the one last chance (out of one) di Rainie (/viewuser.php?uid=109701)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** pt.1: warning warning warning warning ***
Capitolo 2: *** pt.2: lachesism ***
Capitolo 3: *** pt.3: badmen ***
Capitolo 4: *** pt.4: shadows ***
Capitolo 5: *** pt.4 (2): finale ***
Capitolo 1 *** pt.1: warning warning warning warning ***
[ part 1: warning warning warning warning ]
playlist: badman – b.a.p; big deal
– nu’est; the
mighty fall – fall out boys.
Le
strade bruciavano sotto un sole particolarmente intenso, segno
che l’estate si stava inesorabilmente avvicinando.
Al
riparo dal caldo, l’officina Kim aveva le saracinesche
abbassate,
togliendo al quartiere uno dei suoi pochi segni di vitalità.
Il suo
proprietario aveva deciso di prendersi un giorno di riposo, visti i
rari
clienti che gli avevano fatto visita nell’ultima settimana.
Il calore batteva
sul metallo facendolo diventare incandescente nonostante fosse ancora
mattina,
mentre dall’interno proveniva solo il silenzio. Di tanto in
tanto,
un’automobile o un abitante del quartiere passava di
lì, ma non prestavano attenzione
a quel locale, essendo per loro una vista quotidiana.
Con
i passi che scricchiolavano sul marciapiede, Jongup svoltò
l’angolo di un isolato e si addentrò in un
viottolo che aveva percorso ormai
innumerevoli volte. Porte chiuse di edifici e pareti tappezzate di
colorati
murales sfilarono ai suoi fianchi, mentre alcuni negozi di alimentari e
i bar
tentavano di scacciare l’aria viziata dal loro interno
tenendo l’ingresso
aperto.
Nella
frescura dell’ombra, tirò fuori il suo smartphone,
cercò un
numero nella sua rubrica e pigiò il tasto di chiamata.
Svoltò un altro angolo
mentre il cellulare suonò una, due, tre volte.
«Hey, hyung. Sono quasi
arrivato, dieci minuti ancora e sono lì. Youngjae hyung? No,
non lo sto
sentendo da un po’. Ma non aveva comunque detto che sarebbe
stato via per
qualche tempo? Se si tratta di lui, non penso che possa succedere
qualcosa. Non
essere tanto paranoico! Rilassati un po’. Dai, ne discutiamo
quando arrivo. A
dopo.»
Era
una delle rare volte in cui Yongguk era stato incaricato da
Himchan di tenere d’occhio la sua officina. In quella
tranquillità, tra una
motocicletta e il forte odore di gasolio, si chiese come se la stesse
cavando
Youngjae. Non aveva più avuto alcuna notizia da parte sua da
ormai diversi
giorni. Il ragazzo poteva certamente cavarsela, ma l’ansia di
Yongguk si faceva
sentire di più ogni ora che passava. Aveva cominciato ad
immaginarsi milioni di
scenari in cui era rapito, sbattuto in qualche stanza e lasciato senza
cibo né
acqua per diversi giorni, picchiato, e persino ucciso.
Il
pensiero gli faceva venire il voltastomaco. Così, dal
momento che
Himchan gli aveva solo chiesto di “non far casino con gli
strumenti e lasciare
l’officina sottosopra mentre era via”, aveva
chiamato Jongup per portarlo via
dalla noia, sperando che, in questo modo, avrebbe smesso di
preoccuparsi.
Yongguk
aprì il lucchetto che bloccava la saracinesca, e la
alzò
senza sforzo. La luce del sole penetrò subito
nell’atrio semivuoto, portando
con sé il caldo soffocante dell’esterno, che si
mischiò con il distintivo odore
di benzina del garage. Alla vista della strada deserta, Yongguk godette
per un
paio di minuti il silenzio primaverile sulla soglia
dell’entrata, sentendo
sulla pelle, di tanto in tanto, una leggera brezza dargli un
po’ di sollievo
dall’afa, fino a quando non individuò la figura di
Jongup avviarsi verso la sua
direzione. La sua bocca si allargò nel suo tipico sorriso,
mentre il più
giovane si avvicinava.
«Hey,»
si salutarono, stringendosi la mano e dandosi una pacca sulla
schiena. «E Himchan hyung?» chiese Jongup, piegando
la testa di lato e
sbirciando dentro l’officina.
All’interno, le luci erano spente, e la poca luce che
filtrava dalle finestre rivelava
il profilo di diverse auto e motociclette parcheggiate in delle
ordinate fila
negli spazi più interni. Incredibilmente, il meccanico
riusciva a tenere il suo
posto di lavoro piuttosto curato. La ringhiera della scala che
conduceva al
secondo piano, notò Jongup, era stata dipinta di rosso di
recente.
Yongguk
scrollò le spalle. «Ha detto che sarebbe andato a
comprare
dei nuovi pezzi di ricambio, ma sai com’è.
Sarà a divertirsi da qualche parte.»
Guardò Jongup ridacchiare per un secondo.
«Giusto,»
commentò.
Yongguk
stava per invitarlo dentro quando notò un movimento con la
coda dell’occhio. Riuscì appena a lanciare al
ragazzo che aveva di fronte uno
sguardo allarmato, e lo vide voltarsi e ricevere un colpo brutale sulla
tempia
destra da una mazza metallica, impugnata da un uomo dalla corporatura
robusta,
con gli occhiali da sole calati sugli occhi.
Il
silenzio venne spezzato dal gemito acuto di dolore che uscì
dalle
labbra di Jongup, mentre la sua espressione rilassata di prima venne
sostituita
da una smorfia di dolore atroce. Il più anziano
sentì il proprio capo pulsare,
come se fosse stato lui quello aggredito. Il livello di adrenalina nel
suo
sangue salì in pochi secondi mentre guardava Jongup
accasciarsi per terra,
avendo perso i sensi. Subito, Yongguk si inginocchiò a
fianco a lui e lo alzò
dal pavimento afferrandolo per le spalle, mentre tentava di
risvegliarlo
scuotendolo e chiamando il suo nome. Il corpo di Jongup non si mosse;
dai
graffi sul suo capo aveva cominciato ad uscire del sangue, e a Yongguk
sembrò
di aver dimenticato come si respirava.
Un
grugnito da sopra il suo capo gli fece alzare gli occhi. Il loro
aggressore aveva sul suo viso un ghigno soddisfatto, mentre la mazza,
ora
abbassata a terra, scricchiolò ostile sul ruvido terreno,
con la superficie
lucida che rifletteva, minacciosa, la luce del sole. La preoccupazione
di
Yongguk stava cominciando a trasformarsi in rabbia, le sue mani
tremavano al
desiderio di prendere a pugni quella disgustosa faccia, come
osava toccare un suo membro, con che coraggio aveva–
Sentì
qualcosa cadere vicino a lui. Ai suoi piedi, vide un pezzo di
plastica nero, di forma rettangolare, giacere sul ruvido terreno.
Yongguk lo
riconobbe come una chiavetta USB e, ancora con lo sguardo incredulo e
ostile,
tornò sulla figura scura dell’uomo che si
stagliava contro la luce del sole.
«Mi raccomando, se non vuoi che il tuo amichetto
muoia,» disse, sempre con quel
ghigno derisorio, e si allontanò dall’entrata
dell’officina come se niente
fosse successo.
Registrando
le parole appena pronunciate, Yongguk seguì con gli
occhi l’auto che, una volta accolto il suo passeggero, si
allontanò
dall’officina in un grave rombo, tra le risate sghignazzanti
dei membri
all’interno. Ancora una volta, quella strada
ritornò deserta e silenziosa, con
la sola afa a riempire il vuoto.
Ricordando
le proprie priorità, Yongguk ritornò con lo
sguardo su
Jongup. Vide il suo petto alzarsi ed abbassarsi, e sentì il
respiro corto passare
tra le sue labbra. Senza perdere altro tempo, lo portò
dentro l’officina, dove
era sicuro che Himchan teneva una cassetta per il primo soccorso da
qualche
parte. Cercò di sistemare il corpo del ragazzo
più delicatamente possibile sul
divano nell’atrio, e nel mentre si ricordò della
chiavetta lasciatagli
dall’assalitore.
Mentre
ritornava a recuperarla dall’ingresso, digitò il
numero del
suo più giovane membro sul cellulare, sollecitandolo ad
arrivare al più presto
ed affrettandolo a contattare gli altri loro compagni e, in
particolare,
Youngjae.
«Il cliente da Lei chiamato al
momento non è raggiungibile. La preghiamo di lasciare un
messaggio dopo il
segnale acustico.»
Himchan
abbassò il suo smartphone e terminò la chiamata.
Alzò gli
occhi sui suoi compagni, che lo guardavano in attesa, interrogativi.
«Niente da
fare,» riferì lui, scuotendo il capo e sospirando
con frustrazione, «Youngjae
ancora non risponde.»
Al
suo fianco, il meccanico sentì Daehyun gemere insofferente,
mentre affondava il suo corpo nel divano. Si erano radunati tutti e
cinque
nella sua officina, che fungeva anche da nido per le loro operazioni,
al riparo
dagli occhi indiscreti degli abitanti del quartiere. Himchan non era
del tutto
convinto che i suoi vicini fossero ancora all’oscuro di
ciò che succedeva
veramente lì dentro, eppure nessuno dei suoi clienti esitava
di fronte al suo ingresso.
Probabilmente, era il fatto di essere l’unico meccanico in
zona a far spingere
(letteralmente) i loro veicoli in quell’abitacolo. O forse
era solo a causa
dell’aria corrotta che albergava in quella città.
Himchan preferiva comunque
lasciare la faccenda al dubbio.
Infilò
il suo cellulare in tasca e, vedendo che il divano era
occupato da Junhong, Yongguk e Daehyun, si sedette su una motocicletta
vicina.
Era uno dei suoi ultimi gioielli, ed era impaziente di perfezionarlo e
farlo
correre sulle strade. Ma, in quel momento, aveva altro di cui
preoccuparsi.
Il
suo sguardo slittò su Jongup, stravaccato su una sedia sul
lato
opposto. La sua testa era stata fasciata come Yongguk meglio aveva
potuto, sul
suo viso vi era ancora una smorfia di dolore. Una chiazza rossastra si
stava
formando sulla garza immacolata, e Himchan gli offrì un
passaggio in ospedale,
in modo da poter essere trattato da mani più esperte di
quelle del loro leader.
In risposta, il più giovane rise amaramente, dicendo che una
scusa come
l’essere caduti dalle scale non sarebbe stato abbastanza,
dopodiché avrebbero
cominciato a far domande, avrebbero perso solo tempo. Il meccanico
annuì,
nonostante non fosse del tutto convinto della sua decisione.
«È
che sono preoccupato per quello che troveremo nella
chiavetta,»
ammise ai suoi compagni. La tensione gravò ancora di
più sui cinque, e Daehyun
decise di intervenire.
«Allora
non ci resta che scoprire di cosa si tratta. Magari ci hanno
regalato un altro viaggio a Manila,» disse, con il tono
impregnato di sarcasmo.
A
quel punto, Junhong tirò fuori il pezzo di plastica in
questione.
Lo fissò per qualche secondo, come se sperasse di riuscire a
capire cosa li
aspettava, mentre i suoi fratelli più anziani lo
attendevano, con uno sguardo
paziente. Diede una veloce occhiata a Yongguk, seduto a fianco a lui, e
lo vide
con gli avambracci poggiati sulle ginocchia, mentre gli occhi erano
attaccati
allo schermo del computer portatile sul tavolino di fronte, perso nei
suoi
pensieri. Ritornò a giocherellare con la chiave USB.
«Sapete,»
cominciò a dire, «ora che siamo di nuovo solo noi,
sento
come se fosse, uhm, diverso senza Youngjae hyung con noi.»
All’improvvisa
confessione del più giovane, Himchan ridacchiò
brevemente. «Colpa sua. Quando ritornerà, avremo
già finito di occuparci di
questo e si sarà perso tutto il divertimento,» gli
rispose, non del tutto
sicuro delle sue stesse parole. Non sapeva se stesse tentando di
convincere lui
o se stesso, dopo che Yongguk gli aveva spiegato la situazione al suo
ritorno
in officina. Anche Junhong sembrò di percepire come quelle
parole parevano
forzate, ma non disse niente, e abbassò il capo in un
silenzioso cenno di assenso.
Il
giovane passò la chiave al leader, che lo prese senza
proferire
parola. I cinque si strinsero attorno al notebook, Jongup avvicinando
la propria
sedia per una migliore visione e Himchan posizionandosi dietro al
divano, alle
spalle di Daehyun e Yongguk. Questi inserì il piccolo
dispositivo nella presa
apposita, e qualche secondo dopo una finestra si aprì sullo
schermo.
La
memory card conteneva due oggetti: la prima era un video di poco
più di un minuto, mentre la seconda era una nota che pesava
appena pochi
kilobyte. Entrambi erano etichettati con dei semplici
“000”. «Una gran
fantasia,» borbottò Daehyun.
Yongguk
aprì prima il video, considerandolo più
importante. I membri
restarono in attesa mentre si caricava, ma non meno nervosi di prima.
Un paio
di secondi dopo, nell’inquadratura apparve la faccia di un
uomo mascherato. Si
sentivano dei rumori nel sottofondo, dei passi, forse, e
l’uomo in primo piano
si spostò per rivelare cosa c’era alle sue spalle.
Un
suo compagno era in piedi, anche lui con una maschera calata su
naso e bocca, e guardava dritto nell’inquadratura. Alla sua
destra, su una
sedia, stava seduta una figura con il corpo piegato in avanti e le mani
legate
dietro la schiena. Solo dai capelli biondo scuro non poteva essere
riconosciuto, ma Yongguk vide i suoi incubi realizzarsi quando il primo
uomo
gli afferrò delle ciocche sulla nuca e gli tirò
indietro il capo per rivelarne
l’identità.
Era
Youngjae. Non aveva affatto un bell’aspetto, dal momento che
il
suo viso era ora costellato di lividi e linee sanguigne che
percorrevano le sue
guance.
Tutti
e cinque i giovani guardarono con il respiro mozzato il loro
compagno mentre gli veniva tirato un pugno sulla mandibola.
Nella
stanza illuminata debolmente dalla finestra sbarrata, con la
schiena appoggiata alla parete di pietra, Youngjae fissò il
vassoio di cibo che
gli avevano rifilato pochi minuti prima. Non era molto: una minestra,
del pane,
e un bicchiere d’acqua. Non che si aspettasse una cena da
ristorante lussuoso;
nessuna banda di strada come si deve offrirebbe un pasto normale a
coloro che
tengono in ostaggio.
Non
aveva molto appetito, comunque. I lividi che gli avevano
procurato ancora facevano incredibilmente male, si sentiva il corpo
indolenzito
(probabilmente aveva anche una costola fratturata), e se si fosse
passato una
mano sul viso, avrebbe tastato le croste di sangue che si erano formate
sulle
ferite. Restò in silenzio a riflettere su ciò che
gli era accaduto.
La
porta della stanza in cui era stato sbattuto si aprì, e
Youngjae
vide entrare un ragazzo che aveva più o meno la sua stessa
età, uno dei primi
che avevano cominciato a torturarlo. Non sapeva chi fosse (lo aveva
solo
sentito essere chiamato Sung), ma, da come i suoi membri sembravano
seguire i
suoi ordini, aveva intuito che era uno dei pezzi grossi della banda. In
un
certo senso, gli aveva ricordato se stesso, nonostante tra i suoi
compagni non
vi era una certa rigidità di posizioni. Ognuno faceva e si
impegnava in ciò che
poteva. Non gli erano mai piaciute le piramidi sociali.
Sung
guardò il vassoio ancora pieno, poi lui. Youngjae sostenne
saldamente il suo sguardo, senza avere intenzione di lasciargli vincere
quella
piccola sfida. Da come lo fissava il suo avversario, intuì
che aveva delle
notizie – probabilmente cattive, per lui.
Prima
che potesse farsi un’idea di cosa gli avrebbe detto,
l’altro
lo precedette: «Giusto perché tu lo sappia,
stamattina abbiamo incontrato uno
dei tuoi amici, sai?» Non vedendo alcuna reazione da parte di
Youngjae, il
quale continuava a fissarlo senza proferire parola, Sung
lasciò che un ghigno
scivolasse sulle sue labbra, prima di continuare a parlargli.
«Gli abbiamo
fatto solo un po’ male. Il tuo leader non ha nemmeno mosso un
dito. Gran bel
capo, che ti sei scelto.»
Youngjae
dovette resistere alla forte tentazione di roteare gli
occhi e di ridergli in faccia. Restò in silenzio con
un’espressione neutra,
senza distogliere lo sguardo dal suo nemico.
«Non
mi guardare in quel modo,» disse quello, alzando le mani in
segno di resa, «è vero che ti abbiamo detto che
non avremmo fatto niente ai
tuoi compagni. Ma – ops – credo che il Boss si sia
dimenticato di ricordarlo.
Però non ti preoccupare, non penso che sia morto. Almeno
così mi hanno
raccontato.»
Per
la prima volta in quei giorni, Sung vide Youngjae lanciargli un
sorriso beffardo. Strizzò gli occhi, fulminandolo con lo
sguardo. «Cazzo hai da
ridere?» gli ringhiò in tono basso. «Non
credo che tu sia nella posizione per
farlo.»
«Questo
lo dovrei dire io,» replicò con estrema calma
l’altro. «Credete
che questo li spaventerà? Non conoscete bene Yongguk hyung.
State certi che da
ora dovrete fare molta più attenzione, se non desiderate che
qualcuno di voi rimanga
ucciso prima che il patto sia portato a termine. Non mi sembrate una
banda
tanto brillante.»
Sung
digrignò i denti e schioccò la lingua,
minaccioso. «Bada a come
parli, bastardo. Posso ucciderti qui ed ora, e morirai di una morte
agonizzante,» lo avvertì, mentre le mani
tremavano, impazienti di colpire
Youngjae ed insegnargli una lezione.
Questa
volta, il ragazzo in questione non riuscì a non ghignare
apertamente. «No, non puoi, sono un ostaggio troppo prezioso.
Sai come fa quel
detto?» Continuò a guardarlo per un secondo di
troppo. «“Can che abbaia, non
morde”. Ti descrive perfettamente.»
Poiché
i suoi riflessi erano inibiti dalle torture precedenti,
Youngjae non poté schivare il calcio sul bicipite. Ma quello
non era niente, in
confronto alle fitte che Sung gli procurò successivamente
quando la punta dei
suoi stivali fu tirato con forza nello stomaco e sul petto,
innumerevoli volte.
I grugniti di Youngjae riempirono la stanza per secondi interminabili,
deciso a
non dargliela vinta, fino a quando, infine, la suola della scarpa
atterrò sulla
sua tempia. A Youngjae sembrò quasi di essere diventato
ormai immune al dolore,
per tutti i colpi che aveva ricevuto nei giorni prima, mentre tentava
di
riprendere il fiato.
Dall’alto,
Sung lo guardò con disprezzo. «Mi fai proprio
incazzare,
tu. Renditi conto che sei un uomo solo in mezzo ad un branco di
lupi.» Youngjae
sentì la pressione esercitata sul suo cranio aumentare
notevolmente, ma serrò
le labbra per non lasciar scappare alcun suono. «La prossima
volta che apri
quella fottuta bocca, pensaci bene.» E detto questo, Sung
alzò la sua scarpa
dal capo del biondo e tornò sui suoi passi, sbattendo la
porta una volta
uscito.
Quando
Youngjae sentì la serratura scattare chiusa, rise
mentalmente
all’ingenuità mostrata da Sung. A differenza dei
lupi, gli uomini possedevano
una certa capacità: quella di usare il proprio intelletto
per preparare le
dovute precauzioni per gli imprevisti. Ed era certo che anche il resto
dei
B.A.P lo sapeva.
Un
cartello su cui era stampato “10,000,000$” pendeva
dal collo di
un Youngjae sanguinante.
Il
video era terminato, lasciando l’intero gruppo a processare
le
agghiaccianti immagini del loro amico essere brutalmente picchiato.
Quanti
giorni erano passati da quando quel video era stato filmato? Quante
chiamate
erano state fatte, quante volte si erano ritrovati in
quell’officina senza la
familiare presenza di Youngjae con loro?
Non
era solo questo a turbare Jongup. Yongguk aveva ragione, e ora si
sentiva in colpa per quello che gli aveva detto a proposito durante la
telefonata di quella mattina. Non riusciva a capire come avesse potuto
essere
tanto sprovveduto da pensare che quei giorni di assenza non fossero
tanto
importanti. Avrebbe dovuto preoccuparsi. Avrebbe dovuto dargli ragione.
E
ora aveva persino ridotto gli altri ad occuparsi di lui e della
sua ferita. Jongup avrebbe voluto darsi un pugno in faccia per la poca
attenzione che aveva prestato.
La
sua occhiata atterrò sullo hyung seduto vicino a Junhong.
Aveva
sul viso un’espressione dura, pensosa, con le sopracciglia
corrugate e le
labbra strette in una sottile linea. Le sue mani non riuscivano a stare
ferme e
continuavano a torturarsi l’un l’altra, mentre il
suo respiro era corto,
arrabbiato. Jongup lo conosceva abbastanza per affermare che il loro
capo stava
già pensando ad una strategia per salvare Youngjae.
Dopo
momenti di silenzio, Himchan fu il primo ad avere il coraggio
di parlare, dopo l’orrore a cui avevano assistito.
«Non fare quella faccia,
Bbang,» gli disse serio, dando una leggera pacca sulla spalla
del suo coetaneo,
«leggiamo prima cosa c’è scritto in
quella nota, e poi decidiamo cosa fare,
hmh?»
Alle
parole dell’amico, Yongguk sembrò corrucciare
ancora di più lo
sguardo. Non di meno, una volta chiusa la finestra del video,
cliccò sull’altro
file che si aprì all’istante.
Era
un avvertimento di poche righe.
“Speriamo
che vi piaccia lo spettacolo che vi abbiamo preparato. Se lo volete
vivo,
portateci dieci milioni di dollari in contanti. Vi chiameremo noi per
il luogo
e l’ora. Sappiate che se non avete i soldi entro quella data,
lo uccideremo. E
non provate nemmeno a far passi falsi, altrimenti, sapete come
finirà.”
Se
Yongguk riusciva a trattenere il suo stato d’animo per
sé,
diversa era la situazione per Daehyun, che era livido in volto.
Sbatté
violentemente un pugno sul tavolo, preso dall’ira. Si
voltarono tutti verso di
lui, ma la sua furia non sorprese nessuno: oltre il leader, era il
membro con
cui Youngjae aveva più legato in quel periodo di tempo nella
quale avevano lavorato
insieme.
Daehyun
si inumidì le labbra e digrignò i denti.
«Bastardi,» ringhiò
in tono grave, ma forte abbastanza da essere sentito da tutti i membri,
«li
farò pagare cento volte tutto quello che gli hanno
fatto.»
Detto
questo, si alzò dalla poltrona di scatto e
cominciò ad
avviarsi verso l’entrata dell’officina, bloccata di
nuovo dalle saracinesche,
con l’intenzione di uscire e tener fede a ciò che
aveva detto. Lo sguardo truce
non lasciò nemmeno per un secondo il suo viso solitamente
sereno, mentre continuava
ad imprecare in bassi sussurri, con la voce tremante per la rabbia:
«Spaccherò
la faccia al verme che è venuto qui stamattina e ha provato
a toccare Jongup.
Gli romperò le ossa di tutte e due le braccia e lo
prenderò a calci in culo. E
poi andrò nella loro fottuta tana e li farò fuori
tutti, uno a uno, nel modo
più atroce che mi verrà in mente. Figli di
puttana, non devono neanche
minimamente pensare di poterla passare liscia dopo che
hanno–»
«Calmati,
Daehyun.» L’interessato sentì la voce di
Himchan
interrompere il suo monologo, e subito si girò per vedere
Junhong afferrargli
il polso destro, con un’espressione tra il sorpreso e
l’incredulo. Poche volte
lo aveva visto tanto aggressivo, nemmeno durante le loro normali
operazioni una
tale ira aveva mai dominato la sua solita espressione concentrata. Con
uno
strattone, Daehyun si liberò dalla presa di Junhong.
Lanciò un’occhiataccia
prima al più giovane, poi all’altro, che si stava
avvicinando con uno sguardo
di avvertimento.
«Hyung,
non abbiamo neanche un piano,» gli ricordò il
maknae,
corrugando le sopracciglia, «anzi, non abbiamo nemmeno idea
di chi siano e dove
possa essere la loro base. Non penso che andare alla loro caccia a caso
sia una
buona idea. Ti farai uccidere!»
Lo
sguardo di Daehyun si fece ancora più torvo. «Sai
quanto me ne
frega!» gli ringhiò. «In questo momento,
possono benissimo star torturando
Youngjae, e io non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo. Sono
disposto a
setacciare ogni angolo di questa città, per trovare e fare a
pezzi quegli
infami e la loro banda di seconda categoria.»
Junhong
stava per ribattere, quando Himchan parlò per lui.
Cercò di
mantenere il tono più calmo che poté, nella
speranza di portare un po’ di
buonsenso nella testa di Daehyun. «Proprio per questo
dovremmo stare attenti a
ciò che facciamo. Come hai detto tu, possono torturare
Youngjae in qualsiasi
momento, persino ora che stiamo parlando. Ma non ha senso mandarci
questa roba
e poi ucciderlo prima che abbiamo consegnato a loro i soldi. Dovremmo
star
tutti calmi e–»
«E
come pensi di farlo ritornare vivo e vegeto per quel giorno, eh?
Sorseggiando una tazza di tè e discutendo amabilmente? Col
cazzo, che mi lascio
fregare così! Nelle maniche avranno mille trucchetti
nascosti e saranno pronti
a far fuori Youngjae in qualsiasi momento, anche quando avremo tutti i
soldi
che vogliono.»
«Ma
questo non vuol dire che devi buttartici dentro senza alcuna
precauzione! Non importa quante pistole ti porti o quante persone
ucciderai, ti
farai ammazzare se non ti prepari un piano d’azione perlomeno
decente. Perché,
secondo te, ogni volta dovremmo passare tanto tempo a progettare le
nostre
operazioni in ogni minimo dettaglio?»
«Himchan
hyung ha ragione. Non puoi salvare Youngjae hyung se prima
non salvi te stesso. Ora come ora, siamo noi quelli in svantaggio, e se
facciamo un passo falso, è la fine.»
«Appunto,
proprio perché siamo in svantaggio dobbiamo muoverci
subito. Se vuoi vincere contro persone del genere, ti devi abbassare al
loro
livello, o non arriverai mai da nessuna parte, Junhong.»
Himchan
grugnì irritato, certo che Daehyun non avrebbe dato ascolto
né a lui, né al maknae. Mentre Junhong,
rifiutandosi di lasciare all’altro
l’ultima parola, continuò a il suo tentativo di
persuadere Daehyun a non fare
niente di avventato, il meccanico si girò verso il leader,
che stava assistendo
alla scena in silenzio, così come faceva Jongup. Li
guardò come se volesse
chiedere “Riuscite a crederci?”, mentre sollevava
una mano in direzione di
Daehyun. Jongup evitò il suo sguardo, in imbarazzo (non
sapeva mai cosa dire in
situazioni del genere, lui era più portato per
l’azione, che per i discorsi);
Yongguk, invece, colse il messaggio, e finalmente decise di prendere
parte a
quella discussione. Himchan gliene fu eternamente grato.
«Daehyun,»
lo chiamò, interrompendo quel che Junhong stava dicendo.
Entrambi si voltarono verso il loro leader. «Hai ragione
quando dici che per
vincere dobbiamo stare al loro livello,» cominciò
a dire, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte di Himchan, «la penso in
questo modo anch’io. Ma non
per questo motivo dobbiamo essere meno cauti del solito. Dobbiamo
arrivare
preparati. Questa faccenda mi puzza, dubito che vogliano solo dei
soldi. Se
hanno degli uomini che sanno fare il loro lavoro, possono procurarseli
benissimo da soli.»
Daehyun
guardò il suo leader, senza dare segni di cedimento. Yongguk
aspettò per qualche secondo, cercando una qualche reazione,
ma quando vide che
non ve ne sarebbe stata alcuna, riprese a parlare. «Sono
quasi del tutto sicuro
che vogliono ucciderci tutti comunque. Per questo voglio evitare di
attaccarli
nel loro nascondiglio: da quanto ho visto stamattina, dubito che possa
essere
solo un gruppetto di dieci persone ad aver preso Youngjae. Non
è così ingenuo
da farsi prendere tanto facilmente. E non vorrei vedere nessuno di voi
essere
ferito… o peggio.» A quell’ultimo
commento, la sua voce si era abbassata di
qualche tono. Tutti quanti stavano trattenendo il fiato a quella
spaventosa
realtà. Ne avevano già le tasche piene.
«Quindi,
aspettiamo che ci dicano cosa fare. Quando li incontreremo,
sicuramente eviteranno di portare l’intera banda appresso.
Dubito siano tanto
stupidi. Per ora, lascia che credano di averci in pugno, e che Youngjae
se la
cavi da solo per questi giorni, dato che non penso lo uccideranno prima
che
diamo i soldi che vogliono. Ti prometto che ne usciremo tutti
vivi.»
Alle
parole di Yongguk, Daehyun esitò qualche momento, mordendosi
il
labbro inferiore, e sospirò in segno di sconfitta. Ognuno
degli altri membri tirò
un sospiro di sollievo. Lo guardarono lasciarsi cadere pesantemente per
terra,
poggiando le braccia sulle ginocchia e strofinandosi il viso con le
mani. Il
suo gemito frustrato fu smorzato dai palmi.
«D’accordo,
avete vinto,» borbottò poco dopo. «Cosa
si fa?»
A
quel punto, Yongguk si alzò dal divano, seguito da Jongup.
L’espressione prima pensosa era ora scomparsa. «Tu
e Himchan provate a vedere
se riuscite a scoprire con chi abbiamo a che fare. Trovate
più informazioni che
potete su di loro: chi è il loro capo, le loro
attività, i rapporti con altri
gruppi e simili. Solitamente, siete bravi, in cose del
genere.» Daehyun si era
rialzato in piedi aiutato da Himchan, ed entrambi fecero un cenno di
assenso,
seppure il primo tentennasse ancora un po’. Yongguk si
voltò verso Jongup.
«Anche tu Jongup, se ti va, altrimenti pensa a riposarti. Ad
ogni modo, state
all’erta tutti e tre. Non sappiamo cosa abbiano intenzione di
fare ancora.»
Dopodiché,
spostò gli occhi sul maknae. «Io e Junhong
facciamo un
salto in farmacia per trovare qualcosa per Jongup. Lasciatelo dire,
Himchan: la
tua cassetta per il primo soccorso fa davvero schifo.» A
quelle parole,
l’interpellato roteò gli occhi, e
preferì affrettare il suo compagno di ricerca
a cominciare a svolgere il loro compito.
Yongguk
si rivolse di nuovo a Jongup. «Tutto bene con la
ferita?»
gli chiese con una punta di preoccupazione nel tono. Il più
giovane si toccò la
fasciatura, annuendo. «Vorrei semplicemente averti dato
ascolto, questa mattina,
quando mi hai chiesto di Youngjae hyung,» ammise, un
po’ nervoso. «E poi mi
sono fatto anche colpire da quel tizio. Avrei dovuto far più
attenzione.
Dovremmo tutti pensare a salvare Youngjae hyung, e invece sto causando
ancora
più problemi. Mi dispiace.»
Jongup
era all’oscuro di quello che stava passando nella mente di
Yongguk. «Volevo… volevo solo dirti questo, tutto
qui,» concluse grattandosi la
nuca, incerto su cosa gli avrebbe detto il leader. Tuttavia, non fu
esattamente
sorpreso di vederlo sollevare un lato della bocca e lanciargli un mezzo
sorriso. Forse aveva pensato di nascosto che, conoscendo il carattere
di
Yongguk, probabilmente avrebbe reagito in questo modo.
«Non
importa,» replicò effettivamente
l’altro, «non scusarti. Ci
conosciamo da anni, Jongup, siamo come una famiglia. In una famiglia
non ci
sono colpe, per questioni del genere. Piuttosto, pensi di riuscire ad
unirti a
noi in questa operazione?»
«Non
credo di poter star fermo in queste circostanze, hyung,»
rispose lui, annuendo alla vista di Junhong che, furtivamente, gli
lanciò un
ghigno. La tensione di prima, in qualche modo, si allentò un
poco. «Lo sai
meglio di me.»
Yongguk
fece un cenno, mentre il sorriso si fece più largo. Diede
una pacca sulla spalla di Jongup. «Fantastico,
perché non credo che potremmo
cavarcela senza il nostro miglior giocatore. Andiamo a riprenderci
nostro
fratello.»
N/A: è da tantissimo che non
pubblico fanfictions, ed è anche la
prima volta che ne pubblico una su persone veramente esistenti. AIUTO.
Ho
visto
pochissime (leggasi: letteralmente due, di cui non trovo
più una sobs to the
eternity) storie sull’MV di One Shot che erano solamente e
completamente e
genuinamente OT6, ma erano davvero corte sob why nessuno scrive su OT6
aaahh.
Ergo, ho deciso di scriverne una io. AIUTO DI NUOVO.
Giuro
che è una
delle migliori storie che ho scritto fino ad ora. Ed è anche
quella la quale ho
fatto più ricerche; credetemi quando vi dico che ci sto
lavorando sin da inizio
giugno. Ed è anche piena di riferimenti ai B.A.P! (il titolo
stesso è uno di
questi ohohohoho.) È solo che ho un sacco di feels per
questi sei dorks
aaaghhhh. One Shot ha il miglior MV di tutto il pianeta. Spero che il
loro
prossimo comeback sarà altrettanto epico sigh CAN U FEEL ME
Aggiornerò
presto! Si spera che il mio punto di vista sull’MV vi sia
gradito.
Rainie
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Capitolo 2 *** pt.2: lachesism ***
[ part 2: lachesism
]
playlist: i remember – bang yongguk
ft. yang yoseob; the
monster – eminem ft. rihanna.
Quando i B.A.P
erano in
azione, era conosciuto a tutti come Zelo; prima di essere Zelo, il suo
nome era
Choi Junhong, e aveva diciotto anni.
Se si avesse
chiesto a
Junhong cosa ne pensasse di Zelo, avrebbe risposto che, francamente,
non lo
sapeva.
Essere
“Zelo” era diventato,
con gli anni, un’abitudine sin da quando aveva memoria. Del
Choi Junhong di
prima di essere stato preso sotto l’ala protettiva dei B.A.P
rimaneva poco o
niente, e gli unici ricordi che preservava lucidamente (e serenamente)
erano
quelli collezionati assieme ai suoi hyung.
In parte,
Junhong stesso
aveva accettato di esserlo, di passare ore su ore ad abituarsi al peso
delle
sue pistole e al rinculo dei suoi spari, e di chiudersi nel loro
nascondiglio
ad affinare le sue tecniche e tenere il suo corpo ben allenato. Sapeva
bene che
avrebbe dovuto semplicemente stringere i denti e continuare in questo
modo, senza
sosta, perché non ci sarebbe stato altro modo per
sopravvivere.
E sapeva anche
che questo era
un principio che aveva accettato Yongguk, così come Himchan,
Daehyun, Youngjae,
e Jongup. Erano stati destinati ad un mondo che correva troppo
velocemente e
cadeva troppo crudelmente ai loro piedi. E, probabilmente, erano ancora
in
attesa di qualche miracolo che li tirasse fuori da quel buco.
Forse, da questo
punto di
vista, i B.A.P ispiravano solamente pietà. Era questa
l’immagine che Junhong
aveva scelto, quando imparò ad essere Zelo.
Il
loro obiettivo camminava a venti metri di distanza
dall’edificio
su cui Youngjae si trovava. La pioggia di una decina di minuti prima
aveva
battuto, ininterrotta, sul cemento del terrazzo e sui suoi indumenti, e
lui non
era esattamente un grande amante dei vestiti fradici.
L’auricolare
nel suo orecchio, una gentile concessione da parte di
una certa conoscenza – ovviamente, non senza niente in cambio
– trasmetteva con
chiarezza la conversazione fra l’uomo che stavano tenendo
d’occhio e Daehyun.
Questi stava blaterando su chissà cosa, con tono da gran
imprenditore, e
Youngjae ancora non riusciva a credere quanto Daehyun potesse essere
convincente (Youngjae ricordava che una volta Jongup, obbligato da
Himchan,
aveva tentato di fargli offrire un pranzo al resto dei membri, ma a
causa della
parlantina di Daehyun, finì a pagare lui stesso il pasto.
Himchan se la rise di
gran gusto e Jongup riuscì ad ottenere una piccola vendetta
qualche giorno
dopo, ma questa è un’altra storia).
Youngjae
distolse lo sguardo dalla coppia per un momento. Ad
un’altra cinquantina di metri da lui, sebbene piovigginasse
lievemente ancora,
riusciva a vedere la figura di Jongup in posizione su un palazzo poco
più basso
del suo. Il crepuscolo in lontananza, nascosta da nubi dorate, colorava
il suo
profilo e i suoi dintorni di arancio, e anche da lontano Youngjae
riusciva ad
immaginarsi la sua espressione concentrata mentre guardava nel mirino
del suo
fucile.
Spostando
gli occhi verso terra, poteva distinguere il viso di Zelo
mentre attendeva gli ordini, immobile, con la schiena premuta contro la
parete.
Himchan si trovava più vicino al porto, nascosto dietro ad
una portata di travi
di ferro, in ginocchio. Dalla sua posizione, Youngjae non riusciva a
scorgere
Yongguk, ma sapeva che si trovava da qualche parte pericolosamente
vicino al
mega yacht, che era la destinazione del loro uomo e del suo seguito:
due uomini
in giacca e cravatta perfettamente stirati ed una decina di guardie
della
sicurezza. Decidendo che non poteva permettersi di dilungare ancora
quella
minuscola distrazione, ritornò al proprio ruolo.
Era
un’operazione relativamente semplice. Il loro cliente si era
presentato un paio di settimane prima all’officina, chiedendo
loro di
“occuparsi di una certa persona, e se avessero fatto un buon
lavoro, li avrebbe
aspettati una gran bella ricompensa”. Non aveva menzionato il
fatto che quella
persona, essendo un pezzo grosso, non poteva girare senza una scorta,
ma poco
importava: di certo, un paio di guardie del corpo non sarebbe stato un
gran
problema.
Mentre
Daehyun era coinvolto attivamente per tutta l’operazione,
Himchan, Zelo e Yongguk sarebbero entrati in scena solo successivamente
con le
loro armi pronte, al segnale di Youngjae. Quest’ultimo,
insieme a Jongup,
avevano il ruolo di tiratori, che avrebbero sparato in silenzio da
lunghe
distanze.
Il
discorso di Daehyun venne interrotto quando Jongup parlò
nell’auricolare che tutti i membri (ad eccezione di Daehyun
stesso) portavano.
«L’obiettivo si sta avvicinando,»
informò i compagni, «il tempo stimato per il
suo arrivo a destinazione è tra quaranta secondi ed un
minuto. Il numero delle
presenze effettive è di quattordici, tra cui
l’obiettivo, dieci addetti alla
sicurezza, due esterni e Daehyun hyung.» Youngjae
confermò il rapporto.
«Qual
è la loro posizione?» suonò la voce
rauca di Yongguk.
«Circa
ottanta metri a ore due da Himchan hyung; novanta metri a ore
cinque da Zelo,» rispose Youngjae. Jongup aggiunse,
«Circa settanta metri a ore
cinque da Yongguk hyung. Ti consiglio di spostarti vicino a quella fila
di
casse di fronte, dove c’è il camion per il
trasporto delle merci».
Qualche
secondo dopo, la figura di Yongguk apparve nel campo visivo
di Youngjae, e percorse poco meno di una decina di metri a passi
svelti, fino a
sparire nuovamente dietro al luogo che gli era stato indicato. Una
volta
posizionatosi, Yongguk parlò di nuovo nei loro auricolari:
«Mantenetevi tutti
pronti. Jongup e Youngjae?»
«In
posizione,» risposero entrambi.
«Bene.
Mi fido dei vostri colpi; fate in modo di non farvi scoprire
e non abbassate mai la guardia. Noialtri cercheremo di non farci
uccidere – a
quelle parole, si sentì la bassa risata di Himchan
– mentre voi ci coprirete le
spalle. Okay?»
Youngjae
sentì un minuscolo sorriso farsi strada sulle sue labbra.
Uno ad uno, tutti i membri risposero con un «Roger»
all’ultimo avvertimento del
loro leader, e immediatamente il silenzio ritornò ad
avvolgere ognuno dei
B.A.P. La conversazione fra il loro uomo e Daehyun fu interrotta, dal
momento
che non era più importante ai fini dell’operazione.
Fedele
alle predizioni di Jongup, il gruppo su cui tutti avevano
puntato la loro attenzione si presentò nel porto pochi
secondi dopo. Da
lontano, la loro discussione assomigliava fortunatamente solo ad un
sussurro
trasportato dal vento, cosicché Youngjae poté
concentrarsi esclusivamente sul
suo compito. Puntò il mirino sulla guardia più in
prossimità al loro obiettivo,
come gli era stato istruito in precedenza, ed attese qualche attimo in
silenzio.
Quando
Daehyun porse la mano al suo interlocutore per salutarlo con
una amichevole stretta, Youngjae premette il grilletto.
«Ho
buone e cattive notizie,»
annunciò Himchan quando, un paio di giorni dopo, Yongguk gli
chiese come
stessero andando le ricerche.
Il leader,
tornato in
officina dopo essere stato fuori a svolgere un paio di commissioni
(Junhong e
Daehyun continuavano a lamentarsi per il fatto che nel frigorifero di
Himchan
non c’era l’ombra di una bibita fresca), lo aveva
trovato al telefono, mentre
il resto dei membri era seduto ad ascoltare silenziosamente. Aveva
domandato
loro con chi stesse parlando, e Daehyun rispose che, qualche giorno fa,
Himchan
aveva chiesto a qualcuno di recuperargli un paio di informazioni, e che
ora ne
stava discutendo con lui.
«Era
JB,» disse Himchan,
mentre ritornava a lavorare su un’auto che gli avevano
portato in officina il
giorno precedente. «Visto che conosceva Youngjae, gli ho
chiesto se lo avesse
visto nell’ultima settimana, ma mi ha risposto di
no.»
Yongguk
assottigliò gli
occhi. «Gli hai detto che è stato
rapito?» chiese, alzando un sopracciglio.
Himchan scosse la testa.
«Nah,
gli ho raccontato che è
andato a farsi una bella vacanza alle Bahamas e non ci ha nemmeno detto
quando
sarebbe ritornato in città, e che pensavo che lui avesse
potuto saperlo. Giusto
per vedere se avesse idea con chi stiamo avendo a che fare.
«Comunque,
qualche giorno fa
gli avevo detto di chiamarmi quando avrebbe potuto, e quindi oggi
l’ha fatto. Volevo
chiedergli come stessero andando di recente i loro affari e se ci fosse
qualcuno particolarmente interessato a noi.»
Una volta che
ebbe ripulito
il suo interno, richiuse il cofano e salì sul posto del
guidatore della
macchina. «Gli ho detto che ci interessava sapere se ci fosse
qualche gruppo a
cui dobbiamo fare attenzione o che ci stava rubando lavori, cose del
genere, per
farci un’idea.»
Quando
girò la chiave e
l’auto emise un basso rombo, segno che era tutto andato alla
perfezione e che
ora era nuovamente funzionale, Himchan sorrise soddisfatto. Spense il
motore e
scese dalla macchina, facendoci poi un giro intorno per vedere se ci
fosse
qualcosa fuori posto sulla carrozzeria.
Junhong si fece
impaziente.
«Quindi, cosa hai scoperto?»
Himchan fece una
smorfia,
quando si appoggiò sulla portiera del passeggero in una posa
che, secondo lui,
lo avrebbe fatto apparire attraente. «Mi ci è
voluto un po’ per fargli sputare
il rospo, ma comunque niente di troppo preciso. Ha menzionato un paio
di
gruppi, come le SNSD, i Beast, e altri, ma non capisco
perché loro due
potrebbero avere problemi con noi. Ad ogni modo, ho buttato
giù la lista; non
si sa mai.»
Detto questo,
allungò la mano
nella tasca della sua uniforme scura e ne tirò fuori un
pezzo di carta, che
Daehyun prese e aprì, con gli altri tre membri che
sbirciavano dal suo fianco.
Himchan continuò: «JB non mi ha detto in dettaglio
che affari hanno fatto con
loro, quindi non saprei dire quali siano i loro piani in questi giorni.
Dovremmo cavarcela da soli, questa volta.»
Yongguk
contemplò per qualche
secondo i nomi sul foglio, poi guardò Daehyun e Himchan.
«E l’altra volta, voi
due avete scoperto qualcosa?»
Daehyun
schioccò la lingua.
«Non molto. Non c’era tanto su cui lavorare, con
solo una chiavetta. Abbiamo
rivisto il video – nel raccontarlo, fece una faccia
disgustata – e della stanza
non c’era alcunché da dire. Sembra che sia un
seminterrato, ma non sappiamo se
appartenga ad un edificio in funzione oppure ad uno abbandonato, e qui
ce ne
sono fin troppi, figuriamoci fuori città. Non siamo riusciti
nemmeno a
riconoscere quelli che hanno picchiato Youngjae.»
«Abbiamo
cercato di fare una
rassegna delle gang che conoscevamo,» continuò
Himchan, guardando prima tutti i
membri, poi Yongguk. «Quando erano venuti qui in officina,
avevi detto che
erano in circa quattro, giusto? Quindi, dobbiamo aspettarci una gruppo
abbastanza largo, salvo il caso in cui abbiano pagato delle bande
mercenarie
per fare questo lavoretto.»
«Quindi
dovremmo
semplicemente escludere quelli che lavorano da soli?» chiese
Junhong,
strizzando gli occhi pensoso.
Daehyun fece un
cenno. «Solo
per ora. Magari hanno deciso di non sporcarsi le mani per questa
piccola
sorpresa,» rispose a denti stretti. «E, comunque,
potremmo sempre sbagliarci.
Magari non li abbiamo mai incontrati, né abbiamo sentito
parlare di loro.»
Quindi,
contemplarono i nomi
dei cinque gruppi che JB aveva riferito a loro. Sapevano che le SNSD
preferivano non avere contatti con altre gang, se non con organizzatori
di
mercati neri quali i GOT7, diventato di recente uno più
popolari della cerchia,
e di cui JB, infatti, era il leader. Conoscevano inoltre i volti di
tutti i
membri degli MBLAQ, che di solito lavoravano anch’essi in
solitario, e non
corrispondevano a nessuno di quelli dei loro ricattatori. Scartarono
momentaneamente i due.
I rimanenti
erano i Beast, i
By-S, e i COB.ra. Oltre a questi, Himchan e Daehyun ne suggerirono
degli altri
che avrebbero potuto essere considerati. Alcuni erano piuttosto
conosciuti;
altri, dei nomi che avevano sentito solamente negli ultimi tempi. I due
raccontarono ai compagni come erano arrivati a sospettare di loro,
passando da
una concorrenza recente ad un affare andato male più antico.
Dissero che
avrebbero voluto scoprire di più sui suddetti gruppi tramite
le intelligence
clandestine, ma le informazioni costavano, e loro non potevano
permettersi di
pagare troppo per qualcosa di cui non erano del tutto sicuri, senza
contare il
fatto che quelli erano solo una piccola parte di una larga cerchia di
criminalità organizzata. Così ne avevano cavato
veramente poco.
Il pomeriggio
passò in un
tentativo di riorganizzare le idee. Si decise che, per poter racimolare
il
denaro di cui avevano bisogno, avrebbero dovuto sottrarli ad un ricco
imprenditore o, più semplicemente, ad una banca. Non era il
loro solito stile,
ma quello era il metodo più rapido a cui riuscirono a
pensare.
Quando scese la
sera, erano
tutti ormai troppo stanchi per continuare a discutere ancora. Jongup si
offrì
di telefonare per ordinare della pizza per cena, e gli altri quattro
gliene
furono grati. Tra una fetta e l’altra, Junhong
suggerì che sarebbe stato meglio
se per il momento non facessero niente, poiché avrebbero
sprecato solo energie.
Forse sarebbero riusciti a trovare un’altra soluzione
più accessibile (per
quanto il tempo e il loro modo di agire potessero permetterlo). Il suo
commento
fu accolto con cenni di assenso.
Yongguk
osservò i visi dei
suoi membri, uno più stanco dell’altro.
Nel pomeriggio
aveva visto la
frustrazione di Himchan crescere ad ogni parola. Lo aveva capito da
come aveva
strizzato gli occhi più del solito, dal modo in cui aveva
stretto le labbra ed
afferrato i bordi del tavolo fino ad avere le nocche pallide. Sapeva
che Himchan
non riusciva a sopportarlo. Ricordava che un giorno gli aveva confidato
che
quasi gli sembrava di non avere alcun ruolo nel gruppo, che avrebbe
voluto fare
di più, eppure aveva sempre la sensazione di non essere
abbastanza. Yongguk gli
aveva ripetuto che senza di lui, i B.A.P non sarebbero stati tali,
voleva che
lo capisse, ma era sicuro che Himchan non si era mai scrollato di dosso
quel
pensiero.
Guardò
poi Daehyun. Il
ragazzo possedeva un’aura carismatica, e inoltre la
pubertà gli aveva dato un
aspetto particolarmente affascinante: non aveva esattamente la faccia
di uno
disposto a scendere così in basso da far parte di una banda
di strada. Pensò a
come facilmente, nonostante ciò, si era inserito nel
commercio clandestino, a
quella volta in cui gli avevano sparato alla spalla, alle volte in cui
fu stato
lui a premere il grilletto contro
un’altra persona, e “hyung,
c’è questo tizio che ti sta cercando”,
“hyung, non
ti preoccupare, non fa più tanto male”,
“hyung, mi sarebbe piaciuto fare il
cantante”. Rispetto alla prima volta che lo aveva incontrato,
ora sembrava
essere invecchiato di cinquant’anni.
Infine,
posò lo sguardo su
Jongup e Junhong. Il cuore gli si strinse ancora di più nel
petto, perché loro
erano troppo giovani; Junhong stava ancora crescendo in altezza, e
l’espressione serena che Jongup portava il più
delle volte gli ricordava che il
resto del mondo non era tanto crudele, e che potrebbe aspettare
entrambi, se
solo decidessero di guardarlo da un altro punto di vista. Diciotto e
diciannove
anni erano veramente pochi, tanto da fargli venire la pelle
d’oca al solo
pensiero. Yongguk ci era passato, lo sapeva, e non avrebbe davvero
voluto che altri
si sentissero tanto miserabili quanto si era sentito lui.
Avrebbe voluto
portare tutti
via da quella malsana vita – Himchan avrebbe smesso di
preoccuparsi di non
essere all’altezza, Daehyun avrebbe potuto inseguire il suo
sogno, e Jongup e
Junhong avrebbero avuto più scelte nella vita. Forse ne
avrebbe parlato con
loro, una volta che si sarebbero ripresi Youngjae. Forse avrebbero
persino
accettato quella sua proposta.
Yongguk
sperò, in cuor suo,
che accadesse.
Una telefonata
arrivò qualche
giorno dopo. Himchan si tolse i guanti da lavoro, pulendosi il sudore
dalle
mani con uno straccio, e andò a rispondere.
«Officina
Kim, buongiorno.
Posso aiutarla in qualcosa?» chiese in tono professionale.
«Hai
controllato la posta? Ti
consiglio di farlo ora,» gli risposero con poco calore.
Himchan si
sentì come se
fosse entrato in una doccia fredda, tuttavia non perse la sua
compostezza.
Sapeva chi era il suo interlocutore, e a cosa si stava riferendo.
Assottigliò
gli occhi senza
perdere il suo contegno (pensò che, se fosse stato Daehyun a
rispondere, lui
avrebbe sicuramente cominciato a sbraitare contro il telefono).
«E potrei avere
il piacere di sapere con chi sto parlando?» provò
a chiedere sarcasticamente,
ma dall’altra parte provenì semplicemente il suono
di una cornetta che veniva
appesa e della linea che si liberava. Himchan alzò un
sopracciglio, perplesso,
e controllò il registro delle chiamate recenti del telefono.
Purtroppo per lui,
chi aveva chiamato non era stato tanto sprovveduto da farlo con il suo
numero
in bella vista. Probabilmente, la chiamata era stata fatta da un
telefono
pubblico.
Senza perdere
altro tempo,
Himchan attraversò l’officina a grandi passi ed
uscì nell’aria piovosa di quel
giorno. Aprì l’umida cassetta della posta appesa
al muro, mentre Junhong e
Jongup, che fino a quel momento erano stati chiusi nel seminterrato ad
allenarsi, entrarono attraverso la porta che portava al suo posto di
lavoro.
«Che
succede?» chiese Junhong,
vedendo Himchan con in mano una custodia di plastica trasparente. Il
più
anziano guardò gli altri due con un’espressione di
chi ha vinto il jackpot, ma
che è rimasto inorridito dal premio. Voltò il
lato anteriore della custodia
dalla loro parte, mostrando loro un CD contenuto all’interno.
Ci vollero solo
pochi secondi perché i visi dei due impallidiscano,
realizzando cosa li
aspettava.
«Chiamate
Yongguk e Daehyun,»
istruì. «Sembra che si siano finalmente decisi di
farsi sentire.»
I membri si
riunirono una
decina di minuti più tardi, quando Himchan chiuse la
saracinesca della sua
officina per evitare che qualche cliente entrasse in un momento
inappropriato.
Il portatile era
stato di
nuovo posto sul tavolo nell’atrio, con il disco
già inserito dentro. Anche
questa volta si trattava di un video, e i cinque trattennero il loro
fiato
automaticamente, con lo sguardo incollato allo schermo, mentre Daehyun
schiacciava il tasto ‘play’.
Mentre nel video
precedente
la stanza era di piccole dimensioni, ora si trovavano in un locale
più ampio, forse
un sotterraneo, senza porte né finestre in vista, illuminato
solamente dalle
varie lampade che pendevano dal soffitto.
Un Youngjae
cosparso di
sangue pareva esserne nuovamente il protagonista. Era sdraiato per
terra su un
fianco, con il volto rivolto verso l’inquadratura e le mani
legate dietro la
schiena. Non era incosciente, e neppure sembrava essere nelle
condizioni di
riuscire a muoversi con disinvoltura.
A differenza del
primo video,
era accompagnato da persone differenti. Questa volta vi era un uomo con
gli
occhiali da sole di corporatura robusta che sembrava essere sui
trent’anni, in
piedi dietro di lui, e i B.A.P lo riconobbero come il leader. Altri tre
dei suoi
scagnozzi erano al suo fianco.
Quello che
seguì fu quasi una
ripetizione di quello che successe nel primo video. Youngjae venne
fatto
stendere supino con un calcio alla spalla, fu preso per la collottola e
scaraventato lontano dall’inquadratura, con un tonfo
agghiacciante. A
quell’azione, il ragazzo rispose con un mugolio straziato.
Uno dei tre
tirapiedi andò a
recuperarlo, trascinandolo di nuovo più vicino al gruppo, e
lo fece
inginocchiare sul duro cemento. Il suo corpo sarebbe caduto
pesantemente in
avanti, se non fosse stato tirato indietro, costringendolo a stare
dritto con
la testa abbassata. Lo fecero rimanere in quella posizione per qualche
momento.
Si riusciva a sentirlo ansimare con chiarezza nel tentativo di
riprendere il
fiato, tossendo un paio di volte. Poi ripresero ad assestargli colpi su
ogni
parte del corpo.
Per tutto quel
tempo che
seguì, Youngjae continuò a grugnire per le fitte
di dolore, facendosi scappare,
di tanto in tanto, bassi gemiti strozzati. Fu quello il suono che
riempì
l’officina, balzando contro le pareti ed echeggiando nelle
orecchie dei B.A.P,
i quali riuscivano solo a guardare con le labbra serrate, impotenti.
La goccia che
fece traboccare
il vaso fu quando il leader, che fino a quel momento era solo restato
ad
osservare, si avvicinò ad un Youngjae crollato per terra, si
inginocchiò a
fianco a lui e lo tirò su per un braccio. Gli
puntò alla tempia una pistola
tirata fuori pochi secondi prima. A quel gesto, panico
attraversò la mente dei
cinque.
Daehyun si
alzò di scatto
dalla poltrona con gli occhi sgranati, così come fece Jongup
al suo fianco,
pronto ad intervenire, sebbene fosse chiaramente impossibile. Junhong
aveva
ancora lo sguardo incollato al video con il labbro inferiore che
tremava, e
Himchan strinse i pugni così forte da sentirsi le unghie
affondare
dolorosamente nei palmi. Yongguk aveva il respiro smorzato, incapace di
reagire, sapendo che sarebbe stato inutile farlo in quel momento.
Digrignò i
denti e non staccò gli occhi dallo schermo, avendo paura
che, se si fosse perso
qualcosa, non si sarebbe potuto dare pace.
Quei pochi
secondi
agonizzanti passarono senza che il grilletto fosse premuto. Il leader
ghignò
alla telecamera, abbassando la pistola e lasciando andare il braccio di
Youngjae, che si accasciò per terra come se fosse privo di
vita. Il suo torace
si alzava ed abbassava in corti respiri, e la tensione che si era
formata poco
prima tra i B.A.P si allentò a quella vista, sebbene con
fatica.
L’uomo
si degnò finalmente di
parlare. «Salve, B.A.P,» salutò con
leggerezza, alzandosi in piedi. «Avete
visto? Ci siamo impegnati veramente tanto per prepararvi tutto questo,
dovreste
esserci grati.
«Quindi,
ci aspettiamo che ci
paghiate con tutti quei bei soldini che vi abbiamo chiesto; altrimenti,
lui
crepa.» Mise un piede sul petto di Youngjae per dar enfasi
alla sua richiesta.
«Fra
dieci giorni fate in
modo di procurarvi il denaro. Fatevi trovare alla stazione vicino al
porto, il
28 maggio alle 11 di sera precise. Se non ci sarete, considerate
saltato il
nostro accordo, e state sicuri che la prossima volta che lo vedrete, il
vostro
amichetto avrà una pallottola piantata nel
cervello.»
Detto
ciò, pestò con ancora
più forza il corpo di Youngjae, che emise un sibilo
soffocato. Un brivido
attraversò la schiena di Yongguk. «Mi raccomando,
ci conto, eh! Fate un buon
lavoro,» concluse l’uomo, lanciando alla telecamera
un sorriso.
Il video
terminò.
Come la prima
volta, i B.A.P
restarono alcuni secondi in silenzio, tentando cogliere tutto quello a
cui
avevano appena assistito. Erano più sollevati nel sapere che
il loro amico era
ancora vivo, ma non era esattamente rincuorante essere ricordati che
era ancora
alla mercé dell’altra banda.
«Figli
di puttana,» sibilò
finalmente Daehyun a denti stretti. Il resto dei membri non
commentò, essendo
tutti d’accordo con lui. «Ci vuole un bel fegato a
mandarci questa roba. Oh,
non sanno davvero con chi hanno a che fare.»
«Hey,
almeno questa volta
niente maschere nel video,» osservò puntualmente
Junhong, evitando che Daehyun
ripetesse la scenata di pochi giorni prima. «Potremo scoprire
chi sono questi
tipi.»
«Esatto,»
annuì Yongguk,
alzandosi dal divano per guardare tutti gli altri membri negli occhi.
Aveva
deciso che non era tempo di stare con le mani in mano, e prima agivano,
migliori potevano essere i risultati. «Dobbiamo sfruttare
questa occasione. Abbiamo
dieci giorni, e dobbiamo mettere a punto un piano d’azione
velocemente.»
I suoi compagni
si sorpresero
nel sentirlo parlare, dal momento che era restato in silenzio fino a
quel
momento, mostrando poche o persino nessuna reazione durante il video.
Tuttavia,
furono anche più rassicurati nel sapere che il loro leader
aveva deciso di
agire subito.
Himchan
ghignò alle parole
dell’amico, e gli diede una pacca sulla spalla. «Mi
piaci quando parli in
questo modo,» gli disse. Yongguk gli lanciò un
mezzo sorriso, sentendosi
lievemente orgoglioso. «Allora, cosa si fa con i
soldi?» chiese ancora Himchan.
«Avevamo
detto che avremmo
rapinato una banca, o sbaglio?» ricordò Jongup.
Al suo fianco,
Junhong alzò
le sopracciglia, sorpreso. «Sul serio lo faremo? Non ci
è mai capitato di
farlo. Oh, mi sto emozionando,» commentò
divertito, strofinando l’un l’altro i
palmi delle mani. Solitamente, era lui quello che non vedeva
l’ora di entrare
in azione.
Il leader si
voltò verso il
maknae, che ghignava impaziente al pensiero. «Non
esattamente, salterebbe
troppo all’occhio. Faremmo meglio a prendere di mira uno di
quei camion che
trasportano denaro da una parte della città
all’altra. Saremo più efficienti
senza tante persone intorno, e in questo modo difficilmente ci
scopriranno.»
«Beh,
se lo dice il leader,»
commentò Himchan, senza togliersi quello sguardo malizioso
di dosso. «Che il
camion sia.»
«Hey,
hey, non dimenticatevi
dell’altra banda,» disse Daehyun, «vi
state divertendo troppo.»
Yongguk
riconobbe che aveva ragione.
«Giusto. Dovremmo chiedere ai NU’EST di procurarci
un po’ di informazioni su di
loro. Solitamente Minhyun ci fa un buon prezzo.»
«Lo fa
solo perché ci sei tu
con noi, in realtà,» puntualizzò
Daehyun con un sogghigno. «Se gli diventi più
amico, scommetto che ci passerà tutto gratis. Non dovremo
nemmeno più preoccuparci
di contattare altri gruppi.» Questo fece scappare una bassa
risata al leader,
che scosse la testa, metà divertito e metà in
disaccordo. Sentì che anche
Himchan e Junhong erano favorevoli all’idea di Daehyun,
coinvolgendo
eventualmente anche Jongup. In pochi secondi, i quattro membri erano
già
intenzionati a convincere il loro leader a farsi amico Minhyun.
Yongguk
lanciò loro un mezzo
sorriso, sapendo di non avere altra scelta che seguirli.
«Un’altra volta,»
promise, ritornando poi ad un tono serio. «Ora pensiamo a
scoprire di più su
quelli che hanno Youngjae.»
«Chiamo
io i NU’EST,» disse
Daehyun. «Voi fareste meglio a cercare se in questi giorni
c’è uno di quei
veicoli che trasportano denaro.»
Himchan gli
sorrise sfacciatamente.
«No problem. Di quello me ne sarei occupato io, anche se non
ce lo avessi
detto.» Daehyun chiuse gli occhi e alzò le mani,
in segno di resa.
«Allora,
io contatto gli
EXO,» si offrì Jongup. «Ci serviranno
pistole e munizioni. Ho controllato prima
nel deposito, e ho visto che stanno finendo. E non credo che quelli se
ne
staranno lì senza avere alcuna arma addosso.»
«Aspetta,»
lo richiamò
Yongguk. «Non penso che in questo momento abbiamo abbastanza
denaro per tutta
quella roba, senza contare che dovremo pagare anche le informazioni di
Daehyun.»
Jongup
sbatté le palpebre un
paio di volte, chiedendosi come abbia fatto a dimenticarsi quel
dettaglio.
Avevano speso la maggior parte di quello che avevano nel loro ultimo
progetto.
«Quindi…»
«Cerca
di convincerli a
prendere solo un anticipo,» gli consigliò Daehyun,
anche lui sul punto di
avviarsi per fare la sua telefonata. «Non dicevi che
c’era quel tuo amico, tra
gli EXO? Chiedi a lui, se riesci. Altrimenti, dovremo aspettare dopo
che avremo
i soldi.»
«No,
non credo che possiamo
permettercelo. Solitamente, ci vuole del tempo prima riescano a
recuperarci le
armi e tutto il resto se hanno finito i loro rifornimenti,
ricordi?» rispose il
più giovane. L’espressione di Daehyun si
accigliò ancora di più.
«Riuscirò
a convincerlo di
venderceli con un anticipo,» li rassicurò Jongup,
con un mezzo sorriso, «non vi
preoccupate. Poi, stiamo trattando con loro sin da quando siamo in
giro.
Conosco i loro metodi.» Detto questo, sparì nella
stanza in cui Himchan teneva
dei pezzi di ricambio per i suoi veicoli.
Daehyun si
chiese se sarebbe
andata bene, dal momento che avevano poco tempo e fondi.
Sperò che quell’amico
di Jongup lasciasse loro una piccola concessione, per una volta. Poi si
ricordò
del suo compito. «Un attimo. Fatemi fare una foto ai tizi nel
video, così mi
metto d’accordo con Minhyun,» disse. Una volta che
Daehyun fece ciò, Himchan
propose di salire al secondo piano per iniziare la ricerca.
«Ah,
mi sento un po’ solo
senza Youngjae qui a dirmi cosa fare e cosa cercare,»
commentò casualmente
quando si sedette assieme a Yongguk e Junhong sul divano di pelle
rossa, posto
vicino al tavolo dove avevano sempre preparato tutte le loro
operazioni. «Mi
sono troppo abituato a quel ragazzino. Ma è un genio.
È davvero il cervello,
tra noi sei.»
Senza indugiare
ancora, Himchan
cominciò a battere le dita sulla tastiera e a raccontare di
aver sentito dire
che la Banca Centrale, ultimamente, stava trasferendo grandi
quantità di
capitali da una parte di città all’altra,
commentando su come fossero stati
fortunati ad aver ricevuto quel video in quei giorni. Sarebbero
probabilmente
riusciti ad ottenere i soldi necessari non solo per liberare Youngjae,
ma anche
per pagare le informazioni e le armi.
In poco
più di una ventina di
minuti, era riuscito a scoprire qual era la compagnia che si occupava
dei
trasferimenti. Per poter entrare nel database suo e della banca avrebbe
impiegato molto di più, disse, ma era fattibile in circa una
decina di ore.
Non era la prima
volta che lo
vedeva lavorare in quel modo, ma Junhong si sorprendeva ogniqualvolta
gli
capitava di vedere Himchan al computer. «Hyung,» lo
chiamò, quando sentì i
risultati della sua ricerca, «altro che Youngjae hyung. Sei
tu il genio, qui
dentro.»
Himchan
ghignò alle parole
del maknae. «Solo quando si tratta di macchine e di
recuperare informazioni di
questo genere.»
Yongguk non
riuscì a non
sorridere ai due. «Ti sei già dimenticato che
abbiamo tirato avanti tutti
questi anni anche senza Youngjae proprio grazie a te?» gli
disse, dandogli una
scherzosa pacca sulla spalla.
Himchan
assottigliò gli occhi
e storse il naso. «Ew, smettila di dire cose tanto sdolcinate
e strappalacrime,
c’è gente che sta lavorando seriamente,
qui!» esclamò disgustato, ritornando al
suo portatile e perdendosi la vista di Yongguk roteare gli occhi.
Il leader
restò a guardare
Junhong osservare Himchan che batteva al computer quasi senza sosta.
Dal piano
inferiore, sentiva Daehyun telefonare ai NU’EST, mentre
Jongup faceva lo stesso
in qualche altra stanza. Quel momento gli parve tanto ordinario che gli
sembrò
così semplice immaginare che Himchan stava solamente
mostrando a Junhong
qualcosa che aveva trovato in rete, che Daehyun stava chiamando la sua
fidanzata, che Jongup era uscito con qualche suo amico e che Youngjae
si era
preso una vacanza in qualche paese esotico.
Ma la
realtà era diversa. La
realtà era che erano dei fuorilegge, dei ricercati dalle
forze dell’ordine, dei
criminali. La realtà era che Himchan stava penetrando
illegalmente nella banca
dati di due compagnie, con Junhong emozionato nel vederlo fare
ciò. Che Daehyun
stava aprendo delle trattative per recuperare informazioni su un gruppo
nemico.
Che Jongup si stava occupando di recuperare delle armi da fuoco per i
loro
sporchi piani. Che Youngjae poteva morire da un momento
all’altro.
Yongguk non
diede mai voce ai
suoi pensieri. Fuori dalla finestra, le gocce di pioggia nascondevano e
lavavano via quelle conversazioni pericolose.
Due giorni dopo,
in tarda
notte, quando il sonno era sceso sugli occhi di tutti gli abitanti
della città,
i B.A.P avevano deciso di cominciare a pianificare
l’operazione.
Si riunirono al
secondo piano
dell’officina Kim, che aveva tutte le luci spente, salvo per
quel paio che illuminavano
le cinque figure vestite di scuro. Erano in piedi attorno ad una
scrivania, che
una volta era stata un tavolo da biliardo. Sulla superficie ora priva
del
velluto era stata stesa una grande mappa della città, con
dei modellini di auto
che correvano sul foglio e delle altre cartine che mostravano
più in dettaglio
alcune strade. Alcune fotografie erano sparse sulla carta, ad indicarne
i
luoghi più rilevanti. Dei documenti erano organizzanti in
ordinate cartelle,
appoggiate su una sedia. Un computer era acceso su una cassettiera
vicina,
pronto ad essere utilizzato.
Accovacciato
sulla solida
sporgenza del tavolo, Zelo sorrise malizioso a quella vista mentre si
sistemava
il cappellino, impaziente di iniziare. Passandogli vicino, Jongup si
sistemò
sul lato lungo della scrivania, dando le spalle ai ritratti appesi in
file
ordinate e alle mappe attaccate sulla parete. Vicino vi era Daehyun,
che
appoggiò le mani sul bordo del tavolo, senza riuscire a
trattenere il suo
ghigno di divertimento. Al suo fianco, Himchan era in piedi sul lato
opposto a
Zelo, dando occhiate alla mappa a braccia incrociate, in contemplazione.
Al centro del
tavolo, tra
Jongup e Daehyun, Yongguk batté le mani per attirare su di
sé l’attenzione di
tutti quanti. «Siamo pronti ad iniziare?» chiese ai
suoi membri, guardandoli
uno ad uno negli occhi. «Non ci è permesso
sbagliare, questa volta. Un solo
errore e Youngjae è andato.»
Ognuno di loro
annuì,
incidendo le parole del loro leader nella mente. Yongguk mantenne il
suo
sguardo su di loro un altro paio di secondi.
«Bene,» disse infine, una volta
assicuratosi che i quattro avevano ben chiaro la nozione.
«Himchan, a te
l’onere di cominciare.»
N/A:
giusto un chiarimento, sto utilizzando la loro età coreana,
quindi la storia è
ambientata nel 2013. So che ‘One Shot’ è
uscito a febbraio, ma i loro outfit
nel video cambiavano da tipo magliette smanicate e pantaloncini a
cappotti con
pelliccia (Yongguk, sto guardando te), e quindi mi sono detta: al
diavolo.
Ahah. Spero comunque di essere riuscita a descrivere le situazioni in
modo
verosimile sob
Non avevo idea
di cosa
mettere come terza canzone della playlist, quindi ho lasciato stare.
È l’unica
parte che ha solo due canzoni lmao chiedo scusa. E, per la cronaca,
questa
storia ha 4 parti. Ho finito di scrivere l’ultima giusto
ieri, alle 2 di notte
ahahahah /shot
A proposito, l’imitazione di Yongguk fatta da Minhyun è la cosa migliore del mondo, giuro. Andatevela a sentire. Sempre parlando dei gruppi citati in questa parte, sapevate che nei GOT7 c’è un membro chiamato Youngjae che è un super cutie? E sapevate che JB e Youngjae (B.A.P) sono amici irl? Infine, provate ad indovinare chi potrebbe essere l’amico di Jongup tra gli EXO. Un indizio, li ho fatti legare con una scusa davvero stupida lmao
Fa freddo, qui.
Sembra di
essere in inverno, ho persino addosso una giacca e i miei piedi sono
gelati. Piango
forever.
Non ho molto da
dire,
sinceramente. Quindi, vi ringrazio per aver cominciato a leggere questa
storia, e ci
vediamo settimana prossima!
Rainie
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Capitolo 3 *** pt.3: badmen ***
[ part 3: badmen
]
playlist: one shot – b.a.p.; kill
bill – brown
eyed girls; monster – paramore.
«Allora,
ora state bene ad
ascoltarmi, ragazzini,» iniziò Himchan,
strofinandosi le mani. «Nei prossimi
giorni, avremo due occasioni ottime per procurarci i soldi. Il 23,
quindi fra
tre giorni, un camion partirà dalla Banca Centrale alle ore
20. Trasporterà più
di venti milioni in contanti. Il secondo è un pesce
più piccolo, e partirà il
25 alle 23, sempre da quella banca. Porterà circa quindici
milioni.
«Le
due destinazioni sono
diverse. È difficile predire che percorso faranno, anche se
probabilmente
prenderanno le strade principali, dove sappiamo che sono installate
molte
telecamere di sicurezza. Non abbiamo idea di quando arriveranno a
destinazione,
quindi consiglio di attaccarli quando staranno per partire, quello
è il momento
più sicuro.
«Gli
scambi, solitamente,
avvengono all’ingresso di servizio, qui.» Con un
dito, indicò una foto che
ritraeva un viale deserto, scattata da Zelo qualche giorno prima quando
era
andato in perlustrazione con Yongguk. «I veicoli della CTK,
la compagnia che si
occupa del trasporto, sosteranno su questa strada, proprio davanti
all’entrata.
Ci saranno solo due persone che si occuperanno del trasferimento
entrambe le
volte. Sono guardie della sicurezza, quindi dovremo fare attenzione a
loro. E,
tra l’altro, lì attorno pullula di guardie
notturne.»
«E
di telecamere,» gli
ricordò Zelo. «E poi, nella foto non sembra
così, ma la strada è più o meno
larga. Possono passarci giusto due macchine.»
Himchan
assottigliò gli occhi
e piegò la testa lievemente di lato, incuriosito.
«Larga quanto?»
«Circa
cinque metri,» rispose
Yongguk, «ma troppo stretta perché due furgoni
possano passarci
contemporaneamente, contando che c’è anche un
po’ di marciapiede.»
Himchan
annuì varie volte,
pensoso. «Quindi, mi stai dicendo che…?»
«Quanto
avevi detto che sono
larghi i veicoli della CTK?»
«Uh.
Due metri.»
Yongguk
fissò la mappa e le
fotografie. Per un po’ non disse niente, mentre gli altri
membri aspettavano
che parlasse. Poi sembrò decidersi, e continuò a
dire in tono grave: «Quindi, quando
siamo andati a perlustrare, a me e a Zelo era venuta un’idea,
ma non sappiamo
se è fattibile in pochi giorni.»
«Vorrà
dire che dovremo
costringerci a renderla tale, allora,» commentò
Daehyun con un mezzo ghigno,
guardandolo negli occhi. Tutti gli altri membri furono
d’accordo con lui.
Il leader fece
un breve cenno
di assenso. «Bene, allora. Ascoltate. Visto che non sappiamo
che percorso
seguiranno, potremo almeno fermare il furgone prima che parta, come ha
detto
Himchan. Se riuscissimo a bloccarlo in quella strada –
picchiettò la foto un
paio di volte – avremo la possibilità di rapinarlo
e prendere tutti i soldi. A
piedi saremo svantaggiati. Quindi, sapete come faremo
ciò?»
«Bloccheremo
la via con delle
auto,» realizzò Jongup ad alta voce.
Zelo sorrise,
con uno
scintillio maligno negli occhi. «Bingo. E avremmo anche un
mezzo veloce con cui
scappare prima che ci prendano.»
In quel
piccolo spazio
offerto dall’officina, i cinque membri si scambiarono
occhiate e sorrisi
compiaciuti. La luce della lampada appesa sopra il tavolo
proiettò su di loro
un bagliore sinistro, facendoli assomigliare a delle reminiscenze di
diavoli
saliti sulla superficie terrestre.
«Però,»
li richiamò Yongguk,
smorzando quel loro piccolo momento di entusiasmo, «dobbiamo
tenere in
considerazione il nostro tempo e i materiali. Dato che è una
strada a doppio
senso e non è nemmeno un vicolo cieco, ci serviranno due
auto per poter
bloccare effettivamente le vie d’uscita.»
Daehyun colse
ciò che il
leader stava tentando di dire. «Ma non abbiamo abbastanza
fondi, giusto?»
«Precisamente.
E non possiamo
chiedere ancora agli EXO di lasciarci andare con un altro
anticipo.»
«Io
avevo pensato che
potremmo prendere l’auto di Himchan hyung, mentre uno noi
guiderà una moto, ma–»
«Ma
una moto non è grande
abbastanza perché riesca a bloccare completamente la
strada,» concluse Jongup.
Zelo
annuì, lievemente
scoraggiato. «Esattamente. In questo modo, avranno un bel
po’ di spazio su dove
guidare. Poi dovremmo anche occuparci di parcheggiarla decentemente, e
il
motore farebbe troppo rumore. Ci sentirebbero troppe persone ancora
prima di
arrivare, soprattutto le guardie notturne.»
«Ricapitolando,»
continuò
Daehyun dopo aver annuito alle parole di Zelo, «avremo
bisogno di un veicolo
grande, veloce, che possiamo lasciare in strada anche col motore
acceso, che
faccia il meno rumore possibile, e che riesca a sgommare via
rapidamente.»
Yongguk, a
quel punto, guardò
Himchan. «Se trovassimo una soluzione decente, ti occupi,
eventualmente, tu del
car tuning dell’auto?»
Quello
ghignò con
convinzione. «Per chi mi hai preso? Farò anche di
più. Mi sono appena ricordato
di un tipo che mi deve un favore, dopo che gli ho riparato una delle
sue auto
dopo la corsa del dicembre scorso. Mi farà un buon prezzo. E
poi quel
vecchiaccio maledetto ha un garage gigantesco pieno di auto,
figuriamoci se non
ne ha una per noi!»
Il leader gli
sorrise
fiducioso. Sapeva che Himchan avrebbe avuto una soluzione nelle
maniche: non
sarebbe stato il loro meccanico, altrimenti. «Se ci
procurassi un modello
simile a quello che hai al piano di sotto, sarebbe perfetto. Anche il
colore e
tutto il resto.»
«Una
monovolume, allora?
Roger.» Fecero battere i loro pugni in segno di accordo.
Himchan sospirò con
drammaticità, indossando un sorriso sulle labbra:
«Ah, non riesco ad immaginare
cosa fareste senza di me.»
«Ci
troveremmo un nuovo
meccanico,» rispose Daehyun in tono neutro. Lanciandogli
un’occhiataccia, Himchan
allungò la mano per sferrargli un pugno sulla spalla,
sibilando un «Smettila di
rovinare i miei momenti di gloria». L’altro lo
schivò con facilità.
Himchan, dopo
aver lanciato a
Daehyun un ultimo sguardo d’avvertimento, appoggiò
le mani sul bordo del
tavolo. «Comunque,» riprese, ritornando nuovamente
serio, «per recuperare
l’auto e completare il tuning ci vorrà un
po’ di tempo, anche se lavorassi giorno
e notte. Per cui, dovremo puntare al furgone che parte il 25.
È vero che c’è molto
meno denaro del primo, ma sarà comunque abbastanza per
finire di pagare sia la
merce degli EXO, che l’auto.» Una volta che furono
tutti d’accordo con la sua
proposta, si voltò verso il compagno vicino a Zelo.
«A proposito, Jongup? Cosa
ti ha detto quel tuo amico?»
L’altro
fece una minuscola
smorfia, mentre incrociava le braccia e abbassava lo sguardo sulle
fotografie
sparse sulla pianta della città. «Non mi ha
assicurato niente. Mi ha detto che potrebbero
procurarsi quello che gli ho chiesto, ma che deve prima parlarne con i
suoi
leader.»
Himchan si
illuminò a quelle
parole. «Oh, conosco Suho. Penso che lui
accetterà. Ma per quanto riguarda
l’altro… Uh.» Strizzò gli
occhi tentando di richiamare il suo nome.
«Kris,»
continuò per lui
Yongguk. «Già, penso che il problema sia lui,
principalmente. È qualcuno con
cui è difficile trattare.»
Daehyun fece
una smorfia. «Deve
avercela con noi,» aveva borbottato, ricordando tutte le
volte in cui si era
trovato faccia a faccia con l’altro leader – che
non erano poche. «Non ho mai
incontrato nessuno più inflessibile di lui, giuro!
È impossibile parlarci.» In
risposta, ricevette una pacca sulla spalla da Yongguk.
«Quindi,
niente armi
assicurate?» chiese Himchan a Jongup.
«Già,
niente armi assicurate.»
«Hey,
Daehyun hyung,» lo
chiamò Zelo dall’altro lato del tavolo,
«a te cos’hanno detto i NU’EST?»
L’espressione
di Daehyun si
rabbuiò sentendo quella domanda.
«Giusto,» disse, «non vi ho ancora
raccontato
nulla. Prendi quella busta bianca dietro di te e aprila. Dentro
c’è tutto
quello che sono riusciti a recuperarci.»
Il maknae
obbedì, allungando
il braccio fino alla pila di fascicoli alle sue spalle. Mentre tirava
fuori una
serie di carte, che variavano da profili (con le diverse voci spesso
senza
informazioni) a foto sfuocate e liste di parole scritte fitte, Daehyun
continuò
la sua spiegazione: «Sembra che JB avesse veramente ragione.
Sono i COB.ra che
ci stanno addosso, e che ora hanno Youngjae con loro.
«Sono
un gruppo che si è
formato più o meno sei anni fa, non si sa con esattezza, ma
per un paio di anni
sono stati i leader nel mercato degli organi. I loro membri arrivano
fino a
venticinque, se non di più, la loro età varia dai
diciannove ai trentacinque
anni.
«Il
capo si chiama Haejong.
Ha trentatre anni. Del suo passato non si sa molto, ma il suo profilo
criminale
include possesso di droga e armi da fuoco, e alcuni omicidi colposi,
oltre a numerosi
furti. Solitamente, però, preferisce lasciar fare il lavoro
sporco ai suoi
subordinati, e infatti molti di loro hanno un profilo anche peggiore
del suo.»
Per un
po’, nella stanza si
sentirono solo la voce di Daehyun e il fruscio dei fogli che venivano
passati
da membro a membro. Ognuno cercava di afferrare nella mente tutto
ciò che
poteva, tentando di trovare uno schema ricorrente dietro le azioni di
ogni
membro dei COB.ra, in modo tale da potersi preparare per quando li
avrebbero
affrontati. Ma, ovviamente, non era così semplice, con dati
tanto scarsi.
I COB.ra non
erano delle
persone qualsiasi, che non avevano idea di cosa andasse avanti nel
sottosuolo,
al sicuro nella familiarità delle loro abitazioni. Erano
bensì assassini,
rapinatori, trafficanti di droga, street fighters, truffatori.
Professionisti
del campo, che non si sarebbero fatti scrupoli di nessuno che tentasse
di
bloccare a loro la strada.
Si chiesero
come se la stesse
cavando Youngjae, se sarebbero riusciti a riaverlo con loro vivo e
vegeto la
settimana successiva. Perché, da quanto avevano visto dai
video, sembrava sul
punto di crollare, e quel pensiero era insopportabile per ognuno di
loro.
«La
gara dell’anno scorso,»
disse ad alta voce Jongup, leggendo un documento che riportava le
attività
(perlomeno quelle conosciute) a cui avevano preso parte i COB.ra,
«a quella non
avevamo partecipato anche noi?»
Zelo
allungò il collo per
dare un’occhiata al foglio: i COB.ra si erano piazzati al
secondo posto.
«Quella volta aveva vinto Himchan hyung,»
commentò, guardando dall’altra parte
del tavolo, verso il sopra menzionato uomo. Quello non
sembrò prestargli
attenzione, tanto era preso dal documento che aveva in mano.
Passò
qualche momento prima
che parlasse. «Questo tipo era nell’ultimo
video,» disse, e alzò il foglio in
modo che tutti potessero vedere il profilo di un ragazzo abbastanza
giovane. «Qui
dice che ha partecipato a quel torneo di street fight del settembre
scorso… Non
eravamo lì anche noi?»
Jongup, che ne
era stato il
partecipante effettivo, strizzò gli occhi al nome riportato
sul profilo.
«‘Sung’?» lesse. Per un paio di
secondi non disse niente, ma poi sembrò
illuminarsi. «Ricordo che è stato uno dei miei
avversari.»
«E?»
chiese Himchan, con un
sopracciglio alzato.
«Avevi
vinto, non è così?»
rispose Daehyun prontamente, e l’altro confermò
con un cenno, capendo cosa
stesse insinuando il suo hyung. «Da qualche parte deve
esserci anche scritto
che abbiamo partecipato alla stessa asta, l’anno
scorso,» continuò a dire. «E
immagino che ci siano anche altri fatti per cui adesso vogliono la
nostra
testa, ma non ce ne siamo mai accorti.»
Tutti
annuirono, non
sorprendendosi più di tanto di ciò che aveva
raccontato Daehyun. Nel corso
degli anni, erano coscienti di essersi fatti più nemici di
quanto
immaginassero. Avevano ricevuto minacce ed avvertimenti di tutti i
tipi, certe
volte dovettero persino scontrarsi di persona, ma non era niente che
non si
fosse potuto sistemare – seppur con la forza.
Tuttavia, mai
una volta era
capitato che uno di loro fosse stato sequestrato tanto facilmente, e in
solo un
paio di giorni. Sentivano fortemente il dovere di riportare il loro
amico
indietro, in modo tale che non si dovesse sentire ancora più
oppresso.
Junhong
contemplò il silenzio
con lo sguardo abbassato. Era il più giovane tra i membri,
forse anche il più
ingenuo e innocente (sempre se uccidere qualcuno a sangue freddo
può essere
considerata innocenza), e per questo credette di essere
l’unico che sperava che
tutto quello fosse solo un incubo, che si sarebbe presto svegliato ed
avrebbe
visto Youngjae incolume.
Ma quel
pensiero era
condiviso da tutti i suoi compagni, i quali, senza proferire alcuna
parola,
cercavano disperatamente una via d’uscita sicura, al riparo
dalle falci di una
Morte che sembrava stare costantemente col fiato sul loro collo.
Perché,
alla fine, a nessuno
piaceva quello stile di vita.
Fu Yongguk che
riprese in
mano le redini della situazione per primo. «Va
bene,» disse, ed alcuni dei
membri balzarono sul posto per la sorpresa, «a loro penseremo
dopo, quando
avremo un piano decente per procurarci i soldi.»
E in un
secondo, le loro
espressioni ritornarono quelle dei B.A.P, una banda criminale nota per
i loro
colpi portati a termine perfettamente, uno dei maggiori esponenti del
movimento
clandestino della città. I loro sguardi calcolatori
rimpiazzarono quelli
esitanti ed insicuri di poco prima mentre studiavano la mappa stesa sul
tavolo,
ascoltando le indicazioni che dava il loro leader e offrendo ognuno il
proprio
punto di vista.
Pianificarono
in ogni
dettaglio l’operazione, dalla posizione che avrebbero dovuto
assumere al
percorso che avrebbero seguito. Occhiate complici venivano scambiate
tra una
battuta e l’altra. Compiti individuali venivano distribuiti
tra i membri.
Implicita era la certezza del loro successo, perché i B.A.P
non sbagliavano
mai, perché erano i migliori, gli assoluti, i più
perfetti; non c’era posto per
l’esitazione.
Ruggivano
ostilmente contro
un mondo altrettanto ostile, e non si tiravano indietro alle sfide. Era
questo
che erano, e sarebbero riusciti a liberare Youngjae ad ogni costo.
«Allora,
come sta andando la tua ricerca?» gli chiese Yongguk,
sedendosi sul divano dell’officina, a fianco a lui. Youngjae
gli lanciò un
ghigno indecifrabile.
«Non
c’è male. Stare con voi mi sta aiutando molto.
È un po’ diverso
da come immaginavo che fosse, date tutte le voci che giravano sul
vostro
conto,» gli disse, guardandolo abbassare la testa e aprire le
labbra in un
mezzo sorriso, quasi imbarazzato. Avendo paura che fraintendesse,
Youngjae si
affrettò a spiegare. «Lo dico in modo positivo!
Non avrei pensato che poteste
essere così… normali. Tutti parlano di voi come
se foste dei demoni scesi in
terra.»
Questa volta,
Yongguk rise di gusto. «Lo immaginavo,»
commentò. Da
dietro di loro, Himchan, che era rimasto in ascolto mentre lavorava su
un’auto
che un loro cliente gli aveva portato (“Per
farla diventare un gioiellino speciale”),
disse ad alta voce: «Colpa della tua faccia spaventosa,
Bbang.» Yongguk decise
di ignorarlo, così Youngjae lo imitò, sentendosi
anche un po’ in colpa per
l’altro hyung. Himchan, dal canto suo, non diede loro molta
importanza.
«Non
siamo un gruppo numeroso,» disse Yongguk, sprofondando nel
confortevole divano, «e nemmeno siamo come la maggior parte
delle gang qui
intorno. Pensavo che il nostro comportamento da Robin Hood non ti
sarebbe
andato a genio.»
«No,»
rispose subito Youngjae. «No, va benissimo. Penso che sia
molto nobile.»
Nei mesi
precedenti, avendo partecipato alle operazioni dei B.A.P,
era spettata anche a lui la sua parte di ricompensa. Mentre la maggior
parte di
quello che avevano ricavato andava a certi affari che avvenivano nel
sottosuolo, lontani dagli occhi indiscreti dei cittadini onesti,
Youngjae fu
sorpreso nel scoprire che una piccola parte andava ad
un’associazione di
beneficenza. Non aveva mai incontrato, in quella cerchia illegale,
persone del
genere.
A quelle
parole, il leader, con lo sguardo basso, alzò i lati della
bocca in un sorriso – seppur poco convinto, sembrò
a Youngjae. «Grazie. È
passato molto tempo da quando mi hanno considerato
così.»
Passò
un silenzio teso. Youngjae ebbe la sensazione che Yongguk
volesse dire qualcos’altro, ma quest’ultimo non
proferì parola. Stava per
chiedergli se ci fosse qualcosa che lo stesse turbando, quando Himchan
parlò al
suo posto, con un tono che era appena udibile da dove erano seduti.
«Non
siamo nobili,» gli disse. «Siamo sporche, cattive
persone. Il
genere di ragazzi che proibiresti a tua figlia di frequentare. Anzi,
siamo
sicuramente peggiori di loro.»
Himchan poi si
scusò per doverli lasciare soli, dicendo di dover
andare a recuperare un po’ di materiali dal ripostiglio, e
sparì dietro la
porta. Yongguk e Youngjae furono lasciati nell’atrio
dell’officina Kim. Passò
qualche momento prima che il primo ricominciasse a parlare.
«Himchan ha
ragione. Siamo lontani dall’essere brave persone. Siamo
sporchi assassini e
trafficanti di droga e schifosi fuorilegge, tutti lo sanno.»
L’espressione
di Yongguk era più cupa di quanto Youngjae avesse mai
visto su di lui. Le mani giocherellavano l’una con
l’altra, e tutto del suo
corpo – dalle spalle basse al suo sguardo costantemente
incollato al pavimento
– sembrava voler negare tutto quello che, di fatto, era.
«Le nostre buone
azioni non compenseranno mai quello che stiamo facendo. Mi vergogno
persino di
guadagnare i soldi in questo modo, ma che ci possiamo fare? Nessuno di
noi cinque
ha avuto molte scelte.»
Finalmente
alzò gli occhi sul più giovane, combattendo
l’immensa
voglia di distogliere lo sguardo. «Ognuno ha qualcosa, una
storia, un motivo
che non vuole far sapere agli altri. Questo vale anche per tutti noi
B.A.P; non
credere che siamo solo demoni senza cuore,» gli
confidò. A Youngjae parve che,
in quel momento, il leader gli stesse praticamente porgendo la parte
più
vulnerabile, la sostanza attorno alla quale ruotava tutto il gruppo.
Cercò
di trovare le parole giuste, ma non gli venne in mente niente.
«E tu, hyung?» gli chiese semplicemente, sentendosi
sciocco e indiscreto nel
sentire la sua stessa voce. Tuttavia, anche se lo fosse stato per
davvero,
Yongguk non lo notò, e gli lanciò un triste
sorriso.
«Ho
un fratello,» gli rispose. «È in coma da
sei anni.»
Youngjae
ascoltò il leader raccontargli di ciò che lo
aveva portato
sino a lì – il padre, leader di un gruppo proprio
come lui; il suo gemello in
bilico tra la vita e la morte sin da quando capitò in una
sparatoria; il desiderio
di vendetta che da allora era cresciuto fino a seguire le stesse orme
del
padre; il modo in cui aveva accolto gli altri membri sotto la sua ala.
Sarebbe
sembrato sciocco da un punto di vista esterno, la sua decisione si
adattava
perfettamente alle circostanze. Youngjae accettò tutto
quello che gli fu
raccontato.
«Vedrai
che anche gli altri se la sentiranno di raccontarti di
loro,» gli disse poi, con una pacca sulla spalla,
«Siamo una famiglia, ora.»
In quel
momento, Himchan ritornò, e diede loro un’occhiata
sospettosa. Chiese a Yongguk se avesse detto qualcosa di strano sul suo
conto
al povero Youngjae, e lui rispose di no, con una risata.
Le parole di
Yongguk si avverarono presto. Nei successivi mesi, uno
ad uno, Youngjae ascoltò con pazienza (e anche un
po’ di curiosità) i membri
aprirsi a lui. Il giovane Junhong era scappato da una casa con una
storia di
violenza e abusi domestici. La ricca famiglia che aveva adottato
Daehyun non
gli mostrò mai il calore che si era aspettato, deludendolo
profondamente.
Himchan aveva guardato la madre prostituta negargli la parentela sin da
quando
aveva ricordi. Jongup aveva dovuto sopportare un padre criminale con
aspettative troppo alte.
Youngjae
imparò tutte le sfumature di quel gruppo, persino quelle
più subdole, e le accettò tutte quante senza
neanche un minimo di esitazione.
Pensò che era questo, ciò che rendeva i B.A.P
tali, perché la sincerità con cui
glielo avevano confidato era tanto ingenua e disarmante che sembravano
solamente dei ragazzi spaesati, e non criminali ricercati.
Quando Jongup
e Daehyun
scesero le scale e misero piede nel sotterraneo arido, gli EXO erano
già lì ad
attenderli. Non erano nella totalità del loro gruppo, ma i
B.A.P sapevano che
avrebbero fatto meglio a non fare passi falsi di fronte a loro.
I due
attraversarono la
banchina della stazione con lunghi passi. Da davanti a loro, un ragazzo
sorrise
affabile alla coppia. «Hey, Jongup,»
salutò, offrendo una mano che Jongup
strinse con confidenza.
«Kai.
Grazie per essere
venuto,» gli disse.
«No
problem. Più che altro,
mi ci hanno obbligato,» rise Kai, e Jongup lo
imitò. I due non erano
esattamente amici per la pelle (far parte di due gang diverse
significava non
fidarsi completamente l’uno dell’altro), ma si
conoscevano abbastanza da
considerarsi, perlomeno, più che comuni conoscenti.
Kai introdusse
i due hyung
che lo avevano accompagnato – Baekhyun, il più
basso tra i tre, e Luhan, che
indossava un’espressione neutra sul viso. Jongup fece lo
stesso, nonostante
Daehyun e Baekhyun non ne avessero bisogno, essendosi i due
già incontrati in
precedenza quando i due gruppi dovevano trattare.
Le due parti
si scambiarono
dei brevi cenni di riconoscimento. Daehyun non perse tempo ad andare
direttamente al sodo, volendo finire il tutto più
rapidamente possibile:
«Allora, avete preparato la roba?»
Fu Baekhyun a
rispondergli,
con un largo sorriso sulle labbra. «Tutta qua,» e
mostrò loro, con fare orgoglioso,
due casse di legno ai loro piedi. «Sono ancora fresche di
fabbrica, nuove di
zecca!»
Daehyun
lanciò un’occhiata
alle casse, e si accovacciò per esaminarle, impaziente.
Stava per sollevare di
coperchio di una, ma un piede premette sulla sua superficie quasi
istantaneamente, forzandolo giù. Il ragazzo alzò
lo sguardo e lo scontrò con
quello duro di Luhan, che lo guardava con sufficienza. «Non
ancora,» disse, e
allungò la mano verso Daehyun, indicando che prima avrebbe
dovuto pagarlo.
Daehyun si voltò allora verso Jongup, sapendo che per quella
volta avrebbe
dovuto lasciar fare a lui.
Kai
sospirò. «Senti, Jongup,»
cominciò a dire, «lo faccio solo perché
siamo amici, e perché i nostri due
gruppi sono in buoni rapporti. Ne ho parlato con i miei boss, e sono
riuscito a
convincerli a lasciarvi andare con solo un anticipo. Quanto avete,
ora?»
Jongup gli
porse una cassetta
che si era portato fino al luogo d’incontro. «Sono
diecimila.»
Kai diede una
veloce occhiata
ai mazzi di banconote impilati ordinatamente uno sopra
l’altro, e passò la
cassetta a Baekhyun e Luhan al suo fianco. I tre si scambiarono uno
sguardo
complice, un codice segreto che solo loro riuscivano a leggere.
Dopodiché, il
ragazzo si voltò nuovamente verso il suo amico.
«Va bene,» sospirò. «Solo,
assicuratevi di restituite il resto. Non ci piace aspettare,
okay?»
Dentro di
sé, Jongup si
rilassò a quelle parole. «Non ti preoccupare, fra
un paio di giorni vi
pagheremo tutto quello che vi dobbiamo.» Kai
accettò le sue parole con un cenno
del capo.
Daehyun ebbe
l’impressione
che Jongup avesse assunto un tono più cupo del solito, ma
non lo biasimò.
Invece, si voltò a guardare Luhan, che finalmente si decise
a togliere il suo
piede dal coperchio della cassa. Daehyun si affrettò a
scoprirne il contenuto.
All’interno
vi era una pila
di innumerevoli pistole. Le loro superfici riflettevano, in un lieve
scintillio, la debole luce della lampada sopra loro, che di tanto in
tanto si
spegneva a scatti. Ve ne erano di diversi tipi, la maggior parte erano
delle pistole
semiautomatiche (Glock 17, 19, 21; Beretta Serie 81, 8000, 92; le
centerfire
della Ruger), ma si potevano distinguere anche alcune pistole
mitragliatrici.
Daehyun ormai non si sorprendeva più della grande
quantità di armi da fuoco, ma
le sue mani fremettero automaticamente al pensiero di poterne impugnare
delle
nuove comunque.
Baekhyun
ghignò alla vista di
tutte quelle pistole. «Belle, vero? Penso che quelle appena
uscite dalle
fabbriche siano le migliori: intoccate e perfettamente funzionanti, e
sarai tu
l’unico a sapere come maneggiarle nel migliore dei
modi.»
Mentre Daehyun
fece un
sorriso di cortesia, Luhan invece roteò gli occhi alle sue
parole, preferendo picchiettare
l’altra cassa con la scarpa. «Qui dentro ci sono le
munizioni,» informò i loro
acquirenti.
In effetti,
quando Daehyun
sollevò il suo coperchio, fu accolto dalla vista di
proiettili di diverso
calibro, e a sua volta ogni calibro arrivava in diversi tipi. Da sole,
le
pallottole sembravano tanto innocue da poter essere scambiate per
giocattoli,
ma ognuno di loro, naturalmente, sapeva bene che una
quantità del genere
rappresentava una miniera. Non d’oro, come il loro colore
suggeriva, ma di
qualcosa di più macabro e sinistro.
Dalla prima
cassa, Jongup
raccolse una pistola – una Glock 19 – e la
esaminò alla luce della lampada.
Ogni linea era stata perfettamente studiata e disegnata, il profilo non
aveva
alcun difetto estetico, l’impugnatura dava una sensazione
diversa dalla sua
vecchia pistola, ma si adattava perfettamente alla sua mano destra. Con
la
sinistra, percorse la superficie liscia del carrello, e lo
tirò indietro.
Un secco
‘click’ risuonò
contro le pareti spoglie del sotterraneo.
Quel
pomeriggio, al
tramontare del sole, Yongguk si era seduto sul divano di pelle rossa al
secondo
piano del loro covo. Osservò per un momento il tavolo da
biliardo di fronte a
lui, che aveva ancora la pianta della città stesa sopra, e i
modellini di auto
erano rimasti nella posizione in cui li avevano lasciati giorni fa: due
automobili che intrappolavano un furgoncino sia dalla parte anteriore
che
posteriore.
Da Himchan
aveva sentito che
il tuning delle due monovolume era stato completato perfettamente, e
che quella
sera avrebbero potuto utilizzarle senza problemi. Yongguk lo aveva
ringraziato
per il lavoro, decidendo poi di prendersi un momento per sé.
In poche ore,
avrebbero
finalmente messo le mani sul denaro con cui avrebbero potuto liberare
Youngjae,
ponendo fine a quella storia una volta per tutte. Yongguk fremeva per
l’impazienza.
La sua memoria ripercorse i momenti in cui lo avevano mostrato
picchiato e
sanguinante, e si chiese come il suo membro se la stesse cavando nelle
mani del
nemico.
Youngjae si
era aggregato a
loro solo un anno e mezzo prima, tuttavia ciò non
significava che contasse meno
degli altri. Anzi, i membri non esitavano a fare affidamento su di lui.
Per
certi era un fratellino di cui prendersi cura, per altri un fratello
maggiore
da seguire. Sebbene all’inizio si sospettassero a vicenda,
rifiutando di porre
la minima fiducia in lui (era normale, date le circostanze sotto le
quali si
erano conosciuti e con il genere di passato che ognuno aveva), presto
nessuno
ebbe problemi a trattarlo come uno di loro.
Ripensandoci,
Youngjae aveva
fatto davvero molto per i B.A.P. Il suo acuto senso di osservazione gli
era
valso il titolo di “Cervello” del gruppo, e non
poche volte aveva aiutato gli
altri membri con i loro allenamenti. Era stato lui a suggerire degli
accorgimenti quando pianificavano le loro azioni, lui a dare consigli e
a
svelare piccoli trucchetti che aveva imparato dall’esperienza
lui stesso, e
sempre era lui quello disponibile per parlare (o, secondo Daehyun, che
riusciva
a sopportarlo).
Yongguk non
era mai stato il
tipo da essere interessato nell’esistenza di un Dio. Eppure,
guardando la
collana con il simbolo di una croce gotica che Youngjae gli aveva
regalato
tempo prima (“Ho pensato che ti si
addicesse”), sperò che, qualsiasi fosse
l’entità che stava governando su
loro, potesse aiutare lui e i B.A.P ad avere successo nella loro
operazione.
La notte
arrivò silenziosa,
strisciando come un’ombra sulla città che si
preparava per il giorno
successivo. Molte persone, tuttavia, ancora non erano pronte per il
sonno; in
particolare cinque ragazzi che, nell’oscurità,
erano usciti fuori da una certa
officina e ora erano solo in attesa dell’ora stabilita.
Quattro di
loro erano
distribuiti equamente in due auto dalla carrozzeria scura. Himchan era
alla
guida della prima, accompagnato da Jongup. Al volante della seconda vi
era
Daehyun, con a fianco Zelo. I due conducenti aspettavano pazientemente
che il
loro leader desse loro le istruzioni.
Sul terrazzo
di un edificio
vicino, Yongguk attese che i due addetti al trasporto uscissero dalla
porta di
servizio. Avrebbe voluto partecipare anche lui all’azione
effettiva, ma le
parole del maknae (“Non dovresti
venire
con noi. Se fossimo tutti catturati, cosa ne sarà di
Youngjae hyung?” aveva
detto) convinsero il resto dei membri a lasciarlo fuori.
Abbassò
lo sguardo
sull’orologio da taschino che aveva appeso al collo
– erano passati dieci
minuti dalle 23. In quel momento, i due uomini uscirono
dall’edificio, portando
con sé due grossi sacchi di stoffa scuri. A quella vista,
Yongguk parlò nella
sua ricetrasmittente, ed ordinò ai suoi compagni di tenersi
pronti e in
posizione.
Il leader
osservò la porta
del camion chiudersi in uno scatto, mentre la chiave veniva presa in
custodia
da uno dei due addetti. Quando questi salirono sul furgone, Yongguk
diede il
via ai suoi membri.
Le due auto
arrivarono in un
basso rombo appena il camion dei trasporti accese il suo motore. Gli
vennero
bloccati in pochi secondi la via anteriore e posteriore, e gli addetti,
non
capendo cosa stesse succedendo, scesero dal mezzo con occhiate
allarmate. I
B.A.P fecero lo stesso, con la loro identità nascosta da una
maschera alzata
sul viso. Da una parte, Jongup e Daehyun formavano un gruppo,
dall’altra
c’erano Himchan e Zelo.
Non persero
tempo. Mentre
Zelo distraeva e provocava l’uomo, Himchan scattò
subito in avanti, avvolgendo
un braccio attorno al suo collo con forza, strangolandolo in una presa
carotidea.
Daehyun,
invece, aveva scelto
una via più brutale per quanto riguardava il loro uomo,
tirandogli una
ginocchiata nell’addome e bloccandolo da dietro. Jongup
poté subito tirargli un
pugno da sotto il mento. Completamente stordito dal colpo,
l’addetto al
trasporto perse quasi subito conoscenza, e quando Daehyun lo
lasciò andare, il
suo corpo crollò per terra, immobile. I due cercarono la
chiave per il
lucchetto del camion che aveva menzionato Yongguk, ma non lo trovarono.
Capirono che era, allora, con l’altro uomo.
Dall’altro
lato del furgone,
con Himchan che non aveva intenzione di lasciare la presa sul collo
dell’addetto,
Zelo cercò frettolosamente la chiave, mentre lui si dimenava
energicamente. La
trovò appesa alla cintura, e con fatica riuscì a
districarla. Jongup, a quel
punto, chiamò da dietro Zelo il suo nome, e questi gliela
lanciò prontamente.
Una volta
presa, Jongup si
affrettò a sbloccare la porta blindata del camion. In un
attimo, l’anta si
spalancò in un suono sordo e rivelò le due sacche
scure piene di denaro.
Daehyun e Jongup si scambiarono un’ultima, veloce occhiata
d’intesa e, senza
altra esitazione, ne afferrarono una ognuno. Daehyun corse subito verso
la loro
auto, sostata posteriormente al furgone dei trasporti. Jongup, invece,
passò
rapidamente la sua sacca a Zelo.
Le loro strade
si divisero
nuovamente, in modo da poter essere difficilmente seguiti: Daehyun e
Jongup
sgommarono via per primi, portando la loro parte di bottino con
sé; Zelo
sfrecciò subito verso la monovolume di Himchan, che dovette
aspettare che la
sua vittima perdesse effettivamente i sensi prima di lasciarlo andare.
Poi,
anche loro si affrettarono a lasciare il viale, prima che la sicurezza
arrivasse.
Avendo visto
la scena
svolgersi davanti a lui in poco più di un minuto, Yongguk
non perse tempo ad
allontanarsi dal luogo incriminato, verso i suoi compagni che lo
aspettavano al
punto d’incontro prestabilito.
Quando le
guardie della banca
arrivarono, dei B.A.P era rimasto solo il segno dei pneumatici
sull’asfalto. Si
erano dileguati così come erano arrivati, in un soffio di
vento, come sempre
avevano fatto.
A/N:
sapevate che il corpo di un essere umano, se venduto in tutti i suoi
componenti
(vale a dire non solo organi, muscoli, scheletro, eccetera, ma anche i
componenti
chimici), in totalità varrebbe più di quaranta
milioni di dollari aka più o
meno trentacinque milioni di euro? Potreste comprarvi più di
duemila auto con
tutti questi soldi. Per cui, quando vi sentirete inutili, ricordatevi
di questo,
perché voi valete. (cit.)
Per tutto il
tempo che ho
scritto questa terza parte, ho continuato a ripetermi: “Giuro
che non sono una
criminale,” mentre facevo ricerche su pistole, mercati neri,
attività illegali,
il motivo per cui le persone diventano dei criminali e via dicendo. A
proposito, le pistole che avevano i B.A.P nell’MV erano
proprio delle Glock, ma
non so che modello.
Il
“tuning” delle auto è
praticamente il “truccare” le auto in GTA. Si
tratta di modificare le auto in
modo tale che possano andare più veloci, o avere meno
attrito sull’asfalto,
qualsiasi cosa che possa migliorare (o peggiorare, è la stessa cosa) le loro prestazioni. Avete visto
cosa fa
Himchan nell’MV, no? Quello. E poi, quando parlavo di
gare/corse clandestine,
mi riferivo alle corse tra macchine, che naturalmente sono illegali.
Venti milioni
di dollari sono
tantissimi, e dubito fortemente che venga trasportato tanto denaro in
un solo colpo.
Ergo, vorrei scusarmi per l’incorrettezza.
Ho deciso che
Kai e Jongup
potevano essere amici solo perché sono le due dancing
machines lmao. Ero indecisa
tra Lay e Kai, ma poi mi sono ricordata che Kai è coreano e
ha solo un anno in
più di Jongup, quindi ho scelto lui. Trivia: Suho e Himchan
sono amici anche
nella realtà! E io ho un gran debole per B.A.PEXO sob.
Il prossimo
capitolo sarà l’ultimo!
Non sono sicura di volerlo pubblicare interamente o in due parti
diverse, dal
momento che è molto più lungo di un capitolo
normale e ha flashbacks a go go
lmao.
Rainie
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Capitolo 4 *** pt.4: shadows ***
[
part 4: shadows ]
playlist:
back – infinite; come back home (unplugged vrs.) –
2ne1; haru haru – big bang
La notizia di
tanto denaro
rubato finì, naturalmente, su tutti i quotidiani e
telegiornali. Di un colpo
tanto grosso non si era sentito parlare da anni, tant’era che
in città sembrava
non ci fosse un posto che non fosse stato monopolizzato da discussioni
sul
fatto appena accaduto. La Banca Centrale era in subbuglio, la polizia
non
riusciva a trovare tracce che li portassero ai colpevoli, e i cittadini
non
facevano altro che criticare l’incompetenza delle
autorità.
Tutto
ciò non toccava
minimamente quello che era all’interno
dell’officina Kim, che in quei giorni
era rimasta chiusa “a causa di circostanze
straordinarie”. Nel seminterrato, il
frusciare delle banconote chiudeva quella piccola stanza al mondo di
fuori, il
quale sembrava non riguardasse per niente i B.A.P. Due ventiquattrore
di pelle
nera vennero riempite abbondantemente con dieci milioni, poi lasciate
sul
tavolino spoglio. La luce del sole mattutino filtrava in
quell’abitacolo
isolato, illuminando con un bagliore la polvere che volteggiava
nell’aria
secca.
I cinque
membri erano
sparpagliati nella stanza, per quanto il piccolo spazio libero poteva
permetterlo. «Con questi,» disse Daehyun,
richiudendo le valigette, «potremo
salvare Youngjae. Il resto lo useremo per finire di pagare tutto quello
che
dovevamo agli altri.» Dopodiché si
appoggiò sul muro dietro di lui, scivolando
per terra come se non avesse più forza rimasta in corpo.
Rimasero tutti
con lo sguardo
fisso sulle valigette, in silenzio.
L’espressione
sul viso di
Yongguk era dura, più dura di quanto Himchan avesse mai
visto. Gli appoggiò una
mano sulla spalla e, guardandolo negli occhi, gli disse:
«Vedrai che andrà
tutto bene. Non abbiamo mai fallito, e Youngjae ritornerà
sano e salvo, okay?»
L’altro
gli rispose con un
cenno del capo, ma non disse una parola.
La
verità era che Yongguk non
riusciva davvero a rassicurarsi abbastanza. Avendo trascinato tutti i
membri in
quell’operazione, non aveva la minima idea di come
l’avrebbero presa se si
fosse saputo che, in verità, Youngjae era stato fatto fuori
da tempo. Gli
sembrava come se fosse ritornato a tanti anni prima, a quando il
fratello era
caduto in coma–
Il pensiero
gli faceva venire
il voltastomaco, e dovette deglutire numerose volte per mandare
giù i conati di
vomito che stavano salendo nella sua gola.
Pensò
che, molto
probabilmente, nella sua vita precedente aveva fatto cose davvero
crudeli. Ora
le stava ripetendo perché, con una personalità
come la sua, per essere sicuri
di aver toccato veramente il fondo doveva per forza andarci a sbattere
contro.
Adesso aveva
imparato la
lezione, ma c’era un dettaglio che se ne restava
nell’angolo più remoto della
sua psiche, e certe volte non lo faceva dormire la notte. Quel
dettaglio lo
aveva scaraventato sul fondo con forza, e gli faceva desiderare di non
aver mai
saputo quanto potesse far male.
L’aveva
capito tempo
addietro, quando Himchan gli disse che si sentiva inutile nel gruppo,
quando
insegnò al giovane Junhong – Junhong,
così dannatamente innocente e impaurito prima di incontrarlo
– come vincere
effettivamente una lotta a mani nude, quando vide Jongup far pratica
con la
pistola e centrare tutti i bersagli, quando Daehyun gli
confidò il suo sogno, e
quando Youngjae venne rapito, quando
Youngjae venne rapito…
«Sapete,»
disse, richiamando
l’attenzione dei suoi membri, «stavo pensando che,
dopo che avremmo liberato
Youngjae… penso che dovremmo prenderci una pausa.»
I B.A.P
sbatterono le
palpebre, confusi dalle parole del leader, non riuscendo a capire la
ragione
per cui avesse detto ciò. Yongguk si affrettò a
continuare il discorso.
«Andiamo via da qui, cambiamo città, giriamo il
mondo, facciamo qualcosa che–
qualcosa di diverso. Tutto questo è stancante, vero? Quindi
non facciamolo.
Facciamo finta di essere delle persone come tante che hanno una vita
normale.»
Yongguk era
una persona che
non sapeva parlare bene dei suoi pensieri. Ogni cosa che aveva detto
fino ad
adesso non esprimeva nemmeno la metà di quello che avrebbe
voluto veramente
dire; gli risultava difficile e stancante, ma lui avrebbe davvero
voluto che
gli altri sapessero.
Avrebbe voluto
dir loro che
probabilmente era stato un cattivo leader, uno pessimo, probabilmente
il
peggiore che fosse mai esistito. Avrebbe voluto scusarsi per aver
tentato di
raccogliere ciò che era rimasto delle loro vite prima di
essere B.A.P, per
averli trascinati con lui sul fondo, perché loro, a
differenza sua, non
dovevano redimersi da una vita passata.
I B.A.P non
era la loro unica
possibilità, Yongguk ne era sicuro: ci aveva riflettuto un
sacco di volte,
nonostante non ne aveva mai fatto parola. Pensava di averli tolti da un
futuro
incerto, ma non aveva fatto niente per proteggere gli altri dalla cruda
verità
che veniva sbattuta loro in faccia ogni singolo giorno –
nessuno aveva detto
che starebbe stato tanto difficile. I suoi membri lo odiavano? Certo
che lo
odiavano; anche lui si sarebbe odiato, se fosse stato al loro posto.
Invece, i
quattro al suo
fianco lo guardavano con un’espressione apologetica, come se
volessero dire “Ci
dispiace, avremmo dovuto fare di più, avremmo davvero voluto
renderti le cose
più facili”, e lui avrebbe voluto gridar loro di
smetterla perché era lui
quello nel torto ed era lui che li aveva costretti ad una vita del
genere e
diamine come potevano non capire che aveva
solo rovinato la loro vita.
Ma non disse
niente di tutto
ciò. «Non vi sentite stanchi?»
sospirò solamente, sprofondando nella sedia e
guardandoli onestamente negli occhi.
Fu Junhong
– Yongguk ne
temeva l’opinione più di quello di chiunque altro
nella stanza, perché probabilmente
era la sua, la vita che aveva rovinato soprattutto – il primo
ad avere il coraggio
di parlare. «Una volta,» disse, «ricordo
che mia madre mi aveva detto che avrei
dovuto riconoscere quando una persona è brava o meno. E
conoscendoci da così
tanto tempo, posso dire che tu, hyung, lo sei.» Gli
lanciò un mezzo sorriso. «È
vero che le cose che facciamo sono lontane dall’essere buone,
ma tu sei davvero
una brava persona. E io non mi sento stanco, sul serio.»
«Sono
d’accordo con Junhong,»
si aggiunse Jongup. «Lasciatelo dire, hyung, sei tu quello
più stanco di tutti.
Ti preoccupi di troppe cose. Se vuoi che smettiamo di avere questa
vita, noi ti
seguiremo fino alla fine del mondo perché siamo noi quelli
che hanno deciso di
fare tutto questo.»
Lo sguardo
duro di Yongguk si
sciolse impercettibilmente. Era sopraffatto da come ciecamente i suoi
membri
riponevano la loro fiducia in lui. Sentì il cuore
restringersi di più nel
petto, quella sensazione fu tanto realistica che gli sembrò
che fosse successo
fisicamente per davvero.
La sua voce
era un grave
sussurro, mentre li guardava con scetticismo. «Come potete
dire così dopo tutto
quello che abbiamo passato come B.A.P? Non posso non esservi sembrato
una
persona orribile.»
Junhong
scrollò le spalle
lievemente, come se quella fosse la cosa più semplice del
mondo. «Istinto,» rispose
con semplicità.
«Più
precisamente,»
intervenne Daehyun, «proprio perché ne abbiamo
passate tante, ora possiamo dire
tutto questo.» Gli altri furono d’accordo con lui.
«E,
hyung, ricordati che
siamo stati noi a decidere di affidarci a te. Se tu sei orribile, lo
siamo
anche noi, non pensi?» disse Junhong.
Il leader li
stava guardando
ancora con incredulità quando Himchan parlò.
«Eh, hai sentito i bambini,»
disse, alzando una spalla. «Ti seguiremo anche se non vorrai,
fine della
storia. Quindi, dopo questa, i B.A.P saranno solamente un
ricordo.»
I B.A.P
saranno solamente un
ricordo.
Yongguk
guardò le valigette
nere posate sul tavolo. Non era del tutto sicuro che avrebbe
funzionato, ma
valeva la pena provarci. Sperò che Youngjae avrebbe
accettato di andare con
loro, sperò che non avrebbero sprecato
quell’occasione e che non avrebbe fatto
passi falsi. Per ora, la loro priorità era fare altre cose
cattive. Per ora,
non era bene guardare più in là, nei piani
futuri. Era troppo pericoloso.
Con lo sguardo
ancora cupo,
Yongguk si alzò dalla sedia ed uscì dalla stanza,
sotto lo sguardo irrequieto
dei suoi altri membri. Non era ancora del tutto sicuro di tutto quello.
La prima volta
che Yongguk vide Youngjae fu ad un torneo di street
fight che i B.A.P avevano organizzato, in collaborazione con le Secret.
Tra il
pubblico in trepidazione, eccitata per gli incontri, nella
speranza di vincere le scommesse fatte, Yongguk aveva visto Youngjae,
con la
schiena appoggiata alla parete ed il volto pallido illuminato
debolmente dalle
luci dell’arena di fronte a loro. «Sapete cosa
penso?» aveva chiesto a lui e a
Jongup, indossando un sorriso sbieco sulle labbra. «Uno di
loro sta prendendo
qualcosa.»
Volse il mento
verso uno dei due sfidanti che si stava preparando
per entrare nella gabbia. Yongguk guardò prima questi, poi
Youngjae, che gli
rivolse un’occhiata illeggibile. «Chiedere per
crederci,» aggiunse in tono
casuale.
Più
tardi, quando chiese a Himchan, che arbitrava gli scontri, di
fare qualche controllo, si scoprì che il ragazzo che lo
aveva messo in guardia
aveva ragione. Quando tuttavia lo cercò per ringraziarlo e,
magari, per
offrirgli da bere, lui non si trovava più da nessuna parte.
Jongup, che Yongguk
aveva incaricato di tenerlo d’occhio, disse che non sapeva
nemmeno quando se ne
fosse andato. Yongguk si dimenticò presto di lui.
La seconda
volta che Yongguk incontrò Youngjae fu
all’officina Kim
il mese successivo, un ventoso pomeriggio di ottobre.
Daehyun e
Yongguk, che si stavano occupando di alcune armi che si
erano procurati qualche giorno prima, stavano uscendo dal seminterrato
quando
lo videro nell’atrio dell’officina ad osservare i
suoi dintorni. Yongguk lo
guardò strizzando gli occhi, interrogativo, ma il ragazzo
gli rivolse di nuovo
quello sguardo misterioso e portò un dito alle labbra
incurvate in un sorriso,
indicandogli di non dire niente. Daehyun scoccò ai due
un’occhiata confusa
quando Himchan alzò gli occhi dalla moto che stava
controllando.
«È
solo qualcosina fuori posto, niente che non si possa
risolvere,»
disse al ragazzo con un sorriso. «La tua piccola
ritornerà come nuova in
mezz’ora. Puoi farti un giro qui attorno mentre aspetti, o
rimanere qua. Fai
come ti è più comodo.»
«Allora,
penso che rimarrò qua a guardare, se non ti
dispiace.»
Il meccanico
scrollò le spalle. «Come vuoi.» Poi, si
rivolse a
Yongguk. «Bbang, portagli qualcosa da bere.»
Presto Himchan
finì la manutenzione della moto di Youngjae, che se
ne andò dopo aver pagato, ringraziandolo per la
disponibilità. Daehyun chiese a
Yongguk se si conoscessero, e lui rispose di averlo incontrato al
torneo
organizzato con le Secret. Sia Himchan che Daehyun annuirono in
silenzio,
decidendo di tenerlo d’occhio nel caso si ripresentasse in
qualsiasi altra
occasione.
La terza volta
che Yongguk conobbe Youngjae fu un paio di settimane
dopo, in una sera di inizio novembre.
Un acquazzone
era sceso dal cielo, infradiciando l’asfalto e
rendendo l’aria più fredda di quanto lo fosse
già. I B.A.P stavano aspettando
Junhong, quando questi arrivò in officina zuppo
d’acqua nonostante avesse
aperto l’ombrello, trascinando con sé un Youngjae
incosciente.
«L’ho
trovato qui vicino, a terra,» si giustificò
Junhong, quando lo
fece stendere sul pavimento e tutti gli altri membri si raggrupparono
attorno a
loro. «Non sapevo cosa ci facesse lì, ma non mi
andava nemmeno di lasciarlo
sotto la pioggia.» Gli passarono un asciugamano e si
affrettarono a portare
Youngjae più all’interno, al riparo dal freddo.
Youngjae aveva
parecchi lividi su tutto il corpo, e il sangue
incrostato sul suo viso non era stato ancora lavato via dalla pioggia;
la sua
espressione era contratta in una lieve smorfia di dolore. Lo
trascinarono di
peso al secondo piano, e lo lasciarono, ancora zuppo d’acqua,
sul divano rosso
(«Se la pelle di rovina, ve ne faccio comprare uno
nuovo,» li minacciò
Himchan).
«Cosa
ne facciamo di lui?» chiese Daehyun in tono serio, dopo che
si
furono riuniti dall’altro lato del piano. Sperarono che
Youngjae non si fosse
svegliato e stesse origliando la loro conversazione, nonostante
stessero quasi
bisbigliando.
«Hyung,
non parlare di lui come se fosse un oggetto da buttare,» gli
rispose Jongup, aggrottando le sopracciglia.
L’altro
fece una smorfia poco convinta, assottigliando gli occhi.
«Ci conosce. Sa cosa facciamo. L’ultima cosa che
voglio è che spifferi tutto in
giro, se non l’ha già fatto.»
Himchan
annuì. «Sono d’accordo. Non avevamo
detto di doverlo tenere
bene sott’occhio?»
I membri
rimasero in silenzio per un po’, decidendo sul da farsi.
Poi Jongup suggerì: «Quando si sveglia,
interroghiamolo. Non vedo altra
soluzione, francamente.»
Daehyun
guardò Zelo, scoccandogli un’occhiataccia.
«Avresti
semplicemente dovuto lasciarlo per strada, Junhong,» gli
sibilò, «avremmo
potuto evitare tutto questo.»
Prima che
l’altro potesse ribattere, Yongguk lo precedette, evitando
un’eventuale discussione tra i due. «No, va bene
così. Sono anche curioso di
sapere come è finito così e come ha fatto
l’altra volta a sapere che uno dei
lottatori era dopato.»
Himchan gli
rivolse un’occhiata d’avvertimento.
«Potrebbe mentire.
Dobbiamo stare attenti a cosa gli chiediamo.»
«In
quel caso,» rispose Yongguk, «non avremmo altra
scelta che
credergli.»
«O
fargli pensare che gli crediamo,» corresse Jongup.
«Se ce lo
facciamo amico per un po’, potrebbe pensare che abbiamo
abbassato la guardia. E
se in quel caso avesse altre intenzioni in mente, lo faremo fuori. Cosa
ne
pensate?»
Daehyun
alzò la mano quasi immediatamente. «Io propongo di
farlo
fuori già adesso.»
«No,
non essere tanto drastico,» disse Yongguk.
«È una questione che
dobbiamo maneggiare con attenzione. Ucciderlo è troppo, ed
essere avventati non
è nel nostro stile.»
Lo sguardo di
Daehyun si rabbuiò ancora di più, ma non disse
nient’altro, sapendo che non avrebbe potuto discuterne ancora
con Yongguk. Gli
altri decisero che quello sarebbe stato il loro piano, nonostante
Himchan la
pensasse più o meno come Daehyun.
Passò
un po’ di tempo prima che Youngjae si svegliasse. I membri si
affrettarono a raggiungerlo appena quello si mise a sedere sul divano.
Li
scrutò uno ad uno in silenzio, senza la minima traccia
amichevole nel suo
sguardo. Poi un lato delle sue labbra si alzò con sarcasmo.
«Grazie per
l’accoglienza. Mi date ancora da bere?» chiese.
Quando vide che gli altri
cinque lo guardavano ancora dall’alto al basso, impassibili,
scrollò le spalle.
Una lieve smorfia di dolore passò sul suo viso quando fece
ciò.
«Il
tuo nome?» domandò Yongguk, continuando ad
osservarlo con
freddezza. Youngjae gli mostrò invece un sorriso enigmatico.
«Non
ho alcun motivo per rispondere,» rispose casualmente.
«Sei
da solo, mentre noi siamo in cinque. Credo che questo sia
davvero un buon motivo per dirci il tuo nome,» disse Daehyun.
Il ghigno di
Youngjae si fece ancora più largo, sebbene i suoi
muscoli facciali gli facessero un male atroce. Ignorò il
dolore. «In effetti,
mi chiedevo perché non l’abbiate ancora fatto. E
non facciamo finta, ora. Sapete
bene tanto quanto me che potrei bellamente andare a raccontare in giro
le
vostre meravigliose gesta.»
Ancora una
volta, non ricevette alcuna reazione da parte degli altri
cinque. Nonostante ciò, Youngjae continuò il suo
discorso in tono rilassato.
«Sappiate che, per ora, non ho alcuna intenzione di dirvi il
mio nome, né di
raccontarvi cosa faccio o perché adesso sono in questo
stato. Ma rilassatevi,
non ho niente contro di voi. Anzi, vi ringrazio per non avermi lasciato
a morire
sul ciglio della strada.»
Li
guardò negli occhi una seconda volta, mentre un silenzio li
avvolgeva. Youngjae si permise, allora, di essere più
confidente e sfacciato.
«Scommetto che non sapete che farvene di me, vero?»
chiese, con un leggero
divertimento nel tono. «Bene, perché ho una gran
bella proposta per voi che
risolverà questo problema.
«Lasciate
che lavori con voi per un po’ di tempo, fino a quando non
finirò di occuparmi di una piccola questione personale. In
cambio, vi dirò il
mio nome e la ragione per cui sono qui.»
I membri lo
guardarono con sospetto. Era vero che dovevano ancora
decidere sul da farsi, ma arrendersi a lui? Oh, quello era fuori
questione. Non
poteva semplicemente rigirare il piano che avevano deciso di mettere in
atto
tanto semplicemente.
«Cosa
ci guadagneremmo noi?» chiese Zelo, incrociando le braccia ed
alzando un sopracciglio.
Youngjae gli
sorrise, affabile. «Oh, non immaginate quanto. Vi
aiuterò in tutto quello che vorrete, sia qui in officina che
nei vostri
affari.» Alzò una mano e con l’indice si
picchiettò un paio di volte la tempia.
«Non sottovalutate questo cervello. Ho delle succulente
informazioni
immagazzinate dentro, e conosco i giusti modi per far affari. Vi
sarò d’aiuto
più di quanto pensiate. E credetemi, quando vi dico che non
ho alcuna ragione
per mentirvi: sono un codardo, e vorrei solo salvarmi la pelle, tutto
qui.»
Yongguk lo
guardò negli occhi. Sapeva che il resto dei suoi compagni
avrebbe semplicemente seguito quello che avrebbe deciso, anche nel caso
fossero
stati in disaccordo. Youngjae era tranquillo, ed aspettava
pazientemente la
loro risposta, ancora seduto sul divano. Yongguk rifletté
sulle sue parole,
dicendosi che il loro obiettivo era, comunque, farselo amico. E
pensò che
sarebbe stato interessante osservare i suoi movimenti da vicino.
«Bene,
ci sto,» gli rispose infine. Sentiva lo sguardo perplesso di
Daehyun su di sé, ma lo ignorò. Ne avrebbe
discusso con lui più tardi.
Youngjae
sembrò più che felice di sentirglielo dire, dal
gran
sorriso che gli lanciò. «Fantastico,»
disse con entusiasmo.
Himchan
assottigliò gli occhi alla sua reazione. «Frena un
attimo.
Sappi che se tenti di fare qualcosa, puoi dire addio al mondo.
Intesi?»
Youngjae gli
fece un cenno di assenso, alzando le mani. «Afferrato.
E, comunque, non ho davvero niente contro di voi, promesso.»
Successivamente,
allungò la mano verso Yongguk. «Allora, affare
fatto?»
Il leader
gliela afferrò. «Affare fatto. Ora, rispetta la
tua parte
del patto.»
L’altro,
divertito, emise una bassa risata. «Yoo Youngjae, al vostro
servizio.»
Himchan
accostò la macchina
al marciapiede e sostò, spegnendo poi il suo motore. La
notte era silenziosa
attorno a loro, e se avessero ascoltato attentamente, avrebbero sentito
i primi
grilli estivi cantare. A pochi metri dal veicolo, il mare era calmo.
Pochi
flutti ne increspavano la superficie, con le onde scroscianti che
battevano
contro il molo, mentre il cielo era costellato da invisibili stelle.
Tutto era
tranquillo.
I B.A.P
scesero dall’auto senza
dire una parola. Un’aria fresca inusuale li avvolse,
impregnato dell’odore
salato del mare a pochi passi da loro, tuttavia non erano lì
dove erano
diretti.
L’entrata
al passaggio
sotterraneo era sbarrata da un paio di nastri. I B.A.P sapevano che la
stazione
era dimenticata, ma non inutilizzata. I cinque membri scesero le scale,
entrando facilmente nella struttura buia in cui avevano messo piede
già
precedentemente. Tuttavia, mai si erano sentiti tanto coscienti di
ciò che
avrebbero fatto quanto questa unica volta.
Le poche luci
mal funzionanti
illuminavano debolmente la loro via. Sparse sul pavimento vi erano
casse di
legno, contenitori di vernice inutilizzata e spazzatura di ogni tipo,
da carte
logore a lattine di alluminio e bottiglie di vetro. L’odore
di cemento e stucco
circondava il tutto, facendo sembrare l’aria soffocante
nonostante facesse più
freddo che in superficie.
Dopo aver
percorso un paio di
metri, il gruppo si trovò di fronte ad una seconda rampa di
scale. Fu lì che un
po’ di esitazione si presentò. Yongguk, che
guidava il resto dei membri, si
voltò verso loro e li guardò uno ad uno. Le
lampade che penzolavano dal soffitto
proiettavano su di loro una brutta, pallida luce biancastra.
Notò con la coda
dell’occhio il tremore delle mani di Zelo, e si
sentì in colpa per pensare di
non essere l’unico nervoso (e forse terrorizzato) in quel
momento.
Si
trovò, per la prima volta
in tutti quegli anni che aveva guidato i B.A.P, senza sapere cosa dire
ai suoi
compagni prima di entrare in azione. «Pronti?»
chiese semplicemente, al quale
loro risposero con un cenno del capo, lo sguardo truce. Yongguk decise
di
lasciar stare, e si voltò nuovamente verso le scale.
Le scesero in
silenzio,
ignorando cosa li aspettava. Quando misero piede sulla piattaforma
della
fermata inutilizzata, i COB.ra erano già lì ad
aspettarli. Fermandosi di fronte
a loro, i B.A.P videro Youngjae in fondo al gruppo con il corpo piegato
in
avanti, ma il viso sofferente era alzato verso la loro direzione. La
luce
sporca della lampada faceva sembrare le sue ferite persino peggiori di
quanto
ricordassero dai filmati a loro mandati. I suoi occhi erano stanchi,
provati.
Yongguk soppresse a stento la voglia di strapparlo dalle mani dei loro
nemici.
Haejong era
davanti a Youngjae,
con un ghigno beffardo sulle sue labbra. I B.A.P non commentarono,
sebbene
tremassero impazienti all’idea di staccargli la testa e di
strappargli le
viscere dal corpo.
L’altro
leader era all’oscuro
dei loro pensieri, ma decise di non perdere altro tempo in inutili
scambi
visivi. «I soldi?» chiese, senza altri convenevoli.
Jongup, che teneva le due
valigette stipate di denaro, le passò a Yongguk senza dire
alcuna parola. Il
leader alzò le alzò per farle vedere bene
all’altro gruppo, lasciandole poi
cadere per terra. Le due ventiquattrore batterono sul cemento,
risuonando in un
sordo tonfo che echeggiò per le gallerie della stazione.
Haejong
istruì uno dei suoi tirapiedi
a recuperare il denaro. L’uomo si avvicinò
velocemente alle due valigie,
prendendone una e scoprendone il contenuto. Le banconote erano
riordinate in
delle perfette fila. Dopo aver ricevuto un altro cenno dal suo capo,
ritornò da
lui con il loro bottino stretto nelle mani.
«Hai
quello che vuoi ora,
lascia andare Youngjae,» ordinò in tono duro
Yongguk, sperando di finire al più
presto quello scambio. Si aspettava che Haejong gli lanciasse un altro
dei suoi
sorrisi maligni, domandando qualcos’altro da loro, come aveva
sempre pensato sarebbe
andata. Ma non successe.
«Certo,»
rispose invece,
prendendo Youngjae per la collottola della sua camicia sporca e
tirandolo verso
i suoi compagni, «tutto vostro.»
Yongguk sapeva
che avrebbe
dovuto continuare a stare all’erta, ma non riuscì
a sentire la tensione
lasciare il suo corpo. Sentì Daehyun tirare un sospiro
mozzato dietro di lui e
Zelo fare un minuscolo passo in avanti. Tutti i membri dei B.A.P
sentirono come
se fosse stato levato un gran peso dalle loro spalle.
Youngjae si
trascinava
barcollando verso i suoi compagni, con un sorriso sulle labbra spaccate
e
sanguinanti, e gli occhi tenuti a stento aperti. Yongguk e gli altri
membri
iniziarono ad avvicinarsi a lui, desiderando ardentemente di ritornare
finalmente
insieme, di proteggerlo dal male del mondo.
Poi un botto.
La maglietta di
Youngjae iniziò a colorarsi di rosso all’altezza
del suo torace.
I B.A.P
rimasero storditi per
qualche istante dal suono assordante. Guardarono prima Youngjae, poi
l’uomo
vicino a Haejong che aveva la pistola puntata verso di loro, poi di
nuovo
Youngjae, e di colpo misero i pezzi insieme.
Il boato
risuonava
crudelmente nelle loro orecchie – possibilmente, si fece
persino più forte –
mentre Youngjae li guardò uno ad uno negli occhi,
realizzando lentamente la
situazione, strozzandosi nel suo stesso sangue che ora stava risalendo
dai suoi
polmoni nella sua trachea, sgorgando fuori dalle sue labbra. Vide i
suoi
compagni immobili, con gli occhi sgranati, increduli; quella vista era
raccapricciante. Poi le sue gambe non riuscirono più a
sostenere il suo peso, e
crollò sul duro e freddo cemento. Non si mosse
più.
I B.A.P
rimasero impietriti
per alcuni secondi, presi dallo shock. I loro occhi erano incollati a
Youngjae
che era steso per terra, con una pozzanghera di sangue che cominciava a
fiorire
sul cemento. Successivamente, spostarono lo sguardo su i COB.ra di
fronte a
loro.
Poi
l’inferno scoppiò.
Yongguk fu il
primo a
muoversi. Allungò la mano nel suo cappotto, e dalla cintura
sfilò la sua
pistola. Con un grido strozzato, cominciò a premere il
grilletto verso il
gruppo nemico, riuscendo a colpire alcuni uomini, e Haejong sulla gamba.
Tuttavia, la
sua performance
non durò molto, dal momento che anche i suoi avversari
avevano preso le armi e
ora stavano sparando esclusivamente a lui. Con poche pallottole
affondate nel
corpo, si accasciò per terra con un grave grugnito,
lasciando andare la presa
sulla sua arma.
Mentre gli
altri membri erano
andati a ripararsi dietro le travi e le casse che si trovavano
fortunatamente
vicini a loro, Zelo si era bloccato alla vista del suo hyung crollare.
Disorientato ed improvvisamente impaurito, si affrettò al
fianco del leader
tentando di rialzarlo, tra i colpi frastornanti delle pistole e le urla
dei
suoi altri compagni – «Junhong, stupido, spostati
da lì!», «Via da lì,
Junhong!», «Ti farai uccidere, cazzo!»
– alle cui lui rispondeva con grida
tremanti – «No! Yongguk hyung– lui
è– non posso–».
Il secondo a
cadere fu
Daehyun. Ripresosi dalla situazione scioccante, sentiva la rabbia
ribollire nel
suo corpo, e si disse che a quel punto non avrebbe potuto
più perdere niente,
uscendo dal suo riparo. Impugnava due pistole mentre avanzava tra i
suoi
compagni senza esitazione, ululando per il male sentito al suo cuore
(era come
se glielo avessero squarciato in due parti). La sua mira in quel
momento non
era delle migliori; non riusciva a vedere al di là della sua
sete di vendetta,
ma riuscì ad uccidere qualche paio di uomini prima di essere
colpito da
innumerevoli pallottole nel petto. Il suo corpo scosse violentemente
prima di
afflosciarsi per terra, formando una piccola pozza di sangue.
Fu la volta di
Jongup. Zelo
ancora non intendeva muoversi dalla sua posizione, sebbene avesse
cominciato ad
imitare i suoi hyung con esitazione. Venne strappato via dal corpo
insanguinato
di Yongguk da Jongup, che mirava ancora con la sua solita
meticolosità ed
uccideva con colpi mortali, nonostante i suoi pensieri fossero gli
stessi di
quelli di Daehyun poco prima. Questo non lo seppe mai,era troppo
impegnato a
digrignare i denti e ad odiare con tutto sé stesso quei
bastardi che avevano
osato spezzare la sua famiglia. Poi uno sparo alla sua tempia ed uno al
suo
cuore, e tutto finì.
Con quattro
dei suoi compagni
più anziani ormai morti, Zelo non ebbe più tempo
di esitare. Non aveva idea di
cosa pensare, solo il ricordo lontano di Yongguk e Jongup
nell’angolo della sua
mente ripetergli “Puntare e sparare; facile,
giusto?” come un disco rotto. Era
un’azione automatica e meccanica, ripetuta già
infinite volte, eppure la
pistola si era fatta mille volte più pesante del solito.
Quando si sentì
l’addome ed un polmone bruciare, pensò che avrebbe
davvero voluto che i B.A.P
non finissero in quel modo.
La stazione
era diventata
incredibilmente più silenziosa. L’ultimo rimasto
fu Himchan, che uscì da dietro
le travi appoggiate al muro e puntò diligentemente la sua
pistola sui suoi
avversari, sparando i suoi ultimi colpi. Non era del tutto sicuro di
cosa
sarebbe rimasto di lui, se fosse davvero sopravvissuto senza i suoi
membri. Ma
non gli fu necessario pensarci. Un paio di spari dopo, sentì
la sua trachea
esplodere e subito dopo il suo cuore si contrasse, squarciati entrambi
da due
pallottole. Vomitò sangue quando il suo corpo
colpì terra, poi fu il buio.
Tutto rimase
immobile per
qualche secondo. L’odore della polvere da sparo
nell’aria si stava mischiando
lentamente con quello del sangue, che ora tingeva il cemento con
sinistre
figure color carminio. I corpi raggruppati in due diverse masse
giacevano a
terra, inermi.
Quando tutto
sembrò sicuro,
Haejong si alzò lentamente dal suolo. Si guardò
intorno per assicurarsi che
nessuno fosse ancora vivo, e allungò le mani verso le due
ventiquattrore piene
di denaro, da lungo abbandonate. Strisciando la gamba ferita, si
diresse con
fatica verso l’uscita.
Tuttavia,
Yongguk ancora non
voleva dargliela per vinta. Guardò il viso di Youngjae a
poche decine di
centimetri dal suo; i suoi occhi ancora aperti erano adesso vitrei, e
il suo
corpo era caduto in una posizione grottesca e scomoda, ma come potrebbe
un
morto saperlo? Come potrebbe un morto sapere di essere tale?
Yongguk non
aveva tempo per
pensarci. Con l’ultimo briciolo di forza che gli era rimasto,
prese la pistola
cadutagli pochi minuti prima. Il suo corpo indolenzito
protestò con forza per
il dolore allucinante quando si mise in ginocchio. Aveva il respiro
corto e gli
girava la testa; era esausto, avrebbe voluto semplicemente lasciar
stare, ma
aveva altre intenzioni. Mirò la canna della sua pistola come
meglio poté alla
testa di Haejong, che stava tentando di andarsene da lì, e
premette il
grilletto.
Il rinculo gli
sembrò
talmente forte che credette di essersi slogato una spalla, ma non
importava.
Ciò che importava era che Haejong, colpito al torace, era
crollato sul
pavimento. Yongguk ascoltò per qualche minuto i suoi gemiti
strozzati di
dolore, fino a quando il silenzio regnò nuovamente
– questa volta, niente si
mosse più. Preso dalle vertigini per aver perso troppo
sangue, il leader dei
B.A.P poté finalmente rilassarsi. Chiuse gli occhi.
Prima che le
forze
dell’ordine arrivassero sul luogo, passò
più di un giorno. Allora, non
trovarono più nessuno che potesse raccontare loro le
dinamiche della
sparatoria, neanche se lo volessero. Una massa di cadaveri era
l’unica cosa che
rimaneva.
Yongguk
aprì gli occhi, e si trovò avvolto da un mare di
bianco.
N/A:
SBAM. Non vi
aspettavate che finissi così, eh? Cosa sta succedendo?
Leggete l’ultimo
capitolo per scoprirlo! (Sembro la presentatrice di un prodotto
casalingo lmao)
Alla
fine ho deciso di dividere la quarta parte in due, perché
era
venuta davvero troppo lunga. Questo non vuol dire che siano due
capitoli a se
stanti! È davvero un capitolo unico. Dovrebbe essere letto
insieme (ma io vi
faccio aspettare perché sono la persona peggiore del mondo).
Avrei
voluto aggiornare ieri, ma avevo perso la mia chiavetta USB aka la
mia intera vita. Dentro ho tutti i miei progetti scolastici,
fanfictions, foto
e quant’altro, e ho praticamente messo sottosopra la mia
casa. Ero disperata
come mai ero stata. Solo tipo due ore fa ho scoperto che era nella
tasca di un
paio di jeans che avevo messo a lavare in lavatrice. È un
miracolo che funzioni
ancora. Cara chiavetta, prometto di non perderti più per il
resto della vita,
di amarti ed onorarti, finché morte non ci separi.
Due
parole sulla playlist: appena ho sentito la nuova canzone degli
Infinite, mi sono subito detta: Questo è un brano perfetto
per il capitolo. E poi ho riscoperto il mio amore per Haru Haru e ho
pensato la stessa cosa. La versione unplugged di Come back home
era un must, dai. Penso sia qualcosa di stupendo.
Vorrei
ringraziarvi per seguire e recensire questa inutile storia lmao.
Credevo
avrebbe avuto un successo mediocre con tipo zero recensioni ahahha
grazie mille
sul serio sob
Rainie
|
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Capitolo 5 *** pt.4 (2): finale ***
playlist:
coma – b.a.p.
Si
sentiva accecato e stordito. Dov’era? Cosa stava facendo? La
sua
mente era un vortice di domande a cui non sapeva dare risposta.
Si
guardò intorno – non che ci fosse molto da
guardare. Un’apertura sul
soffitto gli mostrava un pezzo di cielo notturno costellato da piccoli
e
luminosi puntini, mentre il resto gli sembrava solo una distesa
infinita di
bianco. Una sensazione di chiuso lo avvolgeva, e tentò di
muoversi, per poi scoprire
che non ci riusciva, nonostante non sentisse niente che gli stesse
bloccando
gli arti.
Non
gli restò che attendere, immobile. Ci vollero alcuni momenti
perché
un’informazione attraversasse la sua mente: il suo nome era
Bang Yongguk, e
aveva dei compagni. Non ci fu altro.
I
minuti passarono lentamente. Poi il vetro sopra di lui si mosse e si
ritirò in un’apertura al suo fianco, e a Yongguk
parve di riuscire finalmente a
respirare. Accorgendosi che ora poteva muoversi dalla sua posizione
supina, si
mise a sedere. Notò che era stato chiuso in una specie di
capsula cilindrica.
La metà dove era la parte superiore del suo corpo era stato
coperto dal vetro,
mentre il resto era formato da un materiale che non riusciva a
riconoscere. Un
metallo, forse, completamente bianco. Yongguk vide che anche il suo
abbigliamento – una semplice canottiera e dei larghi
pantaloni da lavoro – non
era che bianco.
Ora
libero, Yongguk poté dare una migliore occhiata attorno a
sé. La
cupola che mostrava il cielo sopra di lui racchiudeva un laboratorio
circolare.
Contro le pareti vi erano diversi armadi e cassettiere, e dei tavoli,
su cui
giacevano dei fogli scritti fitti e delle penne, erano sparsi per la
stanza.
Infine, alcuni macchinari di cui lui ignorava la funzione erano in
piedi ad una
estremità della sua capsula. Il tutto era, ancora una volta,
di un candido
bianco.
Vide
che non era solo. Altre capsule uguali alla sua erano in fila ai
suoi fianchi. Le quattro alla sua destra erano ancora coperte dal
vetro, e
Yongguk si sorprese di come riuscì a riconoscere le persone
al suo interno,
nonostante fosse la prima volta che li vedesse – Himchan,
Daehyun, Jongup,
Junhong. I loro occhi erano chiusi.
Voltandosi
dall’altra parte, trovò la capsula alla sua
sinistra vuota.
Yongguk la guardò un po’ confuso, prima di sentire
alcuni passi avvicinarsi. Un
giovane apparve accanto ad essa, vestito dei suoi stessi indumenti
bianchi.
Aveva un mezzo sorriso che tirava su un lato della sua bocca, e la
mente di
Yongguk gli diede automaticamente un nome: Youngjae.
«Hey,
hyung,» disse, salutandolo con la mano. Yongguk non sapeva
niente
del nuovo arrivato, ma c’era qualcosa nella curva del suo
sorriso, nella
profondità delle sue pupille, o nel modo in cui lo aveva
chiamato “hyung”.
Qualcosa che gli diceva che non era la prima volta che lo vedeva, che,
piuttosto,
si conoscevano da molto, molto tempo.
Yongguk
si decise di scendere dalla sua capsula. Un brivido gli percorse
il corpo quando i suoi piedi nudi toccarono il freddo pavimento.
Guardò
Youngjae di fronte a lui, e cercò qualcosa sul suo viso che
potesse dargli
qualche indizio. Poi si accorse che, nel fissarlo, doveva sembrare un
completo
ebete. «Uh, ciao,» borbottò. Non sapeva
davvero cosa fare. Cosa avrebbe dovuto
dire a qualcuno che aveva appena incontrato?
Youngjae,
probabilmente, colse l’imbarazzo di Yongguk. «Ti va
di fare un
giro?» disse, indicando col pollice la porta dietro di lui.
Quello sciolse,
almeno in parte, la tensione.
Il
corridoio, al quale non sembrava esserci una fine, era confinato da
delle pareti dipinte di un candido bianco, prive di imperfezioni.
Yongguk non
aveva mai visto niente di tanto immacolato – sempre se avesse
mai visto
qualcosa per davvero.
A
parte loro due, vi erano solamente alcune persone vestite con dei
camici da laboratorio, i quali li passavano senza dare loro una seconda
occhiata. Yongguk e Youngjae camminarono per qualche minuto in un
silenzio teso
per il primo, tranquillo per il secondo. Sembrava che Youngjae non
avesse alcun
problema a camminare fianco a fianco con un perfetto sconosciuto, come
se fosse
naturale.
Yongguk
non aveva idea su cosa fare, così decise di dar sfogo a
quelle
domande che lo stavano tormentando sin da quando si era svegliato.
«Senti, mi
sai dire cosa– perché ci troviamo…
qui?» chiese, sfregandosi i palmi umidi per
il sudore. Non sapeva nemmeno se Youngjae ne sapesse più di
lui.
Tuttavia,
Youngjae sembrò sicuro di quel che avrebbe detto.
«Oh, è una
domanda difficile,» rispose, con i passi che continuavano a
risuonare con un
ritmo costante. «Quando mi ero svegliato, ero confuso
anch’io. Partiamo dicendo
che siamo in un centro chiamato Mato. È una struttura che
governa– non
chiedermi cosa. Hanno usato dei paroloni assurdi per spiegarmelo. In
parole
povere, è qualcosa che ha a che fare con come va il mondo,
credo.»
Yongguk
sbatté le palpebre, confuso dalle sue parole. Non aveva idea
di
che mondo Youngjae stesse parlando. L’unico mondo che aveva
mai conosciuto
erano le pareti bianche che li stavano circondando. «E
noi…»
«Noi
siamo qui perché facciamo parte di un grande
progetto,» continuò
Youngjae, «e ci sono un altro sacco di persone oltre a noi.
Non intendo solo
quelli che erano nella nostra stanza; ce ne sono altri milioni,
miliardi, che
ne fanno parte. Ma non so i dettagli precisi, mi dispiace.»
Quando
arrivarono ad un incrocio di corridoi, decisero di svoltare a
sinistra. Yongguk continuava a non capire, ma, nonostante
ciò, decise
semplicemente di accettare quello che Youngjae gli stava dicendo.
Magari
avrebbe capito più tardi.
«E
i quattro che erano insieme a noi?» gli chiese
successivamente.
Avrebbe voluto chiamarli con il loro nome (che gli sembrava la cosa
più giusta
da fare), ma pensò che forse Youngjae lo avrebbe preso per
folle, sebbene
quella situazione gli paresse già folle abbastanza.
Questa
volta, l’altro esitò prima di parlare.
«Eravamo un gruppo,»
spiegò, con un lato della bocca che si tirava su amaramente,
«ma è finita
male.»
A
quelle parole, Yongguk fece un «Oh» sorpreso.
Paradossalmente, in
quell’assurda spiegazione, quelle parole gli parevano giuste
e sensate.
Veritiere. Se lo sentiva, così come sentiva che Youngjae e
gli altri quattro
erano lontani dall’essere degli sconosciuti. L’idea
gli suonava particolarmente
adatta, e riusciva persino a farsela piacere.
«Quindi,
ora siamo bloccati qua?» domandò, dopo aver
processato quello
gli era stato detto.
Svoltarono
di nuovo a sinistra, e si trovarono in un nuovo corridoio. A
differenza dei precedenti, questo aveva il soffitto a volta di vetro.
Le mille
stelle fecero di nuovo capolino nell’interno di quella
struttura candida, e
Yongguk si sentì rilassato nel poterle vedere di nuovo.
Questo, tuttavia, non
rallentò i loro passi.
«Non
esattamente,» gli rispose Youngjae quando lo
guardò negli occhi.
Quel contatto durò solo un momento, dato che Youngjae
alzò poi lo sguardo al
cielo, fissandolo distrattamente. «Siamo finiti male,
perché qualcosa è andato
storto. È stato un difetto nei macchinari, o forse nella
programmazione o nella
scaletta che si doveva seguire; non so quali sono i dettagli. Ora
stanno
decidendo se lasciare tutto così o cambiare quello che ci
è andato male. Così
mi hanno detto.»
Un
silenzio li avvolse. Yongguk sentì che era sbagliato,
terribilmente
sbagliato, ma cosa, esattamente, era sbagliato? Non conosceva Youngjae
– o,
almeno, non gli sembrava di averlo mai visto in vita sua. Eppure,
perché gli
sembrava che quello non fosse il modo in cui quel colloquio doveva
andare?
Perché gli sembrava di dovergli dire una marea di cose
quando la sua mente non
sapeva cosa pensare?
Doveva
pur esserci qualcosa di sensato in quella conversazione.
«Sembra
che tu sappia un sacco di cose, » gli fece con
ammirazione,
non sapendo che altro dire. Yongguk lo guardò abbassare lo
sguardo su di lui,
mentre un sorriso gli arricciava i lati della bocca. Quella scena gli
sembrò
tanto familiare da togliergli il fiato.
«Solo
un po’,» rispose in tono imbarazzato.
«Sono semplicemente stato
trascinato in una stanza, dove ho tenuto un colloquio che mi ha fatto
venire la
pelle d’oca. So cosa ci è successo, cose del
genere.»
«Ti
va di raccontarmi?» gli domandò Yongguk. Sperava
che, nella sua
risposta, avrebbe trovato quel qualcosa
che stava cercando di capire.
Lo
sguardo di Youngjae si sciolse appena, impercettibilmente. Poi gli
lanciò
un sorriso rilassato. «Perché no?»
Youngjae
gli raccontò la storia di sei ragazzi. Sembrava che ad ogni
parola il suo sguardo vagasse ad un ricordo invecchiato, sepolto,
lontano. Ma lui
sorrideva ogniqualvolta arrivava ad un episodio divertente, come quando
uno di
loro aveva fatto una battuta particolarmente brutta, come quando uno di
loro
dovette offrire il pranzo a tutti quanti perché era stato
ingannato.
Gli
raccontò di come si erano conosciuti, delle loro
circostanze, dei
loro alti e bassi. Gli raccontò di tutto quello che doveva
essere saputo e mai
più dimenticato.
Yongguk
lo ascoltava, affascinato. Ogni frase pronunciata da Youngjae
veniva scolpita nella sua mente, e quasi riusciva a sentire i ricordi
fiorire
in lui. Un cocktail di voci, immagini e odori sembrava risalire in
superficie
automaticamente, se Yongguk avesse provato a spingere la sua
immaginazione un
po’ più in là. Non sapeva come, ma
c’era qualcosa di particolarmente
rassicurante in quella storia. Non la conosceva, ma gli sembrava di
vederne
tutti i dettagli anche solo grazie al racconto di Youngjae.
Avrebbe
voluto sognare quelle parole tutto il tempo. Yongguk si chiese
se fosse stato un sognatore.
«E
poi voi siete venuti a salvarmi,» disse infine Youngjae,
quando
raggiunsero una porta. Yongguk si accorse che erano ritornati alla loro
stanza.
«Avete dato loro i soldi, ma poi– poi mi hanno
sparato lo stesso. Un colpo. Bang.
E voi eravate sconvolti. Avete
cominciato a sparare, ma è finita male. Sembra che non sia
sopravvissuto
nessuno.»
«E
quindi, eccoci qui,» concluse Yongguk. L’altro gli
lanciò un sorriso.
«Eccoci
qui.»
«Senti
Youngjae – ti chiami Youngjae, vero? – pensi che io
sia una
cattiva persona?»
Il
più giovane lo guardò, confuso dalla sua domanda.
Yongguk si sentì
improvvisamente imbarazzato per averglielo chiesto. Cominciò
a gesticolare
(decise che, probabilmente, non era mai stato bravo a parlare).
«Suona come una
domanda stupida, vero? Non lo so, volevo– volevo chiedertelo;
sembra che io
abbia fatto tante cose crudeli, e credo che devo sapere
se–»
Si
sentiva un idiota per avergli chiesto una domanda del genere. Non
sapeva nemmeno come esprimersi. Forse voleva solo avere una conferma.
«Insomma.
È stato istintivo, scusa. Probabilmente non ero fatto per
una vita da
criminale. Se avessi scelto di fare il maestro d’asilo, forse
sarei riuscito a
vivere in pace.»
Yongguk
avrebbe voluto schiaffeggiarsi per quanto stupido stava
sicuramente sembrando. Invece, sentì Youngjae ridere, e non
gli suonava come
una risata canzonatoria. Lo guardò, comunque imbarazzato.
«Sei
divertente, hyung,» disse Youngjae. «Penso che ora
so perché ci
piaceva starti attorno.»
Yongguk
gli sorrise impacciatamente. «Dici? Io non penso di esserlo
per
niente.»
«Voglio
dire che non c’è nessuno al mondo che si
preoccuperebbe per una
situazione passata e finita. Hyung, tu batti tutti quanti, credimi. Per
risponderti, no, non penso che tu sia una cattiva persona. Va bene,
ora?»
Yongguk
roteò gli occhi, ridendo. «Non mi sembri per
niente convinto.»
Youngjae
gli lanciò invece un sorriso d’intesa, mentre
afferrava la
maniglia della porta. «Vedi? Per questo sei
divertente.»
Con
un sospiro, il più anziano accettò le parole
dell’altro. Non era
esattamente quello che si voleva sentire, ma forse aveva ragione,
quando diceva
che era l’unico che si sarebbe preoccupato per qualcosa del
genere. Decise che
Youngjae sapeva scegliere bene le parole da usare.
Quando
aprirono la porta ed entrarono nella stanza, videro che le
quattro capsule non erano ancora aperte, e che i loro compagni erano
ancora
stesi dentro di esse, le palpebre abbassate in un sonno rilassato.
Tuttavia,
oltre a loro, ora c’era un uomo vestito con un camice bianco,
che stava
leggendo i fogli sparsi sul tavolo con un’espressione
concentrata.
Yongguk
lo guardò, perplesso. L’uomo alzò lo
sguardo, accorgendosi della
loro presenza. «Oh, siete tornati,» disse con
tranquillità. «Giusto in tempo. Sdraiatevi
di nuovo nelle vostre postazioni, fra un minuto ci sarà il
rewind.» E, una
volta dato l’ordine, si avviò verso di loro ed
uscì dalla stanza, lasciando i
due spaesati e disorientati dalle sue parole.
Youngjae
fu il primo a parlare. «Sembra che non vogliano lasciar
passare
liscia questo contrattempo,» commentò, con un
ghigno sarcastico sulle labbra.
Non sapendo che altro fare, i due si prepararono a coricarsi nelle loro
rispettive posizioni.
Fu
quando Youngjae si mise supino nella propria capsula che si
voltò
verso Yongguk e gli regalò nuovamente un mezzo sorriso, ma
genuino. «Hyung,
grazie per essere venuti a salvarmi,» gli disse, proprio
mentre i vetri delle
loro capsule si chiudevano su di loro.
Yongguk
si sorprese alle sue parole. “Perché dovresti
ringraziarmi?”
avrebbe voluto chiedergli, ma si sentiva già le palpebre
pesanti chiudersi. Si
limitò a ricambiargli il sorriso.
«Fra
un po’,» disse, sebbene fosse sicuro che Youngjae
ora non riusciva
più a sentirlo, «ci vediamo fra un
po’.» Pensò che, francamente, non
c’era
bisogno di altre parole. La sensazione di turbamento di quando si era
svegliato
era sparita, e ora poteva dire che quella loro conversazione era andata
proprio
come doveva andare.
Mentre
guardava quel pezzo di cielo stellato che aveva di fronte, il
sonno si impossessò di lui.
Yongguk
sbatté le palpebre un
paio di volte, ritornando alla realtà e scacciando via
quella visione
spaventosa dei suoi compagni morire.
Guardò
Youngjae ancora di
fronte a lui, che gli si stava avvicinando con quello stesso sorriso
indecifrabile che aveva visto su di lui la prima volta che lo aveva
incontrato.
Ma non era più importante, ora Youngjae era al sicuro, e
Yongguk gli venne
incontro, rilasciando il respiro che non si era accorto di aver tenuto
fino ad
allora. Circondò, rassicurante, le sue spalle con un braccio
perché ora era a
casa, ora non dovevano più fare niente.
Era questo
quello che Yongguk
pensò, prima di sentire un po’ troppo presto la
familiare sirena della polizia
in lontananza ed innumerevoli passi sulle scale alle sue spalle
aumentare di
volume.
Youngjae
percorse il corridoio in silenzio. Da alcune stanze
provenivano voci, ronzii di fax e stampanti, risate. Di tanto in tanto,
da una
porta usciva un suo collega, e si scambiavano un veloce saluto. Oltre a
ciò, vi
era solo il rumore dei suoi passi a riempire i canali delle sue
orecchie.
Si
fermò davanti ad una porta con una targhetta dorata:
l’ufficio
del sovrintendente. Senza attendere altro tempo, picchiò sul
legno un paio di
volte, ed aspettò fino a quando dall’interno non
gli diedero il permesso di
entrare prima di girare la maniglia.
Una volta
dentro l’ufficio, si assicurò di chiudere la porta
per
bene, voltandosi poi verso l’interno della stanza. Seduto
alla scrivania di
mogano, che aveva solamente un PC posizionato da un lato ed un paio di
documenti stesi al centro, vi era un uomo sulla quarantina, con i
capelli neri
striati di fili argentati, pettinati all’indietro in modo
immacolato, e
l’uniforme privo di disordinate pieghe. Questi
alzò lo sguardo dal foglio che
stava esaminando, lanciandogli un mezzo sorriso. «Prego,
accomodati pure,» gli
disse gentilmente, mostrandogli con la mano la sedia di fronte.
Youngjae obbedì
con un cenno del capo.
«Francamente,
non ho mai prestato attenzione al tuo curriculum fino
a poco tempo fa,» gli riferì, abbassando lo
sguardo sul documento in mano. «Yoo
Youngjae. Diplomato speciale all’accademia di polizia con il
massimo dei crediti
a diciassette anni. Membro del dipartimento anticrimine, membro
temporaneo
della squadra S.W.A.T., partecipazione ad un confronto armato ed un
arresto ad
alto rischio… questo in soli dieci mesi di
servizio?»
«Sì,
signore,» rispose Youngjae, con l’espressione
impassibile. Alle
sue orecchie, quelle parole non suonavano nemmeno lontanamente come
qualcosa di
cui essere fieri, ma erano, piuttosto, dei semplici conseguimenti di
vita.
Il commissario
fece dei lenti cenni con il capo, impressionato.
Ritornò con lo sguardo sul suo curriculum.«Leggo
che la tua specialità è lo
spionaggio, ed hai portato a termine diverse operazioni senza fallire;
confermi?»
«Confermo,
signore.»
«Benissimo.
Allora mi aspetto che tu abbia le capacità per
completare questo incarico che sto per illustrarti.»
Youngjae
inclinò lievemente la testa di lato, perplesso.
L’ispettore
suo capo gli aveva semplicemente detto che il commissario
sovrintendente lo
cercava, con un tono misterioso nella voce, senza dargli nessun
dettaglio.
Sapeva già che si sarebbe trattato di qualche nuovo compito,
ma si chiese
perché non fosse stato assegnato ad un agente più
veterano invece che a lui.
Il suo
superiore posò il suo curriculum sulla scrivania e si
appoggiò solennemente allo schienale della sua poltrona
girevole. «È
un’operazione di spionaggio molto rischiosa,» lo
informò, «e si protrarrà
probabilmente per molti mesi, forse un anno o più. Hai il
diritto di rifiutare,
se non te ne senti all’altezza; provvederò ad
affidare questo compito a qualcun
altro. Ma spero che tu accetti.»
Youngjae fu
lievemente sorpreso dall’ultima parte. Non gli era mai
capitato di poter avere una parola sugli ordini a lui dati nei dieci
mesi precedenti.
«Vorrei saperne prima i dettagli, se è
possibile,» rispose.
Il commissario
annuì. «Certo, ovviamente.»
Allungò la mano verso un
cassetto alla destra della scrivania, e ne tirò fuori una
busta giallognola,
che gli porse. Youngjae la prese con calma e alzò la
linguetta che la
sigillava; dentro trovò un sottile fascicolo di non
più di dieci pagine. Sulla copertina
lesse “B.A.P”, stampato a caratteri maiuscoli sotto
il numero del documento.
«Sicuramente
ne avrai sentito parlare,» gli disse. «Sono in giro
da
qualche anno; due, per essere precisi. Tutto quel che conosciamo di
loro si può
contare sulle dita delle mani. Non sappiamo niente sul loro passato,
né quali
sono i loro nomi o la loro età esatta. Inizialmente, erano
un gruppo di quattro
persone, ma alcuni mesi dopo sono diventati cinque. Questo è
quello che
sappiamo di certo. Questo, e il fatto che stanno facendo cadere questa
città
nel degrado.»
Youngjae lesse
velocemente i crimini di cui erano sospettati o che
avevano commesso. Si passava da furti di opere di valore a traffici
illegali,
violenza di gruppo, sfociando persino in diversi assassinii –
una nota
puntualizzava che si speculava si trattasse di una banda mercenaria.
Nonostante
tutto, non era niente con cui Youngjae non fosse familiare.
Le pagine da
esaminare finirono presto, così chiuse il fascicolo e
lo appoggiò sulla scrivania.
«Vuole
che io penetri tra loro e li colga sul fatto?» chiese al suo
superiore. Quello si staccò dallo schienale della poltrona e
si piegò in avanti,
appoggiando gli avambracci sulla scrivania e tenendo nella mano
sinistra il
pugno destro. Il suo sguardo si era fatto più duro di prima.
«Voglio
che tu entri a far parte di questo circolo di criminalità
organizzata. Parteciperai ad aste clandestine e mercati neri, sarai
considerato
un criminale da tutti i cittadini e sarai costretto a contare solo su
te stesso
e sulla tua esperienza. Dovrai costruirti una strada per entrare tra i
B.A.P. A
quel punto, dovrai fidarti solo di loro, ma non del tutto. Quel che
basta
perché loro si fidino di te; immagino che tu capisca cosa
intendo. Nel mentre,
non solo ci procurerai informazioni su di loro, ma anche sugli altri
criminali,
cosicché possiamo arrestarne il più
possibile.» Il tono con cui gli disse tutto
ciò fu aspro e pungente, quasi con una punta di disprezzo,
ma Youngjae non
batté ciglio.
Il commissario
gli sorrise lievemente, ironico. «Lo ammetto io
stesso, è un’operazione che fa davvero schifo. Ma
è l’unica soluzione più o
meno efficiente che abbiamo trovato, e che non abbiamo ancora provato a
mettere
in atto. Voglio che abbia successo.
«Sei
giovane, dovresti avere più o meno la loro età.
Riuscirete a
comunicare sullo stesso piano. Sei un genio, avranno per forza qualcosa
per la
quale sarai utile. E sei una spia. Hai esperienza di operazioni di
spionaggio,
sai cosa pensare e come agire. Per questo penso che tu sia
all’altezza di
questo compito.»
Youngjae fece
un cenno di comprensione. Non era niente di che, la
durata dell’operazione era un più lunga del
solito, ma niente a cui non potesse
abituarsi. In testa aveva quel mantra che si era ripetuto negli ultimi
anni – giustizia,
giustizia, ho bisogno di sapere,
giustizia – e non esitò
per un altro
momento. «Accetto con piacere l’incarico.
Può fidarsi di me,» rispose con un
sorriso confidente.
Lo sguardo del
commissario rimase immutato. «Ne sei sicuro? Puoi
sempre rifiutare.»
«Rifiutare
non avrebbe significato, uno di noi agenti dovrà comunque
farlo. E, con la buona parola che ha messo su di me, mi sentirei in
imbarazzo
se non accettassi.»
Il suo
superiore annuì. «Bene. Allora do subito
l’ordine di iniziare
i preparativi. Comincerai tra un mese.»
Youngjae
mantenne quel sorriso affabile sulle labbra.
«Sissignore.»
Dopo aver
sentito la sua risposta, il suo superiore gettò
un’altra
occhiata al curriculum. Rimase per qualche secondo in silenzio, prima
di
parlare ancora. «Qui è scritto che hai avuto un
passato turbolento. Tua madre…
un vostro parente e tuo padre la uccisero quando eri davvero giovane.
Sono
ancora a piede libero, e probabilmente conducono affari
clandestini.» Si fermò
fino a lì, guardando il giovane ed aspettando la sua
risposta.
Youngjae
sospirò stancamente al ricordo. Non aveva idea su come
fosse finito sul suo profilo, ma si disse di non farci caso. Perlomeno,
grazie
a quello, aveva imparato che nessuno era genuinamente buono, nemmeno
lui. Era
una lezione di vita che lo aveva aiutato ad acquistare la
mentalità di spia
perfetta: non fidarsi di nessuno e tradire la fiducia al momento giusto.
No, non era
proprio una buona persona. «Se mi permette, signore,
preferirei non parlare dell’accaduto.»
Il commissario
sembrò insoddisfatto, ma non si permise di andare
oltre. «Certo, capisco. Allora, potresti approfittare
dell’occasione per
indagare anche su di loro, ed usarli come scusa per non destare
sospetti. Di
solito, molti dei criminali hanno un passato abbastanza
oscuro.»
«Lo
terrò a mente, signore, la ringrazio per il
consiglio.»
«Va
bene. Per ora, sei congedato.»
Si alzarono
entrambi in piedi, e il commissario gli tese una mano,
che lui afferrò prontamente. «Siamo nelle tue
mani, agente Yoo.»
Youngjae gli
sorrise cordiale. «Certo. Porterò a termine
l’incarico
senza intoppi.»
Erano passati
poco più di due
anni da quando era sceso negli affari del sottosuolo, ma Youngjae non
si era
mai dimenticato del suo obiettivo principale. Fino ad ora, i suoi
rapporti
circa i criminali richiesti dai suoi superiori non erano mai stati resi
tanto
pubblici nel quartier generale, e gli arresti erano stati fatti in
silenzio,
spesso senza che nemmeno lui lo sapesse. In tal modo, nessuno aveva
potuto
sospettare di lui.
Tuttavia, era
conscio che,
con la fine dei B.A.P, sarebbe terminato anche il suo compito.
Non credeva
che sarebbe stato
tanto stancante. Così, quando la sua squadra
entrò frettolosamente nella
stazione, circondando i due gruppi criminali, Youngjae credette che le
sue
gambe avrebbero ceduto per l’estenuazione. Invece, ebbe
ancora la forza di
staccarsi da Yongguk e di fare un paio di passi all’indietro,
in modo da riuscire
a vedere tutti i B.A.P in faccia. Nei loro sguardi che slittavano da
una parte
all’altra lesse del genuino panico, ma niente poteva essere
comparato
all’espressione confusa che gli rivolsero quando lui
lanciò loro un ghigno
malevolo e stanco.
Incontrò
gli occhi di Yongguk,
che sembrava star mettendo i pezzi del puzzle insieme. Un membro della
sua
squadra si avvicinò a loro e salutò Youngjae, che
congedò il saluto con un
cenno del capo. Il suo collega estrasse il familiare distintivo
argentato da
una tasca del suo giubbotto, e glielo consegnò. Alle sue
spalle sentì Daehyun
borbottare, confuso e sconcertato.
Prendendo il
suo distintivo,
Youngjae rimase qualche momento a contemplare il metallo scintillare
cupamente
alla luce delle lampade, poi lo mostrò ai membri dei B.A.P.
«Yoo Youngjae, capo
della quinta divisione del dipartimento anticrimine, membro speciale
della
squadra S.W.A.T., specializzato nello spionaggio ad alto rischio, al
vostro
servizio,» recitò, ricordando la sua prima
introduzione a loro.
Il viso di
Yongguk si fece
livido.
«Youngjae,»
lo chiamò Himchan
in tono tradito, «dimmi che è uno dei tuoi scherzi
di cattivo gusto. Come hai
potuto? Sapevi che avremmo–»
«Fatto
di tutto per
salvarmi?» lo interruppe Youngjae, impassibile.
«Certo, che lo sapevo. Per
questo è stato tanto facile ingannare sia voi che quei
pivelli dei COB.ra. Ho
detto loro che volevo farvi fuori perché non mi andavate
più a genio, e hanno
subito abboccato. Due piccioni con una fava; geniale, giusto?»
Dall’altro
lato della
banchina della stazione, Haejong gli gridò insulti, e
dovette essere fermato
dalla polizia con la forza. Youngjae lo ignorò.
«Piuttosto, dovreste
ringraziami. Quelli là avevano intenzione di ammazzarvi una
volta che avreste
voltato loro le spalle. Vi ho risparmiato una brutta fine.»
«Tu
hai detto– ci hai detto
che dovevi– quando ti abbiamo preso con noi– tua
madre–» farfugliò Daehyun,
completamente disorientato dalla situazione. Guardò
Youngjae, il quale gli ricambiò
l’occhiata senza mostrare alcuna emozione.
«Oh,
quello,» gli rispose,
«quello era vero, hyung. Non vi ho mentito. Dovevo, in
effetti, cercare
informazioni sulla mia famiglia personalmente. Ho solo pensato di
approfittare
bene dell’occasione, come mi era stato consigliato. Niente di
che.»
Sui loro visi,
Youngjae
riusciva perfettamente a vedere come la sua rivelazione avesse effetti
devastanti sui B.A.P. Era quel tipo di espressione che aveva visto
ormai
svariate volte, di cui oramai non si sorprendeva più. Era
fatta, e sapeva che,
da ora in poi, loro non lo avrebbero più visto come una
volta.
Neanche lui
era una persona
buona, dopotutto.
«Mi
sono divertito con voi,»
disse a loro onestamente – e forse la sua espressione dura e
impassibile si
attenuò in modo impercettibile –
«davvero. È stato un bel periodo. Ma voi siete
dei criminali, ed io ho degli obblighi e doveri da mantenere in quanto
ho
giurato su di esse. Per legge, dovete finire in carcere, tutto
qui.»
Quando vide
che non c’era
nient’altro da dire – ora i B.A.P lo guardavano
accusatori e pieni di odio –
indossò di nuovo il suo mezzo sorriso. «Qui ho
finito. Ci vediamo in giro,» e
si portò la mano destra sulla fronte, regalando loro un
saluto ironico.
Voltò
loro le spalle e si
fece strada tra la sua squadra, nonostante il corpo gli stesse dolendo.
I volti
dei B.A.P sarebbero stati un altro paio di incubi che si sarebbero
aggiunti al
suo sonno, pensò, ma non era niente che non poteva
sopportare.
Himchan aveva
un ricordo
limpido di molti anni fa, prima di incontrare Yongguk e prima di
diventare un
assistente in un’officina di zona.
Ricordava sua
madre ritornare
nel loro modesto appartamento dopo il suo “lavoro”
e raccontargli di come
avesse incontrato dei bei giovani, alcuni persino le offrivano il loro
cuore
(Himchan provò pena per loro, perché lei offriva
il suo corpo ad una miriade di
altre persone); parlava di tutto, ma ignorava completamente la sua
esistenza.
Himchan si era
chiesto come
si potesse donare un amore incondizionato a chiunque e qualunque cosa,
fuorché
al proprio figlio. Si sentiva tradito, dimenticato, solo; avrebbe
voluto così tanto che
sua madre si accorgesse
di lui, così da donargli quel poco di affetto che gli
serviva. Lo desiderava
più di ogni altra cosa, davvero; ma quando se ne
andò di casa e la incontrò
nuovamente anni dopo, lei gli disse solo che assomigliava ad una certa
persona
e gli chiese, ammiccante, se avesse voglia di passare la notte con lei.
Quella
sera, quando Yongguk andò in officina, lo aveva trovato
vomitare e piangere
lacrime incontrollabili.
Ora, quel
groppo in gola si
era presentato di nuovo alla vista delle spalle di Youngjae. Himchan
non
riusciva a spiegarselo, gli aveva donato tutto quello che poteva,
perché non si
sentisse come si era sentito lui stesso e Youngjae–
Lui aveva
deciso di
lasciarli.
«Youngjae,»
disse annaspando,
guardando i suoi compagni e indicandolo con un dito tremante,
«lo avevo detto.
Non dovevamo fidarci.»
Quando Yongguk
si mosse,
Himchan non poté non seguirlo, sentendosi di nuovo tradito e
dimenticato e dannatamente solo.
Avrebbe voluto
raggiungere quel lurido bastardo e prenderlo per la collottola e
sputargli
addosso tutto quello che aveva – avevano
– fatto per lui.
Invece, le sue
mani vennero
bloccate dalla presa ferrea di un membro della S.W.A.T., e fu sbattuto
violentemente contro il duro cemento della parete.
La vita di
Daehyun era stata
un mix di alti e bassi – francamente, più bassi,
che alti. I bassi erano il
tempo passato nella solitudine della sua stanza, un’adozione
troppo fredda e
distante perché potesse essere felice; gli alti, i quattro
brevi, preziosi anni
passati con i B.A.P.
Col tempo,
aveva imparato che
solo a poche e privilegiate persone spettava un lieto fine, e lui non
era tra
quelle. Tuttavia, poté illudersi di esserne una quando
incontrò gli altri
quattro membri. Nonostante non fossero i migliori modelli da seguire,
in quel
gruppo aveva trovato la serenità che aveva potuto solo
sognare. Daehyun poteva
finalmente dire che sì, a lui spettava una fine davvero
lieta.
Tutto questo
lo raccontò a
Youngjae una sera di pochi mesi prima, il quale aveva annuito e
sorriso.
Daehyun aveva pensato, in quell’occasione, che quello era uno
dei sorrisi più
genuini che lo aveva visto rivolgergli.
Tuttavia, ora,
vedendosi
circondato da un’intera squadra pronta a sparare a loro nel
momento in cui avessero
fatto un passo falso, aveva cominciato a dubitare di tutto quello che
aveva
conosciuto di lui. Dove finiva il Youngjae sincero e iniziava quello
che ora era
solo un traditore?
Daehyun
trovò quella
situazione estremamente divertente. Emise un grido frustrato, e prima
che
potesse lasciarsi verso Youngjae – una parte della cosa
più vicina ad una
“casa” che avesse mai conosciuto – venne
sbattuto per terra, tastando sangue
nella sua bocca.
«Yoo
Youngjae!» gli urlò
comunque, «ritorna qui, brutto stronzo! RITORNA
QUI!»
Le sue grida
rimbalzarono nel
vuoto, sulle pareti della stazione.
Jongup aveva
avuto una vita
difficile, e lo sapeva. Era nato in una famiglia sbagliata e aveva
fatto scelte
sbagliate, e sapeva anche questo.
Ogni giorno
era ritornato da
scuola per trovare suo padre che lo portava nel seminterrato della loro
casa,
dove si trovavano equipaggiamenti ed armi di ogni tipo, e lo spronava a
provare, provare, provare; un pugno un rovescio un calcio uno sparo un
pugno un
rovescio un calcio uno sparo. Non smettevano fino a quando Jongup non
si
accasciava a terra e non si sentiva troppo esausto per continuare. La
routine
era continuata per diversi anni – Jongup si
dimenticò persino del momento in
cui aveva cominciato a seguirla. Gli sembrava di non aver fatto altro
nella
vita.
Entrando nei
B.A.P, era una
macchina da guerra pronta per essere utilizzata. Pensava di aver
lasciato alle
sue spalle tutta la sua compassione, ma si dovette ricredere quando
Yongguk e
Himchan lo trattarono come un ragazzo normale. Jongup era stato
sopraffatto da
quel loro comportamento, dal momento che quasi nessuno si era rivolto a
lui con
un tono tanto informale.
Desiderò
di aver mantenuto
quella sua mentalità calcolatrice quando Youngjae si era
presentato a loro. Ma
con le mani bloccate dolorosamente dietro la schiena da un paio di
manette,
poteva solo guardare la schiena di Youngjae voltata verso loro; lo
stesso
Youngjae che lo aveva visto come un normale teenager, scherzando e
parlando
casualmente con lui, facendogli dimenticare momentaneamente che era il
guerriero
dei B.A.P per eccellenza.
Quella fu
un’altra delle sue
scelte sbagliate.
«Hyung!»
riuscì solo a
gridare con voce roca. «Hyung! Perché ci stai
facendo questo?!»
Junhong aveva
tredici anni
quando si trascinò nell’officina Kim, che era
stata aperta da poco. Doveva
essergli sembrato davvero patetico perché Himchan avesse
deciso di tenerlo con
sé e farlo diventare suo assistente.
Prima di
allora, per un anno
aveva tentato di sopravvivere per le strade dopo essere scappato da una
casa
che gli dava solo incubi, rubando ed aggregandosi a certi gruppi poco
affidabili che gli avevano offerto un tetto sotto cui dormire per pochi
mesi.
Quell’anno gli aveva dato la consapevolezza di vivere in un
mondo duro, di
dover adattarsi, ma come poteva far ciò quando tutto quello
che riusciva a
ricordare era il terrore? Come poteva far ciò quando i suoi
sogni erano
infestati dagli orrendi lividi che comparivano sulla pelle di sua madre?
Dopo che i
B.A.P si
formarono, dopo che Yongguk e Jongup gli avevano insegnato come
contrastare la
realtà ostile, dopo tutto quello, Youngjae gli disse che
andava bene se certe
volte era solo Junhong (giovane e pieno
di vitalità e ingenuo) e non Zelo (spietato
e freddo e robotico), e andava bene se certe volte smetteva
di tenere tutte
la sua stanchezza e le sue lacrime dentro di sé.
Non era come
se il resto dei
B.A.P non glielo avesse detto, loro erano stati solo più
discreti ed impliciti
a proposito. Ma Junhong ne fu sorpreso, in parte perché non
credeva che lo
hyung lo avrebbe visto sotto quella luce, in parte perché
fino ad ora era stato
solo Zelo. Ma ne fu, in un certo senso, felice.
Fu quindi
Junhong, e non
Zelo, che ricordò quel giorno quando venne forzato in
ginocchio e guardò
Youngjae mentre si allontanava, e fu sempre Junhong che
sentì il proprio cuore
essere spaccato in mille pezzi, gridando al cielo.
Una parte di
Yongguk forse
aveva sempre saputo che, prima o poi, i B.A.P sarebbero finiti in
questo modo.
Aveva voluto invece spingere quella piccola voce maligna in un angolo
della sua
mente, volendo solo vivere quei momenti con i suoi membri serenamente.
Tuttavia, mai
aveva
immaginato che sarebbe stato uno di loro a spingerli fino a
lì. Gli era
piaciuto credere che Youngjae non avesse davvero cattive intenzioni,
perché da
quando era entrato nel gruppo tutto era migliorato ancora di
più, ed erano
diventati persino più vicini di prima.
Che qualcosa
del genere
succedesse era assolutamente inimmaginabile.
Yongguk
ricordava il sorriso
imbarazzato e disarmante che Youngjae gli aveva rivolto quando gli
aveva detto
di non avere idea di come avevano fatto i B.A.P a sopravvivere senza il
suo
cervello.
E ancora,
Yongguk ricordava
quando, appena cinque mesi prima, Youngjae era ritornato
all’officina l’ultimo
dell’anno con sacchetti pieni di cibo e fuochi
d’artificio, che accesero appena
scoccò la mezzanotte, tingendo il cielo fuori dal garage di
fiori variopinti.
Sul serio,
Yongguk avrebbe
voluto ridere per come erano stati ingannati facilmente. Sperava che
questo
fosse un altro scherzo della sua immaginazione, ma il dolore era vero e
la
polizia li stava arrestando, e lui poteva solo guardare Youngjae che
non si
degnava di assistere alla loro fine.
Con le braccia
bloccate
dietro la schiena, si dimenò per liberarsi come meglio
poté, imprecando contro
di lui – «Sei un bastardo, Yoo
Youngjae!», «Abbiamo rischiato tutto per venire
a salvarti!», «Ci fidavamo tutti di te!»,
«Come hai potuto ingannarci in questo
modo?!».
Il suo petto
stava per
esplodere per tutto il dolore che sentiva. Desiderava chiedergli se
tutto
quello che i B.A.P gli avevano offerto non fosse stato abbastanza
perché lui
decidesse di pugnalarli alle spalle comunque.
Dovette essere
forzato a
terra, ma, nonostante tutti i suoi arti fossero bloccati, i suoi occhi
traditi
erano costantemente attaccati alla schiena di una delle persone a cui
aveva affidato
ciecamente tutto di sé.
Eppure,
nonostante le grida
straziate dei B.A.P, Youngjae non si voltò indietro nemmeno
una volta.
[ part 4: please hold onto my hand
so that i can wake up, please don’t go. ]
N/A:
e con questo, si conclude questa fanfiction. Applausi a me, dato che
non riesco
mai a finire le storie a più capitoli. Clap clap.
Non voglio che
vediate
Youngjae nel ruolo del cattivo. Voglio dire, noi non ci affidiamo alla
polizia
perché i criminali vengano catturati? Non pensiamo che
stiano facendo la cosa
giusta? Questa è la stessa cosa. (E non considero il resto
dei B.A.P cattivi,
ma non voglio nemmeno glorificare i criminali, sia chiaro. Non fate
cose che vi
faranno andare in prigione, bambini!)
Ho spezzato
quest’ultima
parte in due perché non mi piaceva la parte iniziale, e
l’ho letteralmente
riscritta tutta. Così è venuta molto
più lunga di prima lmao. La playlist del
capitolo precedente vale anche per questo (e vedo
“Back” degli Infinite molto
più adatta all'inizio di questa seconda parte lmao).
Se volete
qualcosa di più
preciso sul centro Mato, è praticamente un edificio fuori
dall’universo (????? Allora
perché si vedono le stelle??? Lmao non lo so ok) che regola
gli universi
paralleli. Francamente, non so spiegarlo bene in poche parole sob se
volete,
posso mandarvi un MP per una spiegazione più dettagliata.
E ora, un paio
di numeri e
curiosità: ho scritto la fanfiction su un unico documento
Word, dato che la
considero una long shot. La storia ha in totalità
più di 25.500 parole (senza
contare le parole dei titoli e delle playlist), e pesa più
di 120 kilobyte. Incredibile,
eh? È una delle storie più lunghe che abbia
scritto e a cui sono più
affezionata. Ho persino fatto una linea del tempo per quanto ne sono
ossessionata ahahah sob potete vederla qui: CLICK!
Infine, vorrei
ringraziare
tutti voi lettori che mi avete sopportata. Sono felice di avere
concluso questa
storia! Spero di poterne pubblicare un’altra in un futuro
prossimo. Per ora,
passo e chiudo. Ancora una volta, grazie per aver letto fino ad ora!
Rainie
P.S.: Sarò al prossimo KPOP Voice Contest a Fumettopoli! Riuscirete a trovarmi? ;)
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