Underwater di DonnaInRosso (/viewuser.php?uid=517112)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesi ***
Capitolo 2: *** Cataclisma ***
Capitolo 3: *** Underworld ***
Capitolo 4: *** Walt e la Scelta ***
Capitolo 5: *** Sacrificio e Rinascita ***
Capitolo 1 *** Genesi ***
Genesi
Anno
2947 Washington
D.C. oggi rinominata Up
Town
La
fine del mondo ebbe inizio moltissimo tempo fa, ma nessuno dei pochi
superstiti
poteva ancora riporre speranza in un futuro migliore, di un inizio dopo
la fine.
Inizio che si rilevò ancora più catastrofico.
L’esplosione
nucleare di Černobyl'
fu il primo tassello che annunciò la fine di tutto,
innescando una catastrofica
reazione a catena. Toccò a Fukushima
nel 2011,
poi fu il turno di Indian Point negli Stati Uniti, e a seguire Lungmen
a
Taiwan, Kozloduy in Bulgaria, Kola in Russia.
Una
dopo l’altra esse crollarono sotto i fumi tossici e le radiazioni provocate
dalle esplosioni, dopodiché
non ci fu altro che anarchia. Coloro che erano sopravvissuti salvarono
il loro
sangue e le loro cellule riproduttive in refrigeratori ad azoto
liquido, con la
speranza di un nuovo avvenire. Furono create nuove macchine in grado di
rilevare il maggior numero di scorie nell’aria e macchine che
potevano
purificare l’ambiente convertendo alcune proprietà
radioattive. Le macchine
presero il posto della mano d’opera nelle fabbriche, dei
lavoratori nei campi e
affiancavano, nelle vesti di ricercatori, i pochi scienziati rimasti.
Col
passare del tempo le modifiche alle quali erano stati sottoposti i geni
umani,
portarono alla nascita di creature mostruose, simili a rettili, capaci
di
vivere sia in acqua che sulla terraferma. La Terra intera era ormai
allo
scatafascio: il fallimento dell’umanità era
vicino, e ovunque regnava il Caos.
Fu allora che le macchine si rivoltarono contro
l’umanità o quella che ne era
rimasta, soggiogarono la legge sovrana, detta Legge
0 che vieta ad
un robot di recar danno all’umanità o permettere
che a causa del proprio
mancato intervento l’umanità possa ricevere danno.
I
robot
decisero fosse giusto salvaguardare l’umanità
intera, tenendola prigioniera, eliminando
il libero arbitrio, e lasciando il potere decisionale alle loro menti
cibernetiche.
Ma
le sventure sembravano non avere mai fine:
catastrofi naturali si abbatterono sul mondo, creando città
sommerse e piloni
d’acciaio galleggianti. La vita sembrava essere
definitivamente alla deriva, ma
i robot col loro ingegno, crearono nuove città sotto il
livello del mare e
svilupparono una nuova umanità dai geni rimasti congelati
per tutto quel tempo.
Le macchine assunsero sempre più le fattezze umane, educando
le nuove
generazioni ad affidarsi esclusivamente al proprio ingegno,
così stabile rispetto a
quello umano.
D’altronde
le macchine non hanno bisogno di mangiare,
riposare o lasciarsi andare a qualche leggerezza effimera di
prerogativa umana.
Le macchine furono create da uomini che credevano nel progresso e nelle
sue
migliorie, ma la creatura si è rivoltata loro contro ed ora
essa ci ha resi
tutti schiavi.
Si
fa chiamare L’Eletta,
la mente artificiale più
potente mai creata finora. Essa gestisce tutte le altre macchine, sia
che
facciano parte dei rudimentali meccanismi industriali, sia che si
tratti di
apparecchiature di laboratorio, fino al controllo sulle menti
artificiali dei Guardiani,
robot che sorvegliano la città emersa. Essa
annienterà tutto quello che
reputerà d’intralcio al suo obiettivo, mantenere
cioè la “pace perpetua”.
Creatori
compresi.
Mi
chiamo Rachele e sono un’esclusa.
Circa
250 anni fa i robot hanno assunto il comando e
sono saliti al potere, spazzando via il sistema democratico e
proclamando
dittatura. Hanno installato occhi cibernetici in ogni angolo di strada,
in ogni
casa, cunicolo e fogna di questa fottuta città e non fanno
altro che dettare
ordini.
“Tutto
per
la nostra sicurezza”.
Loro
ci
dicono come vestire, cosa mangiare, come
comportarci, di cosa parlare, cosa pensare, perfino quando dobbiamo
procreare.
L’intera
popolazione è stata suddivisa in prescelti,
coloro che si sono piegati alla volontà
delle macchine ed esclusi,
in altre parole la minoranza che ha risposto al
gentile “invito” con un sonoro calcio nei loro culi
metallici.
La Rete ci tiene sotto stretta sorveglianza
temendo ribellioni e sommosse. Ma per molti la fame conta
più delle loro idee e
valori, e la vita di stenti porta la percentuale
d’insurrezioni al di sotto
dello 0,01%.
Ti
starai chiedendo perché ti racconto la mia storia?
Se stai ascoltando queste parole, probabilmente il mio corpo
è in fondo
all’oceano o Dio solo sa dove. Ma è giusto che tu,
ancora uguale a me, fatto di
ossa, organi, sangue e cuore
sappia la verità in merito al
tuo passato.
Ho
combattuto anche per la tua libertà.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cataclisma ***
Cataclisma
Io
vivo in uno dei
grattacieli che emergono dall’oceano come spuntoni aguzzi.
Gli edifici sono solo
mucchi di macerie, simili a enormi denti scheggiati, che non riescono
più a
svolgere il loro compito di una volta: di notte si gela dal freddo e di
giorno
il sole cocente ti abbrustolisce. Ma sono una delle poche cose rimaste
del
vecchio mondo, almeno c’e il cemento duro su cui poggiare
saldamente i piedi. I
tetti delle case, i pezzi di ponte e gli stralci di strada rimasti
sparsi qua e
la sembrano tante piccole isole solitarie. Tutt’attorno
c’è solo il blu del
mare immenso e spaventoso.
« Ehi Rachele,
abbiamo bisogno di coperte e del cibo qui. »
In questo buco dove
sopravvivo, relitto di un vecchio tribunale, ci sono altre tre persone.
Ronald, un vecchio
marinaio sdentato, mutilato al braccio sinistro – colpa di un
incontro
ravvicinato con uno squalo bianco – con la pelle bruciata dal
sole; JD, un
ormai ex rapinatore in pensione ed infine la piccola Julia, orfana di
guerra.
« OK Ron io cerco
qualcosa da mangiare JD penserà alle coperte. Tu resta qui
con Julia e tieni la
radio accesa. »
« Agli ordini. »
Mi armo di rampino
e infilo la pistola nello stivale. Non è molto utile in un
incontro ravvicinato
con un Guardiano, ma con un colpo ben assestato magari gli si
può mandare in
pappa il cervello positronico, chi lo sa.
Mi sporgo fino al
fondo della stanza, lì dove un tempo si ergeva la parete
divisoria del grande
organo giudiziario e subito vengo colpita da un raggio rosso.
“Identificati
umano”
« Rachele Williams,
diciotto anni. Esclusa. Codice 1143. »
“Dove sei
diretta?”
« Al
Virgin Market, in Roe Street. »
La telecamera di sorveglianza
mi studia per dieci secondi esatti, poi sposta il suo raggio fotonico
alle mie
spalle.
“Permesso
accordato”
Lego un capo di una
corda ad un tramezzo che fuoriesce dal muro, poi mi lancio nel vuoto
sotto di
me e volo giù fino al quattordicesimo piano. Prendo il
rampino e lo sparo verso
uno dei pali del ponte decaduto. Il rampino s’incastra tra
due assi
sottostanti. Slego la corda in vita e mi isso su aiutandomi col cavo
del
rampino. Do il via libera a JD che fa lo stesso e sfreccia in direzione
nord,
verso il centro commerciale. Attivo il walkie-talkie nel caso Ron
dovesse
comunicarmi qualcosa e mi avvio verso la fine del ponte. Lo percorro
per quasi
un quarto quando sento un rumore metallico alle mie spalle che mi fa
accapponare la pelle. Mi volto di scatto e un enorme ammasso di fili e
pezzi di
metallo accartocciato alto due metri mi si para davanti.
“Accesso
negato.”
Indietreggio,
camminando come un gambero, lentamente.
« Sono stata
autorizzata ad accedere all’area di Roe Street. Controlla
pure scatola di
latta. »
“L’Eletta ha
appena
dato ordine di non far avvicinare nessun umano all’area 12.
È per la vostra
sicurezza.”
Un altro passo
strascicato. Ora fra noi c’è una distanza di
appena cinque metri. Un solo suo
passo e mi ha presa.
« Ho bisogno di
approvvigionanti per me e i miei compagni. »
“Accesso negato
agli esclusi. Torni alla sua dimora per favore.”
Mi avvicino alla
sponda del ponte. Più giù ad appena tre metri,
affiora dal mare il tettuccio di
un SUV galleggiante. Il Guardiano fa un mezzo passo verso di me.
« ROBOT! Non puoi
recare danno ad un umano! »
“Né permettere
che
a causa del mio mancato intervento, un umano riceva un danno. Legge
numero uno
della robotica. E ora si sposti dal parapetto, potrebbe
cadere.”
« Vaffanculo
stronzo! »
Mi lancio giù dal
ponte e atterro sul tettuccio del SUV.
“Tutto per la
vostra sicurezza”, alle mie spalle il Guardiano comincia la
sua caccia
all’uomo. Mi catapulto su un’insegna di un hotel e
mi lancio su tutti i tetti
dei palazzi allineati. Corro più che posso, ma il robot
è già dietro di me così
vicino che posso avvertire la sua mano gelida di ferro che tenta di
agguantarmi.
Salto sul tetto del palazzo a ridosso e scalo la rete metallica che
segna il
confine tra due quartieri. Prendo la rampa antincendio e salgo sul
fianco
dell’edificio diroccato. Laser rossi mi puntellano tutto il
corpo, come mirini
di un cecchino.
“Codice 1143.
Fermati ora! È un ordine.”
Sono in cima alla
torre dell’orologio o quello che ne rimane. Non ho via di
fuga, sono in
trappola. Il robot piomba sul tetto come un avvoltoio, cigolando
rumorosamente
in ogni giunzione.
“Accesso
negato.” I
suoi occhi scarlatti sono inespressivi, eppure sento incombere su di me
una
minaccia mortale.
Disperata sfilo la
pistola dalla custodia alla caviglia e sparo dritto in un occhio
cibernetico.
Mi volto e salto nel vuoto, lasciando l’arma sul lastricato.
Il
tempo sembra
essersi fermato. Tutto scorre con una lentezza estrema, come singoli
fotogrammi
di un film. Vedo i miei capelli volare nell’aria intorno a me
e sento il vuoto
sotto i piedi, il vento sulla faccia. A stento mi rendo conto del
rumore alle
mie spalle e un attimo dopo piccole gocce di sangue mi vorticano
intorno e
qualcosa di piccolo e nero schizza sotto il mio mento alla
velocità della luce.
Il robot mi ha sparato ad una spalla. Il dolore è immediato,
crudo e
lancinante. Urlo ed istintivamente mi stringo la spalla ferita col
braccio sinistro.
Il mio corpo ruota nel cielo e i capelli coprono la mia visuale. Sto
cadendo
nel verso sbagliato e lo sto facendo in fretta. Tento di voltarmi
nuovamente ma
non faccio in tempo a partorire questo pensiero, che la mia schiena si
è già
schiantata sull’acqua, dura come l’asfalto.
L’impatto mi comprime i polmoni,
impedendomi di incamerare aria. L’acqua si apre sotto di me
inghiottendomi. Non
riesco a muovermi, a respirare, a pensare a come far contrarre e
rilassare i
muscoli intercostali. Non vedo più nulla. La chioma ora
informe dei miei
capelli si chiude sul mio viso, come alghe compatte che si avviluppano,
imprigionandomi.
Non
ho più
ossigeno.
Sto morendo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Underworld ***
Underworld
Tu-tum,
Tu-tum,
Tu-tum.
E
ancora il mio cuore quello che sento battere? Non ho
coscienza del mio essere, mi sento leggera, incorporea. Non riesco ad
aprire
gli occhi, sono la mia fiamma vitale, evanescente, immateriale. Tu-tum, Tu-tum.
Eppure quello che sento è proprio il battito di un cuore.
Sarà ancora il mio?
« Perché l’hai portata qui Christopher?
Se ci scoprono
possono mandarci fuori! La sua foto è su tutti gli schermi.
»
« Non potevo lasciarla morire Paige. »
Queste
voci...
da dove provengono?
«
Saremo noi a morire allora! »
« Calmati adesso. Va pure resto io qui. »
Apro
gli occhi.
Sulle prime l’unica cosa che noto è il liquido
rosso nel
quale fluttuo. Provo a muovere le mani e i piedi e sento di riacquisire
il
controllo del mio corpo, poco a poco. Abbasso lo sguardo sul mio petto
e resto
pietrificata: sono completamente nuda e dal mio costato
s’irradiano decine di
fili colorati con all’estremità vari elettrodi e
rivelatori lampeggianti. Urlo
dal terrore ma mi rendo conto che sulla bocca indosso una mascherina e
ho tubi
giù per la trachea e cannule nasali infilate su per le
narici. Mi dimeno in
preda all’ansia, tentando disperatamente di liberarmi da quel
groviglio di
sonde e fili.
Poi qualcosa attira la mia attenzione.
Una sagoma opaca e poco nitida si avvicina con circospezione
e mi guarda.
« Sei sveglia » dice e la sua voce arriva attutita,
distante.
Quella che sembra una mano si allunga su un lato e comincia
a digitare un codice su un tastierino. Sento un clic
sinistro e un attimo dopo sono fuori dalla mia prigione,
scaraventata via dalla forza del getto d’acqua che mi
circonda. I fili che mi
imprigionano si strappano via dalla pelle lasciando macchie rosse,
mentre la
maschera vola. Mi tiro a forza il tubo rimasto in gola e mi ritrovo a
sputare
sangue sul pavimento.
Tossisco vistosamente e tento come posso di coprire le mie
nudità. Una mano mi protende un asciugamano troppo piccolo e
fatico a tenderlo
per bene in modo da coprire quantomeno il busto e le natiche.
« Tranquilla, non voglio farti del male » dice la
stessa
voce di prima, che adesso ha acquistato un volto.
« Chi sei tu? Dove mi trovo e perché ero chiusa in
una cazzo
di gabbia di vetro! »
« Sei nel mio laboratorio. Mi chiamo Christopher Parsons e
sono uno scienziato. Quando ti ho trovato, avevi ingoiato molta acqua,
i tuoi
polmoni erano saturi. Sono intervenuto quanto prima e... beh sei ancora
viva.
Inoltre hai una ferita da arma da fuoco alla spalla e hai perso
molto... »
« Lavori per la Robotic Corporation vero? » mi
sento intontita,
la stanza gira tutta e ho la nausea.
« Si. Ma non voglio farti del male. Ti ho portato a casa
mia, non alla Robotic. Chi ti ha sparato? »
«
Cosa hai fatto hai miei polmoni? » Con le dita della mano
destra tento di tastarmi la schiena ma non avverto nulla di strano
« Ho drenato il liquido che avevi ingoiato con un
apparecchio elettronico. Non lascia cicatrici ed è molto
efficace. » La sua
voce è pacata ma sicura.
« Come ti sei ferita al braccio? »
« Parli proprio come uno di loro.
Chi mi ha sparato dici? Uno dei tuoi amichetti. Un Guardiano.
Hanno uno spiccato senso dell’umorismo loro. Anzi avete. » Sfioro con le dita il
punto dove quel lurido ammasso di
latta mi ha colpito; la ferita non è ancora guarita del
tutto, ma sembra essere
in buone condizioni.
« Questo non è possibile. Un robot non
può recar danno ad un
umano, anche se esso stesso fosse messo in pericolo. »
L’uomo che dice di
chiamarsi Christopher si siede a terra. Il suo bel viso ambrato
è ora segnato
dalla preoccupazione e i suoi occhi color ghiaccio sembrano essersi
velati di
tristezza.
« Invece
è proprio
così. Quei cosi sono
impazziti tutti.
Ci faranno fuori uno ad uno se non interveniamo. L’Eletta
vuole sottometterci.
O questo o la morte. »
Faccio per alzarmi ma ho la testa pesante e perdo
l’equilibrio, cadendo tra le braccia di Christopher.
« Sei ancora molto debole, ti porto in camera. »
Fa’ per
prendermi in braccio, ma io mi rifiuto e mi appoggio a lui quel tanto
che basta
a sostenermi. Ci incamminiamo in un corridoio stretto e mal illuminato
alla
fine del quale c’è una stanza dove intravedo
un’umile branda. Dalle finestre
del corridoio vedo l’esterno della casa.
«
Dunque è questa Underworld.
»
« Non eri mai stata sotto la superficie? »
« No, non ero mai scesa agli inferi.
»
Entriamo in camera e nell’angolo della stanza nascosta dal
corridoio, c’è un grande letto a due piazze.
« Io mi sistemerò sulla brandina,
tu accomodati pure sul letto. È più comodo.
»
« Andava bene anche la branda. Da
dove vengo io dormiamo sul cemento di qualche vecchio edificio non
ancora
crollato del tutto. Casa mia non ha
neppure il tetto. »
« Qual è il tuo nome? »
« Codice 1143 »
Forse dice qualcosa, forse no,
non ricordo, perché comincio a vedere acquoso e
d’un tratto mi sento sfibrata,
debole e moribonda.
Chiudo gli occhi e mi addormento
all’istante.
Quando
riemergo dal mio
stato catatonico, i raggi del sole non filtrano più
attraverso l’acqua e tutto
è più buio e cupo. Sul comodino di fianco al
letto, c’è una tazza fumante con
un liquido rosato all’interno e un biglietto che dice:
“Bevimi tutto.
P.S. sono buono e ti farò
bene.”
Butto giù il contenuto della tazza tutto d’un
sorso.
Trovo una tuta subacquea su
uno sgabello e la indosso con riluttanza. Il tessuto aderisce troppo
alla
pelle, rendendo evidenti curve che di solito preferisco nascondere, ma
di certo
non posso andare in giro nuda. Mi metto in piedi e mi sento
più stabile, meno
fiacca, l’intruglio deve aver funzionato.
Percorro il corridoio in
cerca di Christopher, ma vengo attratta da un profumo invitante che
appartiene
ad un ricordo passato, di cui ho solo vagamente il sentore. Entro in
una stanza
che riconosco come una mensa e vedo una donna di spalle, intenta a
preparare da
mangiare. Mi ricorda mia madre.
« Ciao » le dico per non
spaventarla, ma lei si volta di scatto impugnando un forcone e gridando
come
una forsennata. « Non osare avvicinarti, mostro! »
Non faccio in tempo a
voltarmi che Christopher è già sulla soglia con
un’espressione allarmata. « Che
sta succedendo qui. Paige abbassa quel forcone! »
« Hai portato il demonio in
casa nostra! Ci farai cacciare tutti. Lei
è un’estranea!»
si ferma sull’ultima parola quasi sputandola fuori con
disgusto, piuttosto che
gridando semplicemente. Eppure siamo entrambe fatte di carne e ossa,
siamo
nate, cresciute e moriremo, probabilmente uccise dallo stesso morbo che
lei
protegge ed io odio con tutta me stessa. E nonostante ciò
lei considera me
il nemico.
Ha l’aria di una disperata
timorata di Dio, in un mondo dove Dio è andato a farsi
fottere da un pezzo.
« Sarà meglio che vada, tua
moglie ha ragione. Per voi è pericoloso che io sia qui e poi
su c’è qualcuno
che mi aspetta. »
Mi avvio in cerca di un’uscita,
seguita da Christopher.
« Ehi aspetta ti prego.
Paige non è mia moglie!
Lei era
smarrita e sola come te prima che la trovassi. »
« Ma cosa fai realmente
nella vita tu eh? Raccogli relitti umani sul fondo
dell’oceano? Io non sono
sola, ho un compito da assolvere in superficie, ci sono persone che
necessitano
del mio aiuto! Quindi lasciami andare. »
Sembra dispiaciuto per
avermi paragonata ad una squilibrata mentale, ma non demorde.
« Se torni ad Up Town ti
daranno la caccia. Qui sei al sicuro. »
« Io DEVO tornare. C’è una
bambina di sette anni che morirà di fame e di freddo se non
ci sono io che bado
a lei. » Pensando al volto di Julia mi si stringe il cuore e
devo trattenermi
dal commuovermi.
Alza le mani in segno di
resa: «OK. D’accordo mi arrendo, ma lascia che ti
scorti fin su in superficie.
Se non hai la giusta attrezzatura moriresti annegata, senza contare che
hai
bisogno di una guida per orientarti. »
È praticamente un estraneo
ma mi ha già salvato la vita una volta; non posso che
affidarmi a lui.
« D’accordo. Muoviamoci. »
Torniamo nel laboratorio e
Christopher prende da un cassetto un aggeggio fluorescente, un ovale
grande
quanto una biglia di metallo.
« Se vuoi tornare su viva
devi indossare questo. Ti permetterà di respirare in acqua
anche senza
boccaglio. »
Dall’ovale spuntano dei
piccoli prolungamenti argentei ai lati che fanno assomigliare
quell’affare ad
un ragno fluorescente. Deglutisco rumorosamente, odio tutto quello che
ha a che
fare con le macchine schiaviste, ma a quanto pare quello è
l’unico modo che ho
per respirare una volta uscita da qui. Gli faccio segno di proseguire e
lui
poggia il ragno metallico alla base del collo in corrispondenza della
trachea,
poi aggiunge un anellino di ferro all’interno di una narice.
« Bene, ora possiamo andare
da Walt. »
« Chi? »
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Walt e la Scelta ***
Modello W5sX3
- Walt.
«
Robot modello W5sX3,
una delle macchine più
all’avanguardia
creati finora, ma per me è semplicemente Walt. Ci
scorterà fino in superficie.
»
« Non posso credere che tu
mi abbia portato da uno di loro!
»
Walt è
immobile in una teca di vetro e sembra una statua di cera.
Christopher apre la teca e mi avvicino lentamente per scorgerne meglio
i
dettagli. Quando gli sono ad un palmo dal naso, Walt alza una mano e
con voce
squillante irrompe dicendo “Ciao Rachele!”
Balzo
letteralmente
all’indietro di un paio di centimetri mentre Christopher alle
mie spalle
trattiene una risata.
“Codice 1143, Rachele
Williams, diciotto anni, esclusa.”
La
velocità con cui mi ha
riconosciuto e il fatto che abbia riprodotto fedelmente la mia voce mi
fa
accapponare la pelle. È orribile. Tutto questo schifo di
posto tecnologico
fatto di spie luminose e codici che non riesco a decifrare, sono
orribili.
Adesso ho paura, ma Christopher continua spedito nella sua spiegazione.
« Walt non è come tutti gli
altri robot. Ho personalmente modificato il suo cip e reso la sua
scheda madre
più simile al comportamento umano. È capace di
pensare ed ha potere
decisionale. In pratica può decidere se e come rispettare le
tre leggi della
robotica. Al momento solo l’Eletta ha una logica superiore
alla sua. »
« Vuoi dire che questa
macchina possiede il libero arbitrio? »
« Esatto. »
« Questa è follia! Come
puoi aver donato ad una macchina la capacità di poter
infrangere le sacre leggi
della robotica, quando siamo già sotto scacco matto da
secoli! Dovremmo
ribellarci a loro, estirparli e non crearne di migliori! »
“Capo questa tipa è
davvero... interessante direi.
Dovresti farci un pensierino.”
Istintivamente faccio per
dargli un destro sul mento ma Walt blocca delicatamente il mio braccio
ad
appena un paio di millimetri dal suo viso metallico.
“Da piccola ti piaceva fare
lavoretti a mano. Scolpivi il legno, lo dipingevi e creavi piccole
opere
d’arte.”
Ritraggo il braccio. Sono
sconvolta. Walt è molto più veloce degli altri
robot in circolazione. Inoltre
possiede espressione facciale e un senso dell’umorismo fuori
tempo che lo rende
ancora più macabro.
« Come... come fai a sapere
queste cose? »
Sulla faccia di Walt
compare un sorriso: “Sono solo un bravo osservatore... la tua
collanina di
legno. Ho controllato nel mio database e risulta essere un ciondolo
unico.
Nessun pezzo fabbricato in serie. Inoltre non è
perfettamente levigato, il
legno è ancora grezzo e...”
« Basta così Walt. La
signorina Rachele deve tornare in superficie. Puoi aiutarci? »
“Il capo mi raccomanda
sempre di non esagerare con voi umani. Ma mi affascinate
così tanto.”
I
suoi occhi non si
staccano dal mio viso, ma non lampeggiano di luce rossa come gli altri;
sono
neri e profondi, quasi magnetici.
«
Walt ti ho fatto una
domanda. Ci aiuti ad andare in superficie? »
“Ma certo capo. Ai suoi
ordini.” Poi piega il suo collo metallico
all’altezza del mio orecchio e sussurra:
“Non volevo offenderti o renderti triste: saresti stata
un’ottima artista. La
tua collana è bellissima.”
Stringo il ciondolo di mia
madre nel mio pugno, poi lo nascondo sotto la tuta subacquea e seguo i
due
uomini: uno di latta e l’altro di carne, entrambi
pericolosamente sinistri.
La decisione
Quando
Christopher apre la
botola e l’acqua comincia a riempire la camera esterna, il
senso di
claustrofobia e annegamento cominciano ad opprimermi. L’acqua
entra rapida e in
mezzo minuto il livello ha raggiunto le ginocchia, poi la vita, poco
sotto
l’ombelico.
« Chris » adesso il livello
dell’acqua è salito al seno.
«
Che c’è? »
L’acqua
mi sfiora le
spalle.
«
Ecco vedi... io... non so
nuotare » l’acqua fredda mi arriva al mento.
« Cosa? » la botola si apre
completamente, l’acqua è dappertutto, e ci
inghiotte tutti. Sono nel panico,
così paralizzata dalla paura che non mi accorgo che riesco a
respirare come se
fossi fuori. Una mano metallica mi afferra un braccio e istintivamente
tento di
liberarmi, poi metto a fuoco e riconosco Walt che mi sorride.
“Niente
paura Madame, la
guido io”.
Risaliamo
velocemente verso
l’alto e imito i gesti di Christopher che ora mi è
accanto, il viso rilassato e
vagamente pallido per via della luce che filtra nell’acqua.
Finalmente siamo fuori,
illuminati dal pallore lunare. Adesso sono io a capo del gruppo, nel
mio mondo.
Guido Walt e Chris fino al vecchio tribunale, passando tra le macerie
di un’antica
civiltà quasi del tutto estinta. Walt ci aiuta a salire su
per il grattacielo
senza faticare ad arrampicarci e finalmente sono a casa.
«
Ronald, JD? Julia? Dove
siete finiti tutti! Uscite fuori, sono io, Rachele. » ma non
c’è nessuno, quel
posto adesso è come tutti gli altri, abbandonato e decadente.
« Non è possibile, Ronald
non è in grado di arrampicarsi, non può essere
andato via senza precipitare
giù. »
« Rachele qui c’è qualcosa.
» Christopher raccoglie dal pavimento un piccolo disco ovale
con led
lampeggianti. Preme un tasto e nella stanza si materializza la piccola
Julia
fatta di pixel.
«
Rachele! Ci hanno preso!
I robot cattivi ti stanno cercando e credono che stiamo proteggendo la
tua
fuga! Ho paura Rac. » L’ologramma di Julia
singhiozza mentre un Guardiano le
punta una pistola alla tempia.
“Codice
1143 hai tre ore
per firmare la tua resa e consegnarti alle autorità di Up
Town”.
Tre ore.
Tre ore sono passate da un pezzo. Parte un secondo video.
“Il tempo a tua
disposizione è finito 1143. I tuoi compagni verranno
giustiziati.”
« NO! » mi lancio contro
l’ologramma. Sento
uno sparo, poi pezzi di cervello fatti di pixel mi trapassano il viso e
corrono
sul muro alle mie spalle, conficcandosi sulla scritta “La
legge è uguale per
tutti”.
« Walt svelto! » Di colpo
piomba il silenzio. Walt ha spento il proiettore. Le braccia di
Christopher mi
avvolgono e di questo gliene sono grata perché tutto il mio
essere sta andando
in frantumi e il suo abbraccio è tutto ciò che mi
tiene ancora insieme. Piango
di un pianto disperato, liberatorio e instancabile, piango tutte le
lacrime che
ho nel cuore fino a perdere tutte le forze, fin quasi a morire e tutto
quello
che sento sono solo le sue forti braccia. Piango fino a scivolare
lentamente in
un sonno popolato da incubi. Rivedo lo sparo e il sangue che esplode
ovunque,
sento il pianto di Julia e immagino il suo piccolo corpo senza vita
abbandonato
in una pozza del suo stesso sangue. Mi sveglio di soprassalto urlando
dal
dolore e dalla paura nell’esplosione della luce del sole che
irradia ogni cosa.
“Va tutto bene Signorina”
la voce di Walt mi arriva alle spalle. Mi volto e vedo Christopher
rannicchiato
in un angolo. È rimasto qui tutta la notte. Mi asciugo gli
occhi gonfi e
doloranti e cerco un cambio di vestiti. Trovo una canotta di JD che
indosso a
mo’ di abito, poi mi sfilo la tuta subacquea. Indosso un paio
di pantaloni
larghi neri e mi avvicino a Walt.
“Ho fatto la guardia
stanotte. Nessun robot si è avvicinato, forse credono tu sia
ancora in fuga.
Questo sarebbe l’ultimo posto in cui torneresti è
logico.”
« Christopher ha ragione,
sei diverso. »
“Il capo ha impostato il
mio tono di voce partendo dalla sua, inoltre io capisco le emozioni
umane e le
interpreto per adattarmi ad una situazione.”
« Non sei come loro, ma
nemmeno come me. »
“Esatto. ”
« Beh sei più intelligente e funzionale di un umano.
»
“Ma ugualmente inutile quando
si tratta di consolare qualcuno. Il mio cuore non è altro
che una scheda
elettronica. Io non potrò mai soffrire come te adesso. Non
posso fare bei sogni
o brutti incubi, né posso dire se un cibo è dolce
o salato.”
« Adesso anch’io vorrei
avere una scheda elettronica al posto del cuore » le guance
mi si rigano di
nuovo di lacrime calde. Walt tende un dito verso di me e raccoglie una
lacrima
sul suo polpastrello di ferro.
“Ed io vorrei saper
piangere.”
Nell’angolo qualcosa si
muove. Christopher si stiracchia, poi mi guarda. I suoi occhi dicono
parole che
la bocca non è in grado di scandire ed io gli sorrido
debolmente. Mi alzo e
raccolgo il pezzo di corda arrotolato per terra, lego un capo intorno
alla
cintola e l’altro al solito pilastro.
« Dove stai andando? »
« Cerco vendetta. In questo
mondo non c’è posto per me e i robot. Devo trovare
la fonte e resettare la sua
mente positronica. Solo così potrò friggere il
cervello di tutti gli altri e
finalmente sconfiggere questa tirannia. »
« Non puoi farcela da sola,
ti farai ammazzare prima ancora di poter mettere il naso fuori da qui.
»
« Io voglio combattere per
la mia libertà. Vuoi aiutarmi? »
« Anche se questa
tecnologia è malata, io credo in quello che faccio. Sono un
uomo di scienza, ho
creato Walt e lui non è come gli altri. »
« Ti leghi alle macchine e
non a quelli come TE! »
« Quelli come me mi hanno
voltato le spalle, solo perché amavo il mio lavoro.
»
Urliamo entrambi lì dove
nessun altro può sentirci, parlando più a noi
stessi che all’altro. Capisco il
suo dolore, ma lui non può capire il mio.
« Hai fatto per me molto
più di quello che mi aspettassi. Da qui continuo da sola.
» Chris dice qualcosa
che non riesco più a sentire. Sono già
giù, il vento mi spettina i capelli e mi
sveglia dal torpore. La mia meta è il centro operativo della
Robotic
Corporation, la Rete. L’Eletta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Sacrificio e Rinascita ***
Sacrificio.
Cammino, salto nel vuoto,
corro sui tetti, mi arrampico, pagaio, fino ad arrivare alla mia meta:
la sede
madre di questo abominio, la dimora di Eletta.
Il cervello positronico più
intelligente mai creato finora si è barricato dietro una
schiera di umanoidi di
acciaio allineati come soldati in trincea. Entrare non è un
problema, loro
hanno l’ordine di trovarmi e imprigionarmi.
A
circa cinquanta metri di
distanza dalla base, un laser rosso mi trapassa da parte a parte.
“Rachele Williams, codice
1143, esclusa. Stato attuale: Ricercata”
« Guardiani, vengo a
consegnarmi spontaneamente all’Eletta. »
Una dozzina di fucili
automatici mi puntellano ogni centimetro di corpo.
“Una sola mossa falsa e
spariamo 1143.”
Alzo le mani al cielo e
faccio segno di essere disarmata. Una piccola navicella fluttuante si
avvicina
e mi scannerizza con un raggio fotonico verde.
“Controllo negativo” dice
una voce elettronica, priva di espressione.
“Permesso accordato.
Prigioniera seguimi.”
Entro nell’edificio
diroccato scortata da dieci Guardiani per lato, due davanti e uno
dietro,
rinchiusa all’interno di un quadrato elettronico. Non ho la
minima idea di come
mandare in corto circuito un’intelligenza artificiale della
portata di Eletta,
ma devo provarci. Questa è l’unica occasione che
ho per onorare la memoria dei
miei compagni e provare a fare qualcosa di buono per il mondo che
verrà. Gli
ammassi di ferro mi conducono in un corridoio sterile fatto di luci al
neon e
pareti di acciaio fredde e grigie.
Entriamo in un ascensore
che ci catapulta giù, nella bocca dell’inferno.
Quando le porte si riaprono il
numero riportato sulla cabina segna -25° livello. Proseguiamo
ancora per un
po’, poi di colpo ci arrestiamo e il quadrato mi si apre
davanti. Mi ritrovo in
una cella angusta, con pareti ricoperte di specchi deformanti, larga un
metro e
lunga mezzo.
Sugli specchi si
materializza il volto di una donna fatto di pixel blu: Eletta.
“Salve Rachele, finalmente
ci incontriamo. Sei una degli esclusi più pericolosi che io
abbia mai
incontrato e grazie alle tue gesta insubordinate, i tuoi amici sono
stati
eliminati.”
Stringo così forte i pugni
che le unghie mi si conficcano nei palmi delle mani e cominciano a
sanguinare.
“Questa stanza sarà l’ultima
cosa che vedrai Rachele, visto che hai segnato il tuo destino con le
tue stesse
mani, proprio come tua madre. Ribelli per natura.”
« Mia madre ha lottato per
darmi un futuro migliore ed io farò lo stesso. »
“Tua madre si è uccisa in
questa stanza, dopo 195 giorni di completo isolamento, unica compagnia
la sua
stessa immagine riflessa. E la stessa sorte toccherà anche a
te Rachele, è solo
questione di tempo.”
« Sei solo un computer, un
ammasso di numeri e dati nient’altro che questo. Sei stata
creata dall’uomo e
l’uomo ti resetterà. »
“Il nostro colloquio è
terminato Rachele. Questa sarà l’ultima volta che
mi vedrai.”
« Non
contarci. »
Eletta sparisce e al suo
posto adesso c’è la mia faccia riflessa. Un
Guardiano mi tira un proiettore.
“Fanne buon uso” mi dice,
poi sparisce dietro un muro fatto anch’esso di vetro.
Non so
quanto tempo rimango
chiusa in questa stanza. Le luci non si fanno mai soffuse e non ho con
me nulla
che mi indichi quanto tempo sia trascorso. Il proiettore possiede una
carica
apparentemente illimitata, perché mi pare d’averci
inciso tutta la mia
esistenza eppure non dà segni di cedimento. Forse
perché la mia è stata una
vita breve e povera di eventi da raccontare.
Sono nata durante
l’apocalisse da una donna che mi ha lasciata troppo presto;
ho fatto del male
alle uniche persone con le quali avevo stretto un legame e adesso la
mia vita
si stava concludendo in una fottuta cella. E a vedere tutto questo con
me,
c’ero soltanto io. Tante me che si riflettono sulle pareti,
sul soffitto e sul
pavimento.
La prima
volta che mi parve
di sentire un rumore pensai fosse un’allucinazione, un
alterazione della realtà
creata dalla mia mente per combattere l’assenza totale di
stimoli. Ma poi il
rumore si ripeté ancora e ancora, ogni volta più
forte, più vicino. Dopo il
sesto colpo le mille facce di me sparirono e comparvero solo lastre di
vetro.
Un altro colpo, poi il suono elettronico di un tastierino numerico, una
porta
che si apre e un volto. Un volto umano.
Umano e familiare. Christopher indossava un camice bianco e occhialini
protettivi e inforcava un tubo di ferro dalla quale usciva una fiamma
ossidrica
bluastra.
« Christopher! »
« Ho momentaneamente mandato
in tilt il sistema di sorveglianza. Le telecamere sono fuori gioco per
un po’
ma dobbiamo muoverci. »
Mi catapulto fuori e
stringo forte la mano guantata di Chris e insieme cominciamo a correre
per il
lungo corridoio. Ogni varco assomiglia a quello di prima, ma Chris
sembra
conoscere la mappatura di questo posto a memoria.
« Ecco ci siamo quasi,
quella e l’uscita. »
Di colpo mi fermo e vengo
strattonata dalla presa di Chris che si volta con la faccia attonita.
« Rachele dobbiamo andare,
presto, non c’è tempo da perdere. »
« Io non voglio uscire da
qui e vivere nascosta per sempre. Io devo trovare Eletta. So che puoi
portarmi
da lei, ma se non vuoi posso farlo da sola. »
Christopher apre la bocca
per controbattere ma la sirena d’emergenza ci esplode nei
timpani coprendo ogni
altro suono. La luce rossa lampeggia in ogni angolo e presto uno
squadrone di
robot verrà a cercarci. Stringo forte la mano di Chris e con
gli occhi imploro
il suo perdono, poi cerco di scappare, ma Christopher non molla la
presa. Mi
volto e con la coda dell’occhio vedo un ago scintillare
nell’aria.
« Non mi lasci altra
scelta. » L’ago mi si conficca dritto nel collo e
cado a terra come un peso
morto.
Non riesco a muovere un
solo muscolo del mio corpo ma la mia mente è lucida,
razionale. Vedo
Christopher avvicinarsi e prendermi tra le sue braccia. Giriamo
l’angolo e un
robot armato si avvicina. Chris porge il suo tesserino alla retina
elettronica
del robot che lo riconosce e ci dà
l’autorizzazione a proseguire. Chris apre
una porta di acciaio facendo strisciare il suo pass in una fessura e ci
ritroviamo in una sala circolare piena zeppa di computer e schermi neri
su cui
scorrono numeri e simboli che non riconosco subito.
« Scusami ma era necessario
» Christopher mi adagia a terra, poi tira fuori dalla tasca
del camice un’altra
siringa, con all’interno un liquido verdognolo. Mi inietta
quello strano
liquido e dopo un paio di secondi sento riacquistare nuovamente il
controllo
del mio corpo.
« Cosa mi hai fatto? »
sento le lacrime spingere dietro le mie palpebre, mi sento tradita.
« Ho dovuto far credere a
Eletta di averti uccisa, per passare inosservato agli occhi delle
telecamere. »
Sono scioccata, ma il mio
cervello macina in fretta, in preda all’adrenalina e al
miscuglio che adesso
circola nel mio sangue e mi affretto ad annuire.
« Dove siamo ora? »
« Questo è il suo
cervello. Tutto il suo sapere è in
questa stanza, ma il cuore di tutto si trova laggiù, a venti
metri da dove
siamo ora. »
La porta si apre di nuovo e
sulla soglia si materializza Walt.
“Felice di rivederla Madame.”
« Bene adesso che siamo
tutti qui, possiamo cominciare. Rachele tu elimini i dati da
quest’area,
attraverso i computer; io e Walt andiamo al centro del suo cervello
positronico
e sradichiamo la scheda madre. »
Chris mi lascia un CD da
inserire nel case del PC principale e mi metto subito al lavoro. Poi
sale sulle
spalle di Walt e insieme si lanciano verso il cuore di Eletta.
La disinstallazione dei
componenti base di Eletta è appena cominciata quando
qualcosa si scaglia contro
la porta blindata. Probabilmente dei robot. Il sistema di sicurezza
rileva
degli intrusi e per questo motivo quella porta non verrà
aperta dal sistema, ma
può sempre essere demolita. Inserisco codici su codici
più in fretta che posso
ma il rumore metallico si fa sempre più intenso. La barra si
carica troppo
lentamente. Un colpo e una mano fatta di ferraglia entra nella stanza.
Due
colpi e dal buco sbuca una testa metallica.
“Intrusi”
Mi precipito su un'altra
postazione, poi un’altra ancora ed infine
sull’ultimo schermo, avviando il
ripristino dati su ogni dispositivo. Un altro colpo e il buco
è diventato una
voragine e tre Guardiani si catapultano nella stanza. Istintivamente
cerco di parare
il colpo coprendomi il viso con le mani, ma non ricevo nessun attacco.
Apro gli
occhi e vedo Walt che si piazza tra me e il Guardiano, usando se stesso
come
scudo.
“Rachele continua col tuo
compito a loro ci penso io” sento stridere il ferro di quei
corpi mastodontici
e per un momento in fondo al mio cuore temo per Walt, per una macchina.
Poi mi
volto e torno agli schermi. Il sistema cerca più volte di
rigettare il CD-Rom
ma ogni volta immetto i codici mancanti manualmente. Quando la barra di
caricamento
raggiunge il 50% la sirena smette di squillare e le luci
dell’intero piano si
spengono, facendo avviare il generatore di emergenza.
Tutto sembra procedere per
il meglio, quando dal basso sento un urlo disumano. Mi sporgo e vedo
Christopher intrappolato in una gabbia fatta di laser blu chiusa
tutt’intorno
all’area vitale di Eletta. Un’ultima precauzione
volta all’autoconservazione,
presa in modo quasi disperato, da un’intelligenza artificiale
in fondo così
simile alla mente umana.
« Walt, Presto! Christopher
ha bisogno di aiuto. »
“Mi dispiace, ma ho
ricevuto l’ordine di proteggere te soltanto.”
« Walt sbrigati! Se non
intervieni lui morirà! »
“Non posso disubbidire ad
un ordine del capo.” Christopher urla dal dolore, il calore
del laser gli sta
bruciando la pelle.
Disperata mi sporgo dal
parapetto, chiudo gli occhi e mi lancio nel vuoto.
Walt si allunga verso di
me, ma gli sfuggo per un soffio e un attimo dopo anche lui sta
precipitando nel
vuoto.
Di colpo la mia caduta si
arresta; apro gli occhi e mi ritrovo tra le braccia robotiche di Walt.
« E ora fa quello che ti dico, robot. Ti ordino di salvare Christopher.
»
Walt annuisce e mi lancia
in aria, poi si catapulta tra le sbarre laser che imprigionano Chris.
Afferro
il parapetto e mi tiro su a fatica. Un istante dopo anche il corpo di
Christopher giace al sicuro accanto a me. Ma non riesco a vedere Walt
al nostro
fianco.
Mi volto verso il vuoto e
scorgo una luce scintillante provenire dalla zona dove prima
c’era Chris. Walt
inserisce la sua scheda madre all’interno della fessura dove
si trova quella di
Eletta e l’incrocio di dati manda in tilt l’intero
sistema, friggendo il
cervello di Eletta. Una luce abbagliante esplode nella stanza e gli
schermi del
computer lampeggiano la scritta disinstallazione
completata. Sul
fondo della stanza trovo il corpo maciullato di Walt.
Mi avvicino a lui e gli
stringo una mano. Le nostre dita si intrecciano e non vedo
più la differenza
tra me e lui.
“Credi possa esistere il
paradiso dei robot? Vorrei tanto sognare.” La sua intera
scocca di metallo è
stata smantellata via, i fili e i circuiti che lo compongono si sono
fusi
dall’alta temperatura e piccole scosse illuminano la sua
carcassa come piccoli
fuochi fatui.
« Certo Walt, la pace
esiste per tutti. »
Walt mi lascia un ultimo
sorriso e giuro di aver visto brillare i suoi occhi neri e profondi.
Forse alla
fine sapeva davvero piangere, o forse, sono solo le mie lacrime che
cadono su
di lui.
Rinascita Finale
Se stai sentendo queste parole significa che ho vinto. Che
tutto quello che ho fatto fino a questo momento è servito a
farti nascere e a
vivere in un mondo migliore di quello in cui sono nata e cresciuta io.
Ho
registrato tutto questo solo per te.
La guerra tra robot e umani è davvero finita e le macchine
sono di nuovo state usate per aiutare l’uomo e non per
sottometterlo.
La città in seguito venne nuovamente ricostruita, merito
soprattutto delle macchine, e ripopolata. Non vi furono distinzioni tra
esclusi
e prescelti, macchine e umani, ma solo comunità pacifiche.
Le macchine più evolute vennero dotate di pensiero e
autonomia, per essere considerate al pari di un umano, con sogni e
aspirazioni.
Ciò rese l’alleanza ancora più forte e
favorì il lavoro e il rendimento.
Il mio odio e timore verso le macchine e la tecnologia svanì
del tutto: ho conosciuto una macchina che è stato un amico e
mio salvatore, ho
imparato ad accettare il frutto naturale dell’evoluzione
umana, con tutto ciò
che ne consegue e ho persino scoperto l’amore.
Tutto quello che ti chiedo è di conservare questo mio
messaggio dal passato, caro uomo del futuro.
Perché si sappia ciò che è stato per
evitare ciò che potrebbe
essere.
Rachele.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2802522
|