Never let me go

di Giuls_breath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I Capitolo ***
Capitolo 3: *** II Capitolo ***
Capitolo 4: *** III Capitolo ***
Capitolo 5: *** IV Capitolo ***
Capitolo 6: *** V Capitolo ***
Capitolo 7: *** VI Capitolo ***
Capitolo 8: *** VII Capitolo ***
Capitolo 9: *** VIII Capitolo ***
Capitolo 10: *** IX Capitolo ***
Capitolo 11: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


                                             
Incidente.
Questa parola è legata ad uno dei momenti più difficili della mia vita, la fine della mia adolescenza e l’inizio della mia crescita e vera e propria introduzione alla vita.
L’incidente in cui morirono i miei genitori.
Da quel momento sono cresciuta, molto.
Mi chiamo Elena Gilbert. Ero figlia unica e senza parenti stretti così la famiglia di Caroline Forbes, mia migliore amica, mi ha praticamente adottata e cresciuta. Abbiamo continuato a frequentare la stessa scuola e i corsi insieme ad altre nostre amiche Bonnie Bennett e Vickie Donovan. Fu quest’ultima a presentarmi il fratello Matt, più grande di noi e il più bel ragazzo della scuola.. almeno così pensavamo tutte fino al loro arrivo.
Un giorno Caroline tornò a casa con un ragazzo molto bello, di grande cultura, carismatico. Il suo nome era Stefan Salvatore. Ci affascinò. Doveva aiutarci a studiare, lui e Matt avevano la stessa età, ma finimmo con il fargli solo domande sulla sua vita e sulle sue origini. Ci affascinò molto. Erano le otto di sera, la madre di Care ci chiamava per andare a cena, ma noi – aiutate ancora da Stefan, il quale non aveva famiglia eccetto un fratello più grande con cui non andava d’accordo – studiavamo ancora.
Rimase a cena con noi Stefan e finì con il conquistare anche la mamma che difficilmente simpatizzava per qualcuno. Ormai era tardi così Stefan chiamò il fratello per farsi venire a prendere. Non fu quella sera in cui lo conobbi, ma qualche tempo dopo.
La sveglia suonò a lungo e né io né Caroline volevamo alzarci, per fortuna Stefan ci salvò mandando un messaggio sul telefonino di Care. Ci alzammo, lavammo e vestimmo in meno di venti minuti e correndo lo raggiungemmo davanti scuola.
Ci sorrise dolce e ci salutò con un bacio sulla guancia, in quel momento sentii la sua voce la prima volta che chiamava il fratello, mi voltai cercando di capire da dove proveniva quella voce tanto suadente quanto misteriosa, ma nulla non lo vidi. Stefan si allontanò da noi e la campanella ridestandoci ci fece iniziare la settimana scolastica.
Stefan non entrò a scuola quel giorno e neanche il giorno dopo, Caroline aveva preso un bel raffreddore e così per evitare di peggiorare aveva deciso di non uscire: siccome avevo preso appunti più approfonditi del solito per mia sorella, pensai a Stefan e a come era stato gentile nei nostri confronti e pensai di andare a casa sua a fargli visita, forse era malato anche lui.
Avevo il suo indirizzo perciò ci andai dopo scuola.
Quella non era una casa, ma una villa enorme. A due piani almeno, ma non erano solo lui e il fratello? Bussai al campanello un paio di volte, ma nessuno mi aprì.
Solo quando stavo per bussare di nuovo mi accorsi della porta socchiusa.
La aprii piano ed entrai.
“Stefan!”
L’interno era tutto in mogano, mobili antichi. Tutto era tremendamente silenzioso. Faceva quasi paura stare lì. Rimasi affascinata da quell’arredamento così raffinato, elegante. Guardai verso l’alto soffermandomi su un lampadario di cristallo, tintinnava appena come se ci fosse del vento lì.
“Stefan!” chiamai di nuovo.
La mia voce sembrò quasi rimbombare nel silenzio, a un certo punto in quell'inquietante silenzio sentii un verso alle mie spalle mi spaventai talmente che mi girai di scatto e a quel punto lo vidi, me lo trovai a pochi centimetri di distanza. Mi fissava e mi sorrise in modo criptico. Era un sorriso affascinante eppure da quel momento cominciò l’incubo.






                                                           
 

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Capitolo 2
*** I Capitolo ***


                                 

 
Never Let Me Go
 
Capitolo I


 
“Ciao.” mi salutò dolce.
Rimasi imbambolata a fissare quelle due pozze così azzurre, mi sentivo un’idiota perché non riuscivo ad articolare neanche una parola. In qualche angolo remoto della mia testa volevo ricambiare quel saluto tanto cordiale, ma non mi ricordavo più come si faceva.
“Sei un’amica di Stefan?” mi chiese.
“Chi? Io?” continuavo a comportarmi da ebete.
“Non vedo altre persone nella stanza eccetto noi due.”
Abbassai lo sguardo arrossendo vistosamente. Sembravo una poppante, una ragazza alle prime armi, e in effetti era così. Insomma con Tyler Lockwood ero stata fidanzata per qualche mese, ma poi per incompatibilità di carattere tutto era finito.
“S – sì, io.. sono un’amica di Stefan.” dissi finalmente alzando lo sguardo, ma abbassando subito gli occhi “E tu chi sei?”
“Io mi chiamo Damon e sono il fratello di Stefan.”
“Ah.” riuscii solo ad articolare.
“Ti va di fare un giro della casa?”
“Eeeehm….” mi guardai in giro come se temessi che da qualche angolo fosse saltato fuori un mostro pronto a divorarmi “…non lo so.”
Mi prese la mano e la strinse nella sua, era calda e morbida.
Scattai più per quel contatto che per la paura di quel gesto. Lui pensò che mi fossi spaventata e perciò mi disse: “Non temere. Non ti faccio niente.”
Mi sorrise ancora e così ricambiai con una smorfia più che con un sorriso.
Mi mostrò il soggiorno enorme, la cucina nuova di zecca e che stonava con il resto dell’arredamento, i corridoi con tante stanze adibite ai vari hobby dei due fratelli, le camere da letto. La stanza da letto di Damon consisteva solo in poche cose: un letto matrimoniale, due comodini, una cassa ai piedi del letto e un armadio.
“Non rimango mai molto a Mystic Falls. Ecco perché non c’è molto qui.”
“Viaggi spesso?”
“Sì.”
“Di che ti occupi?” gli chiesi sinceramente interessata.
“Di…. immobili.” mi rispose come se avesse appena trovato una scusa.
“Come mai allora sei qui?”
“Mio fratello doveva tornare qui. Aveva nostalgia di casa e siccome nostro zio Alaric non può occuparsi di lui, sono tornato io assieme a lui.”
“Perché doveva tornare qui?”
“Dimmi di te.” mi disse cambiando totalmente argomento.
“Ehm, beh, non c’è molto da dire. Sono una ragazza normale, tranquilla.”
“Sei solo una ragazza tranquilla? Senza un nome?”
“Oh, no il nome ce l’ho! Mi chiamo Elena.”
Continuava a lanciarmi occhiate curiose e divertite.
“Ho qualcosa di buffo da farti sorridere?” chiesi con raro coraggio, ma vedendo i suoi occhi sgranarsi per lo stupore, avvampai.
“No. Sei solo singolare come ragazza.”
“Singolare?”
“Sì.”
Dov’era Stefan o chiunque altro che potesse salvarmi??
Caroline mi chiamava continuamente perché allora non lo fece?
“Dov’è Stefan?” riuscii finalmente a domandare.
“E’ fuori città. Nostro zio aveva bisogno di aiuto.”
“Capisco.”
“Vieni ti faccio vedere il giardino.”
“Oh no, ti ringrazio ma devo andare. Mia madre mi aspetta.”
“Cinque minuti.” dice guardandomi con gli occhi di chi ti sta pregando di restare.
“E va bene.” dico sorridendo.
Sempre tenendomi per mano mi trascina giù per le scale continuando a parlarmi della storia della casa, della sua famiglia, ma sempre tralasciando la sua vita. Chissà perché, che ragazzo misterioso!
Mi condusse lungo un corridoio lungo pieno di quadri raffiguranti paesaggi naturali.
Aprì la porta che dava sul giardino e ricordo che ne rimasi stupefatta: il giardino era curatissimo, pieno di fiori, c’era anche un ruscello che solcava il retro e il fianco della villa.
“Wow.” dissi senza fiato e sorrisi estasiata.
Quello che mi colpì in particolare fu un cespuglio di rose rosse che cresceva vicino ad un muro di pietra della casa, mi avvicinai estasiata e accarezzai alcuni petali.
“Sai, un mito greco racconta della dea Cloris che inciampando in una bellissima ninfa morta la trasformò in fiore: Afrodite aggiunse la bellezza, le tre Grazie la gioia e la seduzione, Dionisio il profumo delicato, lasciando a Zefiro il compito di allontanare con il soffio le nuvole in modo che Apollo potesse inondarlo di sole. Fu poi donato a Eros, dio dell'amore, che nominò la rosa "regina dei fiori".”
“Wow, è una bella storia.” commentai.
“Simboleggia anche e soprattutto l’amore, la sensualità e la bellezza.” disse staccandomi una rosa con il gambo. Stavo per afferrarlo, ma ritrasse la mano dicendo “Aspetta, tolgo le spine. Così la tua splendida mano non perderà sangue.”
Arrossii appena. Volevo darmi un contegno e sorridergli appena, ma non ci riuscivo proprio. Prese delle cesoie e tagliò via tutte le spine e poi me la porse.
“Mi ha fatto piacere trascorrere un po’ di tempo con te.”
Io afferrai la rosa e ne annusai il profumo, lo guardai mentre mi disse quella frase e sorrisi come per dire che anche a me aveva fatto piacere. Era il ragazzo più affascinante, carismatico che avessi mai incontrato.
Era anche più carismatico del fratello.
“Ora devo proprio andare.” dissi.
“Lo temevo.”
Cominciai ad andare verso la porta per poter tornare dentro ed uscire, ma lui mi prese la mano e mi fece voltare, gli finii addosso e lui mi sorrise come solo lui sapeva fare in modo dolce e al tempo stesso strafottente, sembrava soddisfatto del fatto che gli fossi finita addosso. E forse era proprio così.
“C’è una stradina laterale che conduce proprio sulla strada, vieni.” e così, tenendomi per mano mi riportò sul vialetto principale costeggiando il ruscello.
Ormai lo dovevo salutare, fu lui a stupire me, io lo avrei salutato con un cenno della mano, ma lui invece mi salutò dandomi un bacio sulla guancia. Rimasi stupita e con la testa completamente tra le nuvole tornai a casa.
Naturalmente la mamma e Care erano molto preoccupate, così spiegai loro che ero andata a casa di Stefan, ma di lui non c’era traccia e avevo conosciuto e parlato con il fratello. Non raccontai tutto, ma la mia aria sognante – e soprattutto la rosa – mi tradì.
“Sputa il rospo, sorellina.” mi disse il diavoletto dai capelli biondissimi.
“Di che cosa parli?” chiesi sistemando la rosa in un vasetto verde acqua che avevo preso dal giardino.
“Di quella rosa? O forse dovrei dire di quegli occhi che brillano? O forse ancora del fatto che sembra tu stia camminando su una nuvola?”
Poggiai il vaso sul davanzale.
“Ho scritto una serie di appunti più approfonditi, così non avrai nessuna difficoltà quando tornerai.”
La bionda si gettò sul mio letto prendendo il mio orso di peluche tra le braccia e incrociando le gambe continuò a tempestarmi di domande.
“Allora, com’è il fratello di Stefan? E’ come lui? E’ bello, è brutto, ha la calvizia?”
“Okay, Care, hai vinto tu!” dissi ridendo.
Era impossibile!
“E’ molto diverso da Stefan. Ha i capelli neri lucenti e gli occhi sono così azzurri che sembrano volerti inghiottire, quando parla sa rendere uniche le cose, anche quelle più banali. Ha un sorriso molto particolare, criptico, ma attraente.”
Quando guardo Care ha un’espressione preoccupata e poi esclama: “Ahia! Qui c’è qualcuna che è già cotta!”
“NO! NO!” esclamo quasi gridando “Io non sono cotta del fratello di Stefan, lo trovo solo..”
“Bellissimo, chiacchierone, criptico. Elena, questi tre aggettivi messi insieme sono la tua rovina! Insomma per i tipi così hai sempre avuto un debole.”
“E’ vero i tipi misteriosi mi affascinano molto.” dico sfiorando un petalo della rosa. “Sai, mi ha anche raccontato una leggenda sulle rose.”
“Oddio, Elena, ti sta seducendo! Ricordati che hai quasi 17 anni e lui? Stefan ne avrà 18 e Damon? Sarà sui 20 – 22 - non so. Stai attenta! Rischi – così facendo – di cacciarti in grossi guai.”
“Stai tranquilla, non succederà.”
 
*********
 
Sono passati 6 anni da allora.
C’è un fortissimo temporale in atto.
Sto stringendo tra le mie braccia mia figlia, Astrid, di quattro anni. Ha i capelli foltissimi, castano scuro e liscissimi e gli occhi sono azzurri. Azzurri come quelli del padre. La mia bambina ha paura dei temporali e perciò quando c’è brutto tempo vado nel suo letto a dormire. Si rannicchia sempre e poi piano, piano comincia a respirare sempre più profondamente finché non si addormenta.
Un tuono improvviso la fa svegliare e così geme chiamandomi.
“Mamy” sussurra addormentata.
“Amore, torna a dormire” le rispondo con dolcezza “Fai tanti bei sogni, ti voglio bene”.
“Secondo te anche il mio papà me ne vuole?”
Sento il mio cuore sbriciolarsi a quella domanda così innocente e una lacrima mi riga il volto.
“Ma certo che te ne vuole. E ora fa’ la nanna.”
Le poso un bacio sulla sua testolina e sorrido amaramente.
Aspetto una decina di minuti e poi mi alzo.
Non posso fare a meno di cercare una foto che avevo nascosto sopra l’armadio.

 

 
E’ in una scatolina in stoffa con delle rose, la usavo quando avevo 17 anni: ci sono tutti i ricordi miei e di Damon.. la rosa appassita sopra una foto mia e sua. Una collana con un piccolo cuore d’argento e la sua ultima lettera:
 
Elena,
quando leggerai questa mia io sarò già lontano.
So di essere un vigliacco ai tuoi occhi, ma credimi non avevo scelta.
Non provare a cercarmi – so che ci proveresti – ma ti invito a NON farlo.
Non mi troveresti. Mai.
Damon
 
Non posso fare a meno di piangere su quel fogliettino spiegazzato.
Accartocciato già tante volte eppure è ancora qui con me, le parole sono ancora lì.
Il dolore, quel vuoto sono ancora lì.
Nonostante gli anni passati, nonostante la vicinanza costante di Stefan, Caroline e dei loro compagni April e Klaus. I quattro mi sono stati vicini da subito, ma non pensare a Damon è stato inevitabile. Soprattutto nel momento in cui sono rimasta incinta.
 
Sono Damon lasciate un messaggio.
Damon…. sono ancora io, ti prego, ti imploro, almeno rispondimi. Parliamo e poi… ti devo dire una cosa importante. E’ veramente importante e non posso farlo lasciandoti un messaggio in segreteria. Damon, almeno dimmi perché.
 
Ripongo ogni ricordo, seppellisco ogni lacrima chiudendo la scatola e posandola sull’armadio, poi torno dalla mia piccola che si è girata dall’altra parte del letto.
Mi stendo accanto a lei e posando un bacio sul suo capo mi addormento.
 
°°°
 
2001
 
Damon mi ha completamente stregata.
E’ gentile e poi è pieno di attenzioni nei miei confronti.
Peccato che debba partire!
 
Sono a casa mia assieme a Stefan, Caroline ed April.
“Elena, ti prego, stai attenta! E’ pericoloso.”
“Togli il cd Stefan, hai già rotto i timpani!” gli dico seccata da questo suo ennesimo monito.
“Seriamente, Elena, non sai cosa può fare alle ragazze! All’inizio è gentile, ma poi… senti ti cito solo alcune delle donne che ha preso e trattato male Rebekah Mikaelson,
Isobel Flemming e…”
“E Stefan, Damon con me è diverso. Io mi fido completamente di lui.” dico sorridendo “Sono sicura che non mi tradirà mai.” taccio un momento “Ciao, ciao. Fate i bravi!” dico salutando Care, Stefan ed April.
April Young è un’amica di Stefan – anche se penso sia qualcosa di più per Stefan – ed è tra le ragazze più buone e gentili che abbia mai conosciuto, non le ho mai sentito dire una parolaccia o parlar male di qualcuno e per i suoi modi così garbati, gentili che Stefan deve essersene innamorato.
Esco e la Camaro di Damon è già fuori casa nostra, sorrido come un’ebete ed entro in macchina. Pronta per una bella serata con il mio bel tenebroso dagli occhi di ghiaccio. Mi sorride dolce e dopo esserci scambiati un bacio parte.
Non so verso dove, poco m’importa, sono con lui e quindi tutto andrà bene.
La Camaro si ferma venti minuti dopo davanti ad un motel.
Ho capito, ma ho anche improvvisamente paura.
E se non ne sono capace?
Comprende la mia paura, la mia ansia e mi stringe la mano nella sua.
Non dico niente, ma lui lo capisce.


                                                             
 
Quando chiude la porta, mi guarda e non mi butta sul letto – come temevo – mi accarezza piano delicatamente, mi bacia con trasporto e il resto, le carezze, i nostri gemiti e sospiri vengono naturalmente. Non fa che ripetermi che sono l’unica, che mi ama e io gli credo perché SO che è così. Sento che è VERO.


Quando mi sveglio, lui sta ancora dormendo.
Lo fisso estasiata, ha i capelli nerissimi arruffati dalle mie stesse mani, le labbra schiuse e un’espressione serena. Non credo di averlo mai visto così.
Vorrei sapere perché ha sempre quest’aria preoccupata mascherata a volte da arroganza e strafottenza. Io lo conosco e so che non è uno stronzo.
Io so chi è.

°°°

Ero veramente convinta di conoscerlo.
Credevo di aver veramente visto qualcosa di buono in lui, una luce.
Sicuramente mi ero sbagliata.




******


Note autrice: 

Ciao, io dovrei stare già a letto, ma invece ho cominciato a scrivere e ho fatto questo capitolo e il banner.
Come avrete sicuramente notato la posizione dei personaggi, le coppie sono quasi tutte stravolte. 
Spero di aver scritto qualcosa di decente, di non avervi fatto schifo.
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate.

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Capitolo 3
*** II Capitolo ***


                               

 
Never Let Me Go 

Capitolo II


 

 
La pioggia picchia incessantemente contro i vetri, qualche lampo e i conseguenti tuoni cominciano a farsi sentire. Mi alzo abbandonando i miei bozzetti di moda e osservo il cielo, è un grigio cupo.
I temporali non mi sono mai piaciuti sin da bambina.
Per fortuna la mia cucciola è al momento impegnata a guardare i cartoni animati e quando li guarda può anche venire un uragano, ma nessuno la farebbe muovere.
Sorrido pensando a quel piccolo uragano che solo quando guarda “Peppa Pig” è tranquilla, meno male che ho lei sempre con me!

Purtroppo la mia sorellina è andata ad Atlanta con Klaus, lui è un noto avvocato penalista ed è un uomo molto serio e stimato, come amico è il massimo sa sempre come e cosa consigliarti.
Stefan invece è rimasto a Mystic Falls con April vorrebbero tanto un bambino, ma per ora non ci sono ancora riusciti. Lui è un professore e insegna scienze, lei invece è infermiera.

Come dicevo, sfortunatamente non posso contare su nessuno di loro in quanto – quando sono rimasta incinta – ho lasciato la mia casa natale, la mia città, le mie amicizie per trasferirmi a New Orleans.
Ho cambiato completamente vita.
Ho un lavoro abbastanza ben retribuito, godo della stima del capo Marcel Gerard e della sua ‘compagna’ Davina. Sono stimata professionalmente e questo ovviamente mi spinge a lavorare e a dare il massimo in quello che faccio.

Torno ai miei bozzetti, disegno un lungo vestito blu scuro, intenso…. i capelli neri. Scuoto la testa, il cuore batte incessantemente nel petto.
Accartoccio il foglio non appena mi rendo conto che la mia mente si è persa in quei giorni. Di nuovo. Recentemente mi succede spesso.
Troppo spesso.
Sospiro e mi alzo di nuovo dal tavolo sul quale avevo sparpagliato i fogli e le matite.

Prendo una tazza di caffè bollente versandolo nella mia tazzina gialla. Vado a controllare che mia figlia stia bene, la trovo seduta per terra con le manine a sostenersi il viso e un sorriso a illuminarle il visino. Mi avvicino a lei e Astrid mi sorride tuffandosi tra le mie braccia.
“Mamma, mi fai compagnia?”
“Hai paura del temporale?”
“Nooo.” dice con la sua vocina squillante che mi strappa un sorriso “Solo che voglio guardarlo con te!” mi fa quegli occhioni da cerbiatta ai quali non so resistere.
“E va bene, scricciolo.” le dico stringendola a ma e posando un bacio tra i capelli.

“Mamma” mi dice, poi improvvisamente non parla.
“Che c’è amore?”
“Pensi che papà che ci pensi?” abbasso lo sguardo cupa, ma lo rialzo subito sorridendole.
“Io penso che il tuo papà ci pensi, sì.” dico però con tono non convinto e lei vispa com’è se ne accorge e insiste sull’argomento.
“Perché allora non vive con noi?”
“Amore, il tuo papà viaggia tanto. Adesso è in Europa e sta aiutando gli animali, te l’ho detto, ricordi? Dai, adesso guardiamo cosa combinano Peppa e il suo fratellino.”
“Salva gli animali… perché non ci chiama?”
“Perché non può. E’ talmente occupato che non ha il tempo!”
“Sì, ma io sono la sua piccola!” dice incrociando le braccia e facendo il broncetto.
“Amore mio.” la chiamo destando la sua attenzione “Papà, non si è dimenticato di te, anzi. Sai, ti pensa tutti i giorni e ti vuole tanto, tanto bene.”
“Secondo me invece si è dimenticato di noi.”
Faccio di tutto per trattenere le lacrime e ricacciare quel nodo alla gola col quale sto convivendo da quasi cinque anni.
“No, piccola.”
“E allora perché spesso sei triste?”
Questa bambina è ancora più intelligente di quanto pensassi.
“Perché mi manca, manca anche a me.”
Ammetto.
 
---
 
Corro ridendo come una bambina, Damon mi insegue ridendo e afferrandomi per i fianchi. Mi abbraccia da dietro afferrandomi saldamente tra le sue braccia per poi darmi un bacio dietro l’orecchio.
“Ti amo, piccola.” dice in tono triste “Sei l’unica che riesce a cancellare lo schifo che mi circonda.”
Quella frase mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso, come una secchiata d’acqua gelida.
“Perché?” volto il viso verso di lui guardandolo confusa e un po’ triste per quelle parole.
Vedo la mascella contrarsi e i suoi lineamenti indurirsi.
“Perché ci sono cose del mio passato di cui non vado affatto fiero e che in un modo o in un altro continuano a influenzare la mia vita. I conti col passato non finiranno mai e quando meno te lo aspetti” sospira pesantemente “ti presenta il conto con gli interessi!”
Mi volto completamente verso di lui.
“Perché non mi parli mai di te? Del tuo passato? Mi piacerebbe conoscere anche il tuo passato, non solo quello che è il tuo presente.” dico accarezzandogli i capelli.
“Perché il passato è passato.” mi guarda e la sua espressione è lievemente meno dura “Devo cercare - per il tempo che mi è concesso - di vivere il presente, non di parlare del passato. Sei tu il mio presente, Elena Gilbert. Sei la cosa più bella che mi sia capitata nei miei 25 anni di vita su questa terra. Grazie per amarmi e per sopportarmi.”
Gli cingo il collo con entrambe le mani e gli sorrido “Io ti amo e ti amerò sempre. Non importa se non mi vuoi dire adesso di te, io voglio soltanto capirti.” scrollo le spalle e poso le mie labbra sulle sue. Quelle parole così intense mi fanno dimenticare la mia curiosità verso ciò che era prima di incontrarlo.
La pioggia comincia a picchiettare sulle nostre teste e così ci ridesta dai nostri baci e dalla mia nuvolina rosa. Ci allontaniamo e lui prendendomi per mano mi conduce, per ripararci, sotto una piccola tettoia sotto la quale vi è un tavolo, delle cassette, una sedia senza una gamba. Lo abbraccio stringendomi a lui ad ogni lampo.
“Ho paura.” sussurro contro il suo petto e stringendo nel pugno un lembo della sua maglia verde bottiglia.
Mi accarezza i capelli e mi dice: “Come avrebbe Jim Morrison: «Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto dalle lacrime».”
Lo guardo con le labbra schiuse “Tu hai mai pianto con il volto rivolto verso la pioggia.” mi stringe a sé e mi accarezza piano la schiena senza rispondere.
 
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Stringo mia figlia al mio petto, così come lui aveva fatto con me esattamente sei anni prima. Solo che io non la lascio andare e io non ho mai pianto sotto la pioggia, se non una volta, l’unica volta, quando realizzai che Damon mi aveva lasciata, che mi aveva abbandonata dimenticandosi di me, del nostro rapporto e dell’amore che diceva per provare per me.
Fu terribile, mi sentii come se qualcuno – Damon - mi stesse strappando il cuore dal petto e mi avesse lasciata , sull’asfalto, al freddo, da sola ad appassire.
“Mamma? Dobbiamo andare!” trilla la mia peperina “Dobbiamo andare da Hope!”
“Sì, amore eccomi!”
Le infilo il cappottino e poi infilo il mio, mi pettino passando un po’ le mani tra i capelli ed usciamo. La accompagno a casa di una sua amichetta con la quale ha subito fatto amicizia. Anche lei è senza il papà e forse questo le ha fatte sentire subito unite, ma anche sicuramente per i loro caratteri vivacissimi ed espansivi.

“Ciao, amore mio.” dico salutandola nell’ingresso della casa abbassandomi fino ad avere il volto al suo livello “Divertiti, fai la brava e sii educata, mi raccomando. Dici sempre ‘per favore’, okay?”
“Mamma, sì lo so, non sono più una bambina!” dice dondolandosi e non posso fare a meno di sorridere e dirle che ha ragione e che lei per me rimarrà sempre una bambina.
“Ciao, mammina. Buonanotte.” mi da’ un bacio sulla guancia e poi scappa con Hope nella sua stanza.

“Grazie.” dico alla mamma della bambina, Hayley Williams, poco più grande di me.
“Non preoccuparti. Vuoi bere un caffè? C’è un tempaccio e non è molto prudente guidare con questa pioggia.”
“Lo so, ma” guardo fuori e lampi continuano a illuminare il cielo “e va bene.” sorrido “Grazie.”
Mi sorride dolce. Hayley l’ho conosciuta l’anno scorso durante un concorso d’infermieristica, io non ce l’avevo fatta, lei sì. Non mi era dispiaciuto non entrare, in fondo il mio sogno era altro, ma pur di guadagnare e far vivere degnamente mia figlia avrei fatto qualunque lavoro. Hayley si presentò inizialmente come giovane studentessa, ma poi quando le confessai di avere una figlia e di essere stata abbandonata, lei cambiò completamente espressione e ammise che anche lei aveva una figlia, ma lei era stata sposata e dopo due anni di matrimonio, il padre di sua figlia era morto a causa di un incidente sul lavoro.
Mi rattristai profondamente e da allora ci stemmo vicine e le nostre figlie stanno crescendo insieme.
“Allora a che punto sei con i bozzetti?” mi chiede sorseggiando il caffè.
“Sono ancora a zero. Non riesco a concentrarmi. In pratica ho solo disegnato le sagome e lunedì dovrei presentare almeno una decina di lavori con idee complete.” dico posando il viso sconsolata sul palmo della mano.
“Senti e… come va con la tua piccola?”
“Beh, bene. Mi fa lavorare tanto, ma se non avessi lei…” taccio “Beh, sarebbe tutta un’altra storia.” concludo semplicemente. Abbasso lo sguardo e sospiro.
“Stai pensando a Damon?” annuisco guardandola. “Lo hai più sentito?”
“No.” dico abbassando il tono della voce.
“E Astrid cosa sa, cosa le hai detto?”
“Io…”
“Hayley!” sento trillare mia figlia che compare sulla porta, un’espressione sorpresa le spunta sul viso “Mamma, sei ancora qui!”
“Me ne devo andare?”
“No, ma non dovresti essere già a lavorare?”
“Sì, Grande Capo!” dico sorridendo teneramente alla mia amica.
“Hayley, guarda il mio disegno!” le dice correndo verso di lei. Hayley le prende il foglio bianco tra le mani e lei sorride “Chi sono?”
“Questi sono cani, gatti, i pesci e lui è il mio papà.” sbianco irrigendendomi.
Hayley alza lo sguardo serio verso di me e dice: “Che bello! Perché non fai un altro disegno di te e la tua mamma?”
“Sì.” dice poi correndo via.
Mi alzo stringendomi nelle spalle.
Il cuore martella dolorosamente nel petto.
“E’ davvero dolce quello che le hai fatto credere, ma come credi che reagirà se sapesse la verità?”
“Hay, è solo una bambina!” esclamo guardandola di scatto “Quando sarà grande le dirò la verità.” dico guardando l’oscurità illuminata a intervalli regolari dai fulmini.
“Ora devo andare!” esclamo ridestandomi da quei pensieri “Grazie.” dico baciando le guance della mia amica e poi dopo aver salutato la mia piccolina, scappo.
 
La pioggia è scrosciante, non si ferma.
Metto in moto, diretta verso casa. Mentre guido ripenso a quel disegnino fatto dalla mia bambina, alle bugie che le ho costruito intorno per proteggerla da quella verità, quella verità terribile che non riesco a seppellire dentro di me.

Le lacrime mi appannano la vista e allora accosto, non posso guidare così.
Scendo e prima che me ne ricordi, piango sotto la pioggia.
Singhiozzo.

In questi anni, quando dormo ho sempre – non so bene il perché – posato la mia mano sul cuscino vuoto, su quello spazio sempre vuoto e freddo.
Sono passati i giorni, poi mesi e infine gli anni.
Ho immaginato un percorso insieme fatto di risate, di momenti difficili, ma che avremmo affrontato sempre insieme. Quei giorni hanno solo lasciato un grande vuoto, un grande dolore e tanti lividi.
Mi avevi detto che ero l’unica cosa bella di te, che facevo parte di te… e ora dove sono le tue belle parole e le tue promesse?
E’ tutto finito, tu non ci sei mai stato.
Vorrei che le avesse fermate lui queste maledette lacrime, che mi avesse asciugato i miei occhi umidi con un bacio, di quelli che anche se sei tremendamente triste e ti senti crollare il mondo addosso, ti fanno sorridere e ti fanno ritrovare la speranza e la voglia di continuare, di reagire.
E invece no.
Sono sola sotto questa pioggia, ho freddo, ma non è colpa dei vestiti ormai zuppi.
E’ colpa tua e dell’amore, del mio amore per te.
Quando apro gli occhi mi rendo conto di essere per terra con i vestiti incollati al corpo e con un gran mal di testa. Sbatto le palpebre più volte come per cercare di riprendermi da quello stato di trance, di dolore, di confusione totale.
 
Negli ultimi anni non mi era più successo, erano passati cinque anni da quando scappai di casa per tre notti e tre giorni vagando per le strade di Mystic Falls totalmente confusa, camminavo, ma senza capire dove andassi, con la testa totalmente tra le nuvole, con gli occhi gonfi e senza essere più in grado di piangere, gridare o fare altro.
 
Mi alzo da terra e mi guardo intorno.
Sembra che la pioggia stia diminuendo – finalmente – mi alzo, barcollo leggermente. Sono un totale disastro, mi dispiace per la macchina, ma non posso restare ancora qui, così in questo stato pietoso. Non posso né devo auto commiserarmi.
“Basta, Elena, reagisci.” mi dico tra me e me.
Mi asciugo le mani e il viso, poi metto in moto e mi dirigo verso casa.
Sono quasi le dieci di sera, i pali della luce – per mia sfortuna – sono tutti spenti così aziono i fari abbaglianti per vedere qualche metro in più rispetto ai fari della mia macchina. Non vedo niente e una strana angoscia mi assale.

Accosto di nuovo e chiamo Stefan, è la prima persona che mi viene in mente.
Risponde al secondo squillo, la voce è sempre la stessa tranquilla: “Elena, ciao!”
“Ciao, Stefan. Scusami se ti ho chiamato, so che è tardi, ma sono qui diretta verso casa mia, ma non funziona la luce, ho un po’ di paura e volevo sentire una voce amica che mi tranquillizzasse un po’.”
“Vuoi che ti raggiunga?”
“No, no, non preoccuparti. E’ solo che volevo avere un po’ di coraggio, ecco. Tutto bene?” chiedo cercando di non apparire come una totale codarda.
“Io bene, tu? Hai la voce strana. Sicura che va tutto bene?”
“Sì. Sì, te l’ho detto.”
“E la mia nipotina come sta?”
“Astrid… bene, bene. L’ho portata a dormire da un’amichetta, era da tanto che mi chiedeva questo brivido e perciò l’ho portata e ora sto tornando.”
“Bene, bene.” fa una brevissima pausa “Sicura che non vuoi che venga a prenderti? Guarda che posso, April ha il turno di notte e guardare un film horror con i vampiri non è il massimo!”
“Stefan, no, grazie. So che lo faresti, ma sarebbero diverse miglia e tu conoscendoti sei già in pigiama e pantofole, non fa niente.”
“Mi rivesto! Per te lo faccio, lo sai che ci tengo a te!”
Respiro pesantemente “Lo so, lo so. Tu sei sempre stato così buono con me.” dico con forse troppa enfasi con quel tu.
“Pensi a lui ogni tanto?”
“No!” dico bruscamente mentendo “No, mai. Sto bene, mia figlia è sana, ho un lavoro con cui viviamo decentemente, ho diversi amici e parenti che mi vogliono bene, perché dovrei pensare a lui? E’ stato solo un codardo.”
Stefan non aggiunge nulla per più di un minuto tanto che temo sia caduta la linea, ma così non è e infatti lo richiamo e lui dice: “Elena, ehm… magari ci sono altre spiegazioni!”
“E quali, Stefan? Ho cercato di giustificarlo per le prime settimane, ma poi me ne sono fatta una ragione della sua codardia e totale inaffidabilità.”
“Non pensi di stare esagerando adesso!”
“Stefan, mi spieghi che ti succede? Per anni lo abbiamo condannato, criticato e ora, improvvisamente lo difendi! Perché?”
Sospira. “Scusa. E’ solo che nonostante tutto è mio fratello.”
“Sì” dico in tono più dolce “è vero, capisco. Non sei proprio la persona più affidabile per criticare Damon.”
“Prova con Klaus o con Caroline! Loro ti darebbero tutto il manforte possibile sul definirlo… beh, insomma come sai tu e sanno loro.”
“Stefan, ora vado e cerco di tornare a casa sana e salva, c’è tanto fango per strada e devo guidare piano. Grazie per aver chiacchierato un po’ con me.”
“Prego, vienimi a trovare. Mi farebbe veramente piacere.”
“Va bene. Pensavo di venire domenica così porto anche la monella.”
“Fantastico! Vi aspettiamo! Appena arrivi a casa dammi uno squillo così posso addormentarmi tranquillo.”
“Grazie Stefan, sei un angelo, ti voglio bene e a domenica.” concludo terminando la telefonata.

Stefan è totalmente diverso dal fratello.
E’ sempre stato un bravo ragazzo, viso angelico, buono. Il suo viso mostra chiaramente ciò che prova, infatti quando è felice ha gli occhi che brillano, quando è triste o arrabbiato o teso gli si forma una spessa ruga sulla fronte. Sa sempre dare buoni consigli e quando può – soprattutto se riguarda il fratello – cerca di non dare mai commenti.

Stasera non ho ben capito perché abbia difeso quello stronzo del fratello, perché si è gettato così in sua difesa. Stefan mi nasconde qualcosa e tra un paio di giorni scoprirò questo segreto. La mia mente è così persa nei pensieri su Stefan e sulle differenze tra lui e Damon che non mi sono neanche resa conto di essere arrivata davanti casa.

Traggo un sospiro di sollievo ed entro a casa.
Mi chiudo dentro, inserisco il codice di sicurezza per l’allarme, chiudo gli infissi e poi mi preparo per andare a dormire. Mi corico, lato finestra – lascio solo l’infisso della camera da letto aperta - e chiudo la luce.
 
Mi sono appena svegliata, la luce filtra leggermente dalle persiane ancora abbassate, gli infissi sono chiusi. Odio essere svegliata dal venticello fresco di Mystic Falls o dai penetranti raggi solari. Fisso il soffitto da un po’ e ripenso a quegli occhi azzurri così intensi, anche freddi, ma terribilmente magnetici.
Sulle mie labbra si forma un sorriso.
“Buongiorno.” dice la mia sorellina entrando con un vassoio, quando mi vede sveglia sul suo viso si dipinge un’espressione stupita e le sue labbra formano una o quasi perfetta. “Credevo dormissi ancora.”
Mi metto seduta e le sorrido dicendole: “Buongiorno Care, dormito bene?”
“Io…sì e tu?” mi chiede posando il vassoio sulla nostra scrivania.
Mi alzo e annuso il caffè caldo.
Amo l’odore del caffè, è così intenso.
 
“Che c’è?” mi chiede con un piccolo sorriso curioso che – a mano a mano che vede la mia espressione felice – si ingigantisce e le sue domande si intensificano fino a che non trae la giusta conclusione “Posso riassumere la tua felicità con un solo piccolo nome, Damon.”
“SI.” dico saltandole quasi addosso.
Non so perché mi comporti così, non sono mai stata una tipa frivola o espansiva, soprattutto in questione ragazzi. Anzi, io ero quella prudente e schiva e Caroline la ragazza tutto pepe, espansiva e che attirava sempre tutti i ragazzi.
Beh oggi le parti erano invertite.
 
So che sognando e ricordando al tempo stesso, vorrei svegliare e smettere di ricordare, ma non ci riesco.
 
“Elena? Elena?”
E’ Stefan.
Sento la sua voce così lontana.
 
Cammino, anzi mi trascino i piedi l’uno dietro l’altro, lo sguardo totalmente perso nel vuoto. Mi ferma per le spalle e mi scuote con forza, mi fa voltare e quando vede la mia espressione vuota si spaventa, mi guarda intensamente e mi obbliga a guardarlo, a concentrarmi sul suo viso, sui suoi occhi verdi scuri, sulla sua espressione seriamente preoccupata e cupa.
 
“Elena?” mi chiama ancora.
“Stefan.” sussurro così piano che non sono neanche certa che mi abbia sentita.
Mi accarezza il profilo del viso delicatamente.
“Stefan” ripeto con voce spenta “mi ha lasciata.” guardo oltre la sua figura, vedo la sua macchina, i tergicristalli in azione, la pioggia cade su di noi. Mi guardo le mani sono infangate e c’è anche un po’ di sangue, riguardo Stefan, poi mi osservo e mi accarezzo il ventre “Sono incinta.”
 
Mi sveglio di soprassalto.
Ho un nodo alla gola, mi guardo intorno spaesata.
Passo le mani tra i capelli e me li tiro appena.
Scuoto la testa.
 
Fino ad ora ci ero riuscita: non pensavo a Damon.
Avevo accettato il modo in cui vivevamo.
Accettavo di essere una mamma single e che mia figlia crescesse senza il padre, ma ora… questi ricordi sono diventati pesanti come un macigno.
 
Mi alzo e vado a bere un bicchiere d’acqua.
Mi rendo conto di avere lasciato il telefonino acceso e ci sono due messaggi:
uno è da parte di Bonnie, una mia collega che mi avvisa che i lavori sono urgenti e questo mi agita moltissimo;
secondo è un messaggio in segreteria telefonica di Caroline, lo ha lasciato cinque minuti fa.
 
Controllo l’orologio che segna le 2:35 del mattino.
Mia sorella è matta!
Magari mi deve solo raccontare il suo ennesimo casino a lavoro.
L’altra volta mi svegliò all’alba per raccontarmi di come aveva fatto un dispetto ad una certa Collins NonSoChe e di come avesse questo episodio influito sul suo lavoro.
Mia sorella è un totale casino, ma l’adoro ugualmente.
 
Ascolto il messaggio che mi ha lasciato:
“Elena, mettiti seduta, stesa, ma mettiti comoda!” aveva una voce concitata, la voce di chi ha una notizia bomba e che stenta a non dire “Stefan, mi ha detto che domenica tu e Astrid andrete a Mystic Falls, beh… io ci sarò. Klaus non può, ma io sarò lì.
Non ti lascio sola, okay?”
Il messaggio finì lì.
Che intendeva dire?



****

Note:


Buonanotte/Buongiorno, insomma se non lo avete ancora capito io sono una notturna! XD
Ci lavoro la notte ai capitoli e beh escono fuori questi deliri.

Seriamente, vi volevo solo chiarire che ovviamente il corsivo indica il passato di Elena, i ricordi di lei e Damon.
Poi cosa vorrà dire Stefan ad Elena? E Caroline?
Mumble, mumble... si accettano scommesse.

 
 

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Capitolo 4
*** III Capitolo ***


                         

 
Never Let Me Go

Capitolo III
 


 
Chi t'accarezza più dell'usato,
o t'inganna,
o ti ha già ingannato.


 
Metto la cintura alla mia bambolina e poi ci dirigiamo verso Mystic Falls.
Astrid ama fare le gite, forse perché le facciamo raramente per andare laggiù.
Io preferisco tornarci il meno possibile, a volte è Stefan che viene a New Orleans, altre per impegni loro vado io lì – e questa è una di quelle volte.
La mia bambina guarda tutta eccitata fuori dal finestrino e mi chiede continuamente ‘cosa è questo’ o ‘cosa è quello’, è sempre così curiosa nei confronti di ciò che la circonda e poi con quegli occhioni azzurri scruta tutto e tutti e capisce sempre al volo una situazione, certo la intuisce in un modo molto banale e semplice – è normale, sarebbe strano il contrario! – ma alla fine ha ragione.
Per esempio, Bonnie una volta venne a casa mia e lei si dimostrò molto affettata nei miei e suoi confronti, dopo circa dieci minuti mia figlia mi chiese di andare con lei nella sua cameretta per trovare un giocattolo e lei allora mi disse “Mamma, mandala via, non mi piace. Non ti vuole bene, vuole qualcosa!” e infatti Bonnie cercava dei miei disegni, disegni che avevo già consegnato e perciò non riuscì ad estorcermi.
“Mamma, ma oggi ci sarà anche zia Caroline?”
“Certo, amore.”
“Ma com’è?”
“Non te la ricordi più?”
Ci pensa un po’ inclinando la testa lateralmente e poi mi risponde: “Ha i capelli gialli, gli occhi azzurri e parla troppo.”
Scoppio a ridere. “E’ lei, cucciola.”
Caroline ha fatto colpo anche su mia figlia.
“Amore, hai una zia particolare!”
“Sì, ma però mi piace molto.”
“Amore, ‘ma però’ non si dice.” la rimprovero bonariamente.
“Scusa.” dice calando il viso in avanti.
“Ehi.” dico posando un dito sotto il suo visino tondo, lei però mi sorprende e alza la testa sorridendo “Ti ho spaventata mamma?”
“Eh, sì. Sai che sei proprio brava?”
Guardo avanti.
Questa bambina è speciale e – purtroppo – alcune caratteristiche le ha prese dal padre come gli occhi azzurrissimi, il finto broncio che si tramuta poi in un sorriso, quando sorride le si formano le fossette sulle guance, intuisce subito tutto al volo.
A differenza mia.
“E zio Klaus? Verrà?”
“No, lui deve lavorare.”
“Ah, meno male!”
“Perché? Non ti piace Klaus?”
Scuote la testa con volto serissimo “Mi fa paura. E’ sempre così serio, sorride così di rado. Secondo me nasconde qualcosa.”
“Tipo?” sorrido divertita a quel modo di guardare Klaus.
“E se tenesse rinchiusi gli animali e papà li deve guarire, ma non li trova ed è per questo che non torna?” stringo le mani al volante.
“Tesoro, adesso non essere cattiva.” dico in tono fermo “Klaus, non è un ladro né di animali né di persone. Lui aiuta la gente in difficoltà.”
 
Dopo circa un’ora siamo di fronte all’imponente villa dei Salvatore.
Busso alla porta e Stefan ci accoglie con un gran sorriso.
Mi abbraccia sollevandomi a mezz’aria.
“Mi sei mancata, pulce.” mi sussurra ad un orecchio.
Sorrido.
Mi chiamava così tanto tempo fa.
Gli schiocco un bacio sulla guancia e dico: “Mi sei mancato, orso.”
Io lo chiamavo orso per i suoi abbracci soffocanti, ma abbracci di cui non ti stanchi mai. Mi fa scendere e poi prende in braccio mia figlia che ricambia abbracciando la testa dello zio.
“Prego, entrate.” mi dice “Stai bene con i capelli così..” dice alludendo ai miei capelli attorcigliati intorno ad una matita da disegno.
Scrollo le spalle.
“Purtroppo, April è ancora in ospedale. Dovrebbe staccare per le due, ma non ne sono certo. Avevano un’emergenza quindi…”
“Non preoccuparti.”
“ELENA!” urla Caroline alle mie spalle che mi da’ giusto il tempo di voltarmi prima di abbracciarmi e stringermi un po’ troppo forte per i miei gusti.
“Ok, Caroline.” dico senza fiato.
“Scusa.” dice allontanandosi da me per poi riabbracciarci in modo più dolce e come ci abbracciavamo ogni volta che ci lasciavamo e trovavamo.
“Mi sei mancata, rompiscatole.” dico sorridendo.
La sento sorridere “Mi sei mancata anche tu, brontolona.”
“Come stai?” mi chiede allontanandosi un po’ giusto per avere la possibilità di guardarci in viso.
“Bene.” dico sorridendole e sforzandomi di essere credibile.
“Sì?”
“Sì!” trillo.
Mi guarda con espressione di chi fa finta di credere a quanto detto, ma più tardi indagherà – cosa che sicuramente mia sorella farà!
“Amore, piccola, ciao!” dice rivolta a mia figlia che le sorride sinceramente felice gettandosi tra le sue braccia e schioccandole un grosso bacio su entrambe le guance.
“Te la posso rubare?” mi chiede.
La guardo un attimo interdetta.
“Che vuol dire rubare?” chiede Astrid.
“Adesso zia te lo spiega, vieni con me.” dice prendendole la manina “A dopo.”
Non capisco…
 
Le sento salire, quindi allontanarsi da me confusissima e uno Stefan a disagio.
Mai visto così!
Ha le mani nelle tasche dei jeans e mi guarda come se mi vedesse per la prima volta e non sapesse come cominciare a parlare o quali argomenti trattare.
“Stefan, tutto bene?”
“Certo.” sembra riprendere un po’ di controllo “Sediamoci.”
Ci accomodiamo sull’enorme divano di casa Salvatore, quello sul quale solo due volte mi ci sono seduta, la prima per bere una cioccolata calda tutti insieme – c’era anche Damon stranamente, infatti stemmo ricordo una mezz’ora e poi andammo via – e un’altra l’anno scorso per mangiare la pizza al formaggio preparata da April.
Lo guardo aspettando che inizi, mi guardo intorno, ma niente.
Lui non proferisce parola.
“Come va con April?”
“E’ di April che ti voglio parlare.” sospira pesantemente “Da un paio di settimane, le cose non vanno più bene. Lei è tesa, è agitata. Lavora troppo e poi lo stress accumulato in ospedale lo porta qui, dice che le metto agitazione, che non la capisco.
Una volta ha anche detto che voleva lasciarmi…”
“Stefan” dico posando una mano sulla sua che fino ad ora non ha fatto altro che gesticolare “April, ti ama. Perché non le prepari una bella sorpresa? So che lei impazzisce per le gite improvvisate, organizzati e magari la porti nel bosco in quella radura che scoprimmo io, tu e Caroline quando saltammo scuola!”
Sorride al ricordo e io sorrido di rimando.
“Cerca di essere ancora più paziente, di starle vicino senza soffocarla, di coccolarla con attenzioni anche piccole, ma che sono sicura lei apprezzerà.”
Posa a sua volta la mano sulla mia.
“Grazie, Elena.” mi accarezza il viso “Lo sai, l’affetto che provo per te.
Lo provo da sempre.”
Sorrido “April, all’inizio pensava che tra di noi ci fosse più di una semplice amicizia, ricordi?”
“Sì, ma poi chiarimmo tutto a suo tempo.”
 
Fa una pausa.
“E a te? Come va? Hai trovato…?”
“Qualcuno?” chiedo intuendo la domanda “No” scuoto la testa “c’è un collega che è stato carino nei miei confronti, ma quell’essere carino non è mai andato oltre le mura dell’ufficio.”
 
Abbasso lo sguardo.
“Stefan, sai, è come se nel mio cuore ci fosse ancora un vuoto.
Vuoto che temo non si riempirà mai.
Da qualche parte, io lo aspetto ancora.
Questa è la parte ancora innamorata, irrazionale.
Ma poi mi sveglio da questa stupida fantasia e allora torno alla dura realtà rendendomi conto che Damon non ha mai avuto ripensamenti, non ha mai cercato di scusarsi, di tornare indietro da me e da mia figlia. Quindi capisco che per il mio bene, ma soprattutto di Astrid devo andare avanti.”
 
Sospira pesantemente “Cosa le hai detto?”
“Che il padre è in Europa a salvare gli animali.”
Sorride “Non ce lo vedo Damon che salva gli animali!”
“Non sapevo che dire. E’ senz’altro una scusa ridicola, ma era l’unica che non l’avrebbe traumatizzata per sempre. Tu cosa avresti fatto al mio posto?”
“Avrei fatto lo stesso, anche se non amo mentire, ma se si tratta di proteggere chi amo da un dolore troppo grande per loro, allora sì, sarei disposto a mentire.”
Annuisco.
 
Gli stringo le mani “Meno male che ho sempre avuto te, come punto di riferimento maschile. Sai, Klaus è un brav’uomo, ma non è sai proprio l’ideale di uomo a cui fare una confidenza o stringergli affettuosamente le mani.”
Sorride “Sono onorato di essere il tuo amico, il tuo confidente.” posa un bacio sulla guancia.
Si schiarisce la voce.
Scioglie la prese delle nostre mani e si alza.
Sospira pesantemente.
 
“Cosa c’è? Perché questo… cambio brusco di umore?”
Si stringe le mani nervosamente.
“Elena” non mi guarda in viso e quando non lo fa vuol dire che mi nasconde qualcosa “C’è qualcosa che devi sapere.”
“Ti ascolto!” esclamo non capendo quel mistero e quello sguardo così cupo ed angosciato.
 
“Dopo mi odierai e perderti come amica sarà la punizione peggiore che possa ricevere, credimi. L’ho fatto però perché me lo ha chiesto e lui non poteva fare altrimenti.”
Mi alzo “Stefan, non capisco. Di chi parli?”
“Ti sto parlando di mio fratello, Elena. Di Damon.”
E’ come se mi avessero gettato un secchio d’acqua gelida.
Non riesco a muovere un muscolo.
Nei miei pensieri la sua immagine e il suo volto si agitano ancora, ma quando sento il suo nome o gli altri ne parlava mi paralizzo.
“Cosa c’entra Damon adesso?” chiedo fredda “Abbiamo parlato di te ed April, di Astrid, di me e del nostro rapporto, perché vuoi rovinare questo momento parlando di lui?” chiedo stringendomi nelle braccia e conficcandomi le unghie nella pelle.
“Io ho sempre saputo lui dove fosse.” credo di essere sbiancata “Mi ha solo fatto giurare di…” non lo lascio concludere, lo colpisco con uno schiaffo in pieno viso.
Scuoto la testa.
“PARLA!” urlo “Che cosa sai? Questa volta dimmi la verità!
Non ci posso credere, tu hai lasciato che io mi disperassi, che ti supplicassi di aiutarmi a trovarlo perché ero terrorizzata e non sapevo dov’ero e tu? Tu sapevi tutto.
Magari sai che ha un’altra vita, magari è sposato e ha anche un bambino con un’altra!
Ma come cavolo hai potuto, Stefan?
Io mi fidavo di te e in tutto questo tempo tu mi hai tradito!
Mi hai consolata!
Come hai potuto ingannarmi così?”
Sto tremando dalla rabbia.
“L’ho fatto perché me lo ha fatto giurare e poi lui voleva che tu fossi al sicuro..”
“Stefan, io voglio sapere, dove hai trovato il coraggio di mentirmi per sei lunghissimi anni! Dove?”
“Ti prego, non urlare. Io ti posso spiegare tutto.”
“Davvero? Adesso? No, è troppo tardi.” mi allontano a passo svelto da lui e salgo al piano di sopra: Astrid si è addormentata e Caroline sta – non so – guardando qualcosa al cellulare.
 
La fisso rabbiosa, mi guarda e vedo la sua bocca spalancarsi per lo stupore, certamente il diavoletto non avrebbe mai immaginato di vedermi con un’espressione simile.
“Tu lo sapevi?” le chiedo rabbiosa, ma sforzandomi di mantenere – nonostante tutto – un tono quanto più basso mi fosse possibile.
“Stefan, me lo ha detto qualche minuto prima che tu arrivassi! E’ stato uno shock anche per me, credimi!” trilla tanto che la devo zittire per evitare che mia figlia si svegli.
“Perché non andiamo giù a parlare?” mi propone Stefan.
“Tu” dico puntandogli il dito contro “io con te non voglio più parlare.” torno a guardare mia sorella “Caroline, dimmi che tu non sei sua complice!”
“Te l’ho appena detto, l’ho saputo poco prima che tu arrivassi! Ti pare che ti nascondevo una cosa del genere?”
“Credevo che nessuno mi potesse nascondere una cosa così.”
Rimaniamo in silenzio, sentiamo solo il respiro pesante di una Astrid profondamente addormentata.
 
Caroline mi trascina al piano di sotto.
“Per quanto avresti continuato a mentire? A dirmi che mi volevi bene?”
“Elena, smettila di essere così melodrammatica!” dice Caroline cercando di interrompere il filo di accuse verso Stefan.
“Melodrammatica?!?!? Quel.. disgraziato mi ha lasciato da sola, incinta, disperata, senza un soldo, ho dovuto tirare a campare come potevo e ora scopro che lui sapeva dov’era e cosa faceva e io sarei melodrammatica? Io sono incazzata.” urlo ormai fuori di me.
 
“Elena, lui mi aveva fatto giurare di non dire niente… se avessi potuto lo avrei fatto, ma credi sia stato facile per me mentire su una cosa del genere?”
“Stefan, parliamo e non ci capiamo: quella nella posizione non facile, ero e sono io!
Sono io che sono stata abbandonata.
Sono io che ho affrontato la gravidanza da sola.
Sono io che ho dovuto cercare un lavoro per affrontare tutte le spese, per vivere.
Sono io che ho dovuto crescere da sola mia figlia e tu poi sei quello che hai avuto delle difficoltà?!
Stefan, ti prego, dimmi che scherzi!”
Lo vedo deglutire e abbassare lo sguardo.
“Io non ci posso credere.” dico camminando avanti e indietro per l’enorme soggiorno “Tu mi hai guardata negli occhi per tutti questi anni e non hai fatto altro che dire ‘mi dispiace’ o ‘ti aiuteremo noi’ sapendo che quello.. sapendo dove lui fosse!
Io sono sconvolta.
Tu mi hai guardata negli occhi e mi hai consolata.
Mi hai mentito!
Stefan… tu mi hai sempre detto di volermi bene come una sorella e allora dov’è questo amore? Dov’è tutto l’amore, l’affetto che dicevi di provare per me?”
 
M’interrompo – pregando che qualcuno da lassù mi ascolti – e poi gli chiedo: “Se mi vuoi – o mi hai mai voluta – un po’ di bene, allora dimmi dov’è stato in questi anni e che cosa ha fatto!”
“Elena, mi ha fatto giurare di non dirti nulla. Non posso parlare.
Mi dispiace.”
“No, Stefan, è a me che dispiace.”
 
Non c’è più nulla da dire, né Stefan né Caroline mi fermano quando prendo la mia bambina e sistematala in macchina decido di tornare a casa mia a New Orleans.
 
Ho una mia dignità.
Ce l’ho ancora e non starò qui a supplicare Stefan.
A supplicare un bugiardo.
Lo odio.
Al momento non so quale dei due fratelli odi di più.
Se l’irresponsabile, il pazzo, lo stronzo.
O il falso.
 
***
 
Sfilo le scarpette alla mia piccola e la metto a letto.
Le accarezzo dolcemente i capelli castani e la osservo pensando a tutto un mondo, a tutta un’altra vita che avrebbe potuto essere se lui fosse stato qui.
Scaccio quel pensiero.
 
Damon è il mio passato.
E resterà tale.
 
Vado in soggiorno e con impegno disegno.
Sono quasi le sei del mattino e posso ritenermi soddisfatta: riuscirò a consegnare il lavoro in tempo senza chiedere proroghe o altro.
 
Dopo aver accompagnato Astrid a scuola, vado a lavoro.
E’ un edificio imponente dalle vetrate enormi e sulle quali in bella mostra vi sono due grosse iniziali MG seguite dalla parola Style.
Le porte scorrevoli si aprono e trovo i miei colleghi ad augurarmi un buon inizio di settimana, in particolare c’è Kol che è sempre molto dolce e gentile con me, ha dei modi affabili e sinceri, è un ragazzo al quale ho confidato quasi tutto e so che non tradirebbe mai un mio segreto o non direbbe mai niente a nessuno di me, niente a che vedere con gli atteggiamenti affettati di Bonnie.
 
“Buongiorno, Elena.” mi saluta Kol sorridendomi sorseggiando il caffè appena preso dalla macchinetta.
“Ciao, Kol, come va?”
“Tutto bene? Com’è andato il week – end?”
Scrollo le spalle dicendo solo: “Bene.”
“Il mio l’ho trascorso con Enzo e Rebekah in un pub.”
 
Rebekah?
Dove avevo già sentito questo nome?
 
“Rebekah? La tua ragazza?”
Arrossisce.
“Beh, ci sono uscito un paio di volte, ma credo che a lei piaccia Enzo. Enzo è un tipo più sciolto e poi è divertente. Racconta un sacco di aneddoti sulle sue esperienze in Italia, mentre io sono solo uno stagista di serie b…”
Poso la mano sulla sua spalla “Su, non buttarti giù così! Se non è Rebekah, sarà qualcun’altra, ma prima o poi arriverà. L’amore arriva per tutti e quando meno ce lo aspettiamo.”
Sorride debolmente.
“Se l’amore arriva come è arrivato per te!” esclama prima di rendersi conto della cosa terribile che ha detto. Infatti appena realizza, si copre la bocca e diventa viola in volto. “Oggi non ne dico una giusta, scusami Elena, ora vado. Ciao.”
 
Sospiro pesantemente.
E’ stato brutto quello che Kol mi ha detto, ma purtroppo tremendamente vero.
Io l’amore lo avevo trovato – così credevo – lo avevo afferrato, stretto, assaporato e poi mi era scivolato via tra le dita.
Mi desto da quel futile pensiero e vado da Marcel, il grande capo.
E’ un uomo affascinante, dal sorriso brillante e rassicurante, intelligente e sensibile.
“Ottimo lavoro, Gilbert. Non mi deludi mai.”
“Grazie, signore.” dico sorridendogli soddisfatta.
“Davina, spedisci questi bozzetti, forse riusciamo a fabbricarli per la prossima collezione.”
Sgrano gli occhi “Dice sul serio?”
“Certo. Il lavoro serio e creativo va premiato! Ancora complimenti. Ah, per questi ovviamente avrà un aumento.”
“Grazie, grazie, grazie infinite.”
“Continui così e per lei la promozione potrebbe giungere molto presto.”
Sorridendo a trentadue denti esco dalla stanza.
 
Le altre sei ore di lavoro passano in fretta.
Faccio in tempo ad andare a prendere Astrid a scuola e a portarla alla festa di compleanno di una sua compagna di classe, mentre lei è impegnata io decido di tornare a casa così da potermi rilassare un po’.
O perlomeno provarci, visto e considerato che ormai sono sola e non posso fidarmi neanche di Stefan, di uno dei pochi uomini in cui credevo ancora!
 
Il genere maschile è totalmente inaffidabile.
 
Giungo a casa tutta intera, ho frenato un paio di volte di colpo – troppo presa dai miei pensieri. Troppo delusa. Troppo stanca.
Quando chiudo la porta e traggo un sospiro di sollievo, squilla il telefono.
 
Caroline’.
Sospiro spazientita, sarà dalla parte di Stefan, come sempre!
“Care?” non ho molta voglia di parlare né con lei né con altre persone che conosco al momento perciò il mio tono è molto sbrigativo.
“Ascolta, so cosa pensi..”
“Ma perché tutti pensate di sapere cosa penso, come mi sento, mh? Io sono solo stanca, Care! Stanca di non poter mai abbassare la guardia, stanca di non potermi fidare, stanca di essere circondata da persone che credono di agire per il mio bene, ma alla fine agiscono unicamente per se stessi!!”
Ecco l’ho detto.
“Elena, sei arrabbiata e delusa e ti assicuro che lo sono anch’io, insomma non è da Stefan comportarsi così! Lui è sempre stato così corretto nei tuoi e miei confronti, non comprendo questa sua bugia!”
“Io non le capisco e basta le bugie, Care, lo sai che le detesto con tutta me stessa e che preferisco la cruda verità! Non poteva dirmi che Damon si era stufato di me e che non aveva trovato il coraggio di dirmelo in faccia e così mi aveva mollata, piuttosto che fare il misterioso e dire che non può parlare?”
“Già, ascolta cercherò di approfondire, okay? Indagherò per te.”
“Ma tu non devi andare da Klaus?”
“No.” dice vaga “Resto qui a Mystic Falls e indago, tranquilla sorellina!”
“Se lo fai per me, lascia perdere. Non importa. Ho perso solo un’altra persona a cui tenevo. Sembra che debba farci l’abitudine ormai.” concludo tristemente.
“Non fare così, tutto si risolve. A proposito, appena posso passo da quelle parti e resto un po’ con te, okay? Mi manca dormire sotto il tuo stesso tetto.”
Sorrido.
“Grazie Care.”
 
Senza mia sorella sarei perduta.
 


****
Stefan, Stefan, Stefan.... secondo voi cosa nasconde?
Perché?
E Damon? 
Perché tanto mistero?
Ve la sentite di azzardare qualche ipotesi?



Buongiorno!
Io ho postato di nuovo in notturna, ma mi perdonerete - spero! xD
Grazie di aver inserito questa storia tra le seguite, ricordate, preferite, grazie di cuore 
e grazie anche alle lettrici silenziose che si limitano di passaggio a seguire la mia storia.
Un bacio e al prossimo capitolo.

 

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Capitolo 5
*** IV Capitolo ***


Prima di lasciarvi alla storia voglio scusarmi per il ritardo
e poi vorrei chiedervi, ma non vi piace come scrivo?
Faccio errori?
Anche quelli sono accetti.
Però vedere che le visualizzazioni sono alte, ma le recensioni non ci sono..
non è molto bello.

Comunque, oggi è il TVDay *-*
Emozionate?
Spero tanto che Damon torni presto nel mondo dei vivi anche se a quanto pare tanto presto non sarà!

Bando alle chiacchiere e buona lettura.



            
 

Never Let Me Go 

Capitolo IV

 
“Elena, ti amo così tanto.”
Gli salto addosso, stendendomi sul suo fisico statuario e sorrido.
Sorrido perché sono felice.
Sono felice di stare con Damon.
“Promettimi che non mi lascerai mai, Damon.”
Mi guarda estasiato con quegli occhi blu profondi come l’oceano, mi sposta delle ciocche ricce che mi ricadevano davanti al viso.
“Te lo prometto.” mi sussurra un istante dopo a fior di labbra “Ti amo. Ti amo. Ti amo. Te lo ripeterò all’infinito fino a quando non ne avrai abbastanza.”
Un sorriso ancora più ampio si fa largo sul mio volto “Mai.”
Accarezzo il suo viso, le sue guance e sfioro il suo naso con il mio.
“Non ne hai idea di quanto vorrei poter restare per sempre così con te.” ammetto.
Mi bacia intrappolando le mie labbra nelle sue.
Quando mi bacia, riesce a farmi dimenticare ogni cosa anche il più stupido dei miei pensieri razionali.
Lo scopro fissarmi quando apro gli occhi.
“Ti faccio una promessa, appena finirai scuola ti porto con me.”
I miei occhi si spalancano per la sorpresa e le labbra si schiudono “Ma, Damon… come…?”
Sorride “Non temere, quando accadrà ci penseremo. Però questo ti dovrebbe rassicurare.”
“Su cosa?”
“Non ti lascerò. Non ti lascerò mai.” dice poi facendo invertire le nostre posizioni e pronto a fare l’amore.
 
 
“Damon se n’è andato! Dimenticalo!” grida Stefan scuotendomi per le spalle.
“Stefan, ma… dobbiamo andare a cercarlo! E se è ferito, se.. se.. se gli è successo qualcosa?” chiedo troppo scossa e troppo agitata per razionalizzare la situazione.
“Elena, Damon ti ha lasciato un biglietto” dice facendo sventolare quel pezzo di carta con quelle quattro righe scarabocchiate velocemente “va’ avanti!”
Scuoto la testa portando le mani tra i capelli.
“Io mi rifiuto.”
“Elena…”
“Stefan, mi devi aiutare! Insomma, tu.. tu saprai sicuramente dove può essere andato! Aiutami, ti prego! Tu lo conosci meglio di chiunque altro.”
“Ti sbagli, io non lo conosco affatto.” mi guarda serio.
Lui non si muove, non fa nulla. E’ immobile nel centro della stanza con i suoi jeans chiari e camicia verde bosco. Questo suo non fare nulla mi urta terribilmente.
Perché non mi aiuta?
“Stefan? Stefan? Ti prego, aiuto!”
 
 
Sobbalzo agitando le mani come a voler scacciare quel peso che mi opprimeva.
Il ricordo.
Il mio respiro è pesante, i capelli sono appiccicati alla fronte, non riesco a pensare lucidamente. Dove sono?
Mi guardo intorno e quando riconosco il mio letto matrimoniale con il copertino viola e le margherite realizzo di essere a casa mia, nel mio letto.
Traggo un enorme sospiro di sollievo.
 
Mi alzo e vado a prendere un bicchiere d’acqua e allora mi ricordo…
Astrid!!
“Oddio” sussurro.
Guardo il telefono e noto tre chiamate senza risposto “Hay”.
La richiamo.
 
“Elena? Dove sei ti ho chiamata più volte, ma non rispondevi, stai bene?”
“Hayley sì, sì sto bene. Mi sono addormentata! Astrid?” chiedo agitata.
Cavolo non mi è mai successo di addormentarmi sapendo che mia figlia è fuori!
“L’ho portata a casa da me, ti voleva salutare e chiederti una cosa. Ciao Elena, Astrid è la mamma!” sento poi dire mentre passa il ricevitore alla mia piccola.
“Mamma? Mammina dove sei?”
“Tesoro mio, sono a casa. Scusami, mi sono addormentata. Sai, la mamma è tanto stanca, ma non preoccuparti non succederà più.”
“Non preoccuparti, io sto bene. Hayley mi è venuta a prendere. Mammina?”
“Sì piccola?”
“Posso dormire qui solo per oggi?” sono sicura che ha quegli occhioni da cucciolo indifeso ai quali non saprei dire di no.
“E va bene, ma fa’ la brava!”
“Sì, sì.”
“Amore, come è andata la festa?”
“Benissimissimo! Allora, abbiamo fatto tanti, tanti giochi e mi sono divertita un sacco. Poi mentre stavamo guardando il teatrino delle marionette Jason mi ha tirato i capelli e così l’ho spinto.”
“Amore!” la rimprovero “Non si fa, te l’ho già detto che tante volte!”
“Ma mamma, mi ha fatto male! Dovevo difendermi!”
Ecco un altro aspetto per cui è identica a Damon.
All’attacco risponde.
Se qualcuno la rimprovera – che non sono io – risponde.
Come devo fare per farle capire che la violenza non è la soluzione ai problemi?
E’ vero che è solo una bambina, ma se comincia così però!
“Ascolta, tesoro, le persone ti fanno e faranno tanto male, però tu mi devi promettere che non reagirai più così. Ci sono altri modi!”
“E sarebbe?” chiede curiosa.
Vendicarsi?
E’ la parola peggiore a cui ho pensato.
“Parlare a questa persona e farle capire che solo gli stupidi usano la violenza.”
Okay, forse è troppo per una bambina di 5 anni “Oppure mi dici chi è e ci parlo io prima con lui e poi con la mamma!”
“No, mamma, voglio farlo io! Devo sapermi difendere da sola da subito!”
Sospiro.
“Cosa avete mangiato?”
“Patatine, cipster, delle pizzette piccoline con il sugo e la mozzarella, anche se la mozzarella l’ho tolta, non mi piace!” Sorrido “Pooooi” starà pensando “pop corn e dei dolcetti, i cupcake al cioccolato, vaniglia, pistacchio e nutella e poi c’era la torta ed era grandissimissima a tre piani e pienissima di nutella!”
“Davvero? E tu hai mangiato tutto tutto?”
“Sì, sì. Non potevo lasciarlo lì nel piatto!”
Mia figlia è proprio una buongustaia.
“E ora che farai con Hope?”
“Stavamo colorando un quaderno delle principesse Disney.”
“Brave.”
“Mamma, adesso devo andare, Hope mi sta chiamando! Ti passo Hayley?”
“Sì, amore. Ciao e buonanotte.”
“Ciao mami.” poi sento dei passi e la mia amica mi dice di stare tranquilla e che per qualunque cosa mi chiama o posso chiamare.
 
Chiudo la telefonata e così – più tranquilla – vado a farmi un bagno caldo.
Ho bisogno di rilassarmi, o almeno di provarci.
Ma il relax non dura tanto, infatti dieci minuti dopo il telefono squilla di nuovo; per fortuna lo avevo lasciato vicino alla vasca da bagno.
E’ Kol.
 
“Ciao Kol.”
“Ciao piccola. Volevo chiederti… sì, insomma, ti andrebbe di cenare con me questa sera?”
“Perché no! Mi farebbe piacere passare la serata con un vero amico.”
“Allora ti passo a prendere io.. per le otto va bene?”
“Kol, sono le otto.”
“Oh, allora tra mezz’ora? Muoio di fame, lo confesso.”
Sorrido “D’accordo, mezz’ora andrà benissimo.”
“Niente di troppo elegante, andiamo in una pizzeria. Ti va bene la pizza?”
“E lo chiedi?” chiedo fintamente contrariata “Io voglio la pizza con tante patatine e prosciutto!” dico assumendo un tono infantile che forse non avrebbe usato neanche Astrid. Sono strana, lo so.
“E’ la mia preferita! Allora ne facciamo due così e una con la nutella.”
“Andata.”
“A tra poco, tesoro.”
“Ciao, ciao.” dico interrompendo la telefonata e correndo ad asciugarmi.
 
Ho optato per un jeans chiaro a vita bassa, un top rosa senza bretelle, sopra un cardigan corto giusto per coprire le spalle e una collanina con un ciondolo a forma di cuore piccolo argentato. Niente di troppo appariscente.
Dopo aver indossato le mie fidate – e logore – scarpe da ginnastica e aver preso soldi e telefonino, scendo. Kol è già sotto casa.
Mi sorride dolce.
Mi schiocca un sonoro bacio sulla guancia e mi invita a salire nel suo Maggiolino azzurro chiaro, anzi chiarissimo addirittura da sembrare bianco.
Nel tragitto mi parla della sua musica preferita e molti dei nostri gusti coincidono.
Fa diverse battutine simpatiche e non posso non trovarlo simpatico e al tempo stesso tenero perché si vede che è impacciato.
 
Arriviamo in un batter d’occhio alla pizzeria.
Il cameriere ci fa accomodare ad un tavolo vicino ad una porta finestra che dà su un giardino immenso illuminato da dei faretti posti di tanto in tanto sul prato. Sorrido.
“Bello, vero?” mi chiede.
“Sì.” Kol è accanto a me.
“In questa pizzeria ci sono venuto tipo tre o quattro volte, ma del giardino mi ero reso conto solo la volta scorsa assieme a Bekah.”
“L’hai portata qui?” chiedo curiosa.
“Sì. Ah il nostro tavolo è pronto!” dice illuminandosi in volto.
Ci sediamo e dopo aver ordinato le due pizze e due birre, io mi aspetto che Kol vomiti i suoi dubbi, ansie, paure, ma non lo fa: gioca con la forchetta come un bambino.
Per cercare di farlo parlare gli dico: “Sai, anche mia figlia lo fa!”
Mi guarda e forse rendendosi conto che sta facendo una cosa infantile, si ferma.
“Lena, non mi va di parlarne. Sai, Rebekah è la mia Damon.”
Un crampo allo stomaco mi dà il buonasera, quel nome continua a farmi questo effetto. Non oso immaginare se dovessi rivederlo!
Poso una mano sulla sua e lo guardo negli occhi dicendogli: “Okay, touchée… non mi va di parlare di Damon né di Rebekah se ti fa soffrire.”
Annuisce cupo in volto.
“Kol, non mi hai mai detto molto della tua famiglia. Hai parenti che vivono qui nei dintorni?”
Sospira “Mio cugino, Niklaus. Lo conosci, solo che con il nome di Klaus.”
“Klaus? Klaus è tuo cugino?”
“Sì, di secondo grado e con il quale ho un pessimo rapporto.”
“Perché? E’ un uomo tutto d’un pezzo questo sì, ma non mi sembra cattivo.”
“Cattivo no, solo che.. davanti al denaro non si fa scrupoli.”
“Mi parli di un uomo che non conosco.”
“Meglio così! Forse è cambiato in questi ultimi dieci anni che non l’ho visto!”
 
Restiamo in silenzio per un po’.
Infine Kol decide di rompere il silenzio e chiede: “Lena, secondo te, perché ci innamoriamo sempre di chi ci fa soffrire?”
“Kol, se lo sapessi non sarei qui a soffrire ancora pur essendo stata lasciata da 5 anni!” esclamo brusca, ma poi rispondo in un soffio “Siamo masochisti. Ci attrae il difficile, l’impossibile e non sappiamo apprezzare la semplicità dei piccoli gesti, queste piccole cose ci sembrano quasi stupide.
La verità è che però noi siamo stupidi.
Dovremmo essere in grado di lasciare andare chi non ci vuole e ci tratta come uno zerbino!”
“Lena, ma io non ci ho neanche provato! Posso dire tra me e me ho fallito, senza però averci realmente provato?”
 
E Damon con me ci ha realmente provato?
C’ha provato ad amarmi, capirmi?
O si è limitato a far di me un’altra delle sue conquiste da portare nel suo letto e ammaliare con quelle parole, probabilmente parte del manuale del seduttore?
 
Abbasso lo sguardo, non voglio incupire o demoralizzare il ragazzo accanto a me, ma la frase che mi esce – che doveva essere un modo per incoraggiarlo – diventa un motivo per crogiolarci ancora nelle nostre pene e dolori “Siamo due disperati questa è la verità!”
“Dovremmo creare un club sui cuori infranti.”
“No, è troppo banale! Però magari potremmo metterci insieme e risolviamo così entrambe le cose!” dico prima di rendermi conto di quello che ho detto realmente.
Mi guarda intensamente incredulo e io faccio lo stesso, che figura!
“Ho detto una sciocchezza scusami!”
“Non ci pensare! Tanto lo so che è il padre di tua figlia a cui pensi!”
 
Davvero?
E’ a lui che penso?
Possibile che non abbia ancora imparato la ‘lezione’?
La più cruda e triste lezione della mia vita?
Evidentemente la risposta è no.
 
Posa la sua mano sulla mia e la stringe delicatamente.
“Io sono e sarò sempre tuo amico. Questo non cambierà.
Anche se hai detto una frase infelice!”
Sorrido.
 
A parte quel momento imbarazzante la serata trascorse serena, Kol mi raccontò di alcuni episodi della sua infanzia strappandomi anche una risata sincera, la prima dopo tanto tempo. Questo ragazzo è speciale.
E’ semplice, ma sa come rendere speciale chi gli sta intorno.
 
“Ordiniamo la pizza alla nutella?” chiede passandosi le mani sul suo stomaco piatto.
“Non ce la faccio più, Kol. Questa pizza era immensa.”
“Sì, devo ammetterlo, era più ricca del solito, però io la pizza lo voglio lo stesso!”
Scrollo le spalle e lo sento ordinare un’altra pizza, io non so davvero come faccia ancora a mangiare dopo tutto il ben di Dio che ha già divorato e a non ingrassare!
Lo invidio!
 
Quando portano però la pizza non posso non assaggiare un trancetto di pizza piena di nutella, cavolo quanto mi era mancata la nutella! C’era stato un periodo in cui non la sopportavo e mi provocava la nausea, non per la gravidanza, non so cosa fosse ma m’infastidiva; ora l’adoro!
“Buonissima, eh?”
“Sì, Kol. Mmmh, che buona!” esclamo chiudendo gli occhi per assaporarla, quando li apro c’è un Kol divertito che mi guarda e mi dice che sono buffa.
Alzo lo sguardo e sorrido, quando lo faccio i miei occhi si fermano su un uomo alto, longilineo, la pelle diafana, i capelli nerissimi come la pece, gli occhi azzurri come l’oceano che sembrava stesse per inghiottirmi da un momento all’altro, il sorriso sicuro, sghembo a illuminargli il volto.
 
“Che c’è?”
“Cosa?” chiedo guardando Kol in viso di scatto.
“Sei pallida, ti senti bene?”
Respiro profondamente e guardo di nuovo verso l’ingresso, non c’è più.
Mi guardo intorno, ma non lo vedo più, possibile che la mia mente mi giochi questi brutti scherzi?
“Io.. sì. Ehm, perché non mi fai vedere il giardino? Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”
“Okay, avverto solo così non pensano che ce ne siamo andati senza pagare.”
“Sì.” sussurro mentre mi appoggio alla maniglia della porta finestra e un soffio d’aria fresca mi fa rabbrividire.
Esco e respiro a pieni polmoni.
Mi era sembrato tutto così reale!
 
 
“Hai ripreso un po’ di colore, va meglio?” mi chiede Kol posando sulle mie spalle il suo giubbotto di jeans.
“Sì, meglio, grazie.” dico a testa bassa.
In realtà non va affatto meglio, ho il cuore in gola e mille domande che mi si affollano, chi ho visto veramente?
Gli assomigliava così tanto.
Sembrava lui!
“Vuoi dirmi che cosa hai visto?”
Mi fermo e di fronte a lui rispondo: “Damon.”
Corruga la fronte ed esclama incredulo: “Com’è possibile!”
Sospiro.
E’ una cosa che faccio spesso ultimamente.
“Tecnicamente sarebbe possibile, solo che non so se è la mia mente a giocarmi questi brutti scherzi o se l’ho visto realmente!”
“Tu mi avevi detto che Damon era lontano!”
“Sì. Insomma, così so. Non lo so. Io… non lo so.” dico riprendendo a camminare lentamente.
Camminiamo per un po’ in silenzio, riesco solo a vedere passivamente gli splendidi fiori che adornano il giardino illuminato. Sono così immersa nei miei pensieri che Kol mi deve richiamare e ripetere ciò che mi ha chiesto: “Lena?”
“Eh?”
Mi sorride un po’ a disagio e mi chiede: “Vuoi andare via?”
“Sì.”
“Allora” si fruga nelle tasche “questa è la chiave della macchina, comincia ad andare. Io pago e ti raggiungo subito.”
“Okay.” dico prendendo le chiavi del suo Maggiolino.
Si allontana a passo svelto, mentre io procedo lentamente camminando nel prato umido per raggiungere il parcheggio.
Forse il mio subconscio desidera vedere Damon per poterlo abbracciare, stringere e al tempo stesso vorrebbe vederlo per poterlo schiaffeggiare.
Sento dei passi dietro di me, Kol deve aver già pagato.
Continuo convinta che tra non molto mi affiancherà, ma non lo fa.
Ormai il prato è terminato e sono sull’asfalto, mi volto e lo vedo tra tutti quei fiori variopinti, Damon. E’ immobile a pochi metri da me, è talmente immobile che credo di avere le allucinazioni.
Mi volto decisa a ignorare quelle apparizioni tanto realistiche.
 
“Elena.” mi chiama piano.
Mi fermo di colpo.
Il cuore al galoppo, com’è possibile?
Ora sento anche la sua voce?
Mi giro e lo guardo.
Stordita.
Incredula.
Mi si avvicina e sgrano gli occhi per la sorpresa, è qui.
E’ qui veramente.
Schiudo le labbra, vorrei dire qualcosa, ma le parole mi si strozzano in gola.
“Sono io.” mi dice solo avvicinandosi ancora di più.
Adesso è a mezzo metro di distanza.
“Come stai?”
Come stai? Come stai?
Mi ha davvero chiesto come sto?
Il mio corpo agisce prima di qualunque altra parola, la mia mano lo colpisce in piena guancia e facendogli girare appena il volto. Si massaggia la parte lesa e dice: “Mi aspettavo dicessi qualcosa, ma… in fondo me la merito.”
Lo guardo solo.
Non ci posso credere.
Quel vuoto, tutto quel dolore si rifà improvvisamente largo dentro di me.
E’ di nuovo così vivido.
Così forte.
Riesco solo a guardarlo questo vuoto, non riesco a dirgli nulla.
La mia espressione stravolta parla da sé, credo.
 
 
“Lena, sei ancora qui?” Kol mi raggiunge lateralmente.
Lo guardo stravolta “Ma ti senti male?” mi chiede ancora in modo premuroso.
Io non riesco a smettere di fissare… il padre di mia figlia.
Kol guarda anche lui nella mia stessa direzione, dalle sue labbra esce un sommesso ‘oh’, mi guarda in attesa di una mia parola o azione che però non arrivano.
Io continuo a fissarlo, continuo a cercare i suoi occhi, continuo a sentire il cuore in gola e battere rumorosamente nel petto.
 
Perché lui non va via?
Perché anche lui mi fissa così come se non ci fosse nient’altro se non io?
 
Oddio, che scema, sicuramente si aspettava questo mio blocco!
Mi riprendo come attraversata dalla corrente e torno a guardare Kol, che sembra stia seguendo una partita di ping pong guardando prima me e poi lui, e gli dico: “Scusami, andiamo?”
Faccio qualche passo avanti diretta verso la macchina di Kol, mi segue e prima di salire, guardo di nuovo verso il prato, verso di lui, verso l’unico che abbia veramente amato, ma non c’è più.
 
Sarà tornato dentro da qualche spasimante!
 
Che scema che sono!
Penso tirando su col naso mentre Kol mi accompagna a casa.
Ho sentito un paio di volte lo sguardo del mio migliore amico su di me, ma non l’ho mai ricambiato. Le lacrime rigano silenziosamente le mie guancie.
La macchina si ferma.
Io non riesco a scendere, non so da dove ricominciare a pensare razionalmente.
Respiro a pieni polmoni cercando di resistere, ma un singhiozzo mi tradisce.
Kol posa una mano sulla mia spalla e allora non ce la faccio più: lo abbraccio, stringo il suo maglioncino tra le dita e piango, il mio corpo si abbandona ai singhiozzi che mi sconquassano il petto, singhiozzi che avevo trattenuto per sei lunghi anni. Lacrime, ennesime lacrime, nuove.
“Era lui, vero?” mi chiede tra i miei capelli.
Annuisco solo.
“Okay.” si limita a dire stringendomi un po’ più al suo petto.
Dicono che piangere faccia bene, ma allora perché mi sento anche peggio?
Perché mi sento ancora più sola?
E ancora più confusa, delusa?
Perché non gli sono bastata?
Perché non ha avuto fiducia nel nostro rapporto?
Perché ha avuto paura?
Che cosa gli ho fatto?
Tante domande si affollano nella mia mente e alle quali dovrei trovare una risposta, ma la verità è che sono ancora più incerta di me stessa. E’ come se fossi tornata quella ragazzina di 18 anni appena lasciata, a cui era appena stata tolta la terra da sotto i piedi e annaspasse.
Eccomi.
Annaspo, cerco aria.
L’aria.
La mia aria.
Nonostante abbia mia figlia, il tesoro più prezioso di tutti, io mi sento incompleta.
Lo sarò per sempre.
Questa è la verità.
 
“Finite la lacrime?” mi chiede Kol accarezzandomi le guance umide.
Mi allontano da lui e annuisco accennando un sorriso.
“Con me non devi fingere, va bene?”
“D’accordo.” dico senza guardarlo in viso.
“Mi guardi?” alzo gli occhi su di lui “Io per te ci sarò sempre, okay? Puoi contare su di me anche per la cosa più banale. Puoi chiamarmi anche nel cuore della notte, io per te ci sarò comunque.”
“Grazie.” dico solo. Al momento non saprei dire altro.
Credo che Kol abbia capito però cosa significa per me la sua vicinanza, il suo appoggio costante e i suoi silenzi quanto siano preziosi.
Gli poso un bacio sulla guancia e dopo avergli augurato la buonanotte, scendo e salgo a casa mia. Poso le chiavi nel cestino in legno accanto alla porta, sfilo il cardigan posandolo sul divanetto del soggiorno e sbadiglio assonnata.
 
Bussano alla porta.
Kol che mi dovrà dire adesso?
Apro la porta e non è Kol l’uomo che ho davanti a me, due occhi azzurrissimi mi fissano attenti….
 

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Capitolo 6
*** V Capitolo ***


                    
 
Never Let Me Go

Capitolo V

 



Bussano alla porta.
Kol che mi dovrà dire adesso?
Apro la porta e non è Kol l’uomo che ho davanti a me, due occhi azzurrissimi mi fissano attenti. Cerco di chiudere la porta, ma il suo movimento fulmineo m’impedisce di chiudergli la porta in faccia.
Lo guardo confusa per qualche istante, ma poi i miei occhi diventano rabbiosi.
“Cosa ci fai qui?” sputo a denti stretti.
“Posso entrare?”
“No!” esclamo acida.
“Grazie.” dice entrando e chiudendo la porta sulla quale poi si posa.
Mi fissa, non dice niente.
Si guarda in giro.
“Bella casa!” indica qualcosa alle mie spalle e chiede “Hai una nipotina? Caroline si è fatta mettere sopra ed è rimasta incinta?”
“Damon, che cosa vuoi?” dico ignorando la sua arroganza e maleducazione.
“E’ una bimba tua nipote?” chiede avanzando e prendendo la Barbie di mia figlia.
Gliela strappo quasi di mano e dico: “Non sono affari tuoi e ripeto, che cosa vuoi Damon?”
Si ricompone e per un attimo, solo per un attimo, mi sembra abbia riposto la sua maschera di ragazzaccio arrogante e mi dice: “Volevo poterti parlare tranquillamente.”
“Adesso? Io ho sonno, Damon. Tu forse hai ritmi diversi dai miei, sei abituato a fare come ti pare e a non avere assolutamente considerazione per gli altri, ma ti ricordo che – per fortuna – esistono persone normali su questa terra e che hanno delle regole.” poso la Barbie sul divano “Io non ho tempo da perdere. Non voglio ascoltarti. Francamente… avrei voluto sentire la tua voce molto, ma molto tempo fa. Ora solo sentirla mi fa venire la nausea.”
Spero che queste mie parole dure lo facciano desistere, ma lui non si muove.
Mi guarda e posso giurare che per un secondo sul suo volto ci sia stata un’espressione triste, incupita.
“Non sai perché l’ho fatto…”
“E non voglio saperlo!” lo fermo.
“Oddio dimenticavo che sei così testarda e quando ti convinci di qualcosa niente e nessuno ti ferma!”
“E io dimenticavo che sei uno stronzo senza scrupoli, menefreghista, invasore della privacy altrui e terribilmente noioso.”
Non mi risponde subito, ma poi ribatte con una sola parola che mi fa stizzire “Finito?”
Digrigno i denti.
Vorrei poterlo prendere a morsi e cacciarlo a calci nel sedere.
“Stai combattendo contro la voglia di buttarmi fuori?” dice posando le mani sui fianchi.
Ero quasi riuscita a dimenticare il suo piacere nel provocare gli altri.
Piacere tutto suo ovviamente.
Lo ignoro.
Vado in cucina e prendo un bicchiere d’acqua, forse se lo ignoro se ne andrà, ma non succede. Lo trovo seduto al tavolo e guarda qualcosa, ha una carta sgualcita tra le mani, la fissa e sorride.
Il cuore batte forte, quanto cavolo mi è mancato il sorriso di questo stronzo?
Mi siedo al tavolo e lui allora alza lo sguardo su di me e dice: “Io non ho mai smesso di pensarti, mai. Mi sei mancata terribilmente, Gilbert.”
Mi sei mancato anche tu, sono tentata dal dirgli, ma mi limito ad abbassare lo sguardo. Gli occhi sono tristi e cupi, non voglio che li veda e capisca quanto ancora sono fragile a questa storia.
“Vorrei che vedessi una cosa.” me la porge è sgualcita “L’ho aperta e chiusa talmente tante volte che si è quasi del tutto logorata, ma i ricordi di quei momenti… beh, quelli sono ancora molto vividi.”
Tutte belle parole, ma i fatti?
“Con le parole ci sai fare ancora, Damon, ma con i fatti… con quelli sei un disastro.”
“Lo so.” ammette in un sussurro “Se solo mi lasciassi spiegare.”
“Non voglio.” dico decisa e apro quella che si rivela una foto.
E’ logora in particolare al centro e ai lati, segno che è stata piegata continuamente a metà orizzontalmente o verticalmente. Siamo io e lui.
Felici.
Insieme.


                                                               

“Ti ricordi quando è stata scattata?”
Non aspetta una mia risposta.
“Marzo 2002. Avevi 18 anni ed eravamo andati a vedere la nostra prima partita di basket. Tu desideravi tanto vedere i Lakers e io pur di vedere sulle tue labbra quel meraviglioso sorriso avrei fatto di tutto.
Anche assistere ad uno sport che non mi piaceva!”
“Non ti piaceva?” chiedo confusa “Dicevi di amarlo.”
“Era solo perché vedevo come ne parlavi e volevo renderti felice.”
“Un’altra bugia.” sussurro.
“Una bugia non grave.” puntualizza.
“Già a confronto di altre!” esclamo.
Gli restituisco la foto rovinata, non posso fare a meno di vedere la mia espressione rilassata e un po’ pazza, espressione che di lì a poco tempo sarebbe sparita.
“Elena?” mi chiama, alzo lo sguardo su di lui “Io veramente non ho mai smesso di pensarti e di amarti.”
 
Mi alzo e incrociando le braccia al petto dico: “Io una volta ti amavo. Ma ormai è una storia finita. Finita per sempre. Adesso sei fuori dalla mia vita.” concludo decisa, ma non riuscendo a fissarlo negli occhi.
Si alza, sento strusciare la sedia contro il pavimento.
“Non vuoi neanche provare ad ascoltarmi?
Provare a capire?”
Roteo gli occhi.
Guardo altrove e quei gesti forse gli fanno comprendere il mio assoluto disprezzo nell’averlo davanti, nel non volerlo ascoltare, nel non voler sentire le sue scuse perché ormai tutte le sue parole sono e resteranno delle scuse.
Io non lo posso perdonare.
“Okay.” dice solo.
Mi sfiora le spalle, leggero come una piuma, mi guarda di nuovo e questa volta alzo gli occhi che restano incatenati ai suoi. Se mi avesse guardato così intensamente ancora per qualche istante penso mi sarei gettata addosso a lui e lo avrei abbracciato, ma non lo ha fatto: si è voltato e a testa bassa è uscito.
Solo adesso mi rendo conto che stavo trattenendo il respiro, del resto con lui è sempre stato così. Mi ha sempre provocato un continuo stato di agitazione, un sentirmi quasi trapassare da parte a parte da quegli occhi, come se avesse il potere di leggermi dentro. Temevo intuisse qualcosa dai giocattoli, fortunatamente non è così.
 
Qualcuno bussa alla porta.
Mi irrigidisco di nuovo.. è lui?
Chi è?
Apro la porta cautamente e un ciclone dai capelli biondissimi e liscissimi mi travolge abbracciandomi e stringendomi forte nella sua morsa, Caroline.
“Care! Ehi.” la saluto cercando di trovare un po’ di fiato vista la forza con cui la piccoletta mi stringe.
Mi lascia, permettendomi così di respirare.
“Ciao, El.”
Le sorrido.
“Mi sei mancata.” le dico.
“Anche tu.” tace, i suoi occhietti mi squadrano da testa ai piedi, a cosa pensa?
“Come stai?” alla fine mi chiede.
Abbasso lo sguardo e picchietto le dita sulle braccia “Beh… diciamo bene, mh.”
Non è convincente il mio tono di voce e credo lo abbia capito, ma per ora non approfondisce.
“Hai cenato?” mi chiede alzando di un’ottava la voce.
“Sì, Kol, un collega mi ha portato a cena fuori.”
“Ah!” esclama, mi guarda curiosa e quella luce furba e curiosa che le anima gli occhi “E com’è questo collega?”
“Carino!” esclamo accennando un sorrisino.
“Mh, è successo qualcosa?”
“Caaare!” la rimprovero spintonandola bonariamente.
“Lo sai che io devo essere aggiornata sempre su tutto!!” protesta agitando le braccia e agitandosi sulla sedia.
Sorrido.
“Ti va una tisana alla fragola così ti parlo di tutto?”
“Sì, okay. Ma la mia nipotina?” chiede guardandosi in giro.
“E’ da un’amichetta.”
Si incupisce un pochino, so che lei ci tiene tantissimo ad Astrid. Ci tiene talmente tanto che ogni volta che le vede le porta un vestitino diverso, vestito che alla fine Astrid mette solo quando sappiamo che viene a trovarci.
“Le avevo portato una cosa.” dice delusa.
Come avevo detto!
“Cosa le hai preso?” chiedo curiosa.
“Un paio di ballerine.”
“Grazie Care.” le dico “Quando domani la vado a prendere le dirò che sei passata e…”
“E cosa? Io per almeno tre o quattro giorni resto con te, sia chiaro!”
Oh cavolo!
“Beh, insomma…” è in difficoltà, Caroline Forbes in imbarazzo?
Questa data, il 28 settembre 2014, è da segnare.
“Care” la richiamo “sputa il rospo!”
“Quale rospo?”
“Non fare la finta tonta con me, non attacca. Dai che succede?” le chiedo prendendole la mano.
Si lecca le labbra “Ecco, io e Klaus abbiamo deciso di prenderci un periodo di riflessione..”
“Cosa? Ma… voi due siete perfetti, siete una coppia molto solida.”
“Così credevo, Lena.” dice delusa.
“Ma perché? Che è successo?”
Mi guarda seria in volto, sta per sganciare la bomba quando mi guarda così “Damon è andato nel suo ufficio due settimane fa.”
“Damon? E cosa ci è andato a fare?”
“Non ne ho idea. So solo che da allora le cose sono andate male e Klaus è diventato nervoso, irritabile, ha detto di non volermi tra i piedi.” conclude singhiozzando.
L’abbraccio “Care, dai, le sue saranno state sicuramente parole dettate dalla stanchezza, dallo stress.”
“No” tira su col naso “sai temo si sia stufato di me.”
Le lacrime e i singhiozzi le impediscono di continuare a parlare, l’abbraccio conscia che in questo momento ha bisogno solo di un abbraccio e non di domande o consigli.
“Posso stare qui?”
“Ma certo.” rispondo solo stringendola più forte a me.
 
Vedere così debole e fragile mia sorella mi spezza il cuore.
Lei è sempre stata la ragazza forte e coraggiosa, la ragazza dalla parola facile, quella che vuole essere lei a concludere una conversazione e fa di tutto per esserlo, la ragazza che ruba il gelato dal congelatore alle due del mattino, colei che non tradirebbe mai un mio segreto, ma con me è pronta a dirmi i mille e uno segreti dei nostri amici e/o conoscenti. La ragazza che ha cercato di farmi conoscere gente prima dell’arrivo di Damon e dopo la sua scomparsa, colei che mi ha costretta ad assistere alla prova di trenta vestitini per un compleanno di una persona a cui non teneva neanche particolarmente, la persona con cui restavo a parlare per ore nel letto a confidare le mie difficoltà e i miei momenti dolorosi, colei che finché guardavamo un film o ci facevamo delle confidenze mi voleva nel suo letto dopodiché mi spingeva quasi fuori. Colei che comunque è e resterà mia sorella.
Per sempre.
Tra i suoi alti e bassi.
 
Il giorno dopo mi alzo in punta di piedi: non voglio svegliarla.
Non le piace essere disturbata quando dorme, la conosco troppo bene!
Preparo il caffè e dopo averlo bevuto, faccio una doccia veloce e mi preparo per andare a lavoro. Scrivo un biglietto per la mia biondissima sorella e mi lancio giù per le scale. Faccio appena in tempo a prendere l’autobus che questo parte.
Mi siedo all’unico posto libero dell’autobus in quanto la mia fermata è la precedente allo stazionamento. Mi mordicchio il labbro leggermente nervosa, il tempo sui mezzi sembra non passare mai. Tamburello entrambi i piedi e quando non ne posso più il bus si ferma cento metri prima dell’imponente azienda presso cui lavoro.
Scendo e con passo spedito entro.
Kol mi saluta affettuosamente porgendomi un bicchierino di plastica con dentro del caffè con poco zucchero come piace a me, mentre sto per chiedergli come sta, Bonnie ci interrompe dicendo: “Elena, finalmente ti ho trovata! Marcel vuole vederti immediatamente!”
Quando Bonnie è agitata in questo modo vuol dire che c’è qualcosa nell’aria.
 
La seguo a passo svelto domandandomi cosa l’agita tanto.
Si ferma davanti la porta e mi augura buona fortuna, la guardo interrogativa e poi busso.
“Avanti.”
Apro la porta e non noto subito il sorriso smagliante di Marcel – come capitava da quasi tre anni – ma un paio d’occhi azzurri intenso. Resto di sasso.
“TU.” sputo a denti stretti.
“Vi conoscete già?” chiede Marcel.
Damon lo guarda e gli sorride “Sì, signore.”
“Marcel, cosa posso fare per lei?”
“Damon da oggi lavorerà qui. Ho esaminato il suo curriculum ed è invidiabile.”
Stringo le labbra rabbiosa.
“Quindi” prosegue Marcel “da oggi sarà alle tue dipendenze, guidalo e se sbaglia ovviamente riporti tutto a me personalmente. Controlla che sia produttivo perché ovviamente se non lo è lo manderemo via.”
Damon a quelle parole non si scompose minimamente, anzi con grande tranquillità rispose: “Farò di tutto per dimostrare il mio valore a lei, a tutta l’azienda” mi guarda dritto negli occhi “e ad Elena.”
Deglutisco, colpita da queste parole.
Ho paura.
 
“Ti do’ la responsabilità di indirizzarlo nei lavori. Mi fido di te, Gilbert. Non deludermi.”
“Non lo farò.” rispondo pacata, ma determinata “Andiamo!” invece dico in tono duro a Damon e con un cenno del capo mi congedo dall’ufficio di Marcel.
Cammino velocemente precedendo Damon onde evitare di sentire una sua parola giungere alle mie orecchie e sperando di arrivare presto. Gli indico la sua scrivania e cerco di andare, di scappare via, ma lui mi blocca per un polso bruscamente.
“Ahi, mi fai male!”
“Non mi hai detto cosa devo fare.” odio quando parla in questo modo così dannatamente suadente.
“Ah sì.” faccio il giro della scrivania e prendo tre blocchi di riviste e gli dico “Per oggi scannerizza questi. Domani se avrai completato il tutto ti dico cos’altro puoi fare.”
Gli passo accanto sfiorandolo appena e lui ne approfitta di nuovo per bloccarmi, lo guardo dritto negli occhi sfidandolo quasi con lo sguardo.
“Prendiamo un caffè insieme?”
“No.” dico “Già preso.”
“Dovremmo parlare io e te prima o poi.”
“Diciamo mai, Damon. Siamo stati così.. in silenzio per sei anni, direi che possiamo anche continuare così!”
Lo supero, mi blocca di nuovo e questa volta stringendomi più forte delle precedenti.
“Rifallo” dico puntandogli il dito contro “e vado da Marcel dicendo che mi molesti.”
Molla subito la presa e ne sono felice.
Gli lancio un’ultima occhiataccia e giro le spalle per correre via alla mia postazione, vicino a quella di Kol che mi osserva preoccupato. Lo guardo di sfuggita notando lo sguardo di Damon Salvatore ancora sulla mia figura.
 
Faccio fatica a concentrarmi quella mattina, tra telefonate e un paio di occhi azzurri limpidi e profondi a turbarmi ogni due ore per un qualche chiarimento. Sospetto che lo faccia nel vano tentativo di parlarmi, ma io non gli ho detto più di una parola necessaria ai fini della conversazione.
Alla fine – forse – ci ha rinunciato.
 
“Tesoro, io vado via.” dice Kol sporgendosi verso di me e dandomi un bacio sulla guancia. Aveva finito il suo orario di lavoro “Se vuoi ti aspetto e ti do’ un passaggio io.”
“No, grazie, finisco tra un’ora e poi non mi va che tu aspetti sarai stanco! Prendo il bus.”
“Sicura? Posso aspettare, ripeto.”
Poso entrambe le mani sulle sue posate sulla mia scrivania “Davvero, va’. Non preoccuparti. Nessuno mi mangerà.”
In quel momento Damon passa davanti alla mia scrivania lanciando uno sguardo eloquente prima alle nostre mani e poi si posa sul mio viso, lo seguo fino a quando non scompare oltre le porte dell’ascensore.
Faccio un respiro profondo.
“E’ finita, almeno per oggi.”
“Non riesco a capire perché sia venuto qui! Insomma non mi sembra sia mai stato interessato alla moda o al fare lo stilista.”
Kol scrolla le spalle “Magari ha cambiato gusti!”
“Damon?” sbuffo “Si vede che non lo conosci.”
Damon che cambia qualcosa, un sapore, un abitudine non sarebbe più Damon.
“Mi parlerai un giorno con calma di lui, okay?”
“Se mi va!” esclamo di getto.
Con Kol mi va di parlare, ci sto bene, mi diverto, è un ottimo confidente, ma l’argomento Damon è e resterà un mio capitolo. Un capitolo archiviato nel mio cuore e segreto.
“Okay, buonanotte.”
“Ciao.” dico semplicemente.
Anche lui va via, ormai sono rimaste solo due scrivanie con la luce accesa oltre la mia, quella di Bonnie che è al telefono con non so chi e si sta innervosendo e quella di Andie Star aspirante al titolo di disegnatrice e attualmente in competizione con Damon per quel posto.
Mi è difficile ammetterlo, ma tra i due perfino Damon è migliore.
Almeno lui non si crede – almeno in ambito lavorativo – il migliore pur essendo un incompetente presuntuoso!
 
Respiro profondamente.
Oggi ho solo cominciato a fare qualche schizzo, ma niente di entusiasmante infatti temo di doverci lavorare presto di notte se voglio consegnare puntualmente il lavoro.
Prendo la borsa, spengo la luce della mia scrivania e augurando buonanotte alle due donne prendo le scale e scendo.
Esco e sono rimaste solo un paio di macchine nel parcheggio.
Io mi avvio verso la fermata dell’autobus in quanto la mia macchina è dal meccanico per un problema con il Solenoide, mi pare abbia detto.
Aspetto, ma dell’autobus non c’è traccia, oh no e adesso come faccio?
Sento un clacson e poi una macchina accosta al marciapiede, mi stringo la borsa al petto e m’irrigidisco, quando il guidatore abbassa il finestrino capisco che si tratta di Damon. Sbuffo.
“Vuoi un passaggio?”
Guardo avanti verso la direzione da cui dovrebbe arrivare il pullman “No, grazie. Aspetto l’autobus!”
“L’ultimo autobus è passato un quarto d’ora fa.”
“E tu che ne sai?” chiedo guardandolo.
“Ho sentito una vecchietta chiederlo all’autista.”
“E chi ti dice fosse il mio?”
“Perché passava da Uptown Street dove abiti tu.”
Sbianco “E adesso che faccio!” esclamo ad alta voce disperata prima di rendermene conto.
“Ti posso dare io un passaggio.” dice cordiale Damon.
“No, grazie.”
“Dai, non pretenderai che ti lasci qui da sola!”
“Se è per questo hai fatto anche di peggio.”
“Ho sbagliato. Dai, adesso sali.”
“Piuttosto vado a piedi!”
“Ma smettila di essere così tanto orgogliosa e sali in macchina!” dice in tono seccato.
Guardo verso la strada di nuovo sperando di vedere l’autobus, ma alla fine devo arrendermi e salire nella Camaro di Damon.
 
La macchina procede in modo lento e costante, guardo davanti a me, ma mi è inevitabile lanciargli qualche occhiata di sfuggita. Dopo cinque minuti di silenzio, trovo la forza – e il coraggio – di rivolgergli la parola per la prima volta: “Perché sei tornato?”
Guardo verso di lui e lo vedo fissare la strada sereno.
“Avevo voglia di stare un po’ a New Orleans prima andare a Mystic Falls da mio fratello.”
“Quindi tuo fratello sa che sei qui!” esclamo prima di ricordarmi che Stefan aveva confessato di aver sempre saputo dov’era il fratello.
“Lui sa.” dice solo.
“Perché proprio adesso? Perché sei venuto a lavorare dove lavoro io?”
La macchina rallenta e poi accosta a destra.
Osservo Damon aspettando una risposta che spero arrivi presto. Damon mi guarda negli occhi intensamente e non posso fare a meno di schiudere le labbra per mancanza d’aria e sentire il mio cuore battere forte.
“Devo fare una cosa molto importante e pericolosa, parlarne ti metterebbe in pericolo e… quindi mi dispiace non posso dirtelo.”
Delusa mi volto verso la strada poco trafficata davanti a me, con Damon il passato e la sua vita sono sempre un’incognita e mai un buon argomento per fare conversazione, e la cosa alla luce di ciò che è accaduto negli ultimi anni mi irrita profondamente.
Mi ammutolisco incrociando le braccia sotto il seno, lo guardo solo di tanto in tanto con sguardo offeso.
Sbuffa esclamando: “Non ci credo, lo fai ancora!”
Non dico niente.
“Ehi.” dice sollevandomi il mento verso il suo viso.
“Lasciami in pace.” sbotto cercando di liberarmi da quella sua presa ferrea, ma il tentativo fallisce poiché lui velocemente mi blocca le mani con cui volevo liberarmi di lui e così ci troviamo con i visi a un palmo di distanza.
Il mio respiro si blocca.
Mi è impossibile non fissare quelle labbra carnose, fortunatamente alzo subito gli occhi nei suoi, ora come ora ho solo una gran voglia di baciarlo, ma ricaccio quel desiderio: bacerei un uomo che non conosco, che credevo di conoscere e che alla fine si è rivelato l’opposto. Non posso.
Non posso.
Non posso.
“Non posso.” sussurro leggendo nei suoi occhi il mio stesso desiderio.
“Perché?”
Abbasso lo sguardo e poi lo rialzo fissando attentamente quegli occhi profondi.
“Perché non so più chi sei. Sempre che ti abbia mai conosciuto.” aggiungo.
Abbassa lo sguardo, molto probabilmente ferito, e allenta la presa fino a lasciarmi i polsi.
Non parla per un po’ fino a quando non dice: “Pensavo che tu sapessi quanto ti amavo.”
“Come puoi esserne così sicuro visto che sei sparito così da un giorno all’altro? Il giorno prima sono l’amore della tua vita, quello dopo sparisci come un fantasma! Ho provato a cercarti, ma è stato tutto inutile, Damon! Io ti amavo veramente, per te cosa sono stata io?
Un divertimento? Una conquista?
Una delle tue donne da aggiungere alla tua lista?”
“L’amore della mia vita.” dice con un tono di voce così basso e pacato che mi sembra di averlo solo immaginato.
“Cosa hai detto?” chiedo incredula.
Mi guarda negli occhi e ripete deciso, ma con quel tono dolce con cui mi parlava anni fa “Sei stata l’amore della mia vita.”
“E allora perché mi hai abbandonata e lasciata da sola? Se ero così importante per te, perché mi hai lasciata come se non contassi nulla per te?”
“C’è una ragione ed è legata al motivo per cui sono qui… non posso dirtelo.”
“Va’ al diavolo, Damon Salvatore!” sbotto “Ti trinceri dietro il ‘non posso’, ma la verità è che sei un gran codardo. Ti odio.” sibilo voltandomi verso la strada “Riportami a casa.” ordino furiosa e delusa.
Riaccende il motore e la macchina riparte, nell’abitacolo serpeggia la rabbia, la delusione, il mistero e domina il silenzio.
 
Arriviamo davanti al palazzo e proprio lì davanti c’è… la macchina di Hayley.
Sbianco.
Senza dire niente scendo. Lo sportello della macchina di Hay si apre e mia figlia mi corre incontro, la stringo forte sollevandola e stringendola forte a me, sento altri due sportelli, l’uno è di Hay che scende e mi saluta sollevando solo la mano, l’altro è di Damon.
Oddio.
Mia figlia si stringe a me accorgendosi di Damon, mi volto verso il padre di mia figlia e lui si avvicina.
“E chi è questa bella bambina?” chiede provando ad accarezzare i capelli di Astrid, la quale però scansa la mano.
“Gli estranei non mi piacciono!” esclama con quella vocina squillante.
“Ma io sono un amico della mamma!” esclama Damon con un tono tranquillo.
“Io non ti conosco, quindi per me sei un estraneo!”
Mia figlia che tiene inconsapevolmente testa al padre è uno spettacolo.
“Io sono Damon.” dice tendendole la mano.
Hayley sentendo quel nome sbianca.
Mia figlia la stringe guardando con sospetto prima la mano e poi lui in viso, ma ribatte subito: “Questo non vuol dire che ti conosco! Un nome non basta!”
“Ha un bel caratterino la bambina!” commenta Damon guardandomi, lo guardo fulminandolo appena e pensando che quel carattere in parte lo ha preso da me, ma dall’altro è anche simile al suo.
“Io non sono una bambina! Mi chiamo Astrid!” urla quasi mia figlia.
“Oh che bel nome, Astrid!” dice Damon sorridendole.
Astrid lo guarda ancora con sospetto e diffidenza.
“Okay, signorina, è ora di andare a cena. Ti va?” le dico e lei annuisce “Hay, vuoi fermarti?” chiedo alla mia amica che ha fatto da muta spettatrice.
“Grazie un’altra volta, Hope non si sente bene e non voglio lasciarla sola a lungo.”
“Mi dispiace, salutamela.” le dico.
“Grazie.” dice salendo in macchina, accendendo il motore e andando via.
Per la prima volta – noi tre – restiamo da soli.
“Ora vai, Damon.” dico.
“Non m’inviti a salire?” chiede serio.
“No.” rispondo decisa “Penso tu sappia perché.”
Mi giro pronta a salire quando Damon ci saluta con “Ciao, bellissime.”
Lo guardo contrariata mentre scorgo mia figlia a cacciargli la lingua.
 
Entrate in casa, Astrid mi chiede: “Chi era quel tipo così antipatico?”
“Un amico della mamma, sai, l’ho conosciuto quando andavo a scuola ed è il fratello di zio Stefan.”
La sua boccuccia si apre sconvolta “A proposito” dice “mamma, perché non andiamo a trovare lo zio?”
Sospiro.
Almeno lui DEVE darmi delle risposte.
 
Il giorno dopo io, Astrid e Caroline siamo a Mystic Falls lì dove tutto è iniziato e probabilmente finirà.
Ho detto alle due di restare in macchina prima di devo parlare con Stefan. Da sola.
Busso alla porta e Stefan mi apre.
“Elena.” dice pacatamente, come se si aspettasse di trovarmi alla sua porta.
“Ho bisogno di avere risposte su Damon e non te lo sto chiedendo per favore!*” sibilo afferrandolo per la camicia.


*frase adattata e presa dal primo episodio della sesta stagione

___________


 
Buonanotte!
Lo sapete io sono notturna xD
Anyway, commenti, critiche sul capitolo?
A proposito della sesta stagione di TVD ma avete visto cosa è successo?
Io sono sconvolta e sono in piena fase denial, non so se mi capite.
Cooomunque, fatemi sapere cosa ne pensate e spero alla prossima! xoxo

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Capitolo 7
*** VI Capitolo ***


                     
                 


 
Never Let Me Go 

Capitolo VI 



 
“Ho bisogno di avere risposte su Damon e non te lo sto chiedendo per favore!” sibilo afferrandolo per la camicia.
“Elena, calmati.” mi dice Stefan con quel tono che nei momenti peggiori ha finito con l’irritarmi ancora di più.
“Calmati un corno!” dico lasciando di colpo i lembi della camicia ed entrando dentro.
“Sei sola?” mi chiede circospetto.
“No, Caroline ed Astrid sono in macchina. Ho bisogno che tu mi dica la verità, adesso.”
“Parla con Damon.”
“Ci ho provato, ma non vuole. Fallo tu per lui, Stefan!” lo imploro guardandolo negli occhi.
Stefan mi da le spalle e lo vedo versarsi da bere… Bourbon?
E’ un gesto che faceva Damon quando era nervoso e doveva rilassarsi.
Mi siedo, accavallo la gamba destra su quella sinistra e lo guardo aspettando che trovi le parole, la forza, il coraggio o qualunque altra cosa sia per parlarmi.
Beve un grosso sorso di quel liquido ambrato che, ricordo essere bruciante poi dice: “Stai cercando di giustificarlo, non è vero?”
“No, Stefan. Il tempo delle giustifiche è finito.
E’ tempo della verità e io mi sono stancata di abbassare la testa e aspettare che gli altri mi vengano incontro!” incrocio le braccia sotto il seno “Pretendo la verità e la pretendo da te adesso.”
“Elena, io ti posso dire solo alcune cose. Il resto te lo deve dire lui.”
Annuisco.
Abbassa lo sguardo e poi lo rialza guardandomi: “Damon se n’è andato per proteggerci. E’ entrato in un brutto giro dal quale sta cercando disperatamente di venirne fuori. Ci ha provato sei anni fa, sparendo.
Mi aveva lasciato solo un numero al quale poterlo trovare nel caso fosse successo qualcosa, il numero era intestato a Giuseppe Salvatore. Nostro padre.
Era già morto all’epoca, ma l’utenza non era stata cancellata così lui ne ha approfittato e molto raramente si è fatto vivo in questi anni. Mi ha detto di non cercarlo a meno che non ci fosse stato un problema grave, per il resto si sarebbe fatto sentire lui.”
“Ma non l’ha fatto.” commento stringendo le braccia.
“Non poteva Elena. E poi c’è un’altra cosa…” si volta e prende dal cassetto qualcosa “Te la dovevo dare subito, ma… non so bene il perché non l’abbia fatto.” si volta tra le mani sembra abbia una lettera.
Sono sorpresa.
“Lui l’aveva scritta tre giorni prima di partire e mi aveva chiesto di dartela… è una lettera…” gliela strappo dalle mani e la apro.
 
Elena, amore mio,
mi sono appena svegliato e reso conto che tu non eri accanto a me.
Mi sono sentito inutile e soprattutto tremendamente angosciato.
Devo partire Elena e sapere di dovermene andare senza poterti dare una spiegazione mi distrugge.

Sapere di poterti di nuovo guardare negli occhi tra mesi, anni e trovarti cambiata, diversa, mi uccide.
Ti amo e vorrei il meglio per te eppure sono così tremendamente egoista da desiderare e sperare che tu mi aspetti.
Elena, ti prego di accettare questo mio allontanamento, non vederla – ti imploro – come una fuga perché non lo è! Ti amo immensamente e neanche tutte le lettere del mondo riusciranno a dimostrarlo e neanche centocinquant’ anni su questa Terra basteranno!
La prima volta che ti ho visto eri la ragazza più goffa e al tempo stesso dolce che avessi mai visto, che i miei occhi avessero mai incrociato. Mi hai guardato con quegli occhi grandi e così innocenti che mi hai fatto subito capitolare sebbene il mio sguardo duro e imperscrutabile facciano difficoltà a far comprendere agli altri quelli che sono i miei sentimenti per gli altri.
Ricordi la rosa?
Era il primo gesto romantico fatto in tutta la mia vita. Quello sguardo così dolce e quegli occhi così brillanti hanno riportato la luce nel mio animo buio… un giorno troverò la forza per dirti del mio passato, ma non in questa mia lettera, amore mio.
Avremo il tempo per parlare del passato buio che mi ha marchiato, pensiamo al nostro passato, al nostro presente e a tutto l’amore che mi hai dato e che porterò con me, ovunque vada e che spero un giorno poterti continuare a donare.
Elena, non pretendo che tu capisca questo gesto. Ti chiedo solo di fidarti di me, di avere fiducia nei sentimenti che provo per te, di aspettarmi perché tornerò e non temere, non ti dimenticherò, mai. Te lo giuro!
Ti amo, sei e resterai per sempre l’amore della mia vita,
Damon”
 
Stringo le labbra, stringendo la lettera al mio petto e sentendo il cuore battere forte.
Rileggo le ultime righe, oh Damon, riesco solo a pensare!
“Perché?” chiedo con un filo di voce “Perché non me l’hai mai fatta vedere?”
“Credo tu lo sappia, Elena. Lo hai sempre saputo e ignorato.” lo guardo non capendo “Ti amavo molto, Elena. Più di quanto fosse lecito.”
Le mie labbra si schiudono per lo stupore “Ma tu eri già sposato!”
“E ti stupisce che io potessi essere innamorato di te?”
“Sì.” rispondo sinceramente “Tu sei sposato con April. Mi stupisco eccome!
Come puoi farle questo?”
“Il mio per te è stato amore a prima vista. Sei la prima ragazza con cui mi sono sentito bene… solo con il tempo ho imparato a limare quell’amore per te, anche se da qualche parte esiste ancora nel mio cuore. Sai perché non ti ho dato la lettera?”
Aspetto la risposta, anche se credo di conoscerla.
“Per gelosia” continua “sì, per la prima volta ero geloso di mio fratello. Io il ragazzo sempre in gamba, studioso, cortese, ben voluto ero geloso del mio scapestrato, irrequieto fratello. Lui aveva l’amore della donna che io avrei voluto che mi amasse!”
“E tu per gelosia non mi hai permesso di leggere una lettera?
Tu per gelosia mi hai forzata a pensare in un certo modo di Damon?
Tu per tutti questi anni mi hai sentito insultare tuo fratello senza dirmi niente? E io dovrei essere.. contenta? Stefan, tu… sei peggio di tuo fratello.” deglutisco cercando di ritrovare le parole, parole che lo possano ferire e fargli capire come io mi senta e mi sia sentita ad essere manipolata da chi credevo un amico.
Apro di nuovo la lettera sperando che altre parole – come per magia – compaiano facendo proseguire la lettera. Non succede però.
Ciò che mi resta è una profonda amarezza da ciò che non è stato.
Delusione perché io mi fidavo di Stefan, delle sue parole, della sua amicizia che era come un’ancora al dolore che rischiava di farmi affogare.
Invece, Damon – seppure in modo infantile e codardo – mi aveva avvertita.
Mi aveva chiesto di aspettarlo, grazie a Stefan questo non c’era stato.
“Ti ringrazio per avermi mostrato la lettera, Stefan.” dico con un tono così calmo da far paura perfino a me, suona come troppo calmo in situazioni come questa “Ora vado, ho da fare.”
Volto le spalle, ma lui mi blocca per un avambraccio “Elena” lo guardo “io e te siamo ancora amici?”
“Non lo so, Stefan. Onestamente, ho bisogno di tempo.
Non so quanto.
Non penso tu possa biasimarmi.”
La presa si allenta fino a lasciarmi libera di raggiungere la porta e raggiungere mia figlia e mia sorella, la prima mi guarda con occhietti inquieti avrebbe voluto entrare, l’altra con occhi vispi e curiosi.
“Tesoro, purtroppo lo zio Stefan non era in casa.” dico lanciando a mia sorella un’occhiata eloquente e spero abbia capito cosa le volevo dire tra le righe “Ho parlato con April.”
“Ah, peccato! Ci ritorniamo però, vero?”
“Tesoro” dice Caroline “andiamo a mangiare un gelato gigante?”
“Sì!”
Per fortuna i bambini riescono ad essere presi subito da altri e non ci rimuginano mai troppo. Ora come ora non so cosa fare, devo parlare con Damon e dirgli che so della lettera, ma cosa gli dirò?
Ti perdono?
Ti ho aspettato anche senza sapere che tu me lo avevi chiesto?
Ti amo in modo disperato?
Scanso un paio di volte appena in tempo delle buche enormi, a parte questi due episodi, riusciamo ad arrivare a New Orleans senza troppi problemi.
Prendiamo tre gelati al cioccolato, vaniglia e panna talmente grandi che se non li mangiamo in fretta finiscono per cadere. Astrid con cinque, sei leccate riesce a ridurre la dimensione mastodontica del gelato, io e Caroline andiamo più lentamente. Anzi, io lo lecco ogni due – tre minuti tanto che lo sento colare verso la mano.
“Mami, se non ti va lo mangio io!” propone Astrid.
“No, amore della zia, due gelati ti fanno male. Lo prendo io!” dice Care.
“Ah, ah.” dico allontanandolo dalla sua portata “Dov’è il tuo concetto di ‘dieta’?”
“Non sono più impegnata al momento quindi posso rimpinzarmi, avanti!”
“Non se ne parla.” protesto.
“Oh, che pensiero gentile!” un’altra voce, inconfondibile, Damon che mi ruba il gelato tra le mani e inizia a leccarlo. “Buonissimo!”
“Oddio, ma che fai mi perseguiti?”
“Sei tu che mi segui?”
Sbuffo “Questa è una battuta vecchia, Damon. Andava di moda qualche anno fa, ora è demodé. E tu sei irritante!”
“Tesoro, andiamo a vedere qualche vetrina?” propone Care a mia figlia.
La ringrazio con lo sguardo.
“Cosa vuoi, Damon?” ora ero partita io con il piede di guerra.
“Parlarti.” dice semplicemente. “Non ricordavo che il gelato al cioccolato e vaniglia ti piacesse! Anzi ricordo che era proprio il gelato..”
“Damon…” lo richiamo.
Rotea gli occhi. “Okay, senti ho sbagliato a sparire, ma avevo delle attenuanti.”
“Già delle misteriose attenuanti.” dico con una certa enfasi.
“Elena” mi prende il viso tra le mani e i miei occhi si incatenano ai suoi “credimi se avessi avuto un’alternativa, non ti avrei mai lasciata.”
“Ho letto la tua lettera. Stefan, me l’ha fatta leggere… stamattina.” sgrana gli occhi sorpreso “Non sapevo mi avessi scritto.”
“L’ho fatto.” dice con un sorriso amaro dipinto sul viso “Ora come ora le cose che ho scritto ti sembreranno quelle di un idiota, pazzo, egocentrico, immaturo ragazzo” prende un respiro profondo “solo molto innamorato di una ragazza che gli aveva dato tutto il suo cuore e che lo ha calpestato, dilaniato e non può neanche giustificarsi per ciò che ha fatto.” sospira “Le scuse non sono né saranno mai sufficienti per rimediare al mio errore, Elena Gilbert. Ti prego, però… dammi la possibilità di rimediare, di cercare di riempire quel vuoto che c’è stato per tanto tempo nella tua e nella mia vita.”
“Damon…” sussurro “io ho paura.” confesso.
“Di cosa?” chiede accarezzandomi il viso.
“Di… me.” concludo. Anche se non è del tutto vero.
“Elena?” lo guardo “Io so che non sarà facile dimostrarti che non me ne andrò più.
Abbiamo tempo però, okay?
Possiamo recuperare il tempo perduto.”
“Damon” dico riacquistando sicurezza “il punto purtroppo è che il tempo perduto è perduto e resterà tale. In questi anni tante cose mi sono successe, tante sono cambiate.
Io sono cambiata.
Tu eri la mia certezza dopo Caroline, eri il mio porto sicuro, la roccia a cui aggrapparmi quando annaspavo. Poi sei sparito e ho dovuto imparare a nuotare da sola. Anche contro le onde più alte e pericolose.
Ho rischiato più volte di affogare, ma alla fine ce l’ho fatta.
Ti ho amato, molto, Damon, ma le cose – una volta rotte – non si possono incastrare di nuovo e sperare che tornino come prima perché questo non sarà mai possibile.”
Mi guarda come se non avesse capito cosa intendo.
“Damon, tra me e te non potrà esserci mai più nulla.” dico sicura.
Allontana le sue mani dal mio viso.
“Non vuoi darmi neanche una possibilità? Una speranza?
Mi condanni a morte senza che possa chiamare la difesa?”
“Damon, la tua difesa è la verità. Dimmela. Dimmi perché mi hai abbandonata e..”
“E cosa? Le cose rotte si aggiustano e i pezzi tornano a combaciare come per magia? Sei un po’ incoerente, non credi?”
Abbasso lo sguardo, ma lo rialzo subito “Volevo capire, visto che però a te tutto questo ti sta bene” scrollo le spalle “okay, abbiamo finito di parlare.”
Volto le spalle “E’ per la tua sicurezza che l’ho fatto, Elena.
Per te, per Stefan, per le vostre vite!”
“Davvero? Oh che gesto eroico!
Ascolta, qualunque sia la tua motivazione ti prego di parlarmene ora, altrimenti mi costringerai a pensare che tu te ne sia andato per altri motivi.”
Deglutisce “Oh, Elena. Sono stato coinvolto in qualcosa di più grande di me.
Dovevo andar via nella speranza che loro dimenticassero, ma non è stato così. Mi hanno trovato e ora devo pagare quel debito o se la prenderanno con te e… io non posso permetterlo.” dice con tutta l’enfasi possibile.
Lo guardo in volto ed è la prima volta in cui scorgo nei suoi occhi paura e dolore.
Non ci penso su molto che gli accarezzo il viso con entrambe le mani.
Mi osserva, guarda i miei occhi e poi fissa le mie labbra, so a cosa pensa perché per un istante ho pensato anch’io di posare le mie labbra sulle sue e baciarlo con tutta la passione che ho represso in questi anni, ma prima che lui possa anche solo avvicinare il suo viso al mio, poso un dito su quelle sue splendide labbra.
Scuoto la testa.
“Non posso.” dico la più terribile delle bugie.
“Perché?”
“Sono impegnata con un altro, Damon.” mento spudoratamente.
Sgrana appena gli occhi e schiude le labbra, allontana le mie mani dal suo viso, volta le spalle e si stringe forte i capelli.
“E’ tutta colpa mia.” lo sento gemere con un tono – che non dimenticherò mai – pieno di dolore.
 
, penso, ma non è stata solo tua.
Anche di Stefan.
E ora anche mia.
 
Ma posso fidarmi così di nuovo e di colpo di qualcuno che mi ha lasciata e il cui motivo resta oscuro?
Posso aprirmi e dirgli che ho una figlia?
Sua figlia?
 
Sospiro “Damon, mi dispiace.” dico l’unica cosa a cui penso in questo momento.
Scuote debolmente la testa.
“Dispiace a me, piccola.” si giro e vedo i suoi occhi… lucidi?
E’ possibile?
Avvicina il suo viso al mio, trattengo il respiro, se mi bacia ogni mia resistenza crollerà ne sono certa.
Posa la fronte contro la mia, lo vedo chiudere gli occhi e una lacrima spicca il volo lungo la sua guancia e poi fino a terra, è una frazione di secondo. E’ stato tutto talmente veloce che per un attimo penso di averlo immaginato.
 
Quando riapre gli occhi e li posa sul mio viso, il suo volto è di nuovo una maschera imperscrutabile, dura e con quel sorriso beffardo e che mi ha sempre dato i nervi.
“Non è finita così.
Non lo permetterò.
Ciao tesoro.” dice posando per una frazione di secondo due dita sotto il mento permettendogli così di guardarmi dritto negli occhi e farmi capire quanto quella “minaccia” sia seria.
 
Con quel sorrisetto arrogante e strafottente se ne va.
Caroline mi si avvicina di lì a pochi secondi guardando verso Damon che è salito sulla sua Camaro e sta andando via, mi chiede: “Cos’era tutta quella scena?”
“Niente.” rispondo di getto.
“Se quello era niente allora io sono Michelle Obama!”
“Tu non sei di colore!” sbotto irritata.
“Appunto. Ehi, sveglia, quello è sempre lo stesso Damon, quello che ti ha abbandonata, ricordi?”
“Ti prego, non infierire.” dico cercando di sottrarmi al suo sguardo.
“Io invece in quanto tua sorella, ti voglio bene e voglio vederti serena, okay?
E’ chiaro che con Damon questo non accadrà mai!”
“Oddio ora sei anche una wedding planner?!”
“Wedding no, ma… guarda chi sta giocando con Astrid!” dice spostandosi così che io possa vedere: Astrid è sull’altalena e urla ‘più forte, più forte’ dietro di lei, Kol.
Lo guardo.
Sì, Kol… sarebbe perfetto.
“Allora?” mi chiede Caroline con quella luce che alle volte mi spaventa.
“So cosa fare.” dico avanzando a passo deciso verso di lui.
 
“Elena!” mi saluta Kol sorridendomi sinceramente felice.
“Mami, hai visto come vado in alto?”
“Che brava! Mantieniti forte però, okay?” le dico apprensiva “Kol, ti prego, non così forte.” lo rimprovero bonariamente.
“Sì, hai ragione.” dice lasciando così rallentare la bicicletta fino a farla fermare.
“Mami, posso andare con zia Caroline sullo scivolo?”
“Okay, ma stai attenta…”
“Mamma, lo soooo.” dice agitando le manine.
“Volevo dire, stai attenta a tua zia!” dico sorridendole.
Ride e poi corre verso quella maniaca del controllo, perfezionista quale è mia sorella.
 
Guardo Kol e devo dire che è davvero un bel ragazzo.
Troppo timido e insicuro forse, ma è molto protettivo e dolce nei miei confronti.
“Perché mi fissi?”
“Kol, stavo pensando ad una cosa… t’imploro di non pensar male di me.
Ti andrebbe di uscire insieme qualche volta?”
Il giovane mi fissa incredulo e poi sorride divertito: “Dì la verità è uno scherzo!”
Abbasso la testa e stringo le mani nervosamente poi parlo “Kol, è solo un’uscita tra amici. Non ti chiedo di certo di fidanzarci perché… insomma ognuno ha il cuore e la mente impegnate.”
Sembra convincersi poiché annuisce e poi sorridendomi dice: “Okay, se è così.”
Lo abbraccio.
 
 
*****

Okay e adesso?
Elena e Kol cosa combineranno?
E Damon?

Ipotesi? 
Commenti?
Alla prossima.

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Capitolo 8
*** VII Capitolo ***


Buonasera!

Sono tornata con un nuovo capitolo e in ritardo volontariamente.. il perché insomma lo dovreste dedurre da sole.

In ogni caso ho intenzione di portare a termine questa storia perché lasciare le cose incomplete non mi piace.



           



      

                  
 
Never Let Me Go 

Capitolo VII 

Sono passate tre settimane da quando ho fatto quella ‘proposta’ a Kol, proposta che lui accetta di buon grado. Ci troviamo bene insieme, parliamo di tutto e siamo diventati buoni amici.
Non so cosa farei senza di lui.
In particolare siamo molto uniti sul lavoro, sospetto che abbia capito il mio volere la sua vicinanza a tutti i costi, non si è mai lamentato però, anzi.
Questa mattina – come le ultime dodici mattine – Kol mi viene incontro sorridendomi felice, mi abbraccia forte e poi posa un bacio molto delicatamente sulla guancia vicino alle labbra. La prima mattina mi sono un po’ irrigidita, la seconda però dopo che mi ha fatto un occhiolino come a volermi far capire che tutto andava bene e che non dovevo preoccuparmi, mi sono rilassata e ho accettato di buon grado quell’accoglienza. Questa mattina mi sono lasciata un po’ prendere la mano accarezzandogli il viso e sorridendogli dolcemente.
Spero con tutto il cuore che questi miei gesti e attenzioni siano interpretate nel modo giusto e che non finiscano col ferire il mio migliore amico.
Quando vado verso la mia postazione, Damon mi sta fissando con aria contrariata e sentirmi perforare da quei due occhi blu mi manda fuori di testa ogni volta.


                                                                                          

Ancora.
“Che hai da guardare?” sbotto dura.
Scrolla le spalle “Buongiorno anche a te.”
Sbuffo alzando gli occhi al cielo.
“Ha chiamato qualcuno?”
“Solo un fornitore di tessuti mentre tu eri impegnata a fare la svenevole con Kol.” dice acido.
“Il tuo compito è prendere ordini da me, non fissarmi o giudicarmi!
Non ne hai il diritto.”
Si alza velocemente dalla sua postazione e mi raggiunge, mi spavento quasi di quello scatto, i miei occhi lo seguono attenti e poi lui dice: “Perché ti comporti così? Sembra che tu lo stia facendo per ferirmi.”
Sbuffo “Ascolta, qui nessuno sta ferendo nessuno.
Sto solo semplicemente vivendo la mia vita e tu, caro Damon, sei solo il mio passato.” dico girandogli le spalle.
“Un passato che temi, che ti rende nervosa.”
Mi blocco all’istante.
“Puoi negare quanto vuoi, puoi dirmi che sono pazzo, che io e te non avremo un futuro, ma io so che comunque – in qualche modo – c’è ancora un legame tra noi.”
 
Temo di sentirmi male sul serio, quelle parole mi colpiscono come una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno, ha detto la verità anche se a sua insaputa.
Io e lui saremo sempre legati da nostra figlia, quel legame esisterà sempre.
Anche se mi sforzo di ignorarlo, ci sarà per sempre.
 
Faccio uno sforzo enorme per controllarmi e rispondere con calma, non deve trapelare ansia, paura, tremore dinanzi a quella sua affermazione.
Lo guardo stanca in volto “Damon” scuoto la testa “l’unica cosa che ci legherà sarà la sofferenza e l’amaro in bocca che ha lasciato questo rapporto.”
Poi vado via allontanandomi da quel volto che nonostante tutto amo ancora.
Anche se mi ostino a negarlo.
 
Per fortuna riesco a lavorare, ad essere “produttiva” come direbbe Marcel.
Almeno fino a quando Damon non mi si avvicina e chiede quale sia il suo prossimo incarico, gli dico di disegnare tre o quattro modelli, qualcosa di creativo.
Cosa che sono costretta a dire anche ad Andie visto che i due aspirano allo stesso posto. Dopo tre o quattro ore Damon ed Andie mi mostrano i loro bozzetti e purtroppo Damon non è un grande artista.
Voglio aiutarlo.
Penso per un decimo di secondo, ma poi mi rendo conto che se lo faccio, non sarei obiettiva. Osservo meglio i disegni di Damon: ha rappresentato una donna dai lunghi capelli lisci e castani, un vestito rosso con quella che sembrerebbe essere una monospalla arricchito da una cintura color cuoio e tacchi a spillo neri.
Non è un granché, è un vestito già visto.
Sbuffo alzando la testa verso il soffitto e chiudo gli occhi.
Devo ascoltare la parte distaccata di me o quella che desidera comunque e nonostante tutto aiutare il padre di sua figlia?
“Damon.” lo chiamo.
Alza lo sguardo verso di me e lo invito ad avvicinarsi con gli occhi, si alza e mi si avvicina. Prende una sedia con le rotelle e si siede accanto a me, è la prima volta che siamo seduti così vicini e devo fare un ulteriore sforzo per dirgli che i suoi lavori non sono un granché. Vedere sul suo volto quell’espressione dispiaciuta mista ad un’espressione delusa mi costringe ad essere dispiaciuta per lui e a parlare prima di rendermene conto: “Se vuoi ti posso aiutare.”
Mi guarda sorpreso “Davvero?”
“Mh, mh.” dico con espressione tranquilla.
“E’ la prima volta che non sei aggressiva nei miei confronti, lo sai.” mi dice spostandomi una ciocca di capelli.
“E tu non perdi mai l’occasione di flirtare.” dico posando una mano sotto il suo viso.
“Non sto flirtando con te.” dice con espressione di chi dice qualcosa di ovvio.
“Ah no? Okay, allora facciamo…” penso a quando Astrid non è a casa “dopodomani alle 12?”
“Okay.” dice “E cosa dirà il tuo fidanzato?”
Abbasso lo sguardo, non so se voglio continuare a mentire su questo aspetto…
“Non preoccuparti.
Non avrà niente da ridire per un incontro di lavoro.” dico sottolineando le ultime tre parole.
Stringe le labbra e poi torna al suo posto.
Mi tocca invece fare i complimenti a quella smorfiosa e tutto – so – io di Andie che si alza con aria trionfante di chi ha già vinto. Ma la competizione è ancora aperta e niente è già stato deciso.
 
Sono le sei e finalmente il mio turno è finito.
Prendo l’ascensore e scendo fino al parcheggio. La mia macchinina è stata riparata e ora è di nuovo funzionante.
Metto in moto e mi dirigo verso casa mia, c’è poca gente per strada: sospetto sia colpa del clima uggioso e freddo. Guido lentamente a posta, passo per un paio di stradine poco frequentate e poi svolto a destra, devo passare sotto un ponte per dirigermi verso casa, quando vedo una scena che mi scuote nel profondo.
Due tipi stanno pestando un terzo che cerca di proteggersi e reagire a quei colpi inferti con tanta violenza, prima di pensarci, mi fermo illuminando quello spettacolo sconvolgente e apro lo sportello. I due si accorgono della mia presenza si fermano e mi corrono incontro, mi si gela il sangue nelle vene, uno mi scaraventa a terra e l’altro mi intima di dimenticare di averli visti. Tremo.
Dopo un minuto circa mi ricordo del terzo individuo che giaceva lì nella fanghiglia.
Era a pancia in giù, giubbotto e pantaloni scuri imbrattati dal fango.
“Ehi.” lo chiamo “Mi senti? Chiamo qualcuno.” dico.
Quando solleva il capo, sobbalzo.
E’ Damon.
Dal naso perde sangue che cola fin sulle labbra e sul mento.
Ha le mani posate a terra nella fanghiglia, sporche.
“Come stai?” chiedo sinceramente preoccupata.
Si gira lentamente a pancia in su e geme sonoramente.
Gli occhi chiusi e un’espressione contratta sul volto mi fanno capire che sta male e che ha bisogno d’aiuto.
“Aspetta, chiamo qualcuno.” faccio per allontanarmi, ma mi blocca per il polso.
“No… no..” biascica “El.. ena, aiutami, ti prego.” dice tendendomi le mani.
“Aspetta.” dico stringendo la sua mano e posando l’altra dietro la sua nuca affondando così nei suoi capelli neri e folti e lo aiuto a mettersi seduto.
“Ahi, ahi.” dice sommessamente.
Geme una volta seduto.
Gli occhi stretti in un’espressione sofferente mi fa capire che qualcosa non va.
“Damon, ma tu stai male!
Devo portarti in ospedale e chiamare la polizia!”
“No, no.
Se avessero voluto uccidermi, lo avrebbero già fatto.”
Sgrano gli occhi e le labbra si schiudono per lo stupore.
“In che guaio ti sei messo?” chiedo in un sussurro.
 
Apre gli occhi e mi lancia un’espressione carica di dolore.
“Quello da cui avevo cercato di proteggerti tempo fa.”
Sapere Damon in queste condizioni mi toglie il respiro poiché mi sento impotente di fronte alla sua ostinazione, di fronte a quei no tanto determinati, non so cosa fare gli resto accanto: inginocchiata nella fanghiglia.
Geme di nuovo e si stende di nuovo.
“Damon, dobbiamo andare subito in ospedale, lo capisci?”
“Elena” mi guarda e scuote la testa “non è niente. Mi hanno solo dato qualche pugno e un paio di calci. Era solo un avvertimento.”
“Ma avvertimento per che cosa?”
“Ti prego, Damon, parla!” lo imploro, ma lui scuote solo la testa.
“Lo capisci che lo faccio solo e soltanto per te?
Voglio saperti al sicuro, costi quel che costi.
Non devi immischiarti nella mia vita.
Ce la faccio da solo.”
Mi irrigidisco, la mascella si contrae e la vista mi si appanna, sto lottando per non piangere come una stupida davanti a lui, non so come faccio, ma ci riesco.
“Fatti medicare almeno!”
“Vieni da me, però.” dice.
Annuisco solo.
Piano, piano ce la fa a mettersi in piedi e a raggiungere la macchina.
Mi guida.
Vive in un appartamento al terzo piano.
Prendiamo l’ascensore per arrivare, salire a piedi per lui sarebbe stato troppo, credo.
Apre la porta e accende le luci.
L’appartamento ha un arredamento molto semplice, qualcosa è moderno, qualche altro sembra antico, o comunque da’ quell’idea.
“Da dove hai preso questa roba?”
“Mercato dell’usato.
Non posso permettermi granché ormai.”
“P… volevo chiederti il perché, ma immagino sia inutile con te, vero?”
Sparisce nel piccolo corridoio e torna con un kit medico con tutto l’occorrente per essere curato come meglio è possibile.
Si siede sulla sedia e ne prende un’altra di fronte alla sua sulla quale qualche istante dopo mi ci siedo.
“Se non ti dico di me, Elena, è solo perché – mettitelo in testa – voglio il meglio per te. E per meglio intendo la tua sicurezza, non m’importa di essere odiato da te perché so che mi odi, ma se saperti salva comporta il tuo odio nei miei confronti… beh, così sia.”
Osservo il suo volto, osservato tante volte quando dormiva, quando parlavamo di noi, dei nostri progetti futuri, ma questa volta è come se lo osservassi per la prima volta dopo anni. Il suo volto è serio, non c’è traccia della sua famosa ironia, della sua aria divertita e perennemente ironica, questa volta è drammaticamente seria.
“Non ti importa che ti odi?” chiedo.
“No.” risponde secco.
Prendo ovatta e acqua ossigenata, la passo sullo zigomo leggermente escoriato e lui si limita a chiudere gli occhi. Non geme né si lamenta, restiamo in silenzio.
“Sei felice?” mi chiede improvvisamente guardandomi.
 
Mi sono fatta questa domanda tante, tante volte e puntualmente era un sì decisamente poco convinto. Per me la felicità ci sarebbe stata se lui fosse rimasto accanto a me durante la gravidanza, se mi avesse sostenuto durante quei nove mesi in cui ho anche rischiato di perdere la mia piccina, ma lui non c’era.
Lui era chissà dove a scappare da chissà chi, visto quello che gli è successo presumo sia scappato per evitare… credo ulteriori guai.
La felicità sarebbe stata svegliarmi accanto a lui, stringermi a lui durante una notte insonne per via della nausea, sarebbe stata prendersi cura l’una dell’altro.
Avrei voluto che fosse per sempre, ma così non è stato.
 
“Sei felice di chi sei, di quello che fai?” mi chiede di nuovo.
Avrà pensato che non l’ho sentito poiché immersa nei miei pensieri.
“La felicità….” dico solo tacendo per alcuni secondi come a cercare le parole giuste che però non arrivano “sto bene.” concludo “Sto e starò bene.”
Stringo le labbra e premo un po’ più forte l’ovatta sulla sua ferita facendo sobbalzare.
Mi guarda, sento i suoi occhi su di me, ma io non ricambio quello sguardo.
Non posso.
Dopo questa affermazione, crollerei.
Non posso né devo farlo.
Sento posare la sua mano sulla mia e posarla sul suo petto, sul cuore.
Lo sento battere forte sotto il tessuto sottile della t-shirt.
Mi è inevitabile alzare lo sguardo su di lui e incrociare quegli occhi da cui rifuggivo.
“Temo di non essere l’unico a non parlare.” dice.
Sul mio viso si dipinge un’espressione sorpresa e di chi è colta in fallo, prendo un grosso respiro e distolgo lo sguardo.
“Non so di cosa parli.”
“Certo.” dice piano “Credo di conoscerti un pochino, sai?
Quando dici una bugia non mi guardi negli occhi o se lo fai… mi guardi per una decina di secondi e abbassi lo sguardo.
Quando invece dici la verità, mi fissi quasi e hai un’aria carica di orgoglio ferito perché vuoi dimostrare agli altri che hai detto la verità e che ti senti ferita dalla loro sfiducia nei tuoi confronti.”
Mi conosce purtroppo bene sotto questo aspetto.
Non dico niente né commento queste sue parole.
Prendo delle garze e le poso sull’avambraccio destro.
“Hai altre ferite?” trovo il coraggio di chiedere.
Si sfila la t-shirt e io sono estasiata da quella vista, il suo corpo è tonico, non c’è un filo di grasso, i muscoli sono ben delineati e io credo di aver assunto l’aria di una in trance, mi concentro sulla parte escoriata vicino alla clavicola.
Mi devo avvicinare di più e lo sento, sento chiaramente il mio respiro farsi più corto e il cuore accelerare. Non so se è per la sua vicinanza o se per le parole che mi ha detto.
 
Quanto siamo stupidi!
Lui non parla per proteggermi da non si sa chi.
Io… per codardia, paura e ormai non so più perché.
 
“Mi dispiace.” dice.
Alzo di nuovo lo sguardo su di lui e gli chiedo con lo sguardo di cosa.
“Ti ho lasciata, ho causato tanto dolore nella tua vita, tormento.
Per colpa mia non credi che ci possa più essere il vero amore.”
“Damon, queste tue confessioni le trovo inappropriate, insomma… io nell’amore credo ancora. Non sai come mi sono sentita e onestamente non voglio neanche fartelo sapere perché aprirebbe solo una ferita che non si è mai rimarginata.
Ti prego, smettiamo di parlare del nostro passato perché non serve.”
Il tutto lo dico guardandolo negli occhi perché capisca che sono seria, che non mi va più di essere presa in giro da lui e dalle sue parole e perché nonostante provi qualcosa per lui, non posso dimenticare che c’è un segreto dietro questi suoi atteggiamenti.
Segreto che non so quanto grande sia e perciò ne resto quanto più distante è possibile.
Abbassa lo sguardo.
“Ti giuro che appena sarà tutto finito ti racconterò tutto.”
“Sì, come ti pare.” dico sbrigativa e alzandomi. “Puoi rivestirti.”
Sono distaccata.
La parte di me che ancora crede nell’amore, in lui è come rientrata nella cella che le ho costruito per proteggermi da altre ferite. Ora sono di nuovo lucida, fredda e tremendamente razionale.
 
Mi alzo e indosso di nuovo il mio trench sporco e che dovrò solo lavare appena torno, quando la porta di casa di Damon si apre ed entra Vicki Donovan.
Sono sorpresa e anche lei appena mi vede.
“Elena?” mi guarda un attimo sconcertata, ma poi mi sorride e abbraccia “Quanto tempo! Come stai?”
“..bene.” dico.
“Come mai qui?”
“Io… ho incontrato Damon aveva un po’ di roba da portare così l’ho aiutato.”
“Sei sempre così gentile!
Ascolta, appena sarà possibile che ne dici di organizzare una rimpatriata?
Chiamo magari anche mio fratello!”
“Fantastico!” dico senza entusiasmo.
“Bene, allora a presto.”
“Ciao.” dico.
Lei entra nel corridoio allontanandosi così da me e l’uomo che ho davanti, lo fulmino con gli occhi e apro la porta come una furia.
“Aspetta.” urla quasi, mi ferma per un polso.
“Era lei il segreto?
E’ lei quella da cui volevi proteggermi?”
La mia voce trema.
Mi sento presa in giro, di nuovo.
“Con te non è proprio possibile lasciarsi andare, sperare.
Sei un bastardo.” dico cercando di non urlare e di non essere sentita né da Vicki né da qualche vicino curioso. Mi libero dalla sua presa e corro giù per le scale.
Ormai sto piangendo e non m’interessa incrociare qualcuno che mi veda così ridotta.
Non m’importa semplicemente.
Singhiozzo.
In macchina mi lascio completamente andare.
“Sei una stupida, Elena!” mi dico.
Non so quanti minuti passino e né da quanti sono sotto casa e non riesco a scendere, né a salire. Sono ormai le 8 e devo andare, salire e reagire.
 
Quando entro in casa, vedo Astrid già a tavola insieme a… Caroline e Kol.
“Mamii.” urla la mia piccola venendomi incontro e abbracciandomi forte.
“Piccola.” dico in un sussurro.
“Mami, ma cosa hai fatto?” chiede guardandomi con fare indagatore.
“Ah, ehm… sai, a lavoro ho fatto una torta con il fango!”
Mi guarda sospettosa “Ma tu non fai vestiti per le signore?”
“Sì.” rispondo con tono stanco “Solo che oggi abbiamo fatto una festa, diciamo.
Guarda mi sono anche sporcata col pennarello.” dico guardando verso mia sorella che capisce e mi guarda preoccupata per poi incrociare lo sguardo con quello di Kol.
“Hai già finito di cenare?”
Annuisce.
“Ok, allora adesso la mamma va a fare la doccia e poi ti accompagno subito a letto, okay?”
“Okay.” dice correndo nella sua stanzetta.
Mi affaccio solo un attimo nella cucina e mia sorella mi ammonisce con la frase “Poi parliamo, vero?”
Annuisco, poi lancio un breve sorriso a Kol e sparisco nella mia stanza.
Mi spoglio e vado in bagno, butto i panni ormai completamente lerci nella cesta della lavanderia, domani mattina li laverò.
L’acqua è perfetta e mi fa dimenticare quasi tutta la giornata appena vissuta.
Tranne lui… e lei. Insieme.
Apro la bocca e ne bevo un piccolo sorso, poi esco.
Mi asciugo per bene e indosso la mia tuta enorme rosa convinta che sia rimasta solo Care e la mia bimba nella stanzetta, ma quando esco trovo Kol seduto sul divano e resto un attimo spiazzata.
“Scusa, mi dispiace essere ancora qui.” dice accorgendosi della mia espressione stupita “Tua sorella è di là con la tua bimba. E’ dolcissima, vivace e molto intelligente. Chissà da chi ha preso!” esclama sorridendomi.
Accenno un sorriso poco convinto.
“Qualcosa non va?”
“Qualcosa non va?” chiedo ironica “Tutto Kol, tutto. Io ho solo il mio lavoro e mia figlia, mi sento stupida, così… inadeguata.” dico sfaldandomi poco a poco e iniziando a piangere sommessamente.
“Ehi, hai un lavoro e la tua splendida figlia. Ti sembra poco?
Quante donne vorrebbero avere questo magnifico connubio?
Non sei sola. Non sarai mai sola. C’è tua sorella, c’è Hayley e poi ci sono io, okay?
Ci saremo sempre come ancore, ci saremo per evitare che tu possa affondare o incagliarti da qualche parte.” mi accarezza lentamente una guancia umida e io alzando gli occhi su di lui, sorrido. Non è un sorriso finto.
E’ vero.
“Queste sono le parole più belle, sincere della giornata, sai Kol? Ho soccorso oggi Damon e noi… io e lui eravamo così vicini” cerco le parole “e stavo per dirgli tutta la verità. Stavo per dirgli che da quell’amore è nata una bambina.
Sua figlia. Volevo dirgli tante cose di me, che si era perso, ma poi… è entrata la sua ragazza.” abbasso la testa e stringo forte le labbra come a fermare il tremito che le scuote “tutte le parole, tutto quello che volevo dirgli… mi è morto in gola.”
Mi abbraccia attirandomi a lui “Non preoccuparti, ce la farai anche senza di lui.”
Tra le sue braccia mi lascio andare, piango e stringo convulsamente il maglioncino blu notte tra le dita fino a che non riesco a far altro che restare abbracciata a lui.

 

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Capitolo 9
*** VIII Capitolo ***


                    
 
Capitolo VIII

 
“Ciao, Elena, sono Vicki.”
“Ciao.” dico semplicemente.
Sono a lavoro quindi non posso lasciarmi andare a tanti convenevoli.
“Per dopo domani ho organizzato una bella rimpatriata, che ne dici? Ci verrai?”
Tentenno.
“Ti prego, non dirmi di no.” mi supplica quasi.
“Okay” sorrido “mi arrendo.”
“Bene! Porta anche il tuo fidanzato, non so se sei fidanzata..”
“Okay, ci saremo!” dico guardando verso Kol che è al momento impegnato a telefono con un fornitore giapponese.
“Fantastico! Non vedo l’ora di conoscere quest’uomo che ti ha rubato il cuore e ci vediamo a Mystic Falls.” il cuore manca un battito e per poi riprendere a battere più veloce.
“Guarda… se era qui a New Orleans tranquillamente, ma…”
“Oh guarda che ho pensato a tutto! Ho prenotato delle stanze così staremo la notte qui e poi il giorno dopo ognuno ritorna alla normalità, diciamo. Dai su, il giorno dopo è anche sabato!”
“Vicki, non è per essere scortese, ma non posso lasciare una mia amica da sola.”
“Portala! Magari conosce mio fratello Matt che poverino sta sempre solo!”
Oddio e ora come me ne esco?
“Veramente…. non vuole vedere nessuno. Sai, è in crisi con il suo compagno e…” mi riallaccio alla storia di Care “quindi non si sente molto socievole.”
“Elena, dai. Ti prego, trova il modo, ma vieni!”
Dimenticavo quanto Vicki Donovan fosse insistente, sbuffo allontanando il ricevitore dalla bocca e poi lo riavvicino dicendo in tono arrendevole: “Okay, va bene. Dopo domani a Mystic Falls.”
“Bene, vi aspetto! Buona giornata.” e riaggancia.
Poso il ricevitore e poso il capo sulle mani posate sulla scrivania.
Sono stanca, incredibilmente stanca. Marcel mi tartassa ultimamente, i lavori non gli piacciono, dicono che sono sciatti, ripetitivi e che tra poche settimane devo fargli sapere chi scelgo tra Damon ed Andie. Damon è migliorato ultimamente: i tratti sono più decisi, meno tremanti, i vestiti diversi, particolari, i colori accattivanti. Andie invece sta promuovendo una linea tutta sua, volgare. A mio avviso.
“Tutto bene?” alzo il capo, è Bonnie.
“Sì, grazie Bonnie. Sono solo un po’ stanca.”
“Marcel ti fa lavorare troppo, eh?”
“Già.” dico massaggiandomi le tempie.
“Senti, ma perché non ti fai aiutare da Kol nelle decisioni almeno tra Salvatore e Star? Quel ragazzo ha un debole per te, spero tu te ne sia resa conto.”
“Kol? Ma no, lui è soltanto molto gentile con me. Siamo ottimi amici..”
“E passa il 60% del suo tempo a fissarti o a parlare bene di te, a elogiarti.”
La guardo sorpresa “Davvero? Insomma, so che Kol per me nutre una grande simpatia, ma sentirmi dire che mi elogia o fissa… insomma mi lascia completamente basita.” ed è vero!
“Non farlo soffrire, va bene? Non lo merita.”
Annuisco solo.
Oggi lo invito a pranzo, devo chiarire cosa provo per lui e non voglio illuderlo.
 
Siamo seduti al tavolo del ristorante cinese, abbiamo preso degli involtini primavera e stiamo aspettando il riso alla cantonese.
“Kol, ti devo dire una cosa.”
“Dimmi.” mi sorride dolce.
“Tu lo sai che io ti voglio bene, vero?”
Annuisce.
Abbasso gli occhi “Sai che io provo soltanto affetto per te.” alzo gli occhi sul suo volto improvvisamente scuro “E’ come sospettavo dunque Kol?” chiudo gli occhi e stringo le labbra “Mi..”
“No, Elena, non dispiacerti.
Io lo so quali sono i tuoi sentimenti per me e so che i sentimenti che provi per Damon sono l’uno la luce e l’altro le tenebre. So che lui è e resterà per sempre l’uomo che ami. Ti ha come stregata, non importa tutto il male e il dolore che ti ha inflitto, tu lo amerai sempre. Ti è entrato sotto pelle*.”
Quelle parole mi scottano e mi feriscono: feriscono perché mi mettono di fronte – e questa volta senza scappatoie – ai miei sentimenti.
“Elena” mi chiama Kol e mi stringe entrambe le mani “non permettere al tuo orgoglio di avere la meglio su di te, su ciò che sei, non permettergli di renderti cinica, fredda e soprattutto innaturale. Tu sei una splendida giovane donna che ha sofferto tanto e che ha ancora tutto il tempo del mondo per donare, ricevere e respirare amore.
Non tirarti indietro, okay?”
Annuisco incapace di commentare quelle parole.
Respiro pesantemente più volte: è come se avesse appena rotto gli argini di una diga già pericolante. Sembra notarlo perché stringe più forte le mie mani e dice: “Non tenerti tutto dentro. Lui ha sbagliato e sta continuando a farlo, non commettere il suo stesso errore. Potete essere ancora felici se davvero lo voleste!”
“No, per me e per lui è tardi. Io ho sua figlia e la mia vita, lui la sua compagna e la sua vita.” concludo reclinando il capo.
“Ehi” mi richiama facendomi sollevare la testa e lo sguardo verso di lui “va’ da lui e digli che Astrid è sua figlia! Ti odierebbe se sapesse che gli ha tenuta nascosta una cosa del genere.”
“Adesso è lui la vittima?” dico alzando la voce di qualche ottava e facendo voltare qualche commensale.
“Sssh, calma. Non sto dicendo che tu sei il carnefice e lui la vittima, qui non ce ne sono. Ci sono solo due persone che hanno condiviso un anno della loro vita amandosi e da questo amore è nata una bambina che non c’entra nulla con questa tua avversione nei confronti del padre. Io sono dell’avviso che è sempre meglio dire la verità. Vedrai che dopo che saprà, vi avvicinerete e la vostra storia ricomincerà.”
“E se non gli importasse? Se non volesse neanche rivedere la bambina in quelle vesti?”
“Ascolta, tu parlagli. Digli la verità e poi qualunque sarà il suo atteggiamento sarà relativamente un tuo problema, l’importante è che tu gli abbia detto la verità.”
Sospiro indecisa sul da farsi.
“C’è un’altra cosa che ti devo dire” comincio per poi raccontargli dell’iniziativa di Vicki, lui mi guarda perplesso e poi mi ammonisce dicendo: “E’ l’ultima volta che ti copro! Poi gli dovrai dire la verità anche sul nostro rapporto.”
Annuisco con aria colpevole.
Poco dopo ci portano le nostre porzioni di riso alla cantonese e mi rilasso parlando del basket e di come i Lakers abbiano battuto i Bulls.
 
 
Il giorno fatidico è arrivato: Astrid è andata da Jessica, altra sua amichetta, e le ho detto che la mamma tornerà a prenderla il giorno dopo nel pomeriggio, lei non ha battuto ciglio, mi ha salutata ed è andata. Kol, mentre viaggiamo, non fa altro che elogiare mia figlia dicendo quanto sia speciale, sveglia e che ha preso qualcosa anche dal papà.
“Gli occhi, il carattere ribelle, sveglio e di chi vuole cavarsela sempre da solo.” gli racconto dell’episodio capitato alla festa e lui commenta dicendo che tra qualche anno diventerà una bella tigre.
Dopo un paio d’ore siamo a Mystic Falls. Ferma la macchina, fisso quella che un tempo era casa dei miei genitori – venduta quando ero poco più che un’adolescente da zii che non sapevo neanche di avere. Mi dirigo quindi verso la casa in cui io e Care siamo cresciute, per fortuna ho le chiavi di quella casa sempre con me.
“Stasera vado nella camera che la tua amica ha prenotato così avrai la tua privacy.”
“Grazie, ma la casa è grande e non c’è bisogno.”
“Insisto, non preoccuparti. Una notte in albergo non nuocerà.” sorride “Prima però che ti sistemi, potresti portarmi lì? Così mi sistemo anch’io.”
 
La sua stanza è piccola, essenziale.
Niente di troppo pomposo.
Lo lascio solo qualche istante poiché mi ha detto di aspettarlo giù nel bar per prendere un aperitivo, un caffè o qualcos’altro. Scendo e alla fine delle scale incrocio Damon e Vicki.
“Ciao.” squittisce lei abbracciandomi.
Ricambio l’abbraccio e il saluto, mentre fulmino Damon che mi sta fissando.
“Sono così contenta che tu sia venuta! E il tuo uomo?” dice sciogliendo la stretta.
“Oh, è su. Voleva fare la doccia e così ho pensato di andare a fare un giro giù.”
“Potevate farla insieme, no?” dice sorridendomi maliziosamente. Abbasso lo sguardo imbarazzata da quelle parole dirette. “Oh, scusate, voi non vi siete ancora salutati.” dice spostandosi come a volerci dare lo spazio per scambiare un abbraccio, ma né io né lui ci avviciniamo. Ci limitiamo ad un ciao molto formale lasciando la giovane senza parole che ci guarda come se stesse seguendo una partita di tennis.
“Ci vediamo stasera.” mi congedo cercando di allontanarmi, ma Damon mi blocca e in tono – quasi – gentile mi invita a bere un caffè con loro, sarebbe inutile declinare l’invito conoscendo l’insistenza di Vicki perciò accetto seppur controvoglia.
Ci sediamo al tavolino del bar dell’albergo, è intimo e assolutamente informale come posto. Prendo un tè – al momento il caffè mi renderebbe solo più nervosa.
“Perché non mi parli di te?” chiede la mia ex compagna di scuola “Sono più di 10 anni che non ci vediamo.”
“Sì, è vero. Beh, io ho frequentato una scuola di moda, subito dopo ho iniziato a lavorare presso la corporazione di Marcel Gerard dove Damon aspira al posto di stilista.”
“Sì, sì lo so. Mi ha detto che vi siete rivisti dopo tanti anni.”
“Già.” dico guardando fugacemente entrambi.
“E a parte il tuo attuale ragazzo che si chiama…”
“Kol. A parte lui c’è stato solo un altro che, sapete, mi ha fatto molto male.” dico guardando Damon dritto negli occhi “Sai, Vicki l’ho anche rivisto” dico questa volta guardando verso lei “mi aveva fatto credere chissà cosa lo aveva fatto allontanare da me e invece il motivo era solo uno, una donna.”
“Gli uomini, tutti uguali!” commenta disgustata.
“Vicki, non giudicare! Non sai i vero motivi!”
“Tipica solidarietà maschile, Damon?” chiedo provocante.
“No, semplice constatazione.” risponde scrollando le spalle e alzando le sopracciglia. Lo fulmino con lo sguardo e lui infierisce ulteriormente “Tu e Kol come vi siete conosciuti?” chiede perfido posando i gomiti sul tavolo e la testa sui palmi delle mani aperte. Deglutisco e adesso?
In quel momento Kol entra ed è la mia salvezza.
“Ehi.” dico sorridendogli e andandogli incontro, gli prendo la mano e lo imploro a denti stretti di comportarsi da fidanzato. Si presenta alla ragazza e saluta cordialmente Damon, poi ordina un caffè decaffeinato. “Dunque, perché non ci raccontate come vi siete conosciuti?” chiede di nuovo Damon, temo abbia intuito qualcosa.
Io e Kol ci guardiamo per un decimo di secondo e sorride dicendo: “Faceva freddo e pioveva, era gennaio. Era il 12, vero tesoro?” sorrido annuendo “Io avevo il colloquio da Marcel ed ero in ritardo, correvo ed ero talmente impacciato che per correre, ho urtato questa splendida ragazza bagnandola tutta. Mi avrà detto una dozzina di parolacce, ma poi siamo diventati amici.”
“E il primo bacio?” chiede Damon.
“Damon! Non sono cose da chiedere.” lo rimprovera Vicki.
“E’ una curiosità.” si giustifica.
“Damon, c’è stato sette mesi fa, vuoi sapere anche l’ora, il minuto, secondo, cosa mi ha spinto a baciare e ad amare questa meravigliosa giovane donna? Te lo dico subito.
Io l’ho amata da subito, incondizionatamente, per la sua energia, i suoi alti e bassi, il suo sorriso, l’ho amata e la amo tuttora per il suo cuore e l’amore, il coraggio che ha e riesce a trasmettere, la amo perché è così. Vera.” quelle parole mi spiazzano, lo guardo commossa e inaspettatamente mi bacia, casto. Sono così profondamente scossa che non riesco a far altro se non ricambiare. Si allontana pochi istanti dopo e mi sorride, io lo guardo sognante e basita, incapace di parlare.
“Siete una coppia stupenda!” esclama Vicki sognante “Tu non mi hai mai detto parole così!” si lamenta pizzicando Damon sul braccio.
“Scusami, tesoro.” dice baciandola.
Io guardo Kol e lui ricambia lo sguardo, poi questi chiede ai due davanti a noi “Allora a che ora ci vediamo stasera?”
“Alle 9.”
“Perfetto, scusate, ma ora vorrei stare un po’ da solo con la mia ragazza.” dice facendo intrecciare le nostre dita.
“Okay a stasera.” ci saluta Vicki.
“Ciao.” li saluto.
“Ciao… Elena.” dice Damon facendomi voltare verso di lui.
Devo fare violenza su me stessa per girare le spalle e seguire il mio finto fidanzato.
 
Arriviamo in camera e lo guardo, Kol chiede: “Ci avranno creduto?”
“Direi proprio di sì.” taccio qualche istante “Davvero pensi tutte quelle cose di me?”
Sorride “Sì. Ti sembro ridicolo?”
“No, molto dolce piuttosto.”
“Grazie. Io vado a fare una doccia, tu stenditi, riposati, non so… chiama tua figlia. In fondo un paio d’ore dobbiamo passarle insieme, no?” chiede facendomi l’occhiolino, io credo proprio di essere arrossita.
Chiamo prima mia figlia ed è tranquilla, anzi è lei che mi dice di stare attenta e non fare danni, mi addormento quindi un po’. Sono stanca e cado in un sonno profondo, fatto di belle parole dette però da qualcun altro, da una voce suadente e calda, gli occhi sono due angoli di cielo, chiari, grandi.
Può un demone rubare gli occhi ad un angelo?
In quegli occhi, quello sguardo mi sembra quasi impossibile non leggerci ogni volta una sfumatura diversa.  Con lui anche gli sguardi – oltre le parole – sono imprevedibili.
Mi sveglio da quel sogno perché solo attraverso questo posso vederlo così dolce e senza quel ghigno che prima amavo, ora detesto.
“Elena” mi chiama Kol “sono quasi le sei, credo tu debba andare a prepararti.” mi alzo in fretta, sciacquandomi velocemente il viso e poi scendo. Per fortuna non incontro nessuno e in meno di venti minuti sono a casa.
Quella casa così vuota mi provoca una grande tristezza, inquietudine e solitudine. Pensare che qui ci ho riso, scherzato, pianto mi annienta. Questa casa mi ha dato tanto e mi ha tolto anche ed è come se fosse rimasto qualcosa qui, impregnato nell’aria, tra le mura: è come se riecheggiasse il rumore dei ricordi.
 
 
Kol passa a prendermi alle 8.30 e io sono pronta, ma con una strana agitazione che mi scuote nel profondo. Mi guardo di nuovo – e per l’ultima volta – allo specchio: indosso un vestitino nero, stretto dalla vita in giù e più morbido nella parte superiore, non amo i vestiti particolarmente attillati. Un paio di scarpe con un po’ di zeppa e una borsetta. Non è niente di troppo elegante anche perché sarà una ‘cosa intima’ a detta di Vicki. Apro la porta di casa e Kol mi aspetta a pochi metri da questa.
Chiudo la porta di casa e poi lo raggiungo, lo bacio sulla guancia e salgo in macchina.
“Cosa hai intenzione di dire o fare stasera?” mi chiede.
“Che intendi?” chiedo guardandolo.
“Lo sai.” dice distogliendo solo per un momento lo sguardo dalla strada.
“Kol, non lo so.” scuoto la testa “Ho pensato alle parole che mi hai detto al ristorante e poi a quello che tu mi ha detto, a quello che pensi di me al bar..”
“Senti, dimentica quello che ti ho detto! Devi pensare a te, alla tua vita.
Ti rendi conto che se non parlassi, se ti tenessi tutto dentro ti danneresti per il resto della tua vita? Cazzo, Elena, svegliati! Tu pensi tanto, ma fai poco!” urla quasi “Agisci! Parlagli, schiaffeggialo anche se necessario, se può farti stare meglio, ma agisci.”
Resto imbambolata.
“Scusa, non volevo urlarti contro. Il concetto però è quello. Devi darti una mossa.
Sembri un’eterna indecisa: parlo, non parlo; faccio, non faccio. La vita è una, Elena, se la butti via così dopo a chi avrai fatto torto? A Damon? Lui al momento si sta divertendo. Tu? Ti stai dannando l’anima, stai soffrendo da troppo tempo in silenzio ed è ora che quel silenzio sia rotto!”
Annuisco.
“Capito? Voglio vederti sorridere, essere la ragazza forte che ho incontrato mesi fa, voglio vederti gridare, lottare com’è nella tua natura. Non voglio vederti passivamente osservare la vita intorno a te come se tu fossi la spettatrice di un film noioso perché la vita non lo è. La vita è bella, meravigliosa, imprevedibile ed è unica. Quindi stasera romperemo anche davanti a tutti se necessario, ma voglio che tu e Damon stiate da soli! Voglio che vi parliate, che facciate qualcosa, qualunque cosa, ma che la facciate e che dopo tu sia serena.”
Intanto siamo arrivati davanti a quella che un tempo era la Residenza dei Lockwood, ora è un ristorante.
“Kol, sei veramente il migliore amico che una donna possa avere.
Grazie.”
Lo abbraccio.
“Ora va’ dentro. Io parcheggio e… cerco di inventare una scusa per rompere con te.”
Sorrido e annuisco.
Scendo e salgo i due gradini per giungere dinanzi al portico ligneo decorato da candele profumate esterne. La porta è aperta ed entro, mi guardo intorno. Riconosco l’ambiente anche se lo stile, i mobili sono completamente diversi. Questi sono di legno scuro, ambiente tetro se non fosse per le sfavillanti luci che decorano l’ambiente e una dolce melodia di sottofondo.
“Elena!” mi saluta Vicki venendomi incontro, mi da’ due baci sulle guance e poi m’invita ad accomodarmi fuori che c’è un piccolo rinfresco, mentre nella sala alle mie spalle c’è da bere. “Oh scusa, credo che Matt sia arrivato! Vado a prenderlo.”
Si allontana e io mi volto verso la sala alle mie spalle.
Lo vedo, sta bevendo del Bourbon – riconosco il liquido ambrato – ed è rilassato.
E’ bellissimo. Alza lo sguardo e i nostri occhi si incrociano.
Mi guarda e sorride dolce, non sa che intanto mi tremano le gambe.
Mi si avvicina, ma in quel momento mi si para davanti Matt Donovan “Ehi” mi saluta abbracciandomi.
“Ciao.” ricambio sorridendo quell’abbraccio.
Guardo verso Damon che ha abbassato la testa e osserva il whisky nel bicchiere.
Sciolgo l’abbraccio.
“Come stai?” chiedo a Matt.
“Bene. Tu? Sono anni che non ti vedo.”
“Io… bene, bene.” dico “Sono cambiate un bel po’ di cose da quando ci siamo visti, ma si va avanti. Tu? Novità?”
Scrolla le spalle “La mia vita è piuttosto noiosa, faccio il barman per quasi otto ore al giorno qui a Mystic Falls. Non ho nessuna ragazza fissa.” scrolla le spalle “Si tira avanti, come dici tu. Invece con la vita amorosa ho visto che te la cavi bene!”
“Sì?” dico perplessa.
“Sì, si chiama Kol, mi sembra di aver capito. Sta’ incantando mia sorella con i racconti di un suo viaggio in Giappone, sai mia sorella quanto è fissata per la cultura orientale.”
“Me lo ricordo!” guardo verso la direzione di Damon che però non c’è più “Ti… ti dispiace se vado a prendere qualcosa da bere?”
“Vengo con te.” dice.
Matt è un bravo ragazzo, ma è terribilmente noioso.
Sono cinque minuti che mi parla solo dei pasticci fatti al locale, di quanto il proprietario sia ingiusto nei suoi confronti e bla bla bla… ad un certo punto neanche lo ascolto più.
“Ecco dov’eri!” grida quasi Kol facendomi sobbalzare “Io ti cerco per tutto il locale e tu eri qui a fare la gatta morta con un altro!”
“La gatta morta? Ma come ti permetti?”
Sbuffa “Io volevo stare da solo con te per due minuti e tu che fai? Sorridi, parli, ti diverti.”
“Siamo ad una festa, genio! Cosa dovevo fare, aspettare i tuoi comodi? O magari dovevo aspettare che finivi di raccontare della tua avventura in Giappone a Vicki?” sbotto posando le mani sui fianchi.
“Ora fai tu la gelosa? No, no cara mia con me questo gioco non attacca.
Non voglio più vederti.” volta le spalle.
Lo fermo “Kol Mikaelson, sono io che non ti voglio più vedere! Sono stanca della tua inutile gelosia e soprattutto sono stanca dei tuoi continui sbalzi d’umore!” dico spingendolo per le spalle, prendo il bicchiere con il Bourbon ed esco, noto che c’è uno strano brusio di fondo.
Tutti avevano assistito alla scenetta.
Tutti tranne Damon.
Abbasso lo sguardo mortificata, delusa.
Mi allontano da Matt e gli altri scappando quasi verso il giardino.
Mi si apre davanti un corridoio erboso enorme illuminato.
Respiro a pieni polmoni, l’aria lì è terribilmente pulita.
M’incammino lentamente assaporando quei quaranta gradi di alcool che scendono nello stomaco, chiudo gli occhi, la gola sembra andare in fiamme e faccio fatica a non tossire. In quel momento sento dei passi alle mie spalle, apro gli occhi e mi volto, Tyler Lockwood mi si para davanti, ha un fisico atletico, massiccio, i lineamenti del viso sono marcati e un tempo li trovavo affascinanti, gli occhi sono grandi e scuri, le labbra piene e carnose. Ha i capelli neri tagliati corti, a spazzola.
“Tyler?”
“Ciao, Gilbert.” sorrido.
“Come stai?”
“Bene, ho appena assistito alla…” indica verso il ristorante.
Annuisco abbassando lo sguardo.
“Mi dispiace.” dice.
“Grazie. Sopravviverò.”
“Non essere triste.” mi dice avvicinandosi “Ci sono qui io.” dice in modo troppo teatrale, innaturale. Alzo lo sguardo “Visto che ora sei libera, puoi concederti un’avventura con me.” si avvicina ancora e io retrocedo di un passo “Ricordi quante volte ho cercato di portarti a letto? Ricordi quanto ti volessi? E poi? Ho saputo che ti sei fatta salire su quel Damon Salvatore.”
Sgrano gli occhi “Chi te lo ha detto?”
“Voci di corridoio.” dice guardandomi dritto negli occhi “Ora avrò quello che ho sempre voluto. Te!” mi si avventa addosso, cerco di respingerlo, allontanando il suo viso dal mio, avverto un fortissimo odore di alcool.
“Tyler! Tyler fermati!” urlo quasi.
Niente non mi sente, mi stringe ancora più forte a lui e cerca di baciarmi, è violento.
Questo mi fa ricordare perché ho rotto con lui.
Ora ho paura.
“Ti prego, no.” dico continuando a lottare come posso.
“Ehi, ehi, ehi, ehi.” dice qualcuno alle mie spalle, Tyler molla la presa e guarda alle mie spalle, mi volto e Damon è seduto su una panchina con un bicchiere pieno di ghiaccio e residui di Bourbon ne sono sicura “Giovane ti suggerisco di andare.”
“Oppure?” chiede arrogante.
Si alza avvicinandosi “Ti faccio rimpiangere di averla importunata.”
Tyler si avvicina a Damon con passo minaccioso, ma è talmente ubriaco che a Damon basta spingerlo appena con una mano per farlo cadere a terra.
“Va’.” gli ordina con un cenno della testa, Tyler senza battere ciglio scappa.
Resto immobile guardando il luogo verso cui è corso via Tyler, poi guardo Damon che mi osserva preoccupato. Siamo per la prima volta veramente soli e sento il cuore battere forte nel petto.
“Stai bene?” mi chiede.
Annuisco.
“Vieni qui.” m’invita dolcemente avvicinandomi a lui.
Tentenno qualche istante per poi avvicinarmi.
Mi guarda negli occhi e senza dire aggiungere altro, mi abbraccia. La mia guancia si posa sul suo petto, lui mi stringe a sé dolce e protettivo e con l’altra mano mi accarezza l’altra guancia.
“Ehi, non tremare! E’ finita.” mi dice posando un bacio tra i miei capelli.
Stringo con una mano la sua camicia e stringo gli occhi respirando pesantemente.
Neanche mi sono resa conto di tremare.
“Grazie.” gli dico in un sussurro chiudendo gli occhi.
Ho avuto veramente tanta paura, credevo di essere sola, lontana da tutti.
Ho avuto paura che Tyler potesse abusare di me.
Stringo più forte la presa su di lui e lui sembra capirlo poiché intensifica il  suo abbraccio. Mi sento al sicuro. Siamo io e lui e ora capisco la semplicità e intensità del sentimento che provo verso di lui.
Lo amo.
Alzo lo sguardo verso di lui e lo scopro fissarmi.
“Perché mi fissi?” gli chiedo.
“Perché so che tra pochi istanti scapperai via da me e io non voglio dimenticare questo momento e l’intensità di questo momento. Io ti amo ancora e dirti quanto non riuscirebbe mai a fartelo realmente capire.”
“Ti amo anch’io.” ammetto in un sussurro.
Strabuzza gli occhi “Cosa?”
“Sì, Damon. Ti amo anch’io e per quanto mi sia ostinata ad odiarti in questi anni, io ti amo ancora e…ho paura.” confesso.
“Di cosa? Io te lo giuro, non scapperò più.
Non ti lascerò mai più.”
“E Vicki?”
“Tu dì una sola parola e io la lascio. Per te farei qualunque cosa.
Voglio stare con te. Solo con te.”
“Non è giusto che la lasci per colpa mia.” dico.
“Io non la amo. Non ho mai amato nessuna come ho amato e amo te.”
Alzo il viso verso di lui, vorrei ribattere qualcosa, ma ciò che faccio è in completo contrasto. Avvicino il mio viso al suo e lo bacio.
Tutte le mie difese se ne sono andate e il respiro si infrange contro le sue labbra che soltanto per un attimo discosta dalle mie, lo guardo incapace di fare o dire qualunque altra cosa. Le mie labbra diventano preda delle sue in un secondo e io sento un brivido intenso invadermi, facendo così perdere qualunque controllo sul mio corpo e sulle mie azioni.
“Andiamo via.” sussurra discostando le sue labbra dalle mie.
Incapace di dire o fare altro mi lascio condurre via…




______________
 
Buonasera!

Sono tornata con un nuovo capitolo, mi fate sapere cosa ne pensate? *°*

POOOI, vi voglio segnalare un'altra mia nuova fanfiction si chiama "THE ENCHANTED STORY" e la trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2915182&i=1 

Protagonisti? 
I nostri Delena anche se in situazioni diverse e particolari...


A presto!
 

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Capitolo 10
*** IX Capitolo ***


                    
IX° Capitolo
 
 
Sta guidando la mia macchina, diretti verso casa mia.
Ho tante cose da dirgli, ma al momento non riesco a formulare nessun pensiero coerente, troppo impegnata a studiare il suo volto, l’espressione felice che attraversa il suo viso, rapita da quegli occhi che mi lanciano delle brevi e intense occhiate.
Il tragitto si rivela breve, molto breve e io fatico ad aprire la porta di casa poiché Damon non mi aiuta molto baciandomi il collo e dietro l’orecchio provocandomi dei lunghi ed intensi brividi. Riesco finalmente ad aprire la porta e il tempo di entrare che siamo l’uno contro l’altra, mi abbraccia forte stringendomi al suo corpo e mi bacia. Questa volta oltre che sentire il dolce sapore della sua lingua, avverto anche un’intensa fitta di piacere trafiggermi il basso ventre.
“Damon.” riesco a dire allontanandomi appena dalle sue labbra, mi guarda e io lo guido nella camera da letto, mi volto per guardarlo e il suo respiro sconnesso mi sfiora le labbra schiuse. Si avvicina a me, spingendomi con la schiena contro la parete, mentre le mie mani sollevano verso l’alto la sua t-shirt scura. Guardo il suo volto e scorgo un’espressione eccitata e adorante, le mie dita scorrono sul suo petto nudo perfettamente scolpito, in una corsa che le porta a sfiorargli il collo e poi a stringere i suoi capelli corvini.
Il mio cuore accelera i battiti e porta con sé l’ultimo barlume di lucidità che ho.
Inclino il capo e lo abbandono contro il muro retrostante, mentre lui annulla la già precaria distanza tra i nostri due corpi, attraversati da un desiderio che ci perderà irrimediabilmente.
Non mi interessa.
Sento la sua pelle sfiorare la stoffa scura del vestito che ancora indosso, e una fitta di frustrazione mi pervade per via di quel tessuto che vorrei scomparisse all’istante.
Le sue mani mi sfiorano la vita e i fianchi e i suoi occhi non smettono di affondare nei miei, quasi volessero carpire anche il più piccolo mutamento di espressione.
Mi bacia di nuovo, mi travolge, inaspettato e violento.
Anche se è solo un attimo, prima che tutto torni nuovamente dolce, cadenzato. Le sue dita scorrono verso il basso a cercare l’orlo del mio vestito, per poi sollevarlo all’altezza dei fianchi, rivelando il mio intimo in pizzo nero.
La sua mano destra mi accarezza il fianco e poi segue la linea della stoffa appena sotto l’ombelico. Una sensazione di calore pulsante mi trafigge il basso ventre e per reazione premo con più decisione sulle sue labbra, cercando la sua lingua con la mia e il mio respiro si spezza.
Lui prosegue, scivolando con le dita sotto il pizzo, per poi farsi strada nella mia intimità lentamente, senza fretta. Quel gesto mi strappa un gemito che si infrange contro la sua bocca, e mi fa tremare. Mi aggrappo a lui con forza e mi abbandono alla sensazione di piacere travolgente che mi attraversa.
Lascio che si faccia spazio dentro di me, assecondando la sua carezza sempre più profonda ed esperta. Le mia labbra sfuggono alle sue, e mi ritrovo a guardarlo e a respirare sulla sua bocca ancora calda e umida.
Avverto l’altra mano incunearsi dietro la mia schiena e sento la cerniera del vestito scendere verso il basso. Agevolo il suo gesto scostandomi dalla parete e lui lentamente mi lascia andare per scostarsi di un paio di passi e guardarmi con calcolata malizia, per gustarsi la mia reazione. Io lo osservo contrariata, e pervasa dal desiderio di un contatto più intimo e profondo.
Ma lo assecondo.
Con una calma assolutamente artefatta, lascio scivolare a terra il vestito, cercando di non cedere alla tentazione di chiedergli di prendermi subito, così come il mio corpo vorrebbe.
Sono nuda, a parte il perizoma che ancora resiste, e mi avvicino di un passo decisa a reggere il gioco di sguardi che ha incominciato lui.
Non riuscirei a essere così spontanea con nessun’altro. Lo osservo, scivolando con gli occhi a sfiorare i suoi pantaloni scuri mentre una smorfia eloquente mi attraversa il volto.
Sorrido e in un attimo mi ritrovo a cadere di schiena sul materasso morbido del suo letto, con lui che mi sovrasta.
Sorride, amabilmente perfido, mentre mi blocca le mani sopra la testa.
“Ti desidero così tanto.” dice scivolando con le labbra lungo la linea del collo e poi proseguendo verso il basso, liberandomi dalla sua presa, ma regalandomi una tortura che mi spezza di nuovo il poco fiato che avevo raccolto per tentare di rispondergli.
La sua bocca disegna una scia sulla mia pelle sfiorandomi l’ombelico e scendendo pericolosamente verso l’orlo in pizzo delle mutandine. “..Damon..” lo chiamo, ma lui non si ferma e mentre le sue mani rapiscono la stoffa sottile le sue labbra mi baciano delicatamente il monte di venere. Il mio perizoma finisce da qualche parte sul pavimento e io mi aggrappo con le dita al copriletto chiaro, cercando di resistere alla sensazione intensa e travolgente che sta per farmi perdere il controllo prima del tempo.
La sua lingua stuzzica la mia intimità e io allargo le gambe per consentirgli di farsi spazio dentro di me, anche se così rischio di far finire tutto troppo presto. Giro la testa di lato e un grido di piacere si infrange sulla stoffa, poi un secondo mi avvicina pericolosamente al limite che non voglio superare. Non senza di lui.
Ma Damon pare capirlo perché riprende a baciarmi risalendo lungo il ventre e poi oltre, lungo la morbida curva dei seni, fino a trovare la mia guancia arrossata e la linea del mio orecchio.
“..Ti voglio..” mi sussurra, e io torno ad annegare nei suoi occhi, cercando di ritrovare la forza per proferire un’unica parola. “..Prendimi allora..”
Gli sfioro le labbra, baciandolo con dolcezza, mentre cerco con la mano destra di arrivare alla cerniera del suo pantalone per sbottonarlo e accarezzare l’erezione che preme sotto la stoffa.
“..Dimmelo ancora..” la sua voce si confonde col bacio che unisce le nostre bocche.
“..Prendimi..” rispondo, mentre lo aiuto a far scivolare verso il basso il pantalone insieme ai boxer neri. 
Con le dita gli sfioro per un momento il volto, prima che lui rapisca la mia mano sinistra intrecciandola alla sua, portandola a premere col dorso contro il materasso.
Cerco di nuovo con le labbra la sua bocca e mi abbandono completamente, nell’attimo in cui entra dentro di me con una dolcezza che avevo dimenticato. Il mio corpo reagisce in modo naturale accogliendolo, ma non posso non irrigidirmi per un attimo, mentre lui si muove lentamente affondando al centro del mio piacere. E’ un secondo che mi dona un brivido bollente che mi scorre sulla pelle increspandola.
Le mie dita stringono le sue con forza, e un gemito marcato si scontra con le sue labbra avide e seducenti che faticano a lasciarmi andare. Ma io voglio guardarlo e con la mano sinistra gli sfioro la guancia, per indurlo a risollevare il volto quel tanto che basta a far morire il bacio e a ritrovare i suoi occhi azzurri.
In essi mi perdo definitivamente.
Le mie labbra socchiuse si muovono in preda a un fremito che ha il sapore del suo nome appena sussurrato. Lui le sfiora di nuovo, cogliendo quella parola creata dal solo respiro e che si spande nell’aria come se l’avessi urlata.
Lo sento muoversi più veloce e ad ogni spinta il mio ventre lo accoglie regalandomi fitte di piacere talmente intense da strapparmi un grido soffocato a malapena. Incastro le dita tra i suoi capelli neri quasi cercassi in lui il modo per non cedere troppo presto a quella catena di emozioni.
Lui abbassa il viso e mi accarezza la guancia con le labbra fino a raggiungere la linea del collo e poi l’attaccatura della spalla. Avverto il suo bacio, le sue labbra che si schiudono calde sulla pelle e io mi aggrappo con più forza a lui scivolando con le dita sulla parte alta della sua schiena. Le mie unghie si conficcano nella carne prima dolcemente e poi con più violenza.
“..Elena..” il mio nome rotola sulla pelle e si perde tra i miei capelli adagiati sul letto, nell’attimo in cui sento le sue labbra risalire lungo il collo e premere su di esso in un bacio più caldo e avvolgente.
Non sento niente se non il suo corpo che affonda nel mio e lo spezza, in una danza carnale, potente e senza ritorno.
Grido contro di lui e in lui, mentre rovescio indietro la testa e mi lascio attraversare da un’ondata di piacere che si irradia dal ventre ed esplode nel cuore, trasformando il mio sangue in lava rovente.
Tremo nel sentire il suo orgasmo confondersi col mio e farci diventare una cosa sola. Un’unica spirale di passione, che ci lascia senza fiato.
Lui si abbandona su di me, la fronte posata contro il mio petto e la mano che ancora stringe con forza la mia.
Io mi sento perduta in un modo che non saprò mai descrivere a parole.
Cerco di respirare ma la mia bocca fatica a trovare l’aria o forse non vuole, perché è difficile lasciare andare un momento come quello. Gli sfioro la spalla e lui lentamente si risolleva a guardarmi, puntellandosi con i gomiti sul materasso.
Gli occhi leggermente dilatati e uno sguardo felice aleggia sul suo volto e sono sicura anche sul mio.

Non so cosa dire, credo che però a questo punto le parole non servano.
Non ora almeno.
Si sposta sull’altro cuscino del letto a una piazza e mezza – sui quali usavo dormire tempo fa – e girandosi verso di me, mi guarda. Mi volto verso di lui e lo guardo a mia volta. Mi accarezza i contorni del viso e mi lascio andare a quelle carezze, avvertendo il battito impazzito del mio cuore.
 
 
Sono sveglia.
Ormai da cinque minuti, ma ho paura ad aprire gli occhi e rendermi conto che è stato solo un sogno o che lui se ne sia andato di nuovo.
A sciogliere qualunque mio dubbio, sono due braccia che mi stringono forte da dietro, mi volto lentamente e lo vedo stringermi mentre dorme con i capelli arruffati, labbra schiuse e un’espressione serena dipinta sul volto.
Contemplerei per sempre il suo viso, quei lineamenti marcati ora distesi, se non fosse per il mio cellulare che sento vibrare nel totale silenzio della casa.
Sciolgo la presa forte delle sue braccia e mi alzo, indosso velocemente il mio vecchio pigiama e corro a rispondere.
 
‘Caroline’.
 
“Care?”
“Elena, dove sei?”
“A casa. Perché?” chiedo non comprendendo quella domanda.
“Con chi? Dimmi che non sei con Kol!”
“No, Care, sono con… con Damon.” sussurro abbassando la voce.
“Elena…” si sta trattenendo dal criticarmi – lo so – purtroppo è nella sua natura “ne riparliamo appena torni qui, piuttosto ho delle novità riguardo Kol. Stai attenta!
Tu non sai che cosa ho scoperto su di lui, su Klaus e sulla loro famiglia!”
“Caroline che cosa hai scoperto?”
“Sono loro il motivo per cui Damon è tornato/scappato!”
Quell’informazione mi lascia completamente frastornata tanto che fatico a trovare e porre delle domande dotate di un senso logico.
“Non capisco.”
“Ricordi quando ti ho detto che avevo visto il nome di Damon tra i documenti di Klaus? E ti ricordi che ti avevo detto che era diventato nervoso di colpo cioè da quando lui è tornato?”
“Sì.”
“Elena, né io né te potevamo saperlo, ma la famiglia Mikaelson è pericolosa!”
“Care, ma che dici? E come fai a saperlo?”
“Ho ricevuto stamattina un plico anonimo con una serie di ritagli di giornale mai pubblicati. Ci sono accuse di riciclaggio, droga, assassinii di tutto e da come c’è scritto lo sanno che sono i Mikaelson  che muovono i fili di tutto, solo che di prove non ce ne sono mai state a loro carico!”
“Care, io…. ascolta, sei da me, vero?”
“Sì.”
“Bene. Vai a prendere Astrid e poi restate chiuse lì in casa, io arrivo tra poche ore.
Non aprite a nessuno. Devo vedere quei documenti.
Non ho capito bene, ma mi stai spaventando!”
“Sapessi io come sto! Ero fidanzata con una specie di boss mafioso!”
Sospiro pesantemente “Tranquilla, Care, risolveremo anche questo e in questo è Damon che ci deve aiutare.”
“Se lo dici tu.”
“A più tardi e state attente.”
Interrompo la telefonata tremante.
Di chi mi fidavo?
Ora di chi mi devo ciecamente fidare?
 
“Elena?” sento Damon chiamarmi.
Torno nella mia stanza da lui e lo trovo con la testa alzata e lo sguardo proteso verso il corridoio, appena mi vede posa di nuovo il capo sul cuscino.
Mi stendo accanto a lui e lo guardo.
“Che c’è?” gli chiedo.
“Sono felice.” risponde con un sorriso e accarezzandomi la guancia “Sei sveglia da molto?”
“Da pochi minuti che mi sembrano ore.”
“Perché?”
“Sono un po’ preoccupata per… Caroline.”
“Temi che non sappia prendersi cura della sua bambina?”
Lo guardo interrogativa “Quale bambina?”
“Quella che tu tenevi in braccio qualche settimana fa.”
Parla di Astrid.
Stringo le labbra e lo guardo, dischiudo le labbra in cerca d’aria per la confessione che devo fargli. Ho la gola secca.
“Damon, quella bambina..” deglutisco “non è di Caroline. Astrid…. è mia figlia.”
Sobbalza quasi, gli occhi sgranati e le labbra schiuse quasi a formare una O.
Abbasso lo sguardo, colpevole.
“Tua figlia?” ripete “Dovevo capirlo. Ha il tuo stesso caratterino e la tua stessa grinta.” commenta, resta per qualche minuto in silenzio poi chiede “E il padre?”
“Il padre…” mi metto seduta sul letto, gambe incrociate, lo guardo solo per un breve istante e poi abbasso il capo, denudata da tutte le barriere che avevo cercato di creare negli anni per proteggere me stessa forse, più che Astrid “Il padre… è l’unico uomo che io abbia mai amato, ne sono ancora innamorata.” Damon mi guarda con un misto di tristezza e dolore negli occhi, leggo negli occhi il desiderio di farmi una nuova domanda, ma prima che possa porla continuo “Il padre di mia figlia è.. l’uomo con il quale ho passato questa notte.”
Si mette a sedere molto lentamente come se stessi mandando un fotogramma a rallentatore e ne cogliessi le sfumature, i movimenti millisecondo per millisecondo, i suoi occhi sono dilatati per lo stupore e ora per la paura, la bocca spalancata a formare una o perfetta, poi abbassa lo sguardo visibilmente shockato e mi chiede quasi in un sussurro: “Perché non me l’hai mai detto?”
“Ho provato a dirtelo.” dico sentendomi quasi colpita da uno schiaffo, da quelle parole cariche di dolore e di rimprovero “Volevo dirtelo subito quando l’ho scoperto, ma poi tu te ne sei andato e quando ti ho rivisto credevo di potercela fare da sola e volevo punirti. Per… avermi lasciata. Non ero sicura di volertelo dire, ma poi… qualcuno mi ha convinto a farlo, solo che c’è stata Vicki e poi la serata di ieri..”
Damon ha gli occhi chiusi, una mano a coprirgli gli occhi azzurri e l’espressione stravolta. Scuote la testa più e più volte come se stesse pensando a chissà che cosa, poi dalle mie labbra esce un solo rauco sussurro “Scusami.” lo guardando di sottecchi con aria colpevole.
Si volta verso di me, gli occhi azzurri mi sembrano ora attraversati da una tempesta apocalittica che sembra volermi inghiottire e far affogare, ed è come se lo facesse: mi abbraccia forte e chiede perdono per ciò che ha fatto, per il suo essere stato così debole e vile nei miei confronti, lo stringo a mia volta.
“D’ora in poi affronteremo ogni cosa insieme, va bene?
Non ti lascio più. Te lo giuro.”
Mi allontano da lui e lo guardo dritto negli occhi intimorita che quelle parole vadano nuovamente al vento “Posso fidarmi di te?”
Mi bacia dolcemente “Sì, sì che puoi.”
Lo guardo negli occhi indecisa, timorosa di lui e le sue promesse.
Posso fidarmi di qualcuno che mi ha già tradita e abbandonata? La risposta è sì, voglio fidarmi, voglio provare, voglio crederci e credergli.
Restiamo abbracciati per un po’, poi lo guardo e lo scopro fissarmi.
“Che c’è?”
“Deve essere stato terribile per te tutto questo: affrontare tutto da sola, avrai avuto tanta rabbia, tanto dolore e tante lacrime che ti hanno angosciato e appesantito..”
“Sì, ma..” poso una mano sul suo petto “..non parliamone più, ti prego. O almeno proviamoci.” taccio qualche istante “Torniamo da nostra figlia?”
“Sì.” mi risponde con tono tremante eppure curioso di guardare sua figlia negli occhi con la consapevolezza di esserne il padre.
 
“Sei silenziosa, stai pensando o temi di parlarmi?” chiede dopo circa trenta minuti di assoluto silenzio.
“Perché dovrei avere paura di parlarti? Non mi fai paura mica tu.” dico stringendo la sua mano sul cambio della Camaro, lo guardo e lui un istante dopo guarda me.
“A cosa pensi?” mi chiede.
“A quello che dovrò dire ad Astrid. Io – è giusto che tu sappia – che le ho detto che sei partito e curavi gli animali.”
“Gli animali?!” chiede guardandomi confuso.
“Non sapevo cosa dire per non farla soffrire! Che dovevo dirle, tuo padre è scappato senza dire nulla? Era meglio la nuda e cruda verità? E’ solo una bambina, Damon, non ti avrebbe mai perdonato.” dico cercando di essere il meno aggressiva possibile, per non fargli pesare troppo la cosa, ormai non servirebbe proprio a niente.
Mi stringe più forte la mano “Sono io che non so se riuscirò a perdonarmi.”
“Lascia perdere, Damon. Lei sarà felicissima di ritrovarti.”
“E tu?” mi chiede.
Guardo avanti “Io…io ti amo, Damon.” lo guardo “Però quel tempo perso.. non si può recuperare, insomma le cose le abbiamo vissute per un po’ in modo diverso. Non si può pretendere di recuperare, però possiamo cominciare a provare ad essere una famiglia, ma sai che ci vorrà molto tempo.”  Annuisce.
“Okay, tutto il tempo di cui hai, anzi avrete bisogno. Io sarò comunque qui per te… per voi.” si corregge.
Mi crogiolo qualche istante nella convinzione che tutto sarà bello e semplice una volta rientrati a New Orleans, ma un’ombra mi fa subito cadere dalla mia nuvola rosa.
“Ora che so che non sparirai.. mi puoi dire la verità?”
Mi guarda, i suoi occhi sembrano diventare di una tonalità più scura, più intensa, spero sia arrivato il momento della verità.
“Devo fare una lunga premessa” prende una pausa così lunga che sto per incitarlo a continuare “Stefan non è mio fratello.” lo guardo sconcertata sgranando gli occhi “Lui mi ha trovato. Sono stato abbandonato quando avevo sei anni.” lo vedo fissare serio la strada.
“Damon.” riesco a dire solo questo in un soffio stringendo forte la sua mano.
“Non so chi fossero i miei genitori, ho però capito e cominciato a cercarli quando avevo 17 anni, da quando ho iniziato a lavorare per Mikael, l’ho visto come un padre… quel padre che non ricordavo… anche se alla fine ha anche cercato di uccidermi!” dice con velata amarezza.
Sono sorpresa e sconcertata, tante, troppe domande si affollano nella mia mente.
Non so da quale cominciare…
“Pensavo che Giuseppe Salvatore ti volesse bene!”
“Sì, me ne voleva. Solo all’inizio però! Credeva che sarei stato docile, accondiscendente come Stefan, ma io non sono Stefan!” esclama duro “Cominciò a darmi il tormento da quando avevo 12 anni, sembrava divertirsi nell’umiliarmi, nel guardarmi dall’alto in basso in qualunque circostanza, l’ho odiato!” conclude digrignando i denti “Ero sul punto di scappare da quella casa più volte, ma ho resistito. Ho resistito solo perché.. non so esattamente il perché, ma sentivo di non dover scappare, non ancora almeno.”
“Damon, mi dispiace.” che altro posso dire? Sono sconvolta da quello che mi sta dicendo. Tacciamo e io non so se voglio più ascoltare, chiedere e affondare nel suo passato: ora capisco perché cambiava sempre argomento o perché lo evitava accuratamente, come biasimarlo?
“E poi?” gli chiedo turbata e al tempo stesso curiosa.
“Poi, compii 17 anni e lasciai casa mia, mio fratello e mio…Giuseppe decise di vendere tutti i mobili che componevano la mia stanza, beh a parte quelli che, ricordi vedesti?” annuisco ricordando lo scarno arredamento della stanza di Damon e ricordo anche la sua risposta, ma al momento lascio che sia lui a parlare “Capisci, lui mi aveva accolto in casa sua e lui mi voleva cancellare da quel posto a cui non appartenevo da principio.” i suoi occhi si velano di tristezza, i suoi occhi chiari sembrano divenire terribilmente cupi.
“Comunque.. ai miei 17 anni lasciai Mystic Falls e arrivai a Seattle, lì cominciai a lavorare per Mikael Mikaelson, lui mi ha dato un posto di lavoro e mi aveva detto che mi avrebbe aiutato a ritrovare i miei genitori.
Cosa che fece realmente… ma a che prezzo!” lo vedo deglutire e la sua mano mi stringe più forte.
Lo guardo in volto, ha un’espressione dura e persa in chissà quale pensiero che mi costringe ad abbassare lo sguardo e pensare a cose terribili. Attendo che ritrovi la forza e il coraggio, forse, di parlare perché capisco che quello che credevo di conoscere di lui, quella che avevo identificato come codardia nascondeva un baratro ancora più oscuro e spaventoso.
“Mikael mi ha insegnato le cose più brutali, mi ha insegnato ad essere spietato, a non avere pietà per l’altro, mi ha insegnato a prendere quello che volevo quando e come lo volevo. Non vado fiero di me e di quegli anni.” scuote la testa “Lui poi, sai, ha trovato realmente i miei genitori, ma non li ho mai visti. Mi fece soltanto vedere delle carte… erano morti. Scoprii soltanto mesi dopo per mano di chi. In quelle carte strappate c’era scritto che erano morti in un incidente d’auto, ma che c’erano anche dei fatti strani legati all’incidente.
Naturalmente Mikael non mi fece vedere quei strani fatti, si limitò a gettarmi il fumo negli occhi illudendosi che mi sarebbe bastata quella risposta e che non avrei indagato oltre. Cosa che per un po’ accadde, ma poi sentii delle parole strane dette dal figlio. Parlava di me e della morte causata ai miei genitori. Era stato lui.”
Lo guardo in volto e i suoi occhi mi osservano come se il nome del figlio di Mikaelson fosse lampante, fosse chiaro.
“Chi era?”
“Niklaus. Solo che tu lo conosci con il nome di Klaus.”
“Vuoi dire che…” annuisce “Klaus ha ucciso i tuoi genitori?!”
Annuisce ancora.
“Ma perché?”
“Perché l’uno era un giudice e l’altro un poliziotto.”
“E?”
Qual è il nesso tra i genitori di Damon e Klaus?
“E i miei genitori stavano indagando sulla famiglia di Klaus e lui per accattivare le simpatie del padre che si stavano volgendo verso il figlio dei loro persecutori, li ha uccisi.”
“E tu come hai fatto a scoprirlo?”
“Ho piano piano cominciato ad indagare per conto mio.
Ho cominciato a raccogliere prove contro di loro. A mio rischio e pericolo, lo so.
Raccolte tutte le prove e sottratto loro dei documenti che li inchiodavano sono dovuto fuggire, ho lasciato Seattle e ho messo un po’ di miglia di distanza tra me e loro, tornando a Mystic Falls e lì ho incontrato te. La persona più ingenua, imbranata, pura e dolce che potessi mai incrociare sul mio cammino.” lo guardo non sapendo esattamente cosa dire “Poi mi hanno trovato e allora sono scappato.” abbasso lo sguardo, ricordando tutto il dolore e il vuoto provato in quei giorni e l’odio scaturito da quell’abbandono.
“Elena” dice posando la mano sulla mia “credimi se avessi saputo che eri incinta, non ti avrei mai lasciato. Se solo Stefan me lo avesse detto!”
Sgrano gli occhi “Stefan sapeva dov’eri?”
“No, ma sapeva come rintracciarmi.
Usavamo una linea telefonica non ancora eliminata per comunicare.
Gli avevo chiesto di tenermi informato su di te, volevo sapere comunque se stavi bene.” mi volto verso di lui.
“Lo so, Stefan me lo ha detto e dire che ci sono rimasta male è poco.”
“Lo so. Però Elena non è colpa di Stefan. Stefan ha solo fatto quello che gli avevo detto io. Stefan lo sai com’è, è un tipo sempre pieno di sensi di colpa con manie di eroe tragico. Quindi ora sarà divorato dai sensi di colpa nei tuoi confronti.”
Sospiro.
“Appena tutto sarà risolto, gli parleremo okay?”
Annuisco appena.
Restiamo in silenzio per un po’ “E adesso cosa succederà? Klaus sa che Astrid è tua figlia.”
Inchioda quasi facendomi sobbalzare, mi fissa “Lui lo sa?” si porta una mano alla bocca “Che altro sa?”
“Beh, io… non so esattamente cosa abbia detto Caroline di te.”
“E’ essenziale, Elena.”
“Non lo so. Credo non molto altro.”
“Non molto altro? Elena, tu forse non hai capito: Klaus pur di avere quei documenti è disposto ad uccidere chiunque. Non avrà pietà.”
“Sì, ma cosa può fare?”
“Torturare. Uccidere. Ecco cosa è capace di fare. E lo farà se si sentirà con le spalle al muro, credimi, purtroppo lo conosco.”
“Cosa possiamo fare?”
“Non lo so ancora esattamente, ma dobbiamo proteggere Astrid. Se Klaus vuole vendicarsi… colpirà lei per colpire me.” riparte quasi sgommando.
“Tu hai detto che hai carte, prove che smantellerebbero Klaus e gli altri, perché non le hai consegnate alle autorità?”
“Ci ho provato, ma.. temo siano tutti corrotti.”
“Anche l’FBI?”
Mi guarda.
“Pensiamo a tornare da lei, poi su chi chiamare penseremo.”
Scende il silenzio, guardo fuori dal finestrino: il paesaggio sfreccia accanto a me, avvicinandosi di corsa e allontanandosi con altrettanta velocità. Ora voglio solo abbracciare mia figlia, vederla e sapere che starà bene, nient’altro.
 
Un’ora e mezza dopo circa, siamo a New Orleans. Scendo di corsa e di corsa salgo su per le scale con Damon che mi segue a ruota. Apro la porta di casa ed entro.
“Astrid!”
“Mamma!” esclama il mio pulcino correndomi incontro con le braccia protese verso di me, la sollevo e la abbraccio, mi abbraccia “Mammina.” la stringo più forte ancora, mentre sento Damon alle mie spalle chiudere la porta. “Tutto bene, cucciola?” le chiedo facendole una carezza sulla guancia.
“Sì, zia Caroline mi ha fatto mangiare wurstel e una montagna di patatine!”
“E’ monella allora zia Caroline! Le avevo detto di non farti mangiare patatine, dov’è?”
“Sta dormendo.”
“Allora non disturbiamola.” dico sorridendole, guardo verso Damon “Vuoi darmi il cappotto?” se lo sfila e me lo passa “Beh, allora… io vado di là a posarlo.” è una scusa, voglio vedere cosa dirà e come si comporterà.
Mi nascondo e quando sono certa che non mi vedano mi accingo ad osservarli.
Astrid è in piedi davanti a Damon, le manine sui fianchi e lo fissa.
E’ identica a lui, dura, decisa, e identica a me, guardinga.
“Tu chi sei esattamente?”
“Sono Damon.”
“Mi ricordo, ma cosa vuoi da mamma?” accidenti!
“Io? Niente.”
“Se vuoi far piangere, mamma, è meglio che vai via, non voglio vederla soffrire!”
Il volto di Damon si incupisce “Mamma, piange spesso?” chiede accucciandosi così da far trovare il suo volto alla sua altezza.
“Si nasconde, ma piange. Io l’ho vista spesso in questi anni.”
“Perché secondo te?”
“Aspetta che il mio papà torni, ma siccome non sa quando tornerà, è sempre molto triste. Lei però mi vuole bene quanto una mamma e un papà insieme.”
Sorride “Sono sicuro che è così. La tua mamma è una donna speciale. Io la conosco da alcuni anni. Le ho voluto e le voglio molto, molto bene e spero tanto che presto sia di nuovo felice, che presto possa sorridere sempre.”
“Lo spero anch’io.” fa una pausa “Tu però ancora non mi hai detto cosa fai qui?”
“Io..” ritorno da loro.
“Eccomi. Vi va una cioccolata calda?”
“Sìììì.” urla Astrid saltellando.
“Tu la vuoi, Damon?”
“Sì, grazie.”
“Mamma, ma lui chi è e perché è qui?”
“Tesoro, Damon ha… ha dei problemi, ha bisogno del nostro aiuto e noi di lui. Non ti farà male, tranquilla.”
“E se papà quando torna lo trova qui e poi non vuole più stare con noi?”
“Tesoro, non preoccuparti.” guardo Damon “Damon dormirà qui.”
La bocca di Astrid si spalanca “Con te?”
“No, di certo! Dormirà qui in salotto. E’ un ospite e facciamolo sentire il benvenuto, okay?”
“Io non lo voglio! Deve andare via! E se papà sta per tornare! Se pensi che vivi con lui e decide di abbandonarmi per sempre?” capisco le paure della mia piccina, ma la tranquillizzo di nuovo.
“Astrid, fai la brava. Papà capirà e anzi vorrebbe che lo aiutassimo.” le sussurro poi all’orecchio “Prova a fidarti di lui.”
“NO.” dice decisa andando con passo svelto nella sua stanza.
Damon mi guarda “Accidenti, non le sono proprio simpatico!”
“Dalle un po’ di tempo, vedrai che quando ti conosce cambierà idea.”
“Dici?”
“Sì. Dai, vieni, aiutami a preparare la cioccolata.”
“Non so neanche da dove si comincia.”
Combiniamo un po’ di pasticci, ma alla fine riusciamo a prepararla.
Chiamo Astrid, ma lei non viene.
“Vado a parlarle.”
“No” dice Damon “aspetta, vado io.” le porta la tazza di cioccolata.
 
pov Damon
 
Apro la porta della stanza di mia figlia.
Mia figlia, mi sembra così irreale, così assurdo eppure così vero.
Ho una figlia.
Devo conquistarla ancora prima di farle sapere chi sono realmente.
Mi odio, mi odio perché devo dirle una bugia. Devo fingere di essere qualcuno a lei lontano, devo fingere di essere solo un amico della madre. Devo dire di essere qualcuno che non sono e la cosa prima mi poteva anche andare bene, ora mi da terribilmente fastidio.
Astrid è seduta sul letto.
I capelli lisci scuri e un’espressione imbronciata.
“Che vuoi?”
“Volevo chiederti scusa.”
“E perché?” chiede guardandomi.
“Perché ti sto disturbando, perché so che tu mi ritieni una minaccia, un pericolo per la riunione dei tuoi genitori” mi fissa “ma se io sono qui, Astrid, è solo perché sono solo. Sono rimasto completamente solo.” abbasso lo sguardo “Sai, quando ero molto piccolo ho perso sia la mia mamma che il mio papà e io non mi ricordo neanche i loro visi, non ricordo la voce di mia madre, non so se fosse una donna dolce, paziente o se fosse scortese, non ricordo se mio padre mi dava un bacio sulla fronte prima di addormentarmi o se amava giocare con me, io non so nulla di nessuno dei due.” Gli occhi di Astrid mi guardano dolci e tristi, sembrano quelli di Elena di qualche settimana fa, occhi pieni di tristezza e dolcezza.
“Mi dispiace, ma come hai fatto?”
Per la prima volta la piccolina mi guarda con gli occhietti quasi sgranati, le manine a reggersi il volto, curiosa di conoscere la mia storia.
“Beh, Stefan mi ha aiutato e amato. Gli voglio bene e gli sono grato per quello che ha fatto per me.”
“Ma non sai proprio niente di loro? Io non ho mai visto il mio papà” abbassa lo sguardo triste “ma so che ama gli animali, li cura ed è molto lontano. So anche che presto tornerà da me e da mamma e non ci lascerà mai più.”
Poso una mano incerto sul volto di Astrid e le accarezzo il volto “Sono sicuro che lo farà, quando tutto sarà finito… sono sicuro che ti prenderà in braccio così” dico sollevandola tra le mie braccia “e ti dirà che gli è dispiaciuto stare lontano da te per tutto questo tempo e che…” le lacrime mi appannano appena la vista “non ti lascerà mai più.”
Astrid sorride e ricambio quel sorriso sincero.
La abbraccio e non mi importa se la piccola può protestare o dirmi di lasciarla andare, non ci riesco. E’ mia figlia. Sangue del mio sangue e mi sento così colpevole nell’averla lasciata sola, di averle fatte sentire abbandonate. Io riuscirò a riconquistare la fiducia di Elena e spero che un giorno, anche la piccoletta tra le mie braccia possa perdonarmi e volermi bene. 







 
....TOC TOC... 
Era da tantissimo che non mi collegavo qui.
Chiedo scusa per questa lunghissima pausa,
sono tornata e spero di riuscire a concludere 
la storia degli sventurati Elena Gilbert e Damon Salvatore.
Vista la sesta stagione?
Sono a lutto çç
Poi un personaggio cattivo, interessante e divertente me lo fanno fuori così?
Mah.
Comunque tornando alla storia spero vi piaccia, che troviate interessanti 
gli sviluppi e che mi lasciate un commentino :)
A presto.
Spero.

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Capitolo 11
*** AVVISO ***


Buonasera!

Avevo iniziato a scrivere questa storia con tutto l'amore e la passione possibile, ma già da un pò mi manca totalmente l'ispirazione per questa fanfiction.
Non voglio rovinarla donandole un finale frettoloso, perciò ho deciso di sospenderla.
Spero di riprenderla poiché vorrei dare una fine a ciò che ho cominciato.

Grazie alle poche che mi hanno seguito e che hanno commentato.

Arrivederci

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