Angels

di Misukichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The white side ***
Capitolo 2: *** Vittima di una fortuna sfacciata ***
Capitolo 3: *** L'incontro con mio padre ***



Capitolo 1
*** The white side ***



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Ciao ragazze & ragazziii! Allora, questo è un mio nuovo progetto che ho in mente. Tutto frutto della più sfrenata fantasia!
Non so se proseguirla perchè... per varie ragioni ecco. (Ok, sono troppo insicura per andare avanti senza di voiii ç_ç, lo ammetto). Se ti piace questo inizio, ti prego, fammelo sapere! Se la storia piace la continuerò proprio come ho in mente muahah :3




Cammino lentamente, il rumore dei miei passi è accompagnato da una leggera pioggerellina. Il cielo è grigio e nuvoloso, le strade deserte e silenziose. Il vento d'autunno mi incalza a proseguire più velocemente, sono quasi arrivata a destinazione. Uno strano brivido mi percorre la schiena, mi sento come... osservata da qualcuno. Volgo lo sguardo a destra e a sinistra ma non c'è nessuno, sono sola.

Pochi minuti dopo arrivo a casa, è una piccola abitazione vicina al fiume. Non appena mia madre li vide, si innamorò di quell'acqua limpida, degli alberi verdi e della tranquillità e pace di quel posto. Ci trasferimmo quando ero molto piccola, mia madre non ha mai amato le grandi città, le folle, e in generale la gente. A volte sembra quasi voglia tenersene il più possibile alla larga. La casetta del fiume era ciò che faceva al caso suo. Ci viviamo da sole.
Non ho mai conosciuto mio padre, l'unica cosa che ho di lui è una fotografia un po' sciupata, mi teneva fra le braccia amorevolmente, come solo un padre sa fare, sorridente, gli occhi velati di malinconia.
E' scomparso quando ero molto piccola, la polizia non è mai riuscita a trovarne le tracce e il caso, ormai a distanza di diciassette anni, è ancora aperto.
Nonostante non l'abbia mai conosciuto, mi manca. E' come se una parte di me lo conoscesse.
«Mamma, sono a casa.» Richiudo la porta d'ingresso dietro di me, sbattendola. La casa è silenziosa.
«Mamma?»
Attraverso il corridoio e raggiungo la cucina. Il solito profumino che tutti i giorni mi invade le narici quando torno da scuola, il rumore della mamma affaccendata a preparare il pranzo, oggi sono assenti.
Non ricordo che mi abbia detto di dover uscire.
Mi siedo sul divano, in attesa.
Non sono molto in pensiero, mia madre è una donna forte, indipendente. Si è sempre arrangiata da sola. Le vicine si sono offerte di farmi da babysitters quando ero piccola, di andare a comprarle il pane, lei, rifiutando gentilmente, ha mostrato a tutti il suo lato duro. E' sempre stata felice, anche se sola. Da lei ho preso tanto, il colore dei capelli e i lineamenti del naso e degli zigomi, ma anche il carattere forte.

L'improvviso rumore che proviene dalla mia camera mi desta di soprassalto, mi alzo in piedi spaventata.
E' un rumore di passi, poi di cassetti e armadi che si aprono, qualcosa cade a terra e poi altri passi. Non può essere mia madre, essendo lei infinitamente calma, paziente e delicata.
Il più silenziosamente possibile mi dirigo verso la cucina e afferro il primo coltello che trovo, in preda all'agitazione. Mi dirigo cauta contro la porta dietro la quale qualcuno sta cercando, senza ombra di dubbio, di derubarci. Apro la porta di scatto, punto il coltello.
Una testa si gira sorpresa, poi uno scatto e la mia unica arma è per terra. Mi ritrovo spiaccicata alla parete, il respiro mozzato, la gola secca e stretta in una morsa di dolore.
Il mio polso è bloccato da un braccio forte e muscoloso. Il mio corpo è schiacciato contro quello di qualcun'altro. Quel qualcun'altro si rivela essere un ragazzo, probabilmente sulla ventina. E' così giovane e bello per essere un ladro che quasi mi dispiace per lui.
«Ti dispiace per me, Emily? Non credi che forse sia io, a dispiacermi per te?» smetto di respirare.
«C-come conosci il mio nome?» chiedo con un filo di voce. La sua mano stretta intorno alla mia gola mi mozza il respiro, mi gira la testa e un forte senso di nausea mi assale.
Una risata glaciale.
«Me lo stai davvero chiedendo, Emily? Non mi riconosci?» la sua voce è forte, dura, malvagia. «Smettila con questi giochi, tu sai di cosa ho bisogno!» la sua stretta si fa più forte, cerco di tossire ma non ci riesco. Penso a dove siano i soldi. La mamma li tiene in soffitta, in un cassetto chiuso a chiave.
La mia vista si offusca, sto per morire, lo so.
Mi è capitato, un paio di volte, di riflettere sulla morte. Mi vedevo anziana, in una bella casa, con una famiglia. Non avrei mai pensato di morire giovane, per mano di un malato mentale che cerca di derubarmi.
«Malato mentale?! Pensalo di nuovo, se hai il coraggio!» il suo volto è furioso. «Non è stato facile abbattere tuo padre, perlomeno pensavo che avresti preso da lui. Invece mi ritrovo fra le mani una mocciosa a dir poco inutile. Muori.»
Non respiro più da qualche secondo, mi ha quasi strangolato, le lacrime mi rigano numerose le guance, quando all'improvviso la porta si spalanca e mia madre compare.
«Lasciala andare!» le sue mani emanano una strana luce azzurrina. Subito la morsa mortale delle sue mani si scansa, come scottato.
Io cado a terra, svenuta.

Apro gli occhi.
Sono sdraiata nel mio letto, la mia stanza è illuminata dal sole che si affaccia alla mia finestra, già alto nel cielo.
Mi metto a sedere. Sono le 10:30 e io mi sono appena svegliata dall'incubo più reale che abbia mai avuto. Mi sento ancora le sue mani sulla gola, che stringono forti. Il mio respiro spezzato, le lacrime umide sulle guance.
Esco dalla mia camera e vedo mia madre, intenta a riempire due enormi borsoni, frettolosamente, correndo di qua e di là, in preda all'ansia.
«Mamma, va tutto bene?» chiedo, «Che cosa stai facendo?»
«Tesoro, dobbiamo andarcene da qui.»
Non si ferma a guardarmi come al solito, ad abbracciarmi.
«Mamma, mi vuoi spiegare che succede?!»
«Non ti ricordi nulla...?» finalmente si ferma, in mano ha un paio di pantaloni vecchi che non le vedo indosso da anni.
«Ricordare cosa? L'unica cosa che so è che mi sono appena svegliata da un terribile incubo e che tu stai facendo le valigie per qualche strano motivo che non mi hai ancora rivelato!»
Posa i pantaloni sul letto, poi sospira.
«Quello di ieri non era solo un incubo. Quel ragazzo... esiste davvero.»
Mi impietrisco. Mia madre mi ha appena rivelato che quel ragazzo dai capelli neri che ha cercato di uccidermi esiste davvero.
Non ribatto, non so cosa dire. Mi sembra una situazione troppo assurda da credere, ma mia madre, di fatto, ha parlato di un ragazzo. Io non le ho rivelato questo particolare.
Che sia successo davvero? La possibilità di questa nuova realtà mi si rovescia addosso come una secchiata d'acqua gelata.
Cerco di ricordare le mie ultime 24 ore. Mi sembra impossibile che possa essere avvenuta una cosa del genere.
«Siediti, Emily. E' il momento che io ti parli di alcune cose.»
«Quali cose, mamma? Adesso mi sto davvero spaventando! Che diavolo sta succedendo?» mi siedo velocemente accanto a lei, guardandola ansiosa, aspettando con impazienza che si decida a parlare.
Lei mi guarda, come in attesa di qualcosa. Sembra nervosa, si sta trattenendo.
«Si tratta di tuo padre» dice infine.
«Mio padre?» le chiedo confusa.
«Sì, Adam. Tuo padre. C'è qualcosa che devi sapere su di lui» mi spiega, ora un po' più calma e confidente.
«Tuo padre non è scomparso. Se n'è andato.»
La guardo confusa, senza capire bene.
«E' una persona molto speciale. Ti ha sempre voluto un gran bene... e te ne vuole ancora.» Si interrompe un secondo, poi prosegue.
«Ho conosciuto tuo padre due anni prima che tu nascessi. Ho sempre notato una diversità, in lui. Inizialmente pensavo fosse perchè mi ero invaghita di lui, sai, avevo appena finito gli studi e cominciato un nuovo lavoro, era un periodo importante per me, e quando è arrivato tuo padre... ha sconvolto tutto. Ci siamo innamorati, ha preso il mio cuore come mai nessuno aveva fatto. Ho passato i due anni più belli della mia vita, con lui. Fino a quando mi ha rivelato cosa fosse realmente. So che ti sembrerà assurdo, all'inizio non ci crederai, ti sentirai tradita dalle verità che ti sono state nascoste, abbiamo dovuto farlo per te, Emily.» lo sguardo che mi rivolge è pura tristezza. «Tuo padre è un Angelo Bianco.»
«Ok, credo di averti persa quando hai pronunciato le parole Angelo e Bianco. Che cosa stai dicendo? Che è morto?»
«No. Gli Angeli Bianchi fanno parte del più alto livello gerarchico mai esistito sulla terra. Sono vivi. Sono in mezzo a noi. Ci proteggono.»
«Che cosa intendi con "ci proteggono"?»
«C'è chi crede negli Angeli, c'è chi no, e poi c'è la verità, che è basata su fatti concreti, realtà assoluta, inattaccabile: Gli Angeli esistono. Sono in mezzo a noi, ci proteggono dalla malvagità, ci pongono davanti a scelte difficili e ci preparano, incosciamente, a diventare più forti. Anche se noi non ce ne accorgiamo.» la sua espressione è seria. Nessuna traccia di ironia, o di un qualche tipo di scherzo poco divertente. Il suo volto è talmente serio che quasi ci credo.
«Q-quindi, presumiamo che questi Angeli esistano veramente, mi stai dicendo che esistono anche i diavoli, o i demoni?»
«No. Esistono gli Angeli Neri, quelli malvagi. La conosci la leggenda di Lucifero, no? L'angelo caduto dal cielo e sprofondato nelle viscere più profonde della terra. Diciamo che la leggenda è stata tramandata oralmente per molti anni, quindi è stata modificata nel tempo. Non è che Lucifero si trovi fisicamente al centro della terra.» Sorride, quando vede che non ricambio si fa sull'attenti e ritorna seria.
«So che avrai molte domande da pormi, in questo momento. Perchè non andiamo a preparare il pranzo insieme, così potrò chiarire ogni tuo dubbio.»
La mia mente è annebbiata, sono in uno stato di confusione psicologica. Tutta la realtà che conoscevo fino ad oggi si è appena rivelata incompleta, parziale.
«Chi è mio padre? Perchè ha dovuto lasciarci? E chi era il ragazzo di ieri?»
«Tuo padre è un grande Angelo Bianco, uno dei più leali, fedeli e corraggiosi Angeli. Molti anni fa, ha giurato fedeltà a uno delle più grandi e potenti creature celesti mai esistiti, Nathanael. Egli non è un semplice Angelo, è un Serafino, il più alto Ordine Celeste, primo fra i tre grandi ordini gerarchici degli Angeli. Il loro fu un patto di sangue molto potente. Nathanael donò il suo sangue ad Adam, tuo padre. Il sangue di Serafino è il più grande potere, la più potente arma celeste che esista concretamente. Per questo ieri quell'Angelo Nero era qui. Era alla ricerca di qualche indizio, pensano che tu sia coinvolta. Vogliono impossessarsene. Per questo motivo io sono qui, ti devo proteggere, a costo della vita.»
«Perchè vogliono me? Io non ne so nulla. Ho appena scoperto che mio padre è un...» mi fermo. Pronunciare quella parola significa ammettere la loro esistenza. Non sono sicura di volerlo fare.
«Puoi dirlo, mica succede qualcosa.» ride mia madre.
«Un Angelo.»
«Pensano che tu sia coinvolta.»
«Ma che cos'è questo grande potere, quest'arma? E dov'è?» chiedo io, riflettendo.
«Le mie conoscenze si fermano qui, io sono solo umana, tuo padre mi ha privato di questa conoscenza perché gli Angeli possono leggerci nella mente, nell'anima. L'avrebbero già ottenuta.»
Rifletto sulle sue parole. Mi immagino mio padre, il suoi lineamenti. Estraggo la sua fotografia dal mio portafoglio e la osservo, sfiorandogli il viso con un dito. Non mi sembra un Angelo, mi sembra un normale essere umano.
«Hai i suoi stessi occhi blu.» dice mia madre, in preda alla commozione, asciugandosi il viso.
«...Posso conoscerlo?»
«Fidati di me, quando sarà il momento si farà vivo lui.» Mi sorride ora lei, preda di chissà quali pensieri felici.
















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Capitolo 2
*** Vittima di una fortuna sfacciata ***


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Ciao a tutti! :D Eccoci al secondo capitolo di questa storia-esperimento. Se il primo era più un prologo che un primo capitolo, qui comincio, piano piano, a dare forma alla storia che ho già in mente, anche se ovviamente siamo solo all'inizio e c'è ancora tanto da introdurre. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e, se avete domande, non esitate a chiedere nelle recensioni! 
Un bacione e vi lascio al vostro capitolo,
M.



E così ce ne siamo andate, abbiamo abbandonato la mia unica certezza: la nostra casa, la scuola. Secondo mia madre, quella era l'unica soluzione possibile. Scappare.

«Non so nemmeno da chi sto scappando.»

«Non c'è bisogno di saperlo, non è importante da chi stai scappando, ma da cosa

E' strano parlare di queste cose assurde in macchina, in mezzo a centinaia di altre persone, ignare della possibile esistenza di queste... creature; gli Angeli. Sebbene sia passata ormai una settimana e mezza, non riesco ancora ad accettare l'idea che esistano, non riesco a capacitarmene. Fatico a pronunciare la parola stessa, sono ancora sotto shock.
Credo a mia madre, so che non mi mentirebbe mai in maniera così assurda, ma una parte della mia mente ha bisogno di conferme. Ha bisogno di vedere il volto di mio padre. Ho bisogno di parlargli, saperlo qui,
vederlo qui.
«Dove stiamo andando di preciso?» chiedo a mia madre. Sta guidando in autostrada già da parecchie ore, so che è stanca. Sul suo viso è dipinta un espressione corrucciata, ma decisa.
«Ti porto da una mia cara amica, mi ha sempre aiutato con te.»
«Pensavo te la fossi sempre cavata da sola.»
«Lei è speciale» si giustifica lei, come a volerla difendere. «Se lei non ci avesse aiutate entrambe, non saremmo qui, ora» conclude, cercando di mettermi a tacere.
«Di chi si tratta?» la mia curiosità, alla fine, vince sul resto.
«Aspetta e vedrai» mi risponde lei, enigmatica.
Siamo in Michigan, lo so perchè è il luogo della mia infanzia, prima che ci trasferissimo alla casa sul lago. Ricordo ancora quei luoghi, seppur lontani, ancora vagamente familiari.
Mi sporgo dal finestrino, le cuffie alle orecchie, intenta ad osservare tutto quel verde spontaneo.
Sbuchiamo in una via di case alquanto anonime, progettate tutte allo stesso modo. Noto che mia madre, dopo aver osservato bene gli edifici, accosta di fianco al marciapiede, spronandomi a scendere dalla macchina.
Non ho idea del quartiere in cui mi trovo, né del perchè siamo qui.
In questo caso, so di dovermi solo fidare, di mia madre e... del mio istinto.
La casa è piuttosto semplice, non c'è nulla che attiri la mia attenzione in particolare. Delle campanelle annunciano il nostro arrivo e, dopo pochi minuti, una signora piuttosto in carne ci accoglie all'interno, dove un delizioso profumo di coockies mi invade le narici e mi ricorda i vecchi tempi.
«Avete trovato traffico, Madlyn?» la signora, di cui ancora non so il nome, si rivolge a mia madre. Il fatto che mi stupisce è la confidenza con cui lo fa, come se la conoscesse da sempre. Poche persone conoscono il vero nome di mia madre.
«Non più di tanto, ci siamo fermate a fare un paio di soste. Non ci sono stati incidenti, come speravamo.» Madlyn, mia madre, le lancia uno sguardo eloquente, a cui prontamente l'altra risponde.
Finalmente, la donna dai capelli forti si gira verso di me: «Sei cresciuta tantissimo, Emily» poi continua: «Io sono Kea.»
La sua figura è scura, rotonda e le sue braccia sono tatuate. Se la sua sola figura mi incute timore, il luogo in cui vive è strano il doppio. Le pareti sono tutte tappezzate di orologi di diversi tipi e dimensioni, che provocano un continuo ticchettìo udibile in ogni parte della casa.
Il mio sguardo viene attirato da una strana caffettiera che sta producendo uno strano rumore, sembra quasi stia per esplodere.
«Deduco dal suo sguardo che tua figlia non sia ancora a conoscenza di nulla, mi sbaglio?»
«Siamo state attaccate ieri. Ho dovuto parlargliene subito.»
«Perchè, altrimenti non l'avresti fatto?» chiedo secca.
Le due donne si scambiano un altro sguardo espressivo.
«Emily, so cosa stai provando in questo momento.»
«No, lei non lo sa. Non sa nulla di me.» Tutta questa situazione assurda comincia a darmi sui nervi. Non sopporto quando sono all'oscuro delle cose per troppo tempo, la mia poca pazienza è svanita nel nulla.
«Nessuna notizia dall'Angelo Bianco?» chiede la più anziana, accompagnandoci ad un tavolo di legno.
«Nulla, Kea.» La voce di mia madre sembra incrinarsi.«Non c'è molto da fare, se non nascondersi. Non abbiamo forza; abbiamo bisogno di qualche contatto. Per il momento bisogna che Emily si ambienti alla sua nuova realtà scolastica.
Sono stanca di essere ignorata, mi schiarisco la voce.
«Se permettete, avrei qualche domanda a cui pretendo una risposta, dopo tutto il tempo che mi avete fatto aspettare.»
Le due donne si voltano verso di me, mi rivolgo a mia madre: «Come hai fatto a sconfiggerlo, ieri?»
«Se ti riferisci all'Angelo Nero, non l'ho sconfitto, è scappato.»
«Come?»
Kea rovista tra alcune sue cianfrusaglie, poi tira fuori una collana. Una lunga e spessa catenina argentata sostiene una perla azzurrina, è molto bella.
«Con questa. Ci sono molte cose che devi sapere, ma non così in fretta. Mettiti questa al collo, e non liberartene per nessuna ragione, mi hai capita?» guardo la catenina e poi Kea. «Che cos'è?»
«Ti proteggerà.» E' l'unica cosa che mi risponde.

~
Entro decisa la porta di quella che è la mia nuova scuola. Da una parte, so che mi mancherà la vecchia e i pochi amici che avevo, dall'altra so che non sarebbe potuto essere come prima, perciò, piuttosto che un cambiamento parziale, meglio cambiare completamente. La nuova scuola è più grande, i corridoi più ampi e gli studenti più numerosi. Secondo mia madre, più grande è la scuola, meglio è per me e per la nostra discrezione.
Entro nell'ufficio della segreteria, pronta a consegnare tutti i moduli per l'iscrizione. Alla scrivania è seduto un uomo dalle spalle larghe, girato di spalle. Non so cosa stia facendo, sembra quasi stia contemplando il muro davanti a sé.
Mi schiarisco la voce e attendo, in attesa che l'uomo si giri.
Quando vedo che non lo fa, mi avvicino alla scrivania, «Ehm, mi scusi, sono la nuova studentessa che ha chiamato ieri...» non faccio in tempo a terminare la frase che l'uomo si gira sulla sua sedia girevole e mi sorride, un luccichio nei suoi occhi glaciali.
Mi irrigidisco.
«Salve, Emily.» Il suo sorriso si allarga, la luce nei suoi occhi non mi piace. Sto per piangere.
«Ti stavamo aspettando. Sono sicuro che ti troverai divinamente nella tua nuova scuola.» Sempre quel sorriso sghembo.
«Signorina Parker? Può gentilmente mostrare alla signorina Van Alen le sue classi?»
Una ragazzina magra e abbastanza bassa appoggia sul bancone delle pagine che stava sfogliando, gli rivolge un sorriso estasiato e subito mi richiama a se, portandomi fuori dall'ufficio, lontano dal ragazzo dai capelli corvini.
«Ciao, io sono Paige Parker, piacere di conoscerti, tu devi essere-»
«Chi era quell'uomo?» la interrompo bruscamente. Il mio respiro è corto e posso sentire il battito del mio cuore in gola. Sono agitatissima.
«Oh, intendi l'aiuto ufficio? E' Mr. Black, anche se lui preferisce Leonard.» ridacchia lei. Poi continua: «Sembra attragga un sacco di personale, ehm, qui a scuola, ma anche studentesse. Ed è giovanissimo!» Le guance le si colorano di un rosa acceso.
«Da quanto tempo lavora in questa scuola?»
«Da circa due settimane» mi sorride lei, allegra. «Ma dimmi, come mai tutte queste domande su di lui?» ammicca lei.
Mi mordo la lingua.
«Senti, devo andare un attimo in bagno. Tu aspettami qui, va bene?»

Corro il più non posso, sento la voce di Paige che mi richiama, ma non mi guardo indietro, devo mettere quanta più distanza possibile tra me e quell'uomo. Trovo un cartello che indica il bagno delle ragazze. La campanella suona, il corridoio si svuota in un battito di ciglia. C'è qualcosa di troppo inquietante in tutto questo.
Smetto di correre quando sono ormai davanti alla porta del bagno delle ragazze. La apro in fretta, ma quando la richiudo mi accorgo che qualcosa non va. Il lucchetto si è chiuso, non so come sia potuto accadere. La porta che prima era aperta, ora è bloccata, non c'è modo di aprirla.
«Sono contento di vederti, Emily.» mi giro di scatto. La malvagita con cui il mio nome viene pronunciato mi destabilizza.
Mi giro di scatto. «Tu!» gli punto un dito contro.
«Cosa vuoi da me?!»gli urlo, cercando di tenere quanta più distanza possibile.
«Ma come, non te l'hanno spiegato? Povera piccola... Tenuta all'oscuro di tutto.» la sua voce è ironica e pungente.
«Io lo so cosa sei!»
«
Buon per te, allora dovresti capire che non è saggio andare contro la volontà di quelli come me.» sorride, serafico.
«Dimmi che cosa vuoi
«E' semplice, voglio che mi venga restituito ciò che è stato rubato a mio padre.»
«Non so nemmeno chi sia tuo padre. Io non ho nulla. Stai lontano da me!»
«Vuoi che ti uccida?» sorride ancora lui, al limite della pazienza.
«Provaci.» il mio sguardo ora è pura provocazione, sollevo le sopracciglia, in attesa. Lui impreca, rabbioso, poi si scaglia contro di me, la sua mano si stringe attorno al mio collo.
Tempo di un minuto e lui è già lontano, si guarda la mano, rossa, piena di vesciche.
«Ma che cazzo...?!» inveisce.
Osservo il mio collo, la pietra della mia collana emette una tenue luce azzurrina, che si consuma immediatamente.
Lui mi guarda con aria minacciosa.
«Non pensare che finisca qui. Io ti osservo, Emily. Non ti lascerò sola un momento. Apparirò nei tuoi incubi più profondi, durante il giorno e la notte. Sarò sempre qui. Annienterò le tue difese, fino a quando non avrai più nessuno, sarai una povera disperata» Il suo sorriso si allarga. «Fino a quando capirai che la decisione migliore è quella di schierarsi dalla mia parte. Riavrò ciò che mi spetta, che tu lo voglia o no. Sarai mia, come mio è ciò che ti appartiene. E' una promessa
«Chiudi quella bocca! Sparisci dalla mia vita!»
Risata. «Ti piacerebbe.»

Un bussare alla porta del bagno mi distrae per un attimo.
«Emily? Sono io, Paige. Va tutto bene?»
Mi volto in fretta, il ragazzo dai capelli corvini è sparito.
Cerco di ricompormi e rallentare il respiro il più in fretta possibile, il mio corpo è un insieme di muscoli tesi e adrenalina che scorre. Bevo un po' d'acqua dal rubinetto e mi sciaquo la faccia.
«Scusa, sai com'è, l'emozione del primo giorno...» le sorrido
poi, uscendo, cercando di non rendermi ridicola e mascherare la mia agitazione. Lei risponde al sorriso e fa un gesto di incoraggiamento.


~
Nonostante il mio corpo sia in classe, la mia mente è lontana, turbata. Per tutto il resto della giornata, del ragazzo dai capelli corvini nemmeno l'ombra.
Non riesco ad andare da un corridoio ad un altro senza che nessuno mi accompagni. Non ho il coraggio di andare in bagno, nonostante ne senta il bisogno. Ho paura. O meglio, sono terrorizzata.
So che non durerei un secondo a rimanere da sola con quello una terza volta, sono consapevole del fatto che, le prime due volte, sia stata vittima di una fortuna sfacciata. La prossima volta morirò. Non voglio rischiare un'altra volta.

Papà, se come dicono sei qui, se mi stai ascoltando, ti prego. Aiutami. Mi vogliono uccidere, vogliono farci del male.

Non abbandonarci.

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Capitolo 3
*** L'incontro con mio padre ***


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Prima che mi ammazziate, ci tenevo a dirvi che il mio immenso ritardo è dovuto a varie complicazioni della mia vita, e non a qualche inutile e patetica scusa. Detto questo, mi sembrava giusto ringraziare in anticipo chi recensirà questa storia e chi non mi ha ancora abbandonata, nonostante tutte le mie varie pecche. Siete voi che mandate avanti questa storia, siete fondamentali, altrimenti con tutto quello che sto passando non sarei qui ad aggiornare, le mie storie me le terrei per me. Vi voglio bene <3
M.

Mi hanno diagnosticato una depressione maggiore quando avevo 17 anni, dopo una crisi di nervi avuta in primavera.
Mia madre aveva insistito per farmi vedere un medico psicologo e ben presto le mie fondate ipotesi su una mia possibile instabilità mentale si sono rivelate corrette. Avevo sempre saputo, in fondo, di essere strana. Sono ancora in cura e credo che, tutto sommato, la mia personalità sia migliorata nel corso degli anni; ora, un anno e qualche mese dopo, posso dire di aver acquisito una maggiore consapevolezza e aver curato i miei frequenti sbalzi d'umore. Ma non è stato sempre così semplice, durante i miei periodi bui faticavo a reggermi in piedi e mangiavo poco, tant'è che dovettero ricoverarmi un paio di volte mentre mi sforzavo a capire chi fossi. Insomma, la mia vita non è stata sempre rose e fiori.
Mi sto preparando al primo incontro con la mia nuova psicoterapista in città.
Durante il tragitto non penso molto a cosa dire o a come presentarmi, mi infilo nelle orecchie i miei auricolari e spengo i pensieri. La dimora di questa dottoressa Martin non è davvero niente male, scopro quando arriviamo. E' una villetta singola con un grande balcone pieno di vasi di begonie, il suo studio è al primo piano. La dottoressa è seduta alla sua scrivania e non appena entro si alza in fretta e mi raggiunge, stringendomi la mano e caricandomi di una forte energia positiva.
«Tu devi essere Emily» mi sorride raggiante, «sono Martin, puoi chiamarmi semplicemente Anne se vuoi, accomodati pure.»
La dottoressa sta già analizzando il mio profilo sulle carte rilasciate dal mio vecchio psicologo, quando all'improvviso chiede sorridente: «quanti anni hai, Emily?»
«18» le rispondo.
«Noto con piacere che il dott. Johnson aveva già effettuato una diagnosi completa.»
La lascio in pace a sfogliare tutte le mie carte, che sembrano non finire mai. Sono una persona davvero complicata.
«Che mi dici della tua ansia? E' passata? Non vedo più nessun'accenno nelle ultime pagine del tuo fascicolo.»
Tentenno mentre lei mi guarda in attesa di una risposta. Non so bene cosa dirle e come comportarmi ora, poi rispondo nella maniera più sincera.
«A dire la verità... questo ultimo periodo è stato a dir poco stressante, la mia ansia si è ripresentata.»
Il colloquio si conclude dopo un'ora di domande e risposte.
«Ci rivediamo la settimana prossima» mi sorride per congedarmi, «ah, Emily, volevo chiederti un'ultima cosa. Cosa stavi ascoltando quando sei entrata? Ho visto che indossavi gli auricolari.»
La guardo spaesata per la strana domanda, «Face to the floor, degli Chevelle» affermo sicura.

«Com'è andata il tuo primo incontro?» mi chiede mia madre, mentre accendo la radio in macchina.
«Nulla di che, le solite domande e risposte che fanno gli psicologi all'inizio per conoscerti meglio.»
«E' durata parecchio... Sono sicura che sia un bravo medico, ti troverai bene tesoro, vedrai.»
«Mamma, a proposito della tua decisione di ieri... non penso sia una buona idea abbandonare la scuola.»
«Si tratta di una cosa momentanea-»
«Si tratta del mio futuro» la interrompo bruscamente.
«Quando tuo padre si farà vivo...»
«...potrebbe essere troppo tardi» concludo la frase secca.
«come?» mi chiede lei spaesata.
«potrebbe essere troppo tardi! Come puoi sapere se e quando vorrà farsi vivo?»
La mamma ferma la macchina velocemente e si gira verso di me.
«Perché ho fede. Lo so che tornerà. Lo farà perché ci ama, perché ti ama» rimaniamo a fissarci per qualche secondo, poi riaccende la macchina. Per il resto del tragitto restiamo in silenzio.



I giorni seguenti comincio ad avere i primi incubi. I miei sonni sono disturbati, mi sveglio più volte e sono sempre sudata, a volte grido.
Le giornate non sono delle migliori, non posso svagarmi, non esco di casa. L'unica consolazione sono lo stereo e la mia musica.
Qualche giorno dopo ancora perdo la cognizione del tempo, sembra che le giornate non finiscano mai e, ora che la scuola non fa più parte della mia quotidianità, stento a riconoscere il sabato dal mercoledì. Quando però arriva la domenica, io e mia madre riceviamo una telefonata da Kae, che vuole vedermi.
Sono felice di poter uscire, chiedo a mia madre se posso andarci da sola e lei acconsente.
Quando arrivo trovo la solita caffettiera inquietante che sta bollendo sul fuoco e Kae mi chiama dalla soffitta, la scalinata che porta di sopra è fredda e piena di quadri di diverso tipo e di foto in bianco e nero, probabilmente molto vecchie. La trovo in una stanza in piedi davanti ad un tavolo, sta ispezionando una vecchia scatola con dentro varie cianfrusaglie. «Eccoti qui, sono felice che tu sia venuta» mi dice senza smettere di infilare la testa dentro quella marea di roba.
Entro e mi guardo intorno, ogni cosa sembra stramba e stravagante e il disordine regna, ma non proferisco parola, aspettando che mi dica di che cosa ha bisogno.
Mi avvicino a lei, pensierosa, e quando arrivo mi spinge a guardare dentro una grossa borsa.
«Emily, ti ho chiamato qui perché tu ti possa sentire libera di chiedermi e dirmi tutto, qualsiasi cosa ti preoccupa o qualsiasi domanda tu abbia. Sono qui per aiutarti.»
Annuisco, ancora pensierosa. Non mi vengono in mente domande, ma non voglio sembrare scortese ne disinteressata.
«Come faceva quel... coso, qualsiasi cosa sia, a leggermi nel pensiero?»
«Intendi quel servitore del diavolo? Vedi, anche loro hanno il potere. Ultimamente, da quando tuo padre è sparito dalla circolazione, il loro potere è aumentato, forse quadruplicato, sono diventati più forti e pronti a tutto per vincere. Questa battaglia dura dall'inizio dei tempi, gli Angeli bianchi non possono permettersi di perderla, sarebbe una vera catastrofe» spiega lei, chiudendo il contenitore da cui stava prelevando degli oggetti.
«Per rispondere alla tua domanda, leggere nel pensiero è solo uno fra le tante cose che gli Angeli possono fare.»
«Anche mio padre può leggermi nel pensiero?» chiedo ad un certo punto.
«Bé, presumo di sì, se lo volesse. Per questo motivo sei qui oggi. Siediti vicino a me.»
Mi osserva a lungo, poi continua: «noto che hai al collo la collana che ti ho dato, come ti avevo detto.»
Annuisco.
«Prova a togliertela» mi ordina.
«Ma mi hai appena detto che...»
«So cosa ho detto, è solo per ora, ti voglio insegnare qualcosa.»
Faccio come mi dice, tolgo la collana dalla testa e la appoggio sul tavolo, poi resto in attesa mentre Kae mi fissa. Ad un certo punto percepisco qualcosa di strano e mi guardo intorno. Non è cambiato nulla, Kae mi sta ancora fissando e le sue labbra si inarcano leggermente in un lieve sorriso.
«Lo senti anche tu?» chiedo sbalordita.
Lei non risponde e questa strana sensazione si amplifica, è come se fossi osservata, perseguitata da qualcuno. Comincio a temere che sia l'Angelo nero, venuto a mantenere le sue terribili promesse dell'altro giorno, ma poi mi rendo conto che Kae è concentrata.
«Che diavolo mi stai facendo?» esclamo, guardandomi le mani e le braccia, sentendo quella sensazione di impotenza ingrandirsi, sento una presenza imposta e sbagliata nel mio cervello, comincio a sudare.
Mi agito e cerco di restare concentrata, ma strane immagini cominciano a vorticarmi nella mente. Dopo un poco si interrompono e Kae ritorna in sé come svegliata improvvisamente da un sogno, da una trance.
«Che mi hai fatto?» chiedo ancora, riprendendo fiato.
«Sono entrata nella tua testa» mi dice lei, come se fosse ovvio. Mi stizzisco.
«Perché l'avresti fatto, sentiamo?» le chiedo, arrabbiata.
«Per farti imparare. Togliendoti lo schermo di protezione che la collana ti garantiva, ti ho messa in una possibile situazione di pericolo. Gli Angeli malvagi sono capaci di fare anche questo, entrare nella tua testa e captare ogni tuo minimo pensiero, ogni ricordo o sensazione. Adesso sai cosa si prova quando succede, così nel caso succederà saprai rendertene conto» poi aggiunge, «sei davvero combattiva, proprio come tuo padre. La tua mente si è subito ribellata al contatto e non è stato così facile restare.»
«Anche se mi rendessi conto che qualcuno stia penetrando la mia mente, cosa potrei fare?»
«Se hai la collana sarai automaticamente protetta, non ti servirà fare nulla. Però sono qui per prepararti ad ogni eventualità, ti insegnerò gran parte delle cose che so e tu dovrai collaborare.»
«Che cosa sei tu?» le chiedo improvvisamente.
Lei scoppia in una risata.
«Voglio dire, sei umana giusto?»
«Giusto» sorride lei.
«E allora come puoi fare una cosa del genere, sei una specie di veggente?»
«Sì, se ti piace definirmi così. Sono qualcosa del genere.»

Siamo sedute al tavolo al piano di sotto davanti a due tazze fumanti di tè. Nessuna delle due parla, ma io ho tantissimi pensieri che mi vorticano in testa e le nuove esperienze di oggi mi hanno confusa ancora di più. So che mi abituerò a tutto questo, ma per adesso mi sembra ancora tutto un'assurdità.
«L'altro giorno, quando mi sono vista quel ragazzo davanti mi sono sentita perduta, senza via di scampo» comincio, sorseggiando il mio tè, «era come se... non ci fosse nessuno lì con me, non sono sicura che mio padre sia qui. Non sono sicura mi voglia proteggere» continuo, «quel ragazzo, ha un nome?»
«Quel ragazzo, con alte probabilità, è il figlio di Lucifero in persona.» butta lì lei, tranquilla, sorseggiando il suo té. La cosa più assurda è che ne sta parlando come se si parlasse di una partita di football del sabato sera.
«Si chiama Leonard.»
«Allora è vero, anche a scuola si è presentato in questo modo, come mai non è discreto?»
Lei scoppia a ridere nuovamente.
«Pensi che a qualcuno della scuola possa venire in mente che forse lui potrebbe essere il figlio di Lucifero?»
Ignoro la sua domanda sarcastica e continuo.
«Quanti ce ne sono? Di Angeli intendo?»
«Tanti. Non saprei quantificarli.»
«All'incirca?»
«Gli Angeli dei più alti livelli sono pochi, come tuo padre. Gli altri sono angeli comuni. Sono meno di un ottavo della popolazione degli Stati Uniti, immagino.»
«Wow» esclamo.
Passiamo un pomeriggio interessante. Sono curiosa di sapere, non voglio essere impreparata a niente. Per battere il mio nemico, o almeno difendermici, ho bisogno di conoscerlo il più possibile. Quando ormai è già buio, preparo le mie cose per andarmene.
«Quindi, ricapitolando, i nemici di mio padre vogliono me, perché pensano che io possieda l'arma celeste di cui parlano tanto. Ma non mi è ancora chiaro perché pensano che ce l'abbia io. Dove potrei conservarla? E poi, se ce l'avessi non dovrebbero sentirlo nella mia mente?»
«Probabilmente pensano che il segreto sia al sicuro dentro alla tua mente grazie ad un sigillo.»
«Un sigillo?»
«Quello che hai sul collo è un sigillo.»
Le mille nozioni di oggi mi galleggiano nella mente, ma ancora non hanno un senso compiuto. Ho promesso a Kae di andarla a trovare ogni pomeriggio, e lei in cambio ha promesso che avrebbe provato a convincere mia madre a lasciarmi tornare a scuola.
Mentre cammino verso casa mi rendo conto di non avere al collo la mia collana. Mi fermo e frugo nelle tasche e poi nella borsa, ma del sigillo neanche l'ombra. Un brivido d'ansia mi scorre su per la spina dorsale.
«Cos'è, hai scordato la tua unica arma di difesa? Certo che per essere la figlia di tuo padre, sei proprio stupida.» quella voce glaciale alle mie spalle mi fa sobbalzare dallo spavento. Mi blocco e non oso muovermi.
Sono spacciata.
Comincio ad avanzare lentamente, ogni passo in più è un passo in meno verso casa.
«Dove credi di andare? Sei consapevole che senza collana posso ancora leggerti nella mente, vero?» sogghigna.
Mi fermo e chiudo gli occhi cercando di ricordare i consigli di Kae per respingere le intrusioni.
«Ma che stai facen-» subito dopo scoppia a ridere, «non ci posso credere, sei così debole! E quello era un tentativo di sbarazzarti di me? Mi dispiace dirtelo ma non sarà così facile» ride ancora, divertito. Malignamente divertito.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime di frustrazione.
«Non ho niente di quello che cerchi, per favore lasciami andare...»
Si avvicina e mi prende le braccia da dietro, immobilizzandomi.
«Lasciami andare o mi metto ad urlare!» lo minaccio.
Scoppia in un'altra fragorosa risata.
«Sai cosa me ne faccio dei tuoi inutili tentativi di chiedere aiuto. Sta volta non la passerai liscia» mi lascia improvvisamente, ma un dolore acuto, immobilizzante che parte dalla testa e si estende da tutte le parti mi pervade completamente. Cado a terra tremante, ogni mio sforzo di respirare e di restare lucida è quasi vano. Non vedo nulla. «T-ti pre-» lo guardo con gli occhi pieni di lacrime, ma lui non si ferma, ha preso il pieno controllo sulle mie percezioni, mi sta torturando e il fatto sembra intrattenerlo, sembra dargli piacere, mi guarda come se stesse guardando il suo programma preferito in tv. Chiudo gli occhi e comincio a pregare, ma dopo poco perdo i sensi.

Emily, svegliati.

Mhm...
S... sto morend... morta... st...

Emily non sei morta, apri gli occhi.
Ma chi... p-papà?
Coraggio, guardami.
Apro gli occhi.
Leonard è sparito. La strada buia e desolata è sparita. Sono... su una spiaggia soleggiata? Sono sdraiata a terra, e poco più in là c'è una distesa di acqua, davanti a me un uomo.
Mi guarda, poi mi porge una mano.
Sono Adam... tuo padre.
Lo guardo negli occhi, sono esattamente identici ai miei, poi guardo la sua mano, me la porge mentre mi sorride.
Gli volto le spalle.
Emily, guardami.
Mi volto, ora è serio.
«Perchè ci hai messo tanto?»
 Sei stata tu a farmi venire qui.
Non ha nemmeno bisogno di aprire la bocca, la sua voce risuona nella mia mente.
«Perchè hai abbandonato me e la mamma?» lo guardo inespressiva.
Tesoro... Ho dovuto farl-
«potresti parlare come tutte le persone normali?»
Non posso. Io sono solo un immagine nella tua mente, sto parlando attraverso di te.
Ho dovuto lasciarvi... L'ho fatto per il vostro bene.
«Una vita fatta di continui spostamenti pensi che sia "il mio bene"? Non ho amici, li ho lasciati tutti, la persona che vedo di più al momento è uno sporco assassino che probabilmente mi ha uccisa.»
Non ti ha uccisa, Emily non mi resta molto tempo... devi ascoltarmi attentamente ora.
«Mi stai lasciando di nuovo?» chiedo con un lieve tremolio nella voce.
No. Te lo prometto. Solo, ora ho bisogno che tu mi ascolti. Concentrati, chiudi la mente, crea la tua barriera, proteggila. E' l'unico modo che ti salverà.
Scaccialo.
«Ma come?»
L'immagine di mio padre si fa meno nitida e sempre più lontana. Tutto si fa sfuocato.
«...papà aspetta, come d-devo...»
Uno scossone mi risveglia, riprendo coscienza. Sento ancora la stretta intorno al collo, ma adesso non posso permettermi di morire. Devo dare speranza a mia madre, devo dirle che ho parlato con papà. Cerco di concentrarmi sulle sue ultime parole che ho sentito di sfuggita. Ricordo anche il pomeriggio con Kea, richiudo gli occhi e cerco di chiudere la mente. All'inizio ovviamente non funziona, sforzarsi di non pensare a nulla mi riempie la testa di pensieri. Mi ci vogliono vari tentativi, ma poi le mie condizioni così disperate mi permettono di svuotare la mente.
Conto fino a 10, cercando di respingere ogni sua influenza su di me, fino a quando sento che la stretta sul mio collo si affievolisce. Quando riapro gli occhi, decisa, il ragazzo è sollevato e inclinato, come se ci fosse una potente barriera che lo respingesse. Lui è sconvolto, i suoi occhi sono spalancati e la sua bocca semi aperta.
«Che c'è, Leonard? Mi credevi davvero così incapace?» un sorrisetto di vittoria mi dipinge il volto, mentre lui non risponde.
La sua figura svanisce in un fruscio e mi ritrovo sdraiata da sola, ansante, su un fianco dolorante. Finalmente una macchina passa, mi vede, si ferma.
Mi sa che sta volta ho vinto io.







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