prima di dare un ultimo consiglio ad Honey:
-Dubito che con tutta la concorrenza tu possa riuscire a portarti a letto il capo, d'altronde sei una come tante altre, una semplice... plebea ecco.
Saluti, bellezza.- concluse con un'arroganza tale da far scattare l'altra.

Una lucertola.
Che si permetteva di dire quelle cose.
A lei.
Oh no, no di certo.

Le aveva puntato il fucile alla tempia, non avrebbe permesso che una sempliciotta aliena la trattasse in quel modo così sfrontato:
-Stammi a sentire dannata troietta che non sei altro, mi faresti la cortesia di andartene prima che commetta un omicidio o vuoi stare qui a farti aprire il cranio dalla sottoscritta?- le chiese cercando di mantenere il confronto ma, a quanto stava vedendo, non era così facile:
-Tu che minacci me? Santo cielo mi tremano le squame dalla paura!- rispose per poi ribaltare la situazione con un movimento fulmineo degno del più agile dei felini.
Ecco, ora era Honey quella tenuta di spalle con un fucile al collo come una principiante, nemmeno quando era una recluta finiva così.
E non era piacevole.
E di certo non era divertente guardare Bone che scuoteva la testa come un idiota, sembrava che si stesse vantando di quanto quella lucertolina fosse brava, a differenza della ragazza:
-Stavi dicendo qualcosa per caso?- rigirò la domanda lasciando la presa per poi girarsi verso l'altro che se ne stava lì impalato
-Vedi di insegnarle a stare al suo posto o quello che è accaduto ora potrebbe succedere in qualche missione, non è prudente perdere degli uomini: i cani rabbiosi vanno tenuti al guinzaglio, a meno che non si decida di sopprimerli.- concluse schietta.
Bone Cold annuì convinto dando una mano all'altra a rialzarsi:
-Non è nemmeno saggio per una crocerossina giocare alla piccola mercenaria, queste cose sono per i professionisti.- suggerì rimproverandola e lasciandola andare a sfogarsi nel laboratorio dove passava intere giornate; Berenix allora ne approfittò per avvicinarsi di qualche passo sistemando i capelli con una vanità quasi inaccettabile, poi gli diede un piccolo foglietto bianco ripiegato più volte:
-Quando siete arrivati ti pregherei di chiamare me prima di Oregon: avrei qualche cosuccia di cui parlare in privato senza quella sanguisuga in giro, chissà che potremmo avere qualcosa in comune oltre alla sete di sangue.- concluse finalmente girando i tacchi ed uscendo.

La sua vice che dava di matto, proposte indecenti da parte di una raptor, consigli in stile Oregon: la giornata sembrava più che fruttuosa.


Inutile dire che dopo la pessima figura Honey se ne fosse andata in camera sua, avesse chiuso a chiave la porta e si fosse insilata sotto la doccia a scaricare la tensione: non le bruciava tanto di essere stata umiliata in quel modo così stupido, quanto l'aver perso il controllo di sè stessa davanti a Bone; in anni di conoscenza non le era mai capitata una cosa simile, aveva subito di tutto ed era sempre riuscita a mantenere la calma ed i nervi saldi ed ora, a causa di un'osservazione da liceale strafottente, si era comportata peggio di una bambina.
Eppure Berenix aveva ragione: era una donna come tante, una plebea se così si poteva dire, non aveva nulla di speciale nè era particolarmente attraente, almeno a detta sua; persino Wolfrain, più giovane di lei e forse più inesperta, aveva più carisma e voglia di mettersi in gioco, perchè lei doveva sempre restare indietro?
Quella dannata lucertola aveva capito di più in qualche minuto che le sue compagne in anni di chiaccherate andate a vuoto: mai si era permessa di ammetterlo, si era limitata a fare l'amica, la sottospecie di sorella minore a cui puoi dire tutto, ma Bone Cold le piaceva, anche parecchio per giunta.
E sì, dal primo momento in cui era entrata nei Majestic Five aveva ambito al portarselo a letto: non pretendeva una cosa seria, anche perchè quando sei un mercenario hai ben poche certezze ed una fidanzata in giro era troppo ingombrante, ma una cosuccia da notte brava sì, quella ci sarebbe stata bene.
Una goccia d'acqua bollente l'aveva riportata alla realtà, a quell'amara e fottutissima realtà: spenta la doccia si era data una sistemata veloce ai capelli, asciugata alla bene e meglio e niente, era andata a rivestirsi in camera così da potersi successivamente ritanare fra le sue coltivazioni batteriche non proprio interessanti ok, ma almeno le occupavano il tempo.

Tuttavia, forse perchè si era scordata che la prima cosa che dovevi saper fare nell'esercito era scassinare le porte, forse perchè si era volontariamente dimenticata che Bone non avrebbe fatto cadere così la questione, se l'era trovato in camera con le braccia incrociate appoggiato allo stipite della porta, e non sembrava felice, per niente:
-Hai altro da fare o vogliamo parlare della penosa sceneggiata da scuole medie alla quale ho avuto la sfortuna di assistere?- le chiese senza girarci troppo intorno, a quanto pare ci teneva ad avere spiegazioni così lei si limitò a sospirare infastidita
-Non ho nulla da dire, non continuare ad assillarmi.- lo rimproverò stizzita ottenendo solo un'imprecazione poco convinta, alla quale non fece troppo caso naturalmente.
L'altro invece non sembrava affatto d'accordo:
-Non cambiare discorso, non ti sei mai comportata in quel modo quindi esigo di sapere cosa ti prende.- continuò lui incrociando il suo sguardo ma per ora Honey riusciva a tenerlo a bada decentemente
-Non ho niente, ho da fare.- rispose girandosi istintivamente facendo per tornarsene sotto la doccia, voleva tutto tranne che iniziare a parlare dopo una cosa simile; in realtà Bone sapeva già dove voleva arrivare, motivo per cui ci arrivò senza mezze parole:
-Guarda che se è per la questione delle tue fantasie perverse ne ero già a conoscenza, Wolfrain non è una ragazza che sa stare zitta e la tua reazione ne è solo una prova.- asserì ridendo e facendola girare di scatto, evidentemente imbarazzata tra l'altro.
No, non era perchè se ne stava lì nuda come un verme, era abituata a farsi vedere così, più che altro si trattava dell'ammettere quello che praticamente era palese:
-Oh avanti Honey, pensi che sia così stupido?
Ho avuto a che fare con le bambinette viziate orgogliose che non si decidevano a piegarsi di fronte all'evidenza, non sei così diversa da loro: se è solo una cosa veloce che vuoi puoi dirmelo apertamente che magari la finiamo di farci i quesiti esistenziali.- spiegò lasciandola basita
-N-non è così!- si affrettò a dire -Io non ho... fantasie perverse!
Nè dovrei averne su di te!- cercò di convincerlo peggiorando solo la sua situazione.
Santo cielo, era troppo divertente guardarla mentre cercava di districare la situazione:
-Ammettilo, se ti proponessi una sveltina accetteresti senza pensarci troppo, ti conosco troppo bene per dire che non lo faresti: secondo me non lo fai solo perchè dovresti chiedermelo, ti scoccia così tanto doverti abbassare a tale proposta?- chiese senza ricevere risposta.
Sì, non ci avrebbe pensato due volte e sì, gli sarebbe saltata addosso volentieri.
Piuttosto timidamente afferrò la prima cosa che trovò a portata di mano, ovvero un'improbabile camicetta bianca, e se la mise addosso:
-E' davvero così inutile negarlo?- domandò e lui annuì
-Purtroppo per te sì, anche Wolfrain ha fatto questa scenata prima di decidersi ma alla fine dopo un paio di bicchierini di troppo si è divertita: dio solo sa quanto sia perversa quella ragazza, a volte mi spaventa.- sentenziò fingendosi serio traumatizzando l'altra
-Ti sei portato a letto Wolfrain? Sei un maniaco!- gli urlò contro ancora scioccato, proprio non se l'aspettava una cosa simile
-Ha quasi dieci anni meno di te, quasi dieci!- continuò in preda al panico

-Oh avanti, tutte le tue amichette che sono qui a Grave Bay si sono fatte il capo, sarà colpa del fascino da cattivo ragazzo, saranno le cicatrici che fanno veterano di guerra cosa devo dirti.- spiegò quasi se ne stesse vantando
-Non vorrai dirmi che vuoi negarti l'esperienza?- domandò ancora lasciando calare il silenzio.
Tipico di Bone Cold tirare quelle frecciatine alle quali, che tu rispondessi o meno, ti mettevano sempre all'angolo:
-Non ho detto che non vorrei ma se mi stai chiedendo di ammetterlo no, non lo farò nemmeno morta.- asserì cercando di distogliere lo sguardo, improvvisamente il tatuaggio sul fianco era diventato parecchio interessante; poco importava, alla fine poteva fare ciò che più la aggradava:
-Fa come vuoi, sappi solo che appena metterò piede su Arkanta la prima cosa che farò sarà passare qualche divertente ora con Berenix, chissà che poi possa mettere una buona parola riguardo il non farmi ammazzare da Oregon.- concluse lui facendo per uscire, non prima di averle messo addosso la sua giacca per non farle venire una polmonite, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era un membro in meno.
E poi odiava i polmoni santo cielo, proprio non poteva sopportarli.

Qualche divertente ora con Berenix.
Qualche... divertente ora?
Quella puttanella che se la spassava con il suo capo e magari se la rideva pure alle sue spalle?
Ma anche no.
Poteva sopportare tutto, poteva capire che si fosse fatto tutte le ragazze con cui parlava praticamente ogni giorno, Wolfrain-la-ninfomane compresa, ma che lei venisse dopo quella psicopatica no, quello era inaccettabile

Con un gesto fulmineo che le stava costando l'osso del collo riuscì ad afferrargli il polso, giustamente il destro, con conseguente imprecazione di dolore da parte di Bone Cold:
-Sì mia piccola e tenera assassina? C'è qualcosa che vorresti dirmi forse?- chiese strafottente, era evidente che la stesse prendendo in giro non poco:
-Stavo pensando che quando saremo impegnati con Excelsior il tempo libero sarà poco, e poi avremo intorno quell'oca squamosa tutto il giorno: per caso, insomma... hai impegni per questa sera? Non ne hai vero? Vero?- domandò in preda all'ansia, stava solo sperando che rispondesse di no.
Naturalmente la risposta non arrivò proprio immediatamente, comportarsi da prima donna era la sua specialità quando si trattava di tenere a bada le signorine:
-Non saprei, ho una vita impegnata io: gente che mi vuole morto, gente che mi vuole vivo, gente che mi vuole morto, gente che mi vuole vivo, gente che mi vuole mor...- non fece in tempo a finire che Honey riuscì a strappargli un bacio a tradimento, le cose d'altronde andavano messe in chiaro subito
-Me ne frego altamente di chi vuole cosa perchè si da il caso che la sottoscritta in questo preciso istante e in questo preciso luogo voglia che tu chiuda quella fottuta porta e faccia quello che devi fare- gli ordinò mentre lui la guardava divertito, era una scena così dannatamente divertente che ci mancava poco che le ridesse in faccia
-Mi rifiuto di restare "quella che non si è ancora portata a letto il capo perchè è una sempliciotta plebea", farò vedere io a quella puttanella chi è la sempliciotta, glielo farò vedere eccome appena mi troverò davanti quel suo culo squamoso.- asserì con una discreta violenza, era abbastanza inquietante quando si arrabbiava in quel modo.
Non servì ripeterlo due volte che l'altro aveva già chiuso la porta:
-Penso che qualcuno sarà parecchio occupato per le prossime ore, e non a lavorare a virus letali o a complottare con mezza nebulosa, questa volta Oregon potrà aspettare.- concluse con lo stesso fare del tipo "Il mondo può finire ma non mi muovo da dove sono", atteggiamento piuttosto impertinente sì, ma che bastò comunque alla donna per saltargli al collo.
Giornata lunga, parecchio lunga.
E intensa, parecchio intensa.
E interessante, parec...
Insomma, era una giornata "parecchio" e basta ecco.


Qualche ora dopo Honey si era svegliata di soprassalto mezza indolenzita e si era resa conto che era fuori allenamento non di poco: ok ok, era ufficialmente un medico, ma d'altronde qualche scappatella se la faceva anche lei quando se ne stava ad aspettare al quartier generale in tempo di guerra con i suoi colleghi, non poteva certo stare in astinenza da sesso, non a quell'età santo cielo.
Tuttavia poteva dire che, nonostante avesse solo 31 anni e ancora molto tempo per constatare la cosa, Bone Cold aveva ragione quando diceva che non si sarebbe potuta negare l'esperienza: all'inizio le era sembrato abbastanza surreale che stesse facendo quel genere di cose con lui, dato che lo conosceva da una vita e lo considerava al pari di un fratello maggiore, ma dopo un paio di minuti aveva dovuto ricredersi ed era finalmente riuscita a godersi il momento.
Si era parlato di sveltina, una cosuccia da poco degna di una teenager alla sua prima volta, non di sesso selvaggio per un paio d'ore.
Sì, si considerava una maniaca.
Sì, anche Bone lo pensava.
Però non si era certo tirato indietro, al contrario ci aveva dato dentro eccome.
Nel senso letterale del termine.
In quell'istante trovarselo di fianco le faceva uno strano effetto, un misto fra felicità e rimpianti, tanti rimpianti; si era soffermata sulla viverna che si snodava con una certa maestosità fra le cicatrici ormai sbiadite su tutta la schiena, la stessa che lei e gli altri membri dei Majestic Five portavano sulle parti del corpo più disparate: che fosse la mano, il collo o ancora in fianco non era importante, bastava solo che l'avessero.
Non che fosse stato particolarmente piacevole farsi incidere la pelle con l'acciaio bollente, nemmeno fossero degli schiavi da marchiare a fuoco, ma erano tutti d'accordo che quel metodo fosse meglio del farsi fare un tatuaggio che il tempo avrebbe cancellato.
E poi dovevano pur fare gli arroganti del giorno, gli altri gruppi di allegri mercenari non potevano certo dire di essere dei masochisti che davano retta a qualcuno con  seri problemi mentali, nessuno era così malato di mente per stare dietro a Bone Cold senza sapere di andare incontro a morte certa ogni fottuta volta, però era tremendamente divertente.
Tipo che avevano già distrutto due corazzate da guerra con le missioni assolutamente prive di rischi che venivano loro rifilate.
Gli occhi di Honey si posarono istintivamente su alcuni dei cimeli che c'erano in quella stanza, la sua stanza: la sua laurea faceva da padrona della parete, di fianco l'unica foto che le era rimasta dei tempi della fondazione dei Majestic Five che si rese conto non erano poi così lontani se guardava bene quanto fossero cambiati anche perchè, cicatrice più cicatrice meno, erano sempre gli stessi idioti che all'Università facevano i piccoli genietti incompresi.
Abbastanza incompresi da diventare mercenari.
L'unica cosa diversa era Blackie, lei non era cambiata negli anni.
Era proprio morta.
Quella che, vantando la bellezza di 11 anni di vantaggio su Bone, poteva dirsi l'unica seriamente propensa all'idea di lasciar stare la guerra: discorsi profondi, a volte addirittura toccanti, ma come sorella maggiore di uno psicotico  si era presto resa conto che con lui c'era ben poco da discutere.
L'aveva freddata così, un proiettile alla tempia e via, tutti a fare i mercenari che si facevano pagare fior di dollari per ammazzare la gente.
E va beh, erano pur sempre soldati, non certo ballerine di danza classica.


Il proiettile che usciva dalla canna del fucile, l'inconfondibile rumore di ramo spezzato ed un gemito soffocato, nient'altro.
E sangue, troppo sangue, che nemmeno era il suo.
Ormai la cosa era assodata: Ataru era un gran bastardo, un subdolo e schifoso verme pronto a tutto.
Vattene, corri via da qui e vattene via, fregatene di tutto e di tutti: non voltarti, non provare pietà, lascia che la vita faccia il suo corso, non c'è posto epr i perdenti.
Le parole gli giravano nella testa solo per confonderlo.
Muore lui, non muori te: non aiutarlo, non fermarti!
E invece no, si era fermato.
Si era arreso.
Era finita, finalmente.
Sta morendo, non hai più nulla da spartire con lui, lascialo lì e scappa finchè sei in tempo: sei un mercenario, cosa diavolo te ne può fregare di quel pezzo di carne da macello!
Un lago di sangue si allargava sempre di più: l'arteria femorale, non ci aveva pensato all'inizio, qualche minuto e sarebbe morto.
Spera che crepi, almeno ci togliamo un peso morto.
Ahahah! Santo cielo che bella battuta!
Hai capito? Muore.. peso morto?
Eh? Eh? L'hai capita? L'hai capita o no?
Dovresti complimentarti per questo umorismo post-mortem.
Era finita, finita e basta, non ci sarebbe stato più nulla.
Nè le voci nella sua testa nè i giorni a scappare braccati come volpi dai cani nella stagione di caccia.
Nulla.

Bone Cold si era svegliato di soprassalto, il respiro affannoso ed il cuore che batteva fin troppo veloce, nemmeno stesse per andare al patibolo: avrebbe voluto pensare che fosse stato solo un brutto sogno e invece no, era qualcosa di ben diverso.
Erano passati poco più di cinque anni dal giorno in cui il mondo gli era crollato addosso, quello in cui lo avevano messo a marcire in carcere dopo mesi di latitanza nel vano tentativo di riuscire anche quella volta ad averla vinta.
Si alzò senza pensarci troppo, riuscì a brancolare nel buio cercando di rivestirsi decentemente senza svegliare Honey, che si era infatti addormentata nuovamente, le aveva lasciato un biglietto dove spiegava che sarebbe stato via un po' con relative scuse del giorno poi niente, era andato da solo sulla corazzata da guerra che se ne stava lì ad aspettare che Nash ne prendesse i comandi: non era certo andato a fare il soldato per niente, sapeva come si usavano quei misteriosi ammassi d'acciaio chiamati astronavi e, modestamente, pensava di saperne più di quel ragazzino.
Qualche minuto ed era riuscito ad impostare le coordinate per Iga, sarebbe arrivato nel giro di qualche ora salvo imprevisti.
E con imprevisti indicava la fortuna di trovarsi l'esercito di Soichiro, o peggio lui da solo: non è che quell'imperatore psicopatico e mentalmente arretrato lo odiasse, no no.
Peggio.
Molto peggio.
L'unica cosa di cui Bone era certo, oltre il fatto di poter essere sgozzato da Soichiro se l'avesse visto, era che doveva parlare con Hanzo il prima possibile: con la coscienza che iniziava a fargli brutti scherzi aveva ben poco da pensare alle proposte di raptor e famiglia, prima doveva mettersi a posto lui, poi poteva pensare a fare l'altruista.
Più o meno.


Come previsto dai complotti fra Mizuki ed Oregon la Muscle League era venuta a chiedere aiuto, o meglio pietà, riguardo l'antidoto per salvare Belinda, le cui condizioni nelle ultime ore si erano aggravate parecchio; King, troppo impegnato a piangere al capezzale della moglie, aveva affidato a Meat e Robin Mask il compito di andare a trattare con, almeno pensava, Oregon, ed i due avevano dovuto trascinarsi dietro Kid ed i suoi amici perchè loro "volevano vedere le spiagge di Rio e trovarsi qualche ragazza con cui passare la serata".
O diventare la colazione di alcune lucertole: insomma, una delle due cose.
Erano arrivati solo da una ventina di minuti e già Kid faceva il cascamorto con un paio di ragazze, che tra l'altro nemmeno lo capivano a causa della barriera linguistica, senza contare che si era già preso una sberla dall'hostess con cui ci aveva provato per tutta la durata del viaggio.
Doveva sempre farsi riconoscere, sempre.
Non che Terry si comportasse diversamente dato che si destreggiava con un portoghese improvvisato alla bene e meglio con una barista mentre Jeager se ne stava in un angolo a chiedersi cosa diavolo avesse spinto suo padre ad abbandonarlo con quella massa di sciupa femmine falliti, ma almeno si consolava del fatto che anche Kevin sembrava indifferente alla situazione.
Tuttavia l'inglese non era indifferente, piuttosto era terrorizzato dato che portava ancora i segni della "discussione" con Ricardo: i solchi lasciati dalle zanne sulla testa  ed il collo erano fortunatamente coperti parzialmente dalla maschera che gli aveva dato suo padre e lo stesso valeva per le ferite sul petto nascoste da un'improbabile maglia rosa confetto, ma i segni delle spine che si erano conficcate sulle spalle erano evidenti eccome, soprattutto perchè gli avevano messo un braccio fuori uso ed anche la sua gamba, schiacciata da artigli di una ventina di centimetri, non era messa meglio, motivo per cui zoppicava ancora.
Non voleva tornarci vicino, anche solo vederlo gli metteva addosso un'ansia terribile e, per qualche strano motivo, ringraziava il cielo di non averlo dovuto affrontare al Torneo Chojin: no, non ne sarebbe uscito vivo, o perlomeno con la testa ancora al suo posto.
Meat richiamò tutti alla realtà con un battito di mani:
-Vi chiedo di dare una calmata al vostro testosterone solo per qualche minuto- li rimproverò fra stramazzi e risatine generali
-Ora, se siete tutti calmi, vorrei ricordarvi che dovremmo andare da quella bella gentaglia della dmp e, se non lo sapete, questo è il loro territorio, motivo per cui possono farci fuori quando vogliono: non dite nulla, non prendete parte a nessuna discussione, parleremo solo io ed il signor Mask quindi limitatevi a fare presenza.- concluse anche se nessuno lo stava più ascoltando
-Ok, vediamo- disse prendendo una mappa
-Per arrivare dobbiamo andar... Kid che diavolo stai facendo!- gli urlò contro mentre il giovane kinniku stava lottando contro un'improbabile iguana che trovava parecchio gustosa la sua mano.
E' un presagio, poco ma sicuro pensò l'allenatore confuso e basito allo stesso tempo.
Si guardò intorno e realizzò che effettivamente nessuno sembrava davvero pronto per una cosa simile: Terry abbordava ragazze, Kid amoreggiava con le iguane, Checkmate litigava con Dik Dik, Wally si ingozzava di cibo, Jeager faceva l'asociale, Kevin ci mancava poco che si mettesse a piangere e suo padre stava seriamente perdendo la pazienza.
Era un covo di matti, altro che dmp.
Per non parlare di Roxanne e le sue amiche che sparlavano peggio di tre oche in amore: erano insopportabili da sentire e pure brutte in quegli abitini strizzati che lasciavano intravedere i rotolini di grasso, un tenero ricordo delle decine di feste date da casa Muscle dopo il Torneo Chojin.
Era un covo di matti ed oche sovrappeso, per la precisione: tipo manicomio.
Robin allora si decise a dare un freno a quella scena penosa schiarendosi la voce:
-Non azzardatevi a comportarvi così quando saremo arrivati!- urlò furioso
-Mi vergogno che una massa di teenager eccitati rappresenti la Muscle League in questo incontro, che tra l'altro segnerà le sorti della regina!- continuò ammonendo i ragazzi che si misero tutti in silenzio, poi si girò verso Kid
-Smettila di crederti onnipotente perchè tu sei quello che ha vinto il Torneo Chojin, cosa pensi che possa servire in questo momento?
Sei un verme, proprio come voi altri!- gli disse schietto
-Loro, ma soprattutto tu, tu stupido kinniku, non sei nessuno di fronte a quei pazzi omicidi, soprattutto Oregon: credi davvero che ti lasci passare liscia la cosa?
Pensi che corra sul fatto che tu abbia rovinato i suoi magnifici piani di conquista alle semifinali?- domandò irritato e l'altro lo guardò terrorizzato
-Ehm.. sì? Sì vero? Perchè non ce l'ha con me no? Vero Meat?- chiese al suo allenatore che scosse la testa in segno di dissenso.
Era patetico, e non poco:
-Oh ma certo, flaccido maiale che non sei altro, certo!- sentenziò prendendolo per la collottola

-Dio santissimo Kid, quello non vede l'ora di strapparti gli occhi con le sue mani, mi pare che tu ne abbia già avuto un assaggio con quello sconsiderato che devo chiamare mio figlio: ti aprirà la testa in due e ci metterà un mojito dentro bevendola con la tua trachea come cannuccia, ti piace la prospettiva?- concluse andandosene verso l'aereo a prendere alcuni bagagli per scaricare la tensione.

Il kinniku era crollato a terra e si era messo a piangere dato che probabilmente non aveva ancora pensato alla possibilità che le cose degenerassero e, se ci rifletteva bene, Robin Mask non aveva tutti i torti: quella sera con Kevin aveva visto anche troppo, ma soprattutto era rimasto impietrito da tanta violenza senza controllo.
Se prima pensava di poter fronteggiare Ricardo senza troppi problemi, se era seriamente convinto che in un ipotetico incontro avrebbe vinto ancora, ora invece ne era certo: lo avrebbe ammazzato senza farsi problemi, senza sensi di colpa, senza niente di niente, e si sarebbe preso tutto ciò che aveva cercato di proteggere.
Era già inquietante di suo, solo che trovarsi davanti una bestia di dodici metri che ti avrebbe sbranato volentieri come colazione metteva giusto un po' di soggezione, soprattutto se ripensava al fatto che anche l'inglese, che all'inizio aveva tanto fatto il gradasso, si era ritrovato in ginocchio in pochi secondi senza possibilità di scappare.
Non era lo stesso che aveva sconfitto, su quello non aveva più dubbi.


A differenza di Meat e Robin che faticavano a tenere a bada un branco di adolescenti in preda agli ormoni, Oregon aveva tutto sotto controllo a giudicare dal silenzio che correva fra i corridoi del palazzo dal quale non proveniva altro rumore se non quello dei pappagalli che schiamazzavano sugli alberi intorno; no, non aveva riunito tutta la dmp per una decina di stupidi amichetti che si credevano chissà chi, non avrebbe avuto senso sprecare un numero simile di uomini solo per farsi vedere dalla Muscle League.
Stava facendo qualcosa come mettere nelle mani di un principiante delle questioni da persone preparate a trattare con certa gente, non erano affari da ventenni che credevano di avere in mano il mondo solo perchè potevano vantare tre tonnellate abbondanti di muscoli che tuttavia, senza un minimo di controllo, servivano a ben poco oltre che spazzare via i perdenti come Kid Muscle.
Nonostante le ansie di Oregon e le sue manie genitoriali, Ricardo era tutto tranne che seriamente preoccupato all'idea di dover parlare civilmente con quel gruppo di mentecatti, anche se di trattative ce n'erano ben poche dato che era tutto deciso fin dal principio, e poi almeno c'era Jaqueline con lui, cosa che lo rassicurava abbastanza da non fargli venire una crisi nevrotico-compulsiva.
Sfortunatamente per lui suo padre aveva insistito affinchè l'incontro avvenisse non mantenendo nè la forma umana nè quella origina, lamentandosi del fatto che la prima "Non facesse abbastanza sadico malato di mente" e la seconda fosse enormemente ingombrante quanto lenta, ma piuttosto una sorta di forma intermedia fra le due: sì, la coda che ballonzolava da un lato all'altro era tremendamente fastidiosa e sì, l'armatura era anche peggio.
E ancora sì, odiava dover stare alle regole di qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era Oregon, quello che si credeva il sovrano di mezza nebulosa ancora prima di aver mosso guerra.
Era stupido, solo che non se ne rendeva conto.

Si appollaiò annoiato sull'albero dove Nala si era ritirata a dividere con Noir un pècari, probabilmente catturato nel folto della foresta, che dava su un piccolo stagno adiacente al palazzo dove si trovavano i pesci rossi che ormai da una decina d'anni facevano da guardie a quel luogo.
Ok, i piranha non erano proprio pesciolini da acquario, ma erano rossi comunque.
Jaqueline invece stava seduta sul bordo dell'albero a fissare l'acqua: avrebbe potuto passare intere giornate a guardare i giochi di luce creati dalle squame azzurro-blu che si riflettevano sulla superficie, era qualcosa di tremendamente affascinante.
Si stiracchiò per qualche secondo per poi alzarsi in piedi:
-Quando arrivano quelli della Muscle League?- chiese all'altro tirando la coda per chiamarlo con conseguente imprecazione giustamente voluta, aveva imparato da un pezzo che i raptor in quella forma almeno poteva risparmiarsi i ruggiti e parlare più o meno umanamente:
-Questione di un'ora, forse nemmeno quella: non preoccuparti che vostra maestà si farà vivo prima del loro arrivo.- rispose seccato, il solo pensarci lo infastidiva, nient'altro.
Oregon poteva dire quello che voleva, poteva insistere col dire che tanto chi se ne frega se il Torneo Chojin era andato a quel paese, ma la sconfitta bruciava, e non poco: erano passati quasi quattro mesi da quel giorno eppure l'umiliazione continuava a farsi strada appena ne aveva l'occasione, era frustrante pensare ad una vita di vittorie stroncata così, tanto per passare il tempo, da un imbranato che se la faceva ancora addosso, ed era ancora peggio dover ammettere che se non fosse stato per suo padre sarebbe ancora allo stesso punto.
Aveva dovuto scendere ai compromessi, passare un dannatissimo mese in mezzo a delle odiose lucertole abnormi che appena potevano ti sbranavano senza ritegno, che fossi il figlio dei sovrani o no non c'era differenza: qualcosa della serie che Oregon, naturalmente in formato "Sono quello che comanda perchè sono grande, grosso e sadico", gli aveva intimato di iniziare a darsi una svegliata a fare la lucertola aliena altrimenti non si sarebbe messo in mezzo fra lui e qualche concittadino affamato.

Era ancora perso nei pensieri da una decina di minuti quando la rossa lo riportò alla realtà facendogli segno di scendere perchè a quanto pare vostra maestà era arrivata, proprio come aveva previsto, naturalmente: -Saranno qui fra mezz'ora, non penso che starvene qui a giocare ai piccoli sognatori possa servire a molto.- asserì innervosito dal fatto che fossero ancora lì, poi cassandra si unì alla discussione
-Tu vieni con me, vedremo di sorprendere anche quelle tre ochette che arriveranno in compagnia dei loro valorosi cavalieri.- disse a Jaqueline non dandole nemmeno il tempo di annuire, infatti l'aveva già afferrata a braccetto e se la stava trascinando amorevolmente via.
Non servivano parole con Oregon, aveva già capito cosa voleva.
Gli avrebbe dimostrato chi comandava fra i due, e lo avrebbe fatto presto.
Molto presto.


Non era stato un problema arrivare su Iga o avvicinarsi a castello, quasi alle quattro di notte tra l'altro, forse perchè la maggior parte delle guardie era stata radunata a vigilare fino al giorno seguente al luogo dell'incoronazione, o forse solo perchè era notte fonda.
Appena entrato a palazzo aveva incrociato alcune sacerdotesse, riconoscibili dall'intagliatura a forma di cervo sulla spada che tenevano al fianco, ed aveva scorto qualcosa che non era proprio adatto ad una passeggiata notturna: dentro un'ampolla finemente decorata con alcuni filamenti d'oro, che ricordavano delle figure floreali, un liquido rosso cupo parecchio denso ondeggiava lievemente ad ogni passo delle donne.
Sangue.
Non ancora, non un'altra volta pensò confuso per poi salire la scalinata che portava al piano superiore con il kalashnikov carico, un souvenir di un simpatico omicidio su commissione in Siberia: sì, avrebbe ammazzato Mizuki o Soichiro se li avesse incontrati, si era appena ricordato di uno di quei misteriosi riti che a quanto pare su Iga non erano così rari, uno di quelli scritti sui libri che di tanto in tanto riusciva a trafugare dai templi:
Sangue al sangue, spada alla spada: la morte di uno è la vita di dieci, la vita di uno è la morte di cento, l'onnipotenza di uno è la disgrazia di mille.




________________________________________________

Angolino dell'autrice

Dodicesimo capitolo, come sempre vi chiedo scusa per eventuali errori grammaticali/lettere sparite o invertite/parole tagliate causa computer che sta allegramente andando a quel paese :3
Non dico nulla di questo pezzo, solo che ho introdotto un nuovo personaggio e cioè Berenix, uno dei generali di Oregon: era una mia vecchia oc che ho modernizzato per questa ff, mi mancava averla intorno xD
Niente, se proprio avete voglia lasciate una piccola recensione °3°

Vi lascio anche le foto del marchio di Bone Cold sulla schiena, la viverna, del colore dei capelli di Berenix per chi non avesse afferrato bene la cosa ed una rappresentazione di quest'ultima che, nonostante l'abbia trovata nei meadri del vecchio pc , alla fine è praticamente come la vorrei :3

Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Fino alla fine ***


Alle quattro di notte, mentre praticamente l'intera città stava ancora dormendo, Jaqueline se ne stava seduta sul letto in posizioni improbabili a leggere
"L'arte della guerra": dio solo poteva capire quanto fosse ostico inculcare nel suo cervello cose simili, ma Cassandra le aveva detto che, nonostante fosse un trattato scritto da un tizio che nessuno prendeva in considerazione, le azioni belliche di Oregon prendevano un discreto spunto dalle immense verità filosofiche citate.
Certo, come no.

"L'arte della guerra consiste nello sconfiggere il nemico senza doverlo affrontare".
Ecco, quella era l'unica delle cose che aveva letto su cui era stranamente d'accordo ed in cui riconosceva alla perfezione il modo di combattere di Oregon: fino ad ora infatti non aveva nemmeno mosso un dito, aveva lasciato che fossero altri a sbarazzarsi per suo conto di Sergent e Belinda ed ora, con l'imminente appoggio di Iga, era certa che avrebbe approfittato della cosa per tenersi a debita distanza dal campo di battaglia per scendervi solo alla fine, così da non destare sospetti.
Non capiva come Ricardo facesse a sopportarlo anche se, da ciò che aveva visto un paio di giorni prima, aveva un bel po' di vantaggi rispetto a suo padre, primo fra tutti quello di essere fin troppo consapevole che una seconda possibilità non ci sarebbe stata: dopo il disastroso ed umiliante fallimento al torneo chojin la proposta di rifare le semifinali non gli era ancora andata giù davvero, ma disobbedire agli ordini di Oregon significava mandare all'aria ventidue anni di progetti per arrivare al trono della dmp.
E francamente preferiva sopportarlo piuttosto che perdere tutto.
Non che a Jaqueline dispiacesse, anzi: almeno ora aveva una vita un po' più emozionante del seguire come un cane suo padre e suo fratello in giro con la Muscle League anche perchè, a dirla tutta, non si era mai davvero sentita come loro.
Già che fosse una sadica non era normale, ma che fosse andata a cercarsi uno della dmp era anche peggio, motivo per cui in tre mesi aveva quasi abbandonato casa McMadd per unirsi all'allegra famiglia dei rettili sterminatori di pianeti, dove non avrebbe certo pensato di prendere parte ad un complotto interplanetario.

Dopo essersi girata e rigirata per trovare una posizione comoda decise di abbandonare la coperta, che tra l'altro non si capiva dove fosse finita, ed iniziò a trascinarsi sotto la membrana di una delle ali anteriori alla ricerca di una fonte di calore che, nonostante i dubbi, aveva trovato eccome: le migliaia di piccoli capillari che l'attraversavano, quasi invisibili se non osservati controluce, portavano il sangue fino all'estremità più esterna per mantenere la giusta temperatura che, per un raptor di quelle dimensioni, si aggirava intorno ai 45 gradi.
Era stata un'impresa arrivare vicino al collo senza tagliuzzarsi felicemente il corpo con quelle squame che parevano acciaio, ma almeno ora aveva un comodo cuscino organico versione riscaldante senza problemi, se non quello di fare attenzione ai settanta centimetri buoni di zanne che avrebbero potuto smembrarla senza grosse difficoltà.
Però facevano molto lucertola-assassina-con-disturbi-dissociativi-della-personalità, e non era per niente male.
E lo sarebbe stato ancora di più se non fosse che aveva appena avuto la brillante idea di infilare una mano fra la minima fessura che la mandibola lasciava quando, come in quel momento, non veniva fortunatamente utilizzata.
Pessima idea, soprattutto se si considerava che non aveva studiato la biologia dei raptor: in quel caso avrebbe almeno saputo che nel punto dove le sue adorate dita erano arrivate c'era una fila di placche ossee ricurve che non lasciavano uscire nulla di quello che entrava, costringendo qualsiasi cosa capitasse a tiro a seguire una direzione obbligata.
E cioè quella verso lo stomaco.
Dire che si era presa un colpo quando aveva sentito il calore del sangue sulla propria mano era poco, senza contare che il piccolo nervo tanto citato lo aveva sfiorato decisamente troppo, abbastanza perchè un arcano quanto improbabile riflesso istintivo facesse richiudere la mascella con una violenza tale da spezzare lo scheletro a qualcuno.
Doveva ritenersi fortunata ad aver tolta mano qualche secondo prima perchè, se fosse rimasta anche solo un momento di più, ora poteva anche andare in giro a fare l'amputata dal giorno seguente in poi.
Nell'improvvisa mania omicida di quella dannata terminazione nervosa era caduta come un'emerita idiota a terra con conseguente interruzione forzata del sonno dell'altro.
Ricardo era già pericoloso normalmente, peggiorava esponenzialmente nella forma origine e poteva diventare una minaccia pubblica se succedeva qualcosa che non aveva decisamente previsto.
O se lo disturbavi mentre stava mangiando, anche se in quel caso non potevi stare troppo sicuro di avere ancora la testa attaccata entro sera.
E giustamente essere svegliato in piena notte aveva fatto qualcosa come far scattare i muscoli delle ali che si erano aperte ingombrando tutta la stanza, senza contare che Jaqueline era rimasta seppellita sotto un paio di metri di coda che pesavano più di lei, motivo per cui aveva impiegato un po' per mettere a fuoco la situazione, principalmente perchè la poveretta stava implorando pietà da là sotto.

Ci volle qualche minuto perchè riuscisse a liberarsi dalla presa e, mentre l'altro si era accucciato in un angolo ancora confuso, lei aveva lasciato cadere lo sguardo sulla mano: c'erano un paio di tagli nemmeno troppo grandi dai quali, oltre al sangue, scorreva una strana sostanza piuttosto viscosa che sembrava quasi oro liquido e che aveva per giunta un qualcosa di affascinante.
Ricardo invece non sembrava per niente d'accordo con quell'impressione: non c'era niente di bello in quella cosa.
Al contrario, c'era parecchio da preoccuparsi.
Non aveva mai dato a Jaqueline l'impressione di avercela con lei, ma il ruggito che aveva lanciato non era di approvazione ed anche la rossa lo aveva capito: in tre mesi nè lui nè Oregon si erano permessi di minacciarla, se così si poteva definire, in quel modo, ci mancava solo che ora gli saltasse in mente di mangiarsela.
Stette in silenzio per un po' poi prese parola: -Che diavolo ti prende?- domandò irritata ricevendo di risposta solo un ringhio sommesso di disapprovazione e, dato che non era così abituata come Cassandra a conversare con le lucertole in modo animalesco, stava già perdendo la pazienza e lo intimava di cambiare immediatamente forma se aveva seriamente intenzione di conversare decentemente.
Alle cinque di notte aveva tutte le intenzioni tranne di litigarci insieme, così obbedì senza comunque perdere l'aria infastidita:
-Cosa combino io? Cosa combini tu piuttosto!- le urlò contro mettendola con le spalle al muro ed afferrandole con una discreta violenza il polso della mano ferita
-Pensi che ti dica le cose così, tanto per passare il tempo?- continuò mentre un velo di preoccupazione traspariva dal suo tono di voce, ma lei non lo ascoltava già da un po': l'unica cosa, la sola che sentiva, era un brivido che le saliva dalla mano fino alla schiena, una terribile sensazione che non preannunciava nulla di buono.
Quindici secondi, solo quindici, poi non aveva visto più nulla.
Brava Jaqueline, bel casino.

Si svegliò confusa e guardò distrattamente la sveglia: 7.24.
Erano già passate due ore e mezza?
Ma soprattutto: cosa aveva fatto in due ore e mezza?
Sentì un sospiro di sollievo e si guardò intorno incrociando lo sguardo vigile di Cassandra:
-Buongiorno principessa- le disse con fare materno guardando il termometro ed accarezzandole la fronte
-Non preoccuparti, è tutto passato ormai, ma hai rischiato parecchio con la tua innata curiosità.- la rimproverò senza essere troppo severa.
Ok, non capiva cosa fosse successo, e l'altra anticipò la sua domanda annuendo ed iniziando a spiegare:
-Hai spinto la mano troppo in fondo ed hai sfiorato un paio di ossa che sporgono dall'esofago tagliandoti e, siccome quei simpaticoni dei raptor hanno i più svariati meccanismi di autodifesa, il veleno emo-necrotico che producono ti ha infettato- disse calma
-Per la cronaca, quel veleno distrugge i globuli rossi ed arriva al cuore: ringrazia il tuo fidanzato che non ha avuto una crisi isterica prima di chiamarmi e di aver avuto un'impressionante dose di fortuna che non si sia avvelenato da solo.- la rimproverò guardando un punto indefinito.
E già, perchè se accidentalmente una goccia di veleno finiva dove non doveva finire niente toglieva ad un'adorabile lucertola alle prime armi una morte per arresto cardiocircolatorio.
Si sollevò aiutata dall'altra e si sedette sul letto:
-Mi dispiace, io non sapevo...cioè, insomma io... mi dispiace e basta, vedrò di dare un freno alla curiosità.- rispose malinconica e Cassandra sorrise per consolarla
-Oh non temere, anche io facevo queste cose i primi tempi: avanti, dimmi come diavolo si fa a resistere allo scoprire dove finisce la gola di quelle lucertole accidenti!- disse ridendo mentre controllava le ferite scostando le bende
-Sono tremendamente interessanti dal punto di vista biologico, tuttavia non è saggio testare di persona le conseguenze di un morso da parte di Oregon o Ricardo.- asserì pensierosa.

Ah già, Ricardo c'era ancora, da qualche parte non ben definita: il che contribuiva a far sentire Jaqueline terribilmente in colpa perchè sapeva già che, oltre alla predica, le avrebbe riservato il solito melodramma da ossessione-compulsiva-nel-prendersi-responsabilità-che non-erano-sue.
Qualcosa della serie "Personalità multiple con effetti debilitanti per la psicosi ed evidenti complicanze nei rapporti interpersonali".
E lei di solito faticava già a capire il significato delle prime due parole, giusto perchè tanto il mondo di psicopatici ne era pieno.
Cassandra si alzò e le tolse la fasciatura lasciando scoperti i due piccoli tagli rimasti per fargli prendere un po' d'aria così che si chiudessero prima:
-Sarà meglio che me ne vada, conoscendo mio figlio a quest'ora starà impazzendo a furia di non vederti.- disse ridendo e lasciando la porta aperta cedendo il posto a Ricardo.

Chiusa la porta nessuno dei due prese parola per primo: mentre lei si limitava a fissarlo sperando che dicesse qualcosa, lui se ne stava nell'angolo cercando di tenere a bada i sensi di colpa, giustamente senza un motivo logico:
-Sarebbe potuta finire male, molto male- sentenziò incrociando le braccia
-Non è che io mi diverta a dirti cosa devi o non devi fare, ma prima di fare un'altra genialata che poteva ammazzare entrambi ti pregherei di pensare alle conseguenze.- concluse lasciando calare il silenzio per l'ennesima volta dato che no, Jaqueline non sapeva proprio cosa dire: scusarsi non serviva a molto, ormai era tutto fatto.
Era viva ok, ma i sensi di colpa si facevano sentire eccome.
Poteva ammazzarci entrambi, era quello che l'aveva bloccata: l'ultima cosa che voleva era di essere la responsabile della morte di qualcuno, soprattutto se si trattava di un semplice capriccio che la sua mente malata le aveva suggerito di compiere e la cosa peggiore era pensare che magari uno dei due in una situazione simile sarebbe sopravvissuto comunque e, dalle parole di Cassandra, non sarebbe stata lei a morire per un arresto cardiaco.
Aveva appena rischiato di uccidere l'unica persona che era rimasta al suo fianco fregandosene di quello che la gente pensava.
Lo aveva fatto senza pensarci.
E sarebbe potuto succedere davvero, avrebbe potuto ritrovarsi da sola.
Ancora.
Si sentì stringere in un abbraccio proprio quando le lacrime avevano iniziato a rigarle il volto e si sentì ancora più da schifo di prima:
-Sono una stupida ragazzina viziata che pensa di poter fare quello che vuole...- disse prendendosela con sè stessa
-Come fai a sopportarmi? Come ci riesci? Nessuno è mai stato con me troppo tempo, nemmeno i miei genitori: tutti gli altri alla fine se ne andavan...- chiese con un filo di voce senza riuscire a finire perchè l'altro le sollevò il viso alzandole il mento
-Stammi a sentire perchè non te lo ripeterò un'altra volta: io non sono quei "tutti gli altri", non sono nessuna delle persone che hai conosciuto e per questo non permetterò che ti feriscano per l'ennesima volta, non in mia presenza- la rassicurò accarezzandole i capelli
-La gente può sparlare quanto vuole, possono pensare e dire quello che più li aggrada, a me non interessa proprio nulla delle voci che girano tanto per parlare di qualcosa; finchè sono qui tu non sarai mai da sola, questo te lo prometto: abbiamo iniziato in due e finiamo in due, non ho nessuna intenzione di lasciarti indietro.- concluse lasciando che la rossa si stingesse ancora di più al suo petto per poi lasciare che si sfogasse in silenzio seduta sul letto, almeno si sarebbe data una calmata.
In teoria.

Perchè dopo la tanto agognata "calmata" Jaqueline aveva fatto i soliti occhi da cerbiatta che, dopo tre mesi di tentativi, aveva affinato capendo che erano capaci di convincere anche la lucertola aliena più psicotica della nebulosa.
E con convincere intendeva portare a letto, per esser precisi.
Ebbene no, non avrebbe rinunciato a quella possibilità anche questa volta.
Non che ci fosse voluto molto a convincerlo a sedersi a sua volta e, con un paio di attimi di distrazione che aveva colto per guadagnare terreno, era anche riuscita a costringerlo con la schiena premuta contro le coperte e lei che ne aveva approfittato per sedersi sopra il bacino: la cosa divertente era che non se lo aspettava, soprattutto dopo la scenata di qualche minuto prima.
Lei lo guardò divertita: -Com'è che oggi siamo così in vena di cose coccolose?
Non è che tuo padre ti ha fatto sbattere la testa troppo forte vero?- domandò ridendo mentre cercava di cogliere un minimo segno di assenso;
-Penso sia il contrario- rispose dopo averci pensato un attimo
-Ma ora parliamo del fatto che tu te ne stia sopra il sottoscritto con probabili intenzioni sessualmente perverse: avevo ragione io quando dicevo che eri una maniaca, ammetti almeno questo.- disse con una certa aria trionfante.
Jaqueline sorrise in modo più che malizioso, per non dire perverso:
-Oh sì, sono una maniaca che se ne sta nei parchi attendendo che passino lucertole aliene per poi stuprarle, o in alternativa le aspetta in camera.- disse mentre con nonchalance si sfilava la camicetta verde acqua semi trasparente
-E mi pare che qui ce ne sia una che ha un disperato bisogno di amore, preferibilmente il mio, a meno che non ci sia qualche altra lucertolina tremendamente sexy con cui potrei competere, vincendo naturalmente.- continuò sfiorando il petto con una mano.
E giustamente, proprio nel preciso istante in cui si stava togliendo il reggiseno di pizzo rosa, Cassandra aveva fatto l'ennesima entrata fuori luogo della giornata.
-Wowowo, ci diamo da fare!- urlò fra l'indecifrabile espressione confusa della rossa che si rese conto che quello non era il caso di dire "Non è ciò che sembra".
Perchè in effetti lo era, più o meno.
-Posso restare? Prometto di non dire nulla, giurin giuretta.- continuò con un certo interesse incrociando le dita nemmeno fosse una bambina di cinque anni, ma la cosa non ricevette troppa approvazione soprattutto da parte del figlio che sospirava rassegnato: in quella casa non c'era mai e poi mai un attimo di tregua, sempre in giro a rompergli l'anima pur di non mollargli Jaqueline da sola un solo secondo
-Ne hai ancora per molto?- le chiese irritato e lei annuì
-Oh avanti tesoro, non mi dirai che avresti preferito ci fosse tuo padre al posto mio?- rigirò la domanda lasciandogli il tempo di pensare alla cosa.
No, decisamente no, sperava solo che anche Oregon non facesse anche lei la comparsa dell'ultimo minuto.
O meglio, Jaqueline aveva avuto il tempo di rivestirsi e scendere, o meglio cadere rovinosamente, giù dal letto prima che anche paparino andasse a controllare perchè la moglie ci mettesse tanto: fece qualcosa tipo rimanere a riflettere per un po', senza nemmeno dare l'impressione di averci capito la cosa, per poi avere una qualche illuminazione paterna.

Della serie che aveva sbattuto la coda a terra abbastanza violentemente da rompere una simpatica lastra di marmo.
Tralasciando i costi di sostituzione a cui aveva pensato successivamente chiarì subito la sua posizione:
-Io lo dicevo! Lo dicevo che era pericoloso lasciarvi da soli!- disse furibondo verso Ricardo che lo fissava annoiato, d'altronde la predica se l'aspettava
-Siete dei maniaci sessuali! Per tutte le fottutissime ragioni di questo mondo, dovete pensare cosa?
Ad accoppiarvi come conigli, ecco a cosa: come se ne valesse della sopravvivenza della nebulosa santo cielo!- continuò venendo zittito da Cassandra
-Come sei all'antica tesoro, nemmeno tuo padre ha mai fatto tanto storie- lo rimproverò sbuffando
-E poi non ti ricordi? Eravamo più giovani di loro quando hai avuto la brillante idea di mettermi incinta: non fare la predica a tuo figlio se poi sei stato peggio di lui.- concluse lasciandolo senza argomenti validi.
E dandone all'altro una moltitudine in più:
-Hai capito il vecchio moralista, viene a farmi tante storie quando si faceva le minorenni: sei vergognoso.- lo rimproverò facendo scoppiare a ridere Cassandra
-Ora che ci penso mancava una settimana al mio diciottesimo compleanno, è come se tu fossi stato un pedofilo mio dio!- esclamò tenendosi la pancia da quanto stava ridendo fra i sospiri rassegnati e le imprecazioni di Oregon
-La volete smettere di cambiare argomento?- chiese irritato
-Non siamo qui a parlare di ciò che facevo da giovane ma di questi due maniaci irresponsab...- non fece in tempo a finire che la moglie lo zittì
-Sì, sì hai ragione ma ora torniamo a fare quello che stavamo facendo e smettila di fare il vecchio bisbetico, altrimenti ti scordi che io dopo venga a letto con te- disse con una nonchalanche impressionante per poi girarsi verso Ricardo e Jaqueline che, come di consueto, erano tornati a farsi gli affari loro
-Per quanto riguarda voi due fate ciò che più vi aggrada senza ascoltare quel noioso di mio marito- continuò sfacciata ridacchiando
-Cercate solo di non avvelenarvi a vicenda che se poi qualcuno muore devo anche pagarvi il funerale santo cielo, proprio ora che avevo visto un collier nuovo.- concluse facendo per uscire
-E non fatemi diventare nonna, sia chiaro.- sospirò chiudendo la porta.
Jaqueline aveva tipo un'espressione sconvolta:
-Hanno grossi problemi i tuoi- asserì severa incrociando le braccia
-Per chi chi hanno preso? Per dei conigli che si accoppiano tutto l'anno?- chiese mentre l'altro scuoteva la testa in segno di dissenso
-I conigli si riproducono quattro volte l'anno, per essere precisi.- spiegò manco fossero ad una lezione di zoologia
-E come diavolo lo sai? Hai un coniglio? A me non pare proprio, a meno che Nala sia un coniglio.- chiese l'altra confusa
-Se definisci coniglio un roditore di un paio di metri che può tranciarti in due sì, a palazzo ho un coniglio.- rispose tranquillo come se fosse normale, almeno su un pianeta alieno, allevare animali simili
-Almia, si chiama Almia se vuoi saperlo.- precisò mentre la rossa lo fissava allibita
-Fammi capire: hai il dominio di un pianeta, della dmp e tra poco di altri tenere pezzi di roccia vaganti nello spazio ed ora, con un ragionamento piuttosto imbarazzante, mi vieni a dire che hai un coniglio? Un batuffolo di pelo morbido e paffuto?- disse curiosa per poi far cadere il discorso
-Tu mi spaventi, sei inquietante quando parli di cose tenere e paffute come i conigli quindi, che ne so, parliamo di cose inerenti ad omicidi che magari mi spaventi di meno.- concluse giocando con i capelli.
Conigli morbidi, paffuti e caldi.
Ok.


Bone si era svegliato di soprassalto con una sensazione che consoceva fin troppo bene, un qualcosa tipo che non sentiva praticamente il braccio destro, e giustamente il primo pensiero andò a ciò che Honey doveva essersi divertita a fare: non che la morfina fosse stata programmata, ma starlo a sentire tutto il tempo con i suoi "Fai piano qua, sposta di là, guarda qui, taglia lì" e conseguenti crisi nervose era davvero troppo anche per lei.
Fortunatamente si accorse che era seduta vicino a lui poco prima di iniziare a lamentarsi:
-Buongiorno, vedo che ti sei deciso a smaltire la morfina: ce ne hai messo di tempo vecchio mio.- gli disse mentre lucidava il fucile che, giusto per le evenienze, si teneva appresso
-Otto ore a dormire fanno comodo a tutti, tranne per chi se ne è fatte cinque fra pezzi di titanio che tagliavano vene a destra e a sinistra, coaguli che facevano il giro turistico dell'arteria brachiale ed ossa che non ne volevano sapere di essere tagliuzzate: dopo tutto sei in condizioni abbastanza presentabili per parlare con uno dei soldati di Oregon.- comunicò appoggiando l'arma.
Era seriamente possibile che gli amichetti ed i conoscenti di quella lucertola non lo lasciassero in pace?
Ok che stava progettando un'arma di distruzione, ma pretendere che dopo una giornata fosse tutto pronto per iniziare era leggermente esagerato:
-Cosa vuole?- chiese ancora mezzo addormentato e l'altra sospirò annoiata
-Ha riferito che vuole parlare con te di una proposta, così le ho detto che poteva parlare con me dato che sono il tuo vice ma ha insistito col voler dire tutto solo a te per cui non ho insistito.- spiegò facendo per alzarsi e sgranchirsi le gambe dopo tutto il tempo che era stata seduta
-Comunque sia ha delle belle curve, se proprio ti interessa.- concluse stizzita; non che fosse gelosa della cosa, ma di solito era lei la prima donna del gruppo: non Wolfrain, non un'altra, lei.
Honey decise di provare a nascondere quel pizzico di invidia con un sorriso come tanti altri, ormai era abituata a quel metodo da anni:
-Torniamo al mio mercenario preferito che tra poco si lamenterà del fatto che lo abbia drogato per farlo stare buono: vero che mi perdoni? Vero?- domandò con quegli occhi da cerbiatta, e lui si mise a sospirare -Ti devo una mano, quindi direi di sì, ma non ci riprovare o ti impicco con il tuo stesso intestino.- sentenziò fingendosi offeso.

Risolti i convenevoli e le scuse abbozzate si dedicò con un certo impegno a cambiare le bende che coprivano un lungo taglio che andava dall'avambraccio al polso e che si diramava per gran parte del palmo della mano:
-Mi hai dovuto resuscitare dal regno dei morti o sono sopravvissuto ai tuoi esperimenti?- chiese lui curioso, anche perchè non sentiva nulla dalla spalla fino alla mano stessa:
-Sei proprio un simpaticone sai? Tutto bene, tranne che all'ultimo momento sono stata abbastanza stupida da recidere un paio di vene: lo so, lo so, è un incidente da principianti, ma non sei morto dissanguato quindi ritieniti fortunato.- disse con un certo imbarazzo
-Comunque sia penso che dovresti riuscire a muovere il polso anche ora, hai abbastanza morfina in circolo da stordire un cavallo per cui il dolore non dovrebbe essere un problema.- continuò ridendo e facendo per uscire
-Appena hai finito vieni nel laboratorio, sono arrivate due chiamate che non ho aperto dato che erano per te: come vedi rispetto la tua privacy, naturalmente.- terminò ridendo.
Impiegò qualche minuto per riuscire a mettersi in piedi, senza contare morfina e sedativi vari, ed alla fine si era rassegnato a reggersi appoggiandosi alla parete proprio davanti allo specchio dell'armadio, una delle cose che non sopportava di quella stanza anche fin troppo grande per chi aveva passato cinque anni buoni in una cella sul cemento: le cicatrici si facevano sentire ogni dannata volta, proprio come faceva la sensazione del metallo freddo a contatto con la pelle di quando era sul fronte, ed i ricordi affioravano prepotenti fra gli angoli della mente che aveva preferito cancellare.
Ma d'altronde ogni volta che vedeva l'iride dell'occhio sinistro che da rosso intenso era sfumata in un rosso appena accennato e la pupilla che ormai non rifletteva più nulla se lo ricordava eccome: aveva finito Harvard, era entrato nell'esercito del pianeta Dokuro, lo avevano mandato al fronte, ci aveva perso un pezzo di vita, era stato promosse generale superiore, si era messo in proprio a fare il mercenario e poi niente, aveva avuto troppa pietà per uno sconosciuto e lo avevano sbattuto in cella a marcire come un cane.
Ed ora, dopo anni di silenzio, era tornato per costruire qualcosa che avrebbe dovuto mettere in ginocchio un intero pianeta, della serie "Allegri mercenari che allargano i propri orizzonti".
Solo che Bone Cold, di orizzonti a cui aspirare, ormai ne aveva ben pochi.

Honey lo aspettava nel laboratorio vestita con la sua solita camicia azzurro ghiaccio che si intravedeva appena sotto il camice bianco che, per quello che doveva essere il medico di bordo, era necessario portare con una certa disinvoltura femminile che solo lei possedeva certamente più di Wolfrain; Bone non le diede nemmeno il tempo di parlare che le fece segno di accettare l'ennesima video chiamata appena arrivata, tanto per cambiare.
Qualche secondo e quando il collegamento video si aprì sullo schermo gli si gelò il sangue nelle vene: era un uomo anziano, probabilmente sull'ottantina, il volto scavato da profondi rughe che lasciavano intravedere due occhi nocciola ancora vispi per l'età, il tutto contornato da una rada capigliatura brizzolata tipica di un uomo anziano
-Ah, signor Cold, quanto tempo che non la vedevo in giro, vedo che non vi siete risparmiato nel far perdere le vostre tracce.- disse con una voce fin troppo giovanile.
Claymore, avrebbe dovuto immaginare che fosse lui.

Per quanto Honey ad Harvard avesse frequentato solo i corsi della professoressa Hamilton conosceva Byron Claymore, il docente di fisica nucleare, o meglio era al corrente della sua fama di psicotico, ed era abbastanza felice di rivederlo dopo tanto tempo
-Signorina Cooper non si preoccupi, non mi sono dimenticato di lei per cui le porgo i miei più sentiti saluti e, se mi permette, vorrei aggiungere che è diventata una splendida donna.- continuò l'uomo con un certo fare da ragazzino, ma d'altronde non poteva non fare degli apprezzamenti.
Nel frattempo Bone stava ancora cercando di mettere a fuoco la situazione:
-Mi avevano detto che eravate morto, per quale motivo siete, come dire, vivo?- chiese con una certa difficoltà e l'altro lo fissò accigliato
-Sai com'è, c'erano un bel po' di persone pronte ad ammazzarmi per sapere qualcosa sull'arma a cui stavo, o dovrei dire stavamo lavorando: Excelsior mi ha dato solo problemi, dovresti saperlo- spiegò stizzito
-E ne sta dando anche a te: Oregon non cederà, quello te lo posso assicurare.- terminò lasciandolo basito.
Come diavolo conosceva Oregon?
L'anziano precedette la sua domanda:
-Non lo conosco di persona ok, ma la sua fama la conosco benissimo: non hai scelta, e nemmeno io ne ho, quindi anzichè star qui a parlare con un vecchio pazzo muoviti e costruisci quella roba se non vuoi morire.- disse con un tono quasi preoccupato, ma l'altro era solo confuso:
-Ci ho, voglio dire abbiamo, già provato ed abbiamo fallito, come può pensare che possa riuscirci da solo?
Non ho tempo per nulla, non so nemmeno dove trovare tutto e, anche se avessi il materiale, non saprei come assemblarlo!- gli urlò in faccia, d'altronde era vero, non aveva la minima idea del da farsi.

Claymore però sorrise, un sorriso stanco ed abbattuto:
-Non è questione di farcela o no, tu devi farlo e basta- ordinò severo -Pensi che non sappia quanto possa essere complicato?
Lo so Bone, è difficile, tutto lo è nella fisica, ma questa volta non puoi fallire- cercò di rassicurarlo
-Ti ho visto fare cose peggiori di Excelsior, hai superato me tante di quelle volte che ho perso il conto: sei un mercenario santo cielo, procurati un po' di uranio, laser qua e là e l'acciaio, non è così complicato!- sentenziò con un tono che mai gli aveva sentito
-Cerca di ricordarti almeno le lezioni di astrofisica sui corpi di Dyson, dovrebbero tornarti utili quando sceglierai contenimento della bomba.- concluse sfrontato.
Sembrò quasi che un lampo gli avesse attraversato la mente:
-Certo, tipo che prendo una sfera Dyson e ci metto dentro abbastanza uranio da far saltare un pianeta, tipo uovo di pasqua: lei ha grossi problemi con la fisica, figuriamoci con il terroris... Momento momento momento: lei mi prende in giro vero?- chiese temendo già la risposta
-Lei non mi sta dicendo che devo costruire una sfera Dyson vero?
No, certamente no, perchè lo sappiamo entrambi che è impossibil...- non finì che venne zittito dall'altro
-Sei in grado di farlo, te lo assicuro- disse rincuorante afferrando una calibro nove che aveva appoggiato sul tavolo e solo in quel momento gli altri due fecero caso al vociferare proveniente dall'esterno.
Seguì qualche minuto di silenzio, poi dei colpi sulla porta dell'uomo:
-Là fuori ci sono quelli dell'FBI, mi vogliono morto perchè ho rifiutato di dire al loro amico presidente i segreti che conosco sulla fisica nucleare, ma sai una cosa?
Ho già programmato la formattazione del computer centrale, ho dato fuoco ai miei appunti bruciando decenni di studi: mi vogliono morto ma non mi avranno.- continuò caricando l'arma.
Honey era immobile: -Non faccia ciò che penso, la prego!- disse sconvolta
-Perchè non da loro ciò che vogliono? la lasceranno in pace e lei potrà tornare a fare ciò che vuole, non servirà a nulla uccidersi prima!- urlò con tutta la forza che le era rimasta ma l'anziano scosse la testa
-Siete giovani, avete tutta la vita davanti e non potete capire: io sono solo un vecchio pazzo, la mia vita non vale più di tanto; morirò comunque, fra qualche anno, per questo mi rifiuto di farmi ammazzare: voglio morire da uomo libero signorina  Cooper, anche se temo che una donna come voi, mai stata sul fronte, non possa realmente capire cosa significhi la libertà per un uomo che ha passato la propria esistenza al servizio degli altri sempre con la testa china.- disse portando lo sguardo verso Bone Cold che se ne stava lì impassibile con i pugni stretti
-Non avrei voluto farti assistere alla mia morte, volevo risparmiartelo, ma non ho più scelta: in fondo in fondo sei un bravo ragazzo, lo sei sempre stato, ma tieni a bada le tue manie di protagonismo- raccomandò ridendo mentre si puntava la pistola alla mascella
-So che puoi farcela, quindi vedi di non deludermi.
E' stato un piacere lavorare con te ma tutto ha una fine e per me questo è il momento: il tempo non ha pietà, ricorda solo questo.- concluse premendo il grilletto e lasciando che il piombo facesse il resto.

Il vuoto.
Poi rumore di uomini che imprecavano sfondando la porta e trovando il cadavere della loro preda e poi, in una frazione di secondo, l'appartamento di Claymore che esplodeva in una miriade di frammenti uccidendo tutti i presenti e cancellando ogni traccia della sua esistenza.
Honey era crollata in ginocchio, la testa fra le mani cercando di reprimere le lacrime che le rigavano il volto cercando di convincersi che no, non era morto davvero; e poi c'era Bone, lo sguardo perso verso lo schermo nero che ormai non aveva più nulla da offrire se non un senso di immensa rassegnazione.
Lo aveva sentito, aveva percepito il suono del proiettile che sfondava la mascella e poi perforava il cranio.
Ed era terribile.
Eppure non riusciva a mostrare quello che stava provando, un misto fra la rabbia di non essere potuto intervenire e la consapevolezza che alla fine aveva ragione: non c'era scelta, non ce n'era mai stata per nessuno dei due, l'unico cosa da fare era obbedire, almeno in quel frangente.
Raccolse tutta la forza di volontà che aveva e tirò un respiro profondo, mettendo alla prova quei dannati polmoni che si trovava:
-Vedi di alzarti e riprenderti in fretta- rimproverò la ragazza che lo guardava stranita
-Hai detto che c'è uno dei soldati di Oregon?
E allora fammici parlare, abbiamo perso già troppo tempo.- concluse facendo per andarsene ma si fermò qualche secondo dopo aver fatto un paio di passi
-Quando hai un momento libero chiama Leftika e dille di iniziare a tessere le sue reti burocratiche con i fornitori e le ambasciate: non voglio sorprese quando arriveranno cinque tonnellate di uranio fresche di giacimento altrimenti la riterrò diretta responsabile.- terminò girandosi ed andando nell'altra stanza per parlare con la nuova arrivata da parte delle lucertole aliene.
Ci aveva provato, fino alla fine insomma, ma Honey era riuscita a cogliere quell'unica lacrima solitaria che era caduta a terra in modo quasi impercettibile.
-Mi dispiace Bone, mi dispiace tanto...- sussurrò curandosi che non la sentisse.
Ed era vero.



_________________________________

Angolino dell'autrice

Premessa: boh, non so nemmeno per chi sto scrivendo questa fanfiction.
Ah sì, per me stessa, per Ms_Fly e.. niente, nessun altro.
La cosa è abbastanza irritante, soprattutto perchè poi le stesse persone che smettono di recensire ad un tratta ti chiedono di continuo:
"Ti va di recensire il mio nuovo capitolo?"
No, non mi va.
No, non chiedetemi di recensire perchè me ne frego altamente.
Rispetto, sapete cosa accidenti eh?
No, alcuni non lo sanno.
Vorrà dire che farò la stessa cosa, me ne infischierò beatamente come fanno certi, non pensate che mi importi.
Ok, dopo l'ennesimo sfogo che mi sta portando all'esaurimento non ho nulla da dire, se volete (ma tanto so che non volete quindi boh, lo dico per pietà verso me stessa) lasciate una recensione.
Ah dimenticavo, costa fatica farlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Eye of the Tiger ***


Jaqueline si era ormai completamente abbandonata nelle mani di Cassandra che la stava sistemando come se dovesse andare a fare chissà cosa, senza considerare che era nuda come un vermetto dolce ed affettuoso: le si mozzava il fiato ogni volta che stringeva il corpetto coperto di pietre che scendeva fin sotto i fianchi dell'abito a sirena blu cobalto che le aveva regalato per l'occasione, probabilmente il risultato di qualche complotto con Estrella fatto in sua assenza dato che nemmeno lo aveva visto alla botique.
Quando finalmente finì di sistemarle il vestito la fece girare per controllare che non ci fossero spiacevoli pieghe in giro:
-Sei perfetta tesoro mio, sembra fatto proprio per te.- puntualizzò studiando ogni minima angolazione
-Ti piace?- le chiese infine notando quel velo di preoccupazione che l'altra stava cercando di controllare, evidentemente senza riuscirci.
La rossa stette in silenzio per un tempo che le parve infinito, poi annuì debolmente abbassando lo sguardo e rivolgendolo ad un punto non ben definito: era inutile dire che le piacesse all'inverosimile, era davvero stupendo, ma non sentiva sua tutta quell'eleganza, tutte quelle attenzioni che Cassandra le dava come se fosse la cosa più naturale del mondo proprio non le appartenevano.
Sembrava troppo bello perchè potesse durare, pensava solo a quell'eventualità.
Lei le sollevò il mento con un dito e la fissò con quello sguardo materno che si portava sempre dietro con chiunque:
-Vuoi parlarne?- domandò come se sapesse già che sì, aveva bisogno di parlare e no, non aveva nessuno con cui farlo; non riusciva a dire nulla, proprio non trovava le parole per iniziare ma raccontarle di come si sentisse inadeguata.
Nonostante avesse una pazienza infinita Cassandra capì presto che non avrebbe concluso niente con le parole, servivano solo i fatti a questo punto:
-Chiudi gli occhi e non muoverti, io torno subito.- le disse dileguandosi nella stanza adiacente senza troppi giri di parole; ok, era abbastanza inquietante ma va beh, non aveva nulla di meglio da fare, così decise di obbedire e si sforzò di non aprire gli occhi per la curiosità.

Della serie che quando li aveva riaperti ci mancava poco che le venisse un infarto.
Facendo il punto della situazione poteva anche accettare un anello da qualche migliaio di dollari, non aveva troppi problemi nel farlo.
E anche un abito dopo l'altro.
E magari anche qualche borsa nuova.
Solo che una corona no, quella proprio non riusciva ad accettarla nemmeno se si sforzava con tutta sè stessa.

Dovette fare affidamento a tutte le sue forze per risponderle:
-Cosa dovrebbe significare?- domandò confusa -Non ho nessun titolo per portarla, lo sai anche tu e poi non ho motivo per andarmene in giro a fare la principes...- continuò quasi infastidita venendo fermata prima di finire; l'altra non si scompose, sorrise e le prese la mano:
-Una principessa non si misura da quanti gioielli indossi, da quante cameriere abbia a palazzo, da quanti uomini le facciano la corte, da quanti visoni abbia sulla pelliccia o da quante ore passi nel bagno a sistemarsi i capelli.
Puoi essere te stessa ed essere una principessa ogni giorno, ogni secondo, ogni attimo senza niente di tutto ciò: devi solo essere felice.- disse facendosi seria
-Non importa da quanto tu possa partire in vantaggio: ricordati che anche chi parte dal ciglio di una strada arriva al trono.- concluse lasciandola senza argomentazioni, solo con un profondo senso di rispetto verso Cassandra che, nonostante ora avesse tutto ciò che l'universo avrebbe potuto offrirle, non si dimenticava certo dei tempi in cui girovagava fra le favelas senza meta.
Jaqueline guardò per un'ultima volta la sua immagine riflessa allo specchio e si convinse che, in fondo in fondo, non era poi così male fare quello che doveva fare;  serviva solo trovare un po' di coraggio, andare là fuori e sbattere in faccia al mondo che ormai la Terra e la Muscle League non avevano più nulla a che fare con lei: Arkanta era la sua casa, i raptor la sua famiglia, non poteva chiedere altro.
Se non un altro anello ovviamente, quelli erano sempre ben accetti.
Dato che non c'era più molto su cui discutere fece un breve inchino e ringraziò Cassandra dell'opportunità che le era stata data, poco prima che lei se ne andasse via per finire di sistemarsi per "rendersi presentabile a quel branco di oche".


Non fece nemmeno in tempo a sedersi che si trovò con una coda che terminava con un ciuffo rosa e bianco nel riflesso dello specchio:
-Siete incantevole oltre ogni dire.- disse Berenix chinando la testa e lasciando che una ciocca di capelli le cadesse davanti agli occhi, poi se li sistemò con una vanità innaturale: le squame opalescenti che riflettevano il riflesso delle gemme sul vestito dell'altra, il corpo sinuoso e vagamente serpentiforme strizzato nell'armatura bianca e rosa che, per quanto potesse aver visto sangue ed ossa tranciate, sembrava lucida come il primo giorno che l'aveva indossata.
Era tremendamente perfetta, e ne era consapevole.
Jaqueline la congedò invitandola ad evitare quel tono formale che trovava insopportabile, alla fine era l'unica fra le Valchirie con cui avesse un minimo rapporto di amicizia e no, non voleva che la trattasse come la principessina di corte:
-Ti ringrazio e ricambio naturalmente il complimento- le disse sorridendo
-Sei venuta per riferirmi qualcosa per caso?- domandò e lei annuì senza troppi convenevoli, sapeva bene che Berenix non era una di quelle persone che amavano girare intorno ad un discorso per farlo:
-Vostra Eccellenza l'Imperatore ci tiene a ricordarvi che i vostri ospiti arriveranno a momenti e la vostra presenza è di vitale importanza, per questo vi chiede di scendere appena sarete pronta e vi sentirete a vostro agio.-concluse facendo per uscire, non prima di un breve inchino; la rossa fece un cenno di assenso e la lasciò tornare a fare ciò che doveva, con Oregon i ritardi non erano certo ben accetti.
E in effetti anche lei doveva darsi una mossa, così tirò un respiro profondo e si guardò allo specchio per l'ennesima volta: era arrivato il momento di mostrare a tutti ciò che era diventata alla faccia loro e di quelli che l'avevo considerata solo come la puttanella di casa McMadd.


Aveva sceso le scale con una camminata talmente regale da far salire una punta di invidia a Berenix, che nel frattempo se ne stava di fianco ad Oregon con la solita espressione severa del generale qual era, e riempire d'orgoglio Cassandra che poteva constatare il frutto del suo duro lavoro da "insegnante di buona educazione a corte", l'ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stato trovarsi su Arkanta con una ragazzina che non sapeva come muoversi di fronte a delle lucertole psicotiche.

Stava per fare un discreto inchino di fronte ad entrambi quando restò abbastanza impallidita davanti ad un'adorabile tigre di tre metri dal manto bianco nella parte inferiore e di un blu-nero sul resto del corpo che se ne stava di fianco a Cassandra nemmeno fosse un gatto, gli occhi gialli fissati su di lei come a studiarla.
Con un fiocco rosso intorno al collo tra l'altro.
Giustamente le stava già ruggendo contro perchè non bastavano i rettili, servivano anche i felini abnormi, a quanto pare aveva intorno uno zoo:
-Oh tesoro mi ero dimenticata di presentarti Belize- si scusò la donna accarezzando quella sottospecie di gatto domestico che faceva le fusa al tocco della sua mano sulla sua schiena, evidentemente aveva grossi problemi mentali se stava seriamente così buono; una domanda tuttavia le sorse spontanea:
-Non per puntualizzare ma una tigre, come dire... blu ecco... non l'avevo mai vista.- disse con un certo imbarazzo mentre l'altra rideva divertita:
-Pianeta Giava, un pezzo di roccia vagante dove sono state confinate alcune rarissime razze animali introvabili altrove per preservarle dall'estinzione, lei è stata il regalo di nozze della madre del mio amorevole compagno.- spiegò mentre l'animale si sedeva al fianco della ragazza leccandole la mano, cosa abbastanza inquietante:
-Devi piacerle visto? Non penso voglia mangiarti, questa mattina ha già fatto colazione.- la rassicurò mettendole invece i brividi.
Punto uno: stare lontano da quel gatto pensò Jaqueline inquieta.
Un pochino diverso da una tigre, ma ugualmente guidato da un istinto omicida verso qualunque cosa si muovesse, era Oregon che la guardava attentamente, come se volesse trovare qualcosa di cui lamentarsi:
-Vedo che ti sei preparata a dovere- asserì facendo riferimento alla corona che aveva accettato di portare, poi prese ad ondeggiare nervosamente la coda
-Mi aspetto che tu mantenga un comportamento consono quest'oggi: valuta bene ogni parola perchè ho la memoria piuttosto lunga e mi ricorderò di tutto, chiaro?- domandò e lei annuì cercando di mantenere la calma, l'unica cosa che voleva era finire il più presto possibile per uscire da quella situazione emotivamente stressante.
E poi aveva fretta.

L'unico che sembrava seriamente tranquillo, per non dire completamente estraneo alla situazione, era Ricardo: proprio non gliene fregava niente di quello che tutti stavano complottando, avrebbe voluto mandare al diavolo Oregon e magari, perchè no, tornare a fare la vita di prima, quella pre-arrivo famigliare di massa.
Tuttavia, per quanto suo padre avesse messo su quel teatrino per riprendersi la corona chojin appositamente a sua spese e per quanto fosse estremamente difficile e vincolante l'esistenza con lui in giro, aveva dannatamente ragione: da lì a poco trovarsi ancora Kid Muscle davanti avrebbe risvegliato la vena omicida che se ne stava ad aspettare il momento buono per scatenarsi e non poteva permettersi il lusso di perdere il controllo.
Perchè se non ci fosse stata anche Jaqueline avrebbe fatto un massacro, nessuno glielo avrebbe impedito di sicuro: nè Oregon, nè Cassandra.

La ragazza gli si avvicinò cauta vedendo che faticava a mantenere i nervi saldi in quella situazione, cercò un minimo segno di complicità per capire che no, non era da sola ad affrontare tutto quel trambusto che si sarebbe creato dopo l'incontro; istintivamente passò la mano sulle squame lucide color zaffiro stando attenta a non tagliarsi: la sensazione di freddo che le trasmettevano aveva un qualcosa di terapeutico per sciogliere la tensione, un misto fra una realtà completamente distaccata dalla sua ed una più vicino di quanto pensasse.
Fu un attimo quello durante il quale si scambiarono più parole di quante ne avrebbero potute dire di fronte a quei due guardoni che non erano altro:
-Sei meravigliosa, proprio come il primo giorno.- le disse semplicemente senza girarci intorno e senza dilungarsi troppo, a volte era decisamente meglio dire poche cose ma sensate ed efficaci; l'altra sorrise e rispose con un flebile grazie per poi girarsi verso il trono in fondo alla grande sala che la stava aspettando, si stava giocando il suo futuro e doveva arrivare fino in fondo, era un suo dovere che conosceva bene.
Se dobbiamo farlo, facciamolo si disse fra sè e sè prima di guardare l'entrata con un'aria di sfida che nemmeno lei si aspettava di possedere.
Venite pure, sono qui ad aspettarvi.


E Meat, naturalmente con tutta la sua allegra banda di adolescenti in preda agli ormoni, erano arrivati eccome davanti all'ingresso del quartier generale della dmp.
Ognuno sembrava poco più serio di prima, almeno all'apparenza: Robin Mask era l'unico preoccupato fra tutti che riusciva a non darlo a vedere, come solito manteneva quell'aria imperturbabile da bravo inglese qual era, Kid al contrario stava letteralmente per farsela addosso e, nonostante portasse abiti e mantello come volevano le regole alla corte del Muscle, si sentiva tremendamente inadeguato: stava andando a contrattare per salvare la vita a sua madre, cosa poteva andare storto?
Tutto, praticamente tutto.
Meat si mise a fare da guida al gruppo: -Mi raccomando statemi vicini così eviteremo di creare scompiglio: quando vi dirò di andare voi potrete entr... ragazzi?
Ragazzi fermi!- urlò contro gli altri che avevano lasciato lui e Robin come due pesci lessi a guardarli mentre andavano ufficialmente incontro ai simpatici amici di Oregon.
Se non fosse stato per Berenix che bloccava loro il passaggio.

Richiamò l'ordine battendo con violenza la coda a terra ricevendo l'attenzione che le era dovuta, anche troppa dato che Kevin, troppo impegnato a pensare alle eventuali conseguenze dei loro gesti oltre quella soglia, inciampò cadendo rovinosamente nello stagno dei pesci:
-Santo cielo devi sempre farti riconoscere!- gli urlò contro suo padre cercando di contenere la rabbia e l'imbarazzo.
Ottimo inizio... pensò Meat temendo per altre figuracce, che non tardarono certo ad arrivare dato che l'inglese saltò improvvisamente in piedi di conseguenza a "qualcosa che gli aveva appena assaggiato le natiche": e in effetti era stato abbastanza inquietante vedersi una bestia un metro e mezzo con dei fottuti denti di sette centimetri che lo guardava come se fosse la sua cena.
Anche se probabilmente lo sarebbe stato.

L'altra sospirò nascondendo il divertimento a vedere certe cose, era palese che fossero abituati alla mondana vita metropolitana:
-Mi scuso se avete avuto un incidente con il payara signor Mask, vi pregherei di stare attento a dove mettete i piedi: non vorrei che dobbiate catturarne uno nuovo a Vostra Maestà, diventa particolarmente irascibile quando qualcuno tocca i suoi pesci.- lo rimproverò severa e fredda lasciando di stucco i presenti
Il giovane kinniku improvvisò un maldestro inchino con il quale rischiò di cadere anche lui come un idiota e l'altra ricambiò stizzita:
-Immagino che voi siate i membri della Muscle League venuti a chiedere udienza a Vostra Eccellenza l'Imperatore, vi pregherei di seguirmi.- comunicò con tono marziale per poi girarsi verso l'ingresso; mentre gli altri la stavano seguendo furono Nala e Noir a sbarrare loro la strada ringhiandogli contro con gli artigli ancorati al terreno ed i canini color avorio pronti a serrarsi intorno alle loro gole.
Kid giustamente, dando prova del suo immenso coraggio, si rifugiò dietro Kevin implorando gli animali di lasciarlo in pace, così Berenix ne approfittò per tirare una delle sue leggendarie frecciatine:
-Siete davvero penoso per essere il campione terrestre, sperate forse di avere qualche speranza davanti alla famiglia imperiale?
Persino la principessa potrebbe sconfiggervi senza grossi problemi, figuriamoci Vostra Eccellenza.- affermò sicura e sfrontata, poi con un gesto fece spostare i due felini lasciando allibito il giovane; Kid si sentiva ferito nell'orgoglio, così provò a controbattere:
-Penoso? Stami a sentire bellezza io ho sconfitto la dmp! Io e basta!- gridò pensando di farsi valere come chissà chi.
Pessima mossa.

Un gesto fulmineo e si trovò a terra, gli artigli puntati alla gola e la coda stretta intorno al corpo immobilizzandolo:
-Non osate darmi del tu o vi assicuro che vi apro il torace e suono Jingle Bells con le vostre costole, chiaro?- domandò senza aspettarsi una risposta, poi si alzò e fece aprire l'ingresso come se nulla fosse.
Meat e Robin non erano sconcertati da tanta violenza, ma dal fatto che nessuno dei ragazzi fosse intervenuto: potevano sentire chiaramente il terrore dilagare fra di loro, e non era un bene.
Non era quello a preoccuparli, era ciò che videro quando entrarono piuttosto a far venire loro i brividi e a far paralizzare letteralmente il kinniku.
Fra giaguari, pesci e lucertole l'incontro era iniziato benissimo, ed era stava anche andando peggio:
-J-Jaqueline...?- balbettò allibito.
Eh già.


La rossa se ne stava seduta sul suo trono di agata verde finemente intagliata, in netto contrasto con l'altra seduta di onice blu, con uno sguardo altezzoso che avrebbe superato anche quello di Berenix: aveva un certo portamento regale, tanto da sembrare completamente a proprio agio in una situazione simile, impassibile e risoluta come non era mai stata.
Persino Ricardo era riuscito a darsi una calmata ed ora se ne stava al suo fianco sfoggiando tutta la lucertolosità dei raptor come aveva espressamente chiesto Oregon, risultato di quel dannato mese passato sul suo amato pianeta natale: le squame azzurre e bianche si intravedevano qua e là quando non erano coperte dall'armatura, molto simile a quella di Berenix se non per i dettagli neri anzichè rosa ovviamente, il mantello rosso bordato di ermellino che ricadeva a terra dal quale faceva capolino la coda coperta da spesse spine ossee coperte di profonde cicatrici ormai richiuse.
Fra tutti, tralasciando Kid Muscle ancora intontito, Kevin Mask era l'unico che stava seriamente tremando come una foglia: ok, non era una bestia di dodici metri come l'altra volta, ma non si sentiva comunque al sicuro a sapere che si trovava in territorio nemico; alla fine il kinniku prese parola e si fece forza:
-Jaqueline... cosa significa tutto questo? Cosa stai facen...- disse quando venne interrotto da una colpo di coda dritto alla caviglia da parte di Berenix:
-Insolente che non siete altro, non avete il diritto di rivolgervi cosi famigliarmente alla principessa, chiedete prima diritto di parola o sarò costretta a farvelo capire con i miei metodi.- asserì seria guardandolo dall'alto in basso con uno sguardo pieno di odio e ribrezzo verso quella razza di maiale all’ingrasso viziato e mentalmente arretrato.

Dopo aver scambiato un veloce sguardo con Oregon e Cassandra, che se ne stavano da una parte da soli a guardare pur sempre con il loro ruolo di imperatori, la ragazza rispose senza girarci troppo intorno:
-Non faccio proprio nulla che non abbia il diritto di fare, sono abbastanza grande da poter decidere da sola ciò per cui combattere e le persone di cui circondarmi, non mi servono i perdenti come voi pronti solo a strisciare sbavando ai miei piedi- si affrettò a spiegare altezzosa, ma l’altro non voleva demordere:
-Perdenti? Fino a prova contraria quella… cosa ecco, che ti trovi vicino ha perso contro i sottoscritto, i perdenti sono altri e non certo noi!- provò a dire in un impeto di orgoglio ferito senza ascoltare Kevin che gli suggeriva invano di stare zitto, aveva la lingua fin troppo lunga:
-Santo cielo Jaqueline, sei diventata cieca forse?
Ti rendi conto di essere finita in mezzo a quelli che noi combattevano, quelli che hanno cercato di radere al suolo questo pianeta? Rispondimi!- concluse avvicinandosi con aria minacciosa.
Questa volta non fu Berenix ad intervenire, ma fu Ricardo stesso a mettersi in mezzo alla questione: sia perché Kid si sentiva particolarmente potente senza motivo, sia perché avevano appena tirato in ballo la dmp senza nemmeno chiedere, sia perché nessuno doveva parlare così alla sua Jaqueline.
Sebbene portasse l’armatura i movimenti restavano abbastanza fluidi da permettergli di scagliare il kinniku contro una colonna a pochi metri con una codata che lo fece piegare in due dal dolore, se pensava che quel confronto sarebbe finito come le semifinali si sbagliava di grosso:
-Non ti conviene essere così certo della tua vittoria, qualcosa potrebbe andare storto Kid Muscle, o magari qualcuno si farà male chi lo sa.- asserì stringendo gli artigli alla gola e rendendo vano ogni tentativi di opporre resistenza.

Solo dopo interminabili minuti mollò la presa e se ne tornò soddisfatto al suo posto lasciando che un velo di terrore prendesse spazio nella mente del kinniku rendendolo incapace di controbattere così, dato che le cose si stavano esageratamente surriscaldando, Meat decise di fare lui da portavoce rivolgendosi ad Oregon:
-Non per dire ma King mi aveva riferito di una contrattazione con te personalmente, per quale motivo hai cambiato l'ordine delle cose?- chiese con una certa curiosità ma l'altro non si scompose
-King manda qui suo figlio ed io mando il mio, non mi pare così complicato da capire: perchè Meat, qualcosa in contrario?- rigirò la domanda ottenendo come risposta un sonoro no, l'ultima cosa che voleva era vedere un massacro in diretta.
Stabilite le basi per una conversazione più o meno civile, e dopo aver fatto calmare gli animi, la rossa decise di avviare le contrattazioni:
-Immagino vi troviate qui, con tanto di seguito tra l'altro, per avere l'antidoto che potrebbe salvare la regina Belinda, tuttavia mi chiedo perchè non abbiate chiesto questo ai diretti interessati- disse fingendo di non sapere che Mizuki aveva già rifiutato animatamente la proposta; Kid si fece forza e, dopo aver fatto un leggero inchino come aveva ordinato Berenix, rispose alla domanda:
-I sovrani di Iga hanno deciso di non aiutarci principalmente per alcuni... torti diciamo, che mio zi... ehm che il sergente Ataru ha fatto alla famiglia reale, credo sia questo il motivo per cui siamo qui a chiedere a voi di farci da tramite, più o meno.- spiegò distogliendo lo sguardo, ma lei non aveva affatto intenzione di accontentarsi
-Torti? E di che tipo? Non penso che, facciamo un esempio, semplici promesse non mantenute spingano due imperatori a rifiutare la richiesta di aiuto da parte dei propri vicini di pianeta non credi?- continuò sapendo bene di toccare una argomento che Meat preferiva non sollevare.

Ci mancava quello, proprio utile davanti ai propri nemici:
-Non penso sia importan...- cercò di intervenire prima di essere fermato dalla ragazza stessa:
-Oh no, lo è eccome: forza Kid, raccontaci di quel sant'uomo di tuo zio, siamo tutti qui per ascoltarti e, perchè no, valutare la nostra idea sull'aiutarvi o meno- disse per poi alzarsi ed iniziare a camminare avanti e indietro:
-Partiamo dal presupposto che i femori non si rompano da soli, che gli omeri non si divertano ad uscire dal gomito e che le costole non si spezzino volontariamente: credi davvero che la leggendaria massima sfida dei Muscle non fosse preparata a tavolino?
Come anche la Generazione X ovviamente: mio padre ha sborsato fior di milioni per portarti fino alla fine, chiedi anche a Jeager, lui dovrebbe saperlo bene.
Quando queste cose escono da palazzo diventano pericolose, non trovi tremendamente divertente che Iga si rifiuti di aiutarvi? Io avrei fatto lo stesso.- concluse godendosi l'espressione del ragazzo che, allibito, era visibilmente preoccupato di cambiare argomento.
Cercando di sbrogliare la situazione riportò l'attenzione su Belinda:
-Si tratta di mia madre, non di mio zio o di me: morirà se non avrà l'antidoto quindi, per favore, aiutateci ad ottenerlo.- la implorò con le lacrime agli occhi, ma niente di quello che stava facendo sembrò avere effetto nè su di lei nè su Oregon e Cassandra, che anzi si stavano divertendo.

Ricardo allora si unì al divertimento puntualizzando una cosuccia da nulla:
-Morirà comunque, antidoto o meno: vi svegliate dopo giorni a venire qui ad implorarci e pretendete anche che il tutto abbia effetto?
Siete proprio stupidi, lasciatemelo dire: di solito una persona in un caso simile si mobilita subito, non dopo svariati giorni passati a pensarci sopra.- sentenziò ondeggiando placidamente la coda
-Cosa ve ne importa, ormai ha le ore contate lo stesso, la colpa è vostra e del dannato orgoglio che credete di avere.- terminò certo di aver centrato l'obbiettivo.
Il silenzio calò su tutti i presenti: nessuno aveva pensato che, anche se avessero provato a salvare Belinda, ci sarebbero state svariate possibilità che morisse comunque.
A Kid si gelò il sangue nelle vene fino a quando, dietro suggerimento di Oregon, l'altro aveva tirato fuori una boccetta che, almeno per colore e consistenza, sembrava realmente il tanto agognato antidoto.
Se non fosse che si trattava del veleno di uno dei simpatici ragni erranti brasiliani che Cassandra allevava amorevolmente: qualcosa come una dose minima per produrre effetti devastanti, proprio ciò che serviva.
Voleva dargli qualche speranza sì, ma di uccidere la donna più velocemente:
-Avanti, prendilo pure, a me non serve di certo.- disse con nonchalance dandolo a Berenix che poi glielo consegnò: non poteva crederci, avrebbero salvato Belinda, e lo avrebbero fatto davvero!
Più o meno insomma.

Lui restò sulla difensiva ancora qualche istante, poi la raptor gli passò un foglio da firmare:
-Semplice presa di responsabilità: se l'antidoto non farà effetto a causa della vostra attesa nel chiedere aiuto mi ritengo sollevato da ogni responsabilità, non ne voglio sapere niente di niente.- spiegò prima che Kid, Meat ed anche Robin firmassero, il primo per conto del re e gli altri due come testimoni dell'avvenuto accordo.
Ricardo non aveva intenzione di trattenersi oltre con quel branco di carne da macello, motivo per cui subito dopo li invitò cortesemente ad andarsene:
-E' meglio per voi se ve andate prima che cambi idea, vi ho visto già abbastanza per quest'oggi e per il resto della mia esistenza.- li congedò freddo e distaccato come aveva imparato ad essere da Oregon; Kid Muscle non poteva credere che fosse vero, soprattutto perchè stava parlando con quello che avrebbe dovuto essere un suo nemico giurato:
-Vi ringrazio, non so come potrò sdebitarmi per questo: grazie, grazie davvero.- concluse il kinniku uscendo e chiudendo le porte lasciando dietro di sè il silenzio.
La dmp stava rimontando, e non di poco.


Se sulla Terra gli incontri improbabili fra dmp e Muscle League erano temporaneamente finiti, su Iga il peggio doveva ancora iniziare: tralasciando Soichiro che era già con gli ambasciatori delle province alla fortezza del lago Yuna, Mizuki si stava divertendo a tenere testa ad un kalashnikov puntato alla tempia; trovava particolarmente divertente che ci fosse seriamente qualche psicopatico che si potesse mettere in mezzo fra le leggi di Iga e il futuro di un intero pezzo di roccia.
E poi, se proprio doveva essere sincera, con i mercenari non andava d'accordo.
Sebbene il suo esercito ne facesse uso quotidianamente.
Era però necessario riconoscere che in quel frangente essere l'imperatrice potesse servire a ben poco dato che nè le sue guardie nè le sue sacerdotesse erano in vista: uno degli inconvenienti della preparazione di chissà quale cerimonia che, se si vuole dirla tutta, era la classica trovata "tanto fumo niente arrosto": tante belle parole per avere il diritto di governare come meglio si credeva un pezzo di roccia e plutonio vagante nello spazio circondato da innaturali stelle collassate.
Tuttavia, per quanto di solito Mizuki fosse una donna ragionevole e sicura di sè, non si sentiva propriamente agiata quando c'era Bone Cold in giro, le dava uno spiacevole senso di insicurezza che uno psicotico del genere potesse scorrazzare liberamente sul suo pianeta quando questo era praticamente esposto a qualsiasi attacco: quasi quasi, se non avesse saputo che a quanto pare era lo spacciatore di ordigni nucleari di Oregon, lo avrebbe mandato all'inferno di persona.
E poi niente, c'era Hanzo che proprio se ne fregava altamente di tutto e di tutti: considerando il fragile equilibrio mentale in stato precario che lo divideva dal commettere omicidi famigliari si poteva dire che si stava impegnando per non compromettere l'immagine che Soichiro aveva impiegato settimane a creare.

Bone Cold da parte sua non faceva caso a quello che diceva Mizuki, era come se lei stesse parlando al vento: aveva un kalashnikov santo cielo, poteva anche farle saltare il cervello, solo che dopo avrebbe fatto lui la stessa fine; il problema era che con lei, quando si impuntava su qualcosa, era impossibile parlare normalmente:
-Credi seriamente che un pezzo d'acciaio possa bastare a salvarti il culo?- chiese con quel fare arrogante che, almeno negli ultimi tempi, preferiva di gran lunga utilizzare; naturalmente la donna non poteva non controbattere:
-Io almeno il culo non lo do' al primo che passa.- rispose sprezzante del pericolo.
E infatti si trovò a terra con la canna del fucile in fronte:
-Oh certamente, chissà a quanti l'hai dovuto dare per arrivare fin qui: è proprio vero che le puttane sono ovunque, magari anche al trono.- disse nemmeno fossero degli adolescenti che facevano a gara di insulti.
Seguirono dieci minuti buoni ad insultarsi come degli idioti mentre Hanzo si godeva la scena allibito: -Per quale assurdo motivo vi comportate come due teenager che si contendono il ragazzo?- intervenne severo, poi si rivolse verso sua madre
-Tornatene dalle tue sacerdotesse e non provare a rifare una cosa simile, è penoso ed indubbiamente imbarazzante pensare di essere tuo figlio.- la congedò assicurandosi che se ne fosse andata davvero, poi invitò l'altro ad entrare e chiuse la porta a chiave per evitare spiacevoli inconvenienti.


Bone si sedette controvoglia sul davanzale e si accese una sigaretta, Honey lo avrebbe ucciso se lo avesse saputo ma d'altronde lei non c'era:
-Salterò la parte in cui dovrei ringraziarti per avermi liberato da quell'arpia e ti dirò subito che sei proprio uno svergognato, indecente che non sei altro: non stiamo facendo un calendario porno, non-è-così.- asserì con un'inquietante serietà alludendo al fatto che, nonostante ci fossero una decina di gradi sotto lo zero in piena notte, andarsene in giro a petto nudo era l'idea migliore che si potesse avere.
Soprattutto se si avevano grossi problemi psicologici.
O psichiatrici.
Giustamente l'altro sospirò rassegnato, con Bone c'era ben poco di cui discutere:
-Non hai niente di meglio da fare, davvero niente di niente?
Commissioni da mercenario, ordini di Oregon, andare a puttane, proprio nulla? - domandò e lui fece segno di no, purtroppo:
-Un giorno ti ci porto, chissà che finalmente mi darai qualche soddisfazione e la smetterai di fare quello sessualmente represso della compagnia.- asserì con una nonchalance impressionante, stava decisamente fuorviando il discorso iniziale.
E si notava non poco: -Tu hai grossi problemi, te l'ho ripetuto decine e decine di volte che magari parlare di cose serie è decisamente più costruttivo, o magari è meglio spostarsi sulla questione allegri-femori-che-si-spezzettano-placidamente: conversiamo su Macklemore Cave piuttosto.- disse senza dargli troppe vie d'uscita; Bone lo fissò giusto qualche istante, tanto per assicurarsi che non avesse intenzione di ucciderlo prima, e soprattutto per cercare di capire come diavolo sapesse già di cosa voleva parlare:
-Non per intromettermi ma come sarebbe a dire che...- non riuscì a finire che venne zittito senza nemmeno aspettarselo
-Sensi di colpa, i tuoi sono così dannatamente prevedibili che ormai se non è una cosa allora è l'altra; e poi niente, mi fissi la cicatrice come se fossi dio sceso in terra, anche se magari potresti avere ragione.- spiegò freddo, si vedeva che non voleva toccare l'argomento.
Come sempre del resto.
Macklemore Cave, ovvero "pratico manuale sul come farsi catturare mandando a quel paese otto mesi di latitanza".
Non prima di scannarsi a vicenda, quello proprio non potevano evitarlo.

Inutile dire che Bone Cold si sentì soffocare dai sensi di colpa, quegli amorevoli sensi di colpa che lo perseguitavano da cinque anni buoni: sapeva fin troppo bene che era stata la sua geniale trovata, unita ad un innato senso di omicidio intenzionale premeditato, ad aver scatenato il putiferio nel giro di qualche ora.
Della serie che, cronologicamente parlando, aveva pensato bene che se anche l'altro non era d'accordo non cambiava nulla; i problemi erano iniziati quando aveva detto un paio di paroline in più che, se magari fosse stato zitto come suo solito, gli avrebbero risparmiato una cicatrice in piena faccia, non era stata una grande trovata quella di ignorare il fatto che anche se Hanzo non se ne andava in giro con una spada in bella vista poteva fargli male senza troppi problemi.
E di risposta era quasi riuscito a cavargli un occhio accidenti, c'era davvero andato vicino, solo che il pugnale gli era scivolato di mano prima che riuscisse nel suo intento e niente, aveva solo scavato un solco fino al collo causa polso spezzato: dio solo sapeva quanto si fossero divertiti a farsi fuori a vicenda, anche se la tregua obbligatoria per riuscire ad oltrepassare il confine indisturbati era durata finchè avevano potuto, poi Ataru era arrivato con il suo simpatico esercito e basta, era finito tutto.
Niente di che ovviamente, solo che fra Bone Cold con una commozione cerebrale ed Hanzo con un femore che gli usciva dalla gamba le scelte si erano ridotte ad un'umiliante quanto vergognosa resa senza nemmeno opporre resistenza.
Sì, faceva schifo.
Sì, lo sapeva mezza galassia, Mizuki e Soichiro compresi.
Ecco.


Nella stanza c'era un silenzio che Bone, nonostante avesse sperato che la situazione non degenerasse troppo, non si aspettava effettivamente, avrebbe preferito che avessero iniziato a litigare come solito piuttosto che fissarsi come due idioti.
Hanzo fu l'unico fra i due che si decise a parlare, anche perchè l'istinto di mettergli le mani al collo ed ammazzarlo stava prendendo fin troppo piede:
-Se hai finito di fantasticare con il tuo piccolo cervello ti pregherei di andartene il prima possibile, avrei da fare se non è troppo disturbo: sai come funziona, c'è ancora il posto di imperatore vagante e non vorrei che qualche terrorista si metta in mezzo fra me e questo pianetucolo.- si lamentò sperando che non finisse come le altre volte durante le quali doveva ripetergli fino alla sfinimento che no, non gli interessava di quello che era successo a Macklemore Cave.
Ma come era prevedibile Bone Cold non aveva intenzione di cedere così presto:
-Io dico che in realtà mi odi a morte.- sentenziò severo e l'altro sospirò rassegnato
-Oh sì infatti, con la differenza che sono i miei amorevoli genitori che la pensano così: per quel che mi riguarda te l'ho già fatta pagare tempo fa questa questione, non mi va di continuare ad infierire su un povero ed indifeso mercenario che non ha ancora capito come stare al mondo.- rispose senza mezze misure.

Dio solo sapeva cosa lo stesse trattenendo dall'aprirgli il cranio con un proiettile, anche se probabilmente era la consapevolezza di rischiare il linciaggio ancora prima di premere il grilletto; e va beh, doveva sopportarlo finchè se ne stava lì:
-Te lo dirò una sola e dannatissima volta, non chiedermi di ripeterlo ancora altrimenti non sarò responsabile delle mie azioni: non ce l'ho con te, non me ne frega nulla, voglio solo vedere morto quel bastardo di Ataru, ammazza lui e sono felice anche io, chissà che entri anche nelle grazie di paparino.
Ti va bene o devo fartelo capire in altri modi?- concluse aprendo la porta ed invitandolo ad uscire
-Non ti conviene stare qui ancora per molto dato che, tempo qualche decina di minuti, ci saranno in giro abbastanza astronavi da guerra da ridurre a brandelli la tua: vedi di non farti ammazzare prima.- raccomandò mentre Bone lo guardava divertito, sapeva che in fondo in fondo si preoccupava della sua salute, o magari no -Accetto volentieri il consiglio, ci sarà il mio vice che mi starà cercando a quest'ora, non vorrei che girasse nuda per il quartier generale scatenando una dozzina di scimmie neo-trentenni in preda agli ormoni- ironizzò dandogli una pacca sulla spalla
-Fai il bravo dittatore, non farti decapitare prima e soprattutto legalizza la droga, quella ci vuole sempre per un popolo di cittadini cocainomani felici.
E trovati una ragazza da portarti a letto, sarebbe un peccato se si consumasse col tempo.- lo congedò lasciandolo a metà fra l'allibito e lo sconvolto, da lui si aspettava quei discorsi ed ormai era più o meno abituato, però facevano un certo effetto comunque.

Sì, finchè non avrebbe trovato qualcuno gli avrebbe rotto l'anima peggio di quanto già facessero Mizuki e Soichiro quando, magari inavvertitamente, sentivano la parola matrimonio: non che provassero anche solo a sfiorare l'argomento con Hanzo nei dintorni, quello no, ma era certo che stessero davvero pensando a combinare qualcosa di non meglio definito; su Iga le principessine che ambivano al trono imperiale c'erano eccome, non mancavano di certo, però bisognava vedere se anche il diretto interessato fosse d'accordo.
E sinceramente ad Hanzo proprio non cambiava la vita avere intorno le prime donne di turno, le considerava egualmente oche e pettegole tutte allo stesso modo.
Ok, forse il comportamento da nerd ventisettenne carente di figure femminili si stava accentuando anche troppo ma con Bone in giro poteva stare sicuro che, prima o poi, qualcuna normale l'avrebbe anche trovata.
O magari l'aveva già, d'altronde solo perchè non andava a sbandierarlo ai quattro venti non significava che facesse l'asociale.
Però preferiva decisamente fare il nerd, era anche più redditizio.


Non aveva ancora capito se chiamarlo istinto predatorio o semplice voglia di sangue, restava il fatto che ora come ora Ricardo stesse pericolosamente gironzolando per la foresta amazzonica trascinandosi dodici metri buoni di squame che recideva alberi a caso e trucidavano adorabili scimmie che se ne stavano comodamente a penzolare per i fatti loro: era decisamente troppo nervoso per starsene ancora un secondo in mezzo ai complotti di Oregon e simili o per sentire Jaqueline fargli il terzo grado, l'unica cosa di cui aveva bisogno era un po' di sangue, possibilmente di provenienza di qualcuno della Muscle League.
Dopo anni riusciva ancora ad orientarsi fra le liane che sbarravano ogni dannato sentiero ed anche i tronchi a terra fortunatamente non rappresentavano un grosso problema quando erano tre tonnellate a ridurli in una più utile segatura; il silenzio che regnava nella foresta era qualcosa di innaturale, sembrava quasi di trovarsi in un luogo completamente diverso dal trambusto delle grandi città a pochi chilometri dai confini naturali che si erano formati col tempo.
E sfortunatamente quel silenzio gli stava servendo per rendersi conto che ormai aveva perso il controllo di tutto, vita compresa: avanti, stava seriamente girovagando così alla cavolo con le sembianze di una lucertola abnorme, di solito la gente normale non lo faceva.
Solo che i raptor non erano gente normale ecco, erano una razza aliena assetata di morte e distruzione.
Non che non fosse d'accordo con la scelta di tirare fuori la lucertola assassina che era in lui, solo che faceva uno strano effetto dopo aver passato vent'anni più o meno normalmente in mezzo a persone più o meno normali vivendo una vita più o meno nella norma.
Più o meno, c'era da sottolineare questo, era sempre così: nè più nè meno, solo più o meno, quella via di mezzo fra la certezza e l'indecisione.
E va beh, si stava facendo andare bene tutto, anche vagare fra rami caduti e foglie grosse come persone attendendo di arrivare alla spiaggia per fare una visitina a qualcuno degli amichetti di Kid e compagnia, magari uno con i lquale non sarebbe stato difficile avere a che fare per sprecare meno tempo possibile.

Si stava arrampicando alla bene e meglio su una roccia per non dover fare tutto il giro della radura al fine di arrivare dall'altra parte, tuttavia si rese conto che anche con gli artigli era difficile trovare una presa salda su un pezzo di pietra umido e coperto di licheni; ci lavorò quasi una decina di minuti, anche perchè la pendenza era piuttosto elevata, e fu solo allora che un rumore quasi impercettibile attirò la sua attenzione: un fruscio, o comunque qualcosa di simile, che sembrava ogni secondo sempre più intenso.
Analizzò tutte le scelte possibili: giaguari?
No, non si spingevano mai fin lì e se lo facevano se la davano a gambe levate appena vedevano che c'era qualcosa più grosso di loro nei dintorni.
Scimmie? Probabilmente nemmeno sopravvivevano in quei posti sperduti.
Escluse piante carnivore e simili, gli insetti non facevano così tanto rumore e nemmeno i pesci dato che il corso d'acqua più vicino era a qualche centinaio di metri dall'entroterra.
Ci fu ulteriore suono, più simile ad alberi spezzati da qualcosa di pesante.
Molto pesante.

Alzò il muso in cerca di qualsiasi indizio che potesse presumere l'arrivo di qualcosa che non doveva decisamente esserci e che probabilmente non aveva buone intenzioni, ma alla fine non passò molto fino al momento in cui sentì un'improvviso brivido percorrergli le squame fino alla punta della coda; si era girato di scatto ed aveva chiaramente visto la roccia, prima lucida e coperta d'acqua, ricoperta da uno strato quasi invisibile di ghiaccio.
Ghiaccio, come no: nemmeno nevicava in Brasile, eppure c'era del ghiaccio con una temperatura media di 42 gradi ed un'umidità al 95%.
A risvegliarlo dalla confusione biologica nel cercare di trovare una spiegazione razionale alla cosa ci pensò un ruggito per niente amichevole vicino, magari anche troppo rispetto al fruscio di prima: qualche secondo dopo la vegetazione stava letteralmente congelando e solo allora si decise ad andarsene, in fretta possibilmente; nonostante si considerasse abbastanza veloce da seminare quella coltre di ghiaccio che avanzava senza troppa fretta si trovò la strada sbarrata da quelli che sembravano cristalli di dimensioni variabili rigorosamente congelati che, dopo un'attenta riflessione, decise di provare a scavalcare.
Se non fosse che non erano pezzi di roccia, ma una tenera coda che non aveva intenzione di farlo passare.

Si trovò a terra con la zampa destra anteriore e la sinistra posteriore bloccate a terra, senza contare  entrambe le ali del alto destro coperte da abbastanza ghiaccio da rendere impossibile ogni minimo movimento; ancora una volta l'aria gelida che aveva sentito prima si ripresentò nuovamente, poi finalmente vide ciò che da una decina di minuti buoni lo stava seguendo, se non più tempo: un raptor, ne era certo.
Fra coda e corpo saranno stati almeno venti, forse venticinque o più metri di muscoli pronti a farlo fuori, ormai ne era certo: tutto il corpo era ricoperto da spessi cristalli ghiacciati di spessore e lunghezza variabili ma tutti ugualmente affilati e taglienti nemmeno fosse un iceberg, sotto di essi una coltre di squame bianche ed azzurro molto chiaro si estendevano dove il ghiaccio non arrivava, la coda di una lunghezza praticamente paragonabile a quella del corpo, se non di più, che terminava con una grossa punta parecchio minacciosa, la testa forse un po' piccola rispetto al resto coperta da squame congelate di un bianco neve fra le quali facevano capolino due occhi color oro segnati da una pupilla perfettamente ellittica, per non parlare delle due file di zanne che non davano nessuna buona sensazione.
Se non voleva finire sbranato, anche se in effetti quel coso si avvicinava piuttosto placidamente, doveva seriamente fare qualcosa.
Subito.

Sapeva che il sangue di raptor era corrosivo, lo aveva già sperimentato di persona, così fece leva su tutte le forze che aveva in corpo per azzannarsi la spalla cercando di controllare il dolore lancinante che, proprio come un idiota, si stava facendo da solo; liberata quella non fu troppo impegnativo usare gli artigli per liberare anche il resto del corpo e scrollarsi di dosso il ghiaccio, solo che ora bisognava pensare al contrattacco: non fece in tempo a muovere una zampa che venne costretto a terra da tre artigli di una cinquantina di centimetri che ci mancava poco gli tranciassero la giugulare, non era troppo divertente non avere una sola possibilità di fuga.
Ecco, avrebbe voluto che ci fosse Oregon in giro in quell'istante, magari avrebbe fatto qualcosa che non fosse complottare alle sue spalle.
Non era tanto la preoccupazione del trovarsi davanti a qualcosa di decisamente inaspettato quanto il fatto che quel coso lo stesse fissando fin troppo da vicino, abbastanza da sentire il fiato gelido sul collo.
E abbastanza da conficcargli le spine della coda sul fianco sperando in un miracolo.

Naturalmente si ruppero ok, però almeno ci aveva provato.
Niente, si sarebbe lasciato morire che forse era meglio.

A meno che Oregon non avesse fatto la solita entrata in scena trionfale scaraventando quella lucertola del Cretaceo contro un paio di tronchi, per poi mettersi sulla difensiva con le ali spalancate e gli artigli piantati sul terreno pronto ad attaccare: forse non dimostrava questo grande amore paterno, magari sembrava anche solo un sociopatico pronto a sodomizzare chiunque per proprio gusto personale, ma non avrebbe mai permesso che qualcuno avrebbe toccato Ricardo, non un'altra volta.
L'altro raptor si rialzò in fretta scrollandosi la terra di dosso poi fortunatamente, o sfortunatamente, tornò in quella che doveva essere la sua reale forma: era decisamente più alta di Berenix anche se la corporatura era la stessa, le squame erano di un bianco candido e lasciavano posto qua e là a lucide chiazze di ghiaccio iridescenti come anche lo erano dorso, coda e la parte terminale delle zampe, lo stesso valeva per quattro corna non troppo grandi ricoperte di anelli dorati dai quali pendevano alcune pietre di vari colori, circondate da dei lunghi capelli che sfumavano dal verde acqua all'azzurro fino al blu cobalto e quello quasi nero sulle punte, raccolti in una treccia portata sulla spalla.
Non che fosse nuda, ma i drappi bianchi che coprivano a malapena il seno ed il fondo schiena lasciavano ben poco all'immaginazione.
Appurato che fosse una signora egocentrica e vanitosa come poche Oregon sospirò rassegnato tornando anche lui in un'altra forma:
-Oh avanti, non stavo uccidendo nessuno: stavo solo cotnrollando che non si fosse rammollito col tempo- si giustificò con fare cinico, poi si avvicinò di qualche passo ad Oregon, che intanto manteneva un atteggiamento distaccato:
-Quanto tempo tesoro! Fatti vedere, su su vieni qua prima che venga io da te.- gli disse prendendolo di forza ed avvolgendogli la coda intorno alla spalla con fare amorevole, anche se lui di amorevole aveva ben poco
-Come sei schivo santo cielo, guarda che la mamma è sempre la mamma.
Anche se è una lucertola naturalmente.- concluse accarezzandogli la testa mentre lui la fissava seccato, non amava quelle dimostrazioni pubbliche di affetto materno.
Lei si decise finalmente a girarsi verso l'altro, che assisteva alla scena abbastanza allibito:
-Che c'è, non vieni a salutare la nonna?- chiese curiosa senza ottenere risposta.

La... nonna? Ma seriamente?
Che aveva appena cercato di ucciderl... controllare che fosse un sadico come il resto della famiglia.
Ok.

No, non era "ok".
Era normale? No.
Era giusto? No.
Era davvero sua nonna? Eh già.




_________________________________________

Angolino dell'autrice

(Scusate come solito eventuali errori o lettere invertite/tagliate/mancanti)
Capitolo thirteen! :D
Scusate il ritardo enorme ma la scuola non lascia troppo tempo libero, e comunque volevo fare un capitolo davvero decente non uno dove mettevo cose a caso.
Che dire, sono successe tante cose: incontri con la Muscle League brevi ma intensi, rivelazioni su certe mazzette che giravano nella Muscle League (:D), Jaqueline che fa l'indecisa come suo solito, Ricardo versione lucertola-della-morte, mercenari che complottano per i sensi di colpa, femori andati a quel paese.
Di tutto, TUTTO.
E vogliamo parlare delle nonnine sexy?
Avanti, sono così freddamente divertenti xD
Vi è piaciuto? Io non lo so, ditemelo voi se volete: mi piace leggere cosa pensate <3
Vi lascio anche le foto del vestito di Jaqueline, della sua corona e della tigre di Cassandra ossia Belize.


Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** There is no love without sacrifice ***


Per primo viene il fuoco, il sangue per secondo

Oregon non sembrava troppo interessato al dare una mano al proprio figlio in quel momento, nemmeno quando Diantha, giusto per “testare quanto lo stare fra gli umani avesse rammollito il suo nipotino”, era tornata in quell'immensa forma origine più decisa che prima a vincere il confronto: non le importava nulla che fosse suo nipote quello, anche se fosse stato suo figlio avrebbe fatto lo stesso, riteneva solo di vitale importanza vedere quanto di raptor ci fosse in quel corpo da finta lucertola.
E Ricardo lo aveva capito fin troppo bene, soprattutto quando il dolore lancinante si era fuso alla consapevolezza che con uno squarcio simile poteva morire dissanguato da un momento all'altro, per l'ennesima volta tra l'altro: opporre resistenza era praticamente inutile dato che Diantha, quello era il suo nome, aveva otto o dieci metri di vantaggio, senza contare gli spuntoni di ghiaccio che spezzavano rocce ed alberi come se nulla fosse.
Lui cosa aveva?
Un'ala squarciata, un taglio troppo profondo e qualche spina ossea mezza rotta che usciva dalla coda, così immensamente piccola rispetto a quella enorme che vantava l'altra.
Non ne sarebbe uscito, non vivo.

Improvvisamente la sua mente volò sul pensiero di Jaqueline: chissà cosa aveva pensato con indosso la corona, se si era ricordata di avere una collana con lo stesso motivo che le aveva regalato al loro primo incontro, chissà cosa stava facendo in quel momento insieme a Cassandra, probabilmente stavano spettegolando sull'incontro appena avvenuto o magari erano andate a fare shopping.
Chissà se avrebbe sentito la sua mancanza, una volta appreso che era morto.
“Non sarai mai da sola con me” le aveva promesso qualche ora prima, ma adesso non aveva più nessuna certezza: doveva combattere per la propria vita, per Jaqueline, per il suo futuro.
Per il loro futuro.
Che, almeno per ora, sembrava solo una fantasia ben poco raggiungibile: avrebbe voluto dire cose che non aveva avuto il coraggio di dire, fare cose che non aveva trovato la forza di fare prima di morire, e magari essere un padre migliore di quanto Oregon fosse stato con lui.
Dei figli: magari un giorno avrebbe anche potuto averne, ma l'unica cosa che ora poteva avere era la consapevolezza della morte.

Sentì chiaramente la morsa del ghiaccio che gli trapassava le squame, recideva i muscoli e riduceva a brandelli la carne sottostante, eppure non aveva le forze per reagire, né fisiche né mentali: avrebbe solo voluto che tutto finisse, che potesse vedere per la prima volta suo padre provare a difenderlo anziché lasciarlo macellare come un animale, ma da Oregon non si aspettava nulla di diverso che un malsano cinismo paterno.
Voleva solo morire in quel momento, nient'altro.
Era finita, completamente finita: Jaqueline, la sua famiglia, la dmp, finiva tutto ora, in quel preciso istante, con lui.

Stava ormai facendo i conti con i sensi che se ne andavano quando lo sentì, quell'istinto primordiale che gli ribolliva nelle vene dal giorno in cui era venuto al mondo, una sorta di richiamo ad essere ciò che era realmente evitando di continuare a fingersi quello che non doveva essere: era un raptor, nel suo sangue scorreva la furia dei suoi antenati, di quelli che prima di lui avevano conquistato pianeti interi devastandoli letteralmente con le unghie e con i denti, ed ora era il suo turno.
Non pensava nemmeno di avere un'adorabile nonnina a cui rivolgersi, ma in lei vedeva ciò che anche lui era chiamato ad essere: forse non aveva quei ghiaccioli affilati come pugnali a difenderlo ma, ormai ne era certo, il suo corpo aveva ben altro per assolvere ai compiti che era chiamato ad eseguire, solo che non sapeva cosa a giudicare dal penoso stato in cui si trovava.
Ma la sua testa lo sapeva perfettamente.
Non sentì più niente, nulla che fosse umano almeno, sapeva solo che si era appena rialzato senza esserne cosciente: le ali squarciate aperte in tutta la loro immensità, la coda che frustava furiosamente l'aria, gli artigli che scavavano solchi nel terreno ancorandosi con una violenza che nemmeno credeva di avere, e poi gli occhi, ridotti a due fessure nerastre che brillavano di una tremendamente sbagliata luce azzurro ghiaccio.
Rilassati e lascia che l'istinto faccia ciò che deva fare, sentiva dire da una vocina nella testa.
E quella voce, per quanto suonasse piuttosto sinistra, l'aveva ascoltata.
Per Jaqueline, per sé stesso, per la propria dignità, ma l'aveva ascoltata.


Terza è la tempesta, che al quattro annega il mondo

Cassandra non era tranquilla, sentiva che nell’aria c’era qualcosa di diverso, un qualcosa di così gelido che le faceva venire i brividi alla schiena ed il fatto che né Ricardo né Oregon fossero presenti la inquietava sempre di più: era più di mezz'ora che camminava avanti e indietro vicino al confine con la foresta senza sosta, Belize che la fissava mentre divideva con Nala quello che restava di un non meglio definito cadavere che si erano spolpate qualche ora prima: solo loro erano calme.
Ma non lei, il suo senso materno e quello di moglie le dicevano che c'era qualcosa che non andava
Quando alzò lo sguardo quello finì sull'immenso cielo che si stagliava dinanzi a lei e rimase pietrificata: una distesa di nuvole nere temporalesche vorticavano addensandosi sempre di più e coprendo la luce solare, sembrava che fosse quasi notte da quanto le coltri di nubi erano spesse e pesanti, nemmeno durante la stagione dei monsoni si vedevano cose simili; il cielo plumbeo era squarciato qua e là da scariche di fulmini che disegnavano ragnatele elettriche qua e là mentre i tuoni si facevano prepotentemente strada fra i fruscii delle fronde e li schiamazzi degli animali che fuggivano impauriti dal frastuono.

La televisione non aveva emanato nessuna allerta tornado.
I monsoni erano appena terminati.
Fino a qualche minuto prima c'erano 40 gradi all'ombra.
Che diavolo stava accadendo?

Rimase impietrita davanti a quello spettacolo per alcuni minuto parvero non passare mai, la testa che vagava indietro nei ricordi per cercare di capire se la sensazione che aveva era vera: a Cassandra sembrava di aver già vissuto quel momento, una sorta di deja-vu di qualcosa che era sì già accaduto, ma che lei non riusciva a ricordare.
Poi, proprio quando stava rinunciando all'idea di spiegarsi il tutto, un ricordo affiorò in un angolo della sua mente chiarendole la situazione.
Era successo quando si trovava su Arkanta, il pianeta natale di Oregon, la prima volta che ci avevano trascinato di forza Ricardo dopo un'interminabile duello con Jaqueline per convincerla che glielo avrebbero riportato intero.
Una bella giornata, come sempre del resto, una di quelle durante le quali i tre soli sembravano splendere più del solito: aria calda al punto giusto, una leggere brezza estiva a rinfrescare l'ambiente e la sua famiglia al completo; quel giorno non avrebbe potuto chiedere altro, era proprio quella l'idea di completezza famigliare che aveva dal giorno in cui la sua, di famiglia, l'aveva abbandonata.
E invece, nel momento in cui si stava godendo suo figlio e suo marito che discutevano sul fatto che Ricardo trovasse piuttosto scomoda la coda che ballonzolava da una parte all'altra, aveva iniziato a sentirla chiaramente: un'aria gelida, come prima di un temporale, che si era trasformata velocemente in un vento, poi in una vera e propria tempesta, centinaia di fulmini azzurri avevano iniziato a squarciare il cielo limpido, che nel frattempo si era ricoperto di minacciose nuvole nere mentre i tuoni riecheggiavano prepotenti come se fossero un richiamo di guerra.
Fra la pioggia ed i lampi non era più riuscita a distinguere nulla, eppure si era fatta strada nelle violente scariche di elettricità che cadevano a terra fino a quando non si era trovata davanti al corpo di Oregon: privo di sensi ed indifeso, le ali lacerate e le squame strappate in diversi punti, che sembrava solo volerle dire di andarsene il prima possibile.
E suo figlio, ritto sulle zampe posteriori, il sangue fresco che gli colava ancora dalle zanne spezzate, che invece sembrava avere intenzione di ammazzarla da un momento all'altro.
C'erano voluti quattro uomini della guardia reale per incatenarlo al suolo, ed altrettante ore per fermare quella furia scaturita da un secondo all'altro: Ricardo non ricordava nulla di quell'episodio, ma Cassandra ricordava anche troppo bene.

Nephilem, lo chiamavano i raptor.
Istinto predatorio dell'essere ciò che si è realmente, la chiamava lei.
Furia omicida fuori controllo, avrebbe dovuto essere il suo nome.
Ed ora, da quello che stava vedendo accadere davanti ai propri occhi, stava accadendo di nuovo: solo che adesso non c'erano i soldati a tenere a bada suo figlio, e non c'era nemmeno la speranza che la cosa gli passasse velocemente.
Doveva sbrigarsela da sola.
O magari insieme a Jaqueline.


Come aveva previsto aveva iniziato a piovere copiosamente, la pioggia che si fondeva con la grandine e che impediva di vedere a più di un metro di distanza, il vento che sferzava gli alberi piegandoli in posizioni innaturali ed i tuoni che spaventavano ogni animale presente nella foresta facendolo scappare con la coda fra le gambe, il tutto mentre lei si dirigeva velocemente in casa con Nala e Belize che la seguivano a grandi falcate disturbate dall'acqua incessante.
Appena entrata, inzuppata com'era, Jaqueline l'aveva guardata malissimo:
-Non per dire ma cosa stavi facen...- non riuscì a finire che l'altra la trascinò di forza nei sotterranei dell'abitazione senza proferire parola, l'ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata che anche lei iniziasse a tempestarla di domande; lì si era ritrovata Berenix che armeggiava con un kalashnikov già carico e, senza nemmeno darle una spiegazione, mise in mano alla rossa un fucile d'assalto preso da una delle pareti dove erano riposte svariate armi pronte all'uso:
-Sai sparare?- domandò seria e lei ci pensò su qualche secondo
-Ehm.. le battaglie di paintball valgono?- rigirò la domanda e l’altra sospirò
-Le faremo andar bene comunque, non posso stare qui ad insegnarti a tenere in man… ecco, ora lo stai tenendo al contrario: se continuiamo così rischi di spararti addosso.- la rimproverò secca facendole giusto una lezione veloce su come e quando dovesse far fuoco, poi fece un rapido segno alla raptor che si mise subito in piedi imbracciando l'arma con una naturalezza inumana:
-Abbiamo una decina di minuti per neutralizzarlo senza dover ricorrere ad un intero esercito, e questa volta sei da sola: pensi di potercela fare?- domandò e l'altra annuì caricando il fucile.
Una volta che la rossa era andata Berenix le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla:
-Non voglio fargli del male, lo sapete meglio di me, ma se dovesse costituire un pericolo per qualcuno io devo intervenire, lo capite?- chiese e la donna annuì rassegnata
-Alzerò la barriera per evitare danni ai civili, ma se Ricardo dovesse provare a scappare o attaccarvi quando è ancora fuori controllo io gli pianto un proiettile in fronte, questo non posso evitarlo.- concluse seguendo l'altra.
Cassandra, per quanto sapesse che per un raptor un proiettile in mezzo agli occhi era come una semplice scheggia per un umano, non si sentiva sicura: l'ultima volta Berenix gli aveva dovuto spezzare un femore per impedirgli di spezzare le catene, ora era da sola: non si faceva scrupoli, di quello ne era certa, ma non voleva nemmeno vedere suo figlio morto.
Era sua madre cazzo, sua madre: avrebbe dovuto proteggerlo non andargli incontro con un kalashnikov pronta a fare fuoco.
Tuttavia, prima del suo ruolo di madre, veniva quello di imperatrice.
Ed una regina non mette mai la propria famiglia al primo posto.
Nemmeno lei.


Berenix aveva individuato una sorta di pista fatta di foglie e rami congelati che tutte e tre avevano deciso di seguire, anche se in realtà non sapevano bene cosa potessero c'entrare ghiaccio e simili con un temporale di proporzioni immani; Jaqueline era rimasta piuttosto sorpresa nel vedere anche lei trasformarsi in una lucertola abnorme, ma si aspettava che ne fosse in grado: anzichè di squame il suo corpo era interamente ricoperto da quelle che sembravano soffici piume rosa affilate come rasoi, interrotte qua e là da spesse placche dello stesso colore alternate ad un bianco candido, tre paia di ali di grandezza decrescente i cui colori sfumavano dal rosa chiaro ad uno più scuro fino all'azzurro se ne stavano chiuse ai lati del corpo, ben più sinuoso di quello di Oregon e simili, come anche era slanciato il lungo collo al termine del quale si ergeva una testa forse troppo piccola rispetto al resto, ornata da due grosse corna ricurve, e la lunga coda che frustava l'aria ad ogni passo dalla quale spuntavano in modo quasi disordinato manciate di piume più grandi.
Entrambe si erano sistemate sul suo dorso quando avevano notato che i fulmini che scendevano a terra erano sempre più fitti, e che quindi se fossero restate a piedi avrebbero fatte parecchia fatica ad evitare, così Jaqueline cercava di abituarsi a quelle dannatissime piume che le entravano in bocca mentre si aggrappava furiosamente al suo collo: rimpiangeva le squame che rischiavano di ferirla ad ogni passo, ma almeno quelle le erano famigliari mentre Berenix... beh, di lei non sapeva niente.
E niente voleva sapere.

Cassandra aveva deciso di seguire un sentiero fatto da tronchi spezzati e terriccio congelato, anche se in realtà ad ogni metro che avanzavano si rendeva sempre più conto che stavano andando incontro a qualcosa che non avrebbe dovuto esserci; decise di scendere dal dorso della raptor e di avvicinarsi a quello che si rivelò essere effettivamente ghiaccio, poi cercò di fare mente locale per provare a darsi una spiegazione razionale.
I suoi ragionamenti vennero bruscamente interrotti da Berenix che, mentre provava a tenere a bada la rossa dietro la propria ala, le mostrò un grosso pezzo di ghiaccio iridescente coperto da un liquido viscoso azzurro traslucido che sembrava aver scavato a fondo dal punto in cui era caduto sino all'altra estremità inferiore; riuscì a fermare Jaqueline prima che, presa dalla curiosità, provasse a toccarlo:
-Sfioralo e ti ritroverai nel giro di qualche decimo di secondo senza più carne attaccata alle dita- asserì spaventandola, poi fece segno alla raptor di metterlo a terra e continuò ad esaminarlo.
Era ancora intenta a perlustrare la sua mente alla ricerca di una risposta che un ruggito agghiacciante la fece trasalire, ed anche Berenix spalancò le ali per lo spavento:
-Che diavolo è stato?- chiese Jaqueline rifugiandosi dietro una grossa penna terrorizzata, ma Cassandra attese ancora qualche secondo prima di rispondere, giusto per essere certa di ciò che stava per dirle ed evitare di allarmarla inutilmente; tuttavia fu un boato a risponderle per primo, un lampo sceso da quelle spesse nubi che si era diretto a nemmeno cento metri da loro.
L'altra aveva ruggito prepotentemente prima di scattare fulminea verso il punto dove si era originato il suono, ed anche le due furono costrette a seguirla; prima di andare però Cassandra afferrò la rossa per le spalle e la guardò dritta negli occhi:
-Qualunque cosa tu vedrai, sentirai o ti accadrà ti prego, piccola mia, perdonalo.- disse con fare materno, la abbracciò e poi, tenendo il fucile carico davanti a sé, la lasciò indietro sparendo fra il fitto fogliame e la confusione generale.
Solo qualche minuto dopo, indecisa sul da farsi, anche Jaqueline decise di seguirla.


Al cinque c'è la rabbia, al sei l'odio abissale

La scena che Cassandra si trovò davanti era qualcosa che poteva essere definito al limite dello splatter, soprattutto perché era esattamente la scena che si era aspettata di trovare: la sua adorabile suocera, quella simpaticona di Diantha, se ne stava accasciata a terra con uno squarcio di un metro buono sul torace, l'immensa coda prima ricoperta da cristalli perfettamente affilati ora era ridotta ad un grumo informe di spuntoni di ghiaccio rotti o mancanti che lasciavano intravedere la carne viva sottostante, una delle zampe anteriori piegata in un modo orribilmente innaturale a significare che era probabilmente rotta, il petto che si alzava ed abbassava affannosamente per cercare di catturare una minima traccia di ossigeno per tenere in vita quei trenta metri abbondanti di maestosità raptoriana.
Morte Silente, Figlia dei Ghiacci, un nome valeva l'altro sul suo pianeta: ora era solo una lucertola in fin di vita che si stava aggrappando alle poche forze rimaste in corpo per non crollare.
Le si avvicinò senza nemmeno alzare lo sguardo passando la mano sulla superficie ghiacciata ormai resa irregolare dalle ferite, sentiva le mani bruciare lievemente ad ogni centimetro che toccava a causa della temperatura sottozero che riusciva a mantenere per non rischiare un collasso da un momento all'altro, poi si fermò quando incontrò il suo muso: solo quello era grande il doppio di lei, esageratamente piccolo rispetto al corpo però, le mascelle leggermente aperte con le zanne ancora intatte in bella mostra; Diantha emise un ringhio sommesso per evidenziare il proprio disappunto riguardo l'essere compatita da Cassandra, ma si abbandonò comunque alla cosa dato che di muoversi proprio non se ne poteva parlare.
Nel frattempo fu il ruggito di Berenix a risvegliarla da quel momento di affetto verso la madre del proprio marito, un ruggito che non preannunciava nulla di buono, così alzò lo sguardo e vide proprio ciò che temeva: Oregon, le ali lacerate ed il corpo segnato da un numero indefinito di tagli, se ne stava a poco meno di venti metri da lei in una precaria posizione d'attacco, ciò che rimaneva delle ali ripiegato verso terra in una pozza di sangue azzurrino opaco.
E, proprio come era successo su Arkanta, Ricardo si ergeva bellamente su un masso lì vicino con il corpo segnato da profonde ferite sanguinolente ma che, nonostante tutto, sembrava perfettamente in salute, abbastanza da ergersi con tutte e quattro le ali spiegate a fare ombra a gran parte della radura di alberi caduti mentre il sangue continuava a colare dalla zanna destra spaccata di netto.
Quel riflesso nero, oscuro come ciò che rappresentava, c'era ancora nei suoi occhi, un nucleo di pura malvagità che significava solo una cosa piuttosto semplice: furia cieca senza controllo.
Non controllava più nulla di sé stesso, né provava effettivamente dolore, non aveva nemmeno più un senso della fatica per cui, almeno fino a quando il suo cuore continuava a battere, Ricardo poteva continuare a seminare distruzione senza segni di cedimento.
E nessuno poteva farci nulla.

Nel momento in cui riuscì a riacquistare lucidità si rese conto che avrebbe dovuto parlare a Jaqueline di quello che stava accadendo prima, molto prima: la rossa infatti, guidata solo da un commovente quanto suicida senso di preoccupazione verso quello che era in effetti il suo adorabile fidanzato, si era pericolosamente avvicinata all'altro fino a trovarsi a poco più di mezzo metro da lui, abbastanza vicino da poterlo sfiorare se solo avesse allungato una mano, cosa che aveva prontamente fatto senza pensarci un solo secondo.
Nemmeno Oregon sembrava aver fatto caso alla ragazza, dato che era decisamente più concentrato a tenere d'occhio quella coda che ondeggiava minacciosamente, tuttavia fu costretto a notarla quando, dopo un ruggito ben poco rassicurante, lei aveva ritratto la mano confusa:
-Cosa c'è? Non mi riconosci?- chiese inclinando la testa cercando invano di trovare da sé una risposta a quelle domande ed avvicinandosi ulteriormente per chiarirsi le idee una volta per tutte
-Sono io, cos'hai da ruggirmi in faccia?- continuò facendo per posare una mano sul suo muso.
Fu un decimo di secondo e con uno schiocco quelle dannate fauci si chiusero sfiorandole le dita.
Solo allora capì che no, non era tutto a posto, che no, non la riconosceva e sì, c'era qualcosa che non andava.
Decisamente.
Per sua fortuna Oregon allungò una delle ali per proteggerla dall'artigliata che era arrivata qualche attimo dopo lacerandogli la sottile membrana alare e facendolo ruggire per il dolore, ma d'altronde l'ultima cosa che voleva era vedere quella povera ragazza morire per capire se chi aveva davanti era la stessa con cui era stata fino ad un'ora prima o poco più: in fin dei conti Jaqueline era un po' come la figlia femmina che avrebbe tanto voluto, ma che Cassandra si era prontamente rifiutata di dargli per evitare rivalità femminili in famiglia, e proteggerla non era solo una priorità, era un obbligo.

Mentre la ragazza se ne stava una manciata di metri dietro di lui, impietrita ed incapace di muovere anche un solo passo, fu Ricardo ad essergli di nuovo addosso, e questa volta fu tremendamente più violenta della precedente: quelle fottute zanne cercavano di tranciare qualsiasi cosa capitasse loro a tiro, e quella cosa sfortunatamente era il punto sul collo di Oregon dove le squame erano più sottili; furono momenti durante i quali avrebbe preferito che quel collo glielo torcesse rompendoglielo di netto piuttosto che continuare a sopportare la lancinante e fredda sensazione di quelle cose che gli scavavano profondi solchi nella pelle, eppure qualcosa gli diceva che doveva resistere a tutti i costi: era suo figlio quello, non poteva ammazzarlo.
Ma non poteva nemmeno farsi ammazzare.
Con uno sforzo immane era riuscito a liberarsi dalla presa ed aveva piantato gli spuntoni della coda nell'incavo fra il collo e la spalla di Ricardo che, in preda a furiosi spasmi muscolari per riuscire inutilmente a liberarsi, non aveva fatto altro che peggiorare la propria situazione: la coda di Oregon era coperta da una fitta rete di spine ossee ricurve fatte per ancorarsi letteralmente alla carne e strapparne interi brandelli ma, nonostante ciò, il suo vantaggio era durato pochi minuti, quelli che erano bastati per trovarsi il dorso infilzato dagli affilati artigli delle ali anteriori e posteriori dell'altro: cinque per ogni ala, venti in tutto.
E facevano un male assurdo.
Diantha aveva ruggito sollevando la violentemente la coda quando suo figlio aveva inarcato la schiena grondante di sangue ed era poi crollato a terra privo di sensi ed anche Cassandra aveva trattenuto a stento il fiato cadendo in ginocchio con le mani distese lungo i fianchi: non poteva morire, non doveva farlo.

Ricardo non aveva avuto il tempo di riprendersi dagli attacchi appena subiti che Berenix gli era fiondata addosso scaraventandolo su un masso lì vicino pregando che la roccia sgretolata bastasse a tenerlo buono per qualche minuto, almeno quelli che servivano ad Oregon per riprendere conoscenza, ma niente sembrava aver sortito effetto dato che, dopo essersi scrollato di dosso la polvere della roccia distrutta, si era alzato sulle zampe posteriori agitando minacciosamente la coda: l'altra raptor aveva appena fatto in tempo ad avvicinarsi di un metro scarso che si era trovata un'ala schiacciata sotto tre tonnellate di muscoli che si posavano violentemente al suolo incuranti di ciò che avrebbero schiacciato.
Il suo ruggito era stato straziante, l'ala fratturata piegata quasi ad angolo retto che la costringeva a stare con una parte del corpo a terra e che la esponeva a tutti i pericoli possibili ed immaginabili: quando aveva visto l'ombra nera delle ali dell'altro abbattersi su di lei con gli artigli ancora insanguinati aveva temuto che fosse la fine, ma per fortuna avevano trovato la barriera formata dalla coda di Diantha e frapporsi fra la morte certa e la sua sopravvivenza.
Per quanto fosse ferita riusciva perfettamente a reggersi in piedi, anche se era evidente che evitasse di muoversi troppo per non peggiorare la situazione della zampa rotta, e non aveva esitato a caricarlo con una violenza tale da aver fatto vibrare il terreno per un singolo istante vincendo il corpo a corpo, o meglio il testa a testa, con l'altro: una delle due corna che sporgevano dal cranio si era infatti spezzata e la zanna che prima era solo stata graffiata ora se ne stava conficcata fra le stalattiti di ghiaccio sul muso di Diantha lasciando il posto ad una conca sanguinolenta fra un dente e l'altro.
Per ora, con Oregon privo di sensi e Berenix dolorante, era lei l'unica che tenesse tutti lontano dalla fossa, e a giudicare da quanto Ricardo si stesse accanendo sul cercare un punto buono dove colpirla senza successo, lo aveva capito anche lui: tutti i tentativi di serrare le mandibole su quegli spuntoni ghiacciati erano però andati a vuoto, ricavando soltanto qualche dente rotto ed artigli scheggiati, ma Jaqueline continuava a sentire un brivido lungo la schiena che niente riusciva a toglierle.
Diantha ora era evidentemente in vantaggio, eppure aveva come la sensazione che quella situazione fosse sul punto di capovolgersi da un momento all'altro, ed anche il cielo sembrava d'accordo con le sue intuizioni: così nero, così oscuro, così sbagliato.
E poi c'erano i fulmini, sottili increspature azzurrognole che squarciavano le nuvole ad ogni attimo, senza contare quelli che raggiungevano terra scavando profondi solchi nel terreno fradicio di pioggia: cadevano ovunque, in qualsiasi luogo e momento, temeva addirittura che un momento all'altro una l'avrebbe ammazzata, e soprattutto distruggevano ogni cosa che toccavano.
Tutto tranne una.
Non le era sfuggito il fatto che almeno un paio di fulmini avessero sfiorato se non preso in pieno il corpo di Ricardo, eppure lui non ne risentiva minimamente: anzi, da quello che stava vedendo era come se ci fosse un qualche legame che non riusciva a spiegarsi secondo il quale lui diventava dannatamente più forte ogni volta.
Ed era proprio quello a spaventarla di più.


Settima è la paura, ottavo il gran più male

Nemmeno a dirlo fu una di quelle scariche a dividerlo da Diantha nel giro di pochi secondi, che si era prontamente spostata per evitarlo finendo a parecchi metri da lui: troppo pochi per attaccarlo nuovamente, decisamente troppi per intercettare il brusco movimento che fece e che lo portò con lo sguardo puntato sulla rossa, anche lei troppo distante dagli altri raptor per evitare quel confronto.
Le si era gelato il sangue nelle vene quando aveva notato che se ne fregava di Diantha, o di Oregon, o di Cassandra, o di Berenix, e che ora gli interessava solo e soltanto lei; non sembrava volerla attaccare, la coda che ondeggiava placidamente sfiorando la terra, il muso quasi parallelo alla linea del dorso e le ali richiuse sui fianchi le avevano fatto pensare che forse era tornato quello di sempre, che era tutto finito e che potevano finalmente tornare alla loro vita.
Come prima era finita per rinchiudersi in un mondo dove c'erano solo lei e Ricardo, nessun altro a disturbarli mentre, dopo uno scontro con la sua famiglia durato un tempo infinito, potevano tornare a fare quello che facevano sempre; era stata sorda alle grida di Cassandra che la pregava di allontanarsi, ai ringhi sommessi di Diantha ed anche alle imprecazioni di Berenix, che nel frattempo era tornata nella sua forma comune: c'erano solo una trentina di metri o poco più a dividerli, e lei li stava percorrendo tutti.

Il rombo assordante di un tuono aveva interrotto la precaria calma del momento scatenando un ruggito altrettanto brutale, poi tutto era sembrato confondersi nella pioggia e nel cielo: avrebbe dovuto immaginare che se ne stesse a testa bassa per caricare, era da sciocchi non averci pensato.
Era terribilmente veloce, molto più di quanto Jaqueline ricordasse, ogni falcata affondava nel soffice terreno bagnato e sollevava intere zolle di terra, la coda che spazzava via ogni arbusto che si trovava fra di loro, intere file di pugnali color avorio pronte a schiacciargli il cranio ancora prima che si potesse rendere conto di essere morta.
Ma lei non si muoveva, il cervello che si spegneva lasciandola in balia delle emozioni, l'adrenalina che le mozzava il fiato, il sangue che le andava su e giù per il cuore facendole capire che era finita: sarebbe morta per mano di quello che fino a qualche ora prima era il suo fidanzato, e non poteva fare nulla.
Non voleva vedere la morte in faccia, soprattutto se quella faccia era la prima cosa che aveva visto appena sveglia e l'ultima che vedeva prima di addormentarsi da interi mesi: era difficile morire per mano di qualcuno che si amava, ma era anche vero che non c'era nessuna via di scampo se quel qualcuno non ti riconosceva.
Abbandonò le mani lungo i fianchi, chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro: non ci sarebbe stato un futuro, né un domani.
Non per lei.


Ma la morte non arrivò.
Al suo posto, Jaqueline sentì solo uno sparo ed un ringhio straziante, niente di più.
Quando riaprì gli occhi si sentì mancare: Berenix era davanti a lei, il corpo immobile che stringeva ancora nella stessa posizione un fucile ancora fumante, lo sguardo assente privo di ogni sentimento umano che poteva definirsi tale, la consapevolezza che quelli che aveva appena eseguito erano stati gli ordini di Cassandra.
Poi, ad appena cinquanta centimetri scarsi dalle sue zampe, giaceva Ricardo con un buco in mezzo agli occhi, le stesse sfere liquide nelle quali Jaqueline era solita vedere tutto il suo mondo: dietro di lui un misto di sangue, ossa frantumate e materia cerebrale che aveva imbrattato le squame, gli alberi e le rocce lì vicine, la lingua che pendeva dalle fauci ancora spalancate, il sangue che continuava ad uscire dal foro sul cranio, ma nessuno spasmo muscolare che potesse farle sperare che fosse ancora vivo, che forse non era troppo tardi per riparare a tutto.

Le gambe le avevano ceduto, la gola le si era seccata all'improvviso, i suoi polmoni avevano smesso di cercare aria, il cervello si era improvvisamente fermato per stampare quell'immagine in modo indelebile nella sua mente: a ventidue anni, e con una vita ancora tutta da vivere, Jaqueline McMadd aveva appena assaporato le brezza dell'arresto cardiaco.




_________________________________________

Angolino dell'autrice

(Come sempre chiedo scusa per eventuali errori/lettere tagliate o mancanti)
Dopo una lunga attesa rieccomi :D
Il capitolo più impegnativo fino ad ora, passato fra momenti di puro splatter ed istanti in cui dovevo far combaciare le cose con le citazioni prese da “Tredici passi alla porta del diavolo” di E. E. Richardson, il che mi sembrava opportuno dato che gli eventi sono simili alle varie parti della filastrocca :D
E' un capitolo non molto lungo, anche perché non volevo dilungarmi su questa parte al fine di dedicare più tempo a quella successiva, ma preferisco così anche in modo da non annoiarvi (anche perchè la scuola ha fatto sì che passasse parecchio tempo dall'ultima volta che ho aggiornato e rimettere subito 30pagine mi sembrava esagerato).
La parte finale... quella mi è costata una fermezza mentale assurda per non andare incontro ad una crisi isterica: non volevo fare del male a Ricardo, ma mi sembrava fin troppo invincibile fino ad ora, per cui un kalashnikov mi è sembrato la cosa migliore da fare xD
Che dire, spero vi sia piaciuto il capitolo e se volete ditemi pure che ne pensate :3
Vi lascio un'immagine di Diantha e di Berenix a farvi compagnia <3
(Scusate il "cambio di look" di Berenix ma dopo una riflessione e delle consultazioni ho deciso di rendere il suo aspetto più interessante e meno "scontato", anche perchè mi sembrava troppo banale che fosse il solito draghetto bianco coperto di semplici piume ahahahah.
Spero vi piaccia comunque e scusatemi ancora) 


Image and video hosting by TinyPic

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Let the Storm begin ***


Il nove è la tristezza, e dieci fa il dolore

Cassandra si era praticamente ritrovata da sola contro il mondo nel giro di un paio di minuti, gli stessi durante i quali persino Berenix era crollata a terra stremata: era una guerriera implacabile e tremendamente orgogliosa, questo bisognava riconoscerglielo, ma con quel confronto diretto si era giocata le poche forze che le erano rimaste, era già un miracolo che fosse riuscita a sparare giusto prima che il suo corpo mettesse un punto fermo alle bravate della giornata.
Istintivamente aveva rivolto uno sguardo al cielo: niente, stava ancora piovendo a dirotto e la tempesta non accennava a placarsi.
Non è finita, non ancora pensò rassegnata chiedendosi quanto avrebbe dovuto sopportare ancora, poi posò una mano sul muso di quello che un tempo era stato suo figlio: era ancora caldo, troppo caldo per un cadavere.
Scacciando la miriade di pensieri che la assalirono si rialzò sussurrando a sé stessa che sarebbe stato meglio occuparsi dei vivi piuttosto che dei morti, o così presunti tali, così si affrettò ad andare da Jaqueline: non le era sfuggito che lo shock di vedersi un rettile di due metri piantare un proiettile in fronte al proprio fidanzato le avesse provocato un arresto cardiaco, ma per il poco che sapeva di medicina, rigorosamente appreso dai raptor, era che di infarto non si moriva.
Non se si sapeva cosa fare certo.
E lei era decisamente troppo confusa per sapere cosa fare.

Per sua fortuna Diantha invece era perfettamente lucida, anche troppo per i suoi gusti, e le si era avvicinata non senza una certa fatica accucciandosi al suo fianco: non parlava mai molto con lei, probabilmente a causa del fatto che non ritenesse gli umani creature così interessanti come i suoi simili o magari perché passava intere giornate a fare l'iceberg sul continente ghiacciato di Arkanta, ma anche Cassandra doveva ammettere che quando serviva non si tirava mai indietro, nemmeno se questo significava rimanerci secca.
Il che era improbabile dato che era una raptor.
Le aveva lanciato uno sguardo indecifrabile con quegli occhi, grandi almeno come la testa di una persona, che sembravano due pepite d'oro pronte a scavare nel profondo della sua anima fino a lacerarla, fino a poter capire quanta convinzione ci fosse in ciò che la donna avrebbe voluto che facesse per sistemare tutto, o almeno qualcosa: salvala dannata lucertola, fai qualcosa che non sia radere al suolo il mondo per una volta, prova almeno a cercare un minimo di compassione in quel cuore di ghiaccio che ti batte nel petto, aveva pensato fra sé e sé ma era certa che anche Diantha, in un modo o nell'altro, fosse riuscita a sentirla a giudicare dal fatto che avesse annuito.
Cassandra aveva trattenuto il respiro quando la raptor aveva aperto un piccolo taglio sul petto della rossa, quasi indistinguibile fra i lividi che le coprivano il busto, ed era anche stato peggio quando aveva visto una singola goccia di quel sangue azzurro come il più limpido degli oceani che toccare la pelle scavandosi un variegato percorso là dove avrebbe dovuto battere il suo cuore: sapeva bene che il potere corrosivo di quella roba era spaventoso, e sapeva anche che più che curare distruggeva alla grande, ma era anche certa che ci fossero cose che i raptor preferivano tenere ben nascoste.
E fra queste c'era il complesso quanto arcano processo di rigenerazione che rendeva quelle lucertole così spaventose quanto invincibili: potevi aprirgli il torace e strappare loro il cuore, staccargli la testa dal collo, anche sfracellarli al suolo, ma tornavano sempre più grandi e potenti di prima.
E più assetati di sangue.
Quando Diantha aveva appoggiato uno dei suoi immensi artigli sul petto si era alzata come una nebbiolina quasi impercettibile, la stessa che si crea quando si respira durante una fredda giornata d'inverno, ed il taglio si era richiuso con la stessa naturalezza con la quale era stato aperto: al suo posto c'era solo una complicata ragnatela di cristalli di ghiaccio che andavano sciogliendosi quando le calde gocce di pioggia la toccavano.
I miracoli dell'essere creature onnipotenti che sconfiggono anche il tempo, pensò Cassandra tirando un sospiro di sollievo quando finalmente vide il petto della rossa abbassarsi e rialzarsi più o meno regolarmente, segno che almeno era viva: forse ancora incosciente certo, d'altronde doveva pur riprendersi da un mezzo infarto, ma l'importante era solo che il suo cuore avesse ripreso a battere.
Per merito di Diantha, tra l'altro: l'aveva vista spezzare uomini, donne e bambini come se fossero ramoscelli secchi, conquistare interi pianeti solo per sbranare qualsiasi cosa, commestibile o meno, che trovasse davanti a sé, guidare eserciti su popoli indifesi soltanto per dare ai propri soldati una qualche schiavo da torturare, scatenare bufere che avevano portato razze a dover fronteggiare una nuova era glaciale ma mai e poi mai l'aveva vista salvare qualcuno.
Fino ad ora, ovviamente.

Cassandra, dopo essersi assicurata che quella ripresa non fosse solo temporanea, aveva spostato lo sguardo verso Oregon e Berenix, che nel frattempo non avevano dato segni di ripresa: dovevano tornare a casa tutti il prima possibile, ma restava il problema di come fare dato che nessuno oltre a lei e l'altra era cosciente, e di lasciarli lì proprio non se ne parlava.
Passò qualche secondo senza sapere cosa fare, poi fu Diantha a prendere l'iniziativa: non senza una certa fatica era riuscita a caricarsi Oregon sul dorso, facendo poi segno anche alla donna di sistemarsi insieme alla ragazza nell'incavo fra il collo e la spalla in modo da restare più o meno protetta dalle affilate stalattiti di ghiaccio rimaste; stava per farle presente che c'era ancora Berenix da prendere quando la vide abbassare il muso spalancando le fauci e richiuderle con una delicatezza innaturale intorno al suo corpo senza farle versare nemmeno una goccia di sangue: le ricordava molto ciò che facevano gli alligatori per proteggere i propri piccoli e in effetti anche i raptor erano rettili, quindi pensò che doveva esserci un certo istinto nel profondo del loro subconscio che rendeva normale il fatto che un mostro simile potesse avere un tale controllo della propria forza.
Diantha era appena sul punto di rialzarsi da terra quando la zampa le aveva ceduto di schianto facendole emettere un ruggito di dolore che tratteneva a stento: era evidente che fosse stremata dalla fatica senza contare che ora, oltre alle sue venti tonnellate buone, doveva portarne altre dieci contando solo su tre zampe ancora più o meno solide; tuttavia dopo qualche minuto passato a riprendere il controllo di sé stessa era finalmente riuscita a rimettersi in piedi in qualche modo pregando di riuscire ad arrivare a casa tutta intera, anche se Cassandra non era troppo convinta: sarebbe finita per morire di stenti se avesse continuato ad insistere su quella linea eppure, dopo aver mosso i primi incerti passi, aveva rinunciato all'idea di farla desistere.
Testarda e orgogliosa, Diantha era fatta così.
Proprio come Oregon.
Per un certo verso si assomigliavano, da madre e figlio quali erano, ma per altri punti di vista non potevano essere più diversi l'uno dall'altra: lei lo considerava ancora il suo cucciolo indifeso da proteggere, lui si vedeva come il sovrano della nebulosa che poteva cavarsela in ogni situazione.
Solo che, almeno quel giorno, se non fosse stato per lei nemmeno Oregon sarebbe sopravvissuto.

A distrarla dalle lunghe e faticose falcate della raptor e dalle condizioni quasi disperate di suo marito era stato un rumore agghiacciante simile a quello di un grosso tronco spezzato accompagnato da una moltitudine di suoni simili al primo ma che sembravano quasi più contenuti e che l'avevano spinta ad aggrapparsi saldamente al collo dell'altra, che intanto aveva trovato la giusta andatura:
-Dobbiamo andare più veloci, non ci rimane molto tempo- disse con tono grave guardandosi alle spalle senza vedere nulla se non un'intricata rete di sottili scariche azzurre danzare nella fitta pioggia battente mista a grandine che avevano iniziato a tormentare l’aria.
Come richiesto, e con uno sforzo immane, Diantha aveva accelerato notevolmente il passo: ad ogni metro che percorreva il terreno si ricopriva di spesse lastre di ghiaccio che risalivano alberi, rocce e quant'altro aggrappandosi ad essi come feroci parassiti, il suono degli alberi piegati alla tempesta veniva coperto dal ruggito dei tuoni che sembrava volessero ghermire l'intera foresta da un momento all'altro, decine di fulmini tutt’altro che normali si schiantavano a terra spazzando via ogni forma di vita che toccassero o sfiorassero.
Non sono semplici scariche atmosferiche, pensò Cassandra ad alta voce in modo che Diantha la sentisse, quello è nephilem allo stato puro.
Lo scatenarsi dell’inferno era stato questione di pochi attimi: scariche azzurre e dorate del diametro di un uomo si contorcevano nell’aria come viscidi serpenti intenti a strangolare il cielo, una pioggia sferzante pungeva la pelle e scavava profonde ferite nelle fronde fino a ridurle ad una poltiglia verdastra, la terra sembrava una creatura morente in preda a violenti spasmi di agonia da quanto tremava e sussultava nei momenti in cui quelle bestie fameliche di elettricità affondavano le loro spire vetrificando e bruciando tutto ciò che riuscivano anche solo a sfiorare.
Era proprio come nei suoi incubi peggiori, solo che questa volta era reale.
Quando un fulmine aveva fatto crollare un grosso albero davanti a Diantha bloccandole la strada e non lasciandole altra scelta se non tornare indietro per aggirare l'ostacolo Cassandra aveva trattenuto a stento la voglia di infilarsi la canna del fucile in gola e mettere finalmente fine a quell'insulso destino che si era trovata dover affrontare.
Eppure non aveva scelta se non quella di accettare tutto, perché prima o poi sarebbe finito, di questo ne era certa; alla fine si era messa il cuore in pace per tutto il tragitto che avevano fatto per tornare al punto di partenza, anche se avevano dovuto vedersela con una vera e propria tempesta di fulmini che non accennava a fermarsi e che costringeva Diantha a rallentare per evitare di essere colpita in pieno, grande com'era.
Non voleva rivedere un'altra volta il cadavere di suo figlio dato che le metteva un certo disagio addosso che non riusciva a spiegarsi, ma rimase letteralmente pietrificata quando il suo sguardo si posò quasi naturalmente su di esso: c'era una crepa, una vera e propria spaccatura che iniziava dal foro in mezzo agli occhi e correva per tutto il dorso fino alla punta della coda.
Troppo surreale per essere vero, sarà soltanto un effetto ottico provocato dai bagliori dei lampi e dalla scarsa illuminazione, disse fra sé e sé, ma per essere certa di quelle conclusioni decise di avvicinarsi giusto un paio di metri scendendo dal dorso dell'altra: fece molta attenzione nell'avanzare a causa del pericolo che quei fulmini potessero colpirla da un momento all'altro fino a quando, quasi come un riflesso involontario, la sua mano si posò sulla presunta spaccatura che, purtroppo per lei, si dimostrò essere tale e non un effetto ottico dovuto alle condizioni atmosferiche.
Subito la raptor fece un ringhio di disapprovazione, sembrava quasi che riuscisse a fiutare il pericolo ancora prima che questo potesse manifestarsi, e non aveva esitato a richiamare la sua attenzione sferzando l'aria con la coda quando aveva notato che si stava attardando troppo: senza farsi pregare ulteriormente Cassandra si era data una mossa arrampicandosi non senza fatica su per una delle sue zampe, anche perché probabilmente evitava di chinarsi per non sforzare troppo quella rotta, ma alla fine era riuscita nell'ardua impresa.
Diede un ultimo sguardo al cadavere, uno soltanto, ripensando al fatto che sembrasse ancora così terribilmente vivo quando lo aveva toccato: noi raptor non temiamo la morte come voi umani, l'abbiamo sconfitta quando voi ancora eravate immersi nel vostro brodo primordiale, le aveva detto Diantha la prima volta che l'aveva vista andare in guerra, così fragile e preoccupata che potesse accadere qualcosa ad Oregon.
Aveva ragione quel giorno, ma ormai nemmeno lei temeva la morte.
Non la sua.


Arrivare a casa era stata una vera e propria impresa, complice forse il fatto che Diantha avesse letteralmente dovuto strisciare per coprire gli ultimi metri che le separavano dalla protezione della barriera ma alla fine, in un modo o nell'altro, erano ancora tutti vivi quando finalmente avevano toccato un suolo a loro famigliare.
Con sorpresa di tutti era stato Oregon il primo a riprendere conoscenza e, dopo una serie di stiracchiamenti vari uniti a ruggiti di lamento per le ferite, la prima cosa che aveva fatto era stata prendere Cassandra sotto quello che rimaneva della propria ala godendosi i momenti in cui le stringeva le braccia intorno al collo con singhiozzi rotti dall'emozione: insieme avevano fatto di tutto, erano usciti indenni da decine di guerre sempre e solo insieme, non erano mai stati separati quando si trattava di andare a rischiare di morire perché, almeno secondo quanto si erano promessi il giorno in cui si erano sposati, se avessero dovuto morire lo avrebbero fatto solo e soltanto insieme.
Il che era puramente a scopo indicativo dato che i raptor non conoscevano la morte.
In effetti nemmeno Cassandra si spiegava il motivo per cui avesse temuto che Oregon, Berenix, Diantha o lei stessa potessero morire in quel confronto: non ricordava nemmeno che sapore avesse la paura che ti attanagliava in fin di vita, non aveva mai assaggiato la morsa della morte vera e propria anche perché il giorno in cui lei stava davvero morendo, quello in cui da comune mortale avrebbe dovuto fare i conti con il ciclo della vita, ci aveva pensato Oregon a spezzarlo una volta per tutte.
Comunque stessero le cose dopo quel breve momento di pace che le era stato concesso non si era fatta troppi problemi di gelosia quando Oregon si era accucciato di fianco a Diantha lasciando che lei le leccasse le ferite come una leonessa con il proprio cucciolo: le si stringeva il cuore pensando che la raptor avesse combattuto fino allo stremo per proteggerlo nonostante le divergenze che qualche volta li dividevano, soprattutto se pensava che anche lei avrebbe dovuto fare altrettanto in qualità di madre qual era, o almeno provarci.
Lei cosa aveva fatto?
Aveva abbandonato suo figlio poche ore dopo che era venuto al mondo, si era ripresentata dopo ventidue anni pretendendo un posto nel suo cuore ed ora, quando aveva visto che era completamente fuori controllo, aveva dato l'ordine ad una sua sottoposta di aprire il fuoco senza alcuna pietà.
Ricardo non l'avrebbe mai perdonata, esattamente come non le aveva perdonato di essersene andata, ma ora come ora poteva solamente fare del suo meglio perché potesse riprendersi: doveva farlo per sé stessa, per lui, per la propria famiglia.
Ed anche per il mondo, dato che una bestia simile fuori controllo avrebbe potuto radere al suolo un continente nel giro di un paio d’ore scatenando tempeste random.

Stava ancora volando con la mente vedendo suo marito e sua suocera scambiarsi quei gesti d’affetto così eclatanti quando notò che anche Berenix aveva ripreso conoscenza e che, come suo solito, cercava con evidente difficoltà di reggersi in piedi senza fare rumore né chiedere aiuto; sentì il cuore riempirsi di un sentimento a metà fra la compassione e la pietà per lei, non riusciva a provare altro vedendola in quello stato, così ridotta allo stremo eppure ancora così tremendamente orgogliosa da rifiutare qualsiasi genere di aiuto le venisse offerto.
Qualche volta, guardando lo stato in cui si riduceva pur di eseguire gli ordini che le venivano dati incurante della propria vita, Berenix le faceva pena, davvero molta pena: era fin troppo giovane, non arrivava nemmeno a ventisei anni, per combattere come se non avesse altro scopo nella vita, non aveva nessuno sfogo sul quale potesse riversare le proprie frustrazioni e preoccupazioni e, soprattutto, non aveva più nessuno al mondo.
Berenix era da sola, da sola contro tutti, persino contro i suoi genitori: entrambi infatti appartenevano a quei raptor che passavano la propria esistenza a volteggiare nei cieli di Arkanta a migliaia di metri d’altezza senza mai posare le loro regali zampe a terra ma lei, nonostante fosse nata e cresciuta letteralmente fra le nuvole assaporando il gusto di quella libertà che solo un paio di ali potevano dare, considerava quei cieli una galera.
E un giorno era evasa, lasciandosi alle spalle quella gabbia celeste che era stata a sua casa rinnegando le regole di quel Paradiso per sposare quelle dell’Inferno che si era rivelato essere la guerra: aveva sputato sangue per anni fregandosene della gente e delle loro opinioni, si era caricata una montagna di responsabilità sulle spalle senza mai lamentarsi, aveva mostrato le zanne a chiunque tentasse di avvicinarla, non aveva chinato la testa nemmeno quando avrebbe dovuto farlo e infine, come a ripagarla delle fatiche di una vita, era stata Cassandra ad assoldarla nella Guardia Imperiale ridandole la dignità che aveva abbandonato ad Elysium, la città dove era cresciuta.
Era fedele, forse troppo, ma anche terribilmente diffidente.
Motivo per cui Cassandra decise di astenersi dal porgerle la mano per aiutarla a rimettersi in piedi e preferì solo avvicinarsi per assicurarsi che stesse più o meno bene dato che, a giudicare dall’ala rotta  abbandonata a strisciare per terra, la sua impressione era tutt’altra:
-Sei sicura di sentirti abbastanza in forze per poterti rialzare?- chiese semplicemente senza aspettarsi una risposta, l’avrebbe capita se non avesse voluto parlarle; dopo qualche secondo l’altra annuì tutt’altro che convinta:
 -Non saprei… p-penso di no, ma ho altre… p-priorità… le ossa rotte si… si rimarginano, mia s-signora.- ripose con un filo di voce, era evidente che quel corpo straziato dagli squarci le costasse un dolore che nemmeno voleva provare ad immaginare:
-Se permettete c-credo… sia meglio… entrare, se v-volete: s-sarete al sicuro… più che stando f-fuori.- continuò e lei annuì; si ricordò però all’ultimo che c’era anche Jaqueline da portare dentro, così fece per sollevare la rossa venendo fermata da Berenix, che invece le fece segno di lasciare che fosse lei ad occuparsene.
Piccola mia… cosa diavolo ti stai facendo? Ti odi davvero così tanto da costringerti a sopportare anche questo? Non ti basta il tuo, di dolore? pensò la donna mentre un’espressione di rassegnazione si disegnava sul suo volto: era inutile, se iniziava una cosa doveva per forza portarla a termine, costasse la sua salute o meno.

Nonostante le mute proteste di Cassandra alla fine, passati alcuni momenti in cui la donna aveva seriamente pensato che potesse collassare a terra, era riuscita a prendersi fra le braccia Jaqueline e portare anche lei dentro le più sicure mura domestiche; non aveva idea di dove fosse riuscita a trovare le forze per salire le scale, sistemarla nel suo letto e metterle addosso una coperta, tuttavia quando era scesa sembrava ridotta peggio di quanto lo fosse già qualche minuto prima:
-Posso fare qualcosa per aiutarti?- chiese Cassandra quasi timidamente, sapeva anche troppo bene che la cosa migliore da are con un raptor ferito era farsi gli affari propri, ma se Berenix era stata infastidita da quella richiesta era riuscita a non farlo vedere:
-Oh no, p-penso che... che qualche ora di rigenerazione... possa b-bastare.- rispose fredda per poi uscire dalla porta di ingresso senza aggiungere altro.
Cassandra si era astenuta dal seguirla, anche perché avrebbe potuto fare ben poco mentre l’altra curava le proprie ferite, così si era finalmente decisa a prendersi lei una pausa: avrebbe solamente voluto andare a dormire e svegliarsi il giorno dopo con Oregon che le diceva che era tutto un brutto sogno, che Jaqueline e Ricardo se ne stavano nella loro stanza a fare chissà cosa mentre lui si preoccupava inutilmente, che Berenix si era finalmente riappacificata con i suoi genitori, che quella dannata guerra era finita ed ora poteva tornare a fare la madre.
Ma la realtà era diversa, molto diversa: Ricardo era diventato un mostro fuori controllo pericoloso per sé stesso e per gli altri, Jaqueline aveva avuto un infarto e per poco non era morta, Oregon era stato ridotto a carne da macello da suo figlio, la guerra continuava e mieteva sempre più vittime in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse.
Noi raptor non temiamo la morte come voi umani, l'abbiamo sconfitta quando voi ancora eravate immersi nel vostro brodo primordiale, le aveva detto Diantha, ma Cassandra aveva il terrore di ciò che sarebbe potuto accadere a Ricardo: nelle sue vene scorreva il sangue di suo padre certo, ma c’era anche quello umano di sua madre.
E non era un bene.

Era piuttosto indecisa se passare il resto della giornata fuori con Oregon e Diantha oppure badare a Jaqueline standosene al suo fianco ma alla fine, dopo aver dato una rapida occhiata fuori ed aver notato che stava ancora piovendo, aveva optato per il restare dentro ancora per qualche ora così da riposarsi anche lei una volta per tutte; le si era messa vicino, appena qualche centimetro più in là seduta su una poltrona, e le aveva accarezzato i capelli con fare materno, le dita sottili che scorrevano fra quella cascata color magenta: era così innocente, così impaurita, così confusa.
Così umana.
Le ricordava molto sé stessa alla sua età, ai tempi in cui giocava a fare la fidanzatina insieme al signore dei raptor: lei, una semplice quanto squallida ragazzina senza casa che vagava in mezzo alle favelas pregando di superare la notte viva, quella che non aveva nulla da offrire se non ciò che la povertà le aveva lasciato del suo corpo, che da un giorno all'altro si era ritrovata a corte con migliaia di lucertole che si inchinavano al suo cospetto chiamandola Vostra Grazia.
E Jaqueline aveva scelto lo stesso destino, che lo avesse voluto o meno, il giorno in cui si era messa al collo la collana con cui Ricardo le si era palesemente dichiarato senza chiederglielo esplicitamente: giovane e troppo presa dai sentimenti per rendersi conto che quello era un raptor, che una volta entrata nella loro famiglia, nella loro razza, non ne sarebbe uscita.
Non viva.
Anche Cassandra aveva avuto quella paura, il terrore di non essere abbastanza agli occhi di sua suocera, la stessa che aveva già progettato per suo figlio un matrimonio con la solita rampolla di nobile famiglia a cui interessava solo il titolo reale, ma con il tempo anche Diantha aveva imparato che in fin dei conti non era indispensabile che la sposa del suo cucciolo fosse una raptor, le bastava solo che Oregon fosse felice: e lui era stato felice, per cui il loro quadretto famigliare era anche meglio di quanto avesse solo potuto immaginare.
Ma Jaqueline... lei era perfetta certo, su questo non si poteva dire proprio nulla, eppure Cassandra aveva visto il puro terrore nei suoi occhi quando si era trovata immobile davanti ad un mostro con le zanne fradice di sangue pronto a sbranarla: non si era mossa, nona aveva minimamente reagito, aveva solo aspettato di essere uccisa.
Dalla persona che amava, tra l'altro.
Sembrava quasi che fosse rassegnata a quella fine, che non le importasse minimamente di andare avanti, e per quello poteva anche capirla: dal primo istante che l'aveva vista da sola insieme a Ricardo aveva subito capito che senza lui al suo fianco Jaqueline non riusciva a trovare un motivo per vivere, non poteva farlo dal momento che lui rappresentava tutto il suo mondo, era come se da quando lo avesse conosciuto si fosse scordata addirittura di avere una famiglia che aveva lasciato in pena per mesi prima di dire loro tutto.
Non che a Vance importasse molto di dove fosse sua figlia, ma quelli erano solo dettagli.
La guardò ancora qualche secondo rendendosi conto che non meritava tutto quel dolore, che anche lei avrebbe dovuto avere la possibilità di essere finalmente felice con la persona che amava, che forse non era tutto perduto anche se sembrava così, o almeno lo sperava: Ricardo poteva riprendersi, doveva riprendersi, ma sarebbe dovuto essere versato altro sangue.
Troppo sangue.
E lacrime, soprattutto quelle.


Se sulla Terra si stava scatenando l'inferno allora su Iga si poteva dire che l'inferno era appena iniziato, ed avrebbe tardato a finire: inutile dire che a Palazzo vigeva il caos più totale, consiglieri e ministri che andavano e venivano nel mal riuscito tentativo di preparare tutto per la giornata, gli ambasciatori che parlottavano fra loro nel cortile appena fuori scuotendo ogni tanto la testa rassegnati, altri che annuivano soddisfatti, sacerdotesse vestite in modi piuttosto ambigui che sellavano i cavalli con i paramenti da cerimonia, sporadiche fenici che svolazzavano per i ciliegi in fiore mentre Ignis le guardava pulendosi con cura certosina le preziose penne dei colori del fuoco.
E poi c'era Hanzo, che aveva sbarrato la propria camera e si era rifiutato di aprire a chiunque, che fosse sua madre venuta per dirgli di darsi una mossa o un mercenario psicotico che voleva tormentarlo quando era già abbastanza sconvolto di suo: lo aveva lasciato spiazzato, quello sì, probabilmente perché entrambi avevano impiegato anni a dimenticare quello spiacevole incidente, o forse perchè gli aveva ricordato quanto fosse stato tutto così dannatamente umiliante.
E doloroso, molto doloroso.
Purtroppo.
Quando Bone se ne era andato gli era venuto spontaneo rivolgere uno sguardo distratto alla cicatrice che quella meravigliosa esperienza gli aveva lasciato, una sorta di monito allo smettere di provare ad evadere perché tanto era inutile: nonostante gli anni era ancora distinguibile la pelle tirata di un rosa vagamente lucido che percorreva la gamba sinistra dal fianco fino a poco più sotto il ginocchio, i bordi irregolari gli ricordavano che il femore aveva squarciato la carne dall’attaccatura dell’anca fino a tre quarti della sua lunghezza per poi tranciare di netto l'arteria femorale.
Sarebbe dovuto morire, ci aveva sperato fino a quando ne aveva avuto memoria quel giorno, ma a quanto sembrava il karma aveva proprio intenzione di riservargli qualche altro anno di torture psicologiche prima di mollare la presa.
Dove con mollare la presa si intende di uscire dal carcere per entrare in un altro con l'unica differenza che, mentre nel primo le sbarre ti facevano capire che ci entravi vivo e ne uscivi morto, nell'altro le sbarre non c'erano, non fisicamente: perché alla fine entrare a corte era stato quello, una vera e propria tortura al confronto della quale rimpiangeva i giorni in prigione, dove almeno poteva fare quello che più lo aggradava senza che dovesse preoccuparsi di fare buona impressione su qualcuno, tra l’altro a lui perfettamente sconosciuto.
Poteva sopportare le umiliazioni, poteva anche stare zitto tutto il tempo se si impegnava, poteva addirittura riuscire a dare l’impressione di sottomettersi a quelle dannate regole, tuttavia una cosa non riusciva proprio a farla: non riusciva a rinnegare nè sé stesso nè il suo passato.
E non era un bene.
Loro parlavano certo, parlavano e parlavano senza sosta, ma non immaginavano nemmeno lontanamente cosa si provasse a restare giornate intere senza uccidere qualcuno, senza usare quel pezzo d’acciaio che aveva nel braccio: da quando era tornato su Iga si era presto reso conto che usare il Monte Fuji Lifting diventava sempre più difficile e doloroso, non aveva mai provato un dolore simile, a volte gli sembrava che potesse lacerargli la carne, c’erano addirittura giornate in cui sperava davvero che glielo amputassero quel fottuto braccio destro, in fin dei conti poteva vivere anche senza.
Perché diavolo Bone glielo aveva rotto e basta, non poteva direttamente tranciarglielo?
A quanto pare no.
Peccato, un vero peccato.
La verità era che, nonostante Hanzo si ostinasse a negarlo a sé stesso, odiava la vita che quel maledetto braccio lo aveva obbligato a fare: non era mai stato una persona normale, persino quando era piccolo nessuno gli si avvicinava mai, ed anche ora non c’era anima viva che osasse stargli più vicino del dovuto.
E quella vita era dannatamente stancante.

A distrarlo da tutti quei pensieri che si ostinavano a perseguitarlo fu il suono dei qualcuno che bussava la porta per chiedere di entrare: non si fece nemmeno problemi a chiedere chi fosse, non gliene importava proprio nulla, non volle nemmeno dire “avanti” per dare il permesso a sicuramente sua madre di andare a vedere come suo figlio se ne fottesse alla grande di quello che avrebbe dovuto essere il giorno più importante della sua vita.
Misera vita, avrebbe aggiunto.
Ovviamente Mizuki non si fece pregare due volte prima di entrare, a quanto sembrava non si era ancora data ai preparativi per quanto riguardava la cerimonia così aveva deciso di dedicarsi a suo figlio, o almeno di provarci sperando di non generare altro rancore più del dovuto:
-Pensavo ti fossi già preparato,o almeno che ti stessi preparando ora- disse chiudendo la porta guardando il pomello con particolare interesse, poi prese posto sull’angolo opposto del letto dove era seduto l’altro:
-C’è qualcosa che ti preoccupa?- chiese allungando la mano per sfiorarlo, ma lui non le diede il tempo di farlo che si alzò di scatto girandosi verso la finestra e dandole le spalle, così lei fu costretta a ritrarre la mano.
Mizuki non l’aveva presa bene, probabilmente pensava che le avrebbe lasciato fare solo perché era terrorizzato dall’incoronazione e tutto il resto, ma la verità era che se c’era qualcosa che Hanzo odiava più della sbornia del sabato sera di Bone Cold erano le persone che facevano le cose per puro e semplice interesse o a causa dei propri sensi di colpa: e sua madre, di sensi di colpa, ne aveva parecchi da risolvere.
Tuttavia, nonostante sperasse che quel gesto l’avesse convinta a desistere e tornare alle sue improbabili sacerdotesse ninfomani, la regina si era alzata a sua volta e gli si era avvicinata alle spalle lasciando comunque un certo spazio nel caso in cui gli venisse la voglia di commettere un omicidio:
-Puoi anche darla a bere a tuo padre ma con me questa finta aria da lupo solitario non funziona- asserì con la voce severa sorprendendolo non poco dato che qualche secondo prima sembrava solo una madre disperata:
- Prima lo capisci prima possiamo iniziare a parlare da adulti, o meglio da sovrani se vuoi metterla sotto questo punto di vista.- concluse incrociando le braccia con aria di sfida.
Cosa avresti in mente di fare?, pensò fra sé e sé cercando di non sembrare preoccupato da quella reazione quando in realtà era fin troppo sorpreso: se Mizuki aveva in mente qualcosa allora stava giocando le sue carte solo ora, nel momento in cui sapeva che non avrebbe osato opporsi.
Hanzo aveva deciso di non chiederle cosa volesse, era certo che sarebbe comunque riuscita a nasconderglielo in tutti i casi, ma per sicurezza cercò di capire la distanza fra lui e la spada che, per sua sfortuna, si trovava dall'altra parte della stanza a non meno di sei o sette metri da dove si trovava.
Oh avanti, una cazzo di spada ce l'hai ancora, gli sembrò che dicesse una voce in uno sperduto angolo della sua mente, volendo avrebbe anche potuto ascoltarla, ma c'era un qualcosa di inquietante nello sguardo di sua madre che gli suggerì di evitare stronzate simili prima di scatenare l'inferno.
Lei aveva le sacerdotesse, le guardie reali ed un numero non meglio definito di seguaci dalla sua parte, per non parlare di Shannara e Aerandir.
E magari anche Ignis, perché sicuramente quel pollo arrosto eseguiva anche i suoi comandi.
Lui cosa aveva a proteggerlo?
Niente, niente di niente.
No, era decisamente meglio provare a mantenere la situazione sotto controllo per quanto sarebbe stato molto più complicato del previsto.

Erano seguiti istanti di silenzio durante i quali aveva provato in tutti i modi ad anticipare le sue mosse, o perlomeno capire se volesse ammazzarlo in preda ad un qualche istinto materno a lui sconosciuto, tuttavia alla fine aveva capito che forse parlare era la via migliore, forse:
-Cosa vorresti intendere dicendo che ora possiamo parlare da adulti? Mi prendi per un adolescente per caso?- chiese senza nascondere un velo di irritazione, ma lei rispose con un sorriso compiaciuto:
-Oh sì, ti comporti proprio come un bambino di dieci anni, sei sempre a lagnarti di senza farti andar bene mai nulla: e non voglio questo, e non voglio quello, e quello è uno stronzo, e quella è un puttana, e le sacerdotesse qui, ed i ministri lì, e la guerra qua, e la guerra là.- spiegò con nonchalanche tirando quelle frecciatine attraverso quel dannato sguardo accusatorio, i suoi occhi azzurro-verdi che cercavano una conferma mentre all'altro stava decisamente salendo un'improvvisa voglia di strozzarla con quell'adorabile nastro bianco che le teneva legati i capelli.
Dov'erano Bone Cold ed il suo kalashnikov quando servivano?
Alla fine fu Mizuki ad avvicinarsi per prima senza alcun timore:
-Sappiamo entrambi che non potrai tenere Chiharu nascosta nella tua ombra per sempre, prima o poi qualcuno lo verrà a sapere e beh, non si sa mai cosa potrebbe accadere se si venisse a sapere che l'erede al trono ha disertato le regole del nostro pianeta, le nostre tradizioni insomma...- sussurrò avvicinandosi al suo orecchio
-Prima la stupreranno, poi verrà decapitata, infine il suo corpo verrà lasciato in pasto ai cani ed ai lup...- non fece in tempo a finire che Hanzo si decise a soddisfare il proprio istinto e gli mise seriamente il nastro intorno al collo tenendolo teso quel che bastava per tenerla buona senza ucciderla:
-Non azzardarti nemmeno a nominarla- le disse secco mantenendo la presa
-Tienila fuori da tutti i tuoi dannati complotti a corte, tienila fuori da questa storia se vuoi avere salva la vita ancora per qualche tempo.- la avvisò mollandola subito dopo.
Mizuki sembrò decisamente confusa di fronte a quelle azioni, probabilmente nei suoi programmi non c’era quello di essere quasi soffocata da suo figlio, tuttavia riuscì a mantenere il sangue freddo:
-Finalmente ti sei dato una svegliata tesoro mio, meglio tardi che mai- asserì massaggiandosi il collo e sorridendo come se nulla fosse:
-Allora? Vogliamo parlare da adulti o preferisci stare qui a fissarmi le tette come se non ne avessi mai viste in vita tua?- chiese lasciandolo in uno stato a metà fra l’allibito e lo sconcertato:
-Ma che cos…non ti sto guardando le tette!- si affrettò a specificare mentre l’altra scoppiava a ridere
-Oh lo so non preoccuparti, Chiharu mi ha rassicurato sul fatto che sono ancora lungi dal diventare nonna dato che probabilmente non sai nemmeno dove devi infilarlo quell’affare che hai in mezzo alle gambe: Bone ha ragione tesoro di mamma, se non lo usi si consuma.
E sarebbe un peccato, un vero peccato dato che dei nipoti li vorrei.- concluse guardandolo con un sorriso innocente, non certo da maniaca sessuale.
Maniaca sessuale, ecco cosa sembrava sua madre.
Non si capiva bene cosa volesse fare o rispondere Hanzo, fatto stava che era visibilmente imbarazzato da quell’affermazione:
-Io so perfettamente quello che devo fare, non credo che mi servano i consigli dei miei genitori per andare a letto con la mia fidanzat…- disse quando Mizuki lo interruppe
-Ventisette anni e sei ancora vergine: tu non hai idea di cosa fare, ammettilo.- lo stuzzicò continuando a ridere mentre lui scuoteva la testa rassegnato: non c’era niente da fare, se era fissata avrebbe continuato fino allo sfinimento.
E poi non poteva contraddirla, non del tutto almeno.

Dopo ulteriori attimi di un imbarazzante silenzio interrotto ogni tanto dai gridolini di sarcasmo da parte di Mizuki, i quali coprivano la maggior parte dei pensieri che aleggiavano per la stanza, lei gli si avvicinò e passò la sua mano sulla cicatrice che percorreva l’occhio sinistro scendendo verso la guancia ed il collo, per poi disperdersi sulla spalla in un labirinto di scanalature sulla pelle lucida:
-Io non c’ero quel giorno, non ci sono mai stata nemmeno in quelli seguenti, ma avrei dato la vita per esserci anche solo per un secondo…- disse tornando incredibilmente seria mentre un brivido gelido gli percorreva la schiena:
-Mi dispiace, mi dispiace tanto, avrei dovuto… io… no, le scuse non bastano, non potrebbero mai bastare dopo quello che hai passato.- continuò con uno sguardo che lasciava intendere che fosse sul punto di piangere.
L’imperatrice di Iga, la sovrana delle sacerdotesse, il generale della guardia del tempio: lei, proprio lei, provava dei sensi di colpa.
Lei, quella che non ne aveva provati, ora ci stava annegando dentro.
Si era promesso di non dimenticare ciò che entrambi i suoi genitori gli avevano fatto passare, né di perdonarli per essersene fottuti dell’unico figlio che gli era rimasto, eppure quella era sua madre, e per la prima volta la stava vedendo soffrire sinceramente: non era una scenata, non poteva esserlo, nessuno sarebbe riuscito a fargli credere che lo fosse.
Per quel motivo, e per una serie di rimorsi che lo avrebbero afflitto se l’avesse rifiutata in un modo tanto brusco, non aveva proferito parola e l’aveva lasciata fare come se niente fosse, era l’unico momento da quando era arrivato sul suo pianeta durante il quale si sentiva per la prima volta a casa, un luogo senza nessuno che lo giudicasse o lo rimproverasse per ciò che decideva di fare; forse Mizuki aveva intuito quello che stava pensando, o forse aveva solo dato ascolto al proprio istinto materno appena risvegliatosi dall’alba dei tempi, ma era finita che lo aveva stretto in un abbraccio piuttosto soffocante ma che Hanzo, per quanto provasse una certa diffidenza verso gli abbracci, non aveva contestato come suo solito.
E va beh, se per il trono doveva sopportare tutta quelle moine materne poteva anche lasciar correre, l’ultima cosa che avrebbe voluto era sua madre che gli dava contro come già faceva Soichiro.

La cosa era durata cinque minuti buoni passati nel silenzio più assoluto, poi lei lo aveva guardato con aria imperscrutabile:
-Cosa ti infastidisce di più dello stare su questo pianeta?- gli aveva chiesto a bruciapelo senza aspettarsi una risposta, e in effetti quella domanda impiegò qualche minuto per trovarla:
-Non posso essere quello che sono sempre stato, ecco cosa mi infastidisce.- rispose secco spostando lo sguardo verso un punto indefinito oltre la finestra per distrarsi sperando che non volesse ulteriori spiegazioni alla sua, ma alla fine fu lui ad approfondire:
-Mi infastidisce che non possa uscire da questa sottospecie di prigione coperta di sfarzo nemmeno fosse una reggia sorvegliata da delle sacerdotesse mezze nude, mi infastidisce che debba essere sempre accompagnato dalla scorta nemmeno fossi l’imperatore di mezza nebulosa, mi infastidisce che non possa vedere la mia ragazza perché se qualcuno dovesse venire a scoprirlo la impiccherebbero come la peggiore degli assassini e, giusto per non dimenticare che sono un criminale dato che nessuno sembra volersene dimenticare, mi infastidisce non poter ammazzare qualcuno quando ne ho voglia: ecco cosa mi infastidisce, se proprio vuoi saperlo.- concluse prendendo fiato e stringendo i pugni.
Questa volta Mizuki non sembrava avere la risposta pronta, o almeno non apparentemente, tuttavia dopo poco gli prese le mani fra le proprie e gli rivolse un altro sguardo:
-Forse tu credi che io non possa capirti ma ti assicuro che ti capisco più di quanto immagini, anche io ho dovuto passare per questa spiacevole via a mia volta- spiegò velocemente senza distogliere lo sguardo dal suo:
 -Fregatene di quello che ti dicono, è questo che mi hanno insegnato, fregatene e fai ciò che vuoi: hai un pezzo di acciaio nel braccio che con tutta probabilità sai usare meglio del tuo pene, inizia a mettere in chiaro da subito chi comanda a palazzo se non vuoi trovarti schiacciato dalle persone che fingono di essere potenti.- continuò lasciando nuovamente suo figlio con un’espressione sconcertata da tutti quei discorsi sessualmente ambigui.
Eppure, per quanto Mizuki continuasse a tirare fuori discorsi improbabili per arrivare a parlare del pene di suo figlio, era come se il punto al quale volesse arrivare fosse ben altro, forse meno ambiguo di quelli fatti fino a quel momento:
-Posso chiederti una cosa?- domandò ma l’altro sembrava piuttosto perplesso
-Non temere, non riguarda il tuo pene, credo.- aggiunse e allora Hanzo annuì rassegnato sperando che non stesse mentendo; la donna abbassò lo sguardo solo per un istante, fu un movimento quasi impercettibile, poi lo rialzò cercando quello dell’altro:
-Hai per caso notato qualche cambiamento da quando sei arrivato su Iga? Qualcosa di… diverso rispetto a come sei sempre stato?- chiese infine ottenendo solo ulteriore silenzio tombale, così decise di rendere la domanda più ristretta:
-Hanzo… per favore, non è un interrogatorio ma ti prego, cerca solo di dirmi quello che sai, è molto più importante di quanto tu possa immaginare.- aggiunse mentre il suo tono lasciava intravedere un filo di preoccupazione, poi decise di rassegnarsi al fatto che non avrebbe mai ottenuto nulla con quelle dannate domande; alla fine capì che arrivare al punto da sola era meglio che cercare di strappargli anche una singola parola:
-So che non riesci ad usare i tuoi poteri da quando sei qui, e non negarlo: ci hai provato, di questo ne sono certa, ma ti sei anche accorto che non serve a nulla provare e riprovare quando il risultato è sempre e solo lo stesso.- precisò gettando lo sguardo verso il panorama che si affacciava dalla finestra quasi come la risposta non le importasse.
Sapeva di aver toccato un argomento che sarebbe stato meglio lasciare in disparte, ma aveva un disperato bisogno di sapere quello di cui aveva bisogno:
-Come fai a sapere così tante cose su quello che posso fare o meno?- domandò senza riuscire a trovare una risposta valida, e nemmeno Mizuki sembrava volergliela dare; non sapeva perché lo avesse fatto, né tantomeno il motivo per cui avesse afferrato sua madre per le spalle e l’avesse messa al muro con una violenza che nemmeno sapeva di avere, ma comunque fossero messe le cose ora si trovava totalmente sopraffatto da un terribile senso di odio represso, tuttavia non ci volle molto perché lei riuscisse a calmarlo in un modo o nell’altro:
-Avanti, uccidimi se è ciò che vuoi veramente, ma non lamentarti se poi ti troverai in mezzo ai complotti di corte e non saprai come proteggere Chiharu perché, questo te lo posso assicurare, tuo padre ha molti più informatori di quanto tu possa solo immaginare: la vostra tenera relazione ha i giorni contati se mi ammazzi, pensaci prima di farlo.- disse semplicemente constatando che quelle poche frasi le bastarono perché l'altro mollasse la presa leggermente indeciso sul da farsi:
-Tu non hai idea di cosa stia passando per quel fottuto pezzo di ferro arrugginito, se a Chiharu dovesse accadere qualcosa prima che io diventi l'erede al trono non credere che te la lasc...- non finì che Mizuki lo zittì con una mano:
-La sto proteggendo da sette anni, e nessuno sospetta nulla: sono tua madre, un minimo di fiducia in me dovresti averla.- fece presente, ma Hanzo sospirò annoiato:
-Non contarci, non mi fido di te più di quanto mi fidi di Bone Cold, con la differenza che lui è un mercenario e nonostante sia un bastardo come pochi mantiene ciò che dice, sempre.- controbatté senza un minimo interesse sperando che ora lei se ne andasse e lo lasciasse in pace.

Tuttavia, per quanto Mizuki avesse esaurito le proprie affermazioni, le restava ancora una carta da giocare, per quanto avesse voluto evitarla in tutti i modi:
-Sono certa che se riuscissi a dimostrarti che siamo nella stessa situazione tu inizieresti a fidarti di me, mi sbaglio forse?- chiese e lui tornò leggermente interessato:
-Oh sì, se solo tu potessi dimostrarmelo, il che è dannatamente improbabile, potrei anche iniziare ad inginocchiarmi al tuo cospetto, Vostra Grazia: ti piace questa prospettiva?- rigirò la domanda facendole scappare una risata, ma niente di più, né una parola né un'altra richiesta da parte sua.
Senza nessun preavviso Mizuki si tolse la parte superiore del kimono che era solita portare scoprendosi, oltre alle spalle ed alle braccia, anche con molta naturalezza il seno come se nulla fosse, il che lasciò piuttosto sconcertato Hanzo, che da parte sua iniziava a porsi delle domande sulla sanità mentale della propria madre; ovviamente l’altra lo notò e rise di gusto:
-Oh avanti, hai seriamente paura di un paio di tette? Ora inizierai ad urlare come una femminuccia pregandomi di rivestirmi altrimenti rischio di risvegliare i tuoi istinti sessuali?- lo interrogò mentre lui si metteva una mano sul volto ed iniziava a scuoterlo rassegnato, il che la divertiva non poco; appena si riprese dallo sconvolgimento iniziale il suo sguardo fu inevitabilmente catturato dall’intricato disegno sulla schiena della donna, il che lo lasciò ancora più perplesso: era un tatuaggio che rappresentava quella che doveva essere una fenice che andava dalle spalle fino ai glutei, occupando tutto lo spazio che il dorso potesse offrire, la testa dell’animale era posizionata proprio al centro di tutto il disegno contornata da un vortice di fiamme che l’avvolgevano, affiancata dalle imponenti ali di un rosso rubino che sfumava qua e là in un altrettanto acceso arancione ed un vivido giallo-oro mentre la coda, oltre a svilupparsi verso il basso, andava a biforcarsi sulle braccia avvolgendole con delle piume più spesse e di colori ancora più intensi.
Era splendida, non avrebbe potuto pensare altro, soprattutto perché non avrebbe mai potuto aspettarsi che una donna così colta, così a modo, così regale, potesse avere un tatuaggio di tali dimensioni sul proprio corpo.
Tuttavia,per quanto Hanzo si sforzasse di concentrarsi solo su quel particolare, era certo che fosse ben altro ciò che sua madre volesse mostrargli: forse perché lei le aveva appena puntato il dito contro senza un particolare motivo, o forse perché la storia che fosse malata di mente non reggeva più, stava di fatto che un brivido gli era corso lungo la schiena mettendolo sulla difensiva dalla donna che aveva davanti in quel momento; lei però non se ne preoccupò troppo:
-Mi hai detto che per avere la tua fiducia dovrei capire quello che hai passato fino ad oggi, è questo che mi hai chiesto, giusto?- domandò senza pretendere una risposta mentre l’altro aveva avuto, sperando che fosse solo un effetto ottico o qualcosa di simile dovuto alla stanchezza, come l’impressione che la sua pelle fosse diventata lucida: non lucida nel senso di un qualsiasi materiale organico, non era come se fosse solo liscia al tatto, sembrava più di un lucido… come dire… metallico.

Metallico… era così tremendamente famigliare.
Era stato solo un istante, un istante durante il quale aveva sentito chiaramente un’improvvisa quanto dolorosa fitta di freddo alla spalla destra che era andata diradandosi fino alla punta delle dita: il morso dell’acciaio, ecco cosa sembrava, era come la sensazione di una lama che ti trapassava la carne fino a squarciarti l’anima.
La stessa che aveva provato ventidue anni prima, quando aveva capito da solo di non essere proprio così normale come aveva ingenuamente pensato.
La stessa che lo aveva fatto crollare in ginocchio quando si era reso conto che l’acciaio non aveva più intenzione di starsene buono buono sotto la carne, quando aveva sentito le ossa frantumarsi per fare spazio a qualcosa di peggio, di molto peggio.
Non sei da solo, gli disse una vocina nella sua mente, ma rischi di restarlo se ti tranciano la carotide.
E quella vocina aveva ragione, soprattutto perché quando aveva abbassato lo sguardo ciò che aveva visto era solo il bordo di una lama abbastanza affilata da aprirgli un taglio di venti centimetri nella gola se solo avesse provato a respirare e che, se solo gli avesse solamente sfiorato la pelle, avrebbe significato un viaggetto nell'Ade senza ritorno: era fottuto, se voleva ammazzarlo senza che nessuno lo venisse a sapere allora quello era proprio il momento buono.
Ma per sua fortuna Mizuki aveva ancora un minimo di amore materno, o comunque qualcosa che gli suggerì di togliere quell'arma dalla gola di suo figlio e starsene lì perfettamente calma, mezza nuda e con metà del braccio destro ormai irriconoscibile a causa della lama di acciaio che ne fuoriusciva.
Per quanto una simile scoperta lo avesse lasciato evidentemente dubbioso su cosa sapesse o meno sui propri genitori, Hanzo da parte sua aveva sempre saputo che sua madre era ben diversa da Soichiro, c'era qualcosa in lei che dal primo istante in cui l'aveva vista gli aveva fatto presente che quella donna avesse un bel po' di segreti da nascondere ai suoi occhi e, perché no, forse anche a quelli del marito: se era vero che l'apparenza inganna, allora con Mizuki quel discorso valeva, e anche parecchio.
Passati i primi istanti di insicurezza su cosa dire o fare era stato inevitabile che il suo sguardo si fosse posato sull'acciaio di un innaturale colore bianco avorio perfettamente intatto, e soprattutto sulle iscrizioni simili a rune miste a geroglifici che correvano su tutta la sua lunghezza e che brillavano di un non del tutto umano azzurro cielo.
Se fino a quell'istante il Monte Fuji Lifting era stata la massima espressione di distruzione che Hanzo aveva conosciuto, allora doveva iniziare a rivedere i propri standard per misurare gli effetti di quell'improbabile potere di morte che ora aveva appena scoperto avere anche la donna che governava un intero pianeta, il suo pianeta: ora era lui il principiante, e la cosa gli faceva salire un certo nervosismo che sapeva di non essere bravo a controllare, ma c'era da dire che quella fottutissima spada era ben lungi dall'essere simile alla sua, ormai ricoperta di solchi e graffi che non ne volevano sapere di rimarginarsi.
Dopo qualche interminabile secondo durante il quale l’indecisione si era dipinta sul volto di Mizuki alla fine era stata lei ad avvicinarsi senza evidenti desideri omicidi e gli aveva messo una mano sulla spalla con fare materno:
-Sono l’unica persona di cui ti puoi fidare su tutto il pianeta, quindi decidi bene a chi vuoi dare la tua fiducia prima di farlo: un passo falso e ci sarà sempre qualcuno pronto a piantarti un pugnale nella schiena, e non sarà tanto per scherzare come fa Bone Cold- spiegò con un insolito ed inquietante atteggiamento di segretezza:
-Tuo padre non deve sapere nulla di tutto questo, né di quello che ti ho mostrato né di ciò di cui abbiamo parlato: ci sono segreti che è bene rimangano tali per la salute di tutti, e ricorda che se sono così tanto misteriosa con lui è perché non ho intenzione fargli vedere morire un altro figlio, non un’altra volta.- concluse poco prima che il suo braccio tornasse perfettamente normale in circostanze alquanto arcano, poi si rivestì e gli girò le spalle aprendo la porta, ma non senza dirgli un’ultima cosa:
-Sei tutto ciò che ci è rimasto, tutto: non permetterò che ti accada qualcosa, non oggi.-
Hanzo rimase qualche minuto a guardare la porta senza motivo, la mente che cercava invano di rispondere alla moltitudine di domande che quell’evento aveva fatto nascere, poi capì che era inutile scervellarsi dietro una cosa simile: doveva fidarsi, solo quello.
Di sua madre, di suo padre e, anche se sarebbe stato difficile, di sé stesso.


Sangue, sangue ovunque si girasse: sul pavimento, sul letto, sulle sue mani.
Non oggi, non ora, non lei: non azzardarti nemmeno a prenderla, non ci provare, si ripeteva nella testa cercando di sgombrarla dai pensieri che si facevano strada con una violenza inaudita senza lasciargli un attimo di tregua da quell'inferno.
Morirà, lo sai anche tu, sembrò suggerirgli una vocina interiore piuttosto discutibile alla quale non voleva credere, evitale una morte peggiore di quella che avrebbe rimanendo qui a dissanguarsi: tagliarle la gola è il gesto d'amore migliore che potresti fare, non prolungare oltre quest'agonia che tu stesso hai provocato.
Per quanto sbagliata quella voce aveva ragione, aveva fottutamente ragione, era davvero colpa sua: sapeva benissimo che gli umani non erano fatti per mettere al mondo i raptor, c'era un motivo se i primi partorivano i loro figli ed i secondi deponevano uova nei luoghi più impensabili, e le due cose avrebbero dovuto rimanere divise.
Molto divise.
Non si giocava a fare dio con la natura ma Oregon, a fare dio, ci aveva preso l'abitudine: solo che questa volta le cose gli erano sfuggite di mano, anche troppo, ed ora si trovava con le spalle al muro senza poter fare nulla per salvare la donna che amava.
A vent'anni non ancora compiuti Cassandra sarebbe morta di parto con l'utero squarciato dagli artigli dello stesso raptor che era effettivamente suo figlio, e che sarebbe potuto anche essere stato l’ultimo.
Ed era colpa sua, sua e di Oregon: lei che voleva una famiglia come tutte le donne che aveva conosciuto, lui che pretendeva una discendenza diretta al trono per non darlo a nessuno che non avesse i suoi geni nel corpo.
Ed ora, a dieci minuti dalla nascita del suo primogenito, stava già vedendo sua moglie in un lago di sangue che continuava ad allargarsi mentre lui, forte del fatto che sua madre si rifiutasse di mettere mano alla situazione perché con gli umani non voleva averci a che fare, se ne stava dall'altra parte della stanza con tutto ciò che gli sarebbe rimasto se lei fosse morta avvolto in una coperta.
La verità era che per sopravvivere Cassandra avrebbe avuto bisogno di un intervento per fermare l’emorragia il più presto possibile e, per quanto Oregon avesse in casa propria un vero e proprio piccolo esercito di raptor con le stesse qualifiche dei medici umani, nessuno di loro avrebbe mosso un artiglio per salvare la vita di un’umana se glielo avesse ordinato, complice il fatto che l’improbabile quanto saggia opinione della Figlia dei Ghiacci che rispondeva al nome di Diantha veniva sempre e comunque prima di quella dell’Imperatore: sarebbe morta, e lui non avrebbe potuto fare nulla per impedire tutto ciò dato che non c’era sangue compatibile nelle vicinanze e di portarla in ospedale nemmeno si doveva parlare, ne sarebbero nate troppe domande per sapere cosa ne fosse stato del bambino, umano o lucertola che fosse.
Poi, quasi mosso da una sorta di istinto paterno che nemmeno sapeva di avere, guardò istintivamente il frutto di tutte quelle sofferenze rendendosi conto che chiunque sarebbe stato d’accordo nel dire che di umano avesse ben poco, a parte qualche goccia di sangue in circolo: una lucertolina di nemmeno cinquanta centimetri coperta di squame di un viola spento talmente sottili da lasciar intravedere le vene ed i capillari sotto la pelle lo stava guardando aspettandosi chissà cosa da ormai cinque minuti buoni, lui che non aveva la minima idea di cosa volesse che faceva lo stesso con un'espressione confusa mentre lasciava che la minuscola coda gli si avvolgesse svogliatamente intorno al polso ruotando la testa senza un particolare motivo.
Quasi per caso che una goccia di sangue le cadde da una di quelle minuscole zanne sulla sua mano, un liquido particolarmente denso di un innaturale azzurro iridescente che, se visto controluce, lasciava notare alcune striature color oro qua e là: fu allora, e solo allora, che si rese conto che forse non era troppo tardi per fare qualcosa, che per salvarla non sarebbe servito molto sangue.
Non umano.

Cassandra si era svegliata di colpo ansimando, teneva una mano stretta al petto quasi avesse paura che con quel continuo martellare il cuore potesse aprirsi un varco da un momento all’altro ed andarsene allegramente: sentiva come un brivido, una sensazione di freddo pungente che le percorreva ogni singola fibra del corpo fino a dissolversi nel più profondo del proprio essere.
Solo in un secondo momento notò che quel gelo polare che aveva appena percepito altro non era che il preavviso della presenza di Diantha sulla poltrona di fronte a lei, mezza nuda e fresca come una rosa giusto per non smentirsi: le tracce del combattimento di poche ore prima erano completamente sparite nel nulla, nessuna cicatrice o ferita percorreva i colori iridescenti del ghiaccio che ricopriva quel corpo da raptor così dannatamente perfetto da risultare innaturale, a coprirla aveva solamente un vestito, se così si poteva definire il sottile pezzo di pizzo bianco che a malapena nascondeva le sue nudità, ed una serie non meglio definita di gioielli dorati sulle più svariate parti del corpo.
Era incredibile come le sue capacità di rigenerazione le avessero permesso in quelle poche ore di rimarginare ogni singola ferita, ogni singolo tendine ed anche ogni dannatissimo capillare che fino a poco prima erano ridotti a carne da macello, persino la zampa evidentemente rotta ora appariva perfettamente normale ed anzi coperta di più cristalli di quanti ce ne fossero prima.
I raptor erano perfetti, su quello non poteva discutere ormai da tempo, eppure qualcosa in loro le faceva sempre alzare la guardia: erano lucertole abnormi, alcuni le definivano enormi draghi risorti da chissà quali epoche perdute, ma alla fine si trattava sempre e comunque di bestie fameliche il cui bisogno principale era nutrirsi e distruggere, dimostrare di essere più forti, più intelligenti, più tecnologici.
Egocentrismo, lo chiamava lei.
Progresso, lo definivano i raptor.
Dopo la confusione iniziale si era messa seduta più o meno comodamente, ed anche Diantha l'aveva imitata alzandosi ed appoggiandosi al bracciolo del divano:
-Fammi indovinare, passato o futuro?- domandò e l'altra sospirò poco convinta alzando lo sguardo:
-Passato, anche troppo per i miei modesti gusti- rispose massaggiandosi le tempie
-Non ti ricordava così stronza e vendicativa con me, mi sembrava che l'ultima volta fossi stata decisamente meno protesa verso l'omicidio intenzionale, ma forse mi sbaglio.- continuò lasciandosi scappare una risata mentre l'altra scuoteva la testa divertita:
-Oh sì, ero una brutta persona o lucertola che dir si voglia, non che ora sia meglio ma credo che il mio attuale comportamento sia un buon compromesso fra l’autorità e la compassione, o almeno credo- disse accavallando le gambe con una certa sensualità; Cassandra invece avevo lo sguardo puntato verso un punto indefinito come se fosse assorta in una moltitudine di pensieri anche se sperava che l’altra non lo notasse, ma fu come se le parole le sfuggissero di bocca:
-Mi avresti davvero lasciato morire se non fosse stato per Oregon?- chiese pentendosene subito dopo dato che la cosa sembrava fin troppo impertinente.
Passarono alcuni minuti prima che Diantha rispondesse, tuttavia fu una sorpresa il fatto che decise di farlo senza che nessuno le stesse cercando di estrapolare una risposta:
-Sì, lo avrei fatto sicuramente, non sono il tipo di persona che si fa degli scrupoli- spiegò senza sembrare minimamente preoccupata, poi le si avvicinò e le accarezzò la guancia, il tocco freddo delle sue squame sulla pelle calda di Cassandra che produceva una diafana condensa ghiacciata:
-A volte mi chiedo come sarebbe stato il nostro rapporto se avessi abbandonato prima tutti i miei pregiudizi sugli umani, se avessi lasciato da parte l’arroganza e l’orgoglio anche solo per un secondo: probabilmente avrei capito subito quale meravigliosa donna mio figlio avesse scelto per condividere la propria vita, solo questo.- concluse lasciando cadere il silenzio.
Cassandra restò particolarmente colpita da quelle parole, soprattutto perché le stava dicendo la stessa che quando suo figlio era nato l’avrebbe volentieri lasciata morire dopo una terribile agonia:
-Ed a me dispiace di non essermi resa conto che stavi solo cercando di proteggere tuo figlio, come ogni madre farebbe col proprio… come io non sono riuscita a fare con il mio.- disse sospirando ed abbassando lo sguardo, i sensi di colpa di non aver potuto fare nulla se non di guardare la stavano divorando ormai da ore senza che riuscisse a scrollarseli di dosso; quelle parole sembrarono far venire un’improvvisa illuminazione a Diantha, che nel frattempo si era alzata di scatto rischiando di tagliargli la gola con un improvviso colpo di coda:
-A proposito di tuo figlio ho alcune cose da mostrarti, vorrei una tua opinione per confermare le mie ipotesi prima che questo continente venga raso al suolo dalla tempesta più violenta della quale l’umanità avrà memoria.- continuò frettolosamente per poi sparire a grandi falcate nella libreria nella stanza adiacente dove Oregon era solito tenere, oltre i comuni scritti umani, anche quelli provenienti dal suo pianeta per ogni evenienza.

Diantha tornò qualche istante dopo in compagnia di un grande quanto pesante tomo che posò sul tavolo poco lontano dal divano, invitando Cassandra a prendere posto su una delle sedie per vedere meglio ciò che voleva mostrargli: era impossibile non riconoscere quel volume, la copertina era ricoperta di un sottile strato di squame azzurre che si scurivano verso i lati, al centro quella che doveva essere la testa di un raptor di una specie non meglio definita che protendeva le ali verso l'alto abbracciando delle scritte simili a delle rune, mentre la coda si snodava per tutta la parte inferiore spuntando qua e là fra gli strani segni, probabilmente incisi e poi messi in rilievo con della lamina d'oro di un giallo acceso.
Era noto come “Le Cronache degli Antichi”, e si dava il caso che quello fosse il primo di una lunga serie di volumi: un vero e proprio trattato scientifico fin troppo accurato che esponeva con rigore marziale tutto ciò che aveva a che fare con i raptor, dalle loro prime tracce fino ad una serie di profezie per i millenni che sarebbe venuti, una sorta di incrocio fra la Bibbia, l'Origine della Specie e le Centurie di Nostradamus, solo che le Cronache narravano sempre e soltanto di eventi che avevano prove evidenti o che, quando si verificavano, lo facevano nei modi, nei luoghi e nei tempi descritti.
Una sorta di Oracolo cartaceo, per intenderci.
Ed era proprio di quello che Diantha voleva parlare, motivo per cui aprì il libro su una pagina che aveva precedentemente segnato e lo mise davanti alla donna senza proferire parola e lasciando che leggesse da sola ad alta voce ciò che c'era scritto:

Quando il cielo verrà avvolto da nera caligine
L’eclissi della Grande Stella farà sprofondare il mondo nelle tenebre.
Quando nel Sole nascente si vedrà un gran fuoco di celeste rovina
Allora il mostro verrà visto in pieno giorno,
Colui che conobbe la morte tre volte: per guerra, per fuoco e per amore.

Egli ululerà come un lupo rabbioso,
Divorerà i cadaveri dei deboli,
Morderà la propria carne,
Sfiderà adirato il proprio popolo,
Strapperà il cuore dal petto degli innocenti.

Si abbatterà sul mondo una pioggia di feroce follia,
Una tempesta di morte che non darà scampo agli uomini:
Nubi rosse di sangue attraverseranno il cielo,
Il rombo del tuono farà tremare la terra,
I corpi degli empi come dei giusti giaceranno ai piedi della Madre.

La Grande Stella per tre giorni arderà:
Le corone dei re, grandi e piccoli, cadranno,
Gli oceani si arrosseranno di sangue,
La Grande Madre piangerà i propri figli,
Gli scheletri degli sconfitti riempiranno gli abissi del mondo.

Regnerà per lungo tempo solo la morte:
Il fuoco verrà dal ventre della Madre Terra,
Cadranno dal cielo stelle incandescenti,
Si rovescerà il Sole, si rovescerà il viso della Luna,
Arderanno i cieli e la terra.

Quando ebbe finito cassandra non fu in grado di dire nulla, tutto ciò che sentiva era il fiato che le era morto in gola e le proprie mani strette al petto tremanti, così fu Diantha a prendere parola:
-Più di settecento milioni di anni fa gli Antichi avevano predetto l'arrivo di una creatura fra i raptor, una creatura così potente che nemmeno la morte avrebbe potuto fermarla, un mostro che avrebbe potuto sconvolgere il mondo con tempeste tali da rovesciare i continenti e prosciugare i mari: lo chiamavano il “Re nato dalla Tempesta”, o rinato se vogliamo vederla da questo punto di vista.- spiegò quasi interpretando la profezia
-La prima volta sarebbe morto per amore, per proteggere ciò che di più prezioso avrebbe avuto al mondo, la seconda volta per il fuoco, quando i segni che la profezia si stesse avverando sarebbero stati ormai evidenti e le persone che lo circondavano avrebbero dovuto prendere una scelta di vitale importanza, la terza per la guerra, quando avrebbe guidato il proprio popolo alla conquista del mondo conosciuto- concluse facendo una pausa per permettere alla donna di realizzare ciò che lei aveva già capito.
Tuttavia ci volle più del previsto perchè anche Cassandra parlasse per esporre le proprie idee a proposito:
-Ricardo stava morendo dissanguato quando ha preso il posto di Jaqueline contro Shogun, ed è morto ancora oggi perché ho dovuto scegliere fra la sua vita e quella della ragazza che considero una figlia...- affermò continuando a guardare il pesante tomo:
-Cerco di convincermi che non sia lui il sovrano che gli Antichi avevano promesso, cerco in tutti i modi di dire a me stessa che mio figlio non sarà il mostro che deve essere, ma alla fine... alla fine so fin troppo bene che non posso cambiare ciò che è stato scritto: vorrei farlo, ma non posso.- terminò stringendo i pugni fino a quando non sentì il dolore delle unghie che penetravano la carne.
Nonostante Diantha volesse risponderle decise di lasciarle qualche minuto per riflettere, per perdersi ancora nei suoi pensieri, ma alla fine fu costretta ad intervenire:
-La profezia deve ancora avverarsi per una buona parte, deve ancora avvenire l'eclissi: fino a quando non ci sarà l'oscuramento del Sole potremo stare più o meno tranquilli, o perlomeno prepararci all'azione.- rifletté ad alta voce inclinando la testa, tuttavia Cassandra ebbe un improvviso sobbalzo e si mise in piedi:
-L'eclissi?- ripeté a sua volta, poi si diresse velocemente verso la propria agenda appoggiata su un mobile e prese a spogliarla frettolosamente.
Furono dei secondi terribili, durante i quali lasciò cadere l'agenda stessa e sé stessa in ginocchio a terra:
-L'eclissi è domani Diantha, l'eclissi è domani...- fu solo in grado di dire fra il proprio sguardo sperduto nel vuoto e quello di sorpresa della raptor.
Non c'era tempo, non più.
O forse, più probabilmente, non ce ne era mai stato.




________________________________________________________

Angolino dell'autrice

Eccoci qua, al capitolo quindici e con un sacco di cose che sono accadute :D
Ammetto che avevo pensato di fermarmi alla parte di Hanzo, tuttavia ho capito da sola che le cose successe sarebbero state due in croce e niente, alla fine ho deciso di aggiungere anche l'introduzione al prossimo sconvolgente (?) capitolo.
Non ho nulla da dire in più, e non voglio rovinarvi le sorprese, tuttavia vorrei dire una cosa: amo le profezie, è così bello profeziare profezie (che?) e per questa mi sono ispirata un po' a quelle di Nostradamus ed un po' a quelle dell'Apocalisse :3
Se volete lasciate un commento o qualsiasi cosa, mi piace vedere che quello che scrivo viene apprezzato :3
Vi lascio una foto dell'spetto di Mizuki e del tatuaggio che ha sulla schiena :D

Image and video hosting by TinyPic

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** All Hail the Stormborn King ***


Erano nelle merda, nella merda fino al collo.
E non potevano fare nulla per evitarlo.
L'eclissi, quella fottutissima eclissi, era praticamente alle porte e, a meno che non fossero riuscite a spostare il Sole, non avrebbero potuto fare nulla per evitarla.
Per un improvviso senso di impotenza che non aveva mai provato nella sua intera esistenza Diantha tirò un colpo di coda così forte sul prezioso pavimento di marmo da aprire una voragine di un metro per trenta di profondità che, nemmeno a dirlo, si era immediatamente ricoperta di uno spesso strato di ghiaccio azzurrino:
-Non possiamo fare niente, niente di niente cazzo!- ruggì stringendo violentemente i pugni
-L'eclissi è domani Cassandra, domani! Il libro ha ragione, il libro ha sempre ragione!- continuò mentre l'altra sperava che non facesse altri danni, o peggio che si trasformasse lì dentro:
-Ti rendi conto di cosa accadrà? Ti rendi conto che là fuori c'è un mostro abnorme che è pronto a scatenare l'inferno appena quella tempesta di plasma solare sfiorerà il campo magnetico terrestre risvegliando tutto il nephilem di cui ha bisogno per sterminarci? Lo sai almeno, ne hai un...- non fece in tempo a finire che Cassandra le diede uno schiaffo incurante del fatto di essersi appena tagliata il palmo della mano con quegli affilati cristalli di ghiaccio.
Perlomeno l'aveva riportata alla realtà, e quello era ben più importante di un semplice taglio più o meno profondo sulla sua mano:
-Lo so Diantha, lo so: so che non posso fare nulla per interrompere questa folle catena di eventi, so che anche se iniziassi a disperarmi non cambierebbe proprio nulla, so che ci sono fin troppe possibilità che perderò un figlio alla fine di questa storia quindi, se ancora non lo hai capito, io lo so.- asserì con una serietà che non era da lei mentre continuava a sfogliare con la mano sana il libro senza un reale interesse ma più che altro per farsi vedere impegnata.
Diantha non aveva risposto, non trovava nessuna parola per confortarla ma nemmeno per smentire le sue affermazioni, così decise di limitarsi ad annuire sconsolata:
-Probabilmente hai ragione, quindi vediamo di occuparci del presente piuttosto che del futuro, o almeno proviamoci fino a domani.- si scusò a modo suo prendendole la mano e posandoci sopra la propria con una sorprendente delicatezza: c’era voluta giusto una manciata di secondi perché la stessa nebbiolina bianca-azzurra che aveva precedentemente salvato la rossa iniziasse ad aleggiare nell’aria fra una smorfia ed un’imprecazione da parte di Cassandra per poi, quando Diantha aveva tolto la propria mano, lasciare posto solo ad una diafana ragnatela di ghiaccio che pian piano era andata dissolvendosi a causa del calore corporeo.
Erano seguiti istanti di silenzio durante i quali entrambe avevano preso a sfogliare nervosamente altri libri che Diantha aveva portato appena qualche minuto prima e, proprio mentre la raptor era immersa nella lettura con la coda che ondeggiava inquieta, Cassandra aveva invece chiuso sonoramente il tomo che aveva fra le mani e l’aveva guardata negli occhi:
-Dobbiamo scoprire altro sulla profezia, ci serve sapere se una cosa simile è già accaduta in passato e se gli interessati sono sopravvissuti o meno a questa catastrofe.- si mise a riflettere fra sé e sé ad alta voce in modo che l’altra la sentisse così da capire se almeno lei sapesse cosa fare.
E a giudicare dall’improvviso bagliore che aveva visto nei suoi occhi un’idea l’aveva eccome, anche se non era proprio certa che volesse condividerla con lei: aveva smesso di agitare la coda da un momento all’altro lasciando che si avvolgesse intorno ad una delle gambe della sedia come se la stesse soffocando, lo sguardo rivolto alle pagine che non accennava ad alzare per rivolgerlo a Cassandra, forse per paura che non avrebbe accettato la verità o forse semplicemente perché era stanca di dover dare altre spiegazioni.

Alla fine si era alzata e, dopo un sospiro rassegnato ed un incitamento a seguirla nella stanza dove si trovava la biblioteca, le aveva fatto mestamente strada senza proferire parola; solo quando era arrivata e l’aveva fatta sedere, solo in quel momento, alla donna fu tutto improvvisamente chiaro: stava per dirle qualcosa che non le era mai stato detto, una sorta di segreto di famiglia che fino ad ora non le era stato concesso sapere, e purtroppo la sensazione di essere fuoriposto iniziò fin da subito a prendere largo nella sua mente:
-Cosa posso sapere oggi che non potevo sapere ieri? Cosa devo sapere oggi che non può aspettare domani per essere rivelato? Cosa?- domandò sperando che la raptor le rispondesse, tuttavia Diantha si limitò a metterle davanti una pila di volumi uno più alto dell’altro, e fra questi ne prese uno molto simile alle Cronache per forma e dimensioni con la differenza che la copertina, anziché vagamente azzurra, era di un intenso rosso rubino:
-Molte cose Cassandra, troppe a mio parere: ci sono storie che non sai, e sarebbe stato meglio che tu non sapessi mai, ma tutto questo… tutto questo mi costringe a dovertele dire, spero solo che Oregon possa perdonarmi per aver rotto la mia promessa di tenerti al sicuro dalle vicende più oscure della nostra razza, solo questo.- spiegò per poi iniziare a cercare la pagina che le interessava mentre l’altra la guardava a metà fra la delusione e la paura di ciò che avrebbe dovuto sapere.
Oregon non le nascondeva nulla, di quello ne era certa, ma se questa volta le aveva nascosto qualcosa beh, allora lo aveva fatto per il suo bene.
O almeno così sperava.
Tuttavia, quando vide l’illustrazione sulla pagina che Diantha le aveva piazzato davanti, sentì il respiro spegnersi nella sua stessa gola e le proprie certezze andare in frantumi: le squame, le ali, la coda.
Il fuoco.
Lo stesso che aveva scatenato la furia della terra in pochi secondi, 200 megatoni di pura roccia che esplodevano nel cielo come fuochi a capodanno, un boato che sembrava provenire dall’inferno che era stato udito a migliaia chilometri di distanza, un numero incalcolabile di persone travolte dalla lava che serpeggiava fra le rocce come insaziabili serpi di fuoco, altre travolte dagli immensi tsunami simili a belve d’acqua che ghermivano le coste e l’entroterra, una coltre di cenere così densa da aver privato gli umani della loro beneamata estate per un anno intero.
Quel giorno il Krakatoa era morto, ed il Re venuto dall’Inferno aveva appena deciso di posare le proprie regali ali d'ossidiana su qualsiasi cosa gli capitasse fra gli artigli.
E quel re, per quanto Cassandra si sforzasse di non crederci e per quanto Diantha cercasse invece di farla rassegnare alla realtà, quel re era stato Oregon.

Erano passati istanti di silenzio tombale durante i quali nessuna delle due aveva proferito anche una sola parola, istanti che sembravano non poter finire così velocemente come entrambe speravano ma che, nonostante il silenzio forse sarebbe stato più utile di mille parole, erano stati interrotti dalla raptor subito dopo aver chiuso il libro ed averlo riposto nello scaffale; si era alzata quasi controvoglia ed aveva preso a camminare fino ad arrivare ad affacciarsi sulla finestra, poi aveva appoggiato lì le proprie mani ed aveva lanciato uno sguardo sovrappensiero sul giardino che le si apriva davanti:
-Una madre non dovrebbe mai vedere il proprio figlio con il ventre squarciato come un animale, nessuna donna dovrebbe mai dover sopportare una visione del genere- disse come se stesse parlando fra sé e sé e contemporaneamente con Cassandra:
-Io e suo padre sapevamo che prima o poi avremmo dovuto fare i conti con il nephilem di Oregon, ma speravamo che la preparazione che gli avevamo dato avrebbe reso tutto più semplice, e invece...- continuò stringendo improvvisamente i pugni e chiudendo gli occhi:
-E invece no, è stato come se a nulla fossero valsi i nostri sforzi per essere dei bravi genitori: era incontrollabile ed allo stesso tempo fin troppo lucido, eravamo certi che non saremmo riusciti a fermarlo una volta arrivato sulla Terra, che lo avremmo dovuto macellare per portarlo a casa, e in effetti è proprio ciò che è accaduto.- si fermò quasi per il peso di ciò che stava dicendo, ed anche l'altra ebbe l'impressione che, almeno per Diantha, ricordare tutto quel dolore non facesse altro che annientare la fortezza di ghiaccio che si era pazientemente costruita in un'intera vita.
Cassandra avrebbe voluto intervenire, rassicurarla sul fatto che, seppur segretamente, qualche volta da quando era stato Ricardo a perdere il controllo aveva pensato che anche Oregon avesse dovuto passare quell'inferno prima di lui, che d'altronde erano cose da raptor che non potevano essere evitate; Diantha però non le lasciò il tempo di fare domande, si girò lentamente e si guardò i palmi ricoperti di squame opalescenti di un profondo color ghiaccio:
-Gli ho dovuto sfondare la gabbia toracica con questi stesse mani perché l'effetto di quel maledetto nephilem si esaurisse più velocemente di quanto avrebbe fatto da solo, ho dovuto scavare nel suo torace e strappargli il cuore con questi maledettissimi artigli mentre il sangue colava ovunque volgessi il mio sguardo: i Re che vengono promessi non rinascono tali se prima la loro mortalità non viene meno, ma avrei voluto scoprirlo in un altro modo che non fosse mentre vivisezionavo l'unico figlio che avevo al mondo... non sarei riuscita a sopportare oltre quel massacro, non un secondo di più.- concluse mentre nei suoi occhi Cassandra sembrò vedere un alone di rimorso che mai e poi mai avrebbe pensato di vedere in lei.
Non capì né il perché lo avesse fatto né se fosse stato il suo istinto materno a suggerirglielo, seppe solo che qualche secondo dopo si era trovata ad abbracciare Diantha sperando che quel gesto le restituisse anche solo per un istante la forza per rispondere ad un'unica, terribile domanda che la stava attanagliando dal momento in cui lei aveva raccontato tutto quelle cose:
-Ricardo non si fermerà da solo, non potrebbe mai riuscirci anche se lo volesse, ma io devo saperlo, devo sapere se dovrò vedere mio figlio ridotto ad un grumo informe di carne e squame da voi altri: non voglio esserci se accadrà, non voglio che se non dovesse funzionare qualcosa il mio ultimo ricordo di lui sia di un animale mandato al macel...- non riuscì a finire che l'altra la interruppe:
-Dovrai, e non potrai tirarti indietro: è il prezzo del potere per noi raptor, un prezzo a cui nessuno, né figlio né genitore, può e vuole sottrarsi e dovrai pagarlo anche tu, quel prezzo.-asserì con una certa serietà, abbastanza perché Cassandra si piegasse sul tavolo con le mani fra i capelli senza la minima idea su come reagire a quelle parole così crudeli.
A consolarla però si impegnò Diantha, che con fare materno le si avvicinò e le sorrise così convinta che per un secondo anche l'altra si era convinta che fosse davvero felice e che non lo stesse facendo solamente per tranquillizzarla:
-E' inutile pensare a cosa fare ora tesoro mio, ci penseremo quando sarà il momento e troveremo una soluzione, questo te lo prometto: come dite voi umani? “Domani è un altro giorno”, giusto?- le disse strappandole una risata che, in effetti, un po' di buonumore riuscì a darle, poi diede un'altra occhiata furtiva fuori la finestra e sorrise nuovamente, questa volta più convinta di prima:
-Se non ho sbagliato a vedere tuo marito si sta svegliando proprio adesso, e sembra parecchio affamata a giudicare da come sta assaggiando la coda di quella povera creatura di nome Berenix: che dici, vuoi andare a dargli il buon giorno, o meglio la buona sera, o preferisci che vada io a sfracellargli le palle fino a farlo pentire di non dormire ancora un po'?- domandò senza aspettarsi una risposta dato che, il tempo di girarsi e guardarsi intorno, Cassandra era già sparita dalla sua vista per andare da Oregon come aveva tanto voluto nelle ultime ore.

Quando era arrivata nel grande giardino davanti a casa e lo aveva finalmente rivisto dopo un’intera giornata senza vederlo, che significava parecchio dato che al massimo si separavano per una decina di minuti e solo se era strettamente necessario, era rimasta come incantata da una visione così meravigliosamente distruttiva come quella data dall’immensa lucertolosità di Oregon: le squame nere come ossidiana erano così lucide da riflettere la poca luce che traspariva dalle spesse nubi che coprivano il cielo, le grandi ali dello stesso colore aperte a mostrare i piccoli fori e le lacerazioni lasciate da anni di combattimenti senza tregua donavano alle stesse un aspetto ancora più regale, la lunga coda simile ad una frusta tenuta a terra ed avvolta in parte su sé stessa, le zampe anteriori e posteriori erano teatro di artigli e spuntoni anch’essi neri come la notte, la testa tenuta in alto rispetto al resto del corpo era invece coronata da un numero indefinito di corna la cui dimensione aumentava andando dalla mascella alla sommità del capo.
E poi il magma, soprattutto quello: grovigli incandescenti di roccia fusa e fiamme cremisi che si contorcevano nelle profondità più remote del suo stesso corpo e che, grazie ad una serie di fessure piazzate sapientemente da madre natura fra una squama e l’altra, si riuscivano ad intravedere all’esterno dandogli l’aspetto di un vulcano in eruzione che mai avrebbe lasciato in vita ciò che si sarebbe trovato sulla sua strada di fuoco e cenere.
Tuttavia, per quanto fosse così tremendamente pericoloso in circostanze normali, ora Cassandra sentiva una profonda tenerezza nel proprio cuore guardando Oregon che, come aveva annunciato Diantha, era particolarmente preso ad assaggiare Berenix: per il momento era comodamente sdraiato sulla schiena con le ali distese a terra, le zampe che stringevano quasi fosse una preda la coda coperta di piume della raptor mentre la mordicchiava placidamente senza apparentemente la vera intenzione di mangiarsela, o almeno così sperava, l’altra invece se ne stava elegantemente accucciata ai piedi di un grosso albero intenta a pulirsi ogni singola penna di una delle ali mentre le altre venivano tenute ripiegate sul dorso, il tutto lanciando ogni tanto qualche occhiata furtiva per assicurarsi che la propria coda fosse ancora attaccata al fondoschiena.
Forse era stato quello il motivo per cui inizialmente Oregon non aveva nemmeno fatto caso alla presenza di Cassandra, tuttavia appena girò il muso per guardarsi intorno fu chiaro fin da subito che l’aveva finalmente vista e che, a giudicare da quanto sembrava entusiasta, anche lui nona spettava altro che vederla dopo tutte quelle ore che erano sembrate eterne: aveva impiegato una manciata di secondi per balzare sulle zampe dalla posizione supina che aveva prima, aveva ritirato le ali e le era letteralmente corso incontro smuovendo intere zolle di terra ad ogni falcata, le fiamme che si intravedevano dalle squame che sembrava uscissero dalle stesse e si mescolassero all’aria donando all’ambiente un’atmosfera quasi apocalittica.
E poi, esattamente come fa un cane quando non vede da molto tempo il proprio padrone, le era arrivato addosso facendola cadere nell’erba fresca ancora umida dalla pioggia, il tutto senza ferirla o farle anche solo un graffio a dispetto di ciò che si sarebbe pensato vedendo la scena: Cassandra non aveva nemmeno avuto il tempo di dirgli qualcosa che si era trovata il volto e la parte superiore del corpo bagnata da tutte le leccate di bentornato del compagno.
I raptor erano fondamentalmente lucertole, ma forse avevano anche qualche cenno di canide nel proprio dna, o almeno così sembrava.
Dopo gli attimi di follia canina Cassandra era riuscita a rialzarsi liberandosi dalla presa di Oregon, che nel frattempo era fortunatamente tornato nella sua forma comune strappando alla donna l’ennesimo sorriso compiaciuto e sorpreso della giornata: non cambiava molto dalla lucertola abnorme di qualche istante prima tranne le dimensioni ovviamente ridotte, le squame erano infatti dello stesso colore dell’ossidiana e fra l’una e l’altra si riuscivano ad intravedere ancora gli sprazzi di magma incandescente che se ne stava buono buono sotto quello spesso strato di acciaio organico come anche la corona di corna delle dimensioni più svariate, ed anche le ali nero fumo erano al loro posto; tuttavia, per quanto potesse essere visivamente non molto diverso, a Cassandra era bastato quel cambiamento perché potesse raggiungere finalmente l’altezza giusta per abbracciarlo come mai aveva fatto prima con le lacrime agli occhi:
-Io… io temevo che tu… che questa volta non…- cercò di spiegare ma sentì le parole morirle in gola ed anche Oregon se ne accorse, così la strinse ancora una volta a sé e le accarezzò i capelli:
-Anche io avevo paura piccola, avevo paura come mai ne ho avuta in vita mia: non mi sono mai sentito più impotente di fronte alla morte di oggi, mi sentivo come se neanche l’immortalità questa volta potesse salvarmi, come se fosse davvero la mia fine… ed era terribile- confessò continuando a consolare l’altra, che intanto sembrava essersi calmata stringendogli le mani dietro al collo:
-Ed era ancora peggio dover pensare che dopo di me sarebbe dovuta toccare a te la stessa sorte, ma non potevo permetterlo, non lo avrei mai potuto permettere: non so cosa mi abbia dato la forza di resistere di resistere il tempo necessario perché si distraesse, so solo che l’ultima cosa che ho sentito era il morso degli artigli che squarciavano la carne e dilaniavano ogni singolo organo che trovavano sul loro cammino… e quel colpo, quel colpo di fucile…- stava per finire quando si interruppe forse perché non sapeva più cosa dire, o forse perché si sentiva ancora troppo in colpa per l’accaduto per parlarne ancora così apertamente.
Quasi istintivamente Cassandra abbandonò la propria testa nell’incavo fra il collo e la spalla di Oregon, che a sua volta appoggiò la propria su quella dell’altra attento a non farle del male con le spesse squame che ricoprivano la parte inferiore del muso: rimasero così interi minuti, minuti durante i quali le uniche parole che tutti e due avrebbero voluto sentire sarebbero state quelle pronunciate nel silenzio più assoluto, le stesse che si scambiavano quando i loro occhi si incrociavano in quelle occhiate complici che piacevano così tanto ad entrambi.
E che sarebbe andato tutto bene, anche quelle sarebbero state gradite.

Diantha li aveva lasciati fare per dieci minuti buoni, poi si era avvicinata quasi in punta di piedi per intervenire in quel silenzioso discorso ed aveva guardato Oregon con uno sguardo pieno di comprensione materna che non era solita esibire troppo spesso in pubblico:
-Le ho parlato del Krakatoa, tutto qui: se vuoi perdonarmelo bene, se non vuoi non fa nulla, pensò che sopravvivrò anche con il senso di colp…- non riuscì a finire che l’altro l’aveva abbracciata impedendole di continuare, un abbraccio dal quale neanche lei aveva provato a sottrarsi e dopo il quale si era sentita inspiegabilmente meglio di come fosse prima:
-Hai fatto ciò che io non trovavo il coraggio di fare, e per questo ti assicuro che non potrò mai ringraziarti abbastanza- la rassicurò serenamente prendendole le mani fra le proprie:
-E soprattutto l’hai protetta quando io non potevo farlo, hai salvato la vita a tutti oggi: hai trovato per l’ennesima volta la forza che solo tu riesci a trovare e ci hai portati fuori dall’inferno senza pensare nemmeno per un secondo alla tua salute, sapendo perfettamente che nelle tue condizioni portare a casa tutti avrebbe potuto essere l’ultimo gesto eroico della tua vita immortale perché, di questo ne sono assolutamente sicuro, non sono stato l’unico a dubitare di questa nostra eternità che sembra svanire dinanzi alla morte.
E anche per questo ti ringrazio ancora una volta, e probabilmente continuerò a ringraziarti fino a quando avrò le parole per farlo, questo te lo prometto… mamma.- concluse senza lasciarsi sfuggire quella lacrima solitaria che, per quanto avesse cercato di farsi strada tra una squama e l’altra, si era ghiacciata dopo pochi attimi e si era ridotta ad un cristallo iridescente.
Erano anni che Oregon non la chiamava mamma e, nonostante normalmente fosse solita negare che la cosa le pesasse in qualche modo, ora che lo aveva fatto il suo cuore di ghiaccio aveva sentito come una brezza tiepida attraversarlo, e non era affatto una brutta sensazione.
Alla fine di tutti quei dolci convenevoli però tutti erano stati d’accordo sul cambiare argomento, e purtroppo Cassandra aveva la netta impressione che suo figlio sarebbe presto diventato il tema principale delle loro discussioni; dopo essere entrati in casa infatti Diantha li aveva invitati a sedersi tutti all’ampio tavolo del salotto in una sorta di riunione dei “cavalieri della tavola rotonda”, poi aveva fatto vedere ad Oregon la profezia che qualche momento prima aveva sfogliato insieme alla donna: erano stati momenti terribili quelli che avevano dovuto attendere mentre il raptor leggeva quelle pagine, sembrava che stesse studiando ogni singola parola che gli si poneva davanti e ne analizzasse tutte le sfumature di significato possibili, tuttavia dopo una decina di minuti passati nel silenzio il fatto che avesse alzato la testa e si fosse messo una mano sul muso iniziando a scuoterlo non prometteva nulla di buono.
E infatti le sue opinioni erano tutto tranne che positive riguardo l’argomento:
-L’unica cosa certa è che la profezia si avvererà di sicuro, su questo non possiamo assolutamente intervenire per fermarla, eppure…- rifletté ad alta voce mentre continuava ad osservare il libro, era come se qualcosa non lo convincesse del tutto, così Cassandra cercò di farlo parlare:
-Eppure cosa? C’è qualcosa che non si è avverato? Qualche, come dire, clausola?- domandò curiosa e preoccupata allo stesso tempo, ma il compagno pareva non averla sentita; solo dopo alcuni minuti si era deciso a parlare, o almeno a provarci:
-Sappiamo che l’eclissi avverrà in concomitanza con un’espulsione di massa coronale solare di dimensioni epocali che, una volta entrata in contatto con il campo magnetico terrestre, darà luogo ad una tempesta elettromagnetica che almeno in condizioni normali darebbe solo luogo a semplici aurore boreali o al massimo qualche evento di problemi con le apparecchiature che usano le onde magnetiche nel loro funzionamento- iniziò a spiegare nemmeno fosse a scuola:
-Eppure, signore mie, ora non ci sono condizioni normali, e ce ne siamo resi conto fin troppo bene: Ricardo ha controllato come se nulla fosse i fulmini, ed i fulmini sono generati nella alta atmosfera da grosse quantità di plasma incandescente a 25 mila gradi, forse anche il doppio se consideriamo che sono ulteriormente alimentati dal nephilem- continuò per poi iniziare a gesticolare:
-Ora immagina una tempesta di fulmini in grado di coprire ogni centimetro nel giro di mille chilometri o forse più, centinaia di migliaia di vipere azzurre che si schiantano al suolo violentemente aprendo voragini profonde pochi metri: uno forse farebbe poco o niente, ma cosa succederebbe se fossero dieci, cento, mille?
Te lo dico io cosa accadrebbe: ci troveremmo con un continente del tutto simile ad una fetta di formaggio svizzero ed un oceano mezzo evaporato a causa di temperature che sono state viste l'ultima volta durante la formazione della Terra.
E tutto questo accadrà tesoro mio, oh certo che accadrà: lo dice la profezia, e la profezia ha ragione sempre e comunque.- concluse per poi scrutare curioso le facce dei presenti.
Facce imperscrutabili, ma pur sempre facce.
Berenix era stata la prima a prendere in mano la situazione e, dopo essere sparita qualche secondo nella sua stanza al piano superiore, era tornata con in mano alcuni appunti stropicciati interrotti qua e là da quelli che sembravano disegni o simili, poi aveva appoggiato il tutto sul tavolo e lì aveva iniziato ad esporre le proprie idee a proposito di ciò che aveva appena ascoltato:
-Sono passati milioni e milioni di anni da quando Sonantis ha smesso di solcare i cieli di mezza nebulosa solo per il gusto di mostrare tutta la sua onnipotenza al mondo, tuttavia ora come ora ci stiamo rendendo conto che a quanto pare, come ha sempre narrato la leggenda e come abbiamo sempre sperato che non accadesse, il fatto che il nephilem appartenuto agli Antichi sia in grado di tramandarsi senza dare alcun segno per poi uscirne bello fresco al momento buono è vero, anche troppo vero per i miei gusti- fece presente mentre gli altri la guardavano interessati senza però proferire parola, era come se stessero riflettendo nelle loro teste su quelle informazioni.
Dopo poco fu Diantha a fare segno alla raptor di continuare:
-Prendete Vostra Grazia Diantha, lei ha sempre avuto tracce del nephilem di Glacier nelle vene, eppure non ne ha mai perso il control... ok, se contiamo quando ha spaccato in due un continente dovrebbe contare ma no, facciamo finta che non sia così... comunque signori, aspetta cosa stavo dicendo... ah sì, comunque per quanto mi riguarda credo che quel nephilem sia altamente instabile, proprio come era quello di Sonantis: le leggende che lo riguardano narrano che volasse nei cieli dei più svariati pianeti scatenando immani tempeste che causavano incendi, inondazioni e quant'altro, ma sappiamo anche che altri scritti raccontano di come tali inondazioni siano riuscite a rendere nuovamente fertili terreni ormai sterili permettendo alle genti di potersi salvare dall'estinzione.- continuò a spiegare per poi poggiare entrambe le mani sul tavolo ed assumere come una posizione di comando:
-In conclusione penso che a questo punto sia inutile cercare di capire come impedire all'inferno di scatenarsi ma sarebbe più produttivo trovare un modo per far sì che ciò che debba accadere lo faccia il prima possibile, velocemente e senza troppe vittime: quando Sonantis evocò la tempesta che spazzò via il popolo di Wyssa lo fece nel giro di poche ore e venne fermato solo quando la sua compagna aliena gli ricordò che come membro degli Antichi il suo compito era il progresso, non la distruzione; se riusciamo ad aprire un varco nella sua mente per ricordargli che la Terra è tutto tranne che un poligono di tiro per fulmini beh, secondo la mia idea questo dovrebbe bastare perché Ricardo ottenga nuovamente un minimo di controllo, quello sufficiente a poterlo fermare senza ricorrere ad estreme misure d'artiglieria pesante che sarebbero comunque inutili.- terminò tornando a sedere ed accavallando le gambe con nonchalanche.
Il silenzio, un ingombrante quanto assordante silenzio ecco cos'era calato fra i presenti.
Poi, quasi come un rombo di tuono dopo una tempesta ormai passata, era stata Cassandra a spezzarlo:
-Mi rendo conto che stiamo tutti ragionando dando per scontato che Ricardo possa sopravvivere in qualunque caso, ma se non fosse così cosa accadrebbe?- domandò facendo gelare il sangue a tutti, anche a Diantha il sangue gelato lo aveva già da un pezzo:
-Voi siete qui a parlare di quanto fosse epico Sonantis, di tempeste del millennio e di artiglieria pesante, ma vi ricordo che quello è mio figlio, il mio unico figlio: chi vi assicura che sia immortale?
Chi mi dice che il sangue umano che ha preso da me non sia ciò che lo separa da questa tanto acclamata eternità? Come la mettiamo se il sopravvivere ad un proiettile non sia solo stato l'ennesimo effetto del nephilem fuori controllo?- domandò senza che nessuno rispondesse, poi si rivolse ad Oregon e lo guardò dritto negli occhi indicando il proprio cuore:
-Non hai deciso di farmi vivere per sempre solo per poi farmi veder morire mio figlio, so che non lo hai fatto per questo: lo hai fatto perché non ritenevi giusto che il nostro bambino dovesse vivere senza la propria madre ed ora, esattamente come hai fatto tu, io non accetto di vivere senza di lui quindi ti prego, fai di tutto perché non muoia.- concluse per poi andarsene senza nemmeno ascoltare ciò che l'altro avrebbe voluto dirle.

Quando anche Cassandra aveva abbandonato la discussione erano rimasti solo i tre raptor a continuarla, tuttavia dalle loro espressioni sembrava che nemmeno uno dei presenti avesse ulteriori idee rispetto a quelle già proposte, così fu Oregon a prendere la parola rivolgendosi a sua madre:
-Tu sei stata l'ultima a vedere il cadavere, come ti è sembrato?- domandò a bruciapelo senza un'apparente motivo, ma Diantha sapeva benissimo dove voleva arrivare:
-C'era uno squarcio che attraversava le squame dorsali dal punto d'impatto del proiettile fino alla coda dal quale si diramavano altre fenditure più piccole, era come se quel corpo non fosse altro che una crisalide pronta a schiudersi, l'impressione che ho avuto è stata quella.- rispose mentre sfogliava gli appunti portati da Berenix, poi fece vedere al figlio uno dei fogli:
-Le leggende che ci sono giunte narrano che dopo la tempesta di Wyssa l'aspetto di Sonantis cambiò radicalmente, ed anche le sue dimensioni ne risentirono notevolmente: da un mostro di sessanta metri diventò uno che sfiorava i novanta o forse più, non vorrei che la linea evolutiva di Ricardo possa seguire questa traiettoria perché in questo caso beh, potremmo trovarci con una creatura ben lungi dall'essere controllabile e con risorse quasi inesauribili dal punto di vista atmosferico.- spiegò mentre con gli occhi continuava a seguire ciò che c’era scritto:
-Non abbiamo la certezza della fonte di energia che sfrutta per creare plasma dal nulla, sappiamo solo che è sufficientemente elevata da permettergli di far percorrere ad ogni singolo fulmine una traiettoria ben delineata dell’ordine di qualche chilometro, e come la mettiamo con il fatto che mentre lui ci sguazza dentro come se nulla fosse i civili qui intorno potrebbero rimanerci secchi se una di quelle scariche li dovesse sfiorare minimamente? Senza contare i danni elettrici ed elettronici, e quelli magnetici, e poi quelli derivati da eventuali centrali elettriche colpite che potrebbero scatenare incendi incontrollabili, e non dimentichiamo che sarà probabile lo scatenarsi di una tempes…- stava dicendo quando Cassandra si ripresentò nuovamente ansimando e con il volto contratto in un’espressione di puro terrore.
Questa volta Oregon non le aveva lasciato il tempo di parlare che l’aveva tirata a sé stringendola poi, prendendole il viso fra le mani per calmarla, le aveva fatto un cenno come a dire di parlare; la donna, dopo attimi di profonda esitazione e tra un respiro affannoso e l’altro, l’aveva guardato con le lacrime agli occhi:
-Jaqueline… Jaqueline è sparita, non è più in camera.. io… io temo che…- provò a dire ma sentì le parole smorzarsi nella sua gola, poi prese finalmente coraggio e guardò il marito dritto negli occhi appoggiandosi al suo petto:
-E’ andata a cercare Ricardo… se lo dovesse trovare lei… lei non sopravvivrà... non un’altra volta.- concluse rendendosi conto che dire quelle parole le era costato una fatica che le aveva spezzato lentamente il cuore in tanti piccoli frammenti: forse Jaqueline non era proprio sua figlia dal punto di vista genetico, eppure la considerava tale dopo tutto quello che aveva passato insieme a lei, dopo tutti i pomeriggi passati in sua compagnia a parlare e discutere dei classici argomenti da donne che andavano dallo shopping ai suoi commenti riguardo il brutto vizio di Oregon di fare, intenzionalmente o meno, irruzione in camera mentre lei e Ricardo erano da soli.
Se ora ci pensava a Cassandra veniva solo da ridere, era impressionante come lui si preoccupasse che suo figlio potesse sfuggirgli dalle mani quando si trattava di questioni di letto, ma da una parte si sentiva tremendamente in colpa: non si sarebbe mai perdonata la morte di quella povera ragazza proprio ora, proprio quando la sua vita sembrava procedere più serenamente di quanto avesse mai fatto prima di conoscere Ricardo, e soprattutto non si sarebbe perdonata se fosse stato proprio lui ad ucciderla senza nemmeno rendersene conto.
Mentre Oregon era occupato a rassicurare la moglie riguardo il fatto che sarebbe tutto finito nel miglior modo impossibile, il tutto nonostante non ci credesse nemmeno lui, erano state Berenix e Diantha quelle che si erano occupate di prendere in mano la situazione e giustamente, da brave guerriere quali erano, si erano fatte avanti per prime per andare a cercare la ragazza; tuttavia, al contrario di ciò che tutti si sarebbero aspettati dalle apparenze, Cassandra si era messa fra loro e la porta d’uscita prima che potessero andare a fare ciò che dovevano:
-Voglio andare io a cercare Jaqueline, è una mia responsabilità- asserì tornando seria per poi girarsi verso Oregon che se ne stava in un angolo zitto ad ascoltarla:
-Lascia che sia io ad andare in quella foresta, ci sono cresciuta e conosco la strada di andata e ritorno: posso cavarmela da sola, tutte le guerre combattute al tuo fianco mi hanno insegnato a tenere testa ad un raptor, me lo ricordo ancora- gli disse con una nuova sicurezza negli occhi; lui l’aveva guardata per qualche istante, poi aveva sorriso e le aveva messo una mano sulla spalla:
-Hai abbastanza risorse da tenergli testa, e so che sei in grado di combattere fino allo stremo per proteggere ciò che ami, ma stai attenta piccola, promettimi solo questo.- le chiese cercando di nascondere un velo di preoccupazione, ma l’altra gli si avvicinò quasi per parlare in segreto:
-Ho il sangue del sovrano dei raptor che scorre nelle vene, ed i miei artigli sono affilati quanto i tuoi quando è necessario.- concluse per poi uscire di tutta fretta dalla porta dirigendosi verso l'inferno d'acqua che si stava ancora scatenando al di fuori della barriera che circondava la loro casa, dopo qualche istante non si sentiva nemmeno più il rumore dei suoi passi sull'erba bagnata.
Sarebbe tornata, Oregon ne era certo.


Cassandra non sapeva di potersi muovere così velocemente e con la stessa agilità che aveva vent’anni prima eppure ora, proprio come nella sua adolescenza, era ancora lì a correre in mezzo alla foresta amazzonica nel bel mezzo di una tempesta con la differenza che, se prima lo faceva per la propria sopravvivenza, adesso lo stava facendo per quella della ragazza che considerava praticamente sua figlia: l’odore dell’acqua le riempiva le narici mischiandosi a quello del muschio e delle foglie ormai fradice, il suono della pioggia battente era tutto ciò che riusciva a sentire in quell’ambiente dove gli alberi sembravano amplificare ogni singolo rumore, il ruggito dei tuoni che si propagava prepotente in mezzo alle fronde pensando invano di riuscire a spaventarla.
Ma per Cassandra ormai non c’era nulla di spaventoso nei temporali come anche nei monsoni estivi, per lei era proprio quello il bello di quel luogo incontaminato e selvaggio, un luogo dove la natura da sola poteva renderti la vita più semplice o riprendersi con violenza tutto ciò che ti aveva dato in un battito di ciglia.
Proprio come il nephilem con i raptor: da una parte li rendeva creature quasi invincibili che avevano fatto della distruzione il loro principio di vita, dall’altra c’erano momenti durante i quali aveva la convinzione che anche loro, per quanto potessero essere re o regine o esseri immortali, avrebbero di gran lunga preferito la morte ad un’esistenza simile.
E lo stesso doveva valere per Ricardo dato che lei, mentre tutti erano presi da quella lotta furibonda all'ultimo sangue, non si era lasciata scappare gli istanti di esitazione che avevano preceduto ogni sua mossa, gli stessi durante i quali le era come parso che quella maledetta ombra che aleggiava nel suo sguardo fosse scomparsa donandogli un po’ di lucidità per poi tornare prepotentemente a soggiogargli la mente per altre ore: aveva sentito il suo dolore, lo aveva letto negli spasmi che accompagnavano ogni artigliata lanciata a Berenix, lo aveva provato lei per lui quando Oregon gli aveva piantato le zanne nel collo ed aveva udito il rumore delle ossa che si spezzavano.
Come avrebbe voluto risparmiargli tutta quell’agonia, cosa avrebbe dato pur di proteggerlo almeno questa volta… lo aveva già dovuto vedere in fin di vita una volta, una sola, eppure quella gli era bastata per il resto della vita: stava morendo dissanguato quel giorno, e lo stava facendo per proteggere Jaqueline.
Non per sua madre, non per sua padre: per lei, lei e nessun’altra.
Forse era per quello che lei era andata a cercarlo, forse voleva solo sdebitarsi per averla salvata una volta, per averle dato la vita che aveva sempre sognato, forse Jaqueline era già morta, forse Ricardo avrebbe ammazzato anche lei, forse lui sarebbe morto sotto il peso di un potere così immenso da aver fatto impazzire anche un membro degli Antichi: forse, forse, forse... troppi forse.
Troppi dubbi e nessuna certezza, ecco qual era il problema, l'unico e vero problema: per quanto le Cronache potessero essere accurate e tremendamente veritiere c'era da dire che nessuno, né Oregon né Diantha e nemmeno gli altri membri del Consiglio, avevano davvero visto Sonantis in faccia: di lui erano rimasti disegni, pitture, rocce intagliate in suo omaggio, c'era addirittura un intero tempio su Arkanta scolpito a ricordare quel mostro che era sparito come tutti gli altri Antichi, ma nessuno gli aveva parlato di persona, o almeno nessuno che lei o gli altri conoscessero.
Perchè se le cose fossero realmente andate come diceva la profezia allora erano cazzi per tutti, raptor compresi: forse erano immortali davanti al mondo, ma Cassandra sapeva bene che il nephilem, esattamente come aveva donato loro la vita eterna eoni prima, poteva togliergliela in un battito di ciglia come se nulla fosse: non era un caso che il veleno dei raptor fosse così temuto oltre che dagli umani anche da loro stessi perché sì gli Antichi avevano stretto un patto con quella forza misteriosa che ora si celava nel loro codice genetico, ma era anche vero che quando Jaqueline si era avvelenata era stato Ricardo a rasentare l'arresto cardiaco per intossicazione, non lei.
Immortalità condizionata, a Cassandra piaceva quel nome, le ricordava che bastava un passo falso ed un intero pianeta sarebbe caduto come polvere al vento, che l'errore di uno solo avrebbe significato l'Apocalisse per tutti.
E in quel momento quell'uno solo era suo figlio, e quel tutti era l'intera razza che lei aveva giurato di servire come Imperatrice.
Tutti quei pensieri così vaghi ed indefiniti erano facilmente riusciti ad annegare la sua mente in quesiti esistenziali che mai avrebbe pensato di avere, ma soprattutto le avevano tolto il senso del tempo e dello spazio per cui, dopo minuti che a lei erano sembrati scivolarle addosso, si era trovata a pochi passi dal luogo dove ricordava di essere precedentemente partita con Diantha rendendosi conto che nel momento in cui il suo cervello vagava qua e là le sue gambe avevano fatto tutto il lavoro da sole, era quasi come se fossero state mosse da un istinto ben poco naturale, lo stesso che qualche momento dopo aveva fatto focalizzare la sua attenzione intorno a sé: la terra sembrava orribilmente simile al cadavere dilaniato dagli avvoltoi azzurri che continuavano a cadere prepotenti da quella nuvola nerastra sopra la sua testa sopra quella preda straziata, il terriccio prima umido e fertile era costellato in vari punti da macchie iridescenti che sembravano averlo vetrificato, le foglie che giacevano ai piedi degli alberi ormai spogli ridotte a grumi informi di cellulosa mista a corteccia carbonizzata ancora fumante che nascondevano tizzoni ardenti.
E pochi metri più avanti, finalmente, aveva visto Jaqueline: se ne stava lì in piedi quasi come quelle strane statue che sembrano sorvegliare inestimabili tesori, gli occhi acquosi fissi verso un punto indefinito che solo lei poteva vedere, le bracia abbandonate mollemente sui fianchi incapaci di qualsiasi movimento dettato dalla propria coscienza e soprattutto, su grande sorpresa ed orrore da parte della donna, tre graffi lineari sulla guancia pallida e umida dalla pioggia.
Le si era avvicinata in fretta e furia trattenendo a stento le lacrime di felicità per averla trovata dopo tutta la preoccupazione che l'aveva assalita fino a quel momento, ma quando l'aveva avuta a pochi centimetri ed aveva notato che era come se non la vedesse aveva sentito un brivido gelido salirle per la schiena: sembrava quasi non fosse nemmeno presente fisicamente, il suo corpo era lì ma la sua mente si era come volatilizzata verso un luogo che a Cassandra non era dato a sapere; dopo pochi istanti di esitazione e confusione si era decisa a prenderla per le spalle e scuoterla per riportarla alla realtà dalla quale si era distaccata:
-Cosa c'è? Cosa hai visto piccola?- chiese sperando di vedere nel suo sguardo un segno di ripresa
-Jaqueline ti prego, c'è qualcosa che non va? Non devi avere paura, ora ci sono io, sono con te: sono qui e nessuno potrà farti del male, te lo prometto, ma dimmi cosa ti prende almeno, così posso aiutarti, per favore...- continuò speranzosa, ma nulla sembrava sortire effetto, tutta via era stato solo dopo alcuni interminabili minuti che, quasi obbedendo ad un istinto primordiale, la rossa aveva alzato il braccio destro indicando quel punto dinanzi a se che fino ad ora non aveva avuto nessun significato ma che adesso, proprio adesso, aveva rischiarato la mente di Cassandra come un fulmine a ciel sereno.
Letteralmente.
Quando anche lei aveva alzato lo sguardo distogliendolo dalla ragazza aveva provato nuovamente quella sensazione di terrore puro attanagliarle il cuore in una morsa che non era in grado di sciogliere, un misto fra rabbia del non poter fare nulla e paura se avesse fatto qualcosa:
-Io non ho fatto nulla... sono venuta qui, non so perché... il mio cervello... lui mi ha guidato qui, io non... non sapevo la strada, ma l'ho trovata comunque...- aveva detto la rossa senza muovere un solo muscolo con la voce rotta dall'incertezza:
-Io ero qui ed ho visto... io non ricordavo che... quel colpo, era Berenix... ma io lo sapevo, sapevo che non era finita... oh sì che lo sapevo: sono arrivata, sì sono arrivata e poi... poi mi sono avvicinata, ho allungato la mano e l'ho toccato, e poi... poi, insomma... io...- si interruppe ma l'altra l'aveva afferrata saldamente per le spalle e le aveva piantato lo sguardo nel suo:
-Poi cosa? Poi cosa Jaqueline?- domandò impaziente per poi essere interrotta dalla ragazza che aveva ripreso a parlare tremando ed abbassando gli occhi:
-Le squame erano... erano aperte, rotte, spezzate... e c'era qualcosa... non so cosa, forse una membrana, io... io non ricordo cosa fosse... bianca, era bianca ecco... ma non bianco puro, no... era così... così sbagliato, oscuro... non lo so, io non so cos...- stava ancora parlando quando un rumore simile ad un grosso tronco spezzato aveva interrotto il loro discorso con un boato terribile.
I Re che vengono promessi non rinascono tali se prima la loro mortalità non viene meno, era come se quel corpo non fosse altro che una crisalide pronta a schiudersi, le parole di Diantha avevano appena iniziato a risuonarle in testa solo ora ed in modo quasi martellante: una membrana, era quello ciò che aveva visto Jaqueline, ma cosa diavolo poteva essere?
Forse era solo ancora troppo provata dallo scontro fra i quattro raptor al quale aveva assistito ore prima, eppure Cassandra aveva la netta sensazione ce questa volta la ragazza fosse stata anche troppo lucida per sbagliare a riferirle ciò che i suoi occhi avevano visto, ma dall'altra parte c'era sempre il dubbio che potesse aver sbagliato; fu per quel motivo, ed anche per una serie di tanti altri interrogativi, che si era decisa una volta per tutte a seguire con lo sguardo il punto indicato dall'indice della rossa e che, sorvolando un paio di alberi caduti che non ricordava fossero lì, l'avevano riportata ancora una volta a doversi soffermare sul cadavere di suo figlio.
Dal quale ora spuntava allegramente un'ala bianca di dimensioni mastodontiche.
Cazzo.

Nemmeno il tempo di elaborare la cosa mischiandola a tutti i pensieri e le supposizioni che aveva fatto da sé che si trovò ad osservare un'intera porzione di squame staccarsi, nel senso letterale del termine, dalla parte dorsale per poi ricadere a terra con un tonfo sordo lasciando spazio ad altre tre ali, una che doveva probabilmente completare la prima coppia ed altre due di dimensioni minori, ancora coperte di viscido sangue azzurro-dorato e di quelli che avevano dovuto essere fasci di muscoli e tendini ormai appartenenti ad un altro corpo; per lei non c'era stato il tempo di stare lì a guardare, sapeva perfettamente cosa stava accadendo: quel cadavere era troppo caldo, lei lo sapeva, e Ricardo era decisamente troppo potente perché un fottutissimo proiettile potesse abbatterlo come se nulla fosse senza contare che, esattamente al pari di suo padre, faceva parte dei sovrani promessi dalle profezie delle Cronache.
E le profezie avevano sempre ragione.
Senza aspettare oltre aveva ripreso immediatamente il controllo della situazione e si era girata nuovamente verso Jaqueline per spronarla ad iniziare a correre via come avrebbe fatto anche lei, tuttavia dovette presto constatare che la rossa era già sparita dalla sua vista, o almeno lo aveva fatto per i pochi secondi che impiegò per notare quanto si fosse pericolosamente avvicinata a quella sottospecie di roba informe che stava uscendo beatamente dal corpo di una lucertola di dodici metri:
-Non farlo, non andare avanti un metro!- le aveva urlato senza muoversi da dove si trovava
-Jaqueline no! Non è quello che ricordi, non sa nemmeno chi sei! Corri via da lì prima che ti veda e decida di inaugurare lo stomaco cazzo!- continuò inutilmente anche perché le bastò vedere lo sguardo dell'altra quando si era voltata per capire che parlare era inutile:
-Non preoccuparti Cassandra, sono certa che il peggio è ormai passato- rispose pacata avanzando di altri metri con tutta la tranquillità del mondo:
-E poi guarda, non sembra pericoloso, se avesse voluto uccidermi lo avrebbe già fat...- non fece in tempo a finire che si trovò imprigionata su tutti i lati da quattro grossi artigli color avorio che le avevano sbarrato la strada su tutti i lati lasciandole poco meno di un metro quadro di spazio dove muoversi e respirare, il tutto cogliendola brutalmente di sorpresa.
Questo non l’avevi previsto, vero Jaqueline? Tu ed il tuo dannato ottimismo ci porteranno all’inferno, pensò la donna fra sé e sé scuotendo la testa, tuttavia per quanto volesse urlarle che lei l’aveva avvisata del pericolo fu naturale che fosse il suo istinto materno di protezione a prendere il sopravvento e, anche se nutriva grossi dubbi sul da farsi, alla fine si era precipitata da lei con una manciata di lunghe falcate del tutto innaturali, si era chinata verso terra ed era riuscita a prendere la mano della rossa attraverso una fessura che si era creata tra un artiglio e l’altro:
-Ti tirerò fuori da lì ma fammi un favore: smettila di fare l'eroina con il cuore spezzato perché se ci provi ancora ti lascio qui a morire, chiaro?-chiese fredda per l'esasperazione ottenendo solo una sottospecie di gridolino che doveva equivalere ad un sì soffocato, così iniziò ad adoperarsi per tirarla fuori ricordandosi improvvisamente di avere ancora uno stiletto che aveva rubato anni ed anni addietro e che ora teneva sempre infilato nella giarrettiera per eventuali emergenze.
Tipo quella.

Ed era così che, pugnale alla mano, si era diretta con una sicurezza invidiabile nello sguardo verso il cadavere mezzo squartato a terra girandoci intorno non poche volte alla ricerca di un punto dove le squame erano sul punto di separarsi, e quindi lasciavano scoperta la pelle morbida sottostante, tuttavia la ricerca era difficoltosa oltre ogni dire: non solo si vedeva poco o niente a causa dei continui lampi che illuminavano la scena per poi farla ricadere nel buio, ma c'era anche il pericolo che Ricardo tirasse fuori la testa da un momento all'altro e la vedesse, il che avrebbe significato una valanga di problemi che difficilmente avrebbe potuto affrontare.
Per sua fortuna l'ennesimo flash del temporale aveva rischiarato un punto poco sopra quello che prima era l'occhio dove una crepa si stava aprendo fin troppo velocemente, segno che da lì a poco ne sarebbe uscito un musetto del tutto poco rassicurante, ed era stato allora che il suo cervello le aveva tolto tutti i freni inibitori ed aveva dato sfogo all'istinto: con tutta la forza che le era rimasta aveva piantato la lama di qualche centimetro sopra l'occhio destro ottenendo uno spasmo convulso dell'intero corpo che, se da una parte aveva fatto sì che la zampa che intrappolava la rossa si muovesse liberandola, dall'altra aveva ulteriormente aperto le fenditure scoprendo un pezzo di collo bianco latte ed una porzione dell'enorme coda dello stesso colore costellata di sottili quanto affilate
spine dorsali grandi quanto il suo palmo.
Che a causa di un brusco movimento l'aveva colpita in pieno trapassandole la spalla da una aprte all'altra e tenendola inchiodata a terra, esattamente ciò che non le serviva che accadesse: non era il dolore a preoccuparla, le fitte che le salivano fino alla testa poteva anche sopportarle senza problemi, era il terrore che con lei fuori gioco si sarebbe avventato su Jaqueline che, probabilmente accortasi del fatto che la donna non l'avesse seguita come le aveva promesso, era appena tornata indietro barcollante avvicinandosi pericolosamente a lei.
Non stare qui, vattene via una volta per tutte, avrebbe voluto dirle, ma si era ormai resa conto che con lei era inutile insistere perché tanto faceva quello che voleva, così si era limitata ad abbandonarsi alla calma come se non avesse la carne lacerata da quella fottutissima spina:
-Ti avevo detto di andartene, io me la cavo benissimo anche da sola Jaqueline, lo sai anche tu- disse fredda sperando di convincerla, ma l'altra era troppo occupata a guardarle la ferita per ascoltarla così, anche se la cosa le era costata l'ennesimo brivido gelido lungo la schiena, si era alzata quel poco che bastava per afferrarla dalla collana che aveva al collo e tirarla a sé:
-Vattene, non costringermi a ripeterlo ancora o ti assicuro che Ricardo sarà l'ultimo dei tuoi problemi, e non sto scherzando.- concluse mollando la presa e lasciando all'altra il dubbio di aver visto un qualcosa di tremendamente diverso nei suoi occhi, una sorta di riflesso dorato che però, tempo permettendo, aveva concluso essere solo un effetto ottico.
Tuttavia, proprio nel momento in cui Jaqueline aveva finalmente deciso di andarsene, entrambe avevano avvertito come una brezza stranamente calda mista alla sensazione di elettricità statica che fa rizzare i peli durante un temporale, ma quando la ragazza aveva alzato gli occhi per controllare non aveva visto altro che una luce azzurrognola accecante nella quale sembravano danzare vaghe forme serpentiformi di un oro acceso vicino a pilastri d'avorio: non più alberi, fulmini, foglie, no... solo quella specie di luce calda e soffusa a tratti piacevole che si stagliava sopra la loro teste.
Ecco, solo lì, perché quando si era girata dall'altra parte aveva visto nuovamente il paesaggio che ricordava circondarla fino a qualche minuto prima.
Ed era allora che aveva iniziato a distinguere le forme: se si concentrava strizzando gli occhi allora vedeva che i misteriosi esseri danzanti non erano altro che lingue di plasma che si contorcevano dal profondo di un abisso nero e indefinito del quale non vedeva la fine, mentre le forme che pensava fossero state pilastri mitologici erano denti alti quanto il suo braccio che si alternavano per disposizione e dimensioni in paesaggio costituito da gengive rosee insanguinate.
Si trovavano sulla traiettoria delle mascelle una lucertola di trenta metri affamata, ecco dov'erano.
Allora, e solo allora, fu Jaqueline a reagire per prima strappando con una forza che non credeva di avere quella spina dalla spalla della donna e spostando sé stessa e l'altra quel tanto che bastava da tirarle fuori dal muso che si era appena scagliato a terra ottenendo solo qualche zolla d'erba e sassi fra le zanne che non volevano altro che carne fresca per inaugurare il nuovo stomaco; nel tempo durante il quale quella bestia aveva iniziato ad orientarsi dopo il magro bottino loro si erano trascinate a fatica dietro un grosso albero ancora in piedi ed avevano approfittato del tempo a disposizione per riprendersi quel tanto che bastava per mantenere la mente lucida:
-Che diavolo era quello che ho visto? L'interno di un collisore di particelle forse?- chiese all'altra che nel frattempo si stava massaggiando la ferita ma che si lasciò scappare una risata:
-Plasma, era puro e semplice plasma: geneticamente modificato forse, ma era plasma incandescente, lo stesso con il quale produce i fulmini che abbiamo visto fino ad ora- spiegò mentre si strappava un lembo del vestito per improvvisare una fasciatura:
-Se ti stai chiedendo come faccia a controllare quel temporale beh, sappi che non lo fa, non fino a quando avrà ancora addosso i residui del corpo dal quale è uscito: produce plasma, tutto qui... ok, in verità potrebbe anche scatenare una tempesta di fulmini che raderebbe al suolo il paese, e magari con tutto lo zolfo presente nell'aria misto all'acido solforico che i raptor hanno nello stomaco potrebbe anche scapparci una qualche fiammella blu stile Kawah Ijen, ma le mie sono solo supposizioni.- spiegò lasciandola leggermente, ma proprio leggermente, senza parole:
-Oook, preferivo non saperl...- cercò di rispondere, tuttavia venne interrotta da un colpo di coda che aveva polverizzato l'albero dietro al quale si erano rifugiate e le aveva lasciate senza un luogo dove proteggersi da qualsiasi cosa che sarebbe accaduta.
Ma che non accadde.
Jaqueline, forse spinta dal fatto che Cassandra l'avesse salvata già abbastanza per quel giorno, si era messa davanti alla donna per ricambiare il favore ma appena si era decisa a fronteggiare tutto da sola aveva sentito le gambe immobilizzarsi senza il suo controllo e si rese conto che no, quello non era Ricardo, non più almeno: il suo corpo non aveva più le sfumatura d'azzurro che ricordava ma era di un bianco immacolato che si mischiava ad un giallo-oro sui filamenti mossi dal vento che andavano dal collo alla coda fino a comparire nuovamente sulle frange delle ali e delle zampe, senza contare che era ben più snello e sinuoso di quanto ricordasse, le squame sembravano una fitta distesa di neve che questa volta non lasciava nessuno spazio dove conficcare coltelli random, il capo coronato da una moltitudine di corna di dimensioni e forma variegate che le rendevano del tutto simili ad una corona, le quattro ali decisamente più grandi e spesse di prima sostenute da due grandi strutture ossee acuminate sulle spalle,le stesse che ospitavano in delle cavità quattro sfere azzurre, due da un lato e due dall'altro, grandi quanto la testa di un uomo del tutto uguali a quella più piccola che adornava la fronte del raptor.
Era la visione più regale che avesse avuto di un raptor fino ad ora, ed era anche una di quelle più grandi dato che mancava giusto una manciata di metri a raggiungere le stesse dimensioni di Diantha.
Solo che tanta regalità aveva appena avuto l'idea di posare i propri regali occhi su loro due, troppo occupate a deliziarsi con tanta magnificenza per pensare alle proprie vite.
Anche se in realtà c'era ben poco da fare dato che erano praticamente disarmate, così fu Jaqueline la prima a crollare in ginocchio senza più speranze:
-Stiamo per morire, ci ucciderà, moriremo in ogni caso... non voglio morire, non ora... non voglio.- si lamentò con cassandra con le lacrime che le scorrevano sulle guance pallide, così l'altra la strinse a sé accarezzandole i capelli con fare materno cercando di reprimere i sensi di colpa:
-Tesoro...o non... cioè, sarai solo tu a... a morire, ma non posso... non posso permetterlo: no, non lo permetterò piccola... troveremo una soluzion...- non fece in tempo a finire che venne interrotta dalle pesanti falcate del raptor che si stava avvicinando con le ali aperte ed il collo alla stessa altezza del corpo sulla cui sommità si intravedevano le scariche azzurre che si diramavano tra un dente e l'altro con la stessa vaga danza di quelle che si agitavano dentro le sfere sulle spalle, segno che da un momento all'altro avrebbe attaccato.
Era la fine, Cassandra lo sapeva bene, era la fine e basta: lei poteva salvarsi, ma Jaqueline... non sarebbe sopravvissuta, come avrebbe potuto farlo?
Ma se fosse morta... se fosse morta non se lo sarebbe mai perdonato, mai: le aveva proemsso che l'avrebbe protetta sì, ma come?
Come?

La risposta arrivò qualche istante dopo, e lo fece accompagnata da una cascata di fiamme cremisi che si scontrò con un muro di plasma di dimensioni mastodontiche creando una danza mortale di fiamme che si contorcevano freneticamente cercando invano di prevalere l'una sull'altra, una moltitudine di filamenti che parevano avere vita propria che si fronteggiavano come leoni rabbiosi per il dominio del loro territorio.
Un ruggito e un tonfo sordo, poi finalmente Cassandra ebbe il coraggio di alzare lo sguardo: dinanzi a lei, a proteggerla con le ali d'ossidiana spiegate al cielo, se ne stava Oregon ritto sulle zampe posteriori che teneva testa al proprio figlio mostrando il magma incandescente che ribolliva dal profondo della propria gola fino a risalire gocciolando ai lati del muso, un liquido viscoso che appena cadeva a terra bruciava la poca erba rimasta e riduceva in cenere ogni forma di vita rimasta in quella landa desolata, ammesso che ce ne fossero.
E proprio come i loro elementi che si erano incrociati in un vortice funesto, ora anche i due raptor erano uno di fronte all'altro, esattamente come avrebbe dovuto essere: forse Ricardo era potente, ma era anche appena nato un'altra volta e per lui sarebbe stato difficile tenere testa a qualcuno che di esperienza ne aveva ben di più, motivo per cui indietreggiava ogni volta che l'altro faceva schioccare le zanne lanciando frammenti di roccia incandescente a destra e a manca, il che era proprio ciò che Oregon voleva ottenere.
Bastò un ruggito per farlo indietreggiare ulteriormente ed iniziare ad insinuare la voglia di andarsene da quel confronto, ma quando diede segno di volerci provare ulteriormente l'altro raptor non esitò prima di lasciare che il magma colasse dalle spaccature presenti sul suo petto ed iniziasse a prendere piede sul terreno, e fu solo quando venne completamente circondato dallo stesso che Ricardo, dopo aver spalancato le immense ali ed aver lanciato un ringhio di disprezzo, prese finalmente la saggia decisione di alzarsi in volo sparendo tra le nuvole nere.
Avevano appena evitato l'Apocalisse, ma era questione di tempo perché ciò che era stato predetto dalla profezia si avverasse.
Perchè la profezia aveva ragione, sempre e comunque.


La figura del palazzo reale si stagliava imponente all'orizzonte, una sagoma scura consumata dal tempo e dalle battaglie che sembrava vegliare il paesaggio con la sua presenza secolare, una sorta di monito del presunto potere della famiglia Muscle che ora faceva riaffiorare antichi ricordi ormai sepolti e dimenticati nella polvere; il Sole era tramontato ormai da un pezzo lasciando spazio alla presenza ingombrante di una luna troppo vicina nel cielo, la stessa che con i suoi raggi biancastri illuminava le finestre dell'ultimo piano.

Lo stesso dove si trovava Ataru Muscle.
Fonti certe dicevano che il re aveva trascurato la sicurezza del fratello per concentrare le sue guardie al capezzale della moglie, a quanto pare prossima alla dipartita, e in effetti qualche uccellino le aveva anche assicurato che i corridoi del piano più alto erano praticamente deserti, fatta eccezione per i medici che andavano e venivano dalla stanza del sergente due volte al giorno, e forse era per quello che una figura incappucciata girava ormai da ore nei dintorni del castello con fare losco avvicinandosi sempre più ai confini di palazzo con un silenzio inumano.
Dopo l'ennesimo giro di ricognizione si era fermata nel punto sottostante alla finestra aperta ed aveva iniziato ad osservare ogni singolo mattone del muro cercando di coglierne almeno una manciata che potessero permetterle di arrampicasi per poi, con la stessa scaltrezza felina con la quale si era avvicinata, aveva infilato una mano in una cavità ed aveva fatto affidamento alle proprie capacità di free-climbing con la complicità della penombra.
Solo ora il bagliore lunare illuminava la sagoma femminile che stava entrando di soppiatto nel castello ad insaputa di residenti e guardie: a giudicare dalle forme doveva essere ormai una donna e non certo una ragazzina sprovveduta alle prime armi, il busto ed il seno stretti da una maglia di pelle a maniche lunghe con il collo alto, sovrastata da una sorta di gilet senza maniche dello stesso tessuto coperto da una serie infinita di lacci e cerniere che nella parte sottostante terminava similmente ad un costume intero che lasciava scoperti i fianchi e parte della coscia, i pantaloni anch'essi stretti alla pelle a vita bassa tenuti infilati negli anfibi e completati da un paio di spesse ginocchiere, il tutto accompagnato da un pesante zaino portato sulla schiena ed una tracolla alla quale era agganciato un intero arsenale di armi e proiettili.
Non era dato a sapere in quale arcano modo riuscisse a risalire così velocemente tutta la parete, stava di fatto che una manciata di minuti dopo la stessa figura se ne stava ferma ed impettita sul cornicione della finestra lasciata aperta con un pugnale stretto fra i denti: la scena era del tutto simile a quella di un quadro che un artista con non pochi problemi mentali aveva dipinto in un momento di follia, uno di quelli che ritraggono l'assassino poco prima di uccidere la vittima.
Che ora se ne stava costretta a letto in seguito al regalo ricevuto da Bone Cold e la sua banda di mercenari: avrebbe dovuto durare pochi giorni in seguito a quell'attacco, o almeno così si sperava, tuttavia Ataru non era il tipo di persona da arrendersi facilmente, motivo per cui, anche se senza un intero braccio e metà della gamba destra, era ancora vivo; non poteva parlare, certo, ma era dannatamente vivo e già quello era un problema, motivo per cuiqualcuno aveva ordinato che fosse messo a tacere.
Per sempre, questa volta.
Quando la figura femminile era entrata nell'ampia stanza chiudendosi la finestra dietro di sé l'uomo era già sveglio ed aveva iniziato a farfugliare qualcosa di non meglio definito, il massimo che l'iniezione di U.B.D. potesse concedergli, soprattutto quando vide che la donna aveva afferrato il pugnale e se lo girava e rigirava nella mano, poi con nonchalance si era fatta strada fino ad arrivare ad una poltrona al lato destro del letto poco lontano dal comodino sul quale erano poggiate le varie medicine e, esattamente con la naturalezza di qualche istante prima, si era seduta e si era accesa un sigaro preso dalla tasca posteriore dei pantaloni iniziando ad inspirare il fumo come se nulla fosse:
-Sono passati molti anni dall'ultima volta che ci siamo visti Ataru, mi riconosci ancora?- chiese senza aspettarsi una risposta, anche perché l'altro non poteva parlare, così si limitò a guardare annoiata le dense nuvole di fumo grigiastro che uscivano dalle sue labbra:
-Oh sì, stavo quasi dimenticando il tuo piccolo incidente, ti prego di scusarmi per questo attimo di distrazione ma sai, ho ben altro a cui pensare che le sorti di un lurido bastardo come te vecchio mio: la vita è dura per tutti, chi più chi meno.- asserì per poi abbandonarsi sul soffice cuscino della seduta quasi sdraiandosi.
I momenti successivi li aveva passati a guardare l'uomo senza nascondere un certo sorrisetto malefico, lo stesso che ricordava era stato lui a riservarle più di un decennio prima, e forse era stato proprio per quello che il kinniku aveva allungato una mano verso il pulsante delle emergenze posto di fronte al comodino sperando bene di non essere notato, cosa che però non accadde:
-Cosa stai facendo? Non hai voglia di parlare un po' con le conoscenze di vecchia data?- domandò spostando lo sguardo da un punto indefinito al pugnale stretto nella mano sinistra: era bastato un istante, uno solo, ed un gridolino soffocato di dolore aveva riempito la stanza, per sua fortuna da tempo immemore insonorizzata.
Ciò che era rimasto dopo quel gemito straziante era soltanto la mano rimasta di Ataru bloccata al muro a pochi millimetri dal pulsante da un coltello militare, arrivato talmente in profondità da aver scavato un solco nel muro, tenuto saldamente dalla donna i cui capelli bianco cenere ora le ricadevano sul volto segnato da una profonda cicatrice sull'occhio sinistro:
-Lo vedi questo? E' stato un tuo regalo, te lo ricordi?- chiese ancora una volta indicando all'uomo il braccio sinistro che solo adesso, per via della luce della luna che si rifletteva nel metallo lucido, rendeva visibile l'arto metallico che ricalcava perfettamente quello di carne ed ossa che doveva aver perso in passato donandole un aspetto tutt'altro che femminile:
-A quei tempi ero abbastanza disperata da accettare di fare un lavoro per voi schifosi Muscle, avevo un fratello da mantenere ed una vita da vivere, e cosa ne ho ricavato?
Un bastardo che mi ha lasciato agonizzare sotto una trave d'acciaio aspettando la morte, ecco cosa ne o ricavato piccolo lurido puttaniere che non sei altro... ma sai una cosa?
Alla fine ho vinto io, abbiamo vinto tutti: tutti tranne te.- continuò girando non senza una certa soddisfazione la lama per farlo soffrire più di quanto stesse già facendo smettendo solo quando videle lacrime sgorgare dagli occhi vitrei dell'uomo.

A quel punto allora prese nuovamente il sigaro fra le dita e ne tirò un profondo respiro sentendo il fumo riempirle i polmoni per poi rimetterselo fra le labbra, poi indossò un paio di guanti di pelle nera ed afferrò la pistola che teneva appesa alla tracolla:
-Oregon ti vuole morto, questo devono già avertelo detto, ma quel simpatico lucertolone ha avuto il buon cuore di lasciare che fossi io a finirti permettendomi di gustarmi appieno quel meraviglioso piatto che è la vendetta.- spiegò mentre saggiava la lama coperta di sangue con l'indice facendo stridere il metallo contro altro metallo notando l'espressione sorpresa del kinniku:
-Oh è vero, non lo sapevi? Lavoro per i raptor da anni ormai, qualche volta sono un po' istintivi ma almeno non abbandonano i propri compagni come se nulla fosse, hanno un innato quanto inquietante senso del lavoro di squadra e per quello che devo fare mi va più che bene: burocrazia, ingegneria, roba così, qualche volta ci scappa un omicidio ma ehi, siamo tutti un po' animali nel profondo, anche io ho i miei bisogni naturali di sterminio come tutti.- disse tranquillamente per poi gironzolare qua e là per la stanza senza un reale interesse.
Poi, del tutto pacificamente come se ne era andata dal letto, si era nuovamente avvicinata all'uomo sbottonandogli la camicia senza che lui potesse fermarla:
-Penserai che lo stia facendo per me e la mia voglia di vendicarmi, ma non è così, no che non lo è- gli sussurrò all'orecchio sfiorando la pelle con la lama fredda:
-Lo faccio per lui Ataru, per il mio fratellino e nessun altro: non puoi immaginare quante volte abbia dovuto vederlo mentre si piegava a chi non meritava nemmeno di stargli vicino, ho dovuto assistere impotente a tutti i soprusi con i quali pensavi di distruggerlo psicologicamente e fisicamente... ma no, lui non è così debole come credi, ha sempre avuto una forza che nemmeno io riuscivo a trovare, e da quello che vedo qui te lo ha dimostrato.- ridacchiò malignamente sollevando il coltello e rimettendoselo fra i denti per poi afferrare la pistola che teneva a tracolla e piantarla sulla spalla:
-Te lo ricordi quel proiettile, quello che ti ha permesso di catturarlo nemmeno fosse un animale?
Io credo di sì, ma voglio esserne sicura.- lo avvisò poco prima di esplodere un colpo che macchiò il lenzuolo sottostante di carne e sangue miste a frammenti di ossa.
Nonostante fosse concentrata nella sua missione la donna non tralasciò il rumore di passi che sentiva provenire da lontano, così con una mano iniziò a frugare nello zaino che aveva poggiato a terra e ne tirò fuori una piccola fiamma ossidrica portatile che pose sul comodino per poi metterci sopra la lama del pugnale poi, quando aveva giudicato il metallo abbastanza caldo, lo aveva utilizzato per scavare la pelle del kinniku: un lavoro tremendamente doloroso a giudicare dalle grida mute di Ataru, ormai impossibilitato a chiedere aiuto, che era durato un'eternità ma che alla fine, proprio quando lei lo aveva terminato e si era alzata a guardarlo, sembrava essere stato ritenuto più che ottimo.
Era stato allora che la donna aveva approfittato dell'apertura della bocca dell'altro per infilarglici dentro la canna del kalashnikov e spingerla leggermente verso l'orecchio sinistro come aveva visto fare in decine e decine di suicidi, il tutto non prima di averlo umiliato ancora una volta: non si fece troppi quesiti morali o etici prima di sfilarsi il gilet e la maglia di pelle appoggiandoli sulle sponde del letto scoprendo il seno con tutta la naturalezza che il mondo avrebbe potuto offrirle e quasi sdraiandosi sopra di lui mentre con la mano libera constatava l'erezione che aveva già intravisto:
-Morirai con il cazzo duro e il corpo freddo, proprio come il vecchio porco che ricordavo: come si dice “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”... - disse annoiata scostandosi sensualmente i capelli dal volto per legarli in una coda di cavallo sulla nuca:
-Ma questo lupacchiotto ha appena trovato il cacciatore pronto a scuoiarlo.- concluse con un ultimo ghigno beffardo sul viso, poi il nulla.
Un colpo, solo uno.
Non ne sarebbero serviti altri.

Come previsto dalla donna i passi erano quelli di King Muscle, Robin Mask ed alcune guardie di palazzo attirate nella stanza sia dal presunto avvistamento di un contadino che stava rientrando a casa quando aveva visto qualcuno entrare dalla finestra sia dal colpo del fucile, e quando erano entrati c'era mancato poco che persino il grande kinniku svenisse per l'orrore: il corpo del fratello se ne stava steso praticamente nudo sul letto con la testa ormai ridotta a poltiglia sparsa per tutta la stanza e con il petto solcato da una frase che ai presenti suonò terribilmente famigliare:
Justice Plague send her regards.




_____________________________________________

Angolino dell'autrice

Bentornati in un nuovo quanto esagerato capitolo, uno di quelli dove il disagio più assoluto dilaga fra i pantaloni di Ataru (?)
Ok, dopo questa disdicevole introduzione non posso che darvi il bentornato in questa ff che non aggiornavo da un po' causa mancanza di voglia e/o tempo, ma ammetto che il ritorno in questo capitolo è stato in grande (?) stile.
E lo stile non è l'unica cosa grand... ok la smetto.
Cooooomunque... non dico nulla altrimenti finisce che anticipo eventuali recensioni, e mi scusos e lo faccio spesso ahahah, ma come avete visto ho finalmente messo fine all'agonia di Ataru, anche perchè mi sono ricordata solo qualche giorno fa che non era ancora morto, introducendo un nuovo personaggio che qualcuno conoscerà già causa discussioni su Facebook :'D
Detto questo se volete lasciare un commento siete i benvenuti, quello fa smerpe piacere :3
Ah sì: Lannister send their regards :D
Intanto vi lascio le immagini che descrivono benissimo l'aspetto di Oregon (quello nero) ed il nuovo Ricardo (quello bianco, anche se mancano due ali ahahah)

Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** The peace before the Storm ***


E alla fine venne il giorno.
Purtroppo.
Nonostante fosse tornato a dormire appena da qualche ora, con la speranza di risvegliarsi dopo l’incoronazione, quando Hanzo aveva aperto gli occhi si era reso conto che la realtà era ben diversa ed era giunta l’ora di fare i conti con le responsabilità che aveva tentato inutilmente di tenere nascoste nei meandri della propria mente per anni consumando inesorabilmente le poche forze che il suo stile di vita gli aveva lasciato: appena qualche ora ed avrebbe avuto in mano le redini di un intero pianeta, avrebbe dovuto iniziare a sedere all’Aeternum insieme agli altri consiglieri ed ai propri genitori, a smettere di essere così dannatamente impulsivo per riuscire a guidare un esercito in guerra.
E ne era terrorizzato, lo era sempre stato: il terrore, quello reale, Hanzo non lo aveva mai provato veramente, nemmeno quando aveva toccato il fondo più profondo che conosceva, eppure la paura di non essere all’altezza lo stava soffocando dal primo istante in cui aveva messo piede nella sala del trono, ed era la stessa sensazione che ora avrebbe bussato alla porta della sua coscienza.
Fortunatamente la porta alla quale sentì bussare fu ben altra, e cioè quella della sua stanza:
«Buongiorno Vostra Altezza Reale, con permesso.» annunciò una voce maschile poco prima di entrare chiudendosi la porta alle spalle accompagnando il tutto da un sonoro tintinnio metallico; Hanzo aveva impiegato giusto qualche minuto per mettere a fuoco la losca figura che aveva temuto trattarsi di suo padre, ma quando aveva messo a fuoco la cosa aveva anche tirato un profondo respiro di sollievo: Daisuke era ben lungi dall’essere l’Imperatore in persona, lui era più l’umile servo che suo padre gli aveva regalato come dimostrazione che se voleva iniziare ad immedesimarsi nella vita di corte avere uno schiavo personale era il minimo.
Se non fosse che ad Hanzo fregava di tutto tranne che di continuare a sfogare le proprie frustrazioni su qualcuno che non fosse il vecchio Bone, per cui si limitava a fargli fare qualcosa quando ne aveva davvero bisogno e comunque, sinceramente parlando, non riusciva nemmeno a far fare ad uomo di mezza età ciò che avrebbe benissimo potuto fare lui con la metà dello sforzo.
Quella mattina però, per quanto si fosse sforzato a fare presa con il braccio sulla parete, Hanzo aveva dovuto fare affidamento al vecchio servitore per riuscire ad alzarsi e mettersi in piedi, anche se a giudicare dalla fitta lancinante che gli aveva percorso la gamba arrivando fino alla spalla nell’istante in cui l’aveva poggiata a terra forse sarebbe stato decisamente meglio dormire ancora un po’:
«Vi sentite bene, mio signore? Volete che chiami il medico di corte?» gli aveva chiesto senza lasciarsi sfuggire la smorfia di dolore apparsa sul suo volto per qualche secondo, ma se c’era una cosa che Hanzo voleva evitare era di essere compatito, non in quel giorno:
«Non ho intenzione di vedere nessuno, vedrò fin troppa gente oggi: piuttosto dammi quella fottutissima armatura e facciamola finita una volta per tutte con questa dannata cerimonia, mi si stanno scartavetrando le palle a furia di pensarci.» gli ordinò trascinandosi non senza fatica fino alla finestra per crogiolarsi ancora qualche istante nella vita da persona normale.
Più o meno normale, va beh.
L'uomo lo aveva guardato con uno sguardo confuso per qualche istante tuttavia, quando aveva capito che Hanzo era irremovibile sulle sue posizioni, si era prontamente ritirato nell’insistere:
«Comprendo la vostra intenzione di non chiedere nulla, mio signore, ma avete bisogno di aiuto per indossare la vostra armatura? La vostra spalla non è ancora completamente guarita, non vorrei che un eccessivo sforzo possa compromettere la guarig…­»
«Sto bene, ti ringrazio per l’interessamento ma sto bene: vai pure, penso di essere ancora in grado di vestirmi da solo.» rispose stizzito senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, così l’altro si limitò ad un breve inchino e si dileguò velocemente.

Compassione, ecco cos’era quella sensazione, pura e caritatevole compassione verso la sua persona: d’altronde poverino, lui era quello cresciuto con disturbi mentali perché non aveva ricevuto l’amore di una famiglia, quello che era passato dal freddo cemento di una cella ad un letto imbottito con le piume recuperate dalla muta stagionale delle fenici e cuscini tessuti con la soffice pelliccia dei branchi di honoki delle stalle reali.
La gente parlava e Hanzo, suo malgrado, la sentiva fin troppo bene.
E faceva male.
Ma avrebbe cambiato le cose quel giorno, sarebbe riuscito a far capire che lui non era ciò che tutti avevano creduto che fosse fino ad ora: lui era il figlio dei sovrani del pianeta, era il principe ereditario di Iga, non il criminale che le persone si ostinavano a vedere, non del tutto almeno.
E forse era stato proprio per dimostrare a se stesso di essere cambiato davvero che si era ostinato a volersi infilare in quel groviglio di acciaio e oro da solo, senza dover fare affidamento su nessuno che non fosse se stesso, il tutto nonostante le fitte che sentiva ad ogni più piccolo movimento del braccio: Daisuke aveva ragione nel dire che non si era ancora ristabilito del tutto, ma l’idea di doversi abbassare al chiedere aiuto ad un servo gli faceva ghiacciare il sangue nelle vene, soprattutto quel giorno, quello in cui avrebbe dovuto dimostrare ad un intero pianeta la propria volontà di diventare il sovrano di un cumulo di roccia, uccelli abnormi e unicorni alati parlanti.
Eppure, per quanto fosse disturbato da quello spiacevole pensiero, alla fine aveva dovuto cedere quando aveva sentito un dolore lancinante in mezzo al petto che lo aveva fatto piegare in due da quanto era stato intenso: non oggi, non adesso, pensò fra sé e sé, vedi di resistere almeno qualche ora, poi possiamo anche morire e dimenticarci tutto.
Aveva impiegato qualche minuto per riuscire a rimettersi in piedi e ritrovare l’equilibrio, poi si era deciso a chiamare Daisuke sperando che fosse ancora nei paraggi per dargli una mano a indossare quella fottutissima armatura che suo padre aveva tanto preteso di vedergli addosso:
«Avrai anche il sangue di tuo padre nelle vene, ma la testardaggine l’hai presa decisamente dal sottoscritto, e se devo essere sincero mi commuove questa notizia.» aveva sentito dire da una voce che non era chiaramente quella del servo, che tra l’altro non si sarebbe mai potuto permettere certe osservazioni senza rischiarci una mano.
E infatti era suo nonno Akihiro che lo guardava stizzito con le braccia incrociate standosene comodamente poggiato sullo stipite della porta di ingresso della sua stanza:
«Finirai per ammazzarti se continui ad essere così ostile al farti aiutare da qualcuno che non sia tu, te stesso e te medesimo, è così difficile da capire?» domandò ottenendo come risposta solo un sospiro annoiato, ma Hanzo non sembrava interessato a parlare anche con lui:
«Se sei venuto a farmi la predica anche tu puoi anche risparmiartela, non voglio sentire un’altra persona che viene qui a raccomandarmi di seguire tutto questo teatrino, penoso aggiungerei.» rispose malamente continuando imperterrito a fare ciò che stava malamente facendo.
L’uomo non si era fatto problemi ad entrare chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore, poi si era avvicinato al nipote e gli aveva preso di mano il pezzo dell’armatura nera che stava ancora maneggiando con una certa insicurezza:
«Vuoi una mano o preferisci fare da solo? Non vorrei essere nei tuoi panni se dovessi arrivare in ritardo, soprattutto con Ignis in giro.» disse ridendo, umorismo che però Hanzo non riuscì proprio a cogliere nonostante ci avesse anche provato:
«Sono abbastanza grande da essere capace di infilarmi nei vestiti con le mie mani, non sopporterò l’umiliazione di essere ricordato come quello che non è nemmeno riuscito a indossare la propria armatura, non so se tu e il tuo perbenismo lo capite.» rispose malamente facendo per riprendersi ciò che gli era appena stato tolto, ma il solo sbilanciarsi per allungarsi un po’ gli aveva provocato una fitta all’anca che per poco non lo aveva fatto spiaccicare male a terra, ma fortunatamente Akihiro ebbe la prontezza di tendergli la mano per aiutare a riprendere l’equilibrio:
«Allora, la vuoi una mano o no?» chiese un’ultima volta, l’ennesima durante la quale calò il silenzio.

Non avrebbe dovuto accettare, non doveva farlo: era capace di fare tutto da solo, non serviva l’aiuto di qualcuno che non fosse lui stesso per assolvere un compito così stupido, lo avrebbe dimostrato a tutti, si sarebbe ripreso il minimo di dignità che gli spettava.

E invece no, come per un gesto involontario aveva annuito tenendo la testa bassa, abbastanza per non incontrare lo sguardo di pietà dell’altro ma non tanto da risparmiargli quella scena pietosa: aveva cercato di annullare ogni sensazione che fosse umana quando aveva sentito il freddo pungente scavare solchi invisibili sulla pelle nuda, di estraniarsi da quell’involucro vuoto che si trascinava dietro da ventisette anni e di rifugiarsi solo per qualche istante in un angolo buio della sua mente che teneva sgombro dal suo tormentato passato, ma nonostante lo sforzo quando l’acciaio gli aveva sfiorato la profonda cicatrice rosea e lucida che attraversava diagonalmente il petto la sua coscienza era tornata al suo posto e, come era solita fare, aveva iniziato a tormentarsi riportando a galla troppi ricordi.
Mentre l’altro gli sistemava un pezzo di metallo dopo l’altro, Hanzo era impegnato a chiedersi se anche suo nonno si fermasse davanti ad ogni singolo taglio che gli si presentava davanti come invece aveva fatto Mizuki la prima volta che lo aveva visto: sommergerlo di domande non era certo stato il modo migliore per approcciarsi con il figlio che non vedeva da ventidue anni, eppure non si era fatta problemi a rigirare il coltello nelle ferite fino a quando non era riuscita ad annichilire quel poco di dignità che sette anni di catene gli avevano concesso di tenersi.
Akihiro no, lui sembrava stranamente a suo agio con il nipote che non aveva mai conosciuto, non faceva domande né richiedeva risposte che sapeva già non avrebbe avuto, e ad Hanzo la cosa andava più che bene, almeno quel giorno:
«Abbiamo quasi finito, ancora un po’ di pazienza e ti lascio libero.» gli aveva detto mentre stringeva e bloccava con cura la placca pettorale dell’armatura nemmeno fosse il corsetto di una nobildonna di altri tempi, forse anche con troppa cura a giudicare da quanto stava stringendo:
«Devo allentare la presa o va bene?» si permise di domandare con prudenza notando che forse era decisamente troppo stretto ma Hanzo, forse per rispetto dell’unica persona che sembrava capirlo o forse per semplice noia, aveva scosso la testa limitandosi a trattenere il respiro un po’ più del solito, il tutto ovviamente senza proferire parola.

Alla fine della complicata operazione, durata poco più di una ventina di minuti con l’aiuto di suo nonno rispetto all’ora buona che avrebbe impiegato se avesse deciso di fare tutto da solo, Hanzo aveva sentito l’ansia pre-incoronazione attanagliargli lo stomaco più di quanto avesse fatto fino a quel momento perché adesso non si tornava più indietro, non c’era modo né voglia di farlo.
E, per quanto si stesse sforzando di nascondere la preoccupazione, l’altro l’aveva notata già da un pezzo, motivo per cui stava già ponendo rimedio:
«Sbaglio o qui qualcuno sta pensando di non varcare la porta della propria camera?» chiese dandogli una pacca sulla spalla che per poco non lo aveva fatto sobbalzare
«Non è così difficile ciò che devi fare: arrivi, fai un’entrata trionfale, te ne stai in piedi qualche decina di minuti ad ascoltare tua madre che ti legge il giuramento, dici due cazzate in croce per convincere gli ambasciatori, che in un modo o nell’altro ti accetteranno per forza di cose alla guida di Iga, e prendi la spada che ti spetta, assicurandoti che tuo padre te la passi per l’elsa piuttosto che per la lama, quell’uomo farebbe di tutto per non vederti costantemente seduto sul tuo regale trono.
Semplice no? Devo ripeterti qualche passaggio?».
No, non avrebbe dovuto ripetere nulla, odiava l’idea di dover far perdere altro tempo a suo nonno, che sicuramente aveva in mente progetti ben più interessanti dello stare ad ascoltare le lagne di un povero disgraziato come suo nipote: perché Hanzo non era interessato a parlare, non voleva fare o sentire nulla che non fosse lo starsene da solo rinchiuso fra quelle quattro mura che, almeno fino ad ora, non gli avevano fatto mancare nulla.
Nulla, certo, nulla se non la sensazione di essere a casa, quella non l’aveva mai avuta.
Poi, proprio quando l’altro era intento a continuare a parlargli voltato di spalle e girovagando per la stanza, gli era improvvisamente caduto lo sguardo su una delle spade solitamente appese alla parete fra le quali una, forse per uno strano scherzo del destino, era invece poggiata su un tavolino distante nemmeno un braccio: se avesse allungato la mano probabilmente sarebbe riuscito ad afferrarla, e nel caso… no, non doveva pensare a quel genere di cose, non ancora.
O forse sì, chissà… di certo nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, i suoi genitori no di certo, magari Chiharu si sarebbe messa a versare qualche lacrima, ma alla fine lo avrebbe dimenticato come si dimentica il primo amore: nessuno era indispensabile, nemmeno lui.
Non capì se era stato l’istinto a muovergli le dita per stringere l’impugnatura fino a quando le nocche non avevano iniziato a fargli male, come anche non seppe mai quale voglia primordiale di mettere fine alla sua vita lo avesse assalito proprio ora che aveva tutto ciò che poteva desiderare, stava di fatto che si era trovato in modo quasi inaspettato gli artigli di ghiaccio dell’acciaio che abbracciavano il calore del sangue mentre la carne molle faceva spazio a quella danza mortale della quale Hanzo non sembrava nemmeno consapevole, almeno a giudicare dal suo sguardo perso nel vuoto.
Uccidersi avrebbe risolto tante cose, anche troppe: Chiharu non avrebbe più dovuto nascondersi e avrebbe potuto trovare qualcuno da amare alla luce del Sole, Soichiro non si sarebbe più preoccupare che qualcuno gli rubasse la corona, Mizuki forse sarebbe tornata ad occuparsi delle sue sacerdotesse piuttosto che di quella palla al piede che lui era diventato con il tempo, magari anche Akihiro avrebbe trovato sollievo nel dedicarsi a qualcosa o qualcuno di più vivo di suo nipote.
Hanzo voleva solo morire, morire e basta, non avrebbe chiesto nulla di più.
E sarebbe anche riuscito nel suo intento se l’altro non si fosse girato per il rumore metallico che aveva sentito e gli avesse stretto il polso in una morsa che gli aveva fatto cadere la spada dalle mani: avanti, non poteva nemmeno morire in pace?
Perché tutti lo volevano vivo?
Perché tutti dovevano decidere cosa fare della sua vita, tutti tranne lui?

Akhiro lo aveva sbattuto con una violenza che non pareva appartenergli contro il muro tenendolo inchiodato alla parete senza curarsi del sangue che colava sul metallo lucido dell’armatura disegnando intricate forme rosso vivo:
«Cosa diavolo ti salta in mente? Cosa vuoi dimostrare?» gli urlò in faccia afferrandogli il mento per costringerlo a guardarlo, ma quell’aria assente continuava a persistere:
«Ti vuoi ammazzare? E’ questo ciò che vuoi? Rispondimi! Fallo o giuro che ti ammazzo io!» gli chiese furioso mollando la presa e costringendolo a cercare qualcosa per reggersi che potesse compensare l’improvviso calo di pressione che gli aveva fatto perdere le forze per un istante che era parso infinito ad entrambi.
Ed era proprio mentre Hanzo si accingeva ad afferrare più o meno saldamente il bracciolo della poltrona lì vicina per rimettersi in piedi che aveva sentito fin troppo chiaramente la mano di Akihiro schiantarsi con una certa violenza contro la sua guancia in uno schiaffo che, umiliazione più umiliazione meno, lo aveva quasi fatto crollare in ginocchio:
«Non ti azzardare mai più a buttare via la tua vita in un modo così dannatamente stupido, abbi un minimo di rispetto per te stesso almeno!» insistette mantenendo l’aria severa di poco prima, ma era durata ben poco quando l’altro era riuscito a rialzarsi alla bene e meglio ed aveva incontrato il suo sguardo accusatorio:
«Smettila di farti del male Hanzo, per favore: hai già abbastanza cicatrici da sfoggiare, probabilmente anche più di quante ne abbia tuo padre, non meriti altri dolore, non oggi.»
Oh invece sì che lo meritava, lo aveva sempre meritato: lo meritava quando era venuto al mondo senza chiederlo togliendo a sua sorella e suo fratello il diritto al trono, lo meritava quando era sopravvissuto ad entrambi, lo meritava quando era riuscito a farla franca anche dal carcere grazie ai complotti tra una lucertola abnorme e quella marionetta di suo padre.
Aveva sempre meritato di soffrire, lo sapeva fin troppo bene, ma Akihiro aveva tutt’altra idea su cosa suo nipote si meritasse dalla gabbia dorata in cui lo avevano rinchiuso:
«Ciò che sei non è colpa tua, anche se probabilmente tuo padre pensa il contrario: ora che ci penso mi ha sempre rimproverato di aver conservato i geni giusti per te piuttosto che per lui.» osservò lasciandosi scappare una risata;
«Geni giusti? Tu li chiami seriamente geni giusti? Se papà vuole i miei poteri glieli cedo volentieri, non è che mi servano a molto negli ultimi tempi, in realtà non me ne sono mai fat-»
«Oh sì, decisamente giusti, abbastanza perché non ti abbiano ancora ucciso male come è successo a qualcuno dei tuoi antenati, ma smettiamola di preoccuparci del passato e preoccupiamoci più del fatto che stai sanguinando come se non ci fosse un domani: avanti, stai fermo e fammi vedere quella fottuta gola prima che ti cada per terra la trachea.» asserì afferrando un pezzo di stoffa che aveva trovato lì vicino e avvicinandosi ad Hanzo per fermare almeno la perdita di sangue.
O almeno lo avrebbe fatto se per ogni passo che l’altro faceva per avanzare lui ne faceva uno indietro fino a quando non si era trovato con la schiena al muro:
«Non credo ce ne sia bisogno, davvero: sto bene no? Sono vivo, vivo e vegeto, non c’è bisogno di insistere con il dover controllare chissà cosa, sul serio.» fece notare mentre la mano che teneva premuta contro la gola si colorava di dense gocce rosso-bluastre che strisciavano fra le dita;
fu allora che Akihiro, con un’espressione a metà fra il compiaciuto e l’ammiccante, gli si avvicinò ulteriormente afferrandogli il polso noncurante del sangue che colava:
«Cosa c’è Hanzo, qualcosa che non dovrei sapere forse?» domandò mentre il poveretto, nel vano tentativo di sopportare quello sguardo accusatorio, stava letteralmente sbiancando:
«Non c’è nulla, non ho nulla: ora, con il tuo permesso, devo andare perché si sta facendo tard-»
«Oh no, non è mai troppo tardi per assicurarsi che il proprio nipote stia bene: sposta la mano avanti, non fare il bambino!»
«Ma perché? Ti ho detto che sto bene!»
«Smettila o te la stacco quella mano!»
«No! Ho detto di no ed è no!»
«Taci e fai la persona adulta, è solo una dannata mano! Se non hai nulla da nascondere allora fammi vedere la tua fottutissima gola!»
«Non ho intenzione di cedere a certi ricat-»
E invece Hanzo cedette, oh se lo fece, soprattutto quando suo nonno gli aveva stretto così tanto il polso che aveva sentito un brivido freddo corrergli lungo il braccio; l’uomo lo aveva guardato incrociando le braccia e annuendo soddisfatto e, al contrario di ciò che pensava Hanzo, del tutto poco sorpreso dalla situazione:
«Come pensavo, non sei così stupido da suicidarti inutilmente, d’altronde…» gli disse tastando con la mano la pelle ed i muscoli macchiati di sangue che lasciavano intravedere delle striature bianco avorio che, anatomicamente parlando, non avrebbero dovuto trovarsi lì:
«Tu sapevi fin dall’inizio che non saresti morto.»

Il gelo.
Silenzioso, cupo e  irritante gelo.
E quella faccia soddisfatta, era quella ciò che gli stava facendo accapponare la pelle: lui sapeva, sapeva tutto, Akihiro aveva sempre saputo tutto.
Ma non gli aveva detto nulla, né aveva lasciato intendere che fosse a conoscenza di qualsiasi cosa che non avrebbe mai dovuto sapere: aveva osservato, lo aveva lasciato fare e niente, gli aveva fatto capire che se Soichiro fosse venuto a conoscenza di quello probabilmente avrebbe anche potuto trovarsi un altro posto in cui vivere, o meglio sopravvivere.
E forse fu proprio per quel terrore che Hanzo cercò rifugio premendo la schiena contro il muro fino a quando non sentì le vertebre imprecare per il trattamento che gli stava riservando, il respiro che gli si smorzava in gola e gli occhi sbarrati nemmeno fosse un cerbiatto davanti ai fari di un’auto che lo stava per investire; Akihiro, a giudicare dall’espressione confusa e dispiaciuta che aveva assunto, aveva colto le condizioni psicologicamente pietose in cui versava il nipote:
«Se la tua paura è che dica a tuo padre di quello che sta avvenendo qua dentro smettila di preoccuparti, a differenza sua non sono il genere di persona interessata a rovinare la vita agli altri» lo aveva rassicurato togliendogli un gran peso dallo stomaco e permettendogli di tornare a respirare più o meno normalmente.
Ma era chiaro che non si era lasciato scappare la cosa, ovviamente:
«Da quanto?» domandò secco lasciandogli il tempo per capire e rispondere alla domanda, ma la verità era che Hanzo sapeva già cosa voleva e pretendeva di conoscere adesso; dopo qualche istante di esitazione si era convinto che continuare a stare sulla difensiva sarebbe stato inutile quanto controproducente per lui e per la fiducia che suo nonno sembrava disposto a dargli, così si decise a rilassarsi e sedersi sul letto con lo sguardo verso il pavimento:
«Sette anni, mese più mese meno… è stato sette anni fa, ma brucia come allora: lo fa sempre, ogni dannata volta, quella fottuta… cosa o come diavolo si chiam-
»
«Osteogenesi rigenerativa, prego, diamo il giusto nome alle cose» lo interruppe ridendo, ma Hanzo non sembrava troppo d’accordo con quell’interruzione:
«Come? Da quando sei anche medico?»
«Ammetto di non conoscere la medicina, ma se c’è una cosa che conosco fin troppo bene sono le conseguenze dei tuoi poteri, o almeno di ciò che ne rimane, che poi sono anche i miei quindi beh, ne so abbastanza per dirti che sei già fortunato a non essere morto per un polmone perforato da una costola che si è ramificata decisamente troppo, tutto qui.» spiegò come se quelle parole avrebbero dovuto dargli sollievo
«Purtroppo per me non ho tutte queste qualità nipote caro, i miei poteri si sono limitati a rendermi un sociopatico che ha instaurato una tirannia su Iga per decenni, ma non so quanto avrei voluto essere al tuo posto per farmi crescere ossicine random senza control... ti sto mettendo a disagio, vero?
«Abbastanza.» rispose semplicemente distogliendo lo sguardo.
In quella situazione non era ben chiaro chi fosse più imbarazzato dal discorso fra i due, ma alla fine fu Akihiro a rompere nuovamente il ghiaccio:
«Allora la smetto, mi dispiace figliolo ma è passato tanto tempo dalla mia incoronazione e ricordare gli sguardi della gente quando ha capito che sarebbe stata la pecora nera della famiglia a dettare legge sul pianeta non è piacevole nemmeno per me, sono cose che ho pregato e pregherai anche tu di scordare... quegli sguardi.» si scusò mentre i suoi occhi assumevano una piega di malinconia che durò poco più di un secondo, sostituita subito dopo da un sorriso che, se era seriamente falso, allora era davvero ben falsificato:
«Dimmi un po', hai un cavallo con il quale arrivare al tempio per la cerimonia?
«Sì, certo, ho Aerand-»
«Aerandir è il cavallo di tua madre, non vale.»
«L’ho sempre cavalcato io, è il mio caval-»
«Solo perché lei gli ha ordinato di farsi cavalcare, non credere che quell’equino ti sarà fedele: certamente, se Mizuki gli dice di proteggerti e diventare il tuo animale domestico lui lo fa, ma non è a te che ha giurato fedeltà, capito?» domandò mentre l’altro lo guardava confuso e amareggiato allo stesso tempo: avanti, ora non aveva nemmeno un cavallo tutto suo?
Akihiro però aveva la soluzione a tutto, anche alla mancanza di una cavalcatura:
«Non arriveremo al lago Yuna in tempo se andiamo a piedi, e di certo l’erede al trono non può arrivare senza nemmeno un animale da sella: che dici, facciamo attendere la plebe e andiamo a procurarcene uno, Vostra Maestà?» propose entusiasta.
Hanzo non aveva nessuna dannatissima idea di cosa suo nonno avesse in mente, ma il solo fatto di ritardare ulteriormente quell’umiliante cerimonia gli aveva fatto salire un’improvvisa voglia di rischiare la pelle in chissà quale impresa così, dopo aver dato un’ultima sistemata all’armatura ed essersi assicurato che fosse tutto al proprio posto, aveva seguito l’altro fino alle stalle reali dove Soichiro e Mizuki tenevano i loro animaletti da soma personali insieme a quelli dei rispettivi eserciti.


Appena entrati erano stati accolti dai nitriti sorpresi di alcuni degli stalloni di Mizuki intenti a sgranocchiare carote e fieno che li avevano guardati sprezzanti per qualche istante, per poi subito dopo emettere una serie non meglio definita di sbuffi annoiati da quell’improvvisa visita non programmata; Akihiro si era mosso con cautela fra quegli animali, cercando di tenersi il più lontano possibile dalle giumente gravide per non scatenare l’ira dei maschi, chiedendo ogni volta ad Hanzo se ce ne fosse uno che gli piacesse particolarmente.
Ma la risposta, ahimè, era stata sempre la stessa: un secco e freddo no, nulla di più.
Scartati i cavalli di sua madre erano allora passati agli honoki, creature simili a grossi cervi che Soichiro amava particolarmente utilizzare in guerra per la loro estrema fedeltà e resistenza, per non parlare dell’aggressività con la quale reagivano se il loro padrone era in pericolo:
«Te ne piace qualcuno?»
«Io non credo di… cioè… non è che non mi piacciano, ma… non fanno per me, tutto qui: probabilmente ho dei problemi mentali, ma no, non me ne piace nessuno… mi dispiace.» rispose senza nascondere un certo imbarazzo per avergli fatto perdere tutto quel tempo per aiutarlo ma Akihiro, anziché assumere quell’espressione severa che Hanzo si era aspettato a causa della pazienza che gli aveva fatto consumare, sembrava invece fin troppo felice alla notizia dell’ennesimo rifiuto:
«Pensi di riuscire a camminare con la gamba in quello stato diciamo, un chilometro o poco meno?» domandò curioso facendo per uscire dalle stalle
«Sì, o almeno credo… ma anche se non dovessi riuscirci mi obbligherò a farlo, di questo non devi preoccuparti: ce la faccio, decisamente.»
«E allora iniziamo a incamminarci, prima arriviamo meglio sarà: ho io quello che fa per te, e ti assicuro che sarà ammmore a prima vista, nipote caro.»


E in effetti era stato proprio così.
Akihiro lo aveva fatto camminare poco più di un paio di chilometri, che gli erano parsi un’eternità a causa della gamba che pulsava mentre lui cercava di concentrarsi su ben altro, il tutto per arrivare alle stalle del proprio castello, poste dietro di esso e leggermente nascoste da una coltre di ciliegi in fiore, e la differenza rispetto a quelle di suo padre e sua madre era decisamente evidente: più che stalle quelle di Akihiro erano vere e proprie strutture a cupola di dimensioni mastodontiche, sicuramente cinque o dieci volte le semplici costruzioni degli equini da guerra della famiglia reale, costituite da spesse pareti di roccia che sembravano emergere direttamente dal suolo come se fossero un’appendice dello stesso, la quale si fondeva nella parte superiore da quelle che sembravano essere lastre di vetro con un’apertura circolare sulla parte superiore.
La visione di quella struttura così imponente aveva fatto sentire Hanzo terribilmente insignificante dinanzi a tanta magnificenza, e certo la camminata regale di suo nonno nel dirigersi verso l’entrata di quell’edificio non lo aveva aiutato a sentirsi a proprio agio; dopo gli ultimi sforzi per arrivare dinanzi a quello che doveva essere il portone d’ingresso, però, Akihiro lo aveva fermato:
«Nessuno ha mai approvato il mio metodo per combattere una guerra, nè ho cercato l’approvazione per applicarlo al fine di compiacere qualcheduno, ma ti posso dire una cosa: davanti al mio esercito si sono inchinati interi popoli, con la loro approvazione o senza non mi è mai interessato, ma se scegli di seguire questa via non aspettarti complimenti da nessuno, mai.»
«Non ho mai ricevuto complimenti, nonno, e non ne voglio nemmeno: per ciò che ho ottenuto ho dovuto sputare sangue giorno e notte, non sarà certo il piacere derivato dal sentirsi osannare a farmi decidere cosa e come farlo, su questo puoi levarti ogni dubbio.»
«E allora avanti, ormai sei abbastanza grande per vedere come lavorano i signori della guerra.» concluse entusiasta spalancando finalmente le grosse porte, anch’esse fatte da rocce grigiastre coperte qua e là da macchie nere liquefatte, e aprendo ad Hanzo un intero mondo.

No, non era abbastanza grande.
No, non era proprio pronto.
Sì, quello era il modo migliore per far inchinare un popolo.

Appena aveva messo piede nell’enorme complesso era subito stato assalito da un intenso odore di zolfo misto a terra bruciata, reso ancora più pesante e soffocante dalle temperature decisamente elevate dell’aria presente, che sembrava impregnare ogni singola trave di legno, ferro o roccia che fosse fino a far dimenticare il loro vero odore, una nebbiolina semi-trasparente simile a vapore che risaliva l’edificio fino ad uscire dall’apertura superiore; ed era lì che li aveva visti, prima nascosti da quella coltre vaporosa che era andata dissolvendosi quando la porta aveva fatto entrare aria più pulita, uno dopo l’altro, uno più magnifico dell’altro: draghi, draghi ovunque si girasse, un numero che secondo le sue stime sfiorava il mezzo migliaio, di tutte le dimensioni e forme che la fantasia umana potesse immaginare.
La maggioranza di quelle creature, ovvero quelle che non erano occupate a nutrirsi di carogne fin troppo simili a resti umani o quelli invece placidamente addormentati nei loro spazi, si era subito girata quando aveva sentito il cigolio delle porte, motivo per cui Hanzo si era presto trovato circondato da draghi che schioccavano le mascelle minacciosi mandando ringhi ben poco rassicuranti, altri che erano scesi in picchiata verso il terreno sollevando un gran polverone, altri ancora intenti a spalancare le ali nella speranza di spaventare gli intrusi.
O meglio l’intruso, dal momento che appena Akihiro aveva alzato una mano verso quelle creature la maggior parte di loro si erano calmate ed erano tornate a farsi gli affari propri, sempre mantenendo un certo sospetto verso il nuovo arrivato; una minoranza invece, giusto una decina di quelli più grandi e massicci che aveva notato, erano rimasti al loro posto senza arretrare e si erano invece avvicinati frustando l’aria con la coda e ruggendo:
«Io non rimango s-se devo m-morire male, ti avvis-»
«Non ti faranno nulla, stai a guardare.» lo rassicurò suo nonno per poi, avvicinate le dita alle labbra, emettere un fischio acuto che non sembrava aver sortito nessun effetto su quelle bestie.
Deve essere proprio schizzato di cervello se crede di mettersi a controllare quei cosi fischiettando amabili canzoncine, pensò Hanzo tutt’altro che certo di riuscire ad uscire vivo da quel posto ma invece, contro ogni sua più rosea previsione, quel suono aveva assolto i propri doveri alla perfezione.
Fu questione di pochi secondi prima che un incessante rumore di battere d’ali si diffondesse in tutta la struttura con così tanta violenza e prepotenza da scuotere le vetrate circostanti, un suono infernale che venne poco dopo accompagnato da un ruggito così grottesco da essere del tutto simile a quello di un corno da guerra di un altro tempo: una sinuosa figura nerastra era allora entrata dall’apertura superiore della cupola ed era scesa verso terra planando con un movimento circolare fino a quando, nel raggiungere il terreno, aveva allungato le lunghe zampe posteriori dotate di grossi artigli ricurvi ed aveva iniziato a sbattere violentemente le ali per trovare l’equilibrio necessario a toccare la superficie in un modo così tremendamente aggraziato per un essere che sembrava l’incarnazione della distruzione fatta drago.
O meglio draghessa.
La creatura si era pericolosamente avvicinata ad Hanzo e Akihiro a lunghe falcate tenendo le grandi ali che sostituivano le zampe anteriori parallele al terreno come se fosse pronta a spiccare nuovamente il volo da un momento all’altro, il tutto mantenendo le zanne color avorio dalle quali pendevano qua e là brandelli di carne appartenuti a chissà chi pericolosamente snudate pronte a strappare qualsiasi cosa capitasse; quell’avanzata apocalittica era continuata fino a quando la dragonessa non si era trovata con l’imponente corpo a pochi metri dai due spalancando nuovamente le immense ali e lanciando l’ennesimo ruggito: al solo sentire quel suono persino i draghi più grandi e minacciosi di prima ora si erano allontanati lanciando ringhi impauriti o erano indietreggiati con la testa bassa e le ali abbandonate a terra con la coda fra le zampe in segno di sottomissione.
E Hanzo capiva perché lo facessero, oh se lo capiva: nonostante le dimensioni mastodontiche il suo corpo era incredibilmente sinuoso e aerodinamico rispetto alla costituzione massiccia degli altri lì intorno, una gamma di colori che andavano dal beige al rosso mattone fino al grigio antracite delle striature che correvano dalla sommità del capo fino alla punta di coda ed ali, la testa coperta da una moltitudine di corna a spirale posizionate quasi a formare un’improbabile quanto inquietante corona nerastra simile a quelle che ricoprivano parte del collo e delle esili ma robuste zampe posteriori mentre la coda, di una lunghezza spropositata rispetto al resto, nella parte anteriore sembrava la continuazione delle appuntite membrane alari che andavano diradandosi per finire con una sottile quanto letale frusta scarlatta.

Akihiro allora, giusto per stare in tema di prese per il culo inerenti alla giornata, aveva ripreso con discreta violenza il polso al nipote e gli aveva allungato la mano fino a quando non si era trovata ad un metro scarso dal muso di quella creatura; le imprecazioni furono inevitabili:
«Cosa cazzo stai facendo? Mollami! Mollami o ti ammazzo male! Ti ammazzo malissim-»
«Taci o ti rompo il braccio come ha fatto il tuo amico mercenario, ma non ci metterò tutto l’ammmore che ci ha messo lui, chiaro figliolo?»
«Non me ne frega nulla! Staccami un braccio, fallo! Staccamelo ma non avvicinarmi quella lucertola o giuro che mi faccio salire l'omicidio!»
«Sssh, finirai solo per farla agitare» gli suggerì mentre la draghessa aveva evidentemente sviluppato un certo interesse verso quella mano ed aveva chinato il muso iniziando ad annusare circospetta:
«Non ti farà del male, fidati di quello che ti dico: un drago non attacca se non ha motivo di farlo, né ti darà la sua fiducia se prima tu non gli dai la tua.» continuò facendo per mollare la presa e giustamente, vedendo che Hanzo aveva una certa voglia di tirarla indietro appena ne avrebbe avuto l’occasione, decise di specificare la cosa:
«Se tiri indietro la mano la prenderà come un’offesa che non lascerà sicuramente correre, se ti va bene ti troverai carbonizzato in qualche secondo senza poterti rendere conto dell’accaduto, se ti andrà male beh… non ho mai sperimentato di persona, ma so per certo che Sheki’nah ha un caratterino niente male per essere una dragonessa da guerra.»
Sheki’nah, ora quel rettile aveva anche un nome, per niente rassicurante tra l’altro.
Riuscire a resistere alla tentazione di fare marcia indietro e fuggire fino a quando ne aveva ancora la possibilità era difficile, tremendamente difficile, soprattutto quando la draghessa lo aveva osservato con quelle fessure rossastre qualche secondo prima di spalancare le mascelle ruggendogli praticamente in faccia: aveva sentito il terrore attanagliargli ogni singola fibra del corpo fino a non consentirgli più di ragionare sul da farsi, ma alla fine Hanzo aveva costretto le proprie gambe a rimanere dov’erano anziché andare da sole verso l’uscita sperando di sopravvivere.
I secondi che erano passati da quel ruggito a quando Sheki’nah aveva avvicinato ulteriormente le proprie fauci alla sua mano gli erano sembrati interminabili, anche perché ogni secondo in più significava una possibilità sempre maggiore che quella signorina cambiasse improvvisamente idea e volesse fare uno spuntino, ma la scelta di restare al proprio posto era subito risultata la migliore: fu questione di pochi attimi prima che Hanzo si vedesse la propria mano accarezzare senza volerlo il grosso muso della dragonessa, la quale nel frattempo aveva assunto un’espressione rilassata e stranamente compiaciuta da tutte quelle moine, che se ne stava bellamente a proprio agio mentre l’altro per poco non si prendeva un infarto.
Akihiro gli si era affiancato sorridendo soddisfatto:
«Direi che gli piaci più di quanto mi aspettassi, di solito un assaggio alla carne lo da sempre: è stato così terribile come pensavi?» domandò curioso mentre Hanzo, con la dovuta cautela, continuava a passare la mano fra le squame lucide quasi ci avesse preso gusto:
«No, non è male, oserei quasi dire che è… terapeutico.» azzardò sembrando però decisamente più tranquillo di prima, poi però ebbe come una cupa illuminazione:
«Quando dicevi che avremmo trovato una cavalcatura per me non intendevi lei, vero?
No perché, amore a parte, non è che mi ispiri troppo eh, senza offesa ovviamente…» chiese per poi ritirare la mano sfregandola nervosamente sull’altra.
Akihiro lo aveva guardato qualche secondo, poi era scoppiato a ridere:
«Oh avanti, seriamente credi che ti faccia cavalcare proprio lei? Davvero?» domandò ridendo di gusto, poi si riprese tornando serio e prese la testa della draghessa fra le mani appoggiando la propria fronte su quella dell’altra:
«Sheki’nah è la dragonessa ideale per quanto riguarda fedeltà e forza di combattimento, ma è anche difficile da gestire se non si ha una certa esperienza e sangue freddo: non preoccuparti, non ti darò una bestia simile come cavalcatura, sarebbe un suicidio per entrambi se dovesse perdere l’assetto di volo e spiaccicarsi contro una roccia… proprio un peccato, già…» spiegò continuando a ridere e facendosi da parte ed avviandosi in fondo all’immensa cupola, seguito ovviamente da Hanzo e dalla dragonessa che, come aveva ironicamente notato, quando camminava ed utilizzava le ali per sostenersi assumeva un’andatura alquanto buffa simile ad un enorme pollo:
«Ho in mente qualcosa di meno impegnativo di questa signorina, ma non sono proprio certo che faccia per te quindi te lo dico subito: non sfidare la pazienza di un drago, se senti che non fa per te lascia stare e torniamo alle stalle dei tuoi genitori vedendo di farti andar bene un cavallo o magari un honoki, ma ti prego di tirarti indietro se sai di non poterlo gestire, capito?» domandò mentre continuavano a camminare e l’altro, per quanto avesse la mente annebbiata da una valanga di dubbi, aveva quasi inconsciamente annuito.

Proprio nel mezzo di quella camminata circondati da rettili che sonnecchiavano o si contendevano cadaveri animali non meglio definiti l’attenzione di Hanzo era stata catturata da un punto indistinto dove Sheki’nah li aveva preceduti ed aveva spalancato le ali ruggendo con violenza, ruggito al quale ne era seguito uno altrettanto intenso, così si era fermato insieme alla draghessa sporgendosi da dietro una delle sue grosse zampe, e allora si era preso un mezzo infarto: in quel piccolo angolino angusto se ne stava un drago di dimensioni più contenute rispetto alla sua nuova amica squamosa, il corpo snello e robusto che andava da un verde appena accennato al verde smeraldo man mano che si avvicinava alle spesse placche che andavano da sotto il muso fino all’attacco della coda, la quale era sovrastata e parzialmente coperta da una specie di lungo e largo nastro di varie sfumature d’azzurro recante il marchio della casa di suo nonno, una soffice peluria verde chiaro che spuntava qua e là dalla parte posteriore delle zampe e in quella superiore della lunga coda a frusta, la testa ornata da una folta criniera verdastra che lasciava intravedere appena un paio di corna affusolate ed altre due grosse corna ricurve da ariete, il tutto completato, nemmeno fosse una presa per il culo, da un paio di quelli che sembravano essere a tutti gli effetti degli orecchini con disegni identici al nastro che ricadeva sulla coda.
E catene, soprattutto quelle: alle zampe, al collo, intorno alla vita e forse precedentemente, vedendo a terra un pezzo di metallo dorato semi liquefatto, anche sul muso.
Quel drago non sembrava pericoloso, era quella la prima cosa che aveva pensato, non quanto Sheki’nah almeno, eppure era certo che se Akihiro aveva deciso di incatenarlo lì e non lasciarlo libero come gli altri allora un motivo doveva esserci, e lo aveva scoperto presto: c’era voluto poco perché il drago passasse dal semplice ringhiare al lanciare una fiammata di fuoco color smeraldo contro la draghessa, e c’era voluto altrettanto poco tempo perché questa rispondesse con una cascata di fiamme scarlatte così scure da sembrare quasi nere in una danza che, Hanzo ne era certo, sarebbe stata mortale.
Nonostante l’altro uomo avesse continuato a camminare doveva essere stato attirato dai ruggiti infernali delle due bestie che, se non fosse stato per le catene che stridevano ad ogni affondo di artiglio del drago più piccolo, si sarebbero sicuramente ammazzate a vicenda:
«Shangri-La no! No! Stai buona santo cielo, buona! Avanti!» era intervenuto Akihiro dando uno strattone alle catene ancorate alle zampe posteriori facendole l’equilibrio costringendo quindi la dragonessa a terra:
«Ho detto di stare buona, stai solo peggiorando le cose! Shangri-La no, smettila cazzo!» aveva insistito ma, vedendo che quella continuava a dimenarsi furiosa, si era avvalso dell’aiuto con l’aiuto di Sheki’nah, che aveva posato i propri grossi artigli sull’altra per tenerla ferma, per bloccarle ogni movimento con una spessa catena recuperata all’ultimo minuto.
C’erano voluti diversi istanti perché si decidesse a calmarsi, se si poteva intendere calmo un rettile di sei metri che continuava ruggire dimenando la coda pericolosamente, e la cosa aveva lasciato Hanzo abbastanza interdetto e con ancora più dubbi di quanti ne avesse prima:
«Era lei, il drago di cui parlavi?» chiese a suo nonno, che nel frattempo stava passando le mani fra le molteplici corna della propria draghessa per riportarla alla calma a sua volta:
«Cosa? No, assolutamente no, non riesco nemmeno io a domarla, figurati cosa farebbe a chiunque altro che provi anche solo ad avvicinarsi: stai a guardare.» rispose con tono severo assumendo un’aria cupa, poi appoggiò appena una mano sul muso di Shangri-La prendendosi di rimando un ruggito accompagnato da delle sottili fiammelle verdastre appena visibili fra le fessure delle zanne:
«E’ troppo pericolosa per tutti, me compreso, e forse anche per se stessa: lasciala perdere se ci tieni alla pelle, dico sul serio.» consigliò al nipote alzandosi e facendogli strada.
Ma Hanzo non voleva vedere altri draghi, non dopo aver notato i due grossi anelli argentei dai quali pendeva un nastro decisamente più lungo con disegni e colori identici a quelli del nastro che copriva la coda che sembrava simile a delle briglie, anelli che le penetravano la carne nei punti in cui avrebbero dovuto trovarsi le ali ma che ora, a giudicare dalle cicatrici presenti prima nascoste dalla lunga criniera, erano ridotte a due monconi appena accennati; Akihiro aveva notato come il nipote guardasse quei segni, e forse era stato per quello che si era girato sospirando:
«Quando l’ho trovata nella foresta le avevano strappato le ali, gli uomini che l’hanno fatto sono finiti arrosto mentre imploravano la mia pietà: la mia gliela avrei anche data, ma ho lasciato a Sheki’nah la scelta, e lei era d’accordo con ucciderli molto, molto male, abbastanza per fargli provare quello che un drago sente quando gli togli ciò per cui è nato… ma non stiamo qui a dilungarci su quanto i miei sforzi nel far sì che lei si fidasse di me siano stati vani, piuttosto andiamo a scegliere il tuo drag-»
«Io voglio lei, nessun altro drago: lei e basta, niente discussioni.»
E allora Akihiro era diventato di pietra.

Nessuno aveva proferito parola in quella circostanza, persino Shangri-La aveva smesso di ruggire e muoversi furiosamente, forse per l’imbarazzo generale o forse per adattarsi all’espressione perplessa e preoccupata dell’uomo:
«Hanzo, fai il serio, ti prego… ho abbastanza draghi fra cui puoi scegliere, ma non lei, assolutamen-»
«Ho detto niente discussioni, toglile quelle catene e lasciami fare.»
«Non se ne parla» disse assumendo uno sguardo severo «Stammi a sentire, se ti dico che è meglio lasciar perdere quella dragonessa allora tu la lasci perdere, chiaro?»
«Non costringermi, per favore, non farlo.»
«A fare cosa?» domandò preoccupato, ma non ci volle molto perché le azioni rispondessero al posto delle parole: forse Akihiro era particolarmente sprovveduto quel giorno, ma ad Hanzo non c’era voluto molto per sfilargli la spada dal fodero che portava sul fianco e tenerla davanti a sé
«Nessuno mi dice cosa devo fare, nemmeno tu: mi dispiace, davvero.» si lasciò scappare per poi tirare un fendente ai punti dove le catene erano ancorate al terreno spezzandole di netto, ovviamente liberando la draghessa che si era subito impennata sulle zampe posteriori sputando un muro di fuoco verso Sheki’Nah sfiorandola di poco.
O gli andava bene o moriva carbonizzato, le alternative erano poche.
Se fosse stato minimamente interessato al continuare quella misera vita che lo aspettava dietro le sbarre d’oro di quel castello forse Hanzo avrebbe continuato a portare con sé la spada nel momento in cui si era pericolosamente avvicinato a quella creatura che scalpitava furiosamente fendendo l’aria con le fauci, ma dato che a lui di tutta la burocrazia di corte interessava ben poco aveva abbandonato la lama a terra trovandosi ad appena qualche decina di centimetri da lei, che nel frattempo era decisamente troppo occupata a lanciare artigliate all’altra.
Akihiro lo aveva guardato sconvolto per qualche istante, quelli che gli erano bastati per rendersi conto che era troppo tardi per convincere suo nipote che non sarebbe servito a nulla cercare di domare quel mostro come lui non era riuscito a fare in anni ed anni di impegno costante che gli erano costati solo graffi e ustioni ben difficilmente dimenticabili; ci aveva anche provato ad aizzare Sheki’nah contro quella belva famelica, ma la dragonessa si era improvvisamente tirata indietro con le mascelle serrate e le fiamme che ancora le lambivano le estremità delle ali, motivo per cui aveva capito fin troppo bene che, volente o nolente, quella era una questione che si sarebbe disputata solo fra Shangri-La ed Hanzo: doveva avere fiducia in lui, o almeno provarci.
Era stata questione di attimi perché una fiammata verdognola lo costringesse ad indietreggiare dietro la propria draghessa per proteggersi dall’attacco alzando una sorta di anello infuocato che lo aveva definitivamente diviso dall’altro, e allora gli aveva preso un’ansia terribile: ora era da solo, doveva cavarsela senza il suo aiuto, senza l’aiuto di chi con i draghi ci aveva a che fare da quando era venuto al mondo.

Ma Hanzo era abituato a cavarsela da solo, anche troppo: nonostante avesse chiaramente avvertire nelle vene il terrore più puro alla vista di tutte quelle dannatissime fiamme che lo avevano praticamente accerchiato, aveva raccolto tutta la buona volontà che gli era rimasta in corpo e si era lentamente avvicinato a quella creatura misurando ogni passo per cercare di non finire arrosto come immaginava fosse toccato a tanti altri prima di lui; non c’era voluto molto perché lei lo notasse e gli piantasse addosso quegli occhi color smeraldo pieni di rabbia digrignando i denti, ma nemmeno quello era servito a farlo indietreggiare, anzi era servito a tutto il contrario:
«Non ho nulla con me, non credo di poterti ammazzare anche se lo volessi» aveva azzardato alzando le mani in segno di resa per poi muovere qualche altro passo insicuro:
«Cerchiamo di collaborare per favore, non fare scherzi e proviamo a trovare un accor-» non fece in tempo a finire che una sottile fiammella dello stesso colore dei suoi occhi gli passasse ad appena qualche centimetro dal braccio.
Ok, forse quello non era il modo migliore per approcciarsi con una draghessa selvaggia che voleva solo ridurlo ad un adorabile involtino arrosto, ma provare non costava nulla.
Tranne la vita, ma quello era un optional.
Non si era fatto scrupoli, come anche non se ne era fatti quando aveva gettato la propria esistenza dietro delle dannate sbarre d’acciaio come se nulla fosse, e forse era proprio per quello che era riuscito, fra una minaccia di azzannarlo e l’altra, a raggiungere Shangri-La fino a poterla sfiorare con la mano se solo lo avesse voluto; Hanzo non sentiva più nulla intorno a se stesso se non un’ansia crescente che sembrava aver preso il sopravvento sul coraggio che aveva fino a qualche istante prima tuttavia, nonostante i ringhi sommessi e la voglia lampante negli occhi di lei di sbranarlo senza ritegno, non si era mossa più di tanto e lo aveva anzi lasciato avvicinare assumendo una strana espressione compiaciuta che lo aveva fatto calmare solo un po’.
Giusto per evitare dubbi aveva aspettato ancora qualche momento prima di tentare il tutto per tutto, ma alla fine si era deciso ed aveva allungato lentamente, molto lentamente, il braccio premurandosi di controllare che fosse ancora a suo posto ad ogni centimetro che guadagnava; c’era stato un momento durante il quale l’altra aveva snudato le zanne bianche ringhiando in modo quasi impercettibile senza però opporsi ed anzi mostrandosi interessata.
Era stato allora che Hanzo aveva avuto la conferma che, infondo in fondo, non erano poi così diversi, lui e Shangri-La: nessuno dei due aveva mai conosciuto la vera libertà, quella che si provava quando non si avevano le ali strappate da uomini troppo crudeli o da una vita dissoluta passata a fottersene male del proprio futuro, e a dire il vero né l’uno né l’altra erano riusciti a trovare il loro posto nel mondo, lo stesso mondo che aveva ridotto lei a diventare un lupo, o un drago, solitario che sapeva circondarsi solo di catene e lui a perdere ogni interesse in una vita che non gli era mai appartenuta.
L’aveva guardata per qualche istante, quelli che erano bastati per perdersi in quegli smeraldi pieni di dolore nei quali se si impegnava riusciva ancora a scorgere un minimo di speranza, la stessa che probabilmente provava verso di lui: non sapeva se fosse solo una sua impressione o se fosse davvero così, ma gli sembrava che in quel momento gli stesse dicendo “Aiutami, portami via da qui, portami via da tutti questi sconosciuti, andiamocene entrambi da questa prigione dorata e torniamo a casa.”
Era stato fermo per minuti che gli erano parsi infiniti poi, quasi come un istinto ancestrale che aveva sopraffatto la draghessa famelica di qualche istante prima rendendola decisamente più calma, Hanzo aveva sentito chiaramente la testa di Shangri-La poggiarsi nell’incavo del suo collo strusciando il robusto collo coperto dalla morbida criniera sul braccio dell’altro quasi stesse cercando un rifugio sicuro da tutto il mondo che la circondava, lasciando Akihiro visibilmente sconvolto.

L’uomo aveva osservato la scena sbigottito per un tempo che era sembrato infinito, persino la sua dragonessa aveva assunto un’espressione confusa e sorpresa allo stesso tempo, e quando aveva fatto per avvicinarsi al nipote era stato accolto solo da un minaccioso ringhio da parte della sua nuova compagna di giochi; Hanzo aveva temuto di perdere il controllo della situazione fin troppo presto, così aveva subito afferrato il muso di Shangri-La fra le proprie mani e se lo era stretto al petto:
«Buona avanti, stai buona, non ti vuole fare del mal… ok, ti ha tenuta incatenata come un animale ma ehi, era anche colpa tua se ti comportavi come una sociopatica, vero?» la rimproverò accennando appena un sorriso, forse l’unico vero fra tutti quelli che aveva sfoggiato fino a quel momento.
Ed era allora che Akihiro non aveva più avuto dubbi, solo conferme di ciò che pensava, motivo per cui si era girato verso l’altro ed aveva finalmente allungato una mano per accarezzare la draghessa:
«Considerala il mio regalo per la tua incoronazione, d’altronde sei l’unico in tutti questi anni con cui vada d’accordo per cui avanti, ora che hai una cavalcatura possiamo anche andare a vantarcene con tuo padre e quei suoi cervi, non credi?» gli aveva detto con una serenità disarmante.
Gli stava davvero regalando Shangri-La?
Gli aveva davvero concesso una delle sue dragonesse da guerra?
A lui?
Hanzo non aveva saputo rispondere in modo decente a quell’affermazione se non balbettando qualche parola senza senso, ma alla fine aveva deciso che abbracciarlo doveva essere il minimo sindacale per un gesto di quel calibro; ok, forse gli abbracci non erano il suo forte, ma Akihiro non si era affatto sottratto a quel contatto umano così intimo, probabilmente uno dei pochi che aveva ricevuto nell’ultimo periodo:
«Santo cielo figliolo, sei peggio di tua madre in fatto di sdolcinerie!» rise divincolandosi dall’altra che, giusto per sentirsi parte della famiglia, aveva avvolto la vita dell’uomo con la coda in un modo che aveva rasentato il soffocamento:
«Come non detto, come non detto… ma se fossi in te risparmierei tutte queste coccole da piccioncini per un'altra, di piccioncina.»
Ecco, quella parola quella singola parola, aveva subito fatto suonare un campanello d’allarme nella mente di Hanzo, lo stesso che aveva già sentito quando Mizuki gli aveva detto che lei sapeva tutto di Chiharu e della loro relazione:
«P-piccioncina? Io non vedo… p-piccioncini, proprio… no, no: ma i p-piccioni sì, i piccioni sono o-ovunque.. sotto i letti, per esemp-» cercò di giustificarsi strappando all’altro una risata che gli aveva fatto accapponare la pelle:
«Ti serve molto più che un alleato su questo pezzo di roccia per proteggere quella ragazza… come si chiama? Chinaru? Chicaru? Cacaru? Cacatua? Cacamia?»
«Chiharu, si chiama Chiharu.»
«Ah sì, quella lì, proprio lei» disse girandogli intorno fino a trovarsi al suo fianco per poi fare spallucce ammiccando in un modo inquietante:
«Un uccellino, un uccellino infuocato di quindici metri buoni, mi ha detto che cerchi di nascondere la vostra relazione con tutte le forze che hai in corpo, uno sforzo che ti costa buona parte delle giornate che potresti invece passare con lei a crogiolarti in giardino» insistette mentre Hanzo lo osservava tremante, il terrore che anche lui lo potesse dire a suo padre che gli attanagliava le viscere:
«O a scopartela selvaggiamente, dato che da quel che ho visto sei messo decisamente meglio di tuo padre: dimmi un po’, secondo te il culo te lo da o devi pregarla in ginocchio?
Ora che ci penso in ginocchio iniziereste a fare altro, ma in fond-»
«Non dirlo a papà, per favore: farò tutto ciò che mi chiedi ma ti prego, non dirglielo.»
Hanzo sapeva di essere penoso a pregare suo nonno di tenere la bocca chiusa con suo figlio, ma era anche vero che se per salvare Chiharu dalla morte certa allora doveva abbassarsi a tanto allora lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto senza fiatare.
Akihiro aveva scosso la testa sorridendo, poi gli aveva appoggiato una mano sulla spalla:
«Non guadagnerei nulla col dire a tuo padre di questa relazione clandestina, nipote caro, se non vedere l’ennesimo cadavere in piazza: mi è già passato abbastanza sangue tra le mani, sangue che avrei preferito lasciare ad altri, non voglio anche quello di una ragazza colpevole solo di essersi innamorata di un uomo che se ne sta ben sopra al suo livello nella piramide sociale, senza contare che le sacerdotesse non dovrebbero avere compagni ma ehi, tua madre a quelle ninfomani non dice nulla.» disse con l’intento di tranquillizzarlo, intento non proprio raggiunto.
E forse fu proprio per quel motivo, dopo aver notato che il nipote tranquillo non lo era affatto, che decise di afferrargli il polso e trascinarlo fuori, seguito a ruota da Sheki’nah che camminava in modo alquanto buffo imitando un pollo e Shangri-La che sbuffava annoiata mentre trotterellava dietro i due fuggiaschi superando l’altra draghessa con un ruggito soddisfatto e strafottente:
«Dove accidenti mi stai portando?» domandò all’uomo che però non rispose, così anche lui si mise il cuore in pace e si diede al pacato mutismo ed alla mesta rassegnazione.
Mutismo e rassegnazione che finirono per costargli il respiro mozzato in gola appena aveva messo il piede fuori dalle stalle di suo nonno.

Akihiro era impazzito.
Chiharu era impazzita.
Tutti erano impazziti.

Quando Hanzo aveva incontrato il suo sguardo non aveva sentito più niente che non fosse un immenso senso di gratitudine nel rivederla, le preoccupazioni per la corona che venivano spazzate via dall’amore che lo teneva legato a quella ragazza da sette anni.
Sette anni, nemmeno gli sembrava che fosse passato così tanto tempo dalla prima volta che si erano incontrati, eppure eccola là: non la vedeva da quasi due mesi ormai, e la cosa gli pesava per quanto evitasse di farlo notare agli altri ma alla fine, come le ripeteva lei, se era riuscito a sopportare di vederla sì e no qualche ora al mese quando se ne stava dietro le sbarre allora non doveva essere un problema, ma lo era.
Lo era eccome.
Chiharu aveva aspettato qualche secondo prima di ricambiare lo sguardo piantandogli quelle sfere d’oro liquido addosso, ma c’era voluto poco perché gli si avvicinasse e si fiondasse a cercare rifugio appoggiandosi al suo petto mentre l’altro gli cingeva i fianchi con una delicatezza che non sembrava appartenergli, poi si erano guardati per un tempo che sembrò infinito ad entrambi: lei per cercare l’approvazione della persona che aveva davanti, lui per capire se potesse meritarsi ancora la sua fiducia dopo che l’aveva lasciata nella tana dei leoni, o delle fenici, per tutto quel tempo.
Hanzo non era mai stato un tipo da baci e abbracci, era più da accoltellamenti e omicidi, ma Chiharu aveva il potere di renderlo più docile di un agnellino e far uscire da quel pezzo di marmo che aveva al posto del cuore i sentimenti che il dolore di tutta una vita aveva sepolto sotto chilometri di rancore e rabbia che però, quando c’era lei, finivano sempre per essere rimpiazzati da un senso di iperprotettività e amore incondizionato che teneva in piedi la loro relazione da così tanti anni, carcere o meno che fosse, ma dall’altra parte aveva sempre una certa difficoltà nel manifestare i propri sentimenti anche a lei.
Chiharu lo sapeva, d’altronde era per quello che era sempre lei a fare il primo passo, ed anche questa volta aveva fatto lo stesso senza protestare: le sue mani si erano intrecciate intorno al collo dell’altro, il rosa pallido della pelle liscia di quelle esili dita che incontravano in un violento contrasto cromatico le lucide chiazze lasciate dalle profonde cicatrici rossastre, poi gli aveva preso il volto fra le mani e lo aveva tenuto stretto a sé in un bacio appassionato di quelli che si concedevano così di rado da rendersi conto solo ora di quanto ne avessero bisogno entrambi.
Il tempo sembrava essersi fermato in quegli istanti, in quei rari momenti dove Hanzo dimenticava tutte le volte in cui avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco e Chiharu si ricordava del motivo per cui lo aveva aspettato per sette anni senza cercare un altro uomo che, se solo lei avesse voluto, avrebbe potuto starle vicino ogni minuto di ogni giorno, a differenza di Hanzo stesso.
Quando lui aveva fatto per staccarsi dopo qualche minuto, ma lei lo aveva trattenuto ancora un attimo per godersi quel minimo di tregua fra tutte le preoccupazioni del mondo che li circondava; quegli istanti però, per quanto lei si convincesse che sarebbero stati eterni, durarono solo fino all’istante in cui il compagno interruppe quello scambio di effusioni per stringerla a sé guardandola negli occhi, poi le prese le mani fra le proprie:
«Ti amo con tutte le mie forze, non smetterò mai di ripetertelo piccola.»
«Sappiamo entrambi che è così, e vorrei stare qui a parlarne per ore intere, ma ora devi andare: se qualcuna delle sacerdotesse ci vede è la fine per te e la tua coron-»
«Non voglio la corona, non è quella che mi interessa» le sussurrò accarezzandole i capelli come se si fosse perso in quell’oceano fatto di sottili filamenti azzurrini:
«Se non puoi essere la mia regina io non farò il re di questa fredda roccia, non pensarci nemmeno: se mi vogliono qui devono accettare anche te, altrimenti possono anche prendere quel pezzo di latta ed infilarselo dove nemmeno le fiamme di Ignis arrivano.»
A quelle parole la ragazza era rimasta spaesata e terribilmente confusa, motivo per cui tentò di allontanarsi dal compagno senza volersi staccare davvero:
«Se ci scoprono siamo rovinati, te ne rendi conto?» gli disse con il terrore negli occhi
«Tu perdi tutto ciò per cui hai sputato sangue fino ad oggi, ed io… io…»
«Non possono farti del male fino a quando non hanno me, sono indispensabile a mio padre per firmare l’alleanza con quelle lucertole troppo cresciute: stai tranquilla Chiharu, non devi preoccuparti di come sopravvivere fra le sacerdotesse, penserò io a coprirti le spalle» disse mentre Shangri-La, con un curioso tempismo ed un’improbabile comportamento che ricordava vagamente quello di un gatto altezzoso, si era avvicinata e si era interposta fra lei ed Hanzo ringhiandole addosso:
«Volevo dire noi, ci pensiamo noi a coprirti le spalle, vero signorina?» domandò alla dragonessa che, soddisfatta, lo ringraziò con una leccata decisamente meno delicata dei baci di Chiharu.
Hanzo non aveva paura, non ne aveva mai avuta: la corona sarebbe stata di sicuro il modo perfetto per riscattarsi da tutto ciò che aveva dovuto sopportare fino a quel giorno, ma Chiharu non era il prezzo da pagare; non aveva colpa di tutto quel puttanaio che si stava scatenando per mandarlo al trono, ma vi si era trovata invischiata ed ora doveva iniziare anche lei a recitare il proprio ruolo nel leggendario gioco che la sua famiglia portava avanti da chissà quante generazioni per mantenere l’assoluto controllo su Iga intera.
Perché al gioco del trono, Hanzo lo sapeva bene, o si vince o si muore.


Buio, il buio più totale: niente luce, niente suoni, niente colori.
Niente di niente, il nulla più totale.
Da milioni di anni.
Poi c’era stato un rombo sordo, un ruggito che aveva riempito l’aria di una sofferenza nemmeno lontanamente immaginabile all’orecchio umano.
Ma non all’orecchio di un drago, ovviamente.
E allora l’aria si era improvvisamente riempita di una moltitudine di rumori, luci e sensazioni finora sconosciute a quel luogo così tetro rivelando un paesaggio alquanto sovrannaturale: centinaia e centinaia di rocce nerastre galleggiavano nell’etere sospese da filamenti diafani di un azzurro elettrico caricando di un pungente quanto frizzante odore di zolfo, lo stesso che si avverte dopo un violento temporale estivo.
Probabilmente era a causa della carica statica prodotta da quei sottili fulmini formato tascabile che anche il terreno di quella specie di grotta, un’immensa e sterile distesa di rocce appuntite e stalattiti grandi come case, fosse cosparso di intricati disegni azzurrognoli che parevano recare antiche iscrizioni dimenticate dal mondo, un labirinto degno di Dedalo in persona che sfociava in un’ampia stanza, se così si poteva chiamare quell’enorme atrio con una sola apertura verso l’alto.
Il silenzio vigeva sovrano in quel luogo, o almeno lo aveva fatto fino al momento in cui un rumore metallico si era fatto strada fra le orecchie delle pietre circostanti: le spire che si srotolavano una dopo l’altra in una danza ipnotica, le squame dure come diamanti che sfregavano le une contro le altre che tagliavano come se nulla fosse il duro cuore di granito delle rocce, gli immensi veli azzurri delle ali che riempivano lo spazio a loro disposizione ergendosi in tutta la loro imponente grandezza accompagnando la fierezza e la ferocia contenuta nelle due sfere che riflettevano il colore delle profondità più remote degli oceani poste sul capo, praticamente non osservabile da chi l’avesse guardato standosene a terra.
Dunque il momento era giunto, la tempesta era arrivata: lo aveva chiamato, alla fine, si era finalmente deciso a rinunciare ad uno scontro ben poco alla pari ed aveva fatto uno squillo interdimensionale agli alti vertici.
Che non si erano certo tirati indietro, ovviamente.
Aveva alzato il muso verso le stelle un'ultima volta prima di portarsi sulla grande apertura superiore innalzandosi in tutta la sua imponenza verso le vaste terre che si intravedevano all'orizzonte, prima di apparire come un obelisco sulla sommità di quella grotta con le ali spalancate e la propria ombra che oscurava i soli di quel pianeta:
«A myrn hain gavénnir taur aglàr elenath, Draego-Orn, na medui mòrnie estelie adartha ustùlie» il ruggito si levò alto, accompagnato da altri che sembravano delle risposte:
«Lasto beth lamèn vinya, Naer-Sk'owa: atlantièr orath telithàr vinya urulooke, indyo silque ataui devithà sikke Terrakion, na palan-diriél endòrenna.
Aska'roth, Naer Sk'owa, ad erynna darthanner.»
Ora niente poteva fermarli.


__________________________________________________

Angolino dell'autrice

CE L'HO FATTA.
HO AGGIORNATO.
FINALMENTE.
Comunque sia, sono felice di essere finalmente riuscita ad aggiornare quest’adorabile fan fiction, ci tenevo parecchio dato che ero impaziente di scrivere i capitoli che verranno dopo questo di intermezzo: lo ammetto, i capitoli di transizione non sono proprio ciò che amo fare, soprattutto se non contengono sangue e draghi sputafulmini gigaenormi, ma alla fine sono riuscita a completarlo e mi soddisfa non poco :D
Cosa dire su questo capitolo: ho preparato il terreno per l’incoronazione di Hanzo e per altre entrate trionfali che si vedranno nel prossimo capitolo, sono così emozionata nel poterlo finalmente iniziare (anche se in realtà un pezzo l'ho già fatto), e vogliamo discutere su questa scena di amore stile Hiccup e Sdentato? xD
Non voglio dirvi altro, tranne che no, non accadrà nulla di ciò che può essere considerato decisamente scontato né sulla Terra né su Iga :3
Ma soprattutto: cosa vogliono dire le ultime frasi?
Chiamate Adam Kadmon e lo saprete (?)
Detto questo, vi lascio con le draghesse di Akihiro ed Hanzo, rispettivamente Sheki'nah (la simil viverna) e Shangri-La (quella verde): non sono adorabili? :D


Image and video hosting by TinyPic
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2799167