Unconditionally

di MrsSomerhalder
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuova vita ***
Capitolo 2: *** Hotel Palace ***
Capitolo 3: *** Celebrity ***
Capitolo 4: *** Primo incontro ***
Capitolo 5: *** Ombre dal passato ***
Capitolo 6: *** Dark secrets ***
Capitolo 7: *** Let me kiss you ***
Capitolo 8: *** Danger ***
Capitolo 9: *** AVVISO IMPORTANTE ***



Capitolo 1
*** Nuova vita ***


"Jordan, amore di mamma, vieni quì." "Io arrivo." sorrise, correndomi incontro. Gli misi il cappellino e lo presi in braccio, per poi uscire dal nostro vecchio appartamento nella periferia di Detroit con la valigia alla mano. Portai poco e niente di quel che restava della mia vecchia vita. Decisi che avrei dimenticato il passato e dato un futuro felice al mio splendido bambino di quattro anni. Ero rimasta incinta a soli diciannove anni. Suo padre era scappato via qualche giorno dopo e i miei genitori mi avevano sbattuta fuori di casa nonappena li informai della gravidanza. Ero una vergogna per loro e lo ripeterono costantemente, mentre mi facevano uscire dalla porta principale. Sola e senza un soldo, andai a vivere da mia cugina finchè, un paio di mesi dopo il parto, non trovai un lavoro e potermi guadagnare da vivere. Dovetti far fronte ad una vita piena di sacrifici e rinunce, ma guardando lo splendido viso dell'angioletto che mi dormiva accanto, riuscì a sopportare tutta la sofferenza per il suo bene e non fargli scontare il prezzo dei miei errori. "Vedrai che ti piacerà la nuova casa." promisi senza fondamenti, con un pò di preoccupazione. Dopo esser stata licenziata, fui costretta a trasferirmi a New York e lasciarmi alle spalle quel niente che avevo della mia conclusa adolescenza. Fu proprio mia cugina a trovarmi il posto di lavoro come cameriera presso l'hotel Palace e non potei rifiutare, dopo tutto quello che aveva fatto per me. Avrei condiviso un piccolo appartemento con una collega, Kate. Non conoscevo lei nè tanto meno l'abitazione, ma avevo poco da obiettare. Sarebbe andato bene così com'era, fino al giorno in cui avrei avuto la possibilità di offrire a mio figlio una vita migliore. "Io posso una camera per me?" domandò con gli occhi che brillavano e fu uno schiaffo in piena guancia dovergli dire di no. "Non ancora, ma ti prometto che l'avrai molto presto. Ti amo più della mia vita, lo sai vero?" "Mamma anche amo io." disse, sbadigliando per il sonno. Erano le sei di mattina, il volo con destinazione New York sarebbe giunto di lì a due ore circa. Fuori dall'appartamento ci aspettava il taxi, il quale ci portò dritti all'aeroporto. La creatura angelica dai capelli dorati e gli occhi color acquamarina si era addormentata dolcemente fra le mie braccia. Non avevo visto mai niente di più perfetto. Nonostante, tranne la tonalità delle iride, fosse identico a suo padre lo sentivo esclusivamente mio. Era la parte migliore di me e mi aveva sconvolto l'esistenza, nel bene e nel male. Comprai un caffè forte e un cornetto alla marmellata, per poi sedermi in attesa che chiamassero il volo ND4691T delle otto in punto. Assaporai ogni singolo boccone di quella delizia che non potevo più permettermi da tempo, ma per quella circostanza feci uno strappo costoso alla regola. Mentre sorseggiavo l'aroma amaro di quel caffè, mi soffermai a pensare alla mia famiglia. Da quando Jordan era venuto alla luce, ci avevano fatto visita una sola volta e anche in quell'occasione mi riservarono solo ingiurie e rimproveri. Durante tutti i nove mesi della gravidanza mai una volta mi avevano chiamata per chiedermi come stavo. Mi ritrovai appena diciannovenne a tenermi da solo tutto il peso sulle spalle e la responsabilità di un neonato. Mia cugina, allora ventiquatrenne, faceva quel che poteva per minimizzare i miei sforzi per mandare avanti la baracca, ma duró ben poco quell'oasi di tranquillità che avevamo creato. Le difficoltà si fecero rapidamente sentire e il desiderio di una vita propria si fece largo nel cuore di Jane, tanto che fui costretta nuovamente a dover provvedere da sola ad entrambi. Dovetti fare da madre a me e a Jordan. Non trascorse mai una notte in cui al pianto del bebè non si unisse il mio. A stento riuscii a raccimulare i soldi per comprare latte e pannolini, evitando spesse volte di mangiare. L'idea di una possibile vita sentimentale l'avevo del tutto abbandonata. Jordan e il lavoro mi portavano via le forze e quel poco tempo che potevo avere a disposizione. Pregai che il lavoro a New York mi avrebbe permesso di mantenere uno stile di vita più consono ad un bambino e ad una giovane madre single. Riponevo tutte le mie speranze nella città dove i sogni si avveravano. "I passeggeri per il volo diretto al Fitzgerald International Airport..." incominciò una voce dall'altoparlante. "Gate 8." ripetei distrattamente, riprendendomi dalla tranche. Arrivando all'entrata del gate, porsi i due biglietti alla donna di fronte a me e mi addentrai faticosamente nel tunnel che mi portò fuori dall'edificio, fin davanti l'aereo. Feci per trasportare il bagaglio a mano sulle scalette, sempre con Jordan in braccio, quando un ragazzo dal volto gentile mi offrì aiuto. "Posso aiutarti a portare la valigia?" sorrise prontamente, guardando mio figlio dormire beato. "Grazie mille, davvero." Lessi ancora una volta sulla carta d'imbarco dove dovessimo sederci e infine trovai i posti. Erano centrali nella fila di sinistra, accanto al finestrino. "I nostri posti sono quì, grazie ancora per il tuo aiuto." dissi mettendo a sedere Jordan. "Che combinazione, anch'io siedo quà." "Oh! Bene." sorrisi sorpresa. "Io sono Michael, piacere." mi porse la mano, aspettando che la stringessi. "Miley." ricambiai la stretta. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che ebbi a che fare con le avanche dell'altro sesso e probabilmente ero arruginita, ma sembrava che quel ragazzo moro dagli occhi magnetici ci stesse provando con me. Feci sedere Jordan tra noi due e, tenendogli la testa, incanalai in una piacevole conversazione con Michael. "Viaggio di piacere?" domandai infine, dopo avergli raccontato qualche particolare della mia vita. "Si e no. Diciamo che il mio lavoro mi procura anche viaggi di piacere." "E che lavoro fai?" domandai perplessa e incuriosita al tempo stesso dalla sua risposta. "Scrivo per un giornale di critica cinematografica." "Ah però, molto interessante." "Si, è un lavoro che mi piace molto. Adesso mi occupo del seguito di 'Sherlock Holmes' e devo prendere parte alla convention con gli attori principali." "Quindi puoi incontrare sempre le stelle di Hollywood, che fortuna!" ammisi con un pò di invidia. Io neanche lontanamente avrei potuto sognare di incontrare un divo del cinema mondiale. Il massimo che avrei potuto ottenere era guardare la replica del film che avrebbero trasmesso in televisione, anni dopo l'uscita al cinema. "Ti piacerebbe assistere ad una convention?" "Scherzi? Sarebbe il massimo." risposi retorica, spiazzata dal semplice fatto che lo avesse anche pensato. 'Ovvio che mi piacerebbe, che domande!' pensai fra me e me. "Magari potresti venire con me, non mi sarebbe difficile ottenere un pass." Rimasi a bocca aperta dalla sua proposta. Ora ero fermamente convinta che ci stesse provando. "Parli come se fossi un pezzo grosso, ma a vederti sembri solo un ragazzo. Hai fatto carriera in fretta, eh?" sorrisi schernendolo. Ipotizzai anche che mi stesse solo prendendo per i fondelli. "Lavoro per mio padre, quindi è naturale che abbia avuto un pò più di 'fortuna'." "Ora mi spiego tutto. Il massimo che mio padre ha fatto per me è stato buttarmi fuori casa." azzardai, pentendomene un attimo dopo. Non avrei avuto intenzione di parlare del mio privato con uno sconosciuto e quell'affermazione mi sarebbe costata molto cara. Fortunatamente lui non fece altre domande. "Allora, vuoi venire?" replicò caparbiamente. "Mi piacerebbe, davvero, ma domani comincerò dei turni sfiancanti e nel poco tempo libero a disposizione dovrò occuparmi di Jordan." feci spallucce, rassegnata ad una completa vita di rinunce. Sarebbe stato un sogno prendere parte a quell'evento e vedere dal vivo gli attori del sequel di Sherlock Holmes. Così, almeno per una volta, avrei potuto avere una vita diversa. Normale.

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Capitolo 2
*** Hotel Palace ***


"Hey, Miley!" disse Michael sbracciandosi, raggiungendoci fuori dall'aeroporto di New York. "Oh, ciao. Scesa dall'aereo non ti avevo più visto." mentii. Lo avevo perfettamente visto, ma per qualche strana ragione credei fosse meglio non rivolgergli la parola e far morire tutto così. "Dove devi andare?" "L'appartamento è dalle parti di..." esitai un momento e lessi il messaggio che mi aveva inviato Kate, "Brooklyn." aggiunsi, facendo per chiamare un taxi. Jordan nel frattempo si era svegliato e mi teneva per mano, mentre controllava la valigia. "Mamma chi lui?" domandò stordito. "É Michael, tesoro. Ci siamo conosciuti mentre tu facevi il dormiglione!" Rivolse lo sguardo verso di lui e lo scrutó accigliato, quando si trattava di uomini era molto protettivo con me. Lo trovavo molto tenero e nonostante avesse quattro anni, in qualche modo mi sentivo protetta. "Ciao, Jordan. Molto piacere." disse abbassandosi, per poi sistemargli bene il cappellino. "Mamma mia lei." esclamó imbroncianto, mettendo le braccia conserte. Michael si lasciò andare in una risata divertita. "Jordan, sii più gentile." lo rimproverai dandogli un buffetto sulla spalla. "È protettivo naturalmente." incalzò, "Tranquillo piccolo, nessuno te la porta via." lo tranquillizzò pizzicandogli una guanciotta. "Mamma io braccio!" mi implorò, allungando le manine. "Amore, cammina un pò da solo." rimbeccai, "Adesso la mamma deve risolvere la situazione." aggiunsi seccata. I taxi erano tutti pieni. Erano quasi le nove di mattina e sarei dovuta essere a Brooklyn già da un pezzo. Kate e il lavoro mi stavano aspettando e, come se non bastasse, mio figlio continuava a fare i capricci. Non sapevo proprio come andar via da quel benedetto aeroporto. Cominciavo a perdere la pazienza. "Hai intenzione di prendere un taxi?" constatò divertito Michael, mentre mi indicava il posteggio dei taxi completamente vuoto. "Decisamente non più." sbuffai. "Se vuoi posso darti un passaggio, devo noleggiare un'auto." "Non vorrei darti tanto disturbo, grazie lo stesso. In qualche modo provvederò." dissi prendendo in braccio Jordan, che stava piagnucolando come un neonato e trascinai via il bagaglio. Lasciai di stucco Michael e uscii dal perimetro dell'aeroporto. "Vediamo un pò. Magari un autobus passa di quì!" parlai da sola, "Si, certo e naturalmente ci porterà direttamente a casa. Perfetto, non so neanche come arrivarci a quella dannata via!" imprecai e poi cercai di calmarmi. "Lui voleva dare aiuto a noi?" domandò speranzoso e mi sentii una perfetta idiota quando realizzai che accettare il passaggio sarebbe stato l'unico modo di arrivare a destinazione nel giro si poco tempo, senza creare danni irreversibili. Mi voltai per cercare Michael, ma non lo vidi. Un grande suv nero con i vetri oscurati si fermò accanto a noi. "Miley, vuoi accettare il mio aiuto? Non è un problema per me." esclamò, tirando giù il finestrino. "Sono costretta, purtroppo." sorrisi. Scese dall'auto e mi aiutò a caricare il bagaglio. Allacciai la cintura di sicurezza a Jordan, che avevo fatto sedere sui sedili posteriori, e mi accomodai al posto del passeggero. "Grazie, Michael." sussurrai imbarazzata. Era tanto tempo che qualcuno non mi offriva aiuto e non sapevo più come comportarmi al riguardo. Non ero abituata a mostrarmi bisognosa. "Figurati." mi guardò pragmatico, "Dove devo scortarti?" aggiunse sarcastico. In quel termine sentii una nota di divertimento e mi fece sussultare. 'Ma con chi credi di parlare?' pensai furiosa. "Ormai non trovo più nessuno a casa. Kate sarà già al lavoro." constatai, guardando il quadrante dell'orologio. "Allora dimmi dove lavori." "All'hotel Palace, non so dove si trovi. Mi ci avrebbe dovuta portare Kate." "Manhattan." proferì secco, "Sei fortunata, lo conosco bene." sogghignò. "Davvero?" "É lì che si terrà la convention, bellezza." "Oh." sbarrai gli occhi. Non potevo minimamente immaginare che quell'hotel fosse così rinomato e importante, tanto da ospitare la convention per la prèmiere di un film famoso quale il sequel di Sherlock Holmes. "Se non hai troppo da fare, potresti fare un salto." "Si e fare cosa? Finta di pulire? Mi presento davanti agli attori e gli dico: scusatemi, devo pulirvi il pavimento?" mimai con nonchalance. "Sei divertente!" rise. "Era tanto tempo che qualcuno non mi trovava divertente." riflettei ad alta voce. "Mamma io!" alzò il braccino entusiasta. "Ma certo, amore mio!" gli lanciai un bacio volante. Per il resto del viaggio non parlai più. Mi soffermai a guardare la bellezza eterea di New York, anche se era pieno giorno. L'imponenza dei grattacieli, il profilo statuario all'orizzonte della Libertà, la folla brulicante sui marciapiedi delle Avenue e l'eleganza dei negozi. Tutto quanto ti quella città mi catturò nel profondo. Io, che non ero mai uscita dalla periferia di Detroit, seppur mi sentissi un pesce fuor d'acqua, realizzai che era quella la città adatta a me. Sin da bambina avevo sognato di vivere nella Grande Mela, ma quei sogni erano molto lontani dalla realtà che stavo vivendo. "Eccoci arrivati. Hotel Palace." buttò un occhio fuori dal finestrino. "Grazie ancora per tutto, Michael." gli diedi un flebile bacio sullo zigomo. "Come posso rivederti?" tuonò fermandomi con la voce, mentre stavo incamminandomi verso l'entrata. "Sai dove lavoro." sorrisi e me ne andai senza voltarmi. Entrai dalla porta principale e il lusso di quell'hotel mi fece venire un capogiro dalle dimensioni grattacieliche. Marmo e legno pregiato dovunque, personale in bella divisa ad ogni angolo della hall e persino un uomo che ti accompagnava in ascensore. Tutto sommato ero felice di poter lavorare lì. "Mi scusi, sono Miley Sullivan. Oggi comincerò il mio turno di lavoro, ma non ho idea di dove andare." dissi gentilmente, rivolgendomi ad un agente della sicurezza. "La prima porta a sinistra." rispose asciutto e conclusivo. "Ah, g-grazie." Raggiunsi in pochi passi la soglia della porta con una targhetta dorata e su scritto in bella grafia 'direttore Roberts'. Raccomandai a Jordan di starsene buono dietro di me e aprii la porta, dopo aver bussato educatamente. "Buongiorno signorina." "Buongiorno signor Roberts, io dovrei cominciare il lavoro oggi e..." "Comincia fra mezz'ora, vada al terzo piano. Kate le spiegherà tutto." "Certo, ma ho solo un problema. Vede, sono appena arrivata e non avuto il tempo di sistemare..." "Suo figlio? Per oggi può lasciarlo nella zona ricreativa dell'hotel." sorrise da sotto i baffi brizzolati. Era un uomo molto gentile per essere il direttore di un hotel lussuoso. "La ringrazio infinitamente." mi illuminai, "Jordan fai il bravo bambino." Raggiunsi in fretta e furia il terzo piano e, dopo aver conosciuto Kate ed essermi beccata una bella strigliata, cominciai a lavorare duramente. Tra pulizie, ordinazioni e rimessa in ordine di almeno una quindicina di camere, passarono le prime sette ore di lavoro. "Miley, come procede il primo giorno?" sorrise Kate, venendomi incontro. Era una donna di almeno trent'anni, vecchia amica di mia cugina e molto disponibile. "Sono esausta." mormorai con la lingua a penzoloni. "Si, è un lavoro molto duro. Almeno, però, non hai la preoccupazione di Jordan." "Già." ammisi con sollievo. "Sai che l'hotel ospiterà una convention?" disse a trentadue denti. "Si, me ne hanno parlato." "Sai anche che gli attori pernotteranno quì?" si morse il labbro, roteando gli occhi al cielo. "Seriamente?" spalancai la bocca. Ero incredula all'idea che avrei potuto vederli dal vivo. "Si, dolcezza. Ci sarà anche Robert Downey Jr. In carne ed ossa! Arriveranno stanotte." "Peccato che il nostro turno finisca alle sei di pomeriggio." incalzai stralunata. Conoscevo vagamente quell'attore, ma non facevano altro che ripetere quanto fosse sexy.

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Capitolo 3
*** Celebrity ***


Il turno del primo giorno di lavoro fu estenuante. Mi cambiai alla svelta la divisa di lavoro e corsi a recuperare Jordan. Girovagai smaniosa per la hall dell'hotel, cercando la zona ricreativa di cui mi aveva parlato il signor Roberts. "Miley!" esclamò Kate, "Che stai facendo?" venne verso di me con un sopracciglio inarcato, mentre origliavo cautamente fuori da una porta. "Non so proprio dove trovare mio figlio." "Giusto, giusto." farfugliò fra sè e sè. Si allontanò senza dire una parola e tornò poco dopo con le informazioni che stavo disperatamente cercando di ottenere. "Lo stanno portando quì, così potremmo finalmente andare a casa." "Grazie, Kate. Davvero." Qualche attimo più tardi il mio angioletto, che teneva per mano una donna di mezza età, mi corse in contro euforico, ma con la stanchezza di una giornata piena. "Mamma via tanto tempo." mi rimproverò, stropicciandosi gli occhi. "Hai ragione, amore mio. Ora andiamo via, ok?" Salimmo in macchina con Kate e ci immettemmo nel traffico della Fifth Avenue. Guardando distrattamente le famiglie che passeggiavano allegre e armoniose, pensai nostalgicamente a quanto mi sarebbe piaciuto averne una tutta mia. Desideravo disperatamente qualcuno che si prendesse cura di me e di Jordan. Non mi sentivo amata da un periodo di tempo troppo lungo per potermi ricordare cosa significasse esserlo. "A che ora hai detto che sarebbero arrivati gli attori del cast, Kate?" ruppi il silenzio che si era creato. "Tra qualche ora. Il volo diretto da Londra, se non erro, dovrebbe atterrare tra una buona mezzora." "Sono molto emozionata, chissà chi avrà la fortuna di preparargli le stanze!" dissi con un pò di invidia. "Tranquilla, le stanze sono già pronte e poi, mia cara, avremmo noi la cosidetta fortuna!" rise perfida. "Perchè?" "Perchè il nostro turno comincia alle 9 di domani mattina!" "Quindi saremo noi ad occuparcene!" spalancai la bocca entusiasta. "Bingo! La camera di Downey deve essere mia!" mi raggeló con solo il tono di voce. "Bhè, sono appena arrivata, non posso di certo controbattere." feci spallucce e tornai a fissare fuori, avevamo raggiunto il ponte di Brooklyn. Quando Kate spense il motore, realizzai a pieno che potevo finalmente farmi una bella dormita risanante. Presi in braccio Jordan, che era di giá nel mondo dei sogni, e la raggiunsi all'appartamento. La metratura era perfetta per tre persone: c'erano due spaziose camere da letto, un bagno con doppio lavabo e un bel soggiorno con cucina a vista. "Mettiti comoda. La vostra camera è alla fine del corridoio." "Ti ringrazio." "Devo molto a tua cugina, questo è un piccolo modo per ripagarla." sorrise. Adagiai mio figlio sotto le coperte del letto matrimoniale e sistemai la valigia accanto il guardaroba. Mi crogiolai in un caldo bagno rilassante e poi mi accoccolai accanto a Jordan, che dormiva beatamente. Afferrai il blackberry dalla tasca della borsa e navigai un pò su internet in cerca di qualche notizia in più su quell'attore tanto amato da Kate e, da quanto lessi, dalla maggior parte dell'universo femminile. Digitai 'Robert Downey Jr' sulla barra di google. "Vediamo un pò se sei veramente così sexy." Attesi che la ricerca finesse e cominciai a scorrere le varie foto. Per poco caddi in tronco dal bordo del letto, quando vidi il complesso fascinoso di quell'uomo. Rimasi estasiata dalla bellezza pragmatica del suo volto. C'era qualcosa di misterioso nei suoi occhi, qualcosa che mi intrigava a livello molecolare. "Ah, però!" mi passai un dito sul labbro, sperando che non stessi sbavando come un'adolescente in piena crisi ormonale. "Robert Downey Jr, nato a New York il 4 Aprile 1965..." ripetei leggendo la sua wikipedia, "Per avere 46 anni, complimenti!" sorrisi maliziosamente. Tra uno sbadiglio e l'altro spensi la connessione dati e mi addormentai prontamente, stremata. L'indomani mattina la sveglia suonò decisa alle sette in punto. Ci volle non poco autocontrollo per non distruggerla in mille piccoli circuiti. Sgattaiolai attentamente in cucina e preparai il caffè. Ne bevvi una tazza piena allungata con un pò di latte e cercai da qualche parte un paio di biscotti per Jordan. "Hai preparato la colazione vedo." constatò Kate, entrando nella stanza. "Il caffè è nella tazza." "Dormito bene?" sussurró sorseggiando la bevanda bollente. "Si, abbastanza." "Miley, per l'affitto e la spesa dovresti darmi circa 350 dollari al mese. Spese extra escluse." "Mia cugina me lo aveva detto, si. Te le ho lasciate sul comodino ieri sera." "Se può esserti d'aiuto, mia nonna abita qui di fronte e le ho chiesto di fare da baby sitter a Jordan mentre sei al lavoro." "Naturalmente, grazie." conclusi, per poi andare in camera a svegliare il mio bambino. Non avevo avuto il tempo materiale per iscriverlo all'asilo e non avrei avuto neanche sufficienti soldi. Così, per i primi tempi avrei dovuto lasciarlo alle cure dell'arzilla nonna della mia coinquilina ed occuparmene io nelle ore libere. Mancavano pochi minuti all'inizio del turno ed eravamo entrambe elettrizzate all'idea di ció che stava per accadere. Il Palace aveva radicalmente cambiato aspetto: era molto piú 'lussuoso' di quanto non fosse prima e tutti gli impiegati erano impettiti all'estrema potenza. Mi sbrigai nell'indossare la divisa blu cobalto lunga un pò sopra il ginocchio e il grembiule bianco asettico in stile 'Alice in Wonderland'. Posai tremolante il dito sul pulsante del 35esimo piano e quando la porta si aprì sentii un tuffo al cuore. Quel piano era riservato alle superultramega suite e, tranne celebrità o persone ricche sfondate, nessuno ci pernottava mai. Era da perdifiato sapere che dietro quelle porte di legno pregiato avevano dormito personalità così famose. "A quest'ora saranno nella sala ristoro privata e poi di corsa alla riunione con il cast." sbuffò Kate che sembrava essere molto informata. "Quando sarà la convention?" "Dopo domani." puntualizzo. Aprii la porta della stanza 392 e dentro non vi era altro che un letto disfatto e asciugamani usati lasciati sparsi sul lavabo in marmo. "E io che speravo di trovare Robert, mentre gli sistemavo la camera. Che sciocca!" scosse la testa con disappunto, "Finiscile tu le ultime due stanze, vado in lavanderia a portare queste lenzuola." "D'accordo." Entrai senza far caso al rumore che stavo producendo, trascinandomi dietro l'aspirapolvere e il cestino dei rifiuti. Stranamente era ancora tutto buio e silenzioso, così spalancai le tende e lasciai entrare la luce del sole. Il pavimento era un completo disastro: bottiglie di birra sparse ovunque, fazzoletti accartocciati sulla tappezzeria da pavimento e indumenti maschili gettati sulla poltrona di fianco al letto. Entrai nel bagno e per poco non svenni dall'odore acido che proveniva dal gabinetto. Mi avvicinai chiudendomi le narici e buttai un'occhio all'interno: una colata copiosa di vomito ne riempiva per tre/quarti la capienza. Tirai lo sciacquone disgustata e cominciai a dare una sistemata sul piano del lavandino. Qualche minuto più tardi tornai nei pressi del letto e rimossi tutte le bottiglie di vetro e le cartacce. Mi avvicinai al baldacchino e mi concentrai un attimo sul rigonfiamento sconnesso che si alzava e si abbassava fino alla testata di ferro battuto. 'Dio! Quì c'è qualcuno.' pensai. Non mi ero neppure resa conto che c'era ancora una persona nella stanza che dormiva. "Scusi." mormorai scrollando la figura dal tessuto delle lenzuola, "Devo farle la stanza e lei non dovrebbe trovarsi quà." "Aaah sono innocente, lo giuro!" urlò un uomo sradicandosi le coperte di dosso e notai che era completamente nudo. Mi voltai di scatto senza dire una parola, sapevo perfettamente chi era. L'avevo riconosciuto all'istante.

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Capitolo 4
*** Primo incontro ***


"Signor Downey, la prego, si vesta." balbettai avvampando violentemente. "Cosa? Chi?" mormorò confuso, "Dove mi trovo?" "All'hotel Palace, signore. Non ricorda nulla?" "Mh, credo di essermi sbronzato alla grande ieri sera." confessò grattandosi la testa. Mi voltai con cautela, tenendo gli occhi socchiusi. "In effetti quì sembrava essere passato il festival di San Patrizio." "Ho esagerato. Mi dispiace che tu debba pulire tutta sola." "É il mio lavoro, signor Downey. Peró la prego, si vesta!" frignai ansiosa. Era più che imbarazzante conversare sulla baldoria della notte precedente con un uomo sconosciuto, nudo per di più. Farfugliò qualcosa che somigliava ad un 'si' e prese a girovagare per la stanza. "Non trovo i pantaloni!" "Porca p..." imprecai, "Paletta." mi ripresi e lui si mise a ridere a crepa pelle. "Porca paletta?" ripetè retorico. "Non posso dire parolacce sul lavoro." risposi. "Fatto sta che non trovo i pantaloni, dovrai guardarmi in mutande." constatò guardandosi intorno. Presi a cercare quell'indumento, esterreffatta dalla naturalezza con cui si rassegnava a trovarsi mezzonudo con una cameriera. Frugai vivamente sotto le lenzuola e fra la mobilia, ma senza risultato. "Su forza...ehm, il tuo nome?" "Miley, signore." Mi prese per una spalla e mi fece alzare dal pavimento. Si mise davanti a me e mi riservò un sorriso ardente. Per la prima volta vidi Robert Downey Jr dal vivo ed era bello da perdere il fiato. Un battito cardiaco andò a farsi benedire quando i miei occhi puntarono i suoi. Aveva anche tredici anni più di me, ma di sicuro poco mi sarebbe importato. Se avessi avuto meno problemi e se fossi stata la Miley di mezzo decennio prima, non avrei perso tempo a baciarlo all'istante. Stentai ad abbassare lo sguardo verso la sua parte inferiore. "Bel nome. Piacere Miley, io sono Robert." mi strinse la mano, senza distogliere lo sguardo. "So chi è lei, signore." "Ti prego, chiamami Robert." mi chiese quasi in una supplica. Sarà stato anche un famoso attore hollywoodiano, ma sembrava un tipo piuttosto alla mano. "Signor...mh, Robert. Non dovresti essere giù con gli altri?" "Il bello di essere un attore, è che puoi fare la prima donna in ogni occasione." disse sarcastico. Trattenni goffamente una risata. "Mi sembra giusto." "Tu sei sicura di essere una cameriera?" "Si, certo. Perchè me lo chiedi?" domandai accigliata, mentre cominciai a rifare il letto. "Ti ho guardata a lungo e sembri piuttosto giovane. Troppo per stare quì a lavorare." si toccò il mento pensieroso, "Non sarai mica una fan che si è intrufolata in camera mia?" sbarró gli occhi. "Ma ovvio che no! Sto solo lavorando e la, volevo dire, ti prego di lasciarmi fare." esclamai stizzita. Non volevo avere probleni il secondo giorno di lavoro. Avevo ancora molto da fare e non potevo perdere tempo con le sue inutili paranoie. "D'accordo, ci crederó!" ghignò raggiungendomi. "Che stai facendo?" "Ti aiuto. A casa mia sono abituato a farmi da solo il letto." mentì spudoratamente e lo intuii da quel sorrissetto sghembo che gli si formò sulle labbra. "Naturalmente." risposi rassegnata. Aveva la fama di essere un burlone anche nella vita reale e lo lasciai fare, perchè in fondo mi piaceva scherzare con lui. "Quanti anni hai?" continuò a guardarmi insistentemente. "Robert, te lo ripeto, devo lavorare. Mi caccierò nei guai se non mi sbrigo." Di tutta risposta si gettó sul letto e sradicò nuovamente le coperte, sparpagliandole per tutta la stanza. Rimasi a bocca aperta e incominciai ad innervosirmi. "Che hai fatto?" tuonai furiosa. "Mi assumo io le colpe, tranquilla. Ci penso io con il tuo capo, ora siediti e conversa con me." disse sorridendo e cominciò a battere con la mano sul posto libero accanto al suo. Stetti a guardarlo per un pò, concentrandomi su quel bel sorriso e quegli occhi profondi. La barba era un pò incolta, ma dannatamente sexy. Mi sedei sul bordo del letto, guardinga e lontana quanto bastava per non cadere nella sua rete. "Ho 23 anni." "23? Scherzi?" "No, affatto." scossi la testa divertita. "Perchè lavori quì?" "Per necessità." ammisi secca, nascondendo volutamente parte della verità. "Capisco, argomento top secret. D'accordo, lo accetto." sorrise alzandosi dal letto. Senza troppi indugi, ripresi a lavorare. Robert andò in bagno e lo sentii canticchiare un motivetto orecchiabile. Una decina minuti dopo lo vidi con la coda dell'occhio uscire con un aspetto magnifico: indossava un gessato che gli calzava a pennello e aveva sistemato i capelli un pò di traverso. Dovetti far ricorso a tutto l'autocontrollo che avevo acquisito in quegli anni per non sbavargli davanti. "Come sto?" chiese allargando le braccia. "Perfetto. Farai un figurone." schioccai le dita. Abbozzò un sorrisetto e fece per uscire dalla stanza. Lo seguii con lo sguardo, senza farmi notare. "Anche domani ti ritroverò al mio risveglio?" si bloccò sullo stipide della porta e parlò con tono vibrante, come se si stesse sforzando, senza voltarsi. "Si." esclamai entusiasta, felice che me l'avesse chiesto. "A domani, Miley." mi lanciò un bacio volante. Quando sparì definitivamente, lo afferrai e me lo misi metaforicamente in tasca, intenta a conservarlo a lungo. Non potevo credere a cosa era appena successo. Stavamo flirtando? Io e Robert Downey Jr? Era impossibile. La sua fama da playboy era risaputa, magari ero un'altra pedina sulla sua scacchiera o, più semplicemente, aveva solo voglia di parlare. Ripresi a sistemargli la stanza senza troppi fronzoli per la testa, non potevo permettermi distrazioni. Ma cosa stavo pensando, che un attore del suo calibro si volesse mischiare con una cameriera? Assurdo. Uscii dalla camera di Robert con un paio di sacchi della spazzatura e incontrai nuovamente Kate. "Allora, come hai trovato la camera di Downey?" "Un disastro." le indicai i sacchi che avevo in mano, "Beve come un ossennato!" "Si, aveva parecchi vizietti in passato e naturalmente, in parte, lo seguono ancora." annuii con la testa. "Vizietti?" "Oh, lascia stare. Se hai tempo stasera, dai un'occhiata alla sua biografia." mi fece l'occhiolino e scendemmo insieme al piano della hall. Non sapevo dove si trovasse la sala ristoro dedicata ai vip, ma sicuramente non spettava a noi dare una ripulita. Non sapevo neppure cosa dovessero fare dopo la colazione. A dir la verità non sapevo un bel niente sul conto di Robert. Mi aveva domando solo questioni riguardanti la mia vita, ma di lui non aveva spiccicato parola. Tipico. Portai i sacchi della spazzatura fuori dall'hotel, passando per il vicolo sul retro. "É di questo che ti occupi?" domandò una voce vagamente familiare. Mi voltai e riconobbi la fonte di quella voce. "Michael!" constatai sorpresa. Era infondo alla strada, qualche metro distante da me e aveva appena finito di parlare al cellulare. "Complimenti, sei la cameriera più sexy che abbia mai visto." tirò le somme, guardandomi da capo a piedi. "Quanti complimenti!" "Scusa, ma è la verità. Hai un corpo mozzafiato per essere una mamma." aggiunse estasiato, girandomi attorno. "Potrei quasi pensare che tu ci stia provando con me." riflettei ad alta voce. "Non è così?" sorrise affabile. "Devo tornare dentro. Il lavoro mi aspetta." "Già. Il direttore dell'hotel mi starà cercando. Ci vediamo, Miley." mi salutò con un bacio sulla fronte. "A presto, Michael."

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Capitolo 5
*** Ombre dal passato ***


Me ne restai a guardare lo schermo luminoso del cellulare, con la wikipedia di Robert Downey Jr pronta per essere letta a fondo. La prima volta che mi informai sul suo conto fui troppo superficiale, ma perchè avrei dovuto tirar fuori gli scheletri dall'armadio? Proprio io, tral'altro, che di scheletri ne avevo a bizzeffe. Non avrei dovuto entrare così in confidenza con l'attore quella mattina e, di certo, non sarei stata una sorta di spia della sua vita. Così, chiusi la ricerca e lasciai il cellulare sul comodino. Di quali vizietti parlava Kate? Era possibile che quell'uomo ,all'apparenza quasi perfetto, potesse nascondere un passato buio? Ero proprio quello il mio più grande problema da quando ero diventata madre: pensavo troppo. Non ero più niente della Miley Sullivan di un tempo. La ragazza avventata, precipitosa e poco coscienziosa era sparita. Di lei era rimasto solo il vago ricordo, per lasciare spazio alla madre inquadrata che ero forzatamente diventata per prendermi cura tutta sola di Jordan. Andai in cucina intenta a preparare la cena. Spadellai tra i fornelli, forzandomi di non pensare a nulla. "Che si mangia stasera?" esclamò Kate, entrando in cucina con le mani sfregate. "Non ti aspettare chissà cosa, non sono una buona cuoca. Diciamo che ho dovuto arrangiarmi." risposi, sbucciando le cipolle. "Sii un pò più sicura, è molto buona." azzardò assaggiando la salsa che avevo preparato. "Adesso devo solamente rosolare la carne. Preferisci patate o fagiolini?" le indicai i due ingredienti, aspettando che mi rispondesse. "Patate. Senza ombra di dubbio." "Perfetto." sorrisi, "Una decina di minuti e dovrebbe essere pronto." Versai i bocconcini di carne in una padella con l'olio e la cipolla dorata e croccante. Prima che ci mettessimo a tavola, la nonna di Kate suonò alla porta. Aprii di soprassalto e il piccolo Jordan mi saltellava intorno, attendendo che lo prendessi in braccio. "Mamma io fame!" "Aspetta, Jordan." lo feci entrare in casa. "Piacere, lei deve essere Miley." mi strinse la mano quella vecchia signora. "La ringrazio infinitavamente per Jordan ed è un vero piacere conoscerla." "É stato un angioletto, si figuri." concluse, facendo per andarsene. Tutt'un tratto le buone maniere mi tornarono alla testa e la invitai a restare a cena, sperando vivamente che a Kate non dispiacesse. Dopo aver finito di sistemare, diedi una veloce ripulita alla cucina e uscii in strada per gettare l'immondizia. Portai fuori due sacchi pesanti, trascinandoli per l'atrio del palazzo. L'aria era piuttosto fresca e il cielo coperto da una massa concentrata di nuvoloni carichi di pioggia. Prima che rientrassi dal cortile che dava sulla strada, sentii qualcuno pronunciare il mio nome. Era una voce fin troppo familiare. Troppe volte avevo sentito sussurrare disparatamente il mio nome da quella voce profonda. Qualcosa di arcaico si fece spazio dentro me e un brivido mi percorse la schiena. Non poteva essere lui dopo tutti quegli anni. "Sono passati cinque anni." mormorai rabbrividita, "Che diritto hai di presentarti quì?" "Sono venuto per nostro figlio." "É mio figlio." sottolineai in preda alla collera. "Ho sbagliato, ma ora vorrei rimediare." "Non ci rovinerai la vita ancora una volta, tornatene a Detroit o da qualunque parte tu sia venuto." lo intimai, puntandogli saldamente il dito contro. Non avevo più paura di lui, non dopo tutto quello che mi aveva fatto. In un certo qual senso mi ero fatta le ossa. "Voglio solo vederlo." "Non entrerai nella sua vita." affermai sicura e diretta, spattendogli la porta in faccia. "Miley! Miley!" urlò battendo sulle vetrate del portone, "Apri questa porta o ti giuro che la sfondo. Sai che lo faccio!" Era un tipo violento, ma forse era proprio quello che mi aveva attirato in lui quando ero troppo giovane e stupida per rendermi conto in che guaio mi ero andata a impelacare. Conoscevo bene il suo brutto carattere e quando si arrabbiava faceva paura, ma questa volta era tutto diverso. Non ero più l'adolescente libera come il vento di un tempo, ogni mio gesto ricadeva direttamente su Jordan. Lo avrei protetto a qualsiasi costo da quel bastardo di suo padre. Raggiunsi velocemente la nostra camera e vidi che non sollievo che il mio splendido angioletto si era addormentato. Mi sdraiai accanto a lui e lo coccolai fra le braccia, stampandogli di tanto in tanto qualche bacio delicato sulla fronte. "Ti proteggerò da ogni male." sussurrai amorevolmente. Come il giorno precedente, quella mattina andai di buon'ora all'hotel Palace al centro di Manhattan per cominciare il turno di lavoro. Ero eccitata all'idea di quello che mi avrebbe aspettata nella stanza 361 dell'ultimo piano dell'edificio. Lui voleva rivedermi e anche io avevo una voglia spropositata di parlargli ancora. Mi avventai come una furia al piano delle suite e feci per dirigermi a capofitto nella stanza di Robert, ma come se qualcosa me lo impedisse mi bloccai. "Miley, sembri una bambina!" mi rimisi in riga, facendo dei bei respiri profondi. Bussai cautamente, per evitare che la circostanza imbarazzante della mattina prima potesse ripetersi, ma lui non rispose. Entrai di soppiatto e la prima cosa che notai erano le tende spalancata e il letto messo in ordine. Rimasi estasiata dai comportamenti di quell'uomo. Sorrisi con espressione ebete per almeno un paio di minuti, impalata davanti il baldacchino messo a punto. Nella camera di lui non c'era la minima traccia. Presi a rassettare un pò la tappezzeria e le bottiglie di vodka che erano state gettate nel cestino del bagno. Gli cambiai gli asciugami con alcuni puliti e iniziai a passare l'aspirapolvere. "Ho ordinato la colazione più di venti minuti fa e nessuno si è degnato di farsi vivo. Hotel a cinque stelle, eh?" farfugliò Robert entrando rumorosamente in stanza. "Buongiorno! Non sei sceso neanche oggi?" "Veramente avevo intenzione di mangiare qualcosa con te, ti stavo aspettando." "Mi stavi aspettando?" ripetei basita. "Certo, sapevo che saresti venuta." sorrise ironico. "Robert, come ti ho detto ieri, questo è il mio orario di lavoro. Capisco che per un divo del cinema come te è difficile capirlo, ma non posso distrarmi." esclamai stufa di ripetere sempre le stesse cose. Era facile per lui mandare a monte tutti i suoi doveri, ma se io non lavoravo non potevo dar da mangiare a mio figlio. "É un peccato. Un vero peccato, il cibo si sprecherá!" constatò prendendo un vassoio ricolmo di cibo da mano ad un ragazzo del servizio in camera. "Tu sei pazzo!" "Me lo dicono in molti, a dir la verità e forse lo sono davvero." ghignò posandolo sul tavolino in salotto. "Sembra tutto molto invitante, ma ancora non ho afferrato il concetto." "Cosa c'è da capire?" si avvicinò pericolosamente, lasciando cadere a terra la pezza che avevo preso per spolverare. "Perchè ti comporti così con me." mormorai, distanziandomi di qualche centimetro. "Non è abbastanza chiaro?" "Non giocare con me, Robert." lo intimai, riprendendo a pulire. Avevo capito cosa si era messo in testa: voleva circuirmi per potermi dare una bella 'ripassatina' e impiegare così un pò di tempo in cui si annoiava. "Non sono abituato ad essere rifiutato." sorrise malizioso, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano. "É proprio questo il tuo problema. Bhè, abituati." gli feci l'occhiolino. "Tutto questo da fare per nulla." guardò il letto che aveva rifatto e la stanza vagamente sistemata, "Pazienza." fece spallucce, abbozzando un sorrisetto. "Voi del cast non avete una convention?" cambiai discorso. "Domani." "Magari potrei addentare qualcosa." aggiunsi da sprovveduta, cadendo miseramente nella sua trappola. Stava facendo l'offeso e mi aveva incastrata con tutte le scarpe. Era misero e triste il potere che aveva su di me.

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Capitolo 6
*** Dark secrets ***


Robert ghignò sotto i baffi, compiaciuto di esser riuscito nel suo intento. Lasciai la pezza per spolverare sul tavolino di vetro in salotto e mi avvicinai a lui. "Dove mangiamo?" domandai dopo essermi guardata intorno, alla ricerca di un posto consono. "Quì, ovvio." disse con molta nonchalance, sedendosi comodamente sul letto. "Stai scherzando?" "No, affatto." scosse la testa divertito. Prima che avessi il tempo di dire una sola parola, mi prese il braccio e mi tirò verso di lui, facendomi inciampare sulle sue scarpe. Gli caddi addosso, molto platealmente, e mi trovai con i suoi meravigliosi occhi scuri puntati nei miei. Avvampai violentemente dalla vergogna, ma non riuscivo a trovare la forza nei muscoli per distogliermi da lui. Robert mi guardava beffardo ed estasiato al tempo stesso. "Hai degli occhi bellissimi." commentò guardandoli affondo, per poi scostarmi dietro l'orecchio una ciocca di capelli che siera messa fra i nostri sguardi. "G-grazie." balbettai come una bimbetta, "Anche tu." ammisi inconsciamente. Perchè quando ero con lui tutt'un tratto la mia corazza di protezione svaniva? Come per magia, mi ritrovavo catapultata ai primi anni della mia adolescienza, quando ero ancora una ragazza alle prime armi. 'Dio santo, Miley, vuoi comportarti da adulta?' mi rimbeccò la parte coscienziosa di me. "I miei sono marroni." sorrise scherzoso. Il suo sorriso mi mandava in estati. Accanto a lui mi sentivo come il ghiaccio fuso al sole. "Sono comunque bellissimi." ribattei con tono delicato, perdendomi nell'immensità della sua bellezza. Restammo qualche istante in silenzio, io maliziosamente sopra di lui, e l'atmosfera si faceva sempre più accattivante. Lo guardai intensamente e non desideravo altro che baciarlo. E poi baciarlo ancora, ancora. Lui sembrava volere lo stesso, o forse più, perchè mi afferrò per i fianchi e fece per farmi scivolare sotto la sua figura, ma prima che la situazione prendesse una piega pericolosa, ripresi coscienza e mi alzai di colpo. Mi schiarii la gola, sistemandomi il grembiule sulla divisa. Downey si portò una mano sul viso, lasciandosi andare in una risatina di autocommiserazione. Non capivo se interpretarla come una beffa nei confronti dei suoi comportamenti da spavaldo don Giovanni, oppure se uno scherno a discapito del mio fare. In ogni caso, la circostanza richiedeva autocontrollo e io avevo saputo impormelo, a differenza sua. "Allora, non hai più fame?" domandó scontroso, indicandomi le varie pietanze sul vassoio. "Adoro le uova strapazzate con bacon sui toast imburrati." ammisi vergognosa, cercando di trattenere la fame che avevo. "Non si direbbe affatto!" sorrise beota, poggiando la testa sulla struttura del baldacchino, e osservò attentamente il mio fisico asciutto. "Già, ecco io, non le mangio quasi mai." dissi con un pò di nostalgia, ricordando che l'ultima volta che avevo potuto permettermi un pasto del genere era stata prima della gravidanza. "Mh, si vede." constatò addentando una cornetto alla nutella. Mi sedei accanto a lui e lo guardai divorare avidamente il croissant, per poi bere una tazza molto capiente di caffèlatte. "Sei vorace." "Io moltissimo." disse finendo di bere la bevanda, "Le cose mi piacciono tutte e subito." mi rivolse lo sguardo caparbiamente, facendomi facilmente intuire a cosa si riferisse. "Io ci vado con molta calma." replicai tranquilla, portandomi alla bocca un pezzo di toast. "Alla tua età dovresti lasciarti andare." "Se avessi avuto una vita diversa, avrei preso più alla leggera determinate situazioni." "Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a capirti." "Non sono un cubo di Rubik, Robert." conclusi schiva, finendo di mangiare la porzione di uova. "Non vuoi proprio parlare della tua vita, eh?" "Tu vuoi parlarmi della tua?" aggiunsi testarda. "Non c'è bisogno che io te ne parli, trovi tutto su internet. Noi 'divi del cinema', non abbiamo privacy." mimò le virgolette con una smorfia. "Non ho mai avuto l'intenzione di leggere la tua biografia su Wikipedia, se è questo che intendi." Non era del tutto vero, ma forse avrei preferito che fosse stato lui a parlarmi del suo passato e di quei vizietti di cui parlava Kate. Dedussi, date le sue parole, che dava per scontato il fatto che io fossi a conoscenza della sua vita privata. Non sapevo nulla del suo passato, tanto meno del suo presente. "Sei sicura?" "Per me Robert Downey Jr non è l'attore famoso di cui sapere tutto, è un semplice Robert Downey da scoprire giorno dopo giorno." confessai decisa. "Senza Junior?" mormorò confuso. "Senza Junior." ripetei divertita, "Tu sei semplicemente tu. Robert Downey." sorrisi dolcemente. Non riuscivo a capire il perchè, ma con lui potevo essere sempre me stessa. Si bloccò per qualche istante con lo sguardo fisso nel vuoto. 'Chissà a cosa sta pensando.' Avevo forse detto qualcosa di inopportuno? "Ho un problema." ruppe il silenzio con sguardo vagamente serio. Raggelai. Stava forse cominciando ad aprirsi con me? I tanto famosi secreti e oscuri segreti di Robert Downey Jr stavano uscendo alla luce? "Ti ascolto." "Non sono uno stinco di santo. Non sono affatto il classico uomo perfetto. Ho fatto molto sbagli nella mia vita e continuo a farli tutt'ora. Non riesco a smettere, tanto meno ad essere diverso da come sono. Devo essere sincero con te, sento dentro di me che te lo devo." si avvicinò a me e mi prese per mano, "Ho un figlio di 18 anni e ho divorziato da sua madre, ora sono sposato con un'altra donna." ammise colpevole, abbassando lo sguardo. Restai impietrita come una statua in quel piccolo spazietto di letto che occupavo. Non potevo credere alle sue parole. Era sposato, eppure questo non lo aveva fermato dal sedurmi e tentare in tutti i modi di circuirmi. Il figlio, in se stesso, non era un problema. Anche io ne avevo uno e sicuro non mi aspettavo che a 46 anni fosse caduto dall'albero di fico, ma il tenermi nascosto del suo matrimonio era una cosa squallida. Oltretutto, lui credeva che io sapessi. "Sei sposato." ripetei priva di emozioni. "Si, sono sposato e non ti ho detto ancora niente. Ho un grave problema con l'alcool, che è radicato in me da quando ero un ragazzo. Mi ubriaco quasi ogni sera e molto spesso non riesco a tenere il controllo delle mie azioni, per questa ragione vivo cinque giorni alla settimana in un hotel, anzicchè a casa con Susan. Fumo marijuana. Mi fece iniziare proprio mio padre, quel bastardo diceva che era l'unico modo che avevo per dimostrargli il mio affetto. Mi hanno beccato un paio di volte con qualche grammo e ho scontato svariati mesi, ma molti anni fa. Continuo imperterrito ad essere una feccia d'uomo. Non credo d'essere un buon padre, perchè mio figlio sta lentamente seguendo le mie orme e tanto meno un buon marito. Ho perso il conto di quante volte l'ho tradita, ma con te è diverso. Io sento a pelle di avere molto in comune con te. Percepisco dentro le ossa che tu riesci a capirmi e ti giuro che non è passato un solo istante, da quando ci siamo conosciuti, che io non pensi a te." concluse visibilmente emozionato. Mi aveva raccontato in pochi minuti tutti i fardelli della sua vita, me ne aveva fatto carico e si era assunto tutte le responsabilità delle sue azioni, ma in assoluto la parte che mi lasciò a bocca aperta era l'ultima parte del suo lungo monologo. "C-cosa?" Fu l'unica parola che mi uscì di bocca. "Non mi importa dei ventitre anni che mi separano da te, tu mi piaci." disse con un filo di voce e poi mi rubò un bacio a fior di labbra. Sentii per un istante il calore della sua bocca sulla mia. Era una sensazione avvolgente, ma rimase comunque pulita. Si ritrasse subito, senza esitazione. Il fatto che provassi qualcosa per lui, era la cosa più sbagliata di questo mondo.

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Capitolo 7
*** Let me kiss you ***


Mi alzai con sguardo vuoto e spento, iniziando a girovagare per la stanza. Portai le mani ai capelli, totalmente incredula di ciò che avevo appena sentito. Io, Miley Sullivan l'incasinata, piacevo al famoso attore Robert Downey Jr? Se l'avessi raccontato a qualcuno mi avrebbero senz'altro fatta rinchiudere in manicomio, ma fu proprio quello il motivo per cui quella frase mi uscì spontaneamente senza averci pensato molto. "Tutto questa commedia per portarmi al letto, Downey?" esclamai convinta che fosse tutta una farsa. "Cosa? Io non...non voglio fare sesso con te!" "Ah, no? Allora perchè hai tirato su tutto questo teatrino?" domandai rabbiosa. Robert mi raggiunse frenetico e mi scrollò le spalle. "Miley, io ti ho aperto il cuore." sussurrò con tenerezza in volto, sembrava un bambino. "Tu sei sposato, Robert!" gli ricordai prontamente. Era fuori ogni aspettativa, secondo il mio pensiero, che un uomo sposato potesse provare sentimenti per una donna che non fosse la propria moglie. Tutto ciò mi lasciava ancor di più credere che con me voleva solo divertirsi. "Il mio matrimonio è finito subito dopo essere cominciato, lo sanno tutti!" La solita banale scusa. Ogni uomo per giustificare i propri tradimenti ripete che era un matrimonio finito. 'Ho perso il conto di quante volte ho tradito Susan.' ripensai alle sue parole, convincendomi che non sarei stata la milionesima amante di Robert Downey. "Ma cosa vuoi da me?" tuonai a gran voce, trattenendo a stento le lacrime. Robert si avvicinò con fare amorevole e mi strinse forte fra le braccia. Mi lasciai andare sotto il suo tocco magico. Rimasi estasiata dalla sensazione che il tocco delle sue dita sulla mia pelle mi faceva sentire. Avrei voluto restare accanto a lui per il resto della giornata, forse anche della vita. In quel preciso momento capii che provavo dei sentimenti per lui. "Non voglio niente di più da te, Miley." mi fece alzare il mento con l'indice e puntó i suoi occhi scuri nei miei. "Non farmi del male, Robert." lo supplicai in un sussurro. La mia voce si fece talmente fina da sembrare quasi una soffiata di vento. Restammo un attimo in silenzio, che valeva più di mille parole. Nella profondità degli occhi di Robert vidi la fragilità e la sofferenza che si portava dietro dal suo passato. Quella parte di lui così complicata che macchiava la sua perfezione, mi spingeva ancora di più a volergli restare accanto. "Non ne ho alcuna intenzione, te lo giuro. Vorrei solo che tu..." non concluse la frase, rimase in attesa di una mia reazione. "Io cosa?" incalzai con trepidante desiderio. "Che tu ora ti lasciassi baciare." mormorò all'orecchio con un tono di voce ovattato e seducente. Il suono di quelle parole mi era entrato in testa e mi risuonava sordo, come fosse un eco, per tutta la periferia del corpo. Si insinuò nello stomaco e nel diaframma, provocando un'astrale emozione da adolescente. Tutt'un tratto venni catapultata nel giorno in cui diedi il primo bacio. Era esattamente così che mi sentivo: emozionata come un bambina alle prime armi, alle prese con il primo amore. "Non te lo impedirò di certo." sussurrai stucchevolmente, in attesa che il desiderio di entrambi si realizzasse. Sognavo sin dal primo momento in cui i nostri sguardi si erano incrociati di voler sfiorare le sue labbra con le mie. In cuor mio non stavo baciando Robert Downey Jr, l'attore ricco e famoso con il quale tutte le donne vorrebbero trascorrere una notte, bensì il Robert Downey sensibile e problematico. Il semplice uomo che con una sola parola era in grado di far provare sensazioni forti. L'uomo dallo sguardo intenso e la fragilità di un bambino. Intrecciai lentamente le mie dita ai suoi capelli e mi misi in punta di piedi, per compensare la differenza d'altezza. Avvicinai la mia bocca alla sua e socchiusi gli occhi. Robert mi prese per la vita con le mani e fece combaciare perfettamente il suo corpo con il mio. Nonappena sentii il calore delle sue labbra sfiorarmi la pelle, mi abbandonai alla sua volontà. Come fosse un diabetico film d'amore ci tramutammo in due passionali amanti che si incontrano dopo anni di lontananza. Il sapore dolce-amore che avevo di lui in bocca mi riempiva e mi saziava. Percepii per tutto il tempo che la sua lingua catturò la mia la tenerezza e la purezza di ciò che stava provando. Non aveva secondi fini, non si stava prendendo gioco di me. In quegli istanti non c'erano differenza sociali, eravamo solo Miley e Robert. Tutto il resto del mondo l'avevamo dimenticato. "Sei un pò arruginita, eh?" sghignazzò sotto i baffi. "Tu per niente, Downey." rinbeccai, stizzita del suo commento poco consono alla situazione, per sottolineare la sua attiva attività nel settore. "Non bacio con sentimento da tempo." "Non dirmi che hai fatto un'eccezione per me." dissi con finto stupore, riservandogli un sorrisetto di scherno. "I sentimenti sono lussi che non mi concedo da anni." "Allora posso considerarmi fortunata?" domandai in estasi, fingendo che la cosa non mi riguardasse più di tanto. "Trai le tue conclusioni, Sullivan." Era imperterrito a non voler aggiunge altre parole riguardo ciò che provava, forse era uno scudo di difesa come quello che mi ero creata io. Più è alta la barriera, più è difficile che qualcuno la superi. Ne conoscevo bene i limiti e le conseguenza, mai sottoporre il cuore in fretta. Le persone te lo rubano intatto e te lo restituiscono in brandelli, poi sta a te curarne le ferite e rimmeterne a posto i pezzi. "Cristo! Sono in un bel casino!" esclamai disperata dopo aver guardato distrattamente il quadrante dell'orologio di Robert, "È tardi! Avrei già dovuto fare tutte le stanze del piano." piagnucolai staccandomi violentemente da lui e mi ricomposi alla svelta. "Miley, stai calma. Risolvo io la situazione." proferì con estrema tranquillità. Si diresse verso il telefono nel salotto e, dopo aver composto un numero, alzò la cornetta. "Robert, che stai facendo? Devo andare!" saettai da un capo all'altro della stanza per raccimulare i vari oggetti per la pulizia. Rimasi in attesa davanti lo stipide della porta, chiedendomi perchè non venisse a salutarmi. "Signor Roberts? Si, buongiorno, sono Robert Downey." iniziò la concersazione. Riflettei che aveva volutamente omesso il 'Junior', come gli avevo detto io poco prima e ne rimasi colpita. "Ho avuto un problema e la signorina Sullivan dovrebbe restare a sistemarmi la stanza." Scossi la testa con rassegnazione. Era totalmente assurdo il tentativo di Robert per sistemare la situazione. Pensai che se fossi stata una spettatrice al di fuori della vita reale, l'avrei senz'altro trovato banale e riduttivo. "Robert, non ci crederà mai!" farfugliai a distanza. Alzò la mano e aggrottò la fronte, indicandomi di restare in silenzio. "Perfetto, la ringrazio." riagganciò la cornetta, "In cambio della tua libertà sarò costretto a firmare una miriade di autografi!" sorrise divertito. "Che?" "Per te non ci sono problemi, ma per quanto riguarda me, mi ha 'gentilmente' chiesto di firmargli un armamentario." si sedette sulla poltrona in salotto e si lasciò andare in una sonora risata. "Mi dispiace." "Ci sono abituato ormai, è il mio lavoro. La cosa più importante però, è che ora possiamo stare insieme." fece l'occhiolino e mi invitò ad avvicinarmi. Lasciai andare la pezza da spolvero e lo scopettone che avevo in mano, per catapultarmi verso la sua figura paradisiaca. Avevo decisamente perso l'autocontrollo. "Sei un furbetto!" farfugliai fra un bacio e l'altro. 'Chissà che cosa ha in mente.' pensai, senza dar voce ai miei pensieri.

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Capitolo 8
*** Danger ***


Il fatto che Robert fosse così premuroso nei miei confronti mi lusingava e non poco. Per quanto bello, sembrava così irreale. Sicuramente, se l'avessi raccontato a Kate, non mi avrebbe creduta. 'Hey, cara! Sai oggi il divo hollywoodiano più quotato mi ha ficcato la lingua in bocca! Ah, dimenticavo, è sposato!' immaginai una fittizia conversazione monopolare nella mia testa malata. "Merda." balbettai fra me e me. La ragazza di periferia di Detroit che era in me tornava a farsi sentire. "Calma ed autocontrollo, Miley!" parlottai nuovamente, sembrando una completa psicopatica alle persone incredule che mi fissavano nella hall dell'hotel. Dopo avermi salvata da un licenziamento certo, Robert era dovuto correre alla seconda convention che puntualmente aveva marinato per poter passare un pò di tempo con me. Ma noi cos'eravamo adesso? Piuttosto, c'era davvero un noi? Cavolo, lui era sposato. Io avevo un figlio, anche se ancora non lo sapeva. Ero certa che tutta quella situazione era sbagliata, ma anche provare dei sentimenti lo era? Come potevo, dopo il nostro bellissimo bacio, stare alla larga da Robert? 'Trai le tue conclusioni, Sullivan.' ripensai alle sue parole. No, doveva esserci davvero qualcosa fra di noi e non semplice attrazione sessuale. Anche quella giornata di lavoro, un pò meno stressante, era giunta al termine. Stavo tornando a casa dal mio angioletto biondo, quando mi resi conto che Marshall non si era fatto più vedere da quella notte. Un brivido gelido mi percorse la schiena. Jordan non sarebbe stato più al sicuro, se quell'uomo orribile si fosse intromesso nella sua vita. Perchè dopo cinque anni doveva scombinare la nostra tranquillità? Che diritto aveva? Lo conoscevo meglio di chiunque altro e sapevo che non si sarebbe fermato finchè non avrebbe ottenuto quello che voleva. Voleva me? O solo conoscere nostro figlio? Cosa avrei fatto con Robert? Adesso che ci pensavo, non avevo neanche il suo numero. Quando sarebbe ripartito per tornare a casa sua? Cosa sapevo io di lui? Niente. Un bel niente. Scossi violentemente la testa, dovevo smetterla di logorarmi il pancreas con tutte quelle insulse domande. "É stato solo un bacio, maledizione!" mi rimisi in riga ad alta voce, confermando le teorie di chi mi stava intorno. Si, ero davvero pazza. Prima di aprire la porta dell'appartamento, mi guardai circospetta nel raggio di qualche metro. Il sole stava calando all'orizzonte e la tiepida brezza proveniente dal Sud-Est cominciava a farsi sentire. Entrai in casa e chiamai più volte il nome di Jordan o della nonna di Kate, ma di loro neanche una traccia. "Che strano, a quest'ora avrebbe dovuto portarlo a casa." Era quasi ora di cena, la signora Dawson non tardava mai. Composi alla svelta il recapito telefonico sul mio cellulare e quando rispose l'anziana signora, sussultai. "Pronto?" "Signora Dawson, come mai Jordan è ancora li da lei?" "Jordan? Cara, cosa stai dicendo? Te l'ho riportato un'ora fa." rispose confusa la signora. A quelle parole il sangue mi si gelò. "C-cosa?" balbettai impietrita, tanto che il cellulare mi cadde di mano e si ruppe in più pezzi. Alcune lacrime scesero da sole dal condotto lacrimale e un tuffo pervase il mio giovane, ma non più incolume cuore. Il mio bambino era sparito. Presi a correre per tutta la casa, in cerca di quei suoi azzurri occhiani da cerbiatto o di udire i suoi dolci passi delicati sul pavimento in ceramica. "Jordan! Jordan!" urlai strazziata, mettendo a soqquadro l'intero appartamento. Stavo per cacciare un ultimo assordante urlo, ma la mia attenzione fu catturata da un piccolo post-it giallo fluo sul tavolo della cucina. Lo presi fra le mani tremanti e presi a leggere quelle poche parole dalla grafia alquanto familiare. 'Ti avevo avvertita, Miley. Raggiungimi al ponte di Brooklyn non appena farà buio. Da sola.' Indescribile ed inutile poter esprimere a parole il dolore che provavo. Non era dolore, non era niente. Il vuoto più totale. Non esistevo. Il cuore si infranse in mille pezzi, che esplosero in un batter d'occhio. Marshall aveva preso mio figlio. La mia creatura angelica era fra le sue sporche mani. Avrei chiamato la polizia, ma conoscevo di cosa sarebbe stato capace se solo avessi disubbidito ai suoi ordini. Non potevo più permettermi il lusso di farlo arrabbiare, non quella volta. Non si trattava più di me e della mia incolumità. Solo cinque anni prima non mi sarebbe importato di farmi spaccare un labbro o di ricevere qualche pugno sullo stomaco, Jordan era la mia prioritá. Feci come aveva imposto, mi recai al ponte di Brooklyn da sola. Presi dalla cucina un coltello e corsi a perdi fiato sul luogo dell'incontro. Scrutai con attenzione il posto, ma del profilo di Marshall neanche l'ombra. La gente nei dintorni era davvero poca. Non ero al sicuro, me lo sentivo. D'un tratto mi sentii afferrare una spalla. "Fai ciao a mamma, piccolino!" sussurrò melliflua la voce appartenente a quella mano, che sapevo benissimo essere lui. Stava usando Jordan come sicurezza, sapeva che non avrei reagito se lui fosse stato presente. Mi voltai cautamente, trattenendo le lacrime. Raggiunsi brevemente il bruciore scoppiettante del suo sguardo. L'azzurro glaciale delle sue iridi mi penetrava l'anima, ma non era una bella sensazione. Odiavo quegli occhi, odiavo i suoi capelli scuri, odiavo quel ghigno sadico ed impertinente, odiavo Marshall Eric Dwyne. "Mammina." miagolò il mio dolce angelo. "Ciao, tesoro mio." allungai le braccia, facendo per prenderlo in braccio, ma Marshall si ritrasse. "Non così in fretta, amore." "Dammi mio figlio, bastardo." digrignai i denti. Trattenni a stento le grida. "É anche mio figlio." "Tornatene da dove sei venuto, fottuto infame." "Oh, la mammina ha un brutto linguaggio." assunse una finta espressione imbronciata, trattenendo Jordan per una manina. "Come sei entrato in casa mia? Come ci hai trovati?" "Ma è stato facilissimo, piccola. Credevi davvero che uno sconosciuto si sarebbe mostrato così disponibile nei confronti di una ragazza-madre, senza volersela scopare alla grande o avere un altro scopo?" Maledetto. Lurido, viscido verme. "Michael." piagnucolai. Avrei dovuto capirlo sin dall'inizio, nessuno in questo mondo fa qualcosa senza aver alcun interesse. Era la schifosa e meschina talpa di Marshall. "Bingo, amore. Tu mi hai reso tutto così facile. Ti fidi troppo delle persone." "Mi fai schifo." "Sai, ha detto che era ad un passo dal portarti a letto. Non volevo crederci, ma poi mi sono ricordato della nostra prima volta. I sedili posteriori in pelle della macchina che avevo rubato e tu...eri vergine?" La collera in me era talmente tanta che d'impulso gli rifilai un ceffone sulla guancia, spaventando Jordan, che iniziò a piangere. Marshall gli strinse il polso ancora di più e, con espressione rabbiosa, mi sferró un pugno ben piazzato sullo zigomo. Fu così semplice per lui mettermi al tappeto. "Nessuno può portarmi a letto così facilmente, bastardo!" singhiozzai arrendevole, impaurita dalla situazione. Per la prima volta dopo tutti quegli anni, stavo nuovamente provando il terrore di un tempo. "Sei talmente bella, Miley. É un vero peccato..." Marshall si avvicinò molto pericolosamente al mio viso, tanto che ritrovai le sue labbra ad un centimetro dalle mie. Non sapevo cosa stesse per accadermi, ma di certo non era difficile da immaginare. Attorno a noi non c'era più nessuno. Nemmeno ad un cane importava che mio figlio piangesse disperato, ma fu proprio lui che mi diede la forza per reagire. Cosa che non avevo mai fatto prima. Mi alzai di scatto e calciai con tutta la forza che avevo in corpo i suoi testicoli, poi strattonai Jordan e corsi più che potevo. Mi allontanai in fretta e furia da lui, sperando che non ci seguisse.

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Capitolo 9
*** AVVISO IMPORTANTE ***


Un saluto a tutte voi, ragazze! Inizio con il ringraziare tutte voi che leggete, seguite e recensite la mia fanfiction. Seconda cosa, colgo l'occasione per rendere visibile a tutti la stessa risposta che sto dando ai messaggi privati che alcune di voi mi inviano: il testo ed in generale la presentazione del testo risulta poco organizzata, perchè mi è IMPOSSIBILE poter ottenere l'html, in quanto posso esclusivamente scrivere e pubblicare dal cellulare. Non mi dilungo molto nei dettagli, ma sappiate che punto tutto sul contenuto. Su consiglio di VeroDowney, proverò ad organizzarmi altrimenti. Inoltre, ho deciso di aggiornare almeno ogni tre capitoli con uno dedicato all'angolo autrice, in modo tale da potermi tenere un pò più in contatto con voi. Spero che con queste poche righe mi sia spiegata a sufficienza, ci si legge molto presto. Grazie ancora a tutte voi, confido che cresciate sempre di più. MrsSomerhalder.

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