Immortal Interview- The Pawn

di Porrima Noctuam Tacet433
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Re Nero ***
Capitolo 2: *** N. F. Montpellier ***
Capitolo 3: *** Percentuale ***
Capitolo 4: *** Enigmi irrisolti ***
Capitolo 5: *** Il messaggio ***
Capitolo 6: *** Dietro la maschera ***
Capitolo 7: *** Tutto secondo i piani ***
Capitolo 8: *** Senza un nome ***
Capitolo 9: *** La storia di Alypion ***
Capitolo 10: *** "dicharazioni di Rima" e Nuove Conoscenze ***
Capitolo 11: *** La vittoria del più debole ***
Capitolo 12: *** Ed è solo l'inizio ***



Capitolo 1
*** Il Re Nero ***


Il Re Nero

 

Reims, 1994

<< Io… non ri…. Non posso ….>>

Il respiro del ragazzo era accelerato, il suo corpo tremava, scosso dai singulti che non riusciva a trattenere. L’uomo alto ed elegante che lo aveva accompagnato nella stanza si accorse ben presto di non poterlo guardare negli occhi, e decise di interpretare il suo tremore come una conseguenza del freddo invernale. Chiuse con premura la finestra, ma non distolse lo sguardo dalla città di Reims sotto di lui.

<< Siediti, ragazzo. >> intimò senza voltarsi.

L’ansia del giovane era quasi palpabile. Ci mise qualche secondo per realizzare il significato delle parole dell’uomo, poi fece pochi passi verso il tavolo, quasi inconsciamente.  I suoi occhi erano ancora sbarrati e puntati verso il pavimento. il più vecchio lo guardò impassibile.

<< Non è possibile… non è…. Possibile. >>

<< Per quanto ancora credi che lo ripeterai? >>

Il ragazzo alzò lentamente il capo, zittendosi all’istante. Aprì la bocca, ma la voce gli morì in gola davanti all’espressione gelida dell’uomo.

Lo vide mordersi il labbro, ignorando la sua presenza.  Guardava distrattamente i tetti delle case e i passanti.

<< Buffo. >>  sorrise, divertito. << Tu non hai la minima idea di chi io sia… eppure ti fidi ugualmente di me. >>

Il ragazzo si passò una mano sul viso, cercando di riprendere coraggio e lucidità. Strinse i pugni. Era un giornalista, uno che andava in cerca di belle storie. Mai si sarebbe aspettato una storia come quella.

L’uomo si mosse verso il fondo della sala, aprì un armadietto attaccato al muro tirandone fuori due bicchieri e una bottiglia di China. Tornato al tavolo la stappò con eleganza.

Ancora spaesato, il giovane si trovò tra le mani un bicchierino ricolmo di un liquido ramato.

<< Se fosse stato sempre così facile guadagnarsi la fiducia degli uomini non avrei mai avuto problemi. >>

E mentre lo osservava ridacchiare, il ragazzo scoprì di riuscire a riflettere con più calma sulle sue parole, anche se non poteva ignorare l’inquietudine che sentiva a stargli vicino. Era vero, si era subito fidato di quell’uomo, forse perché non aveva avuto scelta, forse a causa del suo carisma e della sincerità dei suoi occhi quando gli aveva detto di volerlo aiutare.

<< Tutto questo…. >> cercò di dire il ragazzo, la voce che tremava e lo sguardo che vagava ovunque pur di non posarsi sull’italiano seduto di fronte a lui.

<< Non è un sogno >> sorrise l’uomo.  << Né una allucinazione. >>

Il silenzio fu opprimente, anche se durò solo pochi istanti. Nella mente del giovane giornalista regnava la più completa confusione, e intanto l’uomo lo studiava.

<< Tu non sai che cos’è. >>

Parole terribilmente semplici, quasi mormorate con poco fiato, che racchiudevano un significato enorme.

Forse troppo grande, per un semplice giornalista in cerca di una bella storia.

<< Tutto questo è ….. >> il ragazzo si guardò la punta delle scarpe, mentre un’orrenda ma lucida consapevolezza gli riempiva il torace.

<< … Qualcosa che non avrei mai dovuto vedere… >>

L’uomo sembrava colpito, o almeno così si poteva intuire dal suo silenzio.

<< Sì, è così. >>

Che senso avrebbe avuto mentire? Il destino di quel ragazzo era già scritto, e non sarebbe servito a niente tenerglielo nascosto.

<< Guardami, ragazzo. >>

La sua voce si era addolcita, e il suo viso sembrava più preoccupato che ostile, ma il giovane fece comunque un enorme fatica ad obbedire.

Il giornalista teneva il bicchiere tra le mani poggiate sul tavolo.  Le nocche stavano impallidendo per la pressione troppo forte con cui stringeva le dita, e il suo volto era cinereo, cadaverico e madido di sudore freddo. Quanto doveva apparire stupido e insignificante ad un uomo come quello che gli stava di fronte!

Eppure, nonostante l’imbarazzo e la paura, quegli occhi grigi così calmi e attenti verso il mondo lo avevano paralizzato. E non riusciva a non guardarli, perché gli sembrava che racchiudessero dentro le iridi un passato neanche immaginabile.

<< Lei… lei è… >>

<< Umano? >> completò l’uomo al posto suo, con un sorriso sarcastico.

<< Sì, io sono umano…. >> esitò, lanciando un’occhiata al tesserino che il giornalista teneva attaccato alla custodia della macchina fotografica.  << Richard Andersen. >>

Con un elegante movimento del braccio, l’uomo alto e canuto svuotò il suo bicchiere. Poi si rilassò contro lo schienale della sedia.

<< Non devi avere paura di me. >>

Per qualche assurda ragione che nemmeno lui sapeva spiegarsi,  Richard Andersen sembrò tranquillizzarsi.  Però continuava a non dire una parola.

<< Parla pure liberamente con me. Se avessi voluto farti del male l’avrei già fatto, e non ti avrei portato via da… bè, lo sai.  >>

<< No… a dire il vero non lo so. >>  mormorò in risposta il giornalista.

<< Ti starai chiedendo chi sono io. >>

Il ragazzo deglutì.

<< Immagino che lei non voglia rispondere a questa domanda. >>

L’uomo non rispose subito. La sua espressione si era rabbuiata.

<< Non c’entra che io lo voglia o no. >> i suoi occhi puntarono sul viso del giovane. << Io non posso. >>

Il ragazzo rifletté su quelle parole. Aveva ancora il nodo allo stomaco per la paura, ma la sua sfrenata curiosità quasi gliela faceva dimenticare. E poi, al momento l’unica scelta che aveva era fidarsi del suo ospite. Anche se gli sembrava di vivere in un incubo.

<< Qualcuno le impedisce di farlo? >>  chiese, la voce ridotta a poco più di un sussurro e le mani strette intorno ai braccioli di un antica sedia di epoca rinascimentale.

L’uomo fece un vago e indifferente gesto con la mano, prima di fare spallucce.

<< Non è soltanto questo.  Dirti chi sono implicherebbe non soltanto rivelarti il mio nome, ragazzo.  Non lo sai che le nostre esperienze possono dire di noi molto più di quanto noi possiamo narrare di loro? E io non posso dirti chi sono, perché sarebbe troppo complicato da spiegare. Mi capisci? >>

Il ragazzo si affrettò ad annuire, ma l’uomo si era già risposto da solo.

<< No che non capisci. Tu non puoi capire. >>

Il suo sorriso gli mise addosso una terribile angoscia. Non sapeva come definirlo.  Divertito, malinconico, arrogante, disincantato?

<< Perché non può raccontarmi la sua storia? >>

Ecco che finalmente Richard Pember dimenticava per un istante la paura e la sostituiva con la curiosità. Ecco che veniva fuori il giornalista alla ricerca di belle storie.

<< Più che altro, ragazzo… perché è troppo lunga. >>

<< Ma io sono abituato a sentire storie lunghe! >> esclamò il giornalista, per poi arrossire subito dopo, vergognandosi di essere stato tanto avventato.

I suoi occhi ardevano di interesse. Voleva sapere, voleva poter dare una risposta a tutte le sue domande. E credeva anche di meritarselo, dopo quello che era stato costretto a vedere.

La risata dell’uomo lo colse di sorpresa. Si era aspettato un atteggiamento infastidito, e invece lui rideva.

<< Non credo che tu abbia mai sentito raccontare una vita come la mia. >>

Il suo ospite fu sul punto di riempirsi nuovamente il bicchiere, ma le sue dita si fermarono prima di toccare la bottiglia.

<< Ho promesso a me stesso che non avrei esagerato. >> si giustificò a mezza voce.

<< Quando? >> chiese il ragazzo distrattamente.

<< Molto tempo fa. Dimmi, ragazzo. Quanto sono lunghe le tue storie? >>

<< Delle volte anche settant’anni. >> annunciò fiero il giornalista, esagerando apposta per impressionare il suo interlocutore.

E a questo punto nella sua fantasia già si delineava il viso dell’uomo contorto in un espressione stupita. Sentì un fiotto di soddisfazione salirgli alla gola.

Aprì la bocca per aggiungere qualche dettaglio, ma dovette richiuderla immediatamente, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

Inutile descrivere la stizza e lo sconcerto che provò nel non vedere realizzate le sue speranze.

<< Come pensavo. >> commentò pacatamente il padrone di casa, con un sorriso a metà tra il sarcastico e lo scettico.

<< Ora, se vuoi scusarmi… >> il ragazzo continuava a guardarlo come se fosse un alieno, ad occhi sbarrati.

L’uomo lo ignorò e si alzò dalla sedia.

<< Vado a riposare un po’. È stata una giornata stressante. >>

Prima di arrivare alla porta, voltò appena la testa verso il giornalista ancora impietrito sulla sedia.

Era terribilmente pallido, le labbra esangui e le sopracciglia aggrottate.

<< Anche tu hai bisogno di una dormita, ragazzo. Le chiavi della stanza degli ospiti sono accanto alla porta, in fondo al corridoio. >>

*

<< Non vuole dirmi nemmeno il suo nome? >> chiese il giornalista con la gola secca.

Era prima mattina, e lui era già in piedi, le occhiaie viola ben marcate sotto gli occhi e i capelli spettinati. Non aveva chiuso occhio quella notte. Una miriade di domande continuavano ad affollargli la testa, incessantemente.

Ma quel che era peggio era che continuava a rivedere le immagini del giorno prima come se ce le avesse davanti agli occhi in ogni istante.

Un uomo basso e dai tratti irregolari nascosti sotto la corta e ispida barba grigia, che tendeva una mano in avanti sprigionando scintille gialle contro una creatura che sembrava arrivata direttamente da un girone infernale. Le sue zanne  micidiali, l’enorme testa di coccodrillo che pareva quasi incastrata nella parte anteriore del corpo da leone.

Il giornalista rabbrividì e tornò a guardare colui che, per qualche ignota ragione, aveva deciso di ospitarlo, nel disperato tentativo di distrarsi.

L’uomo aveva sicuramente sentito la domanda che Richard gli aveva posto, ma non si era nemmeno voltato, continuando ad armeggiare con i fornelli e le tazze per la colazione. Fischiettava.

Erano più le volte che Richard veniva ignorato, che quelle in cui si degnava di rispondere con frasi evasive o cambiando argomento.

<< Io devo sapere. >>

La voce del ragazzo si era fatta più convinta e aveva alzato il tono, come per sovrastare il fischiettio dell’uomo.

<< Che cosa è successo ieri? Che cosa era quella creatura? E chi era quell’uomo che la ha aiutata a fermarla? >>

Fece una pausa, riprese fiato, e subito dopo riattaccò, deciso più che mai a far parlare il suo interlocutore.

<< E lei, chi è, esattamente? Che cosa è? >>

L’uomo volse lentamente il capo, i suoi occhi grigi si posarono con una pacata imperscrutabilità sul ragazzo.  Per un attimo, Richard temette con un brivido di orrore di averlo in qualche modo offeso. La freddezza del suo sguardo lo spaventava, e fu presto costretto ad abbassare gli occhi.

<< Quanto zucchero vuoi? >>

La voce calma dell’uomo stonava, in un certo senso, con quelle sue iridi che sembravano due pozzi senza fondo.

Richard ci mise qualche secondo per trovare il fiato per rispondere.

<< Du… due zollette… grazie… >>

Dopo avergli servito una tazza di caffè, l’uomo si sedette di fronte a lui.

Richard, malgrado tutti i suoi sforzi, non riusciva a ritrovare la quiete perduta. Osservò ammirato il riflesso del sole sulle tendine bianche ricamate, la grande cucina chiara, semplice ma raffinata.

Dopo vari minuti, Richard prese fiato.

<< Sa, signore… >> disse, facendo distogliere l’attenzione dell’altro dal giornale posato sul tavolo e staccandosi la tazza dalle labbra.

<< Adesso sembra tutto così tranquillo…. Sembra troppo tranquillo…. Questa calma è falsa, non è reale…. Non può esserlo, dopo quello che ho visto ieri. >>

L’uomo alto e dai grandi occhi grigi lo ascoltò in silenzio, il volto impassibile.

<< Sarebbe anche…. Piacevole, bere il caffè insieme a lei. >> continuò Richard, il capo chino. << se sorvoliamo il fatto che ieri ho visto una creatura mostruosa che non dovrebbe esistere, e un uomo che non avrebbe dovuto fare quelle cose… >> prese un respiro, accorgendosi di aver detto il tutto troppo velocemente.

<< E lei…. Lei che …. Le sue mani…. >>

Il ragazzo osservò le mani dell’uomo, che ancora reggevano il giornale, come se potessero sprigionare volute di fumo bianco da un momento all’altro.

E ancora una volta ebbe paura, una paura folle, ma allo stesso tempo non riusciva a fare niente di concreto, e continuava a farsi manovrare dagli eventi, troppo impietrito dal terrore per prendere in mano la situazione.

Guardò con orrore l’uomo che gli stava di fronte, con la terribile consapevolezza che non era un uomo normale. Era sovrannaturale. Nonostante ciò che gli aveva detto il giorno prima, Richard non poteva credere che fosse umano.

L’altro dovette leggergli tutti quei pensieri in faccia, perché ripiegò il giornale con la calma e l’atteggiamento di un adulto che ha il noioso compito di spiegare qualcosa a un bambino.

Lo guardò impassibile, poi allungò una mano verso il vassoio di brioche e glielo porse.

Richard afferrò la colazione quasi con timore e spaesamento. Alzò appena gli occhi in direzione del suo salvatore, in una domanda muta.

<< Non posso rispondere alle tue domande. >>  constatò questi, laconico.

<< Ma io ho bisogno di sapere…. >>

<< Forse non mi sono spiegato, ragazzo. >> l’uomo accompagnò la sua voce brusca con un gesto stizzito.

<< Tu non puoi sapere. Nulla. >> poggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le punte delle dita davanti alla bocca.

<< Ascolta. Non voglio essere sgarbato con te. Ma tu non puoi permetterti di fare domande, perché, perdona la franchezza, dovresti già essere morto.  >>

Richard deglutì, sgranando gli occhi, ma cercò di darsi coraggio e di rispondere con più lucidità possibile.

<< Lei mi ha trascinato qui, in casa sua! Ero andato in periferia per scattare foto, e mi sono ritrovato di fronte a dei.... >>

Mostri, aggiunse dentro di sé, istintivamente. Quando vide l’espressione gelida dell’uomo si sentì mancare.

<< Mostri? >> completò quest’ultimo, una traccia di sorriso nel volto e la voce incolore.

<< Fenomeni sovrannaturali. >> lo corresse Richard, dei brividi fastidiosi che gli correvano lungo la schiena.

<< Come può pensare che adesso io non faccia qualche domanda? >>

Il sorriso sul volto di quel sempre più misterioso personaggio si allargò.

<< Essere curiosi è un pregio. >>

Poi si sporse sul tavolo, del suo ghigno non c’era più nessuna traccia, i suoi occhi erano più seri e penetranti del solito.

<< Ma tu non esserlo.  >>

Nella cucina cadde improvvisamente un silenzio opprimente che il giornalista non aveva la forza di spezzare.

<< Ti faccio paura, non è così? >>

L’uomo sembrava sinceramente interessato allo stato d’animo del ragazzo, che continuava a torturarsi le mani e il labbro inferiore, con lo sguardo basso.

Al suono di quella domanda, sobbalzò leggermente.

<< N…no…. Lei… mi ha salvato, dopotutto… >> provò a rispondere, cercando di dare al suo tono una certa sicurezza.

<< Invece dovresti averne, di paura. >>

Richard lo osservò per un lungo momento, gli occhi distanti e assorti in pensieri e domande irrisolte.

<< Perché mi ha salvato? Perché l’ha fatto, anche se non avrei mai dovuto sapere niente? >>

L’uomo sospirò annoiato.

<< Lo vuoi un consiglio, ragazzo? Vattene di qui. Cambia stato. Cambia nome, fa quello che vuoi, ma non cercare la verità. È pericolosa, per quelli come te. >>

 Rivelò i denti bianchi in un rapido ghigno, accavallò le gambe e rilassò la schiena poggiandola contro la sedia.

<< E un’altra cosa. Cambia mestiere. Fare il giornalista ti fa male. >>

Richard aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse di colpo, colpito e intimorito dalla figura appena comparsa sulla soglia. Portava un cappello ampio quanto bastava per gettargli ombra sugli occhi, e quando parlò lo fece muovendo impercettibilmente le labbra, a capo chino.

<< Signore. È qui. >>

L’uomo annuì imperturbabile. Richard aveva la sensazione che fosse successo qualcosa di importante, di molto importante, anche se l’espressione del suo salvatore non lo dava a vedere.

<< Grazie. Arrivo subito. >> lanciò una rapida occhiata a Richard, come per avvertirlo di non fiatare.

<< Ora parlerò con una persona. Tu devi stare in silenzio, e fare tutto ciò che ti dice lui >> e indicò con un pacato gesto della mano la figura sulla soglia, ancora immobile. Richard capì in un lampo che non avrebbe potuto disobbedire, e fu assalito da un terrore folle, che lo impietrì. Non riusciva più a pensare a niente di sensato. Voleva solo dimenticarsi di tutto, ricominciare quei due giorni d’inferno da capo, svegliarsi da quell’incubo.

L’uomo si alzò, lanciò un’occhiata significativa a quello che doveva essere il suo segretario, e uscì con tutta calma dalla stanza.

Richard non perse mai divista i suoi movimenti con gli occhi febbrili. Non fece in tempo ad inghiottire la saliva in eccesso che il segretario lo afferrò, si calò ancora una volta il cappello sugli occhi e lo afferrò saldamente per un braccio. Con ben poca grazia trascinò via il giornalista verso la parte opposta rispetto a quella dove era sparito l’uomo, e lo infilò in uno stanzino con una velocità impressionante.

Richard si sbilanciò e riuscì a fatica a rimanere in piedi, quasi inciampando nelle sue stesse caviglie.

Il segretario non lo degnò più nemmeno di uno sguardo, ma chiuse la porta e ci appoggiò l’orecchio sopra.

Richard lo guardò incredulo, ma si trattenne dal pronunciare qualunque parola. Ma cosa sperava di sentire, quel tipo? L’uomo alto e canuto doveva aver attraversato almeno due stanze per raggiungere lo spazio riservato agli ospiti. Non era possibile sentire…

Oppure no?

*

Il dottor John Dee sembrava essere la tranquillità personificata. Anche lui, dopotutto, aveva avuto un sacco di tempo per imparare a nascondere le proprie emozioni.

Ma Niccolò Machiavelli lo conosceva troppo bene per non percepire la sua rabbia. Si sentiva vagamente a disagio. Non era abituato ad agire con imprudenza, senza avere un’idea precisa di ciò che si apprestava a fare. Eppure, quando aveva salvato quel ragazzo, era esattamente questo che aveva fatto.

Si era aspettato una visita del Mago. Dee sospettava di lui in ogni occasione, per principio, e qualche volta capitava che avesse anche ragione.

Adesso più che mai, devo confidare nell’aiuto di Dagon, rifletté Machiavelli, con lucidità.

Salutando con un sorriso di circostanza l’altro immortale, si trovò a pensare se fosse davvero una buona idea lasciare in vita il giornalista. C’erano cose che dovevano rimanere nascoste per l’umanità, questo era nell’interesse degli Oscuri Signori che lui serviva.

Eliminare i testimoni. Non era la prima volta che lo faceva.

Non si soffermò troppo a pensare sulle ragioni che lo avevano spinto a quel gesto, forse perché non voleva darsi delle risposte, o forse perché al momento la priorità era liberarsi del Mago.

<< Machiavelli, dov’è il figlio degli homines?>>

Niccolò scosse appena la testa con un sorriso. Passano i secoli, ma alcune cose non cambiano proprio mai.

<< Buongiorno anche a te, dottore. Sì, in effetti è una bellissima mattinata. Posso offrirti del caffè? >>

Il viso del Mago si contorse in una smorfia di rabbia mista a disgusto.

<< Non sopporterò il tuo sarcasmo, non oggi.  Rispondi! Dov’è il ragazzo? >>

Niccolò si scompigliò i capelli e si lasciò cadere su una sedia con uno sbadiglio.

<< Se ti dicessi che non so di cosa parli, mi crederesti? >>

<< No. >>

<< È davvero un peccato. Perché, vedi, dottore…. >>  Niccolò voltò la testa in modo da guardarlo in faccia con gli occhi gelidi.

<< Io non so di cosa parli >>

John Dee rimase rigido, in piedi in mezzo alla sala, la sua figura trasudava tutto il suo furore.

<< Tu… >> Niccolò osservò a gambe incrociate il suo sorriso di scherno. << Non puoi immaginare quanto ti disprezzo. >>

<< Sicuro? Ho un immaginazione molto fertile. >> sorrise Machiavelli, ironico.

<< Che cosa vuoi, John, questa volta? >>

Dee sbuffò.

<< Finiscila con questa farsa, italiano. Pensi che non mi sia accorto dell’umano sbucato fuori da quel vicolo, ieri? Un attimo prima c’era, l’attimo dopo non più. Sei stato tu. >> sentenziò il Mago con una sicurezza ferrea.

Niccolò rimase impassibile, sospirando con sufficienza.

<< Dottore, dottore. È mai possibile che non riesci a vedere oltre ciò che vorresti fosse vero? >>

Niccolò gli lanciò un’occhiata divertita, che fece fiammeggiare di rabbia gli occhi di John Dee.

<< Ho combattuto quella bestia al tuo fianco. Spiegami come avrei potuto portare in salvo un ragazzo. Perché è qui che vuoi arrivare, vero? >>

Alzò le spalle, indifferente.

<< Non bisogna per forza essere il più grande manipolatore al mondo per capire che è scappato. >> aggiunse con ironia.

John Dee lo studiava, non trovando sul suo volto alcuna traccia di menzogna. Eppure, quando c’era di mezzo Niccolò Machiavelli, non si fidava nemmeno dei suoi stessi occhi. Ed era sicuro che fosse lui la mente dietro la scomparsa del figlio degli homines.

<< Comunque… >> andò avanti Machiavelli << se vuoi che ti dia una mano a ritrovarlo, possiamo metterci d’accordo. Ovviamente sarai in debito con me. >>

Dee strinse i pugni davanti alla sua mezza risata.

<< È un tuo dovere servire gli Oscuri Signori tuoi padroni! >> sbraitò, furioso, puntando il dito contro di lui.

E anche se Machiavelli continuava a non battere ciglio, per il Mago era troppo tardi per fermarsi e riprendere il controllo di sé.

<< Se davvero non sei stato tu a farlo scappare e a nasconderlo, allora dovresti già essere sulle sue tracce! Non comodamente seduto in poltrona a farti gli affari tuoi! >>

Niccolò si alzò lentamente. Si mosse fino in fondo alla sala e prese dallo scaffale una vecchia scacchiera che poggiò sul tavolo.

<< John.. >> cominciò, con pazienza, disponendo i pezzi di legno sulla scacchiera.

<< Io faccio sempre ciò che mi viene richiesto. Tu hai più volte sottolineato che dovevo sparire subito dopo averti aiutato a completare la missione. Ti sei vantato, hai detto che eri tu l’immortale a cui era stato ordinato di guidare la missione. Gli Oscuri Signori mi hanno ordinato di aiutarti a uccidere la creatura, ed è quello che ho fatto. Hai detto che avresti ricevuto tutti gli onori tu soltanto. >>

Fece una breve pausa, sedendosi, prendendo un alfiere bianco fra due dita e portandoselo davanti agli occhi.

<< E allora, dottore… a te sono riservati anche gli oneri. Io ho svolto il mio dovere, perché la bestia è stata distrutta. >>

Si avvicinò con passo calmo e col sorriso sulle labbra, portandosi vicino all’inglese. E nascondendo qualcosa in una sola mano, dietro la schiena.

<< Io servo i miei padroni, John, non te. >>

Niccolò Machiavelli tese il braccio in avanti, e John Dee seguì per un secondo l’ondeggiante pedina del re nero davanti al suo viso, con le iridi grigio ferro.

Angolo Tacet
E io sono ancora qui a pubblicare storie sui Segreti e ad interessarmi di questa saga, con quei pochi ma specialissimi fan della serie.
Questa long sarà una grande sfida per me, me lo sento. Sarà un traguardo più ambizioso da raggiungere. Ringrazio tutti quelli che la leggeranno e se c'è qualcosa che non vi piace o non vi convince fatemelo sapere. Mi aiutate a migliorare.
Grazie : )
tacet

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Capitolo 2
*** N. F. Montpellier ***


N. F. Montpellier

 

Richard Anderson si sentì afferrare per la giacca. Fece appena in tempo a girarsi per evitare di inciampare e maledisse centinaia di volte il segretario e le sue maniere brusche.

Il corpo del ragazzo sembrava essere incredibilmente impacciato rispetto a quello dell’uomo. Anche la velocità del segretario era sorprendente, e più volte, senza farsi vedere, Richard aveva cercato di guardare sotto il suo cappello, dove si nascondevano gli occhi.

<< Dove stiamo andando? >> chiese con urgenza.

Non ricevette risposta, ma non ne rimase sorpreso.

<< Ehi! Mi hai sentito!? >> la sua paura cominciava a trasformarsi in irritazione. Non riusciva nemmeno più a vedere bene i corridoi che stavano oltrepassando, tanto era concentrato ad appoggiare bene i piedi a terra.

<< Ti prego, fai più piano! >> supplicò, e gli venne in mente solo dopo che avrebbe dovuto essere più rispettoso nei confronti del segretario.

L’uomo  si voltò di colpo in mezzo ad una stanza completamente vuota, e Richard gli andò quasi a sbattere contro.

Il giornalista cercò senza successo di ricacciare la paura nel fondo dello stomaco.

<< Lo sai chi è l’uomo che è venuto a far visita qui? >>

La voce del segretario era estremamente calma, ma non riusciva a sembrare una voce anonima. Aveva un suono gorgogliante, che faceva pensare ad un ruscello, o a un fiume.

<< No…. Ma… >> rispose il ragazzo, esitante.

<< Non so perché il mio padrone ti abbia lasciato in vita… >>

<< Il tuo padrone? >> gli occhi di Richard tradirono un lampo di curiosità. Qual è il segretario che al giorno d’oggi chiamerebbe mai il suo capo “padrone”?

Già, e quale segretario cammina con un cappello davanti agli occhi e parla quasi senza aprire la bocca?

L’uomo fece un gesto di stizza con la mano.

<< Se fosse stato per me ti avrei già ucciso! >>

Richard deglutì, si raccomandò di rimanere lucido. Sembrava quasi che il segretario si fosse subito pentito di ciò che aveva detto, e di certo non per magnanimità nei confronti del ragazzo.

<< Ma non puoi perché quell’uomo ti ha chiesto di non farlo, giusto? >>  chiese Richard, con cautela, ma deciso a catturare qualcosa di ciò che realmente pensava il segretario.

<< Non lo tradirei mai. >> ammise l’uomo, ma d’un tratto si raddrizzò e lo afferrò con forza per la camicia, con una smorfia di rabbia.

<< Quindi ringrazialo! Anche se… >> aggiunse poi, tornando calmo e voltandosi. Lo strattonò verso una porta color legno e la aprì con la mano libera. Sul suo volto si fece strada un sorriso maligno e grottesco che gelò il sangue nelle vene di Richard,

<< Se ti lascia in vita, devi essere solo un altro pezzo della sua scacchiera. >>

*

<< Dovresti provare a rimediare al tuo errore da qualche altra parte, piuttosto che accanirti su di me, dottor Dee. >>

John osservò con rabbia crescente il volto quasi annoiato dell’italiano.

<< Se non hai niente da nascondere, non ti spiacerà se faccio un giro per casa tua, vero, Machiavelli? >>

Si sforzò di mantenere un tono di voce calmo, perché sapeva che se lo avesse minacciato o se si fosse lasciato trasportare dalla sua ira lo avrebbe fatto divertire ancora di più.

<< Non vedo perché dovresti, non ti ho invitato. >> sorrise Machiavelli.

E contro ogni logica lo stesso sorriso si fece strada nel volto del Mago. Machiavelli non aveva la minima idea di quanto stava rischiando.

<< Questo non è uno dei tuoi giochi da tavolo, Machiavelli. Qui e adesso, in questa stanza, tu rischi la vita. >>

Gli occhi dell’italiano si illuminarono di una luce pericolosa.

<< Dovrei essere spaventato, John? >>

<< Non solo da me. Ma anche dai nostri padroni. Il ragazzo non faceva parte dei loro piani, ma dovresti stare attento, Niccolò. Non ti conviene avermi come nemico. >>

John lo guardò ancora per un secondo, poi non si fece nessun problema a piantarlo in asso e superarlo. Attraversò a grandi passi il salotto, dirigendosi verso la cucina.

Machiavelli non sembrò troppo sorpreso, e il Mago lo sentì dire qualcosa come: “Sei il solito maleducato.”

John Dee fece vagare lo sguardo su tutta la cucina. Dubitava che Machiavelli avesse avuto il tempo di lanciare sulla stanza un incantesimo per nascondere il ragazzo ai suoi occhi, perciò passò oltre frettolosamente.

Aveva la sensazione che la situazione gli stesse sfuggendo di mano. I suoi movimenti diventarono sempre più veloci e agitati. Quando non trovò nessuno nemmeno nella stanza adiacente, gocce di sudore freddo cominciarono a imperlargli la fronte.

John Dee temeva solo parzialmente la morte. Non aveva paura a vedere la vita spegnersi negli occhi di un uomo, ma lui, lui non era nato per morire, a lui il destino aveva riservato una scelta diversa.

Tutto ciò che era diventato sarebbe stato destinato a scomparire per sempre, nel caso in cui i suoi padroni fossero venuti a sapere del suo errore. O forse no, forse non lo avrebbero ucciso subito. Non voleva nemmeno pensare all’alternativa.

Devo trovare quel ragazzo, si disse, varcando la soglia della stanza degli ospiti. Cercò un particolare, un minimo segno che dimostrasse che qualcuno era stato lì.

La paura gli assalì la gola.

Strinse i pugni, e odiò Machiavelli con tutte le sue forze, con tutta l’anima.

Lo avrebbe ucciso. Di questo era certo, presto o tardi. Sarebbe finito come tutto ciò che gli dava fastidio, distrutto. E allora non avrebbe più riso davanti al suo furore.

 

*

Il segretario sembrava calmo. Sembrava troppo calmo. Richard Anderson aveva intuito che qualcosa era andato storto nei piani dell’uomo che lo aveva aiutato, anche se ancora non aveva la minima idea di cosa fosse.

L’unica certezza era che Richard Anderson era invischiato in questa faccenda fino al collo, e se il segretario pensava che non avrebbe fatto qualsiasi cosa per arrivare alla verità si sbagliava di grosso.

Aveva avuto paura. L’aveva anche adesso. Ma nessuno gli avrebbe impedito di rispondere alle sue domande. Stava rischiando la vita e non sapeva nemmeno per che cosa.

Il segretario lo aveva portato in una stanza connessa ad un secondo corridoio attraverso una porta rimasta socchiusa, e lo stava esortando a scendere delle scale dagli alti gradini.

<< Dottore, accetteresti il consiglio di un collega? >>

Richard si sentì mancare l’aria nei polmoni.

Le sue gambe si bloccarono sull’ultimo gradino e girò il volto nella direzione della porta rimasta socchiusa.

Un’idea improvvisa gli serrò lo stomaco.

Ventidue gradini. Solamente ventidue gradini.

<< Non da te, italiano! >>

Richard Anderson cominciò a salire i gradini con un unico pensiero in mente. Lentamente, silenziosamente.  Si fermò sul primo scalino, accanto alla stanza da cui provenivano le voci nitide di due uomini.

Provò ad ignorare i brividi gelidi che gli attraversavano la schiena, il sudore freddo che gli imperlava la fronte.

Sentiva i pensieri scivolare via. Era ipnotizzato da quelle voci. E le parole che sentì furono tutto, per lui, solo per pochi secondi.

<< Ma io voglio aiutarti, dottore. Ti suggerisco… >>

*

<< Ti suggerisco… >> cominciò Niccolò Machiavelli con voce pacata.

<< Di smettere di cercare quel ragazzo. >>

Prima che Dee potesse protestare, l’italiano lo frenò con un gesto secco della mano.

<< Puoi perquisirmi tutta la casa, se ci tieni, ma non puoi permetterti di perdere tempo. Ascolta. Il ragazzo è senza dubbio scappato. Non hai bisogno di cercarlo, perché si farà trovare da solo. So come sono fatti quelli come lui, non possono fare a meno di raccontare qualcosa a qualcuno. Ma… >>

Niccolò alzò di nuovo un dito quando vide Dee aprire la bocca per ribattere.

<< Nella storia questo è successo molte volte, e molti sono stati scambiati per pazzi. Il mio consiglio è questo. Tieni d’occhio le voci, e lo prenderai molto presto. E se fermerai la sua divulgazione di informazioni sul nascere, sono sicuro che non ci sarà nessun danno. Dopotutto, è solo un comunissimo figlio degli homines. >>

John Dee sembrò riflettere sull’idea dell’italiano, scrutandolo in viso per trovarvi una qualche traccia di falsità.

Niccolò si impedì di sorridere. Sapeva di aver fatto centro, facendo leva sull’abitudine dell’inglese di sottovalutare gli esseri umani.

<< Ti dico questo, dottore, perché… hai altre cose più importanti a cui pensare che un ragazzino che adesso probabilmente non avrà più nemmeno il coraggio di uscire di casa. >>

Niccolò arricciò le labbra in un sorriso.

<< La vita è fatta di priorità. E adesso la tua priorità è Nicholas Flamel. Devi trovarlo, dottore, i nostri padroni non ti perdoneranno se te lo farai scappare un’altra volta. Dopo, ucciderai il ragazzo e metterai a tacere le voci che forse avrà messo in giro. >>

Dee continuava a rimanere in silenzio, esaminando l’altro con gli imperscrutabili occhi grigi.

Niccolò sapeva che Dee non temeva Flamel tanto quanto temeva l’idea di non riuscire a catturarlo. 

E l’inglese era convinto che gli Oscuri Signori sarebbero stati disposti a perdonare una svista come la faccenda del ragazzo, ma non un altro fallimento con l’Alchimista.

Inoltre, pensò Dee, non sono l’unico responsabile di questo incidente.

L’immortale italiano Niccolò Machiavelli era responsabile tanto quanto lui, e avrebbe sempre potuto affermare che fosse tutta colpa sua.

Niccolò vide i suoi stessi pensieri passare per la mente dell’inglese, ma distolse lo sguardo.

E seppe di aver vinto.

*

Dagon si calcò il cappello sulla testa e volse lo sguardo verso il ragazzo. Era cinereo, e con occhi febbrili scrutava la ringhiera senza vederla davvero.

Alzò il polso e posò gli enormi occhi su un orologio semplice ma raffinato.

Lì, fermo davanti all’uscita, senza aver mai avuto la minima intenzione di fermare il giornalista fino a quel momento, pensò che ancora una volta aveva svolto benissimo il suo lavoro.

Rimase immobile ancora per qualche secondo, aspettando che fosse il momento giusto e riportando alla mente ciò che gli aveva detto Machiavelli prima che incontrasse il ragazzo nella cucina per offrirgli la colazione.

<< Sta arrivando il nostro vecchio amico inglese, non è vero, Dagon? >>

Chiede Niccolò, apparentemente poco interessato, giocherellando con un pedone degli scacchi.

<< Sì, signore. >> Dagon si siede sul divano, accanto a lui.

Niccolò gli rivolge solo un’occhiata veloce, e la creatura non riesce a comprendere su cosa stia riflettendo.

<< Sei stato gentile a controllare i dintorni. >>

Dagon annuisce, con un lieve inchino.

<< Devo chiederti un altro favore, Dagon. >>

La creatura si toglie il cappello, negli occhi liquidi ha un’espressione decisa che Niccolò ricambia con uno sguardo tra il pacato e il divertito.

Dagon conosce bene quegli occhi. E sa che a Niccolò Machiavelli è appena venuta un’idea.

<< Quando arriverà il dottor Dee, tu porta via il ragazzo. >>

Il suo viso si distende in un sorriso quieto.

<< E assicurati che senta bene ciò che dirò al Mago. >>

Dagon non fa domande, si limita ad annuire, aspettando che Machiavelli gli dica ciò che ancora gli tiene segreto.

Niccolò si alza e raggiunge la scrivania, apre un cassetto e tira fuori un piccolo ritaglio di carta. La creatura inarca un sopracciglio. Ciò che gli piace di più di Machiavelli, è la sua capacità di incuriosirlo.

L’italiano si muove verso il segretario e gli porge il biglietto piegato a metà.

<< Metti in tasca questo, al ragazzo. >>

<< Sì, signore. >>

*

Dagon salì rapidamente i gradini e afferrò il ragazzo per un braccio. Con l’altra mano gli tappò la bocca bruscamente.

Sentì Machiavelli che si avviava con Dee verso la cucina, mentre il corpo del ragazzo si faceva rigido e i suoi occhi saettavano da tutte le parti. Sotto le dita Dagon avvertì un lieve tremore.

Ripassò mentalmente la strada che avrebbe dovuto percorrere una volta raggiunti i più tetri vicoli di Reims, anche se non ne aveva bisogno.

Sapeva che il ragazzo sarebbe stato chiuso in una macchina diretta fuori città per le undici di quella mattina.

Dagon portava sempre a compimento un lavoro.

*

<< É andato? >>

<< Sì, signore. Non sarà più un problema. >>

Machiavelli annuì soddisfatto e si versò un bicchierino di liquore.

Dagon non aspettò che fosse lui ad intavolare una conversazione. Stentava lui stesso a credere di essere davvero curioso, perché non era nella sua natura.

Eppure, era così.

<< Perché ha voluto che sentisse la sua conversazione con Dee? >>

Machiavelli gli rivolse uno sguardo esageratamente sorpreso.

<< Come mai tanto interesse? Dagon, sei proprio tu? >>

La creatura scosse la testa, dipingendo un piccolo arco con la mano destra, in un chiaro segno di non curanza.

Si sedette davanti all’italiano e aspettò pazientemente che rispondesse alla sua domanda.

<<  Molto semplice, Dagon. Adesso Richard Anderson sa dell’esistenza di Nicholas Flamel. >>

<< Lei la fa troppo semplice. Secondo il mio punto di vista, questo aggrava la situazione. La nostra posizione, e la sua. >> disse il segretario, voglioso di venire a conoscenza dei dettagli.

Niccolò Machiavelli aveva sempre un obiettivo e un piano premeditato, che spesso veniva arricchito da quelle che lui chiamava ovvie intuizioni.

Ma Dagon non ci aveva mai trovato niente di ovvio in ciò che faceva o vedeva Machiavelli, mai in quasi quattrocento anni.

L’italiano sorrise come se si fosse aspettato una risposta del genere da parte del segretario.

<< Ti sbagli, Dagon. Questo ci farà molto comodo. >>

Niccolò spostò la sedia all’indietro e poggiò i gomiti sul tavolo, ormai rassegnato a dover spiegare tutto ciò che aveva pensato, con un’espressione disinvolta.

<< Adesso Anderson sa che non è il solo ad essere ritenuto pericoloso. Anche Flamel è braccato da Dee. >>

<< Non c’è paragone tra Flamel e quel giornalista fallito. >> obiettò Dagon con un ghigno.

<< Vero. >> concesse Machiavelli. << Ma lui ancora non lo sa. >>

<< D’accordo, e con questo? >>

L’impazienza sul viso della creatura era come un accordo dissonate in un orchestra che non sbagliava mai. All’italiano venne quasi da ridere.

Rideva, perché la sua idea aveva funzionato.

Rideva, perché era sicuro che non si sarebbe annoiato per parecchi giorni.

<< Richard sa che Dee lo vuole morto. E lontano da Reims, lontano dalla paura, avrà abbastanza lucidità per cercare l’unica persona che pensa che sia sulla sua stessa barca e che potrebbe rispondere a tutte le sue domande: Nicholas Flamel. >>

Dagon rimase in silenzio, senza perdersi nemmeno una sillaba delle parole di Machiavelli.

<< Il ragazzo potrebbe avvertire Flamel del luogo in cui si trova Dee. L’Alchimista scapperà di nuovo, e gli Oscuri Signori sfogheranno la loro rabbia su Dee, che sarà costretto ad ammettere di aver fallito, di nuovo. >>

<< Non lo elimineranno, non ancora. >>

<<  Ci vuole pur sempre un primo passo, non credi? >> ribatté prontamente Machiavelli, le labbra incurvate in un sorriso sornione.

<< Tutto questo per mettere in cattiva luce Dee? >> chiese Dagon, divertito dall’idea.

<< Sì e no. John non sarà dello stesso avviso, ma quel ragazzo mi fa molto più comodo da vivo che da morto. Lasciamo maturare i tempi, e forse ci condurrà da Flamel. Sono curioso di vedere come se la caverà in un mondo completamente diverso da quello che conosce, e se Dee lo elimina ora mi toglie tutto il divertimento. >>

Dagon osservò il volto impassibile dell’italiano.

<< Come fa a sapere che Anderson troverà Flamel prima che Dee decida di rimettersi sulle sue tracce? >>

Machiavelli ghignò furbescamente.

Dagon comprese, dopo qualche attimo di smarrimento.

<< Il biglietto! >> mormorò, ammirato.

Machiavelli si limitò ad annuire, svuotando il suo bicchierino di liquore.

*

In una strada deserta che sembrava essere stata dimenticata dai suoi abitanti, nella periferia di Reims, un ragazzo fece scorrere gli occhi su una calligrafia elegante, lasciata su un piccolo foglietto.

Strinse tra due dita la carta stropicciata.

N. F.

Montpellier.

*

<< Credo proprio che questo non rientri negli ordini degli Oscuri Signori, a cui lei è fedele. >>

<< Gli Oscuri Signori dovrebbero imparare a scendere un po’ di più nei particolari, quando danno ordini. >>

 

Angolo Tacet433

Mi  scuso per gli eventuali errori, non ho fatto in tempo a ricontrollare, e siccome ero abbastanza sicura e non voleva andare troppo in là coi giorni ho inserito questo capitolo appena ho potuto. Fatemi sapere se c'è qualcosa che non va. ; )

Io mi odio. E so che mi odiate anche voi. Chiedo perdono, ho fatto passare un sacco di tempo, e credo di essere andata anche un OC!

Ma tornando a questo coso che è uscito fuori dalla mia testolina… ancora nessun personaggio buono del libro, ma arriveranno nel prossimo capitolo, promesso! E nei prossimi capitoli, cercherò di rendere più chiaro ciò che frulla nella mente di Machiavelli.

Povero Dee! L’ho trattato male, vero?

Grazie per aver letto questo secondo capitolo!

Ciao!

 

 

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Capitolo 3
*** Percentuale ***


Percentuale

 

Nicholas Flamel, col passare degli anni, si era abituato ad imparare in fretta diversi mestieri. Aveva svolto quasi ogni tipo di professione, e non poteva far a meno di esserne orgoglioso.

Di solito era facile. Affittava un fondo e lo riempiva di libri, per esempio. Oppure faceva l’erborista, sfruttando le sue enormi conoscenze sulla botanica e sulla medicina. Apriva un bazar, si faceva assumere da qualcuno o si inventava qualcos’altro una volta cambiata città.

Nicholas Flamel non si era mai trovato senza lavoro. O almeno, da quel che ricordava.

Ma c’è una prima volta per tutto.

Lui e sua moglie si erano trasferiti a Montpellier da più di un mese, dopo essere sfuggiti al dottor John Dee. Perenelle aveva circondato la casa che avevano affittato di una moltitudine di incantesimi di protezione.

Per un po’ sarebbero stati tranquilli, ma Nicholas dubitava che quella quiete sarebbe durata a lungo.

Dee avrebbe trovato altri modi per rintracciarli. La perseveranza di quell’uomo era incredibile, ma, d’altra parte, aveva barattato la sua vita immortale con la sua devozione eterna agli Oscuri Signori.

Era uno schiavo. Potente, ma pur sempre soggiogato al loro volere.

Nicholas si era chiesto spesso se la colpa di ciò fosse in parte sua.

Magari non era stato un buon maestro, o magari gli aveva insegnato fin troppo bene.

Il suo orgoglio gli impediva di pensarci, ma fidandosi del dottor John Dee aveva commesso l’errore più grande della sua lunghissima vita.

Aveva protetto il Codice per secoli, ma il suo compito diventava sempre più difficile ogni giorno che passava. L’ultima volta che lui e sua moglie si erano scontrati con l’inglese erano stati vicini a perdere il Libro di Abramo il Mago e la loro stessa vita. Dee portava sempre con se alleati potenti e terribilmente pericolosi. Ancora una volta, l’Alchimista doveva la vita a Perenelle.

<< A cosa pensi? >>

La voce delicata eppure chiaramente incuriosita di Perenelle lo riscosse dai suoi pensieri. Nicholas si girò, sorridendo.

<< Pensavo a te. A come ogni volta riesci a salvarmi la vita. >>

La donna si avvicinò di qualche passo e posò i gomiti sul tavolo del laboratorio, facendosi spazio tra la carta e le essenze curative.

<< Come tu la salvi a me. >> cominciò a rigirarsi una piccola boccetta di vetro tra le dita. << Mi ero immaginata una vita coniugale meno movimentata, all’iniziò. >>

Nicholas alzò gli occhi chiari sul sorriso storto della moglie. Le prese una mano e la strinse.

<< Ce l’abbiamo fatta anche questa volta. Grazie a te. >>

Perenelle alzò il mento con orgoglio e ammiccò al marito, ma fu distratta dalla voce squillante della padrona di casa a cui pagavano l’affitto dell’appartamento.

<< No, non conosco nessun Nicholas Flamel, mi dispiace. >>

Nicholas strinse i pugni e si avvicinò con cautela alla porta, per sentire meglio. Perenelle si morse le labbra, come faceva sempre quando era agitata.

L’Alchimista sentì il rumore di passi veloci sul vialetto e l’anziana signora che chiudeva la porta, invitando l’ospite ad accomodarsi su una poltrona.

Era troppo vecchio per perdere la lucidità, perciò si soffermò a pensare rapidamente ad ogni possibile via di fuga.

Che sia un emissario di Dee? Si chiese, ma scosse appena la testa pochi secondi dopo.

No, impossibile. Dee non usa questi mezzi, non ha bisogno di chiedere in giro. E non è tanto stupido da farlo.

Nicholas puntò lo sguardo chiarissimo davanti a sé, tendendo le orecchie.

<< Davvero non lo conosce? Questa è una zona frequentata. Ho girato tutta la città! >>

<< Se sapesse descriverlo, forse…. Ma perché è così importante? >> chiese l’anziana signora, con la curiosità che la sua indole pettegola non poteva farsi mancare.

<< Non importa… comunque, non so darle una descrizione. >>

Non era un uomo di Dee? No, sicuramente no, ma allora perché lo cercava con tanto accanimento?

<< Vuole fermarsi per una notte? Ho ancora una stanza libera! Può cercarlo domani, questo Niles Flagel o come si chiama… >>

Nicholas sgranò gli occhi, e sul momento non seppe neppure lui per che cosa sentirsi più irritato, se per la proposta della donna o per aver sentito il suo nome storpiato in quel modo.

Perenelle ghignò appena. Non sembrava essere particolarmente preoccupata.

<< Nicholas Flamel. >> rispose la voce giovane di quello che doveva essere un ragazzo, chiaramente francese, a giudicare dall’accento.

<< La ringrazio ma non mi fermo. Se però lei sente qualcosa su questo Flamel, mi chiami a questo numero, per favore. >>

<< Come vuole >> rispose squillante la donna, e dopo poco Nicholas sentì il suono della porta di legno chiudersi facendo trillare le campanelle appese all’architrave.

*

<< Questo ragazzo riesce a sorprendere perfino me. >>

Dagon si sfilò gli occhiali da sole e alzò un sopracciglio, facendo sembrare i suoi occhi ancora più grandi del solito. Chiuse la finestra e si voltò verso Machiavelli.

<< Perché, ha trovato Flamel, finalmente? >>

Niccolò sorrise con sufficienza.

<< No. Sai, Dagon, non mi capita spesso di sbagliare… eppure costui è più stupido di quanto pensassi. >>

*

Nicholas e Perenelle rimasero in silenzio ancora per molti minuti, ognuno immerso nei suoi pensieri.

La Fattucchiera si sedette su una poltrona, e il marito prese posto su una sedia di fronte a lei, per poterla guardare in viso. Sembrava molto riflessiva, adesso, a differenza di prima.

Evidentemente stava cominciando a prendere sul serio l’avvenimento, come faceva in ogni caso, del resto.

La donna alzò gli occhi e aprì la bocca, ma venne subito zittita da una gesto pacato del marito.

Nicholas si allungò verso il tavolo e accese la radio. Non si fidava della gente pettegola e fin troppo curiosa che si ritrovava per coinquilini. Era meglio non rischiare di farsi sentire.

<< Posso? >> chiese sarcastica Perenelle, osservando il sorriso tirato del marito.

<< Permesso accordato. >> rispose magnanimo l’Alchimista.

<< Da quando Dee usa certi mezzi? >>

La Fattucchiera ci aveva messo meno di un secondo per tornare seria.

<< Non credo proprio che c’entri Dee in questa storia. >>

<< Sono d’accordo. Non andrebbe mai a dire in giro che ci sta cercando, se non ai suoi fidati informatori. In più quel ragazzo sembrava piuttosto smarrito… >>

Nicholas non rispose subito, lasciando che le trasmissioni radio gli scivolassero via dalla mente.

<< E allora cosa vuole da noi? >>

<< Non ne ho idea… >>

Di nuovo calò il silenzio. Nicholas voleva solo aspettare il momento giusto per esprimere a sua moglie i suoi pensieri, ma nemmeno lui era sicuro di aver avuto una buona idea.

Decise di tentare comunque. Più ci pensava, più era convinto che ciò che voleva fare fosse giusto quanto rischioso.

<< Credo che dovrei parlare con quel ragazzo… >>

Perenelle non rimase sorpresa. Si aspettava una constatazione del genere dal marito. Ma non era d’accordo, per niente, e Nicholas lo sapeva.

<< Io invece credo di no. forse non sarà Dee il suo mandante, ma francamente dubito che sia qualcuno a cui stiamo simpatici. Non per offenderti, Nicholas, ma non mi pare che tu abbia tanti amici che ti cercano… >>

Nicholas Flamel pensò per un momento alle varie sfumature dell’avvertimento di Perenelle.

<< Apprezzo molto la tua cautela, Perry… e sai che non sarei qui a dirtelo senza di te. Però, credi davvero che quel ragazzo sia mandato da qualcuno? >>

<< Credi davvero che non lo sia? >>

<< Ha tanto l’aria da disperato e povero in canna… >>

<< O magari è quello che vuole far credere. >>

Flamel appoggiò il gomito sul bracciolo della sedia, sospirando, sempre meno disposto a cedere.

Catturò gli occhi della moglie con i suoi, ma non fece in tempo a muovere le labbra che sua moglie affermò sarcastica:

<< Magari è solo un ragazzo normale che ha scoperto che per qualche misteriosa ragione hai deciso di non morire secoli fa. Che c’è di strano? Capita tutti i giorni di chiedere un autografo a un Alchimista di seicento anni… >>

Nicholas arricciò le labbra in una risata muta, senza potersi trattenere.

<< Perry, per favore… >>

Perenelle capì in un istante dal suo sguardo che non era riuscito a distoglierlo dalle sue idee e a farlo ragionare. Incrociò le braccia contro al petto, stizzita. E preoccupata.

<< Perenelle… >>

La donna non incrociò i suoi occhi.

<< Non ho mai detto che Nicholas Flamel incontrerà quel ragazzo. >>

La Fattucchiera lo guardò con stupore, un sorriso riconoscente dipinto sulle labbra.

Nicholas abbassò il volume della radio e si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

<< Ecco cosa faremo…. >>

*

<< è sicuro? Non lo conosce proprio? >>

<< No, mi dispiace. >>

Richard uscì dal negozio irritato. Non sapeva quanto aveva camminato, ma gli facevano male i piedi, e finora non aveva trovato ancora nessuno che conoscesse Nicholas Flamel.

Non era solito perdere la speranza o la determinazione, ma quella situazione lo stava mettendo a dura prova. Non poteva neanche pensare di aver ricevuto un' informazione sbagliata riguardo la città in cui doveva trovarsi questo Nicholas Flamel. Non poteva pensare di essere in una situazione così disperata.

Ma perché non era tornato a casa sua, perché doveva sempre mettersi in mezzo?

Richard sospirò. Doveva ammettere che non era affatto pentito di essere arrivato fino a Montpellier pur di sapere la verità e trovare forse l’unica persona che potesse aiutarlo.

Avrebbe fatto qualunque cosa. Era lo stesso sentimento che spinge un’animale a masticare le sbarre della sua gabbia.

E forse era proprio questo il problema.

Si era gettato nell’ignoto, senza pensare alle conseguenze, seguendo le indicazioni di un bigliettino che si ritrovato in tasca. Non sapeva con certezza nemmeno chi glielo aveva infilato nella felpa.

N. F.

Naturalmente aveva un’idea di chi fosse il proprietario di quella calligrafia. Poteva essere sembrato debole e ingenuo, in quella casa, ma avrebbe dimostrato, almeno a sé stesso, che esisteva un Richard più audace e determinato.

Forse, lo sapeva, chi aveva scritto il biglietto, che lui avrebbe voluto trovare Flamel a tutti i costi.

Rabbrividì terribilmente, sedendosi su una panchina di un parco, mentre pensava con orrore che non era poi così sicuro di aver salva la vita.

 

*

<< è sicuro che non sia lei a sbagliare? Quanto è certo che Flamel si trovi a Montpellier? >>

Niccolò Machiavelli ascoltò la voce divertita della sua guardia del corpo con apparente indifferenza.

<< Stai dicendo che potrei essere io nel torto, invece che il ragazzo? >>

<< Sa benissimo cosa intendo. >>

Dagon si tolse gli occhiali, e Machiavelli si voltò con un sorrisetto strafottente.

<< Sono sicuro al settantaquattro per cento che Flamel risieda momentaneamente in quella città, il giornalista non è sicuro di niente e non sa dove sbattere la testa. Fino a che le percentuali non cambiano, ho più ragione di lui. >>

Dagon trattenne un sospiro. Machiavelli era una mente eccezionale, ma delle volte era insopportabile parlare con lui.

Soprattutto perché aveva il vizio di mettere a tacere le persone, doveva sempre avere l’ultima parola.

Eppure questo lo fece sorridere.

Machiavelli lo guardò e improvvisò una faccia sconsolata, ritornando poi a rivolgersi davanti a sé con occhi inespressivi.

<< Ufff… pensavo che sarebbe stato meno noioso… >>

<< La smetta, lo sappiamo entrambi che si sta divertendo. >>

*

Richard era immerso nei suoi pensieri, e aveva deciso che per un po’ non sarebbe tornato alla realtà. Immaginò di tornare al lavoro, a scrivere brevi articoli sul cambiamento climatico, o sull’inquinamento….

Si sorprese a pensare che forse avrebbe voluto davvero scrivere qualcosa su una questione molto meno innocente e scontata.

Come, per esempio, un mostro dalla testa di coccodrillo in un viottolo di Reims, uno strano tizio patito degli scacchi e un uomo che lancia fiamme gialle e che lo vuole morto.

Una bella storia.

Una bella e pericolosissima storia che non avrebbe mai messo su carta.

<< Mi perdoni se la disturbo…. Lei non mi conosce ma… >>

Richard si riscosse bruscamente, girò il volto in direzione di una voce alla sua destra e con gli occhi seguì i tratti di quel volto sconosciuto.

L’uomo aveva i capelli neri e corti, il naso dritto, e le iridi di un colore chiarissimo. Non aveva mai visto degli occhi più chiari.

Portava dei jeans scoloriti stretti da una cintura in cuoio, dei vecchi stivali da cow boy e una maglia dei Genesis, di vecchia fattura. Almeno una decina di bracciali multicolore gli circondavano i polsi.

<< Infatti, non mi conosce… >> rispose sgarbato Richard, irritato dal fatto che la sua pace momentanea fosse stata interrotta.

<< Mi scusi… >> sorrise l’uomo, con naturale gentilezza.

<< Soltanto, che, mi pareva di capire, lei cerca il signor Nicholas Flamel…. Ero proprio nel suo stesso negozio quando ha chiesto informazioni.

Richard scattò in piedi come folgorato, il viso brillante di speranza.

<< Sa dove si trova? Lo conosce? >>

Il giornalista era talmente eccitato che non sapeva quale domanda porre per prima.

L’umo sorrise quasi intenerito.

<< Casa mia è proprio qui davanti. Se vuole, possiamo parlare di Nicholas Flamel. Sa, è un tipo schivo, ma sempre disposto a dare una mano a chi ne ha bisogno… >>

<< Oh, io ne ho bisogno! Eccome! >> esclamò il ragazzo, ritrovando improvvisamente la gioia di proseguire la sua quasi disperata ricerca della verità.

<<  Allora mi segua, prego… >>

*

Nicholas sorrideva cordiale. Ma dentro di sé era allibito.

Non aveva più dubbi, quello non poteva essere un nemico. Non con quello sguardo di gratitudine, quello sguardo di chi ha paura e sa di avere poche possibilità.

Ma paura per cosa?

Era solo un ragazzo, un ragazzo normale. Non avrebbe mai reagito con così tanta gioia e gratitudine, se non fosse stato così.

Sapeva che Perenelle, fino a che non fosse stata completamente certa della sua innocenza, avrebbe pensato che fosse solo un bravo attore da mandare via il più in fretta possibile.

Ma Nicholas sapeva riconoscere i bugiardi. E lui non lo era.

*

<< Perché fa quella faccia? Il ragazzo ha trovato ciò che cercava, no? tutto secondo i piani…. >>

Niccolò girò il suo caffè, toccandosi il mento con una mano.

<< Richard non ha pensato neanche per un momento che potesse essere una trappola. Forse sospettava, anche se ne dubito, che il mio biglietto fosse solo un trucco per spedirlo nelle mani di Dee, e ha deciso di rischiare… >>

<<  Secondo me non ci ha nemmeno pensato… >> borbottò Dagon, con sufficienza. Si predispose all’ascolto, incrociando le braccia al petto.

<< Ma io mi chiedo…. >> continuò Machiavelli, parlando più a se stesso che a Dagon. Era chiaramente stupito.

<< Come si fa a non capire che se Nicholas è ricercato da qualcuno che sa il suo vero nome, probabilmente si sarà inventato un nome falso? Pensava davvero che sarebbe servito chiedere in centoquaranta negozi…. >>

L’espressione di Machiavelli divenne furbesca ed estremamente divertita, mentre congiungeva la punta delle dita. Davanti a lui passò l’immagine di un ragazzo dai capelli e occhi castani, radioso.

<< Richard Anderson… >> cominciò, rivolgendosi al giovane con voce sommessa. Dagon arricciò le labbra e non poté evitare di rivolgere un fugace sguardo ammirato a Machiavelli.

<< Sei talmente ingenuo…. Che quasi mi metti in difficoltà… mi farai impazzire…. >>




Mi dispiace, mi dispiace.... ci ho messo un secolo a finire questo capitolo. Non mi piace fare aspettare e metterci così tanto tempo, ma non era mia intenzione: )

Perdonata? ok, allora comincio col comunicare che se sto trattando troppo male Richard, vi prego, me lo dovete dire!

io lo adoro il mio oc.... ma questo non vuol dire che lo renderò perfetto: D

finisco e.... ringrazio tantissimo Tefymad, che nonostante tutti i ritardi continua ad avere pazienza, e Khoala, che sta entrando nella cerchia dei fan!

Ciao!


 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Enigmi irrisolti ***


Enigmi irrisolti


Perenelle non si mise a spiare dalla finestra solo perché l’idea di sembrare una di quelle pettegole che scostano appena le tendine per osservare, arcigne, i passanti, dall’alto della loro perfezione, non la ispirava particolarmente.

E poi Nicholas si meritava un po’ di fiducia.

 O almeno così spero…

Perenelle aveva conservato nei secoli quell’indole fondamentalmente diffidente che un tempo aveva avuto in comune con le donne della sua epoca.

Quando aveva conosciuto Nicholas si era aperta al mondo, e il mondo si era aperto a lei. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Suo marito era un uomo ben poco ancorato alle tradizioni, alle consuetudini. Le aveva mostrato meraviglie, anche se era più vecchia di lui e anche se era una donna.

Perenelle non rimase a lungo immersa in questi pensieri.

Sapeva di doversi fidare di Nicholas, sapeva che chi li cercava era solo un ragazzo umano, sapeva che ai loro nemici non sarebbe mai passato per la testa di adottare certi mezzi.

Eppure non poteva fare a meno di sentire una sottile vocetta nella sua testa che continuava ad affermare che fosse tutto opera di Dee.

Perché Perenelle sapeva anche che Nicholas non avrebbe mai lasciato una persona in difficoltà, soprattutto se aveva il dubbio che fosse a causa sua.

E lo sapeva anche Dee.

La donna mantenne la mente lucida e la schiena dritta, nonostante le fitte di ansia che continuavano ad assalirla.

Chiuse gli occhi per un secondo.

Un secondo in cui, come molte altre volte gli era capitato di fare, si impose la calma.

Era perfettamente cosciente della sua potenza. Se ci fossero stati dei pericoli, lei sarebbe stata attenta a svelarli prima che fosse troppo tardi, e poi li avrebbe eliminati.

Sarebbero scappati in un altro stato. Come sempre, tutto alla normalità.

Perenelle si riscosse, distogliendo lo sguardo dalle sue scarpe e puntandolo sulla porta. Sentì il rumore della chiave che girava nella serratura, all’esterno.

Nicholas ed il suo sorriso furono i primi ad entrare, seguiti da un ragazzo dai capelli e dagli occhi castano scuro e dai tratti pallidi e affilati.

La Fattucchiera si sforzò di sorridere e di essere gentile, imponendo a se stessa di ignorare il modo in cui l’ospite squadrava il loro appartamento.

Che cosa si aspettava di veder spuntare dal forno a microonde?

La donna salutò cortesemente, invitandolo a sedersi e offrendogli del caffè. Anche se il ragazzo le sembrava abbastanza agitato anche senza caffeina.

« Bene, allora. » cominciò Nicholas quando il ragazzo ebbe preso posto in salotto, su una poltrona color vinaccia.

« Io sono Stephan Donovan, e lei è mia moglie Amanda. Tu come ti chiami? »

*

« Richard » il giornalista si bloccò di colpo, ma la breve pausa che si concesse risultò quasi impercettibile.

Quasi.

« Vailand. »

Stephan gli strinse la mano.

« Piacere. Ma veniamo a noi. » disse, battendosi i palmi delle mani sui jeans.

« Mi pare di capire che hai fretta. »

Sorrise. Richard si sentiva rassicurato dal contegno incoraggiante dell’uomo, ma proprio per questo non riusciva a fidarsi. Per quanto ne sapeva poteva anche non sapere niente di Nicholas Flamel, oppure poteva essere un amico di John Dee, la persona da cui stava scappando.

« Che cosa vuoi sapere di Nicholas Flamel? » domandò Stephan, e Richard non poté fare a meno di notare che lo sguardo di Amanda si era fatto più attento.

« Cosa c’è da sapere? » chiese di rimando.

L’uomo inclinò leggermente la testa verso destra, con un’ espressione divisa tra innocenza e impassibilità.

« Devo dedurre che non sai niente? »

Richard si irrigidì, allarmato. Non sarebbe dovuto essere lui a fare le domande?

Più restava in quella casa e più aveva la sensazione di trovarsi su un altro pianeta.

Come aveva potuto pensare che bastasse chiedere in giro per trovare una persona che, per ovvi e validi motivi, probabilmente non voleva essere trovata?

E come mai invece aveva funzionato?

« è interessato anche lei, vedo. » rispose, diffidente.

Donovan sospirò, accavallando le gambe con apparente disinvoltura.

« Nicholas Flamel è una persona… bizzarra. Non ama che si parli di lui, ma » fece una pausa, accarezzandosi il mento e puntando lo sguardo su uno spazio indefinito sopra la testa di Richard.

« Quando qualcuno lo cerca ha un motivo ben preciso. E di solito non è amichevole. »

Richard percepì l’accusa velata nella voce e negli occhi dell’uomo, ma rimase in silenzio. Non sapeva cosa rispondere.

Se avesse detto che già lo sapeva avrebbe perso quel piccolissimo margine di vantaggio che intendeva riservarsi per un secondo momento.

Non poteva nemmeno dire di volerlo trovare per una visita di cortesia, visto che aveva girato mezza città con l’espressione sconvolta di un animale in trappola.

Si maledisse un centinaio di volte. Se solo fosse stato più cauto, se avesse pensato prima di agire…

Il silenzio cominciava a farsi pesante.

Richard si schiarì la gola.

« Anche io ho un motivo ben preciso. E non è piacevole, però… non gli procurerà danni. Almeno credo. »

« Ti tieni molto sul vago. »

Richard lo fulminò con un’occhiataccia.

« Lei sa che genere di… problemi ha Nicholas Flamel? »

Se Stephan Donovan rimase sorpreso dalla sua domanda, fu bravo a dissimulare in fretta il suo stato d’animo. Ma la breve pausa che seguì suggerì a Richard di averlo colto alla sprovvista.

« Vagamente. » rispose l’uomo, lo sguardo ora più severo. Amanda si mosse nervosa alla sua destra.

Richard non si scompose, deciso ad assumere anche un atteggiamento maleducato pur di trovare le sue risposte.

« Vagamente. Un po’ poco, no? io ne so più di lei, allora. Ha detto che Flamel è una persona per bene. Lo sono anche io, e questa è probabilmente l’unica cosa che abbiamo in comune, a parte essere invischiati negli stessi guai. »

*

Nicholas Flamel fu colto improvvisamente da una miriade di emozioni diverse, e gli risultò difficile, più del solito, nasconderle.

Sorpresa, diffidenza. Rammarico per quel ragazzo. Dubbio, misto alla consapevolezza di avere anche lui molti interrogativi da risolvere.

Sa più di quel che lascia intendere, pensò, e scambiò uno sguardo con la moglie, sicuro che stesse riflettendo sulla stessa cosa.

Che cosa doveva fare adesso? Cacciarlo?  E se fosse stato vero quello che aveva detto?

Ma come può questo ragazzo avere qualcosa a che fare con me?

Perenelle fu la prima a prendere nuovamente la parola, con voce tranquilla ma lievemente tagliente.

« Quindi… » cominciò, il suo accento francese che impregnava ogni lettera.

« Tu sai chi è. »

Richard la guardò con un lampo sconsolato ma deciso negli occhi scuri.

« Non so chi sia Nicholas Flamel. » affogò un sospiro nella tazza di caffè, ormai fredda, che teneva ancora tra le mani.

« Ma so da chi sta scappando. »

*

« Una simile imprudenza da parte sua, signore… non credevo di poter vivere abbastanza da poterla vedere. »

Machiavelli poggiò i gomiti sul davanzale della finestra, ascoltando lo sbattere delle ali dei piccioni e il rumore delle auto sulla strada con i suoi sensi risvegliati.

Non cambiò posizione quando sentì Dagon strusciare i piedi, impaziente di una risposta. Solo le sue iridi grigio acciaio si spostarono nella sua direzione.

« Tu la chiami imprudenza, Dagon? Io lo chiamo istinto. »

Dagon si pose di fianco a lui, osservando l’immortale volgere il capo verso il cielo nuvoloso, poi più giù verso i palazzi, poi sui passanti.

Per un attimo pensò che Machiavelli non avesse nessuna intenzione di aggiungere altro.

Capitava spesso che lasciasse libera interpretazione alle sue parole, quando non aveva voglia di spiegarsi. Dagon lo lasciava fare, senza porre domande. Sapeva che l’immortale detestava essere disturbato mentre pensava.

Si voltò, ancora impassibile, ormai rassegnato a rispettare il silenzio del suo padrone.

« Hai ragione, ho agito senza un’idea ben definita, all’inizio. Ma sapevo che avrei potuto utilizzare Richard in qualche modo. Diciamo che me lo sentivo. »

Dagon inarcò un sopracciglio e si tolse con due dita gli occhiali scuri, scoprendo gli occhi enormi e lucidi.

« Se lo sentiva? »

Machiavelli teneva molto in considerazione il suo istinto, ma difficilmente agiva senza aver pensato alle conseguenze.

L’italiano sorrise di fronte alla sua sorpresa.

« Già. Ovviamente in seguito mi sono fatto venire un’idea. Non ho intenzione di rischiare niente per Richard. E sai, Dagon » Machiavelli si girò, i palmi delle mani poste sul davanzale dietro di lui.

Le labbra si incurvarono appena.

« Penso di aver avuto ragione. »

« Lei pensa sempre di aver avuto ragione. »

L’immortale scosse le spalle, invitando con un cenno la sua guardia del corpo a seguirlo in cucina.

« Vieni. Andiamo a verificare se ho fatto centro anche questa volta. Sai, prima o poi dovrò pur sbagliare. »

Machiavelli parlò come se non ci fosse alcun dubbio, mentre si avviava verso la cucina seguito dal suo segretario.

Quest’ultimo non si fece sfuggire il breve bagliore passato negli occhi dell’immortale.

« Certo che l’umiltà non è il suo forte. »

Niccolò sogghignò appena, con l’espressione di chi è stato colto sul fatto.

All’improvviso si arrestò in mezzo al corridoio, e Dagon trattenne un gemito, consapevole di aver acceso una lampadina nella mente, assai difficile da gestire, dell’immortale italiano.

Lo capiva, perché erano secoli che lo conosceva.

E come si aspettava, Niccolò si voltò velocemente e lo guardò. La sua espressione sarebbe stata impassibile, se non fosse stato per gli occhi sgranati.

« Sei diventato estremamente chiacchierone, Dagon. A questo proposito, questa notte, mentre non riuscivo a trovare un programma in tv che mi annoiasse abbastanza da farmi addormentare, ho fatto qualche calcolo. E ti interesserà sicuramente sapere che la tua loquacità in queste ultime cento trentanove ore è aumentata del »

Dagon si rifiutò di starlo a sentire e lo superò, arrivando per primo alla cucina.

Machiavelli interruppe il suo discorso e lo seguì.

Sul tavolo immacolato della cucina un quaderno rilegato in pelle nera era in netto contrasto con tutto l’ambiente circostante.

I due immortali rimasero un attimo in silenzio a guardarlo, entrambi consci del potere di cui erano in possesso.

Il primo istinto era quello di allontanarsi. E di non toccarlo.

Machiavelli prese posto su una sedia e pose le mani sopra la copertina rigida del quaderno.

« So che i miei calcoli matematici non ti vanno a genio, Dagon. Me la faresti lo stesso una tisana alla menta? »

Dagon raggiunse lo scaffale e afferrò una piccola tazza, poi aprì un altro mobiletto lì a fianco e prese le erbe.

« Lei non fa nessun calcolo. Se li inventa. »

Machiavelli chiuse il discorso con un gesto disinvolto della mano.

Non aveva intenzione di sprecare tempo.

Ignorando il bruciore ai polpastrelli, aprì il quaderno, e le pagine, coperte da una scrittura tondeggiante, si illuminarono per un momento.

*

Niccolò si strofinò gli occhi chiari, cerchiati da occhiaie marcate, non ancora del tutto ripreso dall’ennesima notte in bianco.

Dagon entrò nella stanza con una certa fretta, dopo aver bussato, mentre l’italiano si stava infilando le scarpe con l’aria di chi non assume caffeina dall’età elisabettiana.

« Signor Machiavelli, ho trovato questa nella cassetta delle lettere. »

Dagon porse una sottile busta, bianca quanto la sua mano, all’immortale.

Machiavelli la aprì con curiosità, dimenticandosi come per magia della stanchezza, senza curarsi di non strappare la carta. Era raro ricevere posta per uno come lui. Nessuno sapeva il suo indirizzo.

Quasi nessuno. 

E quindi poteva essere solo lui.

Niccolò si rigirò tra le mani una brutta cartolina di Toronto, scambiando uno sguardo col suo segretario, che osservava in silenzio. L’uomo esitò, prima di voltarla. 

Niente saluti, niente dediche, niente inviti o parole amichevoli.

Solo una frase, scritta in una calligrafia dalle forme alte e oblique, in italiano moderno.

Machiavelli quasi se la fece cadere di mano, e a quel punto Dagon drizzò la schiena.

« Che cosa succede?»  chiese la creatura, mentre l’immortale faceva scorrere freneticamente gli occhi da un capo all’altro della cartolina.

« Non mi aspettavo niente di buono, dopotutto…»

Dagon lo raggiunse, deciso a non permettergli di cominciare a parlare solo con se stesso. Sporse la testa al di sopra della spalla di Machiavelli e lesse il messaggio, i suoi grandi occhi tondi che indugiavano con fatica su ogni parola.

Non c’è pce nele stelle, sa?

I telescpi funzioano anor.

Imstram quanto vali,

giovae figli degli uomini.

Dagon rimase impietrito, non trovando niente da dire per spezzare il silenzio pesante, per diversi minuti.

Machiavelli non diede alcun tipo di spiegazioni e si sedette alla scrivania del suo elegante studio privato, una penna in una mano e la cartolina nell’altra.

« Non ci vuole molto per capire che mancano delle lettere. » disse Dagon, in un momento in cui gli sembrò che Machiavelli fosse giunto a una qualche conclusione, e che quindi potesse allentare l’attenzione sulla cartolina e rispondergli.

« Migliori di giorno in giorno, Dagon. In effetti, è un codice complessivamente facile da risolvere. È poco articolato. »

Machiavelli, colto da un fiotto di curiosità e da una brutta seppur interessante sensazione, si chinò appena sulla cartolina e fece scricchiolare la penna sulla carta

« Aggiungendo le lettere mancanti per ottenere parole corrette… » iniziò a spiegare, mentre Dagon lo ascoltava impassibile.

« Si ricava il messaggio completo. Nel caso della prima frase, non c’è pace nelle stelle, sa? le lettere mancanti sono la A e la L.  Poi: i telescopi funzionano… ancora. »

Machiavelli scandì bene ogni parola, come per accertarsi che fosse corretta, e Dagon non osò interromperlo.

« “Anor”.  Sarà “ancora” o “ancor”? »

Dagon fece un gesto disinvolto con la mano.

 « Cambia molto? »

« Cambia tutto. Sono convinto che il messaggio in sé abbia un significato, ma credo anche che le lettere tolte abbiano un loro scopo. »

Dagon avrebbe fatto spallucce, se fosse stato più propenso ad assumere atteggiamenti umani. Non riusciva a capire perché Machiavelli, con Dee alle costole e Anderson da tenere d’occhio si stesse dando tanta pena per quel messaggio senza senso.

« Non ha pensato che potrebbe essere solo uno scherzo? Non c’è scritto il suo nome sulla cartolina, né il suo indirizzo. Non è stata lasciata dal postino. »

Dagon continuò imperterrito, nonostante la fastidiosa sensazione di non essere ascoltato.

« Qualche ragazzino avrà pensato di scrivere il testo di una di quelle canzoni che vanno di moda al giorno d’oggi, e avrà sbagliato a scrivere. »

Finalmente Machiavelli sembrò degnarlo di attenzione, trapassandolo con uno sguardo impenetrabile.

Evidentemente stava riflettendo se valesse davvero la pena perdere tempo per spiegarsi, o lasciare Dagon ai suoi dubbi. Sospirò.

«Questo non si avvicina nemmeno lontanamente a una teoria probabile. Per tre motivi. »

Alzò il dito indice.

« Uno. Questa cartolina arriva da Toronto. »

Dagon fu pronto a rispondere.

« Il ragazzino di cui parlo l’avrà trovata in casa sua, oppure è appena tornato dalle vacanze.»

« Teoria esclusa dal secondo e terzo punto. Due: mentre non mi è difficile pensare che la lettera mancante nella parola “telescopi” possa essere un errore di distrazione, così non è per “Imstram”. Davvero troppo storpiata. Non può essere casuale. »

Sul volto di Dagon apparve una smorfia di disappunto, nello stesso istante in cui la creatura capì che Machiavelli aveva già calcolato tutto.

E quindi, l’ennesimo enigma li aspettava.

« E tre : mi tengo aggiornato sulle canzoni italiane in voga di questi tempi. »

Dagon alzò un sopracciglio di fronte al sogghigno di Niccolò.

« Non è vero. »

« E tu come fai a saperlo? »

Dagon avrebbe facilmente risposto che era al suo servizio da secoli e che di recente era stato in sua compagnia per buona parte del giorno.

Ma si frenò all’improvviso, preferendo rimanere in silenzio.

Per buona parte del giorno. Del giorno, non della notte.

« Comunque sia… nessuno in questa città sa il mio vero nome, né la mia nazionalità. Curiosa coincidenza che il messaggio sia proprio in italiano, vero? »

Machiavelli non aveva più voglia di parlare. In quel momento tutta la sua mente era concentrata sul messaggio, e sul metodo di risoluzione. Non doveva essere molto difficile.

Aveva visto schemi molto più complicati.

Piuttosto, lo preoccupava il mandante, ma anche il significato del testo.

Perché il suo informatore avrebbe potuto trovare altre centinaia di parole, che contenessero le lettere che gli interessavano.

Perché proprio quelle?

E poi… l’indirizzo…

*

Rubata.

Le figure nascoste nell’ombra di una stretta sala circolare, sormontata da vetri neri e decorati di antiche rune, si muovevano una dietro l’altra. Due passi avanti. Uno indietro. Una pausa e di nuovo indietro, i piedi che parevo non toccare terra, tanto il loro passo era leggero.

Rubata.

Nessun suono arrivava alle orecchie delle figure, ma questa parola sembrava espandersi nella mente di ognuno di loro, nascendo dal nulla.

Quegli esseri non avevano mai aperto le loro labbra strette dai fili della tela di Aracne.

Quando erano riuniti formavano un’unica entità, i loro pensieri erano comuni, la loro età era comune, il loro sapere era comune.

Come se fossero parte di una sola persona.

Chi ha osato tanto?

Ritrovarla.

Era furioso. Davvero furioso.

Lo è ancora. Noi lo vediamo.

Noi vediamo tutto ciò che è sui nostri sentieri.

Ma adesso, cosa sarà di lei?

Loro non lo sanno. E mai lo sapranno, senza di noi.

Rischieremo.

Ma saremo liberati.

Grazie… figlio degli homines.

 

N.D.A.

Lo ammetto, non è un granché. 

La cosa positiva è che l’ispirazione è tornata e credo che rimarrà per un po’. E la situazione di ogni personaggio non sarà delle migliori, anzi, mi sa che qualcuno sarà nei guai fino al collo.

Ci ho messo tanto, e mi dispiace tantissimo. Non ci è voluto molto tempo per il capitolo, ma ho modificato tutte le mie idee sulla continuazione, che adesso è un bel po’ più articolata.

I miei impegni sono quasi finiti e, a parte fare i salti mortali per non rovinarmi la media del seiiiiiinooooo scarso in matematica, non ho altre preoccupazioni. Conto (spero) di postare il prossimo capitolo prima del solito ; )

Grazie a chi continua a seguirmi, mi date grinta e carica : D

Ciao!

Tacet433

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il messaggio ***


Il messaggio

 

Dagon osservò l’immortale a cui prestava servizio far cadere le zollette di zucchero nella sua tisana, in piedi, un palmo saldamente appoggiato al tavolo e il capo reclinato a fissare la cartolina.

Quando anche l’ottava zolletta cadde nel liquido fumante, la creatura cominciò a preoccuparsi.

Ma si sforzò di ignorare il dettaglio.

« Non crede di star esagerando, signor Machiavelli? »

L’uomo non alzò nemmeno la testa, e Dagon si aspettava il silenzio come unica risposta.

Invece l’italiano, dopo aver  preso una penna e un foglio stropicciato, rispose distrattamente.

« Lo sai che riesco a sentire solo i sapori molto dolci o molto piccanti, Dagon. »

« Non mi riferivo a questo. Personalmente, signore, penso che controllare sia il... quaderno, e in più pretendere di risolvere anche l’enigma della cartolina sia… rischioso. Non starà sottovalutando Dee, mi auguro. »

Machiavelli cominciò a scrivere sul foglio stropicciato, con una grafia più marcata del solito.

« Il Mago sospetta di lei. »

« Lui sospetta sempre di me. Credo che anche i suoi padroni si siano stancati di ascoltare le sue accuse.»

Dagon venne consolato da un unico pensiero. Dietro alle scrollate di spalle di Machiavelli si celavano attente riflessioni.

« Il più delle volte aveva ragione. »

Per un momento Niccolò parve irritato. Poi la sua espressione tornò a distendersi, per lasciare spazio a una serena imperturbabilità. Ancora non lo guardava.

« E ogni volta non aveva nessun mezzo per dimostrarlo. »

« Anche una accusa infondata può mettere in cattiva luce una persona, lo ha detto lei stesso. »

Machiavelli sospirò e si decise a guardarlo.

« Senza un po’ di rischio, non si arriva da nessuna parte. Come pensi abbia fatto Alessandro Magno a conquistare quello che sarebbe diventato il potente impero di Macedonia? Scendendo in prima linea contro il nemico. Se stessi troppo buono gli Oscuri Signori penserebbero che io mi stia guardando continuamente le spalle… in questo modo, pensano solo che c’è del rancore tra me e Dee. Ricorda: il sospetto nasce quando non si hanno le cose sotto controllo. Se io avessi voluto davvero andare contro al volere dei miei padroni, sarei stato più attento a ciò che Dee ha detto di me davanti a loro, mi sbaglio? »

Machiavelli non aveva mai smesso di scrivere sul suo foglietto. Di tanto in tanto si metteva dritto sulla sedia, le braccia tese e i palmi sul tavolo, a contemplare riflessivo la sua opera.

« Naturalmente non è bene esagerare… »  aggiunse dopo qualche secondo, con voce incolore.

« Ma con un padrone col carattere come quello di Aton non posso stare troppo ai margini della sua attenzione. Non lo apprezzerebbe. Non gli piacciono le persone passive, ma quelle con abbastanza spirito di iniziativa, determinazione e scaltrezza che ti portano inevitabilmente ad essere nemico di Dee. »

Dagon era diviso tra ammirazione e turbamento.

Negli anni Machiavelli non aveva perso il tocco. Sapeva esattamente quando comparire e quando stare fuori dai giochi, con quali persone poteva permetterselo, ma continuando a lavorare nell’ombra, malgrado il suo diretto quanto invisibile coinvolgimento.

Ma Dagon aveva il compito di guardare le spalle all’immortale italiano, e questa volta si sentiva in dovere di metterlo in guardia.

« Si sospetta che Alessandro Magno sia stato ucciso dalle persone più fedeli a lui, signore.» disse la creatura, frugando nella memoria alla ricerca delle nozioni storiche che Machiavelli gli aveva insegnato.

L’italiano fece un gesto di approvazione col mento, prima di ghignare e tornare a guardare il suo pezzo di carta.

« La similitudine non ti fa onore, Dagon, considerando che la persona più fedele a me sei tu.»

La bocca larga di Dagon si aprì il una smorfia che poteva somigliare a un sorriso, e per l’ennesima volta la creatura si rese conto di quanto fosse inutile discutere con l’immortale italiano.

Machiavelli gli fece un cenno con la mano, per intimargli di raggiungerlo.

« Guarda qui. » indicò sulla carta, dove c’erano scritte le lettere mancanti del messaggio arrivato poco prima.

Machiavelli sorrise e cominciò a recitare l’intero testo a memoria.

« Non c’è pace nelle stelle, sa? i telescopi funzionano ancora. Dimostrami quanto vali, giovane figlio degli uomini. »

Dagon lo guardò con indifferenza. Non gli diceva niente, ma Machiavelli lo guardava come se si dovesse accorgere da un momento all’altro di una caratteristica bizzarra e lampante del messaggio.

Dopo almeno qualche minuto di silenzio, in cui l’italiano lo aveva osservato con un sorrisetto divertito e le dita intrecciate in grembo, Dagon alzò un sopracciglio.

« Allora? » domandò Machiavelli, colmo di aspettativa.

Dagon si accigliò. Sarebbe dovuto essere lui a dire “Allora?” con quel tono.

« Allora cosa? »

Machiavelli lo guardò come se la risposta fosse evidente.

« Non noti niente di strano? » chiese, gli occhi dilatati da un’esasperata sorpresa.

Dagon sbuffò con una brutta smorfia sarcastica.

« Noto parecchie cose strane… lei è una di queste, signore… con tutto il rispetto. »

Machiavelli arricciò le labbra in un sorriso accondiscendente.

« Cercherò di prenderlo come un complimento. Guarda l’indirizzo. »

La creatura obbedì di nuovo, ma non arrivò a una conclusione nemmeno questa volta.

« Non ha alcun senso. »

Là dove comunemente veniva scritto l’indirizzo con la via e la città, c’era solo una serie di numeri.

Dagon scrollò le spalle, irritato.

« Sono… tredici numeri. E con questo?»

« Errore. » disse Machiavelli. « i numeri sono undici. Due, uno, cinque, sei, tre, sette. E nella riga sotto : Quattro, otto, dieci (non uno e zero), undici ( non una coppia di uno) e nove. »

« Perché non possono essere numeri separati?» chiese Dagon.

Machiavelli gli porse il foglio con le lettere mancanti delle parole, e la creatura ebbe la sensazione che Machiavelli volesse istruirlo sul suo metodo di lavoro.

« Il segreto è cercare un senso in ogni cosa. Hanno un senso, queste lettere messe in questa posizione? » disse l’italiano.

« No.»

« Eppure sono nell’ordine in cui le ho trovate. Sarebbe troppo facile. Quindi ci deve essere un’altra chiave. Ed è questa sequenza numerica, un metodo vecchio e semplice. I numeri corrispondono al posto delle lettere. Inizia con un due, quindi la prima lettera sarà quella al secondo posto nel messaggio. Quella contenuta nella parola “NELE”. La L. »

Dagon cominciava a capire. Si sporse verso il tavolo, e notò che Machiavelli aveva una scintilla compiaciuta nello sguardo. Solo lui riusciva ad interessare una creatura venuta da un profondissimo abisso di un Regno D’ombra sperduto nell’universo.

« Quindi non è possibile che il dieci e l’undici siano in realtà due cifre… perché ci sarebbero più numeri che lettere. E non si potrebbero formare le parole. »

« Molto bene, Dagon, davvero molto bene. Eppure… » Machiavelli fece una piccola pausa, osservando attentamente il suo segretario. « Avanza comunque un numero. »

Dagon ebbe la sensazione di essere tornato al punto di partenza. Non aveva abbastanza pazienza per sopportare la spiegazione di una diversa chiave di lettura di quella dannata cartolina.

Si trattenne dallo sbuffare, sapendo che Machiavelli lo stava prendendo in giro con quella pausa ad effetto.

« Avanza un numero perché, nella speranza che tu lo notassi, non ho contato apposta una lettera. »

« Dove?»

« Non c’è pace nelle stelle, sa? No. Non c’è pace nelle stelle, sai? »

Machiavelli annuì, prendendosi il mento tra due dita, con noncuranza. Come chi è già sicuro da tempo di vedere confermate le sue supposizioni.

« D’altra parte, non ho mai chiesto alla persona che ha scritto questo messaggio di darmi del lei. »

Se possibile, gli occhi di Dagon diventarono ancora più grandi, e la sua bocca, per un momento, si aprì in una O muta, colto dalla stupore.

« Lei sa di chi si tratta? »

Machiavelli sorrise, e fece di nuovo segno a Dagon di avvicinarsi, gli occhi grigi lampeggiavano di una serenità inquietante.

« Vuoi sapere cosa viene fuori dalle misteriose lettere, Dagon? » disse, quasi sussurrando, con malizia.

Spostò con due dita una cartella chiara e sottile. Sotto di essa, un altro dei suoi foglietti stropicciati.

Sopra, solo due parole.

*

Il dottor John Dee alzò il telefono e compose il numero, preparandosi alla difficile conversazione che avrebbe dovuto sostenere.

Sentì due squilli, poi gli arrivò una voce profonda all’orecchio.

« Pronto? »

Dee pensò in fretta che la gentilezza fosse superflua con esseri del genere.

« Passami Machiavelli, Dagon. »

« Si chiede per favore, dottore. Ti ascolto. »

John si morse il labbro, infastidito. L’italiano si era sicuramente avvicinato a Dagon mentre rispondeva.

Infantile.

« Non posso dire che sia un piacere risentirti. » disse il Mago, la voce neutra.

« Non mi sorprende. »

« Ti ricordi quando mi hai detto che Richard si sarebbe fatto sentire, che sarebbe andato in giro a creare fastidi e che l’avrei trovato ed eliminato prima che potesse far danni grazie alla sua voglia di mettersi in mostra? »

« Certo, dottore. Mi ricordo. »

Dee si strofinò la barba. Stava vivendo tutte le emozioni che aveva provato in quei giorni. Preoccupazione per la questione di Richard. Rabbia, perché lui sapeva che poteva essere coinvolto Machiavelli , ma non poteva esserne certo. E divertimento, perché per una volta poteva rinfacciare a Machiavelli un fallimento.

« Non è stato così. Anderson non si è più fatto sentire, e io comincio a sentirmi… irritato. Sai cosa succede quando mi sento irritato. »

« Di solito un disastro. » gli rispose la voce annoiata di Machiavelli. « Ma non capisco perché chiami me. »

« Chiamo te perché sei coinvolto, la sua fuga è anche una tua responsabilità. »

« Veramente non lo è. La missione era affidata a te, io dovevo solo guardarti le spalle, ed è quello che è fatto. »

Dee prese un profondo respiro, intimandosi di restare calmo.

« Sai dove potrebbe essere andato Anderson? » chiese, arrivando velocemente al punto della conversazione.

« Immagino che tu abbia già guardato a casa sua…»

« Sto svolgendo delle indagini in segreto sulle sue abitudini… »

Dall’altro capo della linea arrivò il rumore strascicato delle scarpe di Machiavelli.

« Pensavo che la tua priorità fosse Flamel. »

« Lo è. »

« Cosa aspetti ad andare a prenderlo? »

Dee sorrise, un’idea che si faceva spazio nella sua mente.

« Devi cercare tu Richard Anderson, Machiavelli. O potremmo finire entrambi nei guai. Inutile che lo neghi. Se i nostri padroni lo dovessero scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei compiti e i tuoi. »

« Eppure… » la risposta di Machiavelli non tardò ad arrivare. « tu mi sembri molto più preoccupato di me. »

« Pretendi di sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di grosso, e prima o poi potresti pentirtene. »          

Dee aspettò una risposta, ma evidentemente Machiavelli non aveva alcuna voglia di sostenere una conversazione. Meglio così.

« Io mi metterò sulle tracce di Flamel, ma il silenzio di Anderson inizia a insospettirmi. »

Machiavelli sospirò spazientito. Non sembrava prendere molto sul serio la questione, ma con un tono di accondiscendente gentilezza non aspettò a rispondere.

« Facciamo così, dottore. Manderò Dagon a cercare il giornalista. Così, forse, finalmente potrò avere… »

Dee interruppe la telefonata, sul momento solo vagamente soddisfatto. Non si fidava affatto di Machiavelli, ma se qualche Oscuro Signore avesse scoperto che c’era un figlio degli homines che sapeva troppo, lui avrebbe potuto dire di essersene preoccupato, e di aver affidato il compito all’altro immortale.

Avrebbe potuto dire di essere d’accordo con l’italiano, di aver potuto ritenere risolta questa questione perché Machiavelli aveva accettato di occuparsene personalmente.

Machiavelli gli aveva fornito, pur non sapendolo, una scusa convincente per avere le mani pulite sulla faccenda.

John Dee sorrise con perfidia, rigirandosi il suo registratore vocale fra le dita.

*

Machiavelli aveva appena posato il telefono, e ora osservava Dagon senza vederlo veramente, mentre le parole di Dee gli frullavano ancora per la mente.

«Se i nostri padroni lo dovessero scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei compiti e i tuoi. »

Aveva sicuramente ragione, ma non era necessario dargli questa certezza così presto.

« Pretendi di sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di grosso, e prima o poi potresti pentirtene. »          

A questa frase aveva avuto serie difficolta a trattenere un sogghigno.

Ma davvero?

Pensò quelle due parole con malizia e scetticismo, e per un attimo fu tentato dall’idea di escogitare qualcosa per dimostrargli il contrario, per lasciarlo senza parole.

Ma dovette rinunciare quasi subito all’idea. Non sarebbe risultato producente mandare in pezzi quella alleanza, seppur scomoda, fastidiosa e assolutamente fragile, che i loro Padroni li avevano obbligati a tenere.

Non avevano mai nascosto il loro disprezzo reciproco, ma gli Oscuri Signori li avevano fatti lavorare insieme diverse volte, forse perché per certi versi erano l’uno l’opposto dell’altro.

A questo punto, Dee avrebbe anche potuto smettere di preoccuparsi per Richard, e Machiavelli non aveva bisogno di farlo, dato che aveva un mezzo di spionaggio infallibile e sapeva già dove si trovava in quel momento.

« Lancia Odino?»

La voce dalla sonorità cupa di Dagon ridestò l’italiano dai suoi pensieri.

« Sì. » si affrettò a dire, riportando la concentrazione sul suo segretario e sulle due parole misteriose.

« Immagino che la forma corretta del messaggio sia Lancia di Odino, ovviamente, ma non penso che chi me l’ha mandato abbia avuto molto tempo. Aveva fretta, si capisce dalla scrittura marcata e disordinata, e dal fatto che non abbia potuto inventare un codice più complesso. »

Dagon rimase in silenzio. Non era mai stato abituato a fare tante domande, o ad interessarsi delle risposte. Per lui bastava che Machiavelli avesse la situazione sotto controllo e che non corresse rischi.

« Bene, adesso…» iniziò l’italiano, l’espressione serena e soddisfatta « ti spiacerebbe andare a dare un’occhiata al… quaderno? Intanto io proverò ad usare questo tempo per riflettere.»

La creatura annuì, in silenzio si diresse verso la cucina, e sul tavolo bianchissimo risaltava il sottile quaderno nero con la copertina rigida. Sul colore scuro si potevano distinguere delle cupe sfumature blu notte.

Dagon lo aprì, ad una pagina a caso, poi afferrò una penna e cominciò a scrivere poche parole, con la sua scrittura grossolana, proprio al centro delle due pagine.

Richard Anderson

Poteva bastare? O doveva scrivere anche i nomi dei Flamel?

Ma prima che potesse dare una risposta a quella domanda il sottile libricino aveva già cominciato a vibrare. Un disegno molto realistico cominciò a delinearsi davanti ai suoi occhi, occupando tutte e due le pagine con linee morbide e rossicce, più spesse e più sottili a seconda delle zone d’ombra o di luce.

Dagon incrociò le braccia e osservò il giovane giornalista gesticolare a scatti, dalla prospettiva che quell’antichissimo strumento di spionaggio gli offriva.

*

 Con il volto magro nascosto dal cappuccio grigio di una felpa rovinata, un ragazzo fissava intensamente davanti a sé, aspettando la metropolitana. Dei brividi freddi gli attraversavano la schiena, facendolo sussultare. Una donna di mezza età lo guardò con spaesamento e timore. Chissà cosa doveva pensare in quel momento, quella vecchia figlia degli homines.

I sussulti divennero sempre più frequenti. Il ragazzo gemette, non riuscendo più a controllare il tremore allo sterno, e il sudore freddo che gli scendeva dalla fronte e sul collo. Si strinse nella felpa, piegato in due, ad ogni battito del cuore seguiva un nuovo sobbalzo delle costole e della schiena. E improvvisamente si sentì la mente vuota. Ignorava tutto, perché niente contava più qualcosa. Il rumore della metropolitana, le parole della donna, che adesso si era alzata. Lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi per guardarla, e anche se lo avesse avuto, non sarebbe riuscito a muovere un muscolo.

Riusciva solo a pensare al freddo. E a lei, come era ovvio.

All’improvviso sentì una mano sulla spalla, una mano calda, così calda da bruciarlo. Qualcosa scattò in lui, e davanti ai suoi occhi tutto si fece rosso.

Si alzò di scatto, si liberò con un gesto violento dalla leggera presa della donna.

Poi scappò. Tenendo gli occhi bassi, e le braccia ancora strette al petto. Ogni figura che vedeva alzando appena le iridi lucide di febbre era cerchiata di rosso vivo.

Corse fino a non avere più fiato, la gente si scansava davanti a lui, istintivamente, e lui aveva paura di cadere, perché non gli reggevano le gambe.

Si gettò in un bagno e si sporse verso il lavandino. Non aveva il coraggio di guardarsi allo specchio.

Sentì un ultimo brivido, più lungo, più agghiacciante, che gli fece inarcare la schiena. Poi tutto finì, velocemente come era iniziato. E lui riprese rapidamente il controllo della sua mente.

« Sei spietata. »

Il bagno non era deserto, lo sapeva. Sapeva che lei era lì, e ancora una volta, dentro di lui l’arroganza fu più forte di ogni altra cosa.

« Sai bene che non è mia la colpa. »

Il ragazzo si girò. Davanti a lui c’era lei, bella come la ricordava, i cappelli biondo platino lunghi fino alla vita, la corporatura esile ma scattante, un perfetto volto ovale e gli occhi color lavanda.

Rimase impassibile, ricambiando l’espressione di ghiaccio della ragazza.

« Questo succede ai traditori come te. »

Il ragazzo ghignò, irriverente.

« Questo succede quando ci sei tu nelle vicinanze… »

La ragazza scosse appena la testa.

« Succede quando sono troppo poco vicina perché tu mi possa vedere… » precisò con voce melodiosa « ma abbastanza vicina perché tu mi possa sentire. »

Il ragazzo alzò le spalle, e per un attimo gli parve di vedere un’espressione ferita sul bel volto della giovane di fronte a lui.

« Devi tornare. » gli disse, esitante ma fredda al tempo stesso.

Fredda. Era così che lui l’aveva sempre ricordata. Era così che era sempre stata, in verità.

Si era solo immaginato quella lieve traccia di speranza nella sua voce?

« Io non penso. »

Sfoderò il suo migliore sorriso sarcastico. Non si era mai pentito delle scelte che aveva fatto, e non sarebbe tornato sui suoi passi. Nemmeno per lei.

Era passato quasi mezzo secolo, e in quel tempo lui aveva rafforzato le sue idee. Era nel giusto, e non ne era mai stato più sicuro.

« Invece devi farlo, adesso è necessario. »

Il ragazzo fece finta di pensarci su, poi, con un sorriso sghembo, scosse la testa.

Lei divenne appena un po’ più pallida, facendo risplendere la chiarezza del suo volto sotto le lampade al neon.

« Ma adesso ti ho trovato. E chiamerò loro, se non vorrai ricongiungerti a noi di tua volontà»

Il ragazzo si accigliò e sbuffò di rabbia.

« Pensi che mi vogliano? Mi uccideranno appena rimetterò piede nel loro Regno d’Ombra!»

Si ricordò solo dopo aver urlato quelle parole di essere nel bagno di una metropolitana piena di homines. Gettò occhiate nervose intorno a lui, ammutolendosi.

La ragazza, invece, sorrise vittoriosa.

« Sono passati più di cinquant’anni, ma ancora non hai imparato a vivere con gli homines! Non ho mai capito che cosa cerchi, Alypion, ma non lo troverai mai, qualunque cosa sia, perché sei un estraneo sia in questo Regno d’Ombra che nella tua vera casa! »

Alypion le rivolse un’occhiata sprezzante, sperando di riuscire a spezzare quel sorriso. Era tutto quello che si meritava.

Un sorriso sarcastico, trionfante e caldo. Troppo caldo per una come lei.

« Quella non è mai stata casa mia. Tu non sei mai stata casa mia. »

Si gettò fuori dal bagno, lasciando aperto il lavandino, salendo le scale fino in superficie.

Non aveva tempo e non aveva voglia di pensare a quell’incontro.

Con un sorriso divertito si chiese se il suo messaggio fosse stato compreso.

*

Machiavelli osservò Dagon tenere d’occhio Richard Anderson attraverso il quaderno, le sopracciglia inarcate in una domanda muta.

La creatura nemmeno lo guardò. Non ne aveva bisogno.

« Niente, per adesso, signor Machiavelli. Ma… Flamel e sua moglie hanno lasciato solo il ragazzo. »

Niccolò annuì. Era logico che volessero consultarsi sul suo conto.

« Avvertimi se noti qualche cambiamento, Dagon. »

L’italiano tornò a concentrarsi sul suo misterioso messaggio. Pensava di aver capito a cosa si riferiva il suo informatore quando parlava di telescopi e stelle.

E poi, c’era il “giovane figlio degli homines”.

Ci aveva già riflettuto parecchio. Non poteva essere sicuro che fosse riferito ad Anderson, eppure era l’unico giovane con cui era venuto in contatto di recente.

Ma era un’idea ridicola. Era solo un giornalista da quattro soldi, non poteva certo essere affiancato a delle informazioni così importanti.

Machiavelli pensò che sarebbe stato utile scoprire cosa era successo alla Lancia di Odino. Gungnir.

« Gungnir è una delle Antiche Armi che sono state usate dagli Antichi Signori per sottrarre agli Arconti il dominio dei Regni d’Ombra. »

Dagon staccò appena gli occhi enormi dal quaderno, per poi riportarceli subito dopo. Machiavelli continuò a ragionare ad alta voce.

« Appartiene ad Odino, ma tutti gli Antichi Signori vorrebbero possederla. Esiste un collegamento tra questa e i “telescopi” del messaggio. Sai a cosa si riferisce questa parola, Dagon? »

La creatura lo guardò e scosse la testa.

« Con questo nome venivano chiamati i Veglianti, quando non si voleva far sapere che si stava parlando di loro. A causa della loro capacità di vedere le realtà presenti in ogni Regno d’Ombra, immagino.  »

Dagon si accigliò.

« Ma adesso sono imprigionati. Ade gli ha rinchiusi nel suo Regno d’Ombra infernale. »

« Sì. » confermò Machiavelli. « e sai qual è la cosa interessante? Gungnir, la lancia di Odino, sarebbe l’unico oggetto in grado di spezzare le catene di Ade e di liberarli. »

L’italiano sorrise.

« Deve essere successo qualcosa alla Lancia. Non sarebbe la prima volta che qualcuno prende di mira le Antiche Armi. La Tunica di Deianira, per esempio, è stata rubata due secoli fa, e ancora la sua padrona non l’ha ritrovata. Che sia successa la stessa cosa alla Lancia? »

Machiavelli si alzò e prese a misurare a grandi passi la cucina, le dita unite davanti al mento. Il suo segretario lo osservava con cupo interesse.

« Il messaggio, in poche parole, ci dice che ai Veglianti è stato permesso di usare i loro poteri per osservare di nuovo ciò che accade nei Regni. Trovo improbabile che siano riusciti a liberarsi, e Ade non è certo il tipo da disfarsi di prigionieri che detesta. Quindi deve essere stato permesso loro di usare di nuovo gli Occhi, pur non potendo uscire dall’Ade. »

Dagon emise un sbuffo scettico.

« Ma perché gli Oscuri Signori dovrebbero farlo? »

« Perché i Veglianti devono ritrovare la Lancia di Odino. Ecco il collegamento con i Veglianti, con i telescopi. È la quarta Arma che è stata rubata, Dagon. Dopo la Tunica sapevo che qualcuno avrebbe cercato di rubare anche Gungnir. Chissà se è sempre la solita… persona, se così si può dire, o se sono stati diversi soggetti a rubare le prime tre Armi. »

Machiavelli si passò una mano nei capelli, eccitato da tutte quelle rivelazioni.

Emise una breve, fredda risata.

« E poi…» disse, tornando serio « il messaggio dice che tutto questo è collegato ad un figlio degli homines, in un modo che con molta probabilità nemmeno l’informatore si spiega. »

Con una strana scintilla negli occhi chiari, Machiavelli raggiunse il tavolo e sfilò il quaderno dalle mani di Dagon, girandolo verso di sé.

Osservò il volto magro e affilato di Richard Anderson, i suoi movimenti a scatti. Poi, con un rapido movimento del posto girò la pagina, mentre Dagon lo guardava non troppo sorpreso.

Machiavelli prese una penna e scrisse due parole, un nome, in cima ad una pagina bianca.

Alypion Desiephr

 

Note di Tacet433

In realtà non ho molto da dire questa volta. Mi scuso per i lunghi tempi che impiego ad aggiornare, per l’ennesima volta-.-“  

Spero di non avervi annoiati con tutte quelle spiegazioni, e spero di inserire un po’ più di azione, nel prossimo. Volevo già farlo in questo, ma sarebbe venuto fuori qualcosa di troppo lungo che non avrei saputo come interrompere.

Ringrazio tantissimo chi continua a seguire questa storia, nonostante i miei tempi biblici.

 

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Capitolo 6
*** Dietro la maschera ***


Dietro la Maschera.

 

Machiavelli respirò l’aria satura dei diversi odori di Reims. Gli sembrava che fosse passata una vita intera da quando aveva accolto Richard Anderson in casa sua.

Eppure non rimpiangeva quei giorni noiosi che avevano preceduto quell’avvenimento.

Continuò a camminare senza una meta precisa, pensando a tutto meno che alle vie che stava percorrendo. Di questo passo si sarebbe ritrovato come minimo a un miglio da casa, ma non aveva importanza.

Non aveva voluto compagnia per quella sera. Aveva ordinato a Dagon di non seguirlo, anche se dubitava che effettivamente il suo segretario avesse obbedito. Non capiva appieno il senso del messaggio che Alypion aveva lasciato, e anche se la curiosità era una qualità che non gli era mai appartenuta, non avrebbe sopportato di non seguirlo, durante un periodo che a quanto pareva stava diventando piuttosto pericoloso.

Pericoloso e intrigante.

Machiavelli non aveva smesso un attimo di pensare alle informazioni che gli erano arrivate.

Non erano notizie da prendere alla leggera.

I Veglianti avevano riottenuto gli Occhi. Questo voleva dire che avevano riacquistato la capacità di osservare le diverse realtà presenti nei Regni d’Ombra, anche quelli più remoti, con la forza delle loro menti.

I Veglianti erano figli di Crono, che, a quanto aveva potuto capire Machiavelli, non erano mai stati amati dal loro padre. Secondo la leggenda, i Veglianti avevano l’abitudine di raccontare un po’ troppo spesso e ad un po’ troppi individui gli avvenimenti che succedevano nei vari Regni, appartenenti a diversi Antichi Signori.

Si erano guadagnati presto l’odio di tutti loro. Compreso il loro padre, e le loro labbra erano state cucite con la tela di Aracne.

Probabilmente tutti gli Antichi Signori erano stati contenti di vederli nelle grinfie di Ade.

Machiavelli non avrebbe saputo dire che aspetto avessero.

Ma sapeva che erano esseri neutrali.

E che se Ade aveva concesso loro di riavere gli Occhi, doveva avere le sue buone ragioni.

E qui si arriva alla Lancia…

Machiavelli trattenne uno sbuffo spazientito. Alypion non era stato per niente esauriente nel suo messaggio.

L’italiano poteva solo fare un sacco di supposizioni. Sapeva che altre Antiche Armi erano state rubate, e per questo si poteva pensare che alla Lancia fosse successa la stessa cosa.

Questo spiegava perché ai Veglianti erano stati concessi gli Occhi.

Se potevano vedere il presente di ogni Regno d’Ombra, potevano ritrovare la Lancia di Odino. E probabilmente gli Oscuri Signori avrebbero concesso loro la libertà, se ci fossero riusciti.

O almeno così avrebbero detto. Avevano l’abitudine di mentire spesso, e Machiavelli sapeva che i Veglianti lo avevano imparato a proprie spese. Se fosse stato in loro, avrebbe già cercato di sfruttare l’occasione con un piano b.

Più rifletteva su questi avvenimenti e più le domande continuavano ad affollargli la mente.

Chi aveva rubato la Lancia di Odino? Che piani avevano gli Oscuri Signori per ritrovarla? E che cosa avrebbero potuto pensare di fare i Veglianti, adesso che avevano riavuto i loro Occhi?

Non che potessero fare molto. Di certo Ade li teneva sotto stretta sorveglianza, soprattutto quando loro celebravano i loro riti divinatori.

Machiavelli di colpo comprese i sentimenti di Richard Anderson, costretto anche lui a tener testa alle sue mille domande.

Che parte aveva il “giovane figlio degli homines” menzionato nel messaggio? E chi era, soprattutto?

Effettivamente Niccolò si sentiva proprio sulla stessa barca di Richard. Perché avrebbe fatto meglio a non chiedersi nulla, ma non aveva intenzione di farlo.

Machiavelli si passò una mano sui capelli candidi, fermandosi sotto a un lampione.

Adesso avrebbe dovuto fare veramente attenzione. i Veglianti stavano cercando la lancia, con ogni probabilità, ma non era detto che non scoprissero anche di Richard, e allora sì che Machiavelli sarebbe stato in guai seri.

Perché se fossero venuti a sapere del giornalista, avrebbero certamente scoperto anche che lui aveva un metodo infallibile per spiarlo, e che quindi sapeva dov’era Flamel e non aveva detto niente.

Sarebbe stato proprio un peccato. Secoli di vita, una vita ricca di conoscenza, buttati via per un errore, un istinto, un gioco.

Machiavelli si bloccò di colpo, in mezzo a un marciapiede. Spostò lo sguardo incolore sulla luce arancione del tramonto, poi si voltò e prese una strada secondaria per dirigersi verso casa.

Un gioco? Sì, solo questo.

E quando si gioca con giocatori abili, è necessario essere pronti a sacrificare i pedoni.

 

*

Otto giorni prima.

Machiavelli aprì la porta del piccolo e in apparenza insignificante negozio di antichità.

Dagon lo seguiva, in silenzio, ascoltando il tintinnio dei campanelli appesi allo stipite della porta, e osservando con noncuranza la strada deserta.

Il negozio era colmo di oggetti di ogni genere e dimensione. Strumenti musicali, mobili incrostati di sporco e dai cassetti difettosi, barattoli e posate, libri e erbe appese al soffitto, calendari di ogni nazionalità, lampade, gioielli che spiccavano con la loro lucentezza tra quegli oggetti inquietanti e bisognosi di una bella pulita.

Dagon non si sarebbe mai sognato di toccarne nemmeno uno. 

Ma Machiavelli sì, e la creatura fece appena in tempo a frapporsi tra l’immortale e un agghiacciante teschio di legno e dai denti d’oro.

« Cosa posso fare per voi?»

Dagon si voltò al suono di una voce gracchiante ed eccitata, Machiavelli lo scostò per guardare in faccia la proprietaria del negozio.

Era una donna alta, ma leggermente ricurva. I capelli erano di un biondo sbiadito, lunghi fino alla vita, e il viso era solcato da poche rughe profonde. Gli occhi strabici si erano puntati subito sull’italiano, senza degnare della minima attenzione Dagon.

Machiavelli le andò in contro, il sorriso della donna era sempre più aperto. Evidentemente non gli capitava spesso di ricevere clienti.

« Che cosa le serve? »

La donna osservò l’italiano da capo a piedi, soffermandosi sul volto calmo e cordiale.

« Niente che mi possa offrire la proprietaria di un negozio. Ho bisogno di una fattucchiera.»

L’italiano si sentì osservato con occhi adoranti e malsani, ma non mosse un muscolo.

« Faccio al caso suo, signore. »

Niccolò sorrise gentilmente.

« Ne ero certo. » La donna divenne tutta rossa e lusingata. Machiavelli non la riteneva affatto degna del nome di fattucchiera, ma per quel che gli serviva poteva andare.

« Desidererei acquistare qualcosa che possa permettermi di spiare qualcuno, qualcosa che sia immune dagli incantesimi che bloccano la divinazione. »

Non usò molti giri di parole, e la donna parve felicissima di questo.

« Anche lei allora è uno stregone! »

Machiavelli dubitava che quella donna potesse sapere molto di magia. Chissà com’era venuta a conoscenza di quel poco che sapeva. Non si poteva dire che non fosse esperta negli oggetti stregati della Nuova Generazione, però. Era uno dei motivi per cui Machiavelli aveva deciso di stabilirsi a Reims.

« Forse.» sorrise lui, mentre la donna lo osservava colma di entusiasmo.

Sparì dietro una tendina, di colpo. Quando tornò, portava con sé un libro molto sottile, rilegato in pelle nera, con qualche striatura rossastra.

Gli occhi di Machiavelli lampeggiarono e l’aria si riempì di un sottile sentore di serpente.

La donna tese le braccia verso di lui, per porgergli il quaderno.

« Ci scriva sopra il nome della persona e questa apparirà sulla carta, lì dove si trova, potrà osservare i suoi movimenti, e le sue parole saranno riportate nella pagina dietro. »

La donna era al settimo cielo, osservando l’espressione soddisfatta di Machiavelli.

Tra tutti gli oggetti, Niccolò non avrebbe mai immaginato quello. Era rarissimo, ce n’erano pochi al mondo. Pochissimi. Non aveva bisogno di provarlo, ma lo fece ugualmente, per sicurezza.

La donna lo prese come un atto di gioiosa impazienza, e non di diffidenza nei suoi confronti.

Gli porse un foglietto.

« Questo è il nome segreto del quaderno. È protetto da un incantesimo. Se lo pronuncia il quaderno verrà distrutto con un’esplosione. È un meccanismo di difesa. »

Qualche minuto dopo, Machiavelli e Dagon erano in strada.

L’italiano spostò sulla sua guardia del corpo gli occhi freddi e penetranti.

Spietati.

« Occupatene prima di dopodomani, Dagon. E dopo ripulisci il negozio da tutto ciò che ti sembra utile. »

*

Niccolò arrivò di fronte alla strada che si poteva benissimo osservare dalla finestra del suo salotto, e non rimase sorpreso di vedere Dagon già sulla soglia del portone in legno.

L’italiano lo raggiunse, non staccando gli occhi dai suoi occhiali da sole.

« Mi hai seguito? »

Dagon non abbassò il capo, ma Machiavelli sapeva che aveva spostato gli occhi in un’altra direzione, anche se non poteva vedere attraverso i suoi occhiali.

« Dovevo farlo. » rispose laconico il segretario.

Non sapeva cosa aspettarsi da Machiavelli. Ma era certo che non gli piacesse essere seguito a sua insaputa. Non temeva la sua reazione, si fidava della sua logica fredda e riflessiva, ma qualcosa gli fece comunque sentire una punta di sollievo quando lo vide annuire, pensieroso.

« Sei un bravo segretario. » disse l’immortale, ma non abbandonò l’espressione severa.

« Però non farlo più»

L’italiano aprì la porta e si rimise la chiave in tasca.

Dagon alzò di scattò la testa e la mano, contemporaneamente, strinse il braccio di Niccolò con le dita affusolate. Machiavelli lo osservò interrogativo.

Il segretario lo scostò appena e lo precedette su per le scale, nessuno dei due osò rompere il silenzio. L’italiano si tolse un guanto, all’erta.

*

La situazione stava diventando snervante.

Richard non faceva altro che tamburellare i piedi per terra da più di mezz’ora, guardandosi intorno con gli occhi nervosi.

Aveva sperato che le circostanze lo avrebbero portato a vivere esperienze un po’ più dinamiche, e invece, adesso che aveva trovato qualcuno che, ne era sicuro, sapeva molto più di ciò che lasciava intendere, aveva iniziato a capirci ancora meno di prima.

Stephen e sua moglie si erano rinchiusi in una stanza adiacente al salotto.

Richard non poteva sentire le loro voci, ma non gli era difficile immaginare di cosa stessero discutendo.

Per un attimo prese in considerazione l’idea di andarsene, di certo avrebbe limitato i rischi.

Ma poi come avrebbe potuto arrivare alla verità? Non era pronto a rinunciare alle sue domande.

Quella città e quel nome erano gli unici indizi che aveva, gli unici che quel tipo canuto gli aveva lasciato, ed era difficile fidarsi di chiunque, ma non aveva altro in mano.

Richard ebbe un sobbalzo quando Stephen e Amanda si decisero a farsi vedere, ma cercò di riprendere un certo contegno nel minor tempo possibile.

L’uomo si sedette di fronte a lui, Richard non abbassò lo sguardo, cercando però di tenere d’occhio anche Amanda.

Seguirono vari secondi di silenzio.

Alla fine Stephen sospirò e appoggiò i gomiti sulle ginocchia.

« Ascolta, Richard…» iniziò, cordialmente, in un tono che voleva essere rassicurante, ma che mise sul chi vive il giornalista.

« Hai detto che sai in che guai si trova Nicholas Flamel. Io gli sono molto legato, e perciò penso che io e te dovremo fidarci l’uno dell’altro, da questo momento in poi. Entrambi potremmo avere informazioni utili all’altro, non pensi? »

Richard annuì, chiedendosi dove volesse arrivare quell’uomo, se volesse davvero rivelargli ogni cosa.

Amanda non sembrava particolarmente felice di sostenere quella conversazione, ma il ragazzo si sforzò di ignorarla.

« Però…» continuò Stephen. Richard trattenne una smorfia. Lo sapeva, che prima o poi sarebbe saltato fuori il “però”. « Devi crederci quando ti diciamo che noi rischiamo molto più di te. E dovremmo essere sicuri che tu non ci tradisca il alcun modo, quindi… ti va di iniziare tu a raccontarci che cosa ti è successo. »

Richard non poteva dire di essere sorpreso.

Sospirò, rassegnato. Stephen aveva parlato come se il ragazzo potesse scegliere. Ma non era del tutto vero.

Le opzioni erano due. Raccontare tutto ciò che gli era capitato a degli sconosciuti, e rischiare. Oppure lasciare perdere tutto, andarsene, cambiare nome, nascondersi. Senza sapere nemmeno da che cosa o da chi si stava nascondendo.

Non era sicuro di potersi fidare, anche se sapeva che l’uomo canuto gli aveva salvato la vita. Peccato che lo stesso uomo, a quanto aveva capito, era  una specie di “collega” di quello che lo voleva eliminare.

Avrebbe potuto fingere che fosse stato tutto un brutto sogno, ed era un alternativa allettante.

Ma lasciar perdere non era nella sua indole.

Richard sospirò rassegnato, e con la sensazione di star facendo la più grande idiozia della sua vita, si apprestò a raccontare.

*

« A cosa devo la visita? »

Machiavelli non aveva voglia di sedersi. Osservava  l’essere disteso sul divano davanti a lui con cupo interesse.

L’emissario di Aton aveva un aspetto quasi umano, anche se ancora per poco tempo, probabilmente. La pelle ambrata era in netto contrasto con le labbra, tinte di rosso cupo.

I capelli scendevano fino alla vita ed erano pressappoco dello stesso color cremisi.

Gli occhi erano fin troppo incavati, due fosse completamente nere.

Dagon chiuse la porta, e per precauzione anche le persiane delle finestre. Accese la luce e Machiavelli poté puntare gli occhi sul ghigno dell’emissario.

« Aton ha un compito per te, Niccolò Machiavelli. »

L’italiano non batté ciglio davanti alla voce profonda della creatura. Si fece attento, pronto a cogliere ogni sfumatura della conversazione.

« Di che si tratta? »

« Prima devo raccontarti una storia, italiano. »

E Machiavelli aveva la netta impressione di essere già informato su molte delle cose che l’emissario gli avrebbe rivelato di lì a poco.

« Vi ascolto. »

La creatura ghignò di nuovo.

« È stata rubata un’altra delle Antiche Armi. »

Machiavelli decise che poteva anche non fingersi sorpreso, visto che già prima di ricevere il messaggio si era aspettato che prima o poi qualcuno avrebbe cercato di rubare altre Armi.

« Pensavo che gli Antichi Signori potessero contare su sistemi di sicurezza più efficienti. » commentò, sarcastico.

« Non ho mai visto nessuno più attento di Odino quando si tratta di ciò che possiede. Non riesco ad immaginare come questo ladro abbia fatto a rubarla del suo Regno d’Ombra. »

Per un attimo la creatura parve profondamente infastidita dal commento dell’immortale, ma si controllò perfettamente e pochi istanti dopo sul suo viso era riaffiorato il ghigno.

« Gli Oscuri Signori hanno deciso di permettere ai Veglianti di usare gli Occhi, per ritrovare la Lancia sono disposti a fare qualsiasi cosa. »

Ecco il momento giusto per ostentare un’espressione sorpresa.

Machiavelli sapeva esattamente come fare, e conosceva alla perfezione se stesso, sapeva come avrebbe reagito se non avesse saputo nulla. Gli occhi leggermente sgranati per meno di un secondo, lo sguardo limpido e concentrato di chi ci mette poco ad annoiarsi così come ad interessarsi.

Machiavelli pensò che non si sarebbe mai stancato di essere soddisfatto di trovare veritiere le supposizioni che faceva. Ma si domandava anche quale fosse il suo ruolo in quella storia, e forse conosceva già la risposta.

L’emissario parve soddisfatto e desideroso di lasciare l’immortale sulle spine.

Dopo vari momenti di silenzio, in cui Machiavelli fece finta di riflettere sui Veglianti, l’emissario si decise a continuare.

« Così gli Oscuri Signori hanno scoperto l’attuale locazione di Gugnir. Si trova in questo Regno d’Ombra, immortale, e il tuo compito è trovarla e riportarla a me. »

*

Nicholas Flamel rimase in silenzio per vari secondi, cercando di mettere ordine nel cervello e assimilare bene tutte le informazioni. Richard aveva appena finito di raccontare la sua storia, e Nicholas era rimasto a bocca aperta.

« Ragazzo… sei stato davvero sfortunato. »

Era l’unica frase che gli sembrava opportuna, ma capì che non lo era affatto, appena vide l’espressione cupa di Richard.

« E molto stupido. » aggiunse Perenelle. « Non avresti dovuto metterti alla ricerca di Nicholas Flamel. »

Richard alzò il mento con fierezza, stupendo i due immortali.

« Mi sono accorto di essere in un mare di guai, signora, non c’è bisogno che me lo ripeta. Metta in conto che io senza che voi due rispondiate alle mie domande non me ne vado di qui.  »

I due immortali si scambiarono uno sguardo.

« Io capisco come ti senti, Richard. » disse Nicholas, gentilmente. « Ma se vuoi davvero che noi ti aiutiamo, devi finire di rispondere a tutti i nostri dubbi. »

Nicholas non voleva che Richard si stancasse di parlare proprio adesso. Sentiva che c’era qualcosa che non tornava, qualcosa fuori posto.

Richard annuì freddamente.

« Bene, allora… » cominciò l’Alchimista. « L’uomo che ti ha ospitato, e il suo segretario… potresti descrivermeli? »

Richard annuì e riportò alla memoria tutti i ricordi di cui disponeva.

« Ecco… il segretario non si faceva vedere in faccia. Era sempre coperto da un cappello che teneva in modo da gettare ombra sul volto. In più l’ho visto sempre in stanze molto poco illuminate. Invece, quello che doveva essere il suo datore di lavoro… » il ragazzo fece una pausa, riflessivo, mentre Nicholas e Perenelle si facevano sempre più attenti.

« Lui si è fatto vedere. È alto, con la barba molto corta e curata… i capelli bianchi e gli occhi grigi. »

Richard vide i suoi interlocutori sbarrare gli occhi.

« Lo conoscete? » chiese, in preda all’agitazione.

« Cosa puoi dirci del suo comportamento? » chiese la donna, ignorando completamente la sua domanda.

Richard, un po’ irritato ma speranzoso, annuì senza esitazioni.

« Io mi sentivo un po’ a disagio. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo… »

Nicholas alzò una mano per frenarlo, perché sapeva già le cose che gli avrebbe detto dopo.

« E cosa ti ha detto, precisamente?»

« Emh… mi ha detto che sapevo troppo… e che non dovevo avere paura di lui, ma che non poteva dirmi chi era o come si chiamava… mi ha detto che… » Richard deglutì, rabbrividendo « che se avesse voluto uccidermi lo avrebbe già fatto, e non dovevo fare domande. Poi…»

Richard si ricordò all’improvviso un dettaglio che lo aveva colpito particolarmente.

« Mi ha detto anche che non poteva raccontarmi la sua storia, perché era troppo lunga. E quando gli ho detto che ero abituato a sentire storie lunghe lui si è messo a ridere. »

Nicholas e Perenelle si scambiarono un sorrisetto divertito, con l’infelice esito di irritare ancora di più il giornalista.

Richard si morse il labbro. Aveva già raccontato tutto per filo e per segno, di come l’uomo alto e canuto lo aveva portato via e ospitato, di come aveva sentito la voce dell’altro uomo sulle scale mentre stava scappando col segretario, di come si era ritrovato in tasca il biglietto.

Adesso era il loro turno.

« Adesso tocca a voi! » affermò, glaciale e con una autorità che normalmente non avrebbe usato.

« Volete dirmi chi erano quei due uomini che ho incontrato?»

*

« Dagon, credo che a questo punto dovrei riconsiderare la situazione. » disse Machiavelli, certo che l’emissario fosse ormai lontano. « e i miei piani, soprattutto. »

L’immortale era impassibile, ma non per questo indifferente. Dagon sapeva che non avrebbe preso alla leggera una situazione del genere.

Inaspettatamente, Niccolò si voltò verso di lui e sorrise con un’espressione innocente che non ingannava nessuno.

O meglio, ingannava gran parte della popolazione umana, ma non Dagon.

« Sai, avevo pensato di prendere Flamel prima di Dee, servendomi di Richard. Ma adesso…»

Alzò le braccia con i palmi aperti, con la faccia di chi è appena stato derubato del suo pupazzo preferito.

« Non è più possibile. Vedi, sono molto impegnato, al momento. »

Bisogna scegliere che partita giocare…

« E quindi, sono costretto a lascar perdere, o il rischio di essere scoperto sarebbe troppo elevato. »

Machiavelli unì le dita davanti al mento, riflessivo.

« Se malauguratamente dovesse capitare che Dee raggiunga i Flamel mentre sono assente, potrebbe pensare che io ho lasciato scappare il giornalista. »

« Di fatto è ciò che è successo» affermò Dagon, un velo di rimprovero nella voce.

Machiavelli lo guardò divertito.

« Non è necessario che lo sappia. Inoltre… » aggiunse, sorridendo affabile. Dagon non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire uno sbuffo divertito.

« L’inglese ha avuto la straordinaria idea di affidare a me il compito di trovare Richard… direi che non è educato farlo aspettare tanto, non credi? »

Machiavelli si prese ancora qualche minuto per pensare ad ogni aspetto della questione. Adesso che non poteva più tenere d’occhio da vicino Richard, era costretto a ribaltare la situazione.

Avrebbe detto a John Dee la locazione di Richard, senza specificare che anche i Flamel si trovavano nello stesso posto. Avrebbe fatto finta di non essersi accorto del dettaglio.

Quando Dee sarebbe arrivato avrebbe trovato anche l’Alchimista e la Fattucchiera, e probabilmente avrebbe capito subito l’inganno di Machiavelli. Avrebbe intuito che l’italiano aveva indirizzato il giornalista verso i due immortali, ma non avrebbe avuto niente in mano, per provarlo.

Era troppo rischioso lasciare vivo Richard. Dee avrebbe potuto interrogarlo e scoprire tutte le menzogne di Machiavelli.

Però come si poteva allontanare il giornalista dai Flamel e ucciderlo senza che i due lo sapessero?

La questione era più complicata del previsto. bastava un errore, un solo errore, per ritorcere la situazione contro Machiavelli.

L’unica possibilità che aveva era aspettare che Richard uscisse da solo da quella casa. Ucciderlo, occultare il cadavere. E dire a Dee dove si era trovato prima di morire.

Probabilmente, notando la scomparsa di Richard, i coniugi Flamel si sarebbero allarmati e avrebbero cambiato città.

Poi Machiavelli avrebbe aiutato Dee nelle loro ricerche, dicendogli che alcuni suoi informatori avevano intercettato i loro movimenti.

Una parte del merito sarebbe stata sua. 

Però, intanto, avrebbe dovuto partire per ordine degli Oscuri Signori per recuperare la Lancia. Avrebbe potuto continuare a spiare Richard. Il giornalista non poteva rimanere in quella casa per sempre, e appena uscito per qualunque futile motivo, Dagon lo avrebbe sistemato.

Ah, e poi il suo segretario avrebbe anche dovuto fare in modo che il Mago trovasse il cadavere.

« Dagon, tu non potrai seguirmi in questo viaggio. Ho altri piani per te. »

Richard Anderson pensò Machiavelli, mentre un angolo della sua bocca si piegava in un piccolo sorriso sono spiacente… ma non mi servi più.

*

Tre giorni dopo.

Richard Anderson si svegliò tranquillo.

Strano.

Era sicuro che non avrebbe più dormito bene per i prossimi dieci anni a venire, dopo aver saputo tutto quello che doveva sapere su ciò che gli era successo.

Ovviamente, quelli che aveva scoperto essere Nicholas e Perenelle Flamel, e a questo pensiero sentì il petto scuotersi in un sussulto, non gli avevano rilevato tutto.

Ma solo ciò che lo riguardava strettamente. E gli era bastato.

Per due giorni non aveva avuto il coraggio di mettere piede fuori da quella casa, anche se nemmeno lì si sentiva a suo agio completamente, e le tisane alle erbe di Perenelle servivano a poco.

Ma quel giorno una calma apatica era scesa su di lui. Forse aveva accettato tutto. Forse non era più tanto spaventato, ma eccitato.

Ciò che aveva scoperto era oscuro, folle, assurdo. Ma era reale, e questo lo rendeva straordinario.

Si vestì in fretta e scese le scale, con un pensiero fisso in mente.

Erano giorni che non sentiva sua madre, gli aveva detto che sarebbe andato in vacanza e non ricordava nemmeno quale cittadina della Francia gli aveva indicato. Era l’ora di telefonarle, o non l’avrebbe mai perdonato, e suo padre non gli avrebbe dato pace per i prossimi tre mesi.

Ancora sconcertato e stupito dalla sua stessa serenità, si chiese distrattamente se Flamel gli avrebbe rilasciato un’intervista. Non per pubblicarla, non era ancora così idiota.

Però gli sarebbe piaciuto approfondire le esperienze di un uomo di seicento anni.

Passò dalla cucina e salutò una preoccupata signora Flamel, che non voleva più lasciarlo andare. Aveva solo bisogno di andare a comprarsi delle sigarette, per non rovinare il suo buonumore proprio sul più bello.

Perenelle ci pensò su. Proprio il giorno prima aveva effettuato qualche incantesimo di divinazione, spiando Dee e Machiavelli.

Il primo li stava facendo cercare in Belgio e nella Francia del Nord. Ancora non era arrivato a Montpellier.

Il secondo era su un aereo per il Perù.

E il tabacchino era vicino.

Osservando il ragazzo, contenta che avesse ritrovato un po’ dell’allegria e dell’entusiasmo giovanile, non se la sentì di preoccuparlo e lo salutò con un sorriso, scambiando con il marito uno sguardo di assenso col marito.

Richard le sorrise, si infilò la sua inseparabile giacca blu e uscì di casa.

*

« sta andando in un tabacchino, Dagon, supera la seconda strada a sinistra e svolta ancora a sinistra. Il tabacchino in questione è proprio all’angolo. Se decide di fare una passeggiata mattutina puoi anche procedere. Se no aspetteremo ancora.  »

Machiavelli sfogliò all’indietro il suo prezioso quaderno, lo sguardo d’acciaio.

« mi raccomando. Devi essere veloce. »

L’italiano chiuse la conversazione e si rilassò sul l’ampio letto della sua stanza d’albergo.

Avrebbe riposato solo un po’, prima di mettersi alla ricerca di Gugnir, la Lancia di Odino.

Il suo pensiero corse a Dagon. L’italiano era consapevole di aver fatto una mossa azzardata. Ma era la cosa migliore.

Certo, non poteva essere sicuro che Dagon riuscisse effettivamente a rapire Richard, ma a quell’ora non doveva esserci molta gente per strada, e se seguiva bene le sue istruzioni sarebbe dovuto riuscire nell’impresa.

Niccolò Machiavelli si accarezzò disinvolto la corta barba che gli incorniciava le labbra leggermente incurvate.

Riaprì il quaderno dopo dieci minuti. Richard stava uscendo dal piccolo negozio con un pacchetto di sigarette in mano. Si guardò intorno per un momento, poi si diresse verso alcuni giardini, allontanandosi dalla strada che lo avrebbe riportato verso casa, una sigaretta appena accesa in bocca.

Machiavelli annuì vittorioso. Era logico pensare che un tipo come lui non fosse abituato a stare per troppo tempo chiuso in casa. In più Niccolò sospettava che, una volta saputa tutta la verità, avrebbe inconsciamente abbassato la guardia.

L’immortale aspettava pazientemente quel momento.

Si ritrovò a pensare alle persone come lui, calcolatrici, fredde, spietate e senza affetti. Quelle che, come lui, preferivano tenere nascosto il loro vero volto, dietro un’espressione cordiale, elegante, affabile. Machiavelli molte volte si interrogava su se stesso, ma non fino in fondo. Temeva di trovare un altro volto sotto la faccia che per lui ormai era diventata quella vera.

Ma questo non era possibile. Una volta tolta la maschera, c’è il volto.

Ed erano quegli occhi spietati che si celavano dietro la maschera, perché Machiavelli non sentiva la minima traccia di rimorso. Niccolò sorrise, le iridi gelide.

Addio, Richard Anderson. 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Tutto secondo i piani ***


Tutto secondo i piani

 

Dagon seguiva i passi di Richard con attenzione, riuscendo a rimanere invisibile ai suoi occhi. Proveniva dagli abissi e, nelle missioni di spionaggio, cercava di ricreare intorno a sé quell’oscurità in cui tante volte si era orientato nelle profondità marine.

Ora il suo Regno non esisteva più, ma Dagon passava inosservato anche in pieno giorno, se voleva, trovando nascondigli e punti d’ombra, elegante e preciso, facendo attenzione anche ai più piccoli dettagli, al più piccolo movimento.

I suoi sensi erano forse trenta volte più potenti di quelli umani. I passi di Richard Anderson gli sembravano incredibilmente impacciati.

Il giornalista non si accorse mai di lui. Sembrava sereno. Molto stupido da parte sua.

Dagon distinse, dal suo nascondiglio nascosto all’ombra di un palazzo, gli alberi e la fontana dei giardini, lo stretto viale dai mattoni rossi e le panchine. Vide il ragazzo sfilare dalla tasca il pacchetto di sigarette e cercare l’accendino, sedersi sul muretto della fontana.

Spostava lo sguardo dall’acqua al prato.

Dagon si guardò attorno. Tre giovani discutevano animatamente su una panchina dall’altra parte del vialetto. Avrebbe dovuto agire al più presto, non era sicuro che Machiavelli potesse concedersi il lusso di aspettare ancora per molto, doveva cogliere l’occasione. Non sapeva quando si sarebbe ripresentata. 

Doveva farlo prima che arrivasse altra gente, ma soprattutto prima che i Flamel si allarmassero.

Si era letto e riletto le pagine del quaderno in cui Nicholas Flamel spiegava a Richard tutto ciò che aveva il diritto di sapere. L’Alchimista non si era sbottonato troppo, a dire il vero, probabilmente perché pensava che il ragazzo sarebbe stato più al sicuro conoscendo solo lo stretto necessario.

Il giornalista, da parte sua, era rimasto così colpito da non trovare più domande.

Era avvenuto solo tre giorni prima. Machiavelli stava preparando il suo bagaglio, sarebbe partito di lì a poco per il Perù. Si era sporto sopra la spalla di Dagon, quando il segretario gli aveva annunciato che l’Alchimista aveva finito di parlare di lui.

Le parole continuavano a formarsi sulla carta, poi ci fu una lunga pausa.

« Non è stato molto gentile… ma tutto sommato è stato il primo a parlare così bene di me.» aveva commentato l’italiano, con un mezzo sorriso.

Dagon doveva ammettere che Flamel aveva saputo trattenersi. Evidentemente Nicholas non aveva avuto voglia di turbare ancora di più Richard rivelandogli che era stato ospite di uno spietato manipolatore mentale.

“ Niccolò Machiavelli è… credo che tu abbia già sentito parlare del politico italiano del rinascimento… anche lui è immortale. E non è una bella persona. Usa le persone come marionette e sa condizionare i loro comportamenti. Ha ordito inganni che nemmeno immagini. Certo… è più cauto di Dee, e sicuramente molto meno fanatico e distruttivo. Non so perché ti abbia salvato, ma non è stato per buon cuore. Avrà sicuramente pensato che tu potessi servirgli a qualcosa… »

A questo punto c’era stata una breve pausa.

« Tutti pensano che io abbia sempre secondi fini… » aveva mormorato Machiavelli con aria malinconica. 

Poi Flamel era passato a Dagon. Non aveva detto molto nemmeno su di lui. Per non impressionare troppo Richard, non aveva detto una parola sull’esistenza di diversi Regni d’Ombra, e quindi il giornalista era convinto che Dagon fosse un umano dai poteri sovrannaturali.

« Questo ci sarà molto utile. » aveva affermato Machiavelli. « Quando rivedremo Flamel, dovrai ricordarmi di ringraziarlo. »

La creatura non sapeva se sentirsi infastidita. E ovviamente l’italiano se ne era accorto.

« Forse adesso il ragazzo pensa che tu abbia un problema ai lobi oculari. » aveva supposto, con un sorrisetto insopportabile.

Dagon rimase ad osservare il ragazzo ancora per un po’. Gli bastarono cinque minuti, perché i giovani sulla panchina si erano alzati e si stavano dirigendo verso un viale alberato al di fuori dei giardini.

La creatura trattenne un sospiro. Era l’ora di muoversi.

Non era mai stato particolarmente dotato per la recitazione.

Di solito era Machiavelli che si guadagnava la fiducia delle persone, che sapeva mentire e fingere emozioni. La finzione era la sua arte. Ma in questo caso anche lui si era dovuto arrangiare.

E rischiare.

Dagon inforcò gli occhiali da sole e tornò indietro per qualche decina di metri, camminando accostato al muro di un vecchio palazzo, facendo attenzione che la sua figura fosse sempre parzialmente coperta dagli alberi. Le sue orecchie erano tese per captare un eventuale spostamento di Richard.

Non era abituato a quel tipo di operazione. Preferiva passare direttamente ai fatti. Se doveva uccidere una persona, lo faceva e basta.

Il problema era che si trovava in città, dove testimoni potevano spuntare da un momento all’altro. In più non sapeva quando i Flamel avrebbero permesso a Richard di uscire di nuovo.

Avrebbe dovuto cominciare a ragionare come Machiavelli, almeno in parte, perché sapeva che, se avesse potuto farlo, quel lavoro sarebbe toccato a lui.

Dagon entrò nei giardini, cercando di assumere l’aria di chi fa una passeggiata di piacere.

Ancora pochi metri. Non doveva avere fretta.

Avrebbe dovuto seguire alla lettera le istruzioni, ma soprattutto adattare le sue parole alle espressioni e alle risposte di Richard.

Si chiese se, dopo secoli che lo vedeva fare a Machiavelli, anche lui avesse imparato qualcosa.

Doveva rivolgersi lui per primo a Richard, altrimenti, anche se il ragazzo lo avesse riconosciuto, avrebbe fatto finta di non vederlo e se ne sarebbe andato di corsa a casa.

Controllò ammirevolmente la velocità dei passi.

Ancora pochi metri, pensò. Tra quattro panchine.

Tre… due….

*

La sigaretta gli scivolò dalle dita. Si guardò attorno, smarrito, mentre la paura, sottile e sibilante, cominciava a serpeggiare nel suo stomaco.

Rimase inchiodato alla panchina.

Non è lui. Non è lui.

Non voleva guardarlo. Lo aveva superato, lo vedeva dalla sua ombra proiettata sui mattoni.

Abbassò il capo, strinse i pugni e pregò il cielo di non essere riconosciuto.

Il cuore gli batteva all’impazzata. Doveva scappare? I passi dell’uomo erano calmi.

Se si fosse mosso, l’uomo si sarebbe girato e l’avrebbe visto.

Restò così, coi sudori freddi, combattuto tra l’idea di darsela a gambe e i polpacci che sembravano congelati.  

Fece un gran respiro e provò a riprendere controllo di sé.

Alzò lo sguardo e vide l’uomo girarsi, alzare le sopracciglia semicoperte dagli occhiali.

*

Dagon si girò e incontrò gli occhi castani e sbarrati di Richard Anderson.

Le prede avevano tutte lo stesso sguardo. Si sentivano in trappola, sapevano che non avevano possibilità di fuggire. Volevano lottare, perché l’idea della morte era ancora lontana da loro, ma restavano impietriti.

La creatura si preparò a cominciare la recita, controllando allo stesso tempo i passanti intorno al guardino.

« Tu…»

Richard non gli staccava gli occhi di dosso, inorridito, sperando fosse un incubo. Stava per muoversi. Ma Dagon, da bravo predatore, sapeva riconoscere perfettamente l’attimo che precedeva la fuga disperata della preda. Era istintivo e per molti imprevedibile, ma non per lui.

Gli fu vicino in un secondo, con un dito sulle labbra, la mano stretta intorno al suo braccio. Richard tremava e teneva gli occhi dilatati puntati davanti a lui.

Sapeva che non poteva muoversi, che rischiava troppo, che era in trappola.

E cercava inutilmente di riprendere il controllo della sua mente. Seguirono svariati secondi di silenzio, ma non riuscì mai nell’impresa.

Dagon esultò silenziosamente. Tutto sarebbe stato più facile, nel momento in cui avrebbe dovuto risvegliare le sue debolezze e le sue speranze. Doveva essere lui a prendere il controllo della sua mente, non Richard o Flamel.

« Che ci fai qui?» chiese, scuotendolo leggermente e abbassando il tono di voce. « Sarebbe stato meglio cambiare paese! Non vuoi tornare a casa, in Inghilterra?»

Al suono di quelle parole lievemente preoccupate, Richard parve riscuotersi improvvisamente, come chi si risveglia da un incubo.

Guardò Dagon più spaesato che mai.

La creatura lasciò la presa sul suo braccio.

« Non voglio farti del male. »

*

 

« Non voglio farti del male. »

Se stava mentendo, era davvero molto bravo, ma Richard non era così ingenuo. In un barlume di lucidità pensò che sarebbe stato meglio reggere il gioco. Non aveva speranze di scappare. Assimilò le parole dell’uomo e cercò il fiato per rispondere.

« Che cosa vuoi da me? » balbettò Richard, in preda al panico.

« Niente.» rispose l’uomo, alzando le mani come se avesse paura che una sola carezza potesse far fuggire a gambe levate il ragazzo.

« Voglio solo sapere perché… perché sei ancora in Francia?»

« Io… ma… il suo capo mi ha detto di venire qui! »

L’uomo non sembrava credere alle sue parole.

« Cosa?»

Richard fece una smorfia. Gli scoppiava la testa. Con movimenti forzati e mani tremanti prese dalla tasca il biglietto che lo aveva condotto fino a lì e lo porse all’uomo.

 L’uomo lo guardò, sul momento senza nessuna reazione. I suoi occhi si erano sgranati per una frazione di secondo, poi più nulla. Dopo vari attimi che sembrarono eterni alzò gli occhi su Richard, ma il ragazzo abbassò subito i suoi.

*

Machiavelli aveva detto che l’espressione sorpresa non doveva durare più di un secondo, o anche meno. Altrimenti sembrava finta. La mente umana era programmata in modo tale da accettare la realtà inaspettata dopo quel piccolo lasso di tempo ed esaminarne gli effetti con attenzione.

Gli umani, pensò Dagon, non capiscono nemmeno loro se si comportano più da prede o da predatori.

Richard in quel momento era una preda. La sua.

Dagon alzò gli occhi su di lui, ma non incontrò i suoi.

« Questo…» disse con voce sicura. « Non lo ha scritto il mio padrone. »  

*

Richard si sentì svuotato da ogni pensiero. Come se fosse stato trasportato in un’altra dimensione dove lui e il suo corpo e la sua mente erano solo aria priva di significato. Da una parte gli sarebbe piaciuto che fosse così.

Poi arrivò la rabbia, improvvisa e feroce. Richard non avrebbe mai creduto di essere capace di provarne così tanta.

Non voleva dover rispondere ad altre domande. Non voleva più continuare quell’assurda ricerca, che si era tanto convinto a portare avanti. Era stato tutto inutile, allora. Lui non era un giornalista che si accontentava di belle storie, lui voleva la verità. Ma evidentemente si era illuso.

L’uomo sembrò capire tutti i suoi pensieri. Gli mise un mano sulla spalla e Richard rabbrividì. L’uomo la tolse di scatto, come se avesse paura di farlo scappare con quel gesto.

In quel momento gli sembrava che lui fosse l’unico a poter portare ordine nella sua vita, gli sembrò che avesse un senso, quell’incontro. Gli parve come qualcosa scelto dal destino. Provvidenziale.

*

 

Dagon sapeva di essere vicino. Aveva appena acceso un barlume di dubbio nella mente del ragazzo, aveva aperto uno spiraglio.

Aveva smentito qualcosa che Flamel aveva dato per certo. Il fatto che l’immortale non si fosse dilungato troppo a parlare col ragazzo poteva sembrare, in quel momento, sospetto agli occhi di Richard. Inoltre, non potendo scappare, il ragazzo avrebbe dovuto ascoltarlo per forza. 

E chi poteva conoscere la scrittura del suo padrone meglio di lui?

« Non è del mio padrone. » ripeté, convinto.

« Te lo farei dire da lui, ma io…» cercò gli occhi del ragazzo ma poi abbassò il capo e portò le dita al sopracciglio. Un gesto che il cervello degli umani registrava come quello di chi prova vergogna.

« Io … vedi, io non ho più un padrone… »

Richard lo osservò sbigottito.

« E perché? » chiese, con crescente curiosità.

Se Dagon fosse riuscito a fargli dimenticare la paura con la curiosità avrebbe vinto. Richard cominciava a prendere confidenza, a una lentezza esasperante, ma era già qualcosa.

Improvvisò una smorfia amara e il suo tono si fece più duro. Ma non abbastanza da spaventare Richard, aveva il solo scopo di incuriosirlo ancora di più.

Si distese sulla panchina, per mettere in chiaro con un apparente gesto involontario che la questione non era così semplice e che non era all’erta.

« Ecco… mi ha licenziato… » ammise, con una punta di rammarico.

Richard sgranò gli occhi per un secondo. Dagon non lo guardò, come se avesse timore di incrociare il suo sguardo.

Poi sorrise amaramente.

« Ho fatto un terribile errore, terribile. E forse dovrei pentirmene»  alzò il viso e la pelle pallida bruciò sotto i raggi del sole. Sembrava che stesse parlando più con se stesso che con Richard e che fosse spaesato almeno quanto lui.

  « Ma non credo ci riuscirò mai… »

Richard aspettò qualche secondo prima di riprendere la parola.

« Che errore hai… se posso chiederlo. »

Dagon lo guardò con un sorriso furbesco.

« Non riesci proprio a immaginarlo? »

Richard capì con un brivido che era qualcosa che sapeva. Qualcosa che avrebbe potuto immaginare. Un barlume di comprensione gli attraversò la mente.

Oh…no…

*

« Proprio così. » rispose mestamente Dagon alla silenziosa domanda del ragazzo.

« Inizialmente Machiavelli, quell’uomo canuto che era il mio padrone,  voleva usarti, anche se non mi ha detto per che cosa. Gli sembravi un giocattolino decente e provvidenziale per scacciare la noia… »

Richard sbarrò gli occhi.

« Noia? Mi sono trovato in questo casino perché qualcuno si annoiava? »

Dagon gli fece cenno di abbassare la voce, ma cercò di sembrare comprensivo, anche se non era mai stato particolarmente empatico.

« Ecco… non esattamente. Ti sei trovato in questo casino perché lui si annoiava. Se fosse stato chiunque altro… » si interruppe, titubante.

Richard guardava le sue mani tremanti a capo chino.

« Per tutto questo tempo… ho pensato che fosse stato lui a salvarmi… invece eri tu. »

Dagon dovette sforzarsi per non ghignare. I giovani umani sapevano essere così ingenui.

« E per questo ti ha licenziato. Ci tenevi, alla sua fiducia? » chiese il ragazzo, con curiosità mista a preoccupazione. Dagon si finse pensieroso ma risoluto.

« No. » affermò, con decisione. « Machiavelli è un uomo intelligente, ma troppo sicuro di se stesso, esagera, sempre.  E poi… » aggiunse, come per rassicurare e sciogliere la tensione del ragazzo. « È troppo egocentrico e insopportabile. Mi ero stufato da un pezzo di preparagli tisane e prendere ordini assurdi. Vedi, la convivenza era diventata ingestibile.»

Dagon aveva esagerato. Volontariamente.  Sperò che Machiavelli stesse osservando tutto dal quaderno.

Richard si concesse un breve sorriso, subito smorzato da una nuova incertezza che aveva accantonato in un angolo della sua mente fino a quel momento.

Lo guardò con la bocca semiaperta.

« Hai detto che non è stato lui a indirizzarmi qui con il messaggio! » disse, in preda a una strana paura.

« Infatti. È così. Quella non è la sua scrittura. » rispose Dagon, fingendosi leggermente spaesato.

« Sei stato tu, allora? »

« No… »

Richard si afflosciò contro la panchina.

« E allora chi è stato? » chiese, la voce incrinata che faceva trasparire il suo disperato bisogno di risposte.

Dagon si passò una mano sul viso.

« Non ne ho idea. Forse Dee… sai, l’uomo che parlava con Machiavelli quando ti ho portato via…potrebbe aver finto di cercarti per poi indirizzarti qui. »

« Ma perché?! » esclamò Richard. Dagon poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata.

« Cerca di restare calmo. »

Il ragazzo non lo ascoltò, perso totalmente nei suoi pensieri confusi.

« E se anche lui avesse voluto usarmi? »

Sulla fronte di Dagon si formò una ruga. Si finse concentrato. Sapeva che era vicino alla conclusione del suo compito. Molto vicino.

« È molto probabile. Anche se non possiamo essere certi che ci sia lui dietro tutto questo. Chiunque sia, vuole approfittare di te e della tua curiosità per trovare i Flamel. »

Richard non sembrava essere più capace di formulare una frase per intero.

« Per… i Flamel… »

Dagon lo scosse leggermente e lo costrinse a guardarlo.

« Chiunque sia stato, sapeva che saresti venuto. Era a conoscenza della città in cui si nascondevano i Flamel, ma molto probabilmente aveva bisogno di tempo per prepararsi allo scontro con loro. »

Dagon fece una pausa, lasciando che tutti i collegamenti e le bugie si depositassero nella mente di Richard e assumessero la forma di verità.

In caso di pericolo, gli esseri umani credono molto di più alle brutte notizie che a quelle buone. Viene naturale, e istintivo.

« E per risparmiare tempo ha mandato te a scovare il loro indirizzo e intanto ti ha tenuto d’occhio. Se fosse davvero così, ci troviamo di fronte a qualcuno di molto furbo. Perché, tra le altre cose, il tuo arrivo improvviso avrebbe ritardato l’eventuale partenza dei Flamel da Montpelliere. Avrebbero prima voluto sapere cosa fare con te. »

Dagon vide un’espressione di terrore puro dipingersi sul viso del ragazzo. Finse di preoccuparsi. Sapeva che Richard avrebbe identificato, inconsciamente, il suo interesse, anche se non sembrava poter vedere realmente nulla di ciò che lo circondava.

« N… No. Io… » balbettò il giornalista. Poi si alzò di scatto, rigido e impaurito.

« Io ho già trovato i Flamel! »

*

Nicholas e Perenelle Flamel procedevano a passo di marcia verso il tabacchino. L’immortale pregò che il ragazzo fosse ancora lì, ma presto dovette accettare il contrario.

Non avrebbero dovuto darsi tanta pena per lui. in fondo era solo un pericolo.

Ma Nicholas non ce la faceva. Aveva vissuto nella paura di diventare come Dee e Machiavelli per secoli. Non voleva essere come loro, voleva dimostrare a se stesso di essere completamente diverso, tracciare una linea netta che li dividesse.

Sapeva che agli occhi di chi lo aveva conosciuto non era così semplice capire chi fosse nel giusto. Machiavelli, a differenza di Dee, non era sempre stato crudele e senza scrupoli. E Nicholas però era certo di non voler fare la sua stessa fine.

Guardò Perenelle e il suo sguardo deciso lo rese più determinato. Avrebbe ritrovato quel ragazzo e lo avrebbe tirato fuori dai guai, o almeno ci avrebbe provato.

Perché ormai ne era certo. stava accadendo qualcosa.

Si diresse quasi correndo verso i giardini.

*

« Non devi correre, Richard. Darai nell’occhio. » sibilò Dagon.

« E cerca di calmarti e mantenere il sangue freddo, altrimenti è finita. » aggiunse, con urgenza ma decisone.

Richard cercò di ubbidire, lasciandosi guidare dalla creatura.

« Dobbiamo cercare di passare nelle strade meno affollate. » disse.

Richard era ormai convinto di aver segnato per sempre il destino dei coniugi Flamel. Questo pensiero era insopportabile. Non c’era più solo la paura, la curiosità. il senso di colpa gli attanagliava le viscere.

Solo la stretta di Dagon gli impedì di urlare.

Oramai era certo di essere giunto finalmente alla verità, per un caso fortunato. Aveva ancora possibilità di avvertire i Flamel prima che fosse troppo tardi? Poteva fidarsi di Dagon?

Non poteva fare altrimenti, perché scappare sarebbe stato inutile. E se doveva avere sulla coscienza la vita di due persone, che si erano anche presi a cuore il suo destino, preferiva scomparire.

Mise un piede davanti all’altro con la forza di chi ha un solo scopo. Doveva aiutare i Flamel, era in debito con loro. Doveva farlo a qualsiasi costo, oppure smettere di essere un pericolo per gli altri e scomparire.

*

Dagon continuò a camminare, con passo forzatamente calmo, frenando la crescente impazienza. Questa volta non era stato sicuro dell’esito della sua missione, ma era andata meglio di come si fosse aspettato.

Forse però aveva perso tempo. Alzò lo sguardo sul cielo, per intuire l’orario, e i suoi enormi occhi liquidi si posarono su una finestra di un palazzo dalle tendine a fiori.

Si arrestò di colpo, le iridi coperte dagli occhiali incatenate a quell’immagine.

Le tendine si gonfiarono. Dagon non sentì un filo di vento.

Un forte odore di cannella gli arrivò alle narici, mentre dalla finestra fuoriuscivano volute di fumo color bronzo.

Dagon cercò di allontanarsi, trascinandosi dietro Richard che guardava la scena con ammrazione. Molte persone si fermarono ad indicare le pareti del palazzo sovrastate da nuvole di fumo.

Gli arrivò alle caviglie. La creatura cercò di accelerare il passo, ma una nuova ondata di fumo gli si avvolse intorno al collo e gli oscurò la vista.

Cercò una via d’uscita da quella situazione, strinse Richard per un polso. Sentiva le urla intorno a sé, i piedi che calpestavano con forza l’asfalto.

Protesse i suoi occhi con la mano libera, cominciavano a bruciargli, imprecò più volte.

Quando tolse la mano vedeva doppio. Ma vedeva. Il fumo, velocemente come si era alzato, si era abbassato fino ad arrivargli alle caviglie.

Strattonò Richard per il polso.

« Ehi! Mi lasci subito! »

Il cuore di Dagon perse un colpo. Si girò lentamente, aveva paura di vedere cosa c’era dietro di lui.

Una donna strillava e cercava di liberarsi dalla sua stretta con forza.

« Mi lasci! »

Dagon la lasciò con il respiro irregolare e una rabbia cieca che si impossessava del suo petto.

*

Nicholas lo cercò con disperazione. Dagon si era allontanato senza dargli il tempo di fermarlo.

Ma Richard non era con lui. era sparito.

Il vociare intorno ai giardini aumentava, la gente era agitata e spaventata.

Richard era stato inghiottito dal fumo, e Nicholas sapeva che non avrebbe potuto dimostrare più niente a se stesso. cosa sarebbe successo a quel ragazzo? Doveva aggiungerlo ai fantasmi che lo seguivano dovunque, oppure quel fumo era stato la sua salvezza?

Sperò con tutto il cuore che fosse salvo, strinse la mano di Perenelle, consapevole che quel mondo di ingiustizie avrebbe potuto portargli via anche lei, la sua Perry.

Sapeva di non poter fare più niente per Richard. Per il bene dell’intera umanità, il Codice doveva avere sempre il primo posto nei suoi pensieri.

*

Chacraraju

La Lancia di Odino si trovava ai piedi del monte Chacraraju, dipartimento Ancash. Catena montuosa: Cordillera Blanca. Altezza: 6.108 metri.

Machiavelli sospirò. Per fortuna era ai piedi. Non disprezzava la montagna, ma se la Lancia fosse stata in cima dubitava seriamente che avrebbe avuto voglia di farsi un numero a quattro cifre di metri per raggiungerla, anche se in elicottero.

« Benvenuto, signor Machiavelli. »

L’italiano si girò al suono di quella voce falsamente dolce. Gli occhi completamente neri sotto gli occhiali da sole, visibili solo a lui, erano inconfondibili. Un altro emissario di Aton.

« Salve. » disse Machiavelli ricambiando il sorriso innocente del suo interlocutore con uno identico, ascoltando al tempo stesso i rumori della sala d’ingresso dell’albergo.

« Mi accompagnerai tu?» chiese gentilmente.

Quello che sembrava un comunissimo ragazzino di dodici anni lo raggiunse e lo costrinse a chinarsi. Avvicinò la bocca al suo orecchio, divertito come un bambino che sta per rivelare dove ha nascosto i dolci ad un adulto.

« Sì, signore. » disse con un risolino. « Ma io non posso prenderla. Lo deve fare lei. È molto capricciosa, sa? una volta entrata in un Regno d’Ombra, vuole essere toccata solo dai suoi abitanti. »

Machiavelli si inginocchiò di fronte all’emissario per guardarlo negli occhi.

« Che cosa succede se qualcuno non sta alle regole? »

Il bambino gli prese la manica della giacca e lo condusse fuori con gesti delicati.

La sua risata cristallina aveva qualcosa di inquietante e si insinuò nella mente di Machiavelli. Sapeva che ci sarebbe rimasta per sempre.

« Siamo in ritardo, signor Machiavelli. »



Note di Tacet433

Volevo spiegare molte più cose in questo capitolo, per esempio a chi appartiene il fumo color bronzo che ha fatto perdere le staffe a Dagon. Ma, come avrete già capito, i capitoli mi vengono fuori sempre troppo lunghi.

Dagon non ha perso solo le staffe, ma anche Richard. Dopo tutta quella fatica. Ma immagino che voi siate contenti di questo, almeno spero.

Il titolo è “Tutto secondo i piani “. No, non sono diventata più pazza di quanto già non sia, lo so benissimo che in effetti NIENTE è andato secondo i piani. Almeno… dal punto di vista di Machiavelli, Dagon e Flamel… ma non  dal punto di vista di…qualcun altro.  

Il prossimo capitolo si intitolerà “La storia di Alypion. “

Grazie, grazie, grazie a chi continua a seguirmi… nonostante tutto ; )

 

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Capitolo 8
*** Senza un nome ***


Ciao!

Una piccola nota iniziale: mi scuso tanto, ma sono stata costretta a dividere in due il capitolo, all’inizio non sapevo come fare ma poi ho trovato una soluzione. Se avessi lasciato insieme questa parte e la prossima sarebbe diventato tutto davvero troppo lungo. Inoltre le due parti sono molto diverse, era inevitabile dividerle. Quindi «La storia di Alypion» a cui ho accennato precedentemente è il capitolo successivo.  

Spero di non aver creato fastidi. Ciao e grazie! ; D

 

Senza un nome

 

Dagon entrò sbattendo la porta contro il muro. L’appartamento di Montpellier era piccolo e scuro, Machiavelli lo aveva preso in affitto in fretta per agevolare gli spostamenti di Dagon. Cercò di recuperare la sua freddezza abituale e rimettere in ordine le idee.

Non si sarebbe stupito se Flamel avesse cercato di salvare Richard. Ma non era andata così. L’Alchimista era arrivato tardi. Chi altro poteva essere interessato a un semplice homines? Dagon non aveva mai sentito un’energia aurica così fuori dall’ordinario. La sua stranezza non era dovuta all’odore, piuttosto alla sensazione che quel fumo gli aveva lasciato addosso. Come se venisse schiacciato a terra, come se la forza di gravità avesse raggiunto livelli esagerati.

Aveva perlustrato la zona in cui Richard era scomparso per diverse ore, ma di lui non aveva trovato traccia. Non sentiva più il suo odore o l’energia della sua aura.

Prese il telefono, preparandosi a seguire le indicazioni di Machiavelli. Avrebbe dovuto avvertire Dee, adesso che il Mago non avrebbe rischiato di trovare Richard. Non aveva più tempo da perdere, anche se il ragazzo non era morto. Non poteva essere certo che non fosse stato qualcuno al servizio di Dee a soffiargli il ragazzo da sotto il naso, ma Machiavelli aveva detto che era altamente improbabile che Dee si interessasse ancora a lui.

Girò la rotella fino a che il numero non fu completo. Gli rispose una segretaria che gli fece aspettare vari minuti. Tipico di Dee, farsi desiderare a lungo.

« Come mai mi chiami tu e non Machiavelli? »

Dagon ignorò la voce sprezzante del Mago.

« Machiavelli è in viaggio. »

John Dee parve improvvisamente interessato.

« In viaggio?»

« Sì. »

« Per dove?» chiese di nuovo il Mago, senza riuscire a celare la curiosità.

« Non la riguarda. » rispose gelido Dagon. « Le basti sapere che sta svolgendo un compito per gli Oscuri Signori. »

Dee rimase in silenzio. Dagon immaginò che stesse riflettendo su quale potesse essere la missione dell’italiano.

« Deve sapere inoltre… » riprese Dagon « Che Machiavelli stava svolgendo ricerche sugli spostamenti dei Flamel. »

Dagon sentì una sedia spostarsi dall’altra parte della linea e i passi veloci di Dee.

« Continua, Dagon, e spera che ciò che stai per dirmi mi piaccia. »

La creatura immaginò che fosse furente, dato che aveva sempre voluto avere l’esclusiva sui Flamel e non sopportava che altri si mettessero in mezzo.

« Poco prima di partire Machiavelli li ha trovati. Si trovano a Montpellier. Place du Marché

«Come diavolo li ha trovati?»

Dagon interruppe la comunicazione all’istante. Per una volta poteva essere lui a farlo. Temeva però che in qualche modo il Mago l’avrebbe fatta pagare a Machiavelli per essere arrivato ai Flamel prima di lui, ma in fondo per lui era anche un piccola vittoria, visto che l’italiano non aveva potuto catturare i due immortali e il Codice per mera sfortuna.  

Si chiese come avrebbe reagito Machiavelli alla notizia della scomparsa di Richard. Prima di partire aveva detto a Dagon che gli avrebbe lasciato istruzioni nel cassetto della sua scrivania.

La creatura si avvicinò al suo studio, passando per la cucina. Machiavelli temeva di essere costantemente sorvegliato, da Dee o dai Veglianti o dall’emissario di Aton. Inoltre non aveva avuto nemmeno molto tempo per spiegare come avrebbe dovuto muoversi il suo segretario, dato che era partito il prima possibile.

Dagon aprì il cassetto e prese la busta. La aprì chiedendosi cosa si sarebbe inventato Machiavelli per essere aggiornato senza usare il telefono o la Divinazione.

Il segretario lesse le parole con un certo sforzo, ma non eccessivo. Stava davvero migliorando, forse.

Dagon, una volta che avrai fatto come ti ho chiesto, non uscire di casa fino al pomeriggio successivo. Alle 10. 30 della sera stessa dovrai spiegare ad alta voce tutto ciò che è successo, non tralasciare nessun dettaglio. Io ti capirò come sai.  Fa in modo che nessuno senta.

Dagon rilesse il biglietto. Iniziava a capire.

Machiavelli avrebbe usato il quaderno. Non avrebbe potuto domandare niente a Dagon, quindi toccava a lui essere più che esaustivo.

Avrebbe dovuto parlare da solo, pensò Dagon con un sospiro. Sapeva che ogni tanto Machiavelli lo faceva. Ma era comunque un gesto che a Dagon richiamava l’idea dell’uomo che ormai ha perso la testa.

Guardò l’orologio. Era mezzogiorno.

Riprese la giacca, avviandosi verso la porta. Machiavelli gli aveva ordinato di non uscire. Non gli piaceva trasgredire gli ordini di Machiavelli, specialmente perché sapeva che Dee poteva arrivare da un momento all’altro, e i Flamel erano all’erta. Ma non si era mai fatto sfuggire una preda in vita sua e non voleva arrivare alle dieci e trenta con un totale fallimento da raccontare a Machiavelli.

Mise la mano sulla maniglia quasi con violenza, e il suo piede andò a toccare una superficie di diversa consistenza rispetto al legno della porta.

Dagon guardò in basso. Attaccato al punto più in fondo e meno visibile della porta con nastro adesivo, c’era un altro piccolo ritaglio di carta. Dagon si chinò e lo staccò dalla porta, poi cominciò a leggere con una sensazione spiacevole che gli artigliava lo stomaco.

Dagon, tu non stai disobbedendo ai miei ordini, vero? Nel caso tu fossi proprio convinto di quel che fai, almeno potresti passare da un negozio e comprare lo zucchero? Grazie.

*

Machiavelli salì sull’autobus, guardandosi attorno incuriosito. Il veicolo, vecchio e scrostato, cominciò subito a muoversi placidamente sulla stretta strada di cemento circondata da alti ammassi di rocce e arbusti.

Le montagne innevate erano splendide. L’italiano era già stato molte volte in Perù. Ma adorava sempre i suoi paesaggi e amava conoscere sempre più a fondo altre culture. Viaggiare gli era sempre piaciuto, fin da quando era mortale.

« Signor Machiavelli? »

L’immortale smise di colpo di osservare gli abiti sgargianti dei passeggeri, i loro cesti e le curve delle colline fuori dal finestrino.

Il bambino dai capelli rossi che gli faceva da guida gli fece cenno di raggiungerlo e sedersi accanto a lui. L’uomo obbedì con un sorriso sghembo.

Non si era ancora abituato all’idea che quella… creatura, che probabilmente aveva come minimo tre volte i suoi anni ed era a stretto contatto con Aton, lo chiamasse “signore. “

Si sedette e il ragazzino lo guardò attraverso gli occhiali da sole, sorridendo.

« Le piace di più la montagna o il mare?»

Machiavelli ricambiò il sorriso, cortese.

« Umh…» mormorò pensieroso « La montagna. Sì, senza dubbio. » rispose allegro.

Il ragazzino dondolò le gambe. Arrivava a stento a toccare il fondo dell’autobus.

« Ho sentito che è una domanda che gli umani fanno spesso.» sussurrò. « Come se il mare e la montagna fossero due cose opposte. Ma quando questa domanda avrebbero potuto farla ai miei primi cinquanta antenati, quasi nessuno aveva la possibilità di vedere tutti e due nella sua vita. »

Machiavelli lo osservò colto da un’improvvisa intuizione, un lampo di interesse negli occhi, insieme a quello smarrimento che si ha quando si è vicini a un traguardo e non ci si crede.

« Tu sei stato umano. »

Il ragazzino si guardava le scarpe e poi osservava quelle di Machiavelli, come se coglierne ogni differenza fosse molto più importante che prestare attenzione alle parole dell’immortale.

« Non ricordo. » rispose distrattamente.

« Ma hai appena detto… »

« Non ricordo nemmeno cosa ho detto. » disse l’emissario gentilmente, con voce sottile.

L’italiano sospirò, sapendo di aver perso in partenza. Aprì la bocca per chiedere dove erano diretti di preciso e quanto sarebbe durato il viaggio, ma l’emissario lo precedette.

« Signor Machiavelli? »

« Dimmi. »

« Di che colore aveva i capelli prima che diventassero bianchi? »

Machiavelli rimase ancora una volta sconcertato dall’innocenza della domanda. Non ci sarebbe stato nulla di strano, in realtà… se quel bambino fosse stato normale  e avesse avuto davvero l’età che dimostrava.

Alzò gli angoli della bocca furbescamente.

« Non ricordo. »

*

 

Machiavelli guardò l’orologio al suo polso, senza farsi notare. Fece qualche calcolo. L’orario corrispondeva.

Aveva davvero avuto un colpo di fortuna. Se non si fossero fermati in una specie di piccolo Motel di passaggio non avrebbe potuto controllare il quaderno, perché sarebbe sempre stato sotto gli occhi dell’emissario e di conseguenza non avrebbe potuto sapere se Dagon era riuscito nella sua impresa.

Doveva muoversi, o Dagon avrebbe cominciato senza che lui potesse assistere al suo racconto.

Il fatto era che non si aspettava che ci sarebbe stato un emissario di Aton a scortarlo. Nessuno, mai, gli aveva fatto da guida durante una missione, aveva sempre fatto tutto da solo.

Per questo era insospettito. Forse Aton sapeva che aveva un segreto e voleva controllarlo. O forse per lui la Lancia era così importante da mandare a Machiavelli i rinforzi. In ogni caso, non poteva fare a meno di preoccuparsi.

L’italiano sapeva che se Aton lo avesse scoperto lo avrebbe sicuramente fatto portare da lui per parlargli direttamente, ma lui avrebbe sempre potuto dire che Richard era servito a scoprire Flamel. Del resto era la verità, il piano all’inizio era quello di prendere l’Alchimista prima dell’inglese. Questo lo avrebbe giustificato per tutte le menzogne che aveva raccontato a Dee.

Però, se Richard non fosse morto…

« Benvenuto, signore. »

Machiavelli si girò verso la proprietaria del Motel, osservandone la pelle scura e i capelli neri raccolti in una crocchia, il naso leggermente schiacciato e gli occhi obliqui e luminosi.

Salutò con serenità, cercando allo stesso tempo il ragazzino con lo sguardo.

Lo vide in attesa vicino alla porta che portava alle stanze.

« Suo figlio mi ha detto che vi fermerete solo una notte. » disse, la voce squillante e il sorriso aperto. « Ho già dato a lui la chiave! Spero che vi troverete bene qui da noi! »

« Sicuramente. » assicurò Machiavelli. Poi si voltò verso l’emissario e lo raggiunse.

« Le ha dato fastidio? » chiese il ragazzino con curiosa tranquillità.

« Cosa?» replicò Machiavelli, anche se sapeva già la risposta.

« Che mi sono fatto passare per suo figlio. »

« No. Una buona idea » rispose Machiavelli. L’emissario restò impassibile e annuì, poi si voltò e lo condusse fino alla sua stanza.

« Perché non abbiamo continuato a viaggiare?» chiese l’immortale. « Sono solo le otto e trenta. »

Quella decisione gli faceva comodo, era vero, ma se non avesse fatto quella domanda avrebbe rischiato di insospettire l’emissario.

« Sarebbe pericoloso. »

« Come tutte le missioni che ho portato a termine. La notte non mi ha mai fermato. Penso  che sia il momento migliore per agire, non credi anche tu? »

L’emissario lo guardò e sorrise entusiasta.

« Lei non ha paura del buio, signor Machiavelli! In molti invece sì. Ho fatto da guida a molti altri, che erano felici e sollevati dal fatto di non dover passare la notte nell’oscurità dell’aria aperta, dove non ci sono regole e tutto è permesso. Lei invece non ha paura. »

Erano arrivati davanti alla porta della stanza. L’emissario si fermò e lo guardò in viso.

« Io però adesso devo andare… »

« Andare dove? » chiese Machiavelli, aggrottando le sopracciglia. Il ragazzino fece finta di non averlo sentito.

« E poi lei deve raccogliere le forze. L’Oscuro Signore Aton non è il solo a volere la Lancia, molti altri Oscuri Signori hanno mandato i loro agenti immortali o altre creature a cercarla. Sono qui vicino. »

Machiavelli sentì un pizzicore caldo sul petto.

« Appunto! » disse, determinato. « Non possiamo essere sicuri di arrivare prima di loro. »

L’emissario sorrise allegro. Una scintilla luminosa gli attraversò gli occhi neri.

« Mi creda, signor Machiavelli. Possiamo. »

Lo disse così, come se fosse un dettaglio trascurabile. Per Machiavelli non lo era affatto, ma prima che potesse dire qualcosa, l’emissario alzò una mano.

La guardarono entrambi, quella mano alzata, Machiavelli incrociò le braccia, il ragazzino invece parve per un momento confuso, come se non sapesse che gesto fare.

Poi la agitò meccanicamente e corse via per il corridoio.

L’italiano si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffando aprì porta. Una volta dentro prese il quaderno dalla borsa. Aveva già perso minuti preziosi.

Scrisse il nome di Dagon e lesse con attenzione ogni parola.

*

Quando l’emissario si fece rivedere, la mattina dopo, Machiavelli era già in piedi e pronto a ripartire.

L’italiano non faceva altro che pensare a Richard, a chiedersi chi potesse essere interessato a lui. Tornò ad affollargli la mente il ricordo dell’unica persona che sapeva essere interessata al “giovane figlio degli Homines. “

Aveva pensato che il messaggio fosse un avvertimento per lui, invece, in qualche modo, corrispondeva a ciò che sarebbe successo in futuro. A ciò che Alypion aveva voluto che succedesse. E allora che scopo aveva avuto dirlo a lui, a Machiavelli?

L’immortale non poteva essere sicuro che Alypion fosse il vero responsabile. Forse, il messaggio serviva solo a mettere in guardia Machiavelli affinché proteggesse Richard.

Ma lui non lo aveva fatto. E forse Alypion aveva semplicemente rimediato al suo errore.

Ma proteggerlo da cosa? E perché?

L’unica persona che potesse rappresentare un pericolo sarebbe stato Dee. E lui, Machiavelli.

L’italiano trattenne un sospiro, mentre, seguendo il ragazzino, si inoltrava in un boschetto in cui uno stretto sentierino in terra battuta si insinuava tra le siepi. Ricordò il messaggio. E pensò che era assolutamente verosimile che Alypion volesse il ragazzo vivo, perché altrimenti avrebbe lasciato che morisse per mano di Dagon.

Nel messaggio aveva anche parlato della Lancia e dei Veglianti. Si doveva aspettare di trovarlo ai piedi di quel dannato monte?

Eppure un pezzo della sua teoria mancava. Il motivo, era quello che non riusciva a capire.

« Mi sembra assorto, signor Machiavelli. » lo distrasse l’emissario. Il sentiero si era fatto più spazioso e pianeggiante, così il ragazzino camminava di fianco a lui.

« C’è qualcosa che non va?»

Niccolò alzò il mento, riflessivo ma apparentemente sereno.

« No, niente che non va. »

La sua guida lo guardò scettico e Machiavelli ghignò.

« Ripensavo alle parole che mi hai detto ieri. Sull’autobus. »

L’italiano si aspettava una reazione seccata e scontrosa. Invece il ragazzino restò calmo, piegò gli angoli della bocca in un sorriso dolce che fece suonare strane e fuori posto le sue parole da adulto.

« Pensavo che piuttosto stesse pensando a come reagire nel caso ci fosse la necessità di scontrarsi contro altri immortali. Non sappiamo chi potremmo incontrare…»

Machiavelli sorrise, pensando che l’emissario si sbagliava di grosso.

« Hai ragione. » mentì spudoratamente.

« Posso farti una domanda?»  chiese poi, disinvolto. Il suo accompagnatore era una sorpresa continua anche nei gesti più banali, lo incuriosiva molto.

Anche il ragazzino parve interessato. Si tolse gli occhiali.

« E io potrò non rispondere?»

Machiavelli alzò le spalle.

« Come vuoi. »

« Allora va bene. »

« Ce l’hai un nome, o devo continuare a chiamarti “ Emissario di Aton?”»

Il ragazzino rimase in silenzio, le sopracciglia aggrottate. Sembrava che l’immortale lo avesse costretto a fare un grande sforzo.

« Io un tempo avevo un nome. » rispose, la voce più vibrante e dura. Non sembrava malinconico, solo riflessivo. « Adesso però non lo ricordo. »

« Non ricordi parecchie cose. » constatò Machiavelli. Il ragazzino aveva improvvisamente perso l’aura pericolosa e allarmante che lo circondava. Sembrava quasi fragile, nella sua inquietudine.

Gli occhi, pur essendo completamente neri, erano espressivi come solo quelli di un bambino potevano essere. Machiavelli ebbe l’impressione di trovarsi davanti a una creatura incredibilmente potente, ma in parte imprigionata nella sua infanzia. Quel ragazzino non avrebbe mai cambiato aspetto, e forse qualcosa del bambino che era stato sarebbe rimasto sempre, schiacciato da secoli e millenni di esistenza ed esperienza.

« Ma non importa. » riprese l’italiano, sempre più curioso. « Aton come ti chiama?»

« Lui ci chiama tutti allo stesso modo. » rispose meccanicamente il ragazzino.

« Ho conosciuto qualcun altro che non aveva nome. » sorrise Machiavelli « E poi se lo è scelto da solo, e per me è sempre bastata quella parola. »

L’emissario sorrise trionfante, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa di importante.

« Sì, l’Oscuro Signore Aton me lo ha detto. È piuttosto curioso… » Machiavelli si voltò verso di lui, quando il suo tono di voce cambiò radicalmente. Sentì ogni singolo muscolo raffreddarsi.

« È piuttosto curioso di sapere perché questa volta non ha portato con se la creatura di cui sta parlando, signor Machiavelli. »

L’emissario si fermò, e Machiavelli fece lo stesso, ma non di sua volontà. Il freddo lo avvolse e fece divampare la sua aurea, che tuttavia non gli portò alcun calore.

L’italiano si impose la calma. Aveva tirato fuori il discorso con quel preciso scopo, seguendo una sua intuizione che gli suggeriva il luogo dove era andato il ragazzino la sera prima. Era meglio che lui dimostrasse fin da subito di non aver paura di dire dove si trovava Dagon.

Il volto dell’emissario era più scavato, sotto gli occhi si aprivano due solchi neri. Lo guardava attendendo una risposta, lo sguardo fiammeggiante.

Machiavelli non faceva fatica ad intuire cosa sarebbe successo se le sue parole non gli fossero piaciute, o se non avesse creduto completamente alla mezza verità che stava per raccontare.

« Dagon non è con me perché deve svolgere un compito, in Francia. » rispose, calmo e impassibile. « Sta cercando per conto mio Nicholas e Perenelle Flamel. »

« Non mi pare che Aton le abbia ordinato di farlo. » replicò l’emissario.

« Infatti. Sto agendo da solo. »

« Per arrivare prima di John Dee?»

Niccolò rise brevemente.

« Forse. So essere incredibilmente infantile, quando voglio. »

Il freddo scomparve, e Niccolò per un momento temette di non sapersi più reggere sulle gambe. Dato che Dagon non c’era, si appoggiò a un albero. I lineamenti del ragazzino erano di colpo tornati morbidi e delicati.

« Li ha trovati?» chiese l’emissario, che ora lo guardava con interesse e non più con ostilità.

« Non lo so. Ma Dagon non agirà senza di me. » Machiavelli sospirò come se il ricordo di quanto successo non gli desse particolare soddisfazione. « Quando mi è stato affidato questo compito ho capito di non avere più tempo, e così…ho detto a Dagon di avvertire Dee una volta trovati i Flamel. »

L’emissario sorrise con dolcezza.

« Non è poi così infantile! » esclamò con un ghigno furbo.

Machiavelli rise e si accarezzò la corta barba.

« No, ogni tanto mi ricordo quanti secoli ho! » poi il suo sguardo si fece più attento, pronto a cogliere ogni espressione dell’altro. « Puoi dire questo ad Aton, la prossima volta che andrai a fare rapporto come l’altra sera. »

Per tutta risposta il ragazzino batté le mani in un applauso accorato ma ammirato. Lo prese per la manica e lo fece continuare a camminare verso un ruscello infossato tra le rocce.

« Sono contento di non doverla uccidere, signor Machiavelli.»

La frase  avrebbe potuto suonare quasi comica, oltre che completamente fuori dalla norma, sulle labbra di quel ragazzino mingherlino che gli arrivava a stento al petto. Machiavelli però non aveva mai avuto meno voglia di ridere.

« Penso che tu sia l’unico… »  affermò, in tono indifferente e rilassato.

L’emissario sembrava davvero sollevato e felice mentre gli saltellava al fianco. Ogni passo dell’italiano corrispondeva a due o tre dei suoi.

« Lei mi sta davvero simpatico. » disse sicuro. « Ho l’impressione però che lasciarla ad annoiarsi sia rischioso. »

Machiavelli non seppe cosa rispondere. Non poteva certo dargli torto. Un giorno aveva pensato che si sarebbe annoiato ancora per molto tempo e aveva lasciato fuggire Richard dai Flamel.

E guarda cosa è successo…

L’emissario si fermò di colpo.

« Ci siamo. »

Lasciò la manica dell’uomo e corse verso un pendio. Machiavelli si avvicinò e guardò giù, dove era già arrivato il ragazzino, agile nel suo piccolo ed immutabile corpicino.

Il ruscello formava una piccola fossa d’acqua, Niccolò la raggiunse e si bagnò le mani. L’emissario lo guardò per un momento, poi gli afferrò di nuovo la manica e, senza dire una parola e senza nessun gesto, si addentrò dentro allo stagno ricolmo di alghe.

L’immortale lo osservò stupito per un istante, e all’emissario la sua esitazione non sfuggì.

« Mi segua, signor Machiavelli. »

Niccolò non perse tempo a togliersi la giacca o le scarpe. Più niente lo stupiva più di tanto, ormai, e anche se per natura non si fidava molto facilmente, infilò i piedi in acqua e avanzò tra un brivido e l’altro fino a che non fu completamente circondato da alghe.

Il ragazzino muoveva le gambe per tenersi a galla. Se fosse stato umano, avrebbe rischiato di impigliarsi alle alghe e morire annegato. Dopo aver lanciato un’occhiata divertita a Machiavelli, rimasto impassibile un po’ più indietro, smise di muoversi e si lasciò affondare. Il suo corpo sparì a una velocità sorprendente.

Machiavelli era piacevolmente sorpreso e incuriosito. Avanzò verso il punto in cui era sparito il bambino e, soffocando l’istinto umano di tenersi a galla, rimase immobile.

Si sentì trascinare in basso e poi sollevare in aria con una morsa allo stomaco.

Una porta di energia!

*

« A quanto pare, abbiamo compagnia. » sorrise Alypion, ravvivandosi i lunghi capelli biondo platino. Gli occhi color lavanda lampeggiarono per un istante.

« Credi che saranno felici di vederci? » chiese, volgendosi verso il figlio degli homines.

Non ricevette risposta. Sospirò.

« Non sei ancora sveglio? Ma così non potrai salutare… » si fermò di colpo, alzando il viso e trattenendo l’aria nelle narici, con tutti i suoi odori.

« Il tuo salvatore! »

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Capitolo 9
*** La storia di Alypion ***


La storia di Alypion

 

Richard sognò di volare. Gli sembrava di essere vento, in perfetta comunione con l’aria. Come se la sua pelle fosse così leggera da scomporsi e ricomporsi in qualunque parte, seguendo la brezza.

Poi quella sensazione finì e gli sfuggì un gemito, si sentì schiacciare da qualcosa di molto pesante che però non sentiva al tatto. Se non avesse avuto la sensazione di avere la gola piena d’aria avrebbe urlato.

Non aprì gli occhi, per paura o per stanchezza. La testa gli girava terribilmente.

Sentì una mano afferrarlo per il colletto della camicia, avrebbe voluto opporsi e dimenarsi, ma le sue mani e le sue gambe erano rimasti di aria.

Il suo corpo non si era ricomposto del tutto, all’atterraggio. Perché ora sapeva di essere a terra. Sentiva dei passi intorno a sé.

Però qualcosa di lui continuava a librarsi nell’aria e ad essere trasportata dal vento.

Sentì una voce e gli sembrò che provenisse da tutte le parti. Gli rimbombò nella testa per parecchi secondi, che sembrarono lunghi una vita.

*

« Devo dire che non me l’aspettavo. »

Machiavelli scoprì con sollievo di essere completamente asciutto.

Lanciò un’occhiata intorno a sé, ma ebbe poco tempo per distinguere bene tutte le forme del paesaggio circostante. Vedeva foglie secche e infossate nella brina, il monte Chacraraju si stagliava nel cielo grigio.

« E io non mi aspettavo di arrivare secondo. »

L’italiano fu subito distratto dalla voce dell’emissario. Se non fosse stato per l’altezza, sarebbe sembrato molto più grande. Guardò nella stessa direzione del suo sguardo ed ebbe un colpo al cuore.

Tutti i suoi timori erano stati confermati.

« Salve, italiano. Non è passato poi molto tempo. »

Anche senza distinguere i capelli biondissimi, i tratti delicati sulla pelle bianchissima e gli occhi violacei lampeggianti, Machiavelli lo avrebbe riconosciuto dalla voce e dall’accento spigoloso.  Alypion si trovava a circa venti metri da loro, le braccia incrociate sull’ampia felpa. Parlava in un inglese ormai estinto da secoli. Machiavelli rimase impassibile. L’unica cosa che era cambiata dal giorno in cui lo aveva incontrato l’ultima volta erano due ali nere simili a quelle dei pipistrelli, ma lunghe quanto due limousine messe in fila in orizzontale.

Adesso era nei guai. Se Alypion avesse detto qualcosa, qualunque cosa riguardo al ragazzo…

Lo cercò con lo sguardo. Doveva esserci. Non poteva essersi sbagliato.

« Tu sei Alypion Desiephr, il Rinnegato! »

Machiavelli trasalì sentendo affianco a sé la voce squillante e quasi eccitata del ragazzino servitore del suo padrone.

Alypion fulminò l’emissario con lo sguardo e concentrò su di lui tutta la sua attenzione, ma il ragazzino non ne parve turbato.

« Un figlio di Aton… » Alypion sorrise. Machiavelli si irrigidì. « Allora è lui, Aton, il tuo padrone, italiano. » constatò con un sorriso arrogante.

« Vedo con piacere che vi conoscete» Di piacere l’emissario ne provava ben poco, a giudicare dalla sua espressione.

« Facciamola corta, Alypion. »

Machiavelli aveva perso definitivamente la pazienza. Aveva bisogno di risposte, ma se avesse dovuto uccidere Alypion prima di riceverle l’avrebbe fatto. avrebbe dovuto farlo, in realtà.

Di Richard non c’era traccia. Ma era lì, da qualche parte. L’italiano aveva assoluto bisogno di sapere a cosa serviva il ragazzo ad Alypion, perché tra tanti era stato scelto proprio lui. Ragionò in fretta. L’emissario gli aveva spiegato che la Lancia poteva essere raccolta solo da un abitante del Regno d’Ombra in cui si trovava. Quindi era logico che, se Alypion desiderava impossessarsi dell’arma, avrebbe dovuto costringere un homines a prenderla per lui, perché Alypion era tutto tranne che umano.

Ormai Machiavelli era quasi certo che Alypion gli avesse mandato il messaggio con lo scopo di tenere Richard al sicuro fino a quando lui non fosse stato pronto a portarlo ai piedi del Chacraraju. Ma perché aveva cercato proprio lui anche quando Machiavelli lo aveva spedito a Montpellier?   

 « Sono d’accordo, figlio degli homines! » rispose Alypion con disprezzo e una furia ardita ma trattenuta. Sembrava che stesse risparmiando la rabbia per un momento speciale.

Voltò di scatto la testa verso l’emissario.

« Immagino che Aton voglia la Lancia di Odino. »

« Immagino che la voglia anche tu. » rispose, freddamente, con lo sguardo fermo e fiammeggiante, l’emissario.

Immagino che mi dovrò unire a voi nella lotta per la sua conquista…

Machiavelli avrebbe volentieri espresso le sue riflessioni, ma avrebbe significato solo perdere tempo. Con un sospiro cupo, alzò gli occhi su Alypion e sostenne il suo sguardo.

« Perché vuoi la Lancia, Alypion?» chiese, in tono pacato. Accanto a lui l’emissario assisteva con interesse, lasciando a lui le redini della conversazione. « tu non aspiri al potere.»

Alypion ghignò sprezzante, con scherno.

« E tu a cosa aspiri, italiano?»

Machiavelli non pensò alla risposta.

« Mi sarei aspettato di vedere molta gente qui, tranne te. Pensavo di vedere un manipolo di assetati di potere. Invece spunti fuori tu, e io so che i tuoi motivi devono essere senza dubbio più nobili. Mi sbaglio? »

« Non ti sbagli, umano! » rispose Alypion, con un gesto stizzito. « Sai, molte creature sono morte nel tentativo di raggiungere quell’Arma. Se lo meritavano. L’avrebbero usata nel modo sbagliato. »

Machiavelli annuì.

« Sì, lo so. »

« Anche tu, italiano, non hai scopi migliori. Vuoi la Lancia perché Aton ti ha ordinato di prenderla, ti stai solo salvando la pelle senza interessarti più di tanto a come Aton potrebbe usare la Lancia di Odino. »

Machiavelli ghignò, mentre l’emissario spostava lo sguardo su di lui, attendendo una risposta.

« Esatto. »

« Mi deludi, Machiavelli. » il tono di Alypion poteva sembrare quasi risentito. « È un vero peccato…» mormorò.

Machiavelli alzò le spalle.

« La colpa è tua. Ti sei aspettato troppo da me. Mi hai visto diverso, è stata una tua scelta.»

L’immortale tornò serio e la sua espressione si velò di cupo interesse.

« Perché vuoi la Lancia, Alypion? Se devo scontrarmi con te… voglio sapere da parte stanno il bene e il male. Voglio sapere quale sogno sto infrangendo. »

Davvero commovente, complimenti, si complimentò con se stesso Machiavelli. Scambiò uno sguardo con l’emissario per condividere quel pensiero, e un lampo di divertimento attraversò i suoi occhi neri.

Alypion teneva lo sguardo perso nel vuoto, come se una parte di lui si fosse allontanata in un passato remoto. Poi puntò gli occhi su Machiavelli. Non era più sprezzante, sarcastico, deluso o irato.

Semplicemente, aveva lo sguardo di chi è pronto a buttare fuori ciò che ha tenuto dentro per secoli, in completa solitudine.

« Il desiderio di vendetta è ciò che mi tiene ancora in vita. Come accade per molte creature.» Alypion sembrava ormai lontano, irraggiungibile nella foschia. La sua voce aveva assunto una cadenza molto strana, che Machiavelli non aveva mai sentito.

Lo vide sorridere.

« Vuoi davvero sapere come userei la Lancia, figlio degli homines? »

L’immortale annuì lentamente. « Sì, lo voglio sapere. E so che tu me lo vuoi dire. »

Alypion rise. A Machiavelli sembrò che la brina stesse scivolando verso di lui.

« Forse hai ragione. »

 l’emissario assisteva, immobile e silenzioso, accanto all’umano che aveva il compito di proteggere. Niccolò sapeva che stava studiando Alypion in ogni dettaglio.

Il volto di quest’ultimo si era velato di sofferenza. Una sofferenza  che era abituato ad ospitare dentro di sé, che era pronta per venire allo scoperto.

« Il Regno d’Ombra da cui provengo è diviso in due. Le chiamano le due Sfere. »

Alypion si avvicinò di qualche passo, ma sembrava completamente assente, come se solo la sua voce fosse veramente reale. Machiavelli cercò di capire ogni parola, ignorando l’accento sibilante.

« L’unica cosa che il popolo della Prima Sfera e quello della Seconda Sfera avevano in comune era la capacità di utilizzare l’energia aurica per formare due enormi barriere, che separano i due mondi. Io sono nato nella Sfera dei Serafici, gli Alati. »

Le sue ali fremettero e si ripiegarono nervosamente.

« Non ho mai avuto genitori. Ma non mi è mai importato. Nel mio mondo non sono importanti, la mia famiglia erano gli abitanti dell’intera sfera. »  la sua voce divenne più dura. Provava ancora rabbia, ma verso se stesso, questa volta.

« Ciò che avevo di più prezioso era la mia adorata sorellina, Nivime. »

Machiavelli lanciò una breve occhiata all’emissario. Lui scosse impercettibilmente la testa. non sapeva nulla di quella storia.

« Era piccola, gracile e malata. La mia gente non capiva cosa avesse, ma faceva sempre fatica a respirare. Le sue ali non si muovevano. Avevo già visto morire altri per quel male a cui nessuno riusciva a trovare rimedio. La sua aurea era sprovvista di calore, nel mio mondo può succedere.  »

L’angoscia di Alypion si sparse per il territorio, Machiavelli poteva percepirla sulla pelle, ma non si fece coinvolgere. Con uno sforzo estremo, ricambiò lo sguardo vuoto di Alypion e si mantenne lucido.

« Avevo un sogno. Volevo riuscire a salvarla. Così pregai un maestro di Arti Mediche, molto importanti nel mio mondo, a prendermi come allievo. Avevo solo novantasette anni. »

Machiavelli trattenne tutti i suoi commenti. Non poté però fare a meno di pensare con sarcasmo a quanto doveva essere indifeso, il povero piccolo Alypion, a soli novantasette anni.

« Sono l’equivalente dei dodici anni umani. » spiegò Alypion. Machiavelli era rimasto impassibile, ma evidentemente la creatura aveva capito che l’immortale, in quanto umano, era abituato a un ritmo di crescita un po’ diverso.

« Il maestro mi accettò. Probabilmente gli feci pena. Mi prese come allievo anche se non avrei potuto ripagarlo in alcun modo. Era l’essere più buono che avessi mai conosciuto, l’impurità del mio mondo non lo aveva toccato. »

Machiavelli si chiese cosa intendesse esattamente per “impurità”, ma decise di non interromperlo.

«Conservava l’innocenza di un bambino, ma era saggio, e io lo vedevo forte come nessun altro. Con lui capii l’importanza di avere un padre, non mi sentii più completamente solo o disperato.  Con lui non mi sentivo più uno dei tanti orfani che non possono fare altro che aspettare che la loro sorellina muoia. Il mio maestro ed io lavoravamo giorno e notte per trovare una cura, lui mi promise che avrebbe fatto di tutto per salvarla. E quello che mi diede più gioia, fu che con le nostre cure riuscimmo davvero a migliorare le condizioni di Nivime, anche se ancora non era guarita. Ma il maestro era ottimista, e a me bastava. »

Chiuse gli occhi e strinse i pugni. La rabbia gli faceva vibrare lentamente il petto. Machiavelli sapeva per esperienza che la rabbia generata dal dolore era insopportabile. Distolse lo sguardo per un momento.

« Feci amicizia con una… la chiamerò “ragazza”, anche se è un termine umano. Si chiamava Mineikre. Anche lei era una allieva, come me, ma guardava il mio maestro come un istruttore, niente di più. Io invece lo veneravo. E loro…»

Machiavelli arretrò istintivamente di mezzo passo, quando le ali di Alypion si spalancarono di colpo. Il suo sguardo bruciava di odio.

« Lo uccisero. Davanti a tutta la comunità. È questo che succede nel mio mondo, se si viene accusato di omicidio e tradimento. » fece un gesto stizzito con la mano. « qualcuno aveva ucciso il Custode, colui che aveva il compito di controllare la barriera magica. Tutti pensarono che fosse un tentativo di distruggere la barriera, per permettere al popolo della seconda sfera di attaccarci, a sorpresa. »

L’immortale sbarrò gli occhi, l’emissario si tolse gli occhiali e li appese alla maglietta, le sopracciglia aggrottate.

« Non era vero. Non era stato lui. » azzardò Machiavelli, istintivamente.

Alypion era rigido come una statua. « No, non era vero. » confermò, gelido.

« Ricordo il giorno in cui fu ucciso. In ogni dettaglio. Lo fecero nel modo più banale, sovraccaricandogli l’aura con l’energia di altri cinque Maestri, i più potenti. È molto facile indurre i nostri corpi all’autocombustione, ma ti consiglio di non provarci, italiano. Non ce la farai, non con me. »

L’emissario assottigliò gli occhi in un’occhiata di sfida. Machiavelli era certo che stesse già pensando a un modo per bruciarlo vivo senza risultare troppo prevedibile, tanto per fargli rimangiare tutto ciò che aveva detto.

« Che cosa è successo dopo, Alypion? »

Machiavelli aveva la sensazione che non fosse finita. Lo sguardo di Alypion tremò e si infiammò.

« Diventai un soggetto fastidioso. Ma i miei “fratelli”, come si facevano chiamare, non mi disprezzarono, nonostante fossi andato a cercare i cinque Maestri e gli amministratori del mio popolo diverse volte. Me la prendevo con chiunque, iniziai a vedere tutti come nemici, che avevano permesso che un innocente fosse ucciso. Questo era inconcepibile, perché nel mio mondo l’odio è riservato solo ai traditori. Almeno è questo che dicono. Ma è solo un’altra menzogna. »

Senza nessun preavviso, Alypion proruppe in una risata amara.

« Mi esiliarono. Come se fosse la più terrificante delle punizioni. Non era per sempre. Dicevano che facevo parte della famiglia, che mi amavano come un fratello. E quindi, sarei tornato solo dopo trenta giorni, e sarei tornato ad essere quello di prima, avrei capito i miei errori. »

Un’ombra di follia gli attraversò lo sguardo. Le ali scattarono in avanti e Machiavelli sentì l’aria sferzargli il viso.

« Mi dissero che si sarebbero occupati della mia sorellina. Mineikre, nonostante l’avessi trattata male negli ultimi tempi, diceva di essere rimasta la mia più cara amica. Aveva imparato le tecniche di guarigione del mio maestro, e mi promise che le avrebbe migliorate, che avrebbe lavorato sodo per salvare Nivime. Mi sentii un po’ sollevato, e forse anche commosso. »

Alypion sembrava aver abbandonato di colpo ogni energia. Il capo si abbassò in sincronia con le immense ali.

« Alypion… » lo richiamò Machiavelli, cercando di essere il più delicato possibile. Era troppo curioso per lasciar perdere.

« Dove ti esiliarono?»

La creatura alzò appena il capo, gli occhi stanchi. Machiavelli capì che stava aspettando quella domanda, o qualsiasi altra domanda. Voleva essere ascoltato, voleva rendere visibile a tutti il suo tormento, in modo da riuscire a giustificarsi per il desiderio di vendetta che provava. Non voleva assomigliare alla sua razza, che disprezzava ed odiava. Ma aveva trovato un senso alla sua vita solo nella vendetta, e voleva convincersi che non fosse sbagliato.

« Nella Seconda Sfera. Quella che disprezzavano. Mi dissero di rimanere nel bosco per non incontrare il popolo che tanto odiavano. Ma io non lo feci. »

Sorrise, l’ombra di un’antica soddisfazione nello sguardo.

« Ci avevano insegnato fin da piccoli a stare alla larga dal popolo della Seconda Sfera. Avevano detto che erano contaminati dall’odio, pericolosi. E io andai ad incontrarli lo stesso, non so perché, forse semplicemente per non accettare consigli dalla mia gente. »

Prese un respiro, il mento alzato, i pugni serrati. La sua pelle cominciò ad assumere sfumature argentee e brillanti, e quando parlò di nuovo la sua voce era più profonda e più sibilante.

Machiavelli si irrigidì.

« Diciamo che non corrispondevano esattamente alla descrizione. Mi accolsero come una novità inaspettata ma gradita. Erano colti, più di quanto mi aspettassi. Nemmeno per aspetto erano diversi da noi. Immagina il mio stupore, italiano…»

Alypion puntò lo sguardo cupo sull’immortale, ma non sembrava vederlo davvero.

« Quando scoprii che niente di ciò che mi avevano raccontato su quel popolo era reale! Lì… mi sentivo a casa, perché il mio maestro mi aveva insegnato a ricercare per prima cosa la bontà nelle creature viventi. E loro ne avevano. Non parlarono mai di come i due mondi erano stati divisi, né del perché. Non offesero mai il mio popolo, e non apprezzavano nemmeno quando lo facevo io. Gli raccontai di come erano visti nella Prima Sfera, ma loro lo sapevano già e non si indignarono. Volevo restare lì, nella Seconda Sfera… ma non avrei mai potuto lasciare Nivime. »

Respirò forte per calmarsi. L’aria si riempì dell’odore della cannella.

Machiavelli guardò in basso, verso l’emissario, che continuava a tenere le braccia incrociate senza l’ombra di un’espressione sul viso.

« Sei tornato nella Prima Sfera. »

Alypion annuì, il suo sorriso aveva qualcosa di folle e sofferente.

« Esatto. Cercai di fare come mi aveva suggerito il popolo della Seconda Sfera. Cercai di perdonare i torti subiti, lo feci per mia sorella. E andò meglio nei primi tempi. Venni accolto come un eroe che era riuscito a trovare la pace in un mondo estraneo e rischioso. Mi dissero che Mineikre aveva portato mia sorella dal Saggio della Montagna, un vecchio Mago che non si faceva vedere mai e che aveva provato a curarla. Nel tempo in cui aspettai Nivime, pieno di speranza, mi sentii davvero meglio, cercavo di non deludere il Popolo della Seconda Sfera e mi sforzavo di vedere il buono in ogni persona. Ci riuscii, mi convinsi che non tutti avevano colpa per ciò che era successo al mio maestro. Mineikre diventò presto una delle cose più preziose che avevo. »

Machiavelli si chiese se fosse davvero rimpianto ciò che vedeva dipinto sul suo volto. Aspettò che riprendesse a parlare da solo, senza forzarlo.

Alypion fece vibrare le ali, lo sguardo basso.

«  La mia vita andava avanti, ma mia sorella era ancora su quella dannata montagna. Chiesi spiegazioni agli amministratori e loro mi risposero che stava cominciando a guarire, con sorrisi gioiosi. »

Il suo sarcasmo non riusciva a celare la sua rabbia. L’emissario guardò Machiavelli.

« Immagino che voglia arrivare alla fine della storia, vero, signor Machiavelli?» sussurrò.

« Hai un piano migliore per prendere tempo?»

L’emissario scosse la testa. Machiavelli guardò ancora Alypion, perso nei suoi pensieri.

« Alypion. » mormorò. « Vai avanti, ti prego. »

Alypion si afferrò i capelli dietro la nuca con ferocia. La sua pelle sembrava rivestita da una membrana grigio-argento, due strisce bluastre gli scendevano dagli occhi fino ad arrivare al mento, poi evaporavano in piccole volute di fumo azzurro.

L’italiano ci mise un po’ per capire che si trattava di lacrime.

« Una notte… » continuò, la voce che aveva lo stesso rumore del granito che strusciava su una pietra « Una notte origliai una conversazione tra i maestri e gli amministratori. E scoprii che ciò che possedeva mia sorella non era una malattia. Era l’effetto di una sostanza nociva che gli avevano iniettato nel corpo alla nascita. La sua aurea non doveva ricevere calore, o almeno non completamente, perché solo quel tipo di aurea riusciva a tenere in piedi la barriera. »

Machiavelli capì tutto all’improvviso, per un attimo gli girò la testa. Alypion scoprì furiosamente i denti, i canini allungati che grondavano un liquido corposo e trasparente. I suoi occhi si cerchiarono di viola e le ali scattarono in avanti.

Machiavelli si aspettava di vederlo prendere il volo, ma con suo grande sollievo Alypion non si staccò da terra. Era irriconoscibile.

Lo sguardo dell’emissario si indurì, la sua mano scattò verso il braccio di Machiavelli. L’italiano si sentì invadere da un energia che gli fece quasi cedere le gambe.

« Vuoi sapere la fine, Niccolò Machiavelli? » la voce della creatura era cambiata di nuovo. Adesso sembrava risuonare per tutto il territorio, con tanto di eco. Come se due voci si fossero sovrapposte, quella dell’”Alypion quasi umano”, e quella dell’”Alypion per niente umano”. Una delle due arrivava sempre con qualche secondo di ritardo.

Machiavelli si impose la calma e rispose deciso: « Sì, voglio saperlo. »

« Andai a riprendermi mia sorella, dove avevo sentito che l’avevo confinata per estrarre la sua aurea a poco a poco. Cercai di scappare, di attraversare la barriera, ma loro furono più veloci. Fui accerchiato… da molti abitanti. Dagli amministratori e da alcuni maestri che non si erano tirato indietro. Mi chiesero di scegliere. O la lasciavo a loro, ed ero libero, oppure cercavo di oppormi e venivo ucciso. »

Machiavelli lo guardò fare due passi avanti, mentre i muscoli si ingrandivano sotto la felpa strappata sulla schiena.

« Pensai molto in fretta, quella notte. L’odio che sentivo era paragonabile a quello che sento adesso. Ma lasciai loro mia sorella, e me ne andai. »

 l’immortale tutto si sarebbe aspettato, meno che questo. Alypion lo guardò con dolore.

« Avevo un piano. Volevo andare nella Seconda Sfera, chiedere aiuto, perché da solo non ce l’avrei mai fatta. Attraversai la barriera in segreto, ma mi accorsi presto che, accanto alla Prima Sfera, nessuna barriera di energia aurica proteggeva la Seconda Sfera. »

Alypion iniziò a sollevarsi in aria, le ali frementi. Machiavelli intravide un bagliore alle sue spalle, che si solidificò in una striscia bianco-argentea.

« Quella per caso è una coda? » chiese l’emissario, il tono tranquillo di chi chiede: « sta piovendo o c’è il sole?»

Machiavelli si grattò la testa.

« Credo di sì. »

« Gliene sta spuntando un’altra. »

« Sì, ci vedo benissimo, grazie. »

« Si figuri… »

Machiavelli sentì il vento infiltrarsi negli occhi e sotto i vestiti, un vento forte, innaturale, che proveniva dalla ali sbattute verso il basso di Alypion. Machiavelli si avvicinò, ignorando la piccola mano che lo tratteneva per la giacca.

« Erano morti anche loro, vero? » azzardò Machiavelli, quasi urlando per sovrastare il rumore del vento « Fammi indovinare. Avvelenati. »

Alypion sorrise. « Sarà un vero peccato ucciderti, italiano. Tu sei in grado di capirmi. Ma non vuoi farlo. E stai ostacolando i miei piani. »

« Vuoi la Lancia per sterminare il tuo popolo e liberare tua sorella, se è ancora viva. » constatò l’emissario a braccia incrociate. Stranamente la sua voce si sentiva benissimo anche senza che lui alzasse il tono.

Machiavelli si sentì rabbrividire, ma fu anche pervaso da una forte determinazione. Forse poteva capire i sentimenti di Alypion. Ma non aveva nessuna intenzione di fallire.

Alypion gli lesse quei pensieri nello sguardo e sbatté più forte le immense ali.

 

Note di Tacet433

Ed ecco il nove! Che è uscito insieme all’otto, quindi immagino che lo dovrete leggere a rate per prendervi una pausa. Anche perché è un capitolo stressante questo, vero? Almeno, lo è stato per me. Però anche divertente da scrivere. Lo so, non ho ancora spiegato il piano di Alypion con Richard eccetera. Ma il fatto è che scrivere la vita del mio OC… mi ha prosciugato di ogni forza. ; ) Spero che tutto si capisca.

Per qualsiasi cosa non esitate a chiedere e fatemi notare gli eventuali errori, conto su di voi!

 

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Capitolo 10
*** "dicharazioni di Rima" e Nuove Conoscenze ***


Non è propriamente un avviso, questo.

Non sono nemmeno vere note iniziali, e non voglio dilungarmi troppo in scuse che potrebbero seriamente infastidire. Solo, non mi sembrava rispettoso nei confronti di chi ha seguito questa storia con tanta tenacia e partecipazione fin dall’inizio, postare un nuovo capitolo dopo così tanto tempo senza prima metterci delle “note iniziali”.

Quando ho cominciato questa long, doveva essere del tutto diversa. Non sono dispiaciuta o delusa da come si è evoluta la storia, ma ho dovuto fare i conti con una serie di cambiamenti che mi hanno portato a bloccarmi, a non riuscire più a scrivere una riga.

In realtà, non è stata “colpa”, diciamo, solo di questa storia. Ho appena passato un periodo in cui tutto quello che riuscivo a scrivere non mi piaceva affatto, e pensavo non sarebbe piaciuto nemmeno a voi. Forse a causa del poco tempo a disposizione e della frustrazione di poter dedicare alla scrittura solo poca concentrazione. In ogni caso, ora sono qui perché mi sembra di avere il cervello un po’ meno in disordine, passatemi il termine, e ho ritrovato ispirazione e forse anche capacità per tentare di cimentarmi di nuovo in questa storia, che amo alla follia.

Non ho ancora avuto il coraggio di andare a vedere quanto tempo è passato. Mi scuso molto e tenterò di fare in modo che non mi ricapiti più un altro periodaccio. Avrei anche voglia di buttar giù qualche flash, o qualche one-shot sui Segreti, perché mi mancava l’ispirazione, ma la voglia di scrivere è sempre rimasta con me.  

Prima di tutto, però, voglio assolutamente andare avanti con questa fic, per me e per tutte le persone gentilissime che mi hanno seguito. Lasciarla incompleta mi riempirebbe di sensi di colpa, anche se è passato un sacco di tempo.

Grazie mille a chi mi ha seguito fino ad ora!

 

Nuove conoscenze

 

Machiavelli aveva avuto poche volte prima d’allora la mente tanto affollata da pensieri diversi. Si chiedeva dove fosse Richard e contemporaneamente come liberarsi di Alypion prima che si facesse scappare qualcosa su di lui e sul ragazzo davanti all’emissario. E poi avrebbe dovuto far tacere anche Anderson.

« Signor Machiavelli… » l’emissario richiamò la sua attenzione ma non spostò gli occhi da Alypion, che a sua volta li studiava.

« È soddisfatto di ciò che ha scoperto oggi? »

« No. » dovette ammettere l’italiano. « non comprendo appieno il modo di ragionare del popolo di Alypion. »

« Lo immaginavo. Ma adesso non c’è più tempo. » disse sbrigativamente l’emissario, e Machiavelli notò che il suo aspetto stava di nuovo cambiando, gli occhi diventavano più infossati, gli zigomi più marcati, ma ancora i suoi tratti non perdevano il velo di innocenza tipico dei bambini.

« Alypion deve aver preso in ostaggio un umano, perché per lui è impossibile prendere in mano la Lancia in questo Regno d’Ombra. » gli fece notare il ragazzino.

« Ammesso che lo sappia. »

Lo sapeva eccome, ne era ormai certo, ma Machiavelli avrebbe dovuto fingere fino all’ultimo di non sapere niente.

L’emissario annuì, mentre l’aria si riempiva di un forte odore di cannella e di un sottile strato di fumo ambrato.

« Cerchi la Lancia, signor Machiavelli. Io penserò ad Alypion. »

Niccolò lo guardò preoccupato, ma l’emissario sorrise dolcemente.

« Non faccia troppo affidamento su ciò che vedono i suoi occhi. »

Inspiegabilmente Niccolò non riuscì a scacciare la preoccupazione, ma se rifletteva razionalmente sapeva che l’aspetto gracile del ragazzino lo stava ingannando, non permettendogli di scorgere la sua vera natura.

Annuì con convinzione e, studiando i movimenti di Alypion, sparì alla vista nel fumo color rame.

*

Alypion, per un attimo, commise l’errore che non si sarebbe mai perdonato. Per un solo istante, sottovalutò il suo avversario. Si perdonò presto, chiunque lo avrebbe fatto, trovandosi davanti una creatura come l’Emissario di Aton.

Era un bambino, con i tratti rotondi e infantili, i capelli spettinati, il corpo esile e le gambe corte. Possedeva un’eleganza inumana, che però non rendeva il suo aspetto più minaccioso, ma più fragile. Alypion ricordò il corpo minuto e grazioso di sua sorella, il bel viso liscio, gli occhi grandi.

E per un eterno secondo, l’emissario gli sembrò intoccabile. Troppo innocente per essere ucciso.

Ma alla creatura bastò avvicinarsi di poco al suo viso, per cambiare idea. I suoi occhi bruciavano di un fuoco crudele, divampante, deciso. E improvvisamente la sua figura ricordava di più una bestia feroce che per troppo tempo era rimasta rinchiusa e sottomessa, che un bambino.

Alypion si scagliò contro di lui con rabbia e determinazione, e vide il suo viso cambiare in un solo istante, affilarsi e contorcersi in preda alla follia. Le unghie delle mani si allungarono e da ogni dito partì una scia nera e fumante che macchiava la sua pelle, fino a coprirne ogni centimetro. I muscoli  si gonfiarono, pur mantenendo la loro forma allungata e slanciata. I canini si allungarono insieme ai capelli, che scesero lungo la schiena incurvata. Gli occhi erano cerchiati da simboli dorati che scendevano fino al mento, ma Alypion non seppe decifrarli, e non ne ebbe il tempo.

L’emissario scattava da una parte all’altra della radura con estrema agilità, tanto che per Alypion era difficile seguirlo con lo sguardo e indirizzare i suoi attacchi nel punto giusto. Il corpo di quella creatura, ancora piccolo e basso, era dotato di una velocità eccezionale.

Alypion fece vibrare le lunghe ali e roteò nell’aria, concentrando la sua aurea nelle mani e scagliando lance di energia verdastra contro l’emissario, che continuò a schivare. Alypion scattò in avanti e lo colse di sorpresa, alzò il braccio per colpirlo. Un suono improvviso lo distrasse, rendendo più impreciso il movimento.

Un urlo. L’urlo agghiacciante di un essere umano.

 

*

 

Machiavelli  si coprì le orecchie con le mani, con una smorfia di dolore. Un grido improvviso gli aveva fatto pulsare le tempie. Era il grido di un mortale, i suoi sensi risvegliati potevano capirlo chiaramente, ma… sembrava amplificato di almeno una decina di volte.

L’italiano, caduto in ginocchio, si mise subito in piedi e corse verso la direzione da cui proveniva quel suono, il cuore in gola.

Si bloccò appena superò la prima breve salita sterrata, lo stomaco si contorse in una spiacevole sensazione. Davanti a lui c’era Richard Anderson, gli occhi stranamente vacui, in piedi davanti a un enorme lastra di pietra. Nella sua mano, la lancia di Odino.

Di una bellezza estasiante, talmente luminosa da nascondere parte dei suoi tratti. La punta acuminata e finemente lavorata pareva trasudare magia in continuazione e in quantità stupefacenti. Niccolò sentì la testa girare, ma non poté concentrarsi a lungo su quella meraviglia.

Tutto, nell’espressione del ragazzo, sembrava non appartenergli. Osservava la lancia scintillante e più alta di lui di almeno qualche metro senza una particolare sorpresa. Sembrava piuttosto… eccitato. La sua bocca era piegata verso l’alto in un modo lievemente sadico.  

« D’accordo. » esclamò Machiavelli, alzando le braccia in un gesto conciliante.« È sempre un piacere fare nuove conoscenze. Chi sei? »

L’essere- perché Niccolò non se la sentiva di apostrofarlo come “Richard”- si girò verso di lui. Per un attimo lo sguardò con gli occhi impassibili, mostrando quella immobilità tipica di alcuni Antichi Signori quando venivano colti di sorpresa.

« Sei bravo coi travestimenti. O brava? » disse Machiavelli, scrollandosi la polvere dalle maniche della giacca e indicando con un gesto vago il corpo di Richard.

L’essere non emise un suono e non si mosse.

« Non importa. » minimizzò Niccolò, dopo qualche istante. « tanto non mi farei molti problemi a colpire una donna con le sembianze di un uomo. »

Machiavelli era sempre stato un maestro nell’irritare le persone. E non solo le persone. Ogni tipo di creatura. Ed era convinto di esserci riuscito anche questa volta. Invece l’essere lo osservò con attenzione e per un attimo la sua espressione parve leggermente confusa.

Quasi umana. Finalmente qualcosa che stava bene sul viso del povero Richard.

Alypion e l’emissario facevano tremare il terreno con la loro magia, ma l’essere sembrava immerso in pensieri profondi e mentre Niccolò si appoggiava a un albero per non cadere, lui si guardò le mani.

O meglio, guardò le mani di Richard.

« Questo è un uomo? » chiese poi, rivolgendo di nuovo lo sguardo su Niccolò e pretendendo una risposta rapida.

L’italiano ghignò.

« Beh… immaginalo con un po’ di barba, qualche mese di jogging… »

L’essere non sembrò capire, ma nei suoi occhi intelligenti Machiavelli non lesse nessuna domanda.

« Sì, è un umano. Uno degli homines. » precisò subito dopo, incuriosito dallo strano comportamento del suo interlocutore. Di certo, non si sarebbe aspettato una situazione del genere. La Lancia era troppo preziosa per non provare a scappare subito con essa o per non provare a eliminare i nemici che ostacolavano l’impresa.

L’essere non sembrava affatto sul punto di fare nessuna delle due cose.

« Ora ricordo. » lo sentì mormorare.

E a Machiavelli faceva davvero tanto piacere che finalmente ricordasse, ma come il tremore sotto ai suoi piedi gli rammentava piuttosto spesso, non era nelle condizioni di poter attendere molto. Non aveva tempo di starlo a sentire. Doveva trovare il modo di prendere la Lancia.

Si impose la calma. Non doveva perdere la pazienza. Fino a che l’essere rimaneva tranquillo, lui poteva studiare la sua personalità e inventarsi qualcosa per mettere le mani sulla Lancia.

« Tu sei un uomo?» chiese la creatura, impassibile.

Per fortuna la voce non era più quella di Richard, altrimenti Niccolò non sarebbe riuscito a trattenere le risa.

« Certo! »

« Tu non sei un uomo. »

Niccolò lo osservò serio, sbattendo due o tre volte le palpebre.

« Penso che me ne sarei accorto se così fosse. » rispose, diplomatico.

L’essere rise con la voce tonante e profonda. La sua risata crebbe progressivamente e riempì tutta la radura.

« Tu non hai niente di un guerriero! »

Niccolò capì in un istante con un piccolo moto di disappunto misto a divertimento. Si indicò il petto con le mani, mentre la creatura lo osservava in viso con un sorrisetto ironico.

« Vado in palestra tutti i martedì! » affermò, fingendosi almeno parzialmente offeso.

Di nuovo, l’essere non sembrò capire, ma la cosa non parve turbarlo.

« Io ho assistito alla guerra di Pausania al comando degli Spartani, nella battaglia di Platea»

« … Magari non quel tipo di palestra… »

Uno scossone più forte degli altri minacciò di far cadere gambe all’aria Machiavelli e riuscì persino a far fare una smorfia di disappunto all’essere.

« Fastidioso, vero? » fece Niccolò, avvicinandosi di due passi.

L’essere lo squadrò arcigno.

« Immagino sia colpa tua. »

« Chissà perché lo immaginano sempre tutti… » rispose Machiavelli con un lieve ghigno. « Comunque, mi dispiace deluderti, ma non sono stato io a portare qui la Lancia. »

« Questo lo so! » rise l’essere « Sono stato io! »

Niccolò non si scoprì troppo sorpreso. “Prendendo in prestito” i corpi umani poteva toccare la Lancia. Ma allora perché l’aveva lasciata lì? Non aveva un nascondiglio più sicuro, magari in un altro Regno d’Ombra?

« Trovata geniale. Davvero. » si complimentò ben poco sentitamente Machiavelli. « E dimmi: perché allora dovrebbe essere colpa mia? »

« Non sei stato tu a salvare questo ragazzo? »

« Non che io ricordi. » mentì Machiavelli con magistrale abilità.

« Inutile mentire… » sorrise teneramente l’essere « Io posso osservare i tuoi pensieri nel profondo… e capisco la tua mente. » aggiunse, inspirando come se potesse sentire l’odore dei pensieri di Niccolò.

« Ah, sì? Beato te. »

Nonostante ostentasse spavalderia, Machiavelli era raggelato dalla testa ai piedi. Il pensiero che qualcuno potesse entrargli nella testa, che potesse scoprire i suoi segreti… lo faceva tremare di rabbia.

Si accertò che l’emissario e Alypion non potessero sentirlo prima di azzardarsi ad aprir bocca.

« Questo non significa nulla. Ai piedi di questo monte, se c’è qualcosa per cui si combatte è la Lancia di Odino. »

« la Lancia non può essere impugnata da qualcuno che non appartiene al Regno d’Ombra in cui si trova. » replicò l’essere con durezza. Indicò col mento il punto da cui arrivavano i boati e il lampo di luce. « Combattono per il ragazzo. È il solo che può prendere la Lancia. »

L’italiano scosse la testa con pazienza.

« Il ragazzo è di Alypion. »

E lasciò che l’essere capisse da solo il resto.

« E tu sei di Aton. » il suo ghigno si tramutò in una smorfia maligna « Non sei venuto solo e di tua volontà. »

« Ora comprendi che ho una certa urgenza di portare al mio padrone la Lancia di Odino» Disse secco Machiavelli e la sua aurea divampò e il fetore di un serpente si spanse nell’aria.

L’essere sorrise, pericoloso.

« Comprendo. » affermò, accondiscendente. « Ma dubito che riuscirai ad impossessartene.»

« Fossi in te non ci conterei. » lo contraddisse Machiavelli, gelido. « La voglia di salvarmi la vita mi rende sempre molto motivato. »

 

 

È cortino come capitolo, lo so. Ma il prossimo arriverà presto, lo devo solo correggere.

È inutile che cerco di trattenermi, lo devo dire: Machiavelli mi è davvero mancato!

E adesso è qui di fianco a me che si strofina le mani, perché sa che non è così facile toglierselo dalla testa e perché in questo capitolo, sì, si è preso un bello spavento… ma l’ha fatto con stile.

Grazie infinite per essere arrivati fino a qui!

 

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Capitolo 11
*** La vittoria del più debole ***


La vittoria del più debole

 

 

Machiavelli osservò Richard posare di nuovo la Lancia dentro al sarcofago di pietra in cui era stata custodita fino a quel momento, con delicatezza.

L’occhio gli cadde sulla sagoma nera e sfuggente di un volatile di piccole dimensioni, proiettata sulla polvere. Un brivido gli salì lungo la schiena, e una consapevolezza agghiacciante gli invase la mente. I corvi.

I corvi di Odino. Hugin e Munin, Pensiero e Memoria.

Machiavelli sorrise dentro di se.

« Cosa vuoi fare con la Lancia? » chiese, fissando gli occhi glaciali in quelli di  Richard.

Il ragazzo sorrise disincantato.

« Quello che vogliono farci tutti, italiano. Il potere è una tentazione che si da troppo per scontata, e spesso gli uomini come te finiscono per credere che ci sia qualcos’altro sotto. Tu non aspiri al potere? »

Machiavelli scosse le spalle.

« è un desiderio che mi tenta spesso. » affermò, noncurante. « Ora però, voglio solo ridare la Lancia al suo legittimo proprietario. »

Richard rise con una voce gutturale, senza gioia ma anche senza ritegno.

« Non so cosa ti abbiano raccontato, ma non è Aton il custode della Lancia. »

« Aton la ridarà ad Odino. Sono alleati, ora. » disse Machiavelli, sicuro.

Era in questi momenti che pensava davvero che Dagon avesse ragione. Mentire era ciò che gli riusciva meglio.

Voleva farsi sentire da Odino tramite i suoi corvi. E fare i propri interessi attraverso quelli di Aton. Gli Antichi Signori non erano di certo tutti amici, quasi nessuno provava affetto verso l’altro. Con quelle parole sperava di essere riuscito a guadagnarsi la stima di Odino e la riconoscenza di Aton.

Aveva come il sospetto che soprattutto quest’ultima cosa gli sarebbe servita molto nei prossimi giorni.

« Facciamola breve, ti va? » propose affabile Richard. « A quest’ora sarei già dovuto essere di ritorno al mio Regno d’Ombra. »

« Porteresti anche il ragazzo di cui hai preso il corpo, nel tuo Regno d’Ombra. » ragionò Machiavelli, lucido. « Sei riuscito a prendere la Lancia solo grazie a questa tua capacità, e una volta che sarai arrivato nel tuo regno Richard non sarà più in grado di tenere la Lancia in mano. E morirà, non riuscendo a disfarsene in tempo.»

« Ma io potrò averla, per sempre. Col mio vero corpo, questa volta. »

Machiavelli aggrottò le sopracciglia.

« Io non credo che tu abbia un vero e proprio corpo. »

C’erano ancora tante cose nell’universo che rimanevano al di fuori della sua conoscenza, ma Machiavelli non credeva possibile che qualcuno potesse scindere l’anima e la ragione dal suo corpo materiale. Se invece l’essere si fosse limitato a controllare Richard con la mente, avrebbe dovuto rifugiarsi al sicuro lì vicino, di modo da aprire il portale che lo avrebbe condotto nel suo Regno e sparire insieme a Richard.

E Machiavelli avvertiva tutta la sua essenza nel corpo di Richard, non altrove.

Il sorriso dell’essere non aveva fatto una piega.

« Sei intuitivo. Chissà se hai ragione. »

« Chi ti manda? » chiese Machiavelli, suscitando un risolino da parte dell’altro. « Se non hai un corpo, se davvero ho ragione e sei poco più di un ombra pensante, allora non sei un Oscuro Signore, ma solo una sua creatura. »

« Non risponderò alle tue domande, figlio degli homines. » e il suo sorriso si trasformò in una smorfia appena più stizzita e minacciosa. Cominciava a perdere la pazienza e Machiavelli non aspettava altro.

« Oh, credo che invece vorrai riflettere sulla prossima domanda che ti farò… » sibilò Machiavelli con un sorriso ironico e malizioso.

Si avvicinò di due passi.

« Se io dovessi danneggiare irrimediabilmente il corpo di Richard, tu come faresti a portare la Lancia nel tuo Regno? »

La creatura lo scrutò, il sorriso spento e gli occhi leggermente spalancati. Machiavelli seppe allora di essersi guadagnato tutta la sua attenzione e mosse qualche passo distratto, gesticolando con gesti vaghi e sarcastici.

« Se per esempio… » continuò, noncurante. « Io riuscissi ad indebolire il suo corpo in modo tale da renderlo quasi inutile… dalla tua espressione deduco che sarebbe un problema. »

« Non oseresti. » sibilò pericoloso l’essere.

« Quindi, il suo corpo acquista i tuoi poteri ma… non la tua forza, giusto? Sempre che tu ne abbia… »

« Non hai idea di quali siano i miei poteri! » urlò l’essere, in preda alla rabbia, sporgendo il busto in avanti.

« Me ne sono fatta una molto chiara, invece. » lo contraddisse Machiavelli, glaciale.

« Io penso che tu non sia altro che un parassita. Non sono nemmeno sicuro che tu possegga dell’energia aurica. Sicuramente, come te il tuo signore ne ha creati mille altri, e il tuo intelletto deriva direttamente dal suo e non ha motivo di esistere! »

« Taci, umano! Non sai niente! » sbraitò la creatura, gli occhi iniettati di sangue.

Il viso di Richard sembrava così strano, deformato dalla rabbia.

« Non oseresti fare del male al ragazzo!  » sputò la creatura, stringendo i pugni.

« Davvero? » sorrise scaltro Machiavelli.

Indicò il suo rivale con un gesto lento.

« La sua vita non mi sta a cuore. » affermò, sinceramente. « Serviva solo per fuggire alla noia. E anche se così non fosse… » continuò, mentre l’odore di serpente intorno a lui si faceva più denso « Sicuramente tengo di più alla mia, di vita. »

« Prenderò il tuo corpo, se lo farai! » minacciò con violenza la creatura.

Machiavelli respirò piano, calmo.

« Quando io e l’emissario di Aton siamo arrivati, tu eri già qui, ti nascondevi da interi minuti alla vista di Alypion. Hai portato tu la Lancia qui, prendendo in prestito un altro umano, qualcuno che dopo hai dovuto abbandonare, perché… beh, probabilmente i tuoi poteri logorano nel profondo la persona che si ritrova a condividere uno stesso corpo con te. Devi cambiare vittima, di tanto in tanto. » fece una pausa per capire se aveva colto nel segno.

Sorrise di fronte all’espressione quasi spaventata di Richard. O meglio, dell’essere.

Machiavelli si girò appena e indicò col braccio disteso il punto in cui i bagliori di energia prodotti da Alypion e dall’Emissario non smettevano ancora di squarciare il cielo grigio.

« Alypion ha fatto in tempo a raccontarci tutta la sua vita. Dopo, io ho scambiato due parole con l’emissario. Dopo, sono arrivato qui con la velocità di un umano qualunque. E tu avevi appena preso in mano la Lancia di Odino. » il tono di Machiavelli vibrava di sufficienza e di sarcasmo, gli occhi lampeggiavano di vittoria.

L’essere lo guardava con quella furia che solo un sincero timore può alimentare, gli occhi così sporgenti da sembrare folli.

Machiavelli si morse le labbra divertito.

« Quanto tempo ti ci vuole per impossessarti di un corpo? Secondo me, almeno un quarto d’ora. » rise, caparbio.

« In quel tempo potrebbe accadere di tutto. »

Indicò di nuovo i bagliori di luce.

« uno di loro due potrebbe arrivare qui, impedire a te di prendere il mio corpo. Io prenderei la Lancia e tu non potresti fare niente per fermarmi, perché non solo sarei ancora in grado di contare sui miei poteri, ma anche su quelli dell’emissario di Aton, o su quelli di Alypion, che non hai osato attaccare quando ne aveva la possibilità, aspettando che si allontanasse. »

Machiavelli si divertiva pur restando con tutti i sensi all’erta, lo sguardo da rapace puntato sul volto esangue di Richard.

« Sei estremamente debole. Certo… » aggiunse con un gesto vago. « Hai le qualità adatte per rubare la Lancia, i poteri più utili. Ma ho sconvolto il tuo piano perfetto, e non puoi contrastarmi a lungo. Tra poco tornerai un ombra senza corpo. »

 

 

L’emissario di Aton spalancò le fauci contro Alypion, squarciando l’aria col suo ringhio. Vedeva la determinazione del suo avversario vacillare appena, la notava in ogni dettaglio del suo viso, con l’accuratezza dei suoi sensi sovrannaturali.

Succedeva a tutti così.

Avevano tutti quell’espressione, quando vedevano il bambino scomparire per lasciare spazio al mostro. Vedere un bambino trasformarsi in una creatura demoniaca ripugnava e terrorizzava gli avversari, anche quelli non umani. Era forse l’unico aspetto positivo della sua condizione d’eterno fanciullo.

L’emissario si gettò su Alypion e tese il braccio verso la sua ala sinistra, spiccando l’ennesimo salto, staccandosi più di tre metri da terra. Riuscì a colpirlo solo di striscio.

Nessuno dei due, fino a quel momento, aveva voluto cedere.

L’emissario sapeva di avere delle conoscenze magiche limitate, differenti da quelle conosciute nel mondo umano, e suppliva con la straordinaria velocità e la forza sovraumana. Alypion però, pur con un certo sforzo, riusciva a sfuggire a quasi tutti i suoi attacchi, potendo contare su una difesa magica infallibile e sulle sue potenti ali.

Era stato uno scontro alla pari.

Fin dai suoi primi secoli di vita, l’emissario era stato uno dei più efficienti servi del suo Signore, nonostante le sue caratteristiche fisiche lo aiutassero solo quando doveva ingannare qualcuno. Gli uomini e le creature si fidavano molto dei bambini.

La sua vera qualità, era sempre stata la determinazione. Perseguiva i suoi scopi con l’ostinazione di un bambino, i suoi capricci umani si erano mutati in capricci mostruosi e in lui era rimasta radicata un’infantile crudeltà e una rabbia verso il mondo che persino Aton non si era aspettato.

L’emissario si girò di scatto, sforzando ogni muscolo, corse in avanti e spiccò un altro salto.  Prima che Alypion potesse girarsi, lo colpì alla schiena. La creatura fece vibrare forte le ali e lo afferrò per il collo, attirandolo verso di lui e mugolando di dolore per i profondi tagli sulla schiena.

L’emissario sentì la pelle bruciare sotto il suo palmo. Premette sul suo braccio senza riuscire a liberarsi. Davanti a lui vedeva solo gli occhi sbarrati di rabbia di Alypion e un istante dopo fu accecato dalla luce e sentì il suo corpo strusciare violentemente sul terreno.

Alypion si abbassò di qualche metro per il dolore delle sue prime ferite.

L’emissario, a terra, ingoiò la polvere e tentò di togliersela dagli occhi.

Quando fu di nuovo in grado di vedere socchiuse la bocca, sorpreso.

 La situazione era cambiata. Alypion posava i piedi a terra. E non era più solo.

Davanti all’emissario un’altra figura alata, molto simile ad Alypion ma dalle fattezze chiaramente femminili, sostava eretta ed altera, e osservava in viso l’altra creatura.

L’emissario capì che non intendevano degnarlo più di nessuna attenzione, e attese di capire cosa stesse succedendo con impazienza, stringendo forte le fauci e rimettendosi in piedi con uno scatto fulmineo.

La creatura femminile non staccava gli occhi famelici da Alypion, e quest’ultimo, da parte sua, pareva sforzarsi facendo violenza ai suoi desideri più profondi per non attaccarla in preda all’ira.

« Alypion. Ti sei ridotto male. » disse lei, con un sorriso angelico.

L’emissario conosceva molte lingue, e solo poche di queste erano umane. Ma non riuscì a decifrare nessun suono e si limitò, stizzito, a scrutare le espressioni dei due.

« Mineikre… vattene. » sibilò Alypion tra i denti.

L’emissario spalancò per un attimo gli occhi, in un bagliore di comprensione. Mineikre era l’amica di Alypion, la creatura aveva già parlato di lei a lui e a Machiavelli.

« Non lo farò. » disse secca Mineikre, con le braccia ancora incrociate. « So cosa vuoi fare. So perché sei venuto in questo mondo. » lanciò un’ occhiata disgustata intorno a sé.

« E non posso lasciartelo fare. »

Con un grido di rabbia si gettò su Alypion e l’emissario vide la luce inghiottirli, per farli riapparire a qualche metro di distanza. Senza più una parola, i loro corpi rotearono nel cielo, ferendosi senza pietà, con una potenza passionale che l’emissario aveva visto poche volte nella sua lunghissima vita.

I colpi erano ricolmi di magia ed erano pensati per fare del male, per ferire in profondità. Eppure i movimenti delle loro ali rimanevano aggraziati e possedevano una loro forma di eleganza.

L’emissario li osservò da terra, mentre la sua mente partoriva tutte queste considerazioni e il suo viso restava impassibile, assumendo pian piano qualche tratto umano.

Si disse che non era il caso di disturbarli.

Annusò l’aria fino a percepire un familiare odore di serpente.

 

 

« Signor Machiavelli. » salutò l’emissario, spolverandosi i vestiti strappati.

Machiavelli si voltò di scatto con un mezzo sorriso, riconoscendo la voce infantile del bambino. L’emissario ricambiò il suo sguardo, imperturbabile, poi spostò gli occhi su Richard, che lo scrutava con un ombra di timore negli occhi, mista alla perplessità di avere davanti un fanciullo.

« Bentornato. » disse Machiavelli.

L’emissario aggrottò le sopracciglia vedendo la Lancia, luminosa e bellissima, nelle mani di Richard. Come mai Machiavelli era così calmo?

« Allora hai vinto tu? » chiese con un piccolo sorriso l’italiano.

Un tuono squarciò la calma del cielo e in lontananza Machiavelli vide delle luci che parevano quasi fulmini.

« Non esattamente. » rispose l’emissario.

Machiavelli lo osservò, serio.

« Ho lasciato Alypion in buona compagnia. » rispose il bambino alla sua domanda silenziosa. « e vedo che anche a lei la compagnia non manca. » aggiunse, osservando cupo Richard.

« è un figlio degli homines? »

Sarebbe potuta sembrare una domanda stupida, in un’altra situazione. Ma l’emissario non riusciva a scavare nella mente di Richard, a percepire la sua natura con chiarezza. Non capiva se si trattava di un figlio degli homines con i poteri risvegliati, o di una creatura distinta.

« Solo nel corpo. » rispose Machiavelli, senza mostrarsi sorpreso dalla domanda « Non è vero? » aggiunse rivolto a Richard.

Questi non rispose ma si morse le labbra e soffiò come un gatto contro l’emissario.

« Che cosa sei? » chiese l’emissario, con una punta di curiosità.

« è inutile, non lo vuole dire. » rispose per lui Machiavelli.

« Non importa. » sibilò l’emissario, lo spazio sotto agli occhi che cominciava di nuovo a scurirsi. « Dobbiamo prendere la Lancia. »

Machiavelli creò con la sua aurea due guanti di un colore tra il grigio e il bianco, lo sguardo deciso. L’emissario lo scrutò per un momento con la coda dell’occhio, al suo fianco. « Anche  a costo della vita del ragazzo. » aggiunse.

Machiavelli ghignò.

« Ovviamente. »

Si slanciarono su Richard quasi nello stesso momento.

L’emissario lo afferrò per il colletto della camicia e lo colpì al petto con le dita artigliate. Grossi filamenti di energia aurica partirono dalle dita di Machiavelli e si attorcigliarono sulle gambe di Richard come serpenti, mentre l’emissario spalancava le fauci e l’essere si dimenava con rabbia.

Machiavelli era costretto a rimanere a pochi passi di distanza a causa della lotta tra l’essere e l’emissario, ma non staccava gli occhi dalla Lancia, che Richard tratteneva stretta al petto con tutte le sue forze e che l’altra creatura non poteva neanche sfiorare.

L’immortale vide Richard urlare di rabbia e, con uno scatto furioso, tendere la punta della Lancia verso il petto dell’emissario.

Il bambino si ritrasse , fulmineo.

Il metallo lo sfiorò appena.

Machiavelli lo vide contorcersi dal dolore tra la polvere, il volto completamente umano e contratto dalla paura e dalla sofferenza. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo premendosi le braccia sul petto, e la sua voce ora era del tutto umana e infantile e, proprio per questo, terribilmente agghiacciante.

Macchiavelli si sentì gelare il sangue. La sua umanità sussultò dall’orrore e dalla rabbia.

Corse verso Richard e lo afferrò per i polsi, l’aurea divampante che continuava a attorcigliarsi intorno alle braccia del ragazzo. Contro ogni sua previsione, l’essere sorrise con una vena di follia sulle labbra e nello sguardo.

Niccolò ormai lo aveva bloccato. Lo liberò dalla sua stretta, certo che la sua aurea bastasse a tenerlo fermo, e mise le mani sulla Lancia.

Improvvisamente, sentì le mani gelide. Il cuore cominciò a palpitare più velocemente nel petto e un rivolo di sudore freddo scese lungo la sua schiena. Richard teneva ancora stretta la Lancia.

E Machiavelli si sentì svuotato, non avvertì più la sensazione famigliare dell’energia aurica sulla pelle e nella mente, sentì le gambe cedere e una pesante stanchezza piombare su di lui improvvisamente.

La sua vista si appannò sotto il violento pugno alla mascella che Richard gli rifilò l’istante dopo. Il ragazzo si voltò e tracciò linee oblique nell’aria con la punta della Lancia, mormorando una litania dai suoni aspri. Machiavelli vide il portale aprirsi rilasciando un fumo denso e violaceo.

Facendo appello a tutta la sua forza di volontà, e alla sua aurea che iniziava solo in quel momento a rigenerarsi, si alzò da terra e con le braccia cristallizzate sotto a sottili volute di fumo grigio afferrò Richard per il petto e tese una mano verso la Lancia.

Richard ringhiò, le iridi rosse di follia e rabbia, per un momento sembrò che volesse tentare di morderlo. Dal portale proveniva un vento che sembrava spirare da tutte le direzioni. Richard evitò la mano dell’immortale e lanciò l’arma dentro il varco, poi dalla sua  bocca e dai suoi occhi scaturirono grossi filamenti neri e il suo corpo tremò tra le braccia di Machiavelli.

L’immortale non riusciva a staccare gli occhi dal punto in cui la Lancia era sparita, lo stesso varco da cui stava sparendo anche il fumo nero che usciva dal corpo del ragazzo.

L’essere stava abbandonando il suo corpo, qualunque cosa fosse.

Senza sapere cosa faceva, mosso da un istinto impregnato di una lucidità dettata dall’arroganza, Machiavelli tese le braccia in avanti, lasciando che Richard si accasciasse sulla sua spalla. Uno scudo aurico grigio-bianco si frappose tra l’ultimo filamento nero e il portale. Machiavelli stava scaricando la sua aurea già compromessa facendo violenza a se stesso, raccomandandosi di non perdere la concentrazione e di resistere alla tentazione di lasciarsi cadere.

Il sottile filamento di fumo nero tornò fluttuando nel corpo di Richard, veloce e disperato. Il ragazzo cadde in ginocchio nell’esatto istante in cui il portale si chiuse e lo scudo aurico di Machiavelli evaporò.

L’immortale non sentì l’impatto del suo corpo col terreno.

 

Ciao! Anche questo è un capitolo abbastanza corto. Ma come mi è già successo in passato, non sono riuscita a mettere insieme due avvenimenti collegati ma essenzialmente diversi.

Ringrazio tutti quelli che continuano a leggere questa long! : ) Grazie davvero!

 

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Capitolo 12
*** Ed è solo l'inizio ***


Ed è solo l’inizio.

 

Quando Machiavelli aprì gli occhi, il buio fu tutto quello che riuscì a vedere. Non osò provare a muovere un muscolo, sentiva appena di avere le braccia e le gambe. Aprì la bocca per respirare meglio e al contempo provò a sentire il sapore e l’odore dell’aria, per capire dove si trovasse.

Presto arrivò la consapevolezza di un pavimento gelido sotto ai polpastrelli e si accorse di avere un forte mal di testa che gli faceva pulsare le tempie. Gli ci volle qualche secondo per riprendere completamente lucidità, ma dopo si guardò intorno e si stupì ancora di non trovare neanche un minimo barlume di luce.

« Ben svegliato, italiano. »

Machiavelli spalancò gli occhi e si mise in ginocchio, voltando di scatto la testa verso il punto da cui proveniva la voce.

Una voce che non poteva dimenticare.

« Padrone…  »

Machiavelli tese le orecchie con un brivido freddo che disegnava la curva della sua schiena insieme a qualche goccia di sudore gelido.

« Hai fallito.» la constatazione di Aton rimbombò nell’ambiente e nella testa dell’immortale. Machiavelli chiuse gli occhi e sentì una morsa di terrore puro attanagliargli le viscere.

Aveva fallito. E ora, lo aspettava la punizione eterna o la morte. Se Aton avesse anche scoperto che aveva lasciato fuggire Richard… come si sarebbe discolpato, cosa avrebbe potuto raccontare?

Non aveva nemmeno abbastanza fiato da mettere insieme le parole.

I ricordi cominciarono a mettersi in ordine nella sua mente e Niccolò si sforzò di mantenersi lucido.

« La Lancia di Odino… » cominciò, col respiro leggermente esitante « Assorbe l’aurea. »

Non riuscì a trattenere una nota d’accusa nel tono della voce. Il suo padrone non gli aveva detto nulla riguardo a quel dettaglio. Come si aspettava che potesse portargliela se quell’oggetto, che tra l’altro poteva toccare solo lui in quel Regno d’Ombra, minacciava di ucciderlo?

Lui non aveva la possibilità di cambiare corpo come l’essere che aveva incontrato chissà quante ore prima. Spalancò gli occhi per un momento. Ecco perché non aveva sentito nessun tipo di aurea attorno al corpo di Richard, nemmeno un’aurea contaminata da qualcos’altro, niente.

Quella… creatura, la annullava nelle sue vittime.

Richard era già morto.

Niccolò si alzò in piedi sulle gambe tremanti.

« Non mi aveva informato di questo dettaglio. » aggiunse, per incentivare il suo padrone a rispondere.

« Non lo sapevo. » ammise la voce vibrante di rabbia del suo Signore.

« Ora che lo so, posso trovare un modo di… » la voce di Machiavelli si affievolì, spenta da un ricordo improvviso.

« Ebbene sì, Niccolò. » nel buio, Machiavelli poteva solo immaginare che Aton ghignasse, ma ne rimase comunque irritato. « La creatura che ha preso il corpo del ragazzo umano è riuscita a far passare la Lancia nel suo Regno d’Ombra. » 

Machavelli strinse le labbra con rabbia crescente.

« Mi dispiace molto per il tentativo fallito, Signore. » disse, ma il suo tono fu più eloquente delle parole. Si capiva che non gli dispiaceva affatto ma in quel momento a Machiavelli non interessava. Sentiva un insano sentimento di rivalsa per quella situazione, un senso di ingiustizia. Sapeva solo che non era colpa sua e che non intendeva essere punito per aver fallito in una missione così… stupida, per non essere riuscito ad ottenere quel simpatico giocattolino per il suo padrone.

« Non preoccuparti, Machiavelli. » rispose Aton, gelido. « Ti rifarai. »

Machiavelli si fece attento incrociando le braccia al petto. L’oscurità cominciava a stancarlo.

Doveva far affidamento solo sull’udito per sostenere quella conversazione, quando gli sarebbe piaciuto poter vedere in faccia il su interlocutore. Spesso era il miglior modo per svelare le cattive intenzioni.

« Puoi ancora recuperare Gungnir. »

« Non vedo come. » disse secco Machiavelli.

« Così. » disse Aton e un vento caldo si sprigionò dal nulla e scompiglio i capelli di Machiavelli.

Un angolo della stanza si illuminò. Due torce si accesero da sole e simultaneamente, i fuochi verdi scoppiettanti e lievemente inquietanti. Machiavelli distinse la sagoma del corpo di Richard e i suoi tratti giovanili.

Il ragazzo era sdraiato sul pavimento di pietra, supino, gli occhi chiusi, pallido come un cadavere. In effetti, Machiavelli si stupì che non lo fosse.

« Temo di non capire, padrone. »

« Mi deludi, Niccolò. » rise Aton, ma tornò subito serio. « Sai cosa hai fatto quando hai cercato di impedire che quell’essere ritornasse nel suo Regno d’ombra? »

Machiavelli rimase in silenzio.

« Hai smembrato il corpo senza aurea e immateriale di quella creatura, e questa, non potendo superare la tua barriera, ha cercato di sopravvivere ed è rientrata nel corpo di Richard Anderson. »

Machiavelli deglutì col cuore in gola, ma ora tutto gli appariva chiaro. Ricordava vagamente di aver pensato ad una cosa del genere, anche se era accaduto tutto troppo velocemente in quel momento e lui non era riuscito ad avere un’idea completamente razionale di ciò che stava facendo.

« La quantità dell’essenza dell’essere che si trova nel figlio degli homines… » continuò la voce profonda di Aton. « è troppo debole per far presa sulla sua mente, troppo debole per uscire, ma abbastanza forte da tenerlo in vita. »

Machiavelli non staccava gli occhi da Richard. Se non avesse percepito il suo respiro, avrebbe davvero pensato che fosse morto. La sua aurea non esisteva più.

« Questo vuol dire… » proseguì Aton, con un certo fanatismo nella voce.

« Che lui potrebbe essere in grado di prendere la Lancia nel Regno d’Ombra dell’essere che è dentro il suo corpo. » affermò mesto Machiavelli.

« Esatto. » confermò Aton con una certa esultanza.

« Naturalmente… » riprese, dopo qualche istante di silenzio « Lo condurrai tu. Dato che vi conoscete bene… »

Machiavelli sentì un brivido gelido corrergli per la schiena. Il tono di Aton si fece pericoloso e l’immortale lo sentì aprirsi in un’insana e rauca risata senza gioia.

« Dovrei ucciderti seduta stante. »

Machiavelli ne ebbe la conferma con un colpo al cuore: Aton sapeva che aveva salvato il ragazzo.

« L’ho usato per portare Dee dai Flamel. Per portare avanti la ricerca del Codice degli Oscuri Signori, padrone. » disse l’italiano, cercando di apparire sicuro e fiero. E riuscendoci, probabilmente.

Aton rimase in silenzio per parecchio tempo.

Machiavelli aspettò prima di dire qualcos’altro. Lo lasciò riflettere sulle sue parole.

« Dee non ha detto nulla a riguardo. » affermò, con una lieve esitazione. Machiavelli annuì.

« Non mi sorprende» rispose, con un ghigno. « Ma i Veglianti lo sapranno. »

Visto che fate spesso loro visita, aggiunse col pensiero Machiavelli, potreste chieder loro se davvero non sto mentendo.

Aton intuì il suo discorso implicito. «Come sai tu dei Veglianti? » chiese, gelido.

« Me lo ha detto Alypion. Il tizio alato. »

E Aton dovette ammettere la verità di ogni sua parola.

« Ha funzionato, comunque? » chiese Machiavelli, capendo di essere fuori pericolo con un sollievo che non avrebbe mai pensato di poter provare con così tanta intensità. « Dee ha catturato i Flamel? »

Aton emise uno sbuffo divertito.

« No. »

« Che ingrato. » sorrise Machiavelli « Dopo tutta la fatica che ho fatto. »

Se ci fosse stato Dagon, avrebbe alzato i suoi enormi occhi al cielo. Ogni tanto Machiavelli sentiva i suoi velati rimproveri nella testa.

Ma l’immortale capì presto che era l’ora di tornare alle conversazioni un po’ meno piacevoli.

« Lei sa di che Regno d’Ombra si tratta? » chiese, riferendosi chiaramente alla sua missione non ancora conclusa.

« Io no… » rispose Aton. « Ma i Veglianti sì. E me lo farò dire. »

Machiavelli immaginò che i Veglianti fossero così disperati da rispondere a qualunque domanda senza esitazione, indipendentemente dall’identità di chi gliela poneva, nella speranza di ottenere abbastanza consensi per comprarsi la libertà. Aton non avrebbe dovuto sforzarsi molto.

« Come sta il vostro emissario? » chiese l’immortale, stringendo appena la presa delle dita sulla sua giacca. Ricordava di averlo visto contorcersi a terra dal dolore appena era stato sfiorato da Gungnir.

« I miei emissari hanno dei tempi di ripresa molto ristretti. Raido non fa eccezione, e ti seguirà nella tua missione. »

Machiavelli ghignò. « Allora ce l’ha un nome. »

« Lui non lo sapeva, quando glielo hai chiesto. » affermò neutro Aton, quasi annoiato. « Do loro un nome solo per distinguerli, prendendoli dalle lettere di vari alfabeti umani. Ma non ritengo che sia saggio far pensare loro di aver una sorta di identità. »

Machiavelli si augurò che Aton non potesse vedere la sua espressione di sufficienza, sostituita in un secondo dalla solita fredda impassibilità.

« è potente… » constatò Machiavelli, sincero. Aveva sentito più volte percepito la potenza del bambino immortale come degli spilli sulla pelle.

Aton lesse tra le righe la sua curiosità e decise, inspiegabilmente, di soddisfarla.

« Raido è uno dei miei sei servi migliori. » disse, ma non c’era traccia d’orgoglio nella sua voce, né di qualunque altra cosa. « I loro nomi sono i primi sei segni dell’alfabeto runico. Ma solo due di loro lo conoscono. »

« Perché a loro lo ha rivelato? » chiese Machiavelli.

Aton rise brevemente.

« è un regalo del loro Signore. L’unica cosa che desiderano. Quei due miei servi hanno svolto molto bene il loro dovere, portandomi a molti privilegi. »

« Non serve altra ricompensa? » si stupì Machiavelli.

Nell’ombra, Aton scosse la testa e l’immortale lo intuì dal fruscio delle vesti che sentì col suo udito sviluppato.

« Vivono per servirmi. » e Niccolò immaginò il suo sorriso scaltro.

Abbassò lo sguardo sul vuoto, distogliendolo dalle torce e da Richard. Non riteneva di poter vantare la solita fedeltà al suo padrone, e non ne era minimamente dispiaciuto. Inspiegabilmente, venire a conoscenza di quelle informazioni gli aveva fatto scivolare addosso un amara e velata tristezza.

« Io potrei dirglielo. » ammise.

« Non avevo dubbi. » dichiarò Aton. « Ma non dovrai disturbarti. L’ho già fatto io. »

Machiavelli alzò la testa di scatto e sbarrò gli occhi, stupito.

« Davvero? Perché? »

« Non hai idea di quanti secoli siano che svolge ogni sorta di compito per me. Inoltre… non hai nemmeno idea di cosa abbia dovuto superare per portarti vivo da me. »

*

 

Quando Raido era riuscito a tornare dal suo Signore, non era più quello di prima.

Anche al limite delle forze, aveva annientato una quantità di mostri infernali che nessuno si sarebbe mai immaginato di poter trovare riuniti nel solito posto. Cercavano tutti la Lancia, e non trovandola, avevano attaccato lui, che aveva ancora il suo odore addosso. Machiavelli era svenuto e inerme.

Raido si era presentato dal suo Signore Aton seguendo l’istinto, ma non sembrava essere in grado di riconoscerlo. La sua mente aveva mantenuto saldi i principi di alcuni specifici ordini – proteggi l’italiano, sii fedele ad Aton, uccidi chi intralcia i tuoi piani- ma per il resto, dopo il contatto involontario con la Lancia tutto era diventato più confusionario e meno nitido. Il mondo intorno a Raido era avvolto dalla nebbia e dall’apatia.

Non si sarebbe mai ripreso, probabilmente, se non avesse conosciuto il nome che Aton gli aveva dato. Era stato un fattore decisivo. Piano piano, i ricordi erano tornati. E così l’essenza della sua personalità. Aton aveva detto che si era meritato il suo nome.

Da quel momento, non riusciva a smettere di ripeterselo nella testa con un sorriso folle di gioia.

*

 

Richard si svegliò come in qualsiasi altro giorno. Si sentiva come se avesse la febbre, ma niente di più anormale. Si rigirò su quello che sembrava un comodo materasso e si scoprì circondato da cuscini e ricoperto di lenzuola. La testa gli girava mentre si guardava attorno e per un attimo fu stupito di non riconoscere casa sua.

Un brivido di paura lo fece quasi sobbalzare e il ragazzo si tirò a sedere di scatto, il cuore che batteva all’impazzata.

Per un secondo provò di nuovo a illudersi che tutto quello che era successo fosse solo un incubo, ma anche con la vista un po’ appannata riusciva a capire che quelli non erano i suoi mobili, quello non era il suo letto e le pareti non erano dello stesso colore di quelle di casa sua.

Imprecò mentalmente. Ogni più piccolo dettaglio dei suoi ricordi tornava alla mente strisciando, incentivando se possibile il suo mal di testa.

La sua attenzione fu catturata da un profumo dolce e speziato, qualcosa che sapeva di raffinato calore domestico.

Sembrava quasi una… tisana?

« Aspetta, Dagon, non trovo lo zucchero.» disse una voce, e Richard puntò lo sguardo su una porta che prima non aveva notato. « Non ne sento nemmeno l’odore. »

« Non lo sente perché non c’è. » rispose un’altra voce, più rauca e profonda.

« Ma ti avevo scritto di comprarlo. » ribatté la prima voce, leggermente sospettosa.

« Mi perdoni, signore. Non ho idea di cosa voglia dire. »

« L’ho scritto nella busta! » sbottò la prima voce.

« Quale? »   

Richard sentì un piccolo sbuffo rassegnato.

Poi la porta si aprì. Richard vide entrare un dall’aspetto giovanile nonostante i capelli bianchi che arrivavano a coprirli le orecchie. Il suo portamento era fiero e i tratti di bell’aspetto coperti appena da una corta e curata barbetta che gli incorniciava le labbra.  Gli occhi grigi avevano qualcosa di magnetico e ipnotico.

Portava due tazze fumanti nelle mani.

Si avvicinò al suo letto e gliene porse una. Richard la prese esitante, senza staccare gli occhi dal volto dell’uomo.

« Buongiorno. » gli disse affabile l’uomo, con un sorriso che sembrava sembra sul punto di ghignare.

« Buon… giorno. » mormorò Richard.  E improvvisamente lo riconobbe. Sembrava passato un secolo dall’ultima volta, e anche la prima,  che lo aveva visto. La tazza gli cadde quasi di mano.

Un’altra figura fece capolinea dalla porta. E Richard, questa volta, la riconobbe subito, spalancando gli occhi intimorito e dimenticando perfino il mal di testa. Dagon incrociò le braccia al petto, ponendosi dietro alle spalle dell’italiano cn il solito atteggiamento protettivo.

« Calma, calma. » disse l’uomo, con una pacca sulle spalle di Richard. « Nessuno vuole farti del male. Bevi. » aggiunse, accennando alla tisana « Ti farà bene. » e per dare l’esempio bevve un sorso della sua.

Storse il naso con una smorfia di disgusto che cercò di dissimulare.

« Chi siete? E stavolta voglio una risposta precisa, voglio la verità! »

Richard si stupì della sua stessa arroganza. La paura però gli aveva lasciato addosso una sorta di forza inaspettata, o forse una parte di lui sapeva che oramai ne aveva passate così tante in quei pochi giorni che il bisogno di sapere poteva spingerlo a fare qualunque cosa.

« Questo è Dagon, una specie di… demone marino. Non viene dal nostro mondo. » disse l'uomo dagli occhi grigi, accennando col pollice alle sue spalle dove il suo servitore osservava Richard con gli occhi coperti dagli enormi occhiali a specchio.

Richard non fu stupito di trovarlo di nuovo al fianco del tizio dai capelli bianchi. Sapeva, in qualche modo, che tutto ciò che gli aveva raccontato durante il loro ultimo incontro era una menzogna.

Bevve con una sorta di rassegnata eccitazione un sorso della sua tisana. La trovò dolce al punto giusto. Ma decise di non farlo troppo notare.

« Io invece… » continuò l’uomo e tese la mano verso di lui. « Mi chiamo Niccolò Machiavelli. »

Richard annuì, ancora stordito.

« Come il politico. Quello italiano. » disse, distrattamente.

Machiavelli ghignò, distendendo il suo sorriso.

« Sì, come lui. »

« Cosa volete da me? » chiese ancora Richard, sulla difensiva. Machiavelli e Dagon si scambiarono uno sguardo. Poi il primo sospirò con un sorriso sarcastico.

« Sarà una lunga conversazione. » commentò, guardando in viso il ragazzo « Tu cerca solo di non svenire. »

 

 

Nda: mentre scrivevo questo capitolo mi sono resa conto che era quasi indispensabile conoscere quelli precedenti, per i Veglianti e per… lo zucchero di Dagon e Machiavelli XD. Se qualcosa non è chiaro, chiedete pure. E se qualcosa non vi piace, fatemelo notare.

A proposito… ho un dubbio atroce. A qualcuno ha dato fastidio il nome dell’emissario?

Grazie infinite a chi è arrivato eroicamente fino a qui, e scusatemi per il capitolo corto.

 

 

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