Afterlife.

di Biebersbreathe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Prologo.

“La nebbia si dirada, le grida si fanno più forti e il colore rosso si unisce al nero. È buio, ma il fuoco illumina la zona quanto basta. C’è odore di sofferenza, di dolore, di peccato. C’è odore di morte. E in mezzo, tra tutta la folla, c’è una piccola luce. Una luce che vedo solo io. È la speranza.”

 

Capitolo uno.

Una luce forte mi ferisce le palpebre, rendendo tutto bianco accecante. Ci metto qualche minuto a trovare gli arti e muovo le dita: bene, dovrei essere viva. Sento il petto alzarsi e abbassarsi piano ed in sottofondo il lieve battito del mio cuore. Dove sono gli occhi? Scopro di averli serrati: la luce è talmente forte da penetrare attraverso le palpebre. C'è anche un lieve dolore in basso, forse nei pressi del fianco destro, ma non so dirlo con precisione. Con uno sforzo notevole apro gli occhi, che subito lacrimano per la forte luce e mi portano un fastidioso mal di testa. Dove sono? Anzi, soprattutto, chi sono? Non mi ricordo nulla. Viva lo sono...credo. Appoggio le mani e, facendo forza, tiro su la schiena e mi metto seduta. È tutto bianco: pavimento bianco, corridoio bianco e muri bianchi. Nessun mobile, nessuna porta, niente di niente. Figo, sto sognando il Paradiso! Un po' inquietante, però. Abbasso lo sguardo su di me: "Che cazzo è?", penso, sorpresa dal colore del mio corpo. Sono avvolta in una specie di tunica bianca opaca lunga fino al ginocchio; sotto, il mio corpo riflette il pavimento: sono quasi trasparente. Lo sapevo di essere allergica ai funghi, ma mia mamma- che in questo momento non ricordo chi è- ieri sera ha voluto farli lo stesso ed ora mi trovo a sognare queste cose assurde. Sento un lieve sospiro dietro di me e sobbalzo, girandomi di scatto. Accanto all'unica porta della stanza, che non avevo visto perché è alle mie spalle, sta appoggiato un ragazzo. Ha la pelle della stessa consistenza della mia, un paio di pantaloni bianchi e una maglietta a maniche corte bianca; il volto ha un'espressione annoiata, gli occhi azzurrissimi e i capelli biondi chiari, quasi bianchi. Tutto questo bianco è preoccupante.

"Io gliel'avevo detto.", borbotta alzando gli occhi al cielo. Come fa a farlo? A me bruciano gli occhi. Fa un mezzo sorriso e mi guarda:

"Ti ci abitui alla luce dopo tanti anni."

Oddio, è Edward Cullen!

Stavolta alza un sopracciglio: "Chi?", mi chiede. Ok, fa paura.

"Puoi smetterla di scavarmi nel cervello, per favore?", sbotto e mi alzo, avvicinandomi a lui barcollando.

Lui sospira ancora: "Preferivo rimanessi seduta, non so se reggerai la spiegazione.", si avvicina anche lui e mi tocca una spalla. Sento il tocco, quindi la pelle trasparente non ostacola il tatto. Buono a sapersi. Il ragazzo trattiene un sorriso, poi mi fissa a lungo negli occhi, serio.

"Ti ricordi chi sei?", chiede.

Ci penso su un attimo, ma niente sale alla memoria.

"Mi ricordo solo che sono allergica ai funghi.", mi arrendo.

Lui mi guarda con una smorfia strana, mezza compassionevole, mezza divertita. Non so, forse mi prende in giro. Perché questo sogno non finisce? La sua testa improvvisamente scatta verso di me, e sposta la mano dalla mia spalla.

“Sogno?”, e nel dirlo la sua voce sfiora il falsetto. Questo tipo mi sembra un po’ disturbato mentalmente, la mia testa è brava a creare questi dettagli irreali! Potrei andare ad un corso per registi di film mentali.

“Ascolta- interrompe il mio flusso di pensieri- è meglio che ti siedi di nuovo. Bisogna spiegarti alcune cose e, purtroppo, tocca a me farlo.”, conclude sbuffando. Già mi odia, che bello.

Faccio come dice e mi risiedo sul pavimento, mentre lui mi segue e si mette a gambe incrociate seduto di fronte a me. Mi fissa a lungo, forse incerto su che parole usare, mentre io fisso i suoi occhi azzurri chiari con alcune pagliuzze dorate. Il blu mi ricorda qualcosa…ma cosa?

“Ti ricorda il mare, suppongo. Amavi andarci quando eri…no, non posso iniziare così.”, si blocca. Eh? Non ho capito. Non potrebbe essere un po’ più chiaro? Sospira per la terza volta.

“Mi chiamo Shamuel, sono stato mandato per un motivo che non starò a spiegare e sono disposto ad ogni tuo tipo di domanda, dopo che avrò raccontato. Il tuo nome è Gabrielle, vivevi nel Maryland e avevi diciotto anni. Genitori protettivi, fratello scapestrato e sorella esemplare. Nessun fidanzato, due amiche e un amico. Comunque, tra qualche settimana tutti i ricordi dovrebbero tornare.”, si zittisce un attimo.

Perché sta parlando al passato? Perché dovrei restare qui qualche settimana se è solo uno stupido sogno? Perché questo tipo mi sta dicendo queste cose? Perché mi stanno venendo in mente brutti pensieri?

“E ora la parte difficile.”, mormora tra se’. Chiude gli occhi e si passa una mano sulla fronte, cercando di spianarla. Io, intanto, tremo. Ho paura di cosa sta per dire, ho paura di quello che sto pensando possa essere.

“Gabrielle…-riapre gli occhi- tu sei…sei nel Purgatorio.”

Silenzio.

“Mi prendi per il culo?”, sbotto. Non può essere. Non posso essere…No. Punto. Non esiste Dio, non esiste tutto quest’assurdo posto bianco. Al diavolo i funghi e mia madre.

“Io gliel’avevo proprio detto.”, sussurra, guardandomi male. Detto a chi? Che cosa?

Come al solito, lui risponde ai miei pensieri: “Al Signore. Gliel’avevo detto di spedirti all’inferno, ma lui dice che chi si converte in punto di morte ha diritto ad un’altra possibilità.”

Sono stata così terribile in vita da meritare l’inferno? E poi, che cavolo, non esiste il ‘Signore’.

“Vedi?- dice- Stai peccando del peggiore dei peccati. Non credi nemmeno nella sua esistenza e men che meno ti ricordi di esserti convertita. Io ho provato a dirglielo, ma niente! Non mi ascolta mai.”, stringe la mascella. Dev’essere proprio uno che conta poco qua dentro.

“Sì, grazie per avermelo ricordato.”, mi dice sarcastico. Ops.

Non riesco neanche a essere dispiaciuta per me o per la mia famiglia: non ricordo niente! Tra qualche settimana probabilmente striscerò dal dolore, meglio prepararsi psicologicamente. Chissà quanto stanno soffrendo le persone che amavo: non lo so, non so nemmeno chi siano. Che poi, è vera tutta sta storia o questo Simon mi sta prendendo in giro?

“Shamuel.”, mi corregge. Si beh, lui. Comunque, se riesce a carpire i miei pensieri e se continuo a non svegliarmi…qualcosa sotto c’è. Potrei provare a pensare al mio numero preferito.

“Ventisei. Smettila, Gabrielle.”, mi dice trattenendo un sorriso. Sono nel Purgatorio. Sono…

“Morta. Sì, sei morta.”


Aye.

Finalmente mi sono decisa a postare una storia.
Dopo milioni di bozze e ripensamenti, grazie a due amiche insistenti ce l'ho fatta.
Grazie alla mia migliore amica Roberta per aver creduto in ogni mia storia,
e a Julia, senza la quale non sarei qui a postare adesso. Grazie per avermi sopportato.
Spero vi piaccia.
Chiara :).

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Capitolo due.

“Come?”

Tra tutte le domande che mi stanno vedendo in mente in questo momento, la prima che mi sale alle labbra è questa. Come potrebbe una ragazza di diciotto anni morire di colpo? Ero malata? Non mi ricordo, ovviamente. E poi, potrei essere davvero in un sogno, ma questo lo scoprirò andando avanti.

“Stavi tornando a casa da una festa, ti hanno investito.”, Shamuel fa spallucce, come se per lui fosse normale. Chissà quanti morti accompagna in giro ogni giorno.

“Molti, ma credimi tu sei la più fastidiosa di sempre.”, commenta. È lui che è antipatico, non è colpa mia. Alza gli occhi al cielo, lo fa spesso, e mi guarda male. Ma se è una specie di angelo…non dovrebbe essere disponibile, dolce, pieno di amore divino e senza rancori? Insomma, io sbatterei lui all’Inferno.

“Tralasciando…-mi sgrida con lo sguardo-Sono qui per riportarti il messaggio del Signore. Come ho potuto e, sia lodato il cielo, ha potuto notare anche lui, tu non sei totalmente adatta al Purgatorio, eppure nemmeno così cattiva da rientrare nell’Inferno. Questo comporta un cammino di purificazione e di perdono, che ti possa far rientrare tra le anime che aspireranno al Paradiso.”, spiega gesticolando.

Fantastico, ora devo girare con un cartello con scritto ‘dico parolacce e non credo in Dio’. Non lo metto nemmeno se Shamuel me lo cuce sulla pelle. Potrei accettare solo se lui ne mette uno con scritto ‘mi sento superiore ma non mi ascolta nessuno’. Questo sarebbe divertente.

“Se non smetti di insultarmi mentalmente ti cucio veramente qualcosa addosso.”, sbotta. Ecco, appunto, uno così non c’entra niente al fianco di Dio.

“Comunque, cosa devo fare?” parlo per la prima volta. Lo shock non arriva, i ricordi nemmeno, io non mi sveglio, per cui l’unica cosa che posso fare è stare a quello che Shamuel dice.

“Devi perdonare colui che ti ha ucciso, la persona che guidava la macchina la notte che sei stata investita.”, spiega mordicchiandosi il labbro. Sembra agitato.

“E come faccio? Scendo in terra versione Casper?”, chiedo perplessa. Ci sarà qualche strano potere angelico stile film di fantascienza? Magari mi danno una spada laser!

“Gabrielle, ho parlato di cammino. La persona che ti ha investito è morta dopo l’urto, e si trova esattamente…all’Inferno. Dovrai andare la.”, mi guarda di sottecchi, aspettandosi una mia reazione.

E arriva.

“Morta? Oddio! Chi è? Quanti anni ha? È maschio o femmina? Come faccio a riconoscerlo? Mi accompagni, vero? Ti prego, non ci posso andare da sola!”, balbetto velocemente, in preda all’ansia. Sono cattivi all’Inferno, giusto? Non voglio incontrare nessuno! E soprattutto, non penso di essere capace di perdonare qualcuno che mi ha tolto la vita. Magari, poi, non l’ha fatto apposta.

Shamuel ride: “Ah, adesso ti servo? –sospira, tornando serio- Mi dispiace, non posso darti notizie sulla persona in questione. Comunque sì, sarai accompagnata. Vieni, ti voglio presentare una persona.”, m’indica la porta bianca dietro di lui e, senza aspettare la mia risposta, entra dentro, sparendo alla mia vista.

Ho come l’impressione che non sarà lui la mia guida.

***

Mi chiudo la porta dietro alle spalle e prendo un lungo respiro, inutile dato che sono morta, prima di girarmi. Per poco non mi viene un colpo, ma soffoco le parolacce che vorrei tirare fuori, beccandomi un’occhiata riconoscente da Shamuel, che è alla mia sinistra.

Sono sull’orlo di un precipizio. Dovunque io mi volti, è tutto bianco. Alla mia destra c’è una parete rocciosa, anche se non vedo come sia possibile l’esistenza di una roccia bianca. Alla sinistra, dietro Shamuel, c’è una scala ripidissima, con i gradini di un colore quasi grigiastro. E davanti, il nulla. Una luce bianca illumina lo spazio vuoto e, chinandomi, vedo che è un burrone senza fine. Non c’è niente: nessuna anima, nessuna stanza. Sento la mano di Shamuel sulla schiena, mentre mi sospinge verso la scala.

“Forza, saliamo al piano superiore, ti faccio conoscere chi sarà il tuo accompagnatore.”, mormora al mio orecchio, mentre iniziamo a salire i gradini. Spero non ce ne siano troppi, ho sempre odiato andare a scale.

Al piano di sopra, finalmente, qualcosa cambia. È una sala più piccola, sempre bianca, ma con qualche pezzo di arredamento. C’è una gruccia appendiabiti cui è appeso un cappello grigio, sul fondo ci sono una scrivania e una sedia. I muri sono bianchi, spiccano il grigio del copricapo, la sedia marrone e il pomello di una porta, situata dietro la scrivania. Seduto a braccia conserte sulla sedia c’è un uomo sulla cinquantina, ha i capelli brizzolati, gli occhi scuri e lo stesso abbigliamento di Shamuel. Mi guarda senza lasciar trapelare alcuna emozione, sembra quasi scrutarmi dentro. Rimaniamo così, in silenzio, fino a che non si alza.

“Benvenuta, Gabrielle Peters. Mi chiamo Edward Bloom e sono il responsabile di gran parte di questo regno. Mi occupo di far sì che tutto quadri, che ognuno rispetti la propria posizione e che siano seguiti i comandamenti divini.”, si presenta, porgendomi una mano. La stringo e abbozzo un sorriso debole.

“Piacere mio, signore.”, mormoro. Mi incute un certo timore.

Lascia andare la mia mano e ricambia il sorriso: “Spero che tu sarai dei nostri, dopo il cammino che ti spetta. Ora, vorrei presentarti colei che ti accompagnerà nel tuo lungo viaggio. Sebbene avrei preferito affidarti a Shamuel, Deborah deve farsi perdonare per un piccolo peccato, e quale modo migliore?”, ride leggermente, accarezzandosi il mento. Solo per me è inquietante? Sembra proprio una persona subdola, ma è meglio smettere di pensarlo, in caso possa scavarmi nel cervello come fa Shamuel.

“Per piacere, potrei essere accompagnata anche da Shamuel?”. Stupendo me stessa, Shamuel e il signor Bloom, queste parole mi rotolano fuori dalle labbra prima che possa trattenerle. “E’ che…-aggiungo subito- non conosco nessuno ed è stato il primo che ho incontrato…”, sembra una motivazione debole, ma è così.

I due si scambiano un’occhiata, quella di Shamuel è confusa e rassegnata: mi odia. Oh, come mi odia.

Si gira di scatto verso di me: “No che non ti odio, che dici?”, sbuffa. Sì, certo certo.

Alzo gli occhi al cielo poi, quando li riabbasso, vedo una figura entrare silenziosa dalla porta. È una ragazzina forse più piccola di me, ha i capelli biondi lunghissimi e lisci, gli occhi enormi marrone scuro e una tunica uguale alla mia, con l’aggiunta di una cintura dorata in vita. Mi fa un cenno con la mano, arrossendo.

“Ciao Debby.”, la saluta Shamuel con un sorriso. Lei arrossisce ancora di più, sorridendo solo.

“Bene.-interviene Bloom- Shamuel, spetta a te decidere. Per me potete andare entrambi, basta che soddisfiate i desideri di nostro Signore. Ci metterete circa una settimana a scendere nell’Inferno e potrete stare la per un massimo di quindici giorni, poi dovrete tornare. Sapete la strada. Buona fortuna.”, ci congeda senza nemmeno guardarci. Ha gli occhi fissi su un documento che ha sulla scrivania.

“Signore?”, lo chiamo. Voglio sapere una cosa. Lui alza gli occhi e mi sorride, incitandomi a continuare. “Mi può dire qualcosa sulla mia vita da viva?” chiedo abbassando lo sguardo fino a fermarmi sui miei piedi nudi. Cavolo, dovrò camminare così sulla roccia? Ahi.

“No, Gabrielle. Lo ricorderai a tempo debito. Ora andate, ho delle faccende da sbrigare.”, in maniera decisiva chiude il discorso. Immaginavo una risposta del genere.

Sento una mano sulla schiena che mi spinge verso la porta, proprio come prima, e almeno penso che ci sarà Shamuel a farmi compagnia. E Deborah mi sembra una a posto. Forse ce la posso fare.


Salve c:
Ho aggiornato presto oppure Julia mi avrebbe uccisa.
Mi dispiace che dobbiate aspettare un po' per l'arrivo di Justin,
e che i capitoli all'inizio non siano lunghissimi.
Anyway, fatemi sapere :)
Chiara<3

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo.

Due giorni dopo, sono dell’idea che avrei decisamente preferito scendere sulla terra versione Casper. Questo viaggio è noioso come la morte stessa, e non sto scherzando. Siamo solo al terzo giorno e mi sembra di essere imprigionata qui da sempre. E’ tutto, e dico tutto, bianco. I vari ‘piani’ non si distinguono nemmeno: in tutti c’è una moltitudine di anime che vagano in uno spazio immenso bianco. Parlano, fluttuano e parlano ancora. Tutto il giorno. Tutti i giorni. Spero di fallire nel viaggio e finire all’inferno, qualunque cosa sarebbe più divertente di questo.

“I tuoi pensieri mi urtano ogni giorno di più.”, commenta laconico Shamuel. Per non parlare di lui! Saluta dieci anime per piano credendosi il re solo perché li conosce tutti. Saranno trecento anni che è qui, per forza sa chi sono.

“Ciao Shamuel!”, un’anima si avvicina e sventola la mano in direzione della mia guida. Che avevo detto? Alzo gli occhi al cielo: credo che Dio mi odi. Secondo me si sta rendendo conto del suo errore.

“Gabrielle!”, mi chiama Deborah. Lei, invece, è una ragazza splendida. È molto timida ma mi spiega le cose con calma e, non si sa come, riesce a sopportare Shamuel. Sarà per questo che è nel Purgatorio.

“Dimmi.”, le sorrido, avvicinandomi a lei, che è pochi passi più avanti. Mi indica la prossima rampa di scale che dobbiamo scendere: al fondo, immobile, c’è una figura. È un angelo.

“Porca miseria!”, esclamo a bocca aperta. Shamuel accanto a me sbuffa, forse per l’esclamazione poco appropriata. La figura alata cattura tutta la mia attenzione: è un ragazzo parecchio alto, i capelli neri spettinati e lo sguardo fisso davanti a se’. Ha le braccia incrociate e la fronte corrucciata, sembra stia riflettendo su qualcosa. È vestito come tutti i maschi del regno: pantaloni bianchi e maglietta bianca a maniche corte. Ma, ovviamente, la cosa più spettacolare sono le ali sulla sua schiena. Sono enormi, costellate di piume che sembrano sofficissime, e si muovono leggermente, come sospinte da un vento invisibile.

Prima che Shamuel possa capire le mie intenzioni, mi fiondo giù per le scale, sentendo Deborah ridacchiare e Shamuel sussurrare qualcosa che suona molto come “Dio, perché?”. Quasi cadendo, raggiungo l’angelo e mi piazzo davanti a lui.

Trattengo il fiato vedendo i suoi occhi: sono colore del ghiaccio, bianchi quasi quanto le pupille. “Gabrielle non guardarlo!” sento Shamuel urlare. Per mia sfortuna, anche l’angelo lo sente, e abbassa lo sguardo su di me. È un attimo, poi una forza sconosciuta mi porta via da lì.

C’è odore di erba fresca, portato dal vento lieve che scuote le piante. Sono seduta su un prato e guardo mio fratello giocare a pallone con due suoi amici. Strano che sia cosciente e non ubriaco, come al solito.

Che figo.”, commenta una voce accanto a me. È la mia migliore amica, Abby. Ha sempre avuto una cotta per mio fratello, ma per me è solo un cretino. Faccio spallucce, immune al fascino di Marko.

Una luce bianca fa svanire il prato, Abby e Marko. Ora sono in un pub, accanto a me ci sono gli altri due miei amici, Kevin e Clarisse. C'è odore di fumo misto ad alcool, nell'aria. Il barista sta servendo birre instancabilmente da un paio d'ore, sorridendo a tutti con cortesia. Non potrei mai fare un lavoro del genere. Abby mi sorride, indicando un punto lontano: mio fratello sta entrando nel locale con quattro suoi amici. Ridono ad alta voce e fischiano alle ragazze. Ho sempre cercato di evitare queste scene, ed ora me lo trovo di fronte. Ma lui, tanto, nemmeno mi nota. Quando lo vedo afferrare una ragazza a caso e incominciare a parlarle, mi giro dall'altra parte. Vorrei che mio fratello fosse diverso? No. Mi basterebbe solo che gli importasse qualcosa di me.

Abby sospira, al mio fianco. Poi mi guarda indecisa: “Se ci provo con tuo fratello non te la prendi, vero?” mi chiede. Vorrei dirle che ne uscirà più devastata che mai, perché da lui non ci si può aspettare niente, ma scuoto la testa, e la vedo avvicinarsi a lui.

La scena cambia, e sono a cena. C’è un silenzio irreale che sarebbe strano in una famiglia normale, ma non nella nostra. Mio papà, un uomo sulla cinquantina, capelli quasi tutti grigi e occhi verdi, sta al telefono anche mentre mangia, per lavoro. Mamma, capelli biondi per la tinta e occhi marroni, si osserva la manicure fresca e mangia poco per tenersi in forma. Mia sorella, di fronte a me, legge un libro intitolato Guida ai lavori utili alla comune società e mio fratello, accanto a me, smanetta sul telefono, emanando un odore di fumo e alcool. Sospiro, sperando che la cena finisca presto.

Forse potrei fare la…”, inizia mia sorella, ma è subito interrotta dal ‘vaffanculo’ di Marko. A nessuno interessa cosa vorrebbe fare Janet, nemmeno a me. L’ho sempre odiata, è falsa e forse peggio del Marko ubriaco. È viziata, tale quale a mamma. A quel punto Marko si alza e butta tutto il contenuto del piatto nel lavandino. Prima di uscire si volta verso di me: “Dì alle tue patetiche amiche di starmi alla larga.”

La cucina si fa sfocata e l’ambiente cambia ancora. Sono a una festa, anche se le odio. Sono venuta a fare compagnia ad Abby e agli altri due miei amici, Kevin e Clarisse. Tutti si stanno mangiando le facce, baciandosi con qualcuno, ed io ho bisogno di aria. So che non devo uscire da sola, ma è necessario ora o rischio di svenire. Spingo via i corpi sudati che ballano al rumore assordante della musica e vedo un quadratino blu in lontananza: cielo. Punto verso la porta e la raggiungo con fatica, ormai sudata e in preda ad un attacco di claustrofobia. L’aria che mi sbatte contro il viso è un toccasana, mi sembra di rinascere. Fuori, i ragazzi si scambiano canne e per terra è pieno di bottiglie di vodka vuote. Mi allontano per evitare il fumo passivo e mi avvicino alla strada: merda, così sembro una prostituta. Mettendo bene a fuoco la strada, noto che dall’altra parte c’è una fontana. Dio, acqua, benedetta acqua. Quasi sorrido e, senza nemmeno guardare, attraverso.

Cristo!” sento urlare. Una luce gialla m’investe, mi giro giusto in tempo per vedere una macchina nera enorme venirmi addosso. E, prima di venire sbattuta contro il marciapiede e vedere tutto nero, vedo gli occhi del mio assassino: sono dorati, e stupidamente penso che sono proprio come lo sciroppo d’acero.

“Gabrielle? Gabrielle! Mi senti?”, sento qualcosa che mi scuote la spalla e una voce che mi chiama. Sbatto le palpebre, ma non riesco a mettere a fuoco la scena. C’è qualcosa di bagnato che mi offusca la vista: sto piangendo. Mi sfrego gli occhi con una mano, fino a che non sono totalmente asciutti. Finalmente, ricordo.

“Ehi?”, la stessa voce, Shamuel, mi richiama e il suo volto compare nella mia visuale. Sembra preoccupato, mi alza il mento con la mano e mi guarda negli occhi. Devo far paura.

“No, sei solo un po’ scossa.”, mi sorride e si rialza, tendendomi una mano. Benché instabile, riesco a mettermi in piedi e a vedere dove sono: sì, ora ricordo. Accanto a me c’è Deborah e, di fianco a lei, l’angelo. Sobbalzo e mi allontano, cercando di non fissarlo negli occhi. Non pensavo che i ricordi mi avrebbero fatto così male.

“Mi dispiace.”, sento dire da una voce nuova. Dev’essere lui.

“Non è colpa tua, Jason, avremmo dovuto dirglielo.”, borbotta Shamuel. Sembra persino arrabbiato con se stesso e sì, decisamente avrebbero potuto dirmelo. Deborah si avvicina a me e mi accarezza una spalla, sorridendomi nervosa. Ricambio, e mi sciolgo leggermente.

La mia famiglia era un disastro, forse è persino meglio stare qua che essere ancora viva. Scommetto che i miei genitori non se ne sono nemmeno accorti, scommetto che Marko è troppo ubriaco per farci caso. Per non parlare di Janet…lei starà cercando riviste mistiche sugli omicidi da investimento. Ancora peggio: i miei amici saranno al bar a divertirsi come se non fossi mai esistita. Non mi mancano nemmeno un po’, ed è questa la cosa più dolorosa.

“Noi dovremmo…andare avanti.”, mi sussurra Deborah. Sì, devo continuare. Per cosa poi? Ah, giusto, perdonare colui o colei che mi ha ucciso. Forse, a questo punto, potrei anche fallire e restarmene all’Inferno per sempre.

Accanto a me, Shamuel mi fissa intensamente. Penso sia d’accordo con me: dopotutto, al fianco di Dio non mi ci vedo proprio. Davvero mi sono pentita in punto di morte? Non è che se l'è inventato Shamuel per tenermi buona? Eppure ero in quella sottospecie di Purgatorio. È un ricordo ancora sfocato, ma sono sicura che l'ultima patetica cosa che ho pensato siano stati gli occhi del mio assassino, non una litania religiosa. Prima o poi chiederò spiegazione a qualcuno, magari a Deborah, Shamuel è troppo stressante.

Ops. Mi sta sentendo. La smetto.

Ignorando l’angelo nonostante la sua bellezza, riprendo a camminare verso la prossima rampa di scale e verso i prossimi quattro giorni del mio cammino.

Ciao belle c:

Ecco il terzo capitolo. Justin arriverà intorno al quinto/sesto. Abbiate pazienza ahah.

Grazie per chi ha aggiunto la storia alle seguite, ricordate o anche solo l'ha letta.

E soprattutto grazie a chi recensisce :)

Spero di aggiornare Domenica.

Chiara :).

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto
“Quanto manca?”, sbuffo, e il mio fiato si condensa in una nuvoletta che fluttua via. Più scendiamo, più fa freddo. Penso che arriveremo domani, o al massimo dopodomani, colpa del mio andamento da lumaca di mare. Oggi finalmente entriamo nel regno dell’Inferno, poi scenderemo fino al cerchio degli assassini. In realtà, ho una paura folle, che cerco di mascherare con il solito sarcasmo. Più ci avviciniamo al crimine, più tutto si fa buio, le anime diventano tristi e il freddo penetra nelle ossa senza lasciar scampo. Ora come ora non sono molto sicura di voler stare per tutta la vita in questo posto.
Mentre Shamuel mi ignora per la mia domanda (la quinta uguale in due minuti), Deborah ridacchia e mi risponde: “Direi che ci siamo quasi, un paio di curve e c’è la porta di ingresso.”, e poi rabbrividisce. Credo non sia mai stata quaggiù. Mi chiedo che cosa abbia fatto di così grave per entrarci.
Proprio come ha detto Debby, dopo tre minuti arriviamo davanti ad un immenso portone di legno. È chiuso con una serratura stranissima a forma di stella ed è decorato da scritte colorate in diverse lingue. Mi viene in mente la Divina Commedia di Dante, e spero che tutto sia meno pauroso di quanto non fosse lì. Per fortuna, nessuna traccia di Cerbero.
Shamuel scoppia a ridere: “Non esiste Cerbero, Gabrielle.” Beh, buono a sapersi. Non era così ovvio. Sono tentata di fargli la linguaccia, ma lo vedo concentrato a sfilarsi un ciondolo dal collo. È una stella dorata, con al centro inciso l’occhio simbolo dell’onnipresenza divina. La mia guida si fa avanti e inserisce la stella nella serratura cava. Non accade nulla. Sinceramente, perché dovrebbe? Nemmeno io lo farei entrare. Ridacchio sapendo che può sentire i miei pensieri, ma lui non risponde, si limita ad alzare un labbro in un sorriso trattenuto.
“Prova con ‘Apriti Sesamo’. ”, gli consiglio sussurrando. Poi, con un cigolio sinistro, prima che lui possa girarsi e insultarmi, la porta si socchiude. Uno spiffero di aria gelata mi fa rizzare i peli sulle braccia. Ok, respira, Gabrielle. Andrà tutto bene. Shamuel spalanca la porta e sparisce al di là, nel buio fitto. Una lampada no eh? Deborah mi lancia uno sguardo terrorizzato e mi indica la porta. Faccio un respiro profondo, poi avanzo con le gambe di gelatina e mi getto nel buio. Muovo qualche passo, brancolando, fino a che non sento un paio di braccia sulle mie spalle.
“Ferma.”, sussurra Shamuel prima che io possa urlare. Questo è scemo a sorprendermi così in un posto simile. Possibile che non abbiano nemmeno una candela? Un fiammifero? Sbuffo e mi sfrego le mani sulle braccia, tentando di respingere il freddo. Una stufa? Sarebbe di grande aiuto.
“Debby? Ci sei?” percepisco la voce di Shamuel sui miei capelli, mentre chiama Deborah. Lei risponde con un gemito, segno che se la sta facendo sotto peggio di me, il che è tutto dire. Shamuel, illuminami la via, penso. Lo sento soffocare un’altra risata, poi una luce bianca (strano!) e fievole rischiara la stanza. Siamo in un corridoio circondato da rocce, forse è una grotta. Shamuel ha in mano la fonte del chiarore, una boccetta panciuta con dentro un liquido bianco opaco. È da esso che si genera la luce, e ne rimango affascinata.
“Come funziona quell'affare? E' magia?” chiedo con gli occhi spalancati per la curiosità.
“Non esiste la magia.”, dice con tono superiore. Dopo magia ci sarebbe stata bene una virgola e un bell'epiteto. Magari 'deficiente'. Ma lui non dice parolacce. Le pensa solo. Il che, secondo me, fa peccato uguale.
“Ah, no? E cos'è questa ridicola discesa nell'Inferno? Per non parlare dell'angelo, di Dio, delle anime, di...”
Avrei continuato per una mezz'oretta buona, se Shamuel non mi avesse tirato una pacca sul braccio: “Si chiama religione, mai sentito parlare?” mi sgrida.
Se mi sono pentita, evidentemente si. Leggilo, Edward, non ho voglia di parlare ad alta voce.
“Vai avanti e smetti di pensare.”, mi dice esasperato. Annuisco e inizio a camminare, tanto è inutile ribattere, mentre lui rischiara la strada da percorrere. Le pareti rocciose sono umide, il terreno sconnesso e le folate di aria fredda ingestibili. Combattendo contro il vento continuo a procedere, non certa di voler sapere cosa mi aspetta. Mentre sono concentrata su dove mettere i piedi, li sento per la prima volta. A mano a mano che ci avviciniamo, diventano più chiari: urla, bestemmie, insulti, lamenti, pianti. Sofferenza. Colpiscono come un pugno allo stomaco e mi fanno fermare: sono pronta a entrare qui dentro? No. Forse no.
“Non puoi tornare indietro, forza.”, mormora Deborah. Strano, pensavo che ci fosse Shamuel dietro di me. Mi volto e lo vedo al fondo della fila, la boccetta stretta in alto in modo da illuminarci tutti e il viso stravolto. Finge un sorriso per rassicurarmi, ma vedo il mio terrore riflesso sul suo volto. Forse non è la prima volta che è stato qui, ma probabilmente sente questo dolore come lo sento io.
“Shamuel…”, quasi piagnucolo. Lui non mi risponde, mi guarda con occhi di ghiaccio e vedo la sua mano tremare, tanto che la luce scompare per un secondo. Il suo volto è scavato da ombre scure, ma è deciso a continuare. Io l’ho portato qui, lui non doveva nemmeno venire. Lo vedo annuire e fare un cenno verso il corridoio. Sì, prima continuo e prima finisco. Chiudo gli occhi per un attimo, cercando una forza che non ho, poi mi volto di nuovo e riprendo a camminare. Restiamo in silenzio per altri dieci minuti, l’unico rumore costante è quello dei nostri passi sulla roccia. Poi, giungiamo a un bivio.
“Destra.”, la voce di Shamuel, benché roca, è sicura. Proseguo ancora, chiedendomi se c’è un fondo e, soprattutto, cosa troverò una volta arrivata. Inizio a tremare dal freddo e a battere i denti quando, improvvisamente, mi arriva addosso una folata di aria bollente che mi fa boccheggiare. Tossisco e sventolo la mano davanti al viso, creando aria fresca.
“Ci siamo!”, esclama Shamuel, mettendo via la boccetta. Cala il buio. Perché ha spento? Ora dove vado? Vampate di caldo e freddo contemporaneamente mi destabilizzano: se fossi ancora viva, mi prenderei una bronchite con i fiocchi.
“Tocca la roccia, vai avanti finché non senti il muro fermarsi, quindi volta a destra.”, la voce di Shamuel, anche se forte e calma, tradisce un leggero isterismo. Faccio come mi dice: mi avvicino fino a toccare il muro, lascio scorrere la mano sulla superficie rugosa fino a che non tocco che aria. A quel punto, giro a destra. In lontananza, minuscolo che sembra quasi un’allucinazione, c’è un punto di luce. Senza che Shamuel me lo dica, so che devo raggiungerlo. Prendo l’ennesimo respiro profondo della giornata e avanzo, pensando che non sono mai stata così coraggiosa, o forse così stupida.
A mano a mano che mi avvicino il punto si fa più grande, diventando rettangolare: è della forma di una porta. Nessuna guardia, nessun angelo. Come se le anime non potessero scappare, e forse è così, forse sono troppo mutilate perché riescano. Rabbrividisco. Sulla superficie rocciosa lievemente illuminata vengono riflesse delle luci rosse. Le urla aumentano fino a farmi fischiare le orecchie, il caldo mi fa desiderare dell’acqua ghiacciata. Essere morta non potrebbe anche liberarmi di queste sensazioni? Evidentemente, no.
“Entro io.”, mi ferma bruscamente Shamuel. Ha represso la preoccupazione con un cipiglio severo. Mi supera con passo veloce e ci fa cenno di seguirlo attraverso la porta aperta. Mi affretto per paura di perderlo, ed entro, soffocando, nell’Inferno.





Eccomi qui, come promesso c:
So che i capitoli non sono lunghissimi, ma questa storia era nata come
mio passatempo, solo dopo ho deciso di pubblicarla.
Per cui, ormai ho scritto un tot di capitoli e non posso aggiungere cose in mezzo.
Dal sesto saranno più lunghi e, finalmente, ci sarà Justin.
Grazie per la pazienza, spero vi piaccia :)
<3

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Capitolo quinto

Davanti a me si stende fino all’infinito uno spazio aperto nel quale spicca il colore rosso. Rossi i muri dipinti della caverna, rosse le ombre che il fuoco getta sull’ambiente circostante. Il rumore dei lamenti sale a note alte, che sarebbero insopportabili per l’udito di un vivente. Le bestemmie si rincorrono l’una dietro l’altra, come se insultare l’artefice del loro dolore possa attenuarlo. E, per un attimo, mi viene da pensare a come il Creatore, così umile e misericordioso, possa punire gli altri in questo modo. Accanto a me, qualcuno sussulta. E’ Shamuel. Mi rendo conto che probabilmente ha sentito il mio pensiero e quasi mi sento in colpa: tuttavia, sul suo volto non c’è alcun segno di rimprovero. C’è una sorta di muta consapevolezza. Prima di potermene stupire, sento Deborah trattenere il fiato e capisco perché: le volute di fumo si sono diradate e, dietro, appaiono le anime. Sono gobbe, costrette a portare sulla schiena pesi di diversa grandezza. Credo sia in base alla gravità della loro colpa. Quando mi concentro sui loro volti, sbianco e trattengo un urlo. Sono brutti, deformati dal dolore e dalla rabbia, tesi, corrucciati, cattivi. Insultano Dio, insultano coloro che camminano accanto e hanno pesi minori, insultano le fiamme. Improvvisamente ho paura e un forte desiderio di andare via, di credere che questo sia solo un brutto sogno.

Abbasso lo sguardo a terra e rifletto attentamente: cosa può spingere un uomo a far soffrire così i suoi simili? È vero, sono persone atroci e violente, colpevoli…ma fino a questo punto?

“Qual è la loro colpa?” chiedo a nessuno dei due in particolare. Al suono della mia voce, sebbene basso, un paio di anime alzano la testa e mi fissano con odio. Non c’è rimorso nei loro occhi, ma solo una fredda furia.

“Hanno tradito i loro amici e le persone che amavano.”, dice brusco Shamuel, poi mi prende per un braccio e mi trascina verso destra. Da una parte vorrei restare a fissarli tutto il tempo, dall’altra ne ho un timore immenso. “Forza!”, sbotta ancora. È nervoso, lo sento da quanto mi sta stringendo il braccio. Vorrei dirgli che non mi sta più passando il sangue, ma alzo gli occhi al cielo e sto zitta. Mi stacco dalla sua presa a forza, allontanandomi per guardare meglio le anime. Sì, lo so, sono cretina.

“Io vado avanti.”, sibila Shamuel, lasciandomi lì e allontanandosi a grandi falcate. Lo ignoro, fissando insistentemente due anime che camminano l'una accanto all'altra, guardandosi con odio puro. I loro pesi sono legati da pesanti catene, e ciò li obbliga a camminare accanto. Quando uno dei due cade, l'altro è costretto a cadere. Sono un uomo e una donna, sono di sicuro due vecchi amanti.

Quando vedono che li sto guardando digrignano i denti, avvicinandosi pericolosamente. Ora dovrei proprio arretrare. Così mi sta suggerendo il mio grillo parlante.

“Cosa vuoi, Donna di su? È troppo calmo la? Volevi un po' di avventura?” una voce rabbiosa mi sorprende alle spalle, facendomi sobbalzare in modo molto visibile. Ed io che stavo cercando di nascondere la strizza, anche se con la tunica bianca non è così semplice.

Balbetto una risposta insensata, allontanandomi dall'uomo con il viso pieno di piaghe e dal ghigno spaventoso. Oh, Dio, riaccoglimi tra le tue braccia.

“Ce la fai a starmi dietro o vuoi un navigatore?” sbotta Shamuel, spuntando al mio fianco e afferrandomi nuovamente il braccio. Mi trascina come un rimorchio fino ad un paio di metri dall'anima, che è rimasta piuttosto sorpresa. Eh, lo so, non tutti hanno un accompagnatore così brutto.

“Oltre che brutto so diventare cattivo.”, sbotta, piazzandomi accanto a Deborah.

“Oh, non penso che tu brutto lo sia diventato.”, gli sorrido amabilmente. Deborah trattiene una risata, girandosi dall'altra parte per non farsi vedere.

Shamuel alza gli occhi al cielo, poi allunga una mano dietro di sé e mi sorride con sfida: “Guarda cosa ti aspetta, Miss Simpatia.” Mi sta indicando una scala di larghezza criceto e pendenza Everest.

“Mi spieghi come diavolo faccio a passarci?”, sibilo guardandolo male. Lui ricambia lo sguardo, poi si mette lateralmente e striscia giù per i gradini, sbucciandosi i gomiti e le ginocchia. Ma certo, no? Siamo morti, chi se ne frega di un taglio in più o uno in meno. Si rimargineranno come ai vampiri. Il cavolo.

Borbottando tra me e me seguo il pazzo giù per la scala, rischiando da un momento all’altro di cadere e spezzarmi l’osso del collo. La buona notizia è che se cado travolgo Shamuel e c’è un’alta percentuale che si rompa qualche osso. Tanto si riaggiustano subito, vero, genio del male? So che mi senti.

“Ti vorrei strangolare.”, commenta a fatica. Sì, voglio proprio vederlo. Ha le ginocchia in gola a momenti.

“Risparmia il fiato.”, ansimo in risposta, perdendo tutto l’ossigeno che mi ero procurata. Non mi sono ancora resa conto di poter anche non respirare.

“Piantatela, voi due!”, esclama Deborah. Non è seria, so che sta ridendo, ma non posso verificare o rischierei di spezzarmi il collo. E senza nemmeno cadere.

“Se mi strangoli, finisci qui, con queste anime pazze.”, sghignazzo. Non ho ancora finito con lui. Lo torturerò fino alla pazzia.

“Sbagliato, perché non puoi più morire.” Caspita. Mi ha chiuso. Non so che dire.

Finalmente arriviamo alla fine della scala e, per prima cosa, serro le mani attorno alla gola. Non tenterai di uccidermi, Cullen.

Sta per rispondermi ad alta voce, o solo a tirarmi uno schiaffo, quando le lamentele salgono ancora. Senza darmi tempo di vedere chi c’è in questo piano mi trascinano verso la prossima rampa di scale. Almeno questa è più larga, anche se di poco. La mia curiosità è ormai alle stelle, ma so che non mi permetteranno di vedere altre anime finché non saremo sul piano degli assassini.

Così passano altri quattro piani. E più ci avviciniamo al centro del male, più la luce rossa scompare. Il nero è ovunque, crea ombre e fa venire la pelle d’oca. Io, nella mia tunica da ospedale, sento freddo. Deborah trema persino più di me, ed ho notato che si stringe a Shamuel, come per cercare protezione. Se non avessi così tanta strizza, penserei che sono carini insieme.

A metà della sesta scalinata sento dei versi atroci e disumani, quasi disperati. Sono contenta di non dover vedere questo piano, non so che cosa mi aspetterebbe, altrimenti.

“Mal ti va- commenta Shamuel- siamo arrivati.”

Me lo dice con così poco avvertimento? “Mal ti va”? Ma ti faccio andare io male qualcosa, tipo l’esistenza. Oh, lo squarterò quando avremo finito questo stramaledetto cammino. Impettita, cammino verso la fine delle scale e mi fermo a fissare davanti a me.

È tutto molto buio, ci sono ombre in movimento e urla strazianti, ma nulla di più chiaro. Mi accorgo di avere la pelle d’oca e di tremare insistentemente. E non ho un telefono con la vibrazione in tasca.

“Suppongo che dovrò armarmi di luce.”, mormora Shamuel al mio fianco. Improvvisamente, tuttavia, per me non ce n’è più bisogno. Divampa una lingua di fuoco rossastro.

La nebbia si dirada, le grida si fanno più forti e il colore rosso si unisce al nero. È buio, ma il fuoco illumina la zona quanto basta. C’è odore di sofferenza, di dolore, di peccato. C’è odore di morte. E in mezzo, tra tutta la folla, c’è una piccola luce. Una luce che vedo solo io. È la speranza.

Sussulto, in panico. Una sensazione si diffonde da un punto imprecisato del mio corpo e atrofizza tutti gli arti. È speranza, è desiderio di avere, è forza pura. È quell’anima, laggiù, sola.

“No. Non è possibile.”, la voce strozzata di Shamuel mi arriva lontana e attutita. Sento qualcosa che mi afferra e cerca di tenermi lontano dal punto in cui tutte le anime si ammassano.

No. Fermi tutti. Devo vedere.

E, come una risposta alla mia inespressa volontà, l’anima alza la testa. È lui.

È il ragazzo con gli occhi color dello sciroppo d’acero. È il mio investitore.

È, inspiegabilmente, la mia speranza.

Ciao belle c:

Ci siamo quasi, dal prossimo capitolo (che io adoro) arriva Justin :')

Spero di aggiornare prima possibile, non dopo Sabato comunque.

<3

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto.

“Mollami.”, sbotto con poca grazia. Se questa specie di aiutante divino da quattro soldi non mi molla il braccio, mi giro e gli ficco due dita negli occhi. È morto, sì, ma voglio vedere se fa ancora il galletto senza vederci un bel niente.

“Gabrielle, piantala.”, grugnisce tentando di tenermi. Intendevo proprio grugnisce; sembra un maiale.

“No, Sham, mollala tu. Deve vederlo, siamo qui per questo.”, interviene Deborah. Che Dio, sì, tu, tizio che mi vuole far fare questa menata, benedica questa tizia. Non vedo cosa la trattiene nel Purgatorio, probabilmente ha spezzato un'unghia a Cerbero.

“Come te lo devo dire che non esiste Cerbero? Non c'è alcun mostro, mettiti l'anima in pace.”, se era una rassicurazione, ha sbagliato tono. Forse è frustrato sessualmente. Dev'essere inquietante provarci con una ragazza e sentire la voce di Dio in testa che ti dice 'ti vedo!'.

“Sei tu il mostro qui.”, e con uno strattone me lo levo di dosso. Deborah gli si para davanti prima che possa riacciuffarmi. Le facilito il compito, spostandomi un po' e tenendomi a debita distanza.

Torno a guardare lo spazio destinato agli assassini e, ancora una volta, mi viene la pelle d'oca al solo vedere i loro volti scavati e crudeli. Sono bandite vero le armi nell'Inferno? Oh, chi se ne importa, tanto sono già morta. Devo abituarmi a questa cosa assurda. Il mio sguardo viaggia tra le anime illuminate dalla luce rossa: sono tutte vestite con abiti insanguinati e portano catene ai polsi e alle caviglie. Rabbrividisco, evitando per un pelo di vomitare sul pavimento della caverna. Non è decisamente il caso.

Metto a fuoco la figura che stavo cercando e, ignorando lo strano comportamento di Shamuel e dei miei sentimenti, mi avvicino. È seduto su una pietra, a testa bassa. Al mio passaggio le anime si spostano, sputando per terra o guardandomi con diffidenza. L'ho fatto il vaccino, credo. E non puzzo. Insomma, non si può puzzare una volta morti. O si? Magari so di cadavere in decomposizione. Che schifo.

“Ehm...ehi.”, esordisco una volta che gli sono di fronte. Lui solleva a malapena lo sguardo, inchiodandomi con i suoi occhi color caramello. Al contrario degli altri non sembra cattivo, solo triste. Meglio: avere a che fare con l'assassino di Kennedy non mi avrebbe portato a grandi risultati. Dio, a ripensarci, magari è qui tra queste persone!

“Ehi.”, risponde. E basta. Poi abbassa lo sguardo e comincia a calciare una pietrolina. Caspita, che flemma.

Mi devo presentare? Devo dirgli che mi ha ucciso? No, poi rischio che si senta in colpa. Magari inizio con qualcosa di più calmo, dicendogli che è davvero carino. Dubito che qualcuno prima di me abbia mai tentato di farsi un fidanzato all'Inferno. Sono una persona originale.

“Io...sì, insomma, io...” e mi fermo. No, così non va. Prendo un respiro profondo: se scappo faccio una brutta figura?

“Ti hanno messo qui perché sei dislessica?”

Ma che simpatico! Tu mi hai ucciso, razza di deficiente. Striscerai seguito dal tintinnio di queste stramaledette catene perché eri troppo ubriaco per distinguere il freno dall'acceleratore. Mi è passata la voglia di parlargli. E se gli dicessi 'ok ti perdono' e poi me ne andassi? Via il dente via il dolore, o com'è che si dice. Sarebbe più adatto via il dente viene il dolore, comunque.

“No.”, rispondo solo. La tentazione di dirgli 'on' è stata grande, ma ho resistito.

“E cos'è che desideri da me, esattamente?” chiede alzandosi in piedi. È più alto di me di qualche spanna, la tunica che porta ha solo una macchia di sangue, al contrario di altre decisamente più sporche. Forse vuol dire che ha ucciso poco, non ne ho idea. Ah, giusto, ha ucciso solo me. Credo.

Davanti al suo sguardo perdo il respiro e dimentico la risposta pungente che mi ero preparata, sparando una cosa a caso che realizzo solo dopo. “Sai dove posso trovare l'assassino di John Lennon?” Imparerò mai a tapparmi la bocca? Forse Shamuel ha ragione.

Lui alza un sopracciglio, guardandomi totalmente per la prima volta. È come stare sotto i raggi x. Solo che se il dottore fosse lui io non sarei più vergine. OH NO, ho appena realizzato che sono morta vergine! Ma che cazzo! Non si può essere così sfigati. A meno che nei ricordi che ancora mi mancano non ci sia un amplesso fantasmagorico con un ragazzo figo, ma dubito amaramente.

“Quando sono morto era ancora vivo, sta in carcere.”, dice incerto. Che scema, ma ho detto Lennon? Volevo dire Kennedy. I suoi occhi mi hanno confuso.

“No, no. Intendevo l'assassino di Kennedy. Beh, comunque, non importa.”, mi arrendo con me stessa. Sono un caso perso, mi odio da sola. Poteva uccidermi con un colpo in testa senza dover rovinare il suo macchinone.

Sospira. “Non ti ho mai vista qui prima.” Vuole fare conversazione adesso? Beh, dopotutto, è bello...chi sono io per negarglielo? Non sono santa. E se qui ci fosse Shamuel direbbe 'No proprio!'. Insopportabile.

“No, non sono di qui. Cioè, neanche di giù. Insomma, vengo dal Purgatorio.”, balbetto alla fine. Posso svelarglielo, vero? Alla fine dovrà sapere chi ha davanti. Magari diventeremo migliori amici e...no. Meglio fidanzati. Non si spreca un bocconcino così.

La sua espressione si fa stupita, poi dura. Ecco, così sembra molto più cattivo di quanto non fosse all'inizio. “E si stava così male lassù da venire qui?” fa sarcastico. Ahi, l'ha presa sul personale solo perché è legato come un salame. Chi glielo spiega adesso? Io. Claro.

Prima che io possa rispondergli, vedo il suo sguardo spostarsi alle mie spalle. La preoccupazione mi porta a pensare che ci sia qualche anima con strane intenzioni, fino a che non sento un tocco sulla spalla che mi fa sobbalzare. Shamuel.

“Ma che sei scemo?” mi giro male. Tossire per annunciare la sua venuta, invece che toccarmi come un maniaco? Accanto a lui c'è Deborah, lo sguardo teso e preoccupato. Sono morta, questo tipo non può farmi niente, capito? Ma poi, sfortunatamente, mi ricordo che solo lo squilibrato può leggermi i pensieri. Per un motivo a me ancora sconosciuto, oltretutto. Può darsi che abbia un trattamento speciale perché prega molto.

“Justin, giusto?” Shamuel si rivolge al mio assassino. Mi ignora sempre.

“Sì. Che ho fatto stavolta?” si risiede, chiaramente scocciato. La sua mano passa a scompigliare i capelli spettinati color grano, e sento un colpo mancare al mio cuore. Mio dio, è legale essere così belli?

“Niente. Ti presento Gabrielle Peters.”, e mi da una pacca sulla spalla. Stesso trattamento di una merce di scarico. Che poi, cosa vuoi che gliene freghi a questo tipo divino il mio nome? E temo che gliene freghi, perché ha appena boccheggiato, alzandosi in piedi di scatto e arretrando. Almeno farà un po' di esercizi per le gambe, a forza di alzarsi e sedersi.

Aspetta, non è che gli hanno detto il nome di quella che ha investito, vero? Perché a giurare dalla sua faccia sembra così. E io che volevo conquistarlo con il mio fascino.

“Che succede qui?” un'altra anima si è avvicinata, appoggiando una mano sulla spalla di Justin. Impara il trattamento amichevole, Shamuel. Il nuovo arrivato è un ragazzo poco più alto di Justin e, almeno sembra, di qualche anno più grande. Ha i capelli neri e gli occhi piuttosto chiari, una specie di verde acqua. La cosa più particolare è una cicatrice sulla sua fronte, che scende fino a chiudergli quasi totalmente l'occhio destro. Inquietante.

Shamuel si avvicina e lo prende per un braccio, trascinandolo da un lato e incominciando una conversazione fitta con lui. Sono amici? Poteva anche parlargli qui di fronte a noi, non mi piace quando qualcuno parla di me mentre sono presente.

“Ti ha fatto male?”

Sussulto. Justin mi sta guardando con gli occhi pieni di rimorso, sembrano quasi fondersi con il rosso, nella luce del posto. “C-Cosa?” balbetto a malapena. Dislessica e pure balbuziente. Perdo le facoltà di parola di fronte a questo tizio, non va bene.

“Intendo...ti ha fatto male quando ti ho colpito?” Ancora lo sguardo da cerbiatto. Cosa gli devo rispondere? 'Fai un po' te, sono morta'? Non è certo stato piacevole essere investiti.

“No.”, mento. E so che ha capito anche lui, ma le sue spalle si rilassano e abbozza un piccolo sorriso riconoscente. Ricambio cercando di non sciogliermi come neve al sole, poi mi giro verso Deborah, che è rimasta al mio fianco in silenzio tutto questo tempo come una statua di sale.

“Debby...posso parlarti un secondo?” le sussurro. Ho circa duecento domande in sospeso che vorrei trovassero una risposta. Lei annuisce e mi fa cenno di continuare. Ah. Qui, davanti a lui? Bene.

“Ok... -mi faccio coraggio- Perché mi ci vogliono due settimane per stare qui? Insomma, non potrei perdonarlo e basta? E poi, chi è quel tipo inquietante che parla con Shamuel?” Iniziamo con queste, almeno.

Deborah sbatte le palpebre un paio di volte: secondo me sta cercando di ricordare la prima domanda. Scommetto che devo ripetergliele tutte.

“Uhm...siamo qui perché non solo devi perdonare lui, ma devi anche purificare te stessa. Quindi, stando con Justin, dovresti ritrovare la via del...ehm...del Signore.” Più che una spiegazione sembra una lunghissima domanda. Ma non si risponde a una domanda con un'altra domanda, lo insegnano alle elementari.

“E allora perché diavolo mi ha trattenuto appena siamo arrivati?” sbotto fulminando Shamuel con lo sguardo. Non mi sta vedendo, ma spero mi senta.

Justin fa una risatina: “Che coraggio, nominare il diavolo qua sotto.”

Dio mi ucciderà. Non potrò mai più mettere un piede fuori dall'Inferno. Resterò con Justin per sem...però! Che figo!

“Ti ha trattenuto perché ha letto qualcosa nei tuoi pensieri che non si sarebbe aspettato. Non ha voluto dirmi cosa, ma era parecchio sconvolto.”, interviene Deborah. Anche lei sta guardando Shamuel, sembra quasi preoccupata per lui. Come una mamma. O forse, più probabile, come una studentessa con la bava alla bocca. Tipo io con Justin.

Improvvisamente ricordo la sensazione di speranza che ho provato quando ho visto Justin, qualcosa che nemmeno saprei spiegare o controllare. Era come se il resto del mondo si fosse fatto da parte ed esistesse solo e solamente lui. È normale essere attratti dalla persona che ti ha ucciso? No, caspita. Nemmeno lo conosco! Deve essere successo qualcosa, dev'essersi instaurato un contatto o qualcosa del genere. Perché in altro modo non può essere. Non ci si aggrappa a qualcuno senza sapere chi è. Perciò o me ne resto nel Purgatorio per sempre pur di andarmene adesso e non vederlo mai più, o sfrutto quest'occasione per conoscerlo come vorrei.

Che faccio?

Justin mi guarda e leggo nei suoi occhi il dolore. Dopotutto, a morire e a bruciarmi la vita intera non sono stata solo io.

“Beh, hai intenzione di raccontarmi di te o cosa?” gli sorrido.

***

Mi blocco, arricciando il naso. “Questa sarebbe la tua...camera?” chiedo con un filo di voce. Sono sulla soglia di una specie di rettangolo di grotta, con a terra un materasso pieno di buchi e nemmeno una lampada. O un bagno. E tanto meno un computer. Inoltre c'è puzza di zolfo.

Lui si gratta la testa, imbarazzato. “Sì, beh, me lo merito dopo quello che ho fatto.”

“Non è stata colpa tua, non l'hai fatto apposta.”

“No, è vero, però...”

“Però niente. Ti sembra normale che una persona caritatevole come Dio punisca così le persone? Persino quelle che non hanno avuto né tempo, né modo di pentirsi. Ho visto il tuo sguardo, so che avresti voluto farlo.”, lascio andare tutto. Qualsiasi pensiero mi sia venuto in mente dall'inizio di questa storia assurda.

Justin rimane interdetto, guardandomi con tanto d'occhi. Farò finta che mi riservi questo sguardo per la mia immensa bellezza e non per le eresie che ho appena sparato.

“Inizio a capire perché non sei in Paradiso.”, ride infine, sedendosi sul materasso. Con la mano picchietta accanto a sé, invitandomi a sedermi. Ancora una volta non rinuncio, mettendomi così di fianco a lui, a gambe incrociate.

“Hai ragione, comunque.”, dice poi, guardando fisso verso la porta.

“Lo so. Riguardo a cosa stavolta?”, mi appoggio al muro dietro di me, soffocando uno sbadiglio. Il viaggio mi ha stremato. E sono morta! Che strazio.

Sorride, scuotendo la testa. Intrattengo le persone. Che bello.

“Avrei voluto pentirmi. Mi sento un pesce fuor d'acqua, qui. Tutti covano rancore, io vorrei solo tornare indietro e farti attraversare la strada incolume.”, ammette prendendosi la testa tra le mani.

Gli tocco il braccio, tentando di consolarlo. Io che consolo lui. Notevole. Dovrebbe essere il contrario.

“Come fai a non essere arrabbiata con me?” mi chiede, senza lasciarmi tempo di rispondergli al discorso di prima. Già, amico, bella domanda. Dovrei odiarti, me l'hanno fatto intuire già cinque o sei persone.

“Te l'ho già detto, non è stata colpa tua.”, non so se sto cercando di convincere lui o me stessa. Tanto vale, comunque.

“Che c'entra? Sei morta! La tua famiglia si starà disperando. I tuoi amici pure. E che ne so, magari avevi un ragazzo e io ti ho portato via l'idea di una famiglia felice!” Ora è fortemente depresso.

Sì, poi magari avevo anche un barboncino, un maggiordomo e un giardiniere.

“Dai, calmati.”, gli dico sfregando la mano sul suo braccio. In effetti non ha tutti i torti: mi ha negato la possibilità di vivere. Ma, dopotutto, l'ha negata anche a se stesso. E spero non se ne renda conto proprio adesso perché non vorrei incominciasse a sbattere la testa contro la roccia.

Rimaniamo in silenzio per un po', mentre il suo respiro torna regolare e la sua faccia riemerge dalle mani sotto cui si nascondeva. Mi fa tenerezza, nessuno si merita questo trattamento.

“Avrai tutto il tempo per non sentirti più in colpa.”, dico rompendo il silenzio. Lui si volta a guardarmi, inarcando le sopracciglia. Com'è che tutti sono capaci a farlo tranne me?

“In che senso? Lo sapevo già che devo restare con queste maledette catene per sempre.”, la sua voce si fa tetra mentre smuove le catene, procurando un tintinnio. I suoi polsi e le caviglie sono già circondati da anelli rossi infiammati. La rabbia mi sale come bile in gola.

“Nel senso che starò due settimane qui con te.”, tento di sorridergli, ma sembra che qualcuno mi stia tirando le labbra con la forza. Odio Dio. Oh, come lo odio in questo momento.

“Davvero? Pensavo scherzassi prima, parlandone con quella tua amica!” e il suo viso si illumina del sorriso più vero del mondo. E so che è felice per se stesso e per la sua redenzione e non perché io starò li, ma per adesso mi basta. “Dove lo trovo un materasso? No, aspetta, dormo io per terra.”, inizia ad agitarsi torcendosi le mani. Calma e sangue freddo.

“Oh, taci, Justin. Troverò un modo, vado a chiedere al mio amico scemo.”, sospiro alzandomi con un colpo di reni. Ahi, ahi.

“Quello che prima parlava con Daniel?” mi chiede curioso.

Con chi? Mica il tipo inquietante con la cicatrice? Suppongo.

“Ehm...sì, lui.”, rispondo, poi prendo la via della porta.

“Io ti aspetto eh, intanto cerco un posto letto!” esclama felice alle mie spalle.

Almeno qualcuno ne uscirà sereno da questa avventura.

Hey girls :)

come promesso, ecco il sei. Un po' più lungo e un po' più "pieno".

Che ne pensate di Justin?

A presto <3

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Capitolo settimo.

Un tintinnio, seguito da una piccola luce, mi sveglia. Sbatto le palpebre, cercando di capire dove sono. Non ce n'è bisogno, dato che mi trovo davanti un viso conosciuto. È particolarmente soddisfacente svegliarsi vedendo un angelo. Anche se è senz'ali, in questo caso.

“Forza, forza! E' il nostro secondo giorno, non possiamo perderci nulla!” esclama Justin scuotendomi una spalla. Un bambino al parco giochi sarebbe meno entusiasta. Mugugno qualcosa, girandomi dall'altra parte. Perché il sonno esiste anche quando si è già morti? Potrei fare festini e baccano tutta la notte, invece devo dormire. Non che mi dispiaccia dormire qui, nel materasso accanto a quello di Justin. Shamuel ci ha messo vent'anni a convincersi che non avremmo fatto sesso.

“Dai, Gabrielle!” sbuffa e sento il materasso piegarsi. Deve essersi seduto accanto a me.

“Che ore sono?” biascico. Spero l'abbia capito.

“Che ne so? Non abbiamo un orologio all'Inferno.”, ride. Giusto. Tanto devono ciondolare con le catene in giro senza fare niente di che. Ci sarà la campanella per il pranzo? Ah no, forse non si mangia. Io non ho mangiato ancora da quando sono qua. Però il sonno serve. Ma che cavolo, chi ha stabilito questi maledetti criteri?

Mi alzo a sedere, andando a sbattere una testata contro Justin. Se fossi stata più sveglia avrei finto uno svenimento per finirgli tra le braccia; ma io sono Gabrielle, e sono una camionista. “Porca troia che male.”

Lui mi guarda con tanto d'occhi, le sopracciglia aggrottate: “Mi sa che questo materasso resterà per sempre qui.”, sospira. Può darsi. Se continuo con le parolacce, Dio sarebbe capace di creare il PronfondInferno, qualcosa di schifoso ancora peggiore di questo. Solo per me, limited edition.

Usciamo dalla 'camera', incontrando Shamuel appoggiato fuori. Ci scommetto che è rimasto qua tutta la notte. Adesso mi metto a pensare a dettagli piccanti, così pensa che ci siamo rotolati sui materassi come conigli. Dai miei capelli e dalla mia faccia potrebbe anche sembrare.

“Ma dai suoi no.”, sghignazza Shamuel. Mi giro verso Justin: niente da fare. Sembra una divinità. I capelli spettinati a lui fanno solo effetto seta. Niente a che fare con il mio nido di uccello.

“Che mi sono perso?” chiede Justin guardando prima me, poi Shamuel.

“Lui può leggermi nel pensiero. Stavo pensando che se la gente guardasse me, sembrerebbe che abbiamo fatto i conigli. Ma poi ci sei tu che mi rompi l'inganno.”, spiego brevemente. Ho detto davvero quello che ho appena detto? Maledizione.

“I conigli?” fa confuso. Fingo di non aver sentito, sarebbe troppo imbarazzante spiegargli cosa intendevo. Lascio che mi superino e inizino a parlare tra di loro. Devo imparare a tapparmi la bocca. Ma davvero.

“Come riesci a leggerle nel pensiero?” sta chiedendo Justin a Shamuel. Domanda interessante, ma tanto lui non ti risponderà mai, caro. Inizierà a parlare della fattura della roccia e a blaterare su cose inesistenti.

“Non solo a lei.”, gli sorride Shamuel. Cosa cosa cosa? Sta scherzando, vero? “A tutti.”, continua.

“TU COSA?” urlo, facendo girare due anime. Credo di averle spaventate, ma così almeno ritrovano il brivido dell'adrenalina. “Devi aver fatto qualcosa a Dio per avere questi privilegi. Sei un raccomandato.”

“Che schifo, Gabrielle!” esclama, mentre Justin ride. Cos'ho detto di male? I favori sessuali non sono un reato, per la miseria. Ti sta bene, brutto essere che agli altri risponde e a me no.

“A cosa sto pensando?” chiede Justin divertito. Ma nemmeno i bambini più piccoli! Nemmeno Bella Swan ha fatto una domanda così cretina. Però era peggio: chi cavolo avrebbe pensato al pi greco? Deficienti.

“Muoviti Justin, è il secondo giorno!” lo imito facendo una vocina isterica. Lo afferro per un braccio e lo trascino nel posto dove l'ho incontrato ieri. La roccia dove stava ieri è occupata da un'anima con una tunica completamente rossa. Rabbrividisco, dirigendomi verso un'altra specie di roccia, piatta e allungata. Shamuel da dietro urla qualcosa, poi ride e sparisce in mezzo alle anime.

“Che ha detto?” chiedo sedendomi. Justin si siede di fronte a me e fa spallucce, trattenendo un sorriso. Lui lo sa, traditore. Sorvoliamo su questo aspetto oscuro dei maschi.

“Allora, che facciamo?” cambia argomento, leccandosi le labbra. Lo so che sono secche e non era un messaggio subliminale legato alla domanda, non c'è bisogno di puntualizzare.

“Ci conosciamo.”, rispondo. Penso che ci voglia, no? Per fare un cammino insieme devo prima conoscerlo, poi risolvere i nostri problemi e poi abbandonarlo e... no. Non pensiamoci adesso dai.

Il suo sopracciglio destro si alza di molto, e mi scocca un'occhiata incerta. Poi allunga la mano: “Piacere, Justin Bieber.”

Non ha capito un emerito cavolo di niente.

“Senti, faccio io. Tu rispondimi solo.”, gli sorrido incoraggiante. Lui si stringe nelle spalle, poi annuisce.

“Data di nascita?”

“Primo marzo 1994.”

“Nome completo?”

“Justin Drew Bieber.”

“Luogo?”

“Ma sei un avvocato? Un dottore? Chi se ne frega!” esclama ridendo. Non ha tutti i torti.

“Colore preferito?”

“Viola. Scusa però così tu conosci me, ma io non conosco te.”, obbietta. Due a zero per te, amico.

“Arancione. Film preferito?”

“Blues Brothers, tra i tanti. Il tuo?”

“Neverland.” E lui scoppia a ridere.

“Che film da femmina!” esclama ridendo ancora. Ora gli arriva un manrovescio pesante.

“Guai a te se osi ridere dei due attori più capaci al mondo.”, lo minaccio socchiudendo gli occhi in un (patetico) tentativo di fargli paura.

“Scusa, scusa. Continua.”, dice sghignazzando ancora.

“Cartone animato preferito?”

“Spongebob. Il tuo?”

“Dragon Ball.”, sono costretta ad ammettere.

Ride ancora: “Passi da Neverland a questo? Mi deludi.”

“Stai zitto.”, ma rido anche io. È troppo tenero quando ride e gli si illuminano gli occhi.

“Favola preferita?” continuo.

“Non ne ho idea. Non ci ho mai pensato, forse Peter Pan. La tua? Ah no, non dirmelo: La Bella Addormentata nel Bosco.”, e continua a prendermi in giro!

“Sbagliato. Tobia la Tartaruga.”, lo stupisco. In realtà è davvero la Bella Addormentata nel Bosco, ma questo lui non lo scoprirà mai.

“Tobia cosa? Te lo sei inventato.”, ora ride proprio forte. Dategli una mascherina per l'ossigeno.

“Esiste davvero, lo giuro!” Comunque, passiamo oltre. “Fidanzato?”

“No, morto.”, risponde confuso.

“In vita eri fidanzato?” richiedo, alzando gli occhi al cielo.

“Ah! No. Tu?”, ET telefono casa.

“Nemmeno.” Restiamo un attimo in silenzio, io guardando lui e lui guardando le anime che ci passano accanto. Quando si gira verso di me mi becca incantata a fissarlo. Mi sorride: “Altro?”

“Non lo so, ci sto pensando.”, dico abbassando lo sguardo. Mi fermo a guardare le sue mani, incrociate tra le sue gambe e imprigionate in quelle maledette catene. Insieme alla rabbia, sale un senso di impotenza tremendo. Se fossi sicura di non spaventarlo, piangerei. Questo cammino è per salvare me, non lui. Qualsiasi cosa succeda, lui resterà qui. Le sue catene resteranno dove sono.

“Tutto bene?” mi chiede con una vena di preoccupazione nella voce. Devo avere gli occhi lucidi. Butto giù il rancore, la rabbia e la tristezza. Non voglio che si senta ancora più in prigione di quanto non sia.

“Sì. Per ora basta. Che vuoi fare?” mi alzo e mi pulisco i pantaloni dalla polvere. Lui mi imita, alzandosi.

“Sono sporco?” mi chiede ridendo. Annuisco, guardando i suoi pantaloni bianchi ormai grigi. Non so se ridere perché dovrei pulirlo io, oppure mettermi a piangere perché non può nemmeno farlo da solo, avendo le mani legate.

“Lascia stare, non devo farmi bello per nessuno.”, sorride forzatamente. Sono sicura che ha capito a cosa sto pensando. Devo smetterla.

“Vieni, proviamo a fare una cosa.”, lo prendo a braccetto e andiamo verso la sua camera.

***

“Possiamo smetterla?” sbuffa Justin. Dovrebbe essere grato del mio sforzo, non lamentarsi.

“No.”, sbotto, battendo ancora una volta la pietra contro l'anello di catena che ha attorno al polso. Mi fa già male il braccio.

“Guarda che è un incantesimo divino, non riuscirai a spezzarle.”, si appoggia alla parete della roccia, chiudendo gli occhi.

“Non esiste la magia.”, dico con il fiato spezzato, continuando a infierire sul ferro. Non si allentano neanche per sogno. Ho provato anche a giurare a Dio che avrei pregato. Forse ha ragione il ragazzo qui presente, anche Shamuel mi aveva quasi convinto. Lascio la pietra e mi alzo in piedi. Justin spalanca gli occhi, spaventato.

“Dove vai?” fa sospettoso.

“A chiedere a Shamuel una cosa. Aspettami qui, torno subito.”, lo vedo annuire così mi fiondo fuori dalla sua stanza. Percorro il corridoio fino ad arrivare alla grande stanza dove si ammassano le anime. Quanti assassini, non troverò mai Shamuel. Oh, un momento, basta cercare quello con la tunica pulita.

“Shamuel!” lo chiamo appena lo vedo. Sta parlando con Deborah e Daniel. Chissà se si annoiano a dovermi aspettare per due settimane.

“Dimmi, cara.”, mi fa un mezzo sorriso, interrompendo la conversazione.

“Devi togliere le catene a Justin.”, dico, e spero di aver usato un tono abbastanza severo.

Daniel alza gli occhi al cielo, mentre Shamuel rimane fermo a fissarmi. “E perché dovrei?” mi chiede.

Pensavo mi dicesse che non ne ha il potere. Evidentemente è più forte di quanto pensassi. Gli sorrido nel modo più dolce che conosco: “Perché è un po' difficile portarsi dietro un carcerato per due settimane.”

“Non si possono togliere.”, interviene Daniel, guardandomi come se fossi un insetto sgradevole. Schiacciami, dai, tanto sono già morta.

“Dopotutto... - Shamuel fa un sospiro – Justin non è un assassino a tutti gli effetti. Mi metterò in contatto con il Signor Bloom e vedrò se riesco a interrompere il suo trattamento per due settimane.”, dice.

“Davvero?” esclamo felice. Vorrei quasi abbracciarlo, sottolineo il quasi.

“Davvero. Ma sicuramente non potrà allontanarsi da qui.”, mi avverte tornando serio. No, tranquillo, non lo farò fuggire. Ci riprenderebbero dopo poco, comunque: quella scala larga due millimetri rallenterebbe anche un pidocchio.

“Grazie.”, gli dico, e sono sincera forse per la prima volta in assoluto. Voglio che sappia che, nonostante non sia una cima in simpatia, io l'ho voluto qua perché mi sono fidata di lui. E anche perché se no non avrei nessuno da prendere in giro, ma questo è un altro discorso. Lui ride, poi mi fa cenno di andare, così li lascio alla loro conversazione privata.

“Gabrielle!” la voce di Deborah mi ferma. Mi giro e la vedo raggiungermi; aspetto che riprenda fiato per la corsetta di due secondi che ha fatto. Non siamo tutti atleti, evidentemente.

“Volevo solo... -e si interrompe ancora. Io aspetto paziente. - Volevo dirti che non è bene affezionarsi a qualcuno, qui. L'amore non è permesso nel Regno dei cieli.” Ma di che diavolo parla?

“Debby, conosco Justin da ieri. Sto solo cercando di fare amicizia.”, rido in modo isterico. Non so se è seria o mi sta prendendo per il culo. Sento una specie di attrazione per Justin, d'accordo, ma non è niente a vedere con l'amore.

“Lo so. Se dovesse succedere, sappi che è proibito.”, continua a ripetermi. Va bene, niente approcci maschio-femmina nell'aldilà. Prima che possa risponderle, mi prende una mano tra le sue e continua: “Ma sappi anche che io sarei dalla tua parte.”, dice con voce soffocata dall'emozione. Fermi tutti. Mi sta svelando perché è nel Purgatorio? E io che pensavo che fosse davvero perché sopporta Sham.

“Tu hai.. ehm.. amato qualcuno? Per quello sei punita?” chiedo cercando di usare un tatto che non ho.

Lei scuote la testa, spaventata, come se qualcuno potesse sentirci. “No, Gabri, ma ti prego, promettimi che non ti innamorerai di nessuno. Non voglio che tu possa subire le conseguenze del tuo gesto.”, le parole le scivolano fuori di bocca quasi contro la sua volontà, lo vedo. Mi preoccupa.

“Promesso.”, mi sento solo di risponderle. Lei sembra rassicurata, almeno un pochino. Mi stringe ancora di più la mano, poi la lascia andare e torna verso Shamuel e Daniel. Ma che cavolo è appena successo? Torno da Justin prima che mi dia per dispersa, ma giuro che ci capirò qualcosa in questa storia. Prenderò Shamuel per un orecchio e me la farò raccontare tutta. Ecco, perfetto.

Hello!

Ecco il settimo, fatemi sapere se vi piace :)

Ps: ho pubblicato una os. Non è su Justin, ma se passate a dirmi

che ne pensate ne sarei felicissima. E' QUI.

Chiara :)

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Capitolo ottavo.

“Lo sciroppo d'acero.”, mi fa Justin, sorridendomi appena.

“Sei serio? Con tutto il cibo che ti può mancare scegli quello?” lo scruto incredula. Pizza, lasagne, pasta? No, eh?

“Ti giuro. Era come un'abitudine: mi svegliavo con il profumo dei pancakes e dello sciroppo, scendevo dal letto e trovavo mia mamma in cucina a farli.”, la sua voce assume un tono leggero, quasi fiabesco. Cosa darei perché fosse ancora vivo e non soffrisse così, lontano da chi ama, per aver compiuto qualcosa che nemmeno avrebbe voluto.

“Com'è lei?” mi azzardo a chiedere. Non voglio deprimerlo, sia chiaro, solo conoscerlo.

“Dolce. Immensamente dolce. Come lo sciroppo d'acero.”, dice facendo spallucce. Sta nascondendo il dolore, ed è parecchio bravo a farlo.

“Ancora? Sei fissato!” sbotto, calciandolo piano fuori dal suo materasso, in modo da potermi sdraiare.

“Lo so. Ehi, tu ce l'hai il tuo materasso, questo è mio.”, protesta, ma si accomoda lo stesso sul mio. Bravo, ragazzo. Non ho la forza di alzarmi e nemmeno di rotolare da un letto all'altro. In realtà non facciamo niente, oltre che parlare, ma sono stanca. Forse morendo si entra in menopausa; non ne ho idea.

“Tuo padre?” gli chiedo ancora, portando le mani dietro la testa per sollevarla e vederlo meglio. Ieri mi sono soffermata a chiedermi com'è possibile che la barba non gli cresca, ma poi ho pensato che la morte ferma la crescita. Quindi lui rimarrà così per sempre. Avercela questa garanzia.

“E' un tipo forte. Mi ha insegnato un sacco di cose, gli devo molto. E poi mi ha dato i miei due fratellini piccoli.”, sbadiglia, fissando il soffitto della grotta. Una specie di nero con pezzi di muschio verde moccio. Di un'eleganza sublime, proprio.

“Sono belli? Inteso, ci ha messo lo stesso semino figo che ha messo con te?” sbadiglio anch'io, contagiata, salvo strozzarmi a metà, dopo aver realizzato cos'ho appena detto. Va beh, tanto l'avrà notato quanto è bello.

Lui sorride, esasperato: “Sì, sono belli. Più di me.” Con la coda dell'occhio mi vede scuotere la testa, così aggiunge: “Non sto scherzando!”

“Peccato che tuo fratello sia piccolo allora, mi accontenterò di quello grande. Un mostro, guarda.”

Justin ride ancora, poi si volta completamente verso di me. Nel buio della stanza brillano i suoi denti bianchissimi, degni della pubblicità di Colgate. Mia mamma comprava sempre quello, mi ricordo. Ho la tendenza a dimenticare cose importanti come la mia famiglia, non che sia poi una tragedia, e ricordo delle cavolate come le allergie e il dentifricio. Come se potessi mangiare e poi lavarmi i denti, qui.

“Cosa stavi facendo fuori dal locale a quell'ora?” mi chiede d'un tratto, tornando serio.

“Cercavo di raggiungere la fontanella al di là della strada. Sai com'è, faceva un po' caldo e avevo sete.”, gli spiego, mordicchiandomi un labbro. Da morti si sanguina? Evitiamo di scoprirlo, comunque.

Lui annuisce, rimanendo in silenzio. Devo dire qualcosa, qualsiasi cosa, oppure si crogiolerà nel suo dolore. E se si mette a piangere? Muoviti, Gabrielle, pensa a qualcosa.

“Lo sai che quando beviamo non respiriamo?” butto fuori a caso.

“Noi cosa?” fa incerto. Forse crede di aver sentito una cavolata, il che non sarebbe sbagliato.

“Sì, perché l'epiglottide deve stare chiusa, oppure l'acqua passa nelle vie respiratorie. Tipo io, quando faccio una corsa, non riesco a bere subito dopo. Perché già ho poco ossigeno, se poi trattengo il respiro per bere muoio.”, gli sorrido. Ora mi prende per pazza, ora scappa, mi denuncia. Me lo sento.

“Uhm...d'accordo?”, ha un sopracciglio inclinato in maniera preoccupante. Dev'essere piuttosto perplesso.

Pensa ancora, pensa ad altro. Dai che ce la fai, ragazzina.

“Com'è stato il tuo primo bacio?” Oh, brava. Questo è già più interessante.

“Confuso. Non me lo ricordo bene. - aggrotta la fronte, fissandomi con sguardo vacuo – Ah, sì. Era una bella ragazzina, bionda, occhi azzurri. È stato piuttosto patetico, uno sfiorare di labbra e poi è scappata.”, solleva di nuovo le spalle. Scappata? Idiota.

“Il tuo?” mi chiede poi.

“Polipo.”, borbotto, sperando che non senta. È a due centimetri da me, per cui non prego nemmeno.

“Hai baciato un polipo?” mi chiede strabuzzando gli occhi.

“No, lui era un polipo.”, spiego sempre mormorando. È talmente patetico che mi scaverei la fossa da sola. Perché questo me lo ricordo? Dovrebbe fare parte dei ricordi importanti. Che schifo.

Justin inizia a ridere, contagiandomi. Siamo quasi carini, lui che mi guarda e ride con una mano sullo stomaco, e io che sono una specie di pesce attirato dall'amo (che è lui). E che amo.

“Intendi di quelli che lasciano la saliva?”

“E che ti circondano la bocca con le loro labbra a canotto stile Dissennatori e succhiandoti l'anima? Sì, intendo quello.”, mentre lui si lascia cadere totalmente sul materasso, rotolandosi e urlando 'che schifo', sì, rende l'idea, io rimango a guardarlo. Lui si che sa baciare, secondo me. Non che io possa testarlo, purtroppo. O magari posso baciarlo a tradimento e dire che aveva un po' di nutella sul labbro. Uh, no, non fatemi iniziare a pensare a lui e alla nutella insieme.

“Perché mi stai guardando così?” mi chiede quando ha finito di ridere delle mie disgrazie.

“Così come?” meglio essere vaghi.

“Così. Come se io fossi una bistecca e tu un cane affamato.”

Eh?

“Ma che sei normale? No, ho capito. Per tenervi buoni vi danno l'erba, vero?” In tal caso capirei tutto.

“No, no. Una volta un tizio ha provato a portarsela. Sai, no? Muori con i tuoi vestiti addosso e lui teneva la droga in tasca. Solo che poi i familiari l'hanno svestito per rivestirlo a lutto. E quando è arrivato qua gli hanno messo la tunica. Non sai che insulti pianta ancora oggi.”, sghignazza. Secondo me se l'è inventato.

“Sì, certo. Secondo me tu ti fai di qualcosa. Te la passa il tuo amico inquietante.”

“Ma chi, Daniel? Quello è un santo. Nessuno sa perché è qui, ma da quando lo conosco non fa altro che darmi consigli e sparare citazioni di Oscar Wilde. Una noia pazzesca.”, sospira.

“Vuoi dormire?” gli chiedo. Lo vedo un tantino stanco e continua a sbadigliare. Dopotutto, sono quattro giorni che parliamo e parliamo senza fare altro. Forse potrei...

“Mi è venuta un'idea!” esclamo prima ancora che risponda. Mi alzo a sedere e lo fisso, mentre lui alza gli occhi al cielo.

“E se ti stessi per dire che volevo dormire?” si lamenta, ma si mette a sedere anche lui.

“Zitto, sto pensando.” Lui mima di cucirsi la bocca, poi rimane a fissarmi mentre io penso. Com'è che si chiamava quel film la? Quello con Zac Efron e quella vecchia di cui si innamora? C'era pure Mila Kunis e l'altro attore figo, Ashton qualcosa. Un cognome di quelli che quando lo pronunci sputi. Va beh, c'è un'alternativa. Un film simile era quello con Morgan Freeman e l'altro vecchio. Caspita, mi sto dimenticando le cose cinematografiche. Mi farò aiutare dal mio valletto.

“Justin, sta a sentire. Come si chiamava quel film con Zac Efron, Mila Kunis e altra gentaglia?”

Lui mi guarda e sbatte le palpebre un paio di volte, come un pesce fuor d'acqua. “Capodanno a New York?”

“Bravo!” esclamo, e mi sporgo per dargli un bacio in fronte. Oh, caspita, l'ho baciato. In fronte, d'accordo. Però è già qualcosa. È superfluo vero dire che ha la pelle morbida? “E quello con i due vecchi che stanno per morire?”

“No. No, ho capito cosa vuoi fare.”, dice d'un tratto, allontanandosi di un po' da me.

“Dai, Justin! Ci saranno cose che avresti voluto fare prima di morire! Così potrai dire di averle fatte lo stesso.”, provo a fare il labbruccio, magari funziona.

“No. E tanto comunque non posso uscire di qua. Stai già facendo tanto per me, il tuo amico è persino partito per me.”, sta iniziando a disperarsi, non va bene. E comunque Shamuel l'ha fatto per me, è stato carino. Spero che il signor Bloom non si arrabbi con lui o con nessuno di noi.

“Non puoi uscire, ma possiamo procurarci le cose che ti servono.”, mi avvicino di nuovo, prendendo le sue mani tra le mie. Sono fredde, il sangue circola a malapena per colpa delle catene. Sorrido amaramente, racchiudendole tra le mie e avvicinandole al viso. Soffio, cercando di riscaldarle, e contemporaneamente sfrego. Quando rialzo gli occhi, vedo i suoi lucidi nel buio.

“Sono contento che tu sia qui.”, la sua voce si spezza mentre lo dice. “Non voglio più stare solo.”

Non riesco più a reggere il suo sguardo, ma questo ragazzo è immensamente solo, ed ha bisogno di quanto più aiuto possibile. Mi sposto accanto a lui e lo abbraccio, sentendo i suoi capelli che mi pungono il mento. Sento il suo verso di frustrazione quando si accorge di non poter ricambiare la stretta, e tenta di allontanarsi. Lo obbligo a star fermo con uno strattone, ed inizio ad accarezzargli i capelli e il collo, tentando di rilassarlo. Restiamo così per un po', fino a che il suo respiro non diventa pesante, e so che si è addormentato tra le mie braccia, l'unico porto che ha trovato sicuro dopo questi mesi di solitudine.

***

Esco dalla camera di Justin in punta di piedi, cercando di non svegliarlo. Anche se dubito che lo farà, visto che ha continuato a russare anche mentre lo facevo rotolare da un letto all'altro. È peggio di un ghiro. Mi trascino nel corridoio, cercando di dimenticare la morbidezza della sua pelle. Deborah ha ragione, non devo affezionarmi a lui, oppure soffriremmo entrambi. E direi che abbiamo già sofferto abbastanza, soprattutto lui. Giungo nel vasto spazio, che ora è quasi vuoto, e mi dirigo verso Deborah. Non ho idea di cosa faccia qui 24 ore su 24, ma non dev'essere così divertente.

“Che ci fai qui?”, mi chiede spostandosi e facendomi spazio. Mi siedo accanto a lei, su una panca scomodissima.

“Non riuscivo a dormire. E tu?”

Lei arrossisce appena: “Aspetto Shamuel, dovrebbe tornare a breve.”

“Ti piace lui, vero?” la guardo negli occhi, finché non mi accorgo che è diventata del colore dei pomodori maturi. Potrebbe esplodere da un momento all'altro.

“Non possiamo.”, mi risponde solamente. Quindi è così davvero: nessuno può stare insieme, in questo posto. E tutte quelle prediche riguardanti l'amore di Dio? La sua clemenza? L'amore verso il prossimo?

“Perché non può esistere l'amore? Che sciocchezza è mai questa?”

“Pensaci, Gabrielle. Noi siamo qui per amare Dio, non per amarci a vicenda. E se una storia finisse male? E se si amasse qualcuno più di quanto si ami Dio? Sarebbe peccato. Sai vero cosa succede a chi pecca? L'Inferno, subito, senza nemmeno possibilità di spiegare.”, allunga una mano e mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, con il fare affettuoso di una sorella.

“Hai mai pensato che tutto questo è sbagliato? Che non c'è niente di amorevole in tutto questo? E' probabilmente solo uno spocchioso che si diverte a far soffrire chi gli sta sulle palle.”

Deborah mi sorride: “Pensarlo sì, ma dirlo mai.”

“Posso sapere perché devi scontare una pena?” le chiedo piano. Non voglio essere invadente, ma visto che siamo in vena di chiacchierate... Lei annuisce, un po' incerta, ma prima che possa dirlo un rumore ci distrae. Dalla scala arrivano grugniti e sibili, simili a quelli di un maiale in calore. Dopo qualche secondo, con la maglietta stropicciata e i capelli pieni di polvere, compare Shamuel. È talmente incazzato che mi stupisce il fatto che riesca a tenersi dal bestemmiare anche adesso.

“Tu!” mi indica appena arriva. Mi sposto dietro a Deborah, cercando protezione.

“Oh, no, vieni fuori.”, sbotta. Così sono costretta a guardarlo in faccia. Sembra parecchio arrabbiato, anzi direi furioso. Scuote la testa e si libera della polvere, poi si siede di fronte a noi sbuffando forte. Che vittimismo.

“Sarai felice di sapere che Justin potrà rimanere senza catene per due settimane.”, mi informa. Prima che io possa stritolarlo in un abbraccio, però, aggiunge: “Tuttavia c'è la paura che le altre anime lo vedano come un preferito e che se la prendano con lui. Justin dovrà quindi stare nella sua stanza per la durata delle due settimane. Senza uscire.”

Oh no, ho peggiorato le cose? Ma porca miseria, sono un danno ambulante! Uh, però almeno adesso potremo abbracciarci. Sì, certo, come se potesse succedere ancora.

“Voi cosa? Vi siete abbracciati? Cosa mi sono perso in questi quattro giorni? Sei innamorata? Vi siete baciati? Oh mio dio, mi uccideranno. Lo sapevo che non dovevo stare dietro a una come te. 'Sei bravo, Shamuel' mi dicevano. Sì, certo. Bravo un corno.”, e continua a blaterare. È la prima volta che impreca e impazzisce in mia presenza. È divertente.

“Shamuel, calmati. Non ci siamo baciati, non abbiamo fatto sesso, non sono incinta, non sono innamorata. Aveva bisogno di un conforto e l'ho abbracciato. È solo, sta male. Sto solo cercando di fare la cosa giusta!” esclamo alla fine, alzando il tono. Tutto questo dolore mi sta dando alla testa, poi arriva sto qui e mi accusa.

“E anche se fosse? Cos'è, sei diventato ostile all'amore così di colpo? Ha fatto il lavaggio del cervello anche a te?” l'intervento di Deborah, sempre calma e tranquilla, ci coglie impreparati. Senza aspettare che Shamuel le risponda si alza e si allontana, facendoci sentire un udibilissimo singhiozzo.

“L'hai fatta grossa, Sham.”, gli dico, battendogli una mano sulla spalla. Lui sospira e si prende la testa tra le mani. Mi viene spontaneo dargli una carezza, mettendoci il ringraziamento per ciò che ha fatto per me.

“Perché lei è qui?” gli chiedo, stavolta sperando di ricevere una risposta.

Lui fa una smorfia: “Sconta la pena di sua madre.”

“E che ha fatto di tanto grave questa signora?”

“Ha portato qui l'amore.”, dice vago. Devo proprio tirargliele fuori di bocca le parole.

“In che senso?”

“Dio si era innamorato di lei.”


Colpo di scena.

Non so quando aggiornerò perché devo ancora finire di scriverlo, il prossimo.

Grazie a chi lascia una recensione :)

Bye.

OS: My Beloved.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Capitolo nono.

Justin muove un pezzo di due caselle, poi torna a fissarmi con occhi critico: “Fammi capire: la tua amica muta sta scontando una punizione perché Nostro Signore non sa tenere a bada il serpente?”

Spalanco gli occhi: non l'avrei proprio detto così, ha fatto una parafrasi poco azzeccata. Fisso la scacchiera che ho sotto il naso, cercando di capirci qualcosa. Non ci so proprio fare a sto gioco. “Non è muta.”, commento, prima di spostare una pedina nera verso destra.

“Che fai, quella è mia!” sbotta, riprendendola e rimettendola al suo posto. Sono due turni che muovo pedine nere: quello disattento qui è lui. Avrebbe dovuto dirmelo che sono dei bianchi. O, forse, sta cambiando schieramento proprio adesso perché io sono troppo brava e con i neri potrebbe fare scacco. Non glielo posso permettere, ho una certa dignità da mantenere. La stessa che, in questo momento, mi trattiene dal saltargli addosso e strappare quella maglietta. L'ho già detto che il bianco gli dona? Sì, forse sì.

“Scacco matto!” sparo a caso, spostando un cavallo davanti ad una pedina più alta delle altre. Stavolta almeno ho preso un cavallo bianco.

“Il cavallo si muove a L, come te lo devo dire? E comunque quella è la regina.”, poi sospira e toglie i pezzi. Finalmente si è accorto che è inutile giocare con me! Però è paziente con me, anche se dopotutto ora può usare le mani grazie a me. È ancora piuttosto brutto vedere i suoi polsi e le caviglie circondati dagli aloni rosso scuro, ma almeno può muoversi un po' di più. Sempre restando recluso qui, ovviamente.

“Che noia.”, commenta lasciandosi cadere su di me. Lo afferro all'ultimo, abbracciandolo. Lui sospira, infilando la testa nell'incavo del mio collo. Non gli piace questa situazione: preferiva rimanere legato, a quanto ho capito. Ha paura che, una volta tornate le catene, si sentirà peggio, perché ha assaporato la libertà. Io, dal canto mio, ho paura di sbagliare qualsiasi cosa faccio con lui. Vorrei solo migliorare la sua condizione, ma spesso finisco per peggiorarla.

“Raccontami ancora una volta la storia di Deborah.”, la sua voce mi arriva soffocata e mi provoca brividi lungo la spina dorsale. Se sapesse che effetto inizia a farmi... Se lo sapessero Shamuel e Deborah, a quest'ora sarei decapitata e la mia testa infilata in un palo, come facevano i vecchi indiani. O erano vichingi?

“Shamuel è un idiota. Non mi ha detto praticamente niente. Dopo aver lanciato la bomba a mano sul fatto che Dio fosse innamorato della mamma di Debby, ha cambiato argomento. Si è messo a parlare di quanto gli piacesse suonare il pianoforte in vita.”, inizio ad accarezzargli i capelli. Sono di un colore ramato, quasi dorato, e sono morbidissimi. Di solito mi chiede di toccarglieli per aiutarlo a dormire; il problema è che quanndo mi addormento mentre lo faccio, in mezzo alla notte si ritrova la mia mano in faccia.

“Anche io sapevo suonare il pianoforte. E la batteria. E la chitarra.”, si tira su e mi sorride. Oh, che palle, sa fare tutto. Non ha un difetto? Come possono sbattermi qui e sperare che io ne sia indifferente? Avrebbe dovuto uccidermi un vecchio ubriacone. No, ok, forse no.

“Io il flauto.”, faccio spallucce e lui ride, tornando a sotterrarsi tra i miei capelli. È un sacco coccolone, per essere un maschio adolescente. Di solito sono guidati da una specie di mantra “calcio-sesso-cibo-sesso-faccio il dolce per portarmela a letto-calcio-capelli.”

“Gabrielle!” esclama d'un tratto, tirandosi su e dandomi una testata sul mento.

“Justin!” lo imito, massaggiandomi per la botta. I suoi occhi brillano di entusiasmo e non posso fare a meno di sorridergli, interrogativa.

“Mi porti una chitarra?” mi chiede prendendomi le mani tra le sue. Ora che il sangue circola meglio sono calde e ancora più morbide di quanto ricordassi. Penso che gli abbiamo già concesso molto, penso che non so se esistono le chitarre quaggiù, penso che Shamuel non ne sarà contento, penso che a forza di continuare a chiedere potrebbe succedere qualcosa.

“Certo che te la porto.”, gli faccio l'occhiolino, e lui mi sorride ancora più largamente. Non pensavo potesse riuscirci, ma lo fa. È come stare a vedere il sole brillare a occhi nudi. Vale più di mille 'grazie'.

“E' permesso?” una voce ci fa girare di scatto, io arrossendo per la nostra vicinanza, Justin indifferente. Non lascia le mie mani. Sullo stipite della porta, appoggiato a braccia incrociate, Daniel ci guarda con un mezzo sorriso. Justin annuisce sorridendo e lui entra, sedendosi sull'unico materasso libero: il mio. Si schiarisce la voce, ma rimane in silenzio.

“Tutto bene?” gli chiede Justin ad un certo punto, lasciando le mie mani per girarsi a guardarlo meglio. Mi porto le braccia al petto, nascondendo le mani che già sono diventate gelate, senza le sue.

Daniel annuisce. La sua cicatrice spicca nella stanza illuminata dalle candele. “Che fate?” chiede poi. Secondo te? Andiamo in canoa.

“Niente, parliamo.”, fa Justin sbadigliando. Sì, so annoiarlo per bene. Non è da tutti un dono del genere.

“Daniel, posso chiederti una cosa?” dico, sorprendendo anche me stessa. Mi fa paura il tizio, e spesso mi guarda pure male. Non adesso, perché sembra parecchio stanco. Ha delle occhiaie paurose. Mi fa un cenno come per dirmi di chiedere. “Dove sono gli animali?”

Lui mi guarda come se fossi pazza, Justin si volta per metà verso di me, sollevando come al solito il sopracciglio. Possibile che nessuno se lo sia chiesto?

“Insomma, non c'è un regno per i cagnolini, gattini, cavalli?” specifico, sbuffando davanti alle loro facce perplesse. Justin alza gli occhi al cielo, trattenendo un sorriso. Daniel invece mi guarda serio, grattandosi il mento. Io dovrei avere proprio un livido adesso, in quel punto.

“Non me lo sono mai chiesto, sai? Ma è una bella domanda.”, sospira e appoggia la testa al palmo della mano. Non sembra poi così cattivo, visto da così. Magari mantiene l'aria da duro perché è una specie di guardia.

“Perché sei qui?” mi viene spontaneo chiedergli. Sembra che se lo aspettasse, perché fa un sorriso, accentuando la piega negativa dell'occhio destro, mutilato dalla cicatrice.

“Sono un assassino, mi sembra piuttosto chiaro. Ma sono uno dei primi arrivati qui, anzi direi il primo, così mi è stato garantito una specie di compito di guardia. Controllo che gli altri facciano i bravi, mentre Dio controlla me. Sono probabilmente quello che odia di più.”, ha un tono quasi orgoglioso. Non mi ci va molto per fare due più due. Arretro instintivamente, incontrando la roccia.

“Qual è il tuo vero nome?” chiedo con un filo di voce. Justin, accanto a noi, ci guarda alternativamente, senza capire che sta succedendo. Pensa che Daniel sia un cerbiatto o cosa?

“Dobbiamo fare questo teatrino? Lo hai capito benissimo.”, mi sorride in modo quasi dolce, se uno come lui può essere definito dolce. “Caino, figlio di Adamo ed Eva. Primo uomo sulla Terra, primo assassino sulla Terra.”, al che Justin si soffoca con la sua saliva.

“Hai ucciso tuo fratello!” esclamo stringendomi le ginocchia al petto. Non posso andare più indietro di così.

“Era un tipo noiosamente fastidioso.”, commenta sospirando. Zero pentimento. Mentre Justin biascica cose a caso, io valuto le alternative. Sono morta, giusto? Per cui non può farmi niente. E soprattutto, non può farne a Justin. Bene. Magari la sua conoscenza del luogo può aiutarci.

“Non è che conosci un posto dove Justin possa stare senza farsi vedere?” chiedo. Daniel, perché mi fa troppo paura pensare di chiamarlo in un altro modo, ci pensa un attimo, poi si alza.

“Oggi mi sento buono.”, ironizza, porgendomi una mano. La uso per tirarmi su e poi afferro quella di Justin. All'orecchio mi sussurra che secondo lui non è prudente girare con Daniel, ma io non lo ascolto. Dopotutto, fino a ieri lo considerava il suo nuovo best friend.

***


Mi siedo accanto a Deborah, stanco, passandomi una mano tra i capelli corti. Sento la sua piccola mano sfiorarmi la schiena e accarezzarla, mentre un calore profondo mi scuote da dentro. È sempre stato così con lei, dalla prima volta che l'ho vista. Ho capito che avrei potuto affrontare anche il... come l'aveva chiamato Gabrielle? Il ProfondInferno. Se fosse esistito, chiaramente.

“Sham, stai tranquillo. Andrà tutto bene.”, cerca di consolarmi, appoggiando la testa alla mia spalla. La stringo a me, annusando il suo dolce profumo. Non è facile essere me, ve lo assicuro. Anzi, fa parecchio schifo. Sento il ronzio continuo dei pensieri altrui, ho un peso sulle spalle più pesante del cielo stesso e sono uno sfigato. Niente da fare, giuro, nessuno lo è più di me.

“Come potrebbe? Dio mi ha quasi fulminato con lo sguardo quando gli ho chiesto di togliere le manette a Justin, mi sa che sospetta qualcosa.”, sospiro, annusando ancora il suo profumo per calmarmi. Caspita, sembro un drogato all'ultimo stadio.

“Mica è Zeus.”, mi risponde, facendomi sorridere. Sento nei suoi pensieri cose che non dovrei, cose che dovrebbe volermi dire solo al momento adatto. Fingo, allora, di non sentire il suo corpo che trema a contatto con il mio, il suo cuore battere impazzito e le sue dichiarazioni silenziose. Dovrei chiedere a Dio di bloccare almeno i pensieri di Deborah. Ah, no, mi sa che se gli chiedo qualcos altro mi decapita.

“Sham.”, mi richiama, alzandosi di poco per guardarmi negli occhi. Deglutisco, cercando di reprimere l'istinto di prenderle il volto tra le mani, baciarla e stringerla forte. Annuisco solo, per dirle di continuare.

“Perché è sbagliato?” sussurra. So dove sta andando a parare, maledizione.

“Che cosa, Debby?” mi accorgo di tenere la voce bassa anch'io, come se non volessi farmi sentire. Tanto è impossibile, lo so bene.

“Quello che proviamo.”, trattiene il respiro dopo averlo detto, come se non ci credesse nemmeno lei. Io non ci credo di sicuro. So cosa prova per me, lei sa cosa provo per lei, ma nessuno l'ha mai detto ad alta voce. Si capiva, semplicemente. Persino una come Gabrielle l'ha capito. Ahi, questo forse era un insulto brutto. Per fortuna che nessuno sente cosa penso io.

“Lo sai, io...” inizio, ma poi mi fermo. Non so cosa dirle. Vorrei poterla amare alla luce del sole, ma non si può. Ed io, proprio io, per primo, devo rispettare questa regola. Devo essere il buon esempio. Un compitaccio.

“Shamuel. -mi interrompe.- Loro si innamoreranno, lo sai meglio di me. E Gabrielle non è come me e te, non sopporterà che le mettano i bastoni tra le ruote.”, la sua voce ora è seria, tagliente. Ha ragione. L'ho capito dalla prima volta che ho visto Gabrielle. Ha quella scintilla negli occhi di chi è ancora vivo, di chi è pronto ancora a vivere le stesse emozioni terrene. È stato difficile convincerla che la sua morte era vera, è una pedina incontrollabile. Lo so fin troppo bene.

“E cosa dovrei fare?” la domanda mi esce come un lamento, mentre mi prendo la testa tra le mani. Il ronzio di notte è attenuato, ma lascia il solito mal di testa pulsante a cui ormai sono abituato.

“Fagli capire che l'amore è necessario. Fallo per loro. Per noi.”, la voce le si spezza sull'ultima parola. I suoi occhi si riempiono di lacrime, mentre mi guarda implorante. Quante occhiate del genere ho ricevuto, nel corso di questi anni? Gente che mi ha supplicato di riunirsi al suo amato o alla sua amata. E sono stato irremovibile, una pietra. Adesso che capita a me finalmente capisco quanto fa male, quanto è difficile conviverci. Eppure, dopotutto, non c'è molto che io possa fare. Le decisioni di Dio non sono discutibili senza conseguenze. La stringo tra le braccia, sentendola sciogliersi in singhiozzi. Vorrei non soffrisse mai, vorrei poter distruggere ogni scheggia di dolore dal suo cuore puro. Questa ragazza vivrà per sempre un'esistenza che non si merita.

“Non posso, non posso.”, continuo a ripetere, cullandola. Vorrei. Vorrei davvero. Non ho mai odiato il condizionale così tanto. E io non dovrei odiare nessuno! Sempre sorridente, sempre carino, sempre gentile. Gabrielle ha persino ragione quando dice che sono antipatico. Mi accorgo di esserlo. Ma è il peso del mio ruolo qui dentro, benché possa sembrare una giustificazione.

Alla fine Deborah si calma, ritraendosi dalla mia stretta per asciugarsi gli occhi e tirare su con il naso. Mi guarda con gli occhi ancora umidi, gonfi dal pianto. Nonostante io sia un idiota, non leggo accusa nel suo sguardo. Solo amore. Un amore che mi accende e mi brucia, che mi lascia scottato e impotente.

“Qualsiasi cosa accada, io sceglierò sempre di stare con te.”, si dichiara infine, prendendomi una mano e intrecciando le nostre dita. Deglutisco ancora, non riuscendo a sostenere il suo sguardo. È troppo bella. Troppo pura. Mi fermo a guardarle le labbra un secondo di troppo, quel secondo che mi frega, mi butta nel buio. Un posto dal quale non potrò mai più ritornare.

Mi allungo e le afferro dolcemente il viso con una mano, tenendo la sua con l'altra, e mi avvicino. La vedo sbarrare gli occhi, incerta e desiderosa. Sto per fare la cosa più giusta, nonché la più sbagliata, di tutta la mia vita. Non voglio chiudere gli occhi. Si dice che il bacio ad occhi chiusi sia più sentito, io invece voglio vederla dritto in quel colore che amo tanto, per essere in grado di cogliere ogni sua espressione. La bacio con dolcezza, premendo le labbra sulle sue umide dal pianto e poi aprendole, per approfondire il bacio. E le vedo tutte: paura, spavento, incertezza, dolore, incredulità. Ma soprattutto amore. Ed è quello che mi spinge a baciarla ancora, fino a che non devo riprendere respiro, fino a che non sento la testa girare e le labbra gonfie. In questo momento, non mi importa se Dio mi squarterà o preferirà la ghigliottina: io ho qualcosa per cui lottare, o almeno avrò qualcosa a cui pensare nei secondi precedenti la morte.

“I-io non...”, inizia a balbettare. Le poggio un dito sulle labbra, scuotendo la testa.

“Non dire nulla, ti prego.”, la imploro. Lei annuisce, e si appoggia alla mia spalla, donandomi il suo calore per quella che spero non sia l'ultima volta.

Allooora. 

L'ultimo pezzo è, come avete potuto notare, dal punto di vista

di Shamuel. Questo sia perché volevo dare una descrizione più

precisa di un'altra coppia, sia perché Julia lo ama ahah.

Ho un'altra cosa da dire prima di andare:

ho notato che la storia non è commentata da molti, il che mi fa pensare

che non piaccia a molti. Sto quindi pensando di cancellarla, ma NON è sicuro.

Ci penserò bene. Grazie a chi c'è, comunque. Spero questo capitolo vi piaccia.

Chiara. :)

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Capitolo decimo.

Sposto lo sguardo da Shamuel a Deborah, notando qualcosa di strano. Lei continua ad arrossire e, ogni volta che si sfiorano, si chiedono scusa balbettando e distogliendo lo sguardo. Per essere due che non dovrebbero farsi scoprire, stanno facendo un pessimo lavoro. Mi stupisce che Dio non sia ancora sceso qui fluttuando e mandandoli a morire in modo doloroso, magari usando un tridente o un bastone figo. Come un vecchio saggio o qualcosa del genere.

“Quand'è che avete fatto sesso?” chiedo sbadigliando. Shamuel sbatte un paio di volte le palpebre, guardandomi stupito. Deborah fa un lamento imbarazzato, nascondendosi la testa tra le mani.

“Noi...io...ma che dici Gabrielle!” esclama lui, mettendomi un braccio attorno alle spalle. Sta facendo il gentile, quindi c'è decisamente qualcosa sotto.

“Cos'è, l'hai messa incinta?” lo spingo via, sgridandolo con lo sguardo. Come si fa a partorire nell'Aldilà? Che schifo. E non esistono i preservativi, quindi rimani con un marmocchio dentro per forza di cose. Mh, mi sta passando la voglia di attaccare sessualmente Justin.

No, scherzavo.

“Piantala di dire cose stupide. -balbetta Sham- E invece che pensare a come...attaccare sessualmente? quel povero ragazzo, dove l'hai lasciato?” mi chiede curioso. Sta cambiando argomento, ma non sono scema. Beh, se si sono dichiarati o cosa meglio per loro.

“Dove sta da due giorni, dove vuoi che sia.”, perdo il tono canzonatorio, ritrovandomi seria più di quanto vorrei. Daniel, o meglio Cai- ho ucciso mio fratello perché ero più bello- no, gli ha fatto vedere una specie di collinetta (è orrenda, tutta bianca) che da sugli altri cerchi dell'Inferno. In realtà non c'è molto da fare, ma lui sta la tutto il giorno, a pensare. A volte rimane a dormirci. Non passa mai nessuno da quelle parti, nessuno può vederlo e siamo tutti più felici e contenti. Balle. Non mi parla quasi più, intento a pensare a non so cosa, ed è diventato un filosofo peggio di Platone. Spara riflessioni su riflessioni. Ho provato a rispondergli con qualcosa di intelligente, ma mi ha subito zittito dicendo che conosceva quella citazione. Fingersi Charlie Chaplin non è stata una grande idea, così da allora sono stata zitta.

“E perché non vai a fargli compagnia?” la sua voce si è addolcita. Quasi impossibile a dirsi, vero?

“Perché mi ha chiesto di restare solo.”, borbotto contrariata. E al diavolo ogni tentativo di fare un cammino di purificazione. A sto punto mi posso mettere a girare in cerchio e farlo da sola. Magari potrei parlare con qualche altra anima, oppure...

“Shamuel!” esclamo, come se fosse ovvio.

“Non ci sono chitarre, come te lo devo dire?” sbuffa. Abbiamo già avuto questo discorso, e quando ho detto a Justin che non avrebbe potuto avere la sua chitarra è stato brutto. Non so se dimenticherò la luce di delusione nei suoi occhi, ma poi ha fatto spallucce e un mezzo sorriso. Si è adeguato, in qualche modo.

“No, al diavolo le chitarre. -gesticolo come per spazzare via qualcosa- Voglio vedere Jason.”, espongo la mia idea, vedendolo inarcare le sopracciglia.

“Vuoi vedere chi?” fa perplesso. Che memoria impeccabile, mamma mia.

“Ma ci sei o ci fai, Shamuel con l'h?” lo spintono leggermente, gesto per cui, conoscendolo, fingerà di lamentarsi per mezz'ora. È fragile come il tonno Riomare. Dato che non mi risponde, troppo occupato a massaggiarsi il braccio e a guardarmi male, glielo devo spiegare.

“Jason, l'angelo! Sai, tizi con le ali che ti fanno ricordare cose contro il tuo volere.”, gesticolo per fare più scena. Così, tanto per.

“Ah. E perché vorresti vederlo?” chiede, e sembra davvero curioso. Non che questo mi smuova, assolutamente.

“Perché si.”, gli sorrido e lui sbuffa. Voglio farci una chiacchierata, non posso? Sto cercando di nascondere il vero motivo, in caso mi scavi nella testa. Non è nemmeno chissà cosa, ma questo giovanotto si svonvolge per poco, ho notato.

“Vai, è nello stesso posto di sempre.”, si arrende, indifferente. Sham, piantala di fare il duro e il modello di comportamento, so che sei un pezzo di pane. Devo puntare su quest'aspetto nascosto del suo carattere.

“E mi fai girare da sola per l'Inferno? E se mi succede qualche cosa?” Puntiamo sul tragico.

Shamuel mi fissa, sbattendo le palpebre: “Che ti deve succedere? Sei morta.” Mr. Tatto dell'anno. Ecco a voi l'uomo (o meglio il ragazzo) che mi manderebbe in pasto a leoni per rendere più allegra la sua giornata.

“Non so la strada.”, ritento, calcando parola per parola. Che poi è vero, mi perderei di sicuro.

“Fatti accompagnare da Deborah.”, dice laconico, come se volesse chiudere questo discorso e basta. Non ha pazienza! Altro che pezzo di pane, è un pezzo di...

“Gabrielle! Per favore!” esclama così forte da stordirmi. Ok, non lo penso più, grande capo. Afferrato il concetto.

Dal canto suo, Deborah mi fissa sorridendomi. Bene, lei è sempre disposta ad aiutare gli altri. Devo andare a cercare Michelangelo per chiedergli di farle una statua. Sarà all'Inferno? Mah, forse no. Comunque, meglio andare subito. Non me la sento di incontrare Justin, ma tanto sarà ancora con il culo incollato alla collina. Beata la collina, dopotutto.

Afferro la mano di Deborah e mi lascio guidare verso la scala tortuosa (come direbbe Gollum) e mi preparo a salirla. Me la ricordavo persino più larga, non so come io abbia fatto a passarci. Per non parlare di quel ciccione di Shamuel, per lui dev'essere stato eroico.

“Un momento.”, mi fermo prima di iniziare a salire. Deborah alza un sopracciglio, girandosi a fissarmi. È solo sul secondo gradino, per cui può ancora farlo.

“Ma Jason stava fuori dall'Inferno. Io non posso uscire di qui, non prima che siano terminate le due settimane.”, e Shamuel lo sa. Cosa sta cercando di fare, farmi fallire la prova? Non mi vuole in Paradiso con lui? Forse pensa di avere l'esclusiva.

“O forse pensa che non ti meriteresti di raggiungere chi ha vissuto una vita esemplare. Niente di personale contro di te, credimi.”, la voce di Shamuel non mi stupisce. Ci ha seguite e ha sentito i miei pensieri, come al solito. Mi giro per rispondergli, ma vedo accanto a lui Justin. Il marmocchio collinoso. Devo trattenermi per non andare ad abbracciarlo, perché mi è mancato. Perché è bello. Perché vorrei che preferisse me ad una collina. Ignoro l'espressione incredula di Shamuel: c'è qualche problema? Non è colpa mia se sento i bruchi nello stomaco quando vedo Justin, non è colpa mia se mi suscita dei pensieri più profondi del normale. Non è colpa mia niente e la gente dovrebbe smetterla di rinfacciarmi ogni cosa.

“E come sai che non avrei potuto vivere una vita esemplare? Sono morta, cretino! A diciotto anni!” mi ha fatto arrabbiare stavolta. Vedo Justin sobbalzare alle mie parole, portandosi una mano sul cuore. Improvvisamente la rabbia sparisce, vorrei non aver detto niente. O almeno, vorrei non averlo detto in sua presenza.

“E io ti sembro tanto più vecchio? Eppure forse ho mostrato di meritarmelo.”, mi fa Shamuel, mantenendo un tono calmo ma che tradisce la rabbia.

Rispondo con lo sguardo puntato su Justin. Non riesco a staccare gli occhi, ci guardiamo e basta. Ed io sento qualcosa crescere in me, qualcosa di forte e inatteso. Qualcosa di pericoloso. “Sono stanca di sentirmi dire che sei superiore, anzi non ho idea del perché tu sia qui.”

“Tu hai chiesto che ci fossi!” esclama d'un tratto, facendomi distogliere lo sguardo da Justin. Shamuel mi sta fissando con delusione, mantenendo la calma in modo ammirevole, in confronto a me.

“Hai ragione. Pensavo fossi migliore.”, il tono con cui lo dico è amaro. E non si riferisce solo a Shamuel.

Giro i tacchi prima che possa rispondermi, perché non ho più la forza di sostenere una discussione. Sono stufa di aiutare gli altri quando nessuno aiuta me, stufa di affezionarmi a persone per le quali non valgo poi così tanto. Mica volevo andare da Jason per me; avrei solo voluto recuperare tutti i miei ricordi per poter aiutare Justin. Non ricordo come si tratta un amico, non ricordo un cavolo di niente. Qualsiasi cosa io faccia è perché sto pensando agli altri, prima. Ed è così che continuo a soffire. Le persone buone come me non fanno una bella fine, a forza di spezzarsi dentro.

Non ricordo quando ho iniziato a correre, ma lo sto facendo. Corro attraverso le anime, sorda ai loro insulti. Corro fino a che non raggiungo il posto che ho evitato per questi giorni, che ho disprezzato. La collina bianca mi attende, vuota, inutile. Perché sono venuta qui? Semplice. Questa collina rappresenta qualcosa per Justin. Vorrei essere come questa collina, adesso.

Rimango seduta a fissare il vuoto per non so quanto tempo, immobile. Non piango. Non ce n'è bisogno. Non so come a Justin possano venire in mente riflessioni filosofiche, quassù. Per me c'è un senso di vuoto assoluto, un silenzio che crea un ronzio fastidioso.

“Non è granché, vero?”

Sobbalzo, fissando alla mia destra. Justin è seduto a gambe incrociate, rivolto verso di me e non verso il panorama. Non so da quanto è qui, non l'ho sentito arrivare.

“Pensavo di piacesse.”, la mia voce suona roca per le urla di prima e il silenzio degli ultimi minuti. Justin scrolla le spalle, lanciando un'occhiata al vuoto e poi tornando a concentrarsi su di me.

“E' l'unico posto in cui possa stare, devo farmelo andare bene.”, fa un sorriso a mezza bocca, avvicinandosi un po'. Non l'ho mai vista in questo modo, non ho mai pensato a cosa significasse per lui. Forse non sono così altruista come pensavo. Forse davvero ho dimenticato come si fa ad essere amici di qualcuno.

“Mi dispiace di non averti parlato questi giorni. Volevo...pensare. Ma mi sono solo fatto del male.”, ammette. Allunga una mano ed automaticamente gli porgo la mia. La sua espressione si rilassa, mentre comincia ad accarezzarmi la pelle. Io, come al solito, nascondo i tremiti e i brividi. Spero non noti la pelle d'oca che mi è venuta ovunque, persino sul collo.

“A cosa pensavi?” chiedo. La mia voce è un filo quasi inudibile.

Justin mi guarda e vedo un lampo di tristezza passare nei suoi occhi. Non fa nulla per nasconderlo. “A quanto te ne andrai e sarò di nuovo solo, in catene, in mezzo a persone che se potessero tornare indietro farebbero esattamento cos'hanno fatto. Quanto sono stupido? Ho sprecato due giorni a pensare a queste cose, invece di sfruttarli. Ora non torneranno indietro.”, stringe la mia mano, ma senza farmi male.

“Magari posso chiedere se...”, ma mi interrompo. Lui già scuote la testa. Non posso più chiedere nulla, anche se in questo momento chiederei di poter stare qui per sempre. Potrei anche sopportare le catene. L'odore fa un po' schifo, ma forse mi ci potrei abituare.

“Shamuel mi ha detto che volevi riavere i tuoi ricordi.”, cambia argomento. E quindi non sono riuscita a tenere nascosti i miei pensieri, Mr. Tatto li ha raggiunti a suo piacere, neanche fosse la sua di testa.

“Perché?” mi chiede ancora, visto che non rispondo. Sono troppo occupata a insultare Shamuel mentalmente. Spero che i pensieri funzionino anche chilometricamente parlando.

“Voglio sapere tutto di me, è un mio diritto. Voglio sapere come si fa a fare determinate cose che ho dimenticato.”, confesso. Ti prego Dio, fa' che non mi chieda cosa.

“Tipo?” Ecco. Grazie.

“Tipo essere...ehm...un'amica.”, sono diventata fucsia. Lo sento.

Justin strabuzza gli occhi, lasciandomi la mano per indicarmi minacciosamente con il dito: “Non osare pensarlo!” sbotta. Alzo le mani e indietreggio quanto possibile, dato che sono seduta. Ok, non lo penserò più. Capito.

“Ho un'idea.”, ricomincia a parlare una volta che si è calmato e ha smesso di indicarmi come un pazzo.

“Le tue idee fanno schifo.”, gli sorrido. Lui mi fa la linguaccia, da persona matura quale è, e si avvicina di nuovo. Mi prende la testa tra le mani e mi da' un bacio in fronte. È così affettuoso e intimo che mi viene da piangere. E giuro che piangerei, se fossi una persona sentimentale.

Ma sono un robot, per cui niente.

“Grazie della fiducia.”, ridacchia e mi lascia andare. Si alza e mi tende una mano, che io afferro. Dopotutto io mi fido di lui, ed è giusto che sia così. Mi fido del mio assassino. Non fa tanto film di Sandra Bullock?

“Posso sapere qual è questa tua idea geniale?” chiedo, mentre mi lascio trascinare da lui. Presto ci mettiamo a correre e la sua adrenalina mi contagia. Qualunque cosa sia, ci sto.

Quando si ferma mi accorgo che siamo di nuovo, dejavù, ai piedi della scala per pidocchi. Mi ci vanno circa due secondi virgola cinque periodico per capire cosa ha in mente. Ricordate quando due secondi virgola cinque fa ho detto che qualsiasi cosa fosse stata avrei accettato? Cancellatela.

“Justin, ma sei scemo?” mi scappa. Non voglio offenderlo, ma forse è un po' stordito dal fuso orario (che qui non esiste, ma magari lui non lo sa).

“Muoviti, ci metteremo tre anni a superare questa scala.”, sussurra. “E fai silenzio.”, aggiunge poi.

“Perché parli in prima persona plurale?” chiedo, terrorizzandomi. Se prima pensavo che fosse una cattiva idea, adesso penso che sia un'idea talmente stupida che ci beccheranno al quarto gradino. Forse, se ci va bene, al quinto.

“Ti accompagno dall'angelo.”, mi sorride ma senza il suo solito ghigno. È preoccupato quanto me, ma lo sta facendo. Per me. Pazzesco.

“Ma tu non puoi uscire di qui!” esclamo e la mia voce sfiora il falsetto. Sulla mia fronte lampeggia la scritta 'terrore' in rosso fosforescente, ne sono sicura.

“E chi se ne frega!” mi fa l'occhiolino e inizia a salire. Sarà una lunga passeggiata, visto che è bloccato al terzo gradino. Ancora peggio di quanto pensassi! Se ci beccano siamo morti. Per la seconda volta. E Shamuel mi odierà; e Debby pure. Dio punirà Justin, me e chi sa chi altro.

Che figo.

“Andiamo, bello.”, gli dico, aiutandolo a spingersi su per le scale. Mica gli sto toccando il culo eh, non preoccupatevi.

Allora.

Vi chiedo scusa per non aver aggiornato, ma lunedì ho inziato

l'università: esco di casa alle 7 del mattino e torno alle 8 di sera.

Per cui capite che è difficile scrivere. Faccio il possibile.

Inoltre scusate che, per lo stesso motivo, non ho potuto rispondere alle recensioni.

Mi hanno emozionato, comunque. Per cui per ora non cancello la storia.

Poi si vedrà.

Ditemi se vi piace e scusate ancora.

Chiara :)

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


Capitolo undicesimo.

Dopo due giorni di cammino sprecati a giocare a farci delle domande, spingerci come due adolescenti idioti e fare dei giochi stupidi tipo 'penso ad un personaggio dei cartoni animati, tu fammi le domande e indovina chi è', posso dire di essere stanca. E totalmente presa da questo ragazzo. In ogni suo sorriso, in ogni smorfia, in qualsiasi cosa dica. Nel modo in cui suona la sua voce, nel suo essere testardo, nell'allegria che ci mette nonostante la sua condizione. È un ragazzo forte, tremendamente forte.

E questo non fa altro che renderlo ancora più bello ai miei occhi.

La prima settimana è passata: mi sembra impossibile. Ho solo più sette giorni da passare in sua compagnia, dei quali due saranno ancora di cammino. È strano che nessuno sia ancora venuto a cercarci: o Dio non se n'è ancora accorto, che ne so, magari sta giocando a carte, o Shamuel non gliel'ha ancora detto. La seconda ipotesi è da escludersi, dato che l'ultima volta che ci siamo parlati volavano insulti a destra e a manca.

Quindi, riassumendo, Dio sta giocando a carte. No, cosa? Mi sto distraendo guardando Justin.

“Gabrielle, c'è qualcosa che vuoi dirmi?” sospira Justin, fermandosi e voltandosi a guardarmi. Oh, cacchio.

“Eh? Io? E perché dovrei?”

Lui sorride, scuotendo piano la testa. “Niente, non importa.”, sospira ancora e poi ricomincia a camminare.

“No, adesso me lo dici.”, lo fermo afferrandolo per un braccio. Si gira di nuovo, inchiodandomi con i suoi occhi color caramello. Sembra un cerbiatto. Accecato dai fari, in questo caso, data l'espressione sorpresa dalla mia presa ferrea.

“Potresti tenere per te certi pensieri.”, ride ma poi torna serio, togliendosi con una certa durezza dalla mia stretta. Cos'ho fatto adesso? Non ditemi che ho detto quella parte del 'mi sto distraendo guardando Justin' ad alta voce. Non può essere successo.

“Bambi: sii chiaro.”, gli punto un dito sul petto, stavolta seria anche io. Il che è un notevole traguardo.

Anche stavolta toglie la mia mano allontanandosi di poco e lasciandola cadere sul mio fianco. Vorrei quasi dirgli che così sta di nuovo perdendo tempo con me, ma non riesco. Il fatto è che essere di nuovo allontanata da lui ha spezzato quel poco che era rimasto dentro di me dopo la prima volta che si è comportato così. Ma io, dopotutto, non posso nemmeno stare dietro ai suoi cambiamenti d'umore perenni.

“Sarò chiaro: qualsiasi cosa provi smettila.”, sbotta improvvisamente. Un ceffone avrebbe fatto meno male. Se pensavo che si fosse ormai tutto spezzato sbagliavo di grosso: ho appena sentito un crack. E cadrei anche, se solo fossi arrendevole. Ma non è così che voglio essere, proprio per niente.

“E allora tornatene indietro! Chi ti ha chiesto di venire!” gli urlo dietro. Non si scompone, rimane a fissarmi come se non avessi parlato. Si può sapere che diavolo gli prende? Negli scorsi due giorni ha fatto l'amicone. Se deve essere più lunatico di mia nonna, può anche tornare a crogiolarsi nella sua stupida sofferenza.

“Sì, penso che farò così.”, sibila con tanto rancore che mi fa metaforicamente arretrare. Con metaforicamente intendo che i miei passi sono fissi al suolo, per non dargli soddisfazione, mentre il mio cuore è ormai nei pressi dei piedi, a pezzi sanguinolenti. Quello che fa più male è che si sia accorto di cosa provavo ed è stato zitto a illudermi, fino poi a distruggermi così. Ed io che pensavo fosse diverso.

“Non lo farai, hai troppa paura che ti puniscano. Sei un vigliacco.”, la voce mi esce stranamente ferma, mentre le mani tremano. Ma questo lui non lo vede, perché le sto stringendo talmente forte che sembrano ferme. Probabilmente, se lasciassi andare la presa, sembrerei affetta da Parkinson.

Lui arretra, e sto parlando fisicamente, e mi guarda con un'accusa velata nello sguardo: sa che ho ragione. Non sa cosa rispondere: vorrebbe difendersi dalla parola 'vigliacco', che pesa ancora come un macigno tra noi. L'ho offeso, ma non più di quanto lui abbia fatto male a me.

“Tu non sai cosa vuol dire.”, il terrore prende il posto della rabbia e sembra ritornato il bambino smarrito di sempre. Vorrei poterlo stringere e rassicurare, dirgli che lo salverò, che non è tutto perduto. Ma, si sa, alcune ferite non possono essere guaribili. E il mio cuore è in troppi pezzi per rinsaldarsi.

“Forse no, ma sto cercando comunque di aiutarti. Vorrà dire qualcosa, no?” sbotto ormai vicina all'esasperazione: vi prego dategli una botta in testa, giuro che lo trascino senza fare storie. Se devo sentirlo accusarmi ancora per molto lo prendo per un orecchio e lo faccio girare in volo.

“Tu provi solo pena e compassione, come tutti gli altri. Che ci farà mai un bel ragazzino come te nell'Inferno? Oh, hai ucciso per sbaglio? Poverino!” imita la voce di quelle che credo siano le anime impietosite dal suo aspetto. Sorvolando sul fatto del 'bel ragazzino', qualcuno qui è vanitoso, il suo sfogo sembra farlo star meglio. Respira forte, il suo petto si alza e si abbassa velocemente, gli occhi sono pieni di rabbia e vedo la sua intera figura tremare. Se lo abbraccio è pena? Sì. Ora inizio a capire cosa mi sta cercando di dire.

“Se preferisci che ti tratti con aria schifata io...” mi interrompe ancora prima che finisca.

“Tu dovresti odiarmi!” urla, alzando le braccia al cielo. Ecco il nocciolo della questione: non si spiega perché io, dopo essere stata uccisa da lui, invece che odiarlo mi trovi attratta da lui. E questo, credetemi, me lo chiedo tutti i giorni.

“Molto bene.”, dico fredda. Gli volto le spalle e ricomincio a camminare, senza preoccuparmi se mi sta seguendo o meno. Non lo obbligherò a stare con me se non lo vuole: io l'ho perdonato, il mio compito è finito. Non c'è bisogno di nessun angelo, di nessun ricordo. È solo ora di tornare. Spero fortemente che non mi ammettano in Paradiso, perché non ci voglio proprio stare. Meglio il limbo freddo e bianco del Purgatorio a ricordarmi perché soffro. Non potevo affezionarmi a una pietra? Sarebbe stato decisamente meglio. Sento i suoi passi seguirmi, ma non me ne preoccupo.

E continuiamo così, camminando verso l'Inferno, verso casa sua, per i successivi due giorni.

***

“GABRIELLE, IO TI UCCIDO!” mi urla addosso Shamuel. Alla faccia del Paradiso, questo ha istinti omicidi. Se esistesse un coltello in questo posto, non avrei più le dita.

Gli sorrido, divertita ma spenta: “Ciao anche a te.”

“Non scherzare, non hai idea di cos'hai fatto!” esclama prendendomi per una spalla e trascinandomi verso una pietra. Mi ci fa sedere, mettendosi di fronte a me a braccia incrociate. Il suo volto è una maschera nera di rabbia e terrore. Rabbrividisco, deglutendo. Cos'ho fatto?

“Oh, mio dio.”, arriva Deborah, coprendosi il volto con le mani. Oh, cazzo. Scusa, Dio, ci stava. Se Deborah è così destabilizzata, ho fatto un danno maggiore del previsto. Dov'è Justin, perché nessuno sgrida lui? Non che mi importi poi molto di dov'è. Sì, certo.

“Sta arrivando.”, mi dice senza alcuna inflessione nella voce. Sta arrivando chi? Voldemort, Sauron, Peppa Pig? Chi? Alla visione della mia faccia perplessa, Deborah mi risponde. Il suo sghuardo, però, non è più affettuoso come una volta: mi odia.

“Il signor Bloom. Sta arrivando. Viene a punire Justin.”

Silenzio atroce. Tum, solo lo sprofondare del mio cuore. Ed io che pensavo fosse già nei pressi dei piedi.

“Lui che?” la mia voce esce strozzata, tanto che sembro una gallina. Sembro proprio Rosita, quella di Banderas del Mulino Bianco.

“La versione ufficiale è che lui ti ha trascinato via con la forza, per cui teoricamente non verrai punita. Ringrazia Shamuel.”, dice Deborah con acidità. Shamuel mi ha parato il culo, nonostante il nostro ultimo litigio. E allora perché non sono felice? Puniscono lui. Lui. Il mio lui.

“Cosa gli vogliono fare?” chiedo in preda all'ansia. Shamuel mi guarda sollevando un sopracciglio, confuso davanti al tremore delle mie mani e al mio fiato corto. Dio, è così stupido da essersi dimenticato cosa provo per Justin?

“Innanzitutto gli rimettono le manette, e poi si devono assicurare che non scappi più. Verrà mandato nel girone più profondo dell'Inferno e legato mani e piedi ad un sostegno. Non potrà più alzarsi, camminare e altre cose. Rimarrà li. Sempre.”, distoglie lo sguardo da me, forse perché ha visto cosa sto pensando e cosa sto provando. Non possono fargli questo. Non a lui, per favore.

“Shamuel...”, la mia richiesta d'aiuto, sussurrata e urlata allo stesso tempo, lo fa vacillare. Chiude gli occhi e vedo il suo labbro inferiore tremare. Ti prego, ti prego. Non posso pensare che gli faranno questo. Dove andrà a finire il suo sorriso? Nella mia mente risale a galla il ricordo di quando gli ho detto che il mio primo bacio era stato con un polipo: la sua risata, i suoi occhi accesi dal divertimento. Come si può cancellare una luce tanto bella? Con quale coraggio un uomo misericordioso riesce a distruggerla così?

“Smettila, Gabrielle, ha già fatto tanto per te.”, la voce dura di Deborah mi riscuote dal torpore. E la rabbia sale, come bile, come un fiume in piena. Un fiume che esonda.

“Davvero? Vediamo un po', pensa a Shamuel incatenato, prostrato, indifeso e sofferente. Pensalo mentre viene legato e torturato, pensa la sua luce svanire dai suoi occhi. Chi ti credi di essere per definire cosa provo io? Volevo portarlo solo via da tutto questo dolore, volevo salvarlo.”

“Lui non è salvabile!”

“Quindi lasceresti morire Shamuel se fossi al posto mio? Lasceresti morire il ragazzo di cui sei innamorata?”

“Non è lo stesso.”, mi guarda con odio ancora più grande. Ma, dentro, vedo che è tutto tranne odio: è paura. Paura che facciano del male anche a Shamuel.

“Questa è la risposta dei codardi.”, le sputo addosso queste parole, vedendola barcollare. È giusto che gli altri soffrano come faccio io. Giusto che tutto il dolore sia condiviso: con quale criterio io devo strisciare raccogliendo i pezzi del mio cuore e gli altri no? Con che criterio si fanno soffrire solo determinate persone?

Un rumore ci fa zittire, proprio mentre Shamuel stava per intervenire, probabilmente a favore di Deborah. Due angeli trascinano il corpo di Justin, ognuno tirandolo per un braccio. Non riconosco gli angeli, ma sono molto simili a Jason. Sono belli, eppure oggi non mi importa. Justin non si dimena, non lotta. È come un enorme pupazzo di gomma. Mi guarda ed il mondo esplode: non c'è segno di ribellione, non c'è voglia di cambiare le cose. C'è solo un buco nero di rassegnazione e di dolore.

Dietro al trio avanza il signor Bloom, vestito con un completo blu. Il colore, dopo tutti questi giorni di bianco, mi ferisce gli occhi. Ma non batto ciglio, non mostro fastidio. Se Justin non lotta, lo farò io per entrambi. Bloom si ferma in mezzo alla stanza, di fronte a Justin. Le anime si accalcano intorno, borbottando maledizioni e facendo a gara per vederci di più. Dev'essere un bello spettacolo per loro vedere qualcun altro soffrire.

“Che sia di monito per chi cerca di scappare.”, esordisce Bloom, mostrando un paio di ceppi di ferro. Li lega ai polsi di Justin, chiudendoli. Poi fa lo stesso con le caviglie. Mi vengono in mente i segni rossi che ha già, quelle scarnificazioni che non andranno mai via. Piaghe eterne simbolo della sua colpevolezza.

Mi vengono in mente i suoi occhi pieni di dolcezza mentre mi parlava di sua mamma e della colazione che gli preparava ogni mattina: non possono fargli del male. Non se lo merita, non è giusto.

“Justin Drew Bieber, sei relegato nel girone dei violenti verso Dio, al fianco dell'angelo ribelle Lucifero. La tua pena è la reclusione forzata, che dopo cinque anni si trasformerà nello scontare tramite il dolore. Verrai, come succede a Cassio, Bruto e Giuda, mangiato da Lucifero e rigurgitato, per subire per sempre la stessa punizione. Per ogni giorno, per sempre.”

Gelo sul posto. Questo Shamuel non me l'ha detto. Questo nessuno me l'ha detto.

“Voi non potete farlo!” urlo prima ancora di rendermene conto. Mi lancio verso Justin, schivando la mano di Shamuel che cerca di trattenermi. Le anime si spostano al mio passaggio, rendendomi più semplice la corsa. Stranamente, Bloom non fa niente per fermarmi. Mi guarda divertito, lo stronzo, mentre mi posiziono davanti a Justin. Quando alza la testa, inchiodandomi con i suoi occhioni così innocenti, mi sento svenire.

“Non piangere.”, mi sussurra, abbozzando un sorriso. Non mi ero accorta, ma le lacrime stanno rotolando giù dalle mie guance, cadendo fino sulla mia maglietta. Cerco di riprendere un contegno, ma perché poi dovrei? Lui merita queste lacrime.

“Non piango.”, dico stupidamente. Lui fa una mezza risatina, ma non è convincente. Non raggiunge gli occhi, non gli da quell'aria scanzonata alla quale mi sono affezionata.

“Mi dispiace per cosa ti ho detto oggi.”, dice abbassando nuovamente la testa. Passo una mano tra i suoi capelli e mi esce un singhiozzo quando penso che non potrò toccarli. Mai più.

“Io non ti lascerò andare.”, cerco di essere convinta, ma la mia voce si spezza più volte. Gli rialzo la testa, passando i pollici più volte sulle sue guance. Lo sento rilassarsi leggermente, mentre io assaporo questi ultimi momenti con lui, con la sua pelle diafana e morbida. Non mi interessa quante persone ci stanno guardando, o se è proprio questo che Bloom vuole: la mia confessione d'amore. Nulla è più importante di lui e del memorizzare ogni minimo dettaglio della sua bellezza.

“E' ora di andare, fanciullo.”, la voce di Bloom arriva quantomai sgradita alle mie orecchie. Vorrei picchiarlo e spaccargli quel ghigno che, sicuramente, ha impresso in viso. Brutto pezzo di stronzo infame. Tu, Shamuel, che mi senti, di a questo deficiente che è una persona orribile.

Ignoro tutto per gli ultimi secondi che mi rimangono, ci siamo solo io e lui. Al diavolo gli angeli, Bloom la Winx, Shamuel con l'h e Deborah con l'h pure lei. Io e lui. Per l'ultima volta. Lo abbraccio forte, stringendo la sua testa contro il mio petto. Lo sento digrignare i denti, perché non può ricambiare tutto legato così, ma non per questo lo lascio andare. Lo cullo come se fosse un bambino per qualche secondo, poi gli risollevo la testa.

E lo bacio.

Lui sussulta e impietrisce; la folla trattiene il fiato per poi ricominciare con brusii ancora più alti. Non mi interessa neanche di questo, di niente ormai. Era l'ultima occasione per toccarlo, per sentire il suo sapore e per fargli capire cosa provo. Sento qualcuno che cerca di staccarmi da lui, ma non ci riesce. Questo perché la mia volontà è più grande, perché l'amore non è pericoloso, ma un'arma potente. Saggio il dolce sapore delle sue labbra con tanti piccoli baci, per dargli il mio affetto l'unica e ultima volta.

Mi stacco, troppo presto, dopo troppo poco. I suoi occhi sono pieni di lacrime, quelle che ha trattenuto per tutto questo tempo. Ma non scendono. Le trattiene a forza, guardandomi più profondamente di quanto qualsiasi persona al mondo abbia mai fatto. Lo trascinano via mentre ancora ci guardiamo, oltre, dove nessuno può vedere cosa pensiamo.

“Non mi dimenticare.”, urla. Ma è come se me lo avesse sussurrato all'orecchio in un momento intimo. Gli sorrido, con gli occhi pieni di amore e dolore. Un dolore che va oltre le parole umane e che non può essere contenuto. Di quelli silenziosi, che non hanno bisogno di dimostrazioni di urla o pugni al muro. È più giù, incuneato nel cuore come una scheggia di vetro.

“Ti verrò a prendere.”, mormoro, eppure sono sicura che mi ha sentito. Mi sorride, da lontano. E, prima di sparire dietro l'angolo, mi sillaba le parole che determinano la fine. La mia dolorosa e agonizzante fine.

Ti voglio bene.

Ed è qualcosa che va oltre il 'ti amo'. È qualcosa di più. È l'aver condiviso un bene in un luogo oscuro e maligno, l'aver lottato per rendere la vita dell'altro migliore. E non è più bello di un 'ti amo'? Ti voglio bene. Non un ordine, non un 'devo'. Ti voglio, io, con i miei alti e bassi, ti voglio voler bene. È questo che vuol dire, e lo sento, a fondo, e scaccia la scheggia. La fa esplodere, la disintegra, la annienta.

E prometto, a me ma soprattutto a lui, che lo troverò. Non importa quanto tempo dovremo soffrire prima di rivederci, io lo troverò.

Ho tutta l'eternità davanti per farlo.

All'alba del diciassettesimo giorno, finalmente, eccomi.

Mi dispiace per l'attesa, ma vi ho spiegato

che in questo periodo ho qualche problema.

Grazie a chi è rimasto e a chi rimarrà, dato che non so

quando riuscirò a continuare. Se continuo a scrivere è 

grazie alle vostre recensioni dolcissime.

Ah, perdonatemi questo capitolo triste, ma era necessario. A presto.

Chiara :)

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