Afterlife. di Biebersbreathe (/viewuser.php?uid=178961)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo ***
Prologo.
“La nebbia si dirada, le grida si fanno
più forti e il colore rosso si
unisce al nero. È buio, ma il fuoco illumina la zona quanto
basta. C’è odore di
sofferenza, di dolore, di peccato. C’è odore di
morte. E in mezzo, tra tutta la
folla, c’è una piccola luce. Una luce che vedo
solo io. È la speranza.”
Capitolo uno.
Una luce forte mi ferisce le
palpebre, rendendo tutto bianco
accecante. Ci metto qualche minuto a trovare gli arti e muovo le dita:
bene,
dovrei essere viva. Sento il petto alzarsi e abbassarsi piano ed in
sottofondo
il lieve battito del mio cuore. Dove sono gli occhi? Scopro di averli
serrati:
la luce è talmente forte da penetrare attraverso le
palpebre. C'è anche un
lieve dolore in basso, forse nei pressi del fianco destro, ma non so
dirlo con
precisione. Con uno sforzo notevole apro gli occhi, che subito
lacrimano per la
forte luce e mi portano un fastidioso mal di testa. Dove sono? Anzi,
soprattutto, chi sono? Non mi ricordo nulla. Viva lo sono...credo.
Appoggio le
mani e, facendo forza, tiro su la schiena e mi metto seduta.
È tutto bianco:
pavimento bianco, corridoio bianco e muri bianchi. Nessun mobile,
nessuna
porta, niente di niente. Figo, sto sognando il Paradiso! Un po'
inquietante,
però. Abbasso lo sguardo su di me: "Che cazzo
è?", penso, sorpresa
dal colore del mio corpo. Sono avvolta in una specie di tunica bianca
opaca
lunga fino al ginocchio; sotto, il mio corpo riflette il pavimento:
sono quasi
trasparente. Lo sapevo di essere allergica ai funghi, ma mia mamma- che
in
questo momento non ricordo chi è- ieri sera ha voluto farli
lo stesso ed ora mi
trovo a sognare queste cose assurde. Sento un lieve sospiro dietro di
me e
sobbalzo, girandomi di scatto. Accanto all'unica porta della stanza,
che non
avevo visto perché è alle mie spalle, sta
appoggiato un ragazzo. Ha la pelle
della stessa consistenza della mia, un paio di pantaloni bianchi e una
maglietta a maniche corte bianca; il volto ha un'espressione annoiata,
gli
occhi azzurrissimi e i capelli biondi chiari, quasi bianchi. Tutto
questo
bianco è preoccupante.
"Io gliel'avevo detto.", borbotta
alzando gli
occhi al cielo. Come fa a farlo? A me bruciano gli occhi. Fa un mezzo
sorriso e
mi guarda:
"Ti ci abitui alla luce dopo tanti
anni."
Oddio, è Edward Cullen!
Stavolta alza un sopracciglio:
"Chi?", mi chiede.
Ok, fa paura.
"Puoi smetterla di scavarmi nel
cervello, per
favore?", sbotto e mi alzo, avvicinandomi a lui barcollando.
Lui sospira ancora: "Preferivo
rimanessi seduta, non so
se reggerai la spiegazione.", si avvicina anche lui e mi tocca una
spalla.
Sento il tocco, quindi la pelle trasparente non ostacola il tatto.
Buono a
sapersi. Il ragazzo trattiene un sorriso, poi mi fissa a lungo negli
occhi,
serio.
"Ti ricordi chi sei?", chiede.
Ci penso su un attimo, ma niente sale
alla memoria.
"Mi ricordo solo che sono allergica
ai funghi.",
mi arrendo.
Lui mi guarda con una smorfia strana,
mezza compassionevole,
mezza divertita. Non so, forse mi prende in giro. Perché
questo sogno non
finisce? La sua testa improvvisamente scatta verso di me, e sposta la
mano
dalla mia spalla.
“Sogno?”, e nel
dirlo la sua voce sfiora il falsetto. Questo
tipo mi sembra un po’ disturbato mentalmente, la mia testa
è brava a creare
questi dettagli irreali! Potrei andare ad un corso per registi di film
mentali.
“Ascolta- interrompe il mio
flusso di pensieri- è meglio che
ti siedi di nuovo. Bisogna spiegarti alcune cose e, purtroppo, tocca a
me
farlo.”, conclude sbuffando. Già mi odia, che
bello.
Faccio come dice e mi risiedo sul
pavimento, mentre lui mi
segue e si mette a gambe incrociate seduto di fronte a me. Mi fissa a
lungo,
forse incerto su che parole usare, mentre io fisso i suoi occhi azzurri
chiari
con alcune pagliuzze dorate. Il blu mi ricorda qualcosa…ma
cosa?
“Ti ricorda il mare,
suppongo. Amavi andarci quando eri…no,
non posso iniziare così.”, si blocca. Eh? Non ho
capito. Non potrebbe essere un
po’ più chiaro? Sospira per la terza volta.
“Mi chiamo Shamuel, sono
stato mandato per un motivo che non
starò a spiegare e sono disposto ad ogni tuo tipo di
domanda, dopo che avrò
raccontato. Il tuo nome è Gabrielle, vivevi nel Maryland e
avevi diciotto anni.
Genitori protettivi, fratello scapestrato e sorella esemplare. Nessun
fidanzato, due amiche e un amico. Comunque, tra qualche settimana tutti
i ricordi
dovrebbero tornare.”, si zittisce un attimo.
Perché sta parlando al
passato? Perché dovrei restare qui
qualche settimana se è solo uno stupido sogno?
Perché questo tipo mi sta
dicendo queste cose? Perché mi stanno venendo in mente
brutti pensieri?
“E ora la parte
difficile.”, mormora tra se’. Chiude gli
occhi e si passa una mano sulla fronte, cercando di spianarla. Io,
intanto,
tremo. Ho paura di cosa sta per dire, ho paura di quello che sto
pensando possa
essere.
“Gabrielle…-riapre
gli occhi- tu sei…sei nel Purgatorio.”
Silenzio.
“Mi prendi per il
culo?”, sbotto. Non può essere. Non posso
essere…No. Punto. Non esiste Dio, non esiste tutto
quest’assurdo posto bianco.
Al diavolo i funghi e mia madre.
“Io gliel’avevo
proprio detto.”, sussurra, guardandomi male.
Detto a chi? Che cosa?
Come al solito, lui risponde ai miei
pensieri: “Al Signore.
Gliel’avevo detto di spedirti all’inferno, ma lui
dice che chi si converte in
punto di morte ha diritto ad un’altra
possibilità.”
Sono stata così terribile
in vita da meritare l’inferno? E
poi, che cavolo, non esiste il ‘Signore’.
“Vedi?- dice- Stai peccando
del peggiore dei peccati. Non
credi nemmeno nella sua esistenza e men che meno ti ricordi di esserti
convertita. Io ho provato a dirglielo, ma niente! Non mi ascolta
mai.”, stringe
la mascella. Dev’essere proprio uno che conta poco qua dentro.
“Sì, grazie per
avermelo ricordato.”, mi dice sarcastico.
Ops.
Non riesco neanche a essere
dispiaciuta per me o per la mia
famiglia: non ricordo niente! Tra qualche settimana probabilmente
striscerò dal
dolore, meglio prepararsi psicologicamente. Chissà quanto stanno soffrendo le persone che amavo: non lo so, non so nemmeno chi siano. Che poi,
è vera tutta
sta storia o questo Simon mi sta prendendo in giro?
“Shamuel.”, mi
corregge. Si beh, lui. Comunque, se riesce a
carpire i miei pensieri e se continuo a non
svegliarmi…qualcosa sotto c’è.
Potrei provare a pensare al mio numero preferito.
“Ventisei. Smettila,
Gabrielle.”, mi dice trattenendo un
sorriso. Sono nel Purgatorio. Sono…
“Morta. Sì, sei
morta.”
Aye.
Finalmente
mi sono decisa a postare una storia.
Dopo
milioni di bozze e ripensamenti, grazie a due amiche insistenti ce l'ho
fatta.
Grazie
alla mia migliore amica Roberta per aver creduto in ogni mia storia,
e a Julia,
senza la quale non sarei qui a postare adesso. Grazie per avermi
sopportato.
Spero
vi piaccia.
Chiara
:).
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo ***
Capitolo due.
“Come?”
Tra tutte le domande che mi
stanno
vedendo in mente in questo momento, la prima che mi sale alle labbra
è questa. Come potrebbe una ragazza di diciotto anni morire
di
colpo? Ero malata? Non mi ricordo, ovviamente. E poi, potrei essere
davvero in un sogno, ma questo lo scoprirò andando avanti.
“Stavi tornando a
casa da una festa,
ti hanno investito.”, Shamuel fa spallucce, come se per lui
fosse
normale. Chissà quanti morti accompagna in giro ogni giorno.
“Molti, ma
credimi tu sei la più
fastidiosa di sempre.”, commenta. È lui che
è antipatico, non è
colpa mia. Alza gli occhi al cielo, lo fa spesso, e mi guarda male.
Ma se è una specie di angelo…non dovrebbe essere
disponibile,
dolce, pieno di amore divino e senza rancori? Insomma, io sbatterei
lui all’Inferno.
“Tralasciando…-mi
sgrida con lo
sguardo-Sono qui per riportarti il messaggio del Signore. Come ho
potuto e, sia lodato il cielo, ha potuto notare anche lui, tu non sei
totalmente adatta al Purgatorio, eppure nemmeno così cattiva
da
rientrare nell’Inferno. Questo comporta un cammino di
purificazione
e di perdono, che ti possa far rientrare tra le anime che aspireranno
al Paradiso.”, spiega gesticolando.
Fantastico, ora devo girare
con un
cartello con scritto ‘dico parolacce e non credo in
Dio’. Non lo
metto nemmeno se Shamuel me lo cuce sulla pelle. Potrei accettare
solo se lui ne mette uno con scritto ‘mi sento superiore ma
non mi
ascolta nessuno’. Questo sarebbe divertente.
“Se non smetti di
insultarmi
mentalmente ti cucio veramente qualcosa addosso.”, sbotta.
Ecco,
appunto, uno così non c’entra niente al fianco di
Dio.
“Comunque, cosa
devo fare?” parlo
per la prima volta. Lo shock non arriva, i ricordi nemmeno, io non mi
sveglio, per cui l’unica cosa che posso fare è
stare a quello che
Shamuel dice.
“Devi perdonare
colui che ti ha
ucciso, la persona che guidava la macchina la notte che sei stata
investita.”, spiega mordicchiandosi il labbro. Sembra agitato.
“E come faccio?
Scendo in terra
versione Casper?”, chiedo perplessa. Ci sarà
qualche strano potere
angelico stile film di fantascienza? Magari mi danno una spada laser!
“Gabrielle, ho
parlato di cammino. La
persona che ti ha investito è morta dopo l’urto, e
si trova
esattamente…all’Inferno. Dovrai andare
la.”, mi guarda di
sottecchi, aspettandosi una mia reazione.
E arriva.
“Morta? Oddio!
Chi è? Quanti anni
ha? È maschio o femmina? Come faccio a riconoscerlo? Mi
accompagni,
vero? Ti prego, non ci posso andare da sola!”, balbetto
velocemente, in preda all’ansia. Sono cattivi
all’Inferno,
giusto? Non voglio incontrare nessuno! E soprattutto, non penso di
essere capace di perdonare qualcuno che mi ha tolto la vita. Magari,
poi, non l’ha fatto apposta.
Shamuel ride:
“Ah, adesso ti servo?
–sospira, tornando serio- Mi dispiace, non posso darti
notizie
sulla persona in questione. Comunque sì, sarai accompagnata.
Vieni,
ti voglio presentare una persona.”, m’indica la
porta bianca
dietro di lui e, senza aspettare la mia risposta, entra dentro,
sparendo alla mia vista.
Ho come
l’impressione che non sarà
lui la mia guida.
***
Mi chiudo la porta dietro
alle spalle e
prendo un lungo respiro, inutile dato che sono morta, prima di
girarmi. Per poco non mi viene un colpo, ma soffoco le parolacce che
vorrei tirare fuori, beccandomi un’occhiata riconoscente da
Shamuel, che è alla mia sinistra.
Sono sull’orlo di
un precipizio.
Dovunque io mi volti, è tutto bianco. Alla mia destra
c’è una
parete rocciosa, anche se non vedo come sia possibile
l’esistenza
di una roccia bianca. Alla sinistra, dietro Shamuel,
c’è una scala
ripidissima, con i gradini di un colore quasi grigiastro. E davanti,
il nulla. Una luce bianca illumina lo spazio vuoto e, chinandomi,
vedo che è un burrone senza fine. Non
c’è niente: nessuna anima,
nessuna stanza. Sento la mano di Shamuel sulla schiena, mentre mi
sospinge verso la scala.
“Forza, saliamo
al piano superiore,
ti faccio conoscere chi sarà il tuo
accompagnatore.”, mormora al
mio orecchio, mentre iniziamo a salire i gradini. Spero non ce ne
siano troppi, ho sempre odiato andare a scale.
Al piano di sopra,
finalmente, qualcosa
cambia. È una sala più piccola, sempre bianca, ma
con qualche pezzo
di arredamento. C’è una gruccia appendiabiti cui
è appeso un
cappello grigio, sul fondo ci sono una scrivania e una sedia. I muri
sono bianchi, spiccano il grigio del copricapo, la sedia marrone e il
pomello di una porta, situata dietro la scrivania. Seduto a braccia
conserte sulla sedia c’è un uomo sulla
cinquantina, ha i capelli
brizzolati, gli occhi scuri e lo stesso abbigliamento di Shamuel. Mi
guarda senza lasciar trapelare alcuna emozione, sembra quasi
scrutarmi dentro. Rimaniamo così, in silenzio, fino a che
non si
alza.
“Benvenuta,
Gabrielle Peters. Mi
chiamo Edward Bloom e sono il responsabile di gran parte di questo
regno. Mi occupo di far sì che tutto quadri, che ognuno
rispetti la
propria posizione e che siano seguiti i comandamenti
divini.”, si
presenta, porgendomi una mano. La stringo e abbozzo un sorriso
debole.
“Piacere mio,
signore.”, mormoro.
Mi incute un certo timore.
Lascia andare la mia mano e
ricambia il
sorriso: “Spero che tu sarai dei nostri, dopo il cammino che
ti
spetta. Ora, vorrei presentarti colei che ti accompagnerà
nel tuo
lungo viaggio. Sebbene avrei preferito affidarti a Shamuel, Deborah
deve farsi perdonare per un piccolo peccato, e quale modo
migliore?”,
ride leggermente, accarezzandosi il mento. Solo per me è
inquietante? Sembra proprio una persona subdola, ma è meglio
smettere di pensarlo, in caso possa scavarmi nel cervello come fa
Shamuel.
“Per piacere,
potrei essere
accompagnata anche da Shamuel?”. Stupendo me stessa, Shamuel
e il
signor Bloom, queste parole mi rotolano fuori dalle labbra prima che
possa trattenerle. “E’ che…-aggiungo
subito- non conosco
nessuno ed è stato il primo che ho
incontrato…”, sembra una
motivazione debole, ma è così.
I due si scambiano
un’occhiata,
quella di Shamuel è confusa e rassegnata: mi odia. Oh, come
mi odia.
Si gira di scatto verso di
me: “No
che non ti odio, che dici?”, sbuffa. Sì, certo
certo.
Alzo gli occhi al cielo
poi, quando li
riabbasso, vedo una figura entrare silenziosa dalla porta. È
una
ragazzina forse più piccola di me, ha i capelli biondi
lunghissimi e
lisci, gli occhi enormi marrone scuro e una tunica uguale alla mia,
con l’aggiunta di una cintura dorata in vita. Mi fa un cenno
con la
mano, arrossendo.
“Ciao
Debby.”, la saluta Shamuel
con un sorriso. Lei arrossisce ancora di più, sorridendo
solo.
“Bene.-interviene
Bloom- Shamuel,
spetta a te decidere. Per me potete andare entrambi, basta che
soddisfiate i desideri di nostro Signore. Ci metterete circa una
settimana a scendere nell’Inferno e potrete stare la per un
massimo
di quindici giorni, poi dovrete tornare. Sapete la strada. Buona
fortuna.”, ci congeda senza nemmeno guardarci. Ha gli occhi
fissi
su un documento che ha sulla scrivania.
“Signore?”,
lo chiamo. Voglio
sapere una cosa. Lui alza gli occhi e mi sorride, incitandomi a
continuare. “Mi può dire qualcosa sulla mia vita
da viva?”
chiedo abbassando lo sguardo fino a fermarmi sui miei piedi nudi.
Cavolo, dovrò camminare così sulla roccia? Ahi.
“No, Gabrielle.
Lo ricorderai a tempo
debito. Ora andate, ho delle faccende da sbrigare.”, in
maniera
decisiva chiude il discorso. Immaginavo una risposta del genere.
Sento una mano sulla
schiena che mi
spinge verso la porta, proprio come prima, e almeno penso che ci
sarà
Shamuel a farmi compagnia. E Deborah mi sembra una a posto. Forse ce
la posso fare.
Salve c:
Ho aggiornato presto oppure Julia mi avrebbe uccisa.
Mi dispiace che dobbiate aspettare un po' per l'arrivo di Justin,
e che i capitoli all'inizio non siano lunghissimi.
Anyway, fatemi sapere :)
Chiara<3
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo ***
Capitolo terzo.
Due giorni dopo,
sono dell’idea che
avrei decisamente preferito scendere sulla terra versione Casper.
Questo viaggio è noioso come la morte stessa, e non sto
scherzando.
Siamo solo al terzo giorno e mi sembra di essere imprigionata qui da
sempre. E’ tutto, e
dico tutto, bianco. I vari
‘piani’ non si distinguono nemmeno: in tutti
c’è una
moltitudine di anime che vagano in uno spazio immenso bianco.
Parlano, fluttuano e parlano ancora. Tutto il giorno. Tutti i giorni.
Spero di fallire nel viaggio e finire all’inferno, qualunque
cosa
sarebbe più divertente di questo.
“I
tuoi pensieri mi urtano ogni
giorno di più.”, commenta laconico Shamuel. Per
non parlare di
lui! Saluta dieci anime per piano credendosi il re solo
perché li
conosce tutti. Saranno trecento anni che è qui, per forza sa
chi
sono.
“Ciao
Shamuel!”, un’anima si
avvicina e sventola la mano in direzione della mia guida. Che avevo
detto? Alzo gli occhi al cielo: credo che Dio mi odi. Secondo me si
sta rendendo conto del suo errore.
“Gabrielle!”,
mi chiama Deborah.
Lei, invece, è una ragazza splendida. È molto
timida ma mi spiega
le cose con calma e, non si sa come, riesce a sopportare Shamuel.
Sarà per questo che è nel Purgatorio.
“Dimmi.”,
le sorrido, avvicinandomi
a lei, che è pochi passi più avanti. Mi indica la
prossima rampa di
scale che dobbiamo scendere: al fondo, immobile,
c’è una figura. È
un angelo.
“Porca
miseria!”, esclamo a bocca
aperta. Shamuel accanto a me sbuffa, forse per l’esclamazione
poco
appropriata. La figura alata cattura tutta la mia attenzione:
è un
ragazzo parecchio alto, i capelli neri spettinati e lo sguardo fisso
davanti a se’. Ha le braccia incrociate e la fronte
corrucciata,
sembra stia riflettendo su qualcosa. È vestito come tutti i
maschi
del regno: pantaloni bianchi e maglietta bianca a maniche corte. Ma,
ovviamente, la cosa più spettacolare sono le ali sulla sua
schiena.
Sono enormi, costellate di piume che sembrano sofficissime, e si
muovono leggermente, come sospinte da un vento invisibile.
Prima che
Shamuel possa capire le mie
intenzioni, mi fiondo giù per le scale, sentendo Deborah
ridacchiare
e Shamuel sussurrare qualcosa che suona molto come “Dio,
perché?”.
Quasi cadendo, raggiungo l’angelo e mi piazzo davanti a lui.
Trattengo il
fiato vedendo i suoi
occhi: sono colore del ghiaccio, bianchi quasi quanto le pupille.
“Gabrielle non guardarlo!” sento Shamuel urlare.
Per mia
sfortuna, anche l’angelo lo sente, e abbassa lo sguardo su di
me. È
un attimo, poi una forza sconosciuta mi porta via da lì.
C’è
odore di erba fresca,
portato dal vento lieve che scuote le piante. Sono seduta su un prato
e guardo mio fratello giocare a pallone con due suoi amici. Strano
che sia cosciente e non ubriaco, come al solito.
“Che
figo.”, commenta una
voce accanto a me. È la mia migliore amica, Abby. Ha sempre
avuto
una cotta per mio fratello, ma per me è solo un cretino.
Faccio
spallucce, immune al fascino di Marko.
Una
luce bianca fa svanire il
prato, Abby e Marko. Ora sono in un pub, accanto a me ci sono gli
altri due miei amici, Kevin e Clarisse. C'è odore di fumo
misto ad
alcool, nell'aria. Il barista sta servendo birre instancabilmente da
un paio d'ore, sorridendo a tutti con cortesia. Non potrei mai fare
un lavoro del genere. Abby mi sorride, indicando un punto lontano:
mio fratello sta entrando nel locale con quattro suoi amici. Ridono
ad alta voce e fischiano alle ragazze. Ho sempre cercato di evitare
queste scene, ed ora me lo trovo di fronte. Ma lui, tanto, nemmeno mi
nota. Quando lo vedo afferrare una ragazza a caso e incominciare a
parlarle, mi giro dall'altra parte. Vorrei che mio fratello fosse
diverso? No. Mi basterebbe solo che gli importasse qualcosa di me.
Abby
sospira, al mio fianco. Poi
mi guarda indecisa: “Se ci provo con tuo fratello non te la
prendi,
vero?” mi chiede. Vorrei dirle che ne uscirà
più devastata che
mai, perché da lui non ci si può aspettare
niente, ma scuoto la
testa, e la vedo avvicinarsi a lui.
La
scena cambia, e sono a cena.
C’è un silenzio irreale che sarebbe strano in una
famiglia
normale, ma non nella nostra. Mio papà, un uomo sulla
cinquantina,
capelli quasi tutti grigi e occhi verdi, sta al telefono anche mentre
mangia, per lavoro. Mamma, capelli biondi per la tinta e occhi
marroni, si osserva la manicure fresca e mangia poco per tenersi in
forma. Mia sorella, di fronte a me, legge un libro intitolato Guida
ai lavori utili alla comune società e mio fratello, accanto
a me,
smanetta sul telefono, emanando un odore di fumo e alcool. Sospiro,
sperando che la cena finisca presto.
“Forse
potrei fare la…”,
inizia mia sorella, ma è subito interrotta dal
‘vaffanculo’ di
Marko. A nessuno interessa cosa vorrebbe fare Janet, nemmeno a me.
L’ho sempre odiata, è falsa e forse peggio del
Marko ubriaco. È
viziata, tale quale a mamma. A quel punto Marko si alza e butta tutto
il contenuto del piatto nel lavandino. Prima di uscire si volta verso
di me: “Dì alle tue patetiche amiche di starmi
alla larga.”
La
cucina si fa sfocata e
l’ambiente cambia ancora. Sono a una festa, anche se le odio.
Sono
venuta a fare compagnia ad Abby e agli altri due miei amici, Kevin e
Clarisse. Tutti si stanno mangiando le facce, baciandosi con
qualcuno, ed io ho bisogno di aria. So che non devo uscire da sola,
ma è necessario ora o rischio di svenire. Spingo via i corpi
sudati
che ballano al rumore assordante della musica e vedo un quadratino
blu in lontananza: cielo. Punto verso la porta e la raggiungo con
fatica, ormai sudata e in preda ad un attacco di claustrofobia.
L’aria che mi sbatte contro il viso è un
toccasana, mi sembra di
rinascere. Fuori, i ragazzi si scambiano canne e per terra è
pieno
di bottiglie di vodka vuote. Mi allontano per evitare il fumo passivo
e mi avvicino alla strada: merda, così sembro una
prostituta.
Mettendo bene a fuoco la strada, noto che dall’altra parte
c’è
una fontana. Dio, acqua, benedetta acqua. Quasi sorrido e, senza
nemmeno guardare, attraverso.
“Cristo!”
sento urlare. Una
luce gialla m’investe, mi giro giusto in tempo per vedere una
macchina nera enorme venirmi addosso. E, prima di venire sbattuta
contro il marciapiede e vedere tutto nero, vedo gli occhi del mio
assassino: sono dorati, e stupidamente penso che sono proprio come lo
sciroppo d’acero.
“Gabrielle?
Gabrielle! Mi senti?”,
sento qualcosa che mi scuote la spalla e una voce che mi chiama.
Sbatto le palpebre, ma non riesco a mettere a fuoco la scena.
C’è
qualcosa di bagnato che mi offusca la vista: sto piangendo. Mi sfrego
gli occhi con una mano, fino a che non sono totalmente asciutti.
Finalmente, ricordo.
“Ehi?”,
la stessa voce, Shamuel, mi
richiama e il suo volto compare nella mia visuale. Sembra
preoccupato, mi alza il mento con la mano e mi guarda negli occhi.
Devo far paura.
“No,
sei solo un po’ scossa.”, mi
sorride e si rialza, tendendomi una mano. Benché instabile,
riesco a
mettermi in piedi e a vedere dove sono: sì, ora ricordo.
Accanto a
me c’è Deborah e, di fianco a lei,
l’angelo. Sobbalzo e mi
allontano, cercando di non fissarlo negli occhi. Non pensavo che i
ricordi mi avrebbero fatto così male.
“Mi
dispiace.”, sento dire da una
voce nuova. Dev’essere lui.
“Non
è colpa tua, Jason, avremmo
dovuto dirglielo.”, borbotta Shamuel. Sembra persino
arrabbiato con
se stesso e sì, decisamente avrebbero potuto dirmelo.
Deborah si
avvicina a me e mi accarezza una spalla, sorridendomi nervosa.
Ricambio, e mi sciolgo leggermente.
La mia famiglia
era un disastro, forse
è persino meglio stare qua che essere ancora viva. Scommetto
che i
miei genitori non se ne sono nemmeno accorti, scommetto che Marko
è
troppo ubriaco per farci caso. Per non parlare di Janet…lei
starà
cercando riviste mistiche sugli omicidi da investimento. Ancora
peggio: i miei amici saranno al bar a divertirsi come se non fossi
mai esistita. Non mi mancano nemmeno un po’, ed è
questa la cosa
più dolorosa.
“Noi
dovremmo…andare avanti.”, mi
sussurra Deborah. Sì, devo continuare. Per cosa poi? Ah,
giusto,
perdonare colui o colei che mi ha ucciso. Forse, a questo punto,
potrei anche fallire e restarmene all’Inferno per sempre.
Accanto a me,
Shamuel mi fissa
intensamente. Penso sia d’accordo con me: dopotutto, al
fianco di
Dio non mi ci vedo proprio. Davvero mi sono pentita in punto di
morte? Non è che se l'è inventato Shamuel per
tenermi buona? Eppure
ero in quella sottospecie di Purgatorio. È un ricordo ancora
sfocato, ma sono sicura che l'ultima patetica cosa che ho pensato
siano stati gli occhi del mio assassino, non una litania religiosa.
Prima o poi chiederò spiegazione a qualcuno, magari a
Deborah,
Shamuel è troppo stressante.
Ops. Mi sta
sentendo. La smetto.
Ignorando
l’angelo nonostante la sua
bellezza, riprendo a camminare verso la prossima rampa di scale e
verso i prossimi quattro giorni del mio cammino.
Ciao
belle c:
Ecco
il terzo capitolo. Justin arriverà intorno al quinto/sesto.
Abbiate pazienza ahah.
Grazie
per chi ha aggiunto la storia alle seguite, ricordate o anche solo l'ha
letta.
E
soprattutto grazie a chi recensisce :)
Spero
di aggiornare Domenica.
Chiara
:).
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quarto ***
Capitolo
quarto
“Quanto manca?”, sbuffo, e il
mio
fiato si condensa in una nuvoletta che fluttua via. Più
scendiamo,
più fa freddo. Penso che arriveremo domani, o al massimo
dopodomani,
colpa del mio andamento da lumaca di mare. Oggi finalmente entriamo
nel regno dell’Inferno, poi scenderemo fino al cerchio degli
assassini. In realtà, ho una paura folle, che cerco di
mascherare
con il solito sarcasmo. Più ci avviciniamo al crimine,
più tutto si
fa buio, le anime diventano tristi e il freddo penetra nelle ossa
senza lasciar scampo. Ora come ora non sono molto sicura di voler
stare per tutta la vita in questo posto.
Mentre Shamuel mi ignora per la mia
domanda (la quinta uguale in due minuti), Deborah ridacchia e mi
risponde: “Direi che ci siamo quasi, un paio di curve e
c’è la
porta di ingresso.”, e poi rabbrividisce. Credo non sia mai
stata
quaggiù. Mi chiedo che cosa abbia fatto di così
grave per entrarci.
Proprio come ha detto Debby, dopo tre
minuti arriviamo davanti ad un immenso portone di legno. È
chiuso
con una serratura stranissima a forma di stella ed è
decorato da
scritte colorate in diverse lingue. Mi viene in mente la Divina
Commedia di Dante, e spero che tutto sia meno pauroso di quanto non
fosse lì. Per fortuna, nessuna traccia di Cerbero.
Shamuel scoppia a ridere: “Non esiste
Cerbero, Gabrielle.” Beh, buono a sapersi. Non era
così ovvio.
Sono tentata di fargli la linguaccia, ma lo vedo concentrato a
sfilarsi un ciondolo dal collo. È una stella dorata, con al
centro
inciso l’occhio simbolo dell’onnipresenza divina.
La mia guida si
fa avanti e inserisce la stella nella serratura cava. Non accade
nulla. Sinceramente, perché dovrebbe? Nemmeno io lo farei
entrare.
Ridacchio sapendo che può sentire i miei pensieri, ma lui
non
risponde, si limita ad alzare un labbro in un sorriso trattenuto.
“Prova con ‘Apriti
Sesamo’. ”,
gli consiglio sussurrando. Poi, con un cigolio sinistro, prima che
lui possa girarsi e insultarmi, la porta si socchiude. Uno spiffero
di aria gelata mi fa rizzare i peli sulle braccia. Ok, respira,
Gabrielle. Andrà tutto bene. Shamuel spalanca la porta e
sparisce al
di là, nel buio fitto. Una lampada no eh? Deborah mi lancia
uno
sguardo terrorizzato e mi indica la porta. Faccio un respiro
profondo, poi avanzo con le gambe di gelatina e mi getto nel buio.
Muovo qualche passo, brancolando, fino a che non sento un paio di
braccia sulle mie spalle.
“Ferma.”, sussurra Shamuel
prima
che io possa urlare. Questo è scemo a sorprendermi
così in un posto
simile. Possibile che non abbiano nemmeno una candela? Un fiammifero?
Sbuffo e mi sfrego le mani sulle braccia, tentando di respingere il
freddo. Una stufa? Sarebbe di grande aiuto.
“Debby? Ci sei?” percepisco
la voce
di Shamuel sui miei capelli, mentre chiama Deborah. Lei risponde con
un gemito, segno che se la sta facendo sotto peggio di me, il che
è
tutto dire. Shamuel, illuminami la via, penso. Lo sento soffocare
un’altra risata, poi una luce bianca (strano!) e fievole
rischiara
la stanza. Siamo in un corridoio circondato da rocce, forse
è una
grotta. Shamuel ha in mano la fonte del chiarore, una boccetta
panciuta con dentro un liquido bianco opaco. È da esso che
si genera
la luce, e ne rimango affascinata.
“Come funziona quell'affare? E'
magia?” chiedo con gli occhi spalancati per la
curiosità.
“Non esiste la magia.”, dice
con
tono superiore. Dopo magia ci sarebbe stata bene una virgola e un
bell'epiteto. Magari 'deficiente'. Ma lui non dice parolacce. Le
pensa solo. Il che, secondo me, fa peccato uguale.
“Ah, no? E cos'è questa
ridicola
discesa nell'Inferno? Per non parlare dell'angelo, di Dio, delle
anime, di...”
Avrei continuato per una mezz'oretta
buona, se Shamuel non mi avesse tirato una pacca sul braccio:
“Si
chiama religione, mai sentito parlare?” mi sgrida.
Se mi sono pentita, evidentemente si.
Leggilo, Edward, non ho voglia di parlare ad alta voce.
“Vai avanti e smetti di
pensare.”,
mi dice esasperato. Annuisco e inizio a camminare, tanto è
inutile
ribattere, mentre lui rischiara la strada da percorrere. Le pareti
rocciose sono umide, il terreno sconnesso e le folate di aria fredda
ingestibili. Combattendo contro il vento continuo a procedere, non
certa di voler sapere cosa mi aspetta. Mentre sono concentrata su
dove mettere i piedi, li sento per la prima volta. A mano a mano che
ci avviciniamo, diventano più chiari: urla, bestemmie,
insulti,
lamenti, pianti. Sofferenza. Colpiscono come un pugno allo stomaco e
mi fanno fermare: sono pronta a entrare qui dentro? No. Forse no.
“Non puoi tornare indietro,
forza.”,
mormora Deborah. Strano, pensavo che ci fosse Shamuel dietro di me.
Mi volto e lo vedo al fondo della fila, la boccetta stretta in alto
in modo da illuminarci tutti e il viso stravolto. Finge un sorriso
per rassicurarmi, ma vedo il mio terrore riflesso sul suo volto.
Forse non è la prima volta che è stato qui, ma
probabilmente sente
questo dolore come lo sento io.
“Shamuel…”, quasi
piagnucolo. Lui
non mi risponde, mi guarda con occhi di ghiaccio e vedo la sua mano
tremare, tanto che la luce scompare per un secondo. Il suo volto
è
scavato da ombre scure, ma è deciso a continuare. Io
l’ho portato
qui, lui non doveva nemmeno venire. Lo vedo annuire e fare un cenno
verso il corridoio. Sì, prima continuo e prima finisco.
Chiudo gli
occhi per un attimo, cercando una forza che non ho, poi mi volto di
nuovo e riprendo a camminare. Restiamo in silenzio per altri dieci
minuti, l’unico rumore costante è quello dei
nostri passi sulla
roccia. Poi, giungiamo a un bivio.
“Destra.”, la voce di
Shamuel,
benché roca, è sicura. Proseguo ancora,
chiedendomi se c’è un
fondo e, soprattutto, cosa troverò una volta arrivata.
Inizio a
tremare dal freddo e a battere i denti quando, improvvisamente, mi
arriva addosso una folata di aria bollente che mi fa boccheggiare.
Tossisco e sventolo la mano davanti al viso, creando aria fresca.
“Ci siamo!”, esclama Shamuel,
mettendo via la boccetta. Cala il buio. Perché ha spento?
Ora dove
vado? Vampate di caldo e freddo contemporaneamente mi destabilizzano:
se fossi ancora viva, mi prenderei una bronchite con i fiocchi.
“Tocca la roccia, vai avanti
finché
non senti il muro fermarsi, quindi volta a destra.”, la voce
di
Shamuel, anche se forte e calma, tradisce un leggero isterismo.
Faccio come mi dice: mi avvicino fino a toccare il muro, lascio
scorrere la mano sulla superficie rugosa fino a che non tocco che
aria. A quel punto, giro a destra. In lontananza, minuscolo che
sembra quasi un’allucinazione, c’è un
punto di luce. Senza che
Shamuel me lo dica, so che devo raggiungerlo. Prendo
l’ennesimo
respiro profondo della giornata e avanzo, pensando che non sono mai
stata così coraggiosa, o forse così stupida.
A mano a mano che mi avvicino il punto
si fa più grande, diventando rettangolare: è
della forma di una
porta. Nessuna guardia, nessun angelo. Come se le anime non potessero
scappare, e forse è così, forse sono troppo
mutilate perché
riescano. Rabbrividisco. Sulla superficie rocciosa lievemente
illuminata vengono riflesse delle luci rosse. Le urla aumentano fino
a farmi fischiare le orecchie, il caldo mi fa desiderare
dell’acqua
ghiacciata. Essere morta non potrebbe anche liberarmi di queste
sensazioni? Evidentemente, no.
“Entro io.”, mi ferma
bruscamente
Shamuel. Ha represso la preoccupazione con un cipiglio severo. Mi
supera con passo veloce e ci fa cenno di seguirlo attraverso la porta
aperta. Mi affretto per paura di perderlo, ed entro, soffocando,
nell’Inferno.
Eccomi qui, come promesso
c:
So che i capitoli non sono lunghissimi, ma questa storia era nata come
mio passatempo, solo dopo ho deciso di pubblicarla.
Per cui, ormai ho scritto un tot di capitoli e non posso aggiungere
cose in mezzo.
Dal sesto saranno più lunghi e, finalmente, ci
sarà Justin.
Grazie per la pazienza,
spero vi piaccia :)
<3
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Capitolo 5 *** Capitolo quinto ***
Capitolo quinto
Davanti
a me si stende fino
all’infinito uno spazio aperto nel quale spicca il colore
rosso.
Rossi i muri dipinti della caverna, rosse le ombre che il fuoco getta
sull’ambiente circostante. Il rumore dei lamenti sale a note
alte,
che sarebbero insopportabili per l’udito di un vivente. Le
bestemmie si rincorrono l’una dietro l’altra, come
se insultare
l’artefice del loro dolore possa attenuarlo. E, per un
attimo, mi
viene da pensare a come il Creatore, così umile e
misericordioso,
possa punire gli altri in questo modo. Accanto a me, qualcuno
sussulta. E’ Shamuel. Mi rendo conto che probabilmente ha
sentito
il mio pensiero e quasi mi sento in colpa: tuttavia, sul suo volto
non c’è alcun segno di rimprovero.
C’è una sorta di muta
consapevolezza. Prima di potermene stupire, sento Deborah trattenere
il fiato e capisco perché: le volute di fumo si sono
diradate e,
dietro, appaiono le anime. Sono gobbe, costrette a portare sulla
schiena pesi di diversa grandezza. Credo sia in base alla
gravità
della loro colpa. Quando mi concentro sui loro volti, sbianco e
trattengo un urlo. Sono brutti, deformati dal dolore e dalla rabbia,
tesi, corrucciati, cattivi. Insultano Dio, insultano coloro che
camminano accanto e hanno pesi minori, insultano le fiamme.
Improvvisamente ho paura e un forte desiderio di andare via, di
credere che questo sia solo un brutto sogno.
Abbasso lo
sguardo a terra e rifletto
attentamente: cosa può spingere un uomo a far soffrire
così i suoi
simili? È vero, sono persone atroci e violente,
colpevoli…ma fino
a questo punto?
“Qual
è la loro colpa?” chiedo a
nessuno dei due in particolare. Al suono della mia voce, sebbene
basso, un paio di anime alzano la testa e mi fissano con odio. Non
c’è rimorso nei loro occhi, ma solo una fredda
furia.
“Hanno
tradito i loro amici e le
persone che amavano.”, dice brusco Shamuel, poi mi prende per
un
braccio e mi trascina verso destra. Da una parte vorrei restare a
fissarli tutto il tempo, dall’altra ne ho un timore immenso.
“Forza!”, sbotta ancora. È nervoso, lo
sento da quanto mi sta
stringendo il braccio. Vorrei dirgli che non mi sta più
passando il
sangue, ma alzo gli occhi al cielo e sto zitta. Mi stacco dalla sua
presa a forza, allontanandomi per guardare meglio le anime.
Sì, lo
so, sono cretina.
“Io
vado avanti.”, sibila Shamuel,
lasciandomi lì e allontanandosi a grandi falcate. Lo ignoro,
fissando insistentemente due anime che camminano l'una accanto
all'altra, guardandosi con odio puro. I loro pesi sono legati da
pesanti catene, e ciò li obbliga a camminare accanto. Quando
uno dei
due cade, l'altro è costretto a cadere. Sono un uomo e una
donna,
sono di sicuro due vecchi amanti.
Quando vedono
che li sto guardando
digrignano i denti, avvicinandosi pericolosamente. Ora dovrei proprio
arretrare. Così mi sta suggerendo il mio grillo parlante.
“Cosa
vuoi, Donna di su? È troppo
calmo la? Volevi un po' di avventura?” una voce rabbiosa mi
sorprende alle spalle, facendomi sobbalzare in modo molto visibile.
Ed io che stavo cercando di nascondere la strizza, anche se con la
tunica bianca non è così semplice.
Balbetto una
risposta insensata,
allontanandomi dall'uomo con il viso pieno di piaghe e dal ghigno
spaventoso. Oh, Dio, riaccoglimi tra le tue braccia.
“Ce la
fai a starmi dietro o vuoi un
navigatore?” sbotta Shamuel, spuntando al mio fianco e
afferrandomi
nuovamente il braccio. Mi trascina come un rimorchio fino ad un paio
di metri dall'anima, che è rimasta piuttosto sorpresa. Eh,
lo so,
non tutti hanno un accompagnatore così brutto.
“Oltre
che brutto so diventare
cattivo.”, sbotta, piazzandomi accanto a Deborah.
“Oh,
non penso che tu brutto lo sia
diventato.”, gli sorrido amabilmente. Deborah trattiene una
risata,
girandosi dall'altra parte per non farsi vedere.
Shamuel alza gli
occhi al cielo, poi
allunga una mano dietro di sé e mi sorride con sfida:
“Guarda cosa
ti aspetta, Miss Simpatia.” Mi sta indicando una scala di
larghezza
criceto e pendenza Everest.
“Mi
spieghi come diavolo faccio a
passarci?”, sibilo guardandolo male. Lui ricambia lo sguardo,
poi
si mette lateralmente e striscia giù per i gradini,
sbucciandosi i
gomiti e le ginocchia. Ma certo, no? Siamo morti, chi se ne frega di
un taglio in più o uno in meno. Si rimargineranno come ai
vampiri.
Il cavolo.
Borbottando tra
me e me seguo il pazzo
giù per la scala, rischiando da un momento
all’altro di cadere e
spezzarmi l’osso del collo. La buona notizia è che
se cado
travolgo Shamuel e c’è un’alta
percentuale che si rompa qualche
osso. Tanto si riaggiustano subito, vero, genio del male? So che mi
senti.
“Ti
vorrei strangolare.”, commenta
a fatica. Sì, voglio proprio vederlo. Ha le ginocchia in
gola a
momenti.
“Risparmia
il fiato.”, ansimo in
risposta, perdendo tutto l’ossigeno che mi ero procurata. Non
mi
sono ancora resa conto di poter anche non respirare.
“Piantatela,
voi due!”, esclama
Deborah. Non è seria, so che sta ridendo, ma non posso
verificare o
rischierei di spezzarmi il collo. E senza nemmeno cadere.
“Se mi
strangoli, finisci qui, con
queste anime pazze.”, sghignazzo. Non ho ancora finito con
lui. Lo
torturerò fino alla pazzia.
“Sbagliato,
perché non puoi più
morire.” Caspita. Mi ha chiuso. Non so che dire.
Finalmente
arriviamo alla fine della
scala e, per prima cosa, serro le mani attorno alla gola. Non
tenterai di uccidermi, Cullen.
Sta per
rispondermi ad alta voce, o
solo a tirarmi uno schiaffo, quando le lamentele salgono ancora.
Senza darmi tempo di vedere chi c’è in questo
piano mi trascinano
verso la prossima rampa di scale. Almeno questa è
più larga, anche
se di poco. La mia curiosità è ormai alle stelle,
ma so che non mi
permetteranno di vedere altre anime finché non saremo sul
piano
degli assassini.
Così
passano altri quattro piani. E
più ci avviciniamo al centro del male, più la
luce rossa scompare.
Il nero è ovunque, crea ombre e fa venire la pelle
d’oca. Io,
nella mia tunica da ospedale, sento freddo. Deborah trema persino
più
di me, ed ho notato che si stringe a Shamuel, come per cercare
protezione. Se non avessi così tanta strizza, penserei che
sono
carini insieme.
A
metà della sesta scalinata sento dei
versi atroci e disumani, quasi disperati. Sono contenta di non dover
vedere questo piano, non so che cosa mi aspetterebbe, altrimenti.
“Mal
ti va- commenta Shamuel- siamo
arrivati.”
Me lo dice con
così poco avvertimento?
“Mal ti va”? Ma ti faccio andare io male qualcosa,
tipo
l’esistenza. Oh, lo squarterò quando avremo finito
questo
stramaledetto cammino. Impettita, cammino verso la fine delle scale e
mi fermo a fissare davanti a me.
È
tutto molto buio, ci sono ombre in
movimento e urla strazianti, ma nulla di più chiaro. Mi
accorgo di
avere la pelle d’oca e di tremare insistentemente. E non ho
un
telefono con la vibrazione in tasca.
“Suppongo
che dovrò armarmi di
luce.”, mormora Shamuel al mio fianco. Improvvisamente,
tuttavia,
per me non ce n’è più bisogno. Divampa
una lingua di fuoco
rossastro.
La
nebbia si dirada, le grida si
fanno più forti e il colore rosso si unisce al nero.
È buio, ma il
fuoco illumina la zona quanto basta. C’è odore di
sofferenza, di
dolore, di peccato. C’è odore di morte. E in
mezzo, tra tutta la
folla, c’è una piccola luce. Una luce che vedo
solo io. È la
speranza.
Sussulto, in
panico. Una sensazione si
diffonde da un punto imprecisato del mio corpo e atrofizza tutti gli
arti. È speranza, è desiderio di avere,
è forza pura. È
quell’anima, laggiù, sola.
“No.
Non è possibile.”, la voce
strozzata di Shamuel mi arriva lontana e attutita. Sento qualcosa che
mi afferra e cerca di tenermi lontano dal punto in cui tutte le anime
si ammassano.
No. Fermi tutti.
Devo vedere.
E, come una
risposta alla mia
inespressa volontà, l’anima alza la testa.
È lui.
È il
ragazzo con gli occhi color dello
sciroppo d’acero. È il mio investitore.
È,
inspiegabilmente, la mia speranza.
Ciao
belle c:
Ci
siamo quasi, dal prossimo capitolo (che io adoro) arriva Justin :')
Spero
di aggiornare prima possibile, non dopo Sabato comunque.
<3
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sesto ***
Capitolo sesto.
“Mollami.”,
sbotto con poca grazia.
Se questa specie di aiutante divino da quattro soldi non mi molla il
braccio, mi giro e gli ficco due dita negli occhi. È morto,
sì, ma
voglio vedere se fa ancora il galletto senza vederci un bel niente.
“Gabrielle,
piantala.”, grugnisce
tentando di tenermi. Intendevo proprio grugnisce; sembra un maiale.
“No, Sham,
mollala tu. Deve vederlo,
siamo qui per questo.”, interviene Deborah. Che Dio,
sì, tu, tizio
che mi vuole far fare questa menata, benedica questa tizia. Non vedo
cosa la trattiene nel Purgatorio, probabilmente ha spezzato un'unghia
a Cerbero.
“Come te lo devo
dire che non esiste
Cerbero? Non c'è alcun mostro, mettiti l'anima in
pace.”, se era
una rassicurazione, ha sbagliato tono. Forse è frustrato
sessualmente. Dev'essere inquietante provarci con una ragazza e
sentire la voce di Dio in testa che ti dice 'ti vedo!'.
“Sei tu il mostro
qui.”, e con uno
strattone me lo levo di dosso. Deborah gli si para davanti prima che
possa riacciuffarmi. Le facilito il compito, spostandomi un po' e
tenendomi a debita distanza.
Torno a guardare lo spazio
destinato
agli assassini e, ancora una volta, mi viene la pelle d'oca al solo
vedere i loro volti scavati e crudeli. Sono bandite vero le armi
nell'Inferno? Oh, chi se ne importa, tanto sono già morta.
Devo
abituarmi a questa cosa assurda. Il mio sguardo viaggia tra le anime
illuminate dalla luce rossa: sono tutte vestite con abiti
insanguinati e portano catene ai polsi e alle caviglie.
Rabbrividisco, evitando per un pelo di vomitare sul pavimento della
caverna. Non è decisamente il caso.
Metto a fuoco la figura che
stavo
cercando e, ignorando lo strano comportamento di Shamuel e dei miei
sentimenti, mi avvicino. È seduto su una pietra, a testa
bassa. Al
mio passaggio le anime si spostano, sputando per terra o guardandomi
con diffidenza. L'ho fatto il vaccino, credo. E non puzzo. Insomma,
non si può puzzare una volta morti. O si? Magari so di
cadavere in
decomposizione. Che schifo.
“Ehm...ehi.”,
esordisco una volta
che gli sono di fronte. Lui solleva a malapena lo sguardo,
inchiodandomi con i suoi occhi color caramello. Al contrario degli
altri non sembra cattivo, solo triste. Meglio: avere a che fare con
l'assassino di Kennedy non mi avrebbe portato a grandi risultati.
Dio, a ripensarci, magari è qui tra queste persone!
“Ehi.”,
risponde. E basta. Poi
abbassa lo sguardo e comincia a calciare una pietrolina. Caspita, che
flemma.
Mi devo presentare? Devo
dirgli che mi
ha ucciso? No, poi rischio che si senta in colpa. Magari inizio con
qualcosa di più calmo, dicendogli che è davvero
carino. Dubito che
qualcuno prima di me abbia mai tentato di farsi un fidanzato
all'Inferno. Sono una persona originale.
“Io...sì,
insomma, io...” e mi
fermo. No, così non va. Prendo un respiro profondo: se
scappo faccio
una brutta figura?
“Ti hanno messo
qui perché sei
dislessica?”
Ma che simpatico! Tu mi hai
ucciso,
razza di deficiente. Striscerai seguito dal tintinnio di queste
stramaledette catene perché eri troppo ubriaco per
distinguere il
freno dall'acceleratore. Mi è passata la voglia di
parlargli. E se
gli dicessi 'ok ti perdono' e poi me ne andassi? Via il dente via il
dolore, o com'è che si dice. Sarebbe più adatto
via il dente viene
il dolore, comunque.
“No.”,
rispondo solo. La tentazione
di dirgli 'on' è stata grande, ma ho resistito.
“E
cos'è che desideri da me,
esattamente?” chiede alzandosi in piedi. È
più alto di me di
qualche spanna, la tunica che porta ha solo una macchia di sangue, al
contrario di altre decisamente più sporche. Forse vuol dire
che ha
ucciso poco, non ne ho idea. Ah, giusto, ha ucciso solo me. Credo.
Davanti al suo sguardo
perdo il respiro
e dimentico la risposta pungente che mi ero preparata, sparando una
cosa a caso che realizzo solo dopo. “Sai dove posso trovare
l'assassino di John Lennon?” Imparerò mai a
tapparmi la bocca?
Forse Shamuel ha ragione.
Lui alza un sopracciglio,
guardandomi
totalmente per la prima volta. È come stare sotto i raggi x.
Solo
che se il dottore fosse lui io non sarei più vergine. OH NO,
ho
appena realizzato che sono morta vergine! Ma che cazzo! Non si
può
essere così sfigati. A meno che nei ricordi che ancora mi
mancano
non ci sia un amplesso fantasmagorico con un ragazzo figo, ma dubito
amaramente.
“Quando sono
morto era ancora vivo,
sta in carcere.”, dice incerto. Che scema, ma ho detto
Lennon?
Volevo dire Kennedy. I suoi occhi mi hanno confuso.
“No, no.
Intendevo l'assassino di
Kennedy. Beh, comunque, non importa.”, mi arrendo con me
stessa.
Sono un caso perso, mi odio da sola. Poteva uccidermi con un colpo in
testa senza dover rovinare il suo macchinone.
Sospira. “Non ti
ho mai vista qui
prima.” Vuole fare conversazione adesso? Beh, dopotutto,
è
bello...chi sono io per negarglielo? Non sono santa. E se qui ci
fosse Shamuel direbbe 'No proprio!'. Insopportabile.
“No, non sono di
qui. Cioè, neanche
di giù. Insomma, vengo dal Purgatorio.”, balbetto
alla fine. Posso
svelarglielo, vero? Alla fine dovrà sapere chi ha davanti.
Magari
diventeremo migliori amici e...no. Meglio fidanzati. Non si spreca un
bocconcino così.
La sua espressione si fa
stupita, poi
dura. Ecco, così sembra molto più cattivo di
quanto non fosse
all'inizio. “E si stava così male lassù
da venire qui?” fa
sarcastico. Ahi, l'ha presa sul personale solo perché
è legato come
un salame. Chi glielo spiega adesso? Io. Claro.
Prima che io possa
rispondergli, vedo
il suo sguardo spostarsi alle mie spalle. La preoccupazione mi porta
a pensare che ci sia qualche anima con strane intenzioni, fino a che
non sento un tocco sulla spalla che mi fa sobbalzare. Shamuel.
“Ma che sei
scemo?” mi giro male.
Tossire per annunciare la sua venuta, invece che toccarmi come un
maniaco? Accanto a lui c'è Deborah, lo sguardo teso e
preoccupato.
Sono morta, questo tipo non può farmi niente, capito? Ma
poi,
sfortunatamente, mi ricordo che solo lo squilibrato può
leggermi i
pensieri. Per un motivo a me ancora sconosciuto, oltretutto.
Può
darsi che abbia un trattamento speciale perché prega molto.
“Justin,
giusto?” Shamuel si
rivolge al mio assassino. Mi ignora sempre.
“Sì.
Che ho fatto stavolta?” si
risiede, chiaramente scocciato. La sua mano passa a scompigliare i
capelli spettinati color grano, e sento un colpo mancare al mio
cuore. Mio dio, è legale essere così belli?
“Niente. Ti
presento Gabrielle
Peters.”, e mi da una pacca sulla spalla. Stesso trattamento
di una
merce di scarico. Che poi, cosa vuoi che gliene freghi a questo tipo
divino il mio nome? E temo che gliene freghi, perché ha
appena
boccheggiato, alzandosi in piedi di scatto e arretrando. Almeno
farà
un po' di esercizi per le gambe, a forza di alzarsi e sedersi.
Aspetta, non è
che gli hanno detto il
nome di quella che ha investito, vero? Perché a giurare
dalla sua
faccia sembra così. E io che volevo conquistarlo con il mio
fascino.
“Che succede
qui?” un'altra anima
si è avvicinata, appoggiando una mano sulla spalla di
Justin. Impara
il trattamento amichevole, Shamuel. Il nuovo arrivato è un
ragazzo
poco più alto di Justin e, almeno sembra, di qualche anno
più
grande. Ha i capelli neri e gli occhi piuttosto chiari, una specie di
verde acqua. La cosa più particolare è una
cicatrice sulla sua
fronte, che scende fino a chiudergli quasi totalmente l'occhio
destro. Inquietante.
Shamuel si avvicina e lo
prende per un
braccio, trascinandolo da un lato e incominciando una conversazione
fitta con lui. Sono amici? Poteva anche parlargli qui di fronte a
noi, non mi piace quando qualcuno parla di me mentre sono presente.
“Ti ha fatto
male?”
Sussulto. Justin mi sta
guardando con
gli occhi pieni di rimorso, sembrano quasi fondersi con il rosso,
nella luce del posto. “C-Cosa?” balbetto a
malapena. Dislessica e
pure balbuziente. Perdo le facoltà di parola di fronte a
questo
tizio, non va bene.
“Intendo...ti ha
fatto male quando ti
ho colpito?” Ancora lo sguardo da cerbiatto. Cosa gli devo
rispondere? 'Fai un po' te, sono morta'? Non è certo stato
piacevole
essere investiti.
“No.”,
mento. E so che ha capito
anche lui, ma le sue spalle si rilassano e abbozza un piccolo sorriso
riconoscente. Ricambio cercando di non sciogliermi come neve al sole,
poi mi giro verso Deborah, che è rimasta al mio fianco in
silenzio
tutto questo tempo come una statua di sale.
“Debby...posso
parlarti un secondo?”
le sussurro. Ho circa duecento domande in sospeso che vorrei
trovassero una risposta. Lei annuisce e mi fa cenno di continuare.
Ah. Qui, davanti a lui? Bene.
“Ok... -mi faccio
coraggio- Perché
mi ci vogliono due settimane per stare qui? Insomma, non potrei
perdonarlo e basta? E poi, chi è quel tipo inquietante che
parla con
Shamuel?” Iniziamo con queste, almeno.
Deborah sbatte le palpebre
un paio di
volte: secondo me sta cercando di ricordare la prima domanda.
Scommetto che devo ripetergliele tutte.
“Uhm...siamo qui
perché non solo
devi perdonare lui, ma devi anche purificare te stessa. Quindi,
stando con Justin, dovresti ritrovare la via del...ehm...del
Signore.” Più che una spiegazione sembra una
lunghissima domanda.
Ma non si risponde a una domanda con un'altra domanda, lo insegnano
alle elementari.
“E allora
perché diavolo mi ha
trattenuto appena siamo arrivati?” sbotto fulminando Shamuel
con lo
sguardo. Non mi sta vedendo, ma spero mi senta.
Justin fa una risatina:
“Che
coraggio, nominare il diavolo qua sotto.”
Dio mi ucciderà.
Non potrò mai più
mettere un piede fuori dall'Inferno. Resterò con Justin per
sem...però! Che figo!
“Ti ha trattenuto
perché ha letto
qualcosa nei tuoi pensieri che non si sarebbe aspettato. Non ha
voluto dirmi cosa, ma era parecchio sconvolto.”, interviene
Deborah. Anche lei sta guardando Shamuel, sembra quasi preoccupata
per lui. Come una mamma. O forse, più probabile, come una
studentessa con la bava alla bocca. Tipo io con Justin.
Improvvisamente ricordo la
sensazione
di speranza che ho provato quando ho visto Justin, qualcosa che
nemmeno saprei spiegare o controllare. Era come se il resto del mondo
si fosse fatto da parte ed esistesse solo e solamente lui. È
normale
essere attratti dalla persona che ti ha ucciso? No, caspita. Nemmeno
lo conosco! Deve essere successo qualcosa, dev'essersi instaurato un
contatto o qualcosa del genere. Perché in altro modo non
può
essere. Non ci si aggrappa a qualcuno senza sapere chi è.
Perciò o
me ne resto nel Purgatorio per sempre pur di andarmene adesso e non
vederlo mai più, o sfrutto quest'occasione per conoscerlo
come
vorrei.
Che faccio?
Justin mi guarda e leggo
nei suoi occhi
il dolore. Dopotutto, a morire e a bruciarmi la vita intera non sono
stata solo io.
“Beh, hai
intenzione di raccontarmi
di te o cosa?” gli sorrido.
***
Mi blocco, arricciando il
naso. “Questa
sarebbe la tua...camera?” chiedo con un filo di voce. Sono
sulla
soglia di una specie di rettangolo di grotta, con a terra un
materasso pieno di buchi e nemmeno una lampada. O un bagno. E tanto
meno un computer. Inoltre c'è puzza di zolfo.
Lui si gratta la testa,
imbarazzato.
“Sì, beh, me lo merito dopo quello che ho
fatto.”
“Non è
stata colpa tua, non l'hai
fatto apposta.”
“No, è
vero, però...”
“Però
niente. Ti sembra normale che
una persona caritatevole come Dio punisca così le persone?
Persino
quelle che non hanno avuto né tempo, né modo di
pentirsi. Ho visto
il tuo sguardo, so che avresti voluto farlo.”, lascio andare
tutto.
Qualsiasi pensiero mi sia venuto in mente dall'inizio di questa
storia assurda.
Justin rimane interdetto,
guardandomi
con tanto d'occhi. Farò finta che mi riservi questo sguardo
per la
mia immensa bellezza e non per le eresie che ho appena sparato.
“Inizio a capire
perché non sei in
Paradiso.”, ride infine, sedendosi sul materasso. Con la mano
picchietta accanto a sé, invitandomi a sedermi. Ancora una
volta non
rinuncio, mettendomi così di fianco a lui, a gambe
incrociate.
“Hai ragione,
comunque.”, dice poi,
guardando fisso verso la porta.
“Lo so. Riguardo
a cosa stavolta?”,
mi appoggio al muro dietro di me, soffocando uno sbadiglio. Il
viaggio mi ha stremato. E sono morta! Che strazio.
Sorride, scuotendo la
testa.
Intrattengo le persone. Che bello.
“Avrei voluto
pentirmi. Mi sento un
pesce fuor d'acqua, qui. Tutti covano rancore, io vorrei solo tornare
indietro e farti attraversare la strada incolume.”, ammette
prendendosi la testa tra le mani.
Gli tocco il braccio,
tentando di
consolarlo. Io che consolo lui. Notevole. Dovrebbe essere il
contrario.
“Come fai a non
essere arrabbiata con
me?” mi chiede, senza lasciarmi tempo di rispondergli al
discorso
di prima. Già, amico, bella domanda. Dovrei odiarti, me
l'hanno
fatto intuire già cinque o sei persone.
“Te l'ho
già detto, non è stata
colpa tua.”, non so se sto cercando di convincere lui o me
stessa.
Tanto vale, comunque.
“Che c'entra? Sei
morta! La tua
famiglia si starà disperando. I tuoi amici pure. E che ne
so, magari
avevi un ragazzo e io ti ho portato via l'idea di una famiglia
felice!” Ora è fortemente depresso.
Sì, poi magari
avevo anche un
barboncino, un maggiordomo e un giardiniere.
“Dai,
calmati.”, gli dico sfregando
la mano sul suo braccio. In effetti non ha tutti i torti: mi ha
negato la possibilità di vivere. Ma, dopotutto, l'ha negata
anche a
se stesso. E spero non se ne renda conto proprio adesso
perché non
vorrei incominciasse a sbattere la testa contro la roccia.
Rimaniamo in silenzio per
un po',
mentre il suo respiro torna regolare e la sua faccia riemerge dalle
mani sotto cui si nascondeva. Mi fa tenerezza, nessuno si merita
questo trattamento.
“Avrai tutto il
tempo per non
sentirti più in colpa.”, dico rompendo il
silenzio. Lui si volta a
guardarmi, inarcando le sopracciglia. Com'è che tutti sono
capaci a
farlo tranne me?
“In che senso? Lo
sapevo già che
devo restare con queste maledette catene per sempre.”, la sua
voce
si fa tetra mentre smuove le catene, procurando un tintinnio. I suoi
polsi e le caviglie sono già circondati da anelli rossi
infiammati.
La rabbia mi sale come bile in gola.
“Nel senso che
starò due settimane
qui con te.”, tento di sorridergli, ma sembra che qualcuno mi
stia
tirando le labbra con la forza. Odio Dio. Oh, come lo odio in questo
momento.
“Davvero? Pensavo
scherzassi prima,
parlandone con quella tua amica!” e il suo viso si illumina
del
sorriso più vero del mondo. E so che è felice per
se stesso e per
la sua redenzione e non perché io starò li, ma
per adesso mi basta.
“Dove lo trovo un materasso? No, aspetta, dormo io per
terra.”,
inizia ad agitarsi torcendosi le mani. Calma e sangue freddo.
“Oh, taci,
Justin. Troverò un modo,
vado a chiedere al mio amico scemo.”, sospiro alzandomi con
un
colpo di reni. Ahi, ahi.
“Quello che prima
parlava con
Daniel?” mi chiede curioso.
Con chi? Mica il tipo
inquietante con
la cicatrice? Suppongo.
“Ehm...sì,
lui.”, rispondo, poi
prendo la via della porta.
“Io ti aspetto
eh, intanto cerco un
posto letto!” esclama felice alle mie spalle.
Almeno qualcuno ne
uscirà sereno da
questa avventura.
Hey
girls :)
come
promesso, ecco il sei. Un po' più lungo e un po'
più "pieno".
Che ne
pensate di Justin?
A presto
<3
|
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Capitolo 7 *** Capitolo settimo ***
Capitolo settimo.
Un tintinnio, seguito da
una piccola
luce, mi sveglia. Sbatto le palpebre, cercando di capire dove sono.
Non ce n'è bisogno, dato che mi trovo davanti un viso
conosciuto. È
particolarmente soddisfacente svegliarsi vedendo un angelo. Anche se
è senz'ali, in questo caso.
“Forza, forza! E'
il nostro secondo
giorno, non possiamo perderci nulla!” esclama Justin
scuotendomi
una spalla. Un bambino al parco giochi sarebbe meno entusiasta.
Mugugno qualcosa, girandomi dall'altra parte. Perché il
sonno esiste
anche quando si è già morti? Potrei fare festini
e baccano tutta la
notte, invece devo dormire. Non che mi dispiaccia dormire qui, nel
materasso accanto a quello di Justin. Shamuel ci ha messo vent'anni a
convincersi che non avremmo fatto sesso.
“Dai,
Gabrielle!” sbuffa e sento il
materasso piegarsi. Deve essersi seduto accanto a me.
“Che ore
sono?” biascico. Spero
l'abbia capito.
“Che ne so? Non
abbiamo un orologio
all'Inferno.”, ride. Giusto. Tanto devono ciondolare con le
catene
in giro senza fare niente di che. Ci sarà la campanella per
il
pranzo? Ah no, forse non si mangia. Io non ho mangiato ancora da
quando sono qua. Però il sonno serve. Ma che cavolo, chi ha
stabilito questi maledetti criteri?
Mi alzo a sedere, andando a
sbattere
una testata contro Justin. Se fossi stata più sveglia avrei
finto
uno svenimento per finirgli tra le braccia; ma io sono Gabrielle, e
sono una camionista. “Porca troia che male.”
Lui mi guarda con tanto
d'occhi, le
sopracciglia aggrottate: “Mi sa che questo materasso
resterà per
sempre qui.”, sospira. Può darsi. Se continuo con
le parolacce,
Dio sarebbe capace di creare il PronfondInferno, qualcosa di schifoso
ancora peggiore di questo. Solo per me, limited edition.
Usciamo dalla 'camera',
incontrando
Shamuel appoggiato fuori. Ci scommetto che è rimasto qua
tutta la
notte. Adesso mi metto a pensare a dettagli piccanti, così
pensa che
ci siamo rotolati sui materassi come conigli. Dai miei capelli e
dalla mia faccia potrebbe anche sembrare.
“Ma dai suoi
no.”, sghignazza
Shamuel. Mi giro verso Justin: niente da fare. Sembra una
divinità.
I capelli spettinati a lui fanno solo effetto seta. Niente a che fare
con il mio nido di uccello.
“Che mi sono
perso?” chiede Justin
guardando prima me, poi Shamuel.
“Lui
può leggermi nel pensiero.
Stavo pensando che se la gente guardasse me, sembrerebbe che abbiamo
fatto i conigli. Ma poi ci sei tu che mi rompi l'inganno.”,
spiego
brevemente. Ho detto davvero quello che ho appena detto? Maledizione.
“I
conigli?” fa confuso. Fingo di
non aver sentito, sarebbe troppo imbarazzante spiegargli cosa
intendevo. Lascio che mi superino e inizino a parlare tra di loro.
Devo imparare a tapparmi la bocca. Ma davvero.
“Come riesci a
leggerle nel
pensiero?” sta chiedendo Justin a Shamuel. Domanda
interessante, ma
tanto lui non ti risponderà mai, caro. Inizierà a
parlare della
fattura della roccia e a blaterare su cose inesistenti.
“Non solo a
lei.”, gli sorride
Shamuel. Cosa cosa cosa? Sta scherzando, vero? “A
tutti.”,
continua.
“TU
COSA?” urlo, facendo girare due
anime. Credo di averle spaventate, ma così almeno ritrovano
il
brivido dell'adrenalina. “Devi aver fatto qualcosa a Dio per
avere
questi privilegi. Sei un raccomandato.”
“Che schifo,
Gabrielle!” esclama,
mentre Justin ride. Cos'ho detto di male? I favori sessuali non sono
un reato, per la miseria. Ti sta bene, brutto essere che agli altri
risponde e a me no.
“A cosa sto
pensando?” chiede
Justin divertito. Ma nemmeno i bambini più piccoli! Nemmeno
Bella
Swan ha fatto una domanda così cretina. Però era
peggio: chi cavolo
avrebbe pensato al pi greco? Deficienti.
“Muoviti Justin,
è il secondo
giorno!” lo imito facendo una vocina isterica. Lo afferro per
un
braccio e lo trascino nel posto dove l'ho incontrato ieri. La roccia
dove stava ieri è occupata da un'anima con una tunica
completamente
rossa. Rabbrividisco, dirigendomi verso un'altra specie di roccia,
piatta e allungata. Shamuel da dietro urla qualcosa, poi ride e
sparisce in mezzo alle anime.
“Che ha
detto?” chiedo sedendomi.
Justin si siede di fronte a me e fa spallucce, trattenendo un
sorriso. Lui lo sa, traditore. Sorvoliamo su questo aspetto oscuro
dei maschi.
“Allora, che
facciamo?” cambia
argomento, leccandosi le labbra. Lo so che sono secche e non era un
messaggio subliminale legato alla domanda, non c'è bisogno
di
puntualizzare.
“Ci
conosciamo.”, rispondo. Penso
che ci voglia, no? Per fare un cammino insieme devo prima conoscerlo,
poi risolvere i nostri problemi e poi abbandonarlo e... no. Non
pensiamoci adesso dai.
Il suo sopracciglio destro
si alza di
molto, e mi scocca un'occhiata incerta. Poi allunga la mano:
“Piacere, Justin Bieber.”
Non ha capito un emerito
cavolo di
niente.
“Senti, faccio
io. Tu rispondimi
solo.”, gli sorrido incoraggiante. Lui si stringe nelle
spalle, poi
annuisce.
“Data di
nascita?”
“Primo marzo
1994.”
“Nome
completo?”
“Justin Drew
Bieber.”
“Luogo?”
“Ma sei un
avvocato? Un dottore? Chi
se ne frega!” esclama ridendo. Non ha tutti i torti.
“Colore
preferito?”
“Viola. Scusa
però così tu conosci
me, ma io non conosco te.”, obbietta. Due a zero per te,
amico.
“Arancione. Film
preferito?”
“Blues Brothers,
tra i tanti. Il
tuo?”
“Neverland.”
E lui scoppia a
ridere.
“Che film da
femmina!” esclama
ridendo ancora. Ora gli arriva un manrovescio pesante.
“Guai a te se osi
ridere dei due
attori più capaci al mondo.”, lo minaccio
socchiudendo gli occhi
in un (patetico) tentativo di fargli paura.
“Scusa, scusa.
Continua.”, dice
sghignazzando ancora.
“Cartone animato
preferito?”
“Spongebob. Il
tuo?”
“Dragon
Ball.”, sono costretta ad
ammettere.
Ride ancora:
“Passi da Neverland a
questo? Mi deludi.”
“Stai
zitto.”, ma rido anche io. È
troppo tenero quando ride e gli si illuminano gli occhi.
“Favola
preferita?” continuo.
“Non ne ho idea.
Non ci ho mai
pensato, forse Peter Pan. La tua? Ah no, non dirmelo: La Bella
Addormentata nel Bosco.”, e continua a prendermi in giro!
“Sbagliato. Tobia
la Tartaruga.”,
lo stupisco. In realtà è davvero la Bella
Addormentata nel Bosco,
ma questo lui non lo scoprirà mai.
“Tobia cosa? Te
lo sei inventato.”,
ora ride proprio forte. Dategli una mascherina per l'ossigeno.
“Esiste davvero,
lo giuro!”
Comunque, passiamo oltre. “Fidanzato?”
“No,
morto.”, risponde confuso.
“In vita eri
fidanzato?” richiedo,
alzando gli occhi al cielo.
“Ah! No.
Tu?”, ET telefono casa.
“Nemmeno.”
Restiamo un attimo in
silenzio, io guardando lui e lui guardando le anime che ci passano
accanto. Quando si gira verso di me mi becca incantata a fissarlo. Mi
sorride: “Altro?”
“Non lo so, ci
sto pensando.”, dico
abbassando lo sguardo. Mi fermo a guardare le sue mani, incrociate
tra le sue gambe e imprigionate in quelle maledette catene. Insieme
alla rabbia, sale un senso di impotenza tremendo. Se fossi sicura di
non spaventarlo, piangerei. Questo cammino è per salvare me,
non
lui. Qualsiasi cosa succeda, lui resterà qui. Le sue catene
resteranno dove sono.
“Tutto
bene?” mi chiede con una
vena di preoccupazione nella voce. Devo avere gli occhi lucidi. Butto
giù il rancore, la rabbia e la tristezza. Non voglio che si
senta
ancora più in prigione di quanto non sia.
“Sì.
Per ora basta. Che vuoi fare?”
mi alzo e mi pulisco i pantaloni dalla polvere. Lui mi imita,
alzandosi.
“Sono
sporco?” mi chiede ridendo.
Annuisco, guardando i suoi pantaloni bianchi ormai grigi. Non so se
ridere perché dovrei pulirlo io, oppure mettermi a piangere
perché
non può nemmeno farlo da solo, avendo le mani legate.
“Lascia stare,
non devo farmi bello
per nessuno.”, sorride forzatamente. Sono sicura che ha
capito a
cosa sto pensando. Devo smetterla.
“Vieni, proviamo
a fare una cosa.”,
lo prendo a braccetto e andiamo verso la sua camera.
***
“Possiamo
smetterla?” sbuffa
Justin. Dovrebbe essere grato del mio sforzo, non lamentarsi.
“No.”,
sbotto, battendo ancora una
volta la pietra contro l'anello di catena che ha attorno al polso. Mi
fa già male il braccio.
“Guarda che
è un incantesimo divino,
non riuscirai a spezzarle.”, si appoggia alla parete della
roccia,
chiudendo gli occhi.
“Non esiste la
magia.”, dico con il
fiato spezzato, continuando a infierire sul ferro. Non si allentano
neanche per sogno. Ho provato anche a giurare a Dio che avrei
pregato. Forse ha ragione il ragazzo qui presente, anche Shamuel mi
aveva quasi convinto. Lascio la pietra e mi alzo in piedi. Justin
spalanca gli occhi, spaventato.
“Dove
vai?” fa sospettoso.
“A chiedere a
Shamuel una cosa.
Aspettami qui, torno subito.”, lo vedo annuire
così mi fiondo
fuori dalla sua stanza. Percorro il corridoio fino ad arrivare alla
grande stanza dove si ammassano le anime. Quanti assassini, non
troverò mai Shamuel. Oh, un momento, basta cercare quello
con la
tunica pulita.
“Shamuel!”
lo chiamo appena lo
vedo. Sta parlando con Deborah e Daniel. Chissà se si
annoiano a
dovermi aspettare per due settimane.
“Dimmi,
cara.”, mi fa un mezzo
sorriso, interrompendo la conversazione.
“Devi togliere le
catene a Justin.”,
dico, e spero di aver usato un tono abbastanza severo.
Daniel alza gli occhi al
cielo, mentre
Shamuel rimane fermo a fissarmi. “E perché
dovrei?” mi chiede.
Pensavo mi dicesse che non
ne ha il
potere. Evidentemente è più forte di quanto
pensassi. Gli sorrido
nel modo più dolce che conosco: “Perché
è un po' difficile
portarsi dietro un carcerato per due settimane.”
“Non si possono
togliere.”,
interviene Daniel, guardandomi come se fossi un insetto sgradevole.
Schiacciami, dai, tanto sono già morta.
“Dopotutto... -
Shamuel fa un sospiro
– Justin non è un assassino a tutti gli effetti.
Mi metterò in
contatto con il Signor Bloom e vedrò se riesco a
interrompere il suo
trattamento per due settimane.”, dice.
“Davvero?”
esclamo felice. Vorrei
quasi abbracciarlo, sottolineo il quasi.
“Davvero. Ma
sicuramente non potrà
allontanarsi da qui.”, mi avverte tornando serio. No,
tranquillo,
non lo farò fuggire. Ci riprenderebbero dopo poco, comunque:
quella
scala larga due millimetri rallenterebbe anche un pidocchio.
“Grazie.”,
gli dico, e sono sincera
forse per la prima volta in assoluto. Voglio che sappia che,
nonostante non sia una cima in simpatia, io l'ho voluto qua
perché
mi sono fidata di lui. E anche perché se no non avrei
nessuno da
prendere in giro, ma questo è un altro discorso. Lui ride,
poi mi fa
cenno di andare, così li lascio alla loro conversazione
privata.
“Gabrielle!”
la voce di Deborah mi
ferma. Mi giro e la vedo raggiungermi; aspetto che riprenda fiato per
la corsetta di due secondi che ha fatto. Non siamo tutti atleti,
evidentemente.
“Volevo solo...
-e si interrompe
ancora. Io aspetto paziente. - Volevo dirti che non è bene
affezionarsi a qualcuno, qui. L'amore non è permesso nel
Regno dei
cieli.” Ma di che diavolo parla?
“Debby, conosco
Justin da ieri. Sto
solo cercando di fare amicizia.”, rido in modo isterico. Non
so se
è seria o mi sta prendendo per il culo. Sento una specie di
attrazione per Justin, d'accordo, ma non è niente a vedere
con
l'amore.
“Lo so. Se
dovesse succedere, sappi
che è proibito.”, continua a ripetermi. Va bene,
niente approcci
maschio-femmina nell'aldilà. Prima che possa risponderle, mi
prende
una mano tra le sue e continua: “Ma sappi anche che io sarei
dalla
tua parte.”, dice con voce soffocata dall'emozione. Fermi
tutti. Mi
sta svelando perché è nel Purgatorio? E io che
pensavo che fosse
davvero perché sopporta Sham.
“Tu hai.. ehm..
amato qualcuno? Per
quello sei punita?” chiedo cercando di usare un tatto che non
ho.
Lei scuote la testa,
spaventata, come
se qualcuno potesse sentirci. “No, Gabri, ma ti prego,
promettimi
che non ti innamorerai di nessuno. Non voglio che tu possa subire le
conseguenze del tuo gesto.”, le parole le scivolano fuori di
bocca
quasi contro la sua volontà, lo vedo. Mi preoccupa.
“Promesso.”,
mi sento solo di
risponderle. Lei sembra rassicurata, almeno un pochino. Mi stringe
ancora di più la mano, poi la lascia andare e torna verso
Shamuel e
Daniel. Ma che cavolo è appena successo? Torno da Justin
prima che
mi dia per dispersa, ma giuro che ci capirò qualcosa in
questa
storia. Prenderò Shamuel per un orecchio e me la
farò raccontare
tutta. Ecco, perfetto.
Hello!
Ecco il
settimo, fatemi sapere se vi piace :)
Ps: ho
pubblicato una os. Non è su Justin, ma se passate a dirmi
che ne
pensate ne sarei felicissima. E' QUI.
Chiara :)
|
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Capitolo 8 *** Capitolo ottavo ***
Capitolo ottavo.
“Lo sciroppo
d'acero.”, mi fa
Justin, sorridendomi appena.
“Sei serio? Con
tutto il cibo che ti
può mancare scegli quello?” lo scruto incredula.
Pizza, lasagne,
pasta? No, eh?
“Ti giuro. Era
come un'abitudine: mi
svegliavo con il profumo dei pancakes e dello sciroppo, scendevo dal
letto e trovavo mia mamma in cucina a farli.”, la sua voce
assume
un tono leggero, quasi fiabesco. Cosa darei perché fosse
ancora vivo
e non soffrisse così, lontano da chi ama, per aver compiuto
qualcosa
che nemmeno avrebbe voluto.
“Com'è
lei?” mi azzardo a
chiedere. Non voglio deprimerlo, sia chiaro, solo conoscerlo.
“Dolce.
Immensamente dolce. Come lo
sciroppo d'acero.”, dice facendo spallucce. Sta nascondendo
il
dolore, ed è parecchio bravo a farlo.
“Ancora? Sei
fissato!” sbotto,
calciandolo piano fuori dal suo materasso, in modo da potermi
sdraiare.
“Lo so. Ehi, tu
ce l'hai il tuo
materasso, questo è mio.”, protesta, ma si
accomoda lo stesso sul
mio. Bravo, ragazzo. Non ho la forza di alzarmi e nemmeno di rotolare
da un letto all'altro. In realtà non facciamo niente, oltre
che
parlare, ma sono stanca. Forse morendo si entra in menopausa; non ne
ho idea.
“Tuo
padre?” gli chiedo ancora,
portando le mani dietro la testa per sollevarla e vederlo meglio.
Ieri mi sono soffermata a chiedermi com'è possibile che la
barba non
gli cresca, ma poi ho pensato che la morte ferma la crescita. Quindi
lui rimarrà così per sempre. Avercela questa
garanzia.
“E' un tipo
forte. Mi ha insegnato un
sacco di cose, gli devo molto. E poi mi ha dato i miei due fratellini
piccoli.”, sbadiglia, fissando il soffitto della grotta. Una
specie
di nero con pezzi di muschio verde moccio. Di un'eleganza sublime,
proprio.
“Sono belli?
Inteso, ci ha messo lo
stesso semino figo che ha messo con te?” sbadiglio anch'io,
contagiata, salvo strozzarmi a metà, dopo aver realizzato
cos'ho
appena detto. Va beh, tanto l'avrà notato quanto
è bello.
Lui sorride, esasperato:
“Sì, sono
belli. Più di me.” Con la coda dell'occhio mi vede
scuotere la
testa, così aggiunge: “Non sto
scherzando!”
“Peccato che tuo
fratello sia piccolo
allora, mi accontenterò di quello grande. Un mostro,
guarda.”
Justin ride ancora, poi si
volta
completamente verso di me. Nel buio della stanza brillano i suoi
denti bianchissimi, degni della pubblicità di Colgate. Mia
mamma
comprava sempre quello, mi ricordo. Ho la tendenza a dimenticare cose
importanti come la mia famiglia, non che sia poi una tragedia, e
ricordo delle cavolate come le allergie e il dentifricio. Come se
potessi mangiare e poi lavarmi i denti, qui.
“Cosa stavi
facendo fuori dal locale
a quell'ora?” mi chiede d'un tratto, tornando serio.
“Cercavo di
raggiungere la fontanella
al di là della strada. Sai com'è, faceva un po'
caldo e avevo
sete.”, gli spiego, mordicchiandomi un labbro. Da morti si
sanguina? Evitiamo di scoprirlo, comunque.
Lui annuisce, rimanendo in
silenzio.
Devo dire qualcosa, qualsiasi cosa, oppure si crogiolerà nel
suo
dolore. E se si mette a piangere? Muoviti, Gabrielle, pensa a
qualcosa.
“Lo sai che
quando beviamo non
respiriamo?” butto fuori a caso.
“Noi
cosa?” fa incerto. Forse crede
di aver sentito una cavolata, il che non sarebbe sbagliato.
“Sì,
perché l'epiglottide deve
stare chiusa, oppure l'acqua passa nelle vie respiratorie. Tipo io,
quando faccio una corsa, non riesco a bere subito dopo.
Perché già
ho poco ossigeno, se poi trattengo il respiro per bere
muoio.”, gli
sorrido. Ora mi prende per pazza, ora scappa, mi denuncia. Me lo
sento.
“Uhm...d'accordo?”,
ha un
sopracciglio inclinato in maniera preoccupante. Dev'essere piuttosto
perplesso.
Pensa ancora, pensa ad
altro. Dai che
ce la fai, ragazzina.
“Com'è
stato il tuo primo bacio?”
Oh, brava. Questo è già più
interessante.
“Confuso. Non me
lo ricordo bene. -
aggrotta la fronte, fissandomi con sguardo vacuo – Ah,
sì. Era una
bella ragazzina, bionda, occhi azzurri. È stato piuttosto
patetico,
uno sfiorare di labbra e poi è scappata.”, solleva
di nuovo le
spalle. Scappata? Idiota.
“Il
tuo?” mi chiede poi.
“Polipo.”,
borbotto, sperando che
non senta. È a due centimetri da me, per cui non prego
nemmeno.
“Hai baciato un
polipo?” mi chiede
strabuzzando gli occhi.
“No, lui era un
polipo.”, spiego
sempre mormorando. È talmente patetico che mi scaverei la
fossa da
sola. Perché questo me lo ricordo? Dovrebbe fare parte dei
ricordi
importanti. Che schifo.
Justin inizia a ridere,
contagiandomi.
Siamo quasi carini, lui che mi guarda e ride con una mano sullo
stomaco, e io che sono una specie di pesce attirato dall'amo (che
è
lui). E che amo.
“Intendi di
quelli che lasciano la
saliva?”
“E che ti
circondano la bocca con le
loro labbra a canotto stile Dissennatori e succhiandoti l'anima?
Sì,
intendo quello.”, mentre lui si lascia cadere totalmente sul
materasso, rotolandosi e urlando 'che schifo', sì, rende
l'idea, io
rimango a guardarlo. Lui si che sa baciare, secondo me. Non che io
possa testarlo, purtroppo. O magari posso baciarlo a tradimento e
dire che aveva un po' di nutella sul labbro. Uh, no, non fatemi
iniziare a pensare a lui e alla nutella insieme.
“Perché mi stai guardando
così?” mi chiede quando ha finito di
ridere delle mie disgrazie.
“Così come?” meglio essere vaghi.
“Così. Come se io fossi una bistecca e tu un cane
affamato.”
Eh?
“Ma che sei normale? No, ho capito. Per tenervi buoni vi
danno
l'erba, vero?” In tal caso capirei tutto.
“No, no. Una volta un tizio ha provato a portarsela. Sai, no?
Muori
con i tuoi vestiti addosso e lui teneva la droga in tasca. Solo che
poi i familiari l'hanno svestito per rivestirlo a lutto. E quando
è
arrivato qua gli hanno messo la tunica. Non sai che insulti pianta
ancora oggi.”, sghignazza. Secondo me se l'è
inventato.
“Sì, certo. Secondo me tu ti fai di qualcosa. Te
la passa il tuo
amico inquietante.”
“Ma chi, Daniel? Quello è un santo. Nessuno sa
perché è qui, ma
da quando lo conosco non fa altro che darmi consigli e sparare
citazioni di Oscar Wilde. Una noia pazzesca.”, sospira.
“Vuoi dormire?” gli chiedo. Lo vedo un tantino
stanco e continua
a sbadigliare. Dopotutto, sono quattro giorni che parliamo e parliamo
senza fare altro. Forse potrei...
“Mi è venuta un'idea!” esclamo prima
ancora che risponda. Mi
alzo a sedere e lo fisso, mentre lui alza gli occhi al cielo.
“E se ti stessi per dire che volevo dormire?” si
lamenta, ma si
mette a sedere anche lui.
“Zitto, sto pensando.” Lui mima di cucirsi la
bocca, poi rimane a
fissarmi mentre io penso. Com'è che si chiamava quel film
la? Quello
con Zac Efron e quella vecchia di cui si innamora? C'era pure Mila
Kunis e l'altro attore figo, Ashton qualcosa. Un cognome di quelli
che quando lo pronunci sputi. Va beh, c'è un'alternativa. Un
film
simile era quello con Morgan Freeman e l'altro vecchio. Caspita, mi
sto dimenticando le cose cinematografiche. Mi farò aiutare
dal mio
valletto.
“Justin, sta a sentire. Come si chiamava quel film con Zac
Efron,
Mila Kunis e altra gentaglia?”
Lui mi guarda e sbatte le palpebre un paio di volte, come un pesce
fuor d'acqua. “Capodanno a New York?”
“Bravo!” esclamo, e mi sporgo per dargli un bacio
in fronte. Oh,
caspita, l'ho baciato. In fronte, d'accordo. Però
è già qualcosa.
È superfluo vero dire che ha la pelle morbida? “E
quello con i due
vecchi che stanno per morire?”
“No. No, ho capito cosa vuoi fare.”, dice d'un
tratto,
allontanandosi di un po' da me.
“Dai, Justin! Ci saranno cose che avresti voluto fare prima
di
morire! Così potrai dire di averle fatte lo
stesso.”, provo a fare
il labbruccio, magari funziona.
“No. E tanto comunque non posso uscire di qua. Stai
già facendo
tanto per me, il tuo amico è persino partito per
me.”, sta
iniziando a disperarsi, non va bene. E comunque Shamuel l'ha fatto
per me, è stato carino. Spero che il signor Bloom non si
arrabbi con
lui o con nessuno di noi.
“Non puoi uscire, ma possiamo procurarci le cose che ti
servono.”,
mi avvicino di nuovo, prendendo le sue mani tra le mie. Sono fredde,
il sangue circola a malapena per colpa delle catene. Sorrido
amaramente, racchiudendole tra le mie e avvicinandole al viso.
Soffio, cercando di riscaldarle, e contemporaneamente sfrego. Quando
rialzo gli occhi, vedo i suoi lucidi nel buio.
“Sono contento che tu sia qui.”, la sua voce si
spezza mentre lo
dice. “Non voglio più stare solo.”
Non riesco più a reggere il suo sguardo, ma questo ragazzo
è
immensamente solo, ed ha bisogno di quanto più aiuto
possibile. Mi
sposto accanto a lui e lo abbraccio, sentendo i suoi capelli che mi
pungono il mento. Sento il suo verso di frustrazione quando si
accorge di non poter ricambiare la stretta, e tenta di allontanarsi.
Lo obbligo a star fermo con uno strattone, ed inizio ad accarezzargli
i capelli e il collo, tentando di rilassarlo. Restiamo così
per un
po', fino a che il suo respiro non diventa pesante, e so che si
è
addormentato tra le mie braccia, l'unico porto che ha trovato sicuro
dopo questi mesi di solitudine.
***
Esco dalla camera di Justin in punta di piedi, cercando di non
svegliarlo. Anche se dubito che lo farà, visto che ha
continuato a
russare anche mentre lo facevo rotolare da un letto all'altro.
È
peggio di un ghiro. Mi trascino nel corridoio, cercando di
dimenticare la morbidezza della sua pelle. Deborah ha ragione, non
devo affezionarmi a lui, oppure soffriremmo entrambi. E direi che
abbiamo già sofferto abbastanza, soprattutto lui. Giungo nel
vasto
spazio, che ora è quasi vuoto, e mi dirigo verso Deborah.
Non ho
idea di cosa faccia qui 24 ore su 24, ma non dev'essere così
divertente.
“Che ci fai qui?”, mi chiede spostandosi e
facendomi spazio. Mi
siedo accanto a lei, su una panca scomodissima.
“Non riuscivo a dormire. E tu?”
Lei arrossisce appena: “Aspetto Shamuel, dovrebbe tornare a
breve.”
“Ti piace lui, vero?” la guardo negli occhi,
finché non mi
accorgo che è diventata del colore dei pomodori maturi.
Potrebbe
esplodere da un momento all'altro.
“Non possiamo.”, mi risponde solamente. Quindi
è così davvero:
nessuno può stare insieme, in questo posto. E tutte quelle
prediche
riguardanti l'amore di Dio? La sua clemenza? L'amore verso il
prossimo?
“Perché non può esistere l'amore? Che
sciocchezza è mai questa?”
“Pensaci, Gabrielle. Noi siamo qui per amare Dio, non per
amarci a
vicenda. E se una storia finisse male? E se si amasse qualcuno
più
di quanto si ami Dio? Sarebbe peccato. Sai vero cosa succede a chi
pecca? L'Inferno, subito, senza nemmeno possibilità di
spiegare.”,
allunga una mano e mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio,
con il fare affettuoso di una sorella.
“Hai mai pensato che tutto questo è sbagliato? Che
non c'è niente
di amorevole in tutto questo? E' probabilmente solo uno spocchioso
che si diverte a far soffrire chi gli sta sulle palle.”
Deborah mi sorride: “Pensarlo sì, ma dirlo
mai.”
“Posso sapere perché devi scontare una
pena?” le chiedo piano.
Non voglio essere invadente, ma visto che siamo in vena di
chiacchierate... Lei annuisce, un po' incerta, ma prima che possa
dirlo un rumore ci distrae. Dalla scala arrivano grugniti e sibili,
simili a quelli di un maiale in calore. Dopo qualche secondo, con la
maglietta stropicciata e i capelli pieni di polvere, compare Shamuel.
È talmente incazzato che mi stupisce il fatto che riesca a
tenersi
dal bestemmiare anche adesso.
“Tu!” mi indica appena arriva. Mi sposto dietro a
Deborah,
cercando protezione.
“Oh, no, vieni fuori.”, sbotta. Così
sono costretta a guardarlo
in faccia. Sembra parecchio arrabbiato, anzi direi furioso. Scuote la
testa e si libera della polvere, poi si siede di fronte a noi
sbuffando forte. Che vittimismo.
“Sarai felice di sapere che Justin potrà rimanere
senza catene per
due settimane.”, mi informa. Prima che io possa stritolarlo
in un
abbraccio, però, aggiunge: “Tuttavia
c'è la paura che le altre
anime lo vedano come un preferito e che se la prendano con lui.
Justin dovrà quindi stare nella sua stanza per la durata
delle due
settimane. Senza uscire.”
Oh no, ho peggiorato le cose? Ma porca miseria, sono un danno
ambulante! Uh, però almeno adesso potremo abbracciarci.
Sì, certo,
come se potesse succedere ancora.
“Voi cosa? Vi siete abbracciati? Cosa mi sono perso in questi
quattro giorni? Sei innamorata? Vi siete baciati? Oh mio dio, mi
uccideranno. Lo sapevo che non dovevo stare dietro a una come te.
'Sei bravo, Shamuel' mi dicevano. Sì, certo. Bravo un
corno.”, e
continua a blaterare. È la prima volta che impreca e
impazzisce in
mia presenza. È divertente.
“Shamuel, calmati. Non ci siamo baciati, non abbiamo fatto
sesso,
non sono incinta, non sono innamorata. Aveva bisogno di un conforto e
l'ho abbracciato. È solo, sta male. Sto solo cercando di
fare la
cosa giusta!” esclamo alla fine, alzando il tono. Tutto
questo
dolore mi sta dando alla testa, poi arriva sto qui e mi accusa.
“E anche se fosse? Cos'è, sei diventato ostile
all'amore così di
colpo? Ha fatto il lavaggio del cervello anche a te?”
l'intervento
di Deborah, sempre calma e tranquilla, ci coglie impreparati. Senza
aspettare che Shamuel le risponda si alza e si allontana, facendoci
sentire un udibilissimo singhiozzo.
“L'hai fatta grossa, Sham.”, gli dico, battendogli
una mano sulla
spalla. Lui sospira e si prende la testa tra le mani. Mi viene
spontaneo dargli una carezza, mettendoci il ringraziamento per
ciò
che ha fatto per me.
“Perché lei è qui?” gli
chiedo, stavolta sperando di ricevere
una risposta.
Lui fa una smorfia: “Sconta la pena di sua madre.”
“E che ha fatto di tanto grave questa signora?”
“Ha portato qui l'amore.”, dice vago. Devo proprio
tirargliele
fuori di bocca le parole.
“In che senso?”
“Dio si era innamorato di lei.”
Colpo
di scena.
Non
so quando aggiornerò perché devo ancora finire di
scriverlo, il prossimo.
Grazie
a chi lascia una recensione :)
Bye.
OS: My
Beloved.
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Capitolo 9 *** Capitolo nono ***
Capitolo nono.
Justin muove un pezzo di due caselle, poi torna a fissarmi con occhi
critico: “Fammi capire: la tua amica muta sta scontando una
punizione perché Nostro Signore non sa tenere a bada il
serpente?”
Spalanco gli occhi: non l'avrei proprio detto così, ha fatto
una
parafrasi poco azzeccata. Fisso la scacchiera che ho sotto il naso,
cercando di capirci qualcosa. Non ci so proprio fare a sto gioco.
“Non è muta.”, commento, prima di
spostare una pedina nera verso
destra.
“Che fai, quella è mia!” sbotta,
riprendendola e rimettendola al
suo posto. Sono due turni che muovo pedine nere: quello disattento
qui è lui. Avrebbe dovuto dirmelo che sono dei bianchi. O,
forse,
sta cambiando schieramento proprio adesso perché io sono
troppo
brava e con i neri potrebbe fare scacco. Non glielo posso permettere,
ho una certa dignità da mantenere. La stessa che, in questo
momento,
mi trattiene dal saltargli addosso e strappare quella maglietta. L'ho
già detto che il bianco gli dona? Sì, forse
sì.
“Scacco matto!” sparo a caso, spostando un cavallo
davanti ad una
pedina più alta delle altre. Stavolta almeno ho preso un
cavallo
bianco.
“Il cavallo si muove a L, come te lo devo dire? E comunque
quella è
la regina.”, poi sospira e toglie i pezzi. Finalmente si
è accorto
che è inutile giocare con me! Però è
paziente con me, anche se
dopotutto ora può usare le mani grazie a me. È
ancora piuttosto
brutto vedere i suoi polsi e le caviglie circondati dagli aloni rosso
scuro, ma almeno può muoversi un po' di più.
Sempre restando
recluso qui, ovviamente.
“Che noia.”, commenta lasciandosi cadere su di me.
Lo afferro
all'ultimo, abbracciandolo. Lui sospira, infilando la testa
nell'incavo del mio collo. Non gli piace questa situazione: preferiva
rimanere legato, a quanto ho capito. Ha paura che, una volta tornate
le catene, si sentirà peggio, perché ha
assaporato la libertà. Io,
dal canto mio, ho paura di sbagliare qualsiasi cosa faccio con lui.
Vorrei solo migliorare la sua condizione, ma spesso finisco per
peggiorarla.
“Raccontami ancora una volta la storia di
Deborah.”, la sua voce
mi arriva soffocata e mi provoca brividi lungo la spina dorsale. Se
sapesse che effetto inizia a farmi... Se lo sapessero Shamuel e
Deborah, a quest'ora sarei decapitata e la mia testa infilata in un
palo, come facevano i vecchi indiani. O erano vichingi?
“Shamuel è un idiota. Non mi ha detto praticamente
niente. Dopo
aver lanciato la bomba a mano sul fatto che Dio fosse innamorato
della mamma di Debby, ha cambiato argomento. Si è messo a
parlare di
quanto gli piacesse suonare il pianoforte in vita.”, inizio
ad
accarezzargli i capelli. Sono di un colore ramato, quasi dorato, e
sono morbidissimi. Di solito mi chiede di toccarglieli per aiutarlo a
dormire; il problema è che quanndo mi addormento mentre lo
faccio,
in mezzo alla notte si ritrova la mia mano in faccia.
“Anche io sapevo suonare il pianoforte. E la batteria. E la
chitarra.”, si tira su e mi sorride. Oh, che palle, sa fare
tutto.
Non ha un difetto? Come possono sbattermi qui e sperare che io ne sia
indifferente? Avrebbe dovuto uccidermi un vecchio ubriacone. No, ok,
forse no.
“Io il flauto.”, faccio spallucce e lui ride,
tornando a
sotterrarsi tra i miei capelli. È un sacco coccolone, per
essere un
maschio adolescente. Di solito sono guidati da una specie di mantra
“calcio-sesso-cibo-sesso-faccio il dolce per portarmela a
letto-calcio-capelli.”
“Gabrielle!” esclama d'un tratto, tirandosi su e
dandomi una
testata sul mento.
“Justin!” lo imito, massaggiandomi per la botta. I
suoi occhi
brillano di entusiasmo e non posso fare a meno di sorridergli,
interrogativa.
“Mi porti una chitarra?” mi chiede prendendomi le
mani tra le
sue. Ora che il sangue circola meglio sono calde e ancora
più
morbide di quanto ricordassi. Penso che gli abbiamo già
concesso
molto, penso che non so se esistono le chitarre quaggiù,
penso che
Shamuel non ne sarà contento, penso che a forza di
continuare a
chiedere potrebbe succedere qualcosa.
“Certo che te la porto.”, gli faccio l'occhiolino,
e lui mi
sorride ancora più largamente. Non pensavo potesse
riuscirci, ma lo
fa. È come stare a vedere il sole brillare a occhi nudi.
Vale più
di mille 'grazie'.
“E' permesso?” una voce ci fa girare di scatto, io
arrossendo per
la nostra vicinanza, Justin indifferente. Non lascia le mie mani.
Sullo stipite della porta, appoggiato a braccia incrociate, Daniel ci
guarda con un mezzo sorriso. Justin annuisce sorridendo e lui entra,
sedendosi sull'unico materasso libero: il mio. Si schiarisce la voce,
ma rimane in silenzio.
“Tutto bene?” gli chiede Justin ad un certo punto,
lasciando le
mie mani per girarsi a guardarlo meglio. Mi porto le braccia al
petto, nascondendo le mani che già sono diventate gelate,
senza le
sue.
Daniel annuisce. La sua cicatrice spicca nella stanza illuminata
dalle candele. “Che fate?” chiede poi. Secondo te?
Andiamo in
canoa.
“Niente, parliamo.”, fa Justin sbadigliando.
Sì, so annoiarlo
per bene. Non è da tutti un dono del genere.
“Daniel, posso chiederti una cosa?” dico,
sorprendendo anche me
stessa. Mi fa paura il tizio, e spesso mi guarda pure male. Non
adesso, perché sembra parecchio stanco. Ha delle occhiaie
paurose.
Mi fa un cenno come per dirmi di chiedere. “Dove sono gli
animali?”
Lui mi guarda come se fossi pazza, Justin si volta per metà
verso di
me, sollevando come al solito il sopracciglio. Possibile che nessuno
se lo sia chiesto?
“Insomma, non c'è un regno per i cagnolini,
gattini, cavalli?”
specifico, sbuffando davanti alle loro facce perplesse. Justin alza
gli occhi al cielo, trattenendo un sorriso. Daniel invece mi guarda
serio, grattandosi il mento. Io dovrei avere proprio un livido
adesso, in quel punto.
“Non me lo sono mai chiesto, sai? Ma è una bella
domanda.”,
sospira e appoggia la testa al palmo della mano. Non sembra poi
così
cattivo, visto da così. Magari mantiene l'aria da duro
perché è
una specie di guardia.
“Perché sei qui?” mi viene spontaneo
chiedergli. Sembra che se
lo aspettasse, perché fa un sorriso, accentuando la piega
negativa
dell'occhio destro, mutilato dalla cicatrice.
“Sono un assassino, mi sembra piuttosto chiaro. Ma sono uno
dei
primi arrivati qui, anzi direi il primo, così mi
è stato garantito
una specie di compito di guardia. Controllo che gli altri facciano i
bravi, mentre Dio controlla me. Sono probabilmente quello che odia di
più.”, ha un tono quasi orgoglioso. Non mi ci va
molto per fare
due più due. Arretro instintivamente, incontrando la roccia.
“Qual è il tuo vero nome?” chiedo con un
filo di voce. Justin,
accanto a noi, ci guarda alternativamente, senza capire che sta
succedendo. Pensa che Daniel sia un cerbiatto o cosa?
“Dobbiamo fare questo teatrino? Lo hai capito
benissimo.”, mi
sorride in modo quasi dolce, se uno come lui può essere
definito
dolce. “Caino, figlio di Adamo ed Eva. Primo uomo sulla
Terra,
primo assassino sulla Terra.”, al che Justin si soffoca con
la sua
saliva.
“Hai ucciso tuo fratello!” esclamo stringendomi le
ginocchia al
petto. Non posso andare più indietro di così.
“Era un tipo noiosamente fastidioso.”, commenta
sospirando. Zero
pentimento. Mentre Justin biascica cose a caso, io valuto le
alternative. Sono morta, giusto? Per cui non può farmi
niente. E
soprattutto, non può farne a Justin. Bene. Magari la sua
conoscenza
del luogo può aiutarci.
“Non è che conosci un posto dove Justin possa
stare senza farsi
vedere?” chiedo. Daniel, perché mi fa troppo paura
pensare di
chiamarlo in un altro modo, ci pensa un attimo, poi si alza.
“Oggi mi sento buono.”, ironizza, porgendomi una
mano. La uso per
tirarmi su e poi afferro quella di Justin. All'orecchio mi sussurra
che secondo lui non è prudente girare con Daniel, ma io non
lo
ascolto. Dopotutto, fino a ieri lo considerava il suo nuovo best
friend.
***
Mi siedo accanto a Deborah, stanco, passandomi una mano tra i capelli
corti. Sento la sua piccola mano sfiorarmi la schiena e accarezzarla,
mentre un calore profondo mi scuote da dentro. È sempre
stato così
con lei, dalla prima volta che l'ho vista. Ho capito che avrei potuto
affrontare anche il... come l'aveva chiamato Gabrielle? Il
ProfondInferno. Se fosse esistito, chiaramente.
“Sham, stai tranquillo. Andrà tutto
bene.”, cerca di consolarmi,
appoggiando la testa alla mia spalla. La stringo a me, annusando il
suo dolce profumo. Non è facile essere me, ve lo assicuro.
Anzi, fa
parecchio schifo. Sento il ronzio continuo dei pensieri altrui, ho un
peso sulle spalle più pesante del cielo stesso e sono uno
sfigato.
Niente da fare, giuro, nessuno lo è più di me.
“Come potrebbe? Dio mi ha quasi fulminato con lo sguardo
quando gli
ho chiesto di togliere le manette a Justin, mi sa che sospetta
qualcosa.”, sospiro, annusando ancora il suo profumo per
calmarmi.
Caspita, sembro un drogato all'ultimo stadio.
“Mica è Zeus.”, mi risponde, facendomi
sorridere. Sento nei suoi
pensieri cose che non dovrei, cose che dovrebbe volermi dire solo al
momento adatto. Fingo, allora, di non sentire il suo corpo che trema
a contatto con il mio, il suo cuore battere impazzito e le sue
dichiarazioni silenziose. Dovrei chiedere a Dio di bloccare almeno i
pensieri di Deborah. Ah, no, mi sa che se gli chiedo qualcos altro mi
decapita.
“Sham.”, mi richiama, alzandosi di poco per
guardarmi negli
occhi. Deglutisco, cercando di reprimere l'istinto di prenderle il
volto tra le mani, baciarla e stringerla forte. Annuisco solo, per
dirle di continuare.
“Perché è sbagliato?”
sussurra. So dove sta andando a parare,
maledizione.
“Che cosa, Debby?” mi accorgo di tenere la voce
bassa anch'io,
come se non volessi farmi sentire. Tanto è impossibile, lo
so bene.
“Quello che proviamo.”, trattiene il respiro dopo
averlo detto,
come se non ci credesse nemmeno lei. Io non ci credo di sicuro. So
cosa prova per me, lei sa cosa provo per lei, ma nessuno l'ha mai
detto ad alta voce. Si capiva, semplicemente. Persino una come
Gabrielle l'ha capito. Ahi, questo forse era un insulto brutto. Per
fortuna che nessuno sente cosa penso io.
“Lo sai, io...” inizio, ma poi mi fermo. Non so
cosa dirle.
Vorrei poterla amare alla luce del sole, ma non si può. Ed
io,
proprio io, per primo, devo rispettare questa regola. Devo essere il
buon esempio. Un compitaccio.
“Shamuel. -mi interrompe.- Loro si innamoreranno, lo sai
meglio di
me. E Gabrielle non è come me e te, non
sopporterà che le mettano i
bastoni tra le ruote.”, la sua voce ora è seria,
tagliente. Ha
ragione. L'ho capito dalla prima volta che ho visto Gabrielle. Ha
quella scintilla negli occhi di chi è ancora vivo, di chi
è pronto
ancora a vivere le stesse emozioni terrene. È stato
difficile
convincerla che la sua morte era vera, è una pedina
incontrollabile.
Lo so fin troppo bene.
“E cosa dovrei fare?” la domanda mi esce come un
lamento, mentre
mi prendo la testa tra le mani. Il ronzio di notte è
attenuato, ma
lascia il solito mal di testa pulsante a cui ormai sono abituato.
“Fagli capire che l'amore è necessario. Fallo per
loro. Per noi.”,
la voce le si spezza sull'ultima parola. I suoi occhi si riempiono di
lacrime, mentre mi guarda implorante. Quante occhiate del genere ho
ricevuto, nel corso di questi anni? Gente che mi ha supplicato di
riunirsi al suo amato o alla sua amata. E sono stato irremovibile,
una pietra. Adesso che capita a me finalmente capisco quanto fa male,
quanto è difficile conviverci. Eppure, dopotutto, non
c'è molto che
io possa fare. Le decisioni di Dio non sono discutibili senza
conseguenze. La stringo tra le braccia, sentendola sciogliersi in
singhiozzi. Vorrei non soffrisse mai, vorrei poter distruggere ogni
scheggia di dolore dal suo cuore puro. Questa ragazza vivrà
per
sempre un'esistenza che non si merita.
“Non posso, non posso.”, continuo a ripetere,
cullandola. Vorrei.
Vorrei davvero. Non ho mai odiato il condizionale così
tanto. E io
non dovrei odiare nessuno! Sempre sorridente, sempre carino, sempre
gentile. Gabrielle ha persino ragione quando dice che sono
antipatico. Mi accorgo di esserlo. Ma è il peso del mio
ruolo qui
dentro, benché possa sembrare una giustificazione.
Alla fine Deborah si calma, ritraendosi dalla mia stretta per
asciugarsi gli occhi e tirare su con il naso. Mi guarda con gli occhi
ancora umidi, gonfi dal pianto. Nonostante io sia un idiota, non
leggo accusa nel suo sguardo. Solo amore. Un amore che mi accende e
mi brucia, che mi lascia scottato e impotente.
“Qualsiasi cosa accada, io sceglierò sempre di
stare con te.”,
si dichiara infine, prendendomi una mano e intrecciando le nostre
dita. Deglutisco ancora, non riuscendo a sostenere il suo sguardo.
È
troppo bella. Troppo pura. Mi fermo a guardarle le labbra un secondo
di troppo, quel secondo che mi frega, mi butta nel buio. Un posto dal
quale non potrò mai più ritornare.
Mi allungo e le afferro dolcemente il viso con una mano, tenendo la
sua con l'altra, e mi avvicino. La vedo sbarrare gli occhi, incerta e
desiderosa. Sto per fare la cosa più giusta,
nonché la più
sbagliata, di tutta la mia vita. Non voglio chiudere gli occhi. Si
dice che il bacio ad occhi chiusi sia più sentito, io invece
voglio
vederla dritto in quel colore che amo tanto, per essere in grado di
cogliere ogni sua espressione. La bacio con dolcezza, premendo le
labbra sulle sue umide dal pianto e poi aprendole, per approfondire
il bacio. E le vedo tutte: paura, spavento, incertezza, dolore,
incredulità. Ma soprattutto amore. Ed è quello
che mi spinge a
baciarla ancora, fino a che non devo riprendere respiro, fino a che
non sento la testa girare e le labbra gonfie. In questo momento, non
mi importa se Dio mi squarterà o preferirà la
ghigliottina: io ho
qualcosa per cui lottare, o almeno avrò qualcosa a cui
pensare nei
secondi precedenti la morte.
“I-io non...”, inizia a balbettare. Le poggio un
dito sulle
labbra, scuotendo la testa.
“Non dire nulla, ti prego.”, la imploro. Lei
annuisce, e si
appoggia alla mia spalla, donandomi il suo calore per quella che
spero non sia l'ultima volta.
Allooora.
L'ultimo
pezzo è, come avete potuto notare, dal punto di vista
di
Shamuel. Questo sia perché volevo dare una descrizione
più
precisa
di un'altra coppia, sia perché Julia lo ama ahah.
Ho
un'altra cosa da dire prima di andare:
ho
notato che la storia non è commentata da molti, il che mi fa
pensare
che
non piaccia a molti. Sto quindi pensando di cancellarla, ma NON è
sicuro.
Ci
penserò bene. Grazie a chi c'è, comunque. Spero
questo capitolo vi piaccia.
Chiara. :)
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Capitolo 10 *** Capitolo decimo ***
Capitolo decimo.
Sposto lo sguardo da Shamuel a Deborah, notando qualcosa di strano.
Lei continua ad arrossire e, ogni volta che si sfiorano, si chiedono
scusa balbettando e distogliendo lo sguardo. Per essere due che non
dovrebbero farsi scoprire, stanno facendo un pessimo lavoro. Mi
stupisce che Dio non sia ancora sceso qui fluttuando e mandandoli a
morire in modo doloroso, magari usando un tridente o un bastone figo.
Come un vecchio saggio o qualcosa del genere.
“Quand'è che avete fatto sesso?” chiedo
sbadigliando. Shamuel
sbatte un paio di volte le palpebre, guardandomi stupito. Deborah fa
un lamento imbarazzato, nascondendosi la testa tra le mani.
“Noi...io...ma che dici Gabrielle!” esclama lui,
mettendomi un
braccio attorno alle spalle. Sta facendo il gentile, quindi
c'è
decisamente qualcosa sotto.
“Cos'è, l'hai messa incinta?” lo spingo
via, sgridandolo con lo
sguardo. Come si fa a partorire nell'Aldilà? Che schifo. E
non
esistono i preservativi, quindi rimani con un marmocchio dentro per
forza di cose. Mh, mi sta passando la voglia di attaccare
sessualmente Justin.
No, scherzavo.
“Piantala di dire cose stupide. -balbetta Sham- E invece che
pensare a come...attaccare sessualmente? quel povero ragazzo, dove
l'hai lasciato?” mi chiede curioso. Sta cambiando argomento,
ma non
sono scema. Beh, se si sono dichiarati o cosa meglio per loro.
“Dove sta da due giorni, dove vuoi che sia.”, perdo
il tono
canzonatorio, ritrovandomi seria più di quanto vorrei.
Daniel, o
meglio Cai- ho ucciso mio fratello perché ero
più bello- no,
gli ha fatto vedere una specie di collinetta (è orrenda,
tutta
bianca) che da sugli altri cerchi dell'Inferno. In realtà
non c'è
molto da fare, ma lui sta la tutto il giorno, a pensare. A volte
rimane a dormirci. Non passa mai nessuno da quelle parti, nessuno
può
vederlo e siamo tutti più felici e contenti. Balle. Non mi
parla
quasi più, intento a pensare a non so cosa, ed è
diventato un
filosofo peggio di Platone. Spara riflessioni su riflessioni. Ho
provato a rispondergli con qualcosa di intelligente, ma mi ha subito
zittito dicendo che conosceva quella citazione. Fingersi Charlie
Chaplin non è stata una grande idea, così da
allora sono stata
zitta.
“E perché non vai a fargli compagnia?”
la sua voce si è
addolcita. Quasi impossibile a dirsi, vero?
“Perché mi ha chiesto di restare solo.”,
borbotto contrariata. E
al diavolo ogni tentativo di fare un cammino di purificazione. A sto
punto mi posso mettere a girare in cerchio e farlo da sola. Magari
potrei parlare con qualche altra anima, oppure...
“Shamuel!” esclamo, come se fosse ovvio.
“Non ci sono chitarre, come te lo devo dire?”
sbuffa. Abbiamo già
avuto questo discorso, e quando ho detto a Justin che non avrebbe
potuto avere la sua chitarra è stato brutto. Non so se
dimenticherò
la luce di delusione nei suoi occhi, ma poi ha fatto spallucce e un
mezzo sorriso. Si è adeguato, in qualche modo.
“No, al diavolo le chitarre. -gesticolo come per spazzare via
qualcosa- Voglio vedere Jason.”, espongo la mia idea,
vedendolo
inarcare le sopracciglia.
“Vuoi vedere chi?” fa perplesso. Che memoria
impeccabile, mamma
mia.
“Ma ci sei o ci fai, Shamuel con l'h?” lo spintono
leggermente,
gesto per cui, conoscendolo, fingerà di lamentarsi per
mezz'ora. È
fragile come il tonno Riomare. Dato che non mi risponde, troppo
occupato a massaggiarsi il braccio e a guardarmi male, glielo devo
spiegare.
“Jason, l'angelo! Sai, tizi con le ali che ti fanno ricordare
cose
contro il tuo volere.”, gesticolo per fare più
scena. Così, tanto
per.
“Ah. E perché vorresti vederlo?” chiede,
e sembra davvero
curioso. Non che questo mi smuova, assolutamente.
“Perché si.”, gli sorrido e lui sbuffa.
Voglio farci una
chiacchierata, non posso? Sto cercando di nascondere il vero motivo,
in caso mi scavi nella testa. Non è nemmeno
chissà cosa, ma questo
giovanotto si svonvolge per poco, ho notato.
“Vai, è nello stesso posto di sempre.”,
si arrende,
indifferente. Sham, piantala di fare il duro e il modello di
comportamento, so che sei un pezzo di pane. Devo puntare su
quest'aspetto nascosto del suo carattere.
“E mi fai girare da sola per l'Inferno? E se mi succede
qualche
cosa?” Puntiamo sul tragico.
Shamuel mi fissa, sbattendo le palpebre: “Che ti deve
succedere?
Sei morta.” Mr. Tatto dell'anno. Ecco a voi l'uomo (o meglio
il
ragazzo) che mi manderebbe in pasto a leoni per rendere più
allegra
la sua giornata.
“Non so la strada.”, ritento, calcando parola per
parola. Che poi
è vero, mi perderei di sicuro.
“Fatti accompagnare da Deborah.”, dice laconico,
come se volesse
chiudere questo discorso e basta. Non ha pazienza! Altro che pezzo di
pane, è un pezzo di...
“Gabrielle! Per favore!” esclama così
forte da stordirmi. Ok,
non lo penso più, grande capo. Afferrato il concetto.
Dal canto suo, Deborah mi fissa sorridendomi. Bene, lei è
sempre
disposta ad aiutare gli altri. Devo andare a cercare Michelangelo per
chiedergli di farle una statua. Sarà all'Inferno? Mah, forse
no.
Comunque, meglio andare subito. Non me la sento di incontrare Justin,
ma tanto sarà ancora con il culo incollato alla collina.
Beata la
collina, dopotutto.
Afferro la mano di Deborah e mi lascio guidare verso la scala
tortuosa (come direbbe Gollum) e mi preparo a salirla. Me la
ricordavo persino più larga, non so come io abbia fatto a
passarci.
Per non parlare di quel ciccione di Shamuel, per lui dev'essere stato
eroico.
“Un momento.”, mi fermo prima di iniziare a salire.
Deborah alza
un sopracciglio, girandosi a fissarmi. È solo sul secondo
gradino,
per cui può ancora farlo.
“Ma Jason stava fuori dall'Inferno. Io non posso uscire di
qui, non
prima che siano terminate le due settimane.”, e Shamuel lo
sa. Cosa
sta cercando di fare, farmi fallire la prova? Non mi vuole in
Paradiso con lui? Forse pensa di avere l'esclusiva.
“O forse pensa che non ti meriteresti di raggiungere chi ha
vissuto
una vita esemplare. Niente di personale contro di te,
credimi.”, la
voce di Shamuel non mi stupisce. Ci ha seguite e ha sentito i miei
pensieri, come al solito. Mi giro per rispondergli, ma vedo accanto a
lui Justin. Il marmocchio collinoso. Devo trattenermi per non andare
ad abbracciarlo, perché mi è mancato.
Perché è bello. Perché
vorrei che preferisse me ad una collina. Ignoro l'espressione
incredula di Shamuel: c'è qualche problema? Non è
colpa mia se
sento i bruchi nello stomaco quando vedo Justin, non è colpa
mia se
mi suscita dei pensieri più profondi del normale. Non
è colpa mia
niente e la gente dovrebbe smetterla di rinfacciarmi ogni cosa.
“E come sai che non avrei potuto vivere una vita esemplare?
Sono
morta, cretino! A diciotto anni!” mi ha fatto arrabbiare
stavolta.
Vedo Justin sobbalzare alle mie parole, portandosi una mano sul
cuore. Improvvisamente la rabbia sparisce, vorrei non aver detto
niente. O almeno, vorrei non averlo detto in sua presenza.
“E io ti sembro tanto più vecchio? Eppure forse ho
mostrato di
meritarmelo.”, mi fa Shamuel, mantenendo un tono calmo ma che
tradisce la rabbia.
Rispondo con lo sguardo puntato su Justin. Non riesco a staccare gli
occhi, ci guardiamo e basta. Ed io sento qualcosa crescere in me,
qualcosa di forte e inatteso. Qualcosa di pericoloso. “Sono
stanca
di sentirmi dire che sei superiore, anzi non ho idea del
perché tu
sia qui.”
“Tu hai chiesto che ci fossi!” esclama d'un tratto,
facendomi
distogliere lo sguardo da Justin. Shamuel mi sta fissando con
delusione, mantenendo la calma in modo ammirevole, in confronto a me.
“Hai ragione. Pensavo fossi migliore.”, il tono con
cui lo dico è
amaro. E non si riferisce solo a Shamuel.
Giro i tacchi prima che possa rispondermi, perché non ho
più la
forza di sostenere una discussione. Sono stufa di aiutare gli altri
quando nessuno aiuta me, stufa di affezionarmi a persone per le quali
non valgo poi così tanto. Mica volevo andare da Jason per
me; avrei
solo voluto recuperare tutti i miei ricordi per poter aiutare Justin.
Non ricordo come si tratta un amico, non ricordo un cavolo di niente.
Qualsiasi cosa io faccia è perché sto pensando
agli altri, prima.
Ed è così che continuo a soffire. Le persone
buone come me non
fanno una bella fine, a forza di spezzarsi dentro.
Non ricordo quando ho iniziato a correre, ma lo sto facendo. Corro
attraverso le anime, sorda ai loro insulti. Corro fino a che non
raggiungo il posto che ho evitato per questi giorni, che ho
disprezzato. La collina bianca mi attende, vuota, inutile.
Perché
sono venuta qui? Semplice. Questa collina rappresenta qualcosa per
Justin. Vorrei essere come questa collina, adesso.
Rimango seduta a fissare il vuoto per non so quanto tempo, immobile.
Non piango. Non ce n'è bisogno. Non so come a Justin possano
venire
in mente riflessioni filosofiche, quassù. Per me
c'è un senso di
vuoto assoluto, un silenzio che crea un ronzio fastidioso.
“Non è granché, vero?”
Sobbalzo, fissando alla mia destra. Justin è seduto a gambe
incrociate, rivolto verso di me e non verso il panorama. Non so da
quanto è qui, non l'ho sentito arrivare.
“Pensavo di piacesse.”, la mia voce suona roca per
le urla di
prima e il silenzio degli ultimi minuti. Justin scrolla le spalle,
lanciando un'occhiata al vuoto e poi tornando a concentrarsi su di
me.
“E' l'unico posto in cui possa stare, devo farmelo andare
bene.”,
fa un sorriso a mezza bocca, avvicinandosi un po'. Non l'ho mai vista
in questo modo, non ho mai pensato a cosa significasse per lui. Forse
non sono così altruista come pensavo. Forse davvero ho
dimenticato
come si fa ad essere amici di qualcuno.
“Mi dispiace di non averti parlato questi giorni.
Volevo...pensare.
Ma mi sono solo fatto del male.”, ammette. Allunga una mano
ed
automaticamente gli porgo la mia. La sua espressione si rilassa,
mentre comincia ad accarezzarmi la pelle. Io, come al solito,
nascondo i tremiti e i brividi. Spero non noti la pelle d'oca che mi
è venuta ovunque, persino sul collo.
“A cosa pensavi?” chiedo. La mia voce è
un filo quasi inudibile.
Justin mi guarda e vedo un lampo di tristezza passare nei suoi occhi.
Non fa nulla per nasconderlo. “A quanto te ne andrai e
sarò di
nuovo solo, in catene, in mezzo a persone che se potessero tornare
indietro farebbero esattamento cos'hanno fatto. Quanto sono stupido?
Ho sprecato due giorni a pensare a queste cose, invece di sfruttarli.
Ora non torneranno indietro.”, stringe la mia mano, ma senza
farmi
male.
“Magari posso chiedere se...”, ma mi interrompo.
Lui già scuote
la testa. Non posso più chiedere nulla, anche se in questo
momento
chiederei di poter stare qui per sempre. Potrei anche sopportare le
catene. L'odore fa un po' schifo, ma forse mi ci potrei abituare.
“Shamuel mi ha detto che volevi riavere i tuoi
ricordi.”, cambia
argomento. E quindi non sono riuscita a tenere nascosti i miei
pensieri, Mr. Tatto li ha raggiunti a suo piacere, neanche fosse la
sua di testa.
“Perché?” mi chiede ancora, visto che
non rispondo. Sono troppo
occupata a insultare Shamuel mentalmente. Spero che i pensieri
funzionino anche chilometricamente parlando.
“Voglio sapere tutto di me, è un mio diritto.
Voglio sapere come
si fa a fare determinate cose che ho dimenticato.”, confesso.
Ti
prego Dio, fa' che non mi chieda cosa.
“Tipo?” Ecco. Grazie.
“Tipo essere...ehm...un'amica.”, sono diventata
fucsia. Lo sento.
Justin strabuzza gli occhi, lasciandomi la mano per indicarmi
minacciosamente con il dito: “Non osare pensarlo!”
sbotta. Alzo
le mani e indietreggio quanto possibile, dato che sono seduta. Ok,
non lo penserò più. Capito.
“Ho un'idea.”, ricomincia a parlare una volta che
si è calmato e
ha smesso di indicarmi come un pazzo.
“Le tue idee fanno schifo.”, gli sorrido. Lui mi fa
la
linguaccia, da persona matura quale è, e si avvicina di
nuovo. Mi
prende la testa tra le mani e mi da' un bacio in fronte. È
così
affettuoso e intimo che mi viene da piangere. E giuro che piangerei,
se fossi una persona sentimentale.
Ma sono un robot, per cui niente.
“Grazie della fiducia.”, ridacchia e mi lascia
andare. Si alza e
mi tende una mano, che io afferro. Dopotutto io mi fido di lui, ed
è
giusto che sia così. Mi fido del mio assassino. Non fa tanto
film di
Sandra Bullock?
“Posso sapere qual è questa tua idea
geniale?” chiedo, mentre mi
lascio trascinare da lui. Presto ci mettiamo a correre e la sua
adrenalina mi contagia. Qualunque cosa sia, ci sto.
Quando si ferma mi accorgo che siamo di nuovo, dejavù, ai
piedi
della scala per pidocchi. Mi ci vanno circa due secondi virgola
cinque periodico per capire cosa ha in mente. Ricordate quando due
secondi virgola cinque fa ho detto che qualsiasi cosa fosse stata
avrei accettato? Cancellatela.
“Justin, ma sei scemo?” mi scappa. Non voglio
offenderlo, ma
forse è un po' stordito dal fuso orario (che qui non esiste,
ma
magari lui non lo sa).
“Muoviti, ci metteremo tre anni a superare questa
scala.”,
sussurra. “E fai silenzio.”, aggiunge poi.
“Perché parli in prima persona plurale?”
chiedo,
terrorizzandomi. Se prima pensavo che fosse una cattiva idea, adesso
penso che sia un'idea talmente stupida che ci beccheranno al quarto
gradino. Forse, se ci va bene, al quinto.
“Ti accompagno dall'angelo.”, mi sorride ma senza
il suo solito
ghigno. È preoccupato quanto me, ma lo sta facendo. Per
me.
Pazzesco.
“Ma tu non puoi uscire di qui!” esclamo e la mia
voce sfiora il
falsetto. Sulla mia fronte lampeggia la scritta 'terrore' in rosso
fosforescente, ne sono sicura.
“E chi se ne frega!” mi fa l'occhiolino e inizia a
salire. Sarà
una lunga passeggiata, visto che è bloccato al terzo
gradino. Ancora
peggio di quanto pensassi! Se ci beccano siamo morti. Per la seconda
volta. E Shamuel mi odierà; e Debby pure. Dio
punirà Justin, me e
chi sa chi altro.
Che figo.
“Andiamo, bello.”, gli dico, aiutandolo a spingersi
su per le
scale. Mica gli sto toccando il culo eh, non preoccupatevi.
Allora.
Vi
chiedo scusa per non aver aggiornato, ma lunedì ho inziato
l'università:
esco di casa alle 7 del mattino e torno alle 8 di sera.
Per
cui capite che è difficile scrivere. Faccio il possibile.
Inoltre
scusate che, per lo stesso motivo, non ho potuto rispondere alle
recensioni.
Mi
hanno emozionato, comunque. Per cui per ora non cancello la storia.
Poi
si vedrà.
Ditemi
se vi piace e scusate ancora.
Chiara :)
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Capitolo 11 *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo undicesimo.
Dopo due giorni di cammino sprecati a giocare a farci delle domande,
spingerci come due adolescenti idioti e fare dei giochi stupidi tipo
'penso ad un personaggio dei cartoni animati, tu fammi le domande e
indovina chi è', posso dire di essere stanca. E totalmente
presa da
questo ragazzo. In ogni suo sorriso, in ogni smorfia, in qualsiasi
cosa dica. Nel modo in cui suona la sua voce, nel suo essere
testardo, nell'allegria che ci mette nonostante la sua condizione.
È
un ragazzo forte, tremendamente forte.
E questo non fa altro che renderlo ancora più bello ai miei
occhi.
La prima settimana è passata: mi sembra impossibile. Ho solo
più
sette giorni da passare in sua compagnia, dei quali due saranno
ancora di cammino. È strano che nessuno sia ancora venuto a
cercarci: o Dio non se n'è ancora accorto, che ne so, magari
sta
giocando a carte, o Shamuel non gliel'ha ancora detto. La seconda
ipotesi è da escludersi, dato che l'ultima volta che ci
siamo
parlati volavano insulti a destra e a manca.
Quindi, riassumendo, Dio sta giocando a carte. No, cosa? Mi sto
distraendo guardando Justin.
“Gabrielle, c'è qualcosa che vuoi
dirmi?” sospira Justin,
fermandosi e voltandosi a guardarmi. Oh, cacchio.
“Eh? Io? E perché dovrei?”
Lui sorride, scuotendo piano la testa. “Niente, non
importa.”,
sospira ancora e poi ricomincia a camminare.
“No, adesso me lo dici.”, lo fermo afferrandolo per
un braccio.
Si gira di nuovo, inchiodandomi con i suoi occhi color caramello.
Sembra un cerbiatto. Accecato dai fari, in questo caso, data
l'espressione sorpresa dalla mia presa ferrea.
“Potresti tenere per te certi pensieri.”, ride ma
poi torna
serio, togliendosi con una certa durezza dalla mia stretta. Cos'ho
fatto adesso? Non ditemi che ho detto quella parte del 'mi sto
distraendo guardando Justin' ad alta voce. Non può essere
successo.
“Bambi: sii chiaro.”, gli punto un dito sul petto,
stavolta seria
anche io. Il che è un notevole traguardo.
Anche stavolta toglie la mia mano allontanandosi di poco e
lasciandola cadere sul mio fianco. Vorrei quasi dirgli che
così sta
di nuovo perdendo tempo con me, ma non riesco. Il fatto è
che essere
di nuovo allontanata da lui ha spezzato quel poco che era rimasto
dentro di me dopo la prima volta che si è comportato
così. Ma io,
dopotutto, non posso nemmeno stare dietro ai suoi cambiamenti d'umore
perenni.
“Sarò chiaro: qualsiasi cosa provi
smettila.”, sbotta
improvvisamente. Un ceffone avrebbe fatto meno male. Se pensavo che
si fosse ormai tutto spezzato sbagliavo di grosso: ho appena sentito
un crack. E cadrei anche, se solo fossi arrendevole. Ma non
è così
che voglio essere, proprio per niente.
“E allora tornatene indietro! Chi ti ha chiesto di
venire!” gli
urlo dietro. Non si scompone, rimane a fissarmi come se non avessi
parlato. Si può sapere che diavolo gli prende? Negli scorsi
due
giorni ha fatto l'amicone. Se deve essere più lunatico di
mia nonna,
può anche tornare a crogiolarsi nella sua stupida sofferenza.
“Sì, penso che farò
così.”, sibila con tanto rancore che mi fa
metaforicamente arretrare. Con metaforicamente intendo che i miei
passi sono fissi al suolo, per non dargli soddisfazione, mentre il
mio cuore è ormai nei pressi dei piedi, a pezzi
sanguinolenti.
Quello che fa più male è che si sia accorto di
cosa provavo ed è
stato zitto a illudermi, fino poi a distruggermi così. Ed io
che
pensavo fosse diverso.
“Non lo farai, hai troppa paura che ti puniscano. Sei un
vigliacco.”, la voce mi esce stranamente ferma, mentre le
mani
tremano. Ma questo lui non lo vede, perché le sto stringendo
talmente forte che sembrano ferme. Probabilmente, se lasciassi andare
la presa, sembrerei affetta da Parkinson.
Lui arretra, e sto parlando fisicamente, e mi guarda con un'accusa
velata nello sguardo: sa che ho ragione. Non sa cosa rispondere:
vorrebbe difendersi dalla parola 'vigliacco', che pesa ancora come un
macigno tra noi. L'ho offeso, ma non più di quanto lui abbia
fatto
male a me.
“Tu non sai cosa vuol dire.”, il terrore prende il
posto della
rabbia e sembra ritornato il bambino smarrito di sempre. Vorrei
poterlo stringere e rassicurare, dirgli che lo salverò, che
non è
tutto perduto. Ma, si sa, alcune ferite non possono essere guaribili.
E il mio cuore è in troppi pezzi per rinsaldarsi.
“Forse no, ma sto cercando comunque di aiutarti.
Vorrà dire
qualcosa, no?” sbotto ormai vicina all'esasperazione: vi
prego
dategli una botta in testa, giuro che lo trascino senza fare storie.
Se devo sentirlo accusarmi ancora per molto lo prendo per un orecchio
e lo faccio girare in volo.
“Tu provi solo pena e compassione, come tutti gli altri. Che
ci
farà mai un bel ragazzino come te nell'Inferno? Oh, hai
ucciso per
sbaglio? Poverino!” imita la voce di quelle che credo siano
le
anime impietosite dal suo aspetto. Sorvolando sul fatto del 'bel
ragazzino', qualcuno qui è vanitoso, il suo sfogo sembra
farlo star
meglio. Respira forte, il suo petto si alza e si abbassa velocemente,
gli occhi sono pieni di rabbia e vedo la sua intera figura tremare.
Se lo abbraccio è pena? Sì. Ora inizio a capire
cosa mi sta
cercando di dire.
“Se preferisci che ti tratti con aria schifata
io...” mi
interrompe ancora prima che finisca.
“Tu dovresti odiarmi!” urla, alzando le braccia al
cielo. Ecco il
nocciolo della questione: non si spiega perché io, dopo
essere stata
uccisa da lui, invece che odiarlo mi trovi attratta da lui. E questo,
credetemi, me lo chiedo tutti i giorni.
“Molto bene.”, dico fredda. Gli volto le spalle e
ricomincio a
camminare, senza preoccuparmi se mi sta seguendo o meno. Non lo
obbligherò a stare con me se non lo vuole: io l'ho
perdonato, il mio
compito è finito. Non c'è bisogno di nessun
angelo, di nessun
ricordo. È solo ora di tornare. Spero fortemente che non mi
ammettano in Paradiso, perché non ci voglio proprio stare.
Meglio il
limbo freddo e bianco del Purgatorio a ricordarmi perché
soffro. Non
potevo affezionarmi a una pietra? Sarebbe stato decisamente meglio.
Sento i suoi passi seguirmi, ma non me ne preoccupo.
E continuiamo così, camminando verso l'Inferno, verso casa
sua, per
i successivi due giorni.
***
“GABRIELLE, IO TI UCCIDO!” mi urla addosso Shamuel.
Alla faccia
del Paradiso, questo ha istinti omicidi. Se esistesse un coltello in
questo posto, non avrei più le dita.
Gli sorrido, divertita ma spenta: “Ciao anche a te.”
“Non scherzare, non hai idea di cos'hai fatto!”
esclama
prendendomi per una spalla e trascinandomi verso una pietra. Mi ci fa
sedere, mettendosi di fronte a me a braccia incrociate. Il suo volto
è una maschera nera di rabbia e terrore. Rabbrividisco,
deglutendo.
Cos'ho fatto?
“Oh, mio dio.”, arriva Deborah, coprendosi il volto
con le mani.
Oh, cazzo. Scusa, Dio, ci stava. Se Deborah è
così destabilizzata,
ho fatto un danno maggiore del previsto. Dov'è Justin,
perché
nessuno sgrida lui? Non che mi importi poi molto di dov'è.
Sì,
certo.
“Sta arrivando.”, mi dice senza alcuna inflessione
nella voce.
Sta arrivando chi? Voldemort, Sauron, Peppa Pig? Chi? Alla visione
della mia faccia perplessa, Deborah mi risponde. Il suo sghuardo,
però, non è più affettuoso come una
volta: mi odia.
“Il signor Bloom. Sta arrivando. Viene a punire
Justin.”
Silenzio atroce. Tum, solo lo sprofondare del mio
cuore. Ed io
che pensavo fosse già nei pressi dei piedi.
“Lui che?” la mia voce esce strozzata, tanto che
sembro una
gallina. Sembro proprio Rosita, quella di Banderas del Mulino Bianco.
“La versione ufficiale è che lui ti ha trascinato
via con la
forza, per cui teoricamente non verrai punita. Ringrazia
Shamuel.”,
dice Deborah con acidità. Shamuel mi ha parato il culo,
nonostante
il nostro ultimo litigio. E allora perché non sono felice?
Puniscono
lui. Lui. Il mio lui.
“Cosa gli vogliono fare?” chiedo in preda
all'ansia. Shamuel mi
guarda sollevando un sopracciglio, confuso davanti al tremore delle
mie mani e al mio fiato corto. Dio, è così
stupido da essersi
dimenticato cosa provo per Justin?
“Innanzitutto gli rimettono le manette, e poi si devono
assicurare
che non scappi più. Verrà mandato nel girone
più profondo
dell'Inferno e legato mani e piedi ad un sostegno. Non potrà
più
alzarsi, camminare e altre cose. Rimarrà li.
Sempre.”, distoglie
lo sguardo da me, forse perché ha visto cosa sto pensando e
cosa sto
provando. Non possono fargli questo. Non a lui, per favore.
“Shamuel...”, la mia richiesta d'aiuto, sussurrata
e urlata allo
stesso tempo, lo fa vacillare. Chiude gli occhi e vedo il suo labbro
inferiore tremare. Ti prego, ti prego. Non posso pensare che gli
faranno questo. Dove andrà a finire il suo sorriso? Nella
mia mente
risale a galla il ricordo di quando gli ho detto che il mio primo
bacio era stato con un polipo: la sua risata, i suoi occhi accesi dal
divertimento. Come si può cancellare una luce tanto bella?
Con quale
coraggio un uomo misericordioso riesce a distruggerla così?
“Smettila, Gabrielle, ha già fatto tanto per
te.”, la voce dura
di Deborah mi riscuote dal torpore. E la rabbia sale, come bile, come
un fiume in piena. Un fiume che esonda.
“Davvero? Vediamo un po', pensa a Shamuel incatenato,
prostrato,
indifeso e sofferente. Pensalo mentre viene legato e torturato, pensa
la sua luce svanire dai suoi occhi. Chi ti credi di essere per
definire cosa provo io? Volevo portarlo solo via da tutto questo
dolore, volevo salvarlo.”
“Lui non è salvabile!”
“Quindi lasceresti morire Shamuel se fossi al posto mio?
Lasceresti
morire il ragazzo di cui sei innamorata?”
“Non è lo stesso.”, mi guarda con odio
ancora più grande. Ma,
dentro, vedo che è tutto tranne odio: è paura.
Paura che facciano
del male anche a Shamuel.
“Questa è la risposta dei codardi.”, le
sputo addosso queste
parole, vedendola barcollare. È giusto che gli altri
soffrano come
faccio io. Giusto che tutto il dolore sia condiviso: con quale
criterio io devo strisciare raccogliendo i pezzi del mio cuore e gli
altri no? Con che criterio si fanno soffrire solo determinate
persone?
Un rumore ci fa zittire, proprio mentre Shamuel stava per
intervenire, probabilmente a favore di Deborah. Due angeli trascinano
il corpo di Justin, ognuno tirandolo per un braccio. Non riconosco
gli angeli, ma sono molto simili a Jason. Sono belli, eppure oggi non
mi importa. Justin non si dimena, non lotta. È come un
enorme
pupazzo di gomma. Mi guarda ed il mondo esplode: non c'è
segno di
ribellione, non c'è voglia di cambiare le cose.
C'è solo un buco
nero di rassegnazione e di dolore.
Dietro al trio avanza il signor Bloom, vestito con un completo blu.
Il colore, dopo tutti questi giorni di bianco, mi ferisce gli occhi.
Ma non batto ciglio, non mostro fastidio. Se Justin non lotta, lo
farò io per entrambi. Bloom si ferma in mezzo alla stanza,
di fronte
a Justin. Le anime si accalcano intorno, borbottando maledizioni e
facendo a gara per vederci di più. Dev'essere un bello
spettacolo
per loro vedere qualcun altro soffrire.
“Che sia di monito per chi cerca di scappare.”,
esordisce Bloom,
mostrando un paio di ceppi di ferro. Li lega ai polsi di Justin,
chiudendoli. Poi fa lo stesso con le caviglie. Mi vengono in mente i
segni rossi che ha già, quelle scarnificazioni che non
andranno mai
via. Piaghe eterne simbolo della sua colpevolezza.
Mi vengono in mente i suoi occhi pieni di dolcezza mentre mi parlava
di sua mamma e della colazione che gli preparava ogni mattina: non
possono fargli del male. Non se lo merita, non è giusto.
“Justin Drew Bieber, sei relegato nel girone dei violenti
verso
Dio, al fianco dell'angelo ribelle Lucifero. La tua pena è
la
reclusione forzata, che dopo cinque anni si trasformerà
nello
scontare tramite il dolore. Verrai, come succede a Cassio, Bruto e
Giuda, mangiato da Lucifero e rigurgitato, per subire per sempre la
stessa punizione. Per ogni giorno, per sempre.”
Gelo sul posto. Questo Shamuel non me l'ha detto. Questo nessuno me
l'ha detto.
“Voi non potete farlo!” urlo prima ancora di
rendermene conto. Mi
lancio verso Justin, schivando la mano di Shamuel che cerca di
trattenermi. Le anime si spostano al mio passaggio, rendendomi
più
semplice la corsa. Stranamente, Bloom non fa niente per fermarmi. Mi
guarda divertito, lo stronzo, mentre mi posiziono davanti a Justin.
Quando alza la testa, inchiodandomi con i suoi occhioni così
innocenti, mi sento svenire.
“Non piangere.”, mi sussurra, abbozzando un
sorriso. Non mi ero
accorta, ma le lacrime stanno rotolando giù dalle mie
guance,
cadendo fino sulla mia maglietta. Cerco di riprendere un contegno, ma
perché poi dovrei? Lui merita queste lacrime.
“Non piango.”, dico stupidamente. Lui fa una mezza
risatina, ma
non è convincente. Non raggiunge gli occhi, non gli da
quell'aria
scanzonata alla quale mi sono affezionata.
“Mi dispiace per cosa ti ho detto oggi.”, dice
abbassando
nuovamente la testa. Passo una mano tra i suoi capelli e mi esce un
singhiozzo quando penso che non potrò toccarli. Mai
più.
“Io non ti lascerò andare.”, cerco di
essere convinta, ma la mia
voce si spezza più volte. Gli rialzo la testa, passando i
pollici
più volte sulle sue guance. Lo sento rilassarsi leggermente,
mentre
io assaporo questi ultimi momenti con lui, con la sua pelle diafana e
morbida. Non mi interessa quante persone ci stanno guardando, o se
è
proprio questo che Bloom vuole: la mia confessione d'amore. Nulla
è
più importante di lui e del memorizzare ogni minimo
dettaglio della
sua bellezza.
“E' ora di andare, fanciullo.”, la voce di Bloom
arriva quantomai
sgradita alle mie orecchie. Vorrei picchiarlo e spaccargli quel
ghigno che, sicuramente, ha impresso in viso. Brutto pezzo di stronzo
infame. Tu, Shamuel, che mi senti, di a questo deficiente che
è una
persona orribile.
Ignoro tutto per gli ultimi secondi che mi rimangono, ci siamo solo
io e lui. Al diavolo gli angeli, Bloom la Winx, Shamuel con l'h e
Deborah con l'h pure lei. Io e lui.
Per l'ultima volta.
Lo abbraccio forte, stringendo la sua testa contro il mio petto. Lo
sento digrignare i denti, perché non può
ricambiare tutto legato
così, ma non per questo lo lascio andare. Lo cullo come se
fosse un
bambino per qualche secondo, poi gli risollevo la testa.
E lo bacio.
Lui sussulta e impietrisce; la folla trattiene il fiato per poi
ricominciare con brusii ancora più alti. Non mi interessa
neanche di
questo, di niente ormai. Era l'ultima occasione per toccarlo, per
sentire il suo sapore e per fargli capire cosa provo. Sento qualcuno
che cerca di staccarmi da lui, ma non ci riesce. Questo
perché la
mia volontà è più grande,
perché l'amore non è pericoloso, ma
un'arma potente. Saggio il dolce sapore delle sue labbra con tanti
piccoli baci, per dargli il mio affetto l'unica e ultima volta.
Mi stacco, troppo presto, dopo troppo poco. I suoi occhi sono pieni
di lacrime, quelle che ha trattenuto per tutto questo tempo. Ma non
scendono. Le trattiene a forza, guardandomi più
profondamente di
quanto qualsiasi persona al mondo abbia mai fatto. Lo trascinano via
mentre ancora ci guardiamo, oltre, dove nessuno può vedere
cosa
pensiamo.
“Non mi dimenticare.”, urla. Ma è come
se me lo avesse
sussurrato all'orecchio in un momento intimo. Gli sorrido, con gli
occhi pieni di amore e dolore. Un dolore che va oltre le parole umane
e che non può essere contenuto. Di quelli silenziosi, che
non hanno
bisogno di dimostrazioni di urla o pugni al muro. È
più giù,
incuneato nel cuore come una scheggia di vetro.
“Ti verrò a prendere.”, mormoro, eppure
sono sicura che mi ha
sentito. Mi sorride, da lontano. E, prima di sparire dietro l'angolo,
mi sillaba le parole che determinano la fine. La mia dolorosa e
agonizzante fine.
Ti voglio bene.
Ed è qualcosa che va oltre il 'ti amo'. È
qualcosa di più. È
l'aver condiviso un bene in un luogo oscuro e maligno, l'aver lottato
per rendere la vita dell'altro migliore. E non è
più bello di un
'ti amo'? Ti voglio bene. Non un
ordine, non un 'devo'.
Ti voglio, io, con i miei alti e bassi, ti voglio voler bene.
È
questo che vuol dire, e lo sento, a fondo, e scaccia la scheggia. La
fa esplodere, la disintegra, la annienta.
E prometto, a me ma soprattutto a lui, che lo troverò. Non
importa
quanto tempo dovremo soffrire prima di rivederci, io lo
troverò.
Ho tutta l'eternità davanti per farlo.
All'alba
del diciassettesimo giorno, finalmente, eccomi.
Mi
dispiace per l'attesa, ma vi ho spiegato
che
in questo periodo ho qualche problema.
Grazie
a chi è rimasto e a chi rimarrà, dato che non so
quando
riuscirò a continuare. Se continuo a scrivere
è
grazie
alle vostre recensioni dolcissime.
Ah,
perdonatemi questo capitolo triste, ma era necessario. A presto.
Chiara
:)
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