From Egypt with furor.

di Il Nomade
(/viewuser.php?uid=748313)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e spiegazioni. ***
Capitolo 2: *** So, let me present... (parte uno) ***



Capitolo 1
*** Prologo e spiegazioni. ***


Prologo.

Robb.


Robb Bennett si svegliò di soprassalto, rischiando di sbattere il capo contro il letto sopra il suo.
Guardò in alto, sconfortato, mentre si lasciava andare in un sospiro di sollievo.
Avrebbe dovuto far presente a Bes, il dio egizio dalle sembianze di nano che si prendeva cura di lui, che i letti a castello non erano poi la grande idea che erano sembrati all'inizio.
Si portò una mano tra i ricci scuri e ribelli, sospirò e si abbandonò di nuovo sul materasso con le braccia intrecciate dietro la nuca.
Sbatté le palpebre, cercando di ricordare i dettagli della visione che aveva appena avuto in sogno.
Il suo Ba, la strana parte della sua anima dalla forma di un uccello, se ne era andato a fare un voletto per conto suo mentre lui dormiva, mostrandogli cose che lui avrebbe certamente preferito non vedere.
Succedeva spesso ai semidei.
Quella volta gli erano apparse le piramidi, quello strano individuo vestito da sacerdote...
Sono le sette del mattino, Robb” lo sgridò una voce nella sua testa, trasformando il suo sogno in fumo grigio “che ci fai ancora qui?”.
Per tutta risposta, il ragazzo sbuffò e si voltò a faccia in giù sul suo cuscino.
«Sta' zitto, Horus, per favore», supplicò in un mormorio indistinto.
A Robb parve di vedere il dio che incrociava le braccia sin da lì.
Era quello il problema dell'essere figlio di un dio egizio incapace di farsi i fatti suoi: ti s'infilava nel cervello e continuava a parlare e parlare (e parlare) finché non ti veniva voglia di estirpartelo dal naso con un uncino.
Non puoi dire cosa fare ad un dio” precisò Horus, in tono stizzito “adesso alzati, altrimenti mi metto a cantare 'Alla fiera dell'Est'”.
«Touchè» sbuffò il ragazzo, scivolando fuori dalle coperte di lino «hai vinto».
Non avevo dubbi”, gongolò il dio “io vinco sempre. Contro Seth, contro Sobek, contro Apophis...”.
Robb alzò gli occhi al cielo e si vestì di tutto punto, indossando i suoi soliti sobri jeans, una t-shirt bianca ed una camicia a scacchi azzurra dalle maniche rimbracate, mentre ascoltava suo padre che continuava a snocciolare per la centesima volta le varie imprese che aveva compiuto centinaia di secoli prima e di cui, tra parentesi, non importava a nessuno.
Robb uscì sbadigliando dalla sua cabina e subito fu investito dal consueto chiasso dei corridoi della Duat's Academy.
Non si trattava di una scuola vera e propria. Non come quelle che intenderebbero i comuni esseri umani, insomma.
Certo, si studiavano anche materie normali come la matematica e la storia, ma la stragrande maggioranza delle lezioni trattavano di “lettura e comprensione dei geroglifici”, “come si costruisce uno shabti funzionante” e “combattimento pratico e teorico contro mostri che vogliono falciarti l'anima”. E non dimentichiamoci di “maneggiare con attenzione la magia egizia”.
La Duat's Academy, per farla breve, era più una specie di rifugio in cui i figli degli dei (un centinaio di ragazzi, in tutto) potevano nascondersi dai mostri, imparare a convivere con la loro natura e comprendere come sfruttare le loro capacità sotto la guida di un tutore d'eccezione: il dio Bes.
Studiavano ognuno per conto proprio, all'aperto, facendo ciò che riuscivano a fare meglio o seguendo l'apposito programma che Bes preparava per ognuno all'inizio di ogni anno. Alla fine della giornata, uno si sentiva talmente a pezzi che non si reggeva più in piedi e doveva essere trascinato di forza nel suo dormitorio.
I dormitori erano divisi a seconda del genitore divino e del sesso, e si chiamavano “nomi”.
Quello dei figli di Ra era detto “il primo nome”. Quello di Osiride era il secondo e quello di Horus, nel quale alloggiava solamente Robb, era il terzo.
Bes, il loro tutore, era un tipo strano, a volte burbero e facilmente irascibile (soprattutto se lo guardavi troppo a lungo), ma sotto sotto era un bravo insegnate ed aveva il cuore tenero. Robb non aveva mai dubitato che, se si fosse trovato in pericolo, Bes non avrebbe esitato neanche un istante prima di correre in suo soccorso.
Da quando sei così sentimentale, Robb?” intervenne Horus, sbuffando “se continui a pensare cose del genere, me ne andrò”.
«È una promessa?» chiese Robb, speranzoso.
Simpatico. Davvero simpatico”.
Ma Robb non poté rispondere per le rime. Fu distratto dal gatto.
O meglio, da quello che per tutti pareva essere un normalissimo felino dalla folta pelliccia color cioccolato, comodamente accoccolato sul davanzale della finestra per godersi i primi raggi del tiepido sole settembrino. Ma Robb sapeva bene che non sempre ciò che vedevi era la realtà.
«Anne?» domandò il ragazzo, inarcando un sopracciglio.
L'animale balzò giù dal davanzale con uno slancio elegante ma, prima che le sue zampe potessero toccare il pavimento, al suo posto comparve la sottile figura di Anne Taylor, figlia di Bast, che abbozzò un sorrisetto.
«Robb» constatò lei, nascondendosi le mani nelle tasche della giacca di pelle nera ed inclinando lievemente il capo di lato «sei più alto».
Robb rise.
«Tutto qui, Catwoman?».
Non la vedeva da più di due mesi, da quando lei era tornata nel New Orleans da suo padre e lui era dovuto rimanere lì, a tentare di capire quale dannata differenza ci fosse tra il Ka e il Ba oltre all'iniziale. Odiava ammetterlo almeno quanto odiava avere nella mente un dio che fungeva da coscienza, ma un po' gli era mancata.


Angolo del Nomade:
Heilà, gente!
Sono nuovo sul sito, perciò per prima cosa mi presento: io sono Il Nomade, ho diciotto anni e sono un lettore ossessivo-compulsivo (?); piacere di conoscervi u.u
Sono un ragazzo... quindi preferirei che non mi deste della “lei” ^^”


Ho letto sia Percy Jackson che le Cronache dei Kane e la seconda mi è piaciuta, sì, ovviamente, ma... beh, mi sono detto: se ci sono semidei figli di dei greci, romani e di chissà quanti altri, perché non possono esserci anche di quelli egizi?
Per cui eccomi qua con questa storia, sperando che l'idea non vi dispiaccia troppo. È stata quella scellerata di Rainbows_Butterflies (forse la conoscete, visto che ogni tanto spunta fuori con un'interattiva su un fandom a random) a convincermi ad iscrivermi e a pubblicare questa storia, quindi semmai dovrete prendervela con lei u.u


Per spiegarvi (leggete, è importante):
Prenderò diverse cose da Percy, alcune dai Kane e ci aggiungerò qualcosa di mio per dare così vita ad una generazione di semidei egizi, stravolgendo tutte le vostre certezze.
Vi va? Se sì, allora...
Per adesso accetto sei ragazzi e sei ragazze. Questo solo per regolarmi un po', perché non voglio avere duecentomila femmine ed un maschio; ma – quando e se i posti a disposizione saranno terminati - ne accetterò anche di più, purché non ci sia uno squilibrio esagerato tra ragazzi e ragazze.
L'unica cosa che vi chiedo è di non creare più di due OC a persona o potrei impazzire a tentare di stare dietro a tutti.
Se volete partecipare, vi lascio una lista di alcune divinità tra cui potete scegliere come vostro genitore Divino.
Potete prenotarvi anche con figli di divinità non presenti in questa lista, eccezion fatta per Bast, Horus, Amon, Ptah, Nut, Geb e Atum.
Ogni divinità può essere prenotata una volta sola, quindi, chi prima arriva meglio alloggia!

Anubi (dio che protegge le necropoli ed il mondo dei morti, divinità dell'imbalsamazione)
Bes (dio protettore della sfera domestica e delle partorienti)
Hathor (Dea dell'amore, della gioia e della bellezza)
Iside (dea della maternità, della fertilità e della magia)
Nefti (dea dell'oltretomba e del parto)
Neith (dea della caccia)
Osiride (dio dell'oltretomba e della morte)
Ra (dio del sole)
Seth (dio del caos, delle tempeste e della distruzione)
Sobek (dio delle acque e delle inondazioni del Nilo)
Shu (dio dell'aria)
Thot (dio della luna, della sapienza,della scrittura, della magia, della misura del tempo, della matematica e della geometria)


 
Dei Disponibilità
Anubi Occupato
Bes Occupato
Hathor Occupato
Iside Occupato
Nefti Occupato
Neith Occupato
Osiride Occupato
Seth Occupato
Sobek Occupato
Shu Occupato
Thot Occupato
Ra Occupato


...e questa è la scheda che dovreste completare ed inviarmi tramite mp.
Ricordatevi che più sarete precisi e puntigliosi (della serie, scrivetemi pure un poema di cinque pagine ed io non sarò altro che contento) e più io riuscirò a rendere il vostro OC esattamente come lo volete voi.
Non ditemi solo: si chiama Joe ed è biondo e simpatico. Siate fantasiosi e, soprattutto, esigo che vi divertiate u.u


NOME:
SECONDO NOME (se ce l'ha):
COGNOME:
NOME SEGRETO* (facoltativo) :
SESSO:
ANNI:
DATA DI NASCITA:
FIGLIO DEL DIO O DELLA DEA E RAPPORTI CON ESSO:
ORIENTAMENTO SESSUALE:
SITUAZIONE SENTIMENTALE:
ASPETTO FISICO (minimo tre righe):
POTERI PARTICOLARI (sbizzarritevi, ma cercate di essere seri. Non vogliamo che il nostro semidio evochi un unicorno schiacciandosi il pollice, vero?):
ABBIGLIAMENTO TIPICO:
CARATTERE (minimo tre righe):
FAMIGLIA MORTALE E RAPPORTI CON ESSA:
COME HA SCOPERTO DI ESSERE UN MEZZOSANGUE:
ARMA E NOME DELL'ARMA:
SA FARE BENE (nuotare, usare l'arco, dormire, vomitare arcobaleni...):
È NEGATO PER (ballare, mentire, cavalcare i tori...):
GLI O LE PIACE:
NON GLI O NON LE PIACE:
HA PAURA O HA LA FOBIA DI:
È DISPOSTO AD AVERE RAPPORTI CON ALTRI OC (sì o no):
ALTRO :


*Per usare le parole di Sadie Kane: “il ren corrispondeva al nome segreto di qualcuno. Era qualcosa di più di una parola speciale. Il nome segreto è i tuoi pensieri più oscuri, i tuoi momenti più imbarazzanti, i tuoi sogni più grandi, le tue peggiori paure, intrecciati insieme. È la somma delle tue esperienze, anche quelle che mai vorresti condividere. Il tuo nome segreto fa di te quello che sei. Ecco perché un nome segreto ha potere. Ed ecco anche perché non basta semplicemente sentire qualcuno pronunciarlo, per sapere come usarlo. Bisogna conoscere quella persona e capire la sua vita. Più capisci la persona, più il suo nome porta potere. Puoi arrivare a conoscere un nome segreto solo dal suo proprietario, o dalla persona più vicina al suo cuore”.
Quello di Seth, per esempio, è Giorno Malvagio (??). Può essere usato per costringere un dio a fare ciò che si vuole, per esempio, oppure è necessario conoscerlo per poter fare certe magie. Con il nome segreto, si può persino guarire qualcuno che è ad un passo dalla morte.


PS: non riesco a guardare questa immagine senza pensare a Horus e ad Anubi che fanno un balletto in sincrono.

Rido.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/ae/Souls_of_Pe_and_Nekhen.svg/220px-Souls_of_Pe_and_Nekhen.svg.png
Perché mi fai questo, Wikipedia?


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** So, let me present... (parte uno) ***


So, let me present...
(parte uno)



Anne
 
Anne Taylor amava la Duat's Academy, ma non di certo perché là poteva studiare i suoi cosiddetti “poteri semidivini”. No.
A lei non importava un fico secco di essere per metà una dea, della possibilità di morire con il cervello spappolato da uno strano ibrido o di imparare a gestire la “nobile arte della magia egizia”.
Il punto erano gli amici e, in alcuni casi, i nemici.
E poi, ovviamente, c'era Robb Bennett, ma lui era un caso a parte.
Loro due avevano bisogno di “definire il loro tipo di relazione” molto più di qualsiasi altre persone presenti sulla faccia della Terra.
Erano amici? Conoscenti? Compagni di sventure? Si odiavano?
Anne non ne aveva la minima idea. Sapeva solamente che, in quel momento, stava cantando a squarciagola insieme ad Annelise Hastings una canzone dei Guns n' Roses. Si trovavano entrambe sul letto di quest'ultima e tenevano una spazzola rossa tra le mani come se fosse un microfono.
Annelise aveva sedici anni, ed Anne pensava che fosse una delle persone migliori che le potesse capitare di incontrare.
Erano divenute amiche sin dal primo istante in cui si erano incontrate. L'aveva vista tingere di centinaia di colori differenti le punte dei suoi capelli e diventare pian piano ben più alta di lei.
Era figlia di Nefti, ed era in assoluto la sua migliore amica.
Quel pomeriggio, entrambe avevano deciso che saltare le lezioni di “creazione di Shabti” fosse la cosa più saggia da fare. Nessuna delle due aveva voglia di passare la giornata a tentare di costruire delle statuette magiche senza riuscire a dare loro la forma desiderata. E poi non si vedevano da così tanto tempo che avevano talmente tante cose da raccontarsi che non sarebbero comunque riuscite a concentrarsi su niente.
Anne si lasciò cadere sul materasso insieme ad Annelise, ridendo.
«Questo posto mi è mancato così tanto!» esclamò Anne, mentre buttava il capo sul cuscino e chiudeva gli occhi.
Annelise si sedette, più attenta.
«Com'è andata nel New Orleans?» chiese.
Anne sbadigliò.
«Il solito, lo sai» rispose «ho litigato con mio padre per la maggior parte del tempo. Era fuori di sé perché appena sono arrivata il cane ha cominciato ad abbaiare e non ha più smesso. La sua nuova fidanzata si è presa una camera d'albergo in centro pur di non incontrarmi. L'unico felice di vedermi era mio fratello, ma mi ha comunque sgridata perché non gli ho scritto molto».
Annelise storse il naso.
«Il solito» confermò, poi abbozzò un sorrisetto astuto «almeno adesso sei qui, con Robb».
«Che... che cosa?!» domandò l’altra, sbattendo gli occhi.
Annelise scoppiò a ridere, ed Anne la fulminò con lo sguardo.
«L’hai voluta tu, Liz» minacciò la figlia di Bast, agguantando un cuscino e sollevandolo sopra la testa, pronta a colpire.
Per tutta risposta, l’amica rise ancora più forte.
 
Jack
 
«Potrei batterti anche con una mano legata dietro la schiena, se volessi!».
«Certo. Immagino che tu mi abbia lasciato vincere di tua spontanea volontà, allora, quella volta».
«Ovviamente, mi facevi così tanta pena che...».
Damon Evans, con la sua folta chioma scura da selvaggio, e Layla Cloud, con i suoi occhi verde ambrato contornati di Kohl, si stavano punzecchiando, come sempre.
Se uno l’avesse domandato a loro, entrambi avrebbero certamente risposto che si odiavano a morte a vicenda e niente, assolutamente niente, avrebbe mai potuto cambiare le cose tra di loro.
Jack Windstorm, figlio di Shu e loro grande amico, era di un altro parere, ma non si sarebbe mai neanche lontanamente sognato di esprimerlo ad alta voce.
Forse non poteva vederli, e questo gli impediva di cadere nella trappola delle apparenze, ma riusciva benissimo a sentirli e non poteva fare a meno di sorridere almeno un po’.
Da quando li conosceva, quei due erano sempre insieme.
Anche in quel momento si trovavano proprio di fianco a lui e che, nonostante avessero dovuto concentrarsi sul tentativo di modellare uno Shabti in una forma decente, si stavano invece guardando come se fossero cane e gatto.
Layla stava indubbiamente escogitando la maniera migliore per far perdere le staffe al suo nemico e Damon, al contrario, con ogni probabilità aveva infilato le mani nelle tasche dei jeans e aveva messo su quel suo tipico sorrisetto da piantagrane che, la maggior parte delle volte, aveva il solo effetto di irritare Layla ancora di più.
«Pena?» ripeté Damon, in tono scettico «ma ti senti?».
Jack lo sentì ridere sommessamente, ed alzò gli occhi ciechi al cielo.
Layla inspirò duramente dal naso, come per mantenere la calma.
I braccialetti d’oro che aveva appesi ai polsi tintinnarono, e Jack seppe che la figlia di Neith aveva appena incrociato le braccia.
«Sei solo uno sbruffone, Evans» dichiarò la ragazza, alla fine.
«Senti da che pulpito viene la predica» ribatte Damon, senza smettere di sogghignare «se io fossi in te, Layla...».
«Ragazzi...» intervenne Jack, in tono pacifico, massaggiandosi le tempie con le dita ed abbandonando il suo Shabti sulle sue ginocchia «mi fate venire il mal di testa».
Damon gli batté una mano sulla spalla con fare confortante, per poi circondargli amichevolmente il collo con un braccio.
«Parliamo tra di noi, Jack» propose, alzando il mento con fare orgoglioso «lasciamo questa piccola vipera a bollire nel suo brodo».
«Come mi hai chiamata, scusa?» sibilò Layla «ripetilo, Evans, se ne hai il coraggio».
«Piccola vipera» ripeté Damon, scandendo le parole come se stesse parlando con qualcuno di particolarmente duro d’orecchie «hai capito o devo dirlo di nuovo?».
«Perché non te ne vai a fare un viaggetto di sola andata nella Duat?» propose la ragazza «tuo padre sarà molto felice di averti così vicino, non credi?».
«Preferisco restare qui e farti impazzire» rispose Damon, attaccabrighe «Anubi capirà».
 
Remus
 
Remus Martin non aveva idea di dove si fosse cacciato suo fratello, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare: Robb Bennett lo stava massacrando.
Niente di nuovo, comunque, perché era davvero molto raro trovare qualcuno che potesse anche solo riuscire a sfiorare il figlio di Horus senza incorrere in conseguenze troppo gravi.
«Alza un po’ la guardia» gli consigliò Robb, mentre avanzava di un passo e gli puntava contro una sciabola sin troppo affilata.
Remus indietreggiò di conseguenza, senza poter fare altrimenti.
Quando stava cominciando a pensare che Robb lo avrebbe fatto a fettine, il ragazzo si fermò ed abbassò la sua spada.
«Bel lavoro, Remus» si congratulò, per poi voltarsi verso il resto dei ragazzi ed esclamare: «cambio d’armi e di avversario!».
E corse via.
Remus si ritrovò come nuova compagna una ragazza.
Una ragazza molto carina, notò, dai lunghi ricci color cioccolato in disordine a causa dell’allenamento.
I suoi occhi erano splendidi: di un colore imprecisato tra il verde e l’azzurro, così magnetici che quelli ambrati di Remus ne rimasero totalmente catturati.
Da quanto ne sapeva lui, si chiamava Zoey ed era figlia di Sobek. Anche se a prima vista non lo avrebbe detto, Remus sapeva con assoluta certezza che quella ragazza era una forza nel combattimento.
La prima cosa che riuscì a pensare Remus fu “oh, wow...”, per poi ricordarsi che lei era davvero brava ad usare la spada e dirsi “oh, accidenti”.
Prima Robb, e adesso Zoey. Lui non era male a combattere, ma farlo contro quei due era una partita persa in partenza.
Quella non era di certo la sua giornata.
Zoey dovette accorgersi del suo tentennamento, perché gli rivolse un sorriso rassicurante.
«Remus Martin, figlio di Hathor, giusto?» chiese poi, mentre sceglieva l’arma con cui combattere.
«Giusto» rispose Remus, inquieto.
Il ragazzo si chiese se Zoey avrebbe scelto una lancia, una spada o una bomba a mano per distruggerlo.
Era abbastanza certo che lei sapesse utilizzarle tutte e tre nel migliore dei modi.
Zoey gli porse la mano, mentre con l’altra afferrava una delle spade dell’accademia.
«Sono Zoey Mason» si presentò «piacere di conoscerti».
Remus strinse la mano tesa della ragazza, perplesso.
Non pensava ci fossero molte persone, lì alla Duat’s Academy, che sapessero esattamente chi fosse lui. O, per lo meno, che si interessassero alla sua esistenza.
Magari, i figli di Sobek leggevano nel pensiero?
Non gli risultava, ma con la mitologia non si poteva mai sapere.
«Piacere mio» rispose lui, in un sorriso.
 
Simon
 
Eric Dixon saltellava intorno a Bes come un bambino iperattivo che si è appena scolato una dose eccessiva di caffè, e Simon non poteva fare altro che guardarlo con un sopracciglio inarcato e tamburellare con la penna sul suo banco, sperando che Eric la piantasse o che Bes si decidesse a degnare il figlio dell’attenzione che tanto agognava.
Lo stavano distraendo ed irritando.
Insomma, per distrarre ed irritare Simon Walker non ci voleva poi molto, e la situazione non stava per niente conciliando la sua concentrazione sul test che avrebbe dovuto svolgere. Non che ne conoscesse le risposte, figuriamoci, non le conosceva mai, ma la mente di Simon era piuttosto contorta: non gli piacevano le persone irritanti ma gli piaceva essere irritato, e ciò lo rendeva il sedicenne più irritato, strano e confuso dell’intera accademia.
Eric era il suo completo opposto.
Simon non ricordava di averlo mai visto fare niente di diverso dal ridere, ridere e... ridere.
In quel momento stava cercando di mostrare a Bes il suo foglio del test, passandosi continuamente le dita tra i capelli castani, come se ci fosse davvero bisogno di spettinarli ulteriormente.
Era una scena piuttosto buffa, perché Eric, per quanto basso potesse essere, era comunque più alto del dio, il quale continuava a lanciargli rapide occhiatine di disappunto.
«Dai papà, me lo correggi?» stava supplicando il ragazzino «ti prego, sono certo che questa volta non ho sbagliato niente».
Bes lasciò perdere le carte che stava osservando per rivolgere al figlio una lunga occhiata.
«Eric, come ti ho già detto le altre trecentonovantaquattro volte che me l’hai chiesto: no» rispose «posalo insieme agli altri, correggerò il tuo test insieme a quelli. Solo perché sei mio figlio, non ti tratterò in maniera differente dai tuoi compagni».
Eric mise su un’espressione risentita e le sopracciglia gli si aggrottarono sopra agli occhi grigi.
«Ma...» cominciò, ma Bes lo interruppe immediatamente.
«Walker?» chiamò il dio, esasperato «invece di startene lì senza fare niente a fissarci come se fossi preda di una delle visioni futuristiche di tuo padre, potresti, per favore...?».
Simon non rispose, un po’ accigliato dal fatto che fosse stato tirato in ballo suo padre, ma non se lo fece ripetere due volte. Si limitò ad alzarsi dal suo banco e a consegnare il suo test all’insegnante, per poi rivolgere un’occhiata talmente penetrante ad Eric che lo fece rabbrividire.
Con grande sorpresa del ragazzo, Simon lo afferrò per i capelli, quelli sottili e dolorosi che si trovano in fondo alla nuca, e lo trascinò fuori dall’aula mentre Bes gli gridava dietro che gli aveva chiesto di allontanare suo figlio e non di maltrattarlo.
«Mi hai fatto male!» si lamentò Eric, portandosi una mano dietro la testa.
«Lo so» commentò Simon, abbozzando uno dei suoi tipici sorrisetti sarcastici «ti è piaciuto?».
«Non molto» bofonchiò Eric, incrociando le braccia.
«Esattamente come a me non va a genio tutto il baccano che fai» ribatté l’altro, arricciando il naso ed infilandosi le mani dentro le tasche della tuta «bah, ti salvi solo perché sei carino».
Eric dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto di che cosa l’altro avesse detto, ma quando finalmente si riscosse, per fortuna, Simon gli aveva già voltato le spalle.
                                                                                                                                        
Keller

Raksha “Keller” Banks fissava Bellamy Black dritto negli occhi, ghiaccio contro terra fertile, la mano destra stretta in quella del ragazzo in un gesto inequivocabile.
«Arrenditi, Keller» fece Bellamy, in un sorriso scaltro «non puoi battermi a braccio di ferro».
Keller ribatté con un sorrisetto attaccabrighe, mettendo più forza nella sua spinta.
Bellamy aveva una forza incredibile e lei sapeva che, al confronto con  lui, lei non era altro che un moscerino.
Bellamy si stava chiaramente trattenendo dallo schiacciarla, ma lei finse di non accorgersene.
«Avanti, Mr Macho, dovresti saperlo che io non mi arrendo mai» rispose, in tono di sfida.
Bellamy le regalò un sorriso arrogante dei suoi, concentrandosi anche lui.
«Lascia perdere, principessa» sibilò, qualche istante dopo.
L’altra arricciò le labbra in un sorrisetto provocatorio.
«È una minaccia, Black?» domandò, assottigliando lo sguardo.
«È un consiglio» rispose il ragazzo, sistemandosi meglio il braccio sul tavolo «arrenditi adesso e ti riduco la pena della scommessa, che te ne pare?».
«Ah-ah» rispose Keller, facendo cenno di “no” con l’indice della mano libera «non mi freghi, Black. Pulirai tu quel dannato bagno. Da solo».
«Cosa te lo fa pensare?» fece Bellamy, inarcando un sopracciglio.
«L’idea di salire sul tetto è stata tua» commentò Keller, arricciando il naso «quindi è giusto che sia tu a fare la cosa più disgustosa».
«Non mi pareva che ti dispiacesse poi così tanto, principessa, quando l’ho proposto» ribatté Bellamy «e poi, se tu non ti fossi lasciata beccare da Bes mentre andavamo a prendere Derek e...».
«Bes ha beccato te, non me, Mr Spalle-Troppo-Larghe» precisò Keller, sbuffando.
Bellamy alzò gli occhi al cielo ed allentò un po’ la presa sulla mano dell’amica che ne approfittò.
Il dorso della mano di Bellamy sfiorò il legno del tavolo.
Keller schizzò in piedi.
«Ah!» disse «ho vinto! Non pulirò il bagno!».
Bellamy stralunò gli occhi e s’infilò le mani nelle tasche.
«Ora non montarti la testa, ragazzina» borbottò.
Keller si abbassò di nuovo alla sua altezza e gli spettinò giocosamente i capelli scuri con una mano, poi si rialzò e corse a prendere un disinfettante.
«È tutto tuo» disse, in un sorriso smagliante, mentre porgeva l’oggetto all’amico «ti servirà: fanne buon uso».
Bellamy agguantò il disinfettante come se si trattasse di un guanto di sfida.
Si alzò e la squadrò per un istante dall’alto verso il basso, per poi rivolgerle una buffa riverenza, fingendo di indossare un pomposo abito da gran dama del milleottocento.
«Tante grazie, sua reale infernalità».
 

Angolo del Nomade:
Ciao a tutti, ragazze e ragazzi!
Intanto ringrazio tutti quelli che partecipano, che seguono la storia e che leggono.
Sono così commosso che vi bacerei tutti (?), ma qualcuno potrebbe non trovarlo piacevole, quindi evito.
...Ok, questa potevo risparmiarmela u.u
 
In questo “capitolo” vi ho presentato questi nuovi personaggi:


Annelise Hastings, figlia di Nefti.
Damon Evans, figlio di Anubi.
Layla Cloud, figlia di Neith.
Jack Windstorm, figlio di Shu.
Remus Martin, figlio di Hathor.
Zoey Mason, figlia di Sobek.
Eric Dixon, figlio di Bes.
Simon Walker, figlio di Shai.
Bellamy Black, figlio di Onuris.
Raksha “Keller” Banks, figlia di Osiride.


E abbiamo trovato i punti di vista di:
Anne Taylor;
Jack Windstorm;
Remus Martin;
Simon Walker;
“Keller” Banks.

Fatemi sapere quanto sono disastroso, ci conto u.u

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2799763