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di lookafterzay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Uno.
Due.
Tre colpi.
La ragazza era sdraiata a terra, faceva fatica ad alzarsi.
-Che c’è? Ti abbiamo fatto male?- rise una ragazza alta e robusta. Le sue amiche fecero lo stesso. -Dovresti esserci abituata, piccola Ella.-
La ragazza, Ella, cercò di alzarsi aiutandosi con le braccia. L’avevano fatta male sul serio questa volta, le faceva male tutto. Era un fuoco. Bruciava ogni singola parte del suo corpo. Le braccia. Le gambe. La pancia.
Un altro colpo, più violento. Si ritrovò di nuovo a terra, un rivoletto di sangue scivolò dalla sua bocca semischiusa. Non ce la faceva più.
-Basta…- sussurrò a stento. Un colpo di tosse, altro sangue. -Per favore.-
La ragazza che l’aveva colpita prima si abbassò e la guardò negli occhi. Un ghigno si formò sul suo volto, poi prese Ella per i capelli e le alzò la testa.
-Basta?- rise amaramente. -Basta lo dico io e ancora non basta.-
Mollò la presa e si alzò. Richiamò le altre due e uscirono dal bagno guardandosi intorno. Non volevano essere beccate, ancora una volta.
Prima di uscire, si girò verso Ella. -Non sarà mai abbastanza con te, lo sai?- poi uscì.
Passarono cinque minuti, Ella voleva accertarsi che non sarebbero tornate. Capitava a volte, raramente ma capitava. Clarisse diceva che non era bastato prima, allora ricominciava. Era sempre così, ogni giorno. Di certo Ella non poteva dire nulla, chi l’avrebbe creduta? Clarisse era una ragazza quasi impeccabile. La sua unica pecca era l’irascibilità. Era molto permalosa, si arrabbiava per nulla. Ti guardava in faccia, se non le andavi a genio era sulla sua lista nera, fine della storia. Forse era anche per questo che i suoi l’avevano lasciata lì, in quella scuola autoritaria, dove la direttrice non si preoccupava più di tanto di cosa succedeva.
Ella sospirò pesantemente, poi si guardò allo specchio. I capelli si erano appiccicati alla fronte, mantida di sudore. Il sangue si era seccato. Si alzò la maglia e in seguito la camicetta, un grosso livido violaceo si era formato sulla sua pelle.
Sospirò di nuovo. Aprì l’acqua e si lavò la faccia. Nessuno livido o occhio nero lì questa volta, per fortuna. Diede una sistemata ai capelli, ravvivandoli con la mano e uscì da quel bagno. I corridoi erano vuoti, il silenzio era tombale. Erano tutti in aula magna, sicuramente. Ella iniziò a camminare. Poteva rimanere in camera, o in bagno, ma ci voleva andare. Voleva sapere anche lei cosa la direttrice doveva dire alle sue allieve. Per andare in aula magna doveva passare dalla porta d’ingresso, rigorosamente chiusa per ogni evenienza, e quindi dalla segreteria.
Lì li vide, o meglio lo vide. Uno solo catturò la sua attenzione, gli altri due erano immagini sfocate, due punti indefiniti che facevano da sfondo. Era alto, molto alto, la pelle ambrata spiccava e i suoi occhi erano neri, scuri, profondi. Ella non si accorse di essersi fermata ad osservarlo, fin quando lui le rivolse la parola.
-Vuoi un autografo? Una foto? Se vuoi mi metto in posa e mi fai un dipinto.-
I suoi amici scoppiarono in una fragorosa risata, mentre sul volto del ragazzo comparve un ghigno. Ella diventò rossa e corse via, chiedendosi che cosa ci facevano loro lì.

HELLO!

Okay, questa è la prima storia che prendo seriamente. Penso che sia un esperimento, più che altro. Spero vi piaccia, e niente. Lasciate una recensione e fatemi sapere cosa ne pensate.
Sarah x 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Quando Ella entrò in aula magna, la riunione, se così si vuol chiamare, tenuta dalla direttrice era già a metà.
Nessuno si accorse di lei, per fortuna. Lei era la classica ragazza da parete. Osservava tutto e tutti da lontano, ma nessuno si accorgeva di lei e della sua presenza. Si rifugiava nei suoi sogni, tra le pagine del suo diario, che custodiva gelosamente, dove scriveva più che altro citazioni di film, quei pochi che aveva visto il venerdì sera quando tutti si riunivano nella sala grande, di libri, provenienti dall’enorme biblioteca della scuola, perché lei non aveva altro da scrivere. Non scriveva di lei, non c’era nulla di interessante da scrivere. Non scriveva della sua famiglia, lei non ce l’aveva. Questo la distingueva dalle altre ragazze. Prima di trasferirsi, letteralmente, in quella scuola, viveva in un orfanotrofio vicino. Le suore l’avevano accudita fin da quando era in fasce, ma ad Ella non importava più di tanto. Bisogna essere riconoscenti nella vita, ma le suore non potevano fare altrimenti. Come potevano lasciare una bambina di appena pochi giorni fuori al freddo? Semplicemente non potevano, ecco tutto. Anche quando stava in orfanotrofio, non interagiva con gli altri bambini. Stava per conto suo mentre osservava tutto intorno a lei. E quando la spronavano a fare qualcosa, a giocare con gli altri, si chiudeva a riccio. Perché aveva paura di non riuscirci, di essere allontanata, abbandonata. In fondo la timidezza è composta dal desiderio di piacere e dalla paura di non riuscire. Sicuramente l’abbandono da parte di sua madre aveva condizionato tutto il resto. Ancora oggi si chiedeva perché mai non l’avesse voluta. Ci sono donne che farebbero di tutto per avere un figlio o una figlia, allora perché sua madre l’aveva abbandonata? Ella cercava sempre una risposta, ma non la trovava.
Troppe domande ma nessuna risposta. La notte queste cose la divoravano. Non riusciva a dormire e allora pensava, pensava, pensava. Pensava fino a tarda notte e poi la mattina si addormentava fra una lezione e l’altra. A volte veniva scoperta e mandata dalla direttrice, altre volte era fortunata. Fortuna che durava poco, visto che in bagno la aspettava il Trio delle Streghe. Le aveva chiamate così, per riderci su, anche se non aveva nessuno con cui ridere di questa cosa.
Fin da piccola Ella aveva una fervida immaginazione, come tutti i bambini, e una vivace intelligenza. Già a quattro anni sapeva scrivere e a cinque leggere. Le è sempre piaciuto studiare e imparare cose nuove. Per questo a tredici anni, finita la terza media, le suore la mandarono in questo istituto. All’inizio Ella era contenta, era un posto di un certo calibro, le suore avevano faticato per mandarla lì, era il loro orgoglio. Ma poi la contentezza svanì.
Tutti la guardavano dall’alto, la vedevano inferiore e il Trio delle Streghe trovò la sua nuova vittima, e unica tra l’altro.
Il sua diario era il suo unico amico, l’unico di cui si potesse fidare.
-Allora- la direttrice interruppe i pensieri di Ella -come sapete, ho un annuncio molto importante da farvi. Molte persone mi hanno consigliato di allargare l’istituto anche ad allievi maschili.-
A quel punto nessuna ragazza riuscì a trattenersi. Volarono commenti di ogni genere, tra cui apprezzamenti, molti apprezzamenti.
La direttrice riportò il silenzio con un colpo di tosse.
-Bene, vedo che la notizia è stata apprezzata. Dunque, dopo varie riflessioni, ho deciso che questa è la cosa migliore da fare. Già da oggi alcuni ragazzi prenderanno posto qui, tra cui il figlio del Signor Hemmings, il quale, come sapete, ci fornisce i fondi per l’istituto.-
-E quanti ragazzi verranno oggi?- chiese una ragazza in terza fila.
-Prima di tutto signorina Banks, si alza la mano prima di porre una domanda,- la direttrice guardò in modo severo la ragazza- e secondo, una trentina. Sicuramente domani ne verranno altri.-
Tutte annuirono, come se la direttrice avesse risposto alla loro domanda. Tutte, tranne Ella.
La sua mente vagava senza sosta. Ragazzi all’istituto? Mai era successa una cosa simile. Poi ripensò ai tre ragazzi in segreteria. Loro erano sicuramente nuovi allievi, quindi Ella avrebbe rivisto il ragazzo dalla pelle ambrata. Arrossì violentemente al ricordo e alla battuta del ragazzo in questione.
-Avete altre domande?- chiese la direttrice.
Una ragazza accanto ad Ella con degli occhiali da vista e i capelli corti alzò la mano, e, dopo un cenno con la testa da parte della direttrice, parlò.
-Frequenteremo le stesse lezioni?-
-Ovviamente, non abbiamo spazio per fare nuove classi.- annuì la direttrice, come se la cosa fosse ovvia. -Bene, tornate pure nelle vostre stanze o dove eravate prima della riunione. A domani. E mi raccomando,  un comportamento esemplare e diligenza mi aspetto da voi.-
Le ragazze si alzarono, come segno di rispetto, e videro la direttrice sparire dietro la porta dell’aula magna.
Il disordine regnava sovrano dopo l’uscita della direttrice. Le altre ragazze era euforiche all’idea di avere dei ragazzi all’istituto. Ragazzi che le avrebbero guardate, ammirate, alcuni si sarebbero fatti avanti con loro, certo, in fondo sono sempre i ragazzi a fare il primo passo. Tranne per Clarisse, lei era una ragazza abbastanza intraprendente. Faceva sempre di testa sua, rischiava, non si interessava alle conseguenze, e forse era questa l’unica cosa che Ella le invidiava. Lei, dal canto suo, non aveva mai fatto nulla di eccezionale, nessuna regola trasgredita, niente di niente. Era così calma, stava sempre zitta, anche per questo Clarisse l’aveva presa di mira. ‘’Anche’’, l’altro motivo Ella non lo sapeva e non voleva saperlo. Aveva già abbastanza problemi con Clarisse, non voleva farla incazzare ancora di più. Incazzare. Già, Clarisse era una ragazza incazzata con il mondo intero. Una di quelle ragazze a cui non importa di niente e di nessuno, quasi fosse un automa programmato per odiare. Ed è buffo, perché le uniche persone che odiava in realtà erano Ella e suo padre.
Ella puntò lo sguardo proprio su Clarisse, le tremavano le mani. Quello era un segno, l’avrebbe pestata, ancora. Per questo si alzò di scatto, passando una mano sulla gonna, e uscì in fretta e furia, sperando di non essere vista. Fu fortunata, quel giorno.
Decise di andare nell’unico posto dove poteva stare da sola, in pace.
Dietro l’istituto c’era un piccolo giardino, pieno di alberi e fiori di ogni genere. Era così verde. Le piante erano verdi, le cortecce degli alberi erano verdi, le foglie erano verdi, la panchine erano verdi, anche l’aria che si respirava lì sembrava essere verde. Tutto era verde.
A Ella piaceva il verde, in fin dei conti. Le dava un senso di pace. In un libro aveva letto che il verde simboleggia la perseveranza e la conoscenza superiore. Il colore verde emana un senso di equilibrio, compassione armonia. Trasmette amore per tutto ciò che riguarda il regno naturale favorendo il giusto contatto con la natura.
Fin qui c’era. A Ella è sempre piaciuto stare fuori, a contatto con la natura, le è sempre piaciuto annusare i fiori appena sbocciati, si prendeva per fino cura del picciolo giardino in orfanotrofio.
Lasciò perdere il libro quando lesse che il colore verde infonde un senso di giustizia e grandezza d’animo, tenacia e perseveranza.
Tutte cazzate. Ella non aveva nessuna di queste qualità. Senso di giustizia e grandezza d’animo? Oh sì, soprattutto quando veniva pestata da Clarisse.
Allora decise di lasciar perdere i libri che ti spiegavano il significato dei colori, dei fiori, dei numeri, tra un po’ arriverà qualcuno che ti spiegherà il significato di come vai in bagno. Le posizioni e tutto il resto.
Una miriade di cazzate, questo pensava Ella. Si sedette sotto un albero, tanto bello quanto vecchio, appoggiandovi la schiena e chiuse gli occhi. Era una bella giornata, il sole non era caldo, quel caldo afoso che ti impedisce di respirare, era semplicemente il sole. Un punto colorato nel cielo azzurro.
A volte, Ella si perdeva a guardare il cielo, a guardare le nuvole e a dar loro una forma. Quello è un coniglietto, quello è un drago. Lo faceva spesso, anche ora, nei suoi sedici anni. Beh, sicuramente non lo diceva ad alta voce, l’avrebbero presa per pazza, o l’avrebbero derisa. Questa era la cosa che la spaventava. Essere presa in giro da tutti. Perché lei era una tipa strana, non si fidava di nessuno e tutti la evitavano. Finché non la deridevano e la lasciavano in pace, per lei andava bene. Clarisse era l’eccezione alla regola.
-Sapevo che eri la classica ragazza solitaria, con il muso lungo che si piange addosso.- una voce, seguita da una risata bassa, riscosse Ella dai suoi pensieri.
Aprì di scatto gli occhi e si guardò intorno. Il ragazzo dalla pelle ambrata era davanti a lei, con le braccia incrociate e un sorriso sghembo sul volto. Gli occhi scura la scrutavano. Ella non disse nulla, rimase zitta, ma i suoi occhi continuavano a cercare quelli del ragazzo.
-Posso sedermi con te?- chiese lui, indicando un punto accanto a Ella. Lei annuì impercettibilmente, che male c’era, infondo?
Il ragazzo si sedette e continuò a fissarla. -Perché non parli?-
Ella si strinse le spalle, perché non parlava?
-Non parlo con nessuno, perché dovrei parlare con te?- chiese, quasi senza accorgersene.
-Hai parlato! Con me!- il ragazzo esultò. -E’ bello parlare.- rise.
-Allora tu devi essere un tipo che parla tanto.- poggiò una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi dal sole e per guardarlo meglio.
-Lo sono.- sorrise. -E forse non dovrei vantarmene, dato che sono stato pestato per la mia lingua lunga.- rise, buttando indietro la testa.
Ella lo osservava. Come si osservano le cose belle, quelle speciali, come si osserva un libro di cui hai tanto sentito parlare e adesso non vedi l’ora di scoprirlo, di leggerlo tutto d’un fiato. E lei voleva leggere quel ragazzo, voleva sapere di più su di lui.
-Sono Calum, comunque, Calum Hood.- le porse la mano, che Ella strinse tentennando.
-Ella Mason.-
Mason era il cognome di sua madre, non che Ella l’abbia mai cercata, semplicemente non era interessata alla donna che l’aveva abbandonata, tutto qui.
-Allora Ella Mason, come mai sei qui?- chiese Calum.
-Sono qui da quando avevo tredici anni, prima vivevo all’orfanotrofio.- riprese a guardare il cielo.
Gli occhi acuti del ragazzo erano sempre attenti, erano avidi di scorgere ogni movimento, così come lui era avido di sapere.
-Capisco.- annuì. -Bella merda.-
-Già. E tu perché sei qui?-
Calum rise. -Problemi ai piani alti.-
Ella lo guardò confusa, non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo.
-Nulla di importante, capricci di un adolescente.- spiegò lui.
-Anche i tuoi amici sono qui?- chiese Ella, alludendo ai due ragazzi che erano con lui in segreteria.
-Allora non hai fissato solo me, ti sei accorta anche di loro.- la ragazza arrossì, mentre Calum rise ancora una volta. Perché rideva sempre?, pensò Ella. -Comunque sì, anche loro sono qui. Capricci adolescenziali.-
-Perché ridi sempre?- chiese allora.
Calum si voltò verso di lei, tra tutte le cose che poteva chiedergli, lei scelse proprio questa domanda. Pensò quanto fosse strana quella ragazza.
-Non lo so. Mi piace ridere, rende tutto meno schifoso, credo.- rispose.
-Forse hai ragione.- sospirò. -Viviamo in un mondo schifoso, questo mondo schifoso e debole. E’ uno schifoso film dell’orrore.-
-Hai un’idea ben precisa del mondo.-
-Dico ciò che penso.-
-Ti sbagli.-
-Come?-
-Ti sbagli.- ribadì il moro. -Scommetto che non hai visto nulla di quello che c’è là fuori.-
-No, e allora?-
-E allora?- chiese, quasi scioccato. -Hai sedici anni, stai perdendo tutto ciò che c’è di bello alla nostra età. Quello là fuori è il mondo vero, fatto di persone, di negozi, di stronzi, anche, ma non è questo istituto del cazzo o l’orfanotrofio dove hai vissuto per tredici anni. Quindi svegliati, perché la vita è adesso, e se non ci pensi ora a viverla, te ne pentirai.-
Ella rimase colpita da quelle parole. Aveva ragione Calum? Una parte di lei voleva fidarsi, voleva davvero credere alle sue parole, ma le risultava difficile, come con tutti.
-Sarà, ma io sto bene qui.- disse portandosi le ginocchia al petto. Anche se portava la gonna non se ne preoccupava, le calze che indossavano le ragazze erano talmente spesse da poter vivere in Siberia.
-Tu non stai bene qui.-
-E tu cosa ne sai?- lo sfidò.
-Io penso che tu sia convinta di stare bene, perché ti accontenti di poco, ti accontenti di stare seduta qui a non fare nulla, mentre tutto intorno a te va avanti. Il mondo va avanti, va veloce e tu stai indietro.-
Calum pronunciò quelle parole guardando la ragazza negli occhi grandi e marroni.
-Okay, qual è la conclusione?- chiese Ella mentre il ragazzo si alzava. Non voleva che se ne andasse.
Calum si girò, la guardò l’ennesima volta e sorrise. -La conclusione è che io ti farò vivere.- poi se ne andò, lasciando Ella più confusa di prima.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Erano le cinque del mattino, più o meno.
Ella si svegliò a causa di un tuono. Era normale a Bruxelles, il clima era altalenante. Era autunno. Ella si avvicino alla finestra e scostò le tendine. Una fitta pioggerella impediva alla ragazza la visuale della città. A lei piaceva la sua stanza. Era piccola, sì, ma per lei era abbastanza. Poi aveva una finestra e questo per Ella era già tanto. Da lì poteva vedere tutto, poteva immaginare cosa c’era oltre. Lei non era mai uscita dall’istituto e quando le suore, in orfanotrofio, decidevano di fare delle piccole gite con i bambini lei non andava mai. I bambini dell’orfanotrofio erano un po’ troppo euforici secondo Ella, forse perché lei era sempre stata una bambina abbastanza tranquilla. Quei bambini erano piccoli diavoletti, il che era ironico visto che stavano con delle suore, e Ella si sentiva un po’ la paladina della situazione quando non andava, risparmiava tempo alle suore, anche se non le avrebbe mai fatte disperare. Erano troppo buone con lei.
Rimase davanti la finestra per un’ora, fin quando alle sei non suonò la sveglia. Succedeva spesso. Se non erano i tuoni, lei si svegliava da sola. Non riusciva a dormire più di tanto, era come un robot, era come programmata per svegliarsi ad un certo orario.
Nella sua stanza c’era un piccolo bagno, piccolo nel vero senso della parole. Un gabinetto e un lavandino, l’essenziale. Quando doveva fare la doccia, si intrufolava nei bagni delle insegnanti, di sera. Quei bagni avevano proprio tutto. Ed era uno spreco, perché le insegnanti avevano una vita fuori dall’istituto, la maggior parte erano sposate, avevano dei figli, una casa con tutte le comodità. Erano poche, forse solo tre, quelle che vivevano all’istituto, anche per risparmiare su un eventuale casa o appartamento. Fortunatamente non l’avevano mai beccata, era brava in queste cose. Nessuno la notava e per una volta Ella era grata a questo.
Si vestì in fretta: gonna, camicia e maglione sopra essa, una semplice divisa. Ne aveva due, o meglio, tutti ne avevano due, così se una era sporca c’era sempre l’altra da indossare. Si pettinò i capelli e si guardò allo specchio. Il suo viso era tempestato di lentiggini, piccoli puntini arancioni che la differenziavano dalle altre ragazze, nessuna aveva le lentiggini. I grandi occhi scuri scrutavano il suo riflesso, guardavano tutto: i capelli castani, corti e lisci, le labbra piene spaccate, sotto il collo una piccola voglia, piccola ma visibile. Era magra, Ella, uno scricciolo, così piccola e magra che quasi scompariva, sembrava trasparente. Si risvegliò dal suo stato momentaneo di trans quando l’orologio segnò le sei e trenta. Le lezioni sarebbero iniziate esattamente mezz’ora dopo. Un minuto di ritardo e potevi anche non presentarti, nessuna scusa reggeva. Alcune ragazze ne approfittavano, stavano fuori a non fare nulla, ma molte volte venivano beccate e allora erano cazzi amari. A Ella non importava, lei non aveva mai perso una lezione, anzi si presentava pure prima. Per questo corse in camera a prendere i libri e uscì di tutta fretta dalla stanza.
Non avendo abbastanza classi per dividere maschi e femmine, erano tutti insieme. Le classi erano dieci, cinque in una sezione, cinque nell’altra.
Ella stava per entrare in classe quando la voce di Clarissa la riscosse.
-Hey tu!-. Ella si girò e con uno scatto della mano Clarisse le fece cadere i libri per terra. Ahimè, nessuno ragazzo bello oltre la norma si chinò a raccoglierglieli, come generalmente avveniva nei libri d’amore per ragazze che leggeva, non che lei ci avesse sperato. Perciò si chinò lentamente, sotto lo sguardo e le risate di tutti, raccolse i suoi libri e si fiondò in classe, non prima di aver sentito un impercettibile -sfigata- da parte di Clarisse.
***
Per Ella la scuola non era mai stato un problema, sotto il punto di vista dell’apprendimento, ci andava volentieri. A differenza dei suoi compagni, che sembravano letteralmente morti viventi la mattina, lei era invogliata, amava presentarsi prima alle lezioni e farsi trovare già seduta dalle insegnanti, cosa che le aveva attribuito aggettivi non molto piacevoli.
Stranamente riuscì a scampare dalle grinfie di Clarisse per le prime quattro ore, poi suonò la campanella del pranzo. In una giornata piovosa come quella gli studenti mangiavano in mensa, mentre quando c’era il sole preferivano stare all’aria aperta. Ella non andava da nessuna parte, se non in bagno. Non mangiava molto, se non a cena, quando non trovava quasi nessuno.
Quando finivano le lezioni, Ella andava sempre in biblioteca. Faceva i compiti, leggeva, guardava le persone attorno a sé. La cosa bella era che nessuno la disturbava, nessuno le rivolgeva la parola, come sempre d’altronde, poteva leggere in pace e stare da sola. Quel giorno non fu fortunata.
Era intenta a leggere, per l’ennesima volta, un libro di un autore americano, a suo parere geniale, capace di renderla partecipe alla storia, ogni volta quel libro riusciva a farla piangere.
-Cosa leggi di bello?-. Ella sussultò, anche se sapeva già a chi apparteneva quella voce. Era maschile, e già questo diceva tutto.
-Grazie per lo spavento, Robin.- rispose, alzando lo sguardo. Calum la fissava con un sopracciglio inarcato.
-Robin?- chiese, poi capì. -No, no, no, no. Non puoi essere così prevedibile! Ti facevo più intelligente, sai?-
-Do quell’impressione, a volte, ma la realtà è più crudele.- fece spallucce mentre sorrideva divertita.
Il ragazzo scosse la testa, incrociando le braccia al petto mentre un sorrisetto spuntava sul suo volto.
-Comunque- riprese a parlare quando la ragazza abbassò lo sguardo sul suo libro. -cosa stai leggendo?-
Ella chiuse il libro, mettendolo dentro la sua borsa. Era gelosa in qualche modo, non voleva condividere quel libro con Calum, era il suo segreto, in un certo senso.
-Niente. Come mai sei qui? Non ti facevo un tipo che legge.-
-Be’, le apparenze ingannano- la ragazza non sembrava convinta. -Che c’è? Leggo i libri con gli alieni e gli zombie, e i fumetti!- esclamò lui.
-Oh, giusto- annuì. -Ragazzi…-
-Dovresti leggerne qualcuno, sai? Un po’ di azione non ti farebbe male.-
-Non è il mio genere.- disse mentre si alzava.
-E qual è il tuo genere?-. Calum cercava in tutti i modi di mantenere viva la conversazione, non voleva che andasse via, voleva conoscerla meglio.
Ella alzò il capo a quella domanda, gli occhi le brillavano. Succedeva sempre così. Qualcuno le parlava di libri o dei suoi interessi e lei impazziva, le piaceva il fatto che qualcuno si interessasse a lei, indipendentemente dal fatto che fosse una ragazza solitaria.
-Penso sia più il genere romantico- annuì. -Sai, le storie d’amore quelle belle da morire, dove i protagonisti si amano e niente può mettersi contro di loro, né la madre di lei o l’ex di lui.- e rise, e Calum pensò che fosse il suono più dolce che avesse mai sentito in vita sua.
-Sì, penso di aver presente. Mia sorella leggeva un sacco di quella roba smielata quando stavo a casa. Fantasticava sui protagonisti dei libri ogni giorno.- sorrise, scuotendo la testa. Le mancava sua sorella, era l’unica che gli parlava, che provava a capirlo senza giudicare prima di sapere.
-Hai una sorella?- chiese Ella interessata.
-Sì, si chiama Mali-Koa. E’ più grande di me, ha diciannove anni.-
-E tu quanti anni hai?-
-Diciotto, cioè diciassette, ma ne compio diciotto a breve, e tu?-
-Sedici.- rispose lei impacciata, non pensava fosse più grande di lei.
-Urcà, se sei piccola.-
-Oh andiamo, è solo un anno più o meno.-
-Mh.- annuì pensieroso il ragazzo.
-A cosa pensi?-. Ella bramava le sue parole, voleva conoscere, voleva sapere cosa passava per la testa di quel ragazzo strambo e pieno di vita.
-Che ho voglia di fumare.- rispose convinto, mentre infilava le mani nelle tasche del jeans.
-Fumare?- chiese la ragazza perplessa. -Ma non puoi fumare qui. E’ una scuola, non puoi farlo.-
Calum rise, talmente forte che venne ripreso dalla bibliotecaria che passava di lì. Una donna minuta e magra come un chiodo, con occhiali che rendevano i suoi occhi blu enormi. Era simpatica però, simpatica se stavi zitta e non invadevi i suoi spazi, allora lei avrebbe fatto altrettanto. Erano simili, la signora Jones ed Ella. Entrambe silenziose, ognuna per i fatti propri.
-Non mi importa se posso o non posso farlo, io lo farò. E’ semplice.- rispose il ragazzo. -La vera domanda è verrai o no con me?-
Ella non sapeva cosa rispondere, così non lo fece. Prese la mano che Calum le stava tendendo e insieme uscirono dalla biblioteca, sotto lo sguardò indifferente della signora Jones.
***
Calum ed Ella stavano letteralmente correndo, mano nella mano, mentre salivano le scale.
-Ma dove stiamo andando?- chiese lei col fiatone.
-Hai presente il terzo piano?- incalzò lui con un’altra domanda.
-Sì, certo. Lì dovevano esserci i computer, sia com’è. La direttrice vuole essere avanti, ma poi non si è fatto più nulla.- disse lei, roteando gli occhi.
-Bene. Alla fine del corridoio, ci sono delle scale che portano ad una piccola terrazza.-
-Non ci sono mai stata, in realtà.- sussurrò lei.
-Ci avrei scommesso, sai?- ridacchiò il ragazzo.
-Simpatico.- sbuffò Ella.
Arrivati al terzo piano, Calum fece strada ad Ella e salirono le scale. Calum aprì la grossa porta e subito sui due ragazzi vennero travolti da una folata d’aria fredda. Ella guardava il panorama incredula. Era qualcosa di meraviglioso, non aveva parole.
Calum le si avvicinò e sussurrò al suo orecchio -Bello, vero?-. La ragazza annuì e solo quando qualcuno alla loro destra tossì, si accorse di altri due ragazzi.
-Oh- fece Calum, si era dimenticato della presenza dei suoi amici. -il riccio è Ashton e il ragazzo con i capelli colorati Michael.-
Dopo averli presentati i due, che stavano tranquillamente fumando, salutarono Ella con un breve cenno del capo e un sorrisetto divertito da parte del ragazzo riccio.
-Lei è Ella, lo sapete già.-
-Sì, lo sappiamo.- rispose il riccio, ridendo sommessamente. In effetti, Calum non aveva parlato d’altro da quando l’aveva incontrata. I suoi amici erano stati tentati di buttarlo fuori dalla stanza che condividevano all’istituto.
-Sì, be’…- impacciato, Calum tirò fuori dalla tasca un pacco di sigarette con un accendino. Si portò una sigaretta alla bocca e la accese. Aspirò il fumo e chiuse gli occhi, era come un calmante per lui. Ella, intanto, lo guardava incuriosita. Non aveva mai fumato in vita sua, non aveva mai visto nemmeno una sigaretta, figuriamoci. Quando Calum riaprì gli occhi, trovò quelli della ragazza che lo fissavano curiosi. Prese la sigaretta e la avvicinò alla ragazza, che prontamente fece un passo indietro.
-Non morde mica, eh!?- ridacchiò Calum. -Vuoi provare?-
Ella scosse la testa. -Sto bene così, grazie.-
-Oh, andiamo.-
La ragazza si avvicinò titubante e, quando fu abbastanza vicina, Calum la prese per i fianchi, facendo scontrare i loro corpi. Ella sussultò, per niente preparata a quel gesto improvviso.
-Okay, ora chiudi gli occhi.- istruì Calum.
La ragazza lo fece, poggiando le mani sul petto muscoloso del moro. Un secondo dopo le sue labbra incontrarono quelle di Calum. Dischiuse leggermente le labbra per la sorpresa, questo bastò al ragazzo a rilasciare il fumo nella sua bocca. Ella si staccò subito e, non essendo abituata, tossì violentemente. Accanto a lei Ashton e Michael ridevano. Ma non le importava, perché Calum l’aveva baciata e, anche se non si poteva considerare un vero bacio, non riusciva a non pensare ad altro.

HELLO!
Eccomi con un altro capitolo, spero di non avervi deluse. Cosa ne pensate? Lasciate una recensione, se vi va.
Alloooora, grazie a tutte le persone che leggono la mia storia, che lasciano recensioni, che l'hanno messa tra i preferiti. Non mi aspettavo tutto questo in così poco tempo. 
Come ho già detto a Chris (ciao, spero di non aver sbagliato a scrivere il nome), non ci sono giorni prestabiliti quando devo pubblicare un capitolo. Io scrivo di getto, quando sono ispirata quindi pubblicherò i capitoli quando saranno almeno decenti. Anyway, grazie ancora e scusatemi per gli errori.
ps: ho in mente una storia su Liam Payne, ne ho lette pochissime su di lui, e vorrei sapere il vostro parere. 
Alla prossima, Sarah x

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