Pokemon Apokalypse

di Justanotherpsycho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Apocalisse ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Cenere ***
Capitolo 4: *** Fuga ***
Capitolo 5: *** Forza ***
Capitolo 6: *** Verità ***
Capitolo 7: *** Legame ***
Capitolo 8: *** Fallimento ***
Capitolo 9: *** Attacco ***
Capitolo 10: *** Caduta ***
Capitolo 11: *** Rinforzi ***
Capitolo 12: *** Scontro ***
Capitolo 13: *** Custodi ***
Capitolo 14: *** Rifugio ***
Capitolo 15: *** Guerra ***
Capitolo 16: *** Risveglio ***
Capitolo 17: *** Rivelazione ***
Capitolo 18: *** Missione ***
Capitolo 19: *** Viaggio ***
Capitolo 20: *** Meta ***



Capitolo 1
*** Prologo - Apocalisse ***


Pokémon Apocalipse Incredibili catastrofi preannunciarono il Suo risveglio: vulcani ruggivano di fuoco, tempeste squarciavano l'aria con folgori e venti indomiti, la terra veniva dilaniata da tremiti e spasmi, i mari scalpitavano e ululando partorivano onde alte quanto piccole montagne.
Pokémon ed esseri umani erano terrorizzati, e per una volta non era colpa né degli uni né degli altri.
 
Infine i continenti arrestarono la loro epocale marcia ricongiungendosi in un'unica, gigantesca isola, nel mezzo di un oceano infinito, e il monte più alto mai visto vi sorse nel mezzo, sospinto dalle enormi masse di terra.
 
Proprio in cima a quel monte avvenne il Risveglio: l'eterno Arceus si ridestò dal suo ancestrale sonno, ritornando in questa dimensione per compiere il destino di questo mondo.
 
Egli convocò tutti i Pokémon affinché intraprendessero con lui il Grande Esodo verso una dimensione dove potessero vivere in uguaglianza e felicità, ma non coinvolse gli uomini, poiché avvertiva in questi e nei loro pensieri il seme della malvagità.
 
Non tutti i Pokémon, però, accettarono le condizioni del Viaggio, essendo il legame che li univa al loro allenatore umano più forte della tentazione di una terra promessa dal Primevo.
Mew allora intercedette per questi ad Arceus e, capendo l'amore che provavano, fece sì che potessero rimanere sulla Terra insieme ai loro cari.
Inoltre, mosso a compassione per questi e per gli stessi umani, convinse Arceus a lasciare delle tracce dei Pokémon Leggendari in alcune armi e armature sparse per il globo, così da dare ai rimasti indietro una speranza e, al tempo stesso, mantenere l'equilibrio nelle forze della natura.
 
I Pokémon consenzienti, allora, abbandonarono questa dimensione, mentre gli altri restarono al fianco dei loro allenatori.
Nel nuovo mondo, però, non tutti furono felici: Mewtwo apprese che il principio di uguaglianza sarebbe stato messo in pratica in tutti i sensi, cosa che la sua mente orgogliosa non poteva accettare.
Così si ribellò ad Arceus, rivendicando la sua individualità e superiorità, e prontamente Egli, notando in lui il germe malvagio dell'umanità, che, alla fine, l'aveva creato, lo scaraventò nuovamente sulla Terra, insieme a quanti aveva corrotto, dopo un'epica battaglia.
 
Sulla Terra, l'umanità, avvedutasi della scomparsa dei Pokémon, piomba nel caos e i governi delle varie nazioni, già provati dalle catastrofi naturali, finiscono col dichiararsi guerra a vicenda con quella che sarà l'ultima grande guerra umana.
Prevedendo le sorti del conflitto, Mewtwo si fece ibernare dai suoi seguaci, dando loro l'ordine, da tramandarsi di generazione in generazione, di risvegliarlo dopo duemila anni.
 
Le armi tecnologiche distrussero la tecnologia stessa con impulsi diabolici; tutte le città vennero spazzate vie da bombe nucleari; la popolazione umana, più che dimezzata, fu costretta ad una diaspora nelle zone più selvagge e desolate del continente, lasciandosi alle spalle la conoscenza di intere civiltà, a bruciare nelle biblioteche.
Alla fine gli eserciti si annientarono a vicenda e la pace nacque dalle ceneri insanguinate della guerra.
 
Piano piano, l'umanità strisciò fuori dalle grotte e dalle foreste in cui si era rintanata e, anche se ancora tremante di paura, fece quello che sapeva fare meglio, e allo stesso tempo peggio: vivere socialmente.
Nacquero nuove civiltà senza che se ne avesse la consapevolezza, pochi mestieri erano sopravvissuti, ma abbastanza per garantire una vita civile a quanti si univano in questi piccoli villaggi.
 
Ma il seme malvagio non era stato estirpato e germogliò di nuovo, portando violenza anche in questo nuovo mondo. Duemila anni dopo il Risveglio, il supercontinente è costellato di villaggi e piccole cittadine, edificati con tecnologie vecchie di quattromila, controllati da una serie di gruppi armati in lotta fra loro che hanno l'esclusiva sui Pokémon e sul loro addestramento e che li usano per controllare col pugno di ferro i vari governi fantoccio e la popolazione sotto questi.




Il Cantuccio: allora, premetto che pubblicare prologhi di  una storia ancora non scritta in passato non mi ha portato bene... ma devo farlo, perché solo così mi deciderò a scriverla (o ad abbandonarla del tutto, ma almeno prendere una decisione).
In questa storia ho voluto prendere i Pokémon sotto un aspetto più "realistico", crudo, meno da bambini insomma, perciò più che una fanfiction dell'anime mi piacerebbe considerarla una FF dei videogiochi. Mi piaceva l'idea di mescolare in una sola storia Pokémon, storie quasi-bibliche (non volevo rivelare apertamente le analogie con la bibbia, ma ormai è fatta), un'apocalisse  nucleare, una spruzzata di medioevo giapponese, un certo pizzico di magia ed un tocco quasi alla gioco di ruolo (forse queste due cose si capiranno meglio avanti).
Spero che vi intrighi e continuiate a leggerela (se la scriverò XD) :)

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Capitolo 2
*** Incontro ***


Capitolo 1 - Incontro Raccogliere bacche, non c'è cosa più noiosa. Pensava Serak mentre strappava i piccoli frutti dai ramoscelli dell'arbusto come se stesse spennando un magro Spearow.
 
Per fortuna ormai la sacca era piena e poteva riprendere la strada per casa; non vedeva l'ora: quella sera ci sarebbero stati grandi festeggiamenti con tutta la famiglia riunita, e già pregustava il suono delle chiacchiere allegre e dello scoppiettio del focolare.
 
Mentre si faceva largo tra i rami selvaggi, però, udì dei rumori spaventosi: versi di pokemon!
All'istante si immaginò la scena di lui che tornava a casa vittorioso con in spalla la carcassa succulenta di qualche bestia da cucinare per l'occasione speciale.
 
Così si affrettò a raggiungere la fonte di quei suoni. In una piccola radura, ai piedi di un enorme albero, quattro Zangoose si stavano dando battaglia ferocemente. Ad un'occhiata più approfondita, però, si poteva intuire che in realtà non stessero battagliando tutti contro tutti, ma che tre stavano infierendo sul quarto.
 
Il malcapitato, fisicamente provato da molte ferite, la più evidente delle quali sull'occhio destro, cercava di difendersi con gli artigli sguainati, ma la superiorità numerica era schiacciante.
A quella vista, il cuore di Serak scacciò ogni fame e l'unico pensiero che gli venne in mente fu che doveva aiutare quel poveretto.
 
Nascosto dietro una fila di cespugli, mentre a qualche passo da lui infuriava la battaglia, iniziò a lanciare strani urli, muovendo al contempo le frasche, cercando di spaventare i pokemon.
Ma tutto ciò ebbe solo l'effetto di fermare i tre prima che dessero il colpo di grazia alla loro vittima, di certo non fuggirono, anzi, si voltarono verso quello strano cespuglio ondeggiante e urlante e sembrava che si stessero preparando ad attaccarlo.
 
Costretto all'ultima spiaggia, Serak afferrò una pietra ai suoi piedi e la lanciò contro uno degli Zangoose, prendendolo pieno in testa. Il pokemon incassò il colpo, ma più che dolorante sembrò spiazzato. Così il ragazzo incalzò scatenando una pioggia di pietre che, alla fine, spaventò le bestie che si rifugiarono a gran velocità nella tana tra le radici di quell'albero.
 
Sgomberata l'area, Serak si precipitò sullo Zangoose aggredito, che giaceva inerme a terra, respirando affannosamente. Non appena, però, cercò di sfiorarlo, questo aprì gli occhi e, dopo aver lanciato uno sguardo insieme terrorizzato e rabbioso, si rimise frettolosamente in piedi per darsela a gambe a tutta velocità.
 
«Aspetta!» gli gridò inutilmente dietro, mentre già partiva al suo inseguimento.
Dopo un po' di slalom tra la vegetazione, Serak continuava a correre, ma in verità aveva perso di vista da tempo il pokemon.
Improvvisamente venne fermato da qualcosa che all'inizio non riusciva a vedere, ma che poi riconobbe: un'enorme ragnatela.
 
Puntualmente, da un angolo remoto di questa, spuntò un Ariados grande quanto Serak stesso.
Le sue fauci sfrigolavano pregustando il dolce sapore di umano e i suoi occhi vitrei erano fissi in quelli della vittima.
Il ragazzo, allora, urlò con quanto fiato aveva in corpo, catturato da quello sguardo che non riusciva a distogliere... se solo avesse un braccio libero per afferrare il suo coltellino!
 
Ormai riusciva a specchiarsi perfettamente negli occhi della bestia e a vedervi riflessa la sua paura, quando ad un tratto qualcosa gli passò accanto come una saetta.
Subito dopo la ragnatela cedette e Serak e l'Ariados vennero allontanati dallo strappo creatosi.
Il ragazzo, con pochi altri movimenti, si liberò completamente e fece per scappare, ma Ariados gli ripiombò addosso atterrandolo all'istante. Il suo pungiglione, madido di veleno letale, pendeva minacciosamente sopra di lui.
 
Quella saetta, però, spuntò nuovamente dal nulla portandosi via la bestia.
Ora Serak poteva vederlo chiaramente: era lo stesso Zangoose che stava rincorrendo prima!
Che stesse cercando di sdebitarsi con chi gli aveva salvato la vita?
 
Zangoose e Ariados erano ora uno davanti all'altro e si studiavano in silenzio.
Nessuno azzardava una mossa e il primo, messosi eretto, pizzicava l'aria con le dita, squadrando l'avversario con occhi di fuoco.
Ad un tratto, Zangoose fece scattare gli artigli, ma subito Ariados scappò emettendo strani versi...
Dopo un primo istante di sorpresa, li rinfoderò con un ghigno beffardo di superiorità, ma qualcosa si eresse alle sue spalle sibilando e subito dopo una frustata lo colpì nel costato spazzandolo via di lato: era un Seviper!
 
Zangoose si rimise faticosamente in piedi, cercando di mettere a fuoco il suo nuovo avversario.
Questo, però, non gli concesse la pausa e, spinto dalla naturale rivalità tra le due specie, si gettò a fauci spalancate contro quello, ancora disteso per terra.
Grazie alla sua prontezza di riflessi, Zangoose riuscì a saltare via giusto in tempo mentre il suo avversario andò a riempirsi la bocca di terra.
 
Adesso era il turno del pokemon artigliato che, approfittando della momentanea immobilità dell'avversario, si scagliò su di questo con una lunga carica, ma non servì a nulla perché un'altra spazzata di coda protesse il capo immobilizzato.
 
Zangoose venne scagliato contro un albero e Seviper liberò la testa. Un sguardo veloce di sfida e i due partirono di corsa l'uno verso l'altro. Zangoose spiccò un balzo prima di raggiungere il nemico, questo si fermò e cercò di intercettarlo a mezz'aria con la lama all'estremità della coda, intrisa di veleno, ma l'altro riuscì a parare il colpo con gli artigli della zampa destra mentre con la sinistra riuscì a mettere a segno il primo fendente, sotto la testa del nemico.
 
Ma bastò un istante di distrazione perché Seviper potesse imprigionarlo nelle sue spire, immobilizzandogli gli arti superiori; Zangoose urlò di dolore mentre si riusciva quasi a sentire il rumore delle sue ossa che scricchiolavano.
Alla fine scoprì i suoi canini e li affondò nella carne del rivale. Il pokemon serpente fu così costretto ad allentare la presa e subito Zangoose spiccò un salto per allontanarsi.
 
Di nuovo faccia a faccia, i due si sfidarono in una specie di duello all'arma bianca: coda contro artigli. E anche se Zangoose era naturalmente resistente al veleno di Seviper, questo era comunque presente in dosi abbondanti sulla sua lama.
Il Zannaserpe fece sibilare velocemente la coda nell'aria mentre il Furogatto agitò le zampe incrociandola sul filo tagliente.
 
Con una mossa degna di uno spadaccino provetto, Seviper aprì le difese dell'avversario e infilò due fendenti al livello del torace.
Zangoose accusò il colpo e abbassò ancora di più la guardia, lasciandosi sguarnito contro il seguente affondo.
 
La lama avvelenata penetrò profondamente nella sua carne.
A Serak, impotente spettatore dello scontro, sfuggì un urlo: era colpa sua se Zangoose stava per morire.
Così sfoderò il suo risibile coltellino e partì alla carica del Seviper urlando, ma Zangoose incrociò i suoi artigli con quella piccola lama quando stava per passargli oltre, poi si voltò a guardare l'umano, come a volergli dire di non preoccuparsi.
 
Subito dopo, però, venne sollevato, impalato sulla coda, quasi innalzato a mo' di trofeo sopra la testa del serpente, che, dopo avergli fatto fare un giro per aria, lo scaraventò via contro lo stesso Serak e i due si schiantarono contro un albero.
 
Il ragazzo batté violentemente la testa e perse i sensi.
Convinto di riaprire gli occhi, vide solo buio, finché delle fiamme crebbero dal nulla formando una specie di corridoio davanti a lui, conducendo il suo sguardo fino ad una figura prima d'allora in ombra: un altro pokemon, un Absol.

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Capitolo 3
*** Cenere ***


Capitolo 2 - Cenere Non fece in tempo nemmeno ad aprire completamente gli occhi che già il dolore lo assalì, sgorgando dal punto in cui il suo cranio si era schiantato contro il tronco contro cui ora appoggiava le spalle, seduto per terra.
 
Le immagini che gli apparvero erano ancora sfocate e ondeggiavano un po', ma quando tutto diventò più definito e stabile riconobbe quelle che prima erano solo due macchie di colore: Zangoose, ancora più pieno di ferite di come l'aveva l'asciato, grondante sangue e ansimante, si ergeva vittorioso sulla carcassa di un Seviper ridotto, se possibile, peggio di lui e che non accennava segni di vita.
 
Non sembrava però essere in vena di festeggiare: le sue palpebre si socchiusero e i suoi occhi ruotarono all'indietro mentre iniziava a cadere a peso morto.
Serak si alzò di scatto, cedendo al suo lancinante dolore alla testa solo una piccola smorfia, e cercò di afferrarlo prima che toccasse terra, fallendo miseramente.
 
Constatò che respirava ancora, ma questo non lo calmò affatto. Ritrovò così la sua cesta piena di bacche, ne prese qualcuna e, ricordando gli insegnamenti dei suoi sugli utilizzi medici di queste, ne schiacciò qualcuna per poi aspergervi col succo che vi scaturì le ferite del pokemon.
 
Fatto quello che poteva, se ne ristette, in ginocchio, ad osservare il suo paziente che non sembrava reagire in alcun modo, né positivo né negativo. Serak pensò che ci sarebbe voluto del tempo perché quei rimedi improvvisati sortissero qualche effetto.
Nel frattempo il suo pensiero tornò a quanti lo stavano attendendo a casa: ormai la luna era alta nel cielo e rischiarava la radura dove si trovava e dove si era svolto il combattimento, probabilmente i primi ospiti erano già arrivati e tutti si stavano chiedendo dove fosse finito Serak con le bacche per la festa, magari sua madre era preoccupata e suo padre la stava tranquillizzando affettuosamente.
 
Proprio in quell'istante, un esplosione, urla, le stelle che stava fissando scomparvero, oscurate da una luce più forte, più vicina.
Di scatto si voltò verso la fonte di quelle urla, guidato da quella malaugurata luce.
Si rizzò in piedi altrettanto di scatto e frenò l'istinto di mettersi a correre verso quella direzione solo per prima caricarsi sulle spalle il corpo ancora immobile di Zangoose.
 
La bestia gli arrivava quasi al costato, ma non ci pensò due volte prima di issarsela in spalla.
Durante la corsa fra gli alberi cercò di occupare la mente come poté per non pensare al perché si stesse preoccupando così tanto, a cosa ci fosse nella direzione verso cui correva...
Si concentrava solo sul suo respiro affannoso nelle orecchie che cresceva ad ogni faticoso passo, al peso del pokemon sulle spalle che si faceva sempre più pesante, alle frasche e agli arbusti che lo frustavano durante la sua corsa strappandogli i vestiti già rovinati nella battaglia...
 
Nelle feritoie tra un ramo e l'altro, negli squarci tra un tronco e l'altro, quando per qualche istante osava alzare gli occhi da terra, vedeva avvicinarsi sempre di più quella luce terribile, che ora tingeva tutto di rosso-arancio.
Sentiva ormai distintamente quell'ineluttabile  ronzio, come di uno sciame immenso di Beedrill furiosi e mortiferi; ruggiva sempre più fragorosamente nelle sue orecchie e rimbombava nella sua mente, strappando a poco a poco l'attenzione dal suo respiro affannoso e forzando i suoi pensieri a focalizzarsi sul peggio.
 
Un orribile sipario gli si spalancò davanti quando superò gli ultimi alberi: in cima alla piccola collinetta che gli stava davanti un inferno aveva usurpato il posto della sua casa.
Subito crollò in ginocchio, lasciandosi cadere dalle spalle Zangoose, mentre esplodeva in un urlo di dolore.
La luce ormai abbagliante di quel rogo penetrava violentemente attraverso le lacrime che ora gli ingombravano la vista, quasi cercassero impietosite di nascondergli quell'orribile scena, ma invano.
Il calore malvagio delle fiamme si faceva largo attraverso la sua carne fino al gelo che gli stava mangiando l'anima.
 
Altre urla provennero dal bocciolo di fiamme, le riconobbe. Così asciugandosi le lacrime in preda ad un insperato ed inaspettato coraggio, si rimise in piedi e, risalendo il declivio a grandi passi, si gettò oltre il muro di fuoco.
Si mise una manica sulla bocca e sul naso e strizzò gli occhi bruciati dal fumo per vederci un po' meglio attraverso, mentre cercava di ignorare il calore che gli graffiava la pelle.
 
Guidato dalle urla, si fece strada nell'inferno finché non giunse in una delle stanze che lo avevano visto crescere, ma che quella crudeltà aveva sfigurato a punto tale da renderle per lui, tristemente, irriconoscibili l'una dalle altre.
Lì, al centro, giaceva suo padre, inghiottito per metà da una trave in fiamme, urlante dal dolore mentre queste iniziavano a lambirgli le carni.
 
«Padre! - urlò lasciando perdere le varie precauzioni - Non vi preoccupate, vi salverò io!»
«No! Non c'è tempo! Devi scappare! Ma prima devi prendere questo...» gli rispose sfilando da sotto il corpo l'oggetto che aveva protetto dal fuoco.
Era un grosso pezzo di metallo, grande quanto un avambraccio, in cui si rifletteva l'incendio che aveva attorno, anche se pareva ignorarne la foga, rimandando sfolgoranti lampi di luce a destra e a manca secondo le pieghe delle sue decorazioni.
 
All'inizio Serak non distinse cosa esso rappresentasse, ma poi realizzò: era la testa di un Entei, il Pokémon Leggendario simbolo della sua famiglia!
Le fauci spalancate mostravano zanne spaventose, gli occhi fieri e feroci erano stretti in espressione d'attacco, la regale criniera coronava il suo volto senza stravolgere le proporzioni del tutto e dietro di questa si nascondeva una lunga catena avvolta intorno a quello che sarebbe stato il collo, coprendo il breve spazio tra la testa e l'estremità posteriore del manufatto.
 
«Ma Padre! Posso ancora salvarvi! Lasciate almeno che ci provi!» gli ripeté quello, sconvolto, poco interessato agli oggetti di metallo raffiguranti pokemon piuttosto che a suo padre.
«... Vuoi salvarmi? ... Allora indossa questo» rispose quello, titubante, porgendogli infine l'oggetto.
«Indossarlo? ...»
«Sì, è un pugno da guerra, devi infilare il braccio dietro la testa...»
Il ragazzo, persuaso di poterlo aiutare, si fiondò a indossarlo, e quando ebbe infilato il "guanto" fino al gomito destro, sentì un leggero 'click' e avvertì qualcosa che gli si chiudeva intorno all'avambraccio, poi, non appena suo padre lasciò la presa, avverti tutto il suo enorme peso e ne fu vinto, tanto che non riuscì a sostenerlo e dovette appoggiarlo a terra.
 
«Ora cosa devo fare?»
«Scappa, figlio mio! Corri più forte che puoi!»
«Ma... avete detto che se avessi messo questo coso avrei potuto salvarvi!»
«Certo che puoi salvarmi! Puoi salvarci tutti dal fallire la nostra missione - ogni tanto cercava di reprimere il dolore crescente con qualche smorfia della faccia - Quello che tu chiami "coso" è un oggetto sacro, l'Arma Leggendaria a cui io ho votato la mia vita, così come i miei e i tuoi avi e tutta la nostra famiglia.
Noi siamo i suoi custodi, prescelti per preservare le Reliquie di Entei dalle grinfie di uomini malvagi che le userebbero solo per i propri fini...»
 
Non fece in tempo a finire la frase che pezzi di legno  infuocati esplosero dalla parete alle sue spalle investendo Serak come un muro compatto, spedendolo dritto a terra.
In mezzo a quella specie di bocca fiammeggiante che si era aperta nell'edificio si stagliò una sagoma nera dapprima irriconoscibile.
Quando la nube incandescente di ceneri e sottili schegge lignee si posò, la figura andò assumendo sempre più definizione, ma ciò ne accrebbe la spaventosità: un grande Charizard nero si librava a mezz'aria sbattendo le gigantesche ali con sufficienza, quasi non ne avesse bisogno, avvolto in un armatura lucente che risaltava ancor di più sulle sue squame scure.
Sulle sue spalle, il suo cavaliere era invece vestito d'un'armatura rossa-arancio, come il colore dell'inferno, che ricalcava le fattezze del pokemon che cavalcava, a partire dall'elmo: che era una copia quasi perfetta della testa di un Charizard, dalla cui bocca spalancata spuntava il volto dell'uomo.
 
«Ehi tu, ragazzino! Ridammi l'arma leggendaria!» urlò il cavaliere.
«Non lo fare, figliolo!» intervenne il padre.
Il ragazzo, rimessosi in piedi, rispose deciso:
«No! Noi siamo i custodi di questa reliquia!»
«Un ragazzino coraggioso, eh? Bene, allora mettiamola così: se mi dai le Fauci di Entei, salverò tuo padre... e me ne andrò senza fare dell'altro male a qualcuno...»
Serak guardò prima l'uomo, poi suo padre, proteggendosi col braccio sinistro il volto dalle folate di pulviscolo incandescente che sollevava ogni colpo d'ala del Charizard. Alla fine, dopo una lunga battaglia interiore, decise di fidarsi dell'uomo.
«Ok prendilo, è tutto tuo...» fece, cercando di sfilarsi l'arma dal braccio. Dopo vari e faticosi tentativi, però, non riuscì nell'impresa.
«Allora? Cosa stai aspettando!?» gli urlò contro per l'ennesima volta l'uomo sul drago, spazientito.
«N-non lo faccio apposta... n-non riesco a toglierlo!»
«Mi stai prendendo in giro!!» gridò quello, sempre più indispettito.
«No davvero! Non riesco a...»
«Bene, se non riesci a togliertelo, allora dovrò sfilarlo io dal tuo braccio, dopo averlo ridotto in cenere! Miei Heatmor, all'attacco!»
All'istante tre Heatmor sbucarono dalle fiamme intorno, facendo sibilare in aria le loro lingue di fuoco.
 
«Corri! Va! Scappa!» incitò il padre.
«No! Non voglio abbandonarvi!» fece Serak, cercando di sollevare il peso che gli attanagliava il braccio destro: alla fine, tutti dicevano che era un'arma, e le armi servono proprio in situazioni come queste.
«Oh che carino - lo prese in giro il cavaliere - ma non ti preoccupare, ti aiuto io a dissipare i tuoi dubbi morali» detto questo, estrasse un arco, caricò una freccia e la scoccò: Serak poté giurare di riuscire a vedere la freccia muoversi nell'aria, rallentata insieme al suo respiro e al battito del suo cuore, ma non poté fare niente per fermarla.
 
Si conficcò dritta nel collo di suo padre, ammutolendolo all'istante.

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Capitolo 4
*** Fuga ***


Capirolo 2 - Fuga «NOOOO!!!!!» urlò Serak con quanto fiato aveva in gola, in ginocchio vicino al cadavere di suo padre.
«Che scena straziante» commentò sprezzante il cavaliere.
«BASTARDO!» ruggì Serak a denti stretti, sfogando l'insolita rabbia che gli scavava l'anima, e lanciò all'assassino uno sguardo più incandescente delle fiamme che lo circondavano, tanto che quasi non si capiva come facevano le lacrime che vi sgorgavano a non evaporare all'istante.
D'istinto sollevò la sua nuova arma, aiutandosi con la mano libera, e la puntò contro quell'uomo.
«Che cosa vuoi fare? Non sai nemmeno come si u...» ma non fece in tempo a finire la frase che il ragazzo lo interruppe con un urlo di battaglia, in seguito al quale strinse gli occhi e concentrò tutta la sua furia in quel pezzo di metallo, che sentì riscaldarsi poco dopo.
 
All'improvviso, un'esplosione. Serak venne sbalzato all'indietro, fuori da quella stanza, questo è quello che scoprì quando riaprì gli occhi.
Del cavaliere e dei suoi Heatmor nessuna traccia: davanti a lui, dove prima c'era l'ingresso della stanza dove si trovava il corpo del padre, vi era un muro infuocato di pezzi di legno crollati dal soffitto.
Uno scricchiolio, una trave in fiamme cadde dal soffitto. Il ragazzo riuscì a schivarla per miracolo, ma quello lo convinse a rialzarsi, anche perché iniziò a sentire altri scricchiolii provenire da tutta la struttura: stava per crollare tutto.
 
Appena ebbe finito di constatare ciò, udì un
«Piccolo moccioso, io ti uccido!» provenire da dietro il muro di fuoco.
Subito dopo un Charizard con tutta la sua mole lo sfondò sparando lapilli ovunque.
Serak mise tutte le forze che gli restavano nelle gambe e scattò come non aveva mai fatto, via da quel pokemon e dal suo cavaliere; quello si mise a volargli dietro, sebbene a malapena entrasse nel corridoio.
 
Come se fuggire da un Charizard ed evitare crolli e fiamme non fosse già abbastanza difficile, l'uomo si mise a saettare frecce che un paio di volte andarono veramente vicine a finire il giovane.
Dopo un paio di virate a vuoto e modifiche di percorso in quel labirinto di fiamme, Serak individuò una finestra proprio mentre le sue gambe iniziavano a mostrare segni di cedimento.
Con un ultimo sforzo, accelerò, mentre sentiva dietro di sé il Charizard caricare una fiammata.
 
Al passo prima del salto, una freccia gli si conficcò proprio nel polpaccio che stava per poggiare a terra, ma con la forza della disperazione, lo piantò al suolo e, tra dolori atroci, lo usò per spingere il suo corpo e il pesante acciaio che si portava al braccio a sollevarsi da terra.
 
Sfondò il vetro della finestra e si appiattì sull'erba oltre di questa dopo esservi atterrato.
Subito dopo il Charizard sfondò anche quella parete, sorvolandolo di qualche centimetro, per poi andarsi a schiantare qualche metro più in là, strisciandone per qualche altro.
 
Il cavaliere, fortunatamente rimasto illeso, smonta dalla sua cavalcatura e inizia a camminare lentamente verso il ragazzo, rimasto a terra dolorante, con la ferita che vomita sangue.
«Ti ho sottovalutato - ammette amareggiato l'uomo - ma non lo farò più» ed estrae da dietro la schiena una lunga e larga spada, dalla lama leggermente ricurva in cima. La scorre con lo sguardo, compiaciuto, leccandosi i baffi come assaporasse il sangue che sta per versare.
 
Raggiunto il corpo raggomitolato del giovane, lo espone con un calcio nel costato.
Con un piede sulla spalla destra, gli pianta a terra il braccio armato e solleva la lama al cielo.
Fa per calarla come il boia sulla testa d'un condannato, quando qualcosa lo atterra, facendogli volare via la spada dalle mani.
 
Appena può, Serak cerca di capire cos'è successo, e trova lo stesso Zangoose che aveva lasciato privo di sensi addosso al cavaliere, intento a intaccare la sua armatura con gli artigli affilati.
Pieno di gratitudine, vorrebbe sdebitarsi nuovamente, ma una nuova responsabilità grava su di lui; così si rimette dolorosamente in piedi, mordendosi le labbra ogni volta che si poggia sull'anca destra. Quando passa vicino al Charizard questo accenna a riprendersi, scrollando la testa, ma Serak lo rimette KO con un pugno d'acciaio improvvisato, ma efficace.
 
Per ovviare al rallentamento procuratogli dallo zoppicamento, rotolò fino alla base della collinetta che aveva fatto di corsa alla vista dell'incendio, però poi dovette continuare con le sue gambe malconce dentro la foresta.
Dopo quella che gli sembrò un'eternità di dolore straziante, lacrime, gridolini sfuggiti incautamente e centinaia di tronchi d'albero tutti uguali, il ragazzo stramazzò a terra e perse i sensi.
 
Quando rinsavì notò subito una certa mobilità di ciò su cui era steso e convenne all'istante che non doveva trovarsi più sul terriccio della foresta, ipotesi poi immediatamente supportata dal tatto, che gli comunicò che era disteso su una superficie più irregolare e ruvida, dalla vista, che gli mostrarono un cielo non più notturno, fresco di alba, e con delle chiome verdi che scorrevano agli angoli più remoti della sua vista, e dall'udito, che sentiva rumore di zoccoli e di ruote che macinavano strada.
 
Il primo istinto mosse la mano sinistra su quella destra, e venne rassicurato dal freddo del metallo che l'avvolgeva ancora; poi cercò la ferita, e vi trovò sopra una benda.
«Ben svegliato!» lo accolse una voce da sopra la sua testa.
Serak si mise a sedere e si guardò finalmente in torno: si trovava su un carretto pieno di legname, trainato da un Bouffalant e guidato da un piccolo vecchietto di colore, dai capelli afro molto voluminosi e identici alla criniera del suo pokemon, se non fosse per il colore grigio/biancastro.
 
«Ti ho trovato, ferito, poche ore fa nella foresta. Ti ho salvato da potenziali pokemon selvaggi, banditi e addirittura da un incendio che era divampato non molto distante da dove ti trovavi... Ti ho fasciato la ferita, ma non è una medicazione definitiva, ti dobbiamo portare all'ospedale in città, tanto è in città che devo andare... Se posso chiedere, cos'è quell'aggeggio che ti porti al braccio?... se non fossi così giovane direi che è una di quelle armi diaboliche dell'Ordine...»
 
Serak non disse niente, nè rispose a nessuna domanda.
Se ne stava fermo, a fissare il cielo che scorreva sopra di lui.
Le lacrime gli sgorgarono nuovamente dagli occhi mentre ripensava a quello che aveva visto, a ciò che aveva perso: tutto quanto.

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Capitolo 5
*** Forza ***


Capitolo 4 - Forza Il viaggio continuò per tutto il giorno. Gli unici rumori erano il macinio delle ruote, le zoccolate del Bouffalant e le parole del vecchio, che continuò imperterrito a imbastire conversazioni nonostante l'assenza di risposte da parte del suo interlocutore, tanto che arrivò a pensare ad alta voce che stesse parlando ad un muto o ad un sordo, o ad entrambi.
 
«Dobbiamo fermarci un attimo a questa taverna, devo solo svuotare la mia vecchia vescica»
disse il vecchio.
Poco dopo il carro si fermò e Serak udì i passi lenti del vecchio allontanarsi sempre di più, fino a sparire dietro il cigolio di una porta.
 
Ora i rumori si erano ridotti al semplice sbuffare irregolare di Bouffalant, che, a quanto sembrava, non gradiva particolarmente l'immobilità.
Mentre seguiva con la coda dell'occhio una nuvola uscire dal suo campo visivo, Serak sentì crescere un rumore di passi, accompagnati da voci sconosciute:
 
«Avete sentito? Un tizio ha appiccato un incendio stanotte, sterminando un'intera famiglia. Ha una taglia non indifferente sulla testa, ma se vogliamo accaparrarcela dobbiamo sbrigarci: data la velocità con cui è stata decisa la condanna a morte e il numero di volantini con annesso ritratto, non ci vorrà molto prima che lo trovi qualcun'altro...»
 
«Hanno un ritratto del cavaliere!» pensò Serak, e scattò a sedere.
La comparsa del ragazzo oltre il cumulo di legname, nel carretto, attirò non poco l'attenzione dei viandanti, tre grossi brutti ceffi, incappucciati a puntino, tanto da sembrare di non volersi far riconoscere.
«Ehi, ma... Non è possibile! E' lui!» disse quello che reggeva in mano il volantino con la taglia.
«E' solo un ragazzino» commentò divertito un altro.
«Meglio, sarà più facile! - disse trionfante il terzo - La taglia specifica se lo vogliono vivo o morto?»
«No, basta che si riporti un'arma che indossa al braccio destro»
«Perfetto!»
 
I tre sguainarono le loro lame. Serak nuotò tra il legnamene goffamente mentre quelli già si erano gettati sulla coda del carro e lo stavano scalando.
Con non poca fatica, dato anche l'indimenticato peso che si portava attaccato al braccio, raggiunse l'estremità anteriore del carro e, tendendo il braccio libero oltre questa riuscì a sfiorare la coda di Bouffalant. Questo bastò a far infuriare il pokemon che, dopo aver scalpitato un po', partì a tutta velocità.
 
Intanto, arrancando anche loro faticosamente, ora ancor meno facilitati dalla corsa del carro, i tre malviventi si erano pericolosamente avvicinati al ragazzo, che ancora giaceva mezzo sepolto tra i ceppi.
Quello più vicino fece forza sulle gambe e si mise ritto in piedi, sebbene la legna lo inghiottisse fino alle ginocchia, e alzò la spada al cielo prima di tentare l'attacco.
 
D'istinto, Serak mise il braccio armato davanti al volto, riuscendo efficacemente a bloccare la lama, dopodiché, col braccio libero, afferrò un pezzo di tronco e lo fracassò con tutta la forza che aveva in corpo contro la testa dell'avversario che, dopo qualche barcollamento, cadde dritto all'indietro sul letto di legna.
 
Gli altri due si levarono come il primo, ma si scambiarono un segno d'intesa per agire insieme, allora il giovane capì che doveva almeno divincolarsi e mettersi in piedi al par di loro.
Il sobbalzare violento del carro sulle irregolarità del terreno sbilanciava i due aggressori il tanto che servì a Serak per mettersi in piedi nonostante il dolore proveniente dalla ferita al polpaccio destro.
 
Subito uno tentò una sciabolata, la cui andata a vuoto lo fece sbilanciare tanto che dovette appoggiarsi con le mani ai ceppi sotto di lui per non cadervi di faccia.
L'altro invece fece un tentativo più valido, che richiese un'altra parata con le Fauci, ma comunque infruttuoso.
 
Serak allora, con inaspettata risolutezza, passò al contrattacco: allontanò la lama che aveva bloccata sul guanto metallico e poi colpì in pieno viso con questo lo stesso nemico, che venne sparato all'indietro.
 
Il tempo di rialzare l'enorme peso che dovette parare un fendente alto dall'uomo che prima aveva mancato l'attacco. La lama, stavolta, colpì proprio in mezzo alle fauci aperte di Entei; ancora una volta spinto dall'istinto, Serak serrò il pugno e la bocca del pokemon lo seguì scattando come tenaglie, spezzando in due la lama.
 
L'uomo ne fu sorpreso, e non vide arrivare il pugno metallico dritto sulla sua faccia.
Ma ancora una volta i tre si rimisero in piedi e fecero per attaccare insieme, per non lasciare alcuno scampo.
Serak allora puntò le Fauci contro gli avversari e urlò: come se uscisse dalla sua gola, il fuoco sprizzò dalla bocca della bestia avvolgendo i tre che seguitarono ad urlare anche loro.
 
La legna prese fuoco, insieme a tutto il carro, e iniziò a cadere come una valanga infuocata dietro alla sua corsa. I tre aggressori dovevano essere in mezzo a quelle fiamme perché le urla si allontanarono con quelle.
 
Ora però, se possibile, il ragazzo era ancora più in pericolo, con le fiamme che cercavano di risalire il carro lottando contro la corrente dell'aria, mentre, ancora, il Bouffalant correva a briglie sciolte verso non si sa cosa.
 
E di certo Serak non avrebbe voluto scoprirlo in questo modo, quello che c'era alla fine della corsa: il pokemon, accortosi all'ultimo istante di quello che gli si parava davanti, piantò gli zoccoli, facendo fare al carro una curva e sbalzando via il ragazzo, nel vuoto.
 
Mentre si dimenava a mezz'aria, riusciva a vedere tutto come al rallentatore, cosa che interpretò come presagio della sua fine: pezzi di legna e fiamme lo inseguivano ancora, anche nella caduta, come una maledizione di fuoco lo seguisse dal giorno della catastrofe; Bouffalant, intanto, era rimasto aggrappato con le zampe anteriori al ciglio del precipizio e, anche se sembrava impossibile, non cedeva alla forza di gravità, con tutto il peso del carro ancora sulle sue spalle e con le fiamme che risalivano proprio la sua massa di legno, ormai ridotta ad un ombra nera e insicura avvolta dal vermiglio delle fiamme.
 
Poi, mentre era ormai sicuro della morte che lo aspettava molti metri più in basso, uno stridio, alto e tagliente...







Il Cantuccio: scusate la luuuuuuuuuunghissima  pausa, ma ho avuto problemi con la connessione e, non so perchè, questa è stata la storia che ne ha risentito di più, quella che ho messo più tempo a riprendere.

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Capitolo 6
*** Verità ***


Capitolo 6 - Verità Sibilo nell'aria.
Atterrò su qualcosa; battito d'ali; fulgide penne; comparve alla sua vista un grande Fearow.
Tutto avvenne così velocemente che gli ci volle un po' a riordinare le immagini in testa secondo un filo cronologico.
 
Era il vecchio, ricomparso a bordo di un enorme Fearow armato con pezzi di armatura più rarefatti e meno splendenti di quelli che bardavano il Charizard del cavaliere.
 
Serak era talmente confuso da non riuscire a parlare, così osservò la scena seguente: dopo essere sceso giù in picchiata lungo il costone di roccia per recuperarlo, il volatile ora risaliva abilmente, come il peso dei due umani e della corazza non si facessero sentire; come se non bastasse, arrivato sul bordo del precipizio, afferrò con gli artigli da rapace le spalle di Bouffalant, che ancora lottava per la vita e, sbattendo le ali con uno sforzo inimmaginabile, lo aiutò a riportare tutte le zampe sulla terra senza però riuscire a sollevarlo, mentre la roccia su cui poggiava gli zoccoli franò e i resti carbonizzati del carro si staccavano dal traino.
 
«Tutto bene?» chiese il vecchietto da sotto il cespuglio grigio, dopo che la sua cavalcatura si era posata per godersi il meritato riposo.
Come si aspettava che potesse rispondere a quella domanda?
Come avrebbe mai potuto qualcuno anche solo fargliela dopo tutto quello che stava succedendo?
Che gli era preso al destino? Perché tanto accanimento?
 
Era sicuro che queste domande le stesse urlando, forse solo nella sua testa, ma comunque si stupiva del fatto che il vecchio non le sentisse, e le gridava più forte, ancora nella sua testa.
 
La sua bocca però rimase immobile, socchiusa, gli occhi persi nel vuoto.
 
Nessuno avrebbe preso quell'espressione funebre come un "sì", ma quel vecchio, sorprendente ometto lo fece.
E così ricominciò a parlare, ma 'stavolta con un tono diverso rispetto a quello che aveva tenuto per tutto il viaggio a bordo del carretto: un tono greve, serioso, che mai, a vederlo, sembrava sarebbe potuto uscire da quel piccoletto canuto ed esile.
 
Nel suo stato confusionale, Serak all'inizio captò poche parole, quella più ricorrente era "verità". Poi, forse anche per il fatto che il vecchio stesse ripetendo più o meno sempre le stesse frasi, quasi a farlo apposta, per farle entrare definitivamente nella mente del giovane, riuscì a collegare qualche stralcio della sua storia:
 
«Devi sapere la verità, caro ragazzo! ... Non sono un semplice vecchio fattore!... Custodi delle Antiche Reliquie, sono uno dei Custodi delle... Devi sapere la verità!... Cavalieri! Ordini, armati... La verità, caro ragazzo! ... Controllano i villaggi, gli Ordini, con la forza, la paura, i pokémon... E' la verità! ... Cercano tutti le Antiche Reliquie per il potere, l'egemonia... noi custodiamo l'equilibrio, la pace, custodiamo le Reliquie... Caro ragazzo! ... La tua famiglia proteggeva le Antiche Reliquie del potente Entei da generazioni, ma non hanno mai voluto unirsi ai Custodi... noi però la tenevamo d'occhio, in segreto, ma non sapevamo che l'Ordine del Fuoco sapesse della sua esistenza... il momento opportuno, hanno aspettato il momento opportuno per attaccare, quando tutti i rami della famiglia, e le relative Reliquie, erano riunite in un solo luogo, e poi... la verità, Serak, la verità...»
 
Il Fearow atterrò in mezzo agli alberi; già, perché era ripartito, poco dopo aver aiutato il Bouffalant, ed aveva attraversato oceani di fronde verdi, mentre l'ungulato lo seguiva, in basso, oltre la coltre di fogliame, lo si sentiva dal boato della sua cavalcata impetuosa.
 
«Sbrigati, Skoll - accennò al Fearow - attira facilmente l'attenzione, ci è servito per spostarci velocemente fino a qui, ma ora dobbiamo far perdere le nostre tracce, dovremo procedere a piedi mentre lui prende il volo verso un'altra direzione per sviare le spie - fece risoluto il vecchietto.
Ah, io sono Tertroth, comunque, ma puoi chiamarmi Terry» sorrise.




Il Cantuccio: chi capisce perchè il Fearow si chiama così è bravo XD

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Capitolo 7
*** Legame ***


Capitolo 6 - Legame «Ok ci accamperemo qui, stanotte» fece alla fine il vecchio, interrompendo l'estenuante marcia, ma come se egli non avesse fatto nessuna fatica.
 
Serak si gettò sul prato di fianco a quel rivolo gorgogliante di acqua chiara e fresca, abbastanza vicino da poterci immergere il braccio nudo per ritrovare una corporeità sotto quella testa che da ore e ore ormai non faceva altro che pensare e sfornare lamenti e imprecazioni contro il destino, tutti muti.
 
Cacciò il braccio bagnato e si spalmò quell'acqua su tutta la faccia e i capelli. Una sensazione magnifica. Si sentiva in colpa di poterla ancora provare.
 
Lentamente il Bouffalant si avvicinò al ruscello per abbeverarsi. Serak si stupì alla sua vista: come aveva fatto a non accorgersi che li stava seguendo? Eppure una bestia del genere non sembra poter passare inosservata. E non era solo colpa di tutti quei pensieri.
 
Si mise a sedere, guardando quel magnifico essere. Gli accarezzò un fianco e quello non si lamentò. Un sorriso si dipinse sul volto del povero ragazzo.
 
Aveva sete, molta sete, tutta adesso. Come a voler emulare il pokémon, si mise in ginocchio con la faccia sull'acqua corrente.
 
Non l'aveva preventivata, quella faccia, specchiata lì, su quel liquido argenteo che rifletteva i lumi delle stelle lontane sopra quella testa.
Ancora una volta si trovò vittima del fato crudele: era una faccia come tante altre, ma aveva sofferto quanto nessun'altra faccia poteva esprimere.
 
Certo, forse quello che c'era intorno alla faccia, quella criniera non era comune a tante altre facce.
Era enorme, esagerata, esuberante. Lo faceva assomigliare molto a quel mostro che ancora gli attanagliava il braccio destro, ma più sproporzionata.
I colori della sua chioma, poi, rispettavano in modo impressionante quelli del pokémon sullo stemma di famiglia, tanto che da piccolo pensava ingenuamente e un po' egocentricamente che quel simbolo fosse ispirato a lui. Solo ora vedeva che tutto ciò non era nient'altro che un'ulteriore  beffa del destino.
 
E quei bracciali metallici poi, che gli serravano i polsi e persino le caviglie, come quelli di quel dannato Entei, ora non gli sembravano altro che premonizioni di quel pezzo di ferro che gli stringeva l'intero avambraccio... che i suoi genitori lo sapessero? Che lo stessero preparando a questa eventualità? Certo, quegli ornamenti non pesavano sicuramente quanto quel massiccio pezzo di ferro, ma indubbiamente pochi bambini crescono con quei pesi alle estremità.
 
Poco altro era rimasto della sua immagine, ora riflessa nell'acqua: i vestiti, prima lunghi e bianchi, ma leggeri, erano ridotti in brandelli inceneriti che svolazzavano nella brezza serale, spensierata.
Quindi era quello il suo corpo, la corporeità che aveva quasi perso nelle elucubrazioni a tempo di marcia, rischiando quasi di impazzire, esisteva ancora, poteva essere vista oltre che avvertita, pungente, nel freddo di un fiumiciattolo.
 
Vi immerse una mano e si portò un po' di acqua alla bocca, e ripeté il gesto un'altra volta. Ma aveva ancora sete. Si voltò e il Bouffalant era ancora lì, a trangugiare quella meraviglia fresca, con la faccia a un palmo dalla superficie lucente.
Splash! Ci infilò tutta la testa, Serak, a voler annegare tutti quei pensieri. Fu la sensazione più bella del mondo, e non solo non se ne sentì in colpa, ma sentiva anzi di meritarsela. Avrebbe voluto che durasse all'infinito...
 
Una mano lo afferrò e lo tirò fuori bruscamente.
«Allora giovanotto, cosa avevi intenzione di fare?» era stato Terry.
«Io... volevo solo... rinfrescarmi...» balbettò il ragazzo, scoprendo anche di avere ancora una voce.
«Beh, vedi di non far finire in un modo tanto ridicolo la nobile casata dei Custodi delle Reliquie di Entei, che tanto ha sacrificato per...» ma si accorse di aver toccato il tasto dolente, così, imbarazzato, gli lasciò andare la spalla e senza proferire parola si voltò e riprese ad organizzare il giaciglio all'interno di una grotta lì vicino, da cui spuntava il fiumiciattolo, dove stava preparando il riparo per la notte.
 
Che strano ometto. E che nome poi: Terry sembrava tanto inadatto a rappresentarlo, troppo giovanile, quanto Tertroth sembrava azzeccato, nel colore dei suoi suoni, sebbene vergognosamente orribile a sentirsi.
 
Ma quell'uomo era tutto un ossimoro, basti pensare che dietro quella forma sottile e fragile, dietro quei baffi e quella capigliatura a cespuglio ingrigita si celava uno di questi fantomatici Custodi che sembra siano in grado di salvare il mondo da gente pericolosa come quel cavaliere sul suo Charizard.
 
Un fruscio, qualcos'altro a interrompere quel pensare.
Serak si voltò di scatto: pericolo?
 
«Ci segue dall'inizio... è più agile delle spie dell'ordine» fa Terry senza nemmeno voltarsi.
«Ma...»
«Se non ti sei accorto di Bill, il mio Bouffalant, come speravi di poterti accorgere di lui?»
Come faceva a leggergli nella testa così facilmente?
«Ma chi è?» riuscì infine a dire il ragazzo.
«Perché non vai a scoprirlo tu stesso?»
 
Serak, stupito da questa risposta, rimase un attimo insicuro, spostando ripetutamente lo sguardo dal punto dove si era originato il rumore a Terry, quest'ultimo che gli dava ancora le spalle tutto preso dai preparativi, come se quello che stava succedendo fosse di poco conto.
 
Alla fine prese coraggio, si alzò e si allontanò lentamente da Bill, fino ad arrivare vicinissimo ad un cespuglio oltre il quale riprendeva la foresta, dopo la pausa che ospitava quel ruscello.
Ora lo sentiva chiaramente, ansimare faticosamente, qualcuno o qualcosa a pochi passi da lui, nascosto dal fogliame.
 
Con la mano tremante, protesa verso quel manto verde, fece gli ultimi passi sempre più lentamente.
Alla fine, dopo essersi fermato per un istante, a controllare solo con l'orecchio se il vecchio nella grotta l'aveva degnato della sua attenzione (ma non era così), spostò le foglie con un unico, veloce gesto.
 
Lì, in piedi, con la testa abbassata, come a segnare la sua resa, e il torace che faceva su e giù sospinto da qual respiro profondo e rapido, Zangoose.
Era sempre lui, lo riconosceva dalla ferita all'occhio destro.
 
Era ancora più malridotto di come l'aveva lasciato: la lotta contro il Charizard, che miracolosamente non l'aveva ucciso, l'aveva sicuramente ridotto molto male.
Ma comunque aveva avuto la forza di seguirlo fin qui... Perché?
 
«Un legame» fu la risposta del vecchio, le rughe scavate dalle ombre che il fuocherello da lui acceso gli proiettava in faccia.
Un legame. Gli rimbombava in testa, questa parola, tra gli scoppiettii della fiamma e il respiro intenso del Bouffalant che, mezzo addormentato, stava con la testa appoggiata sulle gambe incrociate del suo padrone, a farsi pettinare la chioma con lo stesso pettine di legno che Terry doveva usare per la sua stessa acconciatura.
 
«Non ha più una casa nè una famiglia - proseguì, secondo quello che Serak gli aveva raccontato di quel pokémon - E tu sei l'unico ad avergli dimostrato affetto, o perlomeno interessamento... Se vogliamo tu sei il suo nuovo branco... la sua nuova famiglia...»
 
Zangoose dormiva, spalle al fuoco e ai compagni di campeggio, un po' più lontano dagli altri.
Serak lo guardò mentre si stendeva sul giaciglio d'erba fatto dal Custode, ritrovandosi un po' nella storia di quel poveretto...
 
Poi, inevitabilmente, lo sguardo si posò sul fuoco davanti a lui, lo osservò danzare, come beffardamente avevano fatto le fiamme che gli avevano distrutto la vita.
Più lo guardava e più quella danza gli chiudeva gli occhi, e più lo sguardo si addentrava in quel rosso acceso.
Un istante prima di addormentarsi gli sembrò di avvistare un Absol, dentro quelle fiamme, identico a quello, maledetto, che gli era apparso in sogno prima del disastro.







Il Cantuccio: e rieccomi qua! Scusate ma l'ultimo periodo scolastico e la maturità mi hanno tenuto occupato, ora invece sono libero!
Se c'è qualcuno che segue anche le mie altre storie sappia che riprenderò anche quelle a breve, solo, capitemi, sono un po' arrugginito XD
PS: mi scuso in particolare con colui che ha assunto l'inquietante nick di Jeff the Killer XD da cosa aveva detto prima della pausa già mi sarei aspettato qualche messaggio intimidatorio sulla posta del sito XD

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Capitolo 8
*** Fallimento ***


Capitolo 8 - Fallimento Un'ala nera, per un istante eclissa la luna alta nel cielo.
 
«Non può aver fallito proprio lui! Il Campione dell'Ordine del Fuoco!» sbotta infastidito un uomo, basso e tarchiato, mentre percorre e ripercorre ansiosamente lo stesso tratto del prezioso tatami di cui è tappezzata quella stanza all'ultimo piano della pagoda.
 
E' davvero una figura quasi grottesca: per la maggior parte pelato, all'estremità della testa quasi perfettamente rotonda spuntano cinque strane formazioni di capelli bianchi, che si stagliano verso l'alto, ondulati, come cinque canuti raggi solari.
Unico altro accenno di pelo sulla sua faccia altrimenti bambinesca, un piccolo pizzetto per far vedere di possedere un mento e un qualche tipo di angolo sul volto.
Sotto le guance paffute e arrossate, sotto il collo talmente corto da potersi a malapena dire esistente, una vestaglia da sera, elegante e lussuosa, di pura seta di Larvesta, azzurrina e decorata con vari ghirigori dorati che spesso vanno a formare elementi floreali e vegetali, ma che sulla schiena danno vita al più grande e maestoso dei disegni: un Volcarona stilizzato a grandi forme d'oro, ad ali spalancate, che "regge" tra le corna che si prolungano dai lati della testa un disco solare.
Il collo della vestaglia e coronato da una folta ma leggera pelliccia bianca arruffata, da cui spuntano altri cinque raggi solari che fanno eco a quelli sulla testa di chi li indossa, ma sono molto più grandi e dorati anch'essi.
 
Tanto lusso dispiegato su così pochi centimetri di statura. Persino le pareti di quella stanza, shoji e fusama, sono decorate con pitture giapponesi delle più meravigliose e costose, raffiguranti lo stesso piccolo uomo in avventure poco credibili, una scena delle quali ritraeva proprio lo stesso Volcarona.
 
Quel bambinone troppo cresciuto faceva sembrare tutto un grottesco ossimoro, ma la sua faccia contratta e la sua andatura nervosa non erano per niente divertite, anche se forse divertenti.
 
«Sua Maestà, sono sicuro che Arderan non ha fallito» risponde calmo e pacato un uomo invece molto più alto, ma seduto a gambe incrociate davanti al piccolo tavolino da tè al centro della stanza.
Già in quella posizione è più imponente del piccoletto che davanti a lui non si dà pace: indossa una tipica armatura cerimoniale giapponese, rossa e dorata, a ostentare come monito il suo alto grado militare, come un fiore sgargiante che avvisi i potenziali aggressori della sua velenosità.
 
Il volto è affilato, cupo, ma calmo, terminante con una lunga barba nerissima, raccolta sul pizzetto in una piccola treccia.
Gli occhi socchiusi mentre prende un altro sorso del tè fumante da una tazza di porcellana, costosa anch'essa.
 
Poco distante dal prezioso servizio da tè, sempre sul tavolo, osserva la scena incuriosito un piccolo Larvesta, i grandi occhi azzurri che fanno la spola da un interlocutore all'altro.
 
«Lo spero per lui! O costringerò entrambi a fare harakiri!» urla il piccolo uomo.
 
Poi un tonfo, fuori. Rumore di un pannello che si sposta.
Da una finestra entra malconcio il cavaliere.
Alle sue spalle si intravede un altrettanto malconcio Charizard, atterrato sul tetto a falde che regge la stanza reale.
 
L'armatura scalfita e sporca, tagli sulle parti esposte della pelle.
Sono segni inequivocabili, talmente inequivocabili che l'uomo in armatura cerimoniale non attende nemmeno il suo rapporto: scatta in piedi in un istante urlando:
«Cosa hai combinato! Ti sei lasciato sfuggire la Reliquia!?»
La reazione istantanea e inaspettata spaventa il Larvesta che con un balzo cade dal tavolino. Anche l'uomo in vestaglia sobbalza, spiazzato e si volta verso di quello, con sguardo intimidito.
 
«Il ragazzino... ci è scappato» annaspa il cavaliere, per niente sorpreso.
«L'Ordine del Fuoco è stato fregato da un ragazzino! Lo sai che ti attende la tortura, vero?!»
«Ma abbiamo ucciso tutti gli altri membri della famiglia e recuperato tutti i pezzi dell'armatura e il Guanto sinistro, il ragazzino è riuscito a portare in salvo solo il destro» fa quello, senza però assumere tono di scusa.
«Questo non renderà meno severa la tua punizione»
«Sì Gran Maestro» chiude il cavaliere abbassando la testa.
 
«Non c'è bisogno di essere così precipitosi!» si affretta ad intervenire il piccolo re, spaventato dalla reazione del Gran Maestro e rivedute le sue iniziali intenzioni ostili all'ombra di quell'aggressività.
«Abbiamo comunque recuperato la maggior parte delle Reliquie di Entei...» continua chiedendo conferma con gli occhi al suo generale.
«Ma se mai il Paese del Fulmine dovesse trovare il ragazzo e venire a conoscenza dei fatti, se mai dovesse avere la conferma inoppugnabile della nostra cerca delle Reliquie, ci dichiarerebbe guerra seduta stante!» sentenzia quello, senza mai distogliere lo sguardo dal suo sottoposto.
 
«Ma non è quello che vogliamo? ... Cioè, che voglio?... La guerra alla Nazione del Fulmine, i nostri nemici storici! Prima conquisteremo loro e poi tutto il continente!»
«Ma i tempi non sono ancora maturi, Sua Altezza»
«Non mi chiamare così - lo interrompe - sai che mi sembra una presa per i fondelli»
«Dobbiamo assolutamente rintracciare il ragazzino» tuona egli, senza degnarlo di una risposta.
 
«Non si preoccupi, Gran Maestro - risponde calmo il cavaliere - ho già mandato le mie spie a stanarlo»







Il Cantuccio: spero che perdoniate l'uso del presente storico per tutto il capitolo ma serviva sia per descrivere meglio la scena (a mio parere), sia per distinguerla dall'azione principale.

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Capitolo 9
*** Attacco ***


Capitolo 8 - Attacco Un Heatmor, con fare circospetto, spostò del fogliame, cercando di vederci oltre.
Da quello squarcio nel verde si vedevano i due umani, uno giovane e l'altro più anziano, raccogliere le loro cose negli zaini e prepararsi a lasciare il rifugio della notte.
 
Un secondo Heatmor sferrò un pugno sulla testa del primo che subito lasciò andare il cespuglio richiudendo lo scorcio. Tastandosi il bernoccolo con una zampa, chiese spiegazioni alzando le spalle e quello che l'aveva colpito fece cenno di fare silenzio.
Poi si voltò ad un terzo Heatmor e fece segno di attendere, e vedere se fossero realmente i bersagli che cercavano da due giorni.
 
«Ma perché non hai mai tolto le Fauci di Entei?» chiese Terry d'un tratto.
«C-Cosa? Si possono togliere? Io non lo sapevo!» rispose Serak incredulo.
«Ma certo che sì... Guarda, basta fare così» e il vecchio premette due dita negli occhi del leggendario. Subito si avvertì un 'click' identico a quello che era scattato quando Serak ci aveva infilato il braccio per la prima volta.
 
L'Arma venne via facilmente.
Il ragazzo, sollevato da quel peso, si guardò l'avambraccio che non vedeva da più di due giorni e sgranchì le dita.
 
Subito un Heatmor fece segno agli altri e tutti e tre spuntarono fuori dal cespuglio.
Puntavano dritto alla Reliquia.
Il Bouffalant ne intercettò uno a metà della sua corsa, scaraventandolo via, ma gli altri due gli sfuggirono: uno saltò su Serak atterrandolo, e l'altro rubò al volo la Reliquia dalle mani del vecchio.
 
Vedendo il successo del loro intervento, l'Heatmor che era stato atterrato dal Bouffalant puntò il suo muso per aria e, prima di svenire, sparò una specie di fiammata lucente che doveva servire da segnalazione, poiché subito, in lontananza, si avvertirono i ruggiti di alcuni Charizard.
 
Terry estrasse una lunga e sottile spada dal suo semplice bastone da passeggio; prima gettò lo sguardo all'Heatmor che si stava allontanando con l'Arma Leggendaria, poi a quello che ora rotolava per terra cercando di aggredire il ragazzo.
 
Decise di intervenire su questo e lo allontanò con un calcio da Serak.
Rialzatosi, i due si scambiarono uno sguardo intenso per un istante, poi Terry fece per scattare, ma Zangoose, ancora tutto fasciato e pieno di ferite, vi si frappose, fermando la carica del vecchio. Gli fece segno di inseguire l'Heatmor in fuga.
 
Terry rispose con un altro cenno, partì all'inseguimento urlando «BILL!» e subito il pokémon accorse facendolo salire in groppa.
 
Ora erano Zangoose e Heatmor a scambiarsi sguardi di sfida, ma il primo ogni tanto si lasciava andare a smorfie di dolore.
«No! Non sei in condizioni di combattere!» gli urlò Serak.
Ma quello non voleva saperne.
 
Senza preavviso, l'Heatmor partì alla carica, ma si mise a girare intorno a Zangoose, producendo un circolo di fuoco che in breve lo imprigionò.
Lì dentro, Zangoose non riusciva a vedere nulla, ma, avvertito dal suo udito sopraffino, decifrò la direzione dell'attacco successivo e incrociò gli artigli con quelli del nemico.
 
Questi, però, non si accontentò a lungo dello stallo e, approfittando della piccola distanza, mise a segno una Leccata sulla faccia del Furogatto.
Tremando, Zangoose non riuscì più a muoversi, il che diede l'opportunità all'Heatmor di scomparire nuovamente nel muro di fiamme, poco prima che questo stesso si chiudesse sul nemico.
 
Zangoose urlò dal dolore mentre bruciava.
Serak si decise ad intervenire, ma appena provò a scattare verso di lui, la ferita al polpaccio si fece nuovamente sentire, atterrandolo per il dolore lancinante.
 
Nel frattempo l'inseguimento continuava nella foresta: l'Heatmor riusciva a sfruttare a proprio vantaggio gli alberi per rendere difficile il percorso al Bouffalant e così sopperiva alla sua minore velocità.
 
Ad un tratto dal cielo calarono due Charizard, nessuno dei quali nero, per fortuna, ma comunque entrambi cavalcati da un cavaliere dell'Ordine in armatura.
 
«Qui le cose si mettono male» fece Terry, e poi si mise due dita in bocca emettendo un fischio alto ed acuto.
Ma non successe niente.
 
I Charizard, dal canto loro, iniziarono a sputare fiamme, incendiando gli alberi dietro il Bouffalant.
Terry, lentamente ma con destrezza, si mise in piedi sulla groppa galoppante del pokémon, per niente facilitato dallo slalom tra i tronchi.
 
«Bill, al mio tre!» urlò.
Uno! L'Heatmor lì davanti cercava di porre quanti più ostacoli possibile sulla sua via.
Due! I Charizard stavano distruggendo mezza foresta sotto lo sguardo dei loro cavalieri.
Tre! Bill e Terry saltarono insieme, il Bouffalant puntò i suoi zoccoli posteriori verso l'alto, il vecchio vi posò sopra i suoi piedi e il pokémon calciò con quanta forza aveva in corpo, facendo schizzare via l'anziano Custode.
 
Attraversando come un proiettile la coltre di fuoco, Terry volò poco al di sopra di un Charizard, falciando con un fendente volante il cavaliere che vi si trovava sul dorso.
Questo venne disarcionato e Terry riuscì ad aggrapparsi alla coda infuocata della bestia per miracolo.
 
L'altro Charizard si allineò dietro al primo e spalancò le fauci per mordere il Custode.
Questo, impacciato, impuntò i piedi su mandibola e mascella, impedendo sia di chiuderle che di avvicinarsi.
 
Il cavaliere, però, sfoderò un arco e puntò una freccia contro il nemico. Così si vide costretto a inventarsi qualcosa: allentò la presa sulla fauci e portò la coda, che aveva chiuso sotto l'ascella, proprio dentro queste, cosicché quando il secondo Charizard chiuse il Morso, la coda ardente del primo finì nella sua bocca serrata.
 
Il primo ruggì di dolore e schizzò via, portandosi dietro Terry sempre ancorato alla sua coda, il secondo lasciò andare il boccone incandescente, ustionatosi palato o gola, e, in preda al dolore, per un pelo non disarcionò il suo cavaliere.
 
Ma la freccia di questo era stata scoccata ugualmente e aveva colpito Terry alla spalla destra, forse non dove quello aveva mirato, ma comunque lo aveva ferito.
Il Charizard, imbizzarrito, era volato in alto, rivelando il paesaggio intorno: alla destra dell'Heatmor e di Bill si apriva un grande burrone.
 
Il Custode fece giusto in tempo per realizzarlo, che il Pokémon Fiamma lo staccò dalla sua coda con un colpo di reni, facendolo volare ancora più in alto.
 
Con un brevissimo tempo di reazione, mentre precipitava poi verso il basso, riuscì ad ancorarsi al collo del Charizard con la parte ricurva del suo bastone-spada, ma per aggrapparvisi dovette stringere con la mano destra la lama, strisciandovi per qualche centimetro e aprendosi una profonda ferita.
 
Urlò dal dolore, e il Charizard l'aveva capito, perciò continuava a dimenarsi facendo sprofondare sempre di più la lama nella carne e scivolare la mano verso il vuoto al di sotto. Oltretutto si era anche posto sul burrone, per assicurarsi la sua eliminazione in caso di caduta.
 
Tortura verso l'alto e morte verso il basso: ovunque spostasse lo sguardo, Terry vedeva solo la fine; un dolore atroce gli scavava lentamente la mano, un altro, persistente gli trafiggeva la spalla.
E come se non bastasse, l'altro Charizard tornava ad avvicinarsi, con sopra il cavaliere ancora armato di arco e frecce.
 
Sembrava la fine.
 
Lo sembrava anche per Serak, mentre l'Heatmor che aveva messo KO Zangoose gli si avvicinava da sinistra e quello che il Bouffalant aveva steso, ma che ora si era rialzato, da destra.
Dalle loro piccole bocche spuntavano a intermittenza sottili lingue di fuoco.
 
Il ragazzo strisciava all'indietro lontano dai due, afferrando un sasso ogni qual volta glie ne capitava uno per le mani, e tirandolo ai pokémon, che ne venivano colpiti, ma non sembravano accusarne tanto dolore.
 
Poi la mano gli capitò su qualcosa, che riconobbe subito al tatto non essere un sasso come gli altri. Lo afferrò e lo portò alla sua vista: un Pineco!
Subito il piccoletto, infastidito, si accese di un bianco intenso.
 
Con una reazione pronta, Serak scagliò anche quello contro gli Heatmor, poco prima che esplodesse.
 
Sbalzato via dall'onda d'urto, Serak rotolò fino a sbattere su un tronco, ed un altro Pineco gli cadde in testa: alzò lo sguardo e vide che la fonte di quei pokémon era proprio quell'albero, al quale ve n'erano appesi a decine.
 
Anche questo Pineco aggrottò gli occhi, irritato e si illuminò: Serak fu costretto a lanciarlo di nuovo ai due Heatmor, che dalla prima esplosione erano stati presi in pieno.
 
Schivata la seconda esplosione, i due Heatmor, un po' malconci, alzarono nuovamente lo sguardo e trovarono un Serak in piedi, con un ramo a mo' di bastone in mano e un'aria beffarda.
 
Il ragazzo tirò un colpo con la pianta del piede al tronco dell'albero, facendosi cadere davanti un Pineco che prontamente colpì col ramo spedendolo nuovamente contro i nemici e ripetendo la tecnica diverse volte.
 
Gli Heatmor si trovarono in difficoltà a schivare tutte le esplosioni, ma per la maggior parte ci riuscirono, finché una non mandò definitivamente KO uno di loro in una pozza di sangue.
 
L'Heatmor rimasto rivolse il suo sguardo truce verso il nemico che aveva fatto fuori il suo compagno; Serak, colto di sorpresa da quella ritrovata sicurezza del pokémon, sferrò un altro calcio all'albero e ripeté la mossa che l'aveva salvato fin'ora, ma stavolta l'Heatmor, con un colpo deciso della zampa, deviò il Pineco dritto all'interno della caverna dove il ragazzo e Terry si erano accampati per la notte.
 
L'esplosione che ne seguì scatenò un'eruzione di Zubat e Golbat che, spaventati e arrabbiati allo stesso tempo, si catapultarono fuori dalla loro tana buia tra stridii assordanti.
 
Serak ebbe il giusto tempismo per gettarsi a terra e non venire investito dall'ondata di pokémon veleno, ma l'Heatmor non poté vantarsi di aver fatto altrettanto e venne travolto da quelle zanne velenose, finendo ricoperto di Zubat e Golbat ancorati per i denti a tutto il suo corpo, steso per terra.
 
Serak cadde in ginocchio, esausto. Poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Terry invece no.
 
Il Charizard al di sotto di lui era sempre più vicino, e con lui il cavaliere.
Questi, senza tanti preamboli, scoccò un'altra freccia, ma Terry la intercettò al volo con la mano libera, rivelando riflessi di sicuro non comuni nemmeno tra uomini nel pieno delle proprie forze, figurarsi per un vecchio.
 
Neanche tutti i riflessi del mondo, però, l'avrebbero aiutato contro quello che ribolliva nella gola del Pokémon Fiamma: sputò un'enorme palla di fuoco che si avvicinava ad alta velocità.
 
Il Custode non ebbe molte altre possibilità: lasciò la presa.

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Capitolo 10
*** Caduta ***


Caduta Tutto sembrava rallentato: la palla di fuoco sulla sua testa, l'aveva evitata, gli aveva solo bruciacchiato un po' la sommità del cespuglio che aveva per capelli; ma sotto di lui c'era il vuoto: poteva mulinare in aria le braccia quanto voleva, ma quello lo aveva inghiottito e la morte sembrava avvicinarsi al ritmo innaturalmente rallentato del suo cuore.
 
Poi un verso, alto, tagliente, squarciò l'aria che sembrava immobile.
Subito dopo, qualcosa ingoiò il sole, su Tertroth calò l'oscurità.
 
Era Skoll! Che afferrò al volo il suo padrone per le spalle con le forti zampe.
 
«Ci hai messo un bel po', eh?» fece Terry, ironico, cercando di nascondere con un sorrisetto il dolore della freccia ancora conficcata nella spalla, su cui ora premeva il pokémon.
«Riportami su quel Charizard, devo recuperare il mio bastone» riprese poi.
 
Il Fearow prontamente ubbidì e puntò il Charizard privo di conducente, ma sulla sua strada c'era ancora quello invece ancora cavalcato dal suo padrone, che non aveva perso d'occhio il nemico durante la caduta.
 
Salendo di quota ad una velocità quasi verticale che sembrerebbe impossibile, il pokémon volante schivò anche agilmente alcune frecce scoccate dal cavaliere, ma il Charizard si preparò nuovamente ad una fiammata micidiale.
 
Skoll allora, con una giravolta, scaraventò via in modo poco garbato il vecchio Custode verso la sua meta e poi continuò l'avvitamento chiudendo le ali e trasformandosi in una specie di enorme trivella, con per punta il suo duro becco.
 
La trottola mortale ad alta velocità consentì al pokémon di superare la cortina di fuoco quasi illeso, strappandone qualche drappo incandescente che per un istante si trascinò dietro come la scia di una cometa.
L'attacco poi colpì il pokémon fuoco in pieno petto, dove la corazza l'aiutò a sopportare l'impatto.
 
Terry intanto atterrava sano e salvo, anche se un po' confuso dal volo, sul Charizard a cui mirava.
«Delicato come al solito» commentò il gesto del suo pokémon con un sorrisetto provato.
 
Senza perdere altro tempo, recuperò lo spadino dal collo del pokémon che intanto si era accorto di lui e cercava di girare la testa per morderlo, ostacolato dall'armatura.
Proprio tra questa, Terry riuscì a trovare un vuoto alla base del collo e senza pensarci due volte vi infilzò la lama, uccidendo il pokémon sul colpo.
Fece giusto in tempo a spiccare un salto verso l'altro Charizard mentre la carcassa iniziava a precipitare.
 
Nel frattempo la trivella di Fearow aveva continuato a ruotare velocemente per cercare di perforare l'armatura nemica, ma il Charizard l'aveva afferrato con le zampe e, sebbene queste avessero poi iniziato a sanguinargli per l'attrito, riuscì nell'intento di fermarla e ora Fearow si trovava alla sua mercé.
 
Tenendolo fermo con le zampe spalancò le fauci per un'ennesima fiammata e Fearow ficcò lo sguardo nella sua gola aspettandone l'attacco, urlando mentre cercava di divincolarsi senza successo.
 
Ma invece che le fiamme, dal punto preciso in cui Skoll ha infisso lo sguardo spunta una lama insanguinata. Terry era riuscito a sgozzare velocemente alle spalle il cavaliere per poi occuparsi del suo pokémon.
 
Ancora una volta, Terry rischiava di precipitare con il nemico abbattuto, ma Skoll lo aiutò a salirgli in groppa.
 
«Ben fatto, ma stavolta ci è mancato poco» si congratulò, sempre un po' caustico, a denti stretti per il dolore ormai insopportabile.
 
Il suo sguardo, poi, tornò immediatamente all'inseguimento sotto di loro: nella foga della battaglia, i Charizard avevano rallentato e ora l'Heatmor in fuga era molto più avanti. Per fortuna, però, Bill era ancora alle sue calcagna, ma Terry non sapeva quanto sarebbe durato ancora a quel ritmo.
 
Dopo uno scatto veloce per raggiungerli, il Custode urlò al suo Bouffalant:
«A destra, Bill! Portalo a destra!»
Il pokémon, nonostante il respiro pesante e affannoso, nonostante il frastuono delle zoccolate impetuose, nonostante i tronchi che gli sfrecciavano di fianco e nonostante anche la folta chioma che nascondeva le sue orecchie, capì al volo l'ordine urlatogli dal padrone.
 
Con una tecnica forgiata dall'esperienza, l'inseguitore iniziò a spostarsi sempre di più verso sinistra, avvicinandosi poi all'inseguito che, di conseguenza, è costretto a deviare lentamente verso destra, probabilmente senza neanche accorgersene.
 
Alla fine l'Heatmor, per di più impegnato a guardarsi di quanto in quanto le spalle, venne sputato fuori dalla vegetazione e finì dritto nel burrone, portando con sé l'Arma Leggendaria, mentre Bouffalant frenò la sua corsa selvaggia proprio sull'orlo del precipizio.
 
Con ogni probabilità, anche l'Heatmor visse le stesse sensazioni provate da Terry poco prima: il tempo rallentato, il battito nel cuore, come un tamburo, nelle orecchie... E anche lui vide il sole scomparire dietro una grande ala piumata... ma questa volta gli artigli di Skoll afferrarono solo le Fauci di Entei, strappandogliele dalle zampe.
 
Terry non seguì nemmeno il resto della caduta del pokémon nel vuoto fino alla sua triste morte, nella sua testa c'era solo un pensiero: Serak.





Cantuccio:  non avete idea di quanto mi riesca difficile scrivere al passato, dopo aver scritto un casino al presente per un'altra mia storia (l'originale nella categoria "Epico", Aremakhia, per chi la conoscesse). Comunque il significato del nome Skol" è *rullo di tamburi*... Skoll... è un lupo della mitologia norrena che insegue il Sole per divorarlo e ci riuscirà durante il Ragnarok. Lo so, Fearow non è un lupo, ma le sue ali sono talmente grandi che, come in questo capitolo, possono "ingoiare" il Sole, e quest'idea mi piaceva troppo.
PS: scusate se questo capitolo è un po' più corto degli altri, ma così doveva essere.

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Capitolo 11
*** Rinforzi ***


Capitolo 10 - Rinforzi Il respiro pesante, per la paura, per la fatica, per il dolore.
Era riverso per terra, rannicchiato, con la fronte sull'erba umida della mattina.
Riusciva a muovere la testa quanto bastava per dare un'occhiata a Zangoose, ancora inerme  e ricoperto di fuliggine dopo il Turbofuoco dell'Heatmor.
Lentamente cercò di rimettersi in piedi, e per un istante ci riuscì, ma poi la ferita alla gamba si fece nuovamente sentire.
 
Quando finalmente riuscì a zoppicare fino al pokémon per poi gettarsi a peso morto al suo capezzale, avvicinò lentamente l'orecchio al suo petto: battiti! Era vivo!
 
Sul volto provato del ragazzo si fece largo un grosso sorriso e si lasciò scappare qualche colpo di risata, ma poi quei battiti si fecero più fitti, più incalzanti e gravi.
Non venivano più dal suo cuore!
 
Skoll solcava veloce i cieli, ripercorrendo il tragitto compiuto da Bill, che ora stringeva fra le zampe, chiaramente segnato da un'evidente scia di tronchi spezzati.
Alla fine la radura, col piccolo ruscello e la grotta in cui andava a rintanarsi, spuntarono tra le fitte fronde.
 
Lì in mezzo Serak se ne stava accovacciato sul corpo immobile di Zangoose.
Il Custode in groppa al Fearow urlò, felice:
«Ragazzo! Abbiamo recuperato la reliquia!» fece sventolando goffamente il pesante oggetto di metallo.
 
Bill venne posato al suolo e poco dopo atterrò anche il Fearow.
Terry si precipitò giù dalla groppa di quest'ultimo per sincerarsi delle condizioni dei due, ma subito si accorse dello sguardo terrorizzato del ragazzo, che aveva ancora l'orecchio poggiato sul petto di Zangoose.
 
«E' vivo?» chiese schietto.
Serak si scosse bruscamente, come si accorgesse solo ora della presenza del vecchio.
«Sì... sì, ma... sta arrivando qualcuno!»
 
Il Custode, allora, poggiò un orecchio al suolo che subito gli urlò quel tetro avvertimento.
«Oh no! - fece tirandosi su di scatto - come hanno fatto ad accorrere così velocemente!?»
«Cosa sono?» chiese preoccupato Serak.
«La cavalleria... beh, non la nostra, purtroppo...»
 
Ruggiti interruppero i due, che subito si voltarono verso il punto da cui venivano, ma ancora non si scorgeva niente fra i tronchi.
Il tumulto di quella carica divenne udibile senza bisogno di consultare la terra, affiancato da tintinnii pesanti di armature e inconfondibili versi di
«Arcanine!» proruppe il Custode.
Poi, sopra le chiome degli alberi spuntarono altre tre sagome ormai terribilmente familiari.
«E altri Charizard!» concluse Terry, ormai vistosamente preoccupato.
 
«Dobbiamo scappare!» si riprese velocemente.
«M-Ma Zangoose! Non può correre, è ferito! E-e anche tu sei ferito - si meravigliò accorgendosi del sangue che ormai imbrattava tutte le lunghe vesti del Custode, partendo dalla mano destra e dalla spalla destra, da cui spuntava la penna di una freccia - E in verità la ferità fa male anche a me...»
 
«Non abbiamo tempo!» detto questo, afferrò la freccia e, stringendo i denti dopo un respiro profondo ma tremulo, se la strappò via dalle carni insieme ad un urlo.
Sangue sgorgò a fiotti e il Custode venne costretto in ginocchio dal dolore.
«Non c'era altra soluzione... - bisbigliò sotto voce, come per autoconvincersi, la voce tremante - aveva preso l'osso...»
Lentamente, ma il più velocemente possibile, mise su prima una gamba e poi, tremando come la sua voce, anche l'altra.
 
Gettò via la freccia ricoperta del suo stesso sangue e consegnò le Fauci di Entei al loro legittimo proprietario:
«Mettilo» fece, risoluto.
Serak si rese conto che il tempo stringeva e trovò inopportuno obiettare, quindi vi infilò nuovamente il braccio destro fino al gomito, e nuovamente sentì il metallo gelato aderirgli alla carne con un 'tic'.
 
«Ora andiamo!»
Terry fece salire il ragazzo su Skoll, che afferrò anche Zangoose con le zampe.
«Non combattere - impose il Custode al pokémon dopo un ultimo rapido sguardo ai Charizard, sempre più vicini -Scappa e basta»
Egli, invece, montò sul Bouffalant e partirono entrambi.
 
Serak, ben saldo sul Fearow, afferrò la Reliquia e la esaminò: non l'aveva ancora mai fatto, se ne rendeva conto adesso, eppure era quella la causa di tutti i sui mali. Quando una cosa ti rovina la vita, di solito si merita almeno un'occhiata approfondita.
Insomma, tutta quella morte, quel dolore, per cosa? Un pezzo di ferro? Sì, va bene, un pezzo di ferro che sputa fuoco, e allora? Valeva davvero le vite di tutti i suoi famigliari?
 
La rabbia crebbe dentro di lui. E quell'Arma maledetta se ne infischiava! Se ne stava lì, fredda, immobile, come non ci fosse un braccio umano, di carne pulsante, bollente, dentro.
Sembrava succhiargli via la felicità, la vita, attraverso il braccio, con la sua morsa fredda.
 
La bocca aperta, come stesse ruggendo, con le temibili zanne ben in vista, e poco sopra queste, occhi accigliati, minacciosi. Dietro di questi una particolare criniera, molto simile a quella di Serak, anche se molto più contenuta.
E infine poco prima che il braccio rispunti dal ferro, privato anche del gomito, un gomitolo di strane catene, munite di piccole punte per ogni anello, facevano più volte il giro del cilindro metallico.
 
Ma forse Serak non capiva, forse non era tutto lì, forse c'era dell'altro!
Ma sì, qualcosa che andava oltre la sua comprensione! Sarebbe meglio se fosse così!
In fondo, un'organizzazione segreta si stava dando tutto questo bel da fare solo per un pezzo di ferro?
Era davvero questa così terribile arma? Allora perché non usarla!
 
Il ragazzo, sempre impugnando l'avambraccio armato, si mise in piedi e si voltò verso gli inseguitori, puntandogli contro le Fauci.
«Serak! - urlò il Custode, dal basso - E' inutile! Non possiamo combatterli!»
Ma il giovane ignorò completamente quella voce e cacciò un potente urlò di battaglia che, come uscisse dalle Fauci stesse, materializzò tra queste una sfera di fuoco.
 
Subito le Reliquia la sputò fuori, ad una velocità impressionante, e poco dopo esplose in una Fuocobomba.
"Straordinario, riesce a maneggiarla senza allenamento!" pensò Terry, incredulo.
Ma dalla nube di fuoco e fumo che si era generata, i Charizard spuntarono indenni: non li aveva colpiti.
 
Serak cadde in ginocchio sul dorso del pokémon pennuto e guardò nuovamente l'Arma: cosa gli era preso?
 
L'inseguimento continuò ancora per parecchio, ma alla fine, gli alberi finirono e apparve una grande distesa di erba bassa e color smeraldo, in salita verso due enormi formazioni rocciose che lasciavano fra di loro solo una stretta feritoia.

Serak guardò in basso e vide Terry spuntare dalle fronde degli alberi sul suo Bouffalant, ma poco dopo lo seguirono gli Arcanine: finalmente poteva vederli, cinque Arcanine corazzati, cavalcati da altrettanti membri dell'Ordine, vestiti della stessa armatura.
 
«E' giunto il momento di dare il segnale» disse Terry, come se qualcuno potesse sentirlo.
Poi, come aveva fatto prima,strinse due dita tra le labbra ed emise un acuto fischio.
Anche questa volta non sembrava succedere nulla.
Ma il fischio catturò l'attenzione di Serak:
«Cosa hai fatto?»
«Quello era il segnale per gli altri Custodi a guardia del Rifugio» sorrise il vecchio.
 
La folla di pokémon inseguiti e inseguitori si avvicinava sempre di più a quelle rocce, ma ancora nessun segno di risposta, quando, ad un tratto, tre figure, ancora in lontananza, spuntarono dalla foresta ai lati di quelle rocce, ai margini della radura, fino a raggiungere la feritoia, come a volerla bloccare.
 
«Ora tocca ai nostri di rinforzi» ghignò Terry.

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Capitolo 12
*** Scontro ***


Scontro Con il vento negli occhi, Serak doveva socchiudere le palpebre per riuscire a intravedere le tre figure ai piedi della gigantesca soglia del Rifugio, ma anche con tutto lo sforzo che concentrava in quello sguardo non riusciva  a distinguere che contorni insicuri.
 
Molto più giù, Terry continuava ad avere stampato sulla faccia quel sorrisetto compiaciuto, ma lentamente le sue palpebre scivolarono sugli occhi stanchi.
Non era sonno, però, quello che lo cullava: dalle ferite aperte non aveva mai smesso di fluire sangue e con lui, ora, sembrava dovesse scorrere via anche la sua vita.
 
Alla fine, sebbene aggrappato a quel ghigno, crollò sulla groppa di Bill, che continuava la sua galoppata, imperterrito.
 
Il ragazzo sul Fearow, in un istante in cui aveva staccato gli occhi dai rinforzi all'orizzonte, se ne accorse e iniziò ad urlare il nome del Custode, ma non ricevette alcuna risposta.
 
Alle loro spalle l'onda anomala di fiamme, ruggiti e clangore di metallo infuriava ancora impietosa. I Cavalieri sui Charizard scagliavano frecce che, attraversando la coltre di fuoco soffiata per l'occasione dalle loro cavalcature, acquisivano chiome vermiglie. Spesso alcune di queste sfioravano le piume di Skoll e il pokemon era costretto ad un continuo zigzagare che aumentava l'entità della sua fatica.
 
Intanto, nella loro immobilità, le figure all'orizzonte avanzavano, acquisendo sempre più dettagli definiti, e quello che andava definendosi sotto gli occhi di Serak lo stupì non poco: erano ragazzi! Forse della sua stessa età!
 
Come personaggi di un'opera teatrale che avanzano lentamente dalle quinte per fare la loro entrata in scena, così Serak li vide diventare sempre più grandi mentre si avvicinavano lentamente, diventando sempre più dei personaggi unici:
Alla sua estrema sinistra c'era un ragazzo seduto per terra con le gambe incrociate, vestito di una leggera armatura di cuoio decorata con dei simboli presenti su quelle di tutti gli altri, dietro la schiena uno scudo ed una spada. Ma la cosa che lo distingueva subito dagli altri era il suo elmetto: una specie di grosso teschio... Sulle ginocchia aveva un pokémon, ma ancora non si capiva bene quale.
 
Dall'altra parte dello schieramento, invece, c'era... beh, qualcosa di ancora più strano: un indefinito ammasso viola... nessuno sembrava esserne il padrone...
 
Al centro si ergeva, dritto e impettito, un ragazzo esile, ma alto, rada armatura d'acciaio, capelli nerissimi, occhi neri contornati da uno spesso strato anch'esso nero, ma mezzi chiusi, a sembrare ancora più minacciosi. In entrambe le mani impugnava due coltelli.
 
Accanto a lui quella che sembrava una sua riproduzione in scala rimpicciolita: un Pawniard, minaccioso quanto il suo padrone.
 
"Sarebbero questi i rinforzi?" lamentava Serak tra sé e sé.
 
«Allora, pronti?»  iniziò quello al centro, lontano dalle orecchie di Serak e indirizzato agli altri.
«Veramente non so se sia una buona idea» fece una timida e delicata voce femminile alla sua sinistra.
Proveniva da un volto che spuntava dalla melma del corpo di un grosso Muk. Il ragazzo non sembrò stupirsi di nulla.
«Un Custode ha chiesto il nostro aiuto, Quinn, e noi dobbiamo prestarglielo» fu la secca risposta.
«Ma magari ha chiesto l'aiutò di vere sentinelle, non di tre semplici reclute...» obiettò candidamente.
«Il dovere è dovere. E poi è inseguito dal nemico, se non lo fermassimo raggiungerebbe il Rifugio e per tutti noi sarebbe la fine... Jay, smettila e alzati in piedi, stiamo per combattere!» fece voltandosi di scatto alla sua destra, infastidito dai continui vezzeggiamenti che ne provenivano.
«Ma K, non hai proprio un cuore! Guarda quant'è dolce quando dorme! E' poi ha perso la madre! Poverino!» mentre diceva queste ultime parole gli occhi gli si inumidivano tutti, e tornò ad accarezzare la tonda pancia del Cubone che era appisolato sul suo grembo.
«Sveglialo e fallo preparare alla battaglia! Stanno arrivando!»
 
«Ehi! Ehi! Voi! Siete dei Custodi? - urlò Serak, ormai abbastanza vicino - Ci serve aiuto!»
«Lo vedo - commentò cinico K - Ma sarebbe meglio se non andassi ad urlare al vento dei Custodi! - disse alzando la voce - Sai, siamo un gruppo segreto! E se non fossimo stati chi credevi?»
«Non credo sia il momento di discuterne» rispose, sempre urlando, Serak
«Ha ragione» concluse K sottovoce, infastidito.
 
Subito partì di corsa, seguito a ruota dal suo Pawniard. Incrociarono ripetutamente le loro traiettorie per confondere il nemico e, dopo aver superato Bill, finalmente furono faccia a faccia con i cinque Arcanine e i rispettivi Cavalieri.
Uno di questi lanciò un giavellotto contro il ragazzo che ne deflesse la traiettoria con entrambi i pugnali e cacciò un urlo di battaglia per caricare l'attacco, ma venne spazzato via da una zampata dell'Arcanine.
Poco distante il Pawniard venne abbrustolito dalla fiammata di un altro Arcanine.
 
Skoll atterrò dietro la linea difensiva mentre Bill deponeva delicatamente il padrone privo di conoscenza. Subito dopo essersi liberati la groppa, i due instancabili pokemon ripartirono per il contrattacco.
 
Bill incornò un Arcanine e riuscì a sollevarlo per poi ribaltarlo. Ma subito dopo, accerchiato, venne trafitto da due giavellotti sui poderosi muscoli delle zampe e fu costretto in ginocchio.
 
Skoll invece puntò dritto contro i tre Charizard che iniziarono a sputargli contro delle Fuocobombe: le prime furono agilmente evitate, ma poi fu colpito dalle frecce dei Cavalieri e, distratto, non riuscì a evitare gli altri attacchi che, esplodendo, lo gettarono al suolo.
 
Nel frattempo Muk aveva fermato un Arcanine con una mano e con l'altra sferrò un pugno al Cavaliere, disarcionandolo e facendolo urlare dal dolore inflittogli dal veleno. «Scusa» si affrettò a dire la ragazza, col massimo del garbo, grottescamente in opposizione alla durezza del suo pokemon.
Poi il Muk raddoppiò la morsa sul pokemon fuoco che gli mostrava le fauci, e vi soffio dentro del gas velenoso. «Scusa» ripeté Quinn, e l'Arcanine stramazzò al suolo.
 
Ma gli altri Cavalieri capirono che era sconsigliabile attaccare da distanza ravvicinata e così prepararono le fiammate dei loro pokemon. Muk fece appena in tempo a inglobare anche il volto della ragazza per proteggerlo che le fiamme di due Arcanine gli si abbatterono addosso, e non poté far altro che urlare dal dolore.
 
Un altro Pokemon Leggenda accorse a fronteggiare il ragazzo ancora seduto per terra ed emise un forte ruggito.
Il Cubone si svegliò e inizio a mugolare.
«Guarda! L'hai fatto piangere! - fece infuriato sempre stando seduto, puntando il piccolo pokemon contro il nemico - Non è carinissimo quando piange?» aggiunse cambiando voce e facendola diventare più dolce.
Piangendo rumorosamente, due potenti getti di lacrime esplosero dagli occhi del povero Cubone e si abbatterono sull'Arcanine in carica, facendone uscire del vapore e costringendolo a indietreggiare.
 
Il Cavaliere che vi era in groppa, però, non si fece intimidire e saltò giù dal suo pokemon con un fendente di spada diretto alla giovane Recluta e al suo pokemon piagnucolone.
Jay però espose la schiena dove l'enorme scudo lo ricopriva tutto,  scomparendo sotto di questo e stringendo ancora fra le braccia Cubone per proteggerlo.
 
Il Cavaliere, infuriato per il comportamento del ragazzo, continuava a vibrare colpi contro il solido scudo che ora era il carapace del suo nemico, fin quando alle sue spalle spuntò dal suolo il Cubone ancora in lacrime che aveva fatto un buon uso del suo attacco Fossa.
Nonostante gli occhi ancora bagnati, riuscì a tirare una clavata col suo osso sul cranio del Cavaliere.
 
Questo stese il Cavaliere, ma l'Arcanine, alle sue spalle lo immobilizzò con una zampa al suolo.
«Cubone!» urlò preoccupato Jay, spuntando finalmente da sotto lo scudo e gettandosi contro il pokemon avversario.
Per l'Arcanine, però, non fu difficile rimandarlo indietro con una rasoiata dei suoi affilati artigli.
 
Serak intanto osservava la scena dalle retrovie, impotente. Per un attimo aveva pensato di scappare verso il Rifugio, alle sue spalle, ma sentiva di dover dare una mano in qualche modo: in fondo era per lui che stavano combattendo quei ragazzi.
Così i suoi pensieri si concentrarono nuovamente verso l'Arma Leggendaria al suo braccio.
 
Tremando, la puntò verso i Charizard, che svolazzavano sopra il campo di battaglia indisturbati. Non sapeva ancora come funzionava, quel coso, le altre volte aveva solo chiuso gli occhi e sperato che succedesse qualcosa, e così fece anche questa volta: dalla chioma metallica di Entei esplose un getto di fumo o vapore, e la parte anteriore della Reliquia partì a razzo verso il cielo, mentre la catena rimasta al braccio del ragazzo e legata al pezzo schizzato via cominciò srotolarsi velocemente.
 
Alla fine della sua corsa, le Fauci raggiunsero un Cavaliere e, sorprendentemente, si serrarono con violenza su un suo braccio. Il Cavaliere urlò dal dolore, sovrastando il 'crack' dell'osso spezzato, mentre fiotti di sangue iniziavano a colare lungo il metallo.
 
Quando Serak aprì gli occhi fu meravigliato dal sempre nuovo volto che quell'Arma gli rivolgeva, anche se questo era quanto mai indesiderato. Ma ancora più meravigliante fu quanto seguì: le Fauci richiamarono con forza le catene e, mentre il Cavaliere veniva spinto contro la sua cavalcatura dal peso del ragazzo, Serak schizzava incontrollato proprio contro di lui.
Le urla, purtroppo, per quanto forti, non riuscivano a frenare la sua corsa.
 
K, lasciato indietro dalla carica nemica, sollevò lo sguardo dopo essersi ripreso
"Persino Quinn e Jay hanno contribuito più di quanto abbiamo fatto io e Pawniard" lo sguardo si rivolse al pokemon, mezzo fuso e disteso sull'erba carbonizzata a qualche passo di distanza.
 
In quel momento gli passò accanto Bill, zoppicante con ancora le armi dei Cavalieri conficcate nella carne e grondanti sangue.
Poi anche Skoll, un po' più distante, si rimise lentamente in piedi, scrollandosi le piume dalla loro stessa cenere, per poi spiccare il volo.
 
Ancora una volta, Skoll riuscì a impedire che Serak finisse tra le grinfie del Charizard, che già si leccava i baffi per la preda che di sua spontanea volontà stava saltando nella sua bocca.
Con il ragazzo, il Fearow trascinò via anche il Cavaliere, ma la catena non aveva smesso di riavvolgersi e in breve raggiunse Serak.
 
Inaspettatamente, il Cavaliere guardò negli occhi il ragazzo e lo supplicò di non lasciarlo andare. Serak venne mosso a pietà, ma non le Fauci, che si riaprirono facendolo cadere nel vuoto.
Ancora una volta quell'Arma lo spaventò.
 
Molti metri più in basso K aveva osservato tutto.
"Anche quel ragazzo, un moccioso sconosciuto, vuole farmi fare la figura dell'idiota. Anch'io devo rialzarmi, combatterò anche senza il mio pokemon!".
 
Così il ragazzo si rimise a fatica in piedi e puntò verso il nemico più vicino: l'Arcanine che ancora stava infierendo sul Cubone: coi suoi due coltelli ben in vista iniziò ad urlare a squarcia gola, come per sospingere quella carica, anche se probabilmente sapeva di star andando incontro a fine certa.
L'Arcanine allora si voltò verso di lui, i canini in mostra. K chiuse gli occhi aspettando l'impatto.
 
E invece un'esplosione.















Il Cantuccio: scusate ritardo università iniziata bla bla bla

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Capitolo 13
*** Custodi ***


Capitolo 13 - Custodi Subito aprì gli occhi, e ne ritrovò altri due, azzurri e freddi come il ghiaccio, a restituirgli, severi, lo sguardo: li conosceva bene.
E quella mano, anch’essa la conosceva bene, ora gli bloccava fermamente il braccio proteso a recare offesa al nemico.
Alle spalle di quell’uomo che gli si ergeva davanti, imperturbato, una cupola d’energia, azzurra come i suoi occhi, che aveva sprigionato la potente onda d’urto che ora muoveva i capelli neri dell’uomo.
 
Era avvolto in una specie di lunga tunica gialla o mantello di pelliccia rasa e le uniche parti corazzate erano quelle intorno al collo, come una specie di ampio collare, decorato a strisce blu e dorate, tanto che sembrava davvero d’oro. Come sembrava d’oro quello strano copricapo che gli scendeva lungo i lati della faccia fin sulla strana corazza, sempre a strisce, sempre blu e dorato, ma che sopra la fronte, al centro, recava fiero una testa di Lucario dorata in scala.
Dalla base posteriore del copricapo si dipartivano quattro lunghi e strani pezzi di stoffa neri, terminanti con una punta rossa, così come neri erano anche i guanti di pelle, con borchia metallica sul dorso, che ancora stringevano il braccio del ragazzo; e sempre di pelle nera erano gli alti stivali, anch’essi con borchia metallica sul dorso del piede, che finivano inglobando dei pantaloni blu, stretti alle ginocchia e molto larghi sulle cosce, unico abbigliamento che un’apertura sul mantello giallo lasciava vedere.
 
Quando l’energia si dissipò e l’esplosione e la polvere lasciarono posto al silenzio un Lucario, con stesso collare e copricapo, atterrò al centro del cratere che aveva creato. Lo stesso sguardo freddo, ma iridi rossi come il fuoco.
Pokemon e padrone portavano sulla schiena una lunga e strana arma, commisurata alla rispettiva altezza: una specie di lungo bastone di ferro con, in cima, una grossa falce a mezzaluna tondeggiante.
 
«Cosa ci fate qui?» fece l’uomo, secco e veloce come un fendente.
«Abbiamo risposto ad una richiesta d’aiuto» rispose intimidito K.
«Non è vostro compito. Siete solo delle reclute, non siete ancora pronti per combattere»
 
Nel frattempo una lingua di sabbia sbucò fragorosamente tra le alte mura del Rifugio facendole assomigliare a rocciose fauci.
La massa informe, come uno sciame di insetti, raggiunse i Charizard investendoli uno dopo l’altro per poi mirare dritta verso il suolo, successivamente, una forte luce, filtrando attraverso la sabbia, percorse l’enorme scia rimasta in piedi, trasformandola al suo passaggio in vetro cristallino: pokemon e cavalieri vi erano rimasti imprigionati dentro, senza dare più segni di vita.
 
Dal terreno eruttò un grande Flygon corazzato che poi si posò davanti alla sua opera ammirandola compiaciuto.
Dal suo dorso saltò giù una giovane donna, bellissima, capelli lunghi, lisci… biforcuti… verdi… fin troppo simili alle antenne del suo pokemon.
Si tolse gli occhialoni da volo, grandi e rossi, spostandoseli sopra la fronte.
Reggeva sotto il braccio una tela su un cavalletto, la posizionò davanti all’enorme e sinuosa scultura di vetro realizzata dal Flygon:
«Dipingerò il vostro dolore!» urlò, e si mise a spennellare energicamente, correndo di qua e di là, facendo svolazzare la sua lunga veste verde con dettagli rossi e tintinnare lo strano bastone che aveva sulla schiena, con alla sommità una pietra rossa modellata a forma di disco e dei lembi di tessuto che producevano il rumore.
 
Altro botto e qualcosa, a velocità inaudita, disarcionò i due cavalieri che stavano infierendo sul Muk, portandoseli via con sé al suolo, alzando un gran polverone. Tra la terra sbucò un uomo largo e muscoloso, con la faccia coperta da una maschera ma un grosso sorriso sulla bocca, a petto nudo e pantaloni attillati.
«Bel lancio Tulkas!» fece allegro. Ma gli Arcanine orfani dei loro padroni non erano dello stesso umore e iniziarono a ringhiare contro l’uomo.
Questi non si scompose, ma sempre sorridendo suggerì di guardare in alto. Subito dopo un’enorme ombra iniziò ad espandersi come una macchia d’inchiostro nerissimo sul suolo, fino a ingoiare i due pokemon fuoco che, seguendo il consiglio, alzarono lo sguardo e iniziarono a guaire impauriti.
 
Un’norme massa rocciosa si abbatté su di loro, cancellandoli.
«Bell’atterraggio! Se continui ad allenarti così mi sa che stavolta lo vinci il torneo!» si complimentò l’uomo mascherato, con due pacche sulla roccia.
Quando la terra si diradò l’enorme masso, ricoperto di armi conficcatevi a forza, si smosse, alzandosi faticosamente: era un Rhyperior, anche lui con tanto di sorriso e maschera.
 
Sopra tutta la scena comparve un Gardevoir che iniziò a discendere lentamente verso il suolo, come rallentata da quella specie di gonna gonfiata dall’aria che ci passava gentilmente attraverso. Mentre planava dolcemente, leggiadra iniziò a volteggiare e a danzare, seminando uno strano tepore sotto di lei.
K, lì vicino, iniziò a sentirsi meglio, come un dolce tepore, guardò le sue ferite e le vide lentamente rimarginarsi, allora capì: stava usando Ondasana.
 
Anche il resto dei feriti, pokemon e umani, presenti nell’area iniziarono a sentire quegli effetti positivi.
Infine Gardevoir toccò il suolo.
«Cass! – la richiamò subito la sua padrona, la donna che stava ancora dipingendo – mettiti qui con Basil che manca un po’ di verde» e il pokemon raggiunse, un po’ imbarazzato, il Flygon invece tutto impettito in posa da vincitore davanti alla sua scultura.
 
«Oh oh! – rideva l’uomo mascherato, come se non riuscisse a togliersi il sorriso trionfante dalla faccia – Questo Pawniard è messo proprio male! Non penso che un’Ondasana basterà…»
«Ci penserà Mary al Rifugio, Finn, ora pensiamo a sgomberare l’area» lo riprese, sempre freddo, l’uomo dagli occhi di ghiaccio.
«E il vecchio Terry?» chiese avvicinandosi all’uomo.
«Sta bene, Cass ha rimarginato le ferite, ma dovrà recuperare dall’emorragia» rispose mentre Bill, rimesso in sesto, si avvicinava al corpo del padrone come per riscaldarlo col suo fiato.
 
Infine Skoll atterrò malamente vicino al Gardevoir, cedendo con una gamba che lo portò al suolo e lanciando versi di lamento.
Il pokemon psico colse il messaggio e corse a guarire sia il Fearow che Serak, sulla sua groppa.
 
«Tu devi essere il giovane Serak – esordì l’uomo dagli occhi di ghiaccio, sempre controllato – Tertroth stava sorvegliando la tua famiglia… a proposito, mi dispiace per ciò che è successo ma non siamo riusciti ad evitarlo»
«Chi siete?» chiese un po’ rintontito il ragazzo.
«Io mi chiamo Jakarath, ma tutti mi chiamano Jak. E questo – indicò il Lucario di fianco a lui – è Nubis»
«E io sono Andora – fece la donna con la lingua fuori dalla bocca per lo sforzo, ancora impegnata a dipingere con tutta la forza che aveva in corpo - che brutta epoca per i nomi quella in cui viviamo, eh? Ma non ti preoccupare, puoi chiamarmi Andy, come fanno tutti… ah, e le mie muse sono Basil e Cass»
 
«E questo è Tulkas» intervenne l’uomo mascherato sempre sorridente, indicando il Rhyperior che, di tutta risposta, rimandò al ragazzo un gesto di saluto fin troppo umano. Gli altri rimasero a guardarlo, mentre lui sembra aver finito le sue presentazioni.
«Ah, già! – fece, scuotendo la testa – Io! Che sbadato! Io mi chiamo Buster, piacere ragazzo…»
Serak però continuava a fissarlo
«E… sì, non è il diminutivo di niente… solo Buster… il nome vero l’ho dimenticato molti anni fa… sai, le botte in testa sono piuttosto comuni dato il mio stile di lotta… e qualcuna è stata davvero forte, in passato» ed esplose in una grassa risata.
 
«Quindi è questa la Reliquia che la tua famiglia custodiva» fece Jak avvicinandosi alle Fauci.
Serak, d’istinto, tirò indietro il braccio.
«Non ti preoccupare, sei in mani sicure, adesso» lo tranquillizzo il Custode.
Il ragazzo allora gli porse il braccio armato. Con cura Jak premette sugli occhi dell’Entei e liberò l’avambraccio di Serak.
«Dev’essere un pesante fardello per un giovane ragazzo della tua età…» Jak iniziò ad analizzare l’Arma da ogni angolazione.
«In realtà… la mia famiglia Custodiva anche il resto dell’Armatura…»
«Lo sappiamo… è stata una grave perdita per la Confraternita dei Custodi… anche se la tua famiglia non ne faceva parte»
Era la prima volta che qualcuno parlava di “Confraternita” e, a sentirla così, non sembrava qualcosa di molto diverso dall’”Ordine”.
 
«Andiamo, è ora di farti conoscere quello che noi chiamiamo, e da oggi lo farai anche tu, Rifugio»











Cantuccio: Sì, sono passati secoli dall'ultimo aggiornamento. Mi era morto il PC con conseguente distruzione dell'Hard disk e di tutte le storie... rimettermi a scrivere è stata un'impresa di autoconvincimento lunga ed estenuante. In più di mezzo ci sono stati esami universitari (e presto ce ne saranno altri :S), comunque mi scuso, e spero di riprendere ad un ritmo un po' più sostenuto. Grazie della pazienza :)
PS: a proposito, nel capitolo che avevo scritto prima della distruzione dell'hard disk si capiva molto di più che il look di Jak e Nubis è ispirato all'antico egitto, spero l'abbiate capito. Non usciranno mai più come erano usciti prima :(
PS: stavo di nuovo per dimenticarmi, ormai è giunto il momento di esprimere le mie posizioni sulla sesta generazione: questa storia è stata concepita poco dopo l'avvento della quinta generazione e già poco questa c'azzecca, ma la sesta generazione ha portato novità più importanti e "invasive", come il nuovo tipo. Ad esempio, il Gardevoir di Andy non subirebbe alcun danno da un attacco drago? Innanzitutto, per esigenze narrative, spesso la resistenza o la superefficacia o altre questioni tecniche ereditate dal gioco vengono ridimensionate (esempio: se un fottuto Salamence o che so io tira due unghiate ad un Clefairy, anche se queste unghiate prendono il nome di "dragartigli" di certo non attraverseranno il corpo del nostro paffuto amico rosa come un fantasma... a proposito, già l'immunità reciproca Normale-Spettro è più giustificabile, come quella Lotta-Spettro) ed è anche il motivo per cui raramente farò i nomi degli attacchi, anche se molti li farò capire senza nominarli esplicitamente. Altra questione sono i nuovi pokemon: non avendo giocato X e Y (e non so quando o se mai potrò farlo) non ho abbastanza informazioni per inserirli col loro background, soprattutto i leggendari, anche se alcuni mi piacciono. Infine le megaevoluzioni: hanno fatto indignare molti e in effetti la maggior parte non piace nemmeno a me, proprio a livello di estetica, e anche di raison d'etre, ma non posso negare che alcune mi tornerebbero utili nella storia... tanto che già, se siete stati attenti, c'è qualche strizzata d'occhio già in quest'ultimo capitolo...

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Capitolo 14
*** Rifugio ***


Capitolo 14 - Rifugio Terry e Zangoose (e Serak aveva dovuto difendere quest’ultimo come suo salvatore per convincere gli altri a fargli avere cure) viaggiavano stesi sulla groppa di Bill, ancora inermi, Skoll era sparito da tempo portando con sé il malconcio Pawniard, e probabilmente aveva già raggiunto il rifugio; a guidare la colorita carovana c’erano Jak e il suo Lucario, tutti impettiti, mentre dietro di loro viaggiavano Buster e il suo Tulkas, col primo che continuava a parlottare col secondo di tutto e di più, e, in coda, le reclute coi loro pokemon e Serak. Molto al di sopra delle loro teste, invece, c’era Andy col suo Basil, mentre il Gardevoir era svanito nel nulla appena si erano messi in marcia.

«Quindi tu saresti un custode, vero? – chiese Jay, il Cubone seduto sulle spalle – Cioè, non uno di quelli della Fratellanza, ma un custode, che vive con le proprie regole, fuori dall’Altopiano Nascosto…»
«Non lo assillare!» intervenne Quinn, pentendosi poi di aver parlato e ritirandosi imbarazzata fra le spalle come uno Shuckle nel suo guscio, le guance rosse anch’esse come il carapace di quel pokémon. Diede un’occhiata veloce a Serak e subito dietro di lei spuntò Muk, accigliato: questo non la ricopriva più come un’armatura, ma sembrava ancora essere protettivo e possessivo nei suoi confronti, e mal sembrava digerire il comportamento della ragazza.
«Sì, beh… io non lo sapevo che la mia famiglia custodisse qualcosa – rispose comunque Serak – ma credo che quello… faccia di me un Custode» concluse indicando l’Arma che ora si trovava nelle mani di Nubis.

«Ti piacerebbe – intervenne schietto K, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo – Per diventare veri Custodi bisogna allenarsi duramente. Siamo una squadra, e nella nostra squadra non c’è posto per un quarto elemento: è tradizione della Confraternita organizzare le reclute in squadre da tre, quindi non abituarti troppo alla nostra compagnia. E poi noi ci alleniamo dacché possiamo ricordarcelo, ora arrivi tu, con… con quella – gli rifila un fulmineo sguardo disgustato di sottecchi – con quei capelli… che saresti, un buffone di corte?» finito bruscamente il suo discorsetto, così come era iniziato, alzò il passo e si allontanò dai suoi coetanei.

«Non stare a sentirlo – lo rincuorò Jay – ti troverai bene con noi, e soprattutto sarai al sicuro… beh, almeno fino alla prossima luna piena…» il tono sfumò nel sibillino cercando di attirare l’attenzione di Serak, che, di risposta, non fece altro che fissarlo stranito.
«Non iniziare con queste storie!» lo richiamò timidamente Quinn, sempre poi arrossendo per la vergogna e abbassando lo sguardo, mentre il Muk di nuovo le spuntava alle spalle, imbestialito.
«Quali storie?» si trovò quasi costretto a chiedere Serak.

«Beh – iniziò Jay, come se non stesse aspettando altro, ma abbassando la voce – si dice che Jak sia nientemeno che… un Pokeantropo!»
«Un cosa?» chiese il ragazzo, occupando lo spazio che Jay aveva destinato allo stupore con semplice curiosità.
«Un Pokemannaro! … mezzo uomo… mezzo pokemon… mai sentito parlare? … ma delle streghe, delle streghe avrai sentito parlare! Andy è una strega! Una Mangianime!»

«Non è del tutto vero – intervenne l’interessata, calando dall’alto col suo Flygon che ora volava rasoterra – Alcune persone hanno una sensibilità più elevata di altre e questo denota dei poteri psichici sopiti… sono molto più comuni di quanto si pensi, solo che occorrono i giusti strumenti per sfruttarli – fece cenno al bastone che portava sulla schiena – Pietra Rossa, la preferita dai pokemon psico! Per quanto riguarda i Mangianime, trovo offensivo essere paragonata a loro: sono dei mostri, ma non quanto il nome e le leggende popolari lascino pensare: non mangiano l’anima dei pokémon, fanno qualcosa di più “scientifico”, sono esseri umani che mangiano parti dei corpi di pokémon, quelle che danno loro i poteri, per acquisirli, rischiando spesso di morire… Ha vissuto isolato dal mondo, dal nostro mondo, imbecille, non sa di cosa tu stia parlando!» concluse infine rivolgendosi brusca a Jay, prima di riprendere quota.
«Avete visto! Ha confessato di essere una strega!» esultò Jay, non capendo perché ciò non riscuoteva lo stesso effetto negli altri.

La loro meta non si trovava immediatamente dopo la grande Soglia tra le montagne, ma avevano dovuto camminare un bel po’ in mezzo alla fitta foresta di quell’altopiano, immerso e ben nascosto tra alti crinali innevati, prima di scorgere delle alte mura in palizzata di legno.

Jak si fermò bruscamente:
«Conservare l’equilibrio, redimere l’uomo» bisbigliò.
E subito i pesanti portoni di legno davanti a lui si aprirono, trascinandosi con fatica.

«Jak! – cominciò una voce maschile, prima ancora che il portone potesse essere in grado di rivelare a chi appartenesse – Ancora con questa parola d’ordine! Se foste stati dei nemici vi avremmo già avvistati da tempo!» a parlare, con una voce stridula, adatta alla sua stazza, era stato un uomo bassissimo, coi capelli neri tutti stropicciati e degli occhialetti tondi storti senza asticelle che si tenevano in bilico su un piccolo naso a punta, dando l’impressione di dover cadere da un momento all’altro, camice bianco e occhi stralunati, verdi e a palla, ma un grande sorriso anch’esso sbilenco.

Di fianco a lui, ma ancora più basso, c’era un Elgyem, col camice bianco anch’esso, che, forse traducendo quello che diceva il padrone nel suo linguaggio, emetteva strani versi quasi meccanici, mentre emulava perfettamente il suo gesticolio, in sincro. Portava gli stessi minuscoli occhialetti tondi senza stanghette, ma, non avendo un naso, era costretto a tenerli sospesi all’altezza a cui avrebbero dovuto trovarsi, usando la telecinesi, ma anch’essi traballavano pericolosamente, non si capiva se per fedeltà all’originale o per poca efficienza della levitazione.

«Sì, mi sono accorto del volatile di mio fratello molto tempo fa, potrebbe farci individuare a chilometri di distanza» ribatté, aspro, Jak.
«Avrei potuto farti saltare le cervella in qualsiasi istante, ogni tanto mi chiedo perché non lo faccia, fratello» saltato giù agilmente da un grosso Talonflame atterrato poco dopo, aveva parlato un giovane uomo, tutto coperto da uno spesso mantello con cappuccio, rosso fuoco, l’unico elemento che lo riconduceva al fratello, oltre l’occhio sinistro, azzurro come il suo, era quello destro, perché coperto dalla metà di una strana maschera, dorata e decorata come l’armatura di Jak, terminante sul collo con lo stesso collare, ma raffigurante un Talonflame e sembrava avere sull’occhio coperto un qualche meccanismo per aguzzarne la vista.
Sulla schiena portava quella che doveva essere la sua strana lunga arma.

«Non hai mai visto un fucile?» chiese il piccolo uomo in camice, un po’ comprensivo e un po’ divertito.
Prima che possa continuare un Miltank sfrecciò sullo sfondo, volando, uscendo di scena tanto rapidamente quanto vi era entrato e lasciandosi dietro una scia di latte.
All’inseguimento una vecchia signora, vestita da infermiera e con una benda sull’occhio destro
«Questo tuo “milk-pack“ non funziona! Pazzo di un nano!» urlò, rifilando una poderosa manata al volo sul retro della testa del destinatario dei suoi insulti mentre continuava a inseguire il pokemon.
«Mary!» Il piccolo uomo si affaticò a recuperare a mezz’aria gli occhiali scaraventati lontano dalla sua faccia, riuscendo a riacciuffarli dopo qualche evoluzione in aria causata da tentativi mancati, seguito alla perfezione da Elgyem. Alle sue spalle, nel frattempo, levitando a mezz’aria, comparve un Klinklang che stava seguendo il Miltank e la sua padrona, assorto nel macinare dei suoi ingranaggi.

Tra uno strano soggetto ed un altro, la carovana si riversò tutta nel Rifugio. I feriti vennero consegnati nelle mani dell’infermiera, recuperato il suo Miltank volante.
Ma Serak venne catturato da un suono, che mai aveva sentito.
Seguendolo fra i vari edifici in legno, tutti diversi fra di loro, giunse ad un giardino dove Cass, il Gardevoir, volteggiava soave, con gli occhi chiusi.
Ma il suono, dolce come quella danza, e armonioso, proveniva da un uomo, seduto su una roccia, con uno strumento sulle gambe.

Quando lo toccava, quando toccava quelle corde vibranti, quelle liberavano un suono, e questo cambiava a seconda di come e dove le toccava.
Ora cantava come un cuore triste, ora, gioiosamente, urlava fuori tutto il suo dolore; correva su, alto come una montagna, e poi cadeva giù, gentilmente, come pioggia.

L’uomo si interruppe quando avvertì la presenza di Serak, e Cass, come fosse terminata la magia, aprì gli occhi e, imbarazzata, scomparve un’altra volta.
«E’ molto timida quando esprime la sua arte – commentò l’uomo, giovane anche lui come il fratello di Jak – A volte io, lei, Basil e Andy ci riuniamo per delle sedute creative, ognuno con la propria arte… Ma che sbadato, io sono Peertleeson, ma tutti mi chiamano Peert, sono il bardo del gruppo. Tu devi essere il ragazzo nuovo… Serak, se non sbaglio. Ah, e lui è Lamneth, mio fidato amico e compagno d’avventure» fece cenno ad un Exploud che prima Serak non aveva notato.
«Cos’è quello strano aggeggio?» andò dritto al sodo il ragazzo, indicando il congegno che dava vita a quei suoni straordinari.

«Questa? … Un giocattolo che ha aiutato a distruggere l’umanità, credo… Non hai mai sentito una chitarra? Che vita orribile! Ma rimediamo immediatamente!» tutto contento, si tirò in piedi sulla roccia che gli faceva da seduta poco prima e, tirando fuori un cavo da non si sa dove, ne inserì un’estremità nella chitarra e l’altra, in uno strano buco in una piccola piastra metallica applicata artificialmente sulla schiena dell’Exploud, probabilmente dallo stesso uomo che aveva fatto volare il Miltank.
Poi coprì il buco sulla chitarra, sotto le corde, con una tavoletta di legno che sembrava designata a quello scopo, e assunse una posizione ferma, che lo faceva troneggiare su tutto il giardino intorno.

«Pronto Lamneth?» chiese, e quello gli fece un convinto segno di intendimento.
Poi spalancò la bocca e Peert, con uno strano piccolo oggetto fra le dita, colpi forte tutte le corde insieme.
Il suono che eruttò dai potenti polmoni del pokemon scosse l’aria e fece tremare le pareti di legno del Rifugio.

Il bardo incalzò, creando un ritmo potente e rabbioso, mentre sembrava abbeverarsi alla forza del suo pokémon come ad una fonte.
«Cos’è questo baccano!» urlò una voce, un’altra voce nuova.
«Sempre lui» fece scocciato Peert, fermandosi di botto e facendo tornare la quiete.

A parlare era stato un uomo alto e sottile, ma vissuto, non giovane come la maggior parte degli altri Custodi.
Uscì in pompa magna da una serra, spalancandone le porte, imbufalito, e decine di Zubat, Golbat e Crobat scapparono via, proprio come era successo cogli Heatmor alla grotta.

«Ti presento Venilor, per gli amici Ven, quindi per nessuno» lo introdusse, sprezzante, Peert.
«Non mi interessa se abbiamo ospiti o cosa, Peert, ti ho detto che non puoi usare quella diavoleria perché disturbi il mio lavoro!» si lamentò Ven, accennando al ragazzo.
«Non è un ospite, Ven – intervenne Jak, entrando in scena tra i vicoli che portavano al giardino – Ma un nuovo membro della nostra famiglia. La sua ha custodito le Reliquie di Entei per secoli, e noi lo addestreremo a continuare questa venerabile tradizione…»

«Jak» intervenne anche il piccolo uomo in camice.
«Sì, Al?» finalmente veniva a sapere il nome, o almeno il diminutivo, dell’ultimo dei Custodi che sembrava mancare all’appello.
«Il vecchio Terry… si è svegliato… e chiede del ragazzo»
Serak, senza nemmeno attendere la risposta di Jak, partì spedito, e il Custode sembrò indispettito da questo travalicamento.
«Il nome intero, comunque, è Albethorf» confidò sottovoce l’uomo mentre lo accompagnava da Terry.

Una volta giunta alla casa dell’infermiera, Serak vi si fiondò dentro, trovando il vecchio cosciente ma ancora a letto.
«Mi hanno raccontato la battaglia – faticò, cercando di tenere alto a forza un sorriso – E che ti sei distinto… sembra che tu abbia una predisposizione naturale per usare quella Reliquia… Ascolta… fece, avvicinandoselo ed abbassando la voce – ora qui inizierai una nuova vita, sarai protetto e felice, so che avrai voglia di combattere, e ti addestreremo a farlo… ma non lasciare mai quell’Arma… vorranno negartela, ma tu sei fatto per lei, solo padroneggiandola potremo sconfiggere gli Ordini e riportare la pace. Io sarò con te, sarò il tuo maestro e mentore, sarò sempre dalla tua parte, ricordalo…»

Intanto, molto lontano, uno Skarmory faceva tentennare le sue metalliche piume mentre avanzava lungo la navata di un castello, accompagnato dal suo padrone, interamente rivestito da un’armatura di ferro senza colori ne fronzoli, ma leggera, che non sembrava per niente ostacolare i movimenti.
Arrivati alla fine della loro camminata, davanti ad un trono, si inchinarono entrambi.
«E’ vero quello che mi hanno detto!? – esordì l’uomo seduto sul trono – La Nazione del Fuoco ha delle Armi Leggendarie!»
«Sì signore» rispose concisamente l’uomo in armatura.
«Ebbene, certamente sapranno che questo significa guerra!»









Cantuccio: sì, lo so, proprio la volta scorsa esprimevo dubbi su la sesta generazione ed ora ci ritroviamo un Talonflame... però era il pokemon perfetto per quel personaggio, anche come simbologia ;) A proposito, chi scova il riferimento (i riferimenti) da 1 milione di danari, vincerà una fornitura a vita di mia stima in gettoni dì'oro.
Comunque, finita questa estenuante carrellata di personaggi. Dalla prossima volta si farà sul serio. Scusate se sembra un capitolo un po' affrettato, ma è periodo d'esami, capitemi D:
PS: spero si sia capito il tributo/parodia al mondo dei giochi di ruolo con questo capitolo ;)

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Capitolo 15
*** Guerra ***


Capitolo 15 - Guerra  Il Sole, alto, possente, semina la sua luce per tutto il cielo, azzurro, sgombro, talmente vuoto da far venire le vertigini, come se da un momento all’altro il Mondo intero dovesse rovesciarsi sul ventre, facendo cadere in quell’azzurro abisso tutti quelli che vi camminano sopra.
 
In lontananza, uniche forme a innalzarsi, monumentali, su una distesa a perdita d’occhio di erba verde, due ciminiere, gemelle, ultime vestigia della Prima Civilizzazione, talmente lontane da non poter dire con sicurezza come finiscano a terra, troppo per potervisi aggrappare quando il Mondo si capovolgerà.
 
Nessuno sa chi edificò tali monumenti, né a quale scopo lo fecero, o come; e perciò li temono, quei grandi spaventapasseri di pietra annerita. La maggior parte delle opere della Prima Civilizzazione sono andate distrutte, perse, o giacciono in rovina, com’è possibile che queste invece sembrino intonse, immobili nel tempo, incrollabili? Si chiede la gente del posto che le vede svettare oltre l’orizzonte.
 
Ma l’ignoto spaventa e attrae insieme, e quei monoliti gemelli, slanciati verso l’infinità del cielo terso, proiettano un alone di misticismo quanto le loro lunghe ombre che si sdraiano indisturbate sul verde letto che le circonda, segnando la lenta marcia del sole come una sproporzionata meridiana; e quando quello si trova a passare, basso, tra di loro, ecco che si crea una porta per un qualche luminoso Paradiso.
 
Ma la verità è che si sentono soli, quei pungoli nel costato del cielo, ultimo slancio di antica superbia; hanno solo l’un l’altro, attraverso i secoli.
 
Eppure oggi hanno compagnia: due eserciti, fronte a fronte.
Tra di loro il verde oceano.
Il vento che prima sembrava accarezzare l’erba dolcemente, ora monta in collera, sferzandola con violenza; mentre come un’onda l’attraversa tutta piegandola al suo passaggio, dipinge una splendida aurora di smeraldo: ecco fatto, cielo e terra si sono scambiati, il Mondo s’è capovolto.
 
Non sembrano, però, accorgersene, quei mostri compositi.
Uno sbuffa, fumo nero, tintinna, scalpita; l’altro è fermo, ronza, splende di luce propria, soffusa luce azzurra, scorre tra le sue fila mentre delle veloci lingue elettriche guizzano nell’aria, come bestie che pregustino il sapore della battaglia.
 
Il Demone della Guerra ha trasfigurato i loro corpi, rendendoli essi stessi simili a demoni: gli uni completamente ricoperti da un’armatura da samurai di ferro, tra il rosso e il rame, che ticchetta in mille ingranaggi espellendo al contempo fumo nero da un piccolo comignolo sulla schiena, la faccia completamente nascosta da una maschera antigas.
Gli altri di nuovo in armatura samurai, ma con visiera sulla faccia che la nasconde anch’essa, mentre tutto il corpo è ricoperto da fili ed elettricità che producono il tipico rumore di sciami infuriati.
 
Sono rispettivamente la Nazione del Fuoco e quella del Fulmine.
 
Il comandante Arderan è l’unico fuori dalle fila del suo schieramento; in groppa al suo Charizard nero, a terra, ricoperto, come tutti i Pokémon dell’esercito, da un’armatura meccanizzata, regge il vessillo della Nazione del Fuoco.
 
Ma lui è diverso, la sua armatura è diversa: si distingue dalle altre, per fattura, forme e colori, più robusta e più finemente lavorata, di un acciaio impettito e altero, sinuosamente modellato, non già come ogni altro metallo, ché anche la più abile mano di fabbro non riesce a nascondere del tutto la sua natura di artificio, di forzatura, ma bensì come fosse quello stesso, a suo piacimento, a voler assumere quelle forme. Strane forme. E le più strane sono due serie parallele di spuntoni che dipartono dalla schiena, leggermente coperti da una specie di mantello che sembra fatto di nero fumo.
Eppure anche tale mirabile opera ticchetta, sobbalza e sbuffa: ingranaggi e tubature le sono state accollate, postume, rovinandone la bellezza.
 
Il comandante solleva il braccio sinistro, mostrando le Fauci di Entei al suo esercito di uomini-macchina, la sua espressione impassibile non fa intuire se per dare sicurezza o semplicemente per attirarne l’attenzione.
Da un grande comandante ci si aspetterebbe un grande discorso prima della battaglia, che sia la scintilla che accende le membra dei suoi uomini, ma le macchine non hanno bisogno di discorsi, e tutto quello che esce dalla sua bocca, è un terrificante e possente urlo.
 
Poi, tra le fila rosse, si fanno avanti degli enormi costrutti, in ferro, dal rudimentale aspetto di Magmortar, al loro interno piloti e rispettivi pokémon, dai Quilava ai Charmeleon e a ogni pokémon la cui fiamma sia forte abbastanza da smuovere quel metallo.
I mostri puntano i cannoni che hanno per braccio destro verso il cielo e lanciano ventate di fuoco.
 
Anche dall’altra parte, però, tra il blu accecante delle luci, spuntano enormi costrutti di metallo, ma con l’aspetto di Electivire e dotati di spade su misura, accese anch’esse di una forte luce blu che le percorre forse costituendole interamente, ma anche questi hanno piloti e sono alimentati da pokémon elettro al loro interno.
 
E sono proprio questi mostri, da ambo gli schieramenti, ad iniziare la carica, seguiti a ruota dalla fanteria, mentre in tutta la valle risuona l’urlo di guerra, unisono, della fiumana di demoni che ha oscurato il cielo e fa tremare la terra. E le ciminiere risuonano come un macabro diapason.
 
«Serak! Sbrigati, farai tardi per la cerimonia!» lo incalza Quinn. Tutti questi anni e non ha mai perso il rossore sulla faccia quando gli rivolge la parola.
«Arrivo!» la rassicura il giovane, riemergendo dal lago di elucubrazioni in cui si era immerso quasi senza accorgersene.
Gli capita spesso. A tutti dovrebbe capitare. Insomma, il mondo sta andando a rotoli. Di nuovo.
Questa guerra dura da ormai sette anni, da quel giorno in cui è arrivato al Rifugio ed è diventato una Recluta.
 
Ma da oggi non lo sarà più, oggi diventerà un Custode a tutti gli effetti, dopo sette anni di allenamenti.
Eppure, nonostante ormai sia un giovane uomo, maturo e preparato al mondo, non riesce, ogni tanto, a fare a meno di pensare che tutta questa follia sia correlata alla scomparsa dei suoi cari.
Da quel dolorosissimo giorno, dall’istante esatto in cui ciò che per lui rappresentava l’ordine contro il caos, la pace contro il male, la felicità contro il dolore, è venuto improvvisamente a mancare, tutto il mondo sembra aver subito il suo stesso smarrimento e sia caduto nella follia, come se quel ruolo di collante la sua famiglia lo ricoprisse per tutta la realtà che ora crolla impietosamente.
 
Sì, è irrazionale, ma sembra così lampante.
 
Gli sembra perciò quasi di sentire ogni battaglia, di avvertire ogni fendente sferzare l’aria che gli sfiora il collo, la Guerra un’inquietante presenza che veglia su di lui, invisibile, giorno e notte.
 
Scuotendo la testa scaccia gli ultimi pensieri e finisce di indossare l’armatura in tenuta da cerimonia.
 
Non aveva mai visto, fin ora, la Sala delle Reliquie, non aveva mai visto ciò per cui si allenava così duramente e ciò a cui, tra poco, avrebbe votato la vita. Si rende conto solo ora di quanto sia stupido e paradossale.
“Questioni di sicurezza” gli rispondevano.
 
La Sala è più lunga che larga, come un’unica grande navata.
Vi si accede dal Tempio di Mew, fulcro di tutto il Rifugio.
Ancora ricorda le sue domande insistenti su Mew e la storia dei Custodi e della fine della Prima Civilizzazione. Aveva imparato che ciò che custodiscono non si trova solo in quell’inaccessibile Sala sottoterra, ma anche nella grande biblioteca, vessillo dell’antica conoscenza, di pensieri e parole che la maggior parte degli uomini ritiene estinti, e invece le idee si sono rivelate più resistenti degli uomini che l’hanno concepite.
 
A volte “il culto di Mew” sembra fin troppo simile a quello per un Dio, come quello che i sudditi della Nazione del Fuoco riservano per il loro Imperatore.
Ma quando avanzava questo dubbio Terry gli rispondeva che di essere onnipotente se ne esisteva uno, non era certo Mew, ma Arceus, ciononostante Mew aveva salvato l’umanità e, indirettamente, fondato la Fratellanza dei Custodi, e quel tempio, così come le incisioni sulle loro armature, esprimevano la gratitudine dovutagli.
 
Eccolo lì, Terry, lungo la navata, con un sorriso da un orecchio all’altro. Al contrario di quanto è successo per gli altri membri della Fratellanza, ancora nel fiore degli anni, il tempo non è passato senza lasciare traccia sul suo volto: rughe più numerose e più profonde solcano il suo viso, e non solo per l’esagerato sorriso; i suoi capelli, sebbene ancora ritti come un cespuglio, sono ormai completamente bianchi.
 
Ci sono tutti nella Sala, a formare un corridoio umano che porta verso l’altare su cui Jak, austero come sempre, aspetta le Reclute.
Lungo tutte le pareti sono disposte statue di Pokémon leggendari e, davanti a queste, teche con le rispettive Reliquie. E ci sono molte più statue che Reliquie.
Dietro l’altare, sul lato corto della sala, osserva tutti dall’alto l’imponente statua di Arceus. La sua teca vuota. Fatta per accogliere una Reliquia che da molti degli stessi Custodi è considerata una leggenda.
 
Durante la cerimonia l’unico a fiatare, oltre a Jak che celebra, è il Muk di Quinn, l’unico pokémon in Sala poiché nessuno era riuscito a farlo desistere. Le sue lacrime di commozione, come quelle di un padre che veda sposarsi la figlia, corrodono il lungo tappeto rosso che si srotola per tutta la lunghezza della stanza.
 
In realtà il tutto dura poco e subito iniziano i festeggiamenti.
Peert suona grazie alla possente gola di Lamneth, mentre una Mary ubriaca cerca di ballare, riuscendo solo a dondolarsi appesa al collo di un divertito Buster, mentre i pokemon del dojo di quest’ultimo se le danno di santa ragione, così, per divertimento, nel piazzale centrale del Rifugio.
 
Serak è seduto sul bordo della fontana di Lugia, come sempre assorto nei suoi pensieri, nonostante il trambusto che sta facendo Jay poco distante.
«Non mi starai diventando un muso lungo come K, vero?» scherza Terry, avvicinandosi e sedendogli di fianco.
«No è che… non lo so…» cerca di difendersi il ragazzo, provando a trovare qualche scusa ma fallendo miseramente.
«Ehi, oggi niente pensieri infelici, d’accordo? Confratello?» l’occhiata vispa associata a quest’ultima parola fan scappare un sorriso al ragazzo.
«E non solo tu ora sei un membro di questa grande famiglia, ma anche Zangoose. E come tale merita un nome… Ma non preoccuparti, so che ancora non l’hai trovato, sono sicuro che al momento giusto arriverà» sempre quel sorriso tranquillante che lo aveva cullato per sette anni.
 
«Comandante, la battaglia è vinta… le truppe nemiche si ritirano e…»
«Vittoria!? – lo interrompe – questa tu la chiami una vittoria!?» Arderan indica la distesa di cadaveri in fiamme intorno a lui.
«Abbiamo perso troppi uomini! – lamenta – Assicuratevi che non ci sia nessun sopravvissuto e poi torniamo al campo…» conclude sommesso.
 
Il verde prato non c’è più, macchiato dal sangue e consunto dalle fiamme.
Il cielo nero vomita una pioggia di disgusto e dolore, come a voler lavare via freneticamente, quella morte e quella bruttezza.
Nemmeno le ciminiere, per quanto distanti potessero sembrare, sono state risparmiate: una è crollata nella foga dello scontro, e ora l’altra piange la perdita della sorella e pensa a quanto sarà sola la sua eternità.









Cantuccio: Eccomi tornato. Non mi dilungherò nell'apportare le solite scuse sul malfunzionamento di internet e computer... MA SONO VERE! Comunque finalmente ho cambiato gestore del wifi e ho una linea buona, e il computer non crasha più, quindi da adesso dovrei riuscire ad essere più regolare (ultime parole famose.
Cooomunque... timeshift alla manga d'obbligo e cyberpunk vs. steampunk in un nuovo medioevo giapponese in salsa pokémon, io vi avevo avvisati che questa storia sarebbe stata un accrocchio di roba XD Mi piace esagerare

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Capitolo 16
*** Risveglio ***


Capitolo 16 - Risveglio La luna, timida, sembra di proposito non voler diradare le tenebre intorno a sé con la sua candida luce, come a volersi confondere tra gli altri innumerevoli, meravigliosi, bagliori della notte.
Serak la osserva, catturato da quella tenerezza, quasi incantato.
 
Ma poi un fruscio poco lontano, qualcosa che si nasconde fra le frasche più basse, ai piedi degli alberi.
Istintivamente il giovane insegue quel suono, facendosi largo fra la fitta vegetazione, e la cosa che l’aveva prodotto sembra allontanarsi, di corsa, fuggire.
Ma non sembra un inseguimento: Serak sta facendo il suo gioco.
 
Dopo un tempo indefinito, senza aver provato nessuna fatica e con la mente concentrata solo a raggiungere quella cosa, il giovane sbuca fuori dalla foresta, ed una monumentale e maestosa scena gli esplode negli occhi nell’argenteo lume lunare:
 
Una città, gigantesca, distrutta. Palazzi di ferro, pietra e vetro, come giganti caduti, giacciono, gli uni riversi sugli altri o sdraiati al suolo.
La natura li ha reclamati e il verde ora li ingoia, li stritola.
 
E lì, in cima ad uno dei pochi giganti ancora in piedi anche se azzoppato, di nuovo lui, a stagliarsi contro quella grande luna piena alle sue spalle, come un’aureola: Absol.
 
Come sputato fuori da un lago gelido, Serak drizza seduto sul letto.
Il respiro pesante, gli occhi corrono a destra e a sinistra, un po’ per accertarsi che lo scenario che vedevano poco prima sia interamente scomparso, un po’ per assicurarsi che nessuno degli altri si sia svegliato.
 
Istintivamente, per dare sfoga ai fremiti che scorrono lungo il suo corpo, scende dal letto ed esce dal dormitorio.
La luna, quasi identica a quella nel suo incubo, è sempre lì, forse solo un po’ meno grande.
L’aria fresca della notte lo calma un po’, così come la visione delle macerie della festa di qualche ora prima.
 
Ma poi sente delle note, fredde come l’aria, ma meno confortanti, come dei gelidi aghi conficcarglisi nelle carni. Seguendole scopre, come si poteva aspettare, che è Peert a crearle, ma non è il solito bardo allegro e spensierato: gli occhi chiusi, la faccia corrucciata; davanti a lui Cass danza, come sempre levitando a pochi centimetri dal suolo, in un cerchio al cui interno Andy è assorta nel gettare con violenza colori su una tela che una volta doveva essere bianca, bianca come i suoi occhi, mentre brandisce il pennello con la ferocia d’un assassino che brandisce un pugnale.
 
La scena, per quanto inquietante, ha un che di bello e sacro, e Serak non osa interromperla.
Ma poi tutto finisce, senza nemmeno poter ben dire come. Tutti sembrano quasi nello stesso stato in cui era Serak appena uscito dal suo scomposto sonno.
 
«Serak!» Peert è il primo ad accorgersi di lui. Cass scompare all’istante.
«Che ci fai ancora in piedi a quest’ora? – chiede Andy, col fiatone – Ancora incubi sull’incendio» nonostante lo shock che sembra appena aver subito riesce comunque a tirar fuori un’espressione dolce e rassicurante.
«No… - risponde Serak avvicinandosi – stavolta non c’era il fuoco… c’era… quello!» esclama indicando il dipinto appena è abbastanza vicino da vederlo anche nella semioscurità: delle rovine di una grande città.
 
«Hai sognato questa identica scena?» chiede Peert, in apprensione.
«Sì beh, in più c’era un Absol…»
«Questo significa che le macerie potrebbero voler dire solo distruzione e sventura, l’oracolo non deve essere per forza preso letteralmente…» fa Andy.
«Non è che questo migliori le cose…» commenta preoccupato il bardo.
 
«Ho già visto quell’Absol» rompe il silenzio il ragazzo appena creatosi, secco.
«In un altro sogno… il giorno in cui tutta la mia famiglia morì… Era avvolto dalle fiamme… Quella volta ho perso tutte le persone che mi erano care… non voglio che succeda di nuovo…»
Andy si alza di scatto e abbraccia con forza il ragazzo.
«Non perderai questa famiglia, Serak» gli sussurra.
 
Intanto, due Sneasel, nel loro rifugio di ghiaccio nascosto chissà dove, stanno facendo un a prova di forza, un vero e proprio braccio di ferro. Sono in stallo, ma poi, uno dei due, senza dover nemmeno spostarsi troppo, graffia leggermente l’altro sulla guancia con i lunghi artigli della mano impegnata nella stretta avversaria, il tanto che basta per far distrarre e perdere l’altro Sneasel.
 
Questo si arrabbia e cerca di controbattere, ma il vincitore non vuole sentire ragioni e alternando sghignazzate a sbadigli si dirige verso il suo giaciglio per concludere la serata, a quanto sembra dagli occhi mezzi socchiusi e pesanti di sonno.
 
Sbuffando, il perdente si incammina nella stretta galleria che lo porterà al suo dazio, sbadigliando anche lui e stropicciandosi gli occhi col dorso della zampa.
Finalmente giunge in un’enorme sala di ghiaccio dove salta all’occhio una delle sue pareti, interamente ricoperta di piccoli graffi verticali, dal soffitto al pavimento, da una parete all’altra, o quasi dato che ne manco solo uno per riempirla tutta, migliaia di graffi.
 
Controvoglia, lo Sneasel allunga un artiglio sul duro ghiaccio della parete e vi incide l’ultimo segno.
Fatto il suo dovere prende la via per il suo riposo, ma poi, come colpito da una folgorazione, si blocca all’istante, e allargo lo sguardo sulla colossale parete: è piena!
 
Secoli e secoli, generazioni su generazioni della sua famiglia hanno poggiato i loro artigli su quel ghiaccio millenario e inciso il trascorrere del tempo…. E ora l’attesa è finita!
Si volta lentamente a guardare la parete prospicente, l’indefinita sagoma intrappolatavi dentro da tempo immemore.
 
Subito chiama l’altro Sneasel che, sopraggiunto di corsa, fissa anche lui lo sguardo sull’essere congelato nel ghiaccio perenne, con un grande sorriso maligno sulla faccia.
Sfodera gli artigli e li conficca nel ghiaccio.

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Capitolo 17
*** Rivelazione ***


Rivelazione Un esodo come questo non si vedeva da millenni, dal Tempo del Giudizio. E ancora una volta tutti quei pokémon si dirigono verso lo stesso monte: il Picco del Risveglio.
Ma sono altri tempi, e altre motivazioni quelle che spingono il fiume vivente; intere pianure, intere foreste, mobilitate da quel singolo pokémon, che ora capeggia la carovana, fiero, impettito sui versanti scoscesi del Monte.

Non cammina nemmeno: fluttua, a mezz’aria, come quella terra, quand’anche sia sacra poiché fu la più vicina alla beatitudine, non sia degna dei suoi piedi.
Lo sguardo, crucciato, carico d’odio ma anche di sicurezza, rivolto solo alla vetta, per tutto il viaggio. Alle sue spalle la folla innumerevole sembra solo fargli da mantello.

Mewtwo, il Nemico, è tornato nel luogo in cui fu più vicino all’essere un Dio, al pari di tutti i pokémon che con lui accettarono la beatitudine.
Subito tornano alla mente la scottante ingiustizia nel vedersi accomunato a tutti gli altri mentre nel Vecchio Mondo egli era temuto e rispettato. E l’invidia per Arceus, che nonostante professasse l’uguaglianza, spuntava fra tutti come il Dio che era.

E allora tutto fu chiaro: doveva prendersi il suo posto. E così ammaliò gli altri pokémon con il suo intelletto superiore e ritorse un grande esercito contro i fedeli del Primevo.
E grande e feroce fu la battaglia nel Mondo Beato.

Ma ancora una volta l’orgoglio di Mewtwo fu ferito poiché dovette ammettere la superiorità del suo nemico. La sconfitta fu inevitabile.

Mewtwo, l’Esiliato, il Reietto, rispedito sulla Terra insieme ai suoi seguaci. Giurò vendetta. Ma vide quella anche come un’opportunità: nel Mondo degli Uomini non c’erano Dei, lì avrebbe regnato e sarebbe stato osannato sia da Pokémon che dagli Uomini, cosa in cui nemmeno Arceus era mai riuscito.
Ma non era quello il tempo: gli Uomini erano ancora forti, ma stavano provvedendo a distruggersi a vicenda. Così capì che doveva aspettare, e così fece, per duemila anni, ibernato nel profondo nord.

Ora che l’attesa è terminata, ora che i suoi seguaci, ritrovati nelle generazioni o appena sedotti, circondano il Monte dove avvenne l’Assunzione e il primo Dio sì palesò, uno nuovo sta per rivelarsi al Mondo.

Sulla cima più alta della Terra, immobile alle sferzate di vento gelido e neve, Mewtwo si circonda di alcuni Bronzong e Bronzor: la loro risonanza servirà ad amplificare i suoi poteri psichici, poiché ora si appresta a lanciare un messaggio a tutto il mondo tramite telepatia.

K urta Serak uscendo dalla porta. Uno sguardo e poi se ne va senza dire una parola.
Il ragazzo lo segue un po’ con gli occhi, insospettito da quel comportamento, ma poi procede nella casa di Jak.

«Ora che sono un vero Custode dovrai ascoltarmi Jak!» esordisce.
«Anche tu, di nuovo!»
«Non possiamo più continuare a restare con le mani in mano! Dobbiamo intervenire! La guerra sta distruggendo due nazioni!»
«Ah sì? E’ per questo che vorresti intervenire? Non per una tua propria vendetta personale? E anche se fosse, non è compito dei Custodi, noi non ci immischiamo in faccende politiche…»
«Ma è nel nostro giuramento: “Conservare l’equilibrio” invece lì fuori c’è il caos!»
«Sarai anche un Custode a tutti gli effetti, adesso, ma sei ancora giovane… Equilibrio non sempre coincide con ordine…»

«E allora cosa mi dici di “Redimere l’uomo”? Come facciamo a redimere l’umanità standocene fermi con le mani in mano? Lasciando che uomini e pokémon si uccidano a vicenda?»
«Forse per redimerla bisogna mondarla dai malvagi, perciò lasciamo pure che si scannino tra di loro…»
«… Non posso credere che tu la pensi così…»
«E’ l’unico modo in cui la si possa pensare… siamo troppo pochi contro due eserciti, cosa pensi che potremmo fare?»

«Non mi interessa, io continuerò a proporre l’intervento in ogni Riunione della Confraternita! Infondo nessuno prende decisioni da solo qui!»
«Mi dispiace, ma la pensano tutti come me… tranne il tuo compagno… K»
«K? Anche lui…»
«Già, ma non otterrai informazioni da me…»

Serak, stupito sia dall’inaspettato comportamento del compagno che dalla repentina riservatezza di Jak, rimane un istante in silenzio, a cercare indizi nelle sue memorie di ricordi che potessero collegare K a quelle idee.

«Jak – riprende sottovoce, quando non ne trova alcuno – Ho fatto… ho fatto un sogno qualche notte fa…»
«Sì lo so, Andy me n’ha parlato, di te e del suo quadro… Ma non sempre le sue arti divinatorie sono corrette…»
«Jak! Io ho già visto quell’Absol… e ogni volta che è successo è capitato qualcosa di terribile… Ho studiato i libri antichi della biblioteca in questi 7 anni… So che è stata una guerra fra uomini a distruggere la vecchia civiltà… Potrebbe succedere ancora!»

«Salve, miei sudditi»
Una voce sbuca dal nulla. Sia Jak che Serak si guardano intorno, ma non c’è nessuno, eppure sembra così vicina.
Nello stesso istante perfino da fuori o da altri edifici nel Rifugio giunge un urlo, come se qualcuno fosse stato colto di sorpresa.

«Chi vi parla è Mewtwo» un Pokémon Leggendario!? Qui nel Mondo degli Uomini!?
Ora appare subito chiaro che non c’è nessuna voce da seguire: il pokémon psico sta comunicando via telepatia.
«Il vostro nuovo sovrano e Dio – prosegue calmo – sia che voi siate Pokémon o Umani.
Molti miei seguaci fra i primi si sono già uniti alla mia discesa su questa Terra, ma non abbiate paura, nessun uomo verrà discriminato. Tutti saranno uguali sotto la mia guida, e regnerà la pace. Tutto ciò che vi chiedo è la cieca fedeltà e ubbidienza.

Ovviamente qualsiasi forma di resistenza verrà punita aspramente, con l’annientamento. E nessuno potrà considerarsi mio seguace se non punisce gli infedeli. Quindi, Pokémon, ribellatevi ai vostri padroni se non vogliono perseguire la retta via, e anche voi, Umani, sopprimete le vostre bestie se stupidamente non vedono la luce!

Presto mi manifesterò a tutti i popoli e per allora mi aspetto una risposta da parte delle Nazioni degli Uomini, a cui ricordo che posso schiacciarle tutte insieme senza fatica. Ora mi ritirerò per qualche tempo, in cerca di qualcosa che mi appartiene, ma non dubitate, saprò sempre ciò che fate, dite e pensate, perché grande è il mio potere!»

Come era venuta, inaspettata, la voce scompare dalla testa di Serak, che ora fissa Jak. Lo sguardo confuso, spaventato, ma anche, al contempo, beffardo, come a voler dire “ora dovremo per forza prendere una posizione”.
«No» fa schietto quello, come avendo decifrato quello sguardo, oppure Mewtwo non è l’unico capace di leggere nel pensiero.
«Avete sentito!?» Si precipita dentro, affannato Terry, piegato in due con quel cespuglio bianco che ondeggia su e giù.

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Capitolo 18
*** Missione ***


Capitolo 18 - Missione Il ruggito terribile degli Arcanine rimbomba nel Rifugio insieme al frastuono delle loro fiamme.
«Vai Burg!» urla Jay, armato di solita spada, scudo e armatura.
 
Un Marowak atterra a gran velocità su un Arcanine penetrandogli le carni con violenza con due enormi machete terminanti in manico d’osso, precisamente quelle che sembrano due teste d’omero.
Lo sguardo deciso, fermo, inquietante, nascosto da uno strano teschio cornuto, più grosso e terrificante di quello di ogni altro Marowak: neanche la minima traccia in quegli occhi di ghiaccio del piccolo Cubone piagnucolone.
 
Immediatamente, l’Arcanine morto svanisce in mille luci turbinanti, ma altri si fanno avanti, cavalcati dai loro padroni.
«Ah ah! Visto il mio Burg? I suoi machete d’Ossospesso l’hanno reso ancora più forte, ora è praticamente invincibile!» fa tronfio Jay.
 
Ma non si avvede del ticchettante Cavaliere alle sue spalle che, katana sguainata, sta per prenderlo alle spalle con un fendente, quando una lama intercetta quella nemica.
«Sì, ma dovresti anche imparare a combattere da solo» commenta K, padrone di quella strana lama, ricurva, che gli spunta dal fianco dell’avambraccio attaccata ad un bracciale metallico.
 
Deviata poi la katana, un netto e veloce taglio all’addome con la gemella di quella lama dall’altro braccio, prima di finirlo con un colpo dritto alla gola.
Poco distante il suo Bisharp atterra un altro Arcanine.
 
«Bel lavoro Slasher» commenta serioso K: è armato e vestito esattamente come il suo pokemon, lame da braccio incluse.
«E per inciso: questo è un bel nome, non come quello schifo, Burg, che diamine vuol dire?» fa poi, pungente e cinico, rivolto a Jay, mentre il Cavaliere e il suo Arcanine lì vicino esplodono in mille luci.
«Mi è venuto dal cuore! – risponde, un po’ indispettito, Jay – Non come quella schifezza: solo perché taglia… che cosa stupida…»
 
Ma sono interrotti dal passaggio a tutta velocità di un Arcanine al galoppo.
In piedi sul suo grande dorso Serak è immerso in un fitto duello di fendenti e parate con scudo e spada del tutto simili a quelli di Jay, dotazione standard dei Custodi.
 
Nonostante il suo nemico non lesini su sciabolate e fendenti e nonostante il ragazzo riesca a parare tutti i colpi, anche i suoi vengono costantemente intercettati e sembra essere molto in difficoltà, mentre cerca allo stesso momento di mantenere l’equilibrio.
 
Nel frattempo, appeso alle fauci dell’Arcanine, Zangoose, equipaggiato con una riproduzione in scala dell’armatura dei Custodi, ha il suo bel da fare nel cercare di rimanere attaccato al nemico nonostante le sue zampate tra una falcata e l’altra di quella folle corsa, cercando al contempo di nuocergli con gli artigli.
 
Alla fine, riesce a piantarglieli dritti in fronte e la corsa viene bruscamente interrotta, coll’Arcanine che si pianta di faccia per terra, schiacciando quindi Zangoose, e i due duellanti sulla sua groppa che vengono catapultati contro la serra di Ven. E mentre l’Arcanine e il Cavaliere Rosso si dissolvono, Serak finisce per sfondare una delle pareti di vetro.
 
«Ehi! – urla Ven – C’è gente che sta studiando qui dentro!» la testa curiosa di Quinn sbuca alle sue spalle da dentro la serra, per poi ritirarsi, rossa, alla vista di Serak.
«Potresti anche farle seguire qualche esercitazione, sai!» risponde furiosa Andy, andando ad affrontarlo a testa bassa, mentre Cass, poco distante riapre gli occhi e stacca le mani dalle tempie, per poi sparire subito dopo, dato che le sue capacità non sono più richieste.
 
«Quinnita ha scelto l’arte dei veleni!» le tiene testa Ven.
«Allora: innanzitutto l’hai costretta, solo perché, essendo immune ai veleni, potevi usarla come tua cavia umana per ogni antidoto, e poi… cosa ne capisci tu di ARTE!» ruggisce.
«Ma soprattutto a cosa le servono altri veleni quando ha un Muk» commenta sottovoce Jay nell’orecchio di Serak, mentre questi si chiede tra sé e sé come mai nessuno si preoccupi della sua salute.
 
«Stai… stai bene?» gli chiede Quinn, accovacciata sopra di lui, rossa che sembra stia per esplodere.
«Sì… credo di sì… solo…» fa per alzarsi ma avverte una fitta proprio sul sedere.
Un inerme piccolo Ekans, venuto fuori da un vasetto ormai in frantumi, ha i denti conficcati nel fondoschiena del ragazzo.
«Oddio! – divampa Quinn – L’Ekans era già morto ma… ma potrebbe essergli rimasto del veleno! Corro a prenderti l’antidoto!» intanto Serak si rimette in piedi e si stacca l’Ekans dal didietro.
 
«Eccomi arrivo!» si precipita Quinn, con una siringa, e senza preamboli la conficca nella zona interessata.
Dopo qualche istante di silenzio, però, realizza quello che sta facendo.
E in un istante esplode in una marea di scuse e guance vermiglie. Prima poi di cadere all’indietro svenuta, inglobata da Muk accorso tempestivamente, che inveisce agitando il pugno contro Serak.
 
«Comunque Serak, sei migliorato molto con spada e scudo, ma non è ancora abbastanza…» lo rimprovera moderatamente Andy.
«Forse se gli lasciaste usare…» fa per intervenire Terry, che ha assistito a tutto l’allenamento.
«Non se ne parla – interviene, dal nulla, Jak – Siamo Custodi: custodiamo, non usiamo. Le Reliquie non sono mere armi, ma manifestazione del divino…»
 
«Sei sempre il solito buffone» lo stuzzica K, avvicinandosi a Serak mentre gli adulti continuano il loro diverbio.
«Sarei io il buffone? Guarda come sei conciato tu!» replica Serak, che negli anni aveva imparato a rispondergli.
«Quante volte dovrò ripetervelo? Armarsi ed equipaggiarsi come il proprio pokémon aumenta la sua empatia verso di voi, la sincronia, solo così vi riconoscerà come parte del suo branco!»
«Tutte cavolate – interviene anche Jay – E io cosa dovrei fare? Mettermi un teschio in testa come elmo e andare in giro a tirare ossa?»
«Beh, magari…»
 
Ma i due litigi paralleli vengono interrotti dall’entrata in scena di Falk, il fratello di Jak, che salta giù dal suo Talonflame.
«Abbiamo individuato il posto» fa, schietto, rivolto al fratello.
 
Tutti si bloccano, alcuni, probabilmente solo i ragazzi, senza capire.
«Giovani Custodi, è arrivato il momento della vostra prima missione ufficiale» fa Jak con aria da cerimonia.
Un misto di paura ed eccitazione attanagliano il cuore di Serak: che si siano infine decisi ad intervenire in questa guerra? Riuscirà a trovare l’uccisore della sua famiglia?
 
«Si tratta di un’operazione di recupero»
«Cosa!?» erompono all’unisono K e Serak. Quest’ultimo, subito ritornato in sé, squadra, stranito, il compagno, mentre questo non fa una piega e prosegue.
«Con la guerra, Mewtwo e tutto il resto volete solo farci fare i fattorini?!» urla.
 
«Abbassa la voce K! Credi che non sia preoccupato per tutto quello che sta avvenendo? Anzi, è proprio per questo che vi sto affidando questa missione: dovrete recuperare una Reliquia.»
«E questo come potrebbe fermare…»
«Ma non una Reliquia qualunque… – lo interrompe – Una molto importante… credo per Mewtwo»
«Cosa?»
«Quando si è rivelato al mondo, Mewtwo ha parlato di “qualcosa che gli appartiene” e che sta cercando… io penso si riferisse alle sue Reliquie»
 
Tutti i ragazzi (compresa Quinn, fatta rinvenire in tempo da Muk) restano sorpresi da questa rivelazione, mentre gli altri non fanno una piega, segno che comunque ancora nel Rifugio c’è chi ha più privilegi di altri.
 
«Nessuno sa cosa avviene quando un Pokémon Leggendario viene in contatto con la propria Reliquia, perché questo non sarebbe mai dovuto accadere, le Reliquie non sono state create per questo. Noi sappiamo che le Reliquie mantengono l’equilibrio in questo mondo anche in assenza di Pokémon che a questo erano delegati, ma di preciso non sappiamo come attingano il loro potere: potrebbe provenire direttamente da quegli stessi Pokémon, instaurando un legame tra questo mondo e il loro, e probabilmente perché in quel Mondo essi godono di una condizione beata, ciò non diminuisce il loro potere. Ma poiché ora Mewtwo si trova in questo mondo mortale, se esistesse questo legame la Reliquia potrebbe in realtà sottrargli parte dei suoi poteri e della sua energia. In questo caso, se noi la troviamo prima di lui abbiamo un buon vantaggio per sconfiggerlo. In caso contrario egli potrebbe impadronirsene e riacquisire l’interezza dei suoi spaventosi poteri.
Un altro caso, forse il peggiore, è che la presenza nello stesso mondo sua e della Reliquia non abbia nessun effetto negativo, ma così, se la trovasse i suoi poteri si moltiplicherebbero…»
 
Un brivido attraversa la schiena di Serak.
 
«In ogni caso è fondamentale trovarla…»
«Ma... ma potrebbe anche riferirsi a tutt’altro!» cerca ancora di intervenire K, ma ormai è rimasto solo nella sua battaglia, persino l’animo di Serak è stato completamente rivolto a questa nuova, terrificante esigenza.
 
«Domani partirete alla volta del posto dove molto probabilmente si trova la Reliquia; si trova nel Paese del Fuoco, tra le montagne a nord, quindi ci vorranno diversi giorni di marcia per raggiungerla. E dato che è la vostra prima Missione sarete accompagnati da un Custode più anziano…»
«Più anziano di me…» interviene Terry.
Jak sembra contrariato e gli lancia uno sguardo congelante, ma poi
«E sia, Tertroth vi accompagnerà. Ora andate a preparare i vostri zaini e riposatevi».










Cant: chi capiscè perché Burg si chiama così è bravo ;)

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Capitolo 19
*** Viaggio ***


Capitolo 19 - Viaggio «Ma questa missione doveva capitare proprio quando c’è la finale del Torneo del Dojo di Buster?» lamenta Jay, le braccia incrociate sotto la testa a mo’ di cuscino, steso sul pavimento ligneo e ondeggiante del carro, fissa il tetto di stoffa con aria stufata.
«Avete anche il coraggio di lamentarvi? Se la mia prima missione l’avessi fatta con tutta questa comodità, portato a spasso su un carretto, non mi sarei mica lamentato! Piuttosto dovreste ringraziare che sia stato io a farvi da accompagnatore» fa Terry oltre le tende, alle redini del suo Bill, seduto sul sediletto di legno.
 
«E poi tanto si sa che anche stavolta vincerà Orome» commenta schietto K, senza nemmeno degnare il compagno di uno sguardo, con aria saccente.
«Come fai a dire questo? Tulkas ha fatto dei passi da gigante innegabili!» si infervora Jay.
«Come ogni anno. Ma ogni, anno, puntualmente, vince Orome…»
 
Mentre la discussione da dormitorio va avanti fra i due, Serak, lì di fianco, è steso anche lui, sguardo al cielo che si intravede tra le trame della stoffa. L’ingombrante zaino a mo’ di cuscino.
Non molto lontano c’è Quinn, che come cuscino invece ha il suo Muk. Regge davanti agli occhi, con le braccia tese, degli appunti, probabilmente di Ven su qualche strano intruglio. Ogni tanto le si stancano quelle delicate braccia rosee ed è costretta a mettersi su un lato per poter poggiare il quaderno. Così facendo incrocia lo sguardo con Serak per poi far finta di voltarsi molto lentamente per altri motivi.
 
L’unico in piedi nel carro è Slasher, il Bisharp di K, che fa volare fendenti a velocità assurde per aria, come allenamento, ma squarciando ogni tanto il telo che copre il carro.
Burg, invece, (si riesce a distinguere la sua sagoma dall’interno) è ritto in piedi sopra il tetto del carro, stagliato contro il vento come una polena a prua di una nave, con quel gusto coreografico che tanto fa impazzire il suo padrone.
 
Zangoose è fuori, seduto di fianco a Terry. Lui è uno dei suoi pensieri, Serak non fa che pensare a quanto si meriti un compagno, un pokémon, un amico… a cui non riesce nemmeno a trovare un nome. Significa forse che ci tiene così poco?
Dal canto suo Serak (forse si ostina) a vedere una certa freddezza da parte del pokémon dal giorno dell’iniziazione.
 
Eppure lo sente vicino, quell’anima solitaria, vicino più di chiunque altro, di qualunque umano. Come Serak, non ha assolutamente nulla, famiglia, casa, e come lui è nuovo a questo mondo e al suo dolore. Ma Zangoose ha molta più forza di quanta Serak possa mai vantare, o almeno così sembra.
 
Magari hanno scelto modi diversi per affrontare il dolore: Serak ha chinato il capo, Zangoose innalza una maschera.
Eppure, ogni tanto, durante gli allenamenti, durante le dure prove di ogni giorno, sente qualcosa, che li lega, un calore in fondo all’anima, forse si illudeva essere ricambiato, ma se c’è una cosa che può fargli alzare la testa e rompere ogni maschera è quel legame, quell’amicizia.
 
Sincronia la chiama K. In modo molto freddo e calcolatore, ma probabilmente è quello.
Ed ecco che inesorabile si fa largo tra tutti questi pensieri sempre la solita immagine: quel metallo, quegli occhi, quella criniera… quelle Fauci.
 
Forse è vero che i pokémon devono sentirsi parte di un branco. E allora non c’è da stupirsi che Zangoose non voglia far parte di un branco insieme ad una presenza così forte ed ingombrante. Un pezzo di ferro inanimato, sì, ma la sua possanza lo fa sembrare quasi vivo.
 
Serak non ha mai più avuto la possibilità di maneggiarlo da quel giorno di sette anni fa quando arrivò al Rifugio, grazie alle regole di Jak, ma non ha mai smesso di pensarci: provava insieme paura, odio, curiosità e attrazione per quella Reliquia.
 
Tutti i suoi guai sono da quella scaturiti, eppure il potere che aveva sentito scorrergli dentro e fargli ribollire il sangue fanno sbiadire ogni allenamento, ogni battaglia intrapresa al fianco del suo pokémon. Quel cambiamento repentino e sconsiderato lo spaventarono allora, e lo spaventano ogni qual volta quei ricordi tornano a tormentarlo di notte. Non pensava si potesse nascondere tutta quella determinazione dentro di lui…
 
E che insulto poi che tutta quella sicurezza gli venga da ciò che ha provocato lo sterminio della sua intera famiglia! E allora rabbia lo rode dentro, gli fa digrignare i denti.
Terry, suo unico confidente, diceva che è normale, che quelle Reliquie hanno grandi poteri e possono influenzare la mente delle persone. Ciononostante continua a propugnare la sua causa secondo la quale Serak ha il diritto di fare delle Fauci di Entei la sua arma.
 
«E’ quello che avrebbe voluto la tua famiglia e i tuoi antenati. – gli ripeteva – Col tempo riuscirai ad avere tu il controllo sulla Reliquia» ma la sua voce tranquillizzante non bastava ad ammutolire tutta quella tempesta di pensieri.
 
«Qual è stata la tua prima missione?» quasi sobbalza Serak, all’interruzione così brusca del suo flusso di pensieri. Quasi nemmeno si capacita d’esser stato lui a fare quella domanda, non pensava avrebbe trovato la forza per tornare così in fretta in questo mondo.
 
«Beh… - fa il vecchio, spremendosi le meningi in cerca di un ricordo – è difficile dopo tanti anni…»
«Prima ci fai tutto il discorsetto su quanto siamo fortunati a fare questa prima missione così – fa Jay – e poi fai finta di non ricordare la tua! Scommetto che era anche più comoda! Viaggiavate in prima classe!»
 
«Immagino sia stata una tranquilla missione di recupero, dato che non ricordo niente di che» ridacchia poi il vecchio, chiudendo la discussione. I suoi occhi ritornano sulla strada, ma la sua mente viaggia indietro. E ricorda, al contrario di quanto avesse detto. Ricorda il dolore e le lacrime. Ma non lascerà che l’incubo si ripeta.






Cant: SESSIONI ESTIVE, sessioni estive ovunque. E non sono ancora finite! D:

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Capitolo 20
*** Meta ***


Capitolo 20 - Meta Raccogliere bacche, non c'è cosa più noiosa. Eppure il pensiero della festa lo consola: a breve sarà circondato dalla gente che ama, dalle loro risate, dai brindisi e dalle battute rumorose degli zii accorsi da nord e da ovest. Potrà di nuovo ascoltare le storie del nonno e del deserto, le leggende di quell’Entei che è il simbolo della loro antica casata. E quanto sarà felice la madre e orgoglioso il padre, quando Serak tornerà con tutte queste bacche, da farne gran vassoio ed esporlo a centro tavola!
 
Per la strada del ritorno, però, sente degli strani rumori, come ringhi e mugolii, provenienti da un posto non molto lontano. Superato qualche cespuglio si ritrova davanti alla scena: un branco di Zangoose… e uno sembra non essere gradito da tutti gli altri.
 
“Non è affare che mi riguarda” pensa Serak. Con il suo bel sacco di bacche gira i tacchi e punta verso casa.
 
Il fuoco. Allegro scoppietta nel camino. Sulla lunga tavola, attorniata da tutta la famiglia estesa, piatti ricchi di carni, bicchieri pieni di bevande, e al centro la montagna di frutti raccolti da Serak.
La serata era esattamente come se l’era immaginata, pervasa da quel calore che ti riempie l’anima.
 
Tutto è come deve essere. Niente è fuori posto.
 
«Ehi, Serak… siamo arrivati» lo sveglia la delicata voce di Quinn, prima che questa, appena il ragazzo apre gli occhi, si allontani arrossendo.
 
Serak, ancora un po’ rintontito, si strofina gli occhi mentre si appoggia sui gomiti per sollevarsi dal legno del pavimento del carro, ancora sobbalzante. K è già sveglio mentre ora Quinn sta svegliando Jay, impresa che si rivela più ardua della precedente.
 
Aveva dimenticato quanto potesse essere confortevole il mondo dei sogni, una realtà in cui tutto va sempre nel migliore dei modi. Gli capita raramente ormai di poterlo visitare; talmente di rado che non è più abituato a distinguerlo dalla realtà. Né tantomeno si aspettava di poter fare sogni felici proprio in queste condizioni, con una missione potenzialmente pericolosa alle porte.
 
Raggiunge Terry alla guida del carro, con Zangoose sempre taciturno al suo fianco.
«Quella è la nostra meta» gli indica il vecchio Custode con un cenno del capo.
 
Davanti a loro, dopo un altro breve tratto di strada fangosa, delle porte di legno, imponenti, ma più marce e decrepite di quelle del Rifugio. Tutta la zona è offuscata da una folta nebbia, che corre e si perde tra cupi tronchi d’albero tutt’intorno.
E’ notte, ma le stelle sono coperte da nuvole e la luna è buia, oscura, luna nuova.
 
Il carro si ferma davanti alle porte chiuse. Sotto alle mura, al ciglio della strada, c’è un piccolo capanno, le cui lanterne stanche sembrano salutare con la loro luce la compagna solitaria che segue i Custodi nel loro viaggio, come vecchi amici che si incontrino per caso lungo la via.
 
Una guardia all’interno del capanno, dietro un bancone, sta dormendo con le braccia conserte ed una picca stretta da queste. Ma si agita, il volto corrucciato, farfuglia “no no” quasi a voler scacciare l’invisibile.
 
Terry, non vedendo reazioni, si schiarisce la voce a richiamare l’attenzione.
Subito la guardia sobbalza, quasi cadendo dalla sedia.
«Chi va là? Chi siete? Cosa volete?» urla brandendo la picca.
«Siamo dell’esercito di Sua Maestà l’Imperatore della Grande Nazione del Fuoco» proclama il vecchio.
Serak rimane stupito.
 
«Ah sì? E dove sono le armature? Gli stendardi? I proclama? I plotoni?» fa sospettosa la guardia.
«Siamo in guerra, figliolo, e qui siamo anche molto vicini al confine. Fossimo venuti qui in pompa magna avremo scatenato una battaglia. E non è questo quello che vogliamo, vero? Qui ho quattro dei migliori soldati della Nazione, e tu stesso stai parlando con uno dei veterani più navigati, non abbiamo bisogno di plotoni. In più abbiamo i pokémon – indica Zangoose – e solo l’esercito può avere pokémon, non è una prova sufficiente per te? O dobbiamo riferire al Generale che non volete il nostro aiuto?» il tono calmo e sicuro sembra sortire il giusto effetto, perché subito il volto, incavato e pallido, della guardia cambia espressione, e diventa quasi supplichevole.
 
«Finalmente! Sapevamo che l’Imperatore non si era dimenticato di noi! Grazie! Altre guardie all’interno vi scorteranno al Palazzo» detto ciò aziona una grossa manovella e le porte, lentamente, si aprono.
«E grazie per avermi svegliato – fa poi sottovoce a Terry, quasi in modo confidenziale – rischiavo di…» ma poi si blocca bruscamente, abbassando il capo, finché non scompare dietro le porte richiuse alle loro spalle.
 
Le nebbia, come un silenzioso Ekans, è strisciata anche all’interno, bassa sulle strade fangose e mal tenute della città, come fosse a caccia della sua prossima preda.
Le ruote del carro si infrangono fragorose sulle pozzanghere, creando ampi cerchi nella fanghiglia.
 
Appaiono poi come in un sogno, o forse un incubo, le case oltre la coltre biancastra, illuminate da altre timide fiaccole sparse lungo la strada: di legno, le abitazioni, marce e fatiscenti anche queste. Insieme a loro dal sipario etereo di nebbia e notte sbucano i loro abitanti, stranamente sparsi per le strade, nonostante l’ora tarda: tutti hanno un colorito pallido, quasi come a mimetizzarsi con la nebbia, e gli occhi incavati, stanchi.
 
Ma si comportano in modo strano: le palpebre pesanti sono tirate su, a forza, spalancando gli occhi in modo terrificante e innaturale, le espressioni del volto finte, forzate, sorrisi da manichini. Si muovono quasi trascinati da fili, ma non sono marionette, ché mai si è visto un marionettista tanto abile da riuscire a creare qualcosa di così terribilmente afflitto quanto solo un corpo umano può essere. No, ma quei fili sembrano esistere davvero, e sono fatti di paura.
Gliela si legge in faccia, tra una pantomima e l’altra, la paura, il terrore.
 
Eppure non tutti sono in piedi sul palcoscenico, qualcuno sembra esserne caduto, e giace con la schiena contro un muro, seduto tra fango e Insetti. Gli attori non sembrano curarsi di questi individui, ma quest’ultimi non si muovono, hanno gli occhi chiusi, forse a stento sembrano respirare… che stiano dormendo?
Un brivido, come una scossa, attraversa il corpo di quello che Serak sta fissando, per poi emettere un urlo, sempre con gli occhi chiusi, e cadere, rannicchiato, di lato, la faccia nella sporcizia. Ancora, nessuno sembra preoccuparsene: lo spettacolo deve continuare.
 
Ma subito, avvertiti dal pesante tonfo degli zoccoli di Bill nel terreno irregolare, gli abitanti si voltano all’avvicinarsi del carro, i loro volti, stavolta, pieni di sospetto, quasi ostilità. Magari non hanno spesso ospiti.
 
«Terry, che sta succedendo? Che significa tutto questo? Da quando siamo a servizio dell’Imperatore?» chiede Serak, distogliendo lo sguardo per non incrociare quello indagatore dei passanti.
«Ovviamente era una bugia, ragazzo. Vedi, stanno succedendo delle cose, in questo posto… strani fenomeni riconducibili a dell’attività psichica… per questo crediamo che potrebbe esserci lo zampino della reliquia di Mewtwo…» risponde Terry
«Che genere di attività psichica?»
«Disturbo del sonno»
«L’intera città? A causa di una sola Reliquia?»
«Già, ma non siamo riusciti a capire esattamente dove questa si trovi…»
«Ancora non capisco cosa centri l’impero in tutto questo…»
 
«Il Signore della città si è rivolto all’autorità imperiale affinché intervenisse, ma la guerra impegna alquanto l’Impero, che non ha tempo né energie da spendere in questioni del genere. Lo stesso dicasi per la Nazione del Fulmine: nonostante qui siamo vicini al confine, non ci sono stati attacchi o incursioni, dato che persino la Nazione del Fulmine evita queste terre. Diciamo che questa città è stata tacitamente eletta a zona franca, ma è praticamente abbandonata a sé stessa, quasi in quarantena…»
«E così noi gli daremo quello che volevano…»
«O almeno questo fingeremo… ricorda, siamo qui solo per la Reliquia…»
 
Nel frattempo giungono nella piazza della città: lampioni più elaborati delle fragili fiaccole incontrate fino ad ora circondano un grande spiazzo pavimentato e salvo, almeno questo, dal fango, ma non dalla nebbia.
 
All’estremità opposta della piazza, a simbolo di una forse passata gloria, si erge un palazzo in pietra, sospettosamente ben illuminato e fornito di guardie, in grado con la sua mole di far impallidire gli altri edifici circostanti, ma neanche troppo imponente come altri palazzi imperiali: si capisce che sia la sede di un’autorità importante, ma non esattamente la più potente dell’Impero.
A testimoniare questa distanza dal resto della Nazione vi è lo stile architettonico: completamente differente da quello più elegante e “leggiadro” dell’impero, ma ricco di asprezze e punte, slanciato verso l’alto, senza però particolari decorazioni che ostentino ricchezza.
 
Tra i Custodi e questo palazzo, ad affollare la piazza, decine di bancarelle, gente e mercanti urlanti, quasi a farsi beffe dell’ora tarda. Anche i venditori, però, sono attaccati a questi fili, e mostrano i segni dell’assenza di sonno di cui parlava Terry: la voce, anche volendo ergersi sopra tutto il trambusto, è rotta e a volte sottile, neanche i loro volti sono salvi dal pallore.
 
E anche qui, appena la folla nota gli intrusi, tutto si ferma, persino le urla e i contrattamenti.
Attorno al carro si crea il vuoto, con tutti i cittadini intorno, che si aprono a far passare il gruppo come le onde sotto una nave.
Una nave che sembra anche troppo indifesa contro una possibile mareggiata, dato che gli sguardi non sembrano per niente benevoli.
 
Finalmente giungono al palazzo e, soprattutto alle sue guardie. Già, quella all’entrata aveva parlato di una scorta, ma probabilmente si riferiva solo al percorso dai cancelli del palazzo fino al suo interno… forse è troppo pericoloso rompere i ranghi…

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