Segni

di KarmaBoss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Registro i miei pensieri sul lettore Mp3 e li ascolto tutti quanti. Redigo una lita delle cose che voglio cambiare. Scelgo le due o tre più importanti. È stato così che mi sono resa conto che non potevo farlo. Almeno non per davvero. Dovevo andare dal lui e dirgli cosa provavo o non ne avrei più avuta occasione. Mi strappai le cuffie dalle orecchie con la stessa foga con la quale iniziai a vestirmi. Mi misi un paio di jeans forse troppo stretti, ma erano gli unici che avevo trovato sul pavimento ed una canotta verde che risaltava il mio colorito. Non feci neanche in tempo ad allacciarmi le scarpe. Mi sembrava che il tempo stesse passando troppo velocemente. O che potesse mancare all’improvviso. Ero stata talmente stupida quella sera nel rifiutare quel dolce bacio che dava di zucchero filato. Ma gli avevo davvero tirato uno schiaffo? Dio non potevo crederci. Pensavo a tutto questo mentre correvo sull’autostrada per arrivare prima all’ aeroporto. I lunghi capelli biondi mi coprivano leggermente la visuale e rivedevo il suo volto attraverso le lenti degli occhiali da sole. Pensavo che forse non sarei arrivata in tempo e che forse l’avrei perso per sempre. A quest’idea mi si riempirono gli occhi nocciola di lacrime ma cercai di ricacciarle indietro. Fabrizio era italiano ed era venuto a Londra per imparare meglio la nostra lingua. Come ho fatto a non accorgermi che amavo quegli occhi profondamente blu e quella ciocca di capelli neri che cadeva delicatamente su uno dei due, però la cosa più buffa era sicuramente il suo accento italiano che faceva capolino di tanto in tanto nelle sue conversazioni in inglese. Il piede mi si stava consumando sull’acceleratore e le lancette mi stavano giocando un brutto scherzo visto che continuavano a ruotare così velocemente sul quadrante. Cavolo, solamente un’ora all’imbarco. Non ce l’avrei mai fatta. Iniziai a piangere come un’isterica sperando che qualcosa cambiasse; però l’unico risultato fu il mascara che mi colava sulle guance. Arrivai all’aeroporto in uno stato pietoso. I barboni in confronto a me sembravano principi. Sembravo appena uscita da un concerto dei Kiss. Chiesi dove fosse il gate per l’imbarco diretto per l’Italia e loro mi indicarono un’altra ala –che per la cronaca si trovava dalla parte opposta alla mia attuale posizione- ed iniziai a correre, finalmente lo vidi. Iniziai ad urlare l suo nome come se fosse l’unica parola che sapessi pronunciare. Lui si voltò. Il momento più bello di tutta la mia vita fu quando che lui mi vide. Immediatamente e senza pensare mi lanciai verso di lui  ma non feci in tempo a vedere la macchina che stava arrivando. Mi ricordo solamente le urla di Fabrizio ed un grande dolore alla testa. Quando mi risvegliai avevo si e no una decina di tubicini infilati in ogni angolo del mio corpo. Parevo un clone del film “The Island”. Il mio primo pensiero però fu Fabrizio, non chiesi neanche dov’ero. Non mi importava. Potevo anche essere su una navicella aliena; ma se loro avessero saputo qualcosa su Fabrizio, allora sarei anche rimasta. Iniziai ad aprire gli occhi e la prima cosa che riuscii a vedere fu mia madre; o qualcosa che poteva assomigliarle. Le chiesi comunque di Fabrizio ma lei scoppiò in lacrime; allora cercai di tirami su per capire cosa stesse accadendo. Ovunque mi girassi però non lo vedevo e a tutte le persone a cui chiedevo piangevano. Mi girava tutto. Alla fine di nuovo il buio. Evidentemente ero ancora troppo debole. Quando mi risvegliai vidi su una sedia accanto al mio letto una donna meravigliosa; aveva i capelli rossi molto ricci ed ingarbugliati, due occhi verdi con delle pagliuzze dorate ed un camice bianco. Se le fossero spuntate le ali avrei continuato a credere che fosse una ninfa o una fatina dei boschi, come trilli o quelle che si immaginano quando ti viene letta una storia. Dopo esserci conosciute un po’ meglio iniziò a parlarmi di Fabrizio. Appena sentì quel nome che pronunciato da lei mutava e si trasformava in una dolce melodia, mi si illuminarono  gli occhi ma quando chiesi dove fosse, mi fece cenno di calmarmi e sul suo bellissimo volto il sorriso si trasformò in un’espressione seria, anzi, serissima. 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Mi spiego che Fabrizio mi aveva salvata da un incidente mortale ma che purtroppo non aveva fatto in tempo ad arrivare in ospedale. Il suo cure si era fermato. E d’un tratto anche il mio aveva smesso di battere. La dottoressa continuò dicendomi che mi aveva tenuta la mano durante tutto il tragitto. Ma oramai non la ascoltavo più. La sua voce era diventata fuori campo ed anche se poteva sembrare che la stessi guardando, in realtà i miei occhi si erano svuotati di tutto l’entusiasmo e di tutte le emozioni. Odiavo tutto e tutti ma la cosa che odiavo di più era sicuramente il mio essere. Le giornate in ospedale non passavano mai, ero sempre circondata di persone che cercavano di tirami su il morale ma avevo sempre la stessa espressione. Sembravo una bambola di porcellana impolverata che stava su uno scaffale troppo alto per essere raggiunto, tutti la guardavano e cercavano di prenderla ma lei si allontanava e rimaneva sempre con la medesima faccia. Sempre con la medesima espressione. In ospedale non toccavo cibo, bevevo pochissimo e quelle poche volte che riuscivo a dormire sognavo il giorno dell’incidente e mi svegliavo urlando. Mi stavo lentamente lasciando morire. Era questo ciò che volevo; e stavo scegliendo il modo giusto per farlo. Lento e doloroso. Meritavo di soffrire. Finalmente uscì dall’ospedale e ritornai a casa. Quella stessa casa in cui per settimane aveva vissuto una persona che ora non c’era più. Quelle mura trasudavano ricordi che mi lesionavano dentro. Entrai in camera e mi buttai a terra. Non ce la facevo. Ogni volta che mi giravo e non lo vedevo era una pugnalata dritta nel petto, esattamente dove si trova il cuore. Ma io non ne avevo più uno. Il mio aveva smesso di battere quando anche quello di Fabrizio si era fermato. Volevo farla finita una volta per tutte. Una notte quando i miei dormivano tirai fuori dal mio comodino una lametta e mi solcai i polsi, dopo poco mi addormentai con un sorriso compiaciuto sul volto aspettando minuto per minuto la signora nera incappucciata che avrebbe dovuto portarmi via. Quella stessa notte sognai Fabrizio. Quando mi sorrise riuscii a ritrovare la mia anima. Ci abbracciamo e ci baciammo come se non ci vedessimo da moltissimo tempo, anche se per me era così. Si arrabbiò moltissimo nel vedere come mi ero ridotta. Ero magrissima, pallida ed avevo i polsi che gocciolavano sangue. Mi diceva che non ero io quella di cui lui si era innamorato. Ed era la verità. Le mie mani scivolavano sul mio corpo. Non avevo più nessuna curva, non avevo la stessa carnagione, sembravo un cadavere che per qualche ragione continuava a vivere. D’un tratto mi prese le mani, mi guardò e mi disse con le lacrime agli occhi che io avevo la possibilità di vivere, che non ero morta in quel incidente insieme a lui e che ero proprio una sciocca. Gli promisi che sarei migliorata e mi abbracciò talmente forte da togliermi il respiro. Mi piaceva quella sensazione. Volevo che la mia faccia rimanesse pressata sulla sua maglietta per sentire il suo odore. Era possibile che qualcosa finisse ancora prima di iniziare? A me è capitato. Alla fine prima di scomparire si avvicinò a me e mi sussurrò all’orecchio che quando un angelo ti è vicino rabbrivisci. Il giorno dopo nascosi i polsi per cercare di non farli vedere a nessuno. Ero morto qualcosa dentro di me, ne ero sicura. Tutti se ne accorgevano. Piano piano però ricominciai a riprendere forma, la mia pelle si scuriva di nuovo; ma nei miei occhi si poteva sempre scorgere quel velo di tristezza, rabbia. Ero cambiata. Per sempre. Oggi registro ancora i miei pensieri su quel Mp3 e l’unico momento che vorrei cambiare è quello in cui ci siamo baciati, non vorrei essere confusa, alla fine sapevo già quello che provavo. La notte piango sempre e qualche volta mi viene la voglia di tagliarmi. ma non lo faccio perchè io devo vivere. io ho il DOVERE di vivere per lui. la differenza ora è che però di tanto in tanto rabbrividisco anche in estate.

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