Ciò che cerco.

di Darling Eleonora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***
Capitolo 24: *** Extra: Parole dell'autrice. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***



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Ciò che cerco.
 Prologo

 

 
 
Preghiera di uno che si è perso, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me. Signore Buon Dio, abbiate pazienza, sono di nuovo io.
Dunque, qui le cose vanno bene, chi più chi meno, ci si arrangia, in pratica, si trova poi sempre il modo di cavarsela, voi mi capite, insomma, il problema non è questo.
Il problema sarebbe un altro, se avete la pazienza di ascoltarmi. Il problema è questa strada, bella strada questa che corre e scorre e soccorre, ma non corre diritta, come potrebbe e nemmeno storta come saprebbe, no. Curiosamente si disfa. [...] Innanzitutto non dovete farvi fuorviare dal fatto che, tecnicamente parlando, non si può negarlo, questa strada che corre, scorre, soccorre, sotto le ruote di questa carrozza, effettivamente, volendo attenersi ai fatti, non si disfa affatto.
Tecnicamente parlando.
Continua diritta, senza esitazioni, neanche un timido bivio, niente.
Diritta come un fuso. Lo vedo da me. Ma il problema, lasciatevelo dire, non sta qui. Non è di questa strada, fatta di terra e polvere e sassi, che stiamo parlando. La strada in questione è un'altra. E corre non fuori, ma dentro. Qui dentro. Non so se avete presente: la mia strada.
Ne hanno tutti una, lo saprete anche voi, che tra l'altro, non siete estraneo al progetto di questa macchina che siamo, tutti quanti, ognuno a modo suo. Una strada dentro ce l'hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l'incombenza di questo viaggio nostro, e solo raramente, ce lo complica. Adesso è uno dei momenti che lo complica. Volendo riassumere, è quella strada, quella dentro, che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c'è più. Succede, credetemi, succede. E non è una cosa piacevole. [...] Corre questa carrozza, e io non so dove. Penso alla risposta, e nella mia mente diventa buio. Così questo buio io lo prendo e lo metto nelle vostre mani. [...] Una cosa da nulla per voi, così grande per me. Mi ascoltate Signore Buon Dio? Non è chiedervi tanto, è solo una preghiera, che è un modo di scrivere il profumo dell'attesa. Scrivete voi dove volete il sentiero che ho perduto. Basta un segno, qualcosa, un graffio leggero sul vetro di questi occhi che guardano senza vedere, io lo vedrò. Scrivete sul mondo una sola parola scritta per me, la leggerò. Sfiorate un istante di questo silenzio, lo sentirò. Non abbiate paura, io non ne ho. E scivoli via questa preghiera con la forza delle parole, oltre la gabbia del mondo, fino a chissà dove.
Amen  
[A.Baricco, Oceano Mare]




-Che ci fai qui, bambina?  
Riuscì a sentire in mezzo al rumore forte e monotono che emettevano i vagoni a contatto con le rotaie. Osservò l’anziano signore pensando di essersi sbagliata ma quello la fissava aspettando una sua risposta.
-Che ci faccio? Siamo su di un treno. Viaggio, come lei.
Alle sue parole l’anziano signore assunse un’espressione crucciata.
-No cara, non trattarmi da stupido. Sono vecchio, certo, ma mai stato stupido. Vi sono tante persone a bordo di questo treno e non penso siano tutte qui per viaggiare, come fai tu.
Le rispose facendo tentennare la pelle che, con il trascorrere del tempo, era scesa e raggrinzita andando a formare le tante rughe sotto i suoi occhi chiari, profondi come le acque dal mare fuori dal finestrino opaco.
-Lei crede?
Chiese stupita.
-Ma certo! Guarda da quella parte, per esempio…
Alzò il suo bastone andando ad indicare un signore di spalle, in piedi a pochi centimetri di distanza da loro, vestito elegantemente con in mano una valigetta in pelle.
-Io prendo spesso questo treno, tutti i lunedì mattina per la precisione, e, ogni santo lunedì che nostro Signore ha messo in terra, quell’uomo si piazza lì per poi scendere alla terza fermata. Che andrà a fare? Mi chiedo sempre.
Sussurrò quell’ultima frase.
-Andrà a lavorare?
Provò ad indovinare lei, provocando le risate del vecchio che la guardò come se avesse detto una cosa piuttosto bizzarra.  
-Allora guarda da quella parte…
Disse indicando una donna poco lontano da loro. Abbracciava una fisarmonica e mentre muoveva le agili dita sulla tastiera i suoi occhi a mandorla erano chiusi e la sua mente probabilmente altrove.
-Quella non viene per viaggiare, mia cara.
Le note iniziarono a farsi più fitte e sonore, armoniche. Lei con sforzo distolse lo sguardo per interromperlo curiosa:
-E lei, invece? Se non viene per viaggiare, andare a lavorare o procurarsi da vivere, per cosa viene qua sopra?
 Lui le sorrise teneramente sistemandosi automaticamente il fine anello d'argento sul dito anulare della mano sinistra:
-Io vado alla quinta fermata, a trovare la persona a me più cara.
Lei non poté mostrare che stupore, colmo di ammirazione per ciò che non avrebbe mai fatto e che invece quel vecchio, faceva ogni lunedì mattina. E lo invidiava, anzi, per la prima volta in vita sua, e per questo si stupì ancora di più, non aveva mai provato invidiava per qualcuno.
-E tu, invece? Non credo che tu stia viaggiano e basta, quindi: per cosa stai qui veramente?
Toccò a lei sorridere stavolta.
-Credo per il suo esatto opposto, signore.
Sentì il rumore del treno che segnava l’arrivo alla quinta fermata.
- Io scendo qui, mia cara, ti auguro buona fortuna.
-Arrivederci e mi saluti sua moglie.
Quello rise di gusto e aggiunse scendendo dal treno:
-Sicuro!
Quando le porte si richiusero sembrò come se un po’ d’allegria se ne fosse andata insieme a lui. Mentre, dopo qualche minuto, il mezzo riprendeva la sua corsa con lentezza, non poté fare a meno di notare il panorama spoglio di quella quinta fermata: c’era solo una chiesa un po malmessa e, accanto a questa, dove si stava dirigendo l’anziano signore, il cimitero.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


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Capitolo Primo



Qualcosa come due cose che si toccano - gli occhi e l'immagine- uno sguardo che non prende ma riceve,
nel silenzio più assoluto della mente, l'unico sguardo che davvero ci potrebbe salvare
- vergine di qualsiasi domanda, ancora non sfregiato dal vizio del sapere
- sola innocenza che potrebbe prevenire le ferite delle cose
quando da fuori entrano nel cerchio del nostro sentire-vedere-sentire-
perché sarebbe nulla di più che un meraviglioso stare davanti, noi e le cose,
e negli occhi ricevere il mondo - ricevere - senza domande,
perfino senza meraviglia - ricevere -solo- ricevere- negli occhi - il mondo.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare ]



Rivolse lo sguardo al cielo, il sole caldo e soffocante invase i suoi occhi costringendola a portarsi una mano alla fronte. Voleva ammirare le nuvole. La valigia incominciava a pesarle anche se dentro non vi erano che poche cose: qualche vestito e pochi oggetti di valore. In fondo, per una girovaga come lei, MirabelCity era perfetta. Sarebbe andata a lavorare presso il negozio di souvenir in quella cittadina con un minuscolo e confortante golfo che abbracciava l’oceano. Era strano che andasse a lavorare proprio lì, non sapeva molto di quel luogo, non che ne conoscesse meglio altri…
Si trovava nella piazza principale, costellata da alberi snelli e aiuole fiorite dove, per la pavimentazione era stato composto circolarmente un mosaico dai motivi floreali color grigio perla e alabastro. Mentre, nella fontana al centro, da una marmorea sirena fuoriusciva un getto d’acqua che in quel momento, bagnava i cappellini dei bambini i quali volevano sporgersi per vedere i pesci multicolori nella vasca. Quel luogo infondeva all’animo una carezza serena. Dall’altra parte della piazza notò il negozio che stava cercando: era piccolo ma molto accogliente e, quando aveva chiamato dalla cabina telefonica della città vicina appena visto l’annuncio, la voce al di là della cornetta le era sembrata estremamente cordiale.
Stava per incamminarsi verso il negozietto dove vi erano appesi acchiappasogni e campanellini con nastri azzurri, ma venne bloccata. Osservò qualche secondo di troppo la mano sconosciuta posata sulla sua spalla che, timorosa di una sua reazione negativa, le era stata tolta in fretta.
-Vorresti lanciare una monetina?
Voltandosi i suoi occhi si rispecchiarono in quelli del giovane e rivide la propria immagine dentro il loro vitreo colore; dalla sua espressione giocosa e interrogativa alzò un sopracciglio facendo sì che una ciocca di capelli ondulati vi si posasse sopra. Non lo conosceva e non l’aveva nemmeno notato quando aveva dato uno sguardo d’insieme alla piazza centrale.
-Dicono che se lanci una monetina esprimendo un desiderio, quello si realizzerà veramente. Ah e… non preoccuparti i pesci non ti mordicchiano le mani se non le immergi in acqua.
Le fece l’occhiolino.
-V-va bene.
Acconsentì con l’ombra di un sorriso che però in seguito risultò esitante.
-C’è qualche problema?
Le chiese il giovane curioso, scrutandola.
-Il fatto è che…non ho una monetina.
Gli rivelò sconsolata.
-A che servono i cavalieri? Non preoccuparti, le ho io.
Allora una mano prese la sua facendole posare la valigia a terra per poi condurla alle spalle della fontana, quando le porse una moneta gli sussurrò un grazie. Lui sorrise per incoraggiarla.
-Sei pronta?
-Sì ma…come devo fare con il desiderio?
Lui iniziò la spiegazione:
-Devi chiudere gli occhi e pensare a qualcosa che vorresti si avverasse e poi lanciare la moneta. Ma stai attenta a non dirmi il tuo desiderio, lo svelerai solo quando si avvererà.
Lei obbedì e chiuse gli occhi e, anche se le sue guance divennero di un lieve color rosato non si fece distrarre.
Fece un bel respiro: sentiva dei gabbiani cantare sopra l’oceano davanti a se, il tintinnio di campanellini al vento, dei genitori che richiamavano i figli, il rumore degli schizzi della fontana, il respiro lieve e regolare del giovane al suo fianco e anche delle campane che in lontananza segnavano l’ora.
Allora espresse il suo desiderio. L’unico che avesse mai voluto realizzare davvero.
In realtà non le era mancato mai nulla, tutto quello che le serviva era la sua piccola valigia e sé stessa. Ma la cosa che crescendo aveva iniziato a bramare era diversa, ne parlavano tutti con una strana cadenza dolce da lei incomprensibile.
Mentre stava per lanciare nella fontana il simbolo del suo prezioso desiderio, sentì il giovane stringere la mano ancora intrecciata alla sua, alzando la voce:
-Sei pronta? Adesso!
Così facendo lanciarono le monetine che volarono in cielo a rifletterne la luce per poi far sentire il loro schiocco a contatto con l’acqua della fontana alle loro spalle, lei si voltò stupita.
-Visto? E’ stato facile!
Le disse il giovane con un sorriso dipinto in volto.
Lei non poté non ammirare la bella atmosfera che si era andata a creare, mentre alcuni bambini emettevano urletti eccitati, impazienti di provare a esprimere il loro desiderio, dicendo:
-Io voglio amare il mio papà e voglio un gatto che mi fa bau bau!
-Guarda che non è possibile!
-E perché?!
-Il tuo papà è già sposato!
Quelli che probabilmente erano i genitori, risero.
-Spero che un giorno i nostri desideri si realizzino.
Gli disse sincera osservando il cielo dove vi erano distese tante nuvole, morbide come le guance dei bambini.
-Sarebbe bellissimo.
Poi le rivolse con uno sguardo che non seppe decifrare. Somigliava a quello che i genitori rivolgevano ai figli, ma in qualche modo era diverso. Quando se ne accorse distraendo la sua attenzione dal cielo, arrossì stupita, non potendo non chiedersi se per lui era solo una ragazzina.
-Io…ti ringrazio ma ora devo proprio andare.
Gli disse con tono turbato, fece per incamminarsi ma il ragazzo la trattenne mantenendo salda la presa della sua mano.
-Aspetta dimmi…dimmi come ti chiami.
Vide l’esitazione nei suoi occhi e aggiunse deciso:
-Me lo devi.
Lei allora sospirò.
-Mi chiamo Anise e prometto che prima o poi ti ridarò la tua moneta.
Disse quasi scocciata, allora lui lasciò la presa rivolgendole un bellissimo sorriso.
-Sai, Anise, sono proprio contento...
Lei gli rivolse uno sguardo cauto.
-…perchè vuol dire che ti rivedrò ancora.


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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


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Capitolo Secondo



La guardò. Ma d'uno sguardo per cui guardare già è una parola troppo forte.
Sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta.  
[A. Baricco, Oceano Mare]



-Quindi tu sei…la ragazza nuova?
-Hem, sì.
Annuì timida alla giovane dinnanzi a lei che la scrutava dubbiosa: portava una salopette e i capelli erano raccolti in una coda, sembrava avere la sua stessa età.
-Benvenuta!
La salutò andandola ad abbracciare calorosamente contro tutte le sue aspettative.
-Io mi chiamo Vanille! Il negozio è dei miei genitori, te li presenterò dopo. Vedi, loro fanno il turno pomeridiano e a me serviva qualcuno ad aiutarmi la mattina! Comunque sono contenta, pensavo si presentasse qualche tipo poco raccomandabile! Chi avrebbe mai pensato che si trattasse di una ragazza così carina? Oddio adoro i tuoi capelli, sono così soffici e profumano di cannella, e la tua pelle è così delicata e chiara, di solito gli stranieri che vengono da queste parti non sono così! Oddio scusa ti ho dato della straniera! Non sei di questa città, vero?
Vanille si prospettava un tipo alquanto loquace, tanto da averle fatto già venire un giramento di testa.
-No no, io non sono di queste parti.
Il negozio, come aveva potuto vedere, non era molto spazioso. Superata la porta a vetri si notava nell’angolo in fondo, un piccolo bancone con una cassa e dei soprammobili con tanti fogli svolazzanti, sembrava più un ufficio. Nella parete al cento vi era appesa un enorme rete da pesca con sopra, impiantati come lei al muro, quadri e vecchie foto, ricordi di una vita passata vicino all’oceano. Sotto, un acquario mostrava un polpo molliccio al di là del vetro opaco. Al centro della stanza e ai lati, scaffali esponevano una quantità spropositata di merce, tanto da far sembrare tutto in traballante equilibrio.
-E’ tutto molto bello.
Disse più a se stessa che a Vanille.
-Grazie, mio padre ci tiene molto, guarda: ti mostro cosa vendiamo!
Con il suo fare euforico le fece fare il giro turistico in quel ristretto negozio che aveva a disposizione molti articoli che nel proprio piccolo e nella propria banalità, stuzzicavano il suo interesse: quadretti acquarello raffiguranti MirabelCity, palline di vetro che se capovolte si inondavano di brillantini, ceramiche dipinte, statuette a forma di faro o sirena, targhette, bottiglie decorate con sabbia colorata, teli ricamati e centrini, bussole, miniature di barche o ancore, matite colorate con su scritto il nome della cittadina e una vasta gamma di prodotti per pescare (ami, lenze, reti, canne e così via). Arrivati all’acquario con il polpo, Vanille fermò il suo sproloquio e si voltò indicandolo:
-Prima che tu me lo chieda: no, non si chiama Paul, non so perché ma me lo chiedono tutti! Il suo nome è Cocoa, è il migliore amico di mio padre, a sentir lui. Cioè…a sentir mio padre, non il polpo, perché lo sai, no? I polpi stanno zitti, magari parlano anche, non so, penso parlino tra loro, in polpese…? O si dice polipiano? Oddio lo sai che non mi era mai venuto in mente? Chissà che versi fanno?! E se invece non emettessero suono?
-Io…io non lo so!
Andò in iperventilazione confusa nel sentirla parlare troppo e troppo velocemente ormai da parecchi minuti.
-Hey Vanille, perché non respiri ogni tanto?
Ironizzò qualcuno all’entrata attirando la loro attenzione.
-Anice, ti presento Juice.
Disse la giovane al suo fianco perdendo tutto il suo entusiasmo. Il ragazzo che era appena entrato era alto, tanto da doversi chinare per poter oltrepassare lo stipite della porta che i suoi capelli color castagna erano andati a strusciarvi.
-Potresti dirlo con un po’ più d’animo!
La rimandò lui con irritazione.
-E’ un mio compagno di scuola ma lascialo perdere, è antipatico.
-Sei tu che non ti zittisci mai! Comunque piacere di conoscerti Anice, sei la nuova ragazza?
Lei sussurrò timidamente:
-Sono in prova…
-Allora buona fortuna con quella.
Disse sorridendole ottenendo una risata sarcastica da Vanille.
-Comunque sono venuto per dirti un'altra cosa: ti va di venire al porto tra qualche giorno? I genitori di Fennel ci hanno preso una barca.
Lei le rivolse uno sguardo dubbioso.
-Ci hanno?
-Pensi che lui ce la faccia già a guidarne una in mare? Ah e…vieni anche tu ovviamente, Anice!
Lei si riprese da chissà quali fantasticherie:
-Come? Io, sul serio?
La sua nuova collega le prese le mani saltellando.
-Oh sì, sì Anice! Se vai te vengo anche io!
Lei sorpresa accettò volentieri.
-Bene allora! Ci vediamo dopo che avete finito il turno!
Le due salutarono il giovane che uscendo picchiò il capo nello stipite della porta, come succedeva ogni volta.
-Oh cielo, non si sarà fatto tanto male vero?!
-Non preoccuparti Juice ha la testa più dura della porta.
Così facendo incominciarono a ridere, anche se lei si sentì un po in colpa per la battuta cattiva.
Arrivate a fine mattinata era stata istruita a dovere. In fondo il suo lavoro non era niente di speciale: mentre Vanille accoglieva i clienti e si occupava della cassa, lei doveva spolverare i fragili ripiani e annotare gli incassi a fine giornata, i costi e i prezzi di ogni merce che entrava o usciva e, dato che non erano molti, doveva riportarli su un quadernino (poco scritto) della madre di Vanille che, da come ne parlava la figlia, sembrava essere una donna molto pignola, maniacale per quanto riguardava la pulizia, ma non si non si poteva certo dire la stessa cosa dell’ordine. Si sentiva quasi in colpa dato che la paga era ottima ma non doveva lavorare sodo come nei suoi precedenti lavori e, quando fece notare la cosa, Vanille rispose:
-Oddio Anise! Non ti devi sentire tanto dispiaciuta, io ho chiesto di un assistente soprattutto per avere compagnia, e tu mi sembri perfetta!
Nel pomeriggio le furono presentati i coniugi padroni del negozio, pronti per il loro turno, dato che la mattina, come le era stato spiegato, adempivano al loro vero lavoro di pescatori: Brunette e Walnut Hazelnut. La moglie era molto più gentile di come l’avevano descritta, bastava non guardarla quando si infuriava costantemente con la figlia; mentre Walnut era semplicemente un uomo basso simile ad il vecchietto con la barba che raffiguravano sulle scatole dei bastoncini di pesce. Anche se non le toccava chiese di poter dare una mano anche qualche pomeriggio senza aumenti, con loro sorpresa. Alla chiusura del negozio il signor Walnut chiuse a doppia mandata il cancelletto di ferro per sicurezza, dicendole:
-Sei una brava ragazza Anise, siamo contenti di averti tra noi. Benvenuta a bordo!
Dopo averle fatto capire che era assunta, le assestò una pacca sulla spalla che per poco non la fece cadere in terra.
-Grazie signore!
 

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


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Capitolo Terzo


Aveva la bellezza di cui solo i vinti sono capaci.
E la limpidezza delle cose deboli.
E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]


Il sole, che quella mattina accecava lo sguardo, adesso si era inchinato alla notte e, come se fosse arrossito dal suo splendore, si ritirava cedendo il cielo alla luna e alle stelle.
Ma il problema restava: dove trascorre quella notte.
Non aveva abbastanza denaro per cercare un albergo, non che ne avesse mai usufruito molto di quel tipo di lussuoso servizio. Quindi si incamminò per le buie e strette vie di quella cittadina, notando qualche gatto che saltava fuori dal buio, qualche finestra che mostrava la luce ancora accesa, qualche ombra, qualche panno steso ancora gocciolante. Ad un certo punto, senza accorgersene si era ritrovata in un parco. Uno dei lampioni semiguasto, mandava luce ad intermittenza con uno sfrigolio sinistro. Da quel poco che riusciva a vedere grazie alla luce fioca di questo, il parco aveva una grande distesa d’erba e aiuole e delle panchine ai margini, il tutto circondato da una piccola e bassa recinzione in ferro. Si voltò e vide l’oceano e il piccolo golfo. Da dove era si vedeva tutto.
La linea dell’orizzonte delimitata dall’acqua incontrava lì, poche briciole di sole rosse, destinate ad oscurarsi anche quelle, tra breve. Vedeva finalmente il molo e sopra di esso un faro che mandava un segnale di luce rotante alle navi di passaggio, la piazza centrale, ancora più piccola di come le era sembrata la prima volta e il palazzo più grande di tutta la cittadina, che ipotizzò essere la sede comunale. Da lì il mondo sembrava raffigurato in una mappa, una di quelle fasulle che spesso ti vendevano le fattucchiere nei porti più malfamati delle grandi città, spacciandotela per la via che portava all’Eldorado.
Rise da sola e si sentì un po’ sciocca, ma alquanto felice. Forse perché la stanchezza iniziava a farsi sentire, quindi, strisciando la valigia a terra, superò con difficoltà la piccola ringhiera guardandosi intorno spossata. Alla fine notò una statua al limite del parco, dove iniziava un raggruppamento fitto di alberi, un monumento con degli scalini. Senza pensarci due volte si lasciò sedere sullo scalino più in alto, troppo stanca per notare le stelle e ripercorrere mentalmente tutti gli eventi trascorsi durante la giornata, come faceva solitamente. Invece, con ostinazione, se ne fece largo uno: il suo desiderio in quella monetina, il ragazzo e il suo bel viso, con espressioni che l’avevano fatta arrossire e le sue dita intrecciate a quelle di lui. Avrebbe voluto tenere quella moneta per se, non certo per spenderla ma per ricordo, anche se sapeva benissimo che se non l’avesse voluta lanciare nella fontana, il ragazzo non si sarebbe disturbato tanto per dargliela. Però quel ricordo valse la pena ricordarlo in quel momento, mentre le sue palpebre calavano senza esitazione e la serenità di quella notte, accompagnata da un dolce tepore non certo dovuto all’aria fresca notturna, si propagava tutt’intorno a lei.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


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Capitolo Quarto


Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]


Sentì dei rumori, ma i suoi occhi restarono al buio e percepì nelle braccia la pelle d’oca, la odiava.
-No, no Chamomil! Non ti avvicinare!
Sussurrò una voce femminile.
-Ma mamma! Ha dei capelli di nuvola d’orata! Voglio verle gli occhioni!
Insistette squillante una voce infantile.
-Secondo voi avrà passato la notte qui?
Chiese qualcuno dubbioso. Dei mormorii indistinti di risposta.
-Probabile.
Convenne la voce femminile.
-Scusate…hei!Ma io l’ho già vista!
Intervenne una voce stupita. Alla sua affermazione la vocina infantile rise svegliandola del tutto. Il mondo era sfocato ai suoi occhi e sentiva questi pungerli ai lati.
-Guarda mamma! Ha gli occhioni blu!
Dopo essersi strofinata le palpebre per qualche secondo, poté vedere bene la bambina. Il problema era che non fosse sola: dietro di lei, una donna la tratteneva per le spalle, un signore anziano con occhiali poggiati sul naso e un ragazzo poco più piccolo di lei, la stavano fissando.
La bambina sfuggì dalla presa della madre e le si avvicinò.
-Signorina, mamma crede tu abbia dormito qui, ma secondo me non è vero perché non ci sono letti!
Lei arrossì imbarazzata.
-N-non fate caso a me, io…
Il vecchio la interruppe.
-Non mi sembra tanto comoda la meridiana.
Lei osservò confusa quello che per giorni e notti aveva creduto che fosse un semplice monumento, era una meridiana a base rialzata.
-Mi perdoni.
-Tu sei la nuova ragazza del negozio di souvenir vero?
Lei annuì cercando di fare mente locale su tutte le persone entrate in negozio in quei giorni.
-Io ti ho visto da fuori qualche giorno fa…
Disse il ragazzo sfoderando un sorriso che risultò ancora più bianco in contrasto con la pelle color cappuccino.
-Bè, comunque non si dovrebbe stare qui di notte!
La rimproverò la signora.
-Oh, non si preoccupi signora Prune, ora ce ne andiamo.
Le rispose il ragazzino trascinandola via da quella piccola folla, nell’alzarsi osservò l’ora puntata dalla meridiana, tra un’ora e mezza iniziava il suo turno di lavoro.
-Guarda, il negozio si vede anche da qui!
Constatò il ragazzino portandosi al confine del parco. Notò che stava armeggiando con la borsa di cuoio che teneva al collo.
-Guarda, così si vede anche meglio!
Le porse un oggetto d’orato, lo teneva in mano come se fosse il suo tesoro. Si trattava di un cannocchiale portatile d’ottone.
-E’ tuo?
Gli chiese come se dovesse chiederlo ad un bambino.
-Si! Guarda dentro!
Lei non se lo fece ripetere due volte, distese il piccolo cannocchiale provocando dei rumori secchi e lo poggiò sulla guancia destra per ammirare lo spettacolo riavvicinato che la lente di questo gli offriva.
La lente circolare le mostrò prima il mare, poi cambiando traiettoria scorse le barche al porto, percorse la battigia fino al braccio opposto del golfo, fino ad arrivare al faro.
-E’ bellissimo.
Disse stupita.
-Avanti, ora andiamo al negozio, non voglio farti fare tardi!
Disse scherzando trascinandola per il gomito alzato che reggeva il cannocchiale.
-A-aspetta, riprendilo!
-Tienilo pure ancora per un po’! Si vede che ti piace!
Le rispose sorridendo. Incominciarono a camminare verso la piazza centrale con un certo andamento spedito. Qualche minuto dopo, a passo più lento, le venne rivolta la fatidica domanda:
-Hai davvero dormito lì fuori?
Lei, non avendo il coraggio di guardarlo in viso si limitò ad annuire, tutti rimanevano male una volta a conoscenza del suo stile di vita. Ormai era da una settimana circa che lavorava al negozio e dormiva al parco.  
-Non voglio giudicarti ma se sei scappata dai tuoi genitori…
Lei si affrettò a dire:
-No, no non è come pensi! In realtà io ci sono abituata, cioè non ho una casa. Sono una girovaga, viaggio da un posto all’altro senza una meta precisa.
Lui la fissò meravigliato, un’ombra di sorriso in volto.
-Davvero?!
Lei annuì soddisfatta dalla sua reazione, era proprio un ragazzino. Incominciarono a parlare dei suoi viaggi, lui aveva uno sguardo misto di venerazione e stima, le disse di chiamarsi Carmel e di avere quindici anni. Ad un certo punto si fermarono di fronte ad una chiesa con un campanile.  
-Credi?
Gli chiese.
-Qualche volta, solitamente accompagno Icing. Lui viene spesso qui…si occupa delle campane.
-Chi è Icing?
Lui sorrise con i suoi occhi azzurri, in un’espressione che rivelava affetto per la persona nominata.
-E’ il mio tutore.
Nel momento in cui chiuse le palpebre il campanile oscillò le sue pesanti campane per segnare l’ora. Lei dovette tapparsi le orecchie.
-E’ lui che le fa suonare?
Il ragazzino le annuì e la prese a braccetto:
-Andiamo a mangiare? Avanti, offro io!
Presero al volo un tram di passaggio e, mentre ancora ridevano, andarono nella panetteria preferita di Carmel e mangiarono una treccia di sfoglia a testa, cosparsa di zucchero a velo.
-Ti ringrazio per stamattina. Sei un ragazzino simpatico.
Gli disse sorridente sulla soglia del negozio di souvenir, pronta per una nuova giornata di lavoro.
-Grazie Anise, ci possiamo vedere ancora? Voglio sentire altre storie…
-Ma certo!
Prima che se ne andasse, il ragazzo si voltò a dirle:
-Ah! E…cerca di non dormire più al parco la notte...
Lei le sorrise grata e entrò in negozio. Non si era accorta della presenza di Vanille alle sue spalle che la stava fissando preoccupata.
-Che significa Anise? Che cosa voleva dire con l’ultima frese...?
Lei trasalì, cercando di rigirare la questione.
-Io…ecco…non ti devi preoccupare sono abituata…
La ragazza restò muta per alcuni secondi e poi confusa le chiese:
-Anise tu…chi sei? Di solito accogliamo chiunque nel nostro negozio, no anzi…a Mirabel, ma ora io non so cosa pensare. Perché Carmel, il ragazzino di Icing, ti ha detto di non trascorrere le notti al parco? Che ci fai laggiù? E’ così buio…e i tuoi genitori? Di dove sei veramente? Loro cosa ne pensano? Ci hai detto di essere venuta qua per delle questioni in sospeso, ma che significa? Io…io non capisco!
 La giovane si portò le mani al viso a coprirsi gli occhi.
-No, non fare così! Avanti…
Le tolse le mani dal viso con fare gentile e la fece sedere comoda pronta a raccontarle tutto quanto. Nel farlo si accorse di aver in mano il cannocchiale d’orato del suo nuovo amico. Si sentì in colpa per non avergli ridato il suo tesoro e sperò di rivederlo al più presto nel tanto che lo posava nella tasca della sua giacca.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***


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Capitolo Quinto



Poi non è che la vita vada come tu te la immagini.
Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.
Così... Io non è che volevo essere felice, questo no.
Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi.
Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri.
Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente:
il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No.
Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera.
Tu stai con loro, e ti salverai.
[A. Baricco, Oceano Mare ]



 -Quindi…tu sei una girovaga?
Lei annuì.
-Oddio, come ti ammiro…sembri una ricca ragazza per bene, o una ballerina, così magra e candida…di buona famiglia insomma! Il pensiero di te che dormi fuori all’aperto mi mette i brividi e invece sei una ragazza coraggiosa e intraprendente, uao!
Lei scosse le mani con un sorriso.
-No, non esagerare!
-Ecco perché ti porti sempre quella valigia dietro ogni mattina che vieni a lavoro!
Le fece notare stupita.
-Sì, non me ne posso separare, o almeno non so dove riporla. Ma non mi abituo mai al suo peso!
Si portò una mano dietro la testa con un tono di imbarazzo.      
-Ma allora le faccende in sospeso di cui avevi parlato non esistevano in realtà?
La sua voce era priva di accuse.
-No, è la verità! Anche se è la prima volta che vengo a MirabelCity, credo che questo posto abbia delle faccende in sospeso come me, non solo qui ma dovunque io decida di andare. Perché quelle questioni prima o poi dovrò risolverle, che sia qui o altrove. Non è importante la meta ma il percorso che fai per raggiungerla, ecco perché ogni volta che arrivo in una città sconosciuta mi dico:“Forse qui troverò quello che cerco, o forse no, non devo abbattermi”, accede spesso visto che non ritorno mai in un posto che ho già visto, e sai perché? Perché se me ne vado, vuol dire che lì non ho avuto la possibilità di concludere ciò che voglio. Se mentre me ne andassi dicessi:“Arrivederci” accumulerei promesse che non potrei mantenere e non andrei più avanti. Anche se mi rende triste abbandonare tutte quelle persone che ho la possibilità di conoscere, anche se ogni volta ho il dubbio se fermarmi per sempre…forse perché quando mi rifaccio una nuova vita in un posto diverso so che mi renderebbe felice ma poi ricordo quelle promesse fatte a me stessa, e finché non le avrò esaudite nessun posto sembrerà davvero una casa per me.
 
Non l’aveva mai sentita parlare così tanto. Per avere solo gli anni che aveva, era molto decisa, e molto dura con se stessa. In confronto a lei Vanille si sentiva una ragazzina immatura. Dopo il turno di mattina la obbligò a seguirla, insisteva per fare ogni volta anche il turno di pomeriggio, era il giorno in cui erano state invitate da Juice per il giro in barca.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***


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Capitolo Sesto



Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni. 
[A. Baricco, Oceano Mare]



-Hei ragazze, come state?
Le salutò Juice, appena furono arrivate al porto. Al suo fianco un altro ragazzo leggermente più basso, si nascondeva con timidezza alle sue spalle, si poteva veder sbucare una faccia intimorita coperta da ciocche di capelli color limone.
-Ciao! Siamo pronte per il giro in barca! Qual è la vostra?
Il giovane sorrise contento della domanda che gli era stata posta. Sulla superficie del mare galleggiavano barche di ogni dimensione, e il ragazzo indicò la più grande di tutte: una barca con un albero vertiginoso e delle vele bianche che somigliavano più a nuvole da quanto si estendevano verso l’alto.
Ma lei ne aveva viste di più grandi e imponenti.
-Accidenti, te l’hanno regalata i tuoi genitori, Fennel?!
Chiese stupita Vanille rivolgendosi allo sconosciuto.
-Dovresti saperlo, il sindaco è pieno di soldi…Ah! Anise, lui è Fennel.
Disse Juice scollandoselo di dosso e indicandolo.
-Piacere. Hai davvero una bella barca.
Gli disse incoraggiandolo data la sua timidezza, ma era solo tutta apparenza. Lo sconosciuto arrossì e poi si catapultò ad abbracciarla restandole appiccicato come una patella al suo scoglio.
-Oh, avevano ragione, sei così dolce!
Disse quasi commosso.
-Hem, grazie…
-Smettila si strusciati a lei come un gattaccio!
Gli disse Juice, cercando di staccarlo dal suo braccio, ma inutilmente.
-Stà zitto stupido! Ti ricordo che la barca è mia!
Gli rispose mostrando la lingua.
-Tanto non la puoi guidare tu! Sei solo un bambinetto!
A lei non sembrava molto piccolo, non per non saper andare in barca. Qualche minuto dopo erano già a bordo del regalo per l’ultimo compleanno di Fennel, fatto da suo padre, che da quanto aveva capito, era il sindaco di MirabelCity. La famiglia Walnut risiedeva nell’edifico più grande della città, visibile dal parco in cui aveva dormito le notti precedenti.
Una volta saliti sulla splendida barca a vela, quella incominciò a muoversi acquistando sempre più rapidità sotto il volere del vento, accarezzava la superficie cristallina lasciandovi impressa la sua scia, turbando il tragitto delle piccole onde che increspavano l’acqua.
-Dio, che splendore!
Esclamò Venille guardando il mare, mentre la sua gonnella blu a pieghe era mossa dal vento. Ma dando tutta la loro attenzione al mare, non avevano fatto caso al cielo.
Quando le cadde una goccia sulla guancia, andò a posarvi una mano stupita:
-Sta piovendo.
Tutti rivolsero lo sguardo alle nuvole grigie.
-Niente panico!
Urlò nevrotico Fennel attaccato al suo braccio.
-Non iniziare…ora torniamo verso riva.
Lo rimproverò Juice, ma non fece in tempo a tirare la corda che teneva in mano, che un’onda fece oscillare pericolosamente la barca.
-Oddio Juice…non ce la faremo con queste onde a tornare tanto facilmente!
Disse ansiosa Vanille.
-Non vi preocc…
Un’onda più alta delle precedenti si infranse sulla barca facendolo cadere a terra e bagnandolo. Si rialzò imprecando.
-Moriremo tutti!
-Piantala Fen, non aiuti!
Gli gridò Vanille.
Mentre la barca non smetteva di muoversi, lei si diresse da Juice.
-Bisogna tenere issata il più possibile la vela da tempesta!
Il ragazzo si diresse verso l’avvolgifiocco e avvolse la vela tenendone fuori una piccola superficie per migliorare le cose. Si sentì un urlo e tutti si voltarono verso Fennel che era inciampato in una corda vicino al parapetto e un’onda stava per scagliarsi nuovamente su di loro rischiando di farlo cadere in mare. D’impulso Juice prese il capo della corda a cui era impigliato il piede del giovane mentre Vanille gli tendeva una mano. Fennel si aggrappò ai suoi amici e venne tratto in salvo, tirando un sospiro di sollievo troppo presto.
-Anice no!
Lei fissò Venille vedendo nei suoi occhi il terrore per poi guardarsi alle spalle. Accanto al parapetto dove si era precipitata per salvare l’amico, un muro d’acqua stava per sovrastarla.
Il mare la strappò dalla barca e le mozzò il respiro.
Mentre i suoi piedi in quel momento non avevano più un suolo sotto di loro, le sue mani cercavano di aggrapparsi a qualcosa, le sue spalle venivano scosse e la testa sballottata dalle onde. Gli occhi chiusi.
Quando gli riaprì vide sopra di se una superficie chiara d’acqua e aldilà di questa l’immagine di nuvole grigie e cupe. Le stesse nuvole che a volte si fermava ad ammirare, questa volta sarebbero state la sua condanna. Sentì l’acqua insediarsi nel suo corpo mentre esalava il suo ultimo respiro in una vana e disperata richiesta d’aiuto che uscì dalle sue labbra sotto forma di bollicine. Le palpebre con gli occhi brucianti le calarono e si lasciò a se stessa e al mare scuro come una macchia di petrolio.
Nel freddo dell’oceano percepì un sogno o solo la sensazione di star sognando. Un caldo tepore si fece largo abbracciandola diversamente da come l’avevano avvolta le onde per strapparla dalla barca. Come solide braccia queste nuove onde la reggevano trascinandola verso la luce e verso la salvezza. Fino a che, ad un certo punto, non sentì nemmeno più la pressione dell’acqua intorno a lei, e oscillava come su una candida nuvola, di quelle che amava tanto: della consistenza del cotone e del colore argenteo dello zucchero filato. Stava morendo, probabilmente. E qualche creatura celeste la stava portando in cielo, per fortuna, oltre la coltre scura del temporale, diretta verso il calore piacevole che sprigionava il sole. Le carezzò le guance e le braccia con i suoi calorosi raggi, per farle sciogliere tutto il freddo che aveva accumulato. E in quel momento, anche le sue labbra dure si stavano ammorbidendo e modellando, in una bellissima sensazione.
Poi non sentì più altro per lungo tempo.
 
Lui era sempre al faro. Non usciva quasi mai. Stava lassù ad osservare il mare, tutti quegli anni passati lì gli avevano insegnato una cosa importante: il mare poteva essere la cosa più bella che una persona poteva mai vedere nella sua breve vita, ma anche la più brutta. Come quel faro.
Stava passeggiando sulla spiaggia quando aveva visto Fennel e i suoi amici che erano andati in mare. Andare in mare con l’arrivo del vento di tramontana. Stupidi pensò.
Aveva sentito delle piccole gocce cadergli sul braccio, aveva osservato la barca. Le acque avevano iniziato a movimentarsi, facendo oscillare pericolosamente questa. Poi d’improvviso aveva visto una persona che non seppe inquadrare, cadere in mare. Si era tolto in fretta la giacca e senza pensarci due volte si era tuffato tra le onde, quasi a voler prendersela con queste. L’aveva vista boccheggiare tra la superficie dell’acqua e aveva visto le onde sovrastarla completamente. Poi non l’aveva più vista.
Aveva preso un respiro profondo e si era immerso sott’acqua, dove la tempesta non riusciva a strattonarlo, dove tutto, al confronto, era calmo e silenzioso. Aveva intravisto la ragazza grazie alla sua nuvola di capelli d’oro che fluttuava a seconda della corrente marina. Si era spinto al suo limite, con le orecchie che gli facevano male e la sua riserva d’aria che era al termine. Era riuscito a sfiorarle le dita, e a strattonarla per un polso per avvicinarla a sé, come una bambola inerme. Era risalito in superficie e, valutando il pericolo, si era avvicinato agli scogli mentre le onde cercavano di rimandarlo a largo. Si era retto ad una roccia ruvida e aveva cercato di adagiarvi la ragazza per non farla sbattere; notandone per la prima volta il viso familiare.
Poi il mare si era placato un poco e ne aveva approfittato per uscire dall’acqua con imbraccio la giovane, i vestiti le aderivano al corpo e i capelli le ricadevano sulle spalle, appiccicati alla fronte che posava sul suo petto. Le labbra erano livide e i suoi occhi chiusi.
L’ adagiò sulla sabbia, era familiare ma non ricordava di aver mai visto una ragazza così bella. Le accarezzò le guance fredde e le braccia ferme, poi capì chi fosse. La ragazza che aveva incontrato alla fontana.
Felice di averla ritrovata posò le labbra sulle sue, le tappò il naso e spinse sul petto, quella sputò l’acqua ancora stordita e le tentennarono le palpebre, permettendogli di vedere i suoi occhi azzurri. Anise, sì, ne era sicuro, era…Anise.
La ragazza era ferma immobile, forse dormiva, forse era svenuta. Era euforico per averla salva e, come se fosse stato il gesto più naturale del mondo, pose nuovamente le sue labbra su quelle della ragazza. In un bacio dolce e sorrise.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


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Capitolo Settimo

Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare, che ti chiamerà.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]
 

 -An...!
-Ci…enti?                       
-Ris…ondi!
I suoi occhi trovarono il modo di aprirsi.
-Anice!
-…ha aperto gli occhi!
-Scusaci Anise, siamo stati degli incoscienti!
-Ecco bravi, scusatevi! Stava per morire questa povera ragazza! Vergognatevi, e non vi azzardate più a salire su una barca da soli! Piccoli stupidi incoscienti!
Vide la madre di Vanille, la signora Brunette, rimproverarli a pochi passi dal letto dove era stata sdraiata. I suoi amici la fissavano preoccupati. Vanille piangeva a dirotto:
-Eravamo appena diventate amiche, le volevo già un gran bene come alla sorella che non ho mai avuto! Le avrei chiesto di trasferirsi da noi!
Fennel…pure:
-L’avevo appena conosciuta e mi piaceva così tanto! Lei, che ha sacrificato se stessa per me! Le avrei chiesto di sposarmi!
-E’ viva idioti!
Gli rimproverò Juice. A lei venne da ridere.
-Oh, la mia promessa sta ridendo, che soave visione!
Lei rise ancora di più.
Era in una stanza piccola e accogliente dalle pareti azzurre. Sopra il letto in cui era stata coperta, una grande finestra con delle tende in sangallo bianco illuminava la stanza; mentre, nella parete opposta vi era una cassettiera bianca con sopra, tantissimi dipinti ad acquerello e al centro, uno specchio tondo appesi al muro. La spalliera del letto, le cornici e lo specchio erano tutti decorati da della corda e delle conchiglie. Doveva essere la stanza di Vanille.
-Stai bene, piccola?
Chiese il signor Walnut entrando nella stanza.
-Si, grazie. Scusate se vi arreco disturbo.
-Non dire assurdità, Vanille c’ha raccontato tutto. E’ per questo che abbiamo deciso di farti restare qui con noi.
-Restare qui con noi?
Ripeté lei, confusa dalle parole pronunciate della madre di Vanille.
-Esatto. Dormirai qui stanotte e in seguito.
-Oh cielo, no! Non mi permetterei mai, non vi dovete sentire obbligati! Io ho scelto questa vita, anche se è difficile da credersi...
Lei fece cenno di no con la testa.
-Non penso proprio tu te la sia scelta. Non posso lasciare per strada una ragazza dell’età di mia figlia, e comunque non preoccuparti, non ti pago nemmeno tutti gli straordinari che mi fai!
Disse facendole l’occhiolino.
-Ma io…
Esitò.
-E dai Anice! Te l’ho detto, ti voglio bene anche se non ci conosciamo da molto, e mi fa sentire in colpa saperti in mezzo ad una strada! Fallo per me!
Lei tacque per qualche secondo fissando gli occhi imploranti della sua amica, per poi decidersi:
-Va bene, ma a patto che mi diminuite la paga!
Vanille si illuminò in un sorriso e la abbracciò di slancio.
-Sì sì! Tutto quello che vuoi!
Ricambiò l’abbraccio accarezzando i capelli castani della ragazza, odoravano di sapone artigianale alla menta. Era talmente affettuosa e altruista, doveva esserle immensamente grata.
-Anice, ma tu non ce l’hai una casa?
Chiese Juice, stupito da quella discussione a cui aveva assistito.
-E’ una girovaga: la sua casa è ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo!
Disse il padre di Vanille con aria sapiente.
-Esatto! Ha visto moltissimi posti, e conosciuto moltissima gente, ha imparato ad andare in barca e sa parlare molte lingue!
Disse la sua amica sciogliendo l’abbraccio e andando a parlare di lei ai due ragazzi, stupiti dalle sue parole.
-Accidenti, a vederti non si direbbe proprio. Somigli più ad una gattina di appartamento che ad una rondine che migra!
Disse sorridendogli Juice andando a scompigliarle i capelli. Lei arrossì di rimando.
-Cavoli, me la sono scelta bene la promessa!
Disse commosso Fennel scatenando le risate di tutti i presenti. Quando a un tratto, lei si fece pensierosa e chiese:
-Come avete fatto a soccorrermi?
-Purtroppo, non siamo stati noi. E’ già un miracolo che Juice sia riuscito a tornare al porto una volta che la tempesta è diminuita. Quindi una volta scesi a terra, siamo andati subito a chiamare i soccorsi, cercando di fare il possibile e sperando di trovarti ancora in mare, ma poi per strada abbiamo incontrato Almond, quello che gestisce il faro. Ti portava in braccio e ti aveva avvolto nella sua giacca...
Disse Vanille indicando una poltroncina nell’angolo della stanza dove vi era posata una giacca leggera.
-Io penso che debba andare a ringraziarlo.
-Non credo che sia una buona idea piccola.
La avvertì la signora Brunette. Nell’angolo, Fennel fece una strana espressione.
-Grazie per la sua preoccupazione, ma glielo devo.
-Anche se non è visto bene da molti, io lo vedo eccome: è talmente bello!
Disse gongolante Vanille, procurando un moto di irritazione a Juice:
-Non dire scemenze!
-Uhu, guarda chi è arrossito…
Lo prese in giro Fennel ma, capendo di rischiare di trovarsi un occhio nero, si corresse:
-No, no! Cioè, è anche vecchio!
Vanille lo guardò stupita: -Ha solo un anno più di me!
-Già! Ha la mia età!
Fennel, rischiando di prenderle da tutti e due, andò ad abbracciarla lamentoso:
-Ah, Anice! Aiutami!
La signora Brunette infuriata colpì tutti e tre in testa con il giornale cha aveva in mano, facendoli zittire.
-Avanti, Anice deve riposare. Lasciamola in pace.
Suo marito rise di gusto nel guardare le facce sconsolate dei tre amici che la salutarono.

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo ***


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Capitolo Ottavo


Aveva il cuore che gli sbatteva da dentro come un matto, le mani che gli tremavano e uno strano ronzio nelle orecchie. Non c'era da stupirsi, pensò: non capita tutti i giorni di riuscire a volare.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]
  
Tra poco sarebbe stata l’alba. I genitori di Vanille erano stati così gentili ad ospitarla e le avevano pure portato la cena a letto, ma si sentiva ancora spossata dopo tutta l’acqua che aveva avuto nei polmoni. Non riusciva a prendere sonno e stava a fissare il soffitto bianco pensando alla persona che l’aveva salvata e al suo sogno, mentre la sua amica dormiva beata nel letto affianco al suo. Si alzò avvicinandosi lentamente alla finestra per osservare il faro. L’indomani sarebbe andata a trovarlo, senza dirlo a nessuno e senza far preoccupare i suoi ospiti.
Dopo poche ore anche Vanille si svegliò e andarono a lavorare al negozio. Quando ebbero finito il turno di mattina, stavano per riordinare e chiudere per la pausa pranzo ma qualcuno fece tintinnare i campanellini appesi alla porta.
-Spiacenti, ma siamo chiusi in questo momento. Riapriamo tra qualche ora!
Disse distratta Vanille sfogliando il quadernino degli appunti di sua madre mentre lei dava lo straccio in terra.
-Hem…non sono un cliente.
Disse una faccia sorridente che spuntò dallo scaffale.
-Carmel!
Lo salutò stupita per la sua visita inaspettata.
-Hei, come stai?
Gli chiese Vanille.
-Bene grazie. Sono venuto a chiedervi se vi andava di pranzare con me…
Chiese timido il ragazzino.
-Ma certo! Prepariamoci il pranzo e andiamo a mangiare al parco!
Dopo aver preso la linea del tram, si sedettero sull’erba a mangiare il pranzo preparato dalla signora Brunette.
-Vanille, tu conosci Icing?
Le chiese curiosa.
-Sì, è un tipo molto solitario, ma lo conoscono tutti qui. Si occupa soltanto di Carmel e delle sue campane!
Il ragazzino sorrise sentendo parlare della persona a cui era legato:
- Già, non ha molti amici che io sappia. Poi con suo fratello nemmeno si parlano.
-Che cosa triste…
Disse lei senza pensarci; accarezzava il prato e la soffice erba, riflettando su chi aveva la fortuna di avere una famiglia ma non ne gioiva.
-Girano strane voci su di loro. Non hanno più i genitori e sulla loro morte si celano tanti dubbi…
Le disse l’amica con voce piatta mentre riponeva nel cestino di vimini ciò che rimaneva del suo pranzo. Ci fu un momento di tensione e imbarazzo ma Vanille lo ruppe aggiungendo:                 
-Comunque sono situazioni che vanno al di là della nostra comprensione. Secondo me dovresti conoscere Icing, è comunque una brava e bella persona, soprattutto bella…
-Sei irrecuperabile!
Disse all'amica lanciandole addosso la tovaglietta del pic nic che prima stava piegando.
Nell’incamminarsi per ritornare a lavoro, il ragazzo, come la volta precedente, si fermò dinnanzi alla chiesa.
-Io mi fermo qui. Mi spiace non accompagnarvi, la prossima volta ti chiederò di raccontarmi altre delle tue avventure, Anise!
Lei gli sorrise di fronte alla sua timida, ma ben accolta, richiesta. Così, il ragazzino, tramite una porta nel retro della chiesa, le salutò un’ultima volta per poi richiudersela alle spalle.
-Gli stai molto simpatica, sai?
Le disse Vanille forse con troppa malizia.
-Ah, si...?
 Incominciarono a percorrere la via diretta alla piazza principale, quando, per scansare un uomo che portava vasi di terracotta alla sua bottega, con un movimento brusco vide rotolare qualcosa per terra. Lo riconobbe all’istante:
-Oh Vanille, potresti aspettarmi pochi secondi?
Le chiese raccogliendo da terra il piccolo cannocchiale.
-Perché, hai da fare qualcosa? Ti accompagno!
-No no, tranquilla. Devo restituire una cosa a Carmel che mi sono dimenticata!
A gran velocità ritornò alla chiesa mentre l’amica le disse in lontananza:
-Ma non sai dove è andato!
Allora le rispose di non preoccuparsi e di precederla, perché era davvero importante e, se avesse fatto tardi avrebbe preso l’unica linea del tram che c’era a MirabelCity. Con un pizzico di timore aprì la porta da cui era entrato Carmel pochi minuti fa che con un cupo cigolio le mostrò delle scale. Non percependo alcun rumore chiamò:
-Carmel? Carmel, sono Anise!
Il suo bisbiglio riecheggiò nella tromba delle scale. Incominciò quindi a percorrere i brevi corridoi e gli infiniti gradini, trovò anche alcune porte che vi affacciavano ma non ebbe il coraggio di aprirle. Avanzando sempre di più, l’aria all’interno si faceva più fresca e si potevano udire rumori esterni, pur non essendoci finestre.
Alzò lo sguardo e vi trovò un panorama magnifico. Sopra la sua testa, le grosse campane dormienti imponevano su di lei, mentre ai lati, quattro archi mostravano la cittadina sul mare in tutto il suo splendore. D’impulso andò ad affacciarsi per essere scossa dal vento, per osservare gli uccellini in volo, per cercare di scorgere qualcosa di impreciso al di là dell’orizzonte. Si ricordò del panorama del parco e di come il cannocchiale di Carmel lo esaltasse. Portò il piccolo oggetto di ottone davanti al viso e lo posizionò nell’incavo dell’occhio e del nasino all’insù. Era così bello da sembrarle tutto realmente vicino, resistette all’impulso di protendere una mano per toccare ciò che vedeva.
D'improvviso sentì un tintinnio di campanelli e il rumore del portone in fondo alle scale aprirsi.
-Ah!
Non ebbe il tempo di voltarsi che il cannocchiale le scivolò dalle mani, sotto di lui, il vuoto. Ad occhi spalancati e imploranti, automaticamente si sporse per afferrarlo, portando il suo peso completamente sul davanzale a mozzarle il respiro, e distaccandosi dal suolo sotto i suoi piedi. Così facendo, perse l’equilibrio e vide giù dal campanile il suolo a vertiginosa distanza.
Stava cadendo.
Chiuse gli occhi mentre il cuore le sfondava il petto, nel più completo e totale panico sentì un braccio cingerle la vita, mentre un’altra mano andava ad afferrare velocemente il piccolo cannocchiale. Venne trascinata sul pavimento ma i petto dello sconosciuto attutì la caduta. Pochi secondi dopo riprendendo fiato per la paura si voltò a vedere il suo salvatore e lo riconobbe.
Era il ragazzo che le aveva dato la monetina il suo primo giorno in quella cittadina.
-Tu…
La stava ancora cingendo saldamente con un braccio, e quando i suoi occhi si spostarono su di lei si accorse di aver fatto un errore. Non era il ragazzo della fontana, i suo sguardo era freddo anche se le iridi erano identiche, le palpebre avevano una cadenza diversa e molto più matura. Sentì il giovane respirare avvicinando la punta del naso ai suoi capelli.
-Sei tu che allora, che emani questo profumo di cannella...
Lei era rimasta immobile per lo stupore.
-Sei un’amica di Carmel?
Le chiese spostandosi.
-Hem…io sì.
Affermò sbattendo le palpebre per essere più lucida, scansandosi in tremendo imbarazzo.
-Glielo ho costruito io.
Le disse indicando il cannocchiale, poi, distanziandosi si alzò agilmente in piedi. Lei seguì il suo esempio, anche se dovette sorreggersi alla parete per non cadere, era scossa e confusa.
-Oh cielo! Davvero? Scusami io ero qui per riportargli il suo cannocchiale... io tuo, insomma. Ma mi sono persa e…
-Stà tranquilla.
La interruppe lui.
-...se ti ha dato il cannocchiale vuol dire che gli piaci parecchio,di solito lo tiene nascosto pure a me.
Le prese una mano e vi posò l’oggetto. Allora notò l'altezza e i tratti del ragazzo che era evidentemente più grande di lei. Portava i capelli mori e lunghi racchiusi in un nastro blu con due campanellini appesi; gli stessi che vendevano in negozio, non aveva ancora capito se fossero un simbolo usato da quelle parti.
-Io..
Cercò le parole giuste da dire.
-Anise!
Da dietro il ragazzo comparve Carmel.
-Che ci fai qui? Hai conosciuto Icing?
Lei lo osservò stupito.
-Icing, ti presento Anise, te ne ho parlato tanto!
Lui guardò il ragazzino e poi volse lo sguardo su di lei.
-Allora finalmente ho il piacere di conoscerti.
C’era qualcosa di inquietante nel suo sguardo, seppur sempre bellissimo.
-Hem…piacere mio. Adesso Vanille mi starà aspettando, ero venuta per darti questo…
Gli porse il cannocchiale ma Carmel scostò la mano protesa:
-E’ meglio che lo tieni tu questo...vero?
Chiese al tutore. Questo, tenendo lo sguardo su di lei, le rivolse un sorriso quasi provocante.
-Certo. Tienilo tu…Anise.
Ringraziando infinite volte, scese di corsa la torretta, e arrivò tardi a lavoro.

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***


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Capitolo Nono


  

Come si fa? Come glielo dici, a una donna cosi', quello che devi dirle, con le sue mani addosso e la sua pelle, la pelle, non si puo' parlare di morte proprio a lei, come glielo dici a una ragazzina cosi', quello che lei sa già e che pure bisognerà che ascolti,le parole, una dopo l'altra, che puoi anche sapere ma devi ascoltare, prima o poi, qualcuno deve dirle e tu devi ascoltarle,lei,ascoltarle, quella ragazzina che dice
-Hai degli occhi che non ti ho visto mai.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]


-Quindi hai conosciuto Icing?
-Sì.
Rispose a Vanille.
-Dio, quel ragazzo è stupendo! Così maturo e affascinante!
Disse con occhi splendenti.
-Tu guardi solo l’aspetto fisico…
L’amica le lanciò uno sguardo poco convinto per poi andare a guardarla di sottecchi:
-Come è andato il primo incontro?
Lei distolse lo sguardo arrossendo e Vanille le tirò un cuscino in faccia.
-Poi dici di me!
-Vanille!
La richiamò arrossendo con rimprovero e abbracciando il cuscino che le aveva tirato.
-Non è colpa mia…! Mi ha salvato la vita, stavo per cadere dal campanile!
Vanille scoppiò a ridere sguaiatamente mentre il suo pigiama si riempiva di pieghe.
 -Smettila di ridere!
Erano nella camera da letto della sua amica, era sera e tra poco sarebbero dovute andare a dormire. Come la notte precedente, si svegliò all’alba, mentre tutti stavano ancora sognando. Prese di corsa il giacchetto di lino sulla poltrona e, sperando di far in tempo, uscì dal condominio e si incamminò scalza per raggiungere la spiaggia.
Non sapeva se avrebbe trovato chi cercava, ma voleva provarci. La sabbia era gelida, il mare era mosso e grandi nuvoloni grigi vi incombevano sopra, la sua vestaglia si stava sgualcendo per l’umidità mentre raggiungeva il faro. Salì per il breve vialetto che portava alla torretta e bussò alla sua porta con il cuore che le batteva forte. Forse era troppo presto per trovare alzato il guardiano del faro, o forse troppo tardi visto che ormai era spento, comunque voleva davvero ringraziarlo. Se lo immaginava un uomo robusto dalla barba bianca, vestito leggero e magari con una pipa in bocca, un po’ come tanti pescatori e marinai che aveva visto al porto. Poi però ripensò alle parole gongolanti di Vanille, quindi si accigliò non riuscendo proprio a immaginarselo.
Stava per bussare ancora quando la porta si aprì bruscamente.
Stavolta…era. Era davvero.
 
La ragazza rimase imbambolata a guardarlo mentre lui, che aveva aperto la porta irritato, in quel momento era sbigottito. Si accorse di avere la camicia aperta a mostrare l'ampio petto e, nel guardare le gambe seminude della ragazza, deglutì per poi incrociare le braccia con un po di pudore.
-T-tu sei il…guardiano del faro?
Gli chiese balbettando con voce acuta e flebile. Lui a quella domanda assunse un’espressione dura e tormentata.
-Non dovresti essere qui.
Pessima idea, sia il fatto che fosse venuta da lui sia il fatto che glielo avesse detto, giudicando dalla sua espressione.
-Sei stato tu a salvarmi, non è vero?
-Io non ho fatto niente. Non so di cosa tu stia parlando,
Le rispose scontroso.
-Scusa non volevo disturbarti…
 
Era diverso. Neanche lui era il ragazzo che aveva conosciuto alla fontana qualche settimana prima. Ma quel giovane gli assomigliava più di tutti gli altri: le stesse iridi gentili, gli stessi capelli mogano scuro. Ma la sua mascella era contratta, la sua fronte non era rilassata e le sue mani stavolta non erano pronte a protenderle i palmi per trascinarla da qualche parte, ma chiuse ad arrossire sulle nocche.
-Cosa sei venuta a fare?
Le chiese con curiosità amara. Mentre stava per rispondergli sentì qualcosa sbattere o forse cadere da dentro la torretta del faro. Il ragazzo si voltò irritato:
-Maledizione…
Andò a controllare dentro lasciando distrattamente la porta socchiusa. Lei con impulsività non esitò a seguirlo: c’era una scala a chiocciola che portava ad un piano superiore, era più spazioso di quanto sembrasse dall’esterno e c’era un’amaca e una quantità sproporzionata di libri, sopra un ripiano vide una conchiglia dalle striature ambra mai viste prima. Disincantandosi da quella meraviglosa conchiglia lo fermò afferrando un lembo della sua camicia mentre stava salendo la scala:
-A-aspetta!
Il ragazzo si voltò arrabbiato:
-Cosa vuoi ancora…?
 
Il suo tonò piano piano si annullò e la sua voce divenne un sussurro mentre vedeva gli occhi imploranti della ragazza. Le sue guance si sarebbero bagnate a breve sotto il suo sguardo.
-Prendila…e grazie infinite.
Gli disse senza mollare la presa e tendendogli la sua giacca.
-Oh…ti ringrazio. Comunque adesso faresti meglio ad andartene.
Prese la giacca dalle sue mani chiare. Forse era solo una sua impressione ma sembrava tremassero.
-Sì, penso anche io.
Lasciò la presa, gli voltò le spalle e corse fuori facendo oscillare violentemente l’orlo della veste bianca. La porta sbatté per il vento e a reazione automatica, lui andò sulla soglia per vederla correre sulla battigia sotto un’insistente pioggia e il fragore del mare, mentre nascondeva il viso con una mano e correva velocissima verso la città.

Come glielo dici, a un uomo cosi', che adesso sono io che voglio insegnargli una cosa e tra le carezze voglio fargli capire che il destino non è una catena ma un volo, e se solo ancora avesse voglia davvero di vivere lo potrebbe fare, e se solo avesse voglia davvero di me potrebbe riavere mille notti come questa invece di quell'unica, orribile, a cui va incontro, solo perché lei lo aspetta, la notte orrenda, e da anni lo chiama.
Come glielo dici, a un uomo cosi', che ti sta perdendo?
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo ***


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Capitolo Decimo



C'è gente che muore e con tutto il rispetto non ci si perde niente.
Ma lui era uno di quelli che quando non ci sono più lo senti.
Come se il mondo intero diventasse da un giorno all'altro, un po' più pesante.
[A. Baricco, Oceano Mare]



Era passata una settimana da quell’incontro e la vita scorreva piacevolmente monotona. Sapeva che Vanille era in pensiero per lei e sapeva anche che la notte di una settimana a dietro era uscita all’alba ed era rientrata con i piedi pieni di sabbia, la veste sgualcita e le guance gonfie. Ma da ottima amica non le aveva chiesto niente e probabilmente aspettava che fosse lei a parlargliene. Cosa che forse non avrebbe mai fatto per la vergogna.
Quel pomeriggio Juice e Fennel erano venuti al negozio e con Vanille stavano cercando in qualsiasi modo di convincerla a saltare lo straordinario. La signora Brunette e suo marito erano andati via per prelevare la merce quindi non poteva proprio:
-No, ragazzi davvero…i genitori di Vanille mi hanno ospitato a casa loro e non voglio approfittarmene.
Fennel si fece vicino e le chiese:
-Anice, è domenica! Poi, che ti succede? Sei diversa in questi giorni.
Lei cercò di smentire risultando troppo agitata.
-Ma no, non è successo nulla!
-Non è vero. Adesso inizio a preoccuparmi seriamente anche io.
Vanille le rivolse uno sguardo duro e parecchio strano per il suo viso.
-…che ti è successo la notte scorsa? Ho aspettato che me ne parlassi te ma invece non è successo, quindi te lo chiedo io.
-Ma Vanille!
La rimproverò e lei le rivolse uno sguardo frustrato.
-Quale notte?
Chiese curioso Juice.
-L’altra notte è uscita in vestaglia e quando è ritornata era sconvolta, come se si fosse rotolata in spiaggia.
Fennel allora la prese per le spalle e la guardò curioso e preoccupato:
-Sei stata al faro?
Lei rimase in silenzio, spiazzata da quella domanda, chiedendosi come Fennel sapesse sempre tutto.
-Che ci sei andata a fare?
Le chiese allora Juice con tono gentile.
-Io…ho restituito la giacca al guardiano.
Amise a testa bassa.
-Oddio Anise! E’ pericoloso! Ti ha fatto qualcosa? Dimmelo ti prego!
Vanille scansò Fennel e cercò il suo sguardo.
-No, non è successo niente…
-Forse è il caso che tu, Fennel, le racconti cosa sai.
Disse Juice assestandogli una piccola pacca sulla spalla, lui con un sospiro acconsentì.  
-Forse è meglio che vi lasciamo soli, non so se è il caso che anche noi restiamo a sentire, siamo estranei a questa faccenda…
Disse Vanille con una sorta di malinconia. La sua amica e Juice fecero per uscire quando al negozio si presentò Carmel.
-Hei Anise, come stai?
In questi giorni aveva scoperto che tra Fennel e il ragazzino non c’erano buoni rapporti.
-Bimbetto, sloggia! Io e la mia promessa abbiamo da consumare.
Disse Fennel attaccandosi come una piovra e cingendole un fianco con una gamba. Si elevarono delle risate mentre Carmel arrossiva violentemente e balbettava qualcosa:
-Ma se sei anche più piccolo di me!
Le due amiche restarono sbalordite da quella rivelazione.
-Ho solo un anno meno di te!
Puntualizzò Fennel tirando fuori la lingua, anche se vedendolo sembrava essere persino più grande di loro.
-Forza, adesso andiamo.
Disse ridendo Juice e trascinando fuori Vanille e Carmel, contro il loro volere.
-Tu quanti anni hai Anice?
Chiese curioso il ragazzino.
-Ne compio diciotto tra meno di una settimana.
-Dovremmo festeggiare allora! Sai, Almond ne ha uno più di te e cinque più di me, ma siamo sempre stati molto amici comunque.
Disse il ragazzino sorridendo, appollaiato sullo sgabello del negozio deserto.
-Almond…? E’ il nome del ragazzo che gestisce il faro vero?
Chiese curiosa e arrossendo quasi nel pronunciare il suo nome.
-Lui non lo gestisce soltanto. Lì, vi abita.
-Abita dentro il faro?
Chiese stupita ricevendo un cenno affermativo.
-Il faro è il posto in cui sono morti i suoi genitori.
Lei si portò una mano sulla bocca e Fennel assottigliò lo sguardo mentre andava a fissare il pavimento.
-Ho conosciuto Almond quando avevo tre anni. Sua madre lavorava per mio padre, alla sede comunale e spesso portava anche suo figlio e giocavo sempre insieme a lui. Vivevano in una delle tante casette dai tetti colorati: i suoi genitori, lui e il fratello che aveva una volta.
Lei ebbe l’impulso di chiedergli cosa significasse quell’ultima frase, ma non lo volle interrompere.
-Un giorno, quando lui aveva solo dieci anni e il fratello ne aveva tredici, fecero una gita al faro. Lui era un ragazzino molto movimentato e andò sulla piccola terrazza circolare sulla cima, era molto pericoloso perché era pericolante, lo sanno tutti. I suoi genitori, quando si accorsero della sua assenza, andarono subito da lui, lasciando la porta aperta che portava dentro il faro, dove suo fratello era rimasto ad osservare la scena da dietro il vetro. E fu da quel punto che vide i suoi genitori morire mentre traevano in salvo il fratellino: loro si erano sporti per afferrarlo e lo avevano scaraventato verso la porta che significava la salvezza, prima che la balaustra di ferro arrugginita si rompesse e il suolo franasse facendogli cadere giù dal faro, nel mare che si infrangeva sugli scogli.
Fennel finalmente le rivolse uno sguardo, dolce e serio sul viso che non si era mai accorta fosse dai tratti effettivamente ancora infantili.
-Da quel giorno, tutti iniziarono a trattare Almond sgarbatamente. Devi sapere che, i suoi genitori, erano amati da tutti perché erano sempre disposti a offrire il loro aiuto a chiunque a MirabelDity e, alla loro morte, molti ne soffrirono. Ma non pensarono che il primo che ne avrebbe davvero sofferto fosse proprio Almond, o forse lo sapevano ma non gli importava perché resero la sua vita un inferno. Anche suo fratello lo abbandonò, non erano mai stai legati, quindi mio padre lo ospitò per qualche anno fino a che non decise di andarsene per non pesare a nessuno. Andò proprio a vivere al faro e, ovviamente, si mise di impegno per risistemare la torretta e la balaustra, ristrutturando tutta la struttura, da solo.
Lei si alzò dalla sedia e Fennel la guardò sorpreso. Senza dire una parola, alzandosi in piedi si chinò ad abbracciare il ragazzino più piccolo di lei e forse, per certi versi, più maturo o più infantile, ma non era questo l’importante perché si strinse a lui e iniziò a singhiozzare. Il ragazzino si sentì una persona meschina perché, senza pensarci, fu felice di poter respirare il suo profumo. Ed anche se aveva paura di una sua reazione brusca, glielo confessò:
-Anise, lo sai che io ti sposerei veramente?
Lei rise contro il suo corpo eccessivamente robusto per la sua età, ma capì che dietro alle sue parole scherzose si celava la realtà, e ne fu immensamente onorata.
-Grazie infinite, Fennel.

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo ***


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Capitolo Undicesimo


Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c'è da rimanerci secchi.
Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte.
Sono leggere dentro. Dentro.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]

Era arrivato il finesettimana. Ma non un finesettimana qualunque perché, per gli abitanti e per la stessa MirabelCity la notte di mezzo, era quella in cui anni e anni prima venne fondata la città. L’anniversario della fondazione, esattamente.
Era una delle poche feste che si tenevano in quella cittadina, quindi veniva organizzata in grande stile e gli abitanti si davano da fare senza sosta per celebrarla.
Quella mattina tutta la città era riunita nel parco, agghindato con ghirlande e festoni, e dei musicisti di strada erano arrivati con in mano uno xilofono, un violino e un piccolo pianoforte.
-Fennel, che ne dici di far ballare quei due?
Gli chiese indicando Vanille e Juice che discutevano scherzosi. Lui le fece l’occhiolino, andò dal ragazzo che suonava il pianoforte a sussurrargli qualcosa all’orecchio e quello gli ammiccò.
Partì una musica allegra e melodiosa. Fennel invogliò dei bambini a ballare in cerchio insieme a lui, poi delle anziane signore e anche delle coppie di innamorati. In seguito, andò furtivamente alle spalle a Juice e gli diede una piccola spinta verso Vanille. I due erano al centro della piccola piazzola. Si guardarono negli occhi e arrossirono, fermi immobili.
Lei decise di intervenire quindi prese per mano Fennel e andò incontro ai due ballando, a sorriderli per incoraggiamento. Juice allora, senza dire una parola abbassò lo sguardo e prese la mano della ragazza. Vanille lo fissò stupita e iniziarono a volteggiare mentre la musica si faceva più dolce.
-Abbiamo fatto un ottimo lavoro. Sono adorabili.
Disse Fennel mentre volteggiavano.
-Già, quando non litigano...
Il ragazzo seguì il suo sguardo indirizzato verso i loro amici. Erano giocosi ma con un profondo senso d’intesa: si percepiva quando il cavaliere faceva volteggiare delicatamente la giovane come una lenta girandola per poi riattrarla a se a sfiorargli il petto. O come seguiva la sua scia profumata delle sue ciocche di capelli sospesi a mezz’aria, come lei lo guardava nei suoi occhi blu limpidi, come era tesa quando non era tra le sue braccia, da come carezzava le sue grandi mani.
Lei osservandoli arrossì stupita.
-…già sono bellissimi.
Disse sottovoce.

-Sì.
 Fennel tornò a guardarla e ne rimase colpito, vide il suo sguardo pieno di meraviglia ma con una cadenza triste. Dopo che fu finita la musica, si interrogò del perché lo avesse mostrato, inconsapevolmente.
-Attenti, attenti!
 
Non fece in tempo a voltarsi per vedere degli occhioni blu spalancati e subito dopo delle spalle robuste incomberle.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo ***


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Capitolo Dodicesimo



Come glielo dici, a un uomo cosi', che adesso sono io che voglio insegnargli una cosa e tra le carezze voglio vargli capire che il destino non è una catena ma un volo, e se solo ancora avesse voglia davvero di vivere lo potrebbe fare, e se solo avesse voglia davvero di me potrebbe riavere mille notti come questa invece di quell'unica, orribile, a cui va incontro, solo perché lei lo aspetta, la notte orrenda, e da anni lo chiama.
Come glielo dici, a un uomo cosi', che ti sta perdendo?
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]


 -Oddio Anise! Mi senti?!
Degli schizzetti d’acqua la rianimarono, vide della luce e un’ombra sfocata, cercò di rialzarsi e qualcuno l’aiutò.
-Va tutto bene, ha solo preso un colpo in testa cadendo.
Disse una voce profonda accanto a sé mentre mani leggiere le sfioravano la fronte.
-Icing!
Esclamò notando finalmente la sua presenza. Erano in una stanzetta dalle pareti crema, e lei era distesa su di una brandina.
-Sono felice di rivederti.
Le sorrise sotto lo sguardo in brodo di giuggiole che le riservava Vanille, mentre un Juice, alla sua destra, alzava gli occhi al cielo.
-Vedi Anise, il fatto è che, questa signorina qua tanto leggiadra…
Disse il ragazzo indicando Vanille.
-Mi ha pestato un piede e ci ha fatto scontrare contro di voi.
Lei rise vedendo lo sguardo arrabbiato dell’amica, poi chiese:
-Dove’è Fennel?
-Ti ha portato in spalla fino a qui e poi è andato per aiutare con i preparativi per la festa di stasera.
-In effetti dovremmo andare anche noi.
Ammise Juice ma mentre si stavano avviando verso l’uscita, cercò di fermarli:
-Hei, aspettate! Vengo anche io!
-Ah, no cara! Sei appena svenuta, ti lasciamo alle gentili cure del Signor Icing, sapevi che studia per diventare medico?
Così dicendo l'amica le fece l'occhiolino e uscrono dalla stanza. Erano soli, i suoi amici l’avevano appena scaricata, e quel ragazzo dalle iridi fredde le metteva agitazione anche se dava l’impressione di essere una persona disponibile e tollerante.
-Anise…
La distrasse.
-S-sì?
-Come va la nuca?
-Molto meglio, grazie.
Stava per alzare lo sguardo semi in imbarazzo ma si soffermò sul piccolo scrittoio in mogano dall’altra parte della stanza. Una conchiglia marina rosa dalle striature ambra all’esterno e madreperla all’interno, vi era posata sopra. Grossa quanto un pugno, e a lei familiare.
-Quella conchiglia…
Lui volse un fugace sguardo allo scrittoio e poi tornò a sorriderle.
-Me la regalò mia madre, una a me e una a mio fratello.  Per non farci provare sentimenti tristi... ci disse che nessuno sa cosa nascondano le conchiglie nel profondo, solo i padroni sanno cosa vi è dentro. Quando vengono trovate sulla battigia, abbandonate e svuotate, sono utili per contenerci cose che vogliamo tenere nascoste, come i brutti sentimenti.
Lei era rimasta a fissarlo meravigliata.
-Cielo, deve essere una donna bellissima.
E non intendeva solo esteriormente, dopodichè sbatté le palpebre e si ricordò una cosa importante, Icing stette per dire qualcosa ma lei lo bloccò:
-Ecco dove ne ho vista una identica: al faro!
Il ragazzo si irrigidì all’istante.
-Anise…sei stata al faro?
Lei annuì rattristandosi per il ricordo di quel brutale incontro. Il giovane le si avvicinò e la strinse nelle spalle, con mani frementi per il turbamento che le facevano male:
-L’hai conosciuto allora, vero?
Lei trasalì confusa, poi notando il suo sguardo preoccupato, un lampo di consapevolezza attraversò i suoi occhi.
-Almond…è tuo fratello! Ecco perché ti avevo scambiato per lui, al nostro primo incontro! Ma allora, perdonami per tua madre...
-Come fai a sapere della morte di mia madre?
Chiese con amarezza. Lei mortificata cercò di dargli una spiegazione:
-Vedi Fennel…
-Anise, sta lontana da Almond.
Disse duro ignorandola.
-Come…?
Chiese confusa e incredula.
-Sta lontana da Almond!
Insistette con un tono di voce che non ammetteva repliche.
-Ma cosa stai dicendo? Tuo fratello…
-Quello non è mio fratello e smettila di nominarlo come tale! Tu non lo sai ma è lui…
Lei lo interruppe mentre cercava di dirle ciò che già sapeva:
-So cosa è successo: i vostri genitori sono morti per salvargli la vita.
Icing allentò la presa guardandola stupefatto.
-Anise, tu non capisci! Almond è solo un ammasso di rimpianti, uno scarto, un assassino.
Lei spalancò gli occhi sconcertata e scostandosi da lui gli chiese:
-Ma come ci riesci?
-A fare che cosa?
Chiese duro.
-A dire cose tanto crudeli!
Gli urlò sul viso dalla mascella contratta.
-Se non fosse mai nato e non mi avesse allontanato da nostra madre e nostro padre a quest’ora…
Non avrebbe mai creduto di vederlo così arrabbiato e non capiva neanche cosa stesse cercando di dire.
-...Tu, non devi avvicinarti a lui, capisci? Lo dico per te, Anise. Non chiedermi spiegazioni, in fin dei conti tu non sai nulla.
A quelle parole le bruciarono gli occhi.
-E tu non hai il diritto di dirmi cosa devo fare!
Disse voltandosi come una bambina immatura e aprendo la porta della stanzetta, anche se non aveva idea di dove portasse. Iniziò a correre, mentre delle grida invocavano il suo nome, mentre i suoi passi si facevano sempre più rapidi e difficili da percorrere, mentre in bocca un gusto di lacrime amare si faceva sentire, e uscì dalla chiesa.

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo ***


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Capitolo Tredicesimo

 

 Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti anni a crederci,
non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta.
Si è anzi felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai.
Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico,
tac, senza nessuna ragione, si rompe d'improvviso e tu rimani lì,
senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l'hai più addosso,
ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell'altro sei tu. Tac.
Alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora.
Basta quello.
[A. Baricco, Oceano Mare]


 



La piazza era in subbuglio per gli ultimi preparativi, ormai era sera e vedeva solo gente occupata darsi da fare: le donne intrecciavano ghirlande e grandi trecce di margherite, organizzavano stand di cibo o di antiquariato, mentre gli uomini si occupavano di appendere luci agli alberi o sistemare le panche e le sedie. Una melodia proveniente da un grammofono riecheggiava nell’aria insieme ai soliti tintinni dei campanellini, tipici di MirabelCity e appesi ovunque.
Quindi si sedette sulla prima panchina che trovò e volse lo sguardo al cielo. Non era una giornata di sole e il cielo era di un grigio livido, neanche i colori del tramonto si distinguevano, non sarebbe stata una sorpresa se si fosse messo a schizzettare. Sarebbe stato un peccato però: tutti quei preparativi. Però aveva pianto poche ore prima e l’aria fresca del vento le faceva piacere, le rinfrescava il viso.
-Anise!
La chiamò qualcuno alle sue spalle, non appena si voltò il ragazzino le rivolse un sorriso. Si sedette accanto a lei e, dietro la sua schiena, una mano nascosta stretta a pugno la incuriosiva.
-Carmel, che bello rivederti. Va tutto bene?
Disse cercando di nascondere il malumore.
-Si certo, anche se sono un po preoccupato: sono quasi le sette e non si sentono ancora le campane, mi chiedo se sia successo qualcosa ad Icing...
A quella frase, lei impallidì ma lui non vi fece caso.
-Senti Anise io…ti volevo chiedere una cosa. Tu...mi vuoi bene?
Lei prima sorpresa, si intenerì e posò le mani sulla sua pelle color cioccolato, andandogli a massaggiare le guance scherzosamente.
-Ma certo che ti voglio bene! Ne dubitavi, forse?
Disse sorridendogli. Ma lui stranamente, non ricambiò e posando una mano sulle sue scostò il viso. Lei cercò di sporgersi a vedere cosa nascondeva nell'altra mano, dietro la schiena, ma lui la bloccò con le sue parole:
-No, voglio dire bene...come posso fartelo capire, ecco…tu sei così bella e dolce, mi piace la tua pelle e i tuoi capelli, mi piace tutto di te! Quindi…tu…?
Se fosse stato possibile, sarebbe sicuramente arrossito. D'improvviso lei capì cosa volesse intendere e ne rimase sorpresa:
-Carmel? Ma io sono troppo grande…
-Rispondi alla domanda…!
La sgridò frustrato e la costrinse a mostrargli uno sguardo esitante.
-Sei il mio migliore amico qui a MirabelCity ma io non...
Carmel annuì e quando alzò lo sguardo, dietro il suo sorriso capì che stava per scatenarsi un pianto.
-Ho capito, comunque anche tu sei la mia migliore amica Anise.
Lei si sciolse.
-Grazie. Spero che quando sarai grande…
Lui rise senza lasciarla finire.
-Sìsì, lo so. Troverai anche tu qualcuno eccetera, hahahaha! Adesso è meglio che vada a vedere come sta Icing. Ci si vede dopo.
-Certo, a dopo.
Quando il ragazzino se ne fu andato notò un piccolo oggetto sulla panchina sceggiata. Prese la margherita in mano e vide che si trattava di un anellino intrecciato e lavorato come una delle ghirlande delle vecchie signore a pochi passi da lei. Lo osservò sorpresa e sconsolata, per poi voltarsi dalla parte dove Carmel era fuggito via, forse con una scusa, o magari con una verità. Poi si mise a piovere.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo ***


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Capitolo Quattordicesimo



Perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte...
[A. Baricco, Oceano Mare]



C’erano luci e c’era calore nell’aria. Gioia e euforia.
Era seduta su una sedia osservando il panorama al di là del vetro, si era fatta un bagno perché era tornata sconvolta, e come suo solito aveva fatto preoccupare i genitori di Vanille che l’avevano fatta sedere a tavola per cena anche se non aveva fame. In quel momento era buio fuori.
-Anise, sbrigati o faremo tardi!
Vanille entrò in camera e si fermò un istante. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e un vestito corto azzurro, che ad ogni suo movimento le pieghe oscillavano facendo pensare alla corolla di un fiore.
-Oddio, sei bellissima… dove hai preso quel vestito?
Chiese stupefatta.
-L’ho cucito io. La signora Cinnamon della sartoria…l’ho aiutata con alcune consegne e lei mi ha regalato la stoffa.
Era un vestito bianco, con degli inserti in pizzo.
-Accidenti, che brava, sei uno splendore! Ma ti manca qualcosa, fammi pensare...Trovato!
La fece sistemare dinnanzi allo specchio di camera sua e le scostò i capelli dietro la schiena.
-Te li lego in una treccia chiamata “spina di pesce”. Mia nonna materna, quando ero piccola e con i capelli lunghi, me la faceva sempre.
La invitò a sedersi e le mise una coroncina di margherite in testa. Quando ebbe finito osservò l’operato.
-Cielo Vanille, ti ringrazio, è meravigliosa.
Si abbracciarono.
-Sai Anise? Tu sei l’amica più cara che io abbia mai avuto. Cioè, io ne ho tante di conoscenze qua a MirabelCity, ma tu sei speciale. Sei così premurosa e gentile, aiuti sempre tutti e li catturi con i tuoi sorrisi, la ragazza più coraggiosa e indipendente che ci sia! Non posso neanche immaginare a tutte le persone a cui hai detto addio e se penso che dovrò dirti addio anch’io, non ce la faccio…
La voce le si incrinò e si nascose il viso tra le mani.
-Oh no, Vanille…
-Non andartene Anise…qui ci sono tante persone che sentirebbero la tua mancanza: Fennel, me, Juice, Carmel, i miei genitori e credo che anche ad Icing e ad Almond, lo si capisce. Ma tu te ne andrai lo stesso, non è vero?
Lei, invece di scostare le mani dal viso dell’amica come avrebbe fatto in qualsiasi altro momento, abbassò lo sguardo, per la prima volta non sapendo cosa rispondere alla domanda che tante volte le era stata posta. Non rispose. Forse per codardia, per paura, o forse per solo dolore. Perché non si era mai trovata così bene in un luogo come in quello: erano passate settimane dal suo arrivo e la stagione era al suo termine e, doveva ammetterlo, l’idea di doversene separare di lì a breve, non l’aveva mai neanche sfiorata. Una sofferenza si andava così ad aggiungere al mucchio. Non le sembrava nenahce che le parole di Vanille potessero essere vere, o almeno non le meritava; da qualche giorno era buona solo a procurare del male a chi le stava intorno: Almond, Fennel, il signor Icing, Carmel e adesso anche alla dolce Vanille. Così, in silenzio, l’amica piangeva abbracciandola, cercando una sua qualsiasi risposta che l’avrebbe consolata e che da lei non arrivava.

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo ***


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Capitolo Quindicesimo



Bisogna cercare di capire, lavorando di fantasia,
e dimenticare quel che si sa in modo che l'immaginazione
possa vagabondare libera, correndo lontana dentro le cose fino a vedere come
l'anima non è sempre un diamante ma alle volte velo di seta,
immagina un velo di seta trasparente, qualunque cosa potrebbe stracciarlo,
anche uno sguardo..
[A. Baricco, Oceano Mare]



Come aveva già visto dalla sua finestra, tutti erano eccitati nel pensare di star festeggiando l’anniversario della fondazione: c’erano mille lampadine accese nei viali, ghirlande e palloncini costellavano le piazza affollata, la musica si sentiva in ogni angolo, da ogni angolo, un gazebo montato con intrecciate delle margherite, artisti che disegnavano con gessi una sirena sul pavimento in pietra, giocolieri con campanellini appesi ai vestiti mentre giocavano con il fuoco o attori nei panni di personaggi antichi.
Tra grida esaltate, parole ininterrotte ed entusiaste, il sindaco, con il calice in mano, dei baffi biondi e una pancia abbondante faceva il suo semone su di un piccolo palco con affianco il figlio vestito bene e irritato. Lei lo salutò con la mano, nascondendo una risata con l’altra. Lui vedendola ricambiò con un sorriso rassegnato.
-Anise, cerchiamo di goderci la festa.
Le disse Vanille prima di raggiungere Juice e Carmel:
-Eccoci! Peccato che Fennel sia obbligato a stare su quel palco, è così buffo!
-Salve graziose signorine.
Salutò Juice prima di indirizzare uno sguardo eloquente a Vanille.
Poi, qualcosa la distrasse, tra la folla scorse qualcosa di familiare: capelli rossicci e dei lineamenti più che familiari. Stava per andare a vedere esitante, ma qualcuno la strattonò per un braccio.
-Anise! Vieni a vedere i fuochi con me!
Propose Carmel prendendola per un braccio come un vero bambino. Lei annuì non potendo rifiutare la sua offerta, era felice in quel momento e non voleva rovinargli una seconda volta la festa della fondazione.
-Sono belli, eh? Sono belli, vero?
Lei annuì mentre una altro botto e un altro fuoco d’artificio si alzava in cielo. Poi lo vide.
Stava aiutando una bambina a fare delle bolle di sapone, le sorrideva e le mostrava come fare: prendeva in mano la cannuccia e la inzuppava nel bicchiere della piccola riempito di acqua e sapone, la portava alla bocca ed espirava per creare la bolla dai riflessi arcobaleno. Quella scoppiò sul nasino della bambina procurando una sua dolce risata, poi andò via ringraziandolo e salutandolo per nome. Allora, il suo sguardo sorridente si posò casualmente su di lei, cambiando radicalmente: raddrizzò la schiena e assottigliò lo sguardo, aspettandola. In quel momento Carmel stava scherzando con Vanille e Juice, quindi era libera. Anche se non voleva lasciare i suoi amici non poteva più attendere, quindi si allontanò silenziosa da loro. Senza sciogliere lo sguardo incatenato al ragazzo, superò le persone che si sovrapponevano tra loro. Arrivò a poche decine di centimetri di distanza da lui fermandosi nel momento esatto in cui l’ultimo fuoco d' artificio esplose il cielo con la folla che esaltante esprimeva la sua contentezza e il suo apprezzamento.
Ma loro non ci badarano.
-Anise...
La chiamò per nome e a lei procurò un brivido di fragilità che non volle mostrare.

-Almond.
Gli rispose con un tono teso. La ragazza che aveva davanti a sé quella sera, un po come sempre, era bellissima: i capelli d’orati erano legati dietro la schiena semiscoperta, la fronte era accarezzata dai petali di margherita di una tradizionale coroncina, la pelle, sotto la luce dei fuochi d’artificio e dei lumini, candele e quant’altro, spiccava con un'insolita sfumatura ambrata a contrasto con la stoffa bianca del vestito. Sembrava un essere celestiale e i suoi occhi azzurri…lo fissavano facendolo quasi arrossire. E lui non arrossiva mai.
-Mi dispiace.
Le disse non riuscendo a sopportare la situazione, con un tono implorante.
-Quello che è successo non ha più importanza.
Un accenno di sorriso sulle labbra morbide che lui non potè non ricambiare all’istante. L’aveva perdonato, e questo fatto lo fece sentire benissimo: in pace finalmente con se stesso, ma soprattutto, con lei, che l'aveva fatto vergognare del tuo stesso comportamento. Si chiedeva come avesse fatto a trattarla in maniera tanto sgarbata l'ultima volta che l'aveva vista, con che coraggio le aveva detto di andarsene dal faro quando avrebbe voluto solo invitarla a entrare, denudarla di quella sottile veste, scaldarla e gustare il sapore dei suoi sorrisi. Le sue fantasie vennero interrotte:
-Anise!
Si voltarono al suono di campanellini che li fece rabbrividire.
-Che ci fai tu qui, Icing?
Chiese al fratello per poi prendere in mano uno dei fragili polsi della giovane con l'intento di spingerla dietro le sue spalle, come per ripararla da un gelido vento.

Non li aveva mai visti insieme. La somiglianza era enorme e minima allo stesso tempo: stesso colore degli occhi ma, se in Icing risultava freddo come la neve in inverno, in suo fratello ricordava il colore del mare quando veniva attraversato dai raggi solari, in piena estate.
-Non importa quanto tempo sia passato. Adesso, sta lontano da quella ragazza.
Disse al fratello minore, preocurando una sua dura reazione: -Non ti riguarda.
-Desideri la sua morte, forse?
Chiese con uno sguardo angosciato e crudele.
-Non sono un assassino!
Gli rispose il giovane scandalizzato. Non stavano urlando perché a pochi passi da loro, la folla continuava a festeggiare; riconosceva il posto, riusciva ad intravedere tra le siepi la meridiana che era stata un comodo letto le prime settimane.
-Se tu non avessi allontanato i nostri genitori da me non sarebbe successo!
Le mani strette a pugni e un sorriso sarcastico sul volto di Icing rivolto al fratello le causarono una stretta al cuore.
-Ma di cosa parli? Io non te li ho mai portati via! Eravamo una famiglia felice ma tu mi hai sempre odiato, e questo odio che si ripercuote nel tempo, loro, non lo avrebbero voluto.
Poi il quadro le fu completo e chiaro, tutte le parole dette assunsero quei significati che prima sfuggivano alla sua comprensione: lui non provava odio nei suoi confronti del fratello maggiore, né l’aveva mai provato. Mentre Icing, dal canto suo, lo odiava perché riteneva di averlo privato dell’affetto del padre e della madre, solo che per questo fatto, lo incolpava.
-Icing…sei stato tu a spingere Almond fuori dal faro?
Chiese a quel punto, e i due giovani la fissarono.
-Come hai detto?
Le chiese il ragazzo al suo fianco, stupefatto. Dischiuse le labbra ma non ebbe il tempo di emettere suono che, in lontananza si udirono delle grida e dei movimenti di persone a corsa. Aveva un brutto presentimento e lasciò i due fratelli soli, incamminandosi per vedere cosa fosse successo, lasciandoseli alle spalle, confusa.

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo ***


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Capitolo Sedicesimo


Si sentiva il mare, come una slavina continua, tuono incessante di un temporale figlio di chissà che cielo. Non smetteva un attimo. Non conosceva stanchezza. Non conosceva clemenza. Se tu lo guardi te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio... Tutto quell'infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco. Non lo spegni, il mare, quando brucia la notte.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]
  
Pochi istanti dopo, mentre correva alla rinfusa incontrò Fennel.
-Anise! Oh, eccoti qui!
Le disse fermandola trafelato.
-I ragazzi…erano sotto il gazebo, io li ho visti! E per colpa di un forte vento o non so cosa quello li è crollato addosso!
Lei non disse una parola mentre una sgradevole sensazione simile ad una voragine si impossessò del suo stomaco. Correndo vide prima il gazebo distrutto con degli uomini che cercavano di spostare le travi di legno di quello che vi era rimasto, poi Juice: era seduto su una sedia non lontana con molte persone che lo circondavano preoccupate.
-Non pensate a me, maledizione! Io sto bene ma Vanille: Fatemela vedere!
Gli andarono incontro vedendo il rivolo di sangue che dalla spalla dove il suo abito era strappato, si faceva largo nel suo braccio.
-Juice!
-Ragazzi, siete qui…
Disse sorpreso facendo spostare delle signore preoccupate.
-Come è successo?!
Gli chiese implorante.
-Non lo so, eravamo lì sotto, ci stavamo divertendo e d’un tratto ci è piombato addosso tutto quanto...Ma Vanille! Andiamo a cercare lei!
Lo aiutarono ad alzarsi dalla sedia e a camminare sotto protesta delle persone intorno a loro. Trovarono la ragazza distesa sopra una barella e con una benda in testa, il vestito azzurro sgualcito e il suo corpo misto a graffi e polvere.
-Vanille!
Disse andandole vicino a lisciare preoccupata i suoi capelli castani.
-Ha battuto la testa ma, anche se non è grave, cercate di non strattonarla.
Li avvertì il padre della ragazza che si era posizionato al suo fianco. Juice si scostò da Fennel e corse a stringerle la mano, e quello sguardo preoccupato e teso non lo avrebbe abbandonato.
-Mi dispiace Signore io…
Cercò di scusarsi con il padre.
-Non preoccuparti, anche se ora è svenuta, starà bene. Ci avete fatto prendere un bello spavento! Adesso la lascio in buone mani, vado a cercare sua madre e vedo che fine hanno fatto i soccorsi.
Detto questo si allontanò seguito da Fennel che si propose di dargli una mano.
-Anise, lei è quella che ne soffrirà di più quando te ne andrai.
Disse il giovane all’improvviso senza distogliere lo sguardo dalla ragazza svenuta.
-Juice…
-Lo so che non te ne dovrei parlare, soprattutto in queste circostanze, ma non te ne voglio fare una colpa. Vanille mi ha detto tutto, anche se non sembra lei mi dice sempre qualsiasi cosa le succeda.
Così dicendo accarezzò il viso della ragazza svenuta.
-...anche lei lo capisce. Mi ha detto che qui a Mirabel non hai trovato ciò che cercavi o qualcosa di simile. Ma manca ancora un po’ alla fine della stagione estiva e ti pregherei di rifletterci e sforzarti di cercare più a lungo.
Lei gli sorrise.
-Ma certo Juice.
-Grazie Anise, sei importante per tutti, non sono per Vanille.
Si allungò a sfiorarle la guancia e quando vi posò un bacio di ringraziamento, lieve e svelto, lei chiuse automaticamente gli occhi, senza imbarazzo.
-Adesso…io dovrei andare.
-Va pure ma promettimi che tornerai almeno per salutarla, qualora decidessi di non restare qui.
Lei annuì serissima in segno di promessa, per poi addolcirsi:
-Non vorrei lasciarla sola ma so che se ci sarai tu al suo risveglio, sarà felice ugualmente.
-Tu dici?
Una domanda cauta a nascondere il riflesso di speranza nei suoi occhi. Lei rise e annuì di risposta.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassettesimo ***


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Capitolo Diciassettesimo  

 



Si voltò e lentamente tornò su i suoi passi. Non c'era più vento, non c'era più notte, non c'era più mare, per lei. Andava e sapeva dove andare. Questo era tutto. Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente si chiude, e diventa sentiero distinto, e orma inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell'avvicinamento. Quell'accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino. Quella é un'emozione. Senza più dilemmi, senza più menzogne.
Sapere dove. E raggiungerlo.
Qualunque sia il destino.
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]


Entrò nella chiesa, era certa di trovarlo lì, in preda ai suoi pensieri, alle sue preoccupazioni. L’eco del chiasso nella piazza vicina e il silenzio di quel luogo erano tutt’uno. Aprì il grande portone e attraversò il corridoio nel mezzo delle panche e delle navate, davanti a sé, un crocifisso imponente con dei ceri lunghi affianco e delle candele per le offerte erano l’unica fonte di luce insieme ai bagliori all’esterno che illuminavano le vetrate, le quali proiettavano giochi di luce e colori sul pavimento in legno.
Si guardò intorno.
-Anise, che sei venuta a fare?
Alzò lo sguardo e vide una figura seduta nel corridoio sopra le navate, proprio davanti alla vetrata più grande di tutte: circolare arrivava poco prima del soffitto alto, il vetro dietro di lui era verde smeraldo, vinaccia, blu oceano, giallo acceso, viola come il fiore di buganville. Al confronto la sua sagoma era scura e tetra. Senza dire una parola salì la scalinata, percorse il corridoio del lato sinistro della chiesa con la mano sul corrimano poco stabile e lo raggiunse.
-Rispondi alla mia doman…
Non lo lasciò finire, si chinò esplodendo in un pianto contro il suo petto. Da lui non ottenne cenno di risposta, non un movimento, ma disse soltanto con sguardo vacuo perso nel vuoto:
-Io odiavo mio fratello…
Lei, tra un singhiozzo e un altro gli chiese con disperazione:
-Lo so, ma adesso? Adesso lo odi?
-Non lo so. Ma hai fatto bene a dirgli la verità, io non ne avrei mai avuto il coraggio. Non so come tu abbia fatto a capirlo, ma sono stato io quel giorno che l’ho spinto fuori sulla terrazza dal faro, sapevo benissimo che era pericoloso. Lui era sempre stato quello che io non ero, è per questo che lo odiavo: era affettuoso con i nostri genitori, era premuroso, e il fatto che mi volesse bene e che si preoccupasse per me pur essendo così piccolo me lo faceva odiare ancora di più. Con questo mi disprezzo non solo ho causato la morte dei nostri genitori ma ho anche fatto in modo che lui odiasse se stesso e tutti lo detestassero. Solo ora mi rendo conto di che persona fredda e terribile sono sempre stata…
Lei singhiozzò contro la sua spalla, ancora più forte.
-Non devi dire così, hai cercato di farlo capire ad Almond che la colpa della loro morte non era in realtà sua! L’hai sempre incolpato per il fatto di aver allontanato vostro padre e vostra madre da te, perché era quello che sentivi…ed ora, te ne stai pentendo! Se fosse rimasto coinvolto solo lui, quel giorno, sono sicura che saresti stato malissimo ugualmente. Perché tu sei buono Icing, guarda anche Carmel come ti vuole bene! Io dico sempre che bisognerebbe essere fieri, quando una persona ci ama o ci vuole bene, perché non si ama senza una ragione.
Lui rise.
-Anise, tu sei così diversa da me...L’esatto opposto. Cerchi il buono anche dove altri perderebbero la speranza, con il rischio che ti chiamino ingenua o illusa, e forse lo sei, ma la differenza tra te e gli altri tuoi simili è che agli occhi di tutti le tue illusioni possono sembrare così reali...ma forse è proprio questo che la gente apprezza in te: la tua smisurata cortesia, anche in questo momento, che sei insieme al tizio che ha desiderato la morte della persona a cui tieni di più.
Lei ebbe un tuffo al cuore e si strinse di più a lui, procurando una sua sonora risate che si andò ad affievolirsi, lasciando solo una frase in sospeso:
-Se continui così, Anise…farai crescere in me solo vane speranze.
Lei si distanziò un attimo mentre si strusciava gli occhi.
-Che intendi dire?
Lui l’abbracciò di slancio ridendo e assaporando tutta la sua essenza per un lungo istante: i suoi capelli, il suo profumo di cannella che aveva adorato fin dal primo istante, la sua vita sottile, il suo calore. Poi si alzò in piedi e, pronto a rinunciare a lei, le prese il volto tra le mani andando ad assaporare una lacrima sulla sua guancia:
-Nulla di cui tu debba preoccuparti. Adesso va da mio fratello, ha bisogno di te.

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo ***


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Capitolo Diciottesimo



Venivano dai più lontani estremi della vita, questo è stupefacente,
da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capo a piedi l'universo,
e invece neanche si erano dovuti cercare, questo è incredibile,
e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo,
il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso.
[A.Baricco Oceano Mare]

 



Era buio ai confini di Mirabel, dove il mare toccava la terra, era buio. Né lanterne, né stelle né luna perché oscurati da grandi nuvoloni grigi, sapevano offrire una visuale migliore, solo la pallida luce bianca del faro sul mare. E più correva verso di questa, più pioveva e più le margherite della sua coroncina si sgualcivano. Il respiro era affannato e sentiva riecheggiare da lontano il sono profondo delle campane. Sembrava le parlassero, e le augurassero buona fortuna. Grazie pensò, ma senza voltarsi indietro.
Intravide il negozietto di souvenir e passò oltre, i suoi pensieri riandarono al primo giorno di lavoro e a tutte le risate e la fatica per gestirlo, alla parlantina di Vanille, al piccolo ma già maturo Fennel, al calore che dava Juice, alla simpatia di Carmel, alla premura dei coniugi Brunette e Walnut, all’animo turbolento di Icing. Voleva bene a tutti quanti, ma adesso doveva andare dalla persona a cui teneva di più.
Aprì la porta del faro riconoscendo il disordine di libri, l’amaca, la conchiglia. Decise di prende quest’ultima tra le mani e di percorrere gli scalini.
Arrivata al il piano superiore vide che era circondato da finestre fatte appositamente per osservare il mare, ebbe la voglia di tirar fuori dalla tasca il cannocchiale d’ottone, ma non lo fece. Al centro della torretta si ergeva la grande luce del faro che era stata spenta, poi c’era la porta che mandava alla terrazza esterna.
-Questo posto è così bello quanto malinconico, almeno per me.
Le disse il ragazzo che le dava le spalle, affacciato al panorama.
-Non solo per te.
Gli disse avvicinandosi.
-Anise, io ti ho trattata con sgarbo il giorno che sei venuta qui, ma non volevo. Avevo paura che, per colpa mia, la gente avrebbe iniziato a disprezzarti perché stavi con me. Ma l’unica cosa che ho ottenuto è farti del male comunque e farti credere che, l’unico a disprezzarti, in realtà, ero io…
Poi si voltò verso di lei.
-Ma non è così, credimi…
Lei allora assunse un'espressione tenera, difronte a lui. -Lo so, non devi preoccuparti per me. Ora so che sei triste per quello che è successo, per quello che ti ha riportato alla mente. Ma io…
Gli porse l’oggetto che teneva nascosto.
-Conosco un metodo che riesce a scacciare i pensieri tristi.

Era la conchiglia di sua madre. Gliela stava porgendo con un sorriso tra le labbra, come faceva lei a sapere sempre come si sentiva? Si chiese. E invece di prendere tra le mani la conchiglia, come lei si aspettava, le afferrò un polso, attirandola a se e abbracciandola.
-Almond…
Lo chiamò tristemente come se lo conoscesse da una vita, mentre calde lacrime salate, come l’acqua del mare al di là di quel vetro, gli bagnavano il viso. Lui non piangeva mai ma lei era così morbida, i suoi vestiti erano freddi e umidi per il vento bagnato che soffiava fuori, e la pelle e quell’abbraccio gli sembravano immensamente caldi, da sembrargli che lo invitarrero a sfogarsi.
-Io non so cosa pensare, Anise. Ho sempre creduto una sacco di cose che stasera sono svanite nel nulla. Dovrei essere sollevato dal peso che ho avuto in tutti questi anni: accusato di aver procurato la morte dei miei stessi genitori, morti per salvarmi, proprio qui dove siamo noi adesso. Invece sto ancora più male: per mio fratello, per il nostro rapporto e soprattutto perché adesso ricordo come fece a farmi uscire da quella porta per farmi avvicinare alla ringhiera fuori: mi aveva convinto dicendo che se ci fossi andato, sarei riuscito a toccare il cielo con un dito.
Per come si sentiva, la conchiglia di sua madre sembrava non servirgli a niente.
Sentì lei posare l'oggetto marino sul davanzale che le arrivava ai fianchi, per poi ricambiare il suo abbraccio con fermezza, per consolarlo e dargli il suo appoggio cercando di alleviare il suo dolore con delle carezze.
-Nessuno riesce a toccare il cielo, neanche le rondini. E’ per questo che è così bello: tutti lo vogliono ma nessuno può riuscire a prenderlo e averlo per sé. Lo si può solo ammirare volgendo lo sguardo verso l’alto.
Gli rispose con una voce che gli ricordava la madre, nessuno avrebbe potuto usare parole migliori.
-Tuo fratello si è ormai pentito da anni. In realtà credo che da bambino non desiderasse veramente la tua morte ma un suo cambiamento, così da riuscire a dire ai suoi genitori quanto erano importanti per lui. Ma era troppo piccolo per capire che, anche senza di te, non sarebbe riuscito comunque. E’ stato un crudele incidente, e adesso che entrambi sapete la verità non potete far altro che riappacificarvi.
-Anise, le cose dette da te sembrano essere così semplici.
Disse distanziandosi e fissandola negli occhi.
-Sono gli altri che le fanno difficili.
Detto questo si misero a ridere, entrambi con li viso colmo di lacrime fossili, si misero a ridere.
-E’ che io non ce l’ho mai avuta una famiglia, sono vissuta anni in orfanotrofio e lì conoscevamo tanti bambini che venivano dall’esterno a giocare con noi. Quei bambini si lamentavano dei loro genitori, alcuni dicevano addirittura che non vedevano l’ora di essere grandi per scappare di casa. Noi orfani, che una casa non l’avevamo mai avuta, non capivamo: desideravamo solo uscire da quel posto triste per vivere le nostre vite, per vedere il mondo al dilà di quel cancello. Quando ebbi l’età per andarmene e affrontare tutto questo, incominciai a viaggiare e, la prima cosa che capii fu questa: molti di quelli che ritengono di essere liberi, sono semplicemente lasciati a sé stessi. Io, pultroppo, ero una di quelli. Per questo sono una girovaga, vado da un posto all’altro con il ritmo delle stagioni, per trovare qualcuno che mi renda libera veramente, qualcuno che mi faccia sentire come una rondine nel suo cielo. Io non posso certo capire cosa provi…
Lui la interruppe incredulo:
-Non dire idiozie! Tu mi capisci meglio di chiunque altro. Non so come ci riesci, ma ho capito che sei tutto quello che ho sempre desiderato avere al mio fianco.
Lei alzò lo sguardo stupita, il cuore che le batteva nel petto come quello di un uccellino.
-Ora voglio sapere una cosa: dimmi se te ne andrai, se non hai trovato quello che cercavi. Anzi, dimmi cosa hai espresso lanciando la moneta dentro la fontana, il giorno che ti ho incontrata.
Lei trattene un sorriso:
-Quel giorno, io…ho desiderato che questo fosse il posto giusto per me. Dove avrei potuto scontare tutte le promesse fatte a me stessa e dove avrei potuto trovare una famiglia, qualcuno da amare.
Alzò lo sguardo verso il ragazzo e quello le sorrise. Lei si accorse troppo tardi di aver detto veramente quelle cose e arrossì violentemente, abbassando il capo.
-Anise..?
Le sollevò il mento con due dita.
-Sì?
-Mi hai trovato.
Posò l'altra mano sul fianco della giovane a cercare la sua bocca con foga per posarvi sopra le proprie labbra, ad assaporarla entusiasta; non appena il primo fascio di luce all’alba del mattino seguente si andava a fare largo tra la coltre di nubi, estese fino all’orizzonte, andando a risplendere MirabelCity, il faro, la conchiglia sul davanzale, loro.

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannovesimo ***



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Capitolo Diciannovesimo
 


 Sai cos'è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia,
e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia
e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte.
La marea nasconde. E' come se non fosse mai passato nessuno.
E' come se noi non fossimo mai esistiti.
Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera.
E' tempo. Tempo che passa. E basta...
[A. Baricco, Oceano Mare]


Il vento gli carezzò i capelli che ormai andavano a coprire i suoi occhi, con un gesto del braccio che si potrebbe definire involontariamente sensuale, andò a spostare le ciocche scure dalla fronte. Quel senso di familiarità lo invase portandolo a guardare quella piccola cittadina di mare e tutte quelle cose a cui non aveva mai dato credito e che invece, stando lontano, gli erano mancate terribilmente. Due anni potevano sembrare talmente brevi, ma per lui erano valsi molto di più rispetto ai suoi quindici anni di vita che avevano preceduto quella separazione.
Era cambiato, lo sapeva. Non solo fisicamente ma anche mentalmente, ricordava che all’inizio di quell’esperienza si era sforzato per risultare una persona diversa, ma quando si era accorto che il mondo scarseggiava di sincerità si era definito stupido e aveva riconosciuto il suo comportamento immaturo. Era stata proprio questa sua autovalutazione il primo passo per il vero cambiamento. 
Sentì qualcosa scontrarsi con il suo piede, abbassò lo sguardo e vide una palla colorata, un bambino poco lontano da lui sollevò in alto la mano per attirare la sua attenzione. Con agili mosse dei piedi palleggiò la palla andando incontro a quei bambini che lo acclamarono per la sua destrezza. Iniziò a giocare con loro attirando l’attenzione di tutte le persone che sostavano in quella piazza ma, accidentalmente andò a scontrarsi con un passante:
-Aiho!
Si voltò per scusarsi e fu sorpreso di ritrovare una vecchia conoscenza sotto un grande cappello femminile. La ragazza si strofinò il piccolo naso con il dorso della mano e quando alzò il mento apparentemente infastidita la sua espressione cambiò radicalmente. Non riuscendo a nascondere l’apprezzamento per l’aspetto del giovane, si bloccò e curvò la tonda e rosea bocca in un’espressione di sorpresa mentre due rosselli le si formarvano sulle guance:
-Scusami…
Disse con un’espressione persa piuttosto stupida.
Fece per risponderle ma vide che qualcuno la strattonò improvvisamente per un braccio.
 
-Vanille, ma dove ti eri cacciata? Ti ho cercato dappertutto!
-Oddio, giuro che non stavo facendo niente di impuro!
Lui, che aveva intrecciato una mano tra quelle di lei, la guardò incredulo:
-Perché, che hai combinato?
Chiese non potendo fare a meno di guardare stralunato lo sconosciuto. Dopo averne analizzato i tratti riscoprendoli familiari si bloccò interdetto.
Quello gli sorrise come conferma a ciò che stava pensando.
-Non ci credo!
Disse andando a scompigliare i capelli del ragazzo che conosceva da una vita e che ormai era alto quasi quanto lui.
-Hei, non è educato!
Si lamentò Vanille confusa al suo fianco.
-Sono contento tu sia tornato.
Gli disse sinceramente, abbracciandolo.
La ragazza, sempre più perplessa osservò come aveva fatto lui il giovane che aveva davanti: il fisico era snello e dalla pelle scura che, provvista da armonici muscoli, andava contrastando con gli occhi verdi azzurri e questi, in quel momento erano sfiorati dalle ciocche lisce e lunghe di capelli neri.
-Caramel?!
 
Poco dopo i tre stavano percorrendo la lunga battigia della spiaggia di MirabelCity.
Vanille affondava i piedi nella sabbia che era appena stata bagnata dall’acqua salata, notando quanto ne rimaneva delle impronte una volta che una millesima onda si protendeva a cancellarle.
Niente, ne rimaneva il niente, neanche una cicatrice.     
-…in poche parole, hai realizzato il tuo sogno?
Chiese Juice al ragazzo.
-Sì. Se il mio era quello di viaggiare l’ho realizzato in tutto e per tutto, due anni sono più lunghi di quanto sembrino. Ma i sogni sono ancora tanti…
Disse il giovane alzando lo sguardo e ammirando il panorama nostalgico: il mare leggermente mosso, la schiuma sulle sue increspature, le conchiglie pastello che lo solleticavano sotto i piedi scalzi, le nuvole che soffocavano l’azzurro del cielo, il vento che faceva ondeggiare le vesti e i capelli dei ragazzi che camminavano con lui. Non era l’unico a esser cresciuto.
-…ma ora basta parlare di me, avrò tempo per raccontarvi meglio tutto. Sono impaziente di sentire come stanno tutti quanti, incominciate a raccontarmi di voi…
Disse fissando le loro mani ancora intrecciate con un’espressione gioviale che sotto nascondeva un ghigno malizioso che fece imbarazzare entrambi. Non ricevendo risposta li precedette iniziando a parlare di spalle.
-Vediamo…l’ultima volta che vi ho visto, se non sbaglio, è stata alla festa della Fondazione di due anni fa: mi avevate chiesto di andare a prendere i bastoncini scintillanti e quando sono tornato ricordo voi due sotto quel portico che stavate per baciarvi ma poi è crollato tutto.
Rise sguainatamente e Vanille lo rimpreverò rossa in faccia:
-Carmel!
-Comunque...lo sapevi che Icing ha deciso di cambiare percorso di studi?
Lui rise ancora di più per il tentativo da parte di Juice nel cambiare argomento.
-Sì lo so, in questi anni ci siamo tenuti in contatto. Sono contento che abbia incominciato a scrivere, lo sapevamo tutti che prima voleva diventare medico solo perché lo erano i suoi genitori.
Detto questo, da lontano il campanile segnò l’ora in una breve melodia acuta, come a voler confermare la sua presenza.
-Già, anche se continua comunque a far risuonare le campane di Mirabel.
Disse Vanille con un sorriso a fior di labbra, mentre chiudeva gli occhi per ascoltare.
Nella mente del ragazzo, invece, un pensiero si fece largo con insistenza. Da quando era tornato, o da quando era partito, quel pensiero faceva capolino ogni momento in cui era distratto, e il tornare a casa aveva reso ciò ancora più inevitabile. Icing non ne aveva mai fatto parola nelle lettere che gli inviava, e lui aveva sempre avuto paura a chiedergli qualcosa.
-Per quanto riguarda Fennel, invece, si sta veramente impegnando per rivestire un giorno una qualche carica politica o amministrativa. Prima era sempre in conflitto con il padre ma poi ha capito che quel mondo non gli dispiace affatto.
Gli disse Juice distraendolo.
-Penso si sia trovato addirittura la ragazza, lo vediamo sempre a passeggio con Sugary, è così graziosa e la sua famiglia è benestante quindi piace ancora di più al sindaco!
Scherzò Vanille.
Lui alzò lo sguardo che fino a prima era posato sulla chiara e umida sabbia, e ciò che trovò dinnanzi a sé fu il faro di quella piccola cittadina.
-Almond…come sta?
Chiese senza fermarsi a riflettere. Che domanda stupida, non era di certo di lui che gli premeva. Appena subito dopo la sua partenza, lo aveva addirittura odiato inutilmente, illudendosi di riuscire a capire i sentimenti d’odio di Icing. Ma poi, crescendo, aveva capito che alla lunga l’odio corrodeva le persone, era una cosa infantile la sua, che il vecchio e fragile Carmel avrebbe sicuramente fatto, ma non la persona che era diventato.
Ma in un modo o nell’altro chiedere di lui era un modo per sapere di lei. Forse era partita per non tornare più e, cosa veramente lo spaventava, forse si era persino dimenticata di loro, di lui.
-Lei è ancora qui Carmel.
Disse ad un tratto Vanille, frantumando tutte le sue aspettative e interrompendo la sua passeggiata e così anche la formazione di impronte da fornire alle voraci onde. Lui si voltò di scatto stupito, un bagliore di speranza negli occhi:
-Davvero?
Vanille annuì sorridendo.

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventesimo ***


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Capitolo Ventesimo

 


- Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando.
Silenzio
- Che sia troppo tardi, madame ...  
[A. Baricco, Oceano Mare]


La pioggia picchiettava insistente sul vetro della finestrella nella loro casa al faro, e fu questo a svegliarlo, ma non se ne dispiacque. Adorava quel rumore rilassante, soprattutto in una domenica mattina come quella, e adorava anche il fatto che potesse bearsene e non essere percosso da brividi freddi per il vento che circolava fuori, doveva ringraziare solo la persona che riposava al suo fianco e che gli infondeva calore.
Lui, nella sua mente la vedeva come una rondine, perfetta, alta nel cielo e pura, che aveva portato con se la primavera.
Il ragazzo nel letto voltò la testa per andare ad osservarla meglio: il viso era vicinissimo al suo, i lineamenti rilassati e gli occhi chiusi a nascondere il loro profondo colore oltremare, le lunghissime ciglia chiare che arrivavano quasi a sfiorarle i rosei zigomi, la pelle intorno porcellana e la morbida chioma distesa che lo carezzava dappertutto. Aveva il respiro regolare che fuoriusciva con piccoli sussurri dalle morbide labbra e, come ogni volta, la consapevolezza che fosse rivestita soltanto dal lino bianco del lenzuolo che li copriva, lo faceva emozionare ancora come se fosse la prima volta.
Dopo due anni trascorsi insieme, il cuore li batté ancora più forte ai ricordi di quel lungo ma anche breve tempo passato insieme. A tutte le volte che lui rientrava dal lavoro e notava che lei era sempre impegnata in qualcosa: la trovava con i capelli arruffati e pieni di foglie quando creava delle composizioni di fiori secchi, oppure piena di sbuffi di vernice sul volto perché era intenta a dipingere, o quando si protendeva ad abbracciarlo e notava le sue mani delicate impastate di argilla perché un attimo prima la stava amalgamando per ricavarci un vaso.
Adorava quei momenti, perché ogni volta che lui entrava in casa, lei non si accorgeva della sua presenza e anche se lui la coglieva di sorpresa e lo rimproverava, entrambi erano consapevoli di quanto fosse dura da sopportare la mancanza quando non stavano insieme anche solo per poche ore. Allora si baciavano con trasporto, ignorando la stanchezza e le parole, e lui, non importava che lei fosse sporca di tinta o quant’altro, dovunque fosse, se davanti a una tela dipinta, se chinata sopra un piatto rotante con l’argilla o con imbraccio un vaso di fiori secchi, la interrompeva senza la minima paura di recarle offesa. Quindi la sollevava e lei allacciava le gambe al suo busto per far aderire meglio i loro corpi ormai senza la minima ombra di imbarazzo, e poi la posava delicatamente sulla superficie del loro tavolo in marmo, mentre la teneva ben stretta per non farla infreddolire, per poi amarsi ardentemente.
Ma ogni volta che si è felici la felicità viene sempre incrinata per colpa di qualcosa.
Nel suo caso era la paura, paura folle di perderla. E come ogni fine stagione, lui aveva paura di perdere la sua felicità, temeva che tutto il suo mondo svanisse nell’istante in cui lei potesse decidere di andarsene come era solita fare nella sua vita precedente. Proprio come una rondine che migra.
La mattina era il momento della giornata dove si rilassava di più, perché li dava la certezza che avrebbe potuto passare un altro giorno insieme a lei. Si svegliava sempre per primo, anche se non era affatto un tipo mattiniero, e restava fermo immobile ad osservarla, ad accarezzarle impercettibilmente i fianchi sopra le bianche lenzuola che sapevano di loro, a sentire il suo respiro regolare ricadergli sul proprio viso, e poi ammirare l’esatto momento in cui questo si fermava, le sue palpebre tentennavano e i suoi occhi che scaturivano purezza mostrare decisi il loro intenso colore, quasi sembrassero privi di sofferenza ed esperienza, giovani. Ecco come erano i suoi occhi: mai stanchi di essere inesperti nonostante tutte le cose, tutte le persone su cui si erano posati, mai stufi di imparare.
E questo era ciò che diceva ogni volta:
-Sei sveglio da molto? Dovevi chiamarmi…
E gli sorrideva a labbra chiuse, con un’espressione involontariamente tenera di rimprovero sul volto.
Quella mattina, come sempre, le diede un bacio a fior di labbra, ma stavolta fu diverso e se ne accorse anche lei: tormentato e frustrato, il che la fece preoccupare, ma non disse niente per paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Ma il motivo era perché il solo pensiero che tutto questo potesse andarsene dalle sue mani era un’ombra terrorizzante che lo tormentava.
 
Nel pomeriggio si era concentrata interamente su un grande vaso in ceramica che doveva vendere al mercato dell’antiquariato che si teneva tra meno di un mese, nella capitale.
Lui aprì la porta di casa e se la richiuse frettolosamente alle spalle per poi togliersi la giacca sprovvista di cappuccio e appenderla all’ometto nell’ingresso.
Gli bastò girare di pochi gradi la testa per notare tutto quel disastro, per notare lei.
Aveva i capelli raccolti con alcune ciocche fuoriposto, segno che stava lavorando, una salopette da lavoro macchiata di varie pennellate di tinta, la stessa blu cobalto e arancione pallido che stava utilizzando in quel preciso momento, di cui aveva cosparso la cucina. I primi tempi fu sorpreso da quanto disordine potesse essere causato da una sola persona, il tavolo da pranzo dalla base in marmo era cosparso dagli stessi fiori essiccati del giorno prima che lei ogni volta preparava per le sue composizioni.
-Hei…
Si avvicinò e la prese per i fianchi, lei si voltò stupita.
Il viso ad un palmo dal suo, un gesto che adorava fare per vederla meglio: le ciocche scomposte di quei capelli chiarissimi e il suo grazioso viso tinto da piccoli buffetti causati dalle sue distrazioni.
-Ah! Lo sai che non devi interrompermi quando sto lavorando! Poi mi fai fare dei disastri…
Gli disse posando i pennelli e strofinandosi con un panno umido posato lì vicino.
-Non mi hai nemmeno sentito entrare..
-Ma guardati, sei tutto bagnato! Ti prenderai un raffreddore!
Adorava il modo in cui lo rimproverava, gli ricordava la madre. Qualcuno che tenesse a lui e si preoccupasse e di cui aveva sempre sentito la mancanza.
-Vado a prenderti un asciugamano…
Fece per sciogliere la sua presa ma lui la trattenne.
-No.
Lei notò la sua espressione, gli posò le mani sul viso bagnato, la sua pelle rabbrividì a contatto con la sua gelata, ma quella sensazione non le fu scomoda. Pose i palmi delle mani sulle sue guance e gli occhi a sorreggere il suo sguardo, deciso ma non insistente, le sue iridi verdi e vitree sembravano volessero leggerle, lasciarsi sorreggere dal suo animo. Così allungò le mani fino a farle scivolare dietro la nuca bagnata del ragazzo fino ad abbracciarlo e a posizionare il suo volto all’incavo del proprio collo, per cullarlo e confortarlo.
-C’è qualcosa che non va?
 Gli chiese con il tono più delicato che potesse avere, carezzandogli i capelli e respirando il suo profumo che grazie alla pioggia era divenuto più intenso. Lui in risposta le strinse ancora di più i fianchi, circondandola completamente:
-Anise…
Alzò la testa e si raddrizzò, con una lentezza estenuante avvicinò il viso ancora di più al suo mentre i suoi occhi erano intenti a fissare la sua bocca. Dopo qualche istante, sommersi nei loro respiri divenuti accelerati, finalmente posò le labbra sulle sue in un bacio lieve che andò ad approfondirsi ogni istante di più, divenendo profondo e lento. Lei accigliata si scansò e tentò di domandargli:
-A-almond…?
Lui la ignorò e con foga cercò nuovamente la sua bocca e continuò imperterrito a baciarla, premendola e assaporandola con più passione ma anche con tormento. Lei allora, vinta, rispose. Lo strinse maggiormente a sé, cercando però di non farsi trasportare troppo così da non reagire egoisticamente al proprio piacere ma per avere la lucidità di preoccuparsi per lui, sapeva che lo faceva apposta per distrarla.
Lui se ne accorse e si staccò ritornando dalla bocca a fissarla negli occhi.
-Tu mi ami?
Lei rimase interdetta ma poi sospirò sollevata e sorrise appoggiandosi al ripiano.
-Perché questa domanda?
-Ti sembra il caso di rispondere ad una domanda con un’altra domanda?
-L’hai appena fatto.
Lui si zittì e le lanciò uno sguardo cupo.
-Cosa c’è?
-Rispondimi, per favore.
Non seppe cosa trovò in lui per riuscire a farla rispondere, forse angoscia, stanchezza, e dopo qualche attimo di incertezza si decise a parlare:
-Io…
Qualcuno bussò alla porta, facendogli distrarre. Lei si distaccò completamente da lui e si tolse la povere dai vestiti.
-Oh, è meglio che vada ad aprire…
-No…
Lui le afferò un polso prima che potesse allontanarsi, lei gli rivolse uno sguardo confuso.
-Rispondimi.
-Adesso non è il momento!
Nel mentre alla porta qualcuno bussò di nuovo, con più insistenza.
-Anice…
La chiamò nuovamente.
-Adesso lasciami andare ad aprire, per favore.
-Non prima che tu non mi abbia risposto.
Lei lo guardò contrariata, stava per arrabbiarsi.
-Tutto questo non ha senso!
-Ha senso per me, perché io…!
Lui la attrasse a sé nuovamente, stringendole il polso.
-Adesso basta, mi fai male!
Gli disse strattonandolo per liberarsi dalla stretta, massaggiandosi il polso.
-Ma che ti succede oggi?!
I due si osservarono negli occhi per una manciata di secondi, era successo tutto così velocemente che non c’era stato tempo per pensare. Lui aveva un’espressione vuota, quasi sconvolta dal suo stesso gesto, aprì le labbra per chiederle scusa ma un’altra voce giunse alle loro orecchie:
-Anice? Anice, sono Vanille! Ci sei vero? Dobbiamo parlare del pranzo di  domenica, per la Festa della Fondazione!
-Arrivo Vanille!
Disse all’amica senza però distogliere lo sguardo da lui. Poi indietreggiò ancora e finalmente si voltò per andare da Vanille; lasciando il ragazzo da solo, in piedi, deluso da se stesso.
 

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventunesimo ***


 

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Capitolo Ventunesimo


Forse il mondo é una ferita
e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano -
e nemmeno é amore, questo é stupefacente,
ma é mani, e pelle, labbra, stupore, sesso, sapore -
tristezza, forse - perfino tristezza - desiderio -
quando lo racconteranno non diranno la parola amore
- mille parole diranno, taceranno amore - tace tutto, intorno...
[A. Baricco, Oceano Mare]
 

Due ragazzi si sedettero ad un tavolino bianco in ferro battuto, al secondo piano del grazioso caffè in centro, meta preferita dai turisti o dai ricchi stranieri che ogni tanto passavano a Mirabel City.
-Si vede che l’estate è al termine, è un paio di giorni che non fa altro che piovere…
Disse il ragazzo asciugandosi le mani bagniate con un fazzoletto ricamato.
-Fennel, mi spieghi che ci facciamo qui?
Disse all’amico, osservando la grande finestra da terra che dava sul mare agitato.
-Suvvia, pago io. Poi è dei genitori di Sugary, in questo periodo ho un sacco di incontri noiosi con mio padre e tutti i suoi colleghi, non ho più il tempo di prima…
Nell’osservare l’espressione semialterata all’amico affrettò ad aggiungere:
-…ma, ma questo non è un pretesto per vederla in quella sua graziosa uniforme da cameriera…
Per poco non li usciva la bava dalla bocca. Invece di arrabbiarsi con lui, il ragazzo assunse un’espressione angosciata e triste che a Fennel non sfuggì.
-Sono molto felice per te. Hai incontrato Sugary alla fine di un periodo tremendo, con tuo padre che ti pressava, con l’indecisione sul tuo futuro… siete bellissimi insieme. Vorrei poter dire lo stesso anche di noi...
Al sentire quelle parole restò di stucco:
-Come sarebbe a dire? Voi due siete…Dio, siete Almond e Anice! L’uno è la famiglia dell’altro, vi siete trovati dopo un sacco di ostacoli, non puoi dirmi questo!
Non dopo che aveva rinunciato a lei due anni fa perché convinto che nessun’altro potesse farla felice.
-Non vorrei dirtelo infatti. Io ho paura Fennel, ho talmente paura di perderla…di alzarmi una mattina di queste e di ritrovarmi solo con il suo profumo che impregna le coperte…lei è l’unica cosa che ho.
Fennel osservò il suo amico con una stretta al cuore, non ricordava di averlo visto così triste dalla morte dei suoi genitori, quando da piccolo tentava con tutte le forse di reprimere invano le lacrime al funerale, con i pugni stretti non adatti ad un bambino così piccolo.
-Non dire così…
Disse, sentendosi stupido. Non sapeva cosa fare per aiutarlo.
-Scusami Fen, è che io se lei dovesse andarsene…
Fennel spalancò gli occhi sulla terrificante scena che gli comparve nella mente:
-Non dirlo neanche per scherzo!
Disse alzandosi dalla sedia di soprassalto, l’altro non riusciva neanche ad alzare il capo e guardarlo negli occhi.
-Hem…Signorino Fennel?
Lui voltò lo sguardo esasperato verso l’uomo che l’aveva chiamarto, il segretario di suo padre:
-Che c’è adesso?!
-Il Sindaco la vuole  urgentemente nel suo ufficio, mi ha pregato di venirla a prendere.
-Non posso adesso! Dica a mio padre che dovrà aspettare.
Il segretario assottigliò lo sguardo e lo afferrò per un braccio.
-No, mi lasci!... Almond! Almond, non fare stupidaggini!
Fennel venne trascinato via mentre invocava il nome del suo amico che non riusciva neanche a fissarlo negli occhi.

La giovane attraversò il corridoio di casa Hazelnut ed entrò in cucina, dove la sua migliore amica controllava una lista infinita della spesa, seduta al massiccio tavolo di legno.
Bussò due volte allo stipite della porta.
-Hei Anice, entra e aiutami con il pranzo per favore!
La ragazza entrò e si sedette al tavolo.
-Dio, non so cosa cucinare insieme al tacchino, poi di antipasti non bastano i fegatini, si è deciso di fare un menù solo di carne poi?...
Vanille, da quando aveva iniziato quella scuola di cucina non vedeva l’ora di preparare un pranzo per il giorno dell’ Anniversario Della Fondazione di Mirabel City. 
-…Vedi io farei anche un primo di pesce, anche se mio padre odia mangiare carne e pesce insieme, mangerà solo il secondo, anzi, se si facessero due menù? Poi la torta, si fa insieme? Tu adori crema e fregole giusto…?
Quando la ragazza posò finalmente lo sguardo su Anice, la sua parlantina irrefrenabile si fermò di colpo e il fiato le morì in gola.
-…Anice?
 La chiamò preoccupata.
-Dimmi.
Chiese tranquilla.
-Oddio, ma sei sconvolta!
Posò la lista della spesa sul tavolo e le si avvicinò:
-Che ti è successo?!
-Niente, non è successo niente di grave.
Vanille la fissò con ostinazione riuscendo a farle sfuggire un sospiro e a vuotare il sacco:
-Mi preoccupa Almond, è strano in questo periodo e non riesco a capire come mai…
Le sue parole vennero interrotte dal profondo colpo del battente dell’ingresso.
-Anice, finiamo di parlare dopo, va bene? Adesso ho una sorpresa speciale per te.
Lei fissò stupita prima in direzione dell’ingresso poi l’amica. Questa la incitò:
-Vai ad aprire, è per te.
Curiosa si alzò, percorse il corridoio seguita da Vanille ed andò ad aprire la cauta porta.
Juice la fissò divertito dietro le spalle di una ragazzo alto dalla pelle naturalmente olivastra. I suoi occhi verdi azzurri la fissarono sorridenti sotto le sue ciocche scure:
-Scommetto che neanche lei ti ha riconosciuto.
Ghignò Juice entrando in casa sorpassandola e salutando Vanille con un bacio vicino alla bocca, suscitando una sua risata. Ma con lo stupore di tutti la ragazza dalla nuvola di capelli biondi si portò una mano alla bocca e iniziò a singhiozzare. Vanille dietro di lei, protese una mano preoccupata:
-Ehi Anice…
 Non fece in  tempo a posarle le dita sulla spalla per confortarla che la vide avvicinarsi al ragazzo correndo ad abbracciarlo:
-Caramel!

Era pomeriggio e Vanille sentì il campanello del negoziò e allungò il collo per vedere chi fosse.
-Hei, chi si vede!
-Ciao Vanille.
Salutò educato il ragazzo.
-Hai bisogno di qualcosa? Un souvenir di Mirabel?
Chiese ironica e lui si mise a ridere piano:
-No grazie, stavo cercando tuo padre, mi serve il suo consiglio. Si è rotta una barca al porto...
Lei negò con uno scossone del capo:
-Non c’è, mi spiace. E’ fuori con mia mamma, comunque capiti a proposito! Ci sarai vero domenica?
Lui rimase interdetto.
-Domenica…dai, il pranzo per la Fondazione!
Esclamò la ragazza sporgendosi dal bancone con un espressione di rimprovero sul viso.
-Oh, ma certo! Scusa è che ho un po’ la testa sulle nuvole in questi giorni...ci sono.
Lei si raddrizzò e iniziò quello che il ragazzo riconobbe come uno dei suoi infiniti sproloqui:
-Bene! Perché giusto ieri ero con Anice a casa mia e si stava preparando la lista della spesa, non sono del tutto decisa sul menù, cucinerò io! Comunque, ieri poi è arrivato Carmel…
Lui alzò lo sguardo stupito:
-Caramel..?
-Ma si! E’ tornato non lo sapevi? Dopo due anni in viaggio, tu vedessi quanto è cambiato! C’ha raccontato un sacco di storie, mi è sembrato di rivedere Anice i primi tempi quando ci raccontava spesso dei suoi viaggi, scommetto che le è ritornata nostalgia! Infatti mi ha detto che oggi sarebbe andata alla stazione vicina a Mirabel ma non so perché, mi sembrava un pò timorosa, ma sarà stata una mia impressione…Comunque ci sarà anche Carmel domenica! 
Il cuore del ragazzo mancò un battito.
-Cosa hai detto?!
Si avvicinò a Vanille allarmato.
-Che ho invitato anche Carmel domenica, infondo è amico di tuo fratello e anche lui ci sarà al pranzo….
-Non me ne importa niente di mio fratello, adesso devo andare…!
Disse con un’espressione che fece paura alla ragazza, voltandosi senza salutare e scattando di corsa verso l’uscita del negozio.

 La ragazza posò le pesanti borse di tela sul pianerottolo di casa, prese un respiro. Non era sicura di quello che stava facendo, si sentiva confusa ma sapeva che era la cosa giusta da fare, per il bene di tutti e due. Sentì il telefono e senza pensarci due volte aprì il portone e si precipitò alla cornetta con una strana ansia, lasciando le borse incustodite.
-Anice!
Una voce maschile al di là della cornetta la chiamava allarmata.
-Pronto, chi parla?
-Sono Fennel!
-Fen?
Era da giorni che non lo vedeva, era sempre occupato in comune.
-Sono molto preoccupato, qualche giorno fa ho parlato con Almond, avrei voluto chiamarti prima…ci siamo visti al cafè e mi è sembrato davvero in un brutto stato, non so come dirtelo, ho paura che voglia fare una pazzia!
Anice lo bloccò mentre il suo stomaco si attorcigliava in una sensazione sgradevole:
-Pazzia? Vuoi dire che potrebbe fare qualcosa di pericoloso a se stesso…?
-E’ quello che temo! Qualche minuto fa l’ho visto correre con foga attraversando la piazza e mi ha spaventato, ti prego fa qualcosa! 
Fennel, dall’altro capo del telefono sentì un colpo.
-Anice…? Pronto Anice?!
Il filo attorcigliato faceva penzolare la cornetta sbattendola contro il mobile su cui era appoggiato l’apparecchio, mentre la voce di Fennel era ormai lontana.

Il ragazzo correva a pieni polmoni. Il cuore gli stava per scoppiare, non per lo sforzo fisico ma per la paura.
Immaginava il faro, vuoto. E fu quello che trovò.
Arrivò all’entrata della loro casa e vide le borse sul pianerottolo, entrò piano varcando la soglia.
-No…!
Cadde in ginocchio sul pavimento freddo. Una sensazione straziante stava per impossessarsi di lui quando sentì una voce lontana che lo chiamava, si voltò verso la cornetta del telefono e corse ad agguantarla speranzoso:
-Anice?!
-Almond, per fortuna stai bene..!
Lui non li fece finire la frase:
-Fen, dimmi dov’è Anice!
-Non mi ha lasciato finire ed è andata via, non so dove e...!
Fennel sentì nuovamente un paio di colpi aldilà della cornetta.
-Al..? Pronto Almond?! Ma Dio…!
Imprecò Fennel scaraventando la cornetta del telefono.
Il giovane si precipitò fuori dalla porta,non sapeva più cosa fare. E fece l’unica cosa che davvero servì a qualcosa, anche se poteva sembrargli assurda e senza senso: iniziò a urlare il suo nome. Con tutto il fiato che li rimaneva. 

Anche la giovane stava correndo a pieni polmoni sul bagnasciuga. Mentre i sandali che indossava venivano sporcati di sabbia, le onde la bagnavano con costanti schizzi salati come le lacrime che sgorgavano senza sosta dai suoi occhi blu oceano. Mentre il vestito rosso fragola che indossava le si appiccicava alle cosce insieme alle spalline che mano a mano le scendevano. Glielo aveva regalato lui quel vestito. Le sembrava di essere tornata a quella notte di bufera di due anni fa. La notte più bella della sua vita, la prima volta che aveva amato una persona. E adesso mentre il pensiero di perderla era la sua più grande paura, sentì una voce, alle sue spalle e si bloccò improvvisamente.
-…nice!
Mentre un ennesimo violente gemito percorreva il suo corpo, lo chiamò piano sussurrando con occhi spalancati:
-Almond..?
Silenzio. Si chiese se non fosse la sua immaginazione.
-Anice!
Un sorriso spontaneo si fece largo sul suo viso arrossato mentre si voltava.
-Almond!
Urlò anche lei non appena si rimise a correre, più veloce di prima.
-Anice!
Intravide da lontano una figura che si avvicinava.
-Almond, sono qui!

Quando i due si raggiunsero, si scontrarono. Non solo letteralmente, cioè con i loro corpi affannati, bagnati e tremanti, ma anche con le loro anime. Si strinsero talmente forte e con foga da farsi male e finire per terra sporcandosi e appiccicandosi di sabbia i capelli e le loro stesse bocche unite in un disperato bacio che sembravano non dovesse mai finire. A dopo le parole, le spiegazioni e le preoccupazioni. Ciò di cui avevano veramente bisogno adesso era stare insieme, toccarsi e rassicurarsi che c’erano. Loro c’erano, erano vivi, un po ammaccati dalla vita e dalle parole non dette e dai loro reciproci timori ma loro erano presenti in quel momento e la cosa più importante di tutte era che fossero insieme. E per un tempo incalcolabile fu così: loro due che si rotolavano tra le pieghe della sabbia e il rumore del mare che nel frattempo aveva placato le sue onde. 
-Mi dispiace così tanto…
Fu Anice con il suo fiato corto a rompere il silenzio, inginocchiata in mezzo alle gambe di lui.
-Pensavo te ne fossi andata, perché ormai l’estate è finita…poi ho saputo che hai rivisto Carmel, e che volevi andare alla stazione e…
 -Schhh…
Lei li fece segno di tacere mentre accarezzava il suo viso e appoggiava la fronte alla sua mentre con le labbra sfiorava le sue palpebre.
-Le borse di tela che hai visto contengono la spesa per domenica.
Entrambi si misero a ridere tra i fossili delle lacrime che adesso pungevano le guance.
-Sei la mia piccola rondine.
Sussurrò il ragazzo affondando il viso sul suo petto. La ragazza li prese il mento sollevandolo e dicendogli dolcemente:
-Se io sono una rondine, anche tu lo sei. Dovunque io voglia migrare, tu sarai con me. Ho rivisto Carmel e sentendo i suoi racconti mi ha fatto venire l’idea di andare a comprare due biglietti del treno per andarcene domenica mattina (prima di pranzo si intende, sennò Vanille c’ammazza) vdato che è un giorno speciale per noi, da qualche parte…insieme.
Lui spalancò gli occhi sorpreso e sorridendo si allungò per darle un ennesimo bacio, a fior di labbra.
-E’ un regalo bellissimo.
-Sai, pensavo che stessi per andartene per sempre, compiendo qualche pazzia. Ho avuto così tanta paura…
Sussurrò ancora tremante, abbracciandolo ancora più forte.
-Anice, io non me ne andrò mai. E poi che gusto ci sarebbe nel fare una pazzia senza di te?
Lei si scostò mentre altre lacrime, stavolta paradossalmente dolci per la tanta commozione, le irrigarono il volto incontrando le sue labbra piene e sorridenti. Il ragazzo le fissò incantato mentre pronunciarono le parole più belle del mondo:
-Ti amo.

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


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Epilogo



Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se,
per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi.
E qualcuno - un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume
- immaginarlo, inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio.
Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita.
E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente,
si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare.
Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente umano.
Basterebbe la fantasia di qualcuno - un padre, un amore, qualcuno.
Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio,
in questa terra che non vuole parlare.
Strada clemente, e bella. Una strada da qui al mare.
[A. Baricco, Oceano Mare]


Rivolse lo sguardo al cielo, ormai il sole estivo era solo un caldo ricordo. Voleva ammirare le nuvole che adesso avevano preso il suo posto. Quest’anno l’Anniversario Della Fondazione sarebbe stato un poco più freddo rispetto a quello di due anni fa, ma più caloroso per altri punti di vista. Osservò il cielo bianco e grigio da cui spuntavano piccoli raggi di sole.
-Anise, perché ti fermi? Muoviti o Vanille ci farà a pezzi!
-Sì.

-Finalmente, avevo paura che non faceste in tempo!
Li sgridò Vanille aprendo la porta. 
-Ancora non capisco come mio fratello si sia fatto convincere…
Sussurrò il ragazzo entrando nella grande casa, senza però evitare che lei lo sentisse.
-Non rompere, Almond! La sua casa è così bella e il suo giardino così spazioso che non poteva rifiutare di prestarmi la cucina e la location per il pranzo!
I due ragazzi si fissarono sorridendo alzando gli occhi al cielo e seguirono Vanille dal soggiorno fino al portico e poi nel giardino.
-Eccoli, sono arrivati!
I presenti si voltarono e si precipitarono a salutarli.
In giardino, sotto un tendone bianco, una tavolata lunga e immacolata era apparecchiata con eleganti porcellane, bicchieri di cristallo, posate d’argento e candelabri. Intorno a loro, sulle piante e i fiori invece, erano attorcigliati dei fili con appese delle lanterne accese e dei campanellini.
-Che meraviglia! Ma per quanta gente hai dovuto cucinare? Juice e i tuoi, Icing, Fennel con Sugary, io e Almond insomma, ci siamo proprio tutti! Carmel anche tu!
-Ciao ragazzi! Come state?
Salutò l’alto ragazzo vestito da colori chiari che facevano risaltare la sua pelle olivastra e la lunga fila di denti bianchi.
-Carmel! Ma guarda quanto sei cresciuto!
Il ragazzo appena arrivato andò a scompigliare i suoi capelli irritandolo.
-Hei Almond, che fai tu adesso? So che Anise fa da apprendista per la signora Cinnamon, organizza uno stand per la fiera dell’antiquariato e aiuta ancora Vanille l’estate, ma tu? Non farai mica il mantenuto? 
Gli chiese ghignando.
-No marmocchio, a differenza di te che vai a zonzo, io, vivendoci, lavoro ancora al faro a tempo pieno, e da quest’anno anche al porto come insegnante di vela con Juice. Tutto questo, per pagarmi l’università e diventare biologo marino.
Concluse con un’espressione da bravo bambino, mentre Carmel inarcò le sopracciglia e abbassò le palpebre in un espressione di irritante superiorità mentre stava per ribattere.
Ma la ragazza si era lentamente allontanata dal gruppo di persone per ammirare le decorazioni e lo stupendo giardino.
-Ti piacciono le mie gardenie?
Le chiese Icing avvicinandosi e accarezzando un fiore dall’aiuola che avevano davanti.
-Trovo che siano bellissime, Icing. Sai penso...
Lui non la lasciò finire.
-Domani saranno due anni che ho deciso di non vivere più nella torre del campanile.
-Sì è vero…
Disse soltanto, ricordando di quella notte triste e felice al contempo.
-Le ho piantate pensando a te Anise.
A quelle parole lei non seppe più cosa dire. Lui continuava a tenere lo sguardo rivolto al candido fiore.
-Quando lo feci pensai che fossero la cosa più simile a te che potessi avere vicina. Anche adesso, a distanza di tempo queste gardenie sono ancora bellissime, e più crescono più l’inconfondibile profumo che sprigionano si fa via via più intenso, da quasi alla testa. Ma tra pochi giorni sarà Settembre e come ogni anno, dovrò sopportare la visione di questi bei fiori bianchi che cadono.
Lei rimase stupefatta.
-Io non…
Allora lui si voltò verso di lei, con un’espressione serena, triste ma appagata. E lei rimase in silenzio, la bocca aperta e richiusa.
-Questo era ciò che pensavo, almeno. Ma tu non sei simile a queste gardenie, forse solo la vostra pura bellezza vi accomuna. Tu non te ne andrai. Conosco mio fratello e da quando ci sei tu non solo lui ha la vita che a sempre meritato. Grazie Anise.
-Io non ho fatto niente…
Lui si mise a ridere.
-Sei sempre la solita, sempre maledettamente modesta. Ho sempre trovato irritante tutta questa tua bontà, questo tuo smodato altruismo.
-Ho paura che tu mi abbia sempre idealizzato.
Lui non la stette nemmeno ad ascoltare e sussurrò:
-Forse è per questo che non ha funzionato…
-Cosa hai detto?
-Niente.
E di nuovo si mise a ridere.
-Anise, vieni! Devo presentarti assolutamente una persona!
Si sentì prendere delicatamente per un polso e trascinare via. Mentre rivolgeva un ultimo sguardo preoccupato ad Icing, chiese:
-Chi Almond? Conosco tutti!
Pensò alla ragazza di Fennel, anche lei presente quel giorno. La prima volta che le aveva parlato le era sembrata estremamente dolce, aveva un caschetto di capelli carota e delle lentiggini che si abbinavano bene al suo carattere tutto pepe. 
-No, è appena arrivato. Volevo che conoscessi almeno un altro membro della mia famiglia. Te ne avevo parlato, vive un po’ lontano da qui, per questo non l’hai mai visto!
La ragazza si chiese chi potesse essere. Mentre ne parlava, lui sembrava così emozionato, la stava letteralmente trascinando sotto lo sguardo curioso dei presenti che intanto stavano sorseggiando sidro di mele da lunghi calici.
Poi, il ragazzo si fermò di colpo e lei andò a sbattere sulla sua schiena. Andò a massaggiarsi il piccolo naso. Quando il ragazzo si fece da parte, la persona che apparve nella sua visuale la stupì non poco.
-Anise, ti presento mio nonno materno.
Proprio come ricordava in quel pomeriggio su quel treno, due anni fa, l’anziano signore più basso di loro, aveva capelli come fili d’argento e delle iridi color del mare. Appena la vide spalancò queste, batté le mani e si mise a ridere di gusto, incredulo come lei.
-Hei, sei impazzito Berry? Ti presento la mia fidanzata e tu ti metti a ridere?
Gli chiese contrariato il nipote. La sua risata si trasformò in un sereno sorriso:
-Allora, presumo che tu abbia trovato la tua casa.
La ragazza si sentì il cuore colmo di contentezza. Corse ad abbracciare l’anziano signore che restituì quel gesto d’affetto. Entrambi stupidi di scoprire di far parte di una stessa famiglia, stupiti di ricordarsi ancora l’uno dell’altro e di quel treno che li portava all’apparenza in due direzioni opposte e che invece, li aveva fatti rincontrare dopo due lunghi anni.
-Hei nonno.
Lo salutò Icing, avvicinandosi. Insieme al fratello, guardò confuso il vecchio e la giovane e i loro sguardi d’intesa.
-Si conoscono? Tu ne sai qualcosa?
Chiese al fratello minore. Questo scosse la testa.
-No, ma che ci vuoi fare. E’ Anise.

Si sedette sul dondolo bianco da giardino. Stava seduta tranquilla mentre lisciava le pieghe del vestito in sangallo giallo, mentre osservava tutti gli altri discutere e ridere tra loro. Tra poco avrebbero iniziato la cena, gli ultimi raggi del sole stavano scomparendo e la sera sarebbe calata. Avrebbero cenato tutti insieme come una grande famiglia, sarebbero andati in piazza a ballare, a vedere le bancarelle, ad ammirare i fuochi, per poi aspettare l’alba tutti insieme. Sospirò impaziente ed emozionata.
Il ragazzo si sedette accanto a lei.
-Che serata stupenda.
Disse soltanto, lei si fece largo e appoggiò la testa sull’incavo della sua spalla robusta, respirò il suo familiare e sensuale profumo. E lui fece lo stesso, appoggiando il mento sulla sua testa, tra la sua coltre di capelli d’orati, lasciandoci un bacio. 
-Ah, quasi dimenticavo!
Il ragazzo sciolse l’abbraccio e con sua sorpresa le prese il polso, poi il suo palmo e vi posò una coppia di campanellini della grandezza di due grosse ciliegie.
-Buon Anniversario Anise.
-Non ho mai capito perché a Mirabel vengono appesi ovunque.
Il ragazzo si mise a ridere, inspiegabilmente.
-Nella tradizione si mettono uno o una coppia di campanellini legati da dei nastri e se lo noti, questi possono essere blu o celesti. Sono dei portafortuna, quando trovi un campanellino blu appeso, si dice che prevenga le alte maree e il mare mosso. Quello celeste invece è per i tifoni e il brutto tempo.
-E quando sono insieme?
Andò a guardare nella mano i due campanellini e i due nastri differenti. Poi fissò lui e  quasi lo vide arrossire. E lui non arrossiva mai.
-E’ un usanza, le coppie di innamorati che se li scambiano. Il blu del mare va all’uomo, il celeste del cielo alla donna. Si lega addosso e si mostra come simbolo di impegno e amore. Icing tiene sempre legati hai capelli quelli dei nostri genitori.
Spostò lo sguardo sulla ragazza e fu incredulo di vedere la sua espressione sognante.
-Oh cielo ma è bellissimo, grazie!
Lei sciolse i nastri e iniziò a cercare di legarsi quello celeste al polso.
-Anice.
Si interruppe di colpo allarmata per il suo tono di voce e lo fissò negli occhi.
-Quel giorno di più di due anni fa, ti vidi nella piazza. I tuoi capelli, di spalle mi ricordarono una nuvola e volli fermarti per vederti meglio perché subito, appena ti vidi, mi venne in mente il cielo. Non so perché e so che può sembrare stupido, non ti conoscevo nemmeno, ma sai quale è stato il mio di desiderio allora?
Scosse la testa frenetica per negare e restò ipnotizzata dalla sua bocca, in attesa di una risposta. Ma lui, lentamente e in silenzio, prima si fece aiutare ad allacciare il nastro blu al suo polso. Questo emise un tintinnio quando, allungando le mani dietro la delicata nuca di lei, le allacciò l’altro nastro, come una collana. Prima osservò l’oggetto che vi era appeso, poggiato sul suo petto che non la smetteva di respirare ansioso, poi lei e finalmente rispose:
 -Desiderai di farti indossare un campanellino come questo.
Lei si portò una mano alla bocca provocando una sua risata.
-Ma che fai piangi?
Lei affondò il viso sul suo petto e lui la strinse forte. Riuscì soltanto a dire, ancora commossa:
-Sono felice. Sono così felice!
-E’ da quel giorno che ti amo Anise.
Lei lo strinse ancora di più.

A un tratto, Vanille emise un urlo, spaventando tutti i presenti. La osservarono increduli indicare qualcosa con il braccio teso e partire a razzo con un’espressione stupefatta. Camminò veloce e buffa, mentre il tulle del suo vestito rosa antico oscillava, per poi fermarsi davanti alla coppia ancora seduta sul dondolo. 
-Ma che ti prende matta?
Le chiese Juice, perché tutti restavano in silenzio a osservare la scena.
-Voi!
Disse. I ragazzi si alzarono del dondolo, quasi impauriti, si fissarono a vicenda e poi fissarono lei. Vanille, di fronte alla loro confusione indicò la pallida mano sinistra della sua migliore amica.  
-L’ho visto luccicare dall’altra parte del giardino solo adesso! Quanto pensavi di tenermelo nascosto?
Tutti i presenti spostarono lo sguardo sul piccolo anello d’argento nel suo dito anulare. Lei arrossì e poi sorrise, mostrandolo meglio.
Mentre Vanille emetteva urletti eccitati e strattonava i due chiedendo se poteva fare la damigella d’onore, Juice cercava di contenere, come sempre, la sua ragazza, chiedendosi se anche loro un giorno avrebbero fatto un simile passo. I coniugi Hazelnut si congratularono e Berry dette un’energica pacca spalla al nipote. Fennel, con la sua ragazza Sugary che rideva vicina, li abbracciò da dietro piangendo platealmente commosso e chiedendo se poteva fare lui da damigella d’onore,  beccandosi uno sguardo di fuoco da Vanille. Icing, invece, sorrideva scuotendo la testa con Caramel al suo fianco, ma senza avvicinarsi per chiedere dettagli.
I due al centro dell’attenzione, si guardarono negli occhi sapendo che di lì in poi, solo altra felicità poteva arrivare. Ritornarono entrambi con la mentre a quella mattina, quando si erano svegliati alle prime luci dell’alba ed erano andati nel luogo in cui i genitori del ragazzo si erano conosciuti e sposati. Una piccola chiesa sul monte immersa in un campo di margherite, in cui anche loro, prima o poi, avrebbero compiuto il primo passo per diventare una vera famiglia.   
E nessuno in quel bellissimo momento, mentre tutti  sembravano immersi in quella bolla di estrema felicità creata con tanto sforzo, avrebbe mai potuto immaginare che, esattamente due anni dopo questo stesso giorno, nel ventre della stessa ragazza, si stava andando a creare una nuova, magica piccola vita.

 

Ancora adesso nelle terre di Carewall, tutti raccontano quel viaggio.
Ognuno a modo suo. Tutti senza averlo mai visto. Ma non importa.
Non smetteranno mai di raccontarlo[…]
Questo continuerebbero a raccontare, per sempre, nelle terre di Carewall,
perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi…
[Alessandro Baricco, Oceano Mare]



Fine

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Capitolo 24
*** Extra: Parole dell'autrice. ***


Dettagli, spiegazioni, ringraziamenti.

Non mi piace scrivere dopo ogni capitolo i fatti miei o i ringraziamenti, anche perché se sono presenti in altre storie che seguo va a finire che non ho voglia di leggerli, quindi scrivo tutto qui (così se volete potete benissimo ignorarlo), in questo ultimo finto capitolo:
E’ la prima storia che ho concluso. E’ nata come una One-Short per il concorso estivo del 2011 (?), ma mi è stato fatto notare che leggerla era impegnativo poiché troppo lunga e, anche se io la preferivo di uno solo, ho dovuto ammettere la cosa e l’ho cancellata per poi ripostarla suddivisa in capitoli. L'ispirazione mi è stata fornita principalmente dalla foto che trovate all'inizio dell'epilogo. Una delle mie principali fonti di ispirazione infatti è la fotografia.
Bene, innanzitutto vi informo che ogni capitolo non è postato a caso ma da uno all’altro passa anche il minimo arco di tempo, non ci sono in un unico capitolo due eventi che accadono in tempi diversi ma solo eventi che si susseguono. Se avete notato dello spazio tra una piccola parte di racconto ad un'altra non è per il tempo ma è per una visione di un diverso personaggio per quello che sta accadendo, so che è in terza persona il mio racconto ma ho messo i distacchi per farvi capire bene e per evidenziare le idee altrui anche perché, se non lo avete notato, il nomi di Anise e di Almond appaiono solo nei discorsi diretti, i dialoghi, mai in quelli narrativi (è stato un po difficile rispettare questo accento da me autoimposto ma spero che si stato chiaro lo stesso). Poi, non ho voluto scrivere flash back perchè la protagonista non ha rimpianti ne ripensamenti: è in una città nuova, gente nuova, vita nuova insomma, non mi sembrava inerente mettere i suoi ricordi passati, o almeno sarebbero stati superflui e inutili per lo svolgimento della storia. Così per i personaggi maschili principali, es. mettere un flash back sulla morte dei genitori di Almond e Icing, troppo cruento, poi erano piccoli quoindi i loro ricordi non sono molto vividi da adulti.
Tutti i nomi dei personaggi, anche quelli più secondari si riferiscono a piante o frutta o ad elementi riguardanti il cibo, parto dunque ad elencare i personaggi dalla loro apparizione:
Anise/Anice l’ho pensata subito come una persona buona e gentile, con una nuvola soffice di capelli d’oro e degli occhi blu molto sinceri e limpidi. Odio le solite ragazze prodigio che le amano tutti o che riescono a risolvere tutto e piangono ogni cinque secondi quindi spero davvero che non sia apparsa così dalla mia storia perché lei è molto forte e indipendente.
Berry (significa bacca) in realtà è l’ultimo personaggio che mi è venuto in mente. Infatti appare solo nel prologo e nell’epilogo (che ho aggiunto dopo aver già postato i primi capitoli). E’ un uomo di poche parole, semplice e dolce. Solo questo.
Almond (significa mandorla), per lui e suo fratello credo di essermi ispirata involontariamente a un manga di nome Meru Puri, dove il protagonista maschile si chiama Alam (se volete andatevelo a vedere, è bellissimo, sennò meglio di no, solitamente a me da noia scoprire che i soggetti nelle menti degli autori di cui seguo i racconti sono completamente distanti dal mio).
Vanille(vaniglia), non mi sono ispirata a nessuno in particolare e credo che la sua parlantina particolarmente euforica e irrefrenabile si sia andata ad esaurire nei capitoli purtroppo, era un suo aspetto carino anche se un po insopportabile (sarà stata l’influenza della taciturna Anise? Anche se penso che pure lei tanto taciturna alla fine non è risultata, vuol dire che si sono compensate a vicenda).
Cocoa(vuol dire cacao) ovviamente non vi ricordate chi è perché appare una sola volta all’inizio, quindi ve lo dico io, è il polpo nonché il migliore amico del padre di Vanille (risata), se non l’avete capito per le velate allusioni nel testo mi sono ispirata al famoso polpo Paul, realmente esistito e un prodigio. Andate a vedere che cosa faceva questo polpo che hanno tutti adorato nell’ambito calcistico, perché merita.
Juice(succo, dall’inglese), volevo che fosse un ragazzo forte e gentile (ammettiamolo, uno dei pochi che non correva dietro ad Anise), il miglior amico di Vanille. Lui è uno dei personaggi che è nato grazie al mio amore per gli anime. Infatti mi sono ispirata dall’anime della Corda D’oro, Ryotarou Tsuchiura, il bellissimo ragazzo che suona il piano.
Brunette e Walnut Hazelnut(noce bruna e noce nocciola, all’incirca) sono i genitori di Vanille. La signora Brunette è una donna all’apparenza dura e severa ma in realtà molto dolce e premurosa mentre suo marito è un vero capitano di mare, per lui (lo alludo anche nel racconto) mi sono ispirata a capitan Findus (e chi sennò?).
La signora Prune(prugna) e sua figlia Chamomill (camomilla), appaiono al risveglio di Anise nel parco. La prima l’ho immaginata come una di quelle signore che non si fanno mai i fatti loro e che devono per forza mettere bocca su tutto, diffidenti e acide, mentre sua figlia l’ho immaginata come una tenerissima bambina piccola con un’innata curiosità e con dei codini oscillanti e biondissimi ai lati della piccola nuca.
Carmel(è l’abbreviazione di Caramel che vuol dire caramello). E’ un ragazzino molto dolce e timido, dalla pelle color cioccolato con dei bellissimi occhi verdi azzurri. Non so perché ma da grande ce lo vedo con Chamomill, “lui è petrolio e lei è latte” (battuta copiata da Save The last dance).
Icing(il suo nome significa glassa), volevo qualcosa che avesse a che fare con il ghiaccio (la glassa infatti si deve raffreddare prima di servirla!). Se per Almond mi sono inspirata ad Alam di Meru Puri, per Icing mi sono inspirata proprio al fratello maggiore di questo, il suo nome è Jeile, anche se hanno un carattere opposto per l’aspetto fisico del mio personaggio, era perfetto.
Fennel(il suo nome vuol dire finocchio dall'inglese! Volevo dare a qualcuno questo nome perché suonava bene e perché non ve lo sareste aspettato) è un ragazzo molto alto con dei begli occhi blu scuro e dai capelli biondi così chiari che potrebbe benissimo essere il fratellone di Chamomill da quanto nella mia mente li figuro somiglianti (magari in realtà sono proprio fratelli e la signora Pune è la moglie del sindaco, non lo so nemmeno io!) Ormai i fatti e i personaggi di questa storia hanno assunto una verità e un’anima propria che sfugge persino a me che li ho creati (risata).
Cinnamon è un personaggio molto molto secondario, il suo nome significa cannella ed è la vecchietta gentile che ha donato ad Anise la stoffa per il suo vestito per la festa della fondazione perché l’aveva aiutata con delle consegne (lo ammetto, volevo solo utilizzare questo nome).

Spero che la mia storia vi sia piaciuta, a me devo dire, piace ma credo di avere messo troppi elementi e troppi ambienti: la moneta, il cannocchiale, le conchiglie, le sirena (simbolo di MirabelCity), i suono delle campane, i campanellini appesi ovunque, in negozietto, il faro, la chiesa, la piazza principale, il parco…Sembra inspirato da uno di quei giochi dove il protagonista deve interagire con tante persone o andare in tanti posti per superare le prove.
Arrivando alle conclusioni (apprezzo davvero tantissimo chi è arrivato fin qui, quindi penso proprio nessuno): un grazie a tutti quelli che hanno letto o che leggeranno questa storia! Continuate a seguirmi e ve ne sarò immensamente grata!

Un candido bacio e un caldo abbraccio

Eleonora.

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