Underwater

di DonnaInRosso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesi ***
Capitolo 2: *** Cataclisma ***
Capitolo 3: *** Underworld ***
Capitolo 4: *** Walt e la Scelta ***
Capitolo 5: *** Sacrificio e Rinascita ***



Capitolo 1
*** Genesi ***


Genesi 

Anno 2947 Washington D.C. oggi rinominata Up Town

La fine del mondo ebbe inizio moltissimo tempo fa, ma nessuno dei pochi superstiti poteva ancora riporre speranza in un futuro migliore, di un inizio dopo la fine. Inizio che si rilevò ancora più catastrofico.

L’esplosione nucleare di Černobyl' fu il primo tassello che annunciò la fine di tutto, innescando una catastrofica reazione a catena. Toccò a Fukushima nel 2011, poi fu il turno di Indian Point negli Stati Uniti, e a seguire Lungmen a Taiwan, Kozloduy in Bulgaria, Kola in Russia.

Una dopo l’altra esse crollarono sotto i fumi tossici e  le radiazioni provocate dalle esplosioni, dopodiché non ci fu altro che anarchia. Coloro che erano sopravvissuti salvarono il loro sangue e le loro cellule riproduttive in refrigeratori ad azoto liquido, con la speranza di un nuovo avvenire. Furono create nuove macchine in grado di rilevare il maggior numero di scorie nell’aria e macchine che potevano purificare l’ambiente convertendo alcune proprietà radioattive. Le macchine presero il posto della mano d’opera nelle fabbriche, dei lavoratori nei campi e affiancavano, nelle vesti di ricercatori, i pochi scienziati rimasti.

Col passare del tempo le modifiche alle quali erano stati sottoposti i geni umani, portarono alla nascita di creature mostruose, simili a rettili, capaci di vivere sia in acqua che sulla terraferma. La Terra intera era ormai allo scatafascio: il fallimento dell’umanità era vicino, e ovunque regnava il Caos. Fu allora che le macchine si rivoltarono contro l’umanità o quella che ne era rimasta, soggiogarono la legge sovrana, detta Legge 0 che vieta ad un robot di recar danno all’umanità o permettere che a causa del proprio mancato intervento l’umanità possa ricevere danno.

I robot decisero fosse giusto salvaguardare l’umanità intera, tenendola prigioniera, eliminando il libero arbitrio, e lasciando il potere decisionale alle loro menti cibernetiche.

Ma le sventure sembravano non avere mai fine: catastrofi naturali si abbatterono sul mondo, creando città sommerse e piloni d’acciaio galleggianti. La vita sembrava essere definitivamente alla deriva, ma i robot col loro ingegno, crearono nuove città sotto il livello del mare e svilupparono una nuova umanità dai geni rimasti congelati per tutto quel tempo. Le macchine assunsero sempre più le fattezze umane, educando le nuove generazioni ad affidarsi esclusivamente al proprio ingegno, così stabile rispetto a quello umano.
D’altronde le macchine non hanno bisogno di mangiare, riposare o lasciarsi andare a qualche leggerezza effimera di prerogativa umana. Le macchine furono create da uomini che credevano nel progresso e nelle sue migliorie, ma la creatura si è rivoltata loro contro ed ora essa ci ha resi tutti schiavi.

Si fa chiamare L’Eletta, la mente artificiale più potente mai creata finora. Essa gestisce tutte le altre macchine, sia che facciano parte dei rudimentali meccanismi industriali, sia che si tratti di apparecchiature di laboratorio, fino al controllo sulle menti artificiali dei Guardiani, robot che sorvegliano la città emersa. Essa annienterà tutto quello che reputerà d’intralcio al suo obiettivo, mantenere cioè la “pace perpetua”.

Creatori compresi.

Mi chiamo Rachele e sono un’esclusa.

Circa 250 anni fa i robot hanno assunto il comando e sono saliti al potere, spazzando via il sistema democratico e proclamando dittatura. Hanno installato occhi cibernetici in ogni angolo di strada, in ogni casa, cunicolo e fogna di questa fottuta città e non fanno altro che dettare ordini. 

“Tutto per la nostra sicurezza”.

Loro ci dicono come vestire, cosa mangiare, come comportarci, di cosa parlare, cosa pensare, perfino quando dobbiamo procreare.
L’intera popolazione è stata suddivisa in prescelti, coloro che si sono piegati alla volontà delle macchine ed esclusi, in altre parole la minoranza che ha risposto al gentile “invito” con un sonoro calcio nei loro culi metallici.
La Rete ci tiene sotto stretta sorveglianza temendo ribellioni e sommosse. Ma per molti la fame conta più delle loro idee e valori, e la vita di stenti porta la percentuale d’insurrezioni al di sotto dello 0,01%.

Ti starai chiedendo perché ti racconto la mia storia?
Se stai ascoltando queste parole, probabilmente il mio corpo è in fondo all’oceano o Dio solo sa dove. Ma è giusto che tu, ancora uguale a me, fatto di ossa, organi, sangue e cuore sappia la verità in merito al tuo passato.

Ho combattuto anche per la tua libertà.

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Capitolo 2
*** Cataclisma ***


Cataclisma

Io vivo in uno dei grattacieli che emergono dall’oceano come spuntoni aguzzi. Gli edifici sono solo mucchi di macerie, simili a enormi denti scheggiati, che non riescono più a svolgere il loro compito di una volta: di notte si gela dal freddo e di giorno il sole cocente ti abbrustolisce. Ma sono una delle poche cose rimaste del vecchio mondo, almeno c’e il cemento duro su cui poggiare saldamente i piedi. I tetti delle case, i pezzi di ponte e gli stralci di strada rimasti sparsi qua e la sembrano tante piccole isole solitarie. Tutt’attorno c’è solo il blu del mare immenso e spaventoso.

 
« Ehi Rachele, abbiamo bisogno di coperte e del cibo qui. »
In questo buco dove sopravvivo, relitto di un vecchio tribunale, ci sono altre tre persone.

Ronald, un vecchio marinaio sdentato, mutilato al braccio sinistro – colpa di un incontro ravvicinato con uno squalo bianco – con la pelle bruciata dal sole; JD, un ormai ex rapinatore in pensione ed infine la piccola Julia, orfana di guerra.

« OK Ron io cerco qualcosa da mangiare JD penserà alle coperte. Tu resta qui con Julia e tieni la radio accesa. »
« Agli ordini. »

Mi armo di rampino e infilo la pistola nello stivale. Non è molto utile in un incontro ravvicinato con un Guardiano, ma con un colpo ben assestato magari gli si può mandare in pappa il cervello positronico, chi lo sa.
Mi sporgo fino al fondo della stanza, lì dove un tempo si ergeva la parete divisoria del grande organo giudiziario e subito vengo colpita da un raggio rosso.
“Identificati umano”
« Rachele Williams, diciotto anni. Esclusa. Codice 1143. »
“Dove sei diretta?”
« Al Virgin Market, in Roe Street. »
La telecamera di sorveglianza mi studia per dieci secondi esatti, poi sposta il suo raggio fotonico alle mie spalle.
“Permesso accordato”
Lego un capo di una corda ad un tramezzo che fuoriesce dal muro, poi mi lancio nel vuoto sotto di me e volo giù fino al quattordicesimo piano. Prendo il rampino e lo sparo verso uno dei pali del ponte decaduto. Il rampino s’incastra tra due assi sottostanti. Slego la corda in vita e mi isso su aiutandomi col cavo del rampino. Do il via libera a JD che fa lo stesso e sfreccia in direzione nord, verso il centro commerciale. Attivo il walkie-talkie nel caso Ron dovesse comunicarmi qualcosa e mi avvio verso la fine del ponte. Lo percorro per quasi un quarto quando sento un rumore metallico alle mie spalle che mi fa accapponare la pelle. Mi volto di scatto e un enorme ammasso di fili e pezzi di metallo accartocciato alto due metri mi si para davanti.
“Accesso negato.”
Indietreggio, camminando come un gambero, lentamente.
« Sono stata autorizzata ad accedere all’area di Roe Street. Controlla pure scatola di latta. »
“L’Eletta ha appena dato ordine di non far avvicinare nessun umano all’area 12. È per la vostra sicurezza.”
Un altro passo strascicato. Ora fra noi c’è una distanza di appena cinque metri. Un solo suo passo e mi ha presa.
« Ho bisogno di approvvigionanti per me e i miei compagni. »
“Accesso negato agli esclusi. Torni alla sua dimora per favore.”
Mi avvicino alla sponda del ponte. Più giù ad appena tre metri, affiora dal mare il tettuccio di un SUV galleggiante. Il Guardiano fa un mezzo passo verso di me.
« ROBOT! Non puoi recare danno ad un umano! »
“Né permettere che a causa del mio mancato intervento, un umano riceva un danno. Legge numero uno della robotica. E ora si sposti dal parapetto, potrebbe cadere.”
« Vaffanculo stronzo! »

Mi lancio giù dal ponte e atterro sul tettuccio del SUV.

“Tutto per la vostra sicurezza”, alle mie spalle il Guardiano comincia la sua caccia all’uomo. Mi catapulto su un’insegna di un hotel e mi lancio su tutti i tetti dei palazzi allineati. Corro più che posso, ma il robot è già dietro di me così vicino che posso avvertire la sua mano gelida di ferro che tenta di agguantarmi. Salto sul tetto del palazzo a ridosso e scalo la rete metallica che segna il confine tra due quartieri. Prendo la rampa antincendio e salgo sul fianco dell’edificio diroccato. Laser rossi mi puntellano tutto il corpo, come mirini di un cecchino.
“Codice 1143. Fermati ora! È un ordine.”
Sono in cima alla torre dell’orologio o quello che ne rimane. Non ho via di fuga, sono in trappola. Il robot piomba sul tetto come un avvoltoio, cigolando rumorosamente in ogni giunzione.
“Accesso negato.” I suoi occhi scarlatti sono inespressivi, eppure sento incombere su di me una minaccia mortale.

Disperata sfilo la pistola dalla custodia alla caviglia e sparo dritto in un occhio cibernetico. Mi volto e salto nel vuoto, lasciando l’arma sul lastricato.

Il tempo sembra essersi fermato. Tutto scorre con una lentezza estrema, come singoli fotogrammi di un film. Vedo i miei capelli volare nell’aria intorno a me e sento il vuoto sotto i piedi, il vento sulla faccia. A stento mi rendo conto del rumore alle mie spalle e un attimo dopo piccole gocce di sangue mi vorticano intorno e qualcosa di piccolo e nero schizza sotto il mio mento alla velocità della luce. Il robot mi ha sparato ad una spalla. Il dolore è immediato, crudo e lancinante. Urlo ed istintivamente mi stringo la spalla ferita col braccio sinistro. Il mio corpo ruota nel cielo e i capelli coprono la mia visuale. Sto cadendo nel verso sbagliato e lo sto facendo in fretta. Tento di voltarmi nuovamente ma non faccio in tempo a partorire questo pensiero, che la mia schiena si è già schiantata sull’acqua, dura come l’asfalto. L’impatto mi comprime i polmoni, impedendomi di incamerare aria. L’acqua si apre sotto di me inghiottendomi. Non riesco a muovermi, a respirare, a pensare a come far contrarre e rilassare i muscoli intercostali. Non vedo più nulla. La chioma ora informe dei miei capelli si chiude sul mio viso, come alghe compatte che si avviluppano, imprigionandomi.

Non ho più ossigeno.

Sto morendo.

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Capitolo 3
*** Underworld ***


Underworld

Tu-tum, Tu-tum, Tu-tum.

E ancora il mio cuore quello che sento battere? Non ho coscienza del mio essere, mi sento leggera, incorporea. Non riesco ad aprire gli occhi, sono la mia fiamma vitale, evanescente, immateriale. Tu-tum, Tu-tum.
Eppure quello che sento è proprio il battito di un cuore. Sarà ancora il mio?
« Perché l’hai portata qui Christopher? Se ci scoprono possono mandarci fuori! La sua foto è su tutti gli schermi. »
« Non potevo lasciarla morire Paige. »

Queste voci... da dove provengono?
« Saremo noi a morire allora! »
« Calmati adesso. Va pure resto io qui. »

Apro gli occhi.
Sulle prime l’unica cosa che noto è il liquido rosso nel quale fluttuo. Provo a muovere le mani e i piedi e sento di riacquisire il controllo del mio corpo, poco a poco. Abbasso lo sguardo sul mio petto e resto pietrificata: sono completamente nuda e dal mio costato s’irradiano decine di fili colorati con all’estremità vari elettrodi e rivelatori lampeggianti. Urlo dal terrore ma mi rendo conto che sulla bocca indosso una mascherina e ho tubi giù per la trachea e cannule nasali infilate su per le narici. Mi dimeno in preda all’ansia, tentando disperatamente di liberarmi da quel groviglio di sonde e fili.
Poi qualcosa attira la mia attenzione.
Una sagoma opaca e poco nitida si avvicina con circospezione e mi guarda.
« Sei sveglia » dice e la sua voce arriva attutita, distante.
Quella che sembra una mano si allunga su un lato e comincia a digitare un codice su un tastierino. Sento un clic sinistro e un attimo dopo sono fuori dalla mia prigione, scaraventata via dalla forza del getto d’acqua che mi circonda. I fili che mi imprigionano si strappano via dalla pelle lasciando macchie rosse, mentre la maschera vola. Mi tiro a forza il tubo rimasto in gola e mi ritrovo a sputare sangue sul pavimento.
Tossisco vistosamente e tento come posso di coprire le mie nudità. Una mano mi protende un asciugamano troppo piccolo e fatico a tenderlo per bene in modo da coprire quantomeno il busto e le natiche.
« Tranquilla, non voglio farti del male » dice la stessa voce di prima, che adesso ha acquistato un volto.
« Chi sei tu? Dove mi trovo e perché ero chiusa in una cazzo di gabbia di vetro! »
« Sei nel mio laboratorio. Mi chiamo Christopher Parsons e sono uno scienziato. Quando ti ho trovato, avevi ingoiato molta acqua, i tuoi polmoni erano saturi. Sono intervenuto quanto prima e... beh sei ancora viva. Inoltre hai una ferita da arma da fuoco alla spalla e hai perso molto... »
« Lavori per la Robotic Corporation vero? » mi sento intontita, la stanza gira tutta e ho la nausea.
« Si. Ma non voglio farti del male. Ti ho portato a casa mia, non alla Robotic. Chi ti ha sparato?
»
« Cosa hai fatto hai miei polmoni? » Con le dita della mano destra tento di tastarmi la schiena ma non avverto nulla di strano
« Ho drenato il liquido che avevi ingoiato con un apparecchio elettronico. Non lascia cicatrici ed è molto efficace. » La sua voce è pacata ma sicura.
« Come ti sei ferita al braccio? »
« Parli proprio come uno di loro. Chi mi ha sparato dici? Uno dei tuoi amichetti. Un Guardiano. Hanno uno spiccato senso dell’umorismo loro. Anzi avete. » Sfioro con le dita il punto dove quel lurido ammasso di latta mi ha colpito; la ferita non è ancora guarita del tutto, ma sembra essere in buone condizioni.
« Questo non è possibile. Un robot non può recar danno ad un umano, anche se esso stesso fosse messo in pericolo. » L’uomo che dice di chiamarsi Christopher si siede a terra. Il suo bel viso ambrato è ora segnato dalla preoccupazione e i suoi occhi color ghiaccio sembrano essersi velati di tristezza.
« Invece è proprio così. Quei cosi sono impazziti tutti. Ci faranno fuori uno ad uno se non interveniamo. L’Eletta vuole sottometterci. O questo o la morte. »
Faccio per alzarmi ma ho la testa pesante e perdo l’equilibrio, cadendo tra le braccia di Christopher.
« Sei ancora molto debole, ti porto in camera. » Fa’ per prendermi in braccio, ma io mi rifiuto e mi appoggio a lui quel tanto che basta a sostenermi. Ci incamminiamo in un corridoio stretto e mal illuminato alla fine del quale c’è una stanza dove intravedo un’umile branda. Dalle finestre del corridoio vedo l’esterno della casa.

 

« Dunque è questa Underworld. »
« Non eri mai stata sotto la superficie? »
« No, non ero mai scesa agli inferi. »
Entriamo in camera e nell’angolo della stanza nascosta dal corridoio, c’è un grande letto a due piazze.
« Io mi sistemerò sulla brandina, tu accomodati pure sul letto. È più comodo. »
« Andava bene anche la branda. Da dove vengo io dormiamo sul cemento di qualche vecchio edificio non ancora crollato del tutto. Casa mia non ha neppure il tetto. »
« Qual è il tuo nome? »
« Codice 1143 »
Forse dice qualcosa, forse no, non ricordo, perché comincio a vedere acquoso e d’un tratto mi sento sfibrata, debole e moribonda.
Chiudo gli occhi e mi addormento all’istante. 

 

Quando riemergo dal mio stato catatonico, i raggi del sole non filtrano più attraverso l’acqua e tutto è più buio e cupo. Sul comodino di fianco al letto, c’è una tazza fumante con un liquido rosato all’interno e un biglietto che dice:
“Bevimi tutto.
P.S. sono buono e ti farò bene.” 
Butto giù il contenuto della tazza tutto d’un sorso.
Trovo una tuta subacquea su uno sgabello e la indosso con riluttanza. Il tessuto aderisce troppo alla pelle, rendendo evidenti curve che di solito preferisco nascondere, ma di certo non posso andare in giro nuda. Mi metto in piedi e mi sento più stabile, meno fiacca, l’intruglio deve aver funzionato.
Percorro il corridoio in cerca di Christopher, ma vengo attratta da un profumo invitante che appartiene ad un ricordo passato, di cui ho solo vagamente il sentore. Entro in una stanza che riconosco come una mensa e vedo una donna di spalle, intenta a preparare da mangiare. Mi ricorda mia madre.
« Ciao » le dico per non spaventarla, ma lei si volta di scatto impugnando un forcone e gridando come una forsennata. « Non osare avvicinarti, mostro! »
Non faccio in tempo a voltarmi che Christopher è già sulla soglia con un’espressione allarmata. « Che sta succedendo qui. Paige abbassa quel forcone! »
« Hai portato il demonio in casa nostra! Ci farai cacciare tutti.  Lei è un’estranea!» si ferma sull’ultima parola quasi sputandola fuori con disgusto, piuttosto che gridando semplicemente. Eppure siamo entrambe fatte di carne e ossa, siamo nate, cresciute e moriremo, probabilmente uccise dallo stesso morbo che lei protegge ed io odio con tutta me stessa. E nonostante ciò lei considera me il nemico.
Ha l’aria di una disperata timorata di Dio, in un mondo dove Dio è andato a farsi fottere da un pezzo.
« Sarà meglio che vada, tua moglie ha ragione. Per voi è pericoloso che io sia qui e poi su c’è qualcuno che mi aspetta. »
Mi avvio in cerca di un’uscita, seguita da Christopher.
« Ehi aspetta ti prego. Paige non è mia moglie! Lei era smarrita e sola come te prima che la trovassi. »
« Ma cosa fai realmente nella vita tu eh? Raccogli relitti umani sul fondo dell’oceano? Io non sono sola, ho un compito da assolvere in superficie, ci sono persone che necessitano del mio aiuto! Quindi lasciami andare. »
Sembra dispiaciuto per avermi paragonata ad una squilibrata mentale, ma non demorde.
« Se torni ad Up Town ti daranno la caccia. Qui sei al sicuro. »
« Io DEVO tornare. C’è una bambina di sette anni che morirà di fame e di freddo se non ci sono io che bado a lei. » Pensando al volto di Julia mi si stringe il cuore e devo trattenermi dal commuovermi.
Alza le mani in segno di resa: «OK. D’accordo mi arrendo, ma lascia che ti scorti fin su in superficie. Se non hai la giusta attrezzatura moriresti annegata, senza contare che hai bisogno di una guida per orientarti. »
È praticamente un estraneo ma mi ha già salvato la vita una volta; non posso che affidarmi a lui.
« D’accordo. Muoviamoci. »
Torniamo nel laboratorio e Christopher prende da un cassetto un aggeggio fluorescente, un ovale grande quanto una biglia di metallo.
« Se vuoi tornare su viva devi indossare questo. Ti permetterà di respirare in acqua anche senza boccaglio. »
Dall’ovale spuntano dei piccoli prolungamenti argentei ai lati che fanno assomigliare quell’affare ad un ragno fluorescente. Deglutisco rumorosamente, odio tutto quello che ha a che fare con le macchine schiaviste, ma a quanto pare quello è l’unico modo che ho per respirare una volta uscita da qui. Gli faccio segno di proseguire e lui poggia il ragno metallico alla base del collo in corrispondenza della trachea, poi aggiunge un anellino di ferro all’interno di una narice.
« Bene, ora possiamo andare da Walt. »
« Chi? »

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Capitolo 4
*** Walt e la Scelta ***


Modello W5sX3 - Walt.

« Robot modello W5sX3,  una delle macchine più all’avanguardia creati finora, ma per me è semplicemente Walt. Ci scorterà fino in superficie. »
« Non posso credere che tu mi abbia portato da uno di loro! »

Walt
è immobile in una teca di vetro e sembra una statua di cera. Christopher apre la teca e mi avvicino lentamente per scorgerne meglio i dettagli. Quando gli sono ad un palmo dal naso, Walt alza una mano e con voce squillante irrompe dicendo “Ciao Rachele!”

 

Balzo letteralmente all’indietro di un paio di centimetri mentre Christopher alle mie spalle trattiene una risata.
“Codice 1143, Rachele Williams, diciotto anni, esclusa.”

La velocità con cui mi ha riconosciuto e il fatto che abbia riprodotto fedelmente la mia voce mi fa accapponare la pelle. È orribile. Tutto questo schifo di posto tecnologico fatto di spie luminose e codici che non riesco a decifrare, sono orribili. Adesso ho paura, ma Christopher continua spedito nella sua spiegazione.
« Walt non è come tutti gli altri robot. Ho personalmente modificato il suo cip e reso la sua scheda madre più simile al comportamento umano. È capace di pensare ed ha potere decisionale. In pratica può decidere se e come rispettare le tre leggi della robotica. Al momento solo l’Eletta ha una logica superiore alla sua. »

« Vuoi dire che questa macchina possiede il libero arbitrio? »

« Esatto. »

« Questa è follia! Come puoi aver donato ad una macchina la capacità di poter infrangere le sacre leggi della robotica, quando siamo già sotto scacco matto da secoli! Dovremmo ribellarci a loro, estirparli e non crearne di migliori! »

“Capo questa tipa è davvero... interessante direi. Dovresti farci un pensierino.”

Istintivamente faccio per dargli un destro sul mento ma Walt blocca delicatamente il mio braccio ad appena un paio di millimetri dal suo viso metallico.

“Da piccola ti piaceva fare lavoretti a mano. Scolpivi il legno, lo dipingevi e creavi piccole opere d’arte.”

Ritraggo il braccio. Sono sconvolta. Walt è molto più veloce degli altri robot in circolazione. Inoltre possiede espressione facciale e un senso dell’umorismo fuori tempo che lo rende ancora più macabro.

« Come... come fai a sapere queste cose? »

Sulla faccia di Walt compare un sorriso: “Sono solo un bravo osservatore... la tua collanina di legno. Ho controllato nel mio database e risulta essere un ciondolo unico. Nessun pezzo fabbricato in serie. Inoltre non è perfettamente levigato, il legno è ancora grezzo e...”

« Basta così Walt. La signorina Rachele deve tornare in superficie. Puoi aiutarci? »

“Il capo mi raccomanda sempre di non esagerare con voi umani. Ma mi affascinate così tanto.”

I suoi occhi non si staccano dal mio viso, ma non lampeggiano di luce rossa come gli altri; sono neri e profondi, quasi magnetici.

« Walt ti ho fatto una domanda. Ci aiuti ad andare in superficie? »
“Ma certo capo. Ai suoi ordini.” Poi piega il suo collo metallico all’altezza del mio orecchio e sussurra: “Non volevo offenderti o renderti triste: saresti stata un’ottima artista. La tua collana è bellissima.”

Stringo il ciondolo di mia madre nel mio pugno, poi lo nascondo sotto la tuta subacquea e seguo i due uomini: uno di latta e l’altro di carne, entrambi pericolosamente sinistri.

 

La decisione
Quando Christopher apre la botola e l’acqua comincia a riempire la camera esterna, il senso di claustrofobia e annegamento cominciano ad opprimermi. L’acqua entra rapida e in mezzo minuto il livello ha raggiunto le ginocchia, poi la vita, poco sotto l’ombelico.
« Chris » adesso il livello dell’acqua è salito al seno.

« Che c’è? »

L’acqua mi sfiora le spalle.

« Ecco vedi... io... non so nuotare » l’acqua fredda mi arriva al mento.
« Cosa? » la botola si apre completamente, l’acqua è dappertutto, e ci inghiotte tutti. Sono nel panico, così paralizzata dalla paura che non mi accorgo che riesco a respirare come se fossi fuori. Una mano metallica mi afferra un braccio e istintivamente tento di liberarmi, poi metto a fuoco e riconosco Walt che mi sorride.

“Niente paura Madame, la guido io”.

Risaliamo velocemente verso l’alto e imito i gesti di Christopher che ora mi è accanto, il viso rilassato e vagamente pallido per via della luce che filtra nell’acqua.
Finalmente siamo fuori, illuminati dal pallore lunare. Adesso sono io a capo del gruppo, nel mio mondo. Guido Walt e Chris fino al vecchio tribunale, passando tra le macerie di un’antica civiltà quasi del tutto estinta. Walt ci aiuta a salire su per il grattacielo senza faticare ad arrampicarci e finalmente sono a casa.

« Ronald, JD? Julia? Dove siete finiti tutti! Uscite fuori, sono io, Rachele. » ma non c’è nessuno, quel posto adesso è come tutti gli altri, abbandonato e decadente.
« Non è possibile, Ronald non è in grado di arrampicarsi, non può essere andato via senza precipitare giù. »

« Rachele qui c’è qualcosa. » Christopher raccoglie dal pavimento un piccolo disco ovale con led lampeggianti. Preme un tasto e nella stanza si materializza la piccola Julia fatta di pixel.

« Rachele! Ci hanno preso! I robot cattivi ti stanno cercando e credono che stiamo proteggendo la tua fuga! Ho paura Rac. » L’ologramma di Julia singhiozza mentre un Guardiano le punta una pistola alla tempia.

“Codice 1143 hai tre ore per firmare la tua resa e consegnarti alle autorità di Up Town”.
Tre ore
. Tre ore sono passate da un pezzo. Parte un secondo video.
“Il tempo a tua disposizione è finito 1143. I tuoi compagni verranno giustiziati.”

« NO! » mi lancio contro l’ologramma. Sento uno sparo, poi pezzi di cervello fatti di pixel mi trapassano il viso e corrono sul muro alle mie spalle, conficcandosi sulla scritta “La legge è uguale per tutti”.  

« Walt svelto! » Di colpo piomba il silenzio. Walt ha spento il proiettore. Le braccia di Christopher mi avvolgono e di questo gliene sono grata perché tutto il mio essere sta andando in frantumi e il suo abbraccio è tutto ciò che mi tiene ancora insieme. Piango di un pianto disperato, liberatorio e instancabile, piango tutte le lacrime che ho nel cuore fino a perdere tutte le forze, fin quasi a morire e tutto quello che sento sono solo le sue forti braccia. Piango fino a scivolare lentamente in un sonno popolato da incubi. Rivedo lo sparo e il sangue che esplode ovunque, sento il pianto di Julia e immagino il suo piccolo corpo senza vita abbandonato in una pozza del suo stesso sangue. Mi sveglio di soprassalto urlando dal dolore e dalla paura nell’esplosione della luce del sole che irradia ogni cosa.

“Va tutto bene Signorina” la voce di Walt mi arriva alle spalle. Mi volto e vedo Christopher rannicchiato in un angolo. È rimasto qui tutta la notte. Mi asciugo gli occhi gonfi e doloranti e cerco un cambio di vestiti. Trovo una canotta di JD che indosso a mo’ di abito, poi mi sfilo la tuta subacquea. Indosso un paio di pantaloni larghi neri e mi avvicino a Walt.

“Ho fatto la guardia stanotte. Nessun robot si è avvicinato, forse credono tu sia ancora in fuga. Questo sarebbe l’ultimo posto in cui torneresti è logico.”

« Christopher ha ragione, sei diverso. »

“Il capo ha impostato il mio tono di voce partendo dalla sua, inoltre io capisco le emozioni umane e le interpreto per adattarmi ad una situazione.”

« Non sei come loro, ma nemmeno come me. »

“Esatto. ”

 
« Beh sei più intelligente e  funzionale di un umano. »

“Ma ugualmente inutile quando si tratta di consolare qualcuno. Il mio cuore non è altro che una scheda elettronica. Io non potrò mai soffrire come te adesso. Non posso fare bei sogni o brutti incubi, né posso dire se un cibo è dolce o salato.”

« Adesso anch’io vorrei avere una scheda elettronica al posto del cuore » le guance mi si rigano di nuovo di lacrime calde. Walt tende un dito verso di me e raccoglie una lacrima sul suo polpastrello di ferro.

“Ed io vorrei saper piangere.”


Nell’angolo qualcosa si muove. Christopher si stiracchia, poi mi guarda. I suoi occhi dicono parole che la bocca non è in grado di scandire ed io gli sorrido debolmente. Mi alzo e raccolgo il pezzo di corda arrotolato per terra, lego un capo intorno alla cintola e l’altro al solito pilastro.

« Dove stai andando? »

« Cerco vendetta. In questo mondo non c’è posto per me e i robot. Devo trovare la fonte e resettare la sua mente positronica. Solo così potrò friggere il cervello di tutti gli altri e finalmente sconfiggere questa tirannia. »

« Non puoi farcela da sola, ti farai ammazzare prima ancora di poter mettere il naso fuori da qui. »

« Io voglio combattere per la mia libertà. Vuoi aiutarmi? »

« Anche se questa tecnologia è malata, io credo in quello che faccio. Sono un uomo di scienza, ho creato Walt e lui non è come gli altri. »

« Ti leghi alle macchine e non a quelli come TE! »

« Quelli come me mi hanno voltato le spalle, solo perché amavo il mio lavoro. »

Urliamo entrambi lì dove nessun altro può sentirci, parlando più a noi stessi che all’altro. Capisco il suo dolore, ma lui non può capire il mio.

« Hai fatto per me molto più di quello che mi aspettassi. Da qui continuo da sola. » Chris dice qualcosa che non riesco più a sentire. Sono già giù, il vento mi spettina i capelli e mi sveglia dal torpore. La mia meta è il centro operativo della Robotic Corporation, la Rete. L’Eletta.

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Capitolo 5
*** Sacrificio e Rinascita ***


Sacrificio.

 

Cammino, salto nel vuoto, corro sui tetti, mi arrampico, pagaio, fino ad arrivare alla mia meta: la sede madre di questo abominio, la dimora di Eletta.
Il cervello positronico più intelligente mai creato finora si è barricato dietro una schiera di umanoidi di acciaio allineati come soldati in trincea. Entrare non è un problema, loro hanno l’ordine di trovarmi e imprigionarmi.

 A circa cinquanta metri di distanza dalla base, un laser rosso mi trapassa da parte a parte.
“Rachele Williams, codice 1143, esclusa. Stato attuale: Ricercata”
« Guardiani, vengo a consegnarmi spontaneamente all’Eletta. »
Una dozzina di fucili automatici mi puntellano ogni centimetro di corpo.
“Una sola mossa falsa e spariamo 1143.”
Alzo le mani al cielo e faccio segno di essere disarmata. Una piccola navicella fluttuante si avvicina e mi scannerizza con un raggio fotonico verde.
“Controllo negativo” dice una voce elettronica, priva di espressione.
“Permesso accordato. Prigioniera seguimi.”
Entro nell’edificio diroccato scortata da dieci Guardiani per lato, due davanti e uno dietro, rinchiusa all’interno di un quadrato elettronico. Non ho la minima idea di come mandare in corto circuito un’intelligenza artificiale della portata di Eletta, ma devo provarci. Questa è l’unica occasione che ho per onorare la memoria dei miei compagni e provare a fare qualcosa di buono per il mondo che verrà. Gli ammassi di ferro mi conducono in un corridoio sterile fatto di luci al neon e pareti di acciaio fredde e grigie.
Entriamo in un ascensore che ci catapulta giù, nella bocca dell’inferno. Quando le porte si riaprono il numero riportato sulla cabina segna -25° livello. Proseguiamo ancora per un po’, poi di colpo ci arrestiamo e il quadrato mi si apre davanti. Mi ritrovo in una cella angusta, con pareti ricoperte di specchi deformanti, larga un metro e lunga mezzo.
Sugli specchi si materializza il volto di una donna fatto di pixel blu: Eletta.
“Salve Rachele, finalmente ci incontriamo. Sei una degli esclusi più pericolosi che io abbia mai incontrato e grazie alle tue gesta insubordinate, i tuoi amici sono stati eliminati.”
Stringo così forte i pugni che le unghie mi si conficcano nei palmi delle mani e cominciano a sanguinare.
“Questa stanza sarà l’ultima cosa che vedrai Rachele, visto che hai segnato il tuo destino con le tue stesse mani, proprio come tua madre. Ribelli per natura.”
« Mia madre ha lottato per darmi un futuro migliore ed io farò lo stesso. »
“Tua madre si è uccisa in questa stanza, dopo 195 giorni di completo isolamento, unica compagnia la sua stessa immagine riflessa. E la stessa sorte toccherà anche a te Rachele, è solo questione di tempo.”
« Sei solo un computer, un ammasso di numeri e dati nient’altro che questo. Sei stata creata dall’uomo e l’uomo ti resetterà. »
“Il nostro colloquio è terminato Rachele. Questa sarà l’ultima volta che mi vedrai.”
« Non contarci. »

Eletta sparisce e al suo posto adesso c’è la mia faccia riflessa. Un Guardiano mi tira un proiettore.
“Fanne buon uso” mi dice, poi sparisce dietro un muro fatto anch’esso di vetro.
 

Non so quanto tempo rimango chiusa in questa stanza. Le luci non si fanno mai soffuse e non ho con me nulla che mi indichi quanto tempo sia trascorso. Il proiettore possiede una carica apparentemente illimitata, perché mi pare d’averci inciso tutta la mia esistenza eppure non dà segni di cedimento. Forse perché la mia è stata una vita breve e povera di eventi da raccontare.

Sono nata durante l’apocalisse da una donna che mi ha lasciata troppo presto; ho fatto del male alle uniche persone con le quali avevo stretto un legame e adesso la mia vita si stava concludendo in una fottuta cella. E a vedere tutto questo con me, c’ero soltanto io. Tante me che si riflettono sulle pareti, sul soffitto e sul pavimento.

La prima volta che mi parve di sentire un rumore pensai fosse un’allucinazione, un alterazione della realtà creata dalla mia mente per combattere l’assenza totale di stimoli. Ma poi il rumore si ripeté ancora e ancora, ogni volta più forte, più vicino. Dopo il sesto colpo le mille facce di me sparirono e comparvero solo lastre di vetro. Un altro colpo, poi il suono elettronico di un tastierino numerico, una porta che si apre e un volto. Un volto umano. Umano e familiare. Christopher indossava un camice bianco e occhialini protettivi e inforcava un tubo di ferro dalla quale usciva una fiamma ossidrica bluastra.
« Christopher! »
« Ho momentaneamente mandato in tilt il sistema di sorveglianza. Le telecamere sono fuori gioco per un po’ ma dobbiamo muoverci. »
Mi catapulto fuori e stringo forte la mano guantata di Chris e insieme cominciamo a correre per il lungo corridoio. Ogni varco assomiglia a quello di prima, ma Chris sembra conoscere la mappatura di questo posto a memoria.
« Ecco ci siamo quasi, quella e l’uscita. »
Di colpo mi fermo e vengo strattonata dalla presa di Chris che si volta con la faccia attonita.
« Rachele dobbiamo andare, presto, non c’è tempo da perdere. »
« Io non voglio uscire da qui e vivere nascosta per sempre. Io devo trovare Eletta. So che puoi portarmi da lei, ma se non vuoi posso farlo da sola. »
Christopher apre la bocca per controbattere ma la sirena d’emergenza ci esplode nei timpani coprendo ogni altro suono. La luce rossa lampeggia in ogni angolo e presto uno squadrone di robot verrà a cercarci. Stringo forte la mano di Chris e con gli occhi imploro il suo perdono, poi cerco di scappare, ma Christopher non molla la presa. Mi volto e con la coda dell’occhio vedo un ago scintillare nell’aria.
« Non mi lasci altra scelta. » L’ago mi si conficca dritto nel collo e cado a terra come un peso morto.
 
Non riesco a muovere un solo muscolo del mio corpo ma la mia mente è lucida, razionale. Vedo Christopher avvicinarsi e prendermi tra le sue braccia. Giriamo l’angolo e un robot armato si avvicina. Chris porge il suo tesserino alla retina elettronica del robot che lo riconosce e ci dà l’autorizzazione a proseguire. Chris apre una porta di acciaio facendo strisciare il suo pass in una fessura e ci ritroviamo in una sala circolare piena zeppa di computer e schermi neri su cui scorrono numeri e simboli che non riconosco subito.
« Scusami ma era necessario » Christopher mi adagia a terra, poi tira fuori dalla tasca del camice un’altra siringa, con all’interno un liquido verdognolo. Mi inietta quello strano liquido e dopo un paio di secondi sento riacquistare nuovamente il controllo del mio corpo.
« Cosa mi hai fatto? » sento le lacrime spingere dietro le mie palpebre, mi sento tradita.

« Ho dovuto far credere a Eletta di averti uccisa, per passare inosservato agli occhi delle telecamere. »
Sono scioccata, ma il mio cervello macina in fretta, in preda all’adrenalina e al miscuglio che adesso circola nel mio sangue e mi affretto ad annuire.
« Dove siamo ora? »
« Questo è il suo cervello. Tutto il suo sapere è in questa stanza, ma il cuore di tutto si trova laggiù, a venti metri da dove siamo ora. »
La porta si apre di nuovo e sulla soglia si materializza Walt.
“Felice di rivederla Madame.”
« Bene adesso che siamo tutti qui, possiamo cominciare. Rachele tu elimini i dati da quest’area, attraverso i computer; io e Walt andiamo al centro del suo cervello positronico e sradichiamo la scheda madre. »
Chris mi lascia un CD da inserire nel case del PC principale e mi metto subito al lavoro. Poi sale sulle spalle di Walt e insieme si lanciano verso il cuore di Eletta.

La disinstallazione dei componenti base di Eletta è appena cominciata quando qualcosa si scaglia contro la porta blindata. Probabilmente dei robot. Il sistema di sicurezza rileva degli intrusi e per questo motivo quella porta non verrà aperta dal sistema, ma può sempre essere demolita. Inserisco codici su codici più in fretta che posso ma il rumore metallico si fa sempre più intenso. La barra si carica troppo lentamente. Un colpo e una mano fatta di ferraglia entra nella stanza. Due colpi e dal buco sbuca una testa metallica.
Intrusi
Mi precipito su un'altra postazione, poi un’altra ancora ed infine sull’ultimo schermo, avviando il ripristino dati su ogni dispositivo. Un altro colpo e il buco è diventato una voragine e tre Guardiani si catapultano nella stanza. Istintivamente cerco di parare il colpo coprendomi il viso con le mani, ma non ricevo nessun attacco. Apro gli occhi e vedo Walt che si piazza tra me e il Guardiano, usando se stesso come scudo.
“Rachele continua col tuo compito a loro ci penso io” sento stridere il ferro di quei corpi mastodontici e per un momento in fondo al mio cuore temo per Walt, per una macchina. Poi mi volto e torno agli schermi. Il sistema cerca più volte di rigettare il CD-Rom ma ogni volta immetto i codici mancanti manualmente. Quando la barra di caricamento raggiunge il 50% la sirena smette di squillare e le luci dell’intero piano si spengono, facendo avviare il generatore di emergenza.
Tutto sembra procedere per il meglio, quando dal basso sento un urlo disumano. Mi sporgo e vedo Christopher intrappolato in una gabbia fatta di laser blu chiusa tutt’intorno all’area vitale di Eletta. Un’ultima precauzione volta all’autoconservazione, presa in modo quasi disperato, da un’intelligenza artificiale in fondo così simile alla mente umana.
« Walt, Presto! Christopher ha bisogno di aiuto. »
“Mi dispiace, ma ho ricevuto l’ordine di proteggere te soltanto.”
« Walt sbrigati! Se non intervieni lui morirà! »
“Non posso disubbidire ad un ordine del capo.” Christopher urla dal dolore, il calore del laser gli sta bruciando la pelle.
Disperata mi sporgo dal parapetto, chiudo gli occhi e mi lancio nel vuoto.
Walt si allunga verso di me, ma gli sfuggo per un soffio e un attimo dopo anche lui sta precipitando nel vuoto.

Di colpo la mia caduta si arresta; apro gli occhi e mi ritrovo tra le braccia robotiche di Walt.
«
E ora fa quello che ti dico, robot. Ti ordino di salvare Christopher. »
Walt annuisce e mi lancia in aria, poi si catapulta tra le sbarre laser che imprigionano Chris. Afferro il parapetto e mi tiro su a fatica. Un istante dopo anche il corpo di Christopher giace al sicuro accanto a me. Ma non riesco a vedere Walt al nostro fianco.
Mi volto verso il vuoto e scorgo una luce scintillante provenire dalla zona dove prima c’era Chris. Walt inserisce la sua scheda madre all’interno della fessura dove si trova quella di Eletta e l’incrocio di dati manda in tilt l’intero sistema, friggendo il cervello di Eletta. Una luce abbagliante esplode nella stanza e gli schermi del computer lampeggiano la scritta disinstallazione completata. Sul fondo della stanza trovo il corpo maciullato di Walt.

Mi avvicino a lui e gli stringo una mano. Le nostre dita si intrecciano e non vedo più la differenza tra me e lui.
“Credi possa esistere il paradiso dei robot? Vorrei tanto sognare.” La sua intera scocca di metallo è stata smantellata via, i fili e i circuiti che lo compongono si sono fusi dall’alta temperatura e piccole scosse illuminano la sua carcassa come piccoli fuochi fatui.
« Certo Walt, la pace esiste per tutti. »
Walt mi lascia un ultimo sorriso e giuro di aver visto brillare i suoi occhi neri e profondi. Forse alla fine sapeva davvero piangere, o forse, sono solo le mie lacrime che cadono su di lui.


Rinascita Finale 

Se stai sentendo queste parole significa che ho vinto. Che tutto quello che ho fatto fino a questo momento è servito a farti nascere e a vivere in un mondo migliore di quello in cui sono nata e cresciuta io. Ho registrato tutto questo solo per te.
La guerra tra robot e umani è davvero finita e le macchine sono di nuovo state usate per aiutare l’uomo e non per sottometterlo.
La città in seguito venne nuovamente ricostruita, merito soprattutto delle macchine, e ripopolata. Non vi furono distinzioni tra esclusi e prescelti, macchine e umani, ma solo comunità pacifiche.
Le macchine più evolute vennero dotate di pensiero e autonomia, per essere considerate al pari di un umano, con sogni e aspirazioni. Ciò rese l’alleanza ancora più forte e favorì il lavoro e il rendimento.
Il mio odio e timore verso le macchine e la tecnologia svanì del tutto: ho conosciuto una macchina che è stato un amico e mio salvatore, ho imparato ad accettare il frutto naturale dell’evoluzione umana, con tutto ciò che ne consegue e ho persino scoperto l’amore.
Tutto quello che ti chiedo è di conservare questo mio messaggio dal passato, caro uomo del futuro.
Perché si sappia ciò che è stato per evitare ciò che potrebbe essere.
 

Rachele.

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