Sotto il sole di Copacabana di Neferikare (/viewuser.php?uid=731613)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- A volte ritornano ***
Capitolo 2: *** Un anello (ed una guerra) sono per sempre ***
Capitolo 3: *** Piccoli mercenari crescono ***
Capitolo 4: *** Tutta colpa dei biscotti all'avena ***
Capitolo 5: *** Senza pietà ***
Capitolo 6: *** Pomeriggio fra donne ***
Capitolo 7: *** Festa col botto ***
Capitolo 8: *** Due di picche... equino ***
Capitolo 9: *** Meduse e complotti ***
Capitolo 10: *** Fiori di ciliegio ***
Capitolo 11: *** Proposte indecenti ***
Capitolo 12: *** Fino alla fine ***
Capitolo 13: *** Eye of the Tiger ***
Capitolo 14: *** There is no love without sacrifice ***
Capitolo 15: *** Let the Storm begin ***
Capitolo 16: *** All Hail the Stormborn King ***
Capitolo 17: *** The peace before the Storm ***
Capitolo 1 *** Prologo- A volte ritornano ***
L'astronave da guerra della dmp era appena atterrata sul pianeta
Muscle, con tanto di entrata trionfale fra la polvere che sie ra
sollevata e che, tanto per cambiare, si era depositata tutta sul
castello facendo sembrare che non venisse pulito da anni:
-Bella impressione, davvero bella.- pensò la regina
scuotendo la testa e lamentandosi con il marito -King, vedi di tenere a
bada tuo figlio almeno oggi, non voglio che pensino di avere a che fare
con dei buffoni!- gli intimò, ma l'uomo era troppo impegnato
a mangiare la consueta tazza di riso e manzo giornaliera per
ascolatarla.
La prima figura che vide scendere fu quella di una donna con un lungo
vestito color avorio ed alcuni gioielli dorati su polsi e collo che
camminava al contempo in modo sfacciato e solenne: semrbava quasi una
regina di un qualche pianeta, e per unc erto verso lo era anche.
Ah no, era un'imperatrice: non che facesse troppa differenza alla fine.
Oh- disse la donna in lontananza spalancando le braccia -Belinda,
tesoro mio, sembri davvero sciupata: e quelle rughe! Cara, dovresti
prenderti più cura di te stessa, alla tua età
poi.- continuò stringendola in un abbraccio un po' troppo
forte per i suoi gusti.
No, non lei, non lei... pensò preoccupata.
L'altra continuò a studiarla dai piedi fino alla testa: -E
vogliamo parlare di quei rotolini sui fianchi? Quanti chili hai messo
su? Quindici? Venti ...forse?- continuò esaminandole i
fianchi, per poi passare ai capelli -E guarda quante doppie punte! Non
ne ho mai viste tante in vita mia!
Santo cielo sei proprio diventata brutta, ma non prenderla male eh, te
lo dico da amica.- terminò con un sorrisino malefico tipico
delle donnette snob come lei.
Cassandra era insopportabile, e la sua bellezza era anche peggio: i
lunghi capelli quasi neri in sintonia con il verde-dorato dei suoi
occhi ricadevano morbidi sulle spalle perfettamente simmetriche, per
poi finire nell'ampia scollatura del seno, i fianchi stretti
incorniciavano alla perfezione quei dannati addominali scolpiti che da
brava wrestler si trovava, e del fondoschiena non voleva nemmeno
parlarne da quanto era perfettamente equilibrato rispetto alle gambe
vertiginose che sapeva portare con un passo slanciato e felino allo
stesso tempo.
La invidiava, eccome se la invidiava: si era sposata con un imperatore,
un imperatore! Lei si era dovuta accontentare di King, che tra l'altro
in gioventù era innamorato dell'altra donna ma che era stato
rifiutato: la verità era che voleva un uomo che sapesse il
fatto suo, un duro, un dmp in sostanza.
La cosa peggiore era che aveva iniziato dal basso: era una ragazza
senza nessuno al mondo che viveva nelle peggiori periferie di San
Paolo, poi si era trasferita a Rio de Janeiro per vivere con una sua
zia alla lontana che la trattava come se fosse una schiava, se non
peggio; quando la dmp aveva preso il potere era riuscita a scappare
finendo sulla strada ad aspettare una lenta morte, solo Oregon l'aveva
strappata a quei luoghi e trattata come una principessa, le aveva
ridato una vita ed era per questo che aveva capito che l'unico luogo
dove avrebbe voluto essere per il resto della sua esistenza fosse al
suo fianco.
Era partita come una poveraccia ed era arrivata ad essere una delle
persone più influenti e potenti di quell'angolo di mondo:
era questo che faceva rabbia a Belinda, cresciuta nel lusso
più sfrenato, una rabbia immensa.
Avrebbe voluto tutto di lei: la voce, il corpo, anche il marito se
avesse potuto; e invece ora si trovava con due idioti, marito e figlio,
rinchiusa in uno stupido castello a passare le giornate in solitudine,
mentre lei no, lei era libera di fare quello che voleva ed il suo
matrimonio era più fiorente che mai, stavano insieme da una
vita e sembrava che fossero innamorati come il primo giorno.
Cassandra aveva appena smesso di parlare che King aveva già
iniziato a sbavarle davanti: -Oh! Quanti anni sono passati bellezza?-
disse ammirandone ogni centimetro di corpo -Ti vedo in gran forma,
proprio come quando avevi nemmeno una ventina d'anni!-
continuò ammiccando senza far caso alla moglie furiosa -Sei
ancora impegnata?- domandò senza accorgersi che anche Oregon
aveva preso parte alla conversazione.
-Hai detto qualcosa King?- rigirò la domanda facendolo
impallidire e lasciando che si mettesse da parte -Niente! Assolutamente
niente!- si giustificò distogliendo lo sguardo e tornando al
suo cibo: era inquietante e basta, non c’era nulla su cui
discutere.
Oregon era diventato da un pezzo il generale assoluto della dmp,
prendendo il posto di Akuma Shogun, ed aveva aggiunto ulteriori poteri
a quelli che già esercitava come imperatore del pianeta
Arkanta, tanto per cambiare: era rimasto imbattuto fino a quel momento
e, da come narravano i resoconti degli ultimi decenni, era anche uno
dei pochi che avevano sconfitto King senza ricorrere a particolari
raccomandazioni.
Più o meno, a parte combattere nella sua forma originale, ma
non contava come aver imbrogliato, non sul suo pianeta.
Il re del pianeta Muscle non aveva ben capito perché fosse
lì ma era certo che avesse a che fare con gli sviluppi del
torneo chojin poichè, dalle voci che aveva sentito, non era
felice di come era andato:
Oregon voleva Kid Muscle morto a tutti i costi, l’ultima cosa
che gli serviva era che andasse in giro fresco come una rosa a vantarsi
del nuovo titolo che aveva ottenuto; se avesse combattuto lui contro
quel moccioso avrebbe impiegato qualche minuto per aprirlo in due e la
cosa non lo entusiasmava troppo, per quello voleva che fosse Ricardo ad
umiliarlo e magari poi anche ucciderlo, morto più morto meno
non faceva differenza per lui, l’importante era che la
reputazione della sua famiglia non venisse danneggiata in nessun modo a
discapito dei modi per riuscirci.
D’altronde con i soldi e le future parentele con i McMadd
poteva fare qualsiasi cosa, anche pretendere che le semifinali fossero
disputate nuovamente, questa volta come avrebbe deciso lui:
i kinniku avevano le ore contate, ma avrebbe prima dovuto illudere King
di essere d’accordo con una tregua fra Muscle League e dmp.
La cosa sarebbe stata semplice, di quello ne era certo: potevano
credersi chi volevano, ma erano dei poveri idioti e di idiozia non si
guarisce facilmente.
____________________________________________
Angolo dell'autrice
Eccomi qui con il prologo di una vecchia fanfiction che avevo fatto con
una mia carissima amica incontrata su Facebook, revisionata e
modificata per certi versi per renderla almeno presentabile
:D
Penso che si sia capito che è una ff principlamente su
Ricardo e la sua allegra famigliola che vuole distruggere la dinastia
di King Muscle per vendetta dopo il Torneo Chojin (rifarò le
semifinali, poi il resto verrà da se).
Mi dispiace tanto, ma provo una sorta di odio verso Kid e la sua innata
dote a vincere sempre ogni dannato incontro chiunque sia il suo
avversario, motivo per qui il risultato delle semifinali non mi
è proprio andato giù: era mezzo morto dai, se non
fosse stato per l'aiutino di Jeager sarebbe stato sconfitto D:<
Spero vi piaccia, vi dico che non sarà nè
lunghissima nè farò capitoli troppo lunghi come
nella mia altra ff su Ultimate Muscle alias Kinnikuman Nisei: cosa
dire, se avete voglia/tempo lasciate una recensione :)
P.s. avete letto bene: futuri legami con i McMadd.
Sì, è quello che state pensando.
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Capitolo 2 *** Un anello (ed una guerra) sono per sempre ***
cap2
Dall'altra parte della nebulosa Jaqueline era appena arrivata con il
suo jet privato alla spiaggia di Copacabana e, per sua sfortuna, aveva
dovuto trascinarsi dietro anche suo fratello Ikimon; così,
mentre lei era pronta a far vedere al mondo le sue forme strizzate in
un bikini bianco ed oro, lui era lì a mostrare le proprie in
quella sottospecie di slip troppo stretto.
Avrebbe voluto vomitare.
Senza guardarlo si sdraiò sotto i raggi cocenti del Sole e
cercò di cancellare quanto appena visto, godendosi l'attesa:
ordinò giusto qualche di drink e si dilettò per
almeno
mezz'ora a colpire con gli ombrellini di carta il fondo schiena
dell'amato fratellino, ma poi si annoiò anche di quello che
stava facendo; era incredibilmente stanca di passare le giornate senza
sapere cosa fare, era così da quando era finito il Torneo
Chojin, i giorni sembravano tutti ugualmente noiosi e simili.
Ikimon dopo essersi lamentato con la sorella era andato a prendere
anche lui qualcosa da bere per mantenere
idratata la pelle
ma aveva lanciato un urlo di terrore che sembrava provenire da un
animale agonizzante: -Vedo che la mia principessa si sta godendo la
mancanza del sottoscritto, complimenti.- asserì una voce
dietro
di lei, ed era una voce che conosceva fin troppo bene.
Lasciò il mojito mezzo vuoto che cadde a terra e gli si
lanciò fra le braccia: aveva aspettato quasi un mese, un
dannato
mese!
Ricardo indicò Ikimon abbastanza irritato dalla sua
presenza:
-Ti sei trascinata dietro anche quello scherzo della natura a quanto
vedo, devo davvero farlo entrare in casa mia o posso anche lasciarlo
fuori?- chiese curioso;
Lei si mise a ridere -E' lui che mi paga la vacanza, quindi temo che
dovrai sopportarlo, ma non vedo problemi nel lasciarlo in cantina: non
lo voglio fra i piedi di giorno e non voglio sentirlo russare tutta la
notte come, non so, una foca.-
-Una foca?- chiese confuso.
-Senti, il sole mi gioca brutti scherzi e non so cosa sto dicendo,
magari se ce ne andassimo a casa potrei recuperare la ragione.
Forse se ci fosse anche un regalo
farei più in fretta, con un regalo si
intende... perchè mi aspettavo un regalo l'altro
giorno... non che voglia davvero un regalo eh,
però al mio compleanno, quando di solito si fanno i regal...-
non fece in tempo a finire che venne zittita -Se la smetti di dire
regalo potrei anche dartelo, il tuo... ok non farmelo dire ancora, ci
siamo capiti lo stesso.- le disse mentre il suo sguardo parve
illuminarsi.
Jaqueline chiamò il fratello e lo mandò a
prendere le sue
valigie: -Dammi dieci minuti e sono pronta, promesso!-
continuò
corendo a cambiarsi.
Sapeva già che come minimo avrebbe dovuto aspettare almeno
altri
trenta, quaranta minuti prima che fosse davvero pronta, le donne erano
fatte così: ti dicono dieci minuti e tu sai perfettamente
che
dovrai aspettare, se ti va bene, il doppio del tempo, se non peggio.
Non che Ikimon impegasse meno tempo per mettersi a posto i capelli.
Come previsto avevano impiegato un'ora fra preparativi e viaggio, ma
almeno erano arrivati alla villa che si stagliava sulle colline di Rio
dove un tempo si trovavano le distese di favelas, e non era nemeno la
casa ufficiale dato che quella se ne stava nel folto della foresta
Amazzonica insieme alla sede operativa della dmp: appena Jaqueline mise
piede nella proprietà venne accolta da quello che definiva "un morbido batuffolo di pelo
assassino"
perchè trovava troppo difficoltoso chiamarlo giaguaro: Noir
le
saltò al collo facendola cadere ed iniziò a farle
le
feste come se fosse davvero solo un gatto troppo cresciuto, con qualche
quintale in più, e come se non bastasse anche Nala, la
femmina
alfa a capo del branco, si unì al comitato di benvenuto; si
era
presa un colpo la prima volta, dato che per poco non era finita
sbranata, ma d'altonde Ricardo li considerava come cani da guardia,
anche se erano gatti.
Finiti i festeggiamenti da parte degli animali riuscì
finalmente
a sdraiarsi sul primo divano che trovò in casa, ma subito
una
busta rossa con un fiocco argento ed il suo nome scritto sopra
appoggiata sul grande tavolo al centro della stanza attirò
la
sua attenzione: era per forza il suo regalo, doveva
esserlo, così controllò che nessuno fosse in
girò
ed allungò furtivamente la mano, se non fosse che anche
Ikimon
era nella stanza -Cosa staresti facendo?- le chiese cogliendola sul
fatto e strappandole il pacchetto di mano ed iniziando a studiarlo per
capire cosa potesse essere: -Dammelo, brutto idiota! E' mio, mio!-
urlò lei sbracciandosi come un'isterica, ma evidentemente
non
era abbastanza alta per riuscire ad afferrarlo, così si
diede
alle minacce -Ridammelo o giuro che ti faccio tagliare i fondi per la
Muscle League!- disse convinta.
Lui si fermò subito e le diede immediatamente la busta, che
la
ragazza strinse vicina a sè: bastava parlare di denaro ed
Ikimon
aveva una sorta di blocco mentale, soprattutto se rischiava di perderlo.
Controllò che non ci fosse nulla di rotto, ma appena
provò ad aprirlo Ricardo glielo tolse di mano: -Non sei
stata
autorizzata ad aprirlo, quindi penso che lo dovrò tenere da
parte ancora un po' che ne dici?- si intromise giusto per farla
arrabbiare, era troppo adorabile quando faceva la pazza nevrotica,
aveva un non so che di attraente
-Ehm, le minacce del taglio dei fondi non funzionano... quindi...-
disse lei pensierosa -Quindi posso tranquillamente chiamare tua madre e
chiederle che tu ci accompagni a fare shopping, va bene tesoruccio?-
domandò sapendo già la risposta;
-Sei irrecuperabile e crudele fino al midollo: aprilo e non provare a
chiamarla, potrei non essere responsabile delle mie azioni in quel
caso.- asserì sospirando e dandole il pacchetto fra le sue
grida
di gioia.
Non appena aprì la busta rossa vide un cofanetto bianco che
si
affrettò a torturare al fine di aprirlo, anche se
impiegò
dieci minuti solo per capire da dove si aprisse da quanto era
intrecciato il nastro verde smeraldo che lo teneva chiuso: non sapeva
cosa dire, non di fronte ad un anello.
Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata, dopo tutto erano passati
solo pochi mesi.
Lo prese ed iniziò a studiarlo attentamente: al centro
l'acquamarina a forma di goccia sembrava perdersi fra i quattro
diamanti posizionati ai lati della gemma in una forma che ricordava
vagamente un rombo, il tutto perfettamente intonato all'oro bianco di
cui era fatto l'anello.
Stette in silenzio qualche minuto per cercare di trovare qualcosa da
dire:
-La cosa si fa seria a quanto pare... ne sei sicuro?- chiese senza
nascondere un minimo di preoccupazione; Ricardo era tutto tranne che
uno che si preoccupava seriamente
delle conseguenze, anche perchè ora come ora delle suddette
conseguenze gli importava ben poco: -Le cose sono serie da tre mesi,
almeno per quanto mi riguarda: ora devi dirmi se per te è lo
stesso, nient'altro.- rispose senza mostrare troppo che pensava alla
sua reazione da un mese e che sapeva perfettamente che se avesse voluto
rifiutare lo avrebbe fatto senza troppi problemi, non era una ragazza
che si faceva scrupoli prima di mandarti a quel paese.
Jaqueline non era una sentimentalista, ma gli si fiondò al
collo
con le lacrime agli occhi: -E me lo chiedi anche? Certo che
è lo
stesso, lo è sempre stato: a dire la verità ci
speravo in
un anellino, giusto per vantarmi con quelle... non trovo la parola
giusta, mmm... sguattere ecco, della Muscle League- continuò
ridendo
-Da adesso potrò andare in giro e vantarmi di essere
ufficialmente fuori dal mercato dei single, ho già in mente
parecchie persone che ci rimarranno male, ma non me ne frega proprio
niente, n-i-e-n-t-e!- disse con una risatina sfacciata mettendosi a
giocare con la catena che ricadeva sulla spalla dell'altro.
Non era nemmeno passato mezzo minuto che lo schermo principale che si
tovava nel salotto iniziò ad indicare una chiamata persa:
-Tuo
padre?- domandò Jaqueline vedendo che sembrava piuttosto
nervoso
-Chi vuoi che sia a quest'ora?- rispose freddo per poi avviare la
chiamata.
Ecco appunto, "suo padre".
Quello che dopo due decenni si faceva vivo e ti diceva apertamente "Ehi figliolo ma quanto tempo!
Senti non ho tempo da perdere, torna sul tuo pianeta e prepariamo la
vendetta sui Muscle."
Più che istinto paterno il suo era un istinto omicida, non
c'era
molto da aggiungere, oltre al fatto che fosse chiaramente psicopatico.
Eppure era addirittura riuscito a perdonare ad entrambi quegli anni,
proprio lui, quello che non accettava scuse da niente e nessuno, aveva
perdonato quelli che aveva inziato a chiamare genitori appena qualche
settimana prima, se genitori potevano definirsi quelli che abbandonava
il loro unico figlio proprio destino fregandosene altamente della sua
vita.
Ma il problema non era quello, ma il fatto che si
fosse già affezionato a quei due.
Nel grande salone del castello dei Muscle ormai i sovrani dei due
pianeti si trovavano l'uno di frotne all'altro, tanto per discutere
quella trattativa che King aspettava da una vita: il re non poteva
nascondere di essere parecchio preoccupato, soprattutto quando si
doveva avere a che fare con uno come Oregon, noto per non pensare
troppo prima di passare dalle parole ai fatti; ma soprattutto non si
spiegava il motivo per cui era ancora in una forma intermedia fra
quella originale e quella che utilizzava fuori dal suo pianeta, forse
lo faceva solo per ricordargli che era così che lo aveva
sconfitto anni ed anni prima e che poteva farlo ancora senza grossi
problemi.
Era furioso, lo si vedeva perfettamente da come faceva ondeggiare la
coda nervosamente, che tra l'altro stava lentamente graffiando con le
grosse spine caudali il pavimento, e dal modo in cui teneva le ali
chiuse sulla schiena: avrebbe anche potuto saltargli addosso e
sgozzarlo in meno di qualche secondo se avesse voluto, era certo che
quelle zanne avessero tagliato più teste di quante ne
potesse
immaginare.
Dopo tutto era anatomicamente nato per uccidere.
Cassandra invece sembrava calma, anche troppo: -Allora King caro, cosa
volevi chiederci?- disse lei per rompere il ghiaccio; il sovrano la
guardò abbastanza preoccupato -Beh... volevo chiedere se la
dmp,
da come è andato il Torneo Chojin, fosse, come dire, pronta
alla...resa.- azzardò mentre un brivido gli percorreva la
schiena.
Oregon non poteva, non voleva
pensare di aver sentito quelle parole che continuavano a girargli per
la testa:.
"Da come è andato il Torneo Chojin volevo sapere se la dmp
era pronta alla resa."
La resa? Lui? Ma parlava sul serio?
Come si permetteva di
dire una cosa simile?
Aveva dimostrato il suo disappunto piuttosto in fretta: -Chi diavolo ti
credi di essere, lurido verme schifoso! Chi sei tu per dirmi cosa devo
fare?
Dimmelo, idiota che non sei altro!- gli ringhiò contro nel
senso
letterale della parola, ma King non voleva perdere il confronto, non
quel giorno
-Chi sono? Sono il padre di Kid Muscle, quello che ha conciato per le
feste quel fallito di tuo figlio, ecco chi sono!- continuò
sentendosi al di sopra delle capacità dell'altro, sapeva di
aver
toccato un punto delicato.
Fin troppo.
Avrebbe dovuto prevederlo ed avrebbe dovuto stare zitto: non gli ci
volle molto per passare nella sua forma più potente, quella
con
cui lo aveva già distrutto una volta, infatti gli fu addosso
in
un paio di secondi e riuscì ad immobilizzarlo a terra, fra
il
sorriso compiaciuto di Cassandra e quello pieno di preoccupazione di
Belinda; lasciò che gli artigli anteriori penetrassero nella
carne fino a sfiorare la cassa toracica e che quelli posteriori
scavassero dei profondi solchi nel marmo bianco della pavimentazione,
non lo avrebbe lasciato andare fino a quando non avrebbe implorato
pietà.
L'altro realizzò che, anche se si fosse liberato dalla presa
degli artigli di Oregon, avrebbe dovuto vedersela con la gabbia di
spine che fra coda ed ali si incastrava perfettamente per non
permettergli la fuga: la prima continuava a muoversi pericolosamente
rischiando di tranciare qualcosa, o qualcuno, le seconde invece erano
completamente spalancate ed i sottili artigli che si diramavano dalle
ossa che costituivano lo scheletro vero e proprio dell'ala erano
abbastanza lunghi ed affilati per penetrare anch'essi a terra.
Aveva tutte le vie di fuga bloccate, non gli restava che chiedergli
civilmente di lasciarlo andare: -Su Oregon non prenderla sul
personale... lo sai che non mi permetterei mai di dire una cosa
simile.- cercò di convincerlo rimediando solo la
consapevolezza
che le zanne gli stavano seriamente sfiorando la gola
-Oh King, ma davvero non volevi dire quello che hai detto?- rispose
l'altro lasciando che una goccia di sangue cadesse a terra -Pensa un
po', nemmeno io dicevo sul serio quando ti dissi che ero pronto a
scendere a trattative, guarda com'è divertente il caso.-
continuò aumentando la pressione sulla gola per
trovare la
carotide -Azzardati a nominare mio figlio, provaci una sola volta, una
solamente, ed io verrò a cercarti personalmente: non importa
dove ti nasconderai, cosa farai, quante scuse ti inventerai, ti
troverò e ti aprirò in due davanti a
quell'imbranato di
tuo figlio ed a quella poco di buono di tua moglie, contaci pure.-
spiegò lasciando la presa -Quasi dimenticavo: indovina un
po'
chi sta portando proprio ora una certa cauzione nelle carceri del tuo
misero pianeta? Qualcosa mi dice che tra qualche ora sarete in grossi
guai.- terminò alzandosi sulle zampe posteriori ed
aspettando
che Cassandra lo raggiungesse.
King aveva gli occhi sbarrati: -Tu non sai cosa stai facendo!- gli
urlò contro -Scatenerai una guerra Oregon, non puoi
permetterti
di liberare ciò che noi abbiamo faticato a catturare!- disse
sapendo che non poteva fare più nulla.
L'altro lo guardò ridendo. -Ti sbagli King, io posso
fare tutto: salutami tuo figlio e digli che sarà il prossimo
se
non starà al suo posto.- concluse uscendo dalla porta
principale
e lasciando i sovrani allibiti.
Nessuno dei due sapeva cosa fare; avevano appena perso tutte le
battaglie di una vita: la guerra era sul punto di iniziare, di quello
ne erano sicuri.
_______________________________________
Angolo dell'autrice
Ecco a voi il secondo capitolo :D
Che dovrei dire? Sono soddisfatta di come è venuto, spero
possiate esserlo anche voi :3
Stavolta le cose si mettono male per King e famiglia, soprattutto
perchè hanno a che fare con nemici peggiori di quanto
potessero
immaginare: oregon è dannatamente spietato, per questo lo
adoro
xD
Tralasciando la crudeltà di quella sottospecie di lcuertola,
Jaqueline è così tenera e coccolosa (?), lei
voleva un
regalo, ma non è che pretendesse un regal... ok basta, anche
Ricardo si è stancato di sentirla :3
Leggete, ridete, annoiatevi, appassionatevi, fidanzatevi, lasciate una
recensione, fate quello che volete :D
Vi allego una foto dell'anello di Jaqueline, preso dalla collezione della marca "Comete Gioielli":
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Capitolo 3 *** Piccoli mercenari crescono ***
Prima
di lasciare il pianeta Muscle Oregon aveva ancora un paio di cose da
fare, così congedò Cassandra senza troppa
premura: -Torna sulla
Terra e vai al quartier generale, assicurati che anche tuo figlio e
quella sfaticata della sua ragazza siano lì.- disse freddo,
così lei
si avvicinò e si appoggiò vicino all'incavo fra
la spalla ed il
collo, stando attenta a non tagliarsi con le spine che uscivano prima
dell'ala -Penso a tutto io, tu stai tranquillo e finisci ciò
che
devi finire; ti aspetterò, non preoccuparti.- lo
rassicurò
sorridendo per poi tornare all'astronave della dmp.
Lui
aveva appena notato l'arrivo di un'altra corazzata da guerra,
probabilmente proveniente dal pianeta Iga, dalla quale scese un uomo
più o meno della sua età che gli veniva incontro
e, dopo un breve
cenno di presentazione, mise una mano su una delle due spade che
teneva legate al fianco: -Allora?- domandò seccato; Oregon
lo
fulminò con lo sguardo, che l'altro però
sembrò riuscire a
sopportare, per cui decise di abbassare la difensiva -Ho appena
finito Soichiro, dammi un dannato minuto e potrai tornartene sul tuo
amato trono imperiale, sei felice?- gli rispose sfacciato, abbastanza
da trovarsi la spada alla gola -Stammi a sentire, lucertola troppo
cresciuta, si da il caso che la mia alleanza ti serva e anche
parecchio: stai al tuo posto ed io sto al mio, le condizioni erano
queste.-
Soichiro
faceva parte dell'alleanza a triangolo che Oregon era riuscito a
tessere in anni ed anni di trattative: Arkanta, Iga e Dokuro, erano
quelli i pianeti che reggevano l'accordo di collaborazione bellica
contro il pianeta Muscle; il primo era la patria di tecnologie
esageratamente avanzate rispetto al resto della nebulosa, il secondo
aveva uno degli eserciti più potenti di cui si ha memoria ed
il
terzo ospitava la feccia dell'intera galassia.
Era
una collaborazione perfetta, abbastanza da portare King Muscle
sull'orlo del baratro decenni prima e da controllare le intricate
reti burocratiche che si muovevano da un pianeta all'altro: non
avevano mai accettato le proposte di resa da parte degli altri
pianeti, se volevano arrendersi significava via libera alla
distuzione più assoluta, proprio come piaceva fare ad Oregon.
Tuttavia
ora come ora l'aiuto di Iga rischiava di venir meno: senza la
famiglia reale al completo gli imperatori avevano le mani legate, non
potevano accettare nulla a meno che non ci fosse anche il legittimo
erede al trono, erede al trono che se ne stava fresco fresco dietro
le sbarre tanto per cambiare e, sempre tanto per fare qualcosa, era
toccato al pianeta che richiedeva tale accordo pagare la cauzione.
Qualcosa
come una cifra a sei zeri, giusto per essere precisi, ma il denaro
non era nulla se paragonato ai benefici di una coalizione con Iga.
Non
si fece troppo spaventare ed abbassò la lama con un artiglio:
-Lo
so, lo so, non intendevo mancarti di rispetto lo sai, diciamo che non
sono dell'umore giusto in questo momento.- cercò di scusarsi
a suo
modo e l'uomo fece un cenno di assenso -Lo stesso vale per me, non
posso più permettermi errori come padre, siamo nella stessa
situazione o sbaglio?- chiese abbozzando un sorriso e l'altro fece lo
stesso -Sono comunque più giovani di noi Soichiro, non si
può
pretendere di averli sotto controllo per tutta la vita, a volte
è
meglio lasciarli andare.- asserì sereno, ma l'altro non
sembrava
d'accordo.
Sergent
Muscle tornò dopo una decina di minuti con alcuni documenti.
-Oregon, Soichiro, a quanto pare avete vinto voi per oggi- disse
seccato -Spero sappiate cosa significhi mettere in libertà
dei
criminali ricercati in tutta la nebulosa, lo spero per voi davvero
tanto.- terminò andandosene stizziti.
Bone
Cold aveva un insolito nonchè strafottente sguardo di
superiorità
verso il kinniku: sapeva di avere appena vinto praticamente tutto
dato che ora poteva tornarsene a fare il mercenario a tempo pieno
senza il pericolo di essere sbattuto in carcere per l'ennesima volta:
-Cosa vuoi?- chiese secco ad Oregon, che in effetti si aspettava
quella domanda, così venne anche lui subito al sodo -Diciamo
che ho
un lavoro per te, niente che possa ucciderti non temere- rispose
prendendo una valigetta nera con il marchio del proprio pianeta
-L'adorabile zietto di quell'idiota di Kid Muscle dovrà
restare
fuori dai giochi per un bel po' di tempo, ma non dovrà
morire
certamente: voglio che passi gli anni che gli rimangono a strisciare
sul fondo più squallido della società, niente
errori, niente
scherzi, altrimenti puoi considerarti un uomo morto.-
continuò
severo -Qui dentro ci sono ventimila dollari, dovrebbero bastare per
il lavoro.- terminò consegnandogliela.
L'altro
lo squadrò per qualche secondo, pensando se la cosa fosse
fattibile
o meno:
Vedrò
di non deludere le aspettative, sarà fatto tutto senza che
si sappia
chi c'è dietro.- concluse prendendo la valigetta e
congendandosi
senza troppe formalità, anche se prima si fermò
da Hanzo: -Se
dovesse succedere qualcosa sai dove trovarmi, non provare a
sbrigartela da solo chiaro?- spiegò per poi, al cenno
dell'altro, avviarsi all'astronave che Sergent aveva dovuto richiamare
qualche
ora prima, dato che Bone voleva che fosse la sua
personale astronave da guerra a portarlo fuori il prima possibile da
quell'insulso pianeta.
Non
ci volle molto perchè i portelloni di accesso di chiudessero
dietro
le sue spalle: si stava lasciando indietro gli anni in quel posto, i
soprusi che aveva dovuto sopportare, ma ora sis arebbe ripreso tutto
in un modo o nell'altro.
Sarebbe
tornato, glielo aveva promesso.
Appena
salito a bordo gli sembrò di essere tornato indietro a
quando era
ancora un principiante, dei tempi in cui lui ed altri cinque
idioti facevano i grandi per non sentirsi meno importanti dei
loro padri;
una ragazza con gli occhi verde acqua ed i caplli color rame gli si
avvicinò incrociando le braccia al petto: -Era ora che
tornassi a
fare il tuo lavoro, qui ti abbiamo aspettato per quasi dieci anni: il
minimo che tu possa fare è uccidere subito qualcuno, tanto
per
ricordare i vecchi tempi.- asserì sorridendo.
Wolfrain
non era cambiata, era ancora la ragazza affascinante e dannatamente
intelligiente che aveva conosciuto anni prima: -Oh sì, mi
hanno già
dato un lavoro da fare, ma prima di agire dobbiamo prendere il
necessario.- continuò per poi iniziare a spiegare cosa aveva
ordinato di fare Oregon, sottolinenando il fatto che Sergent avrebbe
dovuto soffrire per tutto gli anni a venire ma non sarebbe dovuto in
nessun
modo morire.
La
ragazza lo guardò confuso: -Quindi?- chiese schietta -Quindi
vai a
dire a Nash di impostrare le coordinate per la Terra, per la
precisione Cambridge, Massachusetts.- ordinò a lei, che
però
continuava a guardarlo male -E dove andiamo? All'Università
di Harvard?- domandò ridendo di gusto, ma Bone Cold era
serissimo
-Esattamente.- disse freddo, così il ragazzo al comando
della
nave impostò le coordinate e, dopo nemmeno qualche secondo,
stavano
già facendo rotta verso la Terra.
Spero
solo che la Hamilton si ricordi di quello che gli avevo chiesto
pensò fra sè e sè.
In
circa un tre ore erano arrivati davanti ad Harvard, anche se erano
stati costretti a lasciare lontano l'astronave per evitare troppi
sguardi indiscreti, tuttavia solo Bone e Wolfrain erano scesi a terra
e si erano diretti sicuri verso l'enorme portone di entrata; la
ragazza sembrava abbastanza irritata da quegli odiosi studenti che
fissavano solo
lei, l'altro
invece era piuttosto tranquillo, abbastanza da chiedere ad studentessa
alcune cose: -Sai dove si trova la Hamilton?- chiese calmo e lei gli
indicò una porta con una targhetta non troppo
lontano:
Facoltà di Medicina
Classe
di Ingegneria Genetica
Prof.essa
Carolyne Hamilton
Aprì
la porta mentre stava spiegando una lezione: -Qualcuno di
voi sa dirmi di cosa parliamo quando dico "Recettore HDMA"?
Allora? Nessuno sa dirmi qual è la rispos...- disse senza
riuscire a
finire
(*)-E'
un recettore postsinaptico dell'acido glutammico di tipo ionotropico
che lascia fluire ioni Na+
e Ca2+
all'interno del neurone e ioni K+
al suo esterno; possiamo aggiungere che è costituito da
svariate
subunità, le più interne delle quali
costituiscono la parete del
canale ionotropico che permette il flusso degli ioni attraverso la
membrana plasmatica. E' corretto?-
Lei
annuì -Signor Cold, vedo che si ricorda ancora delle mie
lezioni, mi
sento onorata di tale privilegio.- disse sorridendo la donna
andandosene dalla sua cattedra, ma non prima di aver lasciato
qualcosa da fare agli studenti -Per domani voglio l'intero capitolo a
memoria, dovete riuscire a spiegarmelo senza interruzioni come vostro
solito, e non dimenticate l'esperimento di anatomia: voglio una
relazione di almeno dieci pagine, divertitevi.- concluse tra sospiri
e sbuffi di ragazzi e ragazze.
Invitò
entrambi ad andare nel proprio ufficio: -Mi permetterò di
darti del
tu, ormai sono abbastanza vecchia da poterlo fare- ridacchiò
lei
-L'ultima volta che sei stato qui lo hai fatto come studente, ora lo
fai come mercenario: cambiamento radicale non trovi?-
domandò
curiosa ma non ottenne risposta, se lo aspettava
-Comunque
sia, mi fa piacere riaverti qui- continuò addoclendo il tono
di
voce mentre Wolfrain stava per impazzire dato che era parecchio
sotto stress
-Io
pretendo di sapere chi è lei invece! Qui nessuno spiega
niente, così
mi sono ritrovata in un'Università privata per piccoli
Einstein senza
saperne il motivo!- le urlò contro cercando di calmarsi;
l'altra
annuì e le tese una mano per presentarsi
-Sono
la professoressa, e dottoressa aggiungerei, Carolyne Hamilton,
nonchè
amministratrice della Harvard e direttrice della Facoltà di
Medicina- si presentò con tono solenne - Il vostro
compagno Bone Cold è stato un mio studente per diversi anni
ed è stata proprio la sottoscritta a prepararlo per la
laurea nella
sezione di Ingegneria Genetica; non per vantarmene ma sono stata una
brava insegnante se sono riuscita a farlo uscire da qui con il
massimo dei voti.- spiegò mentre Bone stava letteralmente
sprofondando nella poltrona di velluto e la ragazza la guardava
stupita, poi si girò verso di lui -Tu... sei... l-laureato
in
m-medicina? Parla seriamente?- gli chiese e, dopo aver passato
qualche minuto in silenzio, annuì abbastanza imbarazzato -A
quanto
pare sì, ma non è una storia così
interessante o che valga la pena
di essere raccontata- tagliò corto lui -Sono qui per
chiederle un
favore, ma vorrei parlarne in un posto adatto.- disse facendo segno a
Wolfrain di attendere fuori, così anche la ragazza si
congedò
velocemente e restarono solo loro due.
La
donna sembrò capire al volo e lo condusse in un grande
ascensore
che, in un paio di minuti, li portò a quello che sembrava un
sotterraneo ben nascosto; Carolyne mise la sua mano sullo scanner per
far aprire le tre porte d'acciaio a tenuta stagna che bloccavano
l'accesso al laboratorio di Ingegneria Genetica Applicata, a virus e
malattie si intende.
Lei
si girò verso Bone e lo guardò sorridendo:
-Allora, vediamo un
po'... ah sì: le provette sono...- spiegò senza
riuscire ancora una
volta a finire -...Nel terzo scomparto criogenico a sinistra, vicino
alle coltivazioni del Lyssavirus, come sempre del resto.- rispose
prendendo le chiavi per aprire lo scomparto; lei si fece dubbiosa
-Non
ho toccato nulla da dieci anni a questa parte, sapevo che prima o poi
saresti tornato per un motivo o per l'altro.- disse con un lieve tono
malinconico.
Lo
sapeva, certo che lo sapeva: quel posto era stato il luogo dove aveva
passato anni ed anni a studiare un modo per manipolare i geni dei
virus più pericolosi e mortali che esistessero, era stata la
Hamilton a pretendere dal direttore dell'Università la
costruzione
di quel laboratorio a trecento metri sotto terra, un luogo
accessibile solo a loro due, perchè nessuno doveva sapere
cosa stava
nascendo là sotto.
A
quesi tempi conosceva i virus come sè stesso, aveva avuto in
mano
provette con di tutto e di più e, con qualche rete
burocratica che
consceva solo la sua professoressa, era stato scelto per avere
l'ultima traccia esistente dei virus della peste e della tubercolosi,
tanto per modificarli geneticamente dando vita all'UBD.
Ultimate
Brain Destroyer, era
quello il nome che aveva scelto.
Si presentava con sintomi non molto diversi da un comune raffreddore o
da
un'influenza per cui le persone non ci facevano caso, poi
però
iniziava ad attaccare il cervello nutrendosi del
materiale dello stesso: lentamente ma inesorabilmente la vittima
perdeva l'uso di parola, udito, vista, capacità motorie e
cognitive, ma non
moriva, ed era questo il peggio.
Non si era accontentato per cui aveva diviso il virus in tre ceppi:
quello che causava la morte, quello che distruggeva cervello e
compagnia e quello che lentamente faceva entrambe le cose.
Il
primo si insinuava nel cuore e da lì raggiungeva tutto il
corpo, poi
iniziava a nutrirsi di cellule e tessuti mandando in necrosi organi
interni ed arti: la morte sopraggiungeva in fretta a causa delle
infezioni ma il virus spariva ancora prima di aver finito il lavoro.
Il
secondo attaccava il cervello e distruggeva tutte le aree che lo
componevano, poi scendeva attraverso il midollo spinale ed iniziava
a consumarlo: pochi giorni e ti ritrovavi paralizzato dalla
testa ai
piedi.
Il
terzo invece era subdolo più degli altri: faceva come il
secondo
ceppo ed ad un certo punto, quando pensavi di esserti salvato, si
moltiplicava nel cuore e lo faceva esplodere letteralmente.
Non
c'era una cura, non l'aveva programmata, più o meno: il
virus
riconosceva solo il suo sangue, lo aveva assimilato quando lo aveva
creato per errore, per cui Bone Cold non rischiava di infettarsi, era
quello che si poteva definire paziente
zero
per cui l'unica cura, se così si poteva definire, era
quella.
E
non l'avrebbe mai ceduta a nessuno.
Prese
una delle decine di provette contenenti il virus e la mise in una
valigetta d'acciaio che la donna gli aveva passato: -Qualunque cosa
tu debba farci stai attento, non vorrei che si scatenasse un'epidemia
incontrollabile.- raccomandò per poi lasciare che se ne
andasse in
silenzio, proprio come era arrivato -La ringrazio per aver conservato
l'UBD per tutti questi anni, non la ringrazierò mai
abbastanza per
non aver detto a nessuno di quello che facevo qui dentro, a quest'ora
mi avrebbero già tagliato la testa probabilmente.- la
ringraziò
cercando di non lasciar trasparire nulla, lei invece sorrise con fare
materno -Figurati, questo ed altro per il mio miglior studente.-
concluse per poi andarsene anche lei.
Tornato
sull'astronave chiamò immediatamente Oregon, che nel
frattempo era
in viaggio per arrivare anche lui sulla Terra: -Ho quello che mi
serviva, ancora qualche ora e Sergent Muscle sarà solo un
ricordo.-
disse freddo prima che l'altro annuisse soddisfatto.
Ora
poteva anche iniziare a fare sul serio, non poteva certo deludere il
proprio cliente.
____________________________________________
* Wikipedia, "Recettore HDMA"
Angolino
dell'autrice
Buongiorno
:D
Eccovi
il terzo capitolo, è stato una faticaccia immensa da fare ma
sono
soddisfatta del risultato :3
(Scusate eventuali errori grammaticali)
Avrete
notato che è dedicato al modo in cui il tenero Bone Cold ha
intenzione di mettere da parte Sergent Muscle su commissione di
Oregon, giusto per far crollare emotivamente sia Kid che King in un
colpo solo >:D
Il
virus di cui si parla, cioè l'UBD (Ultimate Brain
Destroyer), è di
mia invenzione, anche perchè se esistesse sarebbero grossi
guai:
magari non è verissimo dal punto di vista medico ma
è una ff su un
anime, non un trattato di medicina per cui tutto è concesso
xD
Sì,
Bone si è laureato ad Harvard (non so dove abbia trovato i
65.000
dollari di retta annua) ed a quanto apre si divertiva già a
fare il
piccolo chimico (?) con virus letali.
Enjoy
:D
Penso
che l'alleanza Bone Cold-Hanzo-Ricardo ormai stia venendo fuori,
soprattutto nei prossimi capitoli, sperando che nessuno venga prima
ucciso da qualche virus o peggio *za za za zaaaaaaam*
No,
non ucciderò uno di loro tre, potete sperare invano.
Non
so se vi sia piaciuto ma sono aperta a tutto, a patto che non mi
insultiate xD
|
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Capitolo 4 *** Tutta colpa dei biscotti all'avena ***
Oregon
aveva impiegato circa un paio d'ore ad arrivare al quartier generale
della dmp nel folto della foresta Amazzonica ed era già
irritato,
motivo per il quale era ancora nella sua forma origine: non faceva
che ondeggiare nervosamente la coda da più di quaranta
minuti senza
dire nulla, stava cercando di prepararsi al probabile litigo che
sarebbe seguito alla notizia del Torneo Chojin, era certo che
Cassandra avesse già spiegato a Ricardo tutto per filo e per
segno
ma d'altronde era meglio così piuttosto che aspettare che
venisse a
saperlo guardando l'imminente rassegna stampa della Muscle League.
Non
facevano altro che litigare ogni volta, non c'era stato un momento in
cui avessero parlato civilmente senza cercare di uccidersi a vicenda
dato che ogni dannata volta finiva sempre per dire qualcosa che non
avrebbe dovuto dire, per rinfacciargli come fosse andato lo scorso
Torneo, sembrava quasi che provasse un certo piacere nel continuare a
girare e rigirare il coltello in ferite ancora aperte.
Il
suo ondeggiamento-nevrotico-compulsivo-della-coda
terminò
solo quando l'astronave toccò terra, proprio a qualche metro
dall'entrata principale dove Cassandra lo stava aspettando che gli
corse incontro e gli mise le braccia intorno al collo -Finalmente sei
arrivato- esordì sorridendo -Vieni dentro, ormai sono
già tutti
qui.- lo invitò facendogli segno di entrare, ma Oregon
sembrava
riluttante a quell'idea: -Come
l'ha presa?- domandò freddo e lei abbassò lo
sguardo
-Non
bene, ha detto che non devi permetterti di immischiarti nella sua
vita dopo che non te ne è importato nulla per vent'anni:
lascia
stare per favore, non discutere ancora, fai finta di niente.- gli
raccomandò ma era già troppo tardi per i consigli.
Ricardo
gli fu addosso in qualche secondo: nonostante avesse passato
sì e no
un mese su Arkanta aveva imparato a controllare quella che suo padre
chiamava istinto
omicida tipico di una lucertola di dieci metri fuori controllo;
per quanto Oregon fosse preparato era riuscito a prenderlo alla
sprovvista e, a dire la verità, ancora qualche centimetro e
si
sarebbe trovato le zanne piantate nel cranio, e voleva evitare la
cosa se fosse stato possibile.
Fu
un caso che le su ali fossero nella posizione giusta per riuscire a
levarselo di dosso quei secondi che gli servivano per valutare la
situazione, che giustamente sprecò per passare alla
controffensiva
piantandogli gli artigli sul braccio: non era un dolore
insopportabile, dopo tutto erano solo due pezzi di ossa affilati come
lame che penetravano un paio di centimetri sotto la pelle.
Il
peggio erano le zanne che si conficcarono nel collo di Oregon due
centesimi di secondo dopo: quello era davvero un dolore lancinante,
soprattutto perchè riuscivano a scavare anche per quindici o
venti
centimetri senza grossi sforzi; liberarsi da quelle richiedeva una
forza immensa, soprattutto perchè stava serrando la presa
intorno
alla carne coperta di sangue.
Non
si sarebbe sottomesso ad un principiante, quello mai: riuscì
a
trovare la forza per piantare gli artigli nella schiena dell'altro ed
aprendo una serie di squarci di diversi centimetri, e naturalmente di
tutta risposta si trovò la zampa posteriore sinistra con un
taglio
fin troppo vicino al ginocchio che lo costrinse ad allentare la presa
a causa del dolore.
Fu
una frazione di secondo e, con un colpo di quella coda coperta di
spine, venne messo al tappeto e letteralmente buttato contro un
grosso masso che si crepò all'impatto: non riusciva a
muovere un
solo muscolo, era davvero troppo debole, ed il fatto che fosse suo
figlio quello che lo aveva ridotto in quello stato gli metteva
addosso una rabbia immensa; quando se lo trovò davanti con
le ali
spalancate sulla schiena dalla quale uscivano fiotti di sangue
azzurrino che appena toccavano il terreno iniziavano lentamente a
sciogliere l'erba verde e le zanne coperte del suo
di sangue temette il peggio.
Alla
faccia del principiante.
Sarebbe
stato pronto a tranciargli la gola di netto se Jaqueline non si fosse
messa in mezzo: non si spaventava così facilmente, si era
abituata a
quelle scene da un pezzo ormai, nemmeno i ruggiti servivano a molto
con lei.
-Provaci
e questo anello posso anche buttarlo nel mare, contaci pure.-
minacciò facendo per toglierselo e solo a quel punto l'altro
richiuse tutte e quattro le ali sul dorso accovacciandosi a terra con
la coda avvolta intorno al corpo; la ragazza si girò verso
Oregon:
-Posso capire che lei voglia preservare il nome della sua famiglia,
ma mi sembra eccessivo prendere questo genere di decisioni senza
chiedere all'interessato: si sarebbe potuto evitare tutto questo, se
posso permettermi di farle osservare.- spiegò velocemente -E
poi
avrebbe almeno potuto avvisarmi del suo arrivo, avrei cercato di
farlo ragionare io.-
Oregon
la squadrò un attimo, poi sospirò rassegnato: si
sorprendeva ogni
volta che quella ragazzina viziata e prepotente gli dava del lei,
anche perchè a prima vista sembrava, e probabilmente era
anche
stata, una di quelle che appena aprivano bocca tutti dovevano fare
come voleva lei, per non dire che era una di discutibili costumi.
E
gli stava facendo la predica, gli stava spiegando come fare il padre.
Sapeva
il fatto suo, su questo non c'erano dubbi, ed aveva anche parecchio
coraggio a mettersi fra loro due.
Oregon
riuscì a sollevarsi da terra e si sedette lasciando
ondeggiare per
l'ennesima volta la coda senza far troppo caso alle ferite che
stavano grondando sangue e corrodendo anche la roccia frantumata a
terra:
-Cosa
vuoi che faccia? Che mi scusi magari?- domandò a lei che
annuì
severa incrociando le braccia -Certo, fate pace e datevi una
sistemata: là dentro stanno ancora aspettando, non vorrete
farli
attendere ulteriormente?- rispose lei secca fra i ringhi di uno e le
imprecazioni dell'altro.
Impiegò
qualche minuto per trovare un modo di muoversi senza sentire ogni
volta una fitta di dolore alla zampa posteriore, poi si
avvicinò
alla ragazza abbastanza da sentire il suo respiro fermo e deciso: era
ufficiale, aveva coraggio da vendere.
La
decisione di tornare nell'altra forma che usava quando si trovava su
altri pianeti fu abbastanza complicata da prendere dato che Ricardo
non sembrava intenzionato a fare lo stesso e stava continuando a
tenere la difensiva:
-Vedi
di darti una calmata e proviamo a parlarne, poi puoi anche
costringermi ad andarmene da questo posto e lo farò.-
cercò di
convincerlo, ma nel momento in cui gli artigli iniziarono a penetrare
nel terreno pensò seriamente, per la prima volta nella sua
vita, che
fosse meglio ritirarsi; fortunatamente fu solo un'impressione dato
che non accennava a muoversi, così riuscì ad
avvicinarsi fino a
quando non si trovò a nemmeno un metro di distanza da lui:
era
cambiato più del previsto in quei trenta giorni, era
riuscito a
superarlo in poco meno di un mese, forse aveva un tantino esagerato
nell'allenamento intensivo.
Sì,
aveva decisamente esagerato.
Un
ruggito era sul punto di fargli cambiare idea ma non avrebbe avuto
quell'occasione un'altra volta: -Senti, mi dispiace va bene? Lo so
che avrei dovuto chiedertelo, me lo hanno già detto una
decina di
persone, ma sappiamo entrambi che lo vuoi anche tu.- spiegò
cercando
di sembrare calmo -Se sei in grado di tenere testa a me non ti ci
vorrà più di mezzo minuto per finire Kid Muscle,
una volta che
sarai campione al posto suo io avrò la mia vendetta e tu la
tua: mi
sembra una cosa equa.- concluse tirando un sospiro di sollievo,
almeno era vivo.
Aveva
dovuto attendere un altro paio di minuti perchè si
convincesse a non
sbranarlo ma a parlare civilmente, più o meno:
-E dimmi, cosa
avresti in mente?- gli chiese curioso; Oregon aveva appena capito di
aver fatto centro, almeno rimanere coinvolto in un litigo familiare
era servito a qualcosa:
-Beh
non ti resta che venire dentro
per scoprirlo no?- rispose lui entrando nel grande ingresso con
Cassandra.
Jaqueline
gli si avvinghiò al braccio -Andiamo?- chiese in preda
all'eccitazione, così al cenno dell'altro si
precipitò dentro senza
nemmeno aspettarlo.
La
prima fase del piano di Oregon era appena iniziata, alla grande per
giunta.
Mentre
Bone Cold si dilettava a fare il genetista ed Oregon si preparava a
pianificare la distruzione della Muscle League, Soichiro tentava
inutilmente di far ragionare Hanzo riguardo quello che avrebbe dovuto
fare ora che era tornato a palazzo, o meglio su quello che non
avrebbe dovuto fare, omicidi compresi.
Se
non fosse stato che a lui non interessava niente di niente, a dire la
verità nemmeno lo stava ascoltando dato che era ancora
impegnato a
capacitarsi della cosa: non aveva nessuna intenzione di tornare a
fare il figlio
dei sovrani che doveva sottostare agli ordini imperiali, era
davvero troppo noioso starsene tutto il giorno a sentire consiglieri
che ti dicevano chi doveva essere messo a morte e chi no, chi doveva
essere mandato lì o qui, chi doveva muovere guerra a chi.
Era
molto meglio andarsene in giro ad ammazzare gente a caso, era un
passatempo socialmente
utile,
più o meno.
E
comunque non gli aveva ancora rivolto la parola, continuava a tenere
in piedi quella sorta di guerriglia padre-figlio che consisteva nel
non rispondere a nessuna delle decine di domande che gli stava
facendo, era particolarmente divertente vedere come Soichiro fosse
sul punto di tagliargli la gola da un momento all'altro, divertimento
da persone poco sane di mente con istinti omicidi certo, ma era
sempre un divertimento: d'altronde riusciva a tenere testa a Bone
quando litigavano, e cioè praticamente ad ogni ora del
giorno,
quindi fare lo stesso con lui non sarebbe stato così
difficile.
-Per
quanto tempo hai intenzione di comportarti come un perfetto idiota?
Ne hai ancora per molto?- si intromise per l'ennesima volta suo padre
evidentemente disturbato dalla situazione -Oh sì, potrei
andare
avanti ancora per qualche mese se è questo che intendi.-
rispose
secco -Ne avete ancora per molto, vostra
maestà?-
rigirò la domanda sapendo perfettamente di aver fatto
traboccare
completamente la sua pazienza.
Ecco,
avrebbe voluto ucciderlo, ma purtroppo Mizuki si era già
messa in
mezzo:
-Suvvia
smettetela con questa sceneggiata: sembrate due bambini che litigano
per le caramelle santo cielo.- intervenne giusto qualche secondo
prima che il
marito
commettesse un omicidio, o forse il contrario, poi prese Hanzo per un
braccio e se lo trascinò dietro -Tu vieni con me, e tu vai
dai tuoi
ufficiali che ti cercavano per discutere come solito: su Soichiro,
vai via dai.- gli intimò fra un'imprecazione e l'altra.
Mizuki
sapeva farsi valere in tutte le situazioni, era in grado di tenere
testa a chiunque, che fosse l'imperatore o il generale dell'esercito
di Iga, e riusciva sempre ad averla vinta.
E
poi era affascinante come poche altre: i capelli rosa pastello sciolti
sulle spalle ed adornati dalla corona di imperatrice si intonavano
alla perfezione con gli occhi azzurro ghiaccio su quel volto bianco
latte e, come se non bastasse, indossava sempre l'abito reale, quel
kimono rosa con alcuni fiori bianchi e rossi tenuto in vita da un
fiocco verde chiaro che adorava dal giorno della sua incoronazione.
E poi non
era solo sovrana di un pianeta ma anche la sacerdotessa superiore di
Iga, colei che aveva il compito di proteggere e, se fosse stato
necessario, evocare Alitheia, la Verità
(*),
una sottospecie di cervo o quel che era.
Inoltre aveva la sadica abitudine di far vedere al mondo di cosa fosse
capace una samurai, anche se su quel punto a volte si trovava in
conflitto con il compagno su chi dei due avesse più diritto
a dare
il colpo di grazia.
Non
erano una famiglia normale, quello era ovvio.
Erano
saliti solo loro due nella stanza di Hanzo e lei aveva preteso di
chiudere a chiave, tanto per poter parlare senza il rischio che a
Soichiro venisse in mente di prendere parte alla discussione:
-Vediamo un po' da dove iniziare... ah sì: cosa è
successo con tuo
padre?- domandò mentre si sedeva sul letto ed incrociava le
gambe
-Allora? Non vuoi parlarne nemmeno con tua madre?- continuò
abbastanza confusa.
Lui
si girò nervoso: -Non devo spiegazioni a niente e nessuno,
posso
fare quello che voglio senza dovermi giustificare e non ho intenzione
di rimanere qui a parlare ancora per molto: posso andare?- chiese
infastidito ma lei non aveva nessuna intenzione di desistere -Andare
dove?- continuò la donna mentre sistemava una ciocca di
capelli -Ad
uccidere il primo che trovi forse?- disse giusto per provocarlo
-Certamente,
anzi magari faccio una strage così domani avrai qualcosa di
cui
parlare con le tue dame di corte no? Avanti, mi vuoi seriamente far
credere che tu non sappia perchè ce l'ho con lui o meglio,
perchè
ce l'ho con entrambi?
Mi
stai tenendo come ostaggio nella mia
stanza, nel mio
palazzo, sul mio
pianeta: cosa speri di ricavare?
Devo
ripeterti che avreste fatto meglio a cercarmi anche solo un paio
d'ore piuttosto che darmi per morto e tornare a farvi vivi solo
quando vi servo per allearvi con quelle sottospecie di lucertole o
quel che sono? - rigirò la domanda abbastanza deciso da
lasciarla
con un'espressione contrariata
-Ti
facevo più sveglia, se è così che ti
occupi del tuo popolo mi
sorprende il fatto che Iga sia ancora in piedi e he non ci siano
ancora state guerre civili o rivolte popolari.-
Aveva
detto una parola di troppo, giusto un paio forse, per quello si era
trovato una lama alla gola: non che non ci fosse abituato, succedeva
anche di peggio quando c'era Bone Cold al posto di una donna che si
sentiva in cima al mondo;
-Ti
senti così brava da metterti contro di me per caso?
Devi
esserti persa qualche parte della definizione
criminale-ricercato-in-tutta-la-nebulosa
probabilmente,
non pensare che mi faccia scrupoli a farti fuori se dovesse essere
necessario.- gli disse con tutta la tranquillità del mondo.
Lei
lo guardò con aria di sfida. -Oh non preoccuparti, non mi
sono persa
nulla, sono a conoscenza della reputazione tua e dei tuoi amici: se
fossi come sei di solito mi terrei a debita distanza dal tuo braccio
per evitare il linciaggio ma sai come sono i mercenari, Bone potrebbe
anche avermi detto che te lo ha rotto un paio di giorni fa e, guarda
un po' il caso, ora come ora tu non possa uccidermi come vorresti.
Non
è divertente?- concluse con una certa soddisfazione
abbassando la
spada.
Avrebbe
dovuto aspettarselo, non si sarebbe avvicinata così tanto se
non
avesse saputo che era al sicuro: la prossima cosa da fare sarebbe
stata far saltare il cervello a Bone Cold, soprattutto se si
considerava che era bastata una scatola di biscotti all'avena per
convincerlo.
Mizuki
aveva un'espressione particolarmente soddisfatta:
-Sei
disposto a parlare almeno con tua madre per cinque minuti o no?-
domandò cercando di non sembrare troppo severa facendogli
segno di
sedersi e questa volta le diede ascolto:
-Forza,
inizia
pure a raccontarmi la tragica storia della vostra vita dopo la mia
prematura quanto fantomatica morte.- asserì lui infastidito
dalla
situazione; dopo un paio di sospiri lei si mise a ridere:
-Ah
beh grazie dalla fiducia- disse fingendosi offesa -Comunque se non ti
abbiamo cercato c'è un motivo: dopo quella notte io e tuo
padre
dovevamo pensare al regno, non avevamo il tempo per la famiglia,
questo lo sai benissimo anche tu, e comunque l'incoronazione di tua
sorella era a pochi giorni di distanza dall'evento ed abbiamo dovuto
pensare anche a quello, se non fosse che Alitheia non l'ha
riconosciuta erede legittima e beh, gli ha tagliato la testa ecco.-
continuò tutto d'un fiato mentre l'altro la guardava male,
molto
male:
-Hikari
è... morta? Mi stai dicendo che è morta solo
perchè un dannato
cervo pseudo-antropomorfo non ha riconosciuto
il suo ruolo? Mi prendi in giro?- chiese cercando di contenere la
rabbia.
L'imperatrice
abbassò lo sguardo: -Anche tuo fratello è andato
incontro alla
stessa sorte, solo due anni dopo... poi Alitheia ha detto che non
c'era più nessun pretendente e quindi puoi capirlo da solo
che ti
abbiamo dato per spacciato da subito...- concluse con un velo di
tristezza.
Fantastico,
suo fratello e sua sorella erano stati uccisi da un cervo psicopatico
perchè non erano stati considerati degni della corona
imperiale,
davvero meraviglioso.
Tuttavia
gli restava un dubbio: -Perchè allora siete spuntati
così dal nulla
questi giorni? Non potevate farlo prima?- domandò piuttosto
furioso
all'idea che fosse un animale a dettare legge, Mizuki scosse
però la
testa contrariata:
-Alitheia
era scomparsa dopo la morte di Maki ed è ricomparsa solo una
settimana fa vicino al palazzo reale dicendo che per Iga c'era ancora
la possibilità di far salire al trono l'ultimo erede della
famiglia
reale e tuo padre, attraverso le sue reti di conoscenze burocratiche,
ha casualmente scoperto che eri vivo: in carcere, ma eri vivo.-
terminò anche se Hanzo aveva avuto l'impressione che avesse
detto
con particolare enfasi la parola carcere.
Non
fece in tempo a chiedere se le sue impressioni fossero vere che lo
schermo dall'altra parte della stanza mostrò che c'era un
messaggio
in attesa, così lo aprì giusto per darci una
sbirciata:
Spero
per te che tu sia sopravvissuto alla chiaccherata con il resto della
tua allegra famigliola di sadici psicotici altrimenti beh, posso
sempre venire a prendere il tuo cadavere se proprio devo.
Sto
andando sul pianeta Muscle a fare una visitina a Sergent, non dire
niente a nessuno altrimenti finirai per farmi mettere a morte e non
provare a seguirmi perchè ti riserverò lo stesso
trattamento se ci
provi.
Quando
finisco vedo di raggiungerti, sempre che non mi sia fatto beccare
prima.
Aspetta
il tuo ex compagno di cella mi raccomando.
P.s.
Ringrazia tua madre per i biscotti.
P.p.s
Spero che la storia sia acqua passata, non ce l'avrai con me per dei
biscotti? Sono un mercenario e non dovresti fidarti di me, ma se
proprio vuoi possono dartene la metà per farmi perdonare, ma
solo se
avanzano.
Era
evidente che Bone Cold avesse una visione distorta della parola
scuse,
soprattutto se pensava di farsi perdonare con dei biscotti all'avena.
Biscotti.
All'avena.
Ecco.
Si
stava chiedendo cosa avesse in mente e conoscendolo era certo che
stesse per cimentarsi in una qualche impresa suicida o simili, motivo
per cui era leggermente
preoccupato:
era un idiota e basta, si divertiva particolarmente a rischiare di
morire ogni dannata volta.
-Abbiamo
finito?- chiese a Mizuki che intanto era andata vicino alla finestra
a contemplare l'orizzonte -Sì, direi che per oggi
può bastare-
asserì aprendo finalmente la porta -Ma questa sera devi
parlare
anche con tuo padre, chiaro?- gli domandò, così
lui annuì.
Certo,
contaci
pure pensò fra sè e sè.
Bone
era arrivato da poco sul pianeta dei Muscle ed aveva fatto il modo
che la sua astronave passasse inosservata lasciandola a diversi
chilometri dal castello reale, poi aveva preso con sè la
valigetta
con il virus ed aveva radunato i suoi uomini:
-Da
adesso pretendo la massima professionalità possibile dato
che
dobbiamo vedercela con un avversario che ci darà filo da
torcere,
niente errori, niente ripensamenti: chi vuole abbandonare lo faccia
ora.- disse con tono severo lasciando che il silenzio calasse sui
presenti:
-Bene
signori e signore, andiamo a far visita ad un vecchio amico.-
concluse dirigendosi verso il palazzo mentre Wolfrain teneva pronto
il fucile in mano in caso che avessero incontrato qualche guardia.
Ora
iniziava la caccia.
___________________________________________
(*)
Alitheia (o Aletheia): parola greca che significa "Verità,
Svelamento, Rivelazione, Sincerità".
In
questa ff è un essere immortale nato con il pianeta di Iga
stesso
dal sangue dei primi imperatori e per questo ritenuto in grado di
distinguere coloro che sono degni di salire al trono imperiale da
coloro che non lo sono.
Angolino
dell'autrice
(Scusate
eventuali errori grammaticali)
Ta-daaaaan!
Ecco il quarto capitolo :D *coro angelico*
Che
dire, è stato un po' difficile all'inizio ma poi ci ho preso
la
mano, anche se ho dovuto dividerlo in pezzi per far fare ai vari
personaggi diverse cose contemporaneamente; scusate la scarsa
fantasia nel descrivere lo scontro
fra Oregon e Ricardo ma non sono brava nelle descrizioni xD
Bone
ha iniziato la sua missione bio-terroristica (?) nei confronti di
Sergent/Ataru Muscle, vedrete come finirà tra poco, mentre
Hanzo sta
per prendere il posto al trono di Iga prima di diventare
l'organizzatore di altri attentati anche lui :D
Attenzione:
per chi mi seguisse già su deviantart ricorderà
(forse) che Hikari
dovrebbe essere la sorella gemella di Hanzo, in questo
caso però l'ho messa come sorella maggiore per fini inerenti
alla
trama (quando è successa la pioggia di meteore su Iga Hanzo,
almeno
in questa ff, aveva 5 anni, sua sorella 19 e suo fratello maggiore
17).
Ed
i biscotti all'avena? Loro sono spietati!
Non
ho più niente da dire, datemi qualche opinione se vi fa
piacere *3*
|
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Capitolo 5 *** Senza pietà ***
Dopo la discussione con Oregon Sergent si era ritirato nei suoi
appartamenti a palazzo dato che non aveva intenzione di prendere parte
a quella ridicola riunione che suo fratello King aveva indetto, non
gliene importava nulla di ascoltare cosa avessero da dire Robin e gli
altri, anche perchè avevano le mani legate quando si
trattava di cose simili.
Si stava annoiando a stare da solo nella sua stanza a fissare il
soffitto, per cui aveva deciso di uscire per fare una passeggiata
così da liberare la mente da tutto quello che stava
accadendo intorno a lui: questione di pochi passi, quelli che bastavano
a far sì che fosse abbastanza lontano dal castello
perchè nessuno lo vedesse o sentisse, ed una freccia nera e
sottile gli si era conficcata all'altezza del collo.
Non aveva perso la calma ed era riuscito ad estrarla velocemente, poi
si era guardato intorno in cerca del nemico, ma non aveva visto niente
e nessuno.
O meglio, iniziava a non vedere niente da quando aveva estratto la
freccia, se non delle figure a pochi metri da lui, una delle quali
l'aveva immaginata fin da subito: stava maledicendo il momento in cui
aveva tolto quelle dannate catene a Bone Cold, era stato un idiota, un
perfetto idiota.
E di idiozia non si
guarisce facilmente, come avrebbe detto Oregon.
L'operazione "Valchiria
Imperiale", nome nato dalla discutibile fantasia che Bone
e Wolfrain avevano, era una sorta di suicidio di massa: se andava bene
sarebbero entrati nelle grazie di quelle lucertole, se andava male
finivano sul patibolo.
Spiegazione semplice, ma efficace.
La ragazza che impugnava l'arco era stata fredda e distaccata dalle
emozioni, per quello era riuscita a centrare il proprio obbiettivo:
l'uomo si era accasciato a terra in pochi istanti, poi era stato
trasportato fino ad un vecchio laboratorio abbandonato ai confini delle
proprietà dei Muscle, al riparo da sguardi indiscreti, dove
era tutto pronto per iniziare con le trattative.
Appena si era svegliato, ovvero quando il veleno aveva smesso di fare
effetto, Sergent si era guardato intorno ed aveva visto il buio
più assoluto, solo uno spiraglio di luce illuminava la
grande stanza; aveva naturalmente provato a muoversi ma non c'era
riuscito, così aveva abbassato lo sguardo fino ad incontrare
delle spesse catene che lo tenevano incollato al muro.
Era nei guai, ne era certo.
Sentì una porta chiudersi pesantemente e diverse serratura
scattarono una dopo l'altra, poi una luce venne accesa per illuminare
la stanza: gli occhi ci misero un po' per abituarsi dal buio quasi
totale fino all'eccessiva luminosità, così
impiegò un po' per mettere a fuoco tutti i presenti.
Bone se ne stava seduto su una sedia a nemmeno un metro da lui e lo
guardava con aria soddisfatta mentre mangiava un biscotto:
-Guarda un po' Sergent, ci rivediamo ancora a quanto pare: non sei
felice di vedermi?- domandò con nonchalance per poi alzarsi
ed andare più vicino
-Con la differenza che ora sarò io a dettare legge, non tu:
i ruoli si sono invertiti, a mio favore ovviamente, e per me
sarà un piacere farti provare le stesse cose che ho dovuto
sopportare io in questi anni, un vero piacere.- continuò con
un certo senso di superiorità: sì, le cose
stavano decisamente andando per il verso giusto.
Sergent però non sembrava d'accordo: -Avrei dovuto
immaginare che un verme come te sarebbe tornato a farsi vedere, non sai
contro chi ti stai mettendo lurido avanzo di galera!- gli
urlò contro prima che un pugnale si conficcasse nella spalla
sinistra
-Avanti, continua a parlare, fallo ed io ti taglio la gola ancora prima
che tu te ne accorga: sarò anche parte della feccia di
questa nebulosa, ma voi kinniku fate più schifo di quelli
che stanno dietro le sbarre in questo momento- gli ringhiò
contro abbastanza sicuro di sè da farlo tacere -Sempre a
credervi in cima al mondo, voi e il vostro misero pianeta, ma a quanto
pare state lentamente cadendo in basso da quando Oregon si è
messo in mezzo.- osservò mentre aveva fatto avvicinare
un'altra ragazza che teneva in mano una sbarra di metallo che, se la
vista non lo stava ingannando, sembrava rovente: -Temo che la
situazione si stia scaldando, goditi l'esperienza.- osservò
Wolfrain con un ghigno malefico.
Fu un attimo ed il dolore prese il sopravvento: il ferro era penetrato
nella carne più a fondo del previsto e bruciava, anche
parecchio; come se non bastasse l'estremità inferiore era a
forma di uncina per cui quando lo tirarono fuori ridusse la pelle a
brandelli; aveva provato ad urlare con tutta la forza che aveva, ma si
era subito ricordato che quelle pareti erano insonorizzate all'esterno
ed all'interno, e poi era troppo isolato perchè qualcuno
potesse sentirlo.
La carne stava ancora bruciando sotto l'effetto delle ustioni quando
aveva smesso di sentire il braccio, ridotto ormai ad una distesa di
pelle rossa intervallata da strisce nere di tessuto carbonizzato, ed il
peggio era che non era ancora finita: Bone aveva preso in mano una
boccetta e l'aveva aperta, attento a non versarsela addosso;
rovesciò una sola goccia del liquido nerastro per terra ed
il pavimento iniziò a sciogliersi sollevando alcune nuvole
di vapore
-Sangue di raptor, un regalo di Oregon: quelle lucertole hanno
abbastanza acido fluoroantimonico (*) nel sangue da sciogliere un muro
di cemento armato, figuriamoci la pelle umana, penso che potrebbe fare
male, ma sarà meglio provare prima no?- propose e, senza
aspettare le richieste di pietà, versò gran parte
della boccetta su un lato del collo dell'uomo così che
scendesse fino al torace.
L'acido iniziò subito a corrodere i tessuti in pochi
secondi, Bone Cold lo sapeva che era potente ma mai aveva visto gli
effetti sulla pelle umana e se ne stava pentendo altamente, per cui in
circa mezzo minuto gli strati di pelle erano stati sciolti lasciando
intravedere i muscoli e, in alcuni punti del torace, anche qualche
costola.
Durò meno di un minuto, durante il quale cercò di
tenere a bada lo stomaco che non aveva intenzione di assistere allo
spettacolo ancora per molto, ma che volesse o meno non aveva scelta,
doveva farlo e basta; versò alcune delle gocce rimaste sul
volto di Sergent, abbastanza perchè anche i tessuti della
maschera si sciogliessero e formassero un solo strato con la pelle
già corrosa, anche se in misura minore che sul resto del
corpo.
Inutile dire che aveva lanciato urla strazianti in quei momenti ma
nessuno le aveva potute sentire dato il luogo, aveva cercato di
resistere al dolore lancinante per qualche secondo invano, non poteva
fare niente contro un acido simile, e poi era incatenato.
Bone aveva dovuto prendersi una pausa di cinque minuti dopo la scena
raccapricciante, poi si era diretto verso la valigetta di acciaio,
l'aveva aperta e stava preparando l'occorrente per l'iniezione finale,
quella per cui era stato pagato:
il liquido azzurro-trasparente dell'UBD sembrava risplendere alla luce
della stanza, quasi come se avesse una vita propria, così
prese la siringa in mano e provò a far uscire una
quantitativo minore di una goccia solo per controllare che uscisse
dall'ago senza problemi.
Oregon aveva chiesto di non ucciderlo, poi ci aveva ripensato e dieci
minuti prima aveva mandato una comunicazione dove richiedeva di
torturarlo con qualcosa per qualche giorno o una settimana, qualcosa
che alla fine lo uccidesse, ed alla fine Bone aveva optato per il ceppo
del virus che prima di uccidere distrugge completamente la vittima, era
crudele e divertente, ma almeno avrebbero tutti avuto quello che
volevano.
Praticò l'iniezione alla base del collo perchè
grazie alla carotide e la giugulare avrebbe raggiunto il cuore ed il
cervello in pochi istanti: non avrebbe sentito nulla per quasi
mezz'ora, segno che il virus aveva già iniziato a nutrirsi
dell'area adibita alle percezioni, poi all'improvviso avrebbe avvertito
una fitta di dolore quando avrebbe iniziato ad attaccare i muscoli
ovunque ce ne fossero disponibili e poi beh, tutto iniziava ad andare
in necrosi; una volta che iniziava non poteva essere fermata e, siccome
si sviluppavano diverse infezioni, si moriva e basta.
Veloce, silenziosa e letale.
Bone aveva un'aria stranamente soddisfatta:
-Avrei anche finito ma sai una cosa, voglio dirti tutto, tanto fra
un'ora avrai già perso la capacità di parlare e
magari avrai anche un po 'di amnesia- disse con aria trionfante -Sai
perchè Oregon mi ha mandato qui? Non lo ha fatto solo per
ucciderti, no, perchè se ti avessi ucciso subito i tuoi
amici della Muscle League non avrebbero visto come si riduce chi si
mette contro la dmp:se ti andrà bene finirà tutto
in quattro o cinque giorni, se ti va male andrà avanti per
settimane o anche mesi, ma alla fine morirai comunque.- concluse
facendo agli altri presenti, Wolfrain compresa, cenno di uscire.
Si sistemò su una sedia e si accese una sigaretta:
-Sai una cosa? Alla fine mi ha fatto bene starmene dietro le sbarre per
un po', mi ha dato tutto il tempo di riflettere su come ti avrei ucciso
una votla uscito, ed oggi ho avuto ciò che volevo: mi dovrei
ritenere soddisfatto, penserai, ma non lo sono e sai
perchè?- domandò mentre l'altro fece segno di no
con la testa
-Perchè non so cosa fare adesso, qualche anno fa sognavo di
vendicarmi con mezza nebulosa ma ora come ora non ci riesco nemmeno con
quel vecchio pazzo di mio padre, non è così
divertente la vendetta, non come pensavo.- riflettè
guardando un punto nel vuoto davanti a sè; ok, era uno
psicopatico, ma con le ultime forze che erano rimaste al kinniku decise
di prendere la parola -Parli come se avessi dovuto patire le pene
dell'inferno ma penso proprio che tu non sia nemmeno mai andato in
guerra, ti sei solo e sempre limitato a stare dall'altra parte, da
quella di coloro che guardano e basta.- sentenziò severo ma
l'altro iniziò a ridere in un modo abbastanza inquietante
-Mai stato in guerra?- ripetè togliendosi la sigaretta dalla
bocca ed appoggiandola sulla sedia vicina
-E invece ci sono stato, combattevo al fronte con Wolfrain e non mi
divertivo per niente: ci ho rimesso un occhio ed una mano, la perdita
della sanità mentale è stata solo una conseguenza
del trovarsi da un giorno all'altro con un pezzo di titanio nel polso
senza il quale potrei anche andare in giro a giocare all'allegro
amputato, la cosa non mi attirava troppo.- raccontò
guardandolo negli occhi mentre si dondolava dalla sedia lasciando
Sergent allibito.
Per tutto il tempo in cui aveva parlato con lui il kinniku non aveva
fatto altro che guardare la profonda cicatrice che attraversava
l'occhio sinistro quasi verticalmente, ed aveva intuito che lo tenesse
chiuso proprio perchè alla fine era un punto morto di cui
avrebbe voluto sbarazzarsi: non se ne faceva nulla di un occhio in
più se alla fine nemmeno ci vedeva da quello, non aveva un
grande senso tenerlo aperto per niente.
Finita la sigaretta Bone si alzò e richiamò
Wolfrain. -Riportatelo a palazzo, fate sparire le vostre tracce e
tornate immediatamente alla nave dove vi aspetto: prima partiamo meglio
è.- asserì per poi girarsi verso l'uomo che, nei
pochi attimi trascorsi, sembrava essere già peggiorato anche
se di poco
-Tra qualche istante non potrai rivelare a nessuno di tutto quello che
ti ho detto, goditi l'esperienza.- lo liquidò velocemente
ma, prima di uscire, lo guardò ancora qualche secondo
-Probabilmente i tuoi arti andranno in necrosi fra qualche ora, non so
se hai già notato quella macchia nera all'altezza della
spalla- disse indicandogliela
-Prima di morire saranno costretti, pensando di salvarti, ad amputarti
almeno un braccio o una mano o qualcosa, ma tanto morirai comunque.-
terminò ridendo e, proprio come era apparso,
sparì nel nulla chiudendosi la porta alle spalle.
Ti amputeranno un
braccio o una mano o qualcosa, quelle parole furono le
ultime che Sergent riuscì a sentire prima di svenire.
Non voleva
più svegliarsi.
Appena finito il lavoro si era dileguato lasciando che Wolfrain si
occupasse di riportare il kinniku a palazzo, poi si era diretto verso
la parte più interna dell'astronave dove si trovava anche la
sua stanza: avrebbe dovuto immaginare che lo stomaco non avrebbe retto
un minuto di più, erano passati troppi anni da quando aveva
torturato qualcuno in quel modo e se ne stava rendendo conto solo ora
che non era più abituato a sentire l'odore del sangue che
scorre sull'acciaio rovente.
Aveva già vomitato l'anima un paio di volte prima di
decidersi a passare agli estremi rimedi, anche se in realtà
riusciva solo a stare in piedi appoggiandosi alle pareti ed era stato
difficile arrivare alla poltrona dall'altro lato della stanza:
impiegò un paio di minuti prima di riuscire a prendere in
mano la siringa che aveva lasciato sul tavolino lì vicino e,
come se non bastasse, il dolore non accennava a diminuire.
Erano mesi che era in quelle condizioni ed avrebbe dovuto prendersi una
pausa prima di tornare a fare il mercenario, ma con Oregon che si era
messo in mezzo di pause non ce ne erano state e così era
andato avanti come poteva senza rendere di pubblico dominio la
questione: non aveva intenzione di farsi compatire, non ne aveva
davvero il tempo.
Le persone erano abituato a vederlo come quello che aveva lasciato una
scia di sangue dietro di sè per più di una decina
di anni, non come chi si piegava in due perchè non reggeva
più il dolore, che se ne andava in giro allegramente con un
polmone ancora buono ed uno mezzo andato, per non dire completamente
andato, perchè tanto se moriva a nessuno interessava, e
comunque con i soldi avrebbe anche potuto permetterselo, un polmone si
intende.
Oppure avrebbe potuto direttamente ammazzare qualcuno e prenderselo.
Fortunatamente nelle ultime settimane era riuscito a procurarsi
abbastanza morfina da tenere a bada i dolori lancinanti che, quando
meno se lo aspettava, sembravano squarciargli il torace senza un motivo
apparente: tirava avanti piuttosto bene e sembrava funzionare alla
perfezione, anche troppo dato che a volte si scordava completamente di
quanto facesse male e faceva le cose più disparate come
accettare di torturare qualcuno senza pensare alle conseguenze.
Era riuscito a trovare la concentrazione per non infilzarsi il braccio
e, a dire la verità, non aveva sentito nemmeno l'ago entrare
nella pelle: in compenso si era subito sentito un po' meglio di come
fosse il minuto primo, almeno quella era una buona notizia.
Non gli importava più di tanto dei suoi polmoni, o quello
che ne era rimasto, per cui si accese una sigaretta giusto per ridursi
peggio di quanto fosse già: no, non era un masochista, o
almeno sperava di non esserlo, ma ora come ora avrebbe anche potuto
morire di infarto da un momento all'altro, che senso avrebbe avuto
negarsi un momento di strafottenza verso il mondo?
E poi era un mercenario, quelle cose poteva permettersi di farle senza
dover rendere conto a nessuno.
Nessuno tranne che ad Hanzo.
Ecco.
Gli aveva promesso che sarebbe andato su Iga il prima possibile finito
di fare il lavoretto per quella lucertole ma, viste le condizioni in
cui versava, non poteva intraprendere un viaggio dall'altra parte della
nebulosa così, senza riposarsi; decise allora di mandargli
una comunicazione, almeno non lo avrebbe ammazzato al ritorno:
Ho appena finito con
Sergent ma non posso venrie subito da te, mi ci vorranno almeno dodici
ore prima di partire quindi dovra aspettare fino a domani: no, non sto
uccidendo qualcuno, sono seduto a farmi di morfina ecco, tanto per
mettere le cose in chiaro.
No, non mi sto
drogando... cioè in un certo senso sì...
però... ok, lasciamo stare te lo spiego più tardi
che è meglio.
Ti avevo lasciato cinque
biscotti ma adesso ne sono rimasti due... ah no, in questo momento ne
è rimasto uno solo, vedrò di non toccare l'ultimo.
Aspettami e non
dichiarare guerra a nessuno nel frattempo.
P.s. chiedi a tua madre
se può procurarmi altri biscotti all'avena.
Ok, era ufficialmente la cosa peggiore che avesse scritto.
Ma chi se ne frega
pensò ad alta voce.
Oregon aveva appena saputo della notizia da Bone quando stava per
iniziare la riunione con il resto della dmp: era entusiasta, se non dei
più, ma doveva contenere l'entusiasmo per dopo dato che ora
avrebbe dovuto parlare di cose ben più serie.
E bravo quel piccolo mercenario arrogante pensò con una
certa aria di soddisfazione mentre entrava nel grande atrio del palazzo.
Un kinniku era fuori.
Uno a zero per la dmp.
______________________________________
(*) Wikipedia, Acido fluoroantimonico: è il più
potente superacido conosciuto dall'uomo, in grado di sciogliere quasi
tutti i composti organici.
E' composto da acido fluoridrico e pentacloro di antimonio, in rapproto
1:1 è circa 20 miliardi di volte più potente
dell'acido solforico.
(Solitamente si trova allo stato di gas ma con particolari processi
può essere trasformato in un composto liquido molto viscoso).
(Scusate eventuali errori grammaticali dovuti al computer che va alla
bene e meglio)
Ta-daan!
Ecco, a grande richiesta, il quinto capitolo!
Mi scuso per il ritardo e la brevità (esiste come parola eh)
del capitolo ma volevo che fosse incentrato su Sergent Muscle alias
Ataru Kinniku e la sua amorevole fine (che si risolverà nel
giro di uno o due capitoli), e poi sono sommersa dalla scuola per cui
non aspettatevi aggiornamenti a breve xD.
Che dire, sono crudele, tanto crudele con queste cose: ringrazio
però Ms_Fly_K
e Ladyloki96
per l'aiuto ad ideare le torture e spero che alla prima sia gradita
l'imminente morte dell'amato kinniku <3
E vogliamo parlare di Bone Cold che si droga (?) con la morfina?
Poverino, c'è dolore anche per lui (no, non muore) >:D
Se volete recensite, insultatemi, amatemi, odiatemi, sono aperta a
tutto :D
|
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Capitolo 6 *** Pomeriggio fra donne ***
gu
Era
inutile sottolineare che, fra i presenti seduti al grande tavolo del
salone, Oregon fosse l'unico che avesse davvero
in mente un piano degno di essere chiamato in quel modo dato che gli
altri si limitavano ad avanzare ipotesi senza mai fare qualcosa di
concreto.
E
poi aveva il vantaggio di essere dannatamente inquietante.
Nella
stanza c'era un silenzio di tomba, nemmeno osava prendere parola per
primo perchè beh, c'era ben poco da dire; ma, giustamente,
Shogun
doveva distinguersi per forza. -Avanti Oregon, esponi a tutti i tuoi
piani dato che te ne vanti tanto, suggerisci a tutti i presenti come
distruggere una volta
per tutte la Muscle League.- disse con tono irritato ma l'altro
sembrò non farci caso
-Oh
non temere perchè lo farò di sicuro, ma se provi
a parlare come se
fossi tu il capo ti rompo le ossa una per una.- rispose di tutto
punto e a quanto pare anche Shogun aveva la risposta pronta -E
starmene zitto mentre tu lasci le redini della dmp a quello
psicopatico di tuo figlio?
Ma anche no.
Ecco,
sarebbe stato il momento giusto per stare zitto ed evitare di
trovarsi
con gli artigli
alla gola, giusto per precisare: -Tutti i presenti ci hanno provato
ed hanno fallito, ora che sono io il capo qui si farà come
dico io,
e se dico che tu dovrai fare tutto quello che dirò lo farai:
chiaro?- chiese prima che l'altro annuisse.
Oregon
si mise a girare davanti alle ampie finestre lasciando ondeggiare la
coda nervosamente: -Qualcuno ha qualcosa da dire o possiamo iniziare
a parlare civilmente? domandò, così tutti
scossero la testa -Allora
iniziamo.- sentenziò sedendosi a terra con le ali dispiegate
che
toccavano il pavimento:
-Penso
che voi tutti sappiate che la Muscle League ci, ho meglio vi,
ha preso per i fondelli per parecchio tempo da quando e ne sono
tornato sul mio pianeta, per questo sono tornato per prendere
il controllo della situazione.- spiegò mentre alcuni
annuivano ed
altri parlavano fra loro.
Oregon
richiamò all'attenzione frustando l'aria con la coda:
-Finalmente
la dmp non sarà da sola contro
la Muscle League, infatti avremo a disposizione tre dei quattro
eserciti sparsi per la nebulosa, compreso il pianeta di Iga e le sue
tecnologie che ci permetteranno di distruggere la Muscle League
ancora prima che se ne possano accorgere.- concluse il primo punto
soddisfatto
-Ma
io voglio di più, voglio che la stirpe dei kinniku finisca
per sempre, nessuno dovrò sopravvivere: King ha approfittato
anche
abbastanza dei punti deboli della dmp, è ora che qualcuno
gliela
faccia pagare, e penso che tutti siano d'accordo, per cui ho deciso
di iniziare a mettere fuori gioco Ataru Muscle, il fratello maggiore
di King Muscle: senza di lui l'esercito sarà disorganizzato,
non
proprio del tutto è vero, ma non avranno motivo di
combattere se non
c'è il loro generale a guidarli.- continuò
facendosi più serio -Mi
sono permesso di pagare qualcuno per torturarlo ed ucciderlo, spero
siate tutti d'accordo con la mia scelta: se non lo siete ditemelo ora
così posso strapparvi le braccia
senza che ci siano ritardi sul programma, comunque sia queste sono le
condizioni in cui versa il nostro amico della Muscle League.-
terminò
mostrando le immagine
che Bone Cold, giusto per assicurarsi che Oregon non pensasse che
avesse sbagliato qualcosa, aveva mandato solo qualche minuto prima.
Nessuno
aveva osato parlare, d'altronde vedere alle due di pomeriggio lo
pseudo-cadavere di qualcuno mezzo sciolto
nell'acido e mezzo ustionato non era bello o istruttivo, anzi faceva
salire il pranzo in un certo senso:
-Non
mi interessa se qualcuno dovrà morire, non mi interessa se
voi
dovrete morire: avrò la mia vendetta e voi la vostra, la
Muscle
League ed i Muscle verranno cancellati ed i traditori beh, a loro
verrà riservato un trattamento a parte.-
concluse prendendo
fiato -Io ho finito, andate pure e fate quello che volete ma
sappiatelo: se vedete qualcuno della
Muscle League fatelo fuori, non voglio sopravvissuti.-
liquidò i
presenti che, nel giro di cinque minuti, tornarono a fare quello che
stavano facendo uscendo dal palazzo.
Cassandra
sembrava
entusiasta dei fatti accaduti fino ad ora, non aveva nulla di
particolare contro i kinniku ma se quello era ciò che voleva
il suo
compagno allora andava bene; lo stesso non si poteva dire di Ricardo,
che intanto era impegnato nel reprimere l'istinto omicida di
tranciargli la testa con gli artigli, dio solo sapeva cosa lo stesse
trattenendo dal farlo fuori.
Ah
già, c'era Jaqueline a due metri da lui.
Oregon
si avvicinò con aria trionfante, anche troppo: -Tu vieni con
me.- ordinò al figlio che, nonostante
volesse seriamente commettere un omicidio da un giorno all'altro, lo
seguì senza fare troppe storie, anche perchè non
sarebbe servito a
nulla; Jaqueline riuscì a fermarlo giusto qualche minuto
prima che
con suo padre se ne andasse nel folto della foresta Amazzonica:
-Se
mi cerchi sono con tua madre a fare shopping a San Paolo, il mio caro
paparino mi ha detto che questa sera ci sarà una sottospecie
di
qualcosa di non ben definito dove ci saranno quelli del Torneo Chojin
e mi ha obbligato ad andarci: non ho un vestito e quindi beh, devo
comprarne uno no?- asserì seria mentre lui la squadrava
perplesso
-Non ne hai già abbastanza di vestiti?-
chiese ma lei scosse la testa, così sospirò
rassegnato -Fa come
vuoi, tanto è tuo fratello che paga quindi vedi di
esaurirgli i
fondi per favore.- continuò mentre lei stava già
parlando con
Cassandra
-Ovviamente!
Mi raccomando, non uccidere nessuno.- gli raccomandò prima
di
vederlo andare via.
L'altra
donna le sorrise e, senza troppi problemi, salì insieme a
lei sul
jet privato e si accomodò su uno dei sedili che davano sul
finestrino vicino al quale si sedette Jaqueline: -Pronta per un
pomeriggio tra donne?- chiese sorridendo
-Certamente,
mi serviva un po' di pace fra una riunione ed un omicidio.- rispose
ridendo l'altra.
Impiegarono
poco più di mezz'ora per arrivare fino all'aeroporto
di San Paolo, poi si incamminarono
fino ad
arrivare alla boutique di Estrella, una vecchia amica scolastica di
Jaqueline che era riuscita a diventare una stilista affermata aprendo
diversi negozi sia nel continente americano sia oltre oceano; non era
proprio una come tutte le altre e, a dire il vero, non sembrava
nemmeno una stilista.
Teneva
i capelli castano chiaro raccolti in una treccia, gli occhi color
miele erano quasi nascosti da un paio di occhiali bianchi con alcune
strisce argentate che continuava a sistemarsi, era un vizio dei tempi
della scuola quello, e poi non era nemmeno così magra come
le sue
colleghe.
Non
gliene importava nulla e faceva bene a fregarsene.
Appena
la vide le saltò al collo: -Quanto tempo che non ci
vediamo!- le
disse entusiasta -Mio dio, sei ancora più bella dell'ultima
volta
che ci siamo viste anche se beh, è stato... cinque anni fa?-
domandò
a Jaqueline che annuì; a Cassandra non serviva presentarsi
dato che
era una sua cliente abituale
-Cosa
vi serve? Avete già un'idea precisa?- domandò con
un certo fare
professionale alla
donna che annuì -Abbastanza, ci basta sapere che non
c'è nessun
altra qui ed iniziamo
a darci alla pazza
gioia nei camerini.-
rispose ridendo ed anche l'altra fece lo stesso -La boutique
è tutta vostra madame,
fate come se questo fosse un enorme armadio e non fatevi problemi a
togliere gli abiti dai manichini tanto non ci vorrà molto
per
metterli a posto.- le assicurò per poi tornare nel suo
studio per
finire gli ultimi ritocchi ad un abito a cui stava lavorando da mesi
e mesi.
A
dire il vero Jaqueline non aveva la minima idea di cosa prendere: era
una sottospecie di festa, o almeno così aveva capito, anche
se non
c'era nulla da festeggiare, che diavolo ci faceva in mezzo a degli
abiti da sera?
Ok.
Subito
però le saltà all'occhio un abito color magenta
semi trasparente
che si intonava ai suoi capelli, giusto per restare in tema, lungo
dietro e corto davanti, che tra l'altro lasciava ben poco
all'immaginazione, e con alcuni ricami floreali
in pizzo nero; l'istinto le aveva detto di provarlo e così
aveva
fatto, ed era perfetto.
Avrebbe
attirato l'attenzione, di quello ne era certa, forse anche troppa.
Non
seppe spiegarsi il perchè ma il suo sguardo cadde
sull'anello che
portava
al dito: non che fosse preoccupata
degli sguardi indiscreti altrui, ma non poteva andarsene in giro
mezza nuda a mostrare le proprie curve ai vecchi decrepiti della
Muscle League ed ai rampolli delle altre famiglie, non era proprio il
caso di farlo ora.
Anche
perchè probabilmente Ricardo avrebbe decapitato qualcuno se
fosse
scappata qualche occhiata di troppo.
Cassandra
aveva notato che era abbastanza delusa dal non potere, o dal non
volere, indossare quel vestito, così si intromise come se
fosse sua
madre:
-Qualche
problema?- le chiese con fare materno, l'altra allora
sospirò ed
iniziò a cambiarsi
nuovamente, rassegnata all'idea che non potesse esserci un altro
abito migliore di quello: -Niente di irrecuperabile,
non voglio solo che qualcuno pensi che ora che sono fidanzata me ne
vado in giro allegramente a farmi sbavare dietro.- spiegò
velocemente imbarazzata.
La
donna annuì capendo di aver inteso
quello che voleva dire, poi le fece segno di aspettarla; passarono
dieci minuti buoni perchè tornasse con in mano un abito a
sirena
verde smeraldo con alcune pietre sul corpetto:
-Prova
questo, sono curiosa di vedere come ti sta.- disse dandole l'abito,
che inizialmente non la convinceva, era verde.
Verde.
Ecco.
Dovette
ricredersi dopo qualche minuto: le stava bene, per non dire che
sembrava fosse stato cucito apposta per lei, e poi era dannatamente
sexy senza che sembrasse una prostitut... ehm, una ragazza di facili
costumi, e si intonava anche al colore dei suoi occhi.
-Ti
piace?- le domandò cassandra e lei annuì,
così lo rimise a posto
vicino all'ufficio di Estrella -Bene, ed uno è andato,
continuiamo?-
continuò sorridendo e correndo a provarsi un abito, anche
quello a
sirena, viola con dei ricami di pizzo nero ed una fascia di raso
dello stesso colore: ok, non nera una ventenne, ma il fisico era
quello, ed era mozzafiato.
Jaqueline
si lasciò scappare un applauso che l'altra accolse con un
inchino,
nemmeno fossero sul
red carpet,
poi scoppiarono a ridere entrambe
-Ed
anche il secondo lo abbiamo fatto, che velocità ragazza
mia!- disse
la donna soddisfatta.
Erano
andate avanti a provare abiti per due ore
di fila e ne contavano già otto fra l'una e l'altra, poi
Jaqueline
aveva sbirciato dentro lo studio
dell'amica ed era rimasta pietrificata: era un abito principesco, il
raso si increspava come se fosse fatto di petali e variava il colore
da viola, blu, magenta, bianco, arancio e giallo.
Da
come era fatto aveva capito sin da subito che era un abito da sposa,
non certo un abito da sera come stava cercando lei, però era
bellissimo: non che avesse per la mente il matrimonio, non proprio.
Ok
sì, ci pensava a volte.. raramente però... no non
era vero, ci
pensava eccome.
Ma
con Cassandra in giro non poteva dare certo a vedere che gli piacesse
davvero quell'abito.
Troppo
tardi dato che l'altra aveva già chiamato Estrella per
farglielo
provare; era
rossa, completamente
rossa, ed imbarazzata fino alle punte dei capelli: era tipo come dire
"Ehi
scusa ma vorresti essere la mia futura suocera?"
e non voleva che lo pensasse.
Però
quando aveva visto la sua immagine riflessa allo specchio aveva
dovuto sforzarsi per contenere
l'emozione di immaginarsi un giorno in quel vestito: era
così
leggero che i petali sembravano potersi staccare e volare via con la
brezza più leggera, non era il classico abito bianco ma
aveva la
stessa elaganza e la stessa leggerezza, era semplicemente stupendo.
Entrambe
sembrarono illuminarsi: -Sono sette mesi che ci lavoro e devo dire
non avrei potuto trovare un'indossatrice migliore!- si
complimentò
l'amica
-Ti
sta d'incanto Jaqueline, non lo penso mai di tutti gli abiti ma
questo.. questo è assolutamente perfetto, non pensavo
potesse stare
così bene a qualcuno.- riflettè ad alta voce
versando qualche
lacrima per il lavoro finalmente completato
-Sarebbe
meraviglioso vederti un giorno con questo
abito, sarebbe una soddisfazione inimmaginabile!- continuò
sognante
e non poteva darle torto, era bello e basta.
In
fondo in fondo anche Jaqueline condivideva lo stesso sogno, le
sarebbe piaciuto eccome che al suo matrimonio, se mai ci fosse stato,
avesse potuto indossare quel vestito.
Ecco,
il matrimonio: non è che non volesse che prima o poi
succedesse, ma
era abbastanza recidiva all'idea di prendersi un impegno
simile, senza contare che se si fosse sposata sarebbe diventata la
prossima imperatrice
dopo Cassandra, e gestire un intero pianeta non era un'idea che la
allettava più di tanto.
Lei
glielo lesse negli occhi e non evitò di commentare,
così le si
avvicinò e cercò il suo sguardo fino ad
incrociarlo:
-So
cosa stai pensando, avevo i tuoi stessi dubbi ed ero più
giovane di
quanto tu sia ora, e non avevo niente di niente a cui aggrapparmi se
non i miei sentimenti- iniziò a raccontare più
seria di quanto
fosse mai stata
-Non
puoi nemmeno immaginare quante siano state le persone che mi dissero
di lasciar perdere Oregon e di trovarmi un uomo che fosse come me,
non una lucertola di dieci metri incline all'omicidio, e sai cosa ho
fatto?
Me
ne sono fregata Jaqueline, non me ne importava di quello che
dicevano: nel
mio cuore sapevo che era l'unico uomo che avrei voluto al mio fianco
per il resto della mia vita, non poteva essercene un altro.-
continuò
mostrandosi di una sincerità disarmante, tanto che stava
desiderando
che fosse la madre che non aveva mai avuto, giusto per avere i suoi
consigli ogni giorno
-Lo
so che è difficile non ascoltare gli altri, ci sono passata
per
un'intera vita, ma oggi so che se avessi ascoltato quelle persone, se
avessi trovato un altro uomo, io non sarei la persona che sono, non
avrei quello che ho, e poi non avrei conosciuto
una ragazza come te. E' dura, lo so, essere imperatrice è
una delle
cose più stressanti che esistano, ma non hai altra scelta
che
ascoltare te stessa, non devi dare un peso maggiore alle cattiverie
altrui piuttosto che al tuo cuore, non farlo mai: potresti ritrovarti
come Belinda o peggio.- concluse accennando un sorriso, ma si vedeva
che era emotivamente più coinvolta di quanto avesse previsto.
Jaqueline
non sapeva cosa dire nè cosa fare, ma era certa che
Cassandra avesse
ragione: le persone erano cattive e non si facevano problemi a darle
della ragazzina
viziata e provocante il cui unico scopo era quello di portarsi a
letto la gente,
cosa che tra l'altro non aveva mai fatto, così fingeva che
non le
importasse ma faceva male sentire quelle frecciatine ogni santo
giorno.
Eppure
sapeva anche che da quando aveva Ricardo vicino era tutto diverso: gli
altri ci pensavano due, tre, quattro, anche dieci volte, prima di
dire qualcosa dato che, in effetti, non era una bella prospettiva che
un rettile di dieci metri ti staccasse gli arti a morsi, non lo era
affatto.
Si
guardò allo specchio un'ultima volta, voleva solo essere
sicura di
quello che stava vedendo, poi all'improvviso Estrella si riprese
dalla sua crisi
di gioia improvvisa e
prese una decisione che nemmeno lei credeva di poter prendere: -Tieni
l'abito, consideralo come un mio regalo- intervenne
prendendole le mani
-Mi
hai aiutato tanto quando andavamo a scuola insieme, senza il tuo
supporto avrei ascoltato Korinne e le sanguisughe pettegole che si
tira dietro ed avrei mollato tutto: lo so, sono mesi che lavoro
a questo vestito ed avrei potuto venderlo a prezzi spaventosi, ma
voglio che sia tu l'unica che lo possa indossare, non starebbe bene a
nessun altra persona che non sia tu Jaqueline.
Era
letteralmente paralizzata: -M-ma cosa d-diavolo dici?-
sbottò lei
-Ti
sarà costato una fortuna per farlo: la stoffa, le ore di
lavoro e
poi...- non fece in tempo a finire che venne zittita -Nessuna cifra
può eguagliare quello che tu hai fatto per me, quindi
accetta il mio
regalo, vai là fuori e vedi di farti valere, alla faccia di
quelle
oche che ti parlano dietro le spalle come facevano con me!- la
incoraggiò abbracciandola -
Grazie
Estrella, grazie.- disse cercando di trattenere invano la lacrima di
commozione che le stava rigando la guancia.
Salutata
l'amica fece per
uscire dalla boutique
quando Cassandra
si fermò davanti a lei e le sorrise: -Non dovresti
preoccuparti,
accadrà tutto prima di quanto tu ti aspetti: per ora goditi
la vita
da fidanzata.-
concluse ridendo.
Ok,
non aveva intenzione di cercare di capire quella frase.
Decisamente
no.
_______________________________________
Angolino
dell'autrice
(Il
computer non ragiona più di tanto, perdonate gli errori
grammaticali/lettere invertite/lettere mancanti)
Sesto
capitolo pwah pwah!
Lo
so lo so, è un capitolo tenerello (?) e senza sangue, ma ho
voluto
risparmiare il prossimo omicidio al settimo capitolo :3
Cioè
boh, non è che sia successo chissà cosa qui ma
non potevo mettere
insieme due che se ne vanno in una boutique
con gente che si fa di morfina o altra che decapita a caso no?
Ringrazio
per l'ennesima volta Ms_Fly_K
e Ladyloki96
per l'aiuto con gli abiti.
E
quindi eccoci qui, con questo (penoso) capitolo e con la sottoscritta
che spera vi piaccia e vi chiede,
come sempre, di insultarla, amarla, sposarla o magari anche lasciare
una misera recensione :D
P.s.
Vi lascio le foto dei vestiti che ho descritto in questo capitolo: in
ordine sono quello di Jaqueline, di Cassandra e quello da sposa :3
|
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Capitolo 7 *** Festa col botto ***
Jaqueline aveva appena
ricevuto una telefonata da suo padre per avvisarla che quella
sottospecie di festa, non sapeva cosa ci fosse da festeggiare, si
sarebbe svolta sul pianeta Muscle e che quindi avrebbe dovuto
raggiungerlo il prima possibile: inutile dire che ci sarebbe andata con
la corazzata da guerra di Oregon, era un'idea troppo entusiasmante fare
un'entrata simile, dato che probabilmente gli amici di Kid sarebbero o
già stati lì o vi sarebbero giunti con una misera
astronave di pattuglia del palazzo.
Ricardo doveva ringraziare il
cielo che suo padre gli avesse accordato il permesso di non andarsene
in giro come una lucertola di dubbie dimensioni almeno per quella sera,
cosa che non avrebbe fatto comunque dato che gliene importava ben poco
di quello che diceva, faceva quel poco che bastava per non scatenare un
omicidio famigliare e basta; e poi il mantello faceva più
serio del previsto, non che lo fosse minimamente certo, ma aveva l'aria
da uno che diceva
"Sono il figlio di quello che
vuole distruggere questo pianeta, quindi avvicinatevi e potrei anche
staccarvi la testa a morsi."
No, non era decisamente serio.
E in effetti l'entrata era
stata a dir poco trionfale, soprattutto se si contava che anche Korinne
era nei paraggi insieme a Jeager che stava cercando di fare
conversazione su qualcosa che non fosse il torneo chojin: scese
dall'astronave con una grazia innaturale, non sembrava nemmeno lei a
dire la verità, soprattutto con il vestito a sirena che
scendeva stretto sui fianchi per far notare volontariamente le curve,
doveva pur mettere in mostra qualcosa se proprio non poteva scoprire le
gambe.
Con un gesto degno della
più vanitosa delle teenager liceali a cui sbava dietro mezza
classe si sistemò i capelli facendoli ondeggiare alla
leggere brezza che spirava quella sera, doveva pur mettere in mostra
l'anello in qualche modo.
L'altra ragazza la fissava a
bocca aperta, si sentiva davvero squallida con quel semplice vestito
azzurro chiaro liscio con una nastro argento in vita, molto squallida
se paragonata a quell'esplosione di pietre che c'era sul corpetto
dell'abito verde.
Non aveva mai provato cosa
significasse sentirsi secondi: ecco, ora lo sapeva.
Jaqueline avevo una sguardo
strafottente, finalmente si sentiva superiore al mondo:
e poi se ne andava in giro con
il figlio del capo della dmp, poteva nnche stare certa che la cosa
avrebbe destato più scalpore del previsto.
Soprattutto fra Kid e gli
altri che intanto erano usciti per andare a prendere Jeager; Roxanne e
le altre ragazze avevano avuto la stessa reazione di Korinne: anche
loro infatti indossavano dei vestiti nemmeno troppo eleganti o vistosi,
si poteva dire che l'altra fosse l'unica realmente vestita per
l'occasione.
Se si fosse potuto sentire si
sarebbe udito il suono del cuore di Kid spezzarsi lentamente vedendo
Jaqueline con Ricardo.
Jaqueline.
Fidanzata.
Con... Ricardo?
Ma seriamente?
No, non voleva crederci,
doveva essere uno scherzo; invece, più perfida di quanto si
potesse credere, la ragazza si avvinghiò letteralmente, non
si capiva se per soffocarlo o per dimostrare come stavano le cose, al
collo dell'altro con una mano e con l'altra mise in bella mostra
l'anello di acquamarina e diamanti che risplendeva alla luce della luna.
Kid crollò in
ginocchio con il cuore a pezzi ed a nulla servirono i tentativi di
consolazione di Roxanne, e la cosa peggiorò quando lo
sguardo del kinniku incrociò quello di Ricardo: non sembrava
nemmeno lo stesso che aveva incontrato al torneo chojin, aveva un
qualcosa di terribilmente malvagio negli occhi, eppure Jaqueline si era
innamorata di lui e anzi, aveva anche già accettato un
anello di fidanzamento.
Un anello
di fidanzamento.
Ok.
Non voleva sembrare patetico
ma era difficile quando la ragazza dei tuoi sogni è
già impegnata e si diverte a sbeffeggiarti allegramente, non
era divertente per cui decise di entrare e lasciar perdere ma, da
quello che stava per succedere, non lo era nemmeno per Kevin.
L'inglese, sempre occupato a
fare il lupo solitario, non aveva mai dato l'idea di essere interessato
alla rossa, ma a giudicare al modo in cui si era avvicinato a lei lo
era parecchio.
E poi lo aveva fatto, le aveva
dato uno schiaffo non proprio fortissimo certo, ma era comunque il
doppio di lei e l'aveva fatta indietreggiare di un paio di passi.
E Ricardo non ci aveva visto
più da quel momento.
Uno schiaffo.
A Jaqueline.
La sua Jaqueline.
Kevin si era appena scavato la
tomba, doveva solo mettercelo dentro e coprirlo con la terra intrisa
del suo sangue.
Non ci aveva pensato due volte prima di passare nella forma origine e,
che ci fosse la Muscle League o meno, gliela avrebbe fatta pagare cara:
nessuno, nemmeno suo padre, si permetteva di toccarla e chi lo avrebbe
fatto avrebbe dovuto morire, punto.
Kevin non fece nemmeno in
tempo a capire cosa stesse accadendo che si trovò a terra
inerme, impossibilitato nel difendersi, schiacciato da tre tonnellate
di muscoli e rabbia: ecco, era ufficialmente morto.
Affondò le zanne
nel collo fino a quando non aprì uno squarcio dal quale il
sangue usciva a fiotti, la giugulare era il suo obbiettivo e l'aveva
recisa con precisione chirurgica, ma non era soddisfatto
così lasciò che la mandibola facesse pressione
sull'elmo blu metallico fino ad accartocciarlo come se fosse stagnola e
lasciando che il sangue colasse fino a sporcare il terreno.
Robin Mask guardava la scena e
non muoveva un muscolo: d'altronde quel teppista di suo figlio se l'era
cercata, fare del male ad una donna era un atto volgare ed incivile per
cui non si sarebbe messo in mezzo: poteva anche ammazzarlo per lui e,
in una piccola parte del suo cuore, sperava che succedesse per
liberarsi di quell'ingrato.
Mollò la presa solo
dopo trenta interminabili secondi, dopo i quali Kevin nemmeno provava a
rialzarsi da come era ridotto, ma giustamente non era ancora abbastanza
felice del suo lavoro: dopo aver premuto la zampa anteriore sul petto
per rompergli qualche costola e mozzargli il respiro lo
infilzò letteralmente con entrambe le corna all'altezza dei
polmoni e, dopo averlo scaraventato all'indietro, lo lasciò
ricadere sulla coda.
Che era naturalmente coperta
di spine, più simili a pugnali che a tessuti ossei.
L'urlo gli si fermò
in gola da quanto era lancinante la fitta che gli attraversò
il corpo:
due delle spine gli
penetravano entrambe le spalle, altre quattro bloccavano il torace ed
un'altra decina di spine più piccole gli squarciavano la
schiena in minutissime ma profonde ferite.
Fu solo allora che lo
lasciò cadere a terra in fin di vita, per poi tenergli
premuta la testa a terra con la zampa e lanciare un ruggito verso il
cielo: ecco, ora era davvero soddisfatto, ed anche Robin Mask lo
sembrava da come stava applaudendo
-In altre circostanze sarei
intervenuto per romperti l'osso del collo, ma se c'è una
cosa che non tollero è la maleducazione e l'arroganza di
qualcuno che pretende la ragione quando non ce l'ha: bel lavoro,
davvero, se lo meritava e basta quindi non posso far altro che
ringraziarti per avergli messo la testa a posto.- si
complimentò andandosene e guardando il figlio steso a terra
schifato.
Era stato uno sforzo immenso
fare quello che aveva fatto, così si era accucciato a terra
mentre il torace si abbassava ed alzava a ritmo regolare ma accelerato,
così Jaqueline gli si sedette vicino:
-Non mi servirà
nemmeno più la scorta se adesso mi fai anche da guardia del
corpo personale no?- disse ridendo mentre giocherellava con la membrana
delle ali anteriori distese a terra
-Mai vista tanta violenza in
vita mia, sono sicura che non potrò mai annoiarmi di stare
insieme alla mia tenera ed iperprotettiva lucertolina da guerra, mai e
poi mai.- concluse alzandosi ed allungando le braccia per sgranchirsele.
In quel momento un urlo straziante squarciò l'aria
dall'interno del palazzo e capì costa stava accadendo solo
quando si affacciò sulla porta: a quanto pare Sergent era
ancora vivo dato che si era trascinato fino alla proprietà
del fratello, e dalle facce dei presenti inorriditi non era ridotto
bene.
No, in effetti c'erano
brandelli di pelle carbonizzata che pendevano dalle braccia e dal
petto, ma la rossa aveva già visto il risultato delle
torture qualche ora prima per cui non era particolarmente
impressionata, mentre King e Kid lo erano eccome.
King Muscle lo
aiutò a reggersi in piedi ma a nulla valsero le domande che
gli faceva dato che non parlava, o meglio voleva dire qualcosa ma il
virus aveva già distrutto la parte del cervello adibita alla
parola e le corde vocali, per cui doveva limitarsi ad emettere versi
animaleschi.
Ciao ciao resoconto delle
simpatiche ore trascorse con Bone Cold.
Kid cadde in ginocchio ed
iniziò a piangere: era
suo zio quello?
Lo era
davvero?
Sembrava più un
grumo informe di sangue, carne abbrustolita ed un braccio necrotizzato,
non la persona fiera e possente che era stato abituato a vedere e
infatti non ci volle molto perchè perdesse conoscenza e
crollasse fra le braccia del fratello, in evidente stato di shock, che
invitò tutti ad uscire, ma non prima che i giornalisti
presenti facessero foto dell'accaduto per metterlo su tutti i media
disponibili.
Belinda, nello scompiglio
generale, fu l'unica ad accorgersi di una figura femminile con il volto
coperto che se ne stava seduta sopra il grande lampadario di cristalli
del palazzo, così la indicò alle guardie che
cercarono di capire cosa fare.
Troppo tardi.
Un boato assordante, poi il
lampadario di cristalli esplose lanciando schegge ovunque e su
chiunque: gente che correva disperata perchè era stata
colpita, altra che non si rialzava ed altri ancora che seguivano solo
la massa.
Poi la ragazza
impugnò un arco e, dopo aver accuratamente preso la mira,
scoccò una freccia bianca con l'estremità, oltre
che ricurva in modo che faticasse ad essere estratta, intrisa di una
strana e vischiosa sostanza rosa-dorato che arrivò dritta al
cuore della regina, che si accasciò a terra tremante.
Era seguita un'esplosione,
nemmeno tanto violenta in realtà ma aveva rotto i vetri
delle finestre e sollevato in alcuni punti il pavimento
mietendo giusto qualche vittima, non più di cinquanta o
sessanta persone dato che l'obbiettivo per ora era quello di
distruggere la famiglia dei kinniku e non di metterci in mezzo dei
civili.
Jaqueline era riuscita a
starsene fuori dalla scenata con la scusa di aver dimenticato qualcosa
sull'astronave, però sentì comunque un brivido
percorrerle la schiena che Ricardo percepì abbastanza
perchè se la stringesse a sè per farla stare
tranquilla:
-L'avrà mandata mio
padre, poco ma sicuro.- asserì serio per poi tornare
all'astronave
-E' meglio se ce ne andiamo
come hanno già fatto parecchi, almeno potranno dire che non
eravamo noi i terroristi.- concluse e lei annuì.
Due a zero
per la dmp.
Era quasi mezzanotte e mezza quando arrivarono a casa, eppure le luci
erano ancora accese: Jaqueline entrò per prima e vide che
Cassandra era impegnata nel discutere con Oregon di come sarebbe andata
la festa e ci mise un po' prima di metterla a fuoco
-Siete già tornati
a quanto vedo, piaciuta?- domandò sapendo già la
risposta, così fu Ricardo a mettersi in mezzo -L'hai pagata
te vero?- chiese a suo padre che annuì soddisfatto
-Ovviamente, ha fatto un
ottimo lavoro non credi anche tu?- rigirò la domanda
alzandosi e standosene fermo a nemmeno cinquanta centimetri da lui.
Ecco, ora si ammazzano
pensò la ragazza mentre si scioglieva i capelli ma non
successe nulla di speciale dato che in effetti nemmeno all'altro
dispiaceva più di tanto.
-La prossima volta che vuoi
organizzare un omicidio avvisami, non voglio essere presente quando
esploderà un'altra finestra.- sentenziò facendo
per andarsene con Jaqueline in camera, ma Oregon aveva notato il sangue
che colava dalla spalla -Che cosa è successo?- chiese
sapendo benissimo che non era il suo sangue, così dovette
raccontargli anche tutta la storia di Kevin e quello che aveva fatto.
Ecco, se Oregon si fosse
ricordato come fare si sarebbe anche messo a piangere commosso, per cui
si limitò ad annuire applaudendo:
-La prossima volta finiscilo,
uno della Muscle League in meno fa sempre comodo.- lo
liquidò tornando a discutere con la compagna.
Salita al piano superiore
Jaqueline aveva voglia solo di dormire, non avrebbe retto un secondo di
più sveglia: era già una fatica togliersi il
vestito, motivo per cui si era già incastrata due volte nel
tentativo di farcela, e poi dove anche rivestirsi per andare a letto?
Ma anche no, nessuno le
impediva di girare per la stanza in reggiseno facendosi problemi, certo
non è che poteva andarsene così anche per la casa
ma in camera non aveva restrizioni, e quindi chi se ne fregava di
cambiarsi.
E poi Ricardo approvava la
cosa, come se avesse potuto lamentarsi.
Si infilò sotto le
coperte con una rapidità felina e, giustamente, se le prese
solo per sè, c'erano comunque venti gradi non è
che si congelasse eppure Ricardo si stava già lamentando del
fatto che lo volesse vedere morto per ipotermia:
-Sssh, tu dormi e non
lamentarti, le signorine hanno bisogno di restare coperte altrimenti
prendono il raffreddore.- rispose facendogli segno di stare zitto
-E poi le lucertole non hanno
bisogno di coperte, stanno calde già di per sè:
quindi se proprio vuoi torna la lucertolina psicotica e dormi in
giardino.- terminò spegnendo la luce.
Ok, Ricardo aveva seguito il
primo consiglio ma di andarsene in giardino proprio no, anche se in
effetti era difficile trovare una posizione comoda con quattro ali che,
se si fossero accidentalmente aperte, avrebbero fatto qualcosa come
sfondare le finestre; alla fine si accucciò per
metà vicino alla ragazza e per metà a terra, dove
la coda si avvolgeva intorno al letto circondandolo completamente.
Jaqueline accese la luce per
vedere cosa diavolo stesse combinando e si mise a ridere fiondandosi
sul tanto amato incavo fra le spalle e le ali:
-Ora sei il mio letto, se ti
giri mi uccidi e non voglio morire soffocata, quindi stai fermo e
dormi: non sognare bistecche ti prego, non voglio finire come Kevin.-
concluse chiudendo gli occhi.
No, non sarebbe andata come
Oregon si immaginava: no, non avrebbero fatto quello che lui pensava,
era quasi l'una di notte santo cielo, c'era appena stato un attacco
mezzo-terroristico e lei era ancora stremata per il pomeriggio passato
con Cassandra, volevano dormire e basta.
Per ora.
Wolfrain invece si stava crogiolando all'idea di aver fatto un ottimo
lavoro, degno di sostituire Bone Cold, più o meno: sarebbe
andato lui, lo avrebbe anche fatto volentieri, ma il suo polmone destro
era completamente collassato dieci minuti prima che partisse ed Honey,
l'unica dopo di lui che oltre alla mercenari faceva il medico, gli
aveva ordinato di starsene buono fino a quando non avesse un polmone
nuovo di zecca.
Il mercato nero procurava di
tutto, un polmone non era stato difficile da recuperare con dodicimila
dollari in tasca, considerando che legalmente ne avrebbero spesi
più di cinquantamila, ed aveva preteso che finisse sotto i
ferri lo stesso giorno.
Così, fra minacce
di ammutinamento, era seriamente riuscita a rimettere a nuovo anche il
polmone andato e mandarlo allegramente a quel paese quando si era
lamentato che gli avesse dato meno morfina di quella che gli spettava.
Era un insopportabile
arrogante e presuntuoso, ma era bravo a fare quello che doveva e
sopportava parecchio, forse anche troppo.
Quando Wolfrain era tornata
alla base lo aveva trovato intento a riflettere nella sala di comando
con un biscotto all'avena in mano:
-Vedo che stai meglio.-
azzardò cercando di distogliere lo sguardo dal taglio ancora
visibile sul petto;
-Non sono morto a quanto pare,
dovrai sopportarmi ancora per molto tempo.- rispose lui lasciando
perdere il biscotto -Ora potrò vantare una cicatrice in
più, posso competere con Hanzo d'ora in poi.-
sentenziò riprendendo a scegliere quale fra i due biscotti
mangiare per primo.
In effetti, ora che ci
pensava, non sentiva il suo amichetto mentalmente imprevedibile da
più di otto ore e gli aveva detto che lo avrebbe raggiunto,
così cercò di mettere insieme due parole per
avvisarlo che sarebbe arrivato:
No, non sono morto, anzi in realtà sono più vivo
di prima.
Merito dei
biscotti, davvero.
Comunque
penso di arrivare fra un'ora, non di più, e su Iga
sarà quasi notte quindi vedrò di sbrigarmi, fammi
trovare dei biscotti all'avena quando arrivo.
Per favore
eh, ti chiedo addirittura per favore.
Ok, mi
devono aver sostituito anche il cervello.
P.s. La
mia cicatrice è più interessante della tua, ora
sono io quello più competente.
P.p.s. No, quelle sulla schiena
non si contano.
Ed aveva mantenuto la promessa: all'una e quaranta di notte era
atterrato su Iga e, siccome la regina aveva già avvisato le
guardie di palazzo che sarebbe arrivato, era entrato senza destare
problemi.
Le due lune illuminavano il
cielo di una tenue luce biancastra la prima ed azzurro brillante la
seconda, creando intricati giochi con l'acqua della vicina cascata dove
le onde si increspavano alla riva e, spruzzando schizzi d'acqua,
riflettevano bagliori simili ad un arcobaleno dorato e verde smeraldo.
Non si fece troppi problemi ad
irrompere nella stanza di Hanzo senza nemmeno bussare, d'altronde lo
conosceva e non era certo un estraneo;
l'unica cosa che
capì era che lo stava guardando male, molto male.
Voleva ucciderlo?
Strangolarlo? Aprirlo in due come un animale?
Si limitò a
sospirare irritato come se lo stesse già aspettando da un
po', poi Bone realizzò che doveva essere più
stanco di quanto pensasse appena arrivato
-Stavi già dormendo
per caso? chiese per curiosità e l'altro annuì
poco convinto
-Ci stavo provando, mio padre
non mi ha dato tregua un solo secondo da quando sono qui-
spiegò per poi squadrarlo -Che ti sei fatto?-
domandò indicando la cicatrice sul petto con ancora i punti
visibili
-Niente di che, sono reduce da
un trapianto di un dolce ed allegro polmone che si diverte a farmi
respirare decentemente.- ironizzò sedendosi sul bordo del
letto e studiando la stanza mentre il compagno si sedette a sua volta
-Il braccio ti fa ancora male?- chiese per non passare per quello che
se ne fregava di tutto e di tutti
-Oh sì certamente,
mi hai solo frantumato la spalla brutto idiota che non sei altro, se
avessi saputo prima che lo avresti detto a mia madre ti avrei
già fatto fuori, su questo puoi contarci.- disse infastidito
-Comunque no, non fa più così male.- rispose
girandosi dall'altra parte annoiato
-E' già tardi Bone,
per questa notte dovrai accontentarti di dividere il mio letto, la mia stanza ed i miei biscotti:
non provare a mangiar... Eh? Santo cielo sono miei!- gli
urlò contro, ma a quanto pare gliene importava ben poco dato
che si era già messo a mangiarli
-Eh? Oh davvero? E va beh,
domani ne avrai altri, per ora li prendo io.- rispose fingendo di non
sapere di cosa stesse parlando e cercando ti tenere la bocca chiusa al
momento giusto
-Ora dormi e stai zitto, buona
notte, buon mattino e tutto quello che vuoi, ma dormi e stai zitto,
z-i-t-t-o.- gli
intimò spegnendo la luce, che puntualmente Bone si
divertì ad accendere e spegnere come un bambino per dieci
volte buone.
Sarebbe stata una notte lunga
per sopportarlo, molto lunga.
_______________________________________
Angolino dell'autrice
(Stessa cosa di sempre, ho ancora il computer mezzo andato quindi
scusate gli errori grammaticali, varie ed il testo più grande).
Settimo capitolo :3
Niente di speciale, solo un
attentato, un morto/zombie che cammina ed un simpaticissimo polmone che
fanno festa :D
Comunque, non so ma mi sono
divertita a scriverlo, anche perchè non vedevo l'ora di
scrivere il prossimo; non ho nulla di speciale da dirvi se non
insultatemi, amatemi, datemi dodici mila dollari come Bone o recensite
:3
Vi dico solo una cosa per il
prossimo capitolo: l'unico antidoto per il veleno che ha colpito Belinda
è un fiore che cresce sul corno di un unicorno alato xD
|
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Capitolo 8 *** Due di picche... equino ***
La notizia di ciò che era avvenuto alla festa era
praticamente di dominio pubblico, da internet ai telegiornali, era
ovunque; Oregon e Cassandra, seduti nell'ampio salotto, stavano
ascoltando le prime notizie del mattino con un'espressione vagamente
soddisfatta mentre una giornalista in diretta televisiva stava parlando
dei fatti accaduti:
L'attentato di questa notte ai danni della famiglia Muscle e
dell'intera Muscle League ha provocato più cinquantasette
morti e circa duecento feriti, numeri irrisori se paragonati alle
perdite della nobile famiglia del pianeta Muscle: il fratello maggiore
del re è stato trovato in condizioni tali da necessitare
l'amputazione del braccio sinistro proprio poche ore dopo il suo arrivo
e, nonostante la prognosi sia riservata, alcune indiscrezioni affermano
che gli rimanga ben poco tempo da vivere.
Sembra infatti che sia
stato torturato, come dimostrano le numerose ustioni e bruciature, con
un potente acido ancora non identificato con una certa violenza,
inoltre pare che abbia perso ogni cognizione del tempo e delle persone
intorno a lui nonchè la parola.
La stessa sorte
è toccata alla regina consorte, trafitta da una misteriosa
freccia avvelenata scoccata da chissà dove e da
chissà chi, probabilmente da qualcuno con interessi nella
morte dei membri della famiglia reale.
Nonostante i primi
sospetti siano ricaduti sulla dmp e sugli ex detenuti appena liberati
è stato dimostrato che tutti avevano un alibi di ferro al
momento dell'attacco sia del sergente che della regina, motivo per cui
la polizia sta letteralmente brancolando nel buio.
Che sia la fine dei
kinniku?
Qui dal pianeta Muscle
è tutto, a voi la linea.
Cassandra stava ancora facendo colazione quando aveva visto le notizie
e beh, sentir parlare di gente sciolta nell'acido non è che
le mettesse addosso chissà quale appetito: -E' stata una
mossa intelligente sì, ma avrebbero potuto scoprire tutto se
il tuo nuovo esecutore personale avesse lasciato anche il minimo
particolare in giro che avrebbe potuto attirare l'attenzione- disse
eprplessa -Fortunatamente non è successo, cosa vuoi fare
ora?- domandò perplessa continuando a bere del latte con
alcuni biscotti che, puntualmente, cadeva non appena cercava di
addentarli con conseguente fila di imprecazioni gratuite.
Oregon allora si alzò e fece per salire al secondo piano:
-Cercheranno l'antidoto, che si trova solo su Iga, ma ho già
preso accordi con Soichiro e Mizuki- spiegò alla compagna
-Quindi per ora vorrei limitarmi a svegliare quei due: sono quasi le
dieci e ci sono parecchie cose da fare, potranno dormire anche dopo.-
la liquidò velocemente.
Ecco, non è che trovarsi davanti una ragazza mezza nuda che
come coperta usa la membrana di un'ala di cinque metri rischiando di
tagliarsi la gola da sola sia proprio l'ideale per iniziare la
giornata: -Ho interrotto qualcosa per caso?- domandò
incrociando le braccia sull'entrata della camera svegliando Jaqueline
che impiegò qualche secondo per capire cosa stesse
succedendo: -Non è quello che sembra, lo giuro!-
cercò di spiegare coprendosi
-Non-è-quello-che-sembra.-
Fortunatamente Ricardo si era svegliato a sua volta ed aveva
già capito quello che stava pensando suo padre:
-No, decisamente no.- asserì secco ed Oregon
sembrò convincersi, eppure se ne stava fermo -Vedete di
darvi una sistemata e scendete, ci sono alcune cose che dovrei
spiegarvi.- concluse andandosene.
Scesero dopo una decina di minuti e si sistemarono di fronte a
cassandra dato che l'altro girava nervosamente per la stanza -Cosa
è successo?- domandò la rossa, che solo dopo fece
caso al notiziario e restò ammutolita, così
Oregon prese la parola
-E' arrivato il momento che anche il resto della nebulosa sappia che la
dmp è pronta a prendere il potere quando la Muscle League
cadrà e so già che, dopo aver cercato l'antidoto
su Iga e non averlo trovato, verranno qui a trattare per cercare un
compromesso al fine di salvare la regina, ma non voglio essere io a
rifiutare la proposta altrimenti potrebbero pensare che sia tutto un
mio piano, anche se è effettivamente così.- disse
prendendo fiato
-Per questo voglio che sia tu a parlare con King e compagnia bella
quando arriveranno- continuò rivolto verso Ricardo
-Un giorno tutto questo sarà tuo e voglio che tu
sia già ora in grado di gestire le questioni burocratiche
senza dare nell'occhio: togli ogni speranza a quei falliti, combatti
contro Kid Muscle e prendi il controllo dell'intera nebulosa, non ti
chiedo altro.- concluse più serio di quanto fosse
solitamente.
Il silenziò più profondo calò sui
presenti: -E' quello che ho intenzione di fare ma non correre troppo
sulle storie di conquistare mezza galassia, mi servirebbe pi di un
esercito per questo.- rispose ironizzando la cosa mentre suo padre lo
fissava con un'espressione indecifrabile
-Iga, Arkanta, Dokuro ed Hydros: quattro pianeti e quattro eserciti, ma
per fare una cosa simile è necessario che sia tu a prendere
accordi con le alte cariche in questione, Iga in primis dato che Dokuro
ed Hydros sono in parte già sotto l'influenza di Arkanta.
Tutto chiaro?- domandò e lui annuì, non che
avesse comunque scelta.
Jaqueline si intromise, giusto per capire cosa c'entrasse: -E io cosa
c'entro in questa storia?- domandò come se tutti si fossero
dimenticati di lei, ma Oregon ne aveva anche per la ragazza -Dal
momento che tu hai diverse conoscenze nella Muscle League devo sapere
se sei pronta a rinunciarci per stare dalla parte della dmp-
spiegò anche a lei che rimase allibita
-E comunque se un giorno, facciamo un'ipotesi,
tu decidessi di sposarlo saliresti al trono come imperatrice
ereditaria; immagino sia inutile che io stia qui a spiegarti le
responsabilità che ne derivano, per cui te lo chiedo: sei
d'accordo o vuoi fermarti qui?- chiese senza darle troppo tempo per
pensare.
Ma non ne aveva bisogno, ci aveva già pensato da quando
aveva parlato della cosa con Cassandra:
-Non ho intenzione di tirarmi indietro nè per quanto
riguarda separarmi dalla Muscle League nè per i miei
impegni, presenti e futuri: se ci sarà bisogno di me ci
sarò, nella vittoria e nella sconfitta, anche se la vedo
dura di essere sconfitti, sarò sempre presente, è
una promessa.- rispose con tono quasi autoritario.
Oregon finalmente sembrava davvero soddisfatto, così
liquidò entrambi:
-Benissimo, ho sentito quello che volevo sentire da tutti due
quindi andate pure a fare quello che volete, non ho particolari
richeiste per oggi, vedete di prendervi una giornata libera e non
pensate agli omicidi almeno fino a domani.- terminò
lasciando che se ne andassero in giardino.
Cassandra si avvicinò al compagno e gli mise le braccia
intorno ai fianchi:
-E' la cosa giusta averne parlato subito, almeno sanno cosa li
aspetta.- asserì e l'altro annuì .
Lo so, spero solo siano
pronti per una guerra Cassandra, lo spero proprio
pensò.
Su Iga, come aveva previsto Oregon, erano arrivati King Muscle, Master
Minch, Kid e Meat per chiedere udienza all'imperatrice, dato che
l'imperatore era impegnato con altre questioni su alcuni pianeti
vicini, sulla questione dell'antidoto al veleno.
Quest'ultimo era infatti stato ottenuto, secondo i medici di palazzo,
da alcune pianete che crescevano nei mari del pianeta Hydros, ai
confini della nebulosa, e l'unico antidoto esistente era l'estratto di
un fiore molto raro, per non dire introvabile
che, su basi storiche e mitologiche ma fondamentalmente confermate,
cresceva sul corno di un unicorno alato chiamato Shannara, che
rappresentava la vita eterna, mentre un altro antidoto, mai provato
prima, era quello posseduto dall'unicorno alato Aerandir,
l'incarnazione della morte vera e propria.
Che tanto per cambiare vivevano su Iga.
Anzi, Shannara in
realtà era il destriero dell'imperatrice stessa.
Ecco.
Ma a quanto pare Mizuki non era in casa, bensì alla radura
vicino alla cascata per parlare con le altre sacerdotesse di questioni
legate all'imminente cerimonia di incoronazione che si sarebbe svolta
da lì all'indomani, e poi aveva già preso accordi
con Oregon sul da farsi.
Aveva praticamente lasciato il palazzo reale in mano a Bone Cold ed
Hanzo che, giusto perchè suo padre era assente, aveva preso
ufficialmente il ruolo di imperatore almeno per qualche ora: era
inutile dire che si sentisse incredibilmente potente a fare il
dittatore, motivo per cui preferiva starsene seduto sul trono di suo
padre piuttosto che assistere ad un mercenario con problemi psicologici
che si drogava di biscotti all'avena e latte.
Dio, a trent'anni suonati si aspettava alcool a litri, non latte.
Minch fu il primo ad entrare e sinceramente si aspettava di trovarsi
davanti Mizuki non un ventisettenne che si credeva un po' troppo in
cima al mondo, per cui restò un po' allibito: -Hanzo?
Com'è che sei qui?- domandò confuso, ma appena
l'altro sentì quelle parole tirò fuori la spada e
prese a studiarla
-Piuttosto mi chiedo come ti permetti di darmi del tu, Minch- disse
scendendo dal trono
-Si da il caso che in questo momento sia l'imperatore, quindi mi
aspetterei un vostra
maestà quando qualcun si rivolge a me,
chiaro?- asserì con una certa arroganza ritirando la spada.
Bone si stava divertendo, parecchio dall'espressione che aveva, eppure
si teneva fuori dalla conversazione, Minch allora si dovette adattare
alla situazione
-Bene, vostra
maestà, mi chiedevo se poteste dirmi dove si
trova l'imperatrice Mizuki in questo momento, sempre che non siate
occupato con i doveri reali.-
Hanzo lo fissò per un po' senza muoversi, poi fece segno a
Bone di seguirlo e guidò gli altri fino alla radura dove si
trovava sua madre con alcune donne intorno:
una delle sacerdotesse fece un breve inchino che gli altri imitarono,
poi chiamò Mizuki
-Vostra eccellenza, il sovrano del pianeta Muscle chiede udienza al
vostro cospetto.- disse con tono solenne, e solo allora anche l'altra
si decise a fare l'ormai consueta entrata trionfale degna del suo nome.
Era sul dorso di un cavallo mastodontico, esageratamente grande
rispetto ad un cavallo normale con quei tre metri abbondanti di altezza
fino alla testa, eppure aveva comunque una grazia innaturale: il manto
era castano chiaro con alcune macchie circolari più scure
che salivano fino alle orecchie, poi dal torace fino alle zampe
diventava di un bianco latte, che si incontrava con il beige-dorato
degli zoccoli, come anche la punta del muso.
A parte le dimensioni sarebbe stato anche un cavallo piuttosto comune,
se non fosse stato per due particolari: delle grandi ali dello stesso
colore del manto ed un corno color oro al centro della fronte, intorno
al quale cresceva una piccola pianta simile ad un'orchidea bianca con
le punte rosse e nere striate di giallo.
Al suo fianco si stagliava un altro cavallo per dimensioni e forma
simili al primo solo che era di un grigio scuro screziato di bianco, a
parte il corno dorato su cui crescevano diversi fiori molto simili a
gigli azzurri e bianchi con le punte nere; ok, incuteva un certo timore
ma dio, sdraiarsi a terra con la pancia all'aria per farsi grattare
come un gatto da Hanzo era anche peggio che trovarselo davanti di notte.
E sembrava anche soddisfatto della cosa.
Il cavallo si intende.
Tralasciando i grattini con tanto di pseudo-fusa o pseuso-nitriti o
come dir si voglia, Mizuki aveva un'aria vagamente malvagia negli
occhi, come se stesse solo aspettando il momento giusto per azzannare
al collo la sua preda e lasciarla morire lentamente.
Non era proprio come Oregon certo, non avrebbe potuto fare fisicamente
una cosa simile, ma moralmente lo poteva fare eccome, per cui non
tardò con le frecciatine:
-Cosa volete?- domandò secca senza scendere da cavallo,
così King decise di farsi avanti: -Belinda è
stata avvelenata da qualcuno e necessita urgentemente dell'antidoto-
tagliò corto lui -Sappiamo che la soluzione ai nostri
problemi è avere l'estratto di quel fiore- spiegò
indicando quello che cresceva sul corno del cavallo dove era seduta
l'imperatrice
-Ti prego Mizuki, permettici di recidere il fiore e salvarla, te lo
chiedo per favore.- la pregò con le lacrime agli occhi, poi
lei scese e lo fissò disgustata
-Perchè?- chiese semplicemente.
Nessuno osò rispondere.
Il re allora ritrovò il coraggio per un ultimo sforzo di
volontà:
-E' mia moglie!- gli urlò contro -Tu devi salvarla,
è un tuo dovere come imperatrice aiutare i sovrani dei
pianeti vicini!- continuò per poi calmarsi improvvisamente.
E di nuovo silenzio.
Poi la donna iniziò a camminare avanti e indietro per
qualche minuto, per fermarsi alla fine davanti a King: -Chi
è per me Belinda?- chiese;
lui allora la guardò confuso
-Beh... una... una conoscente, e mia moglie...- rispose ma non aveva
finito
-Ok, e tu chi sei per me?- continuò l'altra
-Io? Io sono il sovrano del pianeta Muscle!
Sei impazzita forse?- rigirò la domanda infastidito, e lei
fece segno di no:
-No no King, chi sei tu? Oltre che a sovrano di chi sei fratello?-
chiese ancora ed il re si trovò spiazzato
-Di Ataru, perchè?- domandò ancora ed allora lei
lo fulminò con lo sguardo
-Ataru...- ripetè -Sono felice che stia morendo sai?
Pagherà per tutto King, tutto, dalla prima goccia di sangue
all'ultima: non c'è perdono per coloro che si mettono contro
la famiglia reale di Iga, nessuno escluso.- disse con un certo tono di
rabbia che Hanzo aveva colto fin troppo bene.
Ecco, ora inizia con la
drammatica storia della mia vita pensò
abbastanza irritato, cosa che Bone non evitò di commentare
con le sue solite risatine malefiche da psicopatico mentalmente
instabile.
La donna tolse la spada dal fodero ed iniziò a passare la
mano sulla lama come se fosse pronta ad usarla:
-Da dove devo iniziare?- chiese senza attendere la risposta
-Oh sì, parliamo del fatto che quel poco di buono di tuo
fratello passava le sue serate andando con le prostitute e quando
ubriacava come un alcolizzato si divertiva a torturare gente a caso, ma
proprio a caso eh, eppure no, non ha vinto, e sai perchè?
Perchè mio figlio domani sarà l'imperatore di
questo pianeta, quello che dichiarerà guerra a quel pezzente
ammasso di manzo e riso che è il tuo bambino adorato e che
gli aprirà la testa come se fosse una noce di cocco, ecco
perchè Ataru ha perso King, e così
sarà per voi kinniku: ammiro coloro che hanno attentato alla
vita dei tuoi famigliari, li sposerei anche se non avessi
già un marito, ma hanno fatto bene.- concluse per poi
riprendere
-Vuoi l'antidoto? Attaccati allegramente ai tuoi amici allora.-
terminò risalendo a cavallo -Andatevene e non tornate, Iga
non ha nulla da spartire con voi.- terminò facendo per
andarsene.
Kid non l'avrebbe sopportata un minuto di più: era
così terribilmente arrogante e presuntuosa, pensava di
essere chissà chi.
Poi Mizuki tirò la frecciatina finale, quella che aspettava:
-Salutami quel tossico di tuo fratello e quella putt**ella della tua
mogliettina King, ciao ciao.- disse ridendo.
No, non l'avrebbe
sopportata.
Le si lanciò contro pronto a darle un pugno in pieno volto,
non poteva permettersi di dire quelle cose, non dei suoi famigliari.
Pessima mossa.
Hanzo aveva fatto qualcosa come conficcargli la spada che teneva sul
fianco sinistro nella spalla facendolo crollare a terra tra dolori
lancinanti: non che un pezzo d'acciaio fosse particolarmente pericoloso
se tenuto da qualcuno che non sapeva come usarlo, ma nelle mani giuste
staccare l'omero dalla sua sede non risultava così difficile
o impegnativo.
Bone osservava compiaciuto: se quello era ciò che poteva
fare con un braccio ancora non del tutto ristabilito era parecchio
preoccupato di cosa fosse in grado di fare da lì a qualche
giorno, magari gli avrebbe tranciato una mano se avesse cercato di
rubargli i biscotti.
No, era meglio tenersi alla larga dai biscotti altrui.
In quel momento avvicinare la donna era letteralmente impossibile:
con due criminali che erano peggio di due guardie del corpo, lei che si
divertiva a fare la samurai ed un'altra decina di guerriere poco
lontane era meglio andarsene, ed alla svelta se non volevano essere
fatti fuori.
Cosa un po' impossibile per Kid dato che ora era schiacciato a terra da
un cavallo di una tonnellata abbondante che non sembrava d'accordo con
la cosa:
-Scusati con
l'imperatrice, mortale, o la tua testa finirà in poltiglia.-
disse una voce che aveva tutto tranne che qualcosa di
umano.
Cioè, quel..
coso... parlava?
Davvero?
Probabilmente era ancora sotto shock, sì.
E invece no dato che anche suo padre e Meat avevano sentito:
-Ehm, Mizuk.. cioè vostra maestà: ci dispiace
moltissimo per l'esagerata reazione di Kid ma vede, è molto
immaturo e... insomma, vi prego di lasciarci andare vivi se potete.- la
pregò Meat in ginocchio e lei fece un segno allo stallone
che tolse lo zoccolo
-Dovete scusare Aerandir, è parecchio... irritabile, quindi
vedete di andarvene, ora.- li liquidò e, dopo che gli altri
ebbero aiutato il giovane ad alzarsi, sparirono sulla loro astronave.
-Non sono irritabile
vostra maestà, sono razionale: quell'idiota avrebbe potuto
ferirvi, non è prudente lasciarlo andare.- riferì
pestando gli zoccoli a terra, ma l'altra non sembrava preoccupata:
-Pazienta e calma il tuo spirito, Oregon ed io abbiamo già
preso accordi per questo.- rispose calma accarezzando l'altro animale,
che aveva un qualcosa di fin troppo tranquillo negli occhi:
-Infatti Aerandir, tieni
a bada i bollenti spiriti.- disse ironica, dato che era
una signorina eh, nitrendo soddisfatta senza che l'altro la ascoltasse.
Hanzo, infastidito da quel litigo fra cavalli-unicorni-quel-che-erano,
fece segno a Bone Cold di seguirlo: -Possiamo andarcene?-
domandò e aua madre annuì
-Andate pure, non penso che torneranno di nuovo: fate quello che
più vi aggrada, io finisco alcune cose qui.- li
liquidò velocemente per poi veder andar via anche loro.
Scese ancora da Shannara, quello era il nome della sua compagna
versione cavallo alato o qualcosa di simile, ed iniziò ad
accarezzarle il muso mentre l'altro si puliva le ali da alcune foglie
rimaste impigliate fra le piume:
-Domani sarà un giorno perfetto, vorrei che mi aiutaste a
tenere a bada situazioni come questa se dovessero presentarsi.- disse
ai due cavalli che la guardarono e fecero un breve inchino poggiando le
zampe anteriori a terra
-Sarà fatto, vostra maestà.- risposero entrambi
all'unisono.
Ci sperava, ci sperava parecchio che sarebbe stato un giorno perfetto.
Altrimenti lo avrebbe fatto diventare tale.
___________________________________________
Angolino dell'autrice
Ottavo capitolo :D
Prima di tutto faccio una premessa che vorrei leggiate, tanto chi
è coinvolto capisce perfettamente di cosa sto parlando: io
non scrivo per piacere agli altri, scrivo per piacere a me stessa, non
vi piace la ff?
Ditemelo esplicitamente,
non cercate scuse per dirmi in modo indiretto che non vi vanno a genio
i personaggi: immaginate cosa possa interessare a me che non vi va bene
se il vostro personaggio preferito muore, se mi fa schifo lo uccido lo
stesso gente, non è che se vi lamentate cambio la trama per
farvi un piacere (scusate il tono un po' arrogante e prepotente, ma
questa storia la voglio chiarire subito così che non mi
trovi recensioni pseudo-positive dove devo leggere fra le righe per
interpretare certe cose che in realtà sono abbastanza
deducibili).
Perchè se scrivete cose che non pensate me ne accorgo cosa
credete, ho preso abbastanza schiaffi dalle persone fino ad ora quindi
lo capisco perfettamente, non sono così ingenua.
Io faccio del mio meglio, non ho una grande autostima verso
ciò che scrivo, quindi vi pregherei di essere sinceri: non
lo fate per me e basta, ma anche per voi stessi che almeno non mentite
alla sottoscritta ed alla vostra coscienza.
Punto.
Passiamo alla ff: come avete letto Mizuki è incredibilmente
str...... :D
Ed anche Aerandir e Shannara lo sono, si fanno fare i grattini sulla
pancia awwww (?)
Comunque ve lo dico subito: Belinda morirà, mi sembra ovvio
ormai, Ataru anche, altra cosa già anticipata, quindi se non
vi va bene fermatevi e non leggete oltre in questa ff così
da risparmiarmi scuse da leggere, e magari anche il resto dei kinniku
verrà fatto fuori ma devo ancora decidere il da farsi.
Oregon intanto pianifica già imprese per mezzo mondo e, con
due imminenti ascese al trono, prevedo tempi duri per la Muscle League
ed i Muscle, soprattutto perchè tra poco qualcuno
finirà fuori dai giochi in modo imprevisto (no, non
è chi pensate)
Va beh: amatemi, sputatemi in faccia, odiatemi, sposatemi, baciatemi
(?) e, se volete, recensite sinceramente.
Vi lascio unna piccola idea di come siano Aerandir (quello grigio) e
Shannara (quella marrone): NON li ho disegnati io ma sono stati fatti
con i lgioco "Fantasy Horse Maker" trovato su Doll Divine.
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Capitolo 9 *** Meduse e complotti ***
Dopo
il via libera da parte di Oregon Jaqueline aveva trascinato Ricardo a
Copacabana per passare finalmente una giornata senza omicidi, intrighi e
mercenari che scioglievano la gente su commissione.
Fortunatamente non
c'era nessuno in giro a quell'ora, merito anche del fatto che la loro
fetta di spiaggia privata era separata dal resto, per cui non si
sarebbe certo risparmiata con l'abbronzatura: quando c'erano Oregon o
Cassandra o chiunque altro si limitava a starsene con dei bikini, se
così si potevano definire quei costumi striminziti che le
coprivano a malapena le forme, altrimenti si dava al topless.
D'altronde doveva pur
avere un'abbronzatura perfetta.
E puntualmente l'altro
nemmeno commentava: santo cielo, avrà pur dovuto avere un
qualche istinto animale, o qualcosa di simile insomma, nel vederla
praticamente mezza nuda, per non dire quasi completamente eppure no,
sembrava totalmente disinteressato alla sua ragazza che se ne andava in
giro sperando di ottenere qualcosa.
E con qualcosa
intendeva di finirci a
letto, possibilmente non solo per litigarsi la coperta
come solito.
Ok, non quando si
trovava nella forma origine ovviamente, tipo in quel momento o in
qualunque altro istante in cui non fosse impegnato a fare la persona
normale o almeno provarci.
Quando finivano in
spiaggia si sotterrava puntualmente sotto la sabbia rovente con la coda
che spuntava a malapena dal terreno, tipo potenziale trappola mortale,
e se ne stava lì a cuocere sotto il sole e, nonostante
Jaqueline fosse convinta che le lucertole aliene non avessero bisogno
di arrostire con quaranta gradi all'ombra, poteva starsene fermo ore
intere senza muovere un muscolo.
Ed era una cosa che la
ragazza non riusciva sopportare.
Essere ignorata si intende.
Stanca di
starsene lì mezza nuda si rimise la parte superiore del
bikini, non che cambiasse molto in realtà, e decise di farsi
un bagno nonostante fosse passata nemmeno mezz'ora dalla colazione: non che gliene importasse, era
abbastanza grande da decidere cosa fare da sola.
In teoria.
Guardò
verso la spiaggia e niente, se ne stava ancora acciambellato sotto uno
strato di sabbia di almeno tre o quattro metri, tuttavia fu una medusa
criniera di leone che si stava spiaggiando a ribaltare la situazione.
Associare le parole
istinto e cibo per un raptor era come associare alcool ed alcolista,
non c'era niente di più simile.
Ricardo, almeno quando
si trovava in una forma definita da rettile-psicotico-cresciutotroppo-in-fretta-con-istinti-omicidi-verso-la-gente-che-ha-intorno,
non si faceva grossi problemi ad attaccare una delle creature
più velenose del pianeta, anche perchè con la
corazza che ricopriva il corpo c'era ben poco da avvelenare, e poi non
aveva fatto colazione per cui doveva approfittarne: non che quella cosa
molliccia e gelatinosa potesse essere così appetibile come
una person... ehm un animale, ma era meglio che aspettare qualche
granchio infilati sotto una coltre di sabbia.
Jaqueline ne aveva
approfittato per saltargli al collo cercando di non pungersi con quella
cosa che dimenava i tentacoli cercando di liberarsi dalla presa, anche
se si arrese pochi secondi dopo, e si era sdraiata sul dorso scostando
le ali e lasciando che si distendessero nell'acqua mentre ne prendeva
una fra le mani e la osservava controluce.
Era molto
più liscia di qualsiasi altra cose che avesse mai toccato,
stranamente morbida ed attraversata da migliaia di piccole vene come se
fossero ramificazioni di un grosso albero: non aveva ancora capito come
una membrana così sottile riuscisse a muovere abbastanza
aria da sollevare tre tonnellate abbondanti senza rompersi, era
biologicamente ed aerodinamicamente impossibile per una qualsiasi
creatura terrestre o simili, cosa non proprio verificata dato che i
raptor usavano le ali più come arma che per svolazzare da
una rupe all'altra.
Qualche minuto dopo
della tenera ed innocente medusa non restava che qualche tentacolo
sparso nell'acqua, probabilmente ancora abbastanza pericoloso da
tenersene alla larga:
-Mio dio ma che
schifo!- esclamò lei lamentandosi
-Ok per gli animali,
ok per i serpenti, ok anche per le persone ma santo cielo, le meduse
fanno proprio schifo!- continuò stizzita sporgendosi
sull'acqua ed osservando schifata i brandelli di tentacoli
galleggianti; era schifoso sì, era davvero schifoso
immaginarsi il corpo molliccio di una medusa esplodere letteralmente
fra le fauci di una lucertola, non era il miglior modo per iniziare la
giornata.
Si lasciò
scappare un ringhio di disapprovazione e lasciò correre la
cosa, quando si trattava di cibo non è che si potesse fare
troppo gli schizzinosi per raggiungere il quintale giornaliero
necessario a sopravvivere decentemente con Oregon in giro.
Dopo una ventina di
minuti sdraiata a prendere un po' di sole sul dorso di una lucertola si
stava ormai per addormentare, se non fosse che cadde rovinosamente
nell'acqua quando meno se lo aspettava:
-Quante volte devo ripetertelo!- gli urlò contro con i
capelli che gocciolavano
-Avvisami quando cambi
forma, avvisami.-
si lamentò strizzandosi le ciocche rosse dalle quali delle
piccole gocce d'acqua brillavano alla luce solare.
Ricardo la guardava
con la solita aria strafottente indecifrabile che aveva praticamente
sempre e, per quanto si stesse sforzando di rimanere minimamente serio,
era impossibile esserlo quando Jaqueline faceva la finta offesa:
-Santo cielo, ti sei bagnata i capelli, questa sciagura potrebbe
portare il mondo verso il baratro.- ironizzò mentre l'altra
sospirava nervosamente
-Ah-ah-ah, molto divertente,
davvero: sarebbe un peccato se qualcuno volesse andare a
fare shopping e chiamasse un altro paio di amiche e, casualmente, tu
fossi l'unica persona che potrebbe accompagnarci.- disse con aria di
vittoria e l'altro alzò le mani in segno di resa
-Ok ok ok, la smetto,
ma non provare a chiamare quelle sottospecie di oche schizofreniche mentalmente
propense allo shopping ossessivo-compulsivo: potrei non
essere responsabile di eventuali omicidi, tanto per avvisarti, e
comunque potrebbero fare la fine della medusa.- asserì
sospirando.
Lei lo
guardò divertita: -Piacerebbe anche a me che al posto di
quella medusa ci fossero state quelle sgualdrine: sono così
squallidamente... plebee.- continuò giocando con i capelli;
-Oh, guarda chi ha
parlato, la principessina di casa McMadd che sfrutta padre e fratello
per i propri interessi: sei tremendamente crudele, senza contare che
sono io quello che si sente dare dello psicopatico mentre dovresti
esserci tu al posto mio.- sentenziò mettendole le mani
intorno ai fianchi mentre era ancora girata di schiena
-Ed è un
buon inizio per entrare nelle grazie di mio padre, ma a quanto pare lo
hai già capito di tuo.- concluse mentre lei rideva
-Ho dovuto capirlo per
forza quando mi sono trovata davanti una sorta di rettile che mi
intimava di andarmene o mi avrebbe ammazzato, la gente sana di mente
non sarebbe sopravvissuta: e poi fra psicopatici ci si intende.-
rispose soddisfatta che i capelli fossero finalmente asciutti.
Se non fosse che
accidentalmente, mentre se li stava sistemando, il suo dito si
impigliò nel laccetto del bikini che giustamente la
lasciò a seno scoperto.
No, non lo aveva fatto
volontariamente.
No no.
Ok, in
realtà sì, era stata un'azione premeditata per
ottenere qualcosa.
L'altro
non si scompose nemmeno di un dannato millimetro:
-Pervertita.- disse
senza girarci troppo intorno lasciandola con un pugno di mosche in mano
ed una espressione parecchio delusa
-N-non è
vero!- si giustificò lei -Non ho fatto apposta!-
cercò di convincerlo senza riuscirci
-Davvero! continuò sbracciandosi come un'isterica mentre
l'altro la guardava allibito.
-Dovrei andare in giro
con qualcuno vicino quando ci sei tu in giro, potrei seriamente
rischiare di essere stuprato
da questa piccola e tenera principessa delle maniache dai capelli
rossi.- ci scherzò sopra mentre la ragazza continuava a
provare a giustificarsi senza risultato
-Non sono una
ninfomane, sei tu quello...all'antica- disse senza capire nemmeno lei
quello che voleva far intendere.
Ricardo era tutto:
egocentrico, manipolatore, psicopatico, bipolare, sadico, schizofrenico
e probabilmente aveva anche un disturbo dissociativo
dell'identità.
Ma non un maniaco.
Quella era Jaqueline.
Lei iniziò,
per evitare di continuare, a studiare la catena che scendeva dal polso
sinistro come se fosse incredibilmente interessante:
-Non voglio che tu inizi a pensare che io sia una pervertita solo
perchè voglio qualcosa di più dal dormire nello
stesso letto, è solo che pensavo che potessimo...
sì cioè...- non fece in tempo a finire che venne
zittita
-Stammi a sentire, te
lo dico subito così evitiamo di litigare la prossima volta:
sai meglio di me che vogliamo la stessa cosa entrambi, te l'ho
già detto una volta, ma ora come ora non è il
momento giusto; tutti questi omicidi e complotti di corte sono
pericolosi e non voglio che tu ci finisca in mezzo.
Quando mio padre si sarà dato una calmata ed avrà
almeno in parte ottenuto ciò che vuole, e cioè
quando Iga avrà finalmente accettato l'alleanza, le acque si
saranno temporaneamente calmate e potremo ripensarci.-
spiegò mentre lei lo fissava in modo indecifrabile
-Dovrai, o meglio
dovremo, aspettare ancora qualche giorno, mi dispiace.- concluse mentre
la ragazza si era girata e gli aveva messo le mani intorno al collo.
Almeno ora aveva una
spiegazione sensata.
-Non fa niente,
preferisco aspettare piuttosto che fare tutto di fretta.- lo
rassicurò stringendosi al suo petto
-Ma non provare a toccare un'altra medusa o giuro che potrei vomitare.-
terminò ridendo e riprendendosi il costume.
Sì, fra
psicopatici ci si intende alla perfezione.
Dopo un paio d'ore
erano tornati nella villa di Ricardo a Rio per pranzo, se
così si poteva definire dato che non c'era molto in giro per
casa da mangiare, e fortunatamente Ikimon aveva levato le tende prima
del previsto lasciando la casa libera da individui dalla dubbia
sessualità.
Jaqueline si era
avviata con lo stomaco che reclamava cibo in cucina ed aveva
miracolosamente trovato sul tavolo a penisola un biglietto di Cassandra
attaccato sopra ad un involto di carta contenente un pezzo di carne di
vitello, probabilmente il petto data la consistenza compatta, che
pesava su per giù quattro o cinque chili.
Per fortuna che c'è
lei, altrimenti avremmo dovuto saltare il pasto
pensò sollevata.
E così si
dilettò a fare la cuoca: prese un coltello e, senza
tagliarsi qualche dito, riuscì in qualche modo misterioso a
tagliare alla bene e meglio due fette di carne dal grosso pezzo per poi
lasciare il resto intero.
Dopo aver superato la
prova di taglio iniziò a mettere su una padella, giustamente
troppo piccola, cercando di non ustionarsi con l'olio che schizzava
ovunque, cosa che per miracolo si risolse in piccole e tenere
macchioline sul marmo nero venato di bianco del piano di lavoro.
Ecco, ancora una
macchia ed avrebbe strappato un assegno a suo fratello per rimediare
senza destare sospetti.
Riuscì ad
arrivare nel salotto senza rovesciare le bistecche a terra o rompendo
il piatto, così si lanciò sul divano facendo
sobbalzare i pezzi di carne:
-Guarda, sono stata
bravissima- si congratulò da sola applaudendo, poi si
girò verso l'altro
-Che c'è?-
domandò vedendo che la guardava male;
-Ti ricordo che siamo in due, il
sottoscritto non vorrebbe morire di fame se possibile.-
sentenziò ma giustamente Jaqueline non si era scordata che
c'era qualcun altro oltre a lei.
Se c'era una cosa che
la divertiva era il modo che la sua allegra razza di lucertole
assassine aveva di mangiare, era troppo inquietante per non divertirsi:
Non avendo
praticamente altri denti che una serie di un centinaio di canini, che
servivano a lacerare e non certo da masticare, i raptor si limitavano
ad ingoiare il cibo intero, che fosse un pesce di venti centimetri o
una persona non facevano distinzioni e, per un certo verso, la loro
mandibola era più simile a quella dei serpenti per il fatto
che si staccasse completamente dalla mascella.
E Ricardo non si
faceva grossi problemi a mandare direttamente in gola un pezzo di carne
cruda di quattro chili o giù di lì, non che
avesse molta scelta alla fine, ma la forchetta era davvero troppo da umani per
essere utilizzata.
Jaqueline prese a
guardarlo peggio di quanto avesse fatto lui prima:
-Cosa succede se ti
infilassi una mano in gola secondo te?- chiese curiosa, il genere di
macabra curiosità che solo lei poteva vantare di avere,
anche perchè no, non erano domande così normali
nemmeno per una lucertola aliena.
Stette un po' a
pensare: -Vediamo un po'... oh sì: se dovessi sfiorare accidentalmente un
piccolo ed amorevole nervo la mandibola si richiuderebbe molto delicatamente sulla
tua dolce manina ancora prima che tu possa toglierla, ti risparmieresti
anche i soldi per l'amputazione.- spiegò lasciandola
pensierosa, poi lei si sedette vicino e si mise a pensare alla scena.
No, non era normale e
no, per ora non ci avrebbe provato.
Oregon stava
giustamente complottando alle spalle di mezza dmp come era ormai
consueto fare, sperando che Ricardo non gli staccasse la testa appena
avrebbe saputo delle sue trame anonime: con Bone Cold che veniva
assoldato un giorno sì ed uno no per ammazzare qualche
kinniku era praticamente a posto e non aveva ancora nessuno sulla
coscienza, non che fosse un problema ovviamente, ma se uccideva
qualcuno al posto suo era certamente meglio che esporsi.
Eppure, dopo aver
messo fuori gioco Ataru e Belinda ed aver minato fortemente alla psiche
di King e Kid, i problemi restavano comunque e necessitavano di una
soluzione a lungo termine definitiva: aveva piani su piani per
sbarazzarsi lentamente dei membri della Muscle League, aveva piani
anche per far fuori chiunque senza che qualcuno lo sapesse, ma non
voleva solo avere il potere sul pianeta Muscle, lo voleva sull'intera
nebulosa.
E per averlo quel
pezzo di roccia vagabondo andava distrutto.
Ok, non che sapesse
come si facessero esplodere i pianeti anche solo parzialmente, e non
sembrava nemmeno semplice da fare, ma fonti certe gli avevano
assicurato che sì, il buon vecchio Bone poteva per
l'ennesima volta fare qualcosa.
Qualcosa come far
esplodere un pianeta delle dimensioni della Terra.
Perchè ad
Harvard le tangenti erano ben accette, soprattutto quando si trattava
di visionare i curriculum degli ex studenti dell'Università
che finivano con la frase "Possibile
pericolo per l'incolumità pubblica".
Incolumità
planetaria sarebbe stato decisamente più adatto:
sì, decisamente.
Mentre sfogliava le
decine di pagine contenute nella cartella privata decise di dargli una
svegliata subito, così magari entro quattro o cinque mesi
avrebbe potuto finalmente avere quello che gli serviva.
Bone era appena
arrivato al laboratorio di Grave Bay, sul pianeta Dokuro, e l'ultima
cosa di cui aveva voglia era sentire Oregon: era così
terribilmente noioso e malato di mente che avrebbe potuto fare tutto da
solo eppure non voleva sporcarsi le mani per il momento.
Affari suoi, i soldi
glieli dava comunque.
Wolfrain gli aveva
passato la video chiamata sullo schermo centrale appena in tempo per
evitare ulteriori imprecazioni: -Che c'è?-
domandò secco e l'altro stette in silenzio per un po', poi
gli mostrò i documenti, i suoi documenti.
Qualcosa come il
resoconto di un passato che aveva provato a dimenticare e nascondere in
tutti i modi possibili era lì, nelle mani di quel pazzo
omicida capace di tutto per ottenere ciò che voleva.
Sentì il
sangue gelarsi nelle vene: non era possibile, non doveva esserlo.
Non aveva intenzione
di rispondere, ma d'altronde non poteva nemmeno starsene lì
muto a fissarlo:
-Non provarci Oregon, non provare a legger...- non aveva fatto in tempo
a finire che era stato zittito dall'altro
-Oh sì
invece, ho appena finito di farlo: ti reputavo una persona
più intelligente di molte altre certo, ma quel 247 mi ha
lasciato spiazzato più di quanto sia mai successo in vita
mia, per non parlare del resto.- spiegò con una certa
malvagità nelle parole che diceva.
Era
un verme schifoso, punto.
Strinse i pugni fino a
sentire il dolore penetrare nella carne, decise poi di far uscire la
ragazza così quello che si sarebbero detti sarebbe almeno
rimasta una faccenda privata fra di loro:
-Dimmi quello che vuoi
e facciamola finita con questa storia, non voglio che si venga a sapere
di quello che c'è scritto in quei fogli per niente al mondo,
niente-al-mondo.-
asserì cercando di mantenere la calma.
Oregon ci
pensò su un po': -Da quello che ho letto la fisica nucleare
non dovrebbe essere una novità per te, e nemmeno il
contrabbando lo è-
iniziò a spiegare muovendo la coda a destra e sinistra
-Voglio far saltare un pezzo di pianeta, pretendo che tu costruisca
questa- disse mostrandogli un foglio con un nome che conosceva fin
troppo bene.
Anche troppo.
"Progetto
Excelsior-ZX
Professor
Byron Claymore"
Aveva ufficialmente le
mani legate, tanto per cambiare:
-Non sono in grado di
portare al termine quell'arma, non ci siamo riusciti in due ed io sono
da solo: come diavolo vuoi che faccia?- gli domandò
innervosito ed Oregon fece segno di tacere
-Fai come vuoi ma
fallo: uccidi,
corrompi, tortura, fai come vuoi Bone- disse calmo e
pacato come non mai
-Ma io voglio quella bomba, che ti piaccia o no, altrimenti sei fottuto
una volta per tutte.- terminò chiudendo la chiamata e
lasciandolo confuso più di quanto fosse prima.
Sì, era
decisamente fottuto.
__________________________________
Angolino dell'autrice
Scusate errori
grammaticali e simili oltre che il testo grande).
Buongiorno miei prodi
:D
Nono capitolo
pwah-pwah!
Niente morti, niente
torture, niente di niente: solo meduse che finiscono male ed un Oregon
decisamente psicopatico :D
E poi boh, Jaqueline
ha bevuto troppa acqua salata e fa cose senza saperne il
perchè, oltre che dilettarsi in cucina come la miglior
concorrente di Masterchef xD
Lo so, lo so: Bone
Cold non è il tipo che sembra seriamente un piccole genio
incompreso, anche se nel manga lo è decisamente di
più rispetto all'anime, però cercate di capirmi,
è l'unico che per ora ha ucciso con le proprie mani e quindi
niente, dovete prendervelo così com'è.
Sì, Harvard
non è solo un covo di genetisti che creano virus tanto per
estinguere l'umanità, ora ci sono anche i terroristi e
chissà chi sono (riferimenti a cose o persone sono puramente
casuali).
Se volete lasciare una
recensione sarò lieta di leggerla :3
|
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Capitolo 10 *** Fiori di ciliegio ***
Bone
era mentalmente distrutto: non riusciva ancora a capacitarsi che
qualcuno avesse fra le mani il suo passato, il suo dannato passato.
Nemmeno un paio di minuti dopo Oregon gli aveva inviato una copia di
ogni singola pagina del progetto Excelsior-ZX e non si era certo
risparmiato anche quelle riguardanti la sua brillante carriera da
piccolo prodigio universitario di Harvard.
Harvard, dove ti giudicavano a seconda di un piccolo ed insignificante
numero, il simpatico risultato dei test del primo anno per verificare
il quoziente intellettivo dei figli di papà ospitati nella
scuola.
Se sopravvivevi, se non svenivi dopo otto ore di calcoli e se riuscivi
a reggere il confronto anche con la commissione interna allora era
fatta, altrimenti avevi appena firmato la tua condanna ad una lenta e
terribile umiliazione dagli over 175, quelli che si credevano dei geni.
E Bone, nei lontani tempi in cui era ancora un ragazzo di diciassette
anni ancora un po' sano di mente, c'era già passato e,
francamente, non lo avrebbe rifatto per nulla al mondo.
247.
E da lì era iniziata l'ascesa per entrare nelle grazie della
Hamilton e dei suoi illustri colleghi che, nonostante fossero
fastidiosi e fin troppo insistenti con la cosa, almeno assicuravano uno
dei posti per le borse di studio annuali: quasi settantamila dollari
facevano comodo, anche perchè si esaurivano quasi
completamente per pagare la retta annua.
E poi c'era Byron Claymore, professore settantenne psicotico che aveva
una passione malata per la Fisica Nucleare e che, ogni anno in
concomitanza con i soliti test, aspettava qualcuno che avesse un
punteggio più alto del suo che, giusto per precisare, era di
218.
Inutile dire che, in quasi cinquant'anni di carriera, avesse dovuto
aspettare l'ultimo arrivato per insegnare finalmente a qualcuno come
distrugger... ehm migliorare il mondo con l'energia nucleare; in
effetti Bone aveva impiegato poco per abituarsi al fatto che fosse non
proprio sano di mente e pian piano aveva capito che nemmeno lui era
nato per esserlo.
Poi, un giorno come tanti, aveva tirato fuori la storia del progetto
Excelsior-ZX.
Una bomba a
dematerializzazione tachionica.
Qualcosa come poco meno di una tonnellata di antimateria che,
surriscaldata da fasci di tachioni lanciati a velocità
superluminale (*) dell'ordine di quattrocento mila chilometri al
secondo, si fondeva con dieci tonnellate di acciaio e tre di uranio
dando vita ad un tenerissimo buco nero.
Roba da film di fantascienza, se non fosse che Claymore voleva
costruirla: ci avevano provato entrambi, avevano sviluppato centinaia
di algoritmi ma niente, l'ordigno sembrava impossibile da costruire.
Ed ora Oregon pretendeva che ce la facesse da solo.
E' un suicidio, un
suicidio pensò guardando i fogli confuso, ed
aveva ragione: non aveva la più pallida idea di come
costruire quella roba, o meglio l'idea l'aveva ma non sapeva
nè dove procurarsi il materiale, in quantità
esageratamente grandi per giunta, nè come unire il tutto
senza distruggere il pianeta prima.
Sì, era un suicidio.
Honey entrò nella stanza senza nemmeno bussare, un brutto
vizio che si portava dietro dai tempi del liceo, con alcuni fogli in
mano ed un'espressione piuttosto cupa:
-Lascia perdere i progetti e siediti per qualche minuto per favore.-
gli ordinò con il solito fare autoritario che, quando era
preoccupata, prendeva il sopravvento.
Non aveva intenzione di litigarci così Bone
obbedì e si sedette alla bene e meglio accendendosi una
sigaretta, doveva pur vedere quanto tempo reggeva il suo nuovo amico
polmone prima di collassare; la donna invece non sembrava proprio
dell'umore giusto per scherzare
-Sono gli esiti dell'ultima radiografia: hai un problema, un grosso
problema.- sentenziò cercando di convincerlo che ormai il
tempo per scherzare era finito.
Prese fiato e gli mostrò le immagini e le considerazioni che
aveva fatto su di esse:
-Le protesi si sono assottigliate troppo, non raggiungono nemmeno i
cinque millimetri di spessore, motivo per cui il controllo sulla mano
è diminuito così notevolmente in questi ultimi
tempi- spiegò lasciandolo abbastanza perplesso
-Mi avevi detto che sarebbero durate una ventina di anni,
com'è che dopo nemmeno otto anni mi vieni a dire
così?- domandò nervoso e lei abbassò
lo sguardo
-Prima facevi solo il mercenario, ti limitavi a sparare o al massimo a
pugnalare qualcuno: sono state costruite per quello, non per sopportare
gli sforzi di un wrestler, per questo si sono consumate così
velocemente.- disse sicura.
Ecco, ci mancava solo questo.
L'altro rimase a pensare per un po', così Honey prese ancora
la parola per prima mostrando altri fogli che sembravano più
un trattato di meccanica:
-Ho dovuto riprogettare tutto dall'inizio e penso che sostituirle con
altre di titanio ed acciaio sia la scelta migliore: sarebbero
notevolmente più resistenti e non rischieresti un rigetto
come se fossero solo di acciaio- continuò in modo
più che
professionale
-L'altra alternativa è l'amputazione, e non solo della mano:
con gli anni i tessuti delle ossa adiacenti a quelle del polso sono
stati consumati a causa dello sfregamento diretto con il metallo, si
parlerebbe di un taglio netto all'altezza del gomito ma, siccome non
abbiamo optato per questa scelta nemmeno l'ultima volta e so che
giocare all'allegro amputato non è il tuo forte, mi
sposterei sulla sostituzione di tutte le protesi che, secondo i miei
calcoli, per i prossimi trent'anni non daranno problemi.-
terminò sperando che non avesse una delle sue crisi
isteriche.
Perfetto, ci mancava solo l'ennesima ottima notizia: prima un polmone,
ora la mano, ci mancava che cambiasse sesso e poi era a posto.
Una buona notizia mai, mai.
Solo orribili e schifosissime prese di coscienza che, per quanto lo
riguardavano, lo facevano sprofondare sempre più in basso.
Ma Bone che il fondo lo aveva già toccato una volta, non ci
voleva tornare di nuovo.
E non ci sarebbe tornato di sicuro.
Mizuki aveva subito avvisato Soichiro dell'accaduto, motivo per cui era
tornato giusto qualche minuto dopo che Bone fosse partito, una fortuna
considerando che faticava già ad accettare stranieri sul suo
pianeta, ed un mercenario come lui non era proprio al sicuro su Iga.
Giusto per evitare di essere decapitato.
E poi era terrorizzato per i preparativi riguardo l'incoronazione
poichè se fosse andato male qualcosa sarebbe stata la fine
di Iga e della sua stirpe, d'altronde non c'erano mezze scelte:
o gli ambasciatori delle province fingevano di non sapere nulla
riguardo la fedina penale dell'erede al trono, cosa piuttosto
improbabile ma necessaria, oppure Alitheia avrebbe dovuto riservargli
la stessa sorte toccata ad Hikari e Maki.
Aveva già perso due figli durante l'incoronazione, Soichiro
non aveva intenzione che anche l'ultimo rimasto finisse con la gola
tagliata da un cervo antropomorfo di dubbie dimensioni.
O viceversa.
Lo incrociò sulla via del ritorno e non esitò a
fermarlo:
-Vai da qualche parte?- chiese cercando di non farlo sembrare un
interrogatorio ed Hanzo scosse la testa
-No, stavo solo tornando a palazzo e basta, non ho molto da fare.-
spiegò velocemente e suo padre non perse l'occasione per
tentare di passarci almeno un paio d'ore vicino senza che l'istinto
omicida prendesse il sopravvento, giusto per assicurarsi che non avesse
in mente qualche attacco terroristico:
-Io stavo andando a controllare una cosa per domani, ti va di venire
con me?- chiese leggermente impacciato, d'altronde non sapeva cosa
avrebbe risposto; ancora una volta l'altro annuì poco
convinto: -Fa quello che vuoi, non mi permetterei mai di disobbedire
agli ordini di vostra maestà.- continuò schietto.
Ecco, in quel momento lo avrebbe ammazzato volentieri, però
doveva sopportarlo, sopportarlo ed ancora sopportarlo.
Ok, era seriamente imbarazzato da tanta freddezza:
-E' un po' lontano, è meglio se chiedi ad Aerandir di farsi
cavalcare almeno per mezz'ora, dopo potrà fare quello che
vuole.- concluse.
Erano stati i trenta minuti più lunghi della sua esistenza:
stare con Hanzo era come stare con il nulla, non parlava nè
rispondeva alle domande e, quando lo faceva, si limitava ai monosillabi
se proprio era necessario.
La morte sarebbe
più di compagnia pensò infastidito
rinunciando al tentativo di aprire un discorso sensato.
Arrivarono in una quarantina di minuti, anche troppi per Aerandir che
aveva già iniziato a nitrire irritato, in una radura
completamente immersa in alberi di ciliegio in fiore dove si trovava un
tempio giapponese piuttosto imponente bianco avorio e nero, per
raggiungere il quale era necessario attraversare un ponte rosso intenso
sotto il quale si estendeva uno dei tanti laghi del pianeta.
Soichiro lasciò il suo cavallo in un angolo verde dove
poteva brucare l'erba senza problemi, mentre l'altro si mise da parte
pestando gli zoccoli a terra:
-Quanto dovremo stare qui?- domandò ad Hanzo che, nemmeno a
dirlo, sembrava già annoiato della cosa, anche se a dire la
verità era sempre così quando c'era suo padre in
giro: -Lasciamo perdere, non so cosa diavolo abbia in mente e non
voglio nemmeno scoprirlo, ma immagino che mi faccia la predica come suo
solito.- rispose secco cercando di capire cosa avesse intenzione di
fare.
E invece no, Soichiro non lo aveva ancora minacciato-di-morte-se-non-si-fosse-avvicinato
ma era più impegnato a contemplare le ombre dei pesci che si
vedevano nelle acque calme e limpide del lago.
Sarebbe anche sembrato normale se non fosse che c'era qualcosa come un
uccello abnorme appollaiato sulla cima del tempio: le piume di tutto il
corpo erano di varie sfumature di rosso, arancio e giallo-dorato,
mentre l'immensa coda, composta invece da una serie di piume
più fitte ed alcuni filamenti più lunghi, si
avvolgeva intorno a tutto l'edificio muovendosi con il vento come
quelle che si trovavano sulla testa dell'animale.
Dopo aver studiato la scena per un po' la creatura decise di scendere a
terra planando leggermente ed atterrando proprio davanti al cavallo
che, di tutta risposta, si impennò spalancando le ali
grigio-nere in segno di sfida.
Sfida che fortunatamente non venne accolta.
Hanzo non ci aveva fatto troppo caso all'inizio, poi aveva visto un
bagliore metallico fra gli artigli di quella cosa e, cercando di far
calmare Aerandir, aveva concluso che no, non era un caso che
fosse lì.
Erano passati ventidue anni dall'ultima volta che qualcuno gli aveva
parlato della fenice che viveva nei pressi del lago, tuttavia era raro
che Ignis uscisse allo scoperto dato che, dopo le guerre che si erano
combattute nei pressi del suo nido, era praticamente impossibile
avvicinarla senza rischiare di finire carbonizzati o placidamente
infilzati da artigli di venti centimetri.
Sì, perchè a differenza delle solite fenici che
volavano su Iga, grandi al massimo un metro o poco più, se
si escludeva la coda arrivava a toccare i tredici o quattordici metri
di altezza.
Era anche fin troppo grande, decisamente troppo, ma non era comunque in
grado di reggere un confronto con Aerandir o con Shannara che, per
quanto potessero sembrare piccoli, erano estremamente pericolosi quando
decidevano di trapassarti con il loro corno.
Imperatori psicopatici, cavalli psicopatici: tutto nella norma insomma.
Abbassò la testa verso Soichiro e lasciò che la
spada che teneva nel becco venisse presa da lui, che la
mostrò all'altro:
-Questa è l'unica cosa che domani dirà al popolo
di Iga che sarai imperatore ereditario: niente corone imperiali, niente
chissà cosa, solo questa.- sentenziò severo per
poi ridarla alla fenice che, aperte le immense ali, tornò
velocemente ad appollaiarsi sul tetto del tempio con aria minacciosa.
Hanzo non sembrava troppo sorpreso:
-Ok, discorso introduttivo molto interessante, davvero, ma mi hai fatto
perdere tempo solo per dirmi che l'unico modo per fare il tiranno su
questo pianetucolo ai margini della nebulosa è con un pezzo
di metallo?
Mi commuove questa cosa.
Anzi no, è la trovata peggiore che abbia mai sentito.-
asserì incrociando le braccia e guardandolo indignato.
Dire che Soichiro era rimasto immobile era poco, non poteva credere che
suo figlio stette seriamente parlando in quel modo:
-Come sarebbe a dire?- domandò irritato
-Ti sto dicendo che domani avrai in mano un intero pianeta e tu prendi
la cosa così alla leggera? Sei un ingrato, un ingrato!- gli
urlò contro furibondo, d'altronde nemmeno Hiakri e Maki
avevano rifiutato una cosa simile; non che Hanzo lo stesse facendo, ma
non sembrava nemmeno entusiasta.
-Ti ho tirato fuori dal carcere se non te lo ricordi, se non fosse per
me te e quel tuo amico psicotico sareste ancora là dentro a
marcire!- continuò per poi darsi una calmata, momento di cui
l'altro approfittò
-Nessuno ti ha chiesto nulla, sei stato tu a volerlo non io:
sinceramente stavo molto meglio in prigione, almeno lì non
c'eri tu a rompermi l'anima ogni minuto santo cielo.- rispose di tutto
punto lasciandolo con un'espressione più che delusa.
L'ennesima dimostrazione che aveva fallito come padre sì, ma
non con tutti: mentre Hikari e Maki erano praticamente i figli
perfetti, quelli che ti davano soddisfazioni su soddisfazioni, da
quando era nato Hanzo non aveva fatto altro se non il ribelle di casa,
sempre con quelle sue manie da megalomane incontrollate.
Non riusciva a spiegarsi il motivo di tutta quella voglia di
libertà, aveva fatto di tutto per riservare a tutti e tre le
stesse attenzioni e lo stesso trattamento, o almeno pensava fosse
così.
Ma non era tutta la verità, e lo sapeva bene.
Non ne capiva il motivo ma il fatto che Hanzo avesse lo stesso nome di
suo padre gli ricordava che non avrebbe potuto trattarlo come gli altri
due; una sorta di istinto paterno leggermente violento il cui unico
scopo era di far ricordare a Soichiro che se portavano lo stesso nome
c'era un motivo: erano entrambi degli psicopatici con manie omicide con
una voglia irrefrenabile di sangue e conquista, la stessa che aveva
portato l'adorato paparino a distruggere ogni cosa trovasse sul suo
cammino.
E non aveva intenzione che suo figlio seguisse la stessa strada.
Cercò di restare lucido e di mantenere la calma, per quanto
potesse riuscirci ovviamente:
-Non intendevo quello, non pensare che mi sia pentito di averti qui-
spiegò sperando che gli desse almeno un po' di fiducia
-Lo so che l'hai con me perchè ti ho dato per morto senza
nemmeno muovere un dito, mi dispiace ok? Ma avevo altro a cui pensare
in quel momento.- si giustificò prima che calasse un
silenzio di tomba.
Hanzo non sapeva se essere felice del fatto che suo padre gli stesse
parlando civilmente o essere furioso perchè gli stava
dimostrando per l'ennesima volta che l'unica cosa che gli importasse
era che fosse stato in carcere perchè, a quanto aveva visto
e sentito fino ad ora, a tutti importava solo di quello.
-Smettila di cercare scuse, non starò qui a sentirne
un'altra, ho già perso abbastanza tempo ed avrei da fare.-
tagliò corto facendo avvicinare Aerandir per andarsene e
tornare a casa, ma lui gli afferrò il polso prima che
potesse muovere un passo
-Lasciami, non ho nulla da dirti che non abbia già detto.-
lo minacciò con l'aria di qualcuno che è sul
punto di commettere un omicidio, ma Soichiro era particolarmente
testardo ed il fatto che il polso nemmeno lo sentisse non era d'aiuto.
Dopo un paio di minuti di minacce e trattative riuscì a
convincerlo ad ascoltarlo almeno fino a quando non avrebbero chiarito
la questione:
-Senti, non girerò intorno alla cosa e quindi te lo
dirò subito: quando ho saputo che eri ricercato in mezza
nebulosa mi è crollato il mondo addosso, non avevo
intenzione di credere ad una cosa simile, e non voglio nasconderti che
se non fosse stato per tua madre avrei firmato i documenti per non
riconoscerti in nessun caso come mio figlio, niente di pi...- non fece
in tempo a finire che si prese una gomitata ai reni che lo fece
barcollare non poco
-Che diavolo stai facend... ok, te la concedo, ma ora siamo pari quindi
ti pregherei di starmi a debita distanza per evitare linciaggi a mio
danno.- raccomandò all'altro che annuì poco
convinto.
Soichiro prese fiato, anche perchè sapeva che la parte
peggiore doveva ancora arrivare:
-L'altro giorno non avevo affatto intenzione di proporre al resto del
consiglio di Iga di farti salire al torno come successore, tuttavia ho
saputo alcune... cose, che mi hanno fatto cambiare idea.- disse ma
Hanzo lo bloccò di colpo
-Quanto lo hai pagato?- chiese secco lasciandolo solo per un attimo
confuso, infatti sapeva perfettamente di cosa stesse parlando: era
davvero così ovvio che avesse fatto un interrogatorio a Bone
Cold per avere ogni minima informazione prima di chiarire le cose?
L'uomo sorrise solo per un secondo:
-Biscotti all'avena, penso che siano tipo una droga: dovrebbero
inventarne da iniettare endovena... oh guarda, ho anche fatto la rima
non è fantastico?- rigirò la domanda ad Hanzo che
lo fissava perplesso
-Comunque sia voglio solo che tu capisca che non ce l'ho con te, non
più almeno: ho passato troppo tempo a vederti solo come
quello che è finito in carcere, non come mio figlio.-
continuò con un velo di malinconia
-Sto provando a rimediare, ci provo davvero, ma ti chiedo di fidarti di
me almeno quel che basta perchè possa cercare di fare
decentemente il padre.-
L'unica cosa che aveva detto, l'unica che valesse la pena di sentire,
era quella.
Ok, aveva ufficialmente
vinto.
Ultimamente aveva una certa aria di superiorità e, anche in
quell'occasione, non se l'era fatta scappare:
-Va bene, potrei anche concederti una tregua- asserì senza
smuoversi dalla sua attuale posizione dominante rispetto a quella di
suo padre
-Ma giuro che se per quanto riguarda domani mi avete nascosto qualcosa
vi faccio saltare il cervello, promesso.- concluse freddo come suo
solito.
Soichiro, più o meno soddisfatto della cosa, si diede
finalmente una calmata: non che avesse ottenuto chissà cosa,
ora aveva la certezza che gli omicidi per il giorno seguente non
sarebbero stati un'eventualità, ma quel comportamento
distaccato proprio non riusciva a spiegarselo.
E va beh, almeno era ancora vivo.
Soichiro era sopravvissuto a suo figlio, ma con Oregon le cose non
sarebbero state così semplici: l'alleanza era ormai una
priorità, quello lo aveva capito, e di rimandarla non se ne
poteva nemmeno parlare.
Ed era quello il problema.
Nonostante fossero ormai le undici di notte passate era ancora fuori
dal palazzo e lo fissava, a volte pensava che non fosse nemmeno la sua
casa: era una costruzione enorme, immersa in un campo di ciliegi in
fiore come di consueto in quel periodo, di un colore bianco neve con
diversi piani, ognuno con il proprio tetto verde acqua con i bordi neri
ed alcune rifiniture dorate, illuminate dall'intensa luce delle
finestre interne e, come se non bastasse, dal chiaro delle lune che si
riflettevano nella cascata poco lontana.
Ed era tutto suo, suo e basta.
A distrarlo fu l'arrivo di Mizuki, che dall'aria assonnata che aveva
doveva essere stata in piedi ad aspettarlo a letto: -Non pensare a
nulla, andrà tutto bene- lo rassicurò mettendo le
sue mani intorno ai suoi fianchi -Se qualcosa dovesse andare storto, se
qualcuno dovesse lamentarsi per domani, Shannara ed Aerandir se ne
occuperanno, nemmeno Oregon sarà un problema.- promise con
una goccia di malvagità negli occhi.
Non voleva capire cosa significasse, era certo soltanto che, dopo la
firma dell'alleanza, niente sarebbe stato facile.
Ed aveva decisamente
ragione.
___________________________________________
Angolino dell'autrice
(*): velocità suepriore a quella della luce con la quale
è terociamente possibile spostare oggetti nel tempo e nello
spazio.
(Scusate eventuali errori grammaticali o lettere invertite)
Decimo capitolo, non pensavo nemmeno di arrivarci :D
LO so, lo so: l'ho dedicato principalmente alla spiegazione del
già citato progetto Excelsior-ZX e dei teneri discorsi fra
Hanzo e (psicotica) famiglia, ma non potevo lasciare indietro questi
due, anche perchè altrimenti non posso nemmeno continuare
con i piani di Oregon :D
Non temete, tra poco vedrete altri fuochi d'artificio e morti :3
Comunque sia parliamo di questo adorabile capitolo: fenici, fenici ed
ancora fenici.
Io amo le fenici, si nota dal nome per caso? XD
tralasciamo i volatili abnormi e parliamo del fatto che Bone Cold abbia
un quoziente intellettivo pari a 247.
Sembra un ritardato di solito, questo lo so anche io, ma cercate di
capire: deve progettare virus che estinguano interi popoli e bombe che
distruggano pianeti, un genio del male normale non bastava.
Certo, se la sua salute fosse come il suo cervello forse sarebbe meglio
:D
Hanzo boh, lui niente di niente, è solo un sadico con grossi
problemi mentali che gode particolarmente nel far soffrire gli altri
<:D
Non ho nulla da aggiungere, se volete sposarmi o lasciare una
recensione fate pure :3
Ah già, vi lascio un'immagine del tempio dove vive Ignis (il
primo) e del palazzo reale di Iga (il secondo), cioè l'umile
casetta di Hanzo :3
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Capitolo 11 *** Proposte indecenti ***
capitolo 12
Bone
Cold era appena entrato nella grande sala, dove lui ed i suoi uomini
erano abituati a riunirsi in caso di decisioni importanti o
comunicazioni urgenti, e finalmente aveva visto il tanto famoso "soldato di Oregon".
O meglio soldatessa.
Che fosse una raptor
era evidente, anche se in realtà aveva molto meno della
lucertole degli altri che era abituato a vedere: la pelle era d'un
bianco e in alcuni punti dove si trasformava in squame vere e proprie,
gli occhi erano invece di un grigio intenso che sfumava in un color
miele e, a differenza dei raptor puri, lasciavano intravedere iride e
pupilla quasi ellittica, cosa abbastanza insolita dato che solitamente
queste non si vedevano praticamente mai; i capelli biondo platino
arrivavano fino a metà della schiena e lì
passavano prima al verde acqua, poi all'azzurro ed infine ad un viola
non troppo scuro, lasciando intravedere un paio di corna ricurve nero
opaco sulle quali erano fissati alcuni anelli circolari coperti di
gemme variopinte che formavano delle sottili catene.
C'era da dire che
riguardo l'abbigliamento non si era risparmiata: aveva praticamente tre
quarti del seno scoperti, e quello restante strizzato nella parte
superiore dell'armatura bianca con dei segni rosa pallido che portava ,
ed anche il fondo schiena era ben poco nascosto da sguardi indiscreti.
E con sguardi
indiscreti si intendevano quelli degli uomini che lavoravano per Bone
che, giusto perchè c'erano nuove curve da guardare, avevano
abbandonato per qualche secondo i loro impieghi; non ci volle molto
perchè un'occhiata di disapprovazione lanciata da Honey li
convincesse a tornare a ciò che stavano facendo, sembrava
infastidita dalla sua presenza.
Con un breve inchino
si presentò ad entrambi:
-E' un onore per me
fare la vostra conoscenza, il mio imperatore mi ha parlato a lungo di
voi- disse con tono quasi regale e l'altro ricambiò la cosa
-Oh sì,
anche noi siamo felici di conoscere una degli scagnozzi di Oregon-
disse divertito
-Tu saresti?- chiese
curioso e lei annuì nuovamente
-Berenix, generale
maggiore dell'Ordine delle Valchirie: sono stata mandata, come penso il
tuo vice capitano ti abbia riferito, a trattare per conto
dell'imperatore, non ho altro ruolo qui se non questo.- concluse
stringendogli la mano anche se poi, quando toccò ad Honey,
lei sembrò riluttante alla situazione:
-Ordine delle cosa?
Cosa sarebbe, un qualche tipo di setta?- chiese noncurante delle
occhiatacce del compagno, ma l'altra non si scompose:
-Siamo una divisione
scelta di soldatesse che fanno parte dell'esercito imperiale con il
compito di trattare le questione più... delicate, quelle
dove la forza bruta non basta; per questo motivo, dato che questa
storia deve rimanere il più privata possibile, sono stata
scelta io e non un raptor qualunque.- disse tutto d'un fiato.
Bone si decise ad
intervenire: -Immagino sia inutile dirti che ruolo io ricopra, vero?-
domandò ottenendo la risposta senza troppi giri di parole
-Oh, ma io so
perfettamente il tuo
ruolo- rispose prendendosi la libertà di dargli del tu
anzichè del voi come era solita fare fino a quel momento
-Generale superiore
della divisione d'assalto del pianeta Dokuro, fondatore e comandante
dei Majestic Five e, almeno dal tuo punto di vista, l'adorabile capo
degli altri due psicotici che chiami amici fra i quali spicca vostra
maestà l'imperatore ereditario del pianeta Iga- disse come
se si stesse prendendo gioco di lui, percezione che colse anche l'altro
e che disapprovò fin da subito
-Ti conviene non
approfondire la cosa e dirmi subito cosa vuole quella lucertola, non
voglio perdere troppo tempo.- asserì facendola sedere.
La ragazza si sedette
accavallando le gambe, con conseguente frecciatina da parte di Honey,
ed iniziò a parlare:
-Oregon mi ha detto
che avete già raccontato della questione di Excelsior per
cui eviterò di spiegarti tutto dall'inizio, tuttavia mi ha
anche riferito che tu hai accennato a dei tempi di costruzione attorno
ai due o ai tre anni, eppure sai bene che il tempo che ti viene dato
è di soli quattro, massimo cinque mesi.
E non vuoi far arrabbiare
Oregon, vero Bone?- domandò severa
In effetti, sebbene
non avesse davanti quello psicopatico, anche quella tizia non era
proprio simpatica o rassicurante e Bone Cold, nei pochi minuti che ci
stava passando insieme, aveva capito fin troppo bene che non poteva
scherzarci troppo.
Con il suo permesso
Berenix accese lo schermo centrale mostrando una delle strutture
più grandi ed imponenti che lui e la donna avessero mai
visto:
-Questo è
il Great Firebird Laboratory, il centro operativo dove risiedono le
più avanzate tecnologie di Arkanta e, modestamente, della
nebulosa- disse quasi solenne per poi andare al sodo
-La proposta
è questa: tu e la tua squadra potete lavorare qui alla
costruzione dell'ordigno, avrete a disposizione decine di eccellenze
nel campo scientifico e tecnico, tutto quello che necessitate vi
verrà dato, comprese le materie prime- spiegò
schietta
-In cambio dovrete dar
vita alla più grande e distruttiva arma mai vista nella
storia di questa galassia: sappiamo tutti che è una scelta
più che valida, soprattutto considerando le persone che
avete davanti.
Se doveste decidere di
rifiutare beh... immagino
tu conosca le conseguenze.- concluse soddisfatta della
propria dimestichezza oratoria.
Nessuno dei due
osò parlare, tranne il mercenario che strinse i pugni fino a
sentire il dolore sulla pelle:
-Cosa mi assicura che non mi uccidiate subito dopo?
Non mi fido di voi, lo
sapete benissimo, e per questo non siete impreparati.- la
anticipò e lei si mise a ridere applaudendo:
-Immaginavo avresti
reagito in questo modo, anche Oregon lo aveva previsto-
spiegò divertita per poi calmarsi
-Hai una trentina di uomini qui, ci impiegheresti troppo tempo e
saresti troppo pressato dalla tensione: su Arkanta puoi avere a
completa disposizione un centinaio o più di raptor che
faranno tutto ciò che gli verrà ordinato, e poi
sappiamo entrambi che l'obbiettivo finale, ovvero la distruzione dei
Kinniku, è lo stesso che hai tu- intervenne facendosi seria
-Ci guadagneresti e
basta, avresti tutto quello che vuoi, tutto ciò che hai
sempre sognato di avere ti sarebbe dato: il potere, il denaro, la fama,
la conoscenza, tutto.
Lo sai anche tu, non
hai più nulla da perdere, tranne la vita ovviamente, ma so
che non ti importa più di tanto.- terminò
tendendogli la mano.
Bone Cold ed Honey si
scambiarono un'occhiata, e allora capì tutto: non servivano
parole, non erano mai servite, a loro bastava uno sguardo e capivano
tutto l'uno dell'altra, eppure quegli istanti la donna li
passò a parlare non tanto per Berenix, a cui non gliene
importava nulla, ma per l'altro:
-Non devi farlo,
dobbiamo farlo: siamo una famiglia,
abbiamo iniziato insieme e finiamo insieme, tutti.
Nessuno
resterà indietro, non lo permetteremo.- concluse anche lei
sorridendo.
La sua mano
incontrò quella della raptor in pochi secondi, e lo stesso
fece quella di Honey poco dopo: -Questo sancisce la nostra alleanza, ma
dovrà restare tale fino alla fine, sia chiaro: ho io la
bomba, posso distruggervi se fate qualcosa che non era programmato.-
annunciò e lei annuì.
E' fatta, finalmente
pensò decisa senza dirlo, poi si inchinò di nuovo
e fece per uscire, ma non prima di dare un ultimo consiglio ad Honey:
-Dubito che con tutta
la concorrenza tu possa riuscire a portarti a letto il capo, d'altronde
sei una come tante altre, una semplice... plebea ecco.
Saluti, bellezza.- concluse
con un'arroganza tale da far scattare l'altra.
Una
lucertola.
Che si permetteva di
dire quelle cose.
A
lei.
Oh no, no di certo.
Le aveva puntato il
fucile alla tempia, non avrebbe permesso che una sempliciotta aliena la
trattasse in quel modo così sfrontato:
-Stammi a sentire
dannata troietta
che non sei altro, mi faresti la cortesia di andartene prima che
commetta un omicidio o vuoi stare qui a farti aprire il cranio dalla
sottoscritta?- le chiese cercando di mantenere il confronto ma, a
quanto stava vedendo, non era così facile:
-Tu che minacci me? Santo cielo mi
tremano le squame dalla paura!- rispose per poi ribaltare la situazione
con un movimento fulmineo degno del più agile dei felini.
Ecco, ora era Honey
quella tenuta di spalle con un fucile al collo come una principiante,
nemmeno quando era una recluta finiva così.
E
non era piacevole.
E di certo non era
divertente guardare Bone che scuoteva la testa come un idiota, sembrava
che si stesse vantando di quanto quella lucertolina fosse brava, a
differenza della ragazza:
-Stavi dicendo
qualcosa per caso?- rigirò la domanda lasciando la presa per
poi girarsi verso l'altro che se ne stava lì impalato
-Vedi di insegnarle a
stare al suo posto o quello che è accaduto ora potrebbe
succedere in qualche missione, non è prudente perdere degli
uomini: i cani rabbiosi
vanno tenuti al guinzaglio, a meno che non si decida di sopprimerli.-
concluse schietta.
Bone Cold
annuì convinto dando una mano all'altra a rialzarsi:
-Non è
nemmeno saggio per una crocerossina giocare alla piccola mercenaria,
queste cose sono per i professionisti.- suggerì
rimproverandola e lasciandola andare a sfogarsi nel laboratorio dove
passava intere giornate; Berenix allora ne approfittò per
avvicinarsi di qualche passo sistemando i capelli con una
vanità quasi inaccettabile, poi gli diede un piccolo
foglietto bianco ripiegato più volte:
-Quando siete arrivati ti pregherei di chiamare me prima di Oregon:
avrei qualche cosuccia di cui parlare in privato senza
quella sanguisuga in giro, chissà che potremmo avere
qualcosa in comune oltre alla sete di sangue.- concluse finalmente
girando i tacchi ed uscendo.
La sua vice che dava
di matto, proposte indecenti da parte di una raptor, consigli in stile
Oregon: la giornata
sembrava più che fruttuosa.
Inutile dire che dopo
la pessima figura Honey se ne fosse andata in camera sua, avesse chiuso
a chiave la porta e si fosse insilata sotto la doccia a scaricare la
tensione: non le bruciava tanto di essere stata umiliata in quel modo
così stupido, quanto l'aver perso il controllo di
sè stessa davanti a Bone; in anni di conoscenza non le era
mai capitata una cosa simile, aveva subito di tutto ed era sempre
riuscita a mantenere la calma ed i nervi saldi ed ora, a causa di
un'osservazione da liceale strafottente, si era comportata peggio di
una bambina.
Eppure Berenix aveva
ragione: era una donna come tante, una plebea se così si
poteva dire, non aveva nulla di speciale nè era
particolarmente attraente, almeno a detta sua; persino Wolfrain,
più giovane di lei e forse più inesperta, aveva
più carisma e voglia di mettersi in gioco, perchè
lei doveva sempre restare indietro?
Quella dannata
lucertola aveva capito di più in qualche minuto che le sue
compagne in anni di chiaccherate andate a vuoto: mai si era permessa di
ammetterlo, si era limitata a fare l'amica, la sottospecie di sorella
minore a cui puoi dire tutto, ma Bone Cold le piaceva, anche parecchio
per giunta.
E sì, dal
primo momento in cui era entrata nei Majestic Five aveva ambito al
portarselo a letto: non pretendeva una cosa seria, anche
perchè quando sei un mercenario hai ben poche certezze ed
una fidanzata in giro era troppo ingombrante, ma una cosuccia da notte
brava sì, quella ci sarebbe stata bene.
Una goccia d'acqua
bollente l'aveva riportata alla realtà, a quell'amara e
fottutissima realtà: spenta la doccia si era data una
sistemata veloce ai capelli, asciugata alla bene e meglio e niente, era
andata a rivestirsi in camera così da potersi
successivamente ritanare fra le sue coltivazioni batteriche non proprio
interessanti ok, ma almeno le occupavano il tempo.
Tuttavia, forse
perchè si era scordata che la prima cosa che dovevi saper
fare nell'esercito era scassinare le porte, forse perchè si
era volontariamente dimenticata che Bone non avrebbe fatto cadere
così la questione, se l'era trovato in camera con le braccia
incrociate appoggiato allo stipite della porta, e non sembrava felice,
per niente:
-Hai altro da fare o
vogliamo parlare della penosa sceneggiata da scuole medie alla quale ho
avuto la sfortuna di assistere?- le chiese senza girarci troppo
intorno, a quanto pare ci teneva ad avere spiegazioni così
lei si limitò a sospirare infastidita
-Non ho nulla da dire,
non continuare ad assillarmi.- lo rimproverò stizzita
ottenendo solo un'imprecazione poco convinta, alla quale non fece
troppo caso naturalmente.
L'altro invece non
sembrava affatto d'accordo:
-Non cambiare
discorso, non ti sei mai
comportata in quel modo quindi esigo di sapere cosa ti prende.-
continuò lui incrociando il suo sguardo ma per ora Honey
riusciva a tenerlo a bada decentemente
-Non ho niente, ho da
fare.- rispose girandosi istintivamente facendo per tornarsene sotto la
doccia, voleva tutto tranne che iniziare a parlare dopo una cosa
simile; in realtà Bone sapeva già dove voleva
arrivare, motivo per cui ci arrivò senza mezze parole:
-Guarda che se
è per la questione delle tue fantasie perverse ne ero
già a conoscenza, Wolfrain non è una ragazza che
sa stare zitta e la tua reazione ne è solo una prova.-
asserì ridendo e facendola girare di scatto, evidentemente
imbarazzata tra l'altro.
No, non era
perchè se ne stava lì nuda come un verme, era
abituata a farsi vedere così, più che altro si
trattava dell'ammettere quello che praticamente era palese:
-Oh avanti Honey,
pensi che sia così stupido?
Ho avuto a che fare
con le bambinette viziate orgogliose che non si decidevano a piegarsi
di fronte all'evidenza, non sei così diversa da loro: se
è solo una cosa veloce che vuoi puoi dirmelo apertamente che
magari la finiamo di farci i quesiti esistenziali.- spiegò
lasciandola basita
-N-non è
così!- si affrettò a dire -Io non ho... fantasie
perverse!
Nè dovrei
averne su di te!- cercò di convincerlo peggiorando solo la
sua situazione.
Santo cielo, era
troppo divertente guardarla mentre cercava di districare la situazione:
-Ammettilo, se ti
proponessi una sveltina accetteresti senza pensarci troppo, ti conosco
troppo bene per dire che non lo faresti: secondo me non lo fai solo
perchè dovresti chiedermelo, ti scoccia così
tanto doverti abbassare a tale proposta?- chiese senza ricevere
risposta.
Sì, non ci
avrebbe pensato due volte e sì, gli sarebbe saltata addosso
volentieri.
Piuttosto timidamente
afferrò la prima cosa che trovò a portata di
mano, ovvero un'improbabile camicetta bianca, e se la mise addosso:
-E' davvero
così inutile negarlo?- domandò e lui
annuì
-Purtroppo per te
sì, anche Wolfrain ha fatto questa scenata prima di
decidersi ma alla fine dopo un paio di bicchierini di troppo si
è divertita: dio solo sa quanto sia perversa quella ragazza,
a volte mi spaventa.- sentenziò fingendosi serio
traumatizzando l'altra
-Ti sei portato a
letto Wolfrain? Sei un maniaco!- gli urlò contro ancora
scioccato, proprio non se l'aspettava una cosa simile
-Ha quasi dieci anni meno di te, quasi
dieci!- continuò in preda al panico
-Oh avanti, tutte le
tue amichette che sono qui a Grave Bay si sono fatte il capo,
sarà colpa del fascino da cattivo ragazzo, saranno le
cicatrici che fanno veterano di guerra cosa devo dirti.-
spiegò quasi se ne stesse vantando
-Non vorrai dirmi che
vuoi negarti l'esperienza?- domandò ancora lasciando calare
il silenzio.
Tipico di Bone Cold
tirare quelle frecciatine alle quali, che tu rispondessi o meno, ti
mettevano sempre all'angolo:
-Non ho detto che non
vorrei ma se mi stai chiedendo di ammetterlo no, non lo farò
nemmeno morta.- asserì cercando di distogliere lo sguardo,
improvvisamente il tatuaggio sul fianco era diventato parecchio
interessante; poco importava, alla fine poteva fare ciò che
più la aggradava:
-Fa come vuoi, sappi
solo che appena metterò piede su Arkanta la prima cosa che
farò sarà passare qualche divertente ora con
Berenix, chissà che poi possa mettere una buona parola
riguardo il non farmi ammazzare da Oregon.- concluse lui facendo per
uscire, non prima di averle messo addosso la sua giacca per non farle
venire una polmonite, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era un membro
in meno.
E
poi odiava i polmoni santo cielo, proprio non poteva sopportarli.
Qualche divertente ora
con Berenix.
Qualche... divertente ora?
Quella
puttanella che se la spassava con il suo capo e magari se la rideva
pure alle sue spalle?
Ma anche no.
Poteva sopportare
tutto, poteva capire che si fosse fatto tutte le ragazze con cui
parlava praticamente ogni giorno, Wolfrain-la-ninfomane compresa, ma
che lei venisse dopo quella psicopatica no, quello era inaccettabile
Con un gesto fulmineo
che le stava costando l'osso del collo riuscì ad afferrargli
il polso, giustamente il destro, con conseguente imprecazione di dolore
da parte di Bone Cold:
-Sì mia
piccola e tenera assassina? C'è qualcosa che vorresti dirmi
forse?- chiese strafottente, era evidente che la stesse prendendo in
giro non poco:
-Stavo pensando che
quando saremo impegnati con Excelsior il tempo libero sarà
poco, e poi avremo intorno quell'oca squamosa tutto il giorno: per
caso, insomma... hai impegni per questa sera? Non ne hai vero? Vero?-
domandò in preda all'ansia, stava solo sperando che
rispondesse di no.
Naturalmente la
risposta non arrivò proprio immediatamente, comportarsi da
prima donna era la sua specialità quando si trattava di
tenere a bada le signorine:
-Non saprei, ho una
vita impegnata io: gente che mi vuole morto, gente che mi vuole vivo,
gente che mi vuole morto, gente che mi vuole vivo, gente che mi vuole
mor...- non fece in tempo a finire che Honey riuscì a
strappargli un bacio a tradimento, le cose d'altronde andavano messe in
chiaro subito
-Me ne frego altamente
di chi vuole cosa perchè si da il caso che la sottoscritta
in questo preciso istante e in questo preciso luogo voglia che tu
chiuda quella fottuta porta e faccia quello che devi fare- gli
ordinò mentre lui la guardava divertito, era una scena
così dannatamente divertente che ci mancava poco che le
ridesse in faccia
-Mi rifiuto di restare
"quella che non si
è ancora portata a letto il capo perchè
è una sempliciotta plebea", farò
vedere io a quella puttanella chi è la sempliciotta, glielo
farò vedere eccome appena mi troverò davanti quel
suo culo squamoso.-
asserì con una discreta violenza, era abbastanza inquietante
quando si arrabbiava in quel modo.
Non servì
ripeterlo due volte che l'altro aveva già chiuso la porta:
-Penso che qualcuno
sarà parecchio occupato per le prossime ore, e non a
lavorare a virus letali o a complottare con mezza nebulosa, questa
volta Oregon potrà aspettare.- concluse con lo stesso fare
del tipo "Il mondo
può finire ma non mi muovo da dove sono",
atteggiamento piuttosto impertinente sì, ma che
bastò comunque alla donna per saltargli al collo.
Giornata lunga, parecchio lunga.
E intensa, parecchio intensa.
E interessante, parec...
Insomma,
era una giornata "parecchio" e basta ecco.
Qualche ora dopo Honey
si era svegliata di soprassalto mezza indolenzita e si era resa conto
che era fuori allenamento non di poco: ok ok, era ufficialmente un
medico, ma d'altronde qualche scappatella se la faceva anche lei quando
se ne stava ad aspettare al quartier generale in tempo di guerra con i
suoi colleghi, non poteva certo stare in astinenza da sesso, non a
quell'età santo cielo.
Tuttavia poteva dire
che, nonostante avesse solo 31 anni e ancora molto tempo per constatare
la cosa, Bone Cold aveva ragione quando diceva che non si sarebbe
potuta negare l'esperienza: all'inizio le era sembrato abbastanza
surreale che stesse facendo quel genere di cose con lui, dato che lo
conosceva da una vita e lo considerava al pari di un fratello maggiore,
ma dopo un paio di minuti aveva dovuto ricredersi ed era finalmente
riuscita a godersi il momento.
Si era parlato di
sveltina, una cosuccia da poco degna di una teenager alla sua prima
volta, non di sesso
selvaggio per un paio d'ore.
Sì, si
considerava una maniaca.
Sì, anche
Bone lo pensava.
Però non si
era certo tirato indietro, al contrario ci aveva dato dentro eccome.
Nel senso letterale
del termine.
In quell'istante
trovarselo di fianco le faceva uno strano effetto, un misto fra
felicità e rimpianti, tanti rimpianti; si era soffermata
sulla viverna che si snodava con una certa maestosità fra le
cicatrici ormai sbiadite su tutta la schiena, la stessa che lei e gli
altri membri dei Majestic Five portavano sulle parti del corpo
più disparate: che fosse la mano, il collo o ancora in
fianco non era importante, bastava solo che l'avessero.
Non che fosse stato
particolarmente piacevole farsi incidere la pelle con l'acciaio
bollente, nemmeno fossero degli schiavi da marchiare a fuoco, ma erano
tutti d'accordo che quel metodo fosse meglio del farsi fare un
tatuaggio che il tempo avrebbe cancellato.
E poi dovevano pur
fare gli arroganti del giorno, gli altri gruppi di allegri mercenari
non potevano certo dire di essere dei masochisti che davano retta a
qualcuno con seri problemi mentali, nessuno era
così malato di mente per stare dietro a Bone Cold senza
sapere di andare incontro a morte certa ogni fottuta volta,
però era tremendamente divertente.
Tipo che avevano
già distrutto due corazzate da guerra con le missioni
assolutamente prive di rischi che venivano loro rifilate.
Gli occhi di Honey si
posarono istintivamente su alcuni dei cimeli che c'erano in quella
stanza, la sua stanza: la sua laurea faceva da padrona della parete, di
fianco l'unica foto che le era rimasta dei tempi della fondazione dei
Majestic Five che si rese conto non erano poi così lontani
se guardava bene quanto fossero cambiati anche perchè,
cicatrice più cicatrice meno, erano sempre gli stessi idioti
che all'Università facevano i piccoli genietti incompresi.
Abbastanza incompresi
da diventare mercenari.
L'unica cosa diversa
era Blackie, lei non era cambiata negli anni.
Era proprio morta.
Quella che, vantando
la bellezza di 11 anni di vantaggio su Bone, poteva dirsi l'unica
seriamente propensa all'idea di lasciar stare la guerra: discorsi
profondi, a volte addirittura toccanti, ma come sorella maggiore di uno
psicotico si era presto resa conto che con lui c'era ben poco
da discutere.
L'aveva freddata
così, un proiettile alla tempia e via, tutti a fare i
mercenari che si facevano pagare fior di dollari per ammazzare la gente.
E va beh, erano pur
sempre soldati, non certo ballerine
di danza classica.
Il proiettile che
usciva dalla canna del fucile, l'inconfondibile rumore di ramo spezzato
ed un gemito soffocato, nient'altro.
E sangue, troppo
sangue, che nemmeno era il suo.
Ormai la cosa era
assodata: Ataru era un gran bastardo, un subdolo e schifoso verme
pronto a tutto.
Vattene,
corri via da qui e vattene via, fregatene di tutto e di tutti: non
voltarti, non provare pietà, lascia che la vita faccia il
suo corso, non c'è posto epr i perdenti.
Le parole gli giravano
nella testa solo per confonderlo.
Muore
lui, non muori te: non aiutarlo, non fermarti!
E invece no, si era
fermato.
Si era arreso.
Era finita, finalmente.
Sta
morendo, non hai più nulla da spartire con lui, lascialo
lì e scappa finchè sei in tempo: sei un
mercenario, cosa diavolo te ne può fregare di quel pezzo di
carne da macello!
Un lago di sangue si
allargava sempre di più: l'arteria femorale, non ci aveva
pensato all'inizio, qualche minuto e sarebbe morto.
Spera
che crepi, almeno ci togliamo un peso morto.
Ahahah!
Santo cielo che bella battuta!
Hai
capito? Muore.. peso morto?
Eh?
Eh? L'hai capita? L'hai capita o no?
Dovresti
complimentarti per questo umorismo post-mortem.
Era finita, finita e
basta, non ci sarebbe stato più nulla.
Nè le voci
nella sua testa nè i giorni a scappare braccati come volpi
dai cani nella stagione di caccia.
Nulla.
Bone Cold si era
svegliato di soprassalto, il respiro affannoso ed il cuore che batteva
fin troppo veloce, nemmeno stesse per andare al patibolo: avrebbe
voluto pensare che fosse stato solo un brutto sogno e invece no, era
qualcosa di ben diverso.
Erano passati poco
più di cinque anni dal giorno in cui il mondo gli era
crollato addosso, quello in cui lo avevano messo a marcire in carcere
dopo mesi di latitanza nel vano tentativo di riuscire anche quella
volta ad averla vinta.
Si alzò
senza pensarci troppo, riuscì a brancolare nel buio cercando
di rivestirsi decentemente senza svegliare Honey, che si era infatti
addormentata nuovamente, le aveva lasciato un biglietto dove spiegava
che sarebbe stato via un po' con relative scuse del giorno poi niente,
era andato da solo sulla corazzata da guerra che se ne stava
lì ad aspettare che Nash ne prendesse i comandi: non era
certo andato a fare il soldato per niente, sapeva come si usavano quei
misteriosi ammassi d'acciaio chiamati astronavi e, modestamente,
pensava di saperne più di quel ragazzino.
Qualche minuto ed era
riuscito ad impostare le coordinate per Iga, sarebbe arrivato nel giro
di qualche ora salvo imprevisti.
E con imprevisti
indicava la fortuna di trovarsi l'esercito di Soichiro, o peggio lui da
solo: non è che quell'imperatore psicopatico e mentalmente
arretrato lo odiasse, no no.
Peggio.
Molto
peggio.
L'unica cosa di cui
Bone era certo, oltre il fatto di poter essere sgozzato da Soichiro se
l'avesse visto, era che doveva parlare con Hanzo il prima possibile:
con la coscienza che iniziava a fargli brutti scherzi aveva ben poco da
pensare alle proposte di raptor e famiglia, prima doveva mettersi a
posto lui, poi poteva pensare a fare l'altruista.
Più o meno.
Come previsto dai
complotti fra Mizuki ed Oregon la Muscle League era venuta a chiedere
aiuto, o meglio pietà, riguardo l'antidoto per salvare
Belinda, le cui condizioni nelle ultime ore si erano aggravate
parecchio; King, troppo impegnato a piangere al capezzale della moglie,
aveva affidato a Meat e Robin Mask il compito di andare a trattare con,
almeno pensava, Oregon, ed i due avevano dovuto trascinarsi dietro Kid
ed i suoi amici perchè loro "volevano vedere le spiagge di
Rio e trovarsi qualche ragazza con cui passare la serata".
O diventare la
colazione di alcune lucertole: insomma, una delle due cose.
Erano arrivati solo da
una ventina di minuti e già Kid faceva il cascamorto con un
paio di ragazze, che tra l'altro nemmeno lo capivano a causa della
barriera linguistica, senza contare che si era già preso una
sberla dall'hostess con cui ci aveva provato per tutta la durata del
viaggio.
Doveva sempre farsi
riconoscere, sempre.
Non che Terry si
comportasse diversamente dato che si destreggiava con un portoghese
improvvisato alla bene e meglio con una barista mentre Jeager se ne
stava in un angolo a chiedersi cosa diavolo avesse spinto suo padre ad
abbandonarlo con quella massa di sciupa femmine falliti, ma almeno si
consolava del fatto che anche Kevin sembrava indifferente alla
situazione.
Tuttavia l'inglese non
era indifferente, piuttosto era terrorizzato dato che portava ancora i
segni della "discussione" con Ricardo: i solchi lasciati dalle zanne
sulla testa ed il collo erano fortunatamente coperti
parzialmente dalla maschera che gli aveva dato suo padre e lo stesso
valeva per le ferite sul petto nascoste da un'improbabile maglia rosa
confetto, ma i segni delle spine che si erano conficcate sulle spalle
erano evidenti eccome, soprattutto perchè gli avevano messo
un braccio fuori uso ed anche la sua gamba, schiacciata da artigli di
una ventina di centimetri, non era messa meglio, motivo per cui
zoppicava ancora.
Non voleva tornarci
vicino, anche solo vederlo gli metteva addosso un'ansia terribile e,
per qualche strano motivo, ringraziava il cielo di non averlo dovuto
affrontare al Torneo Chojin: no, non ne sarebbe uscito vivo, o
perlomeno con la testa ancora al suo posto.
Meat
richiamò tutti alla realtà con un battito di
mani:
-Vi chiedo di dare una
calmata al vostro testosterone solo per qualche minuto- li
rimproverò fra stramazzi e risatine generali
-Ora, se siete tutti
calmi, vorrei ricordarvi che dovremmo andare da quella bella gentaglia
della dmp e, se non lo sapete, questo è il loro territorio,
motivo per cui possono farci fuori quando vogliono: non dite nulla, non
prendete parte a nessuna discussione, parleremo solo io ed il signor
Mask quindi limitatevi a fare presenza.- concluse anche se nessuno lo
stava più ascoltando
-Ok, vediamo- disse
prendendo una mappa
-Per arrivare dobbiamo
andar... Kid che diavolo stai facendo!- gli urlò contro
mentre il giovane kinniku stava lottando contro un'improbabile iguana
che trovava parecchio gustosa la sua mano.
E' un presagio, poco
ma sicuro pensò l'allenatore confuso e basito allo stesso
tempo.
Si guardò
intorno e realizzò che effettivamente nessuno sembrava
davvero pronto per una cosa simile: Terry abbordava ragazze, Kid
amoreggiava con le iguane, Checkmate litigava con Dik Dik, Wally si
ingozzava di cibo, Jeager faceva l'asociale, Kevin ci mancava poco che
si mettesse a piangere e suo padre stava seriamente perdendo la
pazienza.
Era
un covo di matti, altro che dmp.
Per non parlare di
Roxanne e le sue amiche che sparlavano peggio di tre oche in amore:
erano insopportabili da sentire e pure brutte in quegli abitini
strizzati che lasciavano intravedere i rotolini di grasso, un tenero
ricordo delle decine di feste date da casa Muscle dopo il Torneo Chojin.
Era
un covo di matti ed oche sovrappeso, per la precisione: tipo manicomio.
Robin allora si decise
a dare un freno a quella scena penosa schiarendosi la voce:
-Non azzardatevi a
comportarvi così quando saremo arrivati!- urlò
furioso
-Mi vergogno che una
massa di teenager eccitati rappresenti la Muscle League in questo
incontro, che tra l'altro segnerà le sorti della regina!-
continuò ammonendo i ragazzi che si misero tutti in
silenzio, poi si girò verso Kid
-Smettila di crederti
onnipotente perchè tu sei quello che ha vinto il Torneo
Chojin, cosa pensi che possa servire in questo momento?
Sei un verme, proprio come
voi altri!- gli disse schietto
-Loro, ma soprattutto
tu, tu stupido kinniku,
non sei nessuno di fronte a quei pazzi omicidi, soprattutto Oregon:
credi davvero che ti lasci passare liscia la cosa?
Pensi che corra sul
fatto che tu abbia rovinato i suoi magnifici piani di conquista alle
semifinali?- domandò irritato e l'altro lo guardò
terrorizzato
-Ehm.. sì?
Sì vero? Perchè non ce l'ha con me no? Vero
Meat?- chiese al suo allenatore che scosse la testa in segno di
dissenso.
Era patetico, e non
poco:
-Oh ma certo, flaccido maiale che non sei altro, certo!-
sentenziò prendendolo per la collottola
-Dio santissimo Kid,
quello non vede l'ora di strapparti gli occhi con le sue mani, mi pare
che tu ne abbia già avuto un assaggio con quello
sconsiderato che devo chiamare mio figlio: ti aprirà la testa in
due e ci metterà un mojito dentro bevendola con la tua
trachea come cannuccia, ti piace la prospettiva?- concluse
andandosene verso l'aereo a prendere alcuni bagagli per scaricare la
tensione.
Il kinniku era
crollato a terra e si era messo a piangere dato che probabilmente non
aveva ancora pensato alla possibilità che le cose
degenerassero e, se ci rifletteva bene, Robin Mask non aveva tutti i
torti: quella sera con Kevin aveva visto anche troppo, ma soprattutto
era rimasto impietrito da tanta violenza senza controllo.
Se prima pensava di
poter fronteggiare Ricardo senza troppi problemi, se era seriamente
convinto che in un ipotetico incontro avrebbe vinto ancora, ora invece
ne era certo: lo
avrebbe ammazzato senza farsi problemi, senza sensi di
colpa, senza niente di niente, e si sarebbe preso tutto ciò
che aveva cercato di proteggere.
Era già
inquietante di suo, solo che trovarsi davanti una bestia di dodici
metri che ti avrebbe sbranato volentieri come colazione metteva giusto
un po' di soggezione, soprattutto se ripensava al fatto che anche
l'inglese, che all'inizio aveva tanto fatto il gradasso, si era
ritrovato in ginocchio in pochi secondi senza possibilità di
scappare.
Non
era lo stesso che aveva sconfitto, su quello non aveva più
dubbi.
A differenza di Meat e
Robin che faticavano a tenere a bada un branco di adolescenti in preda
agli ormoni, Oregon aveva tutto sotto controllo a giudicare dal
silenzio che correva fra i corridoi del palazzo dal quale non proveniva
altro rumore se non quello dei pappagalli che schiamazzavano sugli
alberi intorno; no, non aveva riunito tutta la dmp per una decina di
stupidi amichetti che si credevano chissà chi, non avrebbe
avuto senso sprecare un numero simile di uomini solo per farsi vedere
dalla Muscle League.
Stava facendo qualcosa
come mettere nelle mani di un principiante delle questioni da persone
preparate a trattare con certa gente, non erano affari da ventenni che
credevano di avere in mano il mondo solo perchè potevano
vantare tre tonnellate abbondanti di muscoli che tuttavia, senza un
minimo di controllo, servivano a ben poco oltre che spazzare via i
perdenti come Kid Muscle.
Nonostante le ansie di
Oregon e le sue manie genitoriali, Ricardo era tutto tranne che
seriamente preoccupato all'idea di dover parlare civilmente con quel
gruppo di mentecatti, anche se di trattative ce n'erano ben poche dato
che era tutto deciso fin dal principio, e poi almeno c'era Jaqueline
con lui, cosa che lo rassicurava abbastanza da non fargli venire una
crisi nevrotico-compulsiva.
Sfortunatamente per
lui suo padre aveva insistito affinchè l'incontro avvenisse
non mantenendo nè la forma umana nè quella
origina, lamentandosi del fatto che la prima "Non facesse abbastanza sadico
malato di mente" e la seconda fosse enormemente
ingombrante quanto lenta, ma piuttosto una sorta di forma intermedia
fra le due: sì, la coda che ballonzolava da un lato
all'altro era tremendamente fastidiosa e sì, l'armatura era
anche peggio.
E ancora
sì, odiava dover stare alle regole di qualcuno, soprattutto
se quel qualcuno era Oregon, quello che si credeva il sovrano di mezza
nebulosa ancora prima di aver mosso guerra.
Era
stupido, solo che non se ne rendeva conto.
Si
appollaiò annoiato sull'albero dove Nala si era ritirata a
dividere con Noir un pècari, probabilmente catturato nel
folto della foresta, che dava su un piccolo stagno adiacente al palazzo
dove si trovavano i pesci rossi che ormai da una decina d'anni facevano
da guardie a quel luogo.
Ok, i piranha non
erano proprio pesciolini da acquario, ma erano rossi comunque.
Jaqueline invece stava
seduta sul bordo dell'albero a fissare l'acqua: avrebbe potuto passare
intere giornate a guardare i giochi di luce creati dalle squame
azzurro-blu che si riflettevano sulla superficie, era qualcosa di
tremendamente affascinante.
Si
stiracchiò per qualche secondo per poi alzarsi in piedi:
-Quando arrivano
quelli della Muscle League?- chiese all'altro tirando la coda per
chiamarlo con conseguente imprecazione giustamente voluta, aveva
imparato da un pezzo che i raptor in quella forma almeno poteva
risparmiarsi i ruggiti e parlare più o meno umanamente:
-Questione di un'ora,
forse nemmeno quella: non preoccuparti che vostra maestà
si farà vivo prima del loro arrivo.- rispose seccato, il
solo pensarci lo infastidiva, nient'altro.
Oregon poteva dire
quello che voleva, poteva insistere col dire che tanto chi se ne frega
se il Torneo Chojin era andato a quel paese, ma la sconfitta bruciava,
e non poco: erano passati quasi quattro mesi da quel giorno eppure
l'umiliazione continuava a farsi strada appena ne aveva l'occasione,
era frustrante pensare ad una vita di vittorie stroncata
così, tanto per passare il tempo, da un imbranato che se la
faceva ancora addosso, ed era ancora peggio dover ammettere che se non
fosse stato per suo padre sarebbe ancora allo stesso punto.
Aveva dovuto scendere
ai compromessi, passare un dannatissimo mese in mezzo a delle odiose
lucertole abnormi che appena potevano ti sbranavano senza ritegno, che
fossi il figlio dei sovrani o no non c'era differenza: qualcosa della
serie che Oregon, naturalmente in formato "Sono quello che comanda
perchè sono grande, grosso e sadico", gli aveva
intimato di iniziare a darsi una svegliata a fare la lucertola aliena
altrimenti non si sarebbe messo in mezzo fra lui e qualche concittadino
affamato.
Era ancora perso nei
pensieri da una decina di minuti quando la rossa lo riportò
alla realtà facendogli segno di scendere perchè a
quanto pare vostra maestà era arrivata, proprio come aveva
previsto, naturalmente: -Saranno qui fra mezz'ora, non penso che
starvene qui a giocare ai piccoli sognatori possa servire a molto.-
asserì innervosito dal fatto che fossero ancora
lì, poi cassandra si unì alla discussione
-Tu vieni con me,
vedremo di sorprendere anche quelle tre ochette che arriveranno in
compagnia dei loro valorosi cavalieri.- disse a Jaqueline non dandole
nemmeno il tempo di annuire, infatti l'aveva già afferrata a
braccetto e se la stava trascinando amorevolmente via.
Non servivano parole
con Oregon, aveva già capito cosa voleva.
Gli avrebbe dimostrato
chi comandava fra i due, e lo avrebbe fatto presto.
Molto
presto.
Non era stato un
problema arrivare su Iga o avvicinarsi a castello, quasi alle quattro
di notte tra l'altro, forse perchè la maggior parte delle
guardie era stata radunata a vigilare fino al giorno seguente al luogo
dell'incoronazione, o forse solo perchè era notte fonda.
Appena entrato a
palazzo aveva incrociato alcune sacerdotesse, riconoscibili
dall'intagliatura a forma di cervo sulla spada che tenevano al fianco,
ed aveva scorto qualcosa che non era proprio adatto ad una passeggiata
notturna: dentro un'ampolla finemente decorata con alcuni filamenti
d'oro, che ricordavano delle figure floreali, un liquido rosso cupo
parecchio denso ondeggiava lievemente ad ogni passo delle donne.
Sangue.
Non ancora, non un'altra volta pensò
confuso per poi salire la scalinata che portava al piano superiore con
il kalashnikov carico, un souvenir di un simpatico omicidio su
commissione in Siberia: sì, avrebbe ammazzato Mizuki o
Soichiro se li avesse incontrati, si era appena ricordato di uno di
quei misteriosi riti che a quanto pare su Iga non erano così
rari, uno di quelli scritti sui libri che di tanto in tanto riusciva a
trafugare dai templi:
Sangue
al sangue, spada alla spada: la morte di uno è la vita di
dieci, la vita di uno è la morte di cento, l'onnipotenza di
uno è la disgrazia di mille.
________________________________________________
Angolino dell'autrice
Dodicesimo capitolo,
come sempre vi chiedo scusa per eventuali errori grammaticali/lettere
sparite o invertite/parole tagliate causa computer che sta allegramente
andando a quel paese :3
Non dico nulla di
questo pezzo, solo che ho introdotto un nuovo personaggio e
cioè Berenix, uno dei generali di Oregon: era una mia
vecchia oc che ho modernizzato per questa ff, mi mancava averla intorno
xD
Niente, se proprio
avete voglia lasciate una piccola recensione °3°
Vi lascio anche le
foto del marchio di Bone Cold sulla schiena, la viverna, del colore dei
capelli di Berenix per chi non avesse afferrato bene la cosa ed una
rappresentazione di quest'ultima che, nonostante l'abbia trovata nei
meadri del vecchio pc , alla fine è praticamente come la
vorrei :3
|
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Capitolo 12 *** Fino alla fine ***
Alle
quattro di notte, mentre praticamente l'intera città stava
ancora dormendo, Jaqueline se ne stava seduta sul letto in posizioni
improbabili a leggere
"L'arte della guerra":
dio solo poteva capire quanto fosse ostico inculcare nel suo cervello
cose simili, ma Cassandra le aveva detto che, nonostante fosse un
trattato scritto da un tizio che nessuno prendeva in considerazione, le
azioni belliche di Oregon prendevano un discreto spunto dalle immense
verità filosofiche citate.
Certo, come no.
"L'arte della guerra
consiste nello sconfiggere il nemico senza doverlo affrontare".
Ecco, quella era l'unica delle cose che aveva letto su cui era
stranamente d'accordo ed in cui riconosceva alla perfezione il modo di
combattere di Oregon: fino ad ora infatti non aveva nemmeno mosso un
dito, aveva lasciato che fossero altri a sbarazzarsi per suo conto di
Sergent e Belinda ed ora, con l'imminente appoggio di Iga, era certa
che avrebbe approfittato della cosa per tenersi a debita distanza dal
campo di battaglia per scendervi solo alla fine, così da non
destare sospetti.
Non capiva come Ricardo facesse a sopportarlo anche se, da
ciò che aveva visto un paio di giorni prima, aveva un bel
po' di vantaggi rispetto a suo padre, primo fra tutti quello di essere
fin troppo consapevole che una seconda possibilità non ci
sarebbe stata: dopo il disastroso ed umiliante fallimento al torneo
chojin la proposta di rifare le semifinali non gli era ancora andata
giù davvero, ma disobbedire agli ordini di Oregon
significava mandare all'aria ventidue anni di progetti per arrivare al
trono della dmp.
E francamente preferiva sopportarlo piuttosto che perdere tutto.
Non che a Jaqueline dispiacesse, anzi: almeno ora aveva una vita un po'
più emozionante del seguire come un cane suo padre e suo
fratello in giro con la Muscle League anche perchè, a dirla
tutta, non si era mai davvero sentita come loro.
Già che fosse una sadica non era normale, ma che fosse
andata a cercarsi uno della dmp era anche peggio, motivo per cui in tre
mesi aveva quasi abbandonato casa McMadd per unirsi all'allegra
famiglia dei rettili sterminatori di pianeti, dove non avrebbe certo
pensato di prendere parte ad un complotto interplanetario.
Dopo essersi girata e rigirata per trovare una posizione comoda decise
di abbandonare la coperta, che tra l'altro non si capiva dove fosse
finita, ed iniziò a trascinarsi sotto la membrana di una
delle ali anteriori alla ricerca di una fonte di calore che, nonostante
i dubbi, aveva trovato eccome: le migliaia di piccoli capillari che
l'attraversavano, quasi invisibili se non osservati controluce,
portavano il sangue fino all'estremità più
esterna per mantenere la giusta temperatura che, per un raptor di
quelle dimensioni, si aggirava intorno ai 45 gradi.
Era stata un'impresa arrivare vicino al collo senza tagliuzzarsi
felicemente il corpo con quelle squame che parevano acciaio, ma almeno
ora aveva un comodo cuscino organico versione riscaldante senza
problemi, se non quello di fare attenzione ai settanta centimetri buoni
di zanne che avrebbero potuto smembrarla senza grosse
difficoltà.
Però facevano molto lucertola-assassina-con-disturbi-dissociativi-della-personalità,
e non era per niente male.
E lo sarebbe stato ancora di più se non fosse che aveva
appena avuto la brillante idea di infilare una mano fra la minima
fessura che la mandibola lasciava quando, come in quel momento, non
veniva fortunatamente utilizzata.
Pessima idea, soprattutto se si considerava che non aveva studiato la
biologia dei raptor: in quel caso avrebbe almeno saputo che nel punto
dove le sue adorate dita erano arrivate c'era una fila di placche
ossee ricurve che non lasciavano uscire nulla di quello che entrava,
costringendo qualsiasi cosa capitasse a tiro a seguire una direzione
obbligata.
E cioè quella verso lo stomaco.
Dire che si era presa un colpo quando aveva sentito il calore del
sangue sulla propria mano era poco, senza contare che il piccolo nervo
tanto citato lo aveva sfiorato decisamente troppo, abbastanza
perchè un arcano quanto improbabile riflesso istintivo
facesse richiudere la mascella con una violenza tale da spezzare lo
scheletro a qualcuno.
Doveva ritenersi fortunata ad aver tolta mano qualche secondo prima
perchè, se fosse rimasta anche solo un momento di
più, ora poteva anche andare in giro a fare l'amputata dal
giorno seguente in poi.
Nell'improvvisa mania omicida di quella dannata terminazione nervosa
era caduta come un'emerita idiota a terra con conseguente interruzione
forzata del sonno dell'altro.
Ricardo era già pericoloso normalmente, peggiorava
esponenzialmente nella forma origine e poteva diventare una minaccia
pubblica se succedeva qualcosa che non aveva decisamente previsto.
O se lo disturbavi mentre stava mangiando, anche se in quel caso non
potevi stare troppo sicuro di avere ancora la testa attaccata entro sera.
E giustamente essere svegliato in piena notte aveva fatto qualcosa come
far scattare i muscoli delle ali che si erano aperte ingombrando tutta
la stanza, senza contare che Jaqueline era rimasta seppellita sotto un
paio di metri di coda che pesavano più di lei, motivo per
cui aveva impiegato un po' per mettere a fuoco la situazione,
principalmente perchè la poveretta stava implorando
pietà da là sotto.
Ci volle qualche minuto perchè riuscisse a liberarsi dalla
presa e, mentre l'altro si era accucciato in un angolo ancora confuso,
lei aveva lasciato cadere lo sguardo sulla mano: c'erano un paio di
tagli nemmeno troppo grandi dai quali, oltre al sangue, scorreva una
strana sostanza piuttosto viscosa che sembrava quasi oro liquido e che
aveva per giunta un qualcosa di affascinante.
Ricardo invece non sembrava per niente d'accordo con quell'impressione:
non c'era niente di bello in quella cosa.
Al contrario, c'era parecchio da preoccuparsi.
Non aveva mai dato a Jaqueline l'impressione di avercela con lei, ma il
ruggito che aveva lanciato non era di approvazione ed anche la rossa lo
aveva capito: in tre mesi nè lui nè Oregon si
erano permessi di minacciarla, se così si poteva definire,
in quel modo, ci mancava solo che ora gli saltasse in mente di
mangiarsela.
Stette in silenzio per un po' poi prese parola: -Che diavolo ti
prende?- domandò irritata ricevendo di risposta solo un
ringhio sommesso di disapprovazione e, dato che non era così
abituata come Cassandra a conversare con le lucertole in modo
animalesco, stava già perdendo la pazienza e lo intimava di
cambiare immediatamente forma se aveva seriamente intenzione di
conversare decentemente.
Alle cinque di notte aveva tutte le intenzioni tranne di litigarci
insieme, così obbedì senza comunque perdere
l'aria infastidita:
-Cosa combino io? Cosa combini tu piuttosto!- le urlò contro
mettendola con le spalle al muro ed afferrandole con una discreta
violenza il polso della mano ferita
-Pensi che ti dica le cose così, tanto per passare il
tempo?- continuò mentre un velo di preoccupazione traspariva
dal suo tono di voce, ma lei non lo ascoltava già da un po':
l'unica cosa, la sola che sentiva, era un brivido che le saliva dalla
mano fino alla schiena, una terribile sensazione che non preannunciava
nulla di buono.
Quindici secondi, solo quindici, poi non aveva visto più
nulla.
Brava Jaqueline, bel
casino.
Si svegliò confusa e guardò distrattamente la
sveglia: 7.24.
Erano già passate due ore e mezza?
Ma soprattutto: cosa
aveva fatto in due ore e mezza?
Sentì un sospiro di sollievo e si guardò intorno
incrociando lo sguardo vigile di Cassandra:
-Buongiorno principessa- le disse con fare materno guardando il
termometro ed accarezzandole la fronte
-Non preoccuparti, è tutto passato ormai, ma hai rischiato
parecchio con la tua innata curiosità.- la
rimproverò senza essere troppo severa.
Ok, non capiva cosa fosse successo, e l'altra anticipò la
sua domanda annuendo ed iniziando a spiegare:
-Hai spinto la mano troppo in fondo ed hai sfiorato un paio di ossa che
sporgono dall'esofago tagliandoti e, siccome quei simpaticoni dei
raptor hanno i più svariati meccanismi di autodifesa, il
veleno emo-necrotico che producono ti ha infettato- disse calma
-Per la cronaca, quel veleno distrugge i globuli rossi ed arriva al
cuore: ringrazia il tuo fidanzato che non ha avuto una crisi isterica
prima di chiamarmi e di aver avuto un'impressionante dose di fortuna
che non si sia avvelenato da solo.- la rimproverò guardando
un punto indefinito.
E già, perchè se accidentalmente una goccia di
veleno finiva dove non doveva finire niente toglieva ad un'adorabile
lucertola alle prime armi una morte per arresto cardiocircolatorio.
Si sollevò aiutata dall'altra e si sedette sul letto:
-Mi dispiace, io non sapevo...cioè, insomma io... mi
dispiace e basta, vedrò di dare un freno alla
curiosità.- rispose malinconica e Cassandra sorrise per
consolarla
-Oh non temere, anche io facevo queste cose i primi tempi: avanti,
dimmi come diavolo si fa a resistere allo scoprire dove finisce la gola
di quelle lucertole accidenti!- disse ridendo mentre controllava le
ferite scostando le bende
-Sono tremendamente interessanti dal punto di vista biologico, tuttavia
non è saggio testare di persona le conseguenze di un morso
da parte di Oregon o Ricardo.- asserì pensierosa.
Ah già, Ricardo c'era ancora, da qualche parte non ben definita:
il che contribuiva a far sentire Jaqueline terribilmente in colpa
perchè sapeva già che, oltre alla predica, le
avrebbe riservato il solito melodramma da
ossessione-compulsiva-nel-prendersi-responsabilità-che
non-erano-sue.
Qualcosa della serie
"Personalità multiple con effetti debilitanti per la psicosi
ed evidenti complicanze nei rapporti interpersonali".
E lei di solito faticava già a capire il significato delle
prime due parole, giusto perchè tanto il mondo di
psicopatici ne era pieno.
Cassandra si alzò e le tolse la fasciatura lasciando
scoperti i due piccoli tagli rimasti per fargli prendere un po' d'aria
così che si chiudessero prima:
-Sarà meglio che me ne vada, conoscendo mio figlio a
quest'ora starà impazzendo a furia di non vederti.- disse
ridendo e lasciando la porta aperta cedendo il posto a Ricardo.
Chiusa la porta nessuno dei due prese parola per primo: mentre lei si
limitava a fissarlo sperando che dicesse qualcosa, lui se ne stava
nell'angolo cercando di tenere a bada i sensi di colpa, giustamente
senza un motivo logico:
-Sarebbe potuta finire male, molto male- sentenziò
incrociando le braccia
-Non è che io mi diverta a dirti cosa devi o non devi fare,
ma prima di fare un'altra genialata che poteva ammazzare entrambi ti
pregherei di pensare alle conseguenze.- concluse lasciando calare il
silenzio per l'ennesima volta dato che no, Jaqueline non sapeva proprio
cosa dire: scusarsi non serviva a molto, ormai era tutto fatto.
Era viva ok, ma i sensi di colpa si facevano sentire eccome.
Poteva ammazzarci
entrambi, era quello che l'aveva bloccata: l'ultima cosa
che voleva era di essere la responsabile della morte di qualcuno,
soprattutto se si trattava di un semplice capriccio che la sua mente
malata le aveva suggerito di compiere e la cosa peggiore era pensare
che magari uno dei due in una situazione simile sarebbe sopravvissuto
comunque e, dalle parole di Cassandra, non sarebbe stata lei a morire
per un arresto cardiaco.
Aveva appena rischiato di uccidere l'unica persona che era rimasta al
suo fianco fregandosene di quello che la gente pensava.
Lo aveva fatto senza pensarci.
E sarebbe potuto succedere davvero, avrebbe potuto ritrovarsi da sola.
Ancora.
Si sentì stringere in un abbraccio proprio quando le lacrime
avevano iniziato a rigarle il volto e si sentì ancora
più da schifo di prima:
-Sono una stupida ragazzina viziata che pensa di poter fare quello che
vuole...- disse prendendosela con sè stessa
-Come fai a sopportarmi? Come ci riesci? Nessuno è mai stato
con me troppo tempo, nemmeno i miei genitori: tutti gli altri alla fine
se ne andavan...- chiese con un filo di voce senza riuscire a finire
perchè l'altro le sollevò il viso alzandole il
mento
-Stammi a sentire perchè non te lo ripeterò
un'altra volta: io non sono quei "tutti
gli altri", non sono nessuna delle persone che hai
conosciuto e per questo non permetterò che ti feriscano per
l'ennesima volta, non in mia presenza- la rassicurò
accarezzandole i capelli
-La gente può sparlare quanto vuole, possono pensare e dire
quello che più li aggrada, a me non interessa proprio nulla
delle voci che girano tanto per parlare di qualcosa; finchè
sono qui tu non sarai mai da sola, questo te lo prometto: abbiamo
iniziato in due e finiamo in due, non ho nessuna intenzione di
lasciarti indietro.- concluse lasciando che la rossa si stingesse
ancora di più al suo petto per poi lasciare che si sfogasse
in silenzio seduta sul letto, almeno si sarebbe data una calmata.
In teoria.
Perchè dopo la tanto agognata "calmata"
Jaqueline aveva fatto i soliti occhi da cerbiatta che, dopo tre mesi di
tentativi, aveva affinato capendo che erano capaci di convincere anche
la lucertola aliena più psicotica della nebulosa.
E con convincere intendeva portare
a letto, per esser precisi.
Ebbene no, non avrebbe rinunciato a quella possibilità anche
questa volta.
Non che ci fosse voluto molto a convincerlo a sedersi a sua volta e,
con un paio di attimi di distrazione che aveva colto per guadagnare
terreno, era anche riuscita a costringerlo con la schiena premuta
contro le coperte e lei che ne aveva approfittato per sedersi sopra il
bacino: la cosa divertente era che non se lo aspettava, soprattutto
dopo la scenata di qualche minuto prima.
Lei lo guardò divertita: -Com'è che oggi siamo
così in vena di cose coccolose?
Non è che tuo padre ti ha fatto sbattere la testa troppo
forte vero?- domandò ridendo mentre cercava di cogliere un
minimo segno di assenso;
-Penso sia il contrario- rispose dopo averci pensato un attimo
-Ma ora parliamo del fatto che tu te ne stia sopra il sottoscritto con
probabili intenzioni sessualmente perverse: avevo ragione io quando
dicevo che eri una maniaca, ammetti almeno questo.- disse con una certa
aria trionfante.
Jaqueline sorrise in modo più che malizioso, per non dire
perverso:
-Oh sì, sono una maniaca che se ne sta nei parchi attendendo
che passino lucertole aliene per poi stuprarle, o in alternativa le
aspetta in camera.- disse mentre con nonchalance si sfilava la
camicetta verde acqua semi trasparente
-E mi pare che qui ce ne sia una che ha un disperato bisogno di amore,
preferibilmente il mio, a meno che non ci sia qualche altra lucertolina
tremendamente sexy con cui potrei competere, vincendo naturalmente.-
continuò sfiorando il petto con una mano.
E giustamente, proprio nel preciso istante in cui si stava togliendo il
reggiseno di pizzo rosa, Cassandra aveva fatto l'ennesima entrata fuori
luogo della giornata.
-Wowowo, ci diamo da
fare!- urlò fra l'indecifrabile espressione
confusa della rossa che si rese conto che quello non era il caso di
dire "Non è
ciò che sembra".
Perchè in effetti lo era, più o meno.
-Posso restare? Prometto di non dire nulla, giurin giuretta.-
continuò con un certo interesse incrociando le dita nemmeno
fosse una bambina di cinque anni, ma la cosa non ricevette troppa
approvazione soprattutto da parte del figlio che sospirava rassegnato:
in quella casa non c'era mai e poi mai un attimo di tregua, sempre in
giro a rompergli l'anima pur di non mollargli Jaqueline da sola un solo
secondo
-Ne hai ancora per molto?- le chiese irritato e lei annuì
-Oh avanti tesoro, non mi dirai che avresti preferito ci fosse tuo
padre al posto mio?- rigirò la domanda lasciandogli il tempo
di pensare alla cosa.
No, decisamente no, sperava solo che anche Oregon non facesse anche lei
la comparsa dell'ultimo minuto.
O meglio, Jaqueline aveva avuto il tempo di rivestirsi e scendere, o
meglio cadere rovinosamente, giù dal letto prima che anche
paparino andasse a controllare perchè la moglie ci mettesse
tanto: fece qualcosa tipo rimanere a riflettere per un po', senza
nemmeno dare l'impressione di averci capito la cosa, per poi avere una
qualche illuminazione paterna.
Della serie che aveva sbattuto la coda a terra abbastanza violentemente
da rompere una simpatica lastra di marmo.
Tralasciando i costi di sostituzione a cui aveva pensato
successivamente chiarì subito la sua posizione:
-Io lo dicevo! Lo dicevo che era pericoloso lasciarvi da soli!- disse
furibondo verso Ricardo che lo fissava annoiato, d'altronde la predica
se l'aspettava
-Siete dei maniaci sessuali! Per tutte le fottutissime ragioni di
questo mondo, dovete pensare cosa?
Ad accoppiarvi come conigli, ecco a cosa: come se ne valesse della
sopravvivenza della nebulosa santo cielo!- continuò venendo
zittito da Cassandra
-Come sei all'antica tesoro, nemmeno tuo padre ha mai fatto tanto
storie- lo rimproverò sbuffando
-E poi non ti ricordi? Eravamo più giovani di loro quando
hai avuto la brillante idea di mettermi incinta: non fare la predica a
tuo figlio se poi sei stato peggio di lui.- concluse lasciandolo senza
argomenti validi.
E dandone all'altro una
moltitudine in più:
-Hai capito il vecchio moralista, viene a farmi tante storie quando si
faceva le minorenni: sei vergognoso.- lo rimproverò facendo
scoppiare a ridere Cassandra
-Ora che ci penso mancava una settimana al mio diciottesimo compleanno,
è come se tu fossi stato un pedofilo mio dio!-
esclamò tenendosi la pancia da quanto stava ridendo fra i
sospiri rassegnati e le imprecazioni di Oregon
-La volete smettere di cambiare argomento?- chiese irritato
-Non siamo qui a parlare di ciò che facevo da giovane ma di
questi due maniaci irresponsab...- non fece in tempo a finire che la
moglie lo zittì
-Sì, sì hai ragione ma ora torniamo a fare quello
che stavamo facendo e smettila di fare il vecchio bisbetico, altrimenti
ti scordi che io dopo venga a letto con te- disse con una nonchalanche
impressionante per poi girarsi verso Ricardo e Jaqueline che, come di
consueto, erano tornati a farsi gli affari loro
-Per quanto riguarda voi due fate ciò che più vi
aggrada senza ascoltare quel noioso di mio marito- continuò
sfacciata ridacchiando
-Cercate solo di non avvelenarvi a vicenda che se poi qualcuno muore
devo anche pagarvi il funerale santo cielo, proprio ora che avevo visto
un collier nuovo.- concluse facendo per uscire
-E non fatemi diventare
nonna, sia chiaro.- sospirò chiudendo la porta.
Jaqueline aveva tipo un'espressione sconvolta:
-Hanno grossi problemi i tuoi- asserì severa incrociando le
braccia
-Per chi chi hanno preso? Per dei conigli che si accoppiano tutto
l'anno?- chiese mentre l'altro scuoteva la testa in segno di dissenso
-I conigli si riproducono quattro volte l'anno, per essere precisi.-
spiegò manco fossero ad una lezione di zoologia
-E come diavolo lo sai? Hai un coniglio? A me non pare proprio, a meno
che Nala sia un coniglio.- chiese l'altra confusa
-Se definisci coniglio un roditore di un paio di metri che
può tranciarti in due sì, a palazzo ho un
coniglio.- rispose tranquillo come se fosse normale, almeno su un
pianeta alieno, allevare animali simili
-Almia, si chiama Almia se vuoi saperlo.- precisò mentre la
rossa lo fissava allibita
-Fammi capire: hai il dominio di un pianeta, della dmp e tra poco di
altri tenere pezzi di roccia vaganti nello spazio ed ora, con un
ragionamento piuttosto imbarazzante, mi vieni a dire che hai un
coniglio? Un batuffolo di pelo morbido e paffuto?- disse curiosa per
poi far cadere il discorso
-Tu mi spaventi, sei inquietante quando parli di cose tenere e paffute
come i conigli quindi, che ne so, parliamo di cose inerenti ad omicidi
che magari mi spaventi di meno.- concluse giocando con i capelli.
Conigli morbidi, paffuti
e caldi.
Ok.
Bone si era svegliato di soprassalto con una sensazione che consoceva
fin troppo bene, un qualcosa tipo che non sentiva praticamente il
braccio destro, e giustamente il primo pensiero andò a
ciò che Honey doveva essersi divertita a fare: non che la
morfina fosse stata programmata, ma starlo a sentire tutto il tempo con
i suoi "Fai piano qua,
sposta di là, guarda qui, taglia lì"
e conseguenti crisi nervose era davvero troppo anche per lei.
Fortunatamente si accorse che era seduta vicino a lui poco prima di
iniziare a lamentarsi:
-Buongiorno, vedo che ti sei deciso a smaltire la morfina: ce ne hai
messo di tempo vecchio mio.- gli disse mentre lucidava il fucile che,
giusto per le evenienze, si teneva appresso
-Otto ore a dormire fanno comodo a tutti, tranne per chi se ne
è fatte cinque fra pezzi
di titanio che tagliavano vene a destra e a sinistra, coaguli che
facevano il giro turistico dell'arteria brachiale ed ossa che non ne
volevano sapere di essere tagliuzzate: dopo tutto sei in
condizioni abbastanza presentabili per parlare con uno dei soldati di
Oregon.- comunicò appoggiando l'arma.
Era seriamente possibile che gli amichetti ed i conoscenti di quella
lucertola non lo lasciassero in pace?
Ok che stava progettando un'arma di distruzione, ma pretendere che dopo
una giornata fosse tutto pronto per iniziare era leggermente esagerato:
-Cosa vuole?- chiese ancora mezzo addormentato e l'altra
sospirò annoiata
-Ha riferito che vuole parlare con te di una proposta, così
le ho detto che poteva parlare con me dato che sono il tuo vice ma ha
insistito col voler dire tutto solo a te per cui non ho insistito.-
spiegò facendo per alzarsi e sgranchirsi le gambe dopo tutto
il tempo che era stata seduta
-Comunque sia ha delle belle curve, se proprio ti interessa.- concluse
stizzita; non che fosse gelosa della cosa, ma di solito era lei la
prima donna del gruppo: non Wolfrain, non un'altra, lei.
Honey decise di provare a nascondere quel pizzico di invidia con un
sorriso come tanti altri, ormai era abituata a quel metodo da anni:
-Torniamo al mio mercenario preferito che tra poco si
lamenterà del fatto che lo abbia drogato per farlo stare
buono: vero che mi perdoni? Vero?- domandò con quegli occhi
da cerbiatta, e lui si mise a sospirare -Ti devo una mano, quindi direi
di sì, ma non ci riprovare o ti impicco con il tuo stesso
intestino.- sentenziò fingendosi offeso.
Risolti i convenevoli e le scuse abbozzate si dedicò con un
certo impegno a cambiare le bende che coprivano un lungo taglio che
andava dall'avambraccio al polso e che si diramava per gran parte del
palmo della mano:
-Mi hai dovuto resuscitare dal regno dei morti o sono sopravvissuto ai
tuoi esperimenti?- chiese lui curioso, anche perchè non
sentiva nulla dalla spalla fino alla mano stessa:
-Sei proprio un simpaticone sai? Tutto bene, tranne che all'ultimo
momento sono stata abbastanza stupida da recidere un paio di vene: lo
so, lo so, è un incidente da principianti, ma non sei morto
dissanguato quindi ritieniti fortunato.- disse con un certo imbarazzo
-Comunque sia penso che dovresti riuscire a muovere il polso anche ora,
hai abbastanza morfina in circolo da stordire un cavallo per cui il
dolore non dovrebbe essere un problema.- continuò ridendo e
facendo per uscire
-Appena hai finito vieni nel laboratorio, sono arrivate due chiamate
che non ho aperto dato che erano per te: come vedi rispetto la tua
privacy, naturalmente.- terminò ridendo.
Impiegò qualche minuto per riuscire a mettersi in piedi,
senza contare morfina e sedativi vari, ed alla fine si era rassegnato a
reggersi appoggiandosi alla parete proprio davanti allo specchio
dell'armadio, una delle cose che non sopportava di quella stanza anche
fin troppo grande per chi aveva passato cinque anni buoni in una cella
sul cemento: le cicatrici si facevano sentire ogni dannata volta,
proprio come faceva la sensazione del metallo freddo a contatto con la
pelle di quando era sul fronte, ed i ricordi affioravano prepotenti fra
gli angoli della mente che aveva preferito cancellare.
Ma d'altronde ogni volta che vedeva l'iride dell'occhio sinistro che da
rosso intenso era sfumata in un rosso appena accennato e la pupilla che
ormai non rifletteva più nulla se lo ricordava eccome: aveva
finito Harvard, era entrato nell'esercito del pianeta Dokuro, lo
avevano mandato al fronte, ci aveva perso un pezzo di vita, era stato
promosse generale superiore, si era messo in proprio a fare il
mercenario e poi niente, aveva avuto troppa pietà per uno
sconosciuto e lo avevano sbattuto in cella a marcire come un cane.
Ed ora, dopo anni di silenzio, era tornato per costruire qualcosa che
avrebbe dovuto mettere in ginocchio un intero pianeta, della serie "Allegri mercenari che allargano
i propri orizzonti".
Solo che Bone Cold, di orizzonti a cui aspirare, ormai ne aveva ben
pochi.
Honey lo aspettava nel laboratorio vestita con la sua solita camicia
azzurro ghiaccio che si intravedeva appena sotto il camice bianco che,
per quello che doveva essere il medico di bordo, era necessario portare
con una certa disinvoltura femminile che solo lei possedeva certamente
più di Wolfrain; Bone non le diede nemmeno il tempo di
parlare che le fece segno di accettare l'ennesima video chiamata appena
arrivata, tanto per cambiare.
Qualche secondo e quando il collegamento video si aprì sullo
schermo gli si gelò il sangue nelle vene: era un uomo
anziano, probabilmente sull'ottantina, il volto scavato da profondi
rughe che lasciavano intravedere due occhi nocciola ancora vispi per
l'età, il tutto contornato da una rada capigliatura
brizzolata tipica di un uomo anziano
-Ah, signor Cold, quanto tempo che non la vedevo in giro, vedo che non
vi siete risparmiato nel far perdere le vostre tracce.- disse con una
voce fin troppo giovanile.
Claymore, avrebbe dovuto
immaginare che fosse lui.
Per quanto Honey ad Harvard avesse frequentato solo i corsi della
professoressa Hamilton conosceva Byron Claymore, il docente di fisica
nucleare, o meglio era al corrente della sua fama di psicotico, ed era
abbastanza felice di rivederlo dopo tanto tempo
-Signorina Cooper non si preoccupi, non mi sono dimenticato di lei per
cui le porgo i miei più sentiti saluti e, se mi permette,
vorrei aggiungere che è diventata una splendida donna.-
continuò l'uomo con un certo fare da ragazzino, ma
d'altronde non poteva non fare degli apprezzamenti.
Nel frattempo Bone stava ancora cercando di mettere a fuoco la
situazione:
-Mi avevano detto che eravate morto, per quale motivo siete, come dire,
vivo?- chiese con una certa difficoltà e l'altro lo
fissò accigliato
-Sai com'è, c'erano un bel po' di persone pronte ad
ammazzarmi per sapere qualcosa sull'arma a cui stavo, o dovrei dire
stavamo lavorando: Excelsior mi ha dato solo problemi, dovresti
saperlo- spiegò stizzito
-E ne sta dando anche a te: Oregon non cederà, quello te lo
posso assicurare.- terminò lasciandolo basito.
Come diavolo conosceva
Oregon?
L'anziano precedette la sua domanda:
-Non lo conosco di persona ok, ma la sua fama la conosco benissimo: non
hai scelta, e nemmeno io ne ho, quindi anzichè star qui a
parlare con un vecchio pazzo muoviti e costruisci quella roba se non
vuoi morire.- disse con un tono quasi preoccupato, ma l'altro era solo
confuso:
-Ci ho, voglio dire abbiamo, già provato ed abbiamo fallito,
come può pensare che possa riuscirci da solo?
Non ho tempo per nulla, non so nemmeno dove trovare tutto e, anche se
avessi il materiale, non saprei come assemblarlo!- gli urlò
in faccia, d'altronde era vero, non aveva la minima idea del da farsi.
Claymore però sorrise, un sorriso stanco ed abbattuto:
-Non è questione di farcela o no, tu devi farlo e basta-
ordinò severo -Pensi che non sappia quanto possa essere
complicato?
Lo so Bone, è difficile, tutto lo è nella fisica,
ma questa volta non puoi fallire- cercò di rassicurarlo
-Ti ho visto fare cose peggiori di Excelsior, hai superato me tante di
quelle volte che ho perso il conto: sei un mercenario santo cielo,
procurati un po' di uranio, laser qua e là e l'acciaio, non
è così complicato!- sentenziò con un
tono che mai gli aveva sentito
-Cerca di ricordarti almeno le lezioni di astrofisica sui corpi di
Dyson, dovrebbero tornarti utili quando sceglierai contenimento della
bomba.- concluse sfrontato.
Sembrò quasi che un lampo gli avesse attraversato la mente:
-Certo, tipo che prendo una sfera Dyson e ci metto dentro abbastanza
uranio da far saltare un pianeta, tipo uovo di pasqua: lei ha grossi
problemi con la fisica, figuriamoci con il terroris... Momento momento
momento: lei mi prende in giro vero?- chiese temendo già la
risposta
-Lei non mi sta dicendo che devo costruire una sfera Dyson vero?
No, certamente no, perchè lo sappiamo entrambi che
è impossibil...- non finì che venne zittito
dall'altro
-Sei in grado di farlo, te lo assicuro- disse rincuorante afferrando
una calibro nove che aveva appoggiato sul tavolo e solo in quel momento
gli altri due fecero caso al vociferare proveniente dall'esterno.
Seguì qualche minuto di silenzio, poi dei colpi sulla porta
dell'uomo:
-Là fuori ci sono quelli dell'FBI, mi vogliono morto
perchè ho rifiutato di dire al loro amico presidente i
segreti che conosco sulla fisica nucleare, ma sai una cosa?
Ho già programmato la formattazione del computer centrale,
ho dato fuoco ai miei appunti bruciando decenni di studi: mi vogliono
morto ma non mi avranno.- continuò caricando l'arma.
Honey era immobile: -Non faccia ciò che penso, la prego!-
disse sconvolta
-Perchè non da loro ciò che vogliono? la
lasceranno in pace e lei potrà tornare a fare ciò
che vuole, non servirà a nulla uccidersi prima!-
urlò con tutta la forza che le era rimasta ma l'anziano
scosse la testa
-Siete giovani, avete tutta la vita davanti e non potete capire: io
sono solo un vecchio pazzo, la mia vita non vale più di
tanto; morirò comunque, fra qualche anno, per questo mi
rifiuto di farmi ammazzare: voglio morire da uomo libero
signorina Cooper, anche se temo che una donna come voi, mai
stata sul fronte, non possa realmente capire cosa significhi la
libertà per un uomo che ha passato la propria esistenza al
servizio degli altri sempre con la testa china.- disse portando lo sguardo verso Bone Cold che se ne stava lì impassibile con
i pugni stretti
-Non avrei voluto farti assistere alla mia morte, volevo
risparmiartelo, ma non ho più scelta: in fondo in fondo sei
un bravo ragazzo, lo sei sempre stato, ma tieni a bada le tue manie di
protagonismo- raccomandò ridendo mentre si puntava la
pistola alla mascella
-So che puoi farcela, quindi vedi di non deludermi.
E' stato un piacere lavorare con te ma tutto ha una fine e per me
questo è il momento: il tempo non ha pietà,
ricorda solo questo.- concluse premendo il grilletto e lasciando che il
piombo facesse il resto.
Il vuoto.
Poi rumore di uomini che imprecavano sfondando la porta e trovando il
cadavere della loro preda e poi, in una frazione di secondo,
l'appartamento di Claymore che esplodeva in una miriade di frammenti
uccidendo tutti i presenti e cancellando ogni traccia della sua
esistenza.
Honey era crollata in ginocchio, la testa fra le mani cercando di
reprimere le lacrime che le rigavano il volto cercando di convincersi
che no, non era morto davvero; e poi c'era Bone, lo sguardo perso verso
lo schermo nero che ormai non aveva più nulla da offrire se
non un senso di immensa rassegnazione.
Lo aveva sentito, aveva percepito il suono del proiettile che sfondava
la mascella e poi perforava il cranio.
Ed era terribile.
Eppure non riusciva a mostrare quello che stava provando, un misto fra
la rabbia di non essere potuto intervenire e la consapevolezza che alla
fine aveva ragione: non c'era scelta, non ce n'era mai stata per
nessuno dei due, l'unico cosa da fare era obbedire, almeno in quel
frangente.
Raccolse tutta la forza di volontà che aveva e
tirò un respiro profondo, mettendo alla prova quei dannati
polmoni che si trovava:
-Vedi di alzarti e riprenderti in fretta- rimproverò la
ragazza che lo guardava stranita
-Hai detto che c'è uno dei soldati di Oregon?
E allora fammici parlare, abbiamo perso già troppo tempo.-
concluse facendo per andarsene ma si fermò qualche secondo
dopo aver fatto un paio di passi
-Quando hai un momento libero chiama Leftika e dille di iniziare a
tessere le sue reti burocratiche con i fornitori e le ambasciate: non
voglio sorprese quando arriveranno cinque tonnellate di uranio fresche
di giacimento altrimenti la riterrò diretta responsabile.-
terminò girandosi ed andando nell'altra stanza per parlare
con la nuova arrivata da parte delle lucertole aliene.
Ci aveva provato, fino alla fine insomma, ma Honey era riuscita a
cogliere quell'unica lacrima solitaria che era caduta a terra in modo
quasi impercettibile.
-Mi dispiace Bone, mi
dispiace tanto...- sussurrò curandosi che non
la sentisse.
Ed era vero.
_________________________________
Angolino dell'autrice
Premessa: boh, non so nemmeno per chi sto scrivendo questa fanfiction.
Ah sì, per me stessa, per Ms_Fly e.. niente, nessun altro.
La cosa è abbastanza irritante, soprattutto
perchè poi le stesse persone che smettono di recensire ad un
tratta ti chiedono di continuo:
"Ti va di recensire il mio nuovo capitolo?"
No, non mi va.
No, non chiedetemi di recensire perchè me ne frego altamente.
Rispetto, sapete cosa accidenti eh?
No, alcuni non lo sanno.
Vorrà dire che farò la stessa cosa, me ne
infischierò beatamente come fanno certi, non pensate che mi
importi.
Ok, dopo l'ennesimo sfogo che mi sta portando all'esaurimento non ho
nulla da dire, se volete (ma tanto so che non volete quindi boh, lo
dico per pietà verso me stessa) lasciate una recensione.
Ah dimenticavo, costa
fatica farlo.
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Capitolo 13 *** Eye of the Tiger ***
Jaqueline
si era ormai completamente abbandonata nelle mani di Cassandra che la
stava sistemando come se dovesse andare a fare chissà cosa,
senza considerare che era nuda come un vermetto dolce ed affettuoso: le
si mozzava il fiato ogni volta che stringeva il corpetto coperto di
pietre che scendeva fin sotto i fianchi dell'abito a sirena blu cobalto
che le aveva regalato per l'occasione, probabilmente il risultato di
qualche complotto con Estrella fatto in sua assenza dato che nemmeno lo
aveva visto alla botique.
Quando finalmente finì di sistemarle il vestito la fece
girare per controllare che non ci fossero spiacevoli pieghe in giro:
-Sei perfetta tesoro mio, sembra fatto proprio per te.-
puntualizzò studiando ogni minima angolazione
-Ti piace?- le chiese infine notando quel velo di preoccupazione che
l'altra stava cercando di controllare, evidentemente senza riuscirci.
La rossa stette in silenzio per un tempo che le parve infinito, poi
annuì debolmente abbassando lo sguardo e rivolgendolo ad un
punto non ben definito: era inutile dire che le piacesse
all'inverosimile, era davvero stupendo, ma non sentiva sua tutta
quell'eleganza, tutte quelle attenzioni che Cassandra le dava come se
fosse la cosa più naturale del mondo proprio non le
appartenevano.
Sembrava troppo bello
perchè potesse durare, pensava solo a
quell'eventualità.
Lei le sollevò il mento con un dito e la fissò
con quello sguardo materno che si portava sempre dietro con chiunque:
-Vuoi parlarne?- domandò come se sapesse già che sì, aveva bisogno di
parlare e no, non aveva nessuno con cui farlo; non
riusciva a dire nulla, proprio non trovava le parole per iniziare ma
raccontarle di come si sentisse inadeguata.
Nonostante avesse una pazienza infinita Cassandra capì
presto che non avrebbe concluso niente con le parole, servivano solo i
fatti a questo punto:
-Chiudi gli occhi e non muoverti, io torno subito.- le disse
dileguandosi nella stanza adiacente senza troppi giri di parole; ok,
era abbastanza inquietante ma va beh, non aveva nulla di meglio da
fare, così decise di obbedire e si sforzò di non
aprire gli occhi per la curiosità.
Della serie che quando li aveva riaperti ci mancava poco che le venisse
un infarto.
Facendo il punto della situazione poteva anche accettare un anello da
qualche migliaio di dollari, non aveva troppi problemi nel farlo.
E anche un abito dopo l'altro.
E magari anche qualche
borsa nuova.
Solo che una corona no, quella proprio non riusciva ad accettarla
nemmeno se si sforzava con tutta sè stessa.
Dovette fare affidamento a tutte le sue forze per risponderle:
-Cosa dovrebbe significare?- domandò confusa -Non ho nessun
titolo per portarla, lo sai anche tu e poi non ho motivo per andarmene
in giro a fare la principes...- continuò quasi infastidita
venendo fermata prima di finire; l'altra non si scompose, sorrise e le
prese la mano:
-Una principessa non si misura da quanti gioielli indossi, da quante
cameriere abbia a palazzo, da quanti uomini le facciano la corte, da
quanti visoni abbia sulla pelliccia o da quante ore passi nel bagno a
sistemarsi i capelli.
Puoi essere te stessa ed essere una principessa ogni giorno, ogni
secondo, ogni attimo senza niente di tutto ciò: devi solo essere felice.-
disse facendosi seria
-Non importa da quanto tu possa partire in vantaggio: ricordati che
anche chi parte dal ciglio di una strada arriva al trono.- concluse
lasciandola senza argomentazioni, solo con un profondo senso di
rispetto verso Cassandra che, nonostante ora avesse tutto
ciò che l'universo avrebbe potuto offrirle, non si
dimenticava certo dei tempi in cui girovagava fra le favelas senza
meta.
Jaqueline guardò per un'ultima volta la sua immagine
riflessa allo specchio e si convinse che, in fondo in fondo, non era
poi così male fare quello che doveva fare; serviva
solo trovare un po' di coraggio, andare là fuori e sbattere
in faccia al mondo che ormai la Terra e la Muscle League non avevano
più nulla a che fare con lei: Arkanta era la sua casa, i
raptor la sua famiglia, non poteva chiedere altro.
Se non un altro anello ovviamente, quelli erano sempre ben accetti.
Dato che non c'era più molto su cui discutere fece un breve
inchino e ringraziò Cassandra dell'opportunità
che le era stata data, poco prima che lei se ne andasse via per finire
di sistemarsi per
"rendersi presentabile a quel branco di oche".
Non fece nemmeno in tempo a sedersi che si trovò con una
coda che terminava con un ciuffo rosa e bianco nel riflesso dello
specchio:
-Siete incantevole oltre ogni dire.- disse Berenix chinando la testa e
lasciando che una ciocca di capelli le cadesse davanti agli occhi, poi
se li sistemò con una vanità innaturale: le
squame opalescenti che riflettevano il riflesso delle gemme sul vestito
dell'altra, il corpo sinuoso e vagamente serpentiforme strizzato
nell'armatura bianca e rosa che, per quanto potesse aver visto sangue
ed ossa tranciate, sembrava lucida come il primo giorno che l'aveva
indossata.
Era tremendamente
perfetta, e ne era consapevole.
Jaqueline la congedò invitandola ad evitare quel tono
formale che trovava insopportabile, alla fine era l'unica fra le
Valchirie con cui avesse un minimo rapporto di amicizia e no, non
voleva che la trattasse come la principessina di corte:
-Ti ringrazio e ricambio naturalmente il complimento- le disse
sorridendo
-Sei venuta per riferirmi qualcosa per caso?- domandò e lei
annuì senza troppi convenevoli, sapeva bene che Berenix non
era una di quelle persone che amavano girare intorno ad un discorso per
farlo:
-Vostra Eccellenza l'Imperatore ci tiene a ricordarvi che i vostri
ospiti arriveranno a momenti e la vostra presenza è di
vitale importanza, per questo vi chiede di scendere appena sarete
pronta e vi sentirete a vostro agio.-concluse facendo per uscire, non
prima di un breve inchino; la rossa fece un cenno di assenso e la
lasciò tornare a fare ciò che doveva, con Oregon
i ritardi non erano certo ben accetti.
E in effetti anche lei doveva darsi una mossa, così
tirò un respiro profondo e si guardò allo
specchio per l'ennesima volta: era arrivato il momento di mostrare a
tutti ciò che era diventata alla faccia loro e di quelli che
l'avevo considerata solo come la
puttanella di casa McMadd.
Aveva sceso le scale con una camminata talmente regale da far salire
una punta di invidia a Berenix, che nel frattempo se ne stava di fianco
ad Oregon con la solita espressione severa del generale qual era, e
riempire d'orgoglio Cassandra che poteva constatare il frutto del suo
duro lavoro da "insegnante
di buona educazione a corte", l'ultima cosa che avrebbe
voluto sarebbe stato trovarsi su Arkanta con una ragazzina che non
sapeva come muoversi di fronte a delle lucertole psicotiche.
Stava per fare un discreto inchino di fronte ad entrambi quando
restò abbastanza impallidita davanti ad un'adorabile tigre
di tre metri dal manto bianco nella parte inferiore e di un blu-nero
sul resto del corpo che se ne stava di fianco a Cassandra nemmeno fosse
un gatto, gli occhi gialli fissati su di lei come a studiarla.
Con un fiocco rosso intorno al collo tra l'altro.
Giustamente le stava già ruggendo contro perchè
non bastavano i rettili, servivano anche i felini abnormi, a quanto
pare aveva intorno uno zoo:
-Oh tesoro mi ero dimenticata di presentarti Belize- si
scusò la donna accarezzando quella sottospecie di gatto
domestico che faceva le fusa al tocco della sua mano sulla sua schiena,
evidentemente aveva grossi problemi mentali se stava seriamente
così buono; una domanda tuttavia le sorse spontanea:
-Non per puntualizzare ma una tigre, come dire... blu ecco... non
l'avevo mai vista.- disse con un certo imbarazzo mentre l'altra rideva
divertita:
-Pianeta Giava, un pezzo di roccia vagante dove sono state confinate
alcune rarissime razze animali introvabili altrove per preservarle
dall'estinzione, lei è stata il regalo di nozze della madre
del mio amorevole compagno.- spiegò mentre l'animale si
sedeva al fianco della ragazza leccandole la mano, cosa abbastanza
inquietante:
-Devi piacerle visto? Non penso voglia mangiarti, questa mattina ha
già fatto colazione.- la rassicurò mettendole
invece i brividi.
Punto uno: stare lontano
da quel gatto pensò Jaqueline inquieta.
Un pochino diverso da una tigre, ma ugualmente guidato da un istinto
omicida verso qualunque cosa si muovesse, era Oregon che la guardava
attentamente, come se volesse trovare qualcosa di cui lamentarsi:
-Vedo che ti sei preparata a dovere- asserì facendo
riferimento alla corona che aveva accettato di portare, poi prese ad
ondeggiare nervosamente la coda
-Mi aspetto che tu mantenga un comportamento consono quest'oggi: valuta
bene ogni parola perchè ho la memoria piuttosto lunga e mi
ricorderò di tutto,
chiaro?- domandò e lei annuì cercando di
mantenere la calma, l'unica cosa che voleva era finire il
più presto possibile per uscire da quella situazione
emotivamente stressante.
E poi aveva fretta.
L'unico che sembrava seriamente tranquillo, per non dire completamente
estraneo alla situazione, era Ricardo: proprio non gliene fregava
niente di quello che tutti stavano complottando, avrebbe voluto mandare
al diavolo Oregon e magari, perchè no, tornare a fare la
vita di prima, quella pre-arrivo
famigliare di massa.
Tuttavia, per quanto suo padre avesse messo su quel teatrino per
riprendersi la corona chojin appositamente a sua spese e per quanto
fosse estremamente difficile e vincolante l'esistenza con lui in giro,
aveva dannatamente ragione: da lì a poco trovarsi ancora Kid
Muscle davanti avrebbe risvegliato la vena omicida che se ne stava ad
aspettare il momento buono per scatenarsi e non poteva permettersi il
lusso di perdere il controllo.
Perchè se non ci fosse stata anche Jaqueline avrebbe fatto
un massacro, nessuno
glielo avrebbe impedito di sicuro: nè Oregon, nè
Cassandra.
La ragazza gli si avvicinò cauta vedendo che faticava a
mantenere i nervi saldi in quella situazione, cercò un
minimo segno di complicità per capire che no, non era da
sola ad affrontare tutto quel trambusto che si sarebbe creato dopo
l'incontro; istintivamente passò la mano sulle squame lucide
color zaffiro stando attenta a non tagliarsi: la sensazione di freddo
che le trasmettevano aveva un qualcosa di terapeutico per sciogliere la
tensione, un misto fra una realtà completamente distaccata
dalla sua ed una più vicino di quanto pensasse.
Fu un attimo quello durante il quale si scambiarono più
parole di quante ne avrebbero potute dire di fronte a quei due guardoni
che non erano altro:
-Sei meravigliosa, proprio
come il primo giorno.- le disse semplicemente senza
girarci intorno e senza dilungarsi troppo, a volte era decisamente
meglio dire poche cose ma sensate ed efficaci; l'altra sorrise e
rispose con un flebile grazie per poi girarsi verso il trono in fondo
alla grande sala che la stava aspettando, si stava giocando il suo
futuro e doveva arrivare fino in fondo, era un suo dovere che conosceva
bene.
Se dobbiamo farlo,
facciamolo si disse fra sè e sè
prima di guardare l'entrata con un'aria di sfida che nemmeno lei si
aspettava di possedere.
Venite pure, sono qui ad
aspettarvi.
E Meat, naturalmente con tutta la sua allegra banda di adolescenti in
preda agli ormoni, erano arrivati eccome davanti all'ingresso del
quartier generale della dmp.
Ognuno sembrava poco più serio di prima, almeno
all'apparenza: Robin Mask era l'unico preoccupato fra tutti che
riusciva a non darlo a vedere, come solito manteneva quell'aria
imperturbabile da bravo inglese qual era, Kid al contrario stava
letteralmente per farsela addosso e, nonostante portasse abiti e
mantello come volevano le regole alla corte del Muscle, si sentiva
tremendamente inadeguato: stava andando a contrattare per salvare la
vita a sua madre, cosa poteva andare storto?
Tutto, praticamente
tutto.
Meat si mise a fare da guida al gruppo: -Mi raccomando statemi vicini
così eviteremo di creare scompiglio: quando vi
dirò di andare voi potrete entr... ragazzi?
Ragazzi fermi!- urlò contro gli altri che avevano lasciato
lui e Robin come due pesci lessi a guardarli mentre andavano
ufficialmente incontro ai simpatici amici di Oregon.
Se non fosse stato per Berenix che bloccava loro il passaggio.
Richiamò l'ordine battendo con violenza la coda a terra
ricevendo l'attenzione che le era dovuta, anche troppa dato che Kevin,
troppo impegnato a pensare alle eventuali conseguenze dei loro gesti
oltre quella soglia, inciampò cadendo rovinosamente nello
stagno dei pesci:
-Santo cielo devi sempre farti riconoscere!- gli urlò contro
suo padre cercando di contenere la rabbia e l'imbarazzo.
Ottimo inizio... pensò Meat temendo per altre figuracce, che
non tardarono certo ad arrivare dato che l'inglese saltò
improvvisamente in piedi di conseguenza a "qualcosa che gli aveva appena
assaggiato le natiche": e in effetti era stato abbastanza
inquietante vedersi una bestia un metro e mezzo con dei fottuti denti
di sette centimetri che lo guardava come se fosse la sua cena.
Anche se probabilmente lo sarebbe stato.
L'altra sospirò nascondendo il divertimento a vedere certe
cose, era palese che fossero abituati alla mondana vita metropolitana:
-Mi scuso se avete avuto un incidente con il payara signor Mask, vi
pregherei di stare attento a dove mettete i piedi: non vorrei che
dobbiate catturarne uno nuovo a Vostra Maestà, diventa
particolarmente irascibile quando qualcuno tocca i suoi pesci.- lo
rimproverò severa e fredda lasciando di stucco i presenti
Il giovane kinniku improvvisò un maldestro inchino con il
quale rischiò di cadere anche lui come un idiota e l'altra
ricambiò stizzita:
-Immagino che voi siate i membri della Muscle League venuti a chiedere
udienza a Vostra Eccellenza l'Imperatore, vi pregherei di seguirmi.-
comunicò con tono marziale per poi girarsi verso l'ingresso;
mentre gli altri la stavano seguendo furono Nala e Noir a sbarrare loro
la strada ringhiandogli contro con gli artigli ancorati al terreno ed i
canini color avorio pronti a serrarsi intorno alle loro gole.
Kid giustamente, dando prova del suo immenso coraggio, si
rifugiò dietro Kevin implorando gli animali di lasciarlo in
pace, così Berenix ne approfittò per tirare una
delle sue leggendarie frecciatine:
-Siete davvero penoso
per essere il campione terrestre, sperate forse di avere qualche
speranza davanti alla famiglia imperiale?
Persino la principessa potrebbe sconfiggervi senza grossi problemi,
figuriamoci Vostra Eccellenza.- affermò sicura e sfrontata,
poi con un gesto fece spostare i due felini lasciando allibito il
giovane; Kid si sentiva ferito nell'orgoglio, così
provò a controbattere:
-Penoso? Stami a sentire bellezza io ho sconfitto la dmp! Io e basta!-
gridò pensando di farsi valere come chissà chi.
Pessima mossa.
Un gesto fulmineo e si trovò a terra, gli
artigli puntati alla gola e la coda stretta intorno al corpo
immobilizzandolo:
-Non osate darmi del tu o vi assicuro che vi apro il torace e suono
Jingle Bells con le vostre costole, chiaro?- domandò senza
aspettarsi una risposta, poi si alzò e fece aprire
l'ingresso come se nulla fosse.
Meat e Robin non erano sconcertati da tanta violenza, ma dal fatto che
nessuno dei ragazzi fosse intervenuto: potevano sentire chiaramente il
terrore dilagare fra di loro, e non era un bene.
Non era quello a preoccuparli, era ciò che videro quando
entrarono piuttosto a far venire loro i brividi e a far paralizzare
letteralmente il kinniku.
Fra giaguari, pesci e lucertole l'incontro era iniziato benissimo, ed
era stava anche andando peggio:
-J-Jaqueline...?-
balbettò allibito.
Eh già.
La rossa se ne stava seduta sul suo trono di agata verde finemente
intagliata, in netto contrasto con l'altra seduta di onice blu, con uno
sguardo altezzoso che avrebbe superato anche quello di Berenix: aveva
un certo portamento regale, tanto da sembrare completamente a proprio
agio in una situazione simile, impassibile e risoluta come non era mai
stata.
Persino Ricardo era riuscito a darsi una calmata ed ora se ne stava al
suo fianco sfoggiando tutta la lucertolosità dei raptor come
aveva espressamente chiesto Oregon, risultato di quel dannato mese
passato sul suo amato pianeta natale: le squame azzurre e bianche si
intravedevano qua e là quando non erano coperte
dall'armatura, molto simile a quella di Berenix se non per i dettagli
neri anzichè rosa ovviamente, il mantello rosso bordato di
ermellino che ricadeva a terra dal quale faceva capolino la coda
coperta da spesse spine ossee coperte di profonde cicatrici ormai
richiuse.
Fra tutti, tralasciando Kid Muscle ancora intontito, Kevin Mask era
l'unico che stava seriamente tremando come una foglia: ok, non era una
bestia di dodici metri come l'altra volta, ma non si sentiva comunque
al sicuro a sapere che si trovava in territorio nemico; alla fine il
kinniku prese parola e si fece forza:
-Jaqueline... cosa significa tutto questo? Cosa stai facen...- disse
quando venne interrotto da una colpo di coda dritto alla caviglia da
parte di Berenix:
-Insolente che non siete altro, non avete il diritto di rivolgervi cosi
famigliarmente alla principessa, chiedete prima diritto di parola o
sarò costretta a farvelo capire con i miei metodi.-
asserì seria guardandolo dall'alto in basso con uno sguardo
pieno di odio e ribrezzo verso quella razza di maiale
all’ingrasso viziato e mentalmente arretrato.
Dopo aver scambiato un veloce sguardo con Oregon e Cassandra, che se ne
stavano da una parte da soli a guardare pur sempre con il loro ruolo di
imperatori, la ragazza rispose senza girarci troppo intorno:
-Non faccio proprio nulla che non abbia il diritto di fare, sono
abbastanza grande da poter decidere da sola ciò per cui
combattere e le persone di cui circondarmi, non mi servono i perdenti
come voi pronti solo a strisciare sbavando ai miei piedi- si
affrettò a spiegare altezzosa, ma l’altro non
voleva demordere:
-Perdenti? Fino a prova contraria quella… cosa ecco, che ti
trovi vicino ha perso contro i sottoscritto, i perdenti sono altri e
non certo noi!- provò a dire in un impeto di orgoglio ferito
senza ascoltare Kevin che gli suggeriva invano di stare zitto, aveva la
lingua fin troppo lunga:
-Santo cielo Jaqueline, sei diventata cieca forse?
Ti rendi conto di essere finita in mezzo a quelli che noi combattevano,
quelli che hanno cercato di radere al suolo questo pianeta?
Rispondimi!- concluse avvicinandosi con aria minacciosa.
Questa volta non fu Berenix ad intervenire, ma fu Ricardo stesso a
mettersi in mezzo alla questione: sia perché Kid si sentiva
particolarmente potente senza motivo, sia perché avevano
appena tirato in ballo la dmp senza nemmeno chiedere, sia
perché nessuno doveva parlare così alla sua
Jaqueline.
Sebbene portasse l’armatura i movimenti restavano abbastanza
fluidi da permettergli di scagliare il kinniku contro una colonna a
pochi metri con una codata che lo fece piegare in due dal dolore, se
pensava che quel confronto sarebbe finito come le semifinali si
sbagliava di grosso:
-Non ti conviene essere così certo della tua vittoria,
qualcosa potrebbe andare storto Kid Muscle, o magari qualcuno si
farà male chi lo sa.- asserì stringendo gli
artigli alla gola e rendendo vano ogni tentativi di opporre resistenza.
Solo dopo interminabili minuti mollò la presa e se ne
tornò soddisfatto al suo posto lasciando che un velo di
terrore prendesse spazio nella mente del kinniku rendendolo incapace di
controbattere così, dato che le cose si stavano
esageratamente surriscaldando, Meat decise di fare lui da portavoce
rivolgendosi ad Oregon:
-Non per dire ma King mi aveva riferito di una contrattazione con te
personalmente, per quale motivo hai cambiato l'ordine delle cose?-
chiese con una certa curiosità ma l'altro non si scompose
-King manda qui suo figlio ed io mando il mio, non mi pare
così complicato da capire: perchè Meat, qualcosa
in contrario?- rigirò la domanda ottenendo come risposta un
sonoro no, l'ultima cosa che voleva era vedere un massacro in diretta.
Stabilite le basi per una conversazione più o meno civile, e
dopo aver fatto calmare gli animi, la rossa decise di avviare le
contrattazioni:
-Immagino vi troviate qui, con tanto di seguito tra l'altro, per avere
l'antidoto che potrebbe salvare la regina Belinda, tuttavia mi chiedo
perchè non abbiate chiesto questo ai diretti interessati-
disse fingendo di non sapere che Mizuki aveva già rifiutato
animatamente la proposta; Kid si fece forza e, dopo aver fatto un
leggero inchino come aveva ordinato Berenix, rispose alla domanda:
-I sovrani di Iga hanno deciso di non aiutarci principalmente per
alcuni... torti
diciamo, che mio zi... ehm che il sergente Ataru ha fatto alla famiglia
reale, credo sia questo il motivo per cui siamo qui a chiedere a voi di
farci da tramite, più o meno.- spiegò
distogliendo lo sguardo, ma lei non aveva affatto intenzione di
accontentarsi
-Torti? E di che tipo? Non penso che, facciamo un esempio, semplici
promesse non mantenute spingano due imperatori a rifiutare la richiesta
di aiuto da parte dei propri vicini di pianeta non credi?-
continuò sapendo bene di toccare una argomento che Meat
preferiva non sollevare.
Ci mancava quello, proprio utile davanti ai propri nemici:
-Non penso sia importan...- cercò di intervenire prima di
essere fermato dalla ragazza stessa:
-Oh no, lo è eccome: forza Kid, raccontaci di quel sant'uomo
di tuo zio, siamo tutti qui per ascoltarti e, perchè no,
valutare la nostra idea sull'aiutarvi o meno- disse per poi alzarsi ed
iniziare a camminare avanti e indietro:
-Partiamo dal presupposto che i femori non si rompano da soli, che gli
omeri non si divertano ad uscire dal gomito e che le costole non si
spezzino volontariamente: credi davvero che la leggendaria massima
sfida dei Muscle non fosse preparata a tavolino?
Come anche la Generazione X ovviamente: mio padre ha sborsato fior di
milioni per portarti fino alla fine, chiedi anche a Jeager, lui
dovrebbe saperlo bene.
Quando queste cose escono da palazzo diventano pericolose, non trovi
tremendamente divertente che Iga si rifiuti di aiutarvi? Io avrei fatto
lo stesso.- concluse godendosi l'espressione del ragazzo che, allibito,
era visibilmente preoccupato di cambiare argomento.
Cercando di sbrogliare la situazione riportò l'attenzione su
Belinda:
-Si tratta di mia madre, non di mio zio o di me: morirà se
non avrà l'antidoto quindi, per favore, aiutateci ad
ottenerlo.- la implorò con le lacrime agli occhi, ma niente
di quello che stava facendo sembrò avere effetto
nè su di lei nè su Oregon e Cassandra, che anzi
si stavano divertendo.
Ricardo allora si unì al divertimento puntualizzando una
cosuccia da nulla:
-Morirà comunque,
antidoto o meno: vi svegliate dopo giorni a venire qui ad implorarci e
pretendete anche che il tutto abbia effetto?
Siete proprio stupidi, lasciatemelo dire: di solito una persona in un
caso simile si mobilita subito, non dopo svariati giorni passati a
pensarci sopra.- sentenziò ondeggiando placidamente la coda
-Cosa ve ne importa, ormai ha le ore contate lo stesso, la colpa
è vostra e del dannato orgoglio che credete di avere.-
terminò certo di aver centrato l'obbiettivo.
Il silenzio calò su tutti i presenti: nessuno aveva pensato
che, anche se avessero provato a salvare Belinda, ci sarebbero state
svariate possibilità che morisse comunque.
A Kid si gelò il sangue nelle vene fino a quando, dietro
suggerimento di Oregon, l'altro aveva tirato fuori una boccetta che,
almeno per colore e consistenza, sembrava realmente il tanto agognato
antidoto.
Se non fosse che si trattava del veleno di uno dei simpatici ragni
erranti brasiliani che Cassandra allevava amorevolmente: qualcosa come
una dose minima per produrre effetti devastanti, proprio ciò
che serviva.
Voleva dargli qualche speranza sì, ma di uccidere la donna
più velocemente:
-Avanti, prendilo pure, a me non serve di certo.- disse con nonchalance
dandolo a Berenix che poi glielo consegnò: non poteva
crederci, avrebbero salvato Belinda, e lo avrebbero fatto davvero!
Più o meno
insomma.
Lui restò sulla difensiva ancora qualche istante, poi la
raptor gli passò un foglio da firmare:
-Semplice presa di
responsabilità: se l'antidoto non
farà effetto a causa della vostra attesa nel chiedere aiuto
mi ritengo sollevato da ogni responsabilità, non ne voglio
sapere niente di niente.- spiegò prima che Kid, Meat ed
anche Robin firmassero, il primo per conto del re e gli altri due come
testimoni dell'avvenuto accordo.
Ricardo non aveva intenzione di trattenersi oltre con quel branco di
carne da macello, motivo per cui subito dopo li invitò
cortesemente ad andarsene:
-E' meglio per voi se ve andate prima che cambi idea, vi ho visto
già abbastanza per quest'oggi e per il resto della mia
esistenza.- li congedò freddo e distaccato come aveva
imparato ad essere da Oregon; Kid Muscle non poteva credere che fosse
vero, soprattutto perchè stava parlando con quello che
avrebbe dovuto essere un suo nemico giurato:
-Vi ringrazio, non so come potrò sdebitarmi per questo:
grazie, grazie davvero.- concluse il kinniku uscendo e chiudendo le
porte lasciando dietro di sè il silenzio.
La dmp stava rimontando,
e non di poco.
Se sulla Terra gli incontri improbabili fra dmp e Muscle League erano
temporaneamente finiti, su Iga il peggio doveva ancora iniziare:
tralasciando Soichiro che era già con gli ambasciatori delle
province alla fortezza del lago Yuna, Mizuki si stava divertendo a
tenere testa ad un kalashnikov puntato alla tempia; trovava
particolarmente divertente che ci fosse seriamente qualche psicopatico
che si potesse mettere in mezzo fra le leggi di Iga e il futuro di un
intero pezzo di roccia.
E poi, se proprio doveva essere sincera, con i mercenari non andava
d'accordo.
Sebbene il suo esercito ne facesse uso quotidianamente.
Era però necessario riconoscere che in quel frangente essere
l'imperatrice potesse servire a ben poco dato che nè le sue
guardie nè le sue sacerdotesse erano in vista: uno degli
inconvenienti della preparazione di chissà quale cerimonia
che, se si vuole dirla tutta, era la classica trovata "tanto fumo niente arrosto":
tante belle parole per avere il diritto di governare come meglio si
credeva un pezzo di roccia e plutonio vagante nello spazio circondato
da innaturali stelle collassate.
Tuttavia, per quanto di solito Mizuki fosse una donna ragionevole e
sicura di sè, non si sentiva propriamente agiata quando
c'era Bone Cold in giro, le dava uno spiacevole senso di insicurezza
che uno psicotico del genere potesse scorrazzare liberamente sul suo
pianeta quando questo era praticamente esposto a qualsiasi attacco:
quasi quasi, se non avesse saputo che a quanto pare era lo spacciatore
di ordigni nucleari di Oregon, lo avrebbe mandato all'inferno di
persona.
E poi niente, c'era Hanzo che proprio se ne fregava altamente di tutto
e di tutti: considerando il fragile equilibrio mentale in stato
precario che lo divideva dal commettere omicidi famigliari si poteva
dire che si stava impegnando per non compromettere l'immagine che
Soichiro aveva impiegato settimane a creare.
Bone Cold da parte sua non faceva caso a quello che diceva Mizuki, era
come se lei stesse parlando al vento: aveva un kalashnikov santo cielo,
poteva anche farle saltare il cervello, solo che dopo avrebbe fatto lui
la stessa fine; il problema era che con lei, quando si impuntava su
qualcosa, era impossibile parlare normalmente:
-Credi seriamente che un pezzo d'acciaio possa bastare a salvarti il
culo?- chiese con quel fare arrogante che, almeno negli ultimi tempi,
preferiva di gran lunga utilizzare; naturalmente la donna non poteva
non controbattere:
-Io almeno il culo non
lo do' al primo che passa.- rispose sprezzante del
pericolo.
E infatti si trovò a terra con la canna del fucile in fronte:
-Oh certamente, chissà a quanti l'hai dovuto dare per
arrivare fin qui: è proprio vero che le puttane sono ovunque,
magari anche al trono.- disse nemmeno fossero degli adolescenti che
facevano a gara di insulti.
Seguirono dieci minuti buoni ad insultarsi come degli idioti mentre
Hanzo si godeva la scena allibito: -Per quale assurdo motivo vi
comportate come due teenager che si contendono il ragazzo?- intervenne
severo, poi si rivolse verso sua madre
-Tornatene dalle tue sacerdotesse e non provare a rifare una cosa
simile, è penoso ed indubbiamente imbarazzante pensare di
essere tuo figlio.- la congedò assicurandosi che se ne fosse
andata davvero, poi invitò l'altro ad entrare e chiuse la
porta a chiave per evitare spiacevoli inconvenienti.
Bone si sedette controvoglia sul davanzale e si accese una sigaretta,
Honey lo avrebbe ucciso se lo avesse saputo ma d'altronde lei non
c'era:
-Salterò la parte in cui dovrei ringraziarti per avermi
liberato da quell'arpia e ti dirò subito che sei proprio uno
svergognato, indecente che non sei altro: non stiamo facendo un
calendario porno, non-è-così.- asserì
con un'inquietante serietà alludendo al fatto che,
nonostante ci fossero una decina di gradi sotto lo zero in piena notte,
andarsene in giro a petto nudo era l'idea migliore che si potesse avere.
Soprattutto se si avevano grossi problemi psicologici.
O psichiatrici.
Giustamente l'altro sospirò rassegnato, con Bone c'era ben
poco di cui discutere:
-Non hai niente di meglio da fare, davvero niente di niente?
Commissioni da mercenario, ordini di Oregon, andare a puttane,
proprio nulla? - domandò e lui fece segno di no, purtroppo:
-Un giorno ti ci porto, chissà che finalmente mi darai
qualche soddisfazione e la smetterai di fare quello sessualmente
represso della compagnia.- asserì con una nonchalance
impressionante, stava decisamente fuorviando il discorso iniziale.
E si notava non poco: -Tu hai grossi
problemi, te l'ho ripetuto decine e decine di volte che magari parlare
di cose serie è decisamente più costruttivo, o
magari è meglio spostarsi sulla questione allegri-femori-che-si-spezzettano-placidamente:
conversiamo su Macklemore Cave piuttosto.- disse senza dargli troppe
vie d'uscita; Bone lo fissò giusto qualche istante, tanto
per assicurarsi che non avesse intenzione di ucciderlo prima, e
soprattutto per cercare di capire come diavolo sapesse già
di cosa voleva parlare:
-Non per intromettermi ma come sarebbe a dire che...- non
riuscì a finire che venne zittito senza nemmeno aspettarselo
-Sensi di colpa, i tuoi sono così dannatamente prevedibili
che ormai se non è una cosa allora è l'altra; e
poi niente, mi fissi la cicatrice come
se fossi dio sceso in terra, anche se magari potresti
avere ragione.- spiegò freddo, si vedeva che non voleva
toccare l'argomento.
Come sempre
del resto.
Macklemore Cave, ovvero "pratico
manuale sul come farsi catturare mandando a quel paese otto mesi di
latitanza".
Non prima di scannarsi a vicenda, quello proprio non potevano evitarlo.
Inutile dire che Bone Cold si sentì soffocare dai sensi di
colpa, quegli amorevoli sensi di colpa che lo perseguitavano da cinque
anni buoni: sapeva fin troppo bene che era stata la sua geniale
trovata, unita ad un innato senso di omicidio intenzionale premeditato,
ad aver scatenato il putiferio nel giro di qualche ora.
Della serie che, cronologicamente parlando, aveva pensato bene che se
anche l'altro non era d'accordo non cambiava nulla; i problemi erano
iniziati quando aveva detto un paio di paroline in più che,
se magari fosse stato zitto come suo solito, gli avrebbero risparmiato
una cicatrice in piena faccia, non era stata una grande trovata quella
di ignorare il fatto che anche se Hanzo non se ne andava in giro con
una spada in bella vista poteva fargli male senza troppi problemi.
E di risposta era quasi riuscito a cavargli un occhio accidenti, c'era
davvero andato vicino, solo che il pugnale gli era scivolato di mano
prima che riuscisse nel suo intento e niente, aveva solo scavato un
solco fino al collo causa polso spezzato: dio solo sapeva quanto si
fossero divertiti a farsi fuori a vicenda, anche se la tregua
obbligatoria per riuscire ad oltrepassare il confine indisturbati era
durata finchè avevano potuto, poi Ataru era arrivato con il
suo simpatico esercito e basta, era finito tutto.
Niente di che ovviamente, solo che fra Bone Cold con una commozione
cerebrale ed Hanzo con un femore che gli usciva dalla gamba le scelte
si erano ridotte ad un'umiliante quanto vergognosa resa senza nemmeno
opporre resistenza.
Sì, faceva schifo.
Sì, lo sapeva mezza galassia, Mizuki e Soichiro compresi.
Ecco.
Nella stanza c'era un silenzio che Bone, nonostante avesse sperato che
la situazione non degenerasse troppo, non si aspettava effettivamente,
avrebbe preferito che avessero iniziato a litigare come solito
piuttosto che fissarsi come due idioti.
Hanzo fu l'unico fra i due che si decise a parlare, anche
perchè l'istinto di mettergli le mani al collo ed ammazzarlo
stava prendendo fin troppo piede:
-Se hai finito di fantasticare con il tuo piccolo cervello ti pregherei
di andartene il prima possibile, avrei da fare se non è
troppo disturbo: sai come funziona, c'è ancora il posto di
imperatore vagante e non vorrei che qualche terrorista si metta in
mezzo fra me e questo pianetucolo.- si lamentò sperando che
non finisse come le altre volte durante le quali doveva ripetergli fino
alla sfinimento che no, non gli interessava di quello che era successo
a Macklemore Cave.
Ma come era prevedibile Bone Cold non aveva intenzione di cedere
così presto:
-Io dico che in realtà mi odi a morte.- sentenziò
severo e l'altro sospirò rassegnato
-Oh sì infatti, con la differenza che sono i miei amorevoli
genitori che la pensano così: per quel che mi riguarda te
l'ho già fatta pagare tempo fa questa questione, non mi va
di continuare ad infierire su un povero ed indifeso mercenario che non
ha ancora capito come stare al mondo.- rispose senza mezze misure.
Dio solo sapeva cosa lo stesse trattenendo dall'aprirgli il cranio con
un proiettile, anche se probabilmente era la consapevolezza di
rischiare il linciaggio ancora prima di premere il grilletto; e va beh,
doveva sopportarlo finchè se ne stava lì:
-Te lo dirò una sola e dannatissima volta, non chiedermi di
ripeterlo ancora altrimenti non sarò responsabile delle mie
azioni: non ce l'ho con te, non me ne frega nulla, voglio solo vedere
morto quel bastardo di Ataru, ammazza lui e sono felice anche io,
chissà che entri anche nelle grazie di paparino.
Ti va bene o devo fartelo capire in altri modi?- concluse aprendo la
porta ed invitandolo ad uscire
-Non ti conviene stare qui ancora per molto dato che, tempo qualche
decina di minuti, ci saranno in giro abbastanza astronavi da guerra da
ridurre a brandelli la tua: vedi di non farti ammazzare prima.-
raccomandò mentre Bone lo guardava divertito, sapeva che in
fondo in fondo si preoccupava della sua salute, o magari no -Accetto
volentieri il consiglio, ci sarà il mio vice che mi
starà cercando a quest'ora, non vorrei che girasse nuda per
il quartier generale scatenando una dozzina di scimmie neo-trentenni in
preda agli ormoni- ironizzò dandogli una pacca sulla spalla
-Fai il bravo dittatore, non farti decapitare prima e soprattutto
legalizza la droga, quella ci vuole sempre per un popolo di cittadini
cocainomani felici.
E trovati una ragazza da portarti a letto, sarebbe un peccato se si
consumasse col tempo.- lo congedò lasciandolo a
metà fra l'allibito e lo sconvolto, da lui si aspettava quei
discorsi ed ormai era più o meno abituato, però
facevano un certo effetto comunque.
Sì, finchè non avrebbe trovato qualcuno gli
avrebbe rotto l'anima peggio di quanto già facessero Mizuki
e Soichiro quando, magari inavvertitamente, sentivano la parola matrimonio: non che
provassero anche solo a sfiorare l'argomento con Hanzo nei dintorni,
quello no, ma era certo che stessero davvero pensando a combinare
qualcosa di non meglio definito; su Iga le principessine che ambivano
al trono imperiale c'erano eccome, non mancavano di certo,
però bisognava vedere se anche il diretto interessato fosse
d'accordo.
E sinceramente ad Hanzo proprio non cambiava la vita avere intorno le
prime donne di turno, le considerava egualmente oche e pettegole tutte
allo stesso modo.
Ok, forse il comportamento da nerd ventisettenne carente di figure
femminili si stava accentuando anche troppo ma con Bone in giro poteva
stare sicuro che, prima o poi, qualcuna normale l'avrebbe anche trovata.
O magari l'aveva già, d'altronde solo perchè non
andava a sbandierarlo ai quattro venti non significava che facesse
l'asociale.
Però
preferiva decisamente fare il nerd, era anche più redditizio.
Non aveva ancora capito se chiamarlo istinto predatorio o semplice
voglia di sangue, restava il fatto che ora come ora Ricardo stesse
pericolosamente gironzolando per la foresta amazzonica trascinandosi
dodici metri buoni di squame che recideva alberi a caso e trucidavano
adorabili scimmie che se ne stavano comodamente a penzolare per i fatti
loro: era decisamente troppo nervoso per starsene ancora un secondo in
mezzo ai complotti di Oregon e simili o per sentire Jaqueline fargli il
terzo grado, l'unica cosa di cui aveva bisogno era un po' di sangue,
possibilmente di provenienza di qualcuno della Muscle League.
Dopo anni riusciva ancora ad orientarsi fra le liane che sbarravano
ogni dannato sentiero ed anche i tronchi a terra fortunatamente non
rappresentavano un grosso problema quando erano tre tonnellate a
ridurli in una più utile segatura; il silenzio che regnava
nella foresta era qualcosa di innaturale, sembrava quasi di trovarsi in
un luogo completamente diverso dal trambusto delle grandi
città a pochi chilometri dai confini naturali che si erano
formati col tempo.
E sfortunatamente quel silenzio gli stava servendo per rendersi conto
che ormai aveva perso il controllo di tutto, vita compresa: avanti,
stava seriamente girovagando così alla cavolo con le
sembianze di una lucertola abnorme, di solito la gente normale non lo
faceva.
Solo che i raptor non erano gente normale ecco, erano una razza aliena
assetata di morte e distruzione.
Non che non fosse d'accordo con la scelta di tirare fuori la lucertola
assassina che era in lui, solo che faceva uno strano effetto dopo aver
passato vent'anni più o meno normalmente in mezzo a persone
più o meno normali vivendo una vita più o meno
nella norma.
Più o meno, c'era da sottolineare questo, era sempre
così: nè più nè meno, solo
più o meno, quella via di mezzo fra la certezza e
l'indecisione.
E va beh, si stava facendo andare bene tutto, anche vagare fra rami
caduti e foglie grosse come persone attendendo di arrivare alla
spiaggia per fare una visitina a qualcuno degli amichetti di Kid e
compagnia, magari uno con i lquale non sarebbe stato difficile avere a
che fare per sprecare meno tempo possibile.
Si stava arrampicando alla bene e meglio su una roccia per non dover
fare tutto il giro della radura al fine di arrivare dall'altra parte,
tuttavia si rese conto che anche con gli artigli era difficile trovare
una presa salda su un pezzo di pietra umido e coperto di licheni; ci
lavorò quasi una decina di minuti, anche perchè
la pendenza era piuttosto elevata, e fu solo allora che un rumore quasi
impercettibile attirò la sua attenzione: un fruscio, o
comunque qualcosa di simile, che sembrava ogni secondo sempre
più intenso.
Analizzò tutte le scelte possibili: giaguari?
No, non si spingevano mai fin lì e se lo facevano se la
davano a gambe levate appena vedevano che c'era qualcosa più
grosso di loro nei dintorni.
Scimmie? Probabilmente nemmeno sopravvivevano in quei posti sperduti.
Escluse piante carnivore e simili, gli insetti non facevano
così tanto rumore e nemmeno i pesci dato che il corso
d'acqua più vicino era a qualche centinaio di metri
dall'entroterra.
Ci fu ulteriore suono, più simile ad alberi spezzati da
qualcosa di pesante.
Molto
pesante.
Alzò il muso in cerca di qualsiasi indizio che potesse
presumere l'arrivo di qualcosa che non doveva decisamente esserci e che
probabilmente non aveva buone intenzioni, ma alla fine non
passò molto fino al momento in cui sentì
un'improvviso brivido percorrergli le squame fino alla punta della
coda; si era girato di scatto ed aveva chiaramente visto la roccia,
prima lucida e coperta d'acqua, ricoperta da uno strato quasi
invisibile di ghiaccio.
Ghiaccio, come no: nemmeno nevicava in Brasile, eppure c'era del ghiaccio con una
temperatura media di 42 gradi ed un'umidità al 95%.
A risvegliarlo dalla confusione biologica nel cercare di trovare una
spiegazione razionale alla cosa ci pensò un ruggito per
niente amichevole vicino, magari anche troppo rispetto al fruscio di
prima: qualche secondo dopo la vegetazione stava letteralmente
congelando e solo allora si decise ad andarsene, in fretta
possibilmente; nonostante si considerasse abbastanza veloce da seminare
quella coltre di ghiaccio che avanzava senza troppa fretta si
trovò la strada sbarrata da quelli che sembravano cristalli
di dimensioni variabili rigorosamente congelati che, dopo un'attenta
riflessione, decise di provare a scavalcare.
Se non fosse che non erano pezzi di roccia, ma una tenera coda che non
aveva intenzione di farlo passare.
Si trovò a terra con la zampa destra anteriore e la sinistra
posteriore bloccate a terra, senza contare entrambe le ali
del alto destro coperte da abbastanza ghiaccio da rendere impossibile
ogni minimo movimento; ancora una volta l'aria gelida che aveva sentito
prima si ripresentò nuovamente, poi finalmente vide
ciò che da una decina di minuti buoni lo stava seguendo, se
non più tempo: un raptor, ne era certo.
Fra coda e corpo saranno stati almeno venti, forse venticinque o
più metri di muscoli pronti a farlo fuori, ormai ne era
certo: tutto il corpo era ricoperto da spessi cristalli ghiacciati di
spessore e lunghezza variabili ma tutti ugualmente affilati e taglienti
nemmeno fosse un iceberg, sotto di essi una coltre di squame bianche ed
azzurro molto chiaro si estendevano dove il ghiaccio non arrivava, la
coda di una lunghezza praticamente paragonabile a quella del corpo, se
non di più, che terminava con una grossa punta parecchio
minacciosa, la testa forse un po' piccola rispetto al resto coperta da
squame congelate di un bianco neve fra le quali facevano capolino due
occhi color oro segnati da una pupilla perfettamente ellittica, per non
parlare delle due file di zanne che non davano nessuna buona sensazione.
Se non voleva finire sbranato, anche se in effetti quel coso si
avvicinava piuttosto placidamente, doveva seriamente fare qualcosa.
Subito.
Sapeva che il sangue di raptor era corrosivo, lo aveva già
sperimentato di persona, così fece leva su tutte le forze
che aveva in corpo per azzannarsi la spalla cercando di controllare il
dolore lancinante che, proprio come un idiota, si stava facendo da
solo; liberata quella non fu troppo impegnativo usare gli artigli per
liberare anche il resto del corpo e scrollarsi di dosso il ghiaccio,
solo che ora bisognava pensare al contrattacco: non fece in tempo a
muovere una zampa che venne costretto a terra da tre artigli di una
cinquantina di centimetri che ci mancava poco gli tranciassero la
giugulare, non era troppo divertente non avere una sola
possibilità di fuga.
Ecco, avrebbe voluto che ci fosse Oregon in giro in quell'istante,
magari avrebbe fatto qualcosa che non fosse complottare alle sue spalle.
Non era tanto la preoccupazione del trovarsi davanti a qualcosa di
decisamente inaspettato quanto il fatto che quel coso lo stesse
fissando fin troppo da vicino, abbastanza da sentire il fiato gelido
sul collo.
E abbastanza da conficcargli le spine della coda sul fianco sperando in
un miracolo.
Naturalmente si ruppero ok, però almeno ci aveva provato.
Niente, si sarebbe
lasciato morire che forse era meglio.
A meno che Oregon non avesse fatto la solita entrata in scena trionfale
scaraventando quella lucertola del Cretaceo contro un paio di tronchi,
per poi mettersi sulla difensiva con le ali spalancate e gli artigli
piantati sul terreno pronto ad attaccare: forse non dimostrava questo
grande amore paterno, magari sembrava anche solo un sociopatico pronto
a sodomizzare chiunque per proprio gusto personale, ma non avrebbe mai
permesso che qualcuno avrebbe toccato Ricardo, non un'altra volta.
L'altro raptor si rialzò in fretta scrollandosi la terra di
dosso poi fortunatamente, o sfortunatamente, tornò in quella
che doveva essere la sua reale forma: era decisamente più
alta di Berenix anche se la corporatura era la stessa, le squame erano
di un bianco candido e lasciavano posto qua e là a lucide
chiazze di ghiaccio iridescenti come anche lo erano dorso, coda e la
parte terminale delle zampe, lo stesso valeva per quattro corna non
troppo grandi ricoperte di anelli dorati dai quali pendevano alcune
pietre di vari colori, circondate da dei lunghi capelli che sfumavano
dal verde acqua all'azzurro fino al blu cobalto e quello quasi nero
sulle punte, raccolti in una treccia portata sulla spalla.
Non che fosse nuda, ma i drappi bianchi che coprivano a malapena il
seno ed il fondo schiena lasciavano ben poco all'immaginazione.
Appurato che fosse una signora egocentrica e vanitosa come poche Oregon
sospirò rassegnato tornando anche lui in un'altra forma:
-Oh avanti, non stavo uccidendo nessuno: stavo solo cotnrollando che
non si fosse rammollito col tempo- si giustificò con fare
cinico, poi si avvicinò di qualche passo ad Oregon, che
intanto manteneva un atteggiamento distaccato:
-Quanto tempo tesoro! Fatti vedere, su su vieni qua prima che venga io
da te.- gli disse prendendolo di forza ed avvolgendogli la coda intorno
alla spalla con fare amorevole, anche se lui di amorevole aveva ben
poco
-Come sei schivo santo cielo, guarda che la mamma è sempre la
mamma.
Anche se è una lucertola naturalmente.- concluse
accarezzandogli la testa mentre lui la fissava seccato, non amava
quelle dimostrazioni pubbliche di affetto materno.
Lei si decise finalmente a girarsi verso l'altro, che assisteva alla
scena abbastanza allibito:
-Che c'è, non vieni a salutare la nonna?- chiese
curiosa senza ottenere risposta.
La... nonna?
Ma seriamente?
Che aveva appena cercato di ucciderl... controllare che fosse un sadico
come il resto della famiglia.
Ok.
No, non era
"ok".
Era normale? No.
Era giusto? No.
Era davvero sua nonna?
Eh già.
_________________________________________
Angolino dell'autrice
(Scusate come solito eventuali errori o lettere
invertite/tagliate/mancanti)
Capitolo thirteen! :D
Scusate il ritardo enorme
ma la scuola non lascia troppo tempo libero, e comunque volevo fare un
capitolo davvero decente non uno dove mettevo cose a caso.
Che dire, sono successe tante cose: incontri con la Muscle League brevi
ma intensi, rivelazioni su certe mazzette che giravano nella Muscle
League (:D), Jaqueline che fa l'indecisa come suo solito, Ricardo
versione lucertola-della-morte, mercenari che complottano per i sensi
di colpa, femori andati a quel paese.
Di tutto, TUTTO.
E vogliamo parlare delle nonnine
sexy?
Avanti, sono così freddamente
divertenti xD
Vi è piaciuto? Io non lo so, ditemelo voi se volete: mi
piace leggere cosa pensate <3
Vi lascio anche le foto del vestito di Jaqueline, della sua corona e
della tigre di Cassandra ossia Belize.
|
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Capitolo 14 *** There is no love without sacrifice ***
Per primo
viene il fuoco, il
sangue per secondo
Oregon non sembrava
troppo interessato al dare una mano al proprio
figlio in quel momento, nemmeno quando Diantha, giusto per
“testare quanto lo stare fra gli umani avesse rammollito il
suo nipotino”, era tornata in quell'immensa forma origine
più decisa che prima a vincere il confronto: non le
importava nulla che fosse suo nipote quello, anche se fosse stato suo
figlio avrebbe fatto lo stesso, riteneva solo di vitale importanza
vedere quanto di raptor ci fosse in quel corpo da finta lucertola.
E Ricardo lo aveva
capito fin troppo bene, soprattutto quando il dolore
lancinante si era fuso alla consapevolezza che con uno squarcio simile
poteva morire dissanguato da un momento all'altro, per l'ennesima volta
tra l'altro: opporre resistenza era praticamente inutile dato che
Diantha, quello era il suo nome, aveva otto o dieci metri di vantaggio,
senza contare gli spuntoni di ghiaccio che spezzavano rocce ed alberi
come se nulla fosse.
Lui
cosa aveva?
Un'ala squarciata, un
taglio troppo profondo e qualche spina ossea
mezza rotta che usciva dalla coda, così immensamente piccola
rispetto a quella enorme che vantava l'altra.
Non ne sarebbe uscito,
non vivo.
Improvvisamente
la sua mente volò sul pensiero
di Jaqueline: chissà cosa aveva pensato con indosso la
corona, se si era ricordata di avere una collana con lo stesso motivo
che le aveva regalato al loro primo incontro, chissà cosa
stava facendo in quel momento insieme a Cassandra, probabilmente
stavano spettegolando sull'incontro appena avvenuto o magari erano
andate a fare shopping.
Chissà se
avrebbe sentito la sua mancanza, una volta appreso
che era morto.
“Non
sarai mai
da sola con me” le aveva promesso qualche ora
prima, ma adesso non aveva più nessuna certezza: doveva
combattere per la propria vita, per Jaqueline, per il suo futuro.
Per il loro
futuro.
Che, almeno per ora,
sembrava solo una fantasia ben poco raggiungibile:
avrebbe voluto dire cose che non aveva avuto il coraggio di dire, fare
cose che non aveva trovato la forza di fare prima di morire, e magari
essere un padre migliore di quanto Oregon fosse stato con lui.
Dei
figli:
magari un giorno avrebbe anche potuto averne, ma l'unica cosa che ora
poteva avere era la consapevolezza della morte.
Sentì
chiaramente la morsa del ghiaccio che gli trapassava
le squame, recideva i muscoli e riduceva a brandelli la carne
sottostante, eppure non aveva le forze per reagire, né
fisiche né mentali: avrebbe solo voluto che tutto finisse,
che potesse vedere per la prima volta suo padre provare a difenderlo
anziché lasciarlo macellare come un animale, ma da Oregon
non si aspettava nulla di diverso che un malsano cinismo paterno.
Voleva solo morire in
quel momento, nient'altro.
Era finita,
completamente finita: Jaqueline, la sua famiglia, la dmp,
finiva tutto ora, in quel preciso istante, con lui.
Stava ormai facendo i
conti con i sensi che se ne andavano quando lo
sentì, quell'istinto primordiale che gli ribolliva nelle
vene dal giorno in cui era venuto al mondo, una sorta di richiamo ad
essere ciò che era realmente evitando di continuare a
fingersi quello che non doveva essere: era un raptor, nel suo sangue
scorreva la furia dei suoi antenati, di quelli che prima di lui avevano
conquistato pianeti interi devastandoli letteralmente con le unghie e
con i denti, ed ora era il suo turno.
Non pensava nemmeno di
avere un'adorabile nonnina a cui rivolgersi, ma
in lei vedeva ciò che anche lui era chiamato ad essere:
forse non aveva quei ghiaccioli affilati come pugnali a difenderlo ma,
ormai ne era certo, il suo corpo aveva ben altro per assolvere ai
compiti che era chiamato ad eseguire, solo che non sapeva cosa a
giudicare dal penoso stato in cui si trovava.
Ma la sua testa lo
sapeva perfettamente.
Non sentì
più niente, nulla che fosse umano
almeno, sapeva solo che si era appena rialzato senza esserne cosciente:
le ali squarciate aperte in tutta la loro immensità, la coda
che frustava furiosamente l'aria, gli artigli che scavavano solchi nel
terreno ancorandosi con una violenza che nemmeno credeva di avere, e
poi gli occhi, ridotti a due fessure nerastre che brillavano di una
tremendamente sbagliata luce azzurro ghiaccio.
Rilassati e lascia che
l'istinto faccia ciò che deva fare,
sentiva dire da una vocina nella testa.
E quella voce, per
quanto suonasse piuttosto sinistra, l'aveva
ascoltata.
Per
Jaqueline, per
sé stesso, per la propria dignità, ma l'aveva
ascoltata.
Terza
è la
tempesta, che al quattro annega il mondo
Cassandra non era
tranquilla, sentiva che nell’aria
c’era qualcosa di diverso, un qualcosa di
così gelido che le faceva venire i brividi alla
schiena ed il fatto che né Ricardo né Oregon
fossero presenti la inquietava sempre di più: era
più di mezz'ora che camminava avanti e indietro vicino al
confine con la foresta senza sosta, Belize che la fissava mentre
divideva con Nala quello che restava di un non meglio definito cadavere
che si erano spolpate qualche ora prima: solo loro erano calme.
Ma
non lei,
il suo senso materno e quello di moglie le dicevano che c'era qualcosa
che non andava
Quando alzò
lo sguardo quello finì sull'immenso
cielo che si stagliava dinanzi a lei e rimase pietrificata: una distesa
di nuvole nere temporalesche vorticavano addensandosi sempre di
più e coprendo la luce solare, sembrava che fosse quasi
notte da quanto le coltri di nubi erano spesse e pesanti, nemmeno
durante la stagione dei monsoni si vedevano cose simili; il cielo
plumbeo era squarciato qua e là da scariche di fulmini che
disegnavano ragnatele elettriche qua e là mentre i tuoni si
facevano prepotentemente strada fra i fruscii delle fronde e li
schiamazzi degli animali che fuggivano impauriti dal frastuono.
La televisione non
aveva emanato nessuna allerta tornado.
I monsoni erano appena
terminati.
Fino a qualche minuto
prima c'erano 40 gradi all'ombra.
Che
diavolo stava
accadendo?
Rimase impietrita
davanti a quello spettacolo per alcuni minuto parvero
non passare mai, la testa che vagava indietro nei ricordi per cercare
di capire se la sensazione che aveva era vera: a Cassandra sembrava di
aver già vissuto quel momento, una sorta di deja-vu di
qualcosa che era sì già accaduto, ma che lei non
riusciva a ricordare.
Poi, proprio quando
stava rinunciando all'idea di spiegarsi il tutto,
un ricordo affiorò in un angolo della sua mente chiarendole
la situazione.
Era successo quando si
trovava su Arkanta, il pianeta natale di Oregon,
la prima volta che ci avevano trascinato di forza Ricardo dopo
un'interminabile duello con Jaqueline per convincerla che glielo
avrebbero riportato intero.
Una bella giornata,
come sempre del resto, una di quelle durante le
quali i tre soli sembravano splendere più del solito: aria
calda al punto giusto, una leggere brezza estiva a rinfrescare
l'ambiente e la sua famiglia al completo; quel giorno non avrebbe
potuto chiedere altro, era proprio quella l'idea di completezza
famigliare che aveva dal giorno in cui la sua, di famiglia, l'aveva
abbandonata.
E invece, nel momento
in cui si stava godendo suo figlio e suo marito
che discutevano sul fatto che Ricardo trovasse piuttosto scomoda la
coda che ballonzolava da una parte all'altra, aveva iniziato a sentirla
chiaramente: un'aria gelida, come prima di un temporale, che si era
trasformata velocemente in un vento, poi in una vera e propria
tempesta, centinaia di fulmini azzurri avevano iniziato a squarciare il
cielo limpido, che nel frattempo si era ricoperto di minacciose nuvole
nere mentre i tuoni riecheggiavano prepotenti come se fossero un
richiamo di guerra.
Fra la pioggia ed i
lampi non era più riuscita a distinguere
nulla, eppure si era fatta strada nelle violente scariche di
elettricità che cadevano a terra fino a quando non si era
trovata davanti al corpo di Oregon: privo di sensi ed indifeso, le ali
lacerate e le squame strappate in diversi punti, che sembrava solo
volerle dire di andarsene il prima possibile.
E suo figlio, ritto
sulle zampe posteriori, il sangue fresco che gli
colava ancora dalle zanne spezzate, che invece sembrava avere
intenzione di ammazzarla da un momento all'altro.
C'erano voluti quattro
uomini della guardia reale per incatenarlo al
suolo, ed altrettante ore per fermare quella furia scaturita da un
secondo all'altro: Ricardo non ricordava nulla di quell'episodio, ma
Cassandra ricordava anche troppo
bene.
Nephilem,
lo chiamavano i raptor.
Istinto
predatorio
dell'essere ciò che si è realmente,
la chiamava lei.
Furia
omicida fuori
controllo,
avrebbe dovuto essere il suo nome.
Ed ora, da quello che
stava vedendo accadere davanti ai propri occhi,
stava accadendo di nuovo: solo che adesso non c'erano i soldati a
tenere a bada suo figlio, e non c'era nemmeno la speranza che la cosa
gli passasse velocemente.
Doveva sbrigarsela da
sola.
O magari insieme a
Jaqueline.
Come aveva previsto
aveva iniziato a piovere copiosamente, la pioggia
che si fondeva con la grandine e che impediva di vedere a
più di un metro di distanza, il vento che sferzava gli
alberi piegandoli in posizioni innaturali ed i tuoni che spaventavano
ogni animale presente nella foresta facendolo scappare con la coda fra
le gambe, il tutto mentre lei si dirigeva velocemente in casa con Nala
e Belize che la seguivano a grandi falcate disturbate dall'acqua
incessante.
Appena entrata,
inzuppata com'era, Jaqueline l'aveva guardata malissimo:
-Non per dire ma cosa
stavi facen...- non riuscì a finire
che l'altra la trascinò di forza nei sotterranei
dell'abitazione senza proferire parola, l'ultima cosa che avrebbe
voluto sarebbe stata che anche lei iniziasse a tempestarla di domande;
lì si era ritrovata Berenix che armeggiava con un
kalashnikov già carico e, senza nemmeno darle una
spiegazione, mise in mano alla rossa un fucile d'assalto preso da una
delle pareti dove erano riposte svariate armi pronte all'uso:
-Sai sparare?-
domandò seria e lei ci pensò su
qualche secondo
-Ehm.. le battaglie di
paintball valgono?- rigirò la domanda
e l’altra sospirò
-Le faremo andar bene
comunque, non posso stare qui ad insegnarti a
tenere in man… ecco, ora lo stai tenendo al contrario: se
continuiamo così rischi di spararti addosso.- la
rimproverò secca facendole giusto una lezione veloce su come
e quando dovesse far fuoco, poi fece un rapido segno alla raptor che si
mise subito in piedi imbracciando l'arma con una naturalezza inumana:
-Abbiamo una decina di
minuti per neutralizzarlo senza dover ricorrere
ad un intero esercito, e questa volta sei da sola: pensi di potercela
fare?- domandò e l'altra annuì caricando il
fucile.
Una volta che la rossa
era andata Berenix le si avvicinò
mettendole una mano sulla spalla:
-Non voglio fargli del
male, lo sapete meglio di me, ma se dovesse
costituire un pericolo per qualcuno io devo intervenire, lo capite?-
chiese e la donna annuì rassegnata
-Alzerò la
barriera per evitare danni ai civili, ma se
Ricardo dovesse provare a scappare o attaccarvi quando è
ancora fuori controllo io gli pianto un proiettile in fronte, questo
non posso evitarlo.- concluse seguendo l'altra.
Cassandra, per quanto
sapesse che per un raptor un proiettile in mezzo
agli occhi era come una semplice scheggia per un umano, non si sentiva
sicura: l'ultima volta Berenix gli aveva dovuto spezzare un femore per
impedirgli di spezzare le catene, ora era da sola: non si faceva
scrupoli, di quello ne era certa, ma non voleva nemmeno vedere suo
figlio morto.
Era sua madre cazzo, sua
madre:
avrebbe dovuto proteggerlo non andargli incontro
con un kalashnikov pronta a fare fuoco.
Tuttavia, prima del
suo ruolo di madre, veniva quello di imperatrice.
Ed una regina non
mette mai
la
propria famiglia al primo posto.
Nemmeno
lei.
Berenix aveva
individuato una sorta di pista fatta di foglie e rami
congelati che tutte e tre avevano deciso di seguire, anche se in
realtà non sapevano bene cosa potessero c'entrare ghiaccio e
simili con un temporale di proporzioni immani; Jaqueline era rimasta
piuttosto sorpresa nel vedere anche lei trasformarsi in una lucertola
abnorme, ma si aspettava che ne fosse in grado: anzichè di
squame il suo corpo era interamente ricoperto da quelle che
sembravano soffici piume rosa affilate come rasoi, interrotte qua e
là da spesse placche dello stesso colore alternate ad un
bianco candido, tre paia di ali di grandezza decrescente i cui colori
sfumavano dal rosa chiaro ad uno più scuro fino all'azzurro
se ne stavano
chiuse ai lati del corpo, ben più sinuoso di quello di
Oregon e simili, come anche era slanciato il lungo collo al termine del
quale si ergeva una testa forse troppo piccola rispetto al resto,
ornata da due grosse corna ricurve, e la
lunga coda che frustava l'aria ad ogni passo dalla quale spuntavano in
modo quasi disordinato manciate di piume più grandi.
Entrambe si erano
sistemate sul suo dorso quando avevano notato che i
fulmini che scendevano a terra erano sempre più fitti, e che
quindi se fossero restate a piedi avrebbero fatte parecchia fatica ad
evitare, così Jaqueline cercava di abituarsi a quelle
dannatissime piume che le entravano in bocca mentre si aggrappava
furiosamente al suo collo: rimpiangeva le squame che rischiavano di
ferirla ad ogni passo, ma almeno quelle le erano famigliari mentre
Berenix... beh, di lei non sapeva niente.
E niente voleva sapere.
Cassandra aveva deciso
di seguire un sentiero fatto da tronchi spezzati
e terriccio congelato, anche se in realtà ad ogni metro che
avanzavano si rendeva sempre più conto che stavano andando
incontro a qualcosa che non avrebbe dovuto esserci; decise di scendere
dal dorso della raptor e di avvicinarsi a quello che si
rivelò essere effettivamente ghiaccio, poi cercò
di fare mente locale per provare a darsi una spiegazione razionale.
I suoi ragionamenti
vennero bruscamente interrotti da Berenix che,
mentre provava a tenere a bada la rossa dietro la propria ala, le
mostrò un grosso pezzo di ghiaccio iridescente coperto da un
liquido viscoso azzurro traslucido che sembrava aver scavato a fondo
dal punto in cui era caduto sino all'altra estremità
inferiore; riuscì a fermare Jaqueline prima che, presa dalla
curiosità, provasse a toccarlo:
-Sfioralo e ti
ritroverai nel giro di qualche decimo di secondo senza
più carne attaccata alle dita- asserì
spaventandola, poi fece segno alla raptor di metterlo a terra e
continuò ad esaminarlo.
Era ancora intenta a
perlustrare la sua mente alla ricerca di una
risposta che un ruggito agghiacciante la fece trasalire, ed anche
Berenix spalancò le ali per lo spavento:
-Che diavolo
è stato?- chiese Jaqueline rifugiandosi dietro
una grossa penna terrorizzata, ma Cassandra attese ancora qualche
secondo prima di rispondere, giusto per essere certa di ciò
che stava per dirle ed evitare di allarmarla inutilmente; tuttavia fu
un boato a risponderle per primo, un lampo sceso da quelle spesse nubi
che si era diretto a nemmeno cento metri da loro.
L'altra aveva ruggito
prepotentemente prima di scattare fulminea verso
il punto dove si era originato il suono, ed anche le due furono
costrette a seguirla; prima di andare però Cassandra
afferrò la rossa per le spalle e la guardò dritta
negli occhi:
-Qualunque cosa tu
vedrai, sentirai o ti accadrà ti prego,
piccola mia, perdonalo.-
disse con fare materno, la abbracciò e poi, tenendo il
fucile carico davanti a sé, la lasciò indietro
sparendo fra il fitto fogliame e la confusione generale.
Solo qualche minuto
dopo, indecisa sul da farsi, anche Jaqueline decise
di seguirla.
Al
cinque c'è
la rabbia, al sei l'odio abissale
La scena che Cassandra
si trovò davanti era qualcosa che
poteva essere definito al limite dello splatter, soprattutto
perché era esattamente la scena che si era aspettata di
trovare: la sua adorabile suocera, quella simpaticona di Diantha, se ne
stava accasciata a terra con uno squarcio di un metro buono sul torace,
l'immensa coda prima ricoperta da cristalli perfettamente affilati ora
era ridotta ad un grumo informe di spuntoni di ghiaccio rotti o
mancanti che lasciavano intravedere la carne viva sottostante, una
delle zampe anteriori piegata in un modo orribilmente innaturale a
significare che era probabilmente rotta, il petto che si alzava ed
abbassava affannosamente per cercare di catturare una minima traccia di
ossigeno per tenere in vita quei trenta metri abbondanti di
maestosità raptoriana.
Morte
Silente, Figlia
dei Ghiacci, un
nome valeva l'altro sul suo pianeta: ora
era solo una lucertola in fin di vita che si stava aggrappando alle
poche forze rimaste in corpo per non crollare.
Le si
avvicinò senza nemmeno alzare lo sguardo passando la
mano sulla superficie ghiacciata ormai resa irregolare dalle
ferite, sentiva le mani bruciare lievemente ad ogni centimetro che
toccava a causa della temperatura sottozero che riusciva a mantenere
per non rischiare un collasso da un momento all'altro, poi si
fermò quando incontrò il suo muso: solo quello
era grande il doppio di lei, esageratamente piccolo rispetto al corpo
però, le mascelle leggermente aperte con le zanne ancora
intatte in bella mostra; Diantha emise un ringhio sommesso per
evidenziare il proprio disappunto riguardo l'essere compatita da
Cassandra, ma si abbandonò comunque alla cosa dato che di
muoversi proprio non se ne poteva parlare.
Nel frattempo fu il
ruggito di Berenix a risvegliarla da quel momento
di affetto verso la madre del proprio marito, un ruggito che non
preannunciava nulla di buono, così alzò lo
sguardo e vide proprio ciò che temeva: Oregon, le ali
lacerate ed il corpo segnato da un numero indefinito di tagli, se ne
stava a poco meno di venti metri da lei in una precaria posizione
d'attacco, ciò che rimaneva delle ali ripiegato verso terra
in una pozza di sangue azzurrino opaco.
E, proprio come era
successo su Arkanta, Ricardo si ergeva bellamente
su un masso lì vicino con il corpo segnato da profonde
ferite sanguinolente ma che, nonostante tutto, sembrava perfettamente
in salute, abbastanza da ergersi con tutte e quattro le ali spiegate a
fare ombra a gran parte della radura di alberi caduti mentre il sangue
continuava a colare dalla zanna destra spaccata di netto.
Quel riflesso nero,
oscuro come ciò che rappresentava, c'era
ancora nei suoi occhi, un nucleo di pura malvagità che
significava solo una cosa piuttosto semplice: furia cieca senza
controllo.
Non controllava
più nulla di sé stesso,
né provava effettivamente dolore, non aveva nemmeno
più un senso della fatica per cui, almeno fino a quando il
suo cuore continuava a battere, Ricardo poteva continuare a seminare
distruzione senza segni di cedimento.
E nessuno poteva
farci nulla.
Nel momento in cui
riuscì a riacquistare lucidità
si rese conto che avrebbe dovuto parlare a Jaqueline di quello che
stava accadendo prima, molto prima: la rossa infatti, guidata solo da
un commovente quanto suicida senso di preoccupazione verso quello che
era in effetti il suo adorabile fidanzato, si era pericolosamente
avvicinata all'altro fino a trovarsi a poco più di mezzo
metro da lui, abbastanza vicino da poterlo sfiorare se solo avesse
allungato una mano, cosa che aveva prontamente fatto senza pensarci un
solo secondo.
Nemmeno Oregon
sembrava aver fatto caso alla ragazza, dato che era
decisamente più concentrato a tenere d'occhio quella coda
che ondeggiava minacciosamente, tuttavia fu costretto a notarla quando,
dopo un ruggito ben poco rassicurante, lei aveva ritratto la mano
confusa:
-Cosa c'è?
Non mi riconosci?- chiese inclinando la testa
cercando invano di trovare da sé una risposta a quelle
domande ed avvicinandosi ulteriormente per chiarirsi le idee una volta
per tutte
-Sono io, cos'hai da
ruggirmi in faccia?- continuò facendo
per posare una mano sul suo muso.
Fu un decimo di
secondo e con uno schiocco quelle dannate fauci si
chiusero sfiorandole le dita.
Solo allora
capì che no, non era tutto a posto, che no, non
la riconosceva e sì, c'era qualcosa che non andava.
Decisamente.
Per sua fortuna Oregon
allungò una delle ali per proteggerla
dall'artigliata che era arrivata qualche attimo dopo lacerandogli la
sottile membrana alare e facendolo ruggire per il dolore, ma d'altronde
l'ultima cosa che voleva era vedere quella povera ragazza morire per
capire se chi aveva davanti era la stessa con cui era stata fino ad
un'ora prima o poco più: in fin dei conti Jaqueline era un
po' come la figlia femmina che avrebbe tanto voluto, ma che Cassandra
si era prontamente rifiutata di dargli per evitare rivalità
femminili in famiglia, e proteggerla non era solo una
priorità, era un obbligo.
Mentre la ragazza se
ne stava una manciata di metri dietro di lui,
impietrita ed incapace di muovere anche un solo passo, fu Ricardo ad
essergli di nuovo addosso, e questa volta fu tremendamente
più violenta della precedente: quelle fottute zanne
cercavano di tranciare qualsiasi cosa capitasse loro a tiro, e quella
cosa sfortunatamente era il punto sul collo di Oregon dove le squame
erano più sottili; furono momenti durante i quali avrebbe
preferito che quel collo glielo torcesse rompendoglielo di netto
piuttosto che continuare a sopportare la lancinante e fredda sensazione
di quelle cose che gli scavavano profondi solchi nella pelle, eppure
qualcosa gli diceva che doveva resistere a tutti i costi: era suo
figlio quello, non poteva ammazzarlo.
Ma non poteva nemmeno
farsi ammazzare.
Con uno sforzo immane
era riuscito a liberarsi dalla presa ed aveva
piantato gli spuntoni della coda nell'incavo fra il collo e la spalla
di Ricardo che, in preda a furiosi spasmi muscolari per riuscire
inutilmente a liberarsi, non aveva fatto altro che peggiorare la
propria situazione: la coda di Oregon era coperta da una fitta rete di
spine ossee ricurve fatte per ancorarsi letteralmente alla carne e
strapparne interi brandelli ma, nonostante ciò, il suo
vantaggio era durato pochi minuti, quelli che erano bastati per
trovarsi il dorso infilzato dagli affilati artigli delle ali anteriori
e posteriori dell'altro: cinque per ogni ala, venti in tutto.
E
facevano un male
assurdo.
Diantha aveva ruggito
sollevando la violentemente la coda quando suo
figlio aveva inarcato la schiena grondante di sangue ed era poi
crollato a terra privo di sensi ed anche Cassandra aveva trattenuto a
stento il fiato cadendo in ginocchio con le mani distese lungo i
fianchi: non poteva morire, non
doveva farlo.
Ricardo non aveva
avuto il tempo di riprendersi dagli attacchi appena
subiti che Berenix gli era fiondata addosso scaraventandolo su un masso
lì vicino pregando che la roccia sgretolata bastasse a
tenerlo buono per qualche minuto, almeno quelli che servivano ad Oregon
per riprendere conoscenza, ma niente sembrava aver sortito effetto dato
che, dopo essersi scrollato di dosso la polvere della roccia distrutta,
si era alzato sulle zampe posteriori agitando minacciosamente la coda:
l'altra raptor aveva appena fatto in tempo ad avvicinarsi di un metro
scarso che si era trovata un'ala schiacciata sotto tre tonnellate di
muscoli che si posavano violentemente al suolo incuranti di
ciò che avrebbero schiacciato.
Il suo ruggito era
stato straziante, l'ala fratturata piegata quasi ad
angolo retto che la costringeva a stare con una parte del corpo a terra
e che la esponeva a tutti i pericoli possibili ed immaginabili: quando
aveva visto l'ombra nera delle ali dell'altro abbattersi su di lei con
gli artigli ancora insanguinati aveva temuto che fosse la fine, ma per
fortuna avevano trovato la barriera formata dalla coda di Diantha e
frapporsi fra la morte certa e la sua sopravvivenza.
Per quanto fosse
ferita riusciva perfettamente a reggersi in piedi,
anche se era evidente che evitasse di muoversi troppo per non
peggiorare la situazione della zampa rotta, e non aveva esitato a
caricarlo con una violenza tale da aver fatto vibrare il terreno per un
singolo istante vincendo il corpo a corpo, o meglio il testa a testa,
con l'altro: una delle due corna che sporgevano dal cranio si era
infatti spezzata e la zanna che prima era solo stata graffiata ora se
ne stava conficcata fra le stalattiti di ghiaccio sul muso di Diantha
lasciando il posto ad una conca sanguinolenta fra un dente e l'altro.
Per ora, con Oregon
privo di sensi e Berenix dolorante, era lei l'unica
che tenesse tutti lontano dalla fossa, e a giudicare da quanto Ricardo
si stesse accanendo sul cercare un punto buono dove colpirla senza
successo, lo aveva capito anche lui: tutti i tentativi di serrare le
mandibole su quegli spuntoni ghiacciati erano però andati a
vuoto, ricavando soltanto qualche dente rotto ed artigli scheggiati, ma
Jaqueline continuava a sentire un brivido lungo la schiena che niente
riusciva a toglierle.
Diantha ora era
evidentemente in vantaggio, eppure aveva come la
sensazione che quella situazione fosse sul punto di capovolgersi da un
momento all'altro, ed anche il cielo sembrava d'accordo con le sue
intuizioni: così nero, così oscuro,
così sbagliato.
E poi c'erano i
fulmini, sottili increspature azzurrognole che
squarciavano le nuvole ad ogni attimo, senza contare quelli che
raggiungevano terra scavando profondi solchi nel terreno fradicio di
pioggia: cadevano ovunque, in qualsiasi luogo e momento, temeva
addirittura che un momento all'altro una l'avrebbe ammazzata, e
soprattutto distruggevano ogni cosa che toccavano.
Tutto
tranne una.
Non le era sfuggito il
fatto che almeno un paio di fulmini avessero
sfiorato se non preso in pieno il corpo di Ricardo, eppure
lui non ne risentiva minimamente: anzi, da quello che stava vedendo era
come se ci fosse un qualche legame che non riusciva a spiegarsi secondo
il quale lui diventava dannatamente più forte ogni volta.
Ed era proprio quello
a spaventarla di più.
Settima
è la
paura, ottavo il gran più male
Nemmeno a dirlo fu una
di quelle scariche a dividerlo da Diantha nel
giro di pochi secondi, che si era prontamente spostata per evitarlo
finendo a parecchi metri da lui: troppo pochi per attaccarlo
nuovamente, decisamente troppi per intercettare il brusco movimento che
fece e che lo portò con lo sguardo puntato sulla rossa,
anche lei troppo distante dagli altri raptor per evitare quel confronto.
Le si era gelato il
sangue nelle vene quando aveva notato che se ne
fregava di Diantha, o di Oregon, o di Cassandra, o di Berenix, e che
ora gli interessava solo e soltanto lei; non sembrava volerla
attaccare, la coda che ondeggiava placidamente sfiorando la terra, il
muso quasi parallelo alla linea del dorso e le ali richiuse sui fianchi
le avevano fatto pensare che forse era tornato quello di sempre, che
era tutto finito e che potevano finalmente tornare alla loro vita.
Come prima era finita
per rinchiudersi in un mondo dove c'erano solo
lei e Ricardo, nessun altro a disturbarli mentre, dopo uno scontro con
la sua famiglia durato un tempo infinito, potevano tornare a fare
quello che facevano sempre; era stata sorda alle grida di Cassandra che
la pregava di allontanarsi, ai ringhi sommessi di Diantha ed anche alle
imprecazioni di Berenix, che nel frattempo era tornata nella sua forma
comune: c'erano solo una trentina di metri o poco più a
dividerli, e lei li stava percorrendo tutti.
Il rombo assordante di
un tuono aveva interrotto la precaria calma del
momento scatenando un ruggito altrettanto brutale, poi tutto era
sembrato confondersi nella pioggia e nel cielo: avrebbe dovuto
immaginare che se ne stesse a testa bassa per caricare, era da sciocchi
non averci pensato.
Era terribilmente
veloce, molto più di quanto Jaqueline
ricordasse, ogni falcata affondava nel soffice terreno bagnato e
sollevava intere zolle di terra, la coda che spazzava via ogni arbusto
che si trovava fra di loro, intere file di pugnali color avorio pronte
a schiacciargli il cranio ancora prima che si potesse rendere conto di
essere morta.
Ma lei non si muoveva,
il cervello che si spegneva lasciandola in balia
delle emozioni, l'adrenalina che le mozzava il fiato, il sangue che le
andava su e giù per il cuore facendole capire che era
finita: sarebbe morta per mano di quello che fino a qualche ora prima
era il suo fidanzato, e non poteva fare nulla.
Non voleva vedere la
morte in faccia, soprattutto se quella faccia era
la prima cosa che aveva visto appena sveglia e l'ultima che vedeva
prima di addormentarsi da interi mesi: era difficile morire per mano di
qualcuno che si amava, ma era anche vero che non c'era nessuna via di
scampo se quel qualcuno non ti riconosceva.
Abbandonò
le mani lungo i fianchi, chiuse gli occhi e
tirò un profondo respiro: non ci sarebbe stato un futuro,
né un domani.
Non
per lei.
Ma
la morte non
arrivò.
Al suo posto,
Jaqueline sentì solo uno sparo ed un ringhio
straziante, niente di più.
Quando
riaprì gli occhi si sentì mancare: Berenix
era davanti a lei, il corpo immobile che stringeva ancora nella stessa
posizione un fucile ancora fumante, lo sguardo assente privo di ogni
sentimento umano che poteva definirsi tale, la consapevolezza che
quelli che aveva appena eseguito erano stati gli ordini di Cassandra.
Poi, ad appena
cinquanta centimetri scarsi dalle sue zampe, giaceva
Ricardo con un buco in mezzo agli occhi, le stesse sfere liquide nelle
quali Jaqueline era solita vedere tutto il suo mondo: dietro di lui un
misto di sangue, ossa frantumate e materia cerebrale che aveva
imbrattato le squame, gli alberi e le rocce lì vicine, la
lingua che pendeva dalle fauci ancora spalancate, il sangue che
continuava ad uscire dal foro sul cranio, ma nessuno spasmo muscolare
che potesse farle sperare che fosse ancora vivo, che forse non era
troppo tardi per riparare a tutto.
Le gambe le avevano
ceduto, la gola le si era seccata all'improvviso, i
suoi polmoni avevano smesso di cercare aria, il cervello si era
improvvisamente fermato per stampare quell'immagine in modo indelebile
nella sua mente: a ventidue anni, e con una vita ancora tutta da
vivere, Jaqueline McMadd aveva appena assaporato le brezza dell'arresto
cardiaco.
_________________________________________
Angolino dell'autrice
(Come sempre chiedo
scusa per eventuali errori/lettere tagliate o
mancanti)
Dopo una lunga attesa
rieccomi :D
Il capitolo
più impegnativo fino ad ora, passato fra momenti
di puro splatter ed istanti in cui dovevo far combaciare le cose con le
citazioni prese da “Tredici passi alla porta del
diavolo” di E. E. Richardson, il che mi sembrava opportuno
dato che gli eventi sono simili alle varie parti della filastrocca :D
E' un capitolo non
molto lungo, anche perché non volevo
dilungarmi su questa parte al fine di dedicare più tempo a
quella successiva, ma preferisco così anche in modo da non
annoiarvi (anche perchè la scuola ha fatto sì che
passasse parecchio tempo dall'ultima volta che ho aggiornato e
rimettere subito 30pagine mi sembrava esagerato).
La parte finale...
quella mi è costata una fermezza mentale
assurda per non andare incontro ad una crisi isterica: non volevo fare
del male a Ricardo, ma mi sembrava fin troppo invincibile fino ad ora,
per cui un kalashnikov mi è sembrato la cosa migliore da
fare xD
Che dire, spero vi sia
piaciuto il capitolo e se volete ditemi pure che
ne pensate :3
Vi lascio un'immagine
di Diantha e di Berenix a farvi compagnia <3
(Scusate il "cambio di look" di Berenix ma dopo una riflessione e delle
consultazioni ho deciso di rendere il suo aspetto più
interessante e meno "scontato", anche perchè mi sembrava
troppo banale che fosse il solito draghetto bianco coperto di semplici
piume ahahahah.
Spero vi piaccia comunque e scusatemi ancora)
|
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Capitolo 15 *** Let the Storm begin ***
Il nove è la
tristezza, e dieci fa il dolore
Cassandra si era praticamente ritrovata da sola contro il mondo nel
giro di un paio di minuti, gli stessi durante i quali persino Berenix
era crollata a terra stremata: era una guerriera implacabile e
tremendamente orgogliosa, questo bisognava riconoscerglielo, ma con
quel confronto diretto si era giocata le poche forze che le erano
rimaste, era già un miracolo che fosse riuscita a sparare
giusto prima che il suo corpo mettesse un punto fermo alle bravate
della giornata.
Istintivamente aveva rivolto uno sguardo al cielo: niente, stava ancora
piovendo a dirotto e la tempesta non accennava a placarsi.
Non è finita,
non ancora pensò rassegnata chiedendosi quanto
avrebbe dovuto sopportare ancora, poi posò una mano sul muso
di quello che un tempo era stato suo figlio: era ancora caldo, troppo caldo per
un cadavere.
Scacciando la miriade di pensieri che la assalirono si
rialzò sussurrando a sé stessa che sarebbe stato
meglio occuparsi dei vivi piuttosto che dei morti, o così
presunti tali, così si affrettò ad andare da
Jaqueline: non le era sfuggito che lo shock di vedersi un rettile di
due metri piantare un proiettile in fronte al proprio fidanzato le
avesse provocato un arresto cardiaco, ma per il poco che sapeva di
medicina, rigorosamente appreso dai raptor, era che di infarto non si
moriva.
Non se si sapeva cosa fare certo.
E lei era decisamente
troppo confusa per sapere cosa fare.
Per sua fortuna Diantha invece era perfettamente lucida, anche troppo
per i suoi gusti, e le si era avvicinata non senza una certa fatica
accucciandosi al suo fianco: non parlava mai molto con lei,
probabilmente a causa del fatto che non ritenesse gli umani creature
così interessanti come i suoi simili o magari
perché passava intere giornate a fare l'iceberg sul
continente ghiacciato di Arkanta, ma anche Cassandra doveva ammettere
che quando serviva non si tirava mai indietro, nemmeno se questo
significava rimanerci secca.
Il che era improbabile dato che era una raptor.
Le aveva lanciato uno sguardo indecifrabile con quegli occhi, grandi
almeno come la testa di una persona, che sembravano due pepite d'oro
pronte a scavare nel profondo della sua anima fino a lacerarla, fino a
poter capire quanta convinzione ci fosse in ciò che la donna
avrebbe voluto che facesse per sistemare tutto, o almeno qualcosa: salvala dannata lucertola, fai
qualcosa che non sia radere al suolo il mondo per una volta, prova
almeno a cercare un minimo di compassione in quel cuore di ghiaccio che
ti batte nel petto, aveva pensato fra sé e
sé ma era certa che anche Diantha, in un modo o nell'altro,
fosse riuscita a sentirla a giudicare dal fatto che avesse annuito.
Cassandra aveva trattenuto il respiro quando la raptor aveva aperto un
piccolo taglio sul petto della rossa, quasi indistinguibile fra i
lividi che le coprivano il busto, ed era anche stato peggio quando
aveva visto una singola goccia di quel sangue azzurro come il
più limpido degli oceani che toccare la pelle scavandosi un
variegato percorso là dove avrebbe dovuto battere il suo
cuore: sapeva bene che il potere corrosivo di quella roba era
spaventoso, e sapeva anche che più che curare distruggeva
alla grande, ma era anche certa che ci fossero cose che i raptor
preferivano tenere ben nascoste.
E fra queste c'era il complesso quanto arcano processo di rigenerazione
che rendeva quelle lucertole così spaventose quanto
invincibili: potevi aprirgli il torace e strappare loro il cuore,
staccargli la testa dal collo, anche sfracellarli al suolo, ma
tornavano sempre più grandi e potenti di prima.
E più
assetati di sangue.
Quando Diantha aveva appoggiato uno dei suoi immensi
artigli sul petto si era alzata come una nebbiolina quasi
impercettibile, la stessa che si crea quando si respira durante una
fredda giornata d'inverno, ed il taglio si era richiuso con la stessa
naturalezza con la quale era stato aperto: al suo posto c'era solo una
complicata ragnatela di cristalli di ghiaccio che andavano
sciogliendosi quando le calde gocce di pioggia la toccavano.
I miracoli dell'essere
creature onnipotenti che sconfiggono anche il tempo, pensò
Cassandra tirando un sospiro di sollievo quando finalmente vide il
petto della rossa abbassarsi e rialzarsi più o meno
regolarmente, segno che almeno era viva: forse ancora incosciente
certo, d'altronde doveva pur riprendersi da un mezzo infarto, ma
l'importante era solo che il suo cuore avesse ripreso a battere.
Per merito di Diantha, tra l'altro: l'aveva vista spezzare uomini,
donne e bambini come se fossero ramoscelli secchi, conquistare interi
pianeti solo per sbranare qualsiasi cosa, commestibile o meno, che
trovasse davanti a sé, guidare eserciti su popoli indifesi
soltanto per dare ai propri soldati una qualche schiavo da torturare,
scatenare bufere che avevano portato razze a dover fronteggiare una
nuova era glaciale ma mai e poi mai l'aveva vista salvare qualcuno.
Fino ad ora, ovviamente.
Cassandra, dopo essersi assicurata che quella ripresa non fosse solo
temporanea, aveva spostato lo sguardo verso Oregon e Berenix, che nel
frattempo non avevano dato segni di ripresa: dovevano tornare a casa
tutti il prima possibile, ma restava il problema di come fare dato che
nessuno oltre a lei e l'altra era cosciente, e di lasciarli
lì proprio non se ne parlava.
Passò qualche secondo senza sapere cosa fare, poi fu Diantha
a prendere l'iniziativa: non senza una certa fatica era riuscita a
caricarsi Oregon sul dorso, facendo poi segno anche alla donna di
sistemarsi insieme alla ragazza nell'incavo fra il collo e la spalla in
modo da restare più o meno protetta dalle affilate
stalattiti di ghiaccio rimaste; stava per farle presente che c'era
ancora Berenix da prendere quando la vide abbassare il muso spalancando
le fauci e richiuderle con una delicatezza innaturale intorno al suo
corpo senza farle versare nemmeno una goccia di sangue: le ricordava
molto ciò che facevano gli alligatori per proteggere i
propri piccoli e in effetti anche i raptor erano rettili, quindi
pensò che doveva esserci un certo istinto nel profondo del
loro subconscio che rendeva normale il fatto che un mostro simile
potesse avere un tale controllo della propria forza.
Diantha era appena sul punto di rialzarsi da terra quando la zampa le
aveva ceduto di schianto facendole emettere un ruggito di dolore che
tratteneva a stento: era evidente che fosse stremata dalla fatica senza
contare che ora, oltre alle sue venti tonnellate buone, doveva portarne
altre dieci contando solo su tre zampe ancora più o meno
solide; tuttavia dopo qualche minuto passato a riprendere il controllo
di sé stessa era finalmente riuscita a rimettersi in piedi
in qualche modo pregando di riuscire ad arrivare a casa tutta intera,
anche se Cassandra non era troppo convinta: sarebbe finita per morire
di stenti se avesse continuato ad insistere su quella linea eppure,
dopo aver mosso i primi incerti passi, aveva rinunciato all'idea di
farla desistere.
Testarda e orgogliosa, Diantha era fatta così.
Proprio come Oregon.
Per un certo verso si assomigliavano, da madre e figlio quali erano, ma
per altri punti di vista non potevano essere più diversi
l'uno dall'altra: lei lo considerava ancora il suo cucciolo indifeso da
proteggere, lui si vedeva come il sovrano della nebulosa che poteva
cavarsela in ogni situazione.
Solo che, almeno quel giorno, se non fosse stato per lei nemmeno Oregon
sarebbe sopravvissuto.
A distrarla dalle lunghe e faticose falcate della raptor e dalle
condizioni quasi disperate di suo marito era stato un rumore
agghiacciante simile a quello di un grosso tronco spezzato accompagnato
da una moltitudine di suoni simili al primo ma che sembravano quasi
più contenuti e che l'avevano spinta ad aggrapparsi
saldamente al collo dell'altra, che intanto aveva trovato la giusta
andatura:
-Dobbiamo andare più veloci, non ci rimane molto tempo-
disse con tono grave guardandosi alle spalle senza vedere nulla se non
un'intricata rete di sottili scariche azzurre danzare nella fitta
pioggia battente mista a grandine che avevano iniziato a tormentare
l’aria.
Come richiesto, e con uno sforzo immane, Diantha aveva accelerato
notevolmente il passo: ad ogni metro che percorreva il terreno si
ricopriva di spesse lastre di ghiaccio che risalivano alberi, rocce e
quant'altro aggrappandosi ad essi come feroci parassiti, il suono degli
alberi piegati alla tempesta veniva coperto dal ruggito dei tuoni che
sembrava volessero ghermire l'intera foresta da un momento all'altro,
decine di fulmini tutt’altro che normali si schiantavano a
terra spazzando via ogni forma di vita che toccassero o sfiorassero.
Non sono semplici
scariche atmosferiche, pensò Cassandra ad alta
voce in modo che Diantha la sentisse, quello è nephilem
allo stato puro.
Lo scatenarsi dell’inferno era stato questione di pochi
attimi: scariche azzurre e dorate del diametro di un uomo si
contorcevano nell’aria come viscidi serpenti intenti a
strangolare il cielo, una pioggia sferzante pungeva la pelle e scavava
profonde ferite nelle fronde fino a ridurle ad una poltiglia verdastra,
la terra sembrava una creatura morente in preda a violenti spasmi di
agonia da quanto tremava e sussultava nei momenti in cui quelle bestie
fameliche di elettricità affondavano le loro spire
vetrificando e bruciando tutto ciò che riuscivano anche solo
a sfiorare.
Era proprio come nei suoi incubi peggiori, solo che questa volta era reale.
Quando un fulmine aveva fatto crollare un grosso albero davanti a
Diantha bloccandole la strada e non lasciandole altra scelta se non
tornare indietro per aggirare l'ostacolo Cassandra aveva trattenuto a
stento la voglia di infilarsi la canna del fucile in gola e mettere
finalmente fine a quell'insulso destino che si era trovata dover
affrontare.
Eppure non aveva scelta se non quella di accettare tutto,
perché prima o poi sarebbe finito, di questo ne era certa;
alla fine si era messa il cuore in pace per tutto il tragitto che
avevano fatto per tornare al punto di partenza, anche se avevano dovuto
vedersela con una vera e propria tempesta di fulmini che non accennava
a fermarsi e che costringeva Diantha a rallentare per evitare di essere
colpita in pieno, grande com'era.
Non voleva rivedere un'altra volta il cadavere di suo figlio dato che
le metteva un certo disagio addosso che non riusciva a spiegarsi, ma
rimase letteralmente pietrificata quando il suo sguardo si
posò quasi naturalmente su di esso: c'era una crepa, una vera e
propria spaccatura che iniziava dal foro in mezzo agli occhi e correva
per tutto il dorso fino alla punta della coda.
Troppo surreale per
essere vero, sarà soltanto un effetto ottico provocato dai
bagliori dei lampi e dalla scarsa illuminazione, disse fra
sé e sé, ma per essere certa di quelle
conclusioni decise di avvicinarsi giusto un paio di metri scendendo dal
dorso dell'altra: fece molta attenzione nell'avanzare a causa del
pericolo che quei fulmini potessero colpirla da un momento all'altro
fino a quando, quasi come un riflesso involontario, la sua mano si
posò sulla presunta spaccatura che, purtroppo per lei, si
dimostrò essere tale e non un effetto ottico dovuto alle
condizioni atmosferiche.
Subito la raptor fece un ringhio di disapprovazione, sembrava quasi che
riuscisse a fiutare il pericolo ancora prima che questo potesse
manifestarsi, e non aveva esitato a richiamare la sua attenzione
sferzando l'aria con la coda quando aveva notato che si stava
attardando troppo: senza farsi pregare ulteriormente Cassandra si era
data una mossa arrampicandosi non senza fatica su per una delle sue
zampe, anche perché probabilmente evitava di chinarsi per
non sforzare troppo quella rotta, ma alla fine era riuscita nell'ardua
impresa.
Diede un ultimo sguardo al cadavere, uno soltanto, ripensando al fatto
che sembrasse ancora così terribilmente vivo quando lo aveva
toccato: noi raptor non
temiamo la morte come voi umani, l'abbiamo sconfitta quando voi ancora
eravate immersi nel vostro brodo primordiale, le aveva
detto Diantha la prima volta che l'aveva vista andare in guerra,
così fragile e preoccupata che potesse accadere qualcosa ad
Oregon.
Aveva ragione quel giorno, ma ormai nemmeno lei temeva la morte.
Non la sua.
Arrivare a casa era stata una vera e propria impresa, complice forse il
fatto che Diantha avesse letteralmente dovuto strisciare per coprire
gli ultimi metri che le separavano dalla protezione della barriera ma
alla fine, in un modo o nell'altro, erano ancora tutti vivi quando
finalmente avevano toccato un suolo a loro famigliare.
Con sorpresa di tutti era stato Oregon il primo a riprendere conoscenza
e, dopo una serie di stiracchiamenti vari uniti a ruggiti di lamento
per le ferite, la prima cosa che aveva fatto era stata prendere
Cassandra sotto quello che rimaneva della propria ala godendosi i
momenti in cui le stringeva le braccia intorno al collo con singhiozzi
rotti dall'emozione: insieme avevano fatto di tutto, erano usciti
indenni da decine di guerre sempre e solo insieme, non erano mai stati
separati quando si trattava di andare a rischiare di morire
perché, almeno secondo quanto si erano promessi il giorno in
cui si erano sposati, se avessero dovuto morire lo avrebbero fatto solo
e soltanto insieme.
Il che era puramente a scopo indicativo dato che i raptor non
conoscevano la morte.
In effetti nemmeno Cassandra si spiegava il motivo per cui avesse
temuto che Oregon, Berenix, Diantha o lei stessa potessero morire in
quel confronto: non ricordava nemmeno che sapore avesse la paura che ti
attanagliava in fin di vita, non aveva mai assaggiato la morsa della
morte vera e propria anche perché il giorno in cui lei stava
davvero morendo, quello in cui da comune mortale avrebbe dovuto fare i
conti con il ciclo della vita, ci aveva pensato Oregon a spezzarlo una volta per tutte.
Comunque stessero le cose dopo quel breve momento di pace che le era
stato concesso non si era fatta troppi problemi di gelosia quando
Oregon si era accucciato di fianco a Diantha lasciando che lei le
leccasse le ferite come una leonessa con il proprio cucciolo: le si
stringeva il cuore pensando che la raptor avesse combattuto fino allo
stremo per proteggerlo nonostante le divergenze che qualche volta li
dividevano, soprattutto se pensava che anche lei avrebbe dovuto fare
altrettanto in qualità di madre qual era, o almeno provarci.
Lei cosa aveva fatto?
Aveva abbandonato suo figlio poche ore dopo che era venuto al mondo, si
era ripresentata dopo ventidue anni pretendendo un posto nel suo cuore
ed ora, quando aveva visto che era completamente fuori controllo, aveva
dato l'ordine ad una sua sottoposta di aprire il fuoco senza alcuna
pietà.
Ricardo non l'avrebbe mai
perdonata, esattamente come non le aveva perdonato di essersene andata,
ma ora come ora poteva solamente fare del suo meglio perché
potesse riprendersi: doveva
farlo per sé stessa, per lui, per la propria famiglia.
Ed anche per il mondo, dato che una bestia simile fuori controllo
avrebbe potuto radere al suolo un continente nel giro di un paio
d’ore scatenando tempeste random.
Stava ancora volando con la mente vedendo suo marito e sua suocera
scambiarsi quei gesti d’affetto così eclatanti
quando notò che anche Berenix aveva ripreso conoscenza e
che, come suo solito, cercava con evidente difficoltà di
reggersi in piedi senza fare rumore né chiedere aiuto;
sentì il cuore riempirsi di un sentimento a metà
fra la compassione e la pietà per lei, non riusciva a
provare altro vedendola in quello stato, così ridotta allo
stremo eppure ancora così tremendamente orgogliosa da
rifiutare qualsiasi genere di aiuto le venisse offerto.
Qualche volta, guardando lo stato in cui si riduceva pur di eseguire
gli ordini che le venivano dati incurante della propria vita, Berenix
le faceva pena, davvero
molta pena: era fin troppo giovane, non arrivava nemmeno a
ventisei anni, per combattere come se non avesse altro scopo nella
vita, non aveva nessuno sfogo sul quale potesse riversare le proprie
frustrazioni e preoccupazioni e, soprattutto, non aveva più
nessuno al mondo.
Berenix era da sola, da
sola contro tutti, persino contro i suoi genitori:
entrambi infatti appartenevano a quei raptor che passavano la propria
esistenza a volteggiare nei cieli di Arkanta a migliaia di metri
d’altezza senza mai posare le loro regali zampe a terra ma
lei, nonostante fosse nata e cresciuta letteralmente fra le nuvole
assaporando il gusto di quella libertà che solo un paio di
ali potevano dare, considerava quei cieli una galera.
E un giorno era evasa, lasciandosi alle spalle quella gabbia celeste
che era stata a sua casa rinnegando le regole di quel Paradiso per
sposare quelle dell’Inferno che si era rivelato essere la
guerra: aveva sputato sangue per anni fregandosene della gente e delle
loro opinioni, si era caricata una montagna di
responsabilità sulle spalle senza mai lamentarsi, aveva
mostrato le zanne a chiunque tentasse di avvicinarla, non aveva chinato
la testa nemmeno quando avrebbe dovuto farlo e infine, come a ripagarla
delle fatiche di una vita, era stata Cassandra ad assoldarla nella
Guardia Imperiale ridandole la dignità che aveva abbandonato
ad Elysium, la città dove era cresciuta.
Era fedele, forse troppo, ma anche terribilmente diffidente.
Motivo per cui Cassandra decise di astenersi dal porgerle la mano per
aiutarla a rimettersi in piedi e preferì solo avvicinarsi
per assicurarsi che stesse più o meno bene dato che, a
giudicare dall’ala rotta abbandonata a strisciare
per terra, la sua impressione era tutt’altra:
-Sei sicura di sentirti abbastanza in forze per poterti rialzare?-
chiese semplicemente senza aspettarsi una risposta, l’avrebbe
capita se non avesse voluto parlarle; dopo qualche secondo
l’altra annuì tutt’altro che convinta:
-Non saprei… p-penso di no, ma ho
altre… p-priorità… le ossa rotte
si… si rimarginano, mia s-signora.- ripose con un filo di
voce, era evidente che quel corpo straziato dagli squarci le costasse
un dolore che nemmeno voleva provare ad immaginare:
-Se permettete c-credo… sia meglio… entrare, se
v-volete: s-sarete al sicuro… più che stando
f-fuori.- continuò e lei annuì; si
ricordò però all’ultimo che
c’era anche Jaqueline da portare dentro, così fece
per sollevare la rossa venendo fermata da Berenix, che invece le fece
segno di lasciare che fosse lei ad occuparsene.
Piccola mia…
cosa diavolo ti stai facendo? Ti odi davvero così tanto da
costringerti a sopportare anche questo? Non ti basta il tuo, di dolore?
pensò la donna mentre un’espressione di
rassegnazione si disegnava sul suo volto: era inutile, se iniziava una
cosa doveva per forza portarla a termine, costasse la sua salute o meno.
Nonostante le mute proteste di Cassandra alla fine, passati alcuni
momenti in cui la donna aveva seriamente pensato che potesse collassare
a terra, era riuscita a prendersi fra le braccia Jaqueline e portare
anche lei dentro le più sicure mura domestiche; non aveva
idea di dove fosse riuscita a trovare le forze per salire le scale,
sistemarla nel suo letto e metterle addosso una coperta, tuttavia
quando era scesa sembrava ridotta peggio di quanto lo fosse
già qualche minuto prima:
-Posso fare qualcosa per aiutarti?- chiese Cassandra quasi timidamente,
sapeva anche troppo bene che la cosa migliore da are con un raptor
ferito era farsi gli affari propri, ma se Berenix era stata infastidita
da quella richiesta era riuscita a non farlo vedere:
-Oh no, p-penso che... che qualche ora di rigenerazione... possa
b-bastare.- rispose fredda per poi uscire dalla porta di ingresso senza
aggiungere altro.
Cassandra si era astenuta dal seguirla, anche perché avrebbe
potuto fare ben poco mentre l’altra curava le proprie ferite,
così si era finalmente decisa a prendersi lei una pausa:
avrebbe solamente voluto andare a dormire e svegliarsi il giorno dopo
con Oregon che le diceva che era tutto un brutto sogno, che Jaqueline e
Ricardo se ne stavano nella loro stanza a fare chissà cosa
mentre lui si preoccupava inutilmente, che Berenix si era finalmente
riappacificata con i suoi genitori, che quella dannata guerra era
finita ed ora poteva tornare a fare la madre.
Ma la realtà era diversa, molto diversa:
Ricardo era diventato un mostro fuori controllo pericoloso per
sé stesso e per gli altri, Jaqueline aveva avuto un infarto
e per poco non era morta, Oregon era stato ridotto a carne da macello
da suo figlio, la guerra continuava e mieteva sempre più
vittime in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse.
Noi raptor non temiamo
la morte come voi umani, l'abbiamo sconfitta quando voi ancora eravate
immersi nel vostro brodo primordiale, le aveva detto
Diantha, ma Cassandra aveva il terrore di ciò che sarebbe
potuto accadere a Ricardo: nelle sue vene scorreva il sangue di suo
padre certo, ma c’era anche quello umano di sua madre.
E non era un bene.
Era piuttosto indecisa se passare il resto della giornata fuori con
Oregon e Diantha oppure badare a Jaqueline standosene al suo fianco ma
alla fine, dopo aver dato una rapida occhiata fuori ed aver notato che
stava ancora piovendo, aveva optato per il restare dentro ancora per
qualche ora così da riposarsi anche lei una volta per tutte;
le si era messa vicino, appena qualche centimetro più in
là seduta su una poltrona, e le aveva accarezzato i capelli
con fare materno, le dita sottili che scorrevano fra quella cascata
color magenta: era così innocente, così
impaurita, così confusa.
Così umana.
Le ricordava molto sé stessa alla sua età, ai
tempi in cui giocava a fare la fidanzatina insieme al signore dei
raptor: lei, una semplice quanto squallida ragazzina senza casa che
vagava in mezzo alle favelas pregando di superare la notte viva, quella
che non aveva nulla da offrire se non ciò che la
povertà le aveva lasciato del suo corpo, che da un giorno
all'altro si era
ritrovata a corte con migliaia di lucertole che si inchinavano al suo
cospetto chiamandola Vostra Grazia.
E Jaqueline aveva scelto lo stesso destino, che lo avesse voluto o
meno, il giorno in cui si era messa al collo la collana con cui Ricardo
le si era palesemente dichiarato senza chiederglielo esplicitamente:
giovane e troppo presa dai sentimenti per rendersi conto che quello era
un raptor, che una volta entrata nella loro famiglia, nella loro razza,
non ne sarebbe uscita.
Non viva.
Anche Cassandra aveva avuto quella paura, il terrore di non essere
abbastanza agli occhi di sua suocera, la stessa che aveva
già progettato per suo figlio un matrimonio con la solita
rampolla di nobile famiglia a cui interessava solo il titolo reale, ma
con il tempo anche Diantha aveva imparato che in fin dei conti non era
indispensabile che la sposa del suo cucciolo fosse una raptor, le
bastava solo che Oregon fosse felice: e lui era stato felice, per cui
il loro quadretto famigliare era anche meglio di quanto avesse solo
potuto immaginare.
Ma Jaqueline... lei era perfetta certo, su questo non si poteva dire
proprio nulla, eppure Cassandra aveva visto il puro terrore nei suoi
occhi quando si era trovata immobile davanti ad un mostro con le zanne
fradice di sangue pronto a sbranarla: non si era mossa, nona aveva
minimamente reagito, aveva solo aspettato di essere uccisa.
Dalla persona che amava, tra l'altro.
Sembrava quasi che fosse rassegnata a quella fine, che non le
importasse minimamente di andare avanti, e per quello poteva anche
capirla: dal primo istante che l'aveva vista da sola insieme a Ricardo
aveva subito capito che senza lui al suo fianco Jaqueline non riusciva
a trovare un motivo per vivere, non poteva farlo dal momento che lui
rappresentava tutto il suo mondo, era come se da quando lo avesse
conosciuto si fosse scordata addirittura di avere una famiglia che
aveva lasciato in pena per mesi prima di dire loro tutto.
Non che a Vance importasse molto di dove fosse sua figlia, ma quelli
erano solo dettagli.
La guardò ancora qualche secondo rendendosi conto che non
meritava tutto quel dolore, che anche lei avrebbe dovuto avere la
possibilità di essere finalmente felice con la persona che
amava, che forse non era tutto perduto anche se sembrava
così, o almeno lo sperava: Ricardo poteva riprendersi,
doveva riprendersi, ma sarebbe dovuto essere versato altro sangue.
Troppo sangue.
E lacrime, soprattutto
quelle.
Se sulla Terra si stava scatenando l'inferno allora su Iga si poteva
dire che l'inferno era appena iniziato, ed avrebbe tardato a finire:
inutile dire che a Palazzo vigeva il caos più totale,
consiglieri e ministri che andavano e venivano nel mal riuscito
tentativo di preparare tutto per la giornata, gli ambasciatori che
parlottavano fra loro nel cortile appena fuori scuotendo ogni tanto la
testa rassegnati, altri che annuivano soddisfatti, sacerdotesse vestite
in modi piuttosto ambigui che sellavano i cavalli con i paramenti da
cerimonia, sporadiche fenici che svolazzavano per i ciliegi in fiore
mentre Ignis le guardava pulendosi con cura certosina le preziose penne
dei colori del fuoco.
E poi c'era Hanzo, che aveva sbarrato la propria camera e si era
rifiutato di aprire a chiunque, che fosse sua madre venuta per dirgli
di darsi una mossa o un mercenario psicotico che voleva tormentarlo
quando era già abbastanza sconvolto di suo: lo aveva
lasciato spiazzato, quello sì, probabilmente
perché entrambi avevano impiegato anni a dimenticare quello
spiacevole incidente, o forse perchè gli aveva ricordato
quanto fosse stato tutto così dannatamente umiliante.
E doloroso, molto
doloroso.
Purtroppo.
Quando Bone se ne era andato gli era venuto spontaneo rivolgere uno
sguardo distratto alla cicatrice che quella meravigliosa esperienza gli
aveva lasciato, una sorta di monito allo smettere di provare ad evadere
perché tanto era inutile: nonostante gli anni era ancora
distinguibile la pelle tirata di un rosa vagamente lucido che
percorreva la gamba sinistra dal fianco fino a poco più
sotto il ginocchio, i bordi irregolari gli ricordavano che il femore
aveva squarciato la carne dall’attaccatura
dell’anca fino a tre quarti della sua lunghezza per poi
tranciare di netto l'arteria femorale.
Sarebbe dovuto morire,
ci aveva sperato fino a quando ne aveva avuto memoria quel giorno, ma a
quanto sembrava il karma aveva proprio intenzione di riservargli
qualche altro anno di torture psicologiche prima di mollare la presa.
Dove con mollare la presa si intende di uscire dal carcere per entrare
in un altro con l'unica differenza che, mentre nel primo le sbarre ti
facevano capire che ci entravi vivo e ne uscivi morto, nell'altro le
sbarre non c'erano, non fisicamente: perché alla fine
entrare a corte era stato quello, una vera e propria tortura al
confronto della quale rimpiangeva i giorni in prigione, dove almeno
poteva fare quello che più lo aggradava senza che dovesse
preoccuparsi di fare buona impressione su qualcuno, tra
l’altro a lui perfettamente sconosciuto.
Poteva sopportare le umiliazioni, poteva anche stare zitto tutto il
tempo se si impegnava, poteva addirittura riuscire a dare
l’impressione di sottomettersi a quelle dannate regole,
tuttavia una cosa non riusciva proprio a farla: non riusciva a
rinnegare nè sé stesso nè il suo
passato.
E non era un bene.
Loro parlavano certo, parlavano e parlavano senza sosta, ma non
immaginavano nemmeno lontanamente cosa si provasse a restare giornate
intere senza uccidere qualcuno, senza usare quel pezzo
d’acciaio che aveva nel braccio: da quando era tornato su Iga
si era presto reso conto che usare il Monte Fuji Lifting diventava
sempre più difficile e doloroso, non aveva mai provato un
dolore simile, a volte gli sembrava che potesse lacerargli la carne,
c’erano addirittura giornate in cui sperava davvero che
glielo amputassero quel fottuto braccio destro, in fin dei conti poteva
vivere anche senza.
Perché
diavolo Bone glielo aveva rotto e basta, non poteva direttamente
tranciarglielo?
A quanto pare no.
Peccato, un vero peccato.
La verità era che, nonostante Hanzo si ostinasse a negarlo a
sé stesso, odiava la vita che quel maledetto braccio lo
aveva obbligato a fare: non era mai stato una persona normale, persino
quando era piccolo nessuno gli si avvicinava mai, ed anche ora non
c’era anima viva che osasse stargli più vicino del
dovuto.
E quella vita era dannatamente stancante.
A distrarlo da tutti quei pensieri che si ostinavano a perseguitarlo fu
il suono dei qualcuno che bussava la porta per chiedere di entrare: non
si fece nemmeno problemi a chiedere chi fosse, non gliene importava
proprio nulla, non volle nemmeno dire “avanti” per
dare il permesso a sicuramente sua madre di andare a vedere come suo
figlio se ne fottesse alla grande di quello che avrebbe dovuto essere
il giorno più importante della sua vita.
Misera vita,
avrebbe aggiunto.
Ovviamente Mizuki non si fece pregare due volte prima di entrare, a
quanto sembrava non si era ancora data ai preparativi per quanto
riguardava la cerimonia così aveva deciso di dedicarsi a suo
figlio, o almeno di provarci sperando di non generare altro rancore
più del dovuto:
-Pensavo ti fossi già preparato,o almeno che ti stessi
preparando ora- disse chiudendo la porta guardando il pomello con
particolare interesse, poi prese posto sull’angolo opposto
del letto dove era seduto l’altro:
-C’è qualcosa che ti preoccupa?- chiese allungando
la mano per sfiorarlo, ma lui non le diede il tempo di farlo che si
alzò di scatto girandosi verso la finestra e dandole le
spalle, così lei fu costretta a ritrarre la mano.
Mizuki non l’aveva presa bene, probabilmente pensava che le
avrebbe lasciato fare solo perché era terrorizzato
dall’incoronazione e tutto il resto, ma la verità
era che se c’era qualcosa che Hanzo odiava più
della sbornia del
sabato sera di Bone Cold erano le persone che facevano le
cose per puro e semplice interesse o a causa dei propri sensi di colpa:
e sua madre, di sensi di colpa, ne aveva parecchi da
risolvere.
Tuttavia, nonostante sperasse che quel gesto l’avesse
convinta a desistere e tornare alle sue improbabili sacerdotesse
ninfomani, la regina si era alzata a sua volta e gli si era avvicinata
alle spalle lasciando comunque un certo spazio nel caso in cui gli
venisse la voglia di commettere un omicidio:
-Puoi anche darla a bere a tuo padre ma con me questa finta aria da
lupo solitario non funziona- asserì con la voce severa
sorprendendolo non poco dato che qualche secondo prima sembrava solo
una madre disperata:
- Prima lo capisci prima possiamo iniziare a parlare da adulti, o
meglio da sovrani se vuoi metterla sotto questo punto di vista.-
concluse incrociando le braccia con aria di sfida.
Cosa avresti in mente di
fare?, pensò fra sé e sé
cercando di non sembrare preoccupato da quella reazione quando in
realtà era fin troppo sorpreso: se Mizuki aveva in mente
qualcosa allora stava giocando le sue carte solo ora, nel momento in
cui sapeva che non avrebbe osato opporsi.
Hanzo aveva deciso di non chiederle cosa volesse, era certo che sarebbe
comunque riuscita a nasconderglielo in tutti i casi, ma per sicurezza
cercò di capire la distanza fra lui e la spada che, per sua
sfortuna, si trovava dall'altra parte della stanza a non meno di sei o
sette metri da dove si trovava.
Oh avanti, una cazzo di
spada ce l'hai ancora, gli sembrò che dicesse
una voce in uno sperduto angolo della sua mente, volendo avrebbe anche
potuto ascoltarla, ma c'era un qualcosa di inquietante nello sguardo di
sua madre che gli suggerì di evitare stronzate simili prima
di scatenare l'inferno.
Lei aveva le sacerdotesse, le guardie reali ed un numero non meglio
definito di seguaci dalla sua parte, per non parlare di Shannara e
Aerandir.
E magari anche Ignis, perché sicuramente quel pollo arrosto
eseguiva anche i suoi comandi.
Lui cosa aveva a
proteggerlo?
Niente,
niente di niente.
No, era decisamente meglio provare a mantenere la situazione sotto
controllo per quanto sarebbe stato molto più complicato del
previsto.
Erano seguiti istanti di silenzio durante i quali aveva provato in
tutti i modi ad anticipare le sue mosse, o perlomeno capire se volesse
ammazzarlo in preda ad un qualche istinto materno a lui sconosciuto,
tuttavia alla fine aveva capito che forse parlare era la via migliore,
forse:
-Cosa vorresti intendere dicendo che ora possiamo parlare da adulti? Mi
prendi per un adolescente per caso?- chiese senza nascondere un velo di
irritazione, ma lei rispose con un sorriso compiaciuto:
-Oh sì, ti comporti proprio come un bambino di dieci anni,
sei sempre a lagnarti di senza farti andar bene mai nulla: e non voglio questo, e non
voglio quello, e quello è uno stronzo, e quella è
un puttana, e le sacerdotesse qui, ed i ministri lì, e la
guerra qua, e la guerra là.- spiegò
con nonchalanche tirando quelle frecciatine attraverso quel dannato
sguardo accusatorio, i suoi occhi azzurro-verdi che cercavano una
conferma mentre all'altro stava decisamente salendo un'improvvisa
voglia di strozzarla con quell'adorabile nastro bianco che le teneva
legati i capelli.
Dov'erano Bone Cold ed
il suo kalashnikov quando servivano?
Alla fine fu Mizuki ad avvicinarsi per prima senza alcun timore:
-Sappiamo entrambi che
non potrai tenere Chiharu nascosta nella tua ombra per sempre,
prima o poi qualcuno lo verrà a sapere e beh, non si sa mai
cosa potrebbe accadere se si venisse a sapere che l'erede al trono ha
disertato le regole del nostro pianeta, le nostre tradizioni
insomma...- sussurrò avvicinandosi al suo orecchio
-Prima la stupreranno,
poi verrà decapitata, infine il suo corpo verrà
lasciato in pasto ai cani ed ai lup...- non fece in tempo
a finire che Hanzo si decise a soddisfare il proprio istinto e gli mise
seriamente il nastro intorno al collo tenendolo teso quel che bastava
per tenerla buona senza ucciderla:
-Non azzardarti nemmeno
a nominarla- le disse secco mantenendo la presa
-Tienila fuori da tutti i tuoi dannati complotti a corte, tienila fuori
da questa storia se vuoi avere salva la vita ancora per qualche tempo.-
la avvisò mollandola subito dopo.
Mizuki sembrò decisamente confusa di fronte a quelle azioni,
probabilmente nei suoi programmi non c’era quello di essere
quasi soffocata da suo figlio, tuttavia riuscì a mantenere
il sangue freddo:
-Finalmente ti sei dato una svegliata tesoro mio, meglio tardi che mai-
asserì massaggiandosi il collo e sorridendo come se nulla
fosse:
-Allora? Vogliamo parlare da adulti o preferisci stare qui a fissarmi le tette come se non ne
avessi mai viste in vita tua?- chiese lasciandolo in uno
stato a metà fra l’allibito e lo sconcertato:
-Ma che cos…non
ti sto guardando le tette!- si affrettò a specificare mentre
l’altra scoppiava a ridere
-Oh lo so non preoccuparti, Chiharu mi ha rassicurato sul fatto che
sono ancora lungi dal diventare nonna dato che probabilmente non sai
nemmeno dove devi infilarlo quell’affare che hai in mezzo
alle gambe: Bone ha ragione tesoro di mamma, se non lo usi si consuma.
E sarebbe un peccato, un vero peccato dato che dei nipoti li vorrei.-
concluse guardandolo con un sorriso innocente, non certo da maniaca
sessuale.
Maniaca sessuale,
ecco cosa sembrava sua madre.
Non si capiva bene cosa volesse fare o rispondere Hanzo, fatto stava
che era visibilmente imbarazzato da quell’affermazione:
-Io so perfettamente quello che devo fare, non credo che mi servano i
consigli dei miei genitori per andare a letto con la mia
fidanzat…- disse quando Mizuki lo interruppe
-Ventisette anni e sei ancora vergine: tu non hai idea di cosa fare,
ammettilo.- lo stuzzicò continuando a ridere mentre lui
scuoteva la testa rassegnato: non c’era niente da fare, se
era fissata avrebbe continuato fino allo sfinimento.
E poi non poteva contraddirla, non del tutto almeno.
Dopo ulteriori attimi di un imbarazzante silenzio interrotto ogni tanto
dai gridolini di sarcasmo da parte di Mizuki, i quali coprivano la
maggior parte dei pensieri che aleggiavano per la stanza, lei gli si
avvicinò e passò la sua mano sulla cicatrice che
percorreva l’occhio sinistro scendendo verso la guancia ed il
collo, per poi disperdersi sulla spalla in un labirinto di scanalature
sulla pelle lucida:
-Io non c’ero quel giorno, non ci sono mai stata nemmeno in
quelli seguenti, ma avrei dato la vita per esserci anche solo per un
secondo…- disse tornando incredibilmente seria mentre un
brivido gelido gli percorreva la schiena:
-Mi dispiace, mi dispiace tanto, avrei dovuto…
io… no, le scuse non bastano, non potrebbero mai bastare dopo
quello che hai passato.- continuò con uno sguardo che
lasciava intendere che fosse sul punto di piangere.
L’imperatrice di Iga, la sovrana delle sacerdotesse, il
generale della guardia del tempio:
lei, proprio lei, provava dei sensi di colpa.
Lei, quella che non ne aveva provati, ora ci stava annegando dentro.
Si era promesso di non dimenticare ciò che entrambi i suoi
genitori gli avevano fatto passare, né di perdonarli per
essersene fottuti dell’unico figlio che gli era rimasto,
eppure quella era sua madre, e per la prima volta la stava vedendo
soffrire sinceramente: non
era una scenata, non poteva esserlo, nessuno sarebbe riuscito a fargli
credere che lo fosse.
Per quel motivo, e per una serie di rimorsi che lo avrebbero afflitto
se l’avesse rifiutata in un modo tanto brusco, non aveva
proferito parola e l’aveva lasciata fare come se niente
fosse, era l’unico momento da quando era arrivato sul suo
pianeta durante il quale si sentiva per la prima volta a casa, un luogo
senza nessuno che lo giudicasse o lo rimproverasse per ciò
che decideva di fare; forse Mizuki aveva intuito quello che stava
pensando, o forse aveva solo dato ascolto al proprio istinto materno
appena risvegliatosi dall’alba dei tempi, ma era finita che
lo aveva stretto in un abbraccio piuttosto soffocante ma che Hanzo, per
quanto provasse una certa diffidenza verso gli abbracci, non aveva
contestato come suo solito.
E va beh, se per il trono doveva sopportare tutta quelle moine materne
poteva anche lasciar correre, l’ultima cosa che avrebbe
voluto era sua madre che gli dava contro come già faceva
Soichiro.
La cosa era durata cinque minuti buoni passati nel silenzio
più assoluto, poi lei lo aveva guardato con aria
imperscrutabile:
-Cosa ti infastidisce di più dello stare su questo pianeta?-
gli aveva chiesto a bruciapelo senza aspettarsi una risposta, e in
effetti quella domanda impiegò qualche minuto per trovarla:
-Non posso essere quello che sono sempre stato, ecco cosa mi
infastidisce.- rispose secco spostando lo sguardo verso un punto
indefinito oltre la finestra per distrarsi sperando che non volesse
ulteriori spiegazioni alla sua, ma alla fine fu lui ad approfondire:
-Mi infastidisce che non possa uscire da questa sottospecie di prigione
coperta di sfarzo nemmeno fosse una reggia sorvegliata da delle
sacerdotesse mezze nude, mi infastidisce che debba essere sempre
accompagnato dalla scorta nemmeno fossi l’imperatore di mezza
nebulosa, mi infastidisce che non possa vedere la mia ragazza
perché se qualcuno dovesse venire a scoprirlo la
impiccherebbero come la peggiore degli assassini e, giusto per non
dimenticare che sono un criminale dato che nessuno sembra volersene
dimenticare, mi infastidisce non poter ammazzare qualcuno quando ne ho
voglia: ecco cosa mi
infastidisce, se proprio vuoi saperlo.- concluse prendendo
fiato e stringendo i pugni.
Questa volta Mizuki non sembrava avere la risposta pronta, o almeno non
apparentemente, tuttavia dopo poco gli prese le mani fra le proprie e
gli rivolse un altro sguardo:
-Forse tu credi che io non possa capirti ma ti assicuro che ti capisco
più di quanto immagini, anche io ho dovuto passare per
questa spiacevole via a mia volta- spiegò velocemente senza
distogliere lo sguardo dal suo:
-Fregatene di
quello che ti dicono, è questo che mi hanno
insegnato, fregatene e
fai ciò che vuoi: hai un pezzo di acciaio nel
braccio che con tutta probabilità sai usare meglio del tuo
pene, inizia a mettere in chiaro da subito chi comanda a palazzo se non
vuoi trovarti schiacciato dalle persone che fingono di essere potenti.-
continuò lasciando nuovamente suo figlio con
un’espressione sconcertata da tutti quei discorsi
sessualmente ambigui.
Eppure, per quanto Mizuki continuasse a tirare fuori discorsi
improbabili per arrivare a parlare del pene di suo figlio, era come se
il punto al quale volesse arrivare fosse ben altro, forse meno ambiguo
di quelli fatti fino a quel momento:
-Posso chiederti una cosa?- domandò ma l’altro
sembrava piuttosto perplesso
-Non temere, non riguarda il tuo pene, credo.- aggiunse e
allora Hanzo annuì rassegnato sperando che non stesse
mentendo; la donna abbassò lo sguardo solo per un istante,
fu un movimento quasi impercettibile, poi lo rialzò cercando
quello dell’altro:
-Hai per caso notato qualche cambiamento da quando sei arrivato su Iga?
Qualcosa di… diverso rispetto a come sei sempre stato?-
chiese infine ottenendo solo ulteriore silenzio tombale,
così decise di rendere la domanda più ristretta:
-Hanzo… per favore, non è un interrogatorio ma ti
prego, cerca solo di dirmi quello che sai, è molto
più importante di quanto tu possa immaginare.- aggiunse
mentre il suo tono lasciava intravedere un filo di preoccupazione, poi
decise di rassegnarsi al fatto che non avrebbe mai ottenuto nulla con
quelle dannate domande; alla fine capì che arrivare al punto
da sola era meglio che cercare di strappargli anche una singola parola:
-So che non riesci ad usare i tuoi poteri da quando sei qui, e non
negarlo: ci hai provato, di questo ne sono certa, ma ti sei anche
accorto che non serve a nulla provare e riprovare quando il risultato
è sempre e solo lo stesso.- precisò gettando lo
sguardo verso il panorama che si affacciava dalla finestra quasi come
la risposta non le importasse.
Sapeva di aver toccato un argomento che sarebbe stato meglio lasciare
in disparte, ma aveva un disperato bisogno di sapere quello di cui
aveva bisogno:
-Come fai a sapere così tante cose su quello che posso fare
o meno?- domandò senza riuscire a trovare una risposta
valida, e nemmeno Mizuki sembrava volergliela dare; non sapeva
perché lo avesse fatto, né tantomeno il motivo
per cui avesse afferrato sua madre per le spalle e l’avesse
messa al muro con una violenza che nemmeno sapeva di avere, ma comunque
fossero messe le cose ora si trovava totalmente sopraffatto da un
terribile senso di odio represso, tuttavia non ci volle molto
perché lei riuscisse a calmarlo in un modo o
nell’altro:
-Avanti, uccidimi se è ciò che vuoi veramente, ma
non lamentarti se poi ti troverai in mezzo ai complotti di corte e non
saprai come proteggere Chiharu perché, questo te lo posso
assicurare, tuo padre ha molti più informatori di quanto tu
possa solo immaginare: la vostra tenera relazione ha i giorni contati
se mi ammazzi, pensaci prima di farlo.- disse semplicemente constatando
che quelle poche frasi le bastarono perché l'altro mollasse
la presa leggermente indeciso sul da farsi:
-Tu non hai idea
di cosa stia passando per quel fottuto pezzo di ferro arrugginito, se a
Chiharu dovesse accadere qualcosa prima che io diventi l'erede al trono
non credere che te la lasc...- non finì che Mizuki lo
zittì con una mano:
-La sto proteggendo da sette
anni, e nessuno sospetta nulla: sono tua madre, un minimo
di fiducia in me dovresti averla.- fece presente, ma Hanzo
sospirò annoiato:
-Non contarci, non mi fido di te più di quanto mi fidi di
Bone Cold, con la differenza che lui è un mercenario e
nonostante sia un bastardo come pochi mantiene ciò che dice,
sempre.-
controbatté senza un minimo interesse sperando che ora lei
se ne andasse e lo lasciasse in pace.
Tuttavia, per quanto Mizuki avesse esaurito le proprie affermazioni, le
restava ancora una carta da giocare, per quanto avesse voluto evitarla
in tutti i modi:
-Sono certa che se riuscissi a dimostrarti che siamo nella stessa
situazione tu inizieresti a fidarti di me, mi sbaglio forse?- chiese e
lui tornò leggermente interessato:
-Oh sì, se solo tu potessi dimostrarmelo, il che
è dannatamente improbabile, potrei anche iniziare ad
inginocchiarmi al tuo cospetto, Vostra Grazia: ti piace questa
prospettiva?- rigirò la domanda facendole scappare una
risata, ma niente di più, né una parola
né un'altra richiesta da parte sua.
Senza nessun preavviso Mizuki si tolse la parte superiore del kimono
che era solita portare scoprendosi, oltre alle spalle ed alle braccia,
anche con molta naturalezza il seno come se nulla fosse, il che
lasciò piuttosto sconcertato Hanzo, che da parte sua
iniziava a porsi delle domande sulla sanità mentale della
propria madre; ovviamente l’altra lo notò e rise
di gusto:
-Oh avanti, hai seriamente paura di un paio di tette? Ora inizierai ad
urlare come una femminuccia pregandomi di rivestirmi altrimenti rischio
di risvegliare i tuoi istinti sessuali?- lo interrogò mentre
lui si metteva una mano sul volto ed iniziava a scuoterlo rassegnato,
il che la divertiva non poco; appena si riprese dallo sconvolgimento
iniziale il suo sguardo fu inevitabilmente catturato
dall’intricato disegno sulla schiena della donna, il che lo
lasciò ancora più perplesso: era un tatuaggio che
rappresentava quella che doveva essere una fenice che andava dalle
spalle fino ai glutei, occupando tutto lo spazio che il dorso potesse
offrire, la testa dell’animale era posizionata proprio al
centro di tutto il disegno contornata da un vortice di fiamme che
l’avvolgevano, affiancata dalle imponenti ali di un rosso
rubino che sfumava qua e là in un altrettanto acceso
arancione ed un vivido giallo-oro mentre la coda, oltre a svilupparsi
verso il basso, andava a biforcarsi sulle braccia avvolgendole con
delle piume più spesse e di colori ancora più
intensi.
Era splendida, non avrebbe potuto pensare altro, soprattutto
perché non avrebbe mai potuto aspettarsi che una donna
così colta, così a modo, così regale,
potesse avere un tatuaggio di tali dimensioni sul proprio corpo.
Tuttavia,per quanto Hanzo si sforzasse di concentrarsi solo su quel
particolare, era certo che fosse ben altro ciò che sua madre
volesse mostrargli: forse perché lei le aveva appena puntato
il dito contro senza un particolare motivo, o forse perché
la storia che fosse malata di mente non reggeva più, stava
di fatto che un brivido gli era corso lungo la schiena mettendolo sulla
difensiva dalla donna che aveva davanti in quel momento; lei
però non se ne preoccupò troppo:
-Mi hai detto che per avere la tua fiducia dovrei capire quello che hai
passato fino ad oggi, è questo che mi hai chiesto, giusto?-
domandò senza pretendere una risposta mentre
l’altro aveva avuto, sperando che fosse solo un effetto
ottico o qualcosa di simile dovuto alla stanchezza, come
l’impressione che la sua pelle fosse diventata lucida: non
lucida nel senso di un qualsiasi materiale organico, non era come se
fosse solo liscia al tatto, sembrava più di un
lucido… come dire… metallico.
Metallico…
era così tremendamente famigliare.
Era stato solo un istante, un istante durante il quale aveva sentito
chiaramente un’improvvisa quanto dolorosa fitta di freddo
alla spalla destra che era andata diradandosi fino alla punta delle
dita: il morso dell’acciaio, ecco cosa sembrava, era come la
sensazione di una lama che ti trapassava la carne fino a squarciarti
l’anima.
La stessa che aveva
provato ventidue anni prima, quando aveva capito da solo di non essere
proprio così normale come aveva ingenuamente pensato.
La stessa che lo aveva
fatto crollare in ginocchio quando si era reso conto che
l’acciaio non aveva più intenzione di starsene
buono buono sotto la carne, quando aveva sentito le ossa frantumarsi
per fare spazio a qualcosa di peggio, di molto peggio.
Non sei da solo,
gli disse una vocina nella sua mente, ma rischi di restarlo se ti
tranciano la carotide.
E quella vocina aveva ragione, soprattutto perché quando
aveva abbassato lo sguardo ciò che aveva visto era solo il
bordo di una lama abbastanza affilata da aprirgli un taglio di venti
centimetri nella gola se solo avesse provato a respirare e che, se solo
gli avesse solamente sfiorato la pelle, avrebbe significato un
viaggetto nell'Ade senza ritorno: era fottuto, se voleva ammazzarlo
senza che nessuno lo venisse a sapere allora quello era proprio il
momento buono.
Ma per sua fortuna Mizuki aveva ancora un minimo di amore materno, o
comunque qualcosa che gli suggerì di togliere quell'arma
dalla gola di suo figlio e starsene lì perfettamente calma,
mezza nuda e con metà del braccio destro ormai
irriconoscibile a causa della lama di acciaio che ne fuoriusciva.
Per quanto una simile scoperta lo avesse lasciato evidentemente
dubbioso su cosa sapesse o meno sui propri genitori, Hanzo da parte sua
aveva sempre saputo che sua madre era ben diversa da Soichiro, c'era
qualcosa in lei che dal primo istante in cui l'aveva vista gli aveva
fatto presente che quella donna avesse un bel po' di segreti da
nascondere ai suoi occhi e, perché no, forse anche a quelli
del marito: se era vero che l'apparenza inganna, allora con Mizuki quel
discorso valeva, e anche parecchio.
Passati i primi istanti di insicurezza su cosa dire o fare era stato
inevitabile che il suo sguardo si fosse posato sull'acciaio di un
innaturale colore bianco avorio perfettamente intatto, e soprattutto
sulle iscrizioni simili a rune miste a geroglifici che correvano su
tutta la sua lunghezza e che brillavano di un non del tutto umano
azzurro cielo.
Se fino a quell'istante il Monte Fuji Lifting era stata la massima
espressione di distruzione che Hanzo aveva conosciuto, allora doveva
iniziare a rivedere i propri standard per misurare gli effetti di
quell'improbabile potere di morte che ora aveva appena scoperto avere
anche la donna che governava un intero pianeta, il suo pianeta: ora
era lui il principiante, e la cosa gli faceva salire un certo
nervosismo che sapeva di non essere bravo a controllare, ma c'era da
dire che quella fottutissima spada era ben lungi dall'essere simile
alla sua, ormai ricoperta di solchi e graffi che non ne volevano sapere
di rimarginarsi.
Dopo qualche interminabile secondo durante il quale
l’indecisione si era dipinta sul volto di Mizuki alla fine
era stata lei ad avvicinarsi senza evidenti desideri omicidi e gli
aveva messo una mano sulla spalla con fare materno:
-Sono l’unica persona di cui ti puoi fidare su tutto il
pianeta, quindi decidi bene a chi vuoi dare la tua fiducia prima di
farlo: un passo falso e ci sarà sempre qualcuno pronto a
piantarti un pugnale nella schiena, e non sarà tanto per
scherzare come fa Bone Cold- spiegò con un insolito ed
inquietante atteggiamento di segretezza:
-Tuo padre non deve sapere nulla di tutto questo, né di
quello che ti ho mostrato né di ciò di cui
abbiamo parlato: ci sono segreti che è bene rimangano tali
per la salute di tutti, e ricorda che se sono così tanto
misteriosa con lui è perché non ho intenzione
fargli vedere morire un altro figlio, non un’altra volta.-
concluse poco prima che il suo braccio tornasse perfettamente normale
in circostanze alquanto arcano, poi si rivestì e gli
girò le spalle aprendo la porta, ma non senza dirgli
un’ultima cosa:
-Sei tutto
ciò che ci è rimasto, tutto: non
permetterò che ti accada qualcosa, non oggi.-
Hanzo rimase qualche minuto a guardare la porta senza motivo, la mente
che cercava invano di rispondere alla moltitudine di domande che
quell’evento aveva fatto nascere, poi capì che era
inutile scervellarsi dietro una cosa simile: doveva fidarsi, solo
quello.
Di sua madre, di suo
padre e, anche se sarebbe stato difficile, di sé stesso.
Sangue, sangue ovunque
si girasse: sul pavimento, sul letto, sulle sue mani.
Non oggi, non ora, non
lei: non azzardarti nemmeno a prenderla, non ci provare, si ripeteva
nella testa cercando di sgombrarla dai pensieri che si facevano strada
con una violenza inaudita senza lasciargli un attimo di tregua da
quell'inferno.
Morirà, lo
sai anche tu, sembrò suggerirgli una vocina interiore
piuttosto discutibile alla quale non voleva credere, evitale una morte
peggiore di quella che avrebbe rimanendo qui a dissanguarsi: tagliarle
la gola è il gesto d'amore migliore che potresti fare, non
prolungare oltre quest'agonia che tu stesso hai provocato.
Per quanto sbagliata
quella voce aveva ragione, aveva fottutamente ragione, era davvero
colpa sua: sapeva benissimo che gli umani non erano fatti per mettere
al mondo i raptor, c'era un motivo se i primi partorivano i loro figli
ed i secondi deponevano uova nei luoghi più impensabili, e
le due cose avrebbero dovuto rimanere divise.
Molto divise.
Non si giocava a fare
dio con la natura ma Oregon, a fare dio, ci aveva preso l'abitudine:
solo che questa volta le cose gli erano sfuggite di mano, anche troppo,
ed ora si trovava con le spalle al muro senza poter fare nulla per
salvare la donna che amava.
A vent'anni non ancora
compiuti Cassandra sarebbe morta di parto con l'utero squarciato dagli
artigli dello stesso raptor che era effettivamente suo figlio, e che
sarebbe potuto anche essere stato l’ultimo.
Ed era colpa sua, sua e
di Oregon: lei che voleva una famiglia come tutte le donne che aveva
conosciuto, lui che pretendeva una discendenza diretta al trono per non
darlo a nessuno che non avesse i suoi geni nel corpo.
Ed ora, a dieci minuti
dalla nascita del suo primogenito, stava già vedendo sua
moglie in un lago di sangue che continuava ad allargarsi mentre lui,
forte del fatto che sua madre si rifiutasse di mettere mano alla
situazione perché con gli umani non voleva averci a che
fare, se ne stava dall'altra parte della stanza con tutto
ciò che gli sarebbe rimasto se lei fosse morta avvolto in
una coperta.
La verità era
che per sopravvivere Cassandra avrebbe avuto bisogno di un intervento
per fermare l’emorragia il più presto possibile e,
per quanto Oregon avesse in casa propria un vero e proprio piccolo
esercito di raptor con le stesse qualifiche dei medici umani, nessuno
di loro avrebbe mosso un artiglio per salvare la vita di
un’umana se glielo avesse ordinato, complice il fatto che
l’improbabile quanto saggia opinione della Figlia dei Ghiacci
che rispondeva al nome di Diantha veniva sempre e comunque prima di
quella dell’Imperatore: sarebbe morta, e lui non avrebbe
potuto fare nulla per impedire tutto ciò dato che non
c’era sangue compatibile nelle vicinanze e di portarla in
ospedale nemmeno si doveva parlare, ne sarebbero nate troppe domande
per sapere cosa ne fosse stato del bambino, umano o lucertola che fosse.
Poi, quasi mosso da una
sorta di istinto paterno che nemmeno sapeva di avere, guardò
istintivamente il frutto di tutte quelle sofferenze rendendosi conto
che chiunque sarebbe stato d’accordo nel dire che di umano
avesse ben poco, a parte qualche goccia di sangue in circolo: una
lucertolina di nemmeno cinquanta centimetri coperta di squame di un
viola spento talmente sottili da lasciar intravedere le vene ed i
capillari sotto la pelle lo stava guardando aspettandosi
chissà cosa da ormai cinque minuti buoni, lui che non aveva
la minima idea di cosa volesse che faceva lo stesso con un'espressione
confusa mentre lasciava che la minuscola coda gli si avvolgesse
svogliatamente intorno al polso ruotando la testa senza un particolare
motivo.
Quasi per caso che una
goccia di sangue le cadde da una di quelle minuscole zanne sulla sua
mano, un liquido particolarmente denso di un innaturale azzurro
iridescente che, se visto controluce, lasciava notare alcune striature
color oro qua e là: fu allora, e solo allora, che si rese
conto che forse non era troppo tardi per fare qualcosa, che per
salvarla non sarebbe servito molto sangue.
Non umano.
Cassandra si era svegliata di colpo ansimando, teneva una mano stretta
al petto quasi avesse paura che con quel continuo martellare il cuore
potesse aprirsi un varco da un momento all’altro ed andarsene
allegramente: sentiva come un brivido, una sensazione di freddo
pungente che le percorreva ogni singola fibra del corpo fino a
dissolversi nel più profondo del proprio essere.
Solo in un secondo momento notò che quel gelo polare che
aveva appena percepito altro non era che il preavviso della presenza di
Diantha sulla poltrona di fronte a lei, mezza nuda e fresca come una
rosa giusto per non smentirsi: le tracce del combattimento di poche ore
prima erano completamente sparite nel nulla, nessuna cicatrice o ferita
percorreva i colori iridescenti del ghiaccio che ricopriva quel corpo
da raptor così dannatamente perfetto da risultare
innaturale, a coprirla aveva solamente un vestito, se così
si poteva definire il sottile pezzo di pizzo bianco che a malapena
nascondeva le sue nudità, ed una serie non meglio definita
di gioielli dorati sulle più svariate parti del corpo.
Era incredibile come le sue capacità di rigenerazione le
avessero permesso in quelle poche ore di rimarginare ogni singola
ferita, ogni singolo tendine ed anche ogni dannatissimo capillare che
fino a poco prima erano ridotti a carne da macello, persino la zampa
evidentemente rotta ora appariva perfettamente normale ed anzi coperta
di più cristalli di quanti ce ne fossero prima.
I raptor erano perfetti,
su quello non poteva discutere ormai da tempo, eppure qualcosa in loro
le faceva sempre alzare la guardia: erano lucertole abnormi, alcuni le
definivano enormi draghi risorti da chissà quali epoche
perdute, ma alla fine si trattava sempre e comunque di bestie fameliche
il cui bisogno principale era nutrirsi e distruggere, dimostrare di
essere più forti, più intelligenti,
più tecnologici.
Egocentrismo,
lo chiamava lei.
Progresso,
lo definivano i raptor.
Dopo la confusione iniziale si era messa seduta più o meno
comodamente, ed anche Diantha l'aveva imitata alzandosi ed
appoggiandosi al bracciolo del divano:
-Fammi indovinare, passato o futuro?- domandò e l'altra
sospirò poco convinta alzando lo sguardo:
-Passato, anche troppo per i miei modesti gusti- rispose massaggiandosi
le tempie
-Non ti ricordava così stronza e vendicativa con me, mi
sembrava che l'ultima volta fossi stata decisamente meno protesa verso
l'omicidio intenzionale, ma forse mi sbaglio.- continuò
lasciandosi scappare una risata mentre l'altra scuoteva la testa
divertita:
-Oh sì, ero una brutta persona o lucertola che dir si
voglia, non che ora sia meglio ma credo che il mio attuale
comportamento sia un buon compromesso fra
l’autorità e la compassione, o almeno credo- disse
accavallando le gambe con una certa sensualità; Cassandra
invece avevo lo sguardo puntato verso un punto indefinito come se fosse
assorta in una moltitudine di pensieri anche se sperava che
l’altra non lo notasse, ma fu come se le parole le
sfuggissero di bocca:
-Mi avresti davvero
lasciato morire se non fosse stato per Oregon?- chiese
pentendosene subito dopo dato che la cosa sembrava fin troppo
impertinente.
Passarono alcuni minuti prima che Diantha rispondesse, tuttavia fu una
sorpresa il fatto che decise di farlo senza che nessuno le stesse
cercando di estrapolare una risposta:
-Sì, lo avrei
fatto sicuramente, non sono il tipo di persona che si fa
degli scrupoli- spiegò senza sembrare minimamente
preoccupata, poi le si avvicinò e le accarezzò la
guancia, il tocco freddo delle sue squame sulla pelle calda di
Cassandra che produceva una diafana condensa ghiacciata:
-A volte mi chiedo come sarebbe stato il nostro rapporto se avessi
abbandonato prima tutti i miei pregiudizi sugli umani, se avessi
lasciato da parte l’arroganza e l’orgoglio anche
solo per un secondo: probabilmente avrei capito subito quale
meravigliosa donna mio figlio avesse scelto per condividere la propria
vita, solo questo.- concluse lasciando cadere il silenzio.
Cassandra restò particolarmente colpita da quelle parole,
soprattutto perché le stava dicendo la stessa che quando suo
figlio era nato l’avrebbe volentieri lasciata morire dopo una
terribile agonia:
-Ed a me dispiace di non essermi resa conto che stavi solo cercando di
proteggere tuo figlio, come ogni madre farebbe col proprio…
come io non sono riuscita a fare con il mio.- disse sospirando ed
abbassando lo sguardo, i sensi di colpa di non aver potuto fare nulla
se non di guardare la stavano divorando ormai da ore senza che
riuscisse a scrollarseli di dosso; quelle parole sembrarono far venire
un’improvvisa illuminazione a Diantha, che nel frattempo si
era alzata di scatto rischiando di tagliargli la gola con un improvviso
colpo di coda:
-A proposito di tuo figlio ho alcune cose da mostrarti, vorrei una tua
opinione per confermare le mie ipotesi prima che questo continente
venga raso al suolo dalla tempesta più violenta della quale
l’umanità avrà memoria.-
continuò frettolosamente per poi sparire a grandi falcate
nella libreria nella stanza adiacente dove Oregon era solito tenere,
oltre i comuni scritti umani, anche quelli provenienti dal suo pianeta
per ogni evenienza.
Diantha tornò qualche istante dopo in compagnia di un grande
quanto pesante tomo che posò sul tavolo poco lontano dal
divano, invitando Cassandra a prendere posto su una delle sedie per
vedere meglio ciò che voleva mostrargli: era impossibile non
riconoscere quel volume, la copertina era ricoperta di un sottile
strato di squame azzurre che si scurivano verso i lati, al centro
quella che doveva essere la testa di un raptor di una specie non meglio
definita che protendeva le ali verso l'alto abbracciando delle scritte
simili a delle rune, mentre la coda si snodava per tutta la parte
inferiore spuntando qua e là fra gli strani segni,
probabilmente incisi e poi messi in rilievo con della lamina d'oro di
un giallo acceso.
Era noto come “Le Cronache degli Antichi”, e si
dava il caso che quello fosse il primo di una lunga serie di volumi: un
vero e proprio trattato scientifico fin troppo accurato che esponeva
con rigore marziale tutto ciò che aveva a che fare con i
raptor, dalle loro prime tracce fino ad una serie di profezie per i
millenni che sarebbe venuti, una sorta di incrocio fra la Bibbia,
l'Origine della Specie e le Centurie di Nostradamus, solo che le
Cronache narravano sempre e soltanto di eventi che avevano prove
evidenti o che, quando si verificavano, lo facevano nei modi, nei
luoghi e nei tempi descritti.
Una sorta di Oracolo cartaceo, per intenderci.
Ed era proprio di quello che Diantha voleva parlare, motivo per cui
aprì il libro su una pagina che aveva precedentemente
segnato e lo mise davanti alla donna senza proferire parola e lasciando
che leggesse da sola ad alta voce ciò che c'era scritto:
Quando il cielo
verrà avvolto da nera caligine
L’eclissi
della Grande Stella farà sprofondare il mondo nelle tenebre.
Quando nel Sole nascente
si vedrà un gran fuoco di celeste rovina
Allora il mostro
verrà visto in pieno giorno,
Colui che conobbe la
morte tre volte: per guerra, per fuoco e per amore.
Egli ululerà
come un lupo rabbioso,
Divorerà i
cadaveri dei deboli,
Morderà la
propria carne,
Sfiderà
adirato il proprio popolo,
Strapperà il
cuore dal petto degli innocenti.
Si abbatterà
sul mondo una pioggia di feroce follia,
Una tempesta di morte
che non darà scampo agli uomini:
Nubi rosse di sangue
attraverseranno il cielo,
Il rombo del tuono
farà tremare la terra,
I corpi degli empi come
dei giusti giaceranno ai piedi della Madre.
La Grande Stella per tre
giorni arderà:
Le corone dei re, grandi
e piccoli, cadranno,
Gli oceani si
arrosseranno di sangue,
La Grande Madre
piangerà i propri figli,
Gli scheletri degli
sconfitti riempiranno gli abissi del mondo.
Regnerà per
lungo tempo solo la morte:
Il fuoco
verrà dal ventre della Madre Terra,
Cadranno dal cielo
stelle incandescenti,
Si rovescerà
il Sole, si rovescerà il viso della Luna,
Arderanno i cieli e la
terra.
Quando ebbe finito cassandra non fu in grado di dire nulla, tutto
ciò che sentiva era il fiato che le era morto in gola e le
proprie mani strette al petto tremanti, così fu Diantha a
prendere parola:
-Più di settecento milioni di anni fa gli Antichi avevano
predetto l'arrivo di una creatura fra i raptor, una creatura
così potente che nemmeno la morte avrebbe potuto fermarla,
un mostro che avrebbe potuto sconvolgere il mondo con tempeste tali da
rovesciare i continenti e prosciugare i mari: lo chiamavano il
“Re nato dalla Tempesta”, o rinato se vogliamo
vederla da questo punto di vista.- spiegò quasi
interpretando la profezia
-La prima volta sarebbe morto per amore, per proteggere ciò
che di più prezioso avrebbe avuto al mondo, la seconda volta
per il fuoco, quando i segni che la profezia si stesse avverando
sarebbero stati ormai evidenti e le persone che lo circondavano
avrebbero dovuto prendere una scelta di vitale importanza, la terza per
la guerra, quando avrebbe guidato il proprio popolo alla conquista del
mondo conosciuto- concluse facendo una pausa per permettere alla donna
di realizzare ciò che lei aveva già capito.
Tuttavia ci volle più del previsto perchè anche
Cassandra parlasse per esporre le proprie idee a proposito:
-Ricardo stava morendo dissanguato quando ha preso il posto di
Jaqueline contro Shogun, ed è morto ancora oggi
perché ho dovuto scegliere fra la sua vita e quella della
ragazza che considero una figlia...- affermò continuando a
guardare il pesante tomo:
-Cerco di convincermi che non sia lui il sovrano che gli Antichi
avevano promesso, cerco in tutti i modi di dire a me stessa che mio
figlio non sarà il mostro che deve essere, ma alla fine...
alla fine so fin troppo bene che non posso cambiare ciò che
è stato scritto: vorrei
farlo, ma non posso.- terminò stringendo i
pugni fino a quando non sentì il dolore delle unghie che
penetravano la carne.
Nonostante Diantha volesse risponderle decise di lasciarle qualche
minuto per riflettere, per perdersi ancora nei suoi pensieri, ma alla
fine fu costretta ad intervenire:
-La profezia deve ancora avverarsi per una buona parte, deve ancora
avvenire l'eclissi: fino a quando non ci sarà l'oscuramento
del Sole potremo stare più o meno tranquilli, o perlomeno
prepararci all'azione.- rifletté ad alta voce inclinando la
testa, tuttavia Cassandra ebbe un improvviso sobbalzo e si mise in
piedi:
-L'eclissi?-
ripeté a sua volta, poi si diresse velocemente verso la
propria agenda appoggiata su un mobile e prese a spogliarla
frettolosamente.
Furono dei secondi terribili, durante i quali lasciò cadere
l'agenda stessa e sé stessa in ginocchio a terra:
-L'eclissi è
domani Diantha, l'eclissi è domani...- fu solo
in grado di dire fra il proprio sguardo sperduto nel vuoto e quello di
sorpresa della raptor.
Non c'era tempo, non
più.
O forse, più
probabilmente, non ce ne era mai stato.
________________________________________________________
Angolino dell'autrice
Eccoci qua, al capitolo quindici e con un sacco di cose che sono
accadute :D
Ammetto che avevo pensato di fermarmi alla parte di Hanzo, tuttavia ho
capito da sola che le cose successe sarebbero state due in croce e
niente, alla fine ho deciso di aggiungere anche l'introduzione al
prossimo sconvolgente (?) capitolo.
Non ho nulla da dire in più, e non voglio rovinarvi le
sorprese, tuttavia vorrei dire una cosa: amo le profezie, è
così bello profeziare profezie (che?) e per questa mi sono
ispirata un po' a quelle di Nostradamus ed un po' a quelle
dell'Apocalisse :3
Se volete lasciate un commento o qualsiasi cosa, mi piace vedere che
quello che scrivo viene apprezzato :3
Vi lascio una foto dell'spetto di Mizuki e del tatuaggio che ha sulla
schiena :D
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Capitolo 16 *** All Hail the Stormborn King ***
Erano
nelle merda, nella merda fino al collo.
E
non potevano fare nulla per evitarlo.
L'eclissi, quella
fottutissima eclissi, era praticamente alle porte e, a meno che non
fossero riuscite a spostare il Sole, non avrebbero potuto fare nulla
per evitarla.
Per un improvviso
senso di impotenza che non aveva mai provato nella sua intera esistenza
Diantha tirò un colpo di coda così forte sul
prezioso pavimento di marmo da aprire una voragine di un metro per
trenta di profondità che, nemmeno a dirlo, si era
immediatamente ricoperta di uno spesso strato di ghiaccio azzurrino:
-Non possiamo fare
niente, niente di niente cazzo!- ruggì stringendo
violentemente i pugni
-L'eclissi
è domani Cassandra, domani! Il libro ha ragione, il libro ha sempre ragione!-
continuò mentre l'altra sperava che non facesse altri danni,
o peggio che si trasformasse lì dentro:
-Ti rendi conto di
cosa accadrà? Ti rendi conto che là fuori
c'è un mostro abnorme che è pronto a scatenare
l'inferno appena quella tempesta di plasma solare sfiorerà
il campo magnetico terrestre risvegliando tutto il nephilem di cui ha
bisogno per sterminarci? Lo sai almeno, ne hai un...- non fece in tempo
a finire che Cassandra le diede uno schiaffo incurante del fatto di
essersi appena tagliata il palmo della mano con quegli affilati
cristalli di ghiaccio.
Perlomeno l'aveva
riportata alla realtà, e quello era ben più
importante di un semplice taglio più o meno profondo sulla
sua mano:
-Lo so Diantha, lo so: so che non posso fare
nulla per interrompere questa folle catena di eventi, so che anche se
iniziassi a disperarmi non cambierebbe proprio nulla, so che ci sono
fin troppe possibilità che perderò un figlio alla
fine di questa storia quindi, se ancora non lo hai capito, io lo so.-
asserì con una serietà che non era da lei mentre
continuava a sfogliare con la mano sana il libro senza un reale
interesse ma più che altro per farsi vedere impegnata.
Diantha non aveva
risposto, non trovava nessuna parola per confortarla ma nemmeno per
smentire le sue affermazioni, così decise di limitarsi ad
annuire sconsolata:
-Probabilmente hai
ragione, quindi vediamo di occuparci del presente piuttosto che del
futuro, o almeno proviamoci fino a domani.- si scusò a modo
suo prendendole la mano e posandoci sopra la propria con una
sorprendente delicatezza: c’era voluta giusto una manciata di
secondi perché la stessa nebbiolina bianca-azzurra che aveva
precedentemente salvato la rossa iniziasse ad aleggiare
nell’aria fra una smorfia ed un’imprecazione da
parte di Cassandra per poi, quando Diantha aveva tolto la propria mano,
lasciare posto solo ad una diafana ragnatela di ghiaccio che pian piano
era andata dissolvendosi a causa del calore corporeo.
Erano seguiti istanti
di silenzio durante i quali entrambe avevano preso a sfogliare
nervosamente altri libri che Diantha aveva portato appena qualche
minuto prima e, proprio mentre la raptor era immersa nella lettura con
la coda che ondeggiava inquieta, Cassandra aveva invece chiuso
sonoramente il tomo che aveva fra le mani e l’aveva guardata
negli occhi:
-Dobbiamo scoprire
altro sulla profezia, ci serve sapere se una cosa simile è
già accaduta in passato e se gli interessati sono
sopravvissuti o meno a questa catastrofe.- si mise a riflettere fra
sé e sé ad alta voce in modo che
l’altra la sentisse così da capire se almeno lei
sapesse cosa fare.
E a giudicare
dall’improvviso bagliore che aveva visto nei suoi occhi
un’idea l’aveva eccome, anche se non era proprio
certa che volesse condividerla con lei: aveva smesso di agitare la coda
da un momento all’altro lasciando che si avvolgesse intorno
ad una delle gambe della sedia come se la stesse soffocando, lo sguardo
rivolto alle pagine che non accennava ad alzare per rivolgerlo a
Cassandra, forse per paura che non avrebbe accettato la
verità o forse semplicemente perché era stanca di
dover dare altre spiegazioni.
Alla fine
si era alzata e, dopo un sospiro rassegnato ed un incitamento a
seguirla nella stanza dove si trovava la biblioteca, le aveva fatto
mestamente strada senza proferire parola; solo quando era arrivata e
l’aveva fatta sedere, solo in quel momento, alla donna fu
tutto improvvisamente chiaro: stava per dirle qualcosa che non le era
mai stato detto, una sorta di segreto di famiglia che fino ad ora non
le era stato concesso sapere, e purtroppo la sensazione di essere
fuoriposto iniziò fin da subito a prendere largo nella sua
mente:
-Cosa posso sapere
oggi che non potevo sapere ieri? Cosa devo sapere oggi che non
può aspettare domani per essere rivelato? Cosa?-
domandò sperando che la raptor le rispondesse, tuttavia
Diantha si limitò a metterle davanti una pila di volumi uno
più alto dell’altro, e fra questi ne prese uno
molto simile alle Cronache per forma e dimensioni con la differenza che
la copertina, anziché vagamente azzurra, era di un intenso
rosso rubino:
-Molte cose Cassandra,
troppe a
mio parere: ci sono storie che non sai, e sarebbe stato meglio che tu
non sapessi mai, ma tutto questo… tutto questo mi costringe
a dovertele dire, spero solo che Oregon possa perdonarmi per aver rotto
la mia promessa di tenerti al sicuro dalle vicende più
oscure della nostra razza, solo questo.- spiegò per poi
iniziare a cercare la pagina che le interessava mentre
l’altra la guardava a metà fra la delusione e la
paura di ciò che avrebbe dovuto sapere.
Oregon non le
nascondeva nulla, di quello ne era certa, ma se questa volta le aveva
nascosto qualcosa beh, allora lo aveva fatto per il suo bene.
O almeno così sperava.
Tuttavia, quando vide
l’illustrazione sulla pagina che Diantha le aveva piazzato
davanti, sentì il respiro spegnersi nella sua stessa gola e
le proprie certezze andare in frantumi: le squame, le ali, la coda.
Il
fuoco.
Lo stesso che aveva
scatenato la furia della terra in pochi secondi, 200 megatoni di pura
roccia che esplodevano nel cielo come fuochi a capodanno, un boato che
sembrava provenire dall’inferno che era stato udito a
migliaia chilometri di distanza, un numero incalcolabile di persone
travolte dalla lava che serpeggiava fra le rocce come insaziabili serpi
di fuoco, altre travolte dagli immensi tsunami simili a belve
d’acqua che ghermivano le coste e l’entroterra, una
coltre di cenere così densa da aver privato gli umani della
loro beneamata estate per un anno intero.
Quel giorno il
Krakatoa era morto, ed il Re venuto dall’Inferno aveva appena
deciso di posare le proprie regali ali d'ossidiana su qualsiasi cosa
gli capitasse fra gli artigli.
E quel re, per quanto
Cassandra si sforzasse di non crederci e per quanto Diantha cercasse
invece di farla rassegnare alla realtà, quel re era stato Oregon.
Erano passati istanti
di silenzio tombale durante i quali nessuna delle due aveva proferito
anche una sola parola, istanti che sembravano non poter finire
così velocemente come entrambe speravano ma che, nonostante
il silenzio forse sarebbe stato più utile di mille parole,
erano stati interrotti dalla raptor subito dopo aver chiuso il libro ed
averlo riposto nello scaffale; si era alzata quasi controvoglia ed
aveva preso a camminare fino ad arrivare ad affacciarsi sulla finestra,
poi aveva appoggiato lì le proprie mani ed aveva lanciato
uno sguardo sovrappensiero sul giardino che le si apriva davanti:
-Una madre non
dovrebbe mai vedere il proprio figlio con il ventre squarciato come un
animale, nessuna donna dovrebbe mai dover sopportare una visione del
genere- disse come se stesse parlando fra sé e sé
e contemporaneamente con Cassandra:
-Io e suo padre
sapevamo che prima o poi avremmo dovuto fare i conti con il nephilem di
Oregon, ma speravamo che la preparazione che gli avevamo dato avrebbe
reso tutto più semplice, e invece...- continuò
stringendo improvvisamente i pugni e chiudendo gli occhi:
-E invece no,
è stato come se a nulla fossero valsi i nostri sforzi per
essere dei bravi genitori: era incontrollabile ed allo stesso tempo fin
troppo lucido, eravamo certi che non saremmo riusciti a fermarlo una
volta arrivato sulla Terra, che lo avremmo dovuto macellare per
portarlo a casa, e in effetti è proprio ciò che
è accaduto.- si fermò quasi per il peso di
ciò che stava dicendo, ed anche l'altra ebbe l'impressione
che, almeno per Diantha, ricordare tutto quel dolore non facesse altro
che annientare la fortezza di ghiaccio che si era pazientemente
costruita in un'intera vita.
Cassandra avrebbe
voluto intervenire, rassicurarla sul fatto che, seppur segretamente,
qualche volta da quando era stato Ricardo a perdere il controllo aveva
pensato che anche Oregon avesse dovuto passare quell'inferno prima di
lui, che d'altronde erano cose da raptor che non potevano essere
evitate; Diantha però non le lasciò il tempo di
fare domande, si girò lentamente e si guardò i
palmi ricoperti di squame opalescenti di un profondo color ghiaccio:
-Gli ho dovuto
sfondare la gabbia toracica con questi stesse mani perché
l'effetto di quel maledetto nephilem si esaurisse più
velocemente di quanto avrebbe fatto da solo, ho dovuto scavare nel suo
torace e strappargli il cuore con questi maledettissimi artigli mentre
il sangue colava ovunque volgessi il mio sguardo: i Re che vengono
promessi non rinascono tali se prima la loro mortalità non
viene meno, ma avrei voluto scoprirlo in un altro modo che non fosse
mentre vivisezionavo l'unico figlio che avevo al mondo... non sarei
riuscita a sopportare oltre quel massacro, non un secondo di
più.- concluse mentre nei suoi occhi Cassandra
sembrò vedere un alone di rimorso che mai e poi mai avrebbe
pensato di vedere in lei.
Non capì
né il perché lo avesse fatto né se
fosse stato il suo istinto materno a suggerirglielo, seppe solo che
qualche secondo dopo si era trovata ad abbracciare Diantha sperando che
quel gesto le restituisse anche solo per un istante la forza per
rispondere ad un'unica, terribile domanda che la stava attanagliando
dal momento in cui lei aveva raccontato tutto quelle cose:
-Ricardo non si
fermerà da solo, non potrebbe mai riuscirci anche se lo
volesse, ma io devo saperlo, devo sapere se dovrò vedere mio
figlio ridotto ad un grumo informe di carne e squame da voi altri: non
voglio esserci se accadrà, non voglio che se non dovesse
funzionare qualcosa il mio ultimo ricordo di lui sia di un animale
mandato al macel...- non riuscì a finire che l'altra la
interruppe:
-Dovrai, e non potrai tirarti
indietro: è il prezzo del potere per noi
raptor, un prezzo a cui nessuno, né figlio né
genitore, può e vuole sottrarsi e dovrai pagarlo anche tu, quel
prezzo.-asserì con una certa
serietà, abbastanza perché Cassandra si piegasse
sul tavolo con le mani fra i capelli senza la minima idea su come
reagire a quelle parole così crudeli.
A consolarla
però si impegnò Diantha, che con fare materno le
si avvicinò e le sorrise così convinta che per un
secondo anche l'altra si era convinta che fosse davvero felice e che
non lo stesse facendo solamente per tranquillizzarla:
-E' inutile pensare a
cosa fare ora tesoro mio, ci penseremo quando sarà il
momento e troveremo una soluzione, questo te lo prometto: come dite voi
umani? “Domani è un altro giorno”,
giusto?- le disse strappandole una risata che, in effetti, un po' di
buonumore riuscì a darle, poi diede un'altra occhiata
furtiva fuori la finestra e sorrise nuovamente, questa volta
più convinta di prima:
-Se non ho sbagliato a
vedere tuo marito si sta svegliando proprio adesso, e sembra parecchio
affamata a giudicare da come sta assaggiando la coda di quella povera
creatura di nome Berenix: che dici, vuoi andare a dargli il buon
giorno, o meglio la buona sera, o preferisci che vada io a
sfracellargli le palle fino a farlo pentire di non dormire ancora un
po'?- domandò senza aspettarsi una risposta dato che, il
tempo di girarsi e guardarsi intorno, Cassandra era già
sparita dalla sua vista per andare da Oregon come aveva tanto voluto
nelle ultime ore.
Quando era arrivata
nel grande giardino davanti a casa e lo aveva finalmente rivisto dopo
un’intera giornata senza vederlo, che significava parecchio
dato che al massimo si separavano per una decina di minuti e solo se
era strettamente necessario, era rimasta come incantata da una visione
così meravigliosamente distruttiva come quella data
dall’immensa lucertolosità di Oregon: le squame
nere come ossidiana erano così lucide da riflettere la poca
luce che traspariva dalle spesse nubi che coprivano il cielo, le grandi
ali dello stesso colore aperte a mostrare i piccoli fori e le
lacerazioni lasciate da anni di combattimenti senza tregua donavano
alle stesse un aspetto ancora più regale, la lunga coda
simile ad una frusta tenuta a terra ed avvolta in parte su
sé stessa, le zampe anteriori e posteriori erano teatro di
artigli e spuntoni anch’essi neri come la notte, la testa
tenuta in alto rispetto al resto del corpo era invece coronata da un
numero indefinito di corna la cui dimensione aumentava andando dalla
mascella alla sommità del capo.
E poi il magma, soprattutto quello:
grovigli incandescenti di roccia fusa e fiamme cremisi che si
contorcevano nelle profondità più remote del suo
stesso corpo e che, grazie ad una serie di fessure piazzate
sapientemente da madre natura fra una squama e l’altra, si
riuscivano ad intravedere all’esterno dandogli
l’aspetto di un vulcano in eruzione che mai avrebbe lasciato
in vita ciò che si sarebbe trovato sulla sua strada di fuoco
e cenere.
Tuttavia, per quanto
fosse così tremendamente pericoloso in circostanze normali,
ora Cassandra sentiva una profonda tenerezza nel proprio cuore
guardando Oregon che, come aveva annunciato Diantha, era
particolarmente preso ad assaggiare Berenix: per il momento era
comodamente sdraiato sulla schiena con le ali distese a terra, le zampe
che stringevano quasi fosse una preda la coda coperta di piume della
raptor mentre la mordicchiava placidamente senza apparentemente la vera
intenzione di mangiarsela, o almeno così sperava,
l’altra invece se ne stava elegantemente accucciata ai piedi
di un grosso albero intenta a pulirsi ogni singola penna di una delle
ali mentre le altre venivano tenute ripiegate sul dorso, il tutto
lanciando ogni tanto qualche occhiata furtiva per assicurarsi che la
propria coda fosse ancora attaccata al fondoschiena.
Forse era stato quello
il motivo per cui inizialmente Oregon non aveva nemmeno fatto caso alla
presenza di Cassandra, tuttavia appena girò il muso per
guardarsi intorno fu chiaro fin da subito che l’aveva
finalmente vista e che, a giudicare da quanto sembrava entusiasta,
anche lui nona spettava altro che vederla dopo tutte quelle ore che
erano sembrate eterne: aveva impiegato una manciata di secondi per
balzare sulle zampe dalla posizione supina che aveva prima, aveva
ritirato le ali e le era letteralmente corso incontro smuovendo intere
zolle di terra ad ogni falcata, le fiamme che si intravedevano dalle
squame che sembrava uscissero dalle stesse e si mescolassero
all’aria donando all’ambiente
un’atmosfera quasi apocalittica.
E poi, esattamente
come fa un cane quando non vede da molto tempo il proprio padrone, le
era arrivato addosso facendola cadere nell’erba fresca ancora
umida dalla pioggia, il tutto senza ferirla o farle anche solo un
graffio a dispetto di ciò che si sarebbe pensato vedendo la
scena: Cassandra non aveva nemmeno avuto il tempo di dirgli qualcosa
che si era trovata il volto e la parte superiore del corpo bagnata da
tutte le leccate di bentornato del compagno.
I raptor erano
fondamentalmente lucertole, ma forse avevano anche qualche cenno di
canide nel proprio dna, o almeno così sembrava.
Dopo gli attimi di
follia canina Cassandra era riuscita a rialzarsi liberandosi dalla
presa di Oregon, che nel frattempo era fortunatamente tornato nella sua
forma comune strappando alla donna l’ennesimo sorriso
compiaciuto e sorpreso della giornata: non cambiava molto dalla
lucertola abnorme di qualche istante prima tranne le dimensioni
ovviamente ridotte, le squame erano infatti dello stesso colore
dell’ossidiana e fra l’una e l’altra si
riuscivano ad intravedere ancora gli sprazzi di magma incandescente che
se ne stava buono buono sotto quello spesso strato di acciaio organico
come anche la corona di corna delle dimensioni più svariate,
ed anche le ali nero fumo erano al loro posto; tuttavia, per quanto
potesse essere visivamente non molto diverso, a Cassandra era bastato
quel cambiamento perché potesse raggiungere finalmente
l’altezza giusta per abbracciarlo come mai aveva fatto prima
con le lacrime agli occhi:
-Io… io
temevo che tu… che questa volta non…-
cercò di spiegare ma sentì le parole morirle in
gola ed anche Oregon se ne accorse, così la strinse ancora
una volta a sé e le accarezzò i capelli:
-Anche io avevo paura piccola,
avevo paura come mai ne ho avuta in vita mia: non mi sono
mai sentito più impotente di fronte alla morte di oggi, mi
sentivo come se neanche l’immortalità questa volta
potesse salvarmi, come se fosse davvero la mia fine… ed era terribile-
confessò continuando a consolare l’altra, che
intanto sembrava essersi calmata stringendogli le mani dietro al collo:
-Ed era ancora peggio
dover pensare che dopo di me sarebbe dovuta toccare a te la stessa
sorte, ma non potevo permetterlo,
non lo avrei mai potuto permettere: non so cosa mi abbia
dato la forza di resistere di resistere il tempo necessario
perché si distraesse, so solo che l’ultima cosa
che ho sentito era il morso degli artigli che squarciavano la carne e
dilaniavano ogni singolo organo che trovavano sul loro
cammino… e quel colpo, quel colpo di fucile…-
stava per finire quando si interruppe forse perché non
sapeva più cosa dire, o forse perché si sentiva
ancora troppo in colpa per l’accaduto per parlarne ancora
così apertamente.
Quasi istintivamente
Cassandra abbandonò la propria testa nell’incavo
fra il collo e la spalla di Oregon, che a sua volta appoggiò
la propria su quella dell’altra attento a non farle del male
con le spesse squame che ricoprivano la parte inferiore del muso:
rimasero così interi minuti, minuti durante i quali le
uniche parole che tutti e due avrebbero voluto sentire sarebbero state
quelle pronunciate nel silenzio più assoluto, le stesse che
si scambiavano quando i loro occhi si incrociavano in quelle occhiate
complici che piacevano così tanto ad entrambi.
E che sarebbe andato
tutto bene, anche quelle sarebbero state gradite.
Diantha li aveva
lasciati fare per dieci minuti buoni, poi si era avvicinata quasi in
punta di piedi per intervenire in quel silenzioso discorso ed aveva
guardato Oregon con uno sguardo pieno di comprensione materna che non
era solita esibire troppo spesso in pubblico:
-Le ho parlato del
Krakatoa, tutto qui: se vuoi perdonarmelo bene, se non vuoi non fa
nulla, pensò che sopravvivrò anche con il senso
di colp…- non riuscì a finire che
l’altro l’aveva abbracciata impedendole di
continuare, un abbraccio dal quale neanche lei aveva provato a
sottrarsi e dopo il quale si era sentita inspiegabilmente meglio di
come fosse prima:
-Hai fatto
ciò che io non trovavo il coraggio di fare, e per questo ti
assicuro che non potrò mai ringraziarti abbastanza- la
rassicurò serenamente prendendole le mani fra le proprie:
-E soprattutto
l’hai protetta quando io non potevo farlo, hai salvato la
vita a tutti oggi: hai trovato per l’ennesima volta la forza
che solo tu riesci a trovare e ci hai portati fuori
dall’inferno senza pensare nemmeno per un secondo alla tua
salute, sapendo perfettamente che nelle tue condizioni portare a casa
tutti avrebbe potuto essere l’ultimo gesto eroico della tua
vita immortale perché, di questo ne sono assolutamente
sicuro, non sono stato l’unico a dubitare di questa nostra
eternità che sembra svanire dinanzi alla morte.
E anche per questo ti
ringrazio ancora una volta, e probabilmente continuerò a
ringraziarti fino a quando avrò le parole per farlo, questo
te lo prometto… mamma.-
concluse senza lasciarsi sfuggire quella lacrima solitaria che, per
quanto avesse cercato di farsi strada tra una squama e
l’altra, si era ghiacciata dopo pochi attimi e si era ridotta
ad un cristallo iridescente.
Erano anni che Oregon
non la chiamava mamma e, nonostante normalmente fosse solita negare che
la cosa le pesasse in qualche modo, ora che lo aveva fatto il suo cuore
di ghiaccio aveva sentito come una brezza tiepida attraversarlo, e non
era affatto una brutta sensazione.
Alla fine di tutti
quei dolci convenevoli però tutti erano stati
d’accordo sul cambiare argomento, e purtroppo Cassandra aveva
la netta impressione che suo figlio sarebbe presto diventato il tema
principale delle loro discussioni; dopo essere entrati in casa infatti
Diantha li aveva invitati a sedersi tutti all’ampio tavolo
del salotto in una sorta di riunione dei “cavalieri della
tavola rotonda”, poi aveva fatto vedere ad Oregon la profezia
che qualche momento prima aveva sfogliato insieme alla donna: erano
stati momenti terribili quelli che avevano dovuto attendere mentre il
raptor leggeva quelle pagine, sembrava che stesse studiando ogni
singola parola che gli si poneva davanti e ne analizzasse tutte le
sfumature di significato possibili, tuttavia dopo una decina di minuti
passati nel silenzio il fatto che avesse alzato la testa e si fosse
messo una mano sul muso iniziando a scuoterlo non prometteva nulla di
buono.
E infatti le sue
opinioni erano tutto tranne che positive riguardo l’argomento:
-L’unica
cosa certa è che la profezia si avvererà di
sicuro, su questo non possiamo assolutamente intervenire per fermarla,
eppure…- rifletté ad alta voce mentre continuava
ad osservare il libro, era come se qualcosa non lo convincesse del
tutto, così Cassandra cercò di farlo parlare:
-Eppure cosa?
C’è qualcosa che non si è avverato?
Qualche, come dire, clausola?- domandò curiosa e preoccupata
allo stesso tempo, ma il compagno pareva non averla sentita; solo dopo
alcuni minuti si era deciso a parlare, o almeno a provarci:
-Sappiamo che
l’eclissi avverrà in concomitanza con
un’espulsione di massa coronale solare di dimensioni epocali
che, una volta entrata in contatto con il campo magnetico terrestre,
darà luogo ad una tempesta elettromagnetica che almeno in
condizioni normali darebbe solo luogo a semplici aurore boreali o al
massimo qualche evento di problemi con le apparecchiature che usano le
onde magnetiche nel loro funzionamento- iniziò a spiegare
nemmeno fosse a scuola:
-Eppure, signore mie,
ora non ci sono condizioni normali, e ce ne siamo resi conto fin troppo
bene: Ricardo ha controllato come se nulla fosse i fulmini, ed i
fulmini sono generati nella alta atmosfera da grosse
quantità di plasma incandescente a 25 mila gradi, forse
anche il doppio se consideriamo che sono ulteriormente alimentati dal
nephilem- continuò per poi iniziare a gesticolare:
-Ora immagina una
tempesta di fulmini in grado di coprire ogni centimetro nel giro di
mille chilometri o forse più, centinaia di migliaia di
vipere azzurre che si schiantano al suolo violentemente aprendo
voragini profonde pochi metri: uno forse farebbe poco o niente, ma cosa
succederebbe se fossero dieci,
cento, mille?
Te lo dico io cosa
accadrebbe: ci troveremmo con un continente del tutto simile ad una
fetta di formaggio svizzero ed un oceano mezzo evaporato a causa di
temperature che sono state viste l'ultima volta durante la formazione
della Terra.
E tutto questo
accadrà tesoro mio, oh certo che accadrà: lo dice la profezia, e la
profezia ha ragione sempre e comunque.- concluse per poi
scrutare curioso le facce dei presenti.
Facce imperscrutabili,
ma pur sempre facce.
Berenix
era stata la prima a prendere in mano la situazione e, dopo essere
sparita qualche secondo nella sua stanza al piano superiore, era
tornata con in mano alcuni appunti stropicciati interrotti qua e
là da quelli che sembravano disegni o simili, poi aveva
appoggiato il tutto sul tavolo e lì aveva iniziato ad
esporre le proprie idee a proposito di ciò che aveva appena
ascoltato:
-Sono passati milioni
e milioni di anni da quando Sonantis ha smesso di solcare i cieli di
mezza nebulosa solo per il gusto di mostrare tutta la sua onnipotenza
al mondo, tuttavia ora come ora ci stiamo rendendo conto che a quanto
pare, come ha sempre narrato la leggenda e come abbiamo sempre sperato
che non accadesse, il fatto che il nephilem appartenuto agli Antichi
sia in grado di tramandarsi senza dare alcun segno per poi uscirne
bello fresco al momento buono è vero, anche troppo vero per
i miei gusti- fece presente mentre gli altri la guardavano interessati
senza però proferire parola, era come se stessero
riflettendo nelle loro teste su quelle informazioni.
Dopo poco fu Diantha a
fare segno alla raptor di continuare:
-Prendete Vostra
Grazia Diantha, lei ha sempre avuto tracce del nephilem di Glacier
nelle vene, eppure non ne ha mai perso il control... ok, se contiamo
quando ha spaccato in due un continente dovrebbe contare ma no,
facciamo finta che non sia così... comunque signori, aspetta
cosa stavo dicendo... ah sì, comunque per quanto mi riguarda
credo che quel nephilem sia altamente instabile, proprio come era
quello di Sonantis: le leggende che lo riguardano narrano che volasse
nei cieli dei più svariati pianeti scatenando immani
tempeste che causavano incendi, inondazioni e quant'altro, ma sappiamo
anche che altri scritti raccontano di come tali inondazioni siano
riuscite a rendere nuovamente fertili terreni ormai sterili permettendo
alle genti di potersi salvare dall'estinzione.- continuò a
spiegare per poi poggiare entrambe le mani sul tavolo ed assumere come
una posizione di comando:
-In conclusione penso
che a questo punto sia inutile cercare di capire come impedire
all'inferno di scatenarsi ma sarebbe più produttivo trovare
un modo per far sì che ciò che debba accadere lo
faccia il prima possibile, velocemente e senza troppe vittime: quando
Sonantis evocò la tempesta che spazzò via il
popolo di Wyssa lo fece nel giro di poche ore e venne fermato solo
quando la sua compagna aliena gli ricordò che come membro
degli Antichi il suo compito era il progresso, non la distruzione; se
riusciamo ad aprire un varco nella sua mente per ricordargli che la
Terra è tutto tranne che un poligono di tiro per fulmini
beh, secondo la mia idea questo dovrebbe bastare perché
Ricardo ottenga nuovamente un minimo di controllo, quello sufficiente a
poterlo fermare senza ricorrere ad estreme misure d'artiglieria pesante
che sarebbero comunque inutili.- terminò tornando a sedere
ed accavallando le gambe con nonchalanche.
Il silenzio, un
ingombrante quanto assordante silenzio ecco cos'era calato fra i
presenti.
Poi, quasi come un
rombo di tuono dopo una tempesta ormai passata, era stata Cassandra a
spezzarlo:
-Mi rendo conto che
stiamo tutti ragionando dando per scontato che Ricardo possa
sopravvivere in qualunque caso, ma se non fosse così cosa
accadrebbe?- domandò facendo gelare il sangue a tutti, anche
a Diantha il sangue gelato lo aveva già da un pezzo:
-Voi siete qui a
parlare di quanto fosse epico Sonantis, di tempeste del millennio e di
artiglieria pesante, ma vi ricordo che quello è mio figlio,
il mio unico
figlio: chi vi assicura che sia immortale?
Chi mi dice che il
sangue umano che ha preso da me non sia ciò che lo separa da
questa tanto acclamata eternità? Come la mettiamo se il
sopravvivere ad un proiettile non sia solo stato l'ennesimo effetto del
nephilem fuori controllo?- domandò senza che nessuno
rispondesse, poi si rivolse ad Oregon e lo guardò dritto
negli occhi indicando il proprio cuore:
-Non hai deciso di
farmi vivere per sempre solo per poi farmi veder morire mio figlio, so
che non lo hai fatto per questo: lo hai fatto perché non
ritenevi giusto che il nostro bambino dovesse vivere senza la propria
madre ed ora, esattamente come hai fatto tu, io non accetto di vivere senza
di lui quindi ti prego, fai di tutto perché
non muoia.- concluse per poi andarsene senza nemmeno ascoltare
ciò che l'altro avrebbe voluto dirle.
Quando anche Cassandra
aveva abbandonato la discussione erano rimasti solo i tre raptor a
continuarla, tuttavia dalle loro espressioni sembrava che nemmeno uno
dei presenti avesse ulteriori idee rispetto a quelle già
proposte, così fu Oregon a prendere la parola rivolgendosi a
sua madre:
-Tu sei stata l'ultima
a vedere il cadavere, come ti è sembrato?-
domandò a bruciapelo senza un'apparente motivo, ma Diantha
sapeva benissimo dove voleva arrivare:
-C'era uno squarcio
che attraversava le squame dorsali dal punto d'impatto del proiettile
fino alla coda dal quale si diramavano altre fenditure più
piccole, era come se quel corpo non fosse altro che una crisalide
pronta a schiudersi, l'impressione che ho avuto è stata
quella.- rispose mentre sfogliava gli appunti portati da Berenix, poi
fece vedere al figlio uno dei fogli:
-Le leggende che ci
sono giunte narrano che dopo la tempesta di Wyssa l'aspetto di Sonantis
cambiò radicalmente, ed anche le sue dimensioni ne
risentirono notevolmente: da un mostro di sessanta metri
diventò uno che sfiorava i novanta o forse più,
non vorrei che la linea evolutiva di Ricardo possa seguire questa
traiettoria perché in questo caso beh, potremmo trovarci con
una creatura ben lungi dall'essere controllabile e con risorse quasi
inesauribili dal punto di vista atmosferico.- spiegò mentre
con gli occhi continuava a seguire ciò che c’era
scritto:
-Non abbiamo la
certezza della fonte di energia che sfrutta per creare plasma dal
nulla, sappiamo solo che è sufficientemente elevata da
permettergli di far percorrere ad ogni singolo fulmine una traiettoria
ben delineata dell’ordine di qualche chilometro, e come la
mettiamo con il fatto che mentre lui ci sguazza dentro come se nulla
fosse i civili qui intorno potrebbero rimanerci secchi se una di quelle
scariche li dovesse sfiorare minimamente? Senza contare i danni
elettrici ed elettronici, e quelli magnetici, e poi quelli derivati da
eventuali centrali elettriche colpite che potrebbero scatenare incendi
incontrollabili, e non dimentichiamo che sarà probabile lo
scatenarsi di una tempes…- stava dicendo quando Cassandra si
ripresentò nuovamente ansimando e con il volto contratto in
un’espressione di puro terrore.
Questa volta Oregon
non le aveva lasciato il tempo di parlare che l’aveva tirata
a sé stringendola poi, prendendole il viso fra le mani per
calmarla, le aveva fatto un cenno come a dire di parlare; la donna,
dopo attimi di profonda esitazione e tra un respiro affannoso e
l’altro, l’aveva guardato con le lacrime agli occhi:
-Jaqueline… Jaqueline è sparita,
non è più in camera.. io… io temo
che…- provò a dire ma sentì le parole
smorzarsi nella sua gola, poi prese finalmente coraggio e
guardò il marito dritto negli occhi appoggiandosi al suo
petto:
-E’ andata a
cercare Ricardo… se lo dovesse trovare lei… lei
non sopravvivrà... non un’altra volta.- concluse
rendendosi conto che dire quelle parole le era costato una fatica che
le aveva spezzato lentamente il cuore in tanti piccoli frammenti: forse
Jaqueline non era proprio sua figlia dal punto di vista genetico,
eppure la considerava tale dopo tutto quello che aveva passato insieme
a lei, dopo tutti i pomeriggi passati in sua compagnia a parlare e
discutere dei classici argomenti da donne che andavano dallo shopping
ai suoi commenti riguardo il brutto vizio di Oregon di fare,
intenzionalmente o meno, irruzione in camera mentre lei e Ricardo erano
da soli.
Se ora ci pensava a
Cassandra veniva solo da ridere, era impressionante come lui si
preoccupasse che suo figlio potesse sfuggirgli dalle mani quando si
trattava di questioni di letto, ma da una parte si sentiva
tremendamente in colpa: non si sarebbe mai perdonata la morte di quella
povera ragazza proprio ora, proprio quando la sua vita sembrava
procedere più serenamente di quanto avesse mai
fatto prima di conoscere Ricardo, e soprattutto non si sarebbe
perdonata se fosse stato proprio lui ad ucciderla senza nemmeno
rendersene conto.
Mentre Oregon era
occupato a rassicurare la moglie riguardo il fatto che sarebbe tutto
finito nel miglior modo impossibile, il tutto nonostante non ci
credesse nemmeno lui, erano state Berenix e Diantha quelle che si erano
occupate di prendere in mano la situazione e giustamente, da brave
guerriere quali erano, si erano fatte avanti per prime per andare a
cercare la ragazza; tuttavia, al contrario di ciò che tutti
si sarebbero aspettati dalle apparenze, Cassandra si era messa fra loro
e la porta d’uscita prima che potessero andare a fare
ciò che dovevano:
-Voglio andare io a
cercare Jaqueline, è una mia responsabilità-
asserì tornando seria per poi girarsi verso Oregon che se ne
stava in un angolo zitto ad ascoltarla:
-Lascia che sia io ad
andare in quella foresta, ci sono cresciuta e conosco la strada di
andata e ritorno: posso cavarmela da sola, tutte le guerre combattute
al tuo fianco mi hanno insegnato a tenere testa ad un raptor, me lo
ricordo ancora- gli disse con una nuova sicurezza negli occhi; lui
l’aveva guardata per qualche istante, poi aveva sorriso e le
aveva messo una mano sulla spalla:
-Hai abbastanza
risorse da tenergli testa, e so che sei in grado di combattere fino
allo stremo per proteggere ciò che ami, ma stai attenta
piccola, promettimi solo questo.- le chiese cercando di nascondere un
velo di preoccupazione, ma l’altra gli si avvicinò
quasi per parlare in segreto:
-Ho il sangue del
sovrano dei raptor che scorre nelle vene, ed i miei artigli sono
affilati quanto i tuoi quando è necessario.- concluse per
poi uscire di tutta fretta dalla porta dirigendosi verso l'inferno
d'acqua che si stava ancora scatenando al di fuori della barriera che
circondava la loro casa, dopo qualche istante non si sentiva nemmeno
più il rumore dei suoi passi sull'erba bagnata.
Sarebbe
tornata, Oregon ne era certo.
Cassandra non sapeva
di potersi muovere così velocemente e con la stessa
agilità che aveva vent’anni prima eppure ora,
proprio come nella sua adolescenza, era ancora lì a correre
in mezzo alla foresta amazzonica nel bel mezzo di una tempesta con la
differenza che, se prima lo faceva per la propria sopravvivenza, adesso
lo stava facendo per quella della ragazza che considerava praticamente
sua figlia: l’odore dell’acqua le riempiva le
narici mischiandosi a quello del muschio e delle foglie ormai fradice,
il suono della pioggia battente era tutto ciò che riusciva a
sentire in quell’ambiente dove gli alberi sembravano
amplificare ogni singolo rumore, il ruggito dei tuoni che si propagava
prepotente in mezzo alle fronde pensando invano di riuscire a
spaventarla.
Ma per Cassandra ormai
non c’era nulla di spaventoso nei temporali come anche nei
monsoni estivi, per lei era proprio quello il bello di quel luogo
incontaminato e selvaggio, un luogo dove la natura da sola poteva
renderti la vita più semplice o riprendersi con violenza
tutto ciò che ti aveva dato in un battito di ciglia.
Proprio come il
nephilem con i raptor: da una parte li rendeva creature quasi
invincibili che avevano fatto della distruzione il loro principio di
vita, dall’altra c’erano momenti durante i quali
aveva la convinzione che anche loro, per quanto potessero essere re o
regine o esseri immortali, avrebbero di gran lunga preferito la morte
ad un’esistenza simile.
E lo stesso doveva
valere per Ricardo dato che lei, mentre tutti erano presi da quella
lotta furibonda all'ultimo sangue, non si era lasciata scappare gli
istanti di esitazione che avevano preceduto ogni sua mossa, gli stessi
durante i quali le era come parso che quella maledetta ombra che
aleggiava nel suo sguardo fosse scomparsa donandogli un po’
di lucidità per poi tornare prepotentemente a soggiogargli
la mente per altre ore: aveva sentito il suo dolore, lo aveva letto
negli spasmi che accompagnavano ogni artigliata lanciata a Berenix, lo
aveva provato lei per lui quando Oregon gli aveva piantato le zanne nel
collo ed aveva udito il rumore delle ossa che si spezzavano.
Come avrebbe voluto
risparmiargli tutta quell’agonia, cosa avrebbe dato pur di
proteggerlo almeno questa volta… lo aveva già
dovuto vedere in fin di vita una volta, una sola, eppure quella gli era
bastata per il resto della vita: stava morendo dissanguato quel giorno,
e lo stava facendo per proteggere Jaqueline.
Non per sua madre, non
per sua padre: per lei,
lei e nessun’altra.
Forse era per quello
che lei era andata a cercarlo, forse voleva solo sdebitarsi per averla
salvata una volta, per averle dato la vita che aveva sempre sognato,
forse Jaqueline era già morta, forse Ricardo avrebbe
ammazzato anche lei, forse lui sarebbe morto sotto il peso di un potere
così immenso da aver fatto impazzire anche un membro degli
Antichi: forse, forse, forse... troppi
forse.
Troppi dubbi e nessuna
certezza, ecco qual era il problema, l'unico e vero problema: per
quanto le Cronache potessero essere accurate e tremendamente veritiere
c'era da dire che nessuno, né Oregon né Diantha e
nemmeno gli altri membri del Consiglio, avevano davvero visto Sonantis
in faccia: di lui erano rimasti disegni, pitture, rocce intagliate in
suo omaggio, c'era addirittura un intero tempio su Arkanta scolpito a
ricordare quel mostro che era sparito come tutti gli altri Antichi, ma
nessuno gli aveva parlato di persona, o almeno nessuno che lei o gli
altri conoscessero.
Perchè se
le cose fossero realmente andate come diceva la profezia allora erano
cazzi per tutti, raptor compresi: forse erano immortali davanti al
mondo, ma Cassandra sapeva bene che il nephilem, esattamente come aveva
donato loro la vita eterna eoni prima, poteva togliergliela in un
battito di ciglia come se nulla fosse: non era un caso che il veleno
dei raptor fosse così temuto oltre che dagli umani anche da
loro stessi perché sì gli Antichi avevano stretto
un patto con quella forza misteriosa che ora si celava nel loro codice
genetico, ma era anche vero che quando Jaqueline si era avvelenata era
stato Ricardo a rasentare l'arresto cardiaco per intossicazione, non
lei.
Immortalità
condizionata, a Cassandra piaceva quel nome, le ricordava
che bastava un passo falso ed un intero pianeta sarebbe caduto come
polvere al vento, che l'errore di uno solo avrebbe significato
l'Apocalisse per tutti.
E in quel momento
quell'uno solo era suo figlio, e quel tutti era l'intera razza che lei
aveva giurato di servire come Imperatrice.
Tutti quei pensieri
così vaghi ed indefiniti erano facilmente riusciti ad
annegare la sua mente in quesiti esistenziali che mai avrebbe pensato
di avere, ma soprattutto le avevano tolto il senso del tempo e dello
spazio per cui, dopo minuti che a lei erano sembrati scivolarle
addosso, si era trovata a pochi passi dal luogo dove ricordava di
essere precedentemente partita con Diantha rendendosi conto che nel
momento in cui il suo cervello vagava qua e là le sue gambe
avevano fatto tutto il lavoro da sole, era quasi come se fossero state
mosse da un istinto ben poco naturale, lo stesso che qualche momento
dopo aveva fatto focalizzare la sua attenzione intorno a sé:
la terra sembrava orribilmente simile al cadavere dilaniato dagli
avvoltoi azzurri che continuavano a cadere prepotenti da quella nuvola
nerastra sopra la sua testa sopra quella preda straziata, il terriccio
prima umido e fertile era costellato in vari punti da macchie
iridescenti che sembravano averlo vetrificato, le foglie che giacevano
ai piedi degli alberi ormai spogli ridotte a grumi informi di cellulosa
mista a corteccia carbonizzata ancora fumante che nascondevano tizzoni
ardenti.
E pochi metri
più avanti, finalmente, aveva visto Jaqueline: se ne stava
lì in piedi quasi come quelle strane statue che sembrano
sorvegliare inestimabili tesori, gli occhi acquosi fissi verso un punto
indefinito che solo lei poteva vedere, le bracia abbandonate mollemente
sui fianchi incapaci di qualsiasi movimento dettato dalla propria
coscienza e soprattutto, su grande sorpresa ed orrore da parte della
donna, tre graffi lineari sulla guancia pallida e umida dalla pioggia.
Le si era avvicinata
in fretta e furia trattenendo a stento le lacrime di
felicità per averla trovata dopo tutta la preoccupazione che
l'aveva assalita fino a quel momento, ma quando l'aveva avuta a pochi
centimetri ed aveva notato che era come se non la vedesse aveva sentito
un brivido gelido salirle per la schiena: sembrava quasi non fosse
nemmeno presente fisicamente, il suo corpo era lì ma la sua
mente si era come volatilizzata verso un luogo che a Cassandra non era
dato a sapere; dopo pochi istanti di esitazione e confusione si era
decisa a prenderla per le spalle e scuoterla per riportarla alla
realtà dalla quale si era distaccata:
-Cosa c'è?
Cosa hai visto piccola?- chiese sperando di vedere nel suo sguardo un
segno di ripresa
-Jaqueline ti prego,
c'è qualcosa che non va? Non devi avere paura, ora ci sono
io, sono con te: sono qui e nessuno potrà farti del male, te
lo prometto, ma dimmi cosa ti prende almeno, così posso
aiutarti, per favore...- continuò speranzosa, ma nulla
sembrava sortire effetto, tutta via era stato solo dopo alcuni
interminabili minuti che, quasi obbedendo ad un istinto primordiale, la
rossa aveva alzato il braccio destro indicando quel punto dinanzi a se
che fino ad ora non aveva avuto nessun significato ma che adesso,
proprio adesso, aveva rischiarato la mente di Cassandra come un fulmine
a ciel sereno.
Letteralmente.
Quando anche lei aveva
alzato lo sguardo distogliendolo dalla ragazza aveva provato nuovamente
quella sensazione di terrore puro attanagliarle il cuore in una morsa
che non era in grado di sciogliere, un misto fra rabbia del non poter
fare nulla e paura se avesse fatto qualcosa:
-Io non ho fatto
nulla... sono venuta qui, non so perché... il mio
cervello... lui mi ha guidato qui, io non... non sapevo la strada, ma
l'ho trovata comunque...- aveva detto la rossa senza muovere un solo
muscolo con la voce rotta dall'incertezza:
-Io ero qui ed ho
visto... io non ricordavo che... quel colpo, era Berenix... ma io lo
sapevo, sapevo che non era finita... oh sì che lo sapevo:
sono arrivata, sì sono arrivata e poi... poi mi sono
avvicinata, ho allungato la mano e l'ho toccato, e poi... poi,
insomma... io...- si interruppe ma l'altra l'aveva afferrata saldamente
per le spalle e le aveva piantato lo sguardo nel suo:
-Poi cosa? Poi cosa
Jaqueline?- domandò impaziente per poi essere interrotta
dalla ragazza che aveva ripreso a parlare tremando ed abbassando gli
occhi:
-Le squame erano...
erano aperte, rotte, spezzate... e c'era qualcosa... non so cosa, forse
una membrana, io... io non ricordo cosa fosse... bianca, era bianca
ecco... ma non bianco puro, no... era così...
così sbagliato, oscuro... non lo so, io non so cos...- stava
ancora parlando quando un rumore simile ad un grosso tronco spezzato
aveva interrotto il loro discorso con un boato terribile.
I Re che vengono promessi non
rinascono tali se prima la loro mortalità non viene meno,
era come se quel corpo non fosse altro che una crisalide pronta a
schiudersi, le parole di Diantha avevano appena iniziato
a risuonarle in testa solo ora ed in modo quasi martellante: una
membrana, era quello ciò che aveva visto Jaqueline, ma cosa diavolo poteva essere?
Forse era solo ancora
troppo provata dallo scontro fra i quattro raptor al quale aveva
assistito ore prima, eppure Cassandra aveva la netta sensazione ce
questa volta la ragazza fosse stata anche troppo lucida per sbagliare a
riferirle ciò che i suoi occhi avevano visto, ma dall'altra
parte c'era sempre il dubbio che potesse aver sbagliato; fu per quel
motivo, ed anche per una serie di tanti altri interrogativi, che si era
decisa una volta per tutte a seguire con lo sguardo il punto indicato
dall'indice della rossa e che, sorvolando un paio di alberi caduti che
non ricordava fossero lì, l'avevano riportata ancora una
volta a doversi soffermare sul cadavere di suo figlio.
Dal quale ora spuntava
allegramente un'ala bianca di dimensioni mastodontiche.
Cazzo.
Nemmeno il tempo di
elaborare la cosa mischiandola a tutti i pensieri e le supposizioni che
aveva fatto da sé che si trovò ad osservare
un'intera porzione di squame staccarsi, nel senso letterale del
termine, dalla parte dorsale per poi ricadere a terra con un tonfo
sordo lasciando spazio ad altre tre ali, una che doveva
probabilmente completare la prima coppia ed altre due di dimensioni
minori, ancora coperte di viscido sangue azzurro-dorato e di quelli che
avevano dovuto essere fasci di muscoli e tendini ormai appartenenti ad
un altro corpo; per lei non c'era stato il tempo di stare lì
a guardare, sapeva perfettamente cosa stava accadendo: quel cadavere
era troppo caldo, lei lo sapeva, e Ricardo era decisamente troppo
potente perché un fottutissimo proiettile potesse abbatterlo
come se nulla fosse senza contare che, esattamente al pari di suo
padre, faceva parte dei sovrani promessi dalle profezie delle Cronache.
E
le profezie avevano sempre ragione.
Senza aspettare oltre
aveva ripreso immediatamente il controllo della situazione e si era
girata nuovamente verso Jaqueline per spronarla ad iniziare a correre
via come avrebbe fatto anche lei, tuttavia dovette presto constatare
che la rossa era già sparita dalla sua vista, o almeno lo
aveva fatto per i pochi secondi che impiegò per notare
quanto si fosse pericolosamente avvicinata a quella sottospecie di roba
informe che stava uscendo beatamente dal corpo di una lucertola di
dodici metri:
-Non farlo, non andare
avanti un metro!- le aveva urlato senza muoversi da dove si trovava
-Jaqueline no! Non
è quello che ricordi, non sa nemmeno chi sei! Corri via da
lì prima che ti veda e decida di inaugurare lo stomaco
cazzo!- continuò inutilmente anche perché le
bastò vedere lo sguardo dell'altra quando si era voltata per
capire che parlare era inutile:
-Non preoccuparti
Cassandra, sono certa che il peggio è ormai passato- rispose
pacata avanzando di altri metri con tutta la tranquillità
del mondo:
-E poi guarda, non
sembra pericoloso, se avesse voluto uccidermi lo avrebbe già
fat...- non fece in tempo a finire che si trovò imprigionata
su tutti i lati da quattro grossi artigli color avorio che le avevano
sbarrato la strada su tutti i lati lasciandole poco meno di un metro
quadro di spazio dove muoversi e respirare, il tutto cogliendola
brutalmente di sorpresa.
Questo non
l’avevi previsto, vero Jaqueline? Tu ed il tuo dannato
ottimismo ci porteranno all’inferno, pensò la
donna fra sé e sé scuotendo la testa, tuttavia
per quanto volesse urlarle che lei l’aveva avvisata del
pericolo fu naturale che fosse il suo istinto materno di protezione a
prendere il sopravvento e, anche se nutriva grossi dubbi sul da farsi,
alla fine si era precipitata da lei con una manciata di lunghe falcate
del tutto innaturali, si era chinata verso terra ed era riuscita a
prendere la mano della rossa attraverso una fessura che si era creata
tra un artiglio e l’altro:
-Ti tirerò
fuori da lì ma fammi un favore: smettila di fare l'eroina
con il cuore spezzato perché se ci provi ancora ti lascio
qui a morire, chiaro?-chiese fredda per l'esasperazione ottenendo solo
una sottospecie di gridolino che doveva equivalere ad un sì
soffocato, così iniziò ad adoperarsi per tirarla
fuori ricordandosi improvvisamente di avere ancora uno stiletto che
aveva rubato anni ed anni addietro e che ora teneva sempre infilato
nella giarrettiera per eventuali emergenze.
Tipo
quella.
Ed era
così che, pugnale alla mano, si era diretta con una
sicurezza invidiabile nello sguardo verso il cadavere mezzo squartato a
terra girandoci intorno non poche volte alla ricerca di un punto dove
le squame erano sul punto di separarsi, e quindi lasciavano scoperta la
pelle morbida sottostante, tuttavia la ricerca era difficoltosa oltre
ogni dire: non solo si vedeva poco o niente a causa dei continui lampi
che illuminavano la scena per poi farla ricadere nel buio, ma c'era
anche il pericolo che Ricardo tirasse fuori la testa da un momento
all'altro e la vedesse, il che avrebbe significato una valanga di
problemi che difficilmente avrebbe potuto affrontare.
Per sua fortuna
l'ennesimo flash del temporale aveva rischiarato un punto poco sopra
quello che prima era l'occhio dove una crepa si stava aprendo fin
troppo velocemente, segno che da lì a poco ne sarebbe uscito
un musetto del tutto poco rassicurante, ed era stato allora che il suo
cervello le aveva tolto tutti i freni inibitori ed aveva dato sfogo
all'istinto: con tutta la forza che le era rimasta aveva piantato la
lama di qualche centimetro sopra l'occhio destro ottenendo uno spasmo
convulso dell'intero corpo che, se da una parte aveva fatto
sì che la zampa che intrappolava la rossa si muovesse
liberandola, dall'altra aveva ulteriormente aperto le fenditure
scoprendo un pezzo di collo bianco latte ed una porzione dell'enorme
coda dello stesso colore costellata di sottili quanto affilate
spine dorsali grandi
quanto il suo palmo.
Che a causa di un
brusco movimento l'aveva colpita in pieno trapassandole la spalla da
una aprte all'altra e tenendola inchiodata a terra, esattamente
ciò che non le serviva che accadesse: non era il dolore a
preoccuparla, le fitte che le salivano fino alla testa poteva anche
sopportarle senza problemi, era il terrore che con lei fuori gioco si
sarebbe avventato su Jaqueline che, probabilmente accortasi del fatto
che la donna non l'avesse seguita come le aveva promesso, era appena
tornata indietro barcollante avvicinandosi pericolosamente a lei.
Non stare qui, vattene via una
volta per tutte, avrebbe voluto dirle, ma si era ormai
resa conto che con lei era inutile insistere perché tanto
faceva quello che voleva, così si era limitata ad
abbandonarsi alla calma come se non avesse la carne lacerata da quella
fottutissima spina:
-Ti avevo detto di
andartene, io me la cavo benissimo anche da sola Jaqueline, lo sai
anche tu- disse fredda sperando di convincerla, ma l'altra era troppo
occupata a guardarle la ferita per ascoltarla così, anche se
la cosa le era costata l'ennesimo brivido gelido lungo la schiena, si
era alzata quel poco che bastava per afferrarla dalla collana che aveva
al collo e tirarla a sé:
-Vattene, non
costringermi a ripeterlo ancora o ti assicuro che Ricardo
sarà l'ultimo dei tuoi problemi, e non sto scherzando.-
concluse mollando la presa e lasciando all'altra il dubbio di aver
visto un qualcosa di tremendamente diverso nei suoi occhi, una sorta di
riflesso dorato che però, tempo permettendo, aveva concluso
essere solo un effetto ottico.
Tuttavia, proprio nel
momento in cui Jaqueline aveva finalmente deciso di andarsene, entrambe
avevano avvertito come una brezza stranamente calda mista alla
sensazione di elettricità statica che fa rizzare i peli
durante un temporale, ma quando la ragazza aveva alzato gli occhi per
controllare non aveva visto altro che una luce azzurrognola accecante
nella quale sembravano danzare vaghe forme serpentiformi di un oro
acceso vicino a pilastri d'avorio: non
più alberi, fulmini, foglie, no... solo quella specie di
luce calda e soffusa a tratti piacevole che si stagliava sopra la loro
teste.
Ecco, solo
lì, perché quando si era girata dall'altra parte
aveva visto nuovamente il paesaggio che ricordava circondarla fino a
qualche minuto prima.
Ed era allora che
aveva iniziato a distinguere le forme: se si concentrava strizzando gli
occhi allora vedeva che i misteriosi esseri danzanti non erano altro
che lingue di plasma che si contorcevano dal profondo di un abisso nero
e indefinito del quale non vedeva la fine, mentre le forme che pensava
fossero state pilastri mitologici erano denti alti quanto il suo
braccio che si alternavano per disposizione e dimensioni in paesaggio
costituito da gengive rosee insanguinate.
Si
trovavano sulla traiettoria delle mascelle una lucertola di trenta
metri affamata, ecco dov'erano.
Allora, e solo allora,
fu Jaqueline a reagire per prima strappando con una forza che non
credeva di avere quella spina dalla spalla della donna e spostando
sé stessa e l'altra quel tanto che bastava da tirarle fuori
dal muso che si era appena scagliato a terra ottenendo solo qualche
zolla d'erba e sassi fra le zanne che non volevano altro che carne
fresca per inaugurare il nuovo stomaco; nel tempo durante il quale
quella bestia aveva iniziato ad orientarsi dopo il magro bottino loro
si erano trascinate a fatica dietro un grosso albero ancora in piedi ed
avevano approfittato del tempo a disposizione per riprendersi quel
tanto che bastava per mantenere la mente lucida:
-Che diavolo era
quello che ho visto? L'interno di un collisore di particelle forse?-
chiese all'altra che nel frattempo si stava massaggiando la ferita ma
che si lasciò scappare una risata:
-Plasma, era puro e
semplice plasma: geneticamente modificato forse, ma era plasma
incandescente, lo stesso con il quale produce i fulmini che abbiamo
visto fino ad ora- spiegò mentre si strappava un lembo del
vestito per improvvisare una fasciatura:
-Se ti stai chiedendo
come faccia a controllare quel temporale beh, sappi che non lo fa, non
fino a quando avrà ancora addosso i residui del corpo dal
quale è uscito: produce plasma, tutto qui... ok, in
verità potrebbe
anche scatenare una tempesta di fulmini che raderebbe al suolo il
paese, e magari con tutto lo zolfo presente nell'aria misto all'acido
solforico che i raptor hanno nello stomaco potrebbe anche scapparci una
qualche fiammella blu stile Kawah Ijen, ma le mie sono
solo supposizioni.- spiegò lasciandola leggermente, ma
proprio leggermente, senza parole:
-Oook, preferivo non
saperl...- cercò di rispondere, tuttavia venne interrotta da
un colpo di coda che aveva polverizzato l'albero dietro al quale si
erano rifugiate e le aveva lasciate senza un luogo dove proteggersi da
qualsiasi cosa che sarebbe accaduta.
Ma che non accadde.
Jaqueline, forse
spinta dal fatto che Cassandra l'avesse salvata già
abbastanza per quel giorno, si era messa davanti alla donna per
ricambiare il favore ma appena si era decisa a fronteggiare tutto da
sola aveva sentito le gambe immobilizzarsi senza il suo controllo e si
rese conto che no, quello non era Ricardo, non più almeno:
il suo corpo non aveva più le sfumatura d'azzurro che
ricordava ma era di un bianco immacolato che si mischiava ad un
giallo-oro sui filamenti mossi dal vento che andavano dal collo alla
coda fino a comparire nuovamente sulle frange delle ali e delle zampe,
senza contare che era ben più snello e sinuoso di quanto
ricordasse, le squame sembravano una fitta distesa di neve che questa
volta non lasciava nessuno spazio dove conficcare coltelli random, il
capo coronato da una moltitudine di corna di dimensioni e forma
variegate che le rendevano del tutto simili ad una corona, le quattro
ali decisamente più grandi e spesse di prima sostenute da
due grandi strutture ossee acuminate sulle spalle,le stesse che
ospitavano in delle cavità quattro sfere azzurre, due da un
lato e due dall'altro, grandi quanto la testa di un uomo del tutto
uguali a quella più piccola che adornava la fronte del
raptor.
Era la visione
più regale che avesse avuto di un raptor fino ad ora, ed era
anche una di quelle più grandi dato che mancava giusto una
manciata di metri a raggiungere le stesse dimensioni di Diantha.
Solo che tanta
regalità aveva appena avuto l'idea di posare i propri regali
occhi su loro due, troppo occupate a deliziarsi con tanta magnificenza
per pensare alle proprie vite.
Anche se in
realtà c'era ben poco da fare dato che erano praticamente
disarmate, così fu Jaqueline la prima a crollare in
ginocchio senza più speranze:
-Stiamo per morire, ci
ucciderà, moriremo in ogni caso... non voglio morire, non
ora... non voglio.- si lamentò con cassandra con le lacrime
che le scorrevano sulle guance pallide, così l'altra la
strinse a sé accarezzandole i capelli con fare materno
cercando di reprimere i sensi di colpa:
-Tesoro...o non...
cioè, sarai solo tu a... a morire, ma non posso... non posso
permetterlo: no, non lo permetterò piccola... troveremo una
soluzion...- non fece in tempo a finire che venne interrotta dalle
pesanti falcate del raptor che si stava avvicinando con le ali aperte
ed il collo alla stessa altezza del corpo sulla cui sommità
si intravedevano le scariche azzurre che si diramavano tra un dente e
l'altro con la stessa vaga danza di quelle che si agitavano dentro le
sfere sulle spalle, segno che da un momento all'altro avrebbe attaccato.
Era la fine, Cassandra
lo sapeva bene, era la fine e basta: lei poteva salvarsi, ma
Jaqueline... non sarebbe sopravvissuta, come avrebbe potuto farlo?
Ma se fosse morta...
se fosse morta non se lo sarebbe mai perdonato, mai: le aveva proemsso
che l'avrebbe protetta sì, ma come?
Come?
La risposta
arrivò qualche istante dopo, e lo fece accompagnata da una
cascata di fiamme cremisi che si scontrò con un muro di
plasma di dimensioni mastodontiche creando una danza mortale di fiamme
che si contorcevano freneticamente cercando invano di prevalere l'una
sull'altra, una moltitudine di filamenti che parevano avere vita
propria che si fronteggiavano come leoni rabbiosi per il dominio del
loro territorio.
Un ruggito e un tonfo
sordo, poi finalmente Cassandra ebbe il coraggio di alzare lo sguardo:
dinanzi a lei, a proteggerla con le ali d'ossidiana spiegate al cielo,
se ne stava Oregon ritto sulle zampe posteriori che teneva testa al
proprio figlio mostrando il magma incandescente che ribolliva dal
profondo della propria gola fino a risalire gocciolando ai lati del
muso, un liquido viscoso che appena cadeva a terra bruciava la poca
erba rimasta e riduceva in cenere ogni forma di vita rimasta in quella
landa desolata, ammesso che ce ne fossero.
E proprio come i loro
elementi che si erano incrociati in un vortice funesto, ora
anche i due raptor erano uno di fronte all'altro, esattamente come
avrebbe dovuto essere: forse Ricardo era potente, ma era anche appena
nato un'altra volta e per lui sarebbe stato difficile tenere testa a
qualcuno che di esperienza ne aveva ben di più, motivo per
cui indietreggiava ogni volta che l'altro faceva schioccare le zanne
lanciando frammenti di roccia incandescente a destra e a manca, il che
era proprio ciò che Oregon voleva ottenere.
Bastò un
ruggito per farlo indietreggiare ulteriormente ed iniziare ad insinuare
la voglia di andarsene da quel confronto, ma quando diede segno di
volerci provare ulteriormente l'altro raptor non esitò prima
di lasciare che il magma colasse dalle spaccature presenti sul suo
petto ed iniziasse a prendere piede sul terreno, e fu solo quando venne
completamente circondato dallo stesso che Ricardo, dopo aver spalancato
le immense ali ed aver lanciato un ringhio di disprezzo, prese
finalmente la saggia decisione di alzarsi in volo sparendo tra le
nuvole nere.
Avevano appena evitato
l'Apocalisse, ma era questione di tempo perché
ciò che era stato predetto dalla profezia si avverasse.
Perchè
la profezia aveva ragione, sempre e comunque.
La figura del palazzo reale si stagliava imponente all'orizzonte, una
sagoma scura consumata dal tempo e dalle battaglie che sembrava
vegliare il paesaggio con la sua presenza secolare, una sorta di monito
del presunto potere della famiglia Muscle che ora faceva riaffiorare
antichi ricordi ormai sepolti e dimenticati nella polvere; il Sole era
tramontato ormai da un pezzo lasciando spazio alla presenza ingombrante
di una luna troppo vicina nel cielo, la stessa che con i suoi raggi
biancastri illuminava le finestre dell'ultimo piano.
Lo stesso dove si
trovava Ataru Muscle.
Fonti certe dicevano
che il re aveva trascurato la sicurezza del fratello per concentrare le
sue guardie al capezzale della moglie, a quanto pare prossima alla
dipartita, e in effetti qualche uccellino le aveva anche assicurato che
i corridoi del piano più alto erano praticamente deserti,
fatta eccezione per i medici che andavano e venivano dalla stanza del
sergente due volte al giorno, e forse era per quello che una figura
incappucciata girava ormai da ore nei dintorni del castello con fare
losco avvicinandosi sempre più ai confini di palazzo con un
silenzio inumano.
Dopo l'ennesimo giro
di ricognizione si era fermata nel punto sottostante alla finestra
aperta ed aveva iniziato ad osservare ogni singolo mattone del muro
cercando di coglierne almeno una manciata che potessero permetterle di
arrampicasi per poi, con la stessa scaltrezza felina con la quale si
era avvicinata, aveva infilato una mano in una cavità ed
aveva fatto affidamento alle proprie capacità di
free-climbing con la complicità della penombra.
Solo ora il bagliore
lunare illuminava la sagoma femminile che stava entrando di soppiatto
nel castello ad insaputa di residenti e guardie: a giudicare dalle
forme doveva essere ormai una donna e non certo una ragazzina
sprovveduta alle prime armi, il busto ed il seno stretti da una maglia
di pelle a maniche lunghe con il collo alto, sovrastata da una sorta di
gilet senza maniche dello stesso tessuto coperto da una serie infinita
di lacci e cerniere che nella parte sottostante terminava similmente ad
un costume intero che lasciava scoperti i fianchi e parte della coscia,
i pantaloni anch'essi stretti alla pelle a vita bassa tenuti infilati
negli anfibi e completati da un paio di spesse ginocchiere, il tutto
accompagnato da un pesante zaino portato sulla schiena ed una tracolla
alla quale era agganciato un intero arsenale di armi e proiettili.
Non era dato a sapere
in quale arcano modo riuscisse a risalire così velocemente
tutta la parete, stava di fatto che una manciata di minuti dopo la
stessa figura se ne stava ferma ed impettita sul cornicione della
finestra lasciata aperta con un pugnale stretto fra i denti: la scena
era del tutto simile a quella di un quadro che un artista con non pochi
problemi mentali aveva dipinto in un momento di follia, uno di quelli
che ritraggono l'assassino poco prima di uccidere la vittima.
Che ora se ne stava
costretta a letto in seguito al regalo ricevuto da Bone Cold e la sua
banda di mercenari: avrebbe dovuto durare pochi giorni in seguito a
quell'attacco, o almeno così si sperava, tuttavia Ataru non
era il tipo di persona da arrendersi facilmente, motivo per cui, anche
se senza un intero braccio e metà della gamba destra, era
ancora vivo; non poteva parlare, certo, ma era dannatamente vivo e
già quello era un problema, motivo per cuiqualcuno aveva
ordinato che fosse messo a tacere.
Per sempre, questa
volta.
Quando la figura
femminile era entrata nell'ampia stanza chiudendosi la finestra dietro
di sé l'uomo era già sveglio ed aveva iniziato a
farfugliare qualcosa di non meglio definito, il massimo che l'iniezione
di U.B.D. potesse concedergli, soprattutto quando vide che la donna
aveva afferrato il pugnale e se lo girava e rigirava nella mano, poi
con nonchalance si era fatta strada fino ad arrivare ad una poltrona al
lato destro del letto poco lontano dal comodino sul quale erano
poggiate le varie medicine e, esattamente con la naturalezza di qualche
istante prima, si era seduta e si era accesa un sigaro preso dalla
tasca posteriore dei pantaloni iniziando ad inspirare il fumo come se
nulla fosse:
-Sono passati molti
anni dall'ultima volta che ci siamo visti Ataru, mi riconosci ancora?-
chiese senza aspettarsi una risposta, anche perché l'altro
non poteva parlare, così si limitò a guardare
annoiata le dense nuvole di fumo grigiastro che uscivano dalle sue
labbra:
-Oh sì,
stavo quasi dimenticando il tuo piccolo incidente, ti prego di scusarmi
per questo attimo di distrazione ma sai, ho ben altro a cui pensare che
le sorti di un lurido bastardo come te vecchio mio: la vita
è dura per tutti, chi più chi meno.-
asserì per poi abbandonarsi sul soffice cuscino della seduta
quasi sdraiandosi.
I momenti successivi
li aveva passati a guardare l'uomo senza nascondere un certo sorrisetto
malefico, lo stesso che ricordava era stato lui a riservarle
più di un decennio prima, e forse era stato proprio per
quello che il kinniku aveva allungato una mano verso il pulsante delle
emergenze posto di fronte al comodino sperando bene di non essere
notato, cosa che però non accadde:
-Cosa stai facendo?
Non hai voglia di parlare un po' con le conoscenze di vecchia data?-
domandò spostando lo sguardo da un punto indefinito al
pugnale stretto nella mano sinistra: era bastato un istante, uno solo,
ed un gridolino soffocato di dolore aveva riempito la stanza, per sua
fortuna da tempo immemore insonorizzata.
Ciò che era
rimasto dopo quel gemito straziante era soltanto la mano rimasta di
Ataru bloccata al muro a pochi millimetri dal pulsante da un coltello
militare, arrivato talmente in profondità da aver scavato un
solco nel muro, tenuto saldamente dalla donna i cui capelli bianco
cenere ora le ricadevano sul volto segnato da una profonda cicatrice
sull'occhio sinistro:
-Lo vedi questo? E'
stato un tuo regalo, te lo ricordi?- chiese ancora una volta indicando
all'uomo il braccio sinistro che solo adesso, per via della luce della
luna che si rifletteva nel metallo lucido, rendeva visibile l'arto
metallico che ricalcava perfettamente quello di carne ed ossa che
doveva aver perso in passato donandole un aspetto tutt'altro che
femminile:
-A quei tempi ero
abbastanza disperata da accettare di fare un lavoro per voi schifosi
Muscle, avevo un fratello da mantenere ed una vita da vivere, e cosa ne
ho ricavato?
Un bastardo che mi ha
lasciato agonizzare sotto una trave d'acciaio aspettando la morte, ecco
cosa ne o ricavato piccolo lurido puttaniere che non sei altro... ma
sai una cosa?
Alla fine ho vinto io,
abbiamo vinto tutti: tutti
tranne te.- continuò girando non senza una
certa soddisfazione la lama per farlo soffrire più di quanto
stesse già facendo smettendo solo quando videle lacrime
sgorgare dagli occhi vitrei dell'uomo.
A quel
punto allora prese nuovamente il sigaro fra le dita e ne
tirò un profondo respiro sentendo il fumo riempirle i
polmoni per poi rimetterselo fra le labbra, poi indossò un
paio di guanti di pelle nera ed afferrò la pistola che
teneva appesa alla tracolla:
-Oregon ti vuole
morto, questo devono già avertelo detto, ma quel simpatico
lucertolone ha avuto il buon cuore di lasciare che fossi io a finirti
permettendomi di gustarmi appieno quel meraviglioso piatto che
è la vendetta.- spiegò mentre saggiava la lama
coperta di sangue con l'indice facendo stridere il metallo contro altro
metallo notando l'espressione sorpresa del kinniku:
-Oh è vero,
non lo sapevi? Lavoro per i raptor da anni ormai, qualche volta sono un
po' istintivi ma almeno non abbandonano i propri compagni come se nulla
fosse, hanno un innato quanto inquietante senso del lavoro di squadra e
per quello che devo fare mi va più che bene: burocrazia,
ingegneria, roba così, qualche volta ci scappa un omicidio
ma ehi, siamo tutti un po' animali nel profondo, anche io ho i miei
bisogni naturali di sterminio come tutti.- disse tranquillamente per
poi gironzolare qua e là per la stanza senza un reale
interesse.
Poi, del tutto
pacificamente come se ne era andata dal letto, si era nuovamente
avvicinata all'uomo sbottonandogli la camicia senza che lui potesse
fermarla:
-Penserai che lo stia
facendo per me e la mia voglia di vendicarmi, ma non è
così, no che non lo è- gli sussurrò
all'orecchio sfiorando la pelle con la lama fredda:
-Lo faccio per lui
Ataru, per il mio fratellino e nessun altro: non puoi immaginare quante
volte abbia dovuto vederlo mentre si piegava a chi non meritava nemmeno
di stargli vicino, ho dovuto assistere impotente a tutti i soprusi con
i quali pensavi di distruggerlo psicologicamente e fisicamente... ma
no, lui non è così debole come credi, ha sempre
avuto una forza che nemmeno io riuscivo a trovare, e da quello che vedo
qui te lo ha dimostrato.- ridacchiò malignamente sollevando
il coltello e rimettendoselo fra i denti per poi afferrare la pistola
che teneva a tracolla e piantarla sulla spalla:
-Te lo ricordi quel
proiettile, quello che ti ha permesso di catturarlo nemmeno fosse un
animale?
Io credo di
sì, ma voglio esserne sicura.- lo avvisò poco
prima di esplodere un colpo che macchiò il lenzuolo
sottostante di carne e sangue miste a frammenti di ossa.
Nonostante fosse
concentrata nella sua missione la donna non tralasciò il
rumore di passi che sentiva provenire da lontano, così con
una mano iniziò a frugare nello zaino che aveva poggiato a
terra e ne tirò fuori una piccola fiamma ossidrica portatile
che pose sul comodino per poi metterci sopra la lama del pugnale poi,
quando aveva giudicato il metallo abbastanza caldo, lo aveva utilizzato
per scavare la pelle del kinniku: un lavoro tremendamente doloroso a
giudicare dalle grida mute di Ataru, ormai impossibilitato a chiedere
aiuto, che era durato un'eternità ma che alla fine, proprio
quando lei lo aveva terminato e si era alzata a guardarlo, sembrava
essere stato ritenuto più che ottimo.
Era stato allora che
la donna aveva approfittato dell'apertura della bocca dell'altro per
infilarglici dentro la canna del kalashnikov e spingerla leggermente
verso l'orecchio sinistro come aveva visto fare in decine e decine di
suicidi, il tutto non prima di averlo umiliato ancora una volta: non si
fece troppi quesiti morali o etici prima di sfilarsi il gilet e la
maglia di pelle appoggiandoli sulle sponde del letto scoprendo il seno
con tutta la naturalezza che il mondo avrebbe potuto offrirle e quasi
sdraiandosi sopra di lui mentre con la mano libera constatava
l'erezione che aveva già intravisto:
-Morirai con il cazzo
duro e il corpo freddo, proprio come il vecchio porco che ricordavo:
come si dice “Il lupo perde il pelo ma non il
vizio”... - disse annoiata scostandosi sensualmente i capelli
dal volto per legarli in una coda di cavallo sulla nuca:
-Ma questo lupacchiotto ha appena
trovato il cacciatore pronto a scuoiarlo.- concluse con un
ultimo ghigno beffardo sul viso, poi il nulla.
Un colpo, solo uno.
Non ne sarebbero
serviti altri.
Come previsto dalla
donna i passi erano quelli di King Muscle, Robin Mask ed alcune guardie
di palazzo attirate nella stanza sia dal presunto avvistamento di un
contadino che stava rientrando a casa quando aveva visto qualcuno
entrare dalla finestra sia dal colpo del fucile, e quando erano entrati
c'era mancato poco che persino il grande kinniku svenisse per l'orrore:
il corpo del fratello se ne stava steso praticamente nudo sul letto con
la testa ormai ridotta a poltiglia sparsa per tutta la stanza e con il
petto solcato da una frase che ai presenti suonò
terribilmente famigliare:
Justice
Plague send her regards.
_____________________________________________
Angolino dell'autrice
Bentornati in un nuovo
quanto esagerato capitolo, uno di quelli dove il disagio più
assoluto dilaga fra i pantaloni di Ataru (?)
Ok, dopo questa
disdicevole introduzione non posso che darvi il bentornato in questa ff
che non aggiornavo da un po' causa mancanza di voglia e/o tempo, ma
ammetto che il ritorno in questo capitolo è stato in grande
(?) stile.
E lo stile non
è l'unica cosa grand... ok la smetto.
Cooooomunque... non
dico nulla altrimenti finisce che anticipo eventuali recensioni, e mi
scusos e lo faccio spesso ahahah, ma come avete visto ho finalmente
messo fine all'agonia di Ataru, anche perchè mi sono
ricordata solo qualche giorno fa che non era ancora morto, introducendo
un nuovo personaggio che qualcuno conoscerà già
causa discussioni su Facebook :'D
Detto questo se volete
lasciare un commento siete i benvenuti, quello fa smerpe piacere :3
Ah sì:
Lannister send their regards :D
Intanto vi lascio le immagini che descrivono benissimo l'aspetto di
Oregon (quello nero) ed il nuovo Ricardo (quello bianco, anche se
mancano due ali ahahah)
|
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Capitolo 17 *** The peace before the Storm ***
E
alla fine venne il giorno.
Purtroppo.
Nonostante fosse
tornato a dormire appena da qualche ora, con la speranza di
risvegliarsi dopo l’incoronazione, quando Hanzo aveva aperto
gli occhi si era reso conto che la realtà era ben diversa ed
era giunta l’ora di fare i conti con le
responsabilità che aveva tentato inutilmente di tenere
nascoste nei meandri della propria mente per anni consumando
inesorabilmente le poche forze che il suo stile di vita gli aveva
lasciato: appena qualche ora ed avrebbe avuto in mano le redini di un
intero pianeta, avrebbe dovuto iniziare a sedere all’Aeternum
insieme agli altri consiglieri ed ai propri genitori, a smettere di
essere così dannatamente impulsivo per riuscire a guidare un
esercito in guerra.
E ne era terrorizzato,
lo era sempre stato: il terrore, quello reale, Hanzo non lo aveva mai
provato veramente, nemmeno quando aveva toccato il fondo più
profondo che conosceva, eppure la paura di non essere
all’altezza lo stava soffocando dal primo istante in cui
aveva messo piede nella sala del trono, ed era la stessa sensazione che
ora avrebbe bussato alla porta della sua coscienza.
Fortunatamente la
porta alla quale sentì bussare fu ben altra, e
cioè quella della sua stanza:
«Buongiorno
Vostra Altezza Reale, con permesso.» annunciò una
voce maschile poco prima di entrare chiudendosi la porta alle spalle
accompagnando il tutto da un sonoro tintinnio metallico; Hanzo aveva
impiegato giusto qualche minuto per mettere a fuoco la losca figura che
aveva temuto trattarsi di suo padre, ma quando aveva messo a fuoco la
cosa aveva anche tirato un profondo respiro di sollievo: Daisuke era
ben lungi dall’essere l’Imperatore in persona, lui
era più l’umile servo che suo padre gli aveva
regalato come dimostrazione che se voleva iniziare ad immedesimarsi
nella vita di corte avere uno schiavo personale era il minimo.
Se non fosse che ad
Hanzo fregava di tutto tranne che di continuare a sfogare le proprie
frustrazioni su qualcuno che non fosse il vecchio Bone, per cui si
limitava a fargli fare qualcosa quando ne aveva davvero bisogno e
comunque, sinceramente parlando, non riusciva nemmeno a far fare ad
uomo di mezza età ciò che avrebbe benissimo
potuto fare lui con la metà dello sforzo.
Quella mattina
però, per quanto si fosse sforzato a fare presa con il
braccio sulla parete, Hanzo aveva dovuto fare affidamento al vecchio
servitore per riuscire ad alzarsi e mettersi in piedi, anche se a
giudicare dalla fitta lancinante che gli aveva percorso la gamba
arrivando fino alla spalla nell’istante in cui
l’aveva poggiata a terra forse sarebbe stato decisamente
meglio dormire ancora un po’:
«Vi sentite
bene, mio signore? Volete che chiami il medico di corte?» gli
aveva chiesto senza lasciarsi sfuggire la smorfia di dolore apparsa sul
suo volto per qualche secondo, ma se c’era una cosa che Hanzo
voleva evitare era di essere compatito, non in quel giorno:
«Non ho
intenzione di vedere nessuno, vedrò fin troppa gente oggi:
piuttosto dammi quella fottutissima armatura e facciamola finita una
volta per tutte con questa dannata cerimonia, mi si stanno
scartavetrando le palle a furia di pensarci.» gli
ordinò trascinandosi non senza fatica fino alla finestra per
crogiolarsi ancora qualche istante nella vita da persona normale.
Più o meno
normale, va beh.
L'uomo lo aveva
guardato con uno sguardo confuso per qualche istante tuttavia, quando
aveva capito che Hanzo era irremovibile sulle sue posizioni, si era
prontamente ritirato nell’insistere:
«Comprendo
la vostra intenzione di non chiedere nulla, mio signore, ma avete
bisogno di aiuto per indossare la vostra armatura? La vostra spalla non
è ancora completamente guarita, non vorrei che un eccessivo
sforzo possa compromettere la guarig…»
«Sto bene,
ti ringrazio per l’interessamento ma sto bene: vai pure,
penso di essere ancora in grado di vestirmi da solo.» rispose
stizzito senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, così
l’altro si limitò ad un breve inchino e si
dileguò velocemente.
Compassione, ecco
cos’era quella sensazione, pura e caritatevole compassione
verso la sua persona: d’altronde poverino, lui era quello
cresciuto con disturbi mentali perché non aveva ricevuto
l’amore di una famiglia, quello che era passato dal freddo
cemento di una cella ad un letto imbottito con le piume recuperate
dalla muta stagionale delle fenici e cuscini tessuti con la soffice
pelliccia dei branchi di honoki delle stalle reali.
La gente parlava e
Hanzo, suo malgrado, la sentiva fin troppo bene.
E
faceva male.
Ma avrebbe cambiato le
cose quel giorno, sarebbe riuscito a far capire che lui non era
ciò che tutti avevano creduto che fosse fino ad ora: lui era
il figlio dei sovrani del pianeta, era il principe ereditario di Iga,
non il criminale che le persone si ostinavano a vedere, non del tutto
almeno.
E forse era stato
proprio per dimostrare a se stesso di essere cambiato davvero che si
era ostinato a volersi infilare in quel groviglio di acciaio e oro da
solo, senza dover fare affidamento su nessuno che non fosse se stesso,
il tutto nonostante le fitte che sentiva ad ogni più piccolo
movimento del braccio: Daisuke aveva ragione nel dire che non si era
ancora ristabilito del tutto, ma l’idea di doversi abbassare
al chiedere aiuto ad un servo gli faceva ghiacciare il sangue nelle
vene, soprattutto quel giorno, quello in cui avrebbe dovuto dimostrare
ad un intero pianeta la propria volontà di diventare il
sovrano di un cumulo di roccia, uccelli abnormi e unicorni alati
parlanti.
Eppure, per quanto
fosse disturbato da quello spiacevole pensiero, alla fine aveva dovuto
cedere quando aveva sentito un dolore lancinante in mezzo al petto che
lo aveva fatto piegare in due da quanto era stato intenso: non oggi,
non adesso, pensò fra sé e
sé, vedi di
resistere almeno qualche ora, poi possiamo anche morire e dimenticarci
tutto.
Aveva impiegato
qualche minuto per riuscire a rimettersi in piedi e ritrovare
l’equilibrio, poi si era deciso a chiamare Daisuke sperando
che fosse ancora nei paraggi per dargli una mano a indossare quella
fottutissima armatura che suo padre aveva tanto preteso di vedergli
addosso:
«Avrai anche
il sangue di tuo padre nelle vene, ma la testardaggine l’hai
presa decisamente dal sottoscritto, e se devo essere sincero mi
commuove questa notizia.» aveva sentito dire da una voce che
non era chiaramente quella del servo, che tra l’altro non si
sarebbe mai potuto permettere certe osservazioni senza rischiarci una
mano.
E infatti era suo
nonno Akihiro che lo guardava stizzito con le braccia incrociate
standosene comodamente poggiato sullo stipite della porta di ingresso
della sua stanza:
«Finirai per
ammazzarti se continui ad essere così ostile al farti
aiutare da qualcuno che non sia tu, te stesso e te medesimo,
è così difficile da capire?»
domandò ottenendo come risposta solo un sospiro annoiato, ma
Hanzo non sembrava interessato a parlare anche con lui:
«Se sei
venuto a farmi la predica anche tu puoi anche risparmiartela, non
voglio sentire un’altra persona che viene qui a raccomandarmi
di seguire tutto questo teatrino, penoso aggiungerei.»
rispose malamente continuando imperterrito a fare ciò che
stava malamente facendo.
L’uomo non
si era fatto problemi ad entrare chiudendosi la porta alle spalle senza
fare rumore, poi si era avvicinato al nipote e gli aveva preso di mano
il pezzo dell’armatura nera che stava ancora maneggiando con
una certa insicurezza:
«Vuoi una
mano o preferisci fare da solo? Non vorrei essere nei tuoi panni se
dovessi arrivare in ritardo, soprattutto con Ignis in giro.»
disse ridendo, umorismo che però Hanzo non riuscì
proprio a cogliere nonostante ci avesse anche provato:
«Sono
abbastanza grande da essere capace di infilarmi nei vestiti con le mie
mani, non sopporterò l’umiliazione di essere
ricordato come quello che non è nemmeno riuscito a indossare
la propria armatura, non so se tu e il tuo perbenismo lo
capite.» rispose malamente facendo per riprendersi
ciò che gli era appena stato tolto, ma il solo sbilanciarsi
per allungarsi un po’ gli aveva provocato una fitta
all’anca che per poco non lo aveva fatto spiaccicare male a
terra, ma fortunatamente Akihiro ebbe la prontezza di tendergli la mano
per aiutare a riprendere l’equilibrio:
«Allora, la
vuoi una mano o no?» chiese un’ultima volta,
l’ennesima durante la quale calò il silenzio.
Non
avrebbe dovuto
accettare, non doveva farlo: era capace di fare tutto da solo, non
serviva l’aiuto di qualcuno che non fosse lui stesso per
assolvere un compito così stupido, lo avrebbe dimostrato a
tutti, si sarebbe ripreso il minimo di dignità che gli
spettava.
E invece no, come per
un gesto involontario aveva annuito tenendo la testa bassa, abbastanza
per non incontrare lo sguardo di pietà dell’altro
ma non tanto da risparmiargli quella scena pietosa: aveva cercato di
annullare ogni sensazione che fosse umana quando aveva sentito il
freddo pungente scavare solchi invisibili sulla pelle nuda, di
estraniarsi da quell’involucro vuoto che si trascinava dietro
da ventisette anni e di rifugiarsi solo per qualche istante in un
angolo buio della sua mente che teneva sgombro dal suo tormentato
passato, ma nonostante lo sforzo quando l’acciaio gli aveva
sfiorato la profonda cicatrice rosea e lucida che attraversava
diagonalmente il petto la sua coscienza era tornata al suo posto e,
come era solita fare, aveva iniziato a tormentarsi riportando a galla
troppi ricordi.
Mentre
l’altro gli sistemava un pezzo di metallo dopo
l’altro, Hanzo era impegnato a chiedersi se anche suo nonno
si fermasse davanti ad ogni singolo taglio che gli si presentava
davanti come invece aveva fatto Mizuki la prima volta che lo aveva
visto: sommergerlo di domande non era certo stato il modo migliore per
approcciarsi con il figlio che non vedeva da ventidue anni, eppure non
si era fatta problemi a rigirare il coltello nelle ferite fino a quando
non era riuscita ad annichilire quel poco di dignità che
sette anni di catene gli avevano concesso di tenersi.
Akihiro no, lui
sembrava stranamente a suo agio con il nipote che non aveva mai
conosciuto, non faceva domande né richiedeva risposte che
sapeva già non avrebbe avuto, e ad Hanzo la cosa andava
più che bene, almeno quel giorno:
«Abbiamo
quasi finito, ancora un po’ di pazienza e ti lascio
libero.» gli aveva detto mentre stringeva e bloccava con cura
la placca pettorale dell’armatura nemmeno fosse il corsetto
di una nobildonna di altri tempi, forse anche con troppa cura a
giudicare da quanto stava stringendo:
«Devo
allentare la presa o va bene?» si permise di domandare con
prudenza notando che forse era decisamente troppo stretto ma Hanzo,
forse per rispetto dell’unica persona che sembrava capirlo o
forse per semplice noia, aveva scosso la testa limitandosi a trattenere
il respiro un po’ più del solito, il tutto
ovviamente senza proferire parola.
Alla fine della
complicata operazione, durata poco più di una ventina di
minuti con l’aiuto di suo nonno rispetto all’ora
buona che avrebbe impiegato se avesse deciso di fare tutto da solo,
Hanzo aveva sentito l’ansia pre-incoronazione attanagliargli
lo stomaco più di quanto avesse fatto fino a quel momento
perché adesso
non si tornava più indietro, non
c’era modo né voglia di farlo.
E, per quanto si
stesse sforzando di nascondere la preoccupazione, l’altro
l’aveva notata già da un pezzo, motivo per cui
stava già ponendo rimedio:
«Sbaglio o
qui qualcuno sta pensando di non varcare la porta della propria
camera?» chiese dandogli una pacca sulla spalla che per poco
non lo aveva fatto sobbalzare
«Non
è così difficile ciò che devi fare:
arrivi, fai un’entrata trionfale, te ne stai in piedi qualche
decina di minuti ad ascoltare tua madre che ti legge il giuramento,
dici due cazzate in croce per convincere gli ambasciatori, che in un
modo o nell’altro ti accetteranno per forza di cose alla
guida di Iga, e prendi la spada che ti spetta, assicurandoti che tuo
padre te la passi per l’elsa piuttosto che per la lama,
quell’uomo farebbe di tutto per non vederti costantemente
seduto sul tuo regale trono.
Semplice no? Devo
ripeterti qualche passaggio?».
No, non avrebbe dovuto
ripetere nulla, odiava l’idea di dover far
perdere altro
tempo a suo nonno, che sicuramente aveva in mente progetti ben
più interessanti dello stare ad ascoltare le lagne di un
povero disgraziato come suo nipote: perché Hanzo non era
interessato a parlare, non voleva fare o sentire nulla che non fosse lo
starsene da solo rinchiuso fra quelle quattro mura che, almeno fino ad
ora, non gli avevano fatto mancare nulla.
Nulla, certo, nulla se
non la sensazione di essere a casa, quella non l’aveva mai
avuta.
Poi, proprio quando
l’altro era intento a continuare a parlargli voltato di
spalle e girovagando per la stanza, gli era improvvisamente caduto lo
sguardo su una delle spade solitamente appese alla parete fra le quali
una, forse per uno strano scherzo del destino, era invece poggiata su
un tavolino distante nemmeno un braccio: se avesse allungato la mano
probabilmente sarebbe riuscito ad afferrarla, e nel caso…
no, non doveva pensare a quel genere di cose, non ancora.
O forse sì,
chissà… di certo nessuno avrebbe sentito la sua
mancanza, i suoi genitori no di certo, magari Chiharu si sarebbe messa
a versare qualche lacrima, ma alla fine lo avrebbe dimenticato come si
dimentica il primo amore: nessuno era indispensabile, nemmeno lui.
Non capì se
era stato l’istinto a muovergli le dita per stringere
l’impugnatura fino a quando le nocche non avevano iniziato a
fargli male, come anche non seppe mai quale voglia primordiale di
mettere fine alla sua vita lo avesse assalito proprio ora che aveva
tutto ciò che poteva desiderare, stava di fatto che si era
trovato in modo quasi inaspettato gli artigli di ghiaccio
dell’acciaio che abbracciavano il calore del sangue mentre la
carne molle faceva spazio a quella danza mortale della quale Hanzo non
sembrava nemmeno consapevole, almeno a giudicare dal suo sguardo perso
nel vuoto.
Uccidersi avrebbe
risolto tante cose, anche troppe: Chiharu non avrebbe più
dovuto nascondersi e avrebbe potuto trovare qualcuno da amare alla luce
del Sole, Soichiro non si sarebbe più preoccupare che
qualcuno gli rubasse la corona, Mizuki forse sarebbe tornata ad
occuparsi delle sue sacerdotesse piuttosto che di quella palla al piede
che lui era diventato con il tempo, magari anche Akihiro avrebbe
trovato sollievo nel dedicarsi a qualcosa o qualcuno di più
vivo di suo nipote.
Hanzo voleva solo
morire, morire e basta, non avrebbe chiesto nulla di più.
E sarebbe anche
riuscito nel suo intento se l’altro non si fosse girato per
il rumore metallico che aveva sentito e gli avesse stretto il polso in
una morsa che gli aveva fatto cadere la spada dalle mani: avanti, non
poteva nemmeno morire in pace?
Perché
tutti lo volevano vivo?
Perché
tutti dovevano decidere cosa fare della sua vita, tutti
tranne lui?
Akhiro lo aveva
sbattuto con una violenza che non pareva appartenergli contro il muro
tenendolo inchiodato alla parete senza curarsi del sangue che colava
sul metallo lucido dell’armatura disegnando intricate forme
rosso vivo:
«Cosa
diavolo ti salta in mente? Cosa vuoi dimostrare?» gli
urlò in faccia afferrandogli il mento per costringerlo a
guardarlo, ma quell’aria assente continuava a persistere:
«Ti vuoi
ammazzare? E’ questo ciò che vuoi? Rispondimi!
Fallo o giuro che ti ammazzo io!» gli chiese furioso mollando
la presa e costringendolo a cercare qualcosa per reggersi che potesse
compensare l’improvviso calo di pressione che gli aveva fatto
perdere le forze per un istante che era parso infinito ad entrambi.
Ed era proprio mentre
Hanzo si accingeva ad afferrare più o meno saldamente il
bracciolo della poltrona lì vicina per rimettersi in piedi
che aveva sentito fin troppo chiaramente la mano di Akihiro schiantarsi
con una certa violenza contro la sua guancia in uno schiaffo che,
umiliazione più umiliazione meno, lo aveva quasi fatto
crollare in ginocchio:
«Non ti
azzardare mai più a buttare via la tua vita in un modo
così dannatamente stupido, abbi un minimo di rispetto per te
stesso almeno!» insistette mantenendo l’aria severa
di poco prima, ma era durata ben poco quando l’altro era
riuscito a rialzarsi alla bene e meglio ed aveva incontrato il suo
sguardo accusatorio:
«Smettila di
farti del male Hanzo, per favore: hai già abbastanza
cicatrici da sfoggiare, probabilmente anche più di quante ne
abbia tuo padre, non meriti altri dolore, non oggi.»
Oh invece
sì che lo meritava, lo aveva sempre meritato: lo meritava
quando era venuto al mondo senza chiederlo togliendo a sua sorella e
suo fratello il diritto al trono, lo meritava quando era sopravvissuto
ad entrambi, lo meritava quando era riuscito a farla franca anche dal
carcere grazie ai complotti tra una lucertola abnorme e quella
marionetta di suo padre.
Aveva sempre meritato
di soffrire, lo sapeva fin troppo bene, ma Akihiro aveva
tutt’altra idea su cosa suo nipote si meritasse dalla gabbia
dorata in cui lo avevano rinchiuso:
«Ciò
che sei non è colpa tua, anche se probabilmente tuo padre
pensa il contrario: ora che ci penso mi ha sempre rimproverato di aver
conservato i geni giusti per te piuttosto che per lui.»
osservò lasciandosi scappare una risata;
«Geni
giusti? Tu li chiami seriamente
geni giusti?
Se papà vuole i
miei poteri glieli cedo volentieri, non è che mi servano a
molto negli ultimi tempi, in realtà non me ne sono mai
fat-»
«Oh
sì, decisamente
giusti, abbastanza perché non ti
abbiano ancora ucciso male come è successo a qualcuno dei
tuoi antenati, ma smettiamola di preoccuparci del passato e
preoccupiamoci più del fatto che stai sanguinando come se
non ci fosse un domani: avanti, stai fermo e fammi vedere quella
fottuta gola prima che ti cada per terra la trachea.»
asserì afferrando un pezzo di stoffa che aveva trovato
lì vicino e avvicinandosi ad Hanzo per fermare almeno la
perdita di sangue.
O almeno lo avrebbe
fatto se per ogni passo che l’altro faceva per avanzare lui
ne faceva uno indietro fino a quando non si era trovato con la schiena
al muro:
«Non credo
ce ne sia bisogno, davvero: sto bene no? Sono vivo, vivo e vegeto, non
c’è bisogno di insistere con il dover controllare
chissà cosa, sul serio.» fece notare
mentre la
mano che teneva premuta contro la gola si colorava di dense gocce
rosso-bluastre che strisciavano fra le dita;
fu allora che Akihiro,
con un’espressione a metà fra il compiaciuto e
l’ammiccante, gli si avvicinò ulteriormente
afferrandogli il polso noncurante del sangue che colava:
«Cosa
c’è Hanzo, qualcosa che non dovrei sapere
forse?» domandò mentre il poveretto,
nel vano
tentativo di sopportare quello sguardo accusatorio, stava letteralmente
sbiancando:
«Non
c’è nulla, non ho nulla: ora, con il
tuo permesso,
devo andare perché si sta facendo tard-»
«Oh no, non
è mai troppo tardi per assicurarsi che il proprio nipote
stia bene: sposta la mano avanti, non fare il bambino!»
«Ma
perché? Ti ho detto che sto bene!»
«Smettila o
te la stacco quella mano!»
«No! Ho
detto di no ed è no!»
«Taci e fai
la persona adulta, è solo una dannata mano! Se non hai nulla
da nascondere allora fammi vedere la tua fottutissima gola!»
«Non ho
intenzione di cedere a certi ricat-»
E invece Hanzo
cedette, oh se lo fece, soprattutto quando suo nonno gli aveva stretto
così tanto il polso che aveva sentito un brivido freddo
corrergli lungo il braccio; l’uomo lo aveva guardato
incrociando le braccia e annuendo soddisfatto e, al contrario di
ciò che pensava Hanzo, del tutto poco sorpreso dalla
situazione:
«Come
pensavo, non sei così stupido da suicidarti inutilmente,
d’altronde…» gli disse tastando con la
mano la pelle ed i muscoli macchiati di sangue che lasciavano
intravedere delle striature bianco avorio che, anatomicamente parlando,
non avrebbero dovuto trovarsi lì:
«Tu
sapevi
fin dall’inizio che non saresti morto.»
Il
gelo.
Silenzioso, cupo
e irritante gelo.
E quella faccia
soddisfatta, era quella ciò che gli stava facendo
accapponare la pelle: lui sapeva, sapeva tutto, Akihiro aveva sempre
saputo tutto.
Ma non gli aveva detto
nulla, né aveva lasciato intendere che fosse a conoscenza di
qualsiasi cosa che non avrebbe mai dovuto sapere: aveva osservato, lo
aveva lasciato fare e niente, gli aveva fatto capire che se Soichiro
fosse venuto a conoscenza di quello probabilmente avrebbe anche potuto
trovarsi un altro posto in cui vivere, o meglio sopravvivere.
E forse fu proprio per
quel terrore che Hanzo cercò rifugio premendo la schiena
contro il muro fino a quando non sentì le vertebre imprecare
per il trattamento che gli stava riservando, il respiro che gli si
smorzava in gola e gli occhi sbarrati nemmeno fosse un cerbiatto
davanti ai fari di un’auto che lo stava per investire;
Akihiro, a giudicare dall’espressione confusa e dispiaciuta
che aveva assunto, aveva colto le condizioni psicologicamente pietose
in cui versava il nipote:
«Se la tua
paura è che dica a tuo padre di quello che sta avvenendo qua
dentro smettila di preoccuparti, a differenza sua non sono il genere di
persona interessata a rovinare la vita agli altri» lo aveva
rassicurato togliendogli un gran peso dallo stomaco e permettendogli di
tornare a respirare più o meno normalmente.
Ma era chiaro che non
si era lasciato scappare la cosa, ovviamente:
«Da
quanto?» domandò secco lasciandogli il tempo per
capire e rispondere alla domanda, ma la verità era che Hanzo
sapeva già cosa voleva e pretendeva di conoscere adesso;
dopo qualche istante di esitazione si era convinto che continuare a
stare sulla difensiva sarebbe stato inutile quanto controproducente per
lui e per la fiducia che suo nonno sembrava disposto a dargli,
così si decise a rilassarsi e sedersi sul letto con lo
sguardo verso il pavimento:
«Sette anni,
mese più mese meno… è stato sette anni
fa, ma brucia come allora: lo fa sempre, ogni dannata volta, quella
fottuta… cosa o come diavolo si chiam-»
«Osteogenesi
rigenerativa, prego, diamo il giusto nome alle cose» lo
interruppe ridendo, ma Hanzo non sembrava troppo d’accordo
con quell’interruzione:
«Come? Da
quando sei anche medico?»
«Ammetto di
non conoscere la medicina, ma se c’è una cosa che
conosco fin troppo bene sono le conseguenze dei tuoi poteri, o almeno
di ciò che ne rimane, che poi sono anche i miei
quindi beh, ne so abbastanza per dirti che sei già fortunato
a non essere morto per un polmone perforato da una costola che si
è ramificata decisamente troppo, tutto qui.»
spiegò come se quelle parole avrebbero dovuto dargli
sollievo
«Purtroppo
per me non ho tutte queste qualità nipote caro, i miei
poteri si sono limitati a rendermi un sociopatico che ha instaurato una
tirannia su Iga per decenni, ma non so quanto avrei voluto essere al
tuo posto per farmi crescere ossicine random senza control... ti sto
mettendo a disagio, vero?
«Abbastanza.»
rispose semplicemente distogliendo lo sguardo.
In quella situazione
non era ben chiaro chi fosse più imbarazzato dal discorso
fra i due, ma alla fine fu Akihiro a rompere nuovamente il ghiaccio:
«Allora la
smetto, mi dispiace figliolo ma è passato tanto tempo dalla
mia incoronazione e ricordare gli sguardi della gente quando ha capito
che sarebbe stata la pecora nera della famiglia a dettare legge sul
pianeta non è piacevole nemmeno per me, sono cose che ho
pregato e pregherai anche tu di scordare... quegli sguardi.»
si scusò mentre i suoi occhi assumevano una piega di
malinconia che durò poco più di un secondo,
sostituita subito dopo da un sorriso che, se era seriamente falso,
allora era davvero ben falsificato:
«Dimmi un
po', hai un cavallo con il quale arrivare al tempio per la cerimonia?
«Sì,
certo, ho Aerand-»
«Aerandir
è il cavallo di tua madre, non vale.»
«L’ho
sempre cavalcato io, è il mio caval-»
«Solo
perché lei gli ha ordinato di farsi cavalcare, non credere
che quell’equino ti sarà fedele:
certamente, se
Mizuki gli dice di proteggerti e diventare il tuo animale domestico lui
lo fa, ma non è a te che ha giurato fedeltà,
capito?» domandò mentre l’altro lo
guardava confuso e amareggiato allo stesso tempo: avanti, ora non aveva
nemmeno un cavallo tutto suo?
Akihiro
però aveva la soluzione a tutto, anche alla mancanza di una
cavalcatura:
«Non
arriveremo al lago Yuna in tempo se andiamo a piedi, e di certo
l’erede al trono non può arrivare senza nemmeno un
animale da sella: che dici, facciamo attendere la plebe e andiamo a
procurarcene uno, Vostra Maestà?» propose
entusiasta.
Hanzo non aveva
nessuna dannatissima idea di cosa suo nonno avesse in mente, ma il solo
fatto di ritardare ulteriormente quell’umiliante cerimonia
gli aveva fatto salire un’improvvisa voglia di rischiare la
pelle in chissà quale impresa così, dopo aver
dato un’ultima sistemata all’armatura ed essersi
assicurato che fosse tutto al proprio posto, aveva seguito
l’altro fino alle stalle reali dove Soichiro e Mizuki
tenevano i loro animaletti da soma personali insieme a quelli dei
rispettivi eserciti.
Appena entrati erano
stati accolti dai nitriti sorpresi di alcuni degli stalloni di Mizuki
intenti a sgranocchiare carote e fieno che li avevano guardati
sprezzanti per qualche istante, per poi subito dopo emettere una serie
non meglio definita di sbuffi annoiati da quell’improvvisa
visita non programmata; Akihiro si era mosso con cautela fra quegli
animali, cercando di tenersi il più lontano possibile dalle
giumente gravide per non scatenare l’ira dei maschi,
chiedendo ogni volta ad Hanzo se ce ne fosse uno che gli piacesse
particolarmente.
Ma la risposta,
ahimè, era stata sempre la stessa: un secco e freddo no,
nulla di più.
Scartati i cavalli di
sua madre erano allora passati agli honoki, creature simili a grossi
cervi che Soichiro amava particolarmente utilizzare in guerra per la
loro estrema fedeltà e resistenza, per non parlare
dell’aggressività con la quale reagivano se il
loro padrone era in pericolo:
«Te ne piace
qualcuno?»
«Io non
credo di… cioè… non è che
non mi piacciano, ma… non fanno per me, tutto qui:
probabilmente ho dei problemi mentali, ma no, non me ne piace
nessuno… mi dispiace.» rispose senza nascondere un
certo imbarazzo per avergli fatto perdere tutto quel tempo per aiutarlo
ma Akihiro, anziché assumere quell’espressione
severa che Hanzo si era aspettato a causa della pazienza che gli aveva
fatto consumare, sembrava invece fin troppo felice alla notizia
dell’ennesimo rifiuto:
«Pensi di
riuscire a camminare con la gamba in quello stato diciamo, un
chilometro o poco meno?» domandò curioso facendo
per uscire dalle stalle
«Sì,
o almeno credo… ma anche se non dovessi riuscirci mi
obbligherò a farlo, di questo non devi preoccuparti: ce la
faccio, decisamente.»
«E allora
iniziamo a incamminarci, prima arriviamo meglio sarà: ho io
quello che fa per te, e ti assicuro che sarà ammmore a prima
vista, nipote caro.»
E
in effetti era stato
proprio così.
Akihiro lo aveva fatto
camminare poco più di un paio di chilometri, che gli erano
parsi un’eternità a causa della gamba che pulsava
mentre lui cercava di concentrarsi su ben altro, il tutto per arrivare
alle stalle del proprio castello, poste dietro di esso e leggermente
nascoste da una coltre di ciliegi in fiore, e la differenza rispetto a
quelle di suo padre e sua madre era decisamente evidente:
più che stalle quelle di Akihiro erano vere e proprie
strutture a cupola di dimensioni mastodontiche, sicuramente cinque o
dieci volte le semplici costruzioni degli equini da guerra della
famiglia reale, costituite da spesse pareti di roccia che sembravano
emergere direttamente dal suolo come se fossero un’appendice
dello stesso, la quale si fondeva nella parte superiore da quelle che
sembravano essere lastre di vetro con un’apertura circolare
sulla parte superiore.
La visione di quella
struttura così imponente aveva fatto sentire Hanzo
terribilmente insignificante dinanzi a tanta magnificenza, e certo la
camminata regale di suo nonno nel dirigersi verso l’entrata
di quell’edificio non lo aveva aiutato a sentirsi a proprio
agio; dopo gli ultimi sforzi per arrivare dinanzi a quello che doveva
essere il portone d’ingresso, però, Akihiro lo
aveva fermato:
«Nessuno ha
mai approvato il mio metodo per combattere una guerra, nè ho
cercato l’approvazione per applicarlo al fine di compiacere
qualcheduno, ma ti posso dire una cosa: davanti al mio esercito si sono
inchinati interi popoli, con la loro approvazione o senza non mi
è mai interessato, ma se scegli di seguire questa via non
aspettarti complimenti da nessuno, mai.»
«Non ho mai
ricevuto complimenti, nonno, e non ne voglio nemmeno: per
ciò che ho ottenuto ho dovuto sputare sangue giorno e notte,
non sarà certo il piacere derivato dal sentirsi osannare a
farmi decidere cosa e come farlo, su questo puoi levarti ogni
dubbio.»
«E allora
avanti, ormai sei abbastanza grande per vedere come lavorano i signori
della guerra.» concluse entusiasta spalancando finalmente le
grosse porte, anch’esse fatte da rocce grigiastre coperte qua
e là da macchie nere liquefatte, e aprendo ad Hanzo un
intero
mondo.
No,
non era abbastanza
grande.
No,
non era proprio
pronto.
Sì,
quello
era il modo migliore per far inchinare un popolo.
Appena aveva messo
piede nell’enorme complesso era subito stato assalito da un
intenso odore di zolfo misto a terra bruciata, reso ancora
più pesante e soffocante dalle temperature decisamente
elevate dell’aria presente, che sembrava impregnare ogni
singola trave di legno, ferro o roccia che fosse fino a far dimenticare
il loro vero odore, una nebbiolina semi-trasparente simile a vapore che
risaliva l’edificio fino ad uscire dall’apertura
superiore; ed era lì che li aveva visti, prima nascosti da
quella coltre vaporosa che era andata dissolvendosi quando la porta
aveva fatto entrare aria più pulita, uno dopo
l’altro, uno più magnifico dell’altro:
draghi, draghi ovunque
si girasse, un numero che secondo le sue stime
sfiorava il mezzo migliaio, di tutte le dimensioni e forme che la
fantasia umana potesse immaginare.
La maggioranza di
quelle creature, ovvero quelle che non erano occupate a nutrirsi di
carogne fin troppo simili a resti umani o quelli invece placidamente
addormentati nei loro spazi, si era subito girata quando aveva sentito
il cigolio delle porte, motivo per cui Hanzo si era presto trovato
circondato da draghi che schioccavano le mascelle minacciosi mandando
ringhi ben poco rassicuranti, altri che erano scesi in picchiata verso
il terreno sollevando un gran polverone, altri ancora intenti a
spalancare le ali nella speranza di spaventare gli intrusi.
O meglio
l’intruso, dal momento che appena Akihiro aveva alzato una
mano verso quelle creature la maggior parte di loro si erano calmate ed
erano tornate a farsi gli affari propri, sempre mantenendo un certo
sospetto verso il nuovo arrivato; una minoranza invece, giusto una
decina di quelli più grandi e massicci che aveva notato,
erano rimasti al loro posto senza arretrare e si erano invece
avvicinati frustando l’aria con la coda e ruggendo:
«Io non
rimango s-se devo m-morire male, ti avvis-»
«Non ti
faranno nulla, stai a guardare.» lo rassicurò suo
nonno per poi, avvicinate le dita alle labbra, emettere un fischio
acuto che non sembrava aver sortito nessun effetto su quelle bestie.
Deve essere proprio
schizzato di cervello se crede di mettersi a controllare quei cosi
fischiettando amabili canzoncine, pensò Hanzo
tutt’altro che certo di riuscire ad uscire vivo da quel posto
ma invece, contro ogni sua più rosea previsione, quel suono
aveva assolto i propri doveri alla perfezione.
Fu questione di pochi
secondi prima che un incessante rumore di battere d’ali si
diffondesse in tutta la struttura con così tanta violenza e
prepotenza da scuotere le vetrate circostanti, un suono infernale che
venne poco dopo accompagnato da un ruggito così grottesco da
essere del tutto simile a quello di un corno da guerra di un altro
tempo: una sinuosa figura nerastra era allora entrata
dall’apertura superiore della cupola ed era scesa verso terra
planando con un movimento circolare fino a quando, nel raggiungere il
terreno, aveva allungato le lunghe zampe posteriori dotate di grossi
artigli ricurvi ed aveva iniziato a sbattere violentemente le ali per
trovare l’equilibrio necessario a toccare la superficie in un
modo così tremendamente aggraziato per un essere che
sembrava l’incarnazione della distruzione fatta drago.
O
meglio draghessa.
La creatura si era
pericolosamente avvicinata ad Hanzo e Akihiro a lunghe falcate tenendo
le grandi ali che sostituivano le zampe anteriori parallele al terreno
come se fosse pronta a spiccare nuovamente il volo da un momento
all’altro, il tutto mantenendo le zanne color avorio dalle
quali pendevano qua e là brandelli di carne appartenuti a
chissà chi pericolosamente snudate pronte a strappare
qualsiasi cosa capitasse; quell’avanzata apocalittica era
continuata fino a quando la dragonessa non si era trovata con
l’imponente corpo a pochi metri dai due spalancando
nuovamente le immense ali e lanciando l’ennesimo ruggito: al
solo sentire quel suono persino i draghi più grandi e
minacciosi di prima ora si erano allontanati lanciando ringhi impauriti
o erano indietreggiati con la testa bassa e le ali abbandonate a terra
con la coda fra le zampe in segno di sottomissione.
E Hanzo capiva
perché lo facessero, oh se lo capiva: nonostante le
dimensioni mastodontiche il suo corpo era incredibilmente sinuoso e
aerodinamico rispetto alla costituzione massiccia degli altri
lì intorno, una gamma di colori che andavano dal beige al
rosso mattone fino al grigio antracite delle striature che correvano
dalla sommità del capo fino alla punta di coda ed ali, la
testa coperta da una moltitudine di corna a spirale posizionate quasi a
formare un’improbabile quanto inquietante corona nerastra
simile a quelle che ricoprivano parte del collo e delle esili ma
robuste zampe posteriori mentre la coda, di una lunghezza spropositata
rispetto al resto, nella parte anteriore sembrava la continuazione
delle appuntite membrane alari che andavano diradandosi per finire con
una sottile quanto letale frusta scarlatta.
Akihiro allora, giusto
per stare in tema di prese per il culo inerenti alla giornata, aveva
ripreso con discreta violenza il polso al nipote e gli aveva allungato
la mano fino a quando non si era trovata ad un metro scarso dal muso di
quella creatura; le imprecazioni furono inevitabili:
«Cosa cazzo
stai facendo? Mollami! Mollami o ti ammazzo male! Ti ammazzo
malissim-»
«Taci o ti
rompo il braccio come ha fatto il tuo amico mercenario, ma non ci
metterò tutto l’ammmore che ci ha messo lui,
chiaro figliolo?»
«Non me ne
frega nulla! Staccami un braccio, fallo! Staccamelo ma non avvicinarmi
quella lucertola o giuro che mi faccio salire l'omicidio!»
«Sssh,
finirai solo per farla agitare» gli
suggerì mentre
la draghessa aveva evidentemente sviluppato un certo interesse verso
quella mano ed aveva chinato il muso iniziando ad annusare circospetta:
«Non ti
farà del male, fidati di quello che ti dico: un drago non
attacca se non ha motivo di farlo, né ti darà la
sua fiducia se prima tu non gli dai la tua.»
continuò facendo per mollare la presa e giustamente, vedendo
che Hanzo aveva una certa voglia di tirarla indietro appena ne avrebbe
avuto l’occasione, decise di specificare la cosa:
«Se tiri
indietro la mano la prenderà come un’offesa che
non lascerà sicuramente correre, se ti va bene ti troverai
carbonizzato in qualche secondo senza poterti rendere conto
dell’accaduto, se ti andrà male beh…
non ho mai sperimentato di persona, ma so per certo che
Sheki’nah ha un caratterino niente male per essere una
dragonessa da guerra.»
Sheki’nah,
ora quel rettile aveva anche un nome, per niente rassicurante tra
l’altro.
Riuscire a resistere
alla tentazione di fare marcia indietro e fuggire fino a quando ne
aveva ancora la possibilità era difficile, tremendamente
difficile, soprattutto quando la draghessa lo aveva
osservato con
quelle fessure rossastre qualche secondo prima di spalancare le
mascelle ruggendogli praticamente in faccia: aveva sentito il terrore
attanagliargli ogni singola fibra del corpo fino a non consentirgli
più di ragionare sul da farsi, ma alla fine Hanzo aveva
costretto le proprie gambe a rimanere dov’erano
anziché andare da sole verso l’uscita sperando di
sopravvivere.
I secondi che erano
passati da quel ruggito a quando Sheki’nah aveva avvicinato
ulteriormente le proprie fauci alla sua mano gli erano sembrati
interminabili, anche perché ogni secondo in più
significava una possibilità sempre maggiore che quella
signorina cambiasse improvvisamente idea e volesse fare uno spuntino,
ma la scelta di restare al proprio posto era subito risultata la
migliore: fu questione di pochi attimi prima che Hanzo si vedesse la
propria mano accarezzare senza volerlo il grosso muso della dragonessa,
la quale nel frattempo aveva assunto un’espressione rilassata
e stranamente compiaciuta da tutte quelle moine, che se ne stava
bellamente a proprio agio mentre l’altro per poco non si
prendeva un infarto.
Akihiro gli si era
affiancato sorridendo soddisfatto:
«Direi che
gli piaci più di quanto mi aspettassi, di solito un assaggio
alla carne lo da sempre: è stato così terribile
come pensavi?» domandò curioso mentre Hanzo, con
la dovuta cautela, continuava a passare la mano fra le squame lucide
quasi ci avesse preso gusto:
«No, non
è male, oserei quasi dire che è…
terapeutico.» azzardò sembrando però
decisamente più tranquillo di prima, poi però
ebbe come una cupa illuminazione:
«Quando
dicevi che avremmo trovato una cavalcatura per me non intendevi lei,
vero?
No perché,
amore a parte, non è che mi ispiri troppo eh, senza offesa
ovviamente…» chiese per poi ritirare la mano
sfregandola nervosamente sull’altra.
Akihiro lo aveva
guardato qualche secondo, poi era scoppiato a ridere:
«Oh avanti,
seriamente credi che ti faccia cavalcare proprio lei?
Davvero?» domandò ridendo di gusto, poi si riprese
tornando serio e prese la testa della draghessa fra le mani appoggiando
la propria fronte su quella dell’altra:
«Sheki’nah
è la dragonessa ideale per quanto riguarda
fedeltà e forza di combattimento, ma è anche
difficile da gestire se non si ha una certa esperienza e sangue freddo:
non preoccuparti, non ti darò una bestia simile come
cavalcatura, sarebbe un suicidio per entrambi se dovesse perdere
l’assetto di volo e spiaccicarsi contro una
roccia… proprio un peccato,
già…» spiegò continuando a
ridere e facendosi da parte ed avviandosi in fondo
all’immensa cupola, seguito ovviamente da Hanzo e dalla
dragonessa che, come aveva ironicamente notato, quando camminava ed
utilizzava le ali per sostenersi assumeva un’andatura
alquanto buffa simile ad un enorme pollo:
«Ho in mente
qualcosa di meno impegnativo di questa signorina, ma non sono proprio
certo che faccia per te quindi te lo dico subito: non sfidare la
pazienza di un drago, se senti che non fa per te lascia stare e
torniamo alle stalle dei tuoi genitori vedendo di farti andar bene un
cavallo o magari un honoki, ma ti prego di tirarti indietro se sai di
non poterlo gestire, capito?» domandò mentre
continuavano a camminare e l’altro, per quanto avesse la
mente annebbiata da una valanga di dubbi, aveva quasi inconsciamente
annuito.
Proprio nel mezzo di
quella camminata circondati da rettili che sonnecchiavano o si
contendevano cadaveri animali non meglio definiti
l’attenzione di Hanzo era stata catturata da un punto
indistinto dove Sheki’nah li aveva preceduti ed aveva
spalancato le ali ruggendo con violenza, ruggito al quale ne era
seguito uno altrettanto intenso, così si era fermato insieme
alla draghessa sporgendosi da dietro una delle sue grosse zampe, e
allora si era preso un mezzo infarto: in quel piccolo angolino angusto
se ne stava un drago di dimensioni più contenute rispetto
alla sua nuova amica squamosa, il corpo snello e robusto che andava da
un verde appena accennato al verde smeraldo man mano che si avvicinava
alle spesse placche che andavano da sotto il muso fino
all’attacco della coda, la quale era sovrastata e
parzialmente coperta da una specie di lungo e largo nastro di varie
sfumature d’azzurro recante il marchio della casa di suo
nonno, una soffice peluria verde chiaro che spuntava qua e
là dalla parte posteriore delle zampe e in quella superiore
della lunga coda a frusta, la testa ornata da una folta criniera
verdastra che lasciava intravedere appena un paio di corna affusolate
ed altre due grosse corna ricurve da ariete, il tutto completato,
nemmeno fosse una presa per il culo, da un paio di quelli che
sembravano essere a tutti gli effetti degli orecchini con disegni
identici al nastro che ricadeva sulla coda.
E catene, soprattutto
quelle: alle zampe, al collo, intorno alla vita e forse
precedentemente, vedendo a terra un pezzo di metallo dorato semi
liquefatto, anche sul muso.
Quel drago non
sembrava pericoloso, era quella la prima cosa che aveva pensato, non
quanto Sheki’nah almeno, eppure era certo che se Akihiro
aveva deciso di incatenarlo lì e non lasciarlo libero come
gli altri allora un motivo doveva esserci, e lo aveva scoperto presto:
c’era voluto poco perché il drago passasse dal
semplice ringhiare al lanciare una fiammata di fuoco color smeraldo
contro la draghessa, e c’era voluto altrettanto poco tempo
perché questa rispondesse con una cascata di fiamme
scarlatte così scure da sembrare quasi nere in una danza
che, Hanzo ne era certo, sarebbe stata mortale.
Nonostante
l’altro uomo avesse continuato a camminare doveva essere
stato attirato dai ruggiti infernali delle due bestie che, se non fosse
stato per le catene che stridevano ad ogni affondo di artiglio del
drago più piccolo, si sarebbero sicuramente ammazzate a
vicenda:
«Shangri-La
no! No! Stai buona santo cielo, buona! Avanti!»
era
intervenuto Akihiro dando uno strattone alle catene ancorate alle zampe
posteriori facendole l’equilibrio costringendo quindi la
dragonessa a terra:
«Ho detto di
stare buona, stai solo peggiorando le cose! Shangri-La no, smettila
cazzo!» aveva insistito ma, vedendo che quella
continuava a
dimenarsi furiosa, si era avvalso dell’aiuto con
l’aiuto di Sheki’nah, che aveva posato i propri
grossi artigli sull’altra per tenerla ferma, per bloccarle
ogni movimento con una spessa catena recuperata all’ultimo
minuto.
C’erano
voluti diversi istanti perché si decidesse a calmarsi, se si
poteva intendere calmo un rettile di sei metri che continuava ruggire
dimenando la coda pericolosamente, e la cosa aveva lasciato Hanzo
abbastanza interdetto e con ancora più dubbi di quanti ne
avesse prima:
«Era lei, il
drago di cui parlavi?» chiese a suo nonno, che nel frattempo
stava passando le mani fra le molteplici corna della propria draghessa
per riportarla alla calma a sua volta:
«Cosa? No,
assolutamente no, non riesco nemmeno io a domarla, figurati cosa
farebbe a chiunque altro che provi anche solo ad avvicinarsi: stai a
guardare.» rispose con tono severo assumendo
un’aria cupa, poi appoggiò appena una mano sul
muso di Shangri-La prendendosi di rimando un ruggito accompagnato da
delle sottili fiammelle verdastre appena visibili fra le fessure delle
zanne:
«E’
troppo pericolosa per tutti, me compreso, e forse anche per se stessa:
lasciala perdere se ci tieni alla pelle, dico sul serio.»
consigliò al nipote alzandosi e facendogli strada.
Ma Hanzo non voleva
vedere altri draghi, non dopo aver notato i due grossi anelli argentei
dai quali pendeva un nastro decisamente più lungo con
disegni e colori identici a quelli del nastro che copriva la coda che
sembrava simile a delle briglie, anelli che le penetravano la carne nei
punti in cui avrebbero dovuto trovarsi le ali ma che ora, a giudicare
dalle cicatrici presenti prima nascoste dalla lunga criniera, erano
ridotte a due monconi appena accennati; Akihiro aveva notato come il
nipote guardasse quei segni, e forse era stato per quello che si era
girato sospirando:
«Quando
l’ho trovata nella foresta le avevano strappato le ali, gli
uomini che l’hanno fatto sono finiti arrosto mentre
imploravano la mia pietà: la mia gliela avrei anche data, ma
ho lasciato a Sheki’nah la scelta, e lei era
d’accordo con ucciderli molto, molto male, abbastanza per
fargli provare quello che un drago sente quando gli togli
ciò per cui è nato… ma non stiamo qui
a dilungarci su quanto i miei sforzi nel far sì che lei si
fidasse di me siano stati vani, piuttosto andiamo a scegliere il tuo
drag-»
«Io voglio
lei, nessun altro drago: lei e basta, niente discussioni.»
E allora Akihiro era
diventato di pietra.
Nessuno aveva
proferito parola in quella circostanza, persino Shangri-La aveva smesso
di ruggire e muoversi furiosamente, forse per l’imbarazzo
generale o forse per adattarsi all’espressione perplessa e
preoccupata dell’uomo:
«Hanzo, fai
il serio, ti prego… ho abbastanza draghi fra cui puoi
scegliere, ma non lei, assolutamen-»
«Ho detto
niente discussioni, toglile quelle catene e lasciami
fare.»
«Non se ne
parla» disse assumendo uno sguardo severo «Stammi a
sentire, se ti dico che è meglio lasciar perdere quella
dragonessa allora tu la lasci perdere, chiaro?»
«Non
costringermi, per favore, non farlo.»
«A fare
cosa?» domandò preoccupato, ma non ci volle molto
perché le azioni rispondessero al posto delle parole: forse
Akihiro era particolarmente sprovveduto quel giorno, ma ad Hanzo non
c’era voluto molto per sfilargli la spada dal fodero che
portava sul fianco e tenerla davanti a sé
«Nessuno mi
dice cosa devo fare, nemmeno tu: mi dispiace, davvero.» si
lasciò scappare per poi tirare un fendente ai punti dove le
catene erano ancorate al terreno spezzandole di netto, ovviamente
liberando la draghessa che si era subito impennata sulle zampe
posteriori sputando un muro di fuoco verso Sheki’Nah
sfiorandola di poco.
O gli andava bene o
moriva carbonizzato, le alternative erano poche.
Se fosse stato
minimamente interessato al continuare quella misera vita che lo
aspettava dietro le sbarre d’oro di quel castello forse Hanzo
avrebbe continuato a portare con sé la spada nel momento in
cui si era pericolosamente avvicinato a quella creatura che scalpitava
furiosamente fendendo l’aria con le fauci, ma dato che a lui
di tutta la burocrazia di corte interessava ben poco aveva abbandonato
la lama a terra trovandosi ad appena qualche decina di centimetri da
lei, che nel frattempo era decisamente troppo occupata a lanciare
artigliate all’altra.
Akihiro lo aveva
guardato sconvolto per qualche istante, quelli che gli erano bastati
per rendersi conto che era troppo tardi per convincere suo nipote che
non sarebbe servito a nulla cercare di domare quel mostro come lui non
era riuscito a fare in anni ed anni di impegno costante che gli erano
costati solo graffi e ustioni ben difficilmente dimenticabili; ci aveva
anche provato ad aizzare Sheki’nah contro quella belva
famelica, ma la dragonessa si era improvvisamente tirata indietro con
le mascelle serrate e le fiamme che ancora le lambivano le
estremità delle ali, motivo per cui aveva capito fin troppo
bene che, volente o nolente, quella era una questione che si sarebbe
disputata solo fra Shangri-La ed Hanzo: doveva avere fiducia in lui, o
almeno provarci.
Era stata questione di
attimi perché una fiammata verdognola lo costringesse ad
indietreggiare dietro la propria draghessa per proteggersi
dall’attacco alzando una sorta di anello infuocato che lo
aveva definitivamente diviso dall’altro, e allora gli aveva
preso un’ansia terribile: ora era da solo, doveva cavarsela
senza il suo aiuto, senza l’aiuto di chi con i draghi ci
aveva a che fare da quando era venuto al mondo.
Ma Hanzo era abituato
a cavarsela da solo, anche troppo: nonostante avesse chiaramente
avvertire nelle vene il terrore più puro alla vista di tutte
quelle dannatissime fiamme che lo avevano praticamente accerchiato,
aveva raccolto tutta la buona volontà che gli era rimasta in
corpo e si era lentamente avvicinato a quella creatura misurando ogni
passo per cercare di non finire arrosto come immaginava fosse toccato a
tanti altri prima di lui; non c’era voluto molto
perché lei lo notasse e gli piantasse addosso quegli occhi
color smeraldo pieni di rabbia digrignando i denti, ma nemmeno quello
era servito a farlo indietreggiare, anzi era servito a tutto il
contrario:
«Non ho
nulla con me, non credo di poterti ammazzare anche se lo
volessi» aveva azzardato alzando le mani in segno di resa per
poi muovere qualche altro passo insicuro:
«Cerchiamo
di collaborare per favore, non fare scherzi e proviamo a trovare un
accor-» non fece in tempo a finire che una sottile fiammella
dello stesso colore dei suoi occhi gli passasse ad appena qualche
centimetro dal braccio.
Ok, forse quello non
era il modo migliore per approcciarsi con una draghessa selvaggia che
voleva solo ridurlo ad un adorabile involtino arrosto, ma provare non
costava nulla.
Tranne
la vita, ma
quello era un optional.
Non si era fatto
scrupoli, come anche non se ne era fatti quando aveva gettato la
propria esistenza dietro delle dannate sbarre d’acciaio come
se nulla fosse, e forse era proprio per quello che era riuscito, fra
una minaccia di azzannarlo e l’altra, a raggiungere
Shangri-La fino a poterla sfiorare con la mano se solo lo avesse
voluto; Hanzo non sentiva più nulla intorno a se stesso se
non un’ansia crescente che sembrava aver preso il sopravvento
sul coraggio che aveva fino a qualche istante prima tuttavia,
nonostante i ringhi sommessi e la voglia lampante negli occhi di lei di
sbranarlo senza ritegno, non si era mossa più di tanto e lo
aveva anzi lasciato avvicinare assumendo una strana espressione
compiaciuta che lo aveva fatto calmare solo un po’.
Giusto per evitare
dubbi aveva aspettato ancora qualche momento prima di tentare il tutto
per tutto, ma alla fine si era deciso ed aveva allungato lentamente,
molto lentamente, il braccio premurandosi di controllare che fosse
ancora a suo posto ad ogni centimetro che guadagnava; c’era
stato un momento durante il quale l’altra aveva snudato le
zanne bianche ringhiando in modo quasi impercettibile senza
però opporsi ed anzi mostrandosi interessata.
Era stato allora che
Hanzo aveva avuto la conferma che, infondo in fondo, non erano poi
così diversi, lui e Shangri-La: nessuno dei due aveva mai
conosciuto la vera libertà, quella che si provava quando non
si avevano le ali strappate da uomini troppo crudeli o da una vita
dissoluta passata a fottersene male del proprio futuro, e a dire il
vero né l’uno né l’altra
erano riusciti a trovare il loro posto nel mondo, lo stesso mondo che
aveva ridotto lei a diventare un lupo, o un drago, solitario che sapeva
circondarsi solo di catene e lui a perdere ogni interesse in una vita
che non gli era mai appartenuta.
L’aveva
guardata per qualche istante, quelli che erano bastati per perdersi in
quegli smeraldi pieni di dolore nei quali se si impegnava riusciva
ancora a scorgere un minimo di speranza, la stessa che probabilmente
provava verso di lui: non sapeva se fosse solo una sua impressione o se
fosse davvero così, ma gli sembrava che in quel momento gli
stesse dicendo “Aiutami, portami via da qui, portami via da
tutti questi sconosciuti, andiamocene entrambi da questa prigione
dorata e torniamo a casa.”
Era stato fermo per
minuti che gli erano parsi infiniti poi, quasi come un istinto
ancestrale che aveva sopraffatto la draghessa famelica di qualche
istante prima rendendola decisamente più calma, Hanzo aveva
sentito chiaramente la testa di Shangri-La poggiarsi
nell’incavo del suo collo strusciando il robusto collo
coperto dalla morbida criniera sul braccio dell’altro quasi
stesse cercando un rifugio sicuro da tutto il mondo che la circondava,
lasciando Akihiro visibilmente sconvolto.
L’uomo aveva
osservato la scena sbigottito per un tempo che era sembrato infinito,
persino la sua dragonessa aveva assunto un’espressione
confusa e sorpresa allo stesso tempo, e quando aveva fatto per
avvicinarsi al nipote era stato accolto solo da un minaccioso ringhio
da parte della sua nuova compagna di giochi; Hanzo aveva temuto di
perdere il controllo della situazione fin troppo presto,
così aveva subito afferrato il muso di Shangri-La fra le
proprie mani e se lo era stretto al petto:
«Buona
avanti, stai buona, non ti vuole fare del mal… ok, ti ha
tenuta incatenata come un animale ma ehi, era anche colpa tua se ti
comportavi come una sociopatica, vero?» la
rimproverò accennando appena un sorriso, forse
l’unico vero fra tutti quelli che aveva sfoggiato fino a quel
momento.
Ed era allora che
Akihiro non aveva più avuto dubbi, solo conferme di
ciò che pensava, motivo per cui si era girato verso
l’altro ed aveva finalmente allungato una mano per
accarezzare la draghessa:
«Considerala
il mio regalo per la tua incoronazione, d’altronde sei
l’unico in tutti questi anni con cui vada d’accordo
per cui avanti, ora che hai una cavalcatura possiamo anche andare a
vantarcene con tuo padre e quei suoi cervi, non credi?» gli
aveva detto con una serenità disarmante.
Gli
stava davvero
regalando Shangri-La?
Gli
aveva davvero
concesso una delle sue dragonesse da guerra?
A
lui?
Hanzo non aveva saputo
rispondere in modo decente a quell’affermazione se non
balbettando qualche parola senza senso, ma alla fine aveva deciso che
abbracciarlo doveva essere il minimo sindacale per un gesto di quel
calibro; ok, forse gli abbracci non erano il suo forte, ma Akihiro non
si era affatto sottratto a quel contatto umano così intimo,
probabilmente uno dei pochi che aveva ricevuto nell’ultimo
periodo:
«Santo cielo
figliolo, sei peggio di tua madre in fatto di sdolcinerie!»
rise divincolandosi dall’altra che, giusto per sentirsi parte
della famiglia, aveva avvolto la vita dell’uomo con la coda
in un modo che aveva rasentato il soffocamento:
«Come non
detto, come non detto… ma se fossi in te risparmierei tutte
queste coccole da piccioncini per un'altra, di piccioncina.»
Ecco, quella parola
quella singola parola, aveva subito fatto suonare un campanello
d’allarme nella mente di Hanzo, lo stesso che aveva
già sentito quando Mizuki gli aveva detto che lei sapeva
tutto di Chiharu e della loro relazione:
«P-piccioncina?
Io non vedo… p-piccioncini, proprio… no, no: ma i
p-piccioni sì, i piccioni sono o-ovunque.. sotto i letti,
per esemp-» cercò di giustificarsi
strappando
all’altro una risata che gli aveva fatto accapponare la pelle:
«Ti serve
molto più che un alleato su questo pezzo di roccia per
proteggere quella ragazza… come si chiama? Chinaru? Chicaru?
Cacaru? Cacatua? Cacamia?»
«Chiharu, si
chiama Chiharu.»
«Ah
sì, quella lì, proprio lei» disse
girandogli intorno fino a trovarsi al suo fianco per poi fare spallucce
ammiccando in un modo inquietante:
«Un
uccellino, un uccellino infuocato di quindici metri buoni, mi ha detto
che cerchi di nascondere la vostra relazione con tutte le forze che hai
in corpo, uno sforzo che ti costa buona parte delle giornate che
potresti invece passare con lei a crogiolarti in giardino»
insistette mentre Hanzo lo osservava tremante, il terrore che anche lui
lo potesse dire a suo padre che gli attanagliava le viscere:
«O a
scopartela selvaggiamente, dato che da quel che ho visto sei messo
decisamente meglio di tuo padre: dimmi un po’, secondo te il
culo te lo da o devi pregarla in ginocchio?
Ora che ci penso in
ginocchio iniziereste a fare altro, ma in fond-»
«Non dirlo a
papà, per favore: farò tutto ciò che
mi chiedi ma ti prego, non dirglielo.»
Hanzo sapeva di essere
penoso a pregare suo nonno di tenere la bocca chiusa con suo figlio, ma
era anche vero che se per salvare Chiharu dalla morte certa allora
doveva abbassarsi a tanto allora lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto
senza fiatare.
Akihiro aveva scosso
la testa sorridendo, poi gli aveva appoggiato una mano sulla spalla:
«Non
guadagnerei nulla col dire a tuo padre di questa relazione clandestina,
nipote caro, se non vedere l’ennesimo cadavere in piazza: mi
è già passato abbastanza sangue tra le mani,
sangue che avrei preferito lasciare ad altri, non voglio anche quello
di una ragazza colpevole solo di essersi innamorata di un uomo che se
ne sta ben sopra al suo livello nella piramide sociale, senza contare
che le sacerdotesse non dovrebbero avere compagni ma ehi, tua madre a
quelle ninfomani non dice nulla.» disse con
l’intento di tranquillizzarlo, intento non proprio raggiunto.
E forse fu proprio per
quel motivo, dopo aver notato che il nipote tranquillo non lo era
affatto, che decise di afferrargli il polso e trascinarlo fuori,
seguito a ruota da Sheki’nah che camminava in modo alquanto
buffo imitando un pollo e Shangri-La che sbuffava annoiata mentre
trotterellava dietro i due fuggiaschi superando l’altra
draghessa con un ruggito soddisfatto e strafottente:
«Dove
accidenti mi stai portando?» domandò
all’uomo che però non rispose, così
anche lui si mise il cuore in pace e si diede al pacato mutismo ed alla
mesta rassegnazione.
Mutismo e
rassegnazione che finirono per costargli il respiro mozzato in gola
appena aveva messo il piede fuori dalle stalle di suo nonno.
Akihiro
era impazzito.
Chiharu
era impazzita.
Tutti erano impazziti.
Quando Hanzo aveva
incontrato il suo sguardo non aveva sentito più niente che
non fosse un immenso senso di gratitudine nel rivederla, le
preoccupazioni per la corona che venivano spazzate via
dall’amore che lo teneva legato a quella ragazza da sette
anni.
Sette anni, nemmeno
gli sembrava che fosse passato così tanto tempo dalla prima
volta che si erano incontrati, eppure eccola là: non la
vedeva da quasi due mesi ormai, e la cosa gli pesava per quanto
evitasse di farlo notare agli altri ma alla fine, come le ripeteva lei,
se era riuscito a sopportare di vederla sì e no qualche ora
al mese quando se ne stava dietro le sbarre allora non doveva essere un
problema, ma lo era.
Lo
era eccome.
Chiharu aveva
aspettato qualche secondo prima di ricambiare lo sguardo piantandogli
quelle sfere d’oro liquido addosso, ma c’era voluto
poco perché gli si avvicinasse e si fiondasse a cercare
rifugio appoggiandosi al suo petto mentre l’altro gli cingeva
i fianchi con una delicatezza che non sembrava appartenergli, poi si
erano guardati per un tempo che sembrò infinito ad entrambi:
lei per cercare l’approvazione della persona che aveva
davanti, lui per capire se potesse meritarsi ancora la sua fiducia dopo
che l’aveva lasciata nella tana dei leoni, o delle fenici,
per tutto quel tempo.
Hanzo non era mai
stato un tipo da baci e abbracci, era più da accoltellamenti
e omicidi, ma Chiharu aveva il potere di renderlo più docile
di un agnellino e far uscire da quel pezzo di marmo che aveva al posto
del cuore i sentimenti che il dolore di tutta una vita aveva sepolto
sotto chilometri di rancore e rabbia che però, quando
c’era lei, finivano sempre per essere rimpiazzati da un senso
di iperprotettività e amore incondizionato che teneva in
piedi la loro relazione da così tanti anni, carcere o meno
che fosse, ma dall’altra parte aveva sempre una certa
difficoltà nel manifestare i propri sentimenti anche a lei.
Chiharu lo sapeva,
d’altronde era per quello che era sempre lei a fare il primo
passo, ed anche questa volta aveva fatto lo stesso senza protestare: le
sue mani si erano intrecciate intorno al collo dell’altro, il
rosa pallido della pelle liscia di quelle esili dita che incontravano
in un violento contrasto cromatico le lucide chiazze lasciate dalle
profonde cicatrici rossastre, poi gli aveva preso il volto fra le mani
e lo aveva tenuto stretto a sé in un bacio appassionato di
quelli che si concedevano così di rado da rendersi conto
solo ora di quanto ne avessero bisogno entrambi.
Il tempo sembrava
essersi fermato in quegli istanti, in quei rari momenti dove Hanzo
dimenticava tutte le volte in cui avrebbe dovuto fare buon viso a
cattivo gioco e Chiharu si ricordava del motivo per cui lo aveva
aspettato per sette anni senza cercare un altro uomo che, se solo lei
avesse voluto, avrebbe potuto starle vicino ogni minuto di ogni giorno,
a differenza di Hanzo stesso.
Quando lui aveva fatto
per staccarsi dopo qualche minuto, ma lei lo aveva trattenuto ancora un
attimo per godersi quel minimo di tregua fra tutte le preoccupazioni
del mondo che li circondava; quegli istanti però, per quanto
lei si convincesse che sarebbero stati eterni, durarono solo fino
all’istante in cui il compagno interruppe quello scambio di
effusioni per stringerla a sé guardandola negli occhi, poi
le prese le mani fra le proprie:
«Ti amo con
tutte le mie forze, non smetterò mai di ripetertelo
piccola.»
«Sappiamo
entrambi che è così, e vorrei stare qui a
parlarne per ore intere, ma ora devi andare: se qualcuna delle
sacerdotesse ci vede è la fine per te e la tua
coron-»
«Non voglio
la corona, non è quella che mi interessa» le
sussurrò accarezzandole i capelli come se si fosse perso in
quell’oceano fatto di sottili filamenti azzurrini:
«Se non puoi
essere la mia regina io non farò il re di questa fredda
roccia, non pensarci nemmeno: se mi vogliono qui devono accettare anche
te, altrimenti possono anche prendere quel pezzo di latta ed
infilarselo dove nemmeno le fiamme di Ignis arrivano.»
A quelle parole la
ragazza era rimasta spaesata e terribilmente confusa, motivo per cui
tentò di allontanarsi dal compagno senza volersi staccare
davvero:
«Se ci
scoprono siamo rovinati, te ne rendi conto?» gli disse con il
terrore negli occhi
«Tu perdi
tutto ciò per cui hai sputato sangue fino ad oggi, ed
io… io…»
«Non possono
farti del male fino a quando non hanno me, sono indispensabile a mio
padre per firmare l’alleanza con quelle lucertole troppo
cresciute: stai tranquilla Chiharu, non devi preoccuparti di come
sopravvivere fra le sacerdotesse, penserò io a coprirti le
spalle» disse mentre Shangri-La, con un curioso tempismo ed
un’improbabile comportamento che ricordava vagamente quello
di un gatto altezzoso, si era avvicinata e si era interposta fra lei ed
Hanzo ringhiandole addosso:
«Volevo dire
noi, ci pensiamo noi a coprirti le spalle, vero signorina?»
domandò alla dragonessa che, soddisfatta, lo
ringraziò con una leccata decisamente meno delicata dei baci
di Chiharu.
Hanzo non aveva paura,
non ne aveva mai avuta: la corona sarebbe stata di sicuro il modo
perfetto per riscattarsi da tutto ciò che aveva dovuto
sopportare fino a quel giorno, ma Chiharu non era il prezzo da pagare;
non aveva colpa di tutto quel puttanaio che si stava scatenando per
mandarlo al trono, ma vi si era trovata invischiata ed ora doveva
iniziare anche lei a recitare il proprio ruolo nel leggendario gioco
che la sua famiglia portava avanti da chissà quante
generazioni per mantenere l’assoluto controllo su Iga intera.
Perché al
gioco del trono, Hanzo lo sapeva bene, o si vince o si muore.
Buio, il buio
più totale: niente luce, niente suoni, niente colori.
Niente di niente, il
nulla più totale.
Da
milioni di anni.
Poi c’era
stato un rombo sordo, un ruggito che aveva riempito l’aria di
una sofferenza nemmeno lontanamente immaginabile all’orecchio
umano.
Ma non
all’orecchio di un drago, ovviamente.
E allora
l’aria si era improvvisamente riempita di una moltitudine di
rumori, luci e sensazioni finora sconosciute a quel luogo
così tetro rivelando un paesaggio alquanto sovrannaturale:
centinaia e centinaia di rocce nerastre galleggiavano
nell’etere sospese da filamenti diafani di un azzurro
elettrico caricando di un pungente quanto frizzante odore di zolfo, lo
stesso che si avverte dopo un violento temporale estivo.
Probabilmente era a
causa della carica statica prodotta da quei sottili fulmini formato
tascabile che anche il terreno di quella specie di grotta,
un’immensa e sterile distesa di rocce appuntite e stalattiti
grandi come case, fosse cosparso di intricati disegni azzurrognoli che
parevano recare antiche iscrizioni dimenticate dal mondo, un labirinto
degno di Dedalo in persona che sfociava in un’ampia stanza,
se così si poteva chiamare quell’enorme atrio con
una sola apertura verso l’alto.
Il silenzio vigeva
sovrano in quel luogo, o almeno lo aveva fatto fino al momento in cui
un rumore metallico si era fatto strada fra le orecchie delle pietre
circostanti: le spire che si srotolavano una dopo l’altra in
una danza ipnotica, le squame dure come diamanti che sfregavano le une
contro le altre che tagliavano come se nulla fosse il duro cuore di
granito delle rocce, gli immensi veli azzurri delle ali che riempivano
lo spazio a loro disposizione ergendosi in tutta la loro imponente
grandezza accompagnando la fierezza e la ferocia contenuta nelle due
sfere che riflettevano il colore delle profondità
più remote degli oceani poste sul capo, praticamente non
osservabile da chi l’avesse guardato standosene a terra.
Dunque il momento era
giunto, la tempesta era arrivata: lo aveva chiamato, alla fine, si era
finalmente deciso a rinunciare ad uno scontro ben poco alla pari ed
aveva fatto uno squillo interdimensionale agli alti vertici.
Che non si erano certo
tirati indietro, ovviamente.
Aveva alzato il muso
verso le stelle un'ultima volta prima di portarsi sulla grande apertura
superiore innalzandosi in tutta la sua imponenza verso le vaste terre
che si intravedevano all'orizzonte, prima di apparire come un obelisco
sulla sommità di quella grotta con le ali spalancate e la
propria ombra che oscurava i soli di quel pianeta:
«A myrn hain
gavénnir taur aglàr elenath, Draego-Orn, na medui
mòrnie estelie adartha ustùlie» il
ruggito si levò alto, accompagnato da altri che sembravano
delle risposte:
«Lasto beth
lamèn vinya, Naer-Sk'owa: atlantièr orath
telithàr vinya urulooke, indyo silque ataui
devithà sikke Terrakion, na palan-diriél
endòrenna.
Aska'roth, Naer
Sk'owa, ad erynna darthanner.»
Ora
niente poteva
fermarli.
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Angolino dell'autrice
CE L'HO FATTA.
HO AGGIORNATO.
FINALMENTE.
Comunque sia, sono
felice di essere finalmente riuscita ad aggiornare
quest’adorabile fan fiction, ci tenevo parecchio dato che ero
impaziente di scrivere i capitoli che verranno dopo questo di
intermezzo: lo ammetto, i capitoli di transizione non sono proprio
ciò che amo fare, soprattutto se non contengono sangue e
draghi sputafulmini gigaenormi, ma alla fine sono riuscita a
completarlo e mi soddisfa non poco :D
Cosa dire su questo
capitolo: ho preparato il terreno per l’incoronazione di
Hanzo e per altre entrate trionfali che si vedranno nel prossimo
capitolo, sono così emozionata nel poterlo finalmente
iniziare (anche se in realtà un pezzo l'ho già
fatto), e vogliamo discutere su questa scena di amore stile Hiccup e
Sdentato? xD
Non voglio dirvi
altro, tranne che no, non accadrà nulla di ciò
che può essere considerato decisamente scontato
né sulla Terra né su Iga :3
Ma soprattutto: cosa
vogliono dire le ultime frasi?
Chiamate Adam Kadmon e
lo saprete (?)
Detto questo, vi
lascio con le draghesse di Akihiro ed Hanzo, rispettivamente Sheki'nah
(la simil viverna) e Shangri-La (quella verde): non sono adorabili? :D
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