The Bathroom Series

di Viviane Danglars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buonissima dannata cosa [Gin/Ran] ***
Capitolo 2: *** La la la [IshiHime] ***
Capitolo 3: *** Accappatoio azzurro (it’s wonderful) [ByaRen] ***
Capitolo 4: *** Raindrops [Kenpachi/Retsu] ***
Capitolo 5: *** (Black Poison Blood) Antidote [Mayuri/Nemu] ***
Capitolo 6: *** The Pendulum [ByakuYoru] ***
Capitolo 7: *** I wish it was (all that easy) [ByakuRuki] ***
Capitolo 8: *** Vesper [Shunsui/Nanao] ***



Capitolo 1
*** Buonissima dannata cosa [Gin/Ran] ***


Inauguro una nuova raccolta... un po' prima di quanto avessi inizialmente calcolato, perchè ho deciso di correggere un po' prima il pezzo e postarlo oggi, dato che - ho appena scoperto guardando la Mirabolante Pagina Autore - oggi è il compleanno di Helen Lance! E allora ho deciso di postare oggi, iniziando con questa shot. ^w^
Augurih! *_* Spero che ti piaccia. u_u

Altre note di inizio fic:
- il titolo. Si chiama "the bathroom series" perchè tutte le one-shots gireranno attorno a bagno, doccia, annessi e connessi. Questo perchè? Perchè - sarà la sensualità dell'acqua, o la sua mutabilità, o che ne so io - è uno dei miei spunti preferiti. Non solo, ma il mio doccia-time è dedicato ampiamente al rimuginio sulle fic in corso, perciò mi viene naturale ambientare in quel contesto alcune scene. XD
- tipologia di fic: le fic saranno AU, OoC o comunque totalmente affidate alla mia fantasia. Perciò molto più libere di quelle che pubblico nella mia raccolta "canon". Poi starà a voi giudicare di quanto ho "sforato" ^^ In ogni caso, si tratterà di fic un po' più lunghe incentrate su dei pairing, almeno questo è quello che prevedo.
- l'aggiornamento. Questa raccolta è diversa da Scintillae; aggiornerò in maniera molto più sporadica, basandomi sull'ispirazione. u_ù

E infine... be', su questa piccola shot dirò solo che volevo provare ad immaginare Gin e Rangiku in una situazione senza angst, e che è dedicata ad Helen Lance.
E che il titolo non mi piace. XD


Buonissima dannata cosa
[Gin/Ran]




Rangiku sospirò di piacere quando l’acqua calda le lambì i fianchi, e socchiuse gli occhi. Che delizia.
Nanao, che era di fianco a lei, esitò voltandosi a guardarla con un rossore eccessivo in viso, e intinse soltanto la punta di un piede, tenendosi ben stretta l’asciugamano che aveva avvolto attorno al busto.
- Suuu… La temperatura è perfetta, Nanao! -
- Mh – commentò l’altra. A volte Rangiku le ricordava troppo il suo capitano; si sarebbe quasi aspettata che trillasse “Nanao-chan” per attirare la sua attenzione. Forse era colpa delle troppe volte in cui i due sconsiderati uscivano per bere un bicchiere assieme?
Fosse stato solo un bicchiere, poi…
La luogotenente sospirò impercettibilmente, decidendosi a togliere gli occhiali appannati, senza lasciare la presa sul suo asciugamano.
Rangiku, dal canto suo, non aveva aspettato a liberarsi del proprio mentre prendeva possesso dell’ampia vasca incassata nel pavimento. Una delle cose che più amava dell’essere vicecapitano… come aveva candidamente ammesso una volta, bevendo con Shuuhei, Renji e Izuru… be’, in realtà aveva detto che quella era “l’unica dannata cosa per la quale valesse la pena di sorbirsi tutte le scartoffie”.
E poi aveva rincarato agitando la bottiglia di saké e colpendo alla testa Shuuhei.
Be’, lui non si era lamentato, comunque.
D’altronde perché avrebbe dovuto? Tra l’altro Izuru era salito in piedi sulla sedia e stava esclamando “E’ vero, è vero!” con gran convinzione, caro ragazzo.
Il capitano, che li aveva sentiti, lui si era lamentato.
Ad ogni modo. Solo un piccoletto con un brutto carattere come il capitano Hitsugaya avrebbe osato negare che quel bagno privato per vicecapitani fosse una buonissima dannata cosa.
- Chissà chi è stato il primo ad avere l’idea… - osservò Nanao pensosa, benché più rilassata, dondolando le gambe nell’acqua profumata mentre si guardava attorno.
- Non è ovvio? E’ evidente che una cosa come questa serve a noi poveri vice! – dichiarò appassionatamente Rangiku, immergendosi fino alle spalle e voltando le spalle alla compagna per porsi al centro della vasca. – Per riposarci del lavoro portato a termine durante la settimana! -
- Tu? -
- Certo! – Rangiku chiuse gli occhi e si affidò al dolce cullare dell’acqua calda, sul viso un’espressione di pura beatitudine. – Siamo noi a fare la maggior parte del lavoro, sai! -
La divertiva affermare il palesemente falso. O meglio, l’ambiguamente vero. Il discorso poteva senza dubbio essere valido per Nanao e il suo capitano, ma lei, Rangiku, era l’ultima a poterne parlare, e lo sapeva… anche se la cosa, invece di suggerirle una giusta vergogna, le provocava solo un incresparsi divertito delle labbra.
In fondo lei era una donna con tutti annessi e connessi. Anzi, di più, era una vera donna, e le piacevano le cose belle e piacevoli.
Aveva vissuto troppo a lungo dovendone fare a meno.
- Nanao…? – chiamò, la voce persino un po’ impastata, riaprendo un occhio. Sentiva il viso cosparso di goccioline di sudore. Immerse la testa nell’acqua, bagnando così tutti i capelli, e quando riemerse non c’era Nanao seduta sul bordo della vasca.
- Gin – esclamò, stupefatta e suo malgrado senza fiato, affrettandosi a sollevare una mano per scostare i capelli bagnati dal viso e toglierseli così dal campo visivo. Rimase ferma qualche istante, sentendosi nuda di fronte al sorriso analitico di lui; e non nuda perché lo era, del tutto, sotto l’acqua, ma semmai perché con Gin era sempre quella la sensazione che si provava.
- Ciao, Ran-chan. – Il capitano inclinò leggermente il viso. Aveva un ginocchio piegato sul quale poggiava un braccio, lasciando le lunghe dita rilassate a sfiorare l’aria; con l’altra mano si teneva al bordo della vasca. Non portava nemmeno l’haori di capitano.
Rangiku si mosse nell’acqua, avvicinandosi a lui, ma non ancora del tutto. – Dov’è Nanao? – domandò guardandosi attorno.
Gin copiò il suo movimento voltando la testa da una parte e dall’altra. – Oh. Pare non ci sia, eh? -
- Questo… - Rangiku posò cautamente le belle dita bagnate sul bordo, una dietro l’altra, vicino a quelle di lui – è un bagno privato per i vicecapitani. - Gin la seguì col suo sguardo nascosto da sotto le palpebre, voltando il capo lentamente mentre lei si avvicinava, finché la shinigami non fu di fianco a lui con il mento posato sulle nocche e il capitano che la osservava dall’alto in basso.
- Un così bel posto, vorreste tenervelo solo per voi? – chiese lui in tono beffardo, forse addirittura calcando un po’ il suo accento, a volte gli piaceva farlo.
Rangiku sorrise di un piccolo ghigno da bambina al suo indirizzo, accogliendo l’invito a giocare. – Be’, è così che funziona… -
- Uh? – Gin si chinò verso di lei appoggiandosi alla mano che stava vicino a quella di Rangiku, e lei vide le dita contrarsi e la pelle tendersi sulle nocche, e la luce variare impercettibilmente sul polso e sulle unghie pallide mentre la mano sopportava il peso di Gin. Era così attratta da quella piccola meraviglia della natura da non rendersi conto che lui si era già portato vicinissimo al suo orecchio.
- Non va bene no, Ran-chan. -
Rangiku si voltò e gli sfiorò i capelli con il naso. Era così vicina che poteva vedergli, infinitesimale e dolcissima, la piega di carne sulla palpebra. – La cosa ti interessa? Tu non hai l’aria di uno che vuole farsi un bagno – ribatté.
Lui sorrise un po’ di più, forse in previsione della frase successiva.
- Con tutti quegli abiti addosso… -
Il sorriso si aprì mostrando denti bianchi.
Chiunque altro avrebbe pensato che quello era il sorriso di un predatore. Chiunque altro avrebbe avuto paura.
Non lei.
Rangiku sollevò un braccio, e chiuse le dita sulla stoffa nera dell’abito di Gin, strattonandola un po’, gentilmente.
- Toglilo. -
- E se tornasse Nanao? – domandò lui mellifluo, ma si stava già slacciando l’obi, con la mano libera.
Rangiku non rispose e si limitò a ridere appena, facendo scivolare via il bordo superiore del kimono e lasciando scorrere le dita sulla parte superiore del petto di Gin. Lui era ancora piegato verso di lei e come sempre sorrideva. Lei contrasse le dita e intaccò con le unghie forti la pelle tra la clavicola e la spalla.
- Vorresti farmi male, Ran? – chiese Gin, senza preavviso, distogliendo lo sguardo da lei per posarlo sulla sua mano.
- A volte sì. – Ma era solo un sospiro rassegnato e non privo di desiderio.
Per un attimo il sorriso di Gin svanì, ma solo un istante prima che il capitano muovesse la mano in uno scatto per afferrare il gomito di Rangiku, portandola più vicino. Quando le loro labbra furono tanto vicine che la donna già sentiva il bisogno di mordere quelle dell’altro, lui dischiuse di poco le proprie, come per parlare ancora.
- So cosa stai per dire – lo interruppe lei, aprendo gli occhi. Gin corrugò appena la fronte e si guardò dal rispondere, prendendole il bacio che le aveva preannunciato chiaramente, e fu lui a morderle il labbro inferiore.
Quando si staccarono Rangiku era un po’ euforica e si allontanò con una spinta dal bordo della vasca, guardando verso di lui, e sorridendo. – “Non va bene no, Ran”! -

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Capitolo 2
*** La la la [IshiHime] ***


Questa è la traduzione del brano cantato da Orihime, una strofa dalla canzone, appunto, La la la della Bleach Beat Collection.
I wanna set out many time with you all
I wanna be with you always from now on
I really love all of these dreams
They're super super magnificent!


La la la
[IshiHime]




- La… -
Non ha smesso un attimo.
- La… la… -
Uryuu gira la manopola e il fruscio dell’acqua si arresta con qualche ultimo sgocciolio. Meticoloso come è sempre, si avvicina alla piccola vasca bianca e antiquata, e intinge un dito appena sotto la superficie azzurrina.
La temperatura è buona…
- … la… la… -
Il ragazzo si volta, esitante. Non ha più scuse per rimandare – è già tutto pronto: l’accappatoio appeso dietro la porta, due asciugamani puliti piegati sul lavandino, ed uno ai piedi della vasca per posare i piedi.
Lei si troverà benissimo, si dice.
Plic.
- La… -
Continua imperterrita, e il Quincy deve fare un grosso sforzo, chiudendo gli occhi e prendendo un ampio respiro, per trattenersi dallo scuoterla. Come se non bastasse, il lavandino gocciola ancora e il rumore si sovrappone alla voce di lei.
- La… -
Plic.
No, non ha più scuse.
- Orihime… -
Si china in avanti, mormorando il suo nome e sperando che lei reagisca nella maniera giusta; ma la ragazza si limita a voltarsi verso di lui e fissarlo per un istante con i grandi occhi spalancati, come se fosse incuriosita dal suono della sua voce. Uryuu non è neppure certo che abbia riconosciuto il proprio nome.
- Mi dispiace, - le dice, anche se non ha senso. Di cosa si dovrebbe dispiacere? Ha chiesto lui di farlo, in ogni caso. E non è come se lei potesse rendersene conto.
Gentilmente, le prende un polso e la spinge a sollevare il braccio. Lei obbedisce e poiché lui non parla più si limita a distogliere lo sguardo senza più prestargli attenzione. Continua a canticchiare, ma a voce più bassa, mentre Uryuu le fa alzare entrambe le braccia e le sfila gentilmente quel che rimane dell’abito bianco da Arrancar.
Non appena gliel’ha tolto, lo getta via con disprezzo. Detesta quel bianco e nero, detesta quelle linee fin troppo familiari.
Orihime è ancora accovacciata sul pavimento, le gambe piegate davanti al corpo come una bambina, e fa passare un dito su una delle piastrelle rovinate del piccolo, povero e ordinato bagno di Uryuu, disegnando cose che conosce solo lei.
Uryuu ha una fitta di tenerezza nel ripensare ai disegni che Orihime faceva una volta; allora, lei era più che felice di spiegarli a chiunque volesse starla ad ascoltare. Erano di solito dei disegni assurdi.
Lui avrebbe passato giorni interi a farseli mostrare.
Dopo aver a lungo esitato, si decide infine a sollevare lo sguardo su di lei, imponendosi di non mostrare il proprio imbarazzo. E’ orrendo che debba vederla nuda, in questo modo, senza che lei ne sia neppure consapevole; è orrendo che invada la sua intimità proprio quando l’unica cosa che vorrebbe è aiutarla. E’ orrendo quello che le hanno fatto. Uryuu stringe i pugni per la rabbia e per la disperazione, desiderando per un istante di poter gridare il suo dolore, come farebbe Kurosaki.
Ma è inutile, non lo farà. Non è da lui.
Kurosaki non è lì; è nella sua casa a farsi curare le ferite di una guerra finalmente conclusa, con Kuchiki al suo fianco. Lui non è Kurosaki; lui è solo Uryuu Ishida e ha chiesto di potersi prendere cura di Orihime finché le cose non andranno meglio.
Anche se era suonata tanto come un’ultima richiesta prima della fine.
Uryuu lo sa e questo fa quasi nascere lacrime d’impotenza nei suoi occhi nascosti dagli occhiali. Poi la rabbia scema in commozione quando, nonostante tutto, il ragazzo non può fare a meno di osservarla.
E’ così bella.
- Vieni… - mormora, stringendole con forza le dita per spingerla a mettersi in piedi. La guida cautamente verso la vasca e quasi non si accorge più dell’imbarazzo, concentrato com’è nel controllare che si sieda nell’acqua calda senza scivolare.
Le punte dei capelli di Orihime si allargano sul pelo dell’acqua, asciutte, a malapena impigliate nella superficie come pulci d’acqua. Uryuu si sporge per prendere la spugna e il sapone mentre lei allarga le dita, osservando affascinata il modo in cui il liquido le deforma alla vista.
Il suo corpo è così piccolo e morbido. Dalla sommità della sua testolina assurda, alle punte dei piedi che sono quanto di più tenero Uryuu abbia mai visto, non c’è nulla che non lo seduca, non c’è un dettaglio che non sia perfetto per lei, e per lui. Anche se è la prima volta che può vederla in questo modo, Orihime è perfetta. Non la avrebbe mai immaginata diversa. E’ dolce, buffa e bella. E’ splendida.
Uryuu potrebbe quasi illudersi che vada tutto bene. Solleva il braccio che regge la spugna e con il dorso della mano scosta una ciocca di capelli scuri che gli oscura la vista, e, senza che se ne renda conto, ingentilisce il suo profilo sottile.
- Minna de… ippai odekake shitai… -ricomincia a canticchiare la ragazza, mentre Uryuu con immensa cautela inizia a insaponarle le spalle in movimenti circolari. Lei sembra ancora non prestargli attenzione, alzando solo un filo di voce che l’acqua e le pareti del bagno riempiono di echi.
- Shitai… kore… kara itsu demo… issho ni itai… -
Le parole gli stringono il cuore. Quanto vorrebbe che smettesse. E’ una canzone buffa, proprio del genere che Orihime avrebbe potuto gradire. Uryuu si chiede per un istante se l’abbia cantata anche a Las Noches, quando era completamente sola, magari nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa di familiare per non impazzire.
Uryuu stringe inconsapevolmente le dita sulla spalla di Orihime, e lei ha un sussulto impercettibile, silenzioso. Lui rilassa immediatamente la mano e le deposita sulla scapola una goffa carezza, come per rassicurarla, ma lei già non gli presta più attenzione.
- Subete no yume ne hontou ni suki de… -
Se lei continua a cantare in questo modo, Uryuu si chiede se sarà in grado di arrivare fino alla fine. E’ solo un bagno, si dice – solo un bagno per lavarle di dosso la polvere e il sangue non suo e l’odore dell’Hueco Mundo.
Non è sicuro che l’Hueco Mundo abbia un odore, ma, che ce l’abbia o no, lui è sicuro di sentirlo su di lei.
Va lavato via.
Poi le darà dei vestiti puliti e asciutti – i suoi vestiti, che Tatsuki gli ha portato – e le permetterà di dormire in un letto caldo. Questo le farà bene, si dice.
Dopo starà senz’altro meglio.
- Tottemo… tottemo… tottemo… - Sembra che persino nella sua inconsapevole concentrazione, Orihime faccia fatica a ricordare tutte le parole. – Tottemo… - Quando la sua voce si inceppa, Uryuu si ferma e solleva lo sguardo su di lei. La ragazza sembra totalmente ignara del fatto che lui le stia passando la spugna bagnata sul braccio, pulendo i graffi che le adornano le mani; tutta la sua attenzione è rivolta alla canzone che non riesce a ricordare, la fronte corrugata e i piccoli denti che mordicchiano un labbro, finché non arriva la parola che stava cercando. - …subarashii! -
Che canzone assurda, pensa Uryuu. Che canzone assurda da cantare proprio in un momento come quello. Le lascia andare il braccio insaponato, che Orihime abbassa di nuovo. Sembra soddisfatta della sua strofa, e si rilassa appoggiando la schiena contro la parete della vasca.
Uryuu le prende l’altro braccio mentre lei ricomincia a muovere appena le labbra, a voce bassa, lo sguardo puntato davanti a sé.
- La la la… -





Grazie a Helen Lance, AllegraRagazzaMorta, Tsunade_91 e Ino_Chan per le recensioni alla prima fic! *___*

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Capitolo 3
*** Accappatoio azzurro (it’s wonderful) [ByaRen] ***


L’accappatoio azzurro è un mio mito grazie a Paolo Conte. Per altro, trovo ci sia qualcosa di stupendo nell’usare l’accappatoio di un altro – naturalmente dipende da chi è quest’altro. Ah, e personalmente amo farmi la doccia verso sera, mentre si è in via di preparare la cena. Non ho idea del perché. Fa casa.
Comunque… sono terrorizzata, questa è la mia primissima fic pseudo yaoi, la prima in assoluto. °_° Qui ho veramente bisogno di critiche e consigli.
Ah… Byakuya è OoC. XD Ovviamente. XD Anche Renji, mi sa. u,ù

-> [Edit] Voglio solo sottolineare quanto l'Upside Down e la sua autrice mi abbiano davvero ispirato! *_* E per non toglierle niente del suo, chiarisco che l'idea della moto di Renji (che qui io cito, e la citazione vale come un omaggio ;P) le appartiene e che è stato dopo aver letto i suoi bellissimi lavori che l'ispirazione e il desiderio di scrivere questa fic sono nati... quindi tutto il merito va a lei. ^^


Accappatoio azzurro (it’s wonderful)
[ByaRen]




Renji sbadigliò distrattamente, aprendo la finestra del bagno, e si affacciò per osservare la notte e respirare un po’ d’aria. La città era stupenda, da lì, ed era ancora così viva, persino a quell’ora. Poteva vedere muoversi le luci delle macchine, e immaginare di essere su quelle strade, magari in moto…
La città è tutta un’altra cosa, di notte.
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare un po’ dalla stanchezza. Era stanco, sì, ma stanco nel modo giusto: aveva lavorato molto e aveva avuto una nottata movimentata, che l’aveva lasciato non solo stanco ma anche soddisfatto.
Ed ora era stanco, soddisfatto e pulito, una sensazione rara e incredibilmente piacevole. Inoltre il fatto di essere appena uscito da una doccia fredda faceva sì che il contatto con l’aria notturna gli provocasse un particolare numero di brividi lungo la schiena, nonostante l’accappatoio.
Si ritrovò a sorridere, al nulla e con gli occhi chiusi – conseguentemente, da idiota -, solo al pensiero di stare indossando un accappatoio. Di solito si dava giusto un’asciugata veloce; non gli piaceva perdere tempo per una cosa che tanto sarebbe successa comunque come l’asciugarsi. Non dedicava particolare attenzione nemmeno ai capelli. Erano resistenti, come la sua pelle.
- Che stai facendo? -
- … un accappatoio lilla? -
Byakuya sostò per un istante sulla porta in silenzio, preso in contropiede. Renji, che si era girato, poté notarlo perché l’altro aveva corrugato impercettibilmente la fronte, senza dismettere ovviamente il suo sguardo impassibile.
- E’ azzurro. -
- E’ lavanda. -
- Azzurro chiaro. - Byakuya decise di lasciar perdere. – Comunque. Cosa stai facendo? -
- Niente, ho fatto entrare un po’ d’aria. -
- Sono le due di notte… -
Renji si strinse nelle spalle, affondando le grandi mani nelle tasche dell’accappatoio azzurro, e sorridendo con l’aria di sfida che non faceva neppure apposta a metter su. – E con questo? Tu cosa fai sveglio? Quando sono venuto a farmi una doccia, dormivi. -
- Sto lavorando. – Byakuya aveva messo su la camicia che portava il giorno stesso al lavoro, sopra ai pantaloni del pigiama. Così, pensò Renji distrattamente, il profumo messo al mattino per uscire di casa e l’odore di sesso si sarebbero mischiati.
- Alle due di notte? -
- C’è una mail che preferisco spedire entro domattina. -
- E quanto ti ci vorrà? – chiese l’altro un po’ seccato. Ciò che gli piaceva del suo lavoro era che una volta terminato non ci doveva più pensare.
- Non lo so. – Byakuya si scostò dalla porta quando lo vide passargli accanto; Renji lo oltrepassò e si diresse in cucina.
- Hai fame? – chiese da lì, alzando la voce.
Con un impercettibile sospiro, l’altro gli andò dietro. All’inizio della loro frequentazione poteva avere avuto delle fisime riguardo all’abitudine di Renji di impadronirsi del suo spazio, ma ormai ci si era abituato.
- Renji, sono… -
- … le due di notte, e allora? Siamo entrambi svegli ed io ho fame. – Il rosso dei suoi capelli era l’unica cosa che faceva capolino mentre il ragazzo si chinava verso il frigo.
Byakuya sorrise. Faceva veramente a pugni con il colore dell’accappatoio.
Sul piccolo tavolo della cucina era posato, aperto, il portatile. Di fianco, Byakuya aveva riposto gli occhiali dalla montatura sottile che portava per leggere.
A Renji gli occhiali piacevano. Ovviamente, al loro possessore, un po’ meno. Comunque il fatto di doverli portare non gli pesava particolarmente, se non per motivi pratici; di sicuro, non toglievano nulla allo sguardo glaciale di Byakuya Kuchiki.
Quel piccolo tavolo non era stato pensato per consumare i pasti, per quello c’era una sala da pranzo non grande ma funzionale. Renji, però, preferiva restare in cucina. – Non capisco il senso di una sala da pranzo nell’appartamento di uno scapolo, - diceva.
In quello non aveva tutti i torti.
- Perché non vai a farti una doccia anche tu mentre io preparo qualcosa? -
Byakuya riportò lo sguardo sulla schiena dell’altro e batté un paio di tasti al computer. – Hai intenzione di distruggermi la cucina a quest’ora? -
- No, be’, faccio qualcosa di commestibile. -
- Allora perché senti la necessità di allontanarmi? -
- Era solo un’offerta premurosa – protestò l’altro. – Tu ti rilassi ed io ti preparo qualcosa di pronto per quando hai finito. Hai anche da ridire? -
Byakuya aveva un altro concetto del rilassarsi, era questo il punto. Spostò occhiali e portatile, giusto per sicurezza. – Va bene. A tra dieci minuti. -
Renji gli rivolse un gran sorriso e agitò la mano a mo’ di saluto. Byakuya lo ignorò e si diresse verso il bagno.
In ogni caso, voleva lavarsi.
Richiuse la finestra che Renji aveva lasciato aperta e che aveva già raffreddato tutto il bagno. Poi aprì l’acqua e la lasciò riscaldare un poco, osservando il getto della doccia che formava un ruscello brillante contro la parete della cabina modernissima del suo bagno assai lussuoso.
Il suo appartamento era troppo impersonale. Ma lui era un uomo pratico e, al di là di tutto, non aveva grandi necessità. Le cose meno che funzionali erano rimaste nella casa di famiglia, fuori città.
Si spogliò e si infilò sotto l’acqua, disturbato dal pensiero che l’aveva colpito ed ora non voleva andarsene via. La casa di famiglia. Perché gli era venuto in mente di collegarla a Renji?
Rovesciò la testa lasciando scorrere l’acqua tra i capelli. Renji non l’avrebbe mai visto, quel posto. Non riusciva ad immaginare un’occasione in cui gli sarebbe stato possibile portare il suo… ragazzo? Amante? Coinquilino part-time? Palla al piede? Comunque, portarlo nella dimora dei Kuchiki.
Anche se in definitiva non gli sarebbe dispiaciuto. Quella casa era pur sempre parte di lui.
A Renji sarebbe piaciuta? Ne dubitava; non era il suo genere…
A quel punto – l’acqua che gli scorreva sul viso era quasi riuscita a sciogliere e addolcire la fronte impercettibilmente corrugata – Byakuya fu interrotto nei suoi discorsi distratti da sotto-la-doccia, da un ticchettio proveniente dalla sua destra.
Aprì la porta della cabina.
- A cosa hai dato fuoco? -
- Perché hai chiuso l’acqua? -
Renji indicò dietro di lui e Byakuya chiuse gli occhi, irritato. Sospettava che le ciocche di capelli gocciolanti non lo aiutassero in quanto a serietà.
- La cucina esiste ancora? – esplicitò.
- Sì. – A quel punto Renji sollevò le mani rivelando un sacchetto di biscotti. Un attimo dopo, ne aveva ficcato uno nella bocca dell’altro.
Byakuya non poté fare altro che staccarne un morso prima di sollevare a sua volta una mano per togliersi il dolce dalla bocca. – Era questo che intendevi col “preparare”? Aprire una confezione di biscotti? -
- Be’, li ho assaggiati, e sono buoni – si difese l’altro. – Non ti facevo tipo da tenere dei biscotti in casa. -
Byakuya si strinse nelle spalle. Perché non avrebbe dovuto mangiare biscotti?
- Hai finito? – si informò Renji alludendo con un cenno della testa alla doccia.
- No. -
- Posso entrare? -
Una piccola pausa. Renji posò i biscotti sul lavandino. Byakuya aprì di più la cabina, in silenzio. – Stanotte hai deciso di passarla in bianco – commentò soltanto, ma senza opporsi.
Renji si tolse l’accappatoio, anche se lo fece in tono un po’ canzonatorio spingendo Byakuya ad alzare gli occhi al cielo.
- Guarda, scusa, ma magari lo riutilizziamo dopo il tuo accappatoio lavanda… -
- E’ azzurro. -
- Non si è mai visto un azzurro simile. Non è che mi hai fatto usare quello di tua sorella? … No, Rukia non metterebbe mai una cosa così effeminata. -
Renji richiuse la porta della cabina con il suo peso, lanciando un’occhiata a Byakuya che lo osservava, distaccato, per quanto possa essere distaccata la persona con la quale ti trovi nudo in una cabina doccia. Sembrava scettico. Perché sembrava sempre scettico?
- Cosa c’è che non ti convince? -
- In che senso? -
- Sembri sempre scettico. -
- E’ nella mia natura. -
Renji allungò una mano per riaprire il getto dell’acqua. – Sono io che non ti convinco? -
Byakuya sospirò piano. – Ti ho detto che non è vero. -
Per tutta risposta, Renji si fece invasivo, ma in fondo era sempre invasivo. Lo era un po’ come lo sono i bambini timidi, o i cuccioli, quando tentano e poi si ritraggono, per attirare la tua attenzione senza sapere fin dove possono spingersi. Sfregò le caviglie contro le sue caviglie, sollevò le mani per riavviare le ciocche di capelli neri ai lati del viso. Stava pensando.
- Renji. -
- Non voglio diventare melenso. -
Byakuya sospirò, ancora, e sollevò le mani a sua volta, aggrappandogliele alle spalle. Erano spalle grandi, quelle di Renji. Non si dovrebbe consolare qualcuno che ha spalle così. – Perché dovresti essere melenso? -
- Mi giudichi ogni volta che mi guardi, Byakuya. -
L’altro non negò. Ma stavolta gli risparmiò il sospiro. – E’ nella mia natura. -
Inaspettatamente fu Renji a negare, e la cosa gli strappò un po’ di rabbia, mentre scuoteva la testa col risultato di bagnarsela del tutto. – Non è nella tua cazzo di natura. E’ quello che ti hanno insegnato. Ma potresti risparmiartelo, con me. -
- Non lo risparmio neanche a me stesso – protestò Byakuya, un po’ duramente. Renji appoggiato contro di lui, le sue mani aggrappate alle scapole di Renji, non cambiarono, ma la situazione era più tesa. Non c’era un briciolo di romanticismo, non c’era nemmeno eccitazione, il che era peggio.
Stavolta fu Renji a sospirare, ma in maniera ben diversa da quella stile Kuchiki. Aveva chinato il capo, ritrovandosi a drappeggiare di capelli rossi la schiena di Byakuya. Fu l’altro a fare la prima mossa stavolta – non capitava spesso – e mosse per primo la mano sulla schiena di Renji, accarezzandogli i tatuaggi, con il suo tocco da aristocratico innato. – Non è cattiveria. -
- Lo so. Mi dispiace. -
- Di cosa? – chiese Byakuya sorpreso. Renji si scostò un poco e gli posò le labbra sulla spalla, ma non era un vero bacio, era più il primo contatto che gli fosse venuto in mente.
- Avevamo detto che nessuno avrebbe cercato di cambiare l’altro. Non devi smettere di essere come sei. -
- Non ho mai avuto intenzione di farlo. – Era una frase dura, ma sulle labbra di Byakuya, in quel momento, era uno scherzo. L’unico tipo di scherzo che si concedesse. Contro la sua spalla Renji sorrise e Byakuya si ritrovò le mani impigliate tra i suoi capelli.
Ogni volta che gli capitava, gli veniva voglia di tirarli, accarezzarli, ingarbugliarli. Erano qualcosa che attirava la voglia, quei capelli.
- Sabato torno a casa per prendere delle cose. Vieni con me? -
Il tono era casuale. Apparentemente. Renji non se lo bevve affatto. – A casa Kuchiki? -
- Sì. -
Piccola pausa. Rumore dell’acqua.
- Solo se andiamo in moto. -
- No. -
- Guido io! Non ti fidi? -
- Andiamo in macchina. E guido io. -
- Che devi prendere? Non può stare sulla moto? -
- No. -
- Ma non è tanto distante… -
- Ho detto di no, Renji. -
- Ora mi impegno e tra mezz’ora mi dirai di sì. -
- Lavati, piuttosto… -
- … urlerai di sì! -



Grazie per i commenti a Helen Lance e Ino_Chan :P

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Capitolo 4
*** Raindrops [Kenpachi/Retsu] ***


Ho scritto questa fanfiction poco fa, di getto; ero certa di voler scrivere una Zaraki/Unohana, ma aspettavo di "visualizzarla" e stasera penso di esserci riuscita. So che dovrei essere seria e aspettare di rileggerla a mente fresca, ma la serata è questa.
Spero che vi piaccia e soprattutto, essendo un crack pairing, xD spero che i personaggi siano ic e che la situazione vi risulti realistica, in qualche maniera attinente a qualcosa di simile a Bleach. XDD
Ah, ultima cosa: il rating. ò.ò Questa fic è vagamente più esplicita delle altre. Non mi sembra nulla di eccessivo, ma se pensate che dovrei alzarlo, ditemelo pure... può darsi che i miei canoni non siano i più affidabili. xD


Raindrops
[Kenpachi/Retsu]




Lei aprì le dita a raggiera e le affondò lentamente tra i capelli di lui, contraendole appena per opporsi alla loro rigida pettinatura, e costringerla a sciogliersi. Capelli neri, lunghi e un po’ secchi, si deposero sulle spalle massicce di Zaraki e ricaddero sulla sua fronte, oscurandogli di poco la visuale.
L’uomo si concesse un piccolo sbuffo divertito, stirando le labbra in un ghigno. Poteva sentirla muovere le dita attorno alla sua nuca. Gliela accarezzava mentre districava i capelli, rivelando che, proprio come lui aveva sempre immaginato, la gentilezza di Retsu Unohana non era delicatezza ma semmai una strenua capacità di contenere la propria forza.
Il fatto che questa forza fosse con ogni probabilità spaventosa poteva solo divertire di più il capitano dell’undicesima: quelle dita sapevano curare oppure fare un gran male, e in tutti i casi rimanevano dita robuste, dalle unghie forti, abituate a toccare la morte.
Lui trovava che questo fosse fottutamente perfetto, nel modo in cui le cose avrebbero dovuto essere perfette; un modo che magari stava stretto ai signorini della Seireitei, ma che andava più che bene per lui.
Le braccia allargate, le gambe piegate che affioravano di poco dall’acqua, Zaraki sentiva le ginocchia di Unohana premere gentilmente contro la sua schiena, alla base del collo. In mezzo c’era il fastidioso kimono bianco.
Kenpachi chiuse gli occhi, dischiudendo le labbra, soddisfatto. Doveva essere un’altra di quelle loro tecniche per far rilassare i pazienti, magari per distrarre i più recalcitranti alle cure. Ah, qualsiasi cosa fosse, gli importava davvero poco.
Unohana abbassò le mani e le fece scorrere entrambe sulle spalle dell’uomo che le stava davanti, immerso nella pozza naturale d’acqua calda. Le fronde degli alberi li proteggevano e solo qualche goccia riusciva a filtrare incrinando la superficie della polla. In compenso, l’odore e il rumore dolce della pioggia si sentivano benissimo, e potevano solo contribuire all’atmosfera che la donna voleva creare.
Voleva rilassare il capitano dell’undicesima compagnia, muscolo dopo muscolo.
Una goccia cadde sulle labbra di Zaraki, e l’uomo portò fuori la lingua per assaggiarla.
- Anche la pioggia è calda – commentò. La sua voce rasposa era contenuta e bassa, senza bisogno che lei glielo chiedesse.
- Bene – disse Retsu con approvazione, come se fosse merito di lui; e poi si chinò in avanti, facendo scorrere le mani sui bicipiti e lasciando che due cortine di lunghi, ondulati capelli neri circondassero il viso di Kenpachi. Le trecce disfatte sbrigativamente disegnavano ancora onde seriche attorno al suo viso e fili sottili intarsiavano il bianco del kimono; il calore che si alzava dall’acqua sollevava appena alcune ciocche più leggere.
Attraverso la stoffa, i seni gli premevano sulla nuca, morbidi, caldi, e tempestivi quasi quanto la pioggia.
Allargando il sorriso Kenpachi si lasciò sfuggire un lieve verso di apprezzamento e Unohana sorrise a sua volta, gli occhi socchiusi, mentre continuava a premersi contro di lui per scendere lungo il suo corpo, sciogliendo muscolo dopo muscolo.
Cazzo, era anche flessibile, quella donna.
- Fino a dove hai intenzione di arrivare? – la provocò, guardandosi bene dall’alzare un dito per facilitarle il lavoro.
Retsu gli strinse i polsi, per obbligarlo a fletterle, le dita. – Fino ai piedi, naturalmente. -
Zaraki si voltò e la prese per la vita, facendola scivolare giù dall’argine erboso, nell’acqua con lui.
Falde di seta bianca e lucenti ciocche di capelli si allargarono nell’acqua mentre gli occhi scuri di Unohana si posavano sul viso dell’altro, seri, né divertiti né irritati, ma colmi del pacato interesse che la donna dimostrava verso ogni cosa. Ora all’interesse si era aggiunta la saggezza, l’esperienza di duemila anni sul campo; ma Kenpachi immaginava che, qualche millennio prima, dovevano essere stati occhi brillanti di curiosità, freschi e penetranti come dannati spilli. Occhi che facevano male. Come le dita di lei.
Le dita che ora erano di nuovo sulle sue spalle – ma aggrappate, sì, pensava lui, è così che devono stare le dita di una donna sulle spalle del suo uomo – mentre Kenpachi la sentiva adeguarsi in fretta al cambio di posizione, circondandogli la vita con le gambe.
- Non ho finito – lo avvertì lei con una lieve traccia di rammarico.
- Sono già abbastanza rilassato – lo rassicurò lui, e riuscì a metterci qualcosa di indecente.
Lei rise appena, gli occhi socchiusi, ma non del tutto, che continuavano a scrutarlo. Begli occhi vellutati come le sue cosce.
- Un giorno di questi, dovrai lasciarmi finire, o i tuoi muscoli ne risentiranno. –
Gli aveva lasciato scivolare una mano sul petto quasi fosse un bambino al quale doveva auscultare il battito. Ma lui era abbastanza certo che in verità le piacesse. Lei era forte. Era sprecata in mezzo a quelle mezze seghe della sua divisione. Non c’era da stupirsi che apprezzasse trascorrere del tempo con lui.
Spogliata dei suoi grandi kimono, del sorriso e delle ciglia gentili, della voce bassa e della disciplina, Retsu Unohana era esattamente come lui. Era l’elsa temprata di sangue, pelle, sudore, e carne, il filo di una katana usurata e ancora letale, proprio come Kenpachi Zaraki.
Era proprio perché entrambi lo sapevano, che il loro rapporto non aveva bisogno di chiarimenti, o di riflessioni. Era una cosa molto naturale. Lo era per entrambi.
Zaraki scioglieva sempre di poco l’obi, giusto il necessario per poterle aprire le falde del kimono. Non aveva bisogno di spogliarla del tutto. Comunque un po’ di rispetto ci voleva.
Lei era silenziosa e concentrata, persino quando la penetrava, persino alla prima spinta, persino all’ultima, abbracciata a lui in una morsa di ferro, ma senza mai perdere il controllo. Il suo respiro caldo gli solleticava il lobo dell’orecchio. Le sue guance morbide sfioravano il suo mento ruvido. Ma lei non lo stringeva mai troppo, né lui stringeva lei; gli bastava tenere le mani ben salde sulla sua schiena e sul suo fianco. Lei rispondeva ai suoi movimenti come una zanpakuto a quelli del suo shinigami.
Poi, gli piaceva il suo collo perché poteva vederlo solo quando lei scioglieva i capelli.
Non era il tipo che faceva attenzione ai dettagli, ma gli piaceva che durante i loro incontri lei fosse, genericamente, un insieme di capelli, stoffa e carne morbida, dal profumo leggero: cose che normalmente avrebbe considerato stronzate, ma che, messe assieme, erano fondamentali per creare l’atmosfera di quei momenti calmi e silenziosi - quei momenti nei quali lui lasciava che lei lo distraesse dal ruggito incessante del suo sangue di guerriero, che gli martellava nelle orecchie e lo incitava alla battaglia, per portarlo ad annoiarsi un po’ al ritmo del suo cuore lento.
Quanto gli piaceva essere il poco di buono che si scopa la maestra.



Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per l'accoglienza alla precedente fic, davvero non me l'aspettavo. Grazie perchè davvero mi avete "accolto" in un genere di fanfic che per me è nuovo. Grazie a MilleFoglie e Renovatio per avermi rassicurato sull'essere ic dei personaggi (**), grazia a Ino_Chan per aver apprezzato l'atmosfera (sìì la amo anche io), e per aver letto anche questa mia fic benché yaoi! **, e infine, in particolare, devo dire (sempre se lei lo leggerà, non essendo il nuovo aggiornamento una yaoi :P xD) a Stateira che sono realmente onorata dal suo commento, perchè ammetto senza mezzi termini che l'ispirazione, la voglia di interessarmi a queste coppie e la necessità di mettermi a scriverne una io stesso vanno interamente a lei, e alle sue fic, tutte. Quindi grazie davvero, e penso che espliciterò meglio la cosa nell'introduzione alla fic, se no rischio il plagio xD

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Capitolo 5
*** (Black Poison Blood) Antidote [Mayuri/Nemu] ***


Ho prodotto questo in un momento di saturazione, dopo aver ascoltato la canzone così a lungo che mi usciva letteralmente dalle orecchie e dalle dita, e giocherellando col testo il risultato è stato questo. Originariamente avevo pensato ad un altro pairing (e penso proprio che non ci rinuncerò, perché lo spunto mi piace troppo) ma ecco che sono usciti Nemu e Mayuri.
Li amo troppo, è chiaro. E così dopo aver rigirato questa cosa nella mente per un’intera settimana (causa mancanza di mezzi internettiani) eccola qui. Temo che in questa fic si noti un tocco eccessivo di amore per l’incesto, ma probabilmente è proprio questo che mi arride di più. XD


(Black Poison Blood) Antidote
[Mayuri/Nemu]




- Nemu… -
- Shh. -
Nemu si muove con efficienza e calma. I suoi capelli sono scomposti, la sua guancia destra è un cratere di sangue che mette a nudo l’osso, gli occhi febbricitanti di stanchezza sembrano cocci di vetro senza sentimento, senza coscienza. Ma lei si muove ancora, con la massima precisione. E’ ancora funzionante, si potrebbe dire.
In un barlume di lucida arroganza, Mayuri ne è orgoglioso.
Lei non gli ha tolto i suoi vestiti e la maschera, né ha cambiato i propri abiti stracciati dal recente combattimento. Non batte ciglio di fronte a queste piccole cose.
Lui non se ne stupisce, anzi, approva, è stato lui a far sì che lei esistesse in questo modo.
Fa fatica però a sollevare lo sguardo su di lei, perché Nemu si muove dietro di lui. Fa fatica anche a tenere sollevata la testa, e così finisce per appoggiarla sul bordo della vasca, ancora voltata verso la ragazza.
Segue con gli occhi la schiena di lei, sulla quale ondeggia indifferente la treccia disfatta. Vede che Nemu si muove sul suo tavolo da lavoro con l’esperienza dell’assistente meticolosa, raccogliendo strumenti e ingredienti che l’altro non è capace di determinare.
- Cosa… cosa stai… -
Lei non risponde per qualche istante. Poi si volta e torna da lui, tenendo tra le mani con estrema attenzione una piccola boccetta contenente della polvere verde.
Si china vicino a lui e gliela avvicina alla bocca.
- Per il dolore, nobile Mayuri – spiega. La sua voce è la stessa di sempre.
Mayuri cerca di focalizzarsi sulla boccetta, dovrebbe poterla riconoscere, in fondo è roba sua. Ma non ci riesce: i suoi pensieri sono appannati, ora, difficoltosi. Il calore dell’acqua nella quale è immerso gli addormenta i sensi.
Lascia che Nemu gli sparga la polvere verde sulle labbra. Le palpebre sono pesanti quando cerca di nuovo di seguire la figlia, di tenerla d’occhio mentre si alza ancora.
Nemu esce dalla sua visuale e Mayuri si ritrova nella più completa immobilità. Nulla si muove, ora, attorno a lui.
Lui, soprattutto, non si muove.
I suoi arti non gli rispondono. Ma tutto è confuso, non ricorda neppure perché sia lì.
Abbassa lo sguardo.
Nel biancore del laboratorio e della vasca immacolati, l’acqua è nera, infetta. Lo circonda come il liquido vitale di un embrione mostruoso. E d’un tratto gli sembra di sentirne anche l’odore, nauseante e forte, che gli strappa una smorfia.
Nemu ha aperto con cura le vene di ciascun braccio, seguendone il percorso sotto la pelle con la precisione che ci si poteva aspettare da lei. Fiumi sottili di sangue corrono sulla sua pelle e si spandono nell’acqua.
L’effetto sarebbe bello in un’altra situazione, ma il sangue di Mayuri non è rosso: è nero e marrone, avvelenato da decine di esperimenti applicati al proprio corpo, decine di veleni e contro veleni. Le armi nelle quali ha trasformato se stesso. Così come ha fatto con sua figlia.
Ma perché non riesce a muoversi?
Ci prova ancora, senza successo.
- Nemu – riesce a gracchiare.
Lei non c’è, non lo sente. Deve essersi allontanata.
Mayuri cerca di recuperare la sufficiente lucidità, contrae il viso, nel tentativo di mettersi seduto nell’acqua, ma fallisce ancora. La sua schiena non vuole rimanere diritta.
- Nemu – chiama ancora, la rabbia e l’impotenza che vibrano nella sua voce impastata.
Ed eccola che torna. Appare di fronte a lui, compostamente in piedi dal lato opposto della vasca, e lo guarda inclinando appena il capo. Eppure Nemu non lo sta guardando in viso in attesa, pronta ad eseguire ogni suo ordine come sempre; Mayuri capisce che lei sta osservando il sangue mentre lo abbandona, e che ne segue con attenzione il lento flusso avvelenato e marcescente fino all’acqua e poi dentro di essa, in volute di fumo sottomarino.
Ma perché non riesce a muoversi?
- Cosa è successo? -
Sente la propria voce ed è un ansimo strozzato che gli fa perdere ancora di più la calma.
Nemu continua a guardarlo. Solleva appena lo sguardo. Gli occhi scompaiono tra le ciglia.
- Cosa mi hai fatto - sbraita Mayuri, ma la sua voce non è abbastanza forte, è solo un rumore stridente, e in fondo a quel rumore il capitano riconosce con orrore il principio gorgogliante del soffocamento, il collassare degli organi interni.
Ora è preso dal panico e dalla rabbia, e cerca di alzarsi, facendo leva sulle mani, recuperando il minimo di forza rimasta. Annaspa nell’acqua, furioso perché non capisce, furioso perché sa di essere praticamente immortale, perché è stato lui stesso a ricrearsi così: Nemu, e se stesso, tutto ciò che riguarda loro due sono cose che sa alla perfezione perché sono sotto il suo controllo.
O dovrebbero esserlo.
Nemu, pensa. Nemu. E’ lei, è stata lei, qualsiasi cosa abbia fatto non può essere che lei.
- Maledetta… inutile… sgualdrina… -
Fragore nell’acqua, stridore di denti, il sangue che gli rende scivolose le mani.
E in un attimo lei è accanto a lui. Entra nell’acqua sporca, il sangue malato le colora la pelle pallida delle gambe. Si inginocchia, ignorando le proteste del padre, ignorando il suo dibattersi, e dopo avergli passato le braccia attorno alle spalle lo stringe, con forza composta, per tenerlo fermo.
E’ una lotta penosa, breve, e inutile. E’ anche la più faticosa e disperata che Mayuri abbia mai affrontato.
Lei lo mette e tacere nel giro di pochi minuti.
L’acqua sciaborda ancora quando lui si arrende, esausto, tra le braccia di Nemu. Lei non lo lascia andare e solo dopo un po’ allenta leggermente la presa.
Ma non c’è bisogno di tutte queste precauzioni, Mayuri lo sa, e anche Nemu lo capisce; lui sta già scivolando via.
- Ne, Nemu… - riesce a mormorare ancora. Cerca almeno di mettere a fuoco il viso di lei sopra di sé, ma anche quello gli riesce difficile ormai.
Gli antidoti che dovevano salvarlo da qualunque pericolo stanno lasciando il suo corpo privo di difese.
Nemu, più di tutti, lo sa bene. Senza di loro, senza uno dei suoi intrugli, senza la possibilità di usare una delle sue tecniche, Mayuri può solo ridursi lentamente ad un guscio vuoto.
Come l’avrà attirato in quella trappola? Un sonnifero? Uno stupido sonnifero, una droga… per lei non è difficile crearne una adatta…
- Nemu – ringhia, chiudendo gli occhi.
Ha pronunciato quel nome tante di quelle volte. Quel dannato nome.
Ha creato la sua assassina, dunque? Ha trascorso la più lunga, difficile, faticosa delle sperimentazioni nella creazione della sua assassina?
Sua figlia… quell’ingrata. Ed è stato lui a darle la vita.
Lui le ha dato quello che ora lei gli toglie.
- La rivuoi indietro… eh…? – mormora in un ultimo sussulto offensivo, il sangue che gli sporca le labbra, appiccicoso, amaro.
Lei lo tiene ancora ed ora, Mayuri ne è quasi certo, il suo volto è stupito. Lo inclina di lato, ciocche di capelli che le coprono la guancia, ed è allora che lui riesce a distinguere le lacrime.
Impassibile, funzionale, Nemu piange inginocchiata nella vasca colma di veleno, con il suo padre moribondo tra le braccia.
La vita, la vita. La rivuole indietro. Ah! Per farci cosa, poi? Questo pensa Mayuri con gli ultimi farneticanti pensieri. Per farci cosa, senza di lui?
Lei non è nulla senza di lui! Lei non può vivere senza di lui!
Lui si prende cura di lei! Lui sa di cosa ha bisogno lei!
Stai uccidendo anche te stessa, ragazzina, insieme a me, sì… non sopravvivrai, no… non puoi, se non ci sono io… perché io ho il veleno del quale tu hai l’antidoto.
Sei inutile senza di me, Nemu…
- Ho solo fatto scivolare via il veleno, nobile Mayuri… - soffia lei, allora, sul suo viso. Non c’è mai stata una voce più dolce e mite.
E Nemu piange, piange sempre di più, così tanto che la sua vista non è più funzionale.
- Tutto quel veleno… -
Il corpo di Mayuri è scosso dagli ultimi tremiti, e i suoi occhi si spalancano, nella sorpresa o nel dolore, o nella paura. Addossato a lei, Nemu lo sente tremare violentemente e lo stringe più forte. Il viso del capitano affonda nella sua spalla. La mano scheletrica si chiude in una stretta da rigor mortis sulla stoffa che copre la schiena del suo kimono.
Mayuri trema ancora, sempre più lentamente.
- Nemu – mormora, e lei lo sente soltanto perché le sue labbra imbrattate sono vicinissime al suo orecchio.
Sente i denti che battono e le sembra persino di sentire le ossa che si comprimono e scricchiolano. Vede le proprie lacrime che cadono sulla spalla di Mayuri. Lo sente esalare il suo nome con gli ultimi respiri, sempre più lentamente, con sempre meno fiato, e un miscuglio inscindibile di rabbia e possesso dispotico, di paura e incredulità, e di paterna disapprovazione.
- Nemu, Nemu – sembra che le dica, agitando un dito ossuto davanti al suo viso di bambina: – piccola stupida, non hai capito niente. -
Le sembra di risentirlo mentre le rivolge quelle frasi che sono rimaste nella sua memoria come le frasi di un padre.
Non un padre qualsiasi, ma suo padre, il suo creatore, il suo tormento e amore, il suo capitano. Il genere di padre che la insultava e picchiava e la mandava in battaglia a morire prima di lui, sì, quel padre. Ma ora è lei a cullarlo.
- … Ne… -
Nemu lo stringe, dondolandolo piano.
Manca pochissimo oramai.
- Shhh. –





Noticina di stile. Il concetto interessante e predominante di questa fan fiction (almeno quello che ho cercato di rendere) è il paragone tra Nemu e l’antidoto, mentre Mayuri rappresenta il veleno. Due poli opposti e legati.
Per quel che riguarda l’interpretazione credo ce ne possano essere molteplici: quello paradossale (Nemu uccide Mayuri credendo di aiutarlo), la vendetta (si riprende la vita, come Mayuri stesso ipotizza) o l’amore (lo fa morire dolcemente dopo un combattimento nel quale erano stati entrambi fatalmente feriti?). E così via. Non è importante, credo. Di queste interpretazioni possono andar bene tutte e nessuna.
Grazie a Ino_Chan e Sabaku no Akari, per i commenti (e i preferiti *.*) alla fic precedente... ah, come sono felice di spargere in giro le crack!couples di Bleach. XD

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Capitolo 6
*** The Pendulum [ByakuYoru] ***


Young!Byakuya e Yoruichi, be', una normale Yoruichi. XD Entrambi ooc, obviously, con un pizzico di umorismo (prima che succedesse il fattaccio e Yoruichi mollasse la Soul Society u_u).
E soprattutto, siccome questa è una ByakuYoru, ci vuole un po' di indecenza. XD
Blandi spoiler per Turn Back the Pendulum, ma in realtà il succo già lo sappiamo.


The Pendulum
[ByakuYoru]




- Oh, avanti, Bya-kun. E’ palese che tra noi due sono io l’uomo. -
Byakuya si chiede ancora una volta come siano arrivati a questo punto.
Da che ricorda, c’è sempre stata una presenza molesta nella sua vita. Non sarà sempre stata lei, magari, ma di sicuro Yoruichi si è presto distinta dal comune e generico gruppo di irritanti donne dell’alta società la cui presenza in casa Kuchiki disturbava le giornate del piccolo Byacchan, al tempo in cui ancora c’era qualcuno che avesse il coraggio di chiamarlo Byacchan.
Sì: in brevissimo tempo, lei era diventata un vero tormento.
Si ricorda che una volta, quando era veramente un bambino, lei era uscita in giardino abbandonando una noiosa riunione per guardarlo allenarsi. Il nonno gli aveva detto tante volte di non esagerare, ma Byakuya era offesissimo che non gli lasciassero usare una spada vera e così ci dava dentro il doppio con quella di legno. L’aveva agitata tanto in riva al laghetto da avere le braccia tutte indolenzite.
- Oh? Che stai facendo? – aveva chiesto Yoruichi compunta. A quel tempo lui ancora non sapeva che razza di demonio lei fosse e quindi, vedendola vestita nel kimono rosso, l’aveva trattata con tutto il rispetto.
Anche se era un po’ seccato di suo.
- Mi alleno – aveva risposto serio.
Lei gli aveva fermato la spada con un dito.
- Questo non è allenarsi. Questo è un modo sgraziato di fare aria – aveva osservato con un ghigno. Byakuya era rimasto stupito di quel ghigno bianchissimo sulla pelle tanto scura.
- Io… - aveva farfugliato, perché gli avevano insegnato a rispondere sempre educatamente, ma non sapeva cosa rispondere ad una frase così sgarbata. Ancora non sapeva che certe regole con lei non valevano.
Yoruichi aveva ignorato ogni suo commovente tentativo e gli aveva dato una spintarella alla spalla, mandandolo dritto in acqua.
Ora, Byakuya pensa che c’è qualcosa di assolutamente sbagliato nel fare sesso con una persona che ti mandava a capofitto nei laghetti quando eri un bambino.
Eppure questo pensiero non era una sensazione istintiva. Se lo diceva un po’ oziosamente, in quel genere di momenti nei quali lei si comportava come se ritenesse che i preliminari e il post dell’atto in sé dovessero prevedere battutine di varia natura sulla sua virilità. Però lui, poi, non aveva il minimo problema a considerarla per la donna che era.
Niente “amica di infanzia”, niente “senpai” e neppure – e questo sì che avrebbe dovuto dargli i brividi – “amica di famiglia”. Yoruichi era l’unico prodotto delle alte sfere della Soul Society che non gli avesse mai dato l’impressione di essere frigida.
Il che era molto, e più che abbastanza, per lui.
Era semplicemente costretto ad ammettere che quella donna era desiderabile. Irritante e tutto il resto certo, ma desiderabile. Il corpo che era stato nel kimono rosso non aveva niente a che fare con quello che lui aveva imparato a conoscere… non gli creava problemi. Anzi. Lo prendeva per istinto. Sì, “prendere” era il termine giusto dal momento che lei se lo trascinava dietro per tutta la Seireitei e oltre, e di solito lui finiva per sentire un nodo all’altezza dello sterno, un sentimento poco nobile al basso ventre, come se lei gli avesse ficcato una mano nello stomaco per attirarselo vicino.
Sarebbe stato cavalleresco in qualsiasi altra circostanza e con qualsiasi altra donna, ma che cos’era lei? Era solo un demone gatto. Non c’era bisogno di essere galanti con lei.
Perciò finivano col fare le cose un po’come venivano e non – di questo Byakuya faceva una certezza di vita, solitamente – nel modo in cui andavano fatte.
Ad esempio: non si salta addosso ad una persona che sta cercando di rilassarsi nell’acqua calda delle terme.
Byakuya sospira, ancora. Yoruichi è rotolata su un lato, ha appoggiato le braccia al bordo della vasca, sbracata come un uomo, e i suoi capelli sono tutti sciolti nell’acqua.
- Perciò è naturale che io stia sopra – riprende lei, il respiro un po’ affannato, ignorando il fatto che sono passati almeno cinque minuti dalla precedente affermazione.
- Tu non staresti sopra, se non fosse che la dinamica prevede che tu mi aggredisca mentre io faccio altro – replica lui, che finge di aver già recuperato il fiato.
- Oh, suona malissimo questo “faccio altro” – osserva lei trasformando le labbra in una piccola o.
Byakuya invece trasforma gli occhi in due fessure. - … come lavarmi. -
- Ma i bambini non dovrebbero fare il bagno da soli! – esclama Yoruichi e Byakuya si dà dell’idiota perché, anche se non capisce del tutto come, con l’ultima frase l’ha innescata di nuovo e in men che non si dica se la ritrova a cavalcioni sulla pancia.
Di nuovo.
La guarda inarcando un sopracciglio, senza accennare a darle il benvenuto. Non è di certo il suo posto, quello.
Yoruichi si sporge verso di lui sorridendo come se fosse una gentile vicina pronta ad offrirgli una caramella – il che è un pensiero raccapricciante da fare proprio ora, pensa lui – con i ciuffi di capelli spettinati attorno al viso accaldato. Agh, gli piacciono quei ciuffi spettinati.
Byakuya sospira.
- Ne ho avuto abbastanza. -
- Voglio lavarti, Bya-kun! -
- Mi sono già lavato. -
Yoruichi si sporge in avanti, stirandosi lungo la lunghezza del suo corpo e accertandosi di premergli i seni sul petto. Inclina il viso per osservarlo dal basso, di scorcio, con una bella visuale in primo piano del suo mento.
- Davvero? – domanda.
A volte Byakuya detesta il suo corpo fatto di particelle spirituali. Non può nemmeno dare la colpa alle reazioni chimiche.
Poi Yoruichi pone fine ad ogni cosa possibilmente eccitante avesse fatto in precedenza, ficcandogli le dita tra i capelli e scompigliandoglieli per bene al suono di “ghghgh” per lasciarlo, infine, allibito mentre lei, completamente nuda – giustamente – si è già allontanata di due o tre shunpo.
Quasi incredulo, solleva lo sguardo su di lei.
- Tu sei pazza – constata fissandola.
- Prendimi! – esclama lei agitando le dita della mano destra sollevata.
- Non ci penso neanche – sbotta lui.
Lei estrae l’altra mano da dietro la schiena con un sorrisone. Byakuya sgrana gli occhi un po’ di più.
- La mia zanp… Yoruichi! Torna qui! -



Grazie a Ino_Chan (ti stai appassionando alle Mayuri/Nemu? *O* Yayyy! Sono troppo felice! ** Sì, sì... il mondo deve scrivere più Mayuri/Nemu! XD) e Theren_chan, benvenuta e grazie del tuo commento. *_* Mi spiace che Bya non sia tra i tuoi preferiti però ç_ç Chissà se rendendotelo ridicolo come in questa fic si può rimediare XD

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Capitolo 7
*** I wish it was (all that easy) [ByakuRuki] ***


Ooc, ooc a go go.


I wish it was (all that easy)
[ByakuRuki]




La portano dentro con un servitore che le regge le ginocchia ed un altro che le sostiene la schiena.
Byakuya è in piedi di fronte all’entrata ed il suo viso non dice niente. Il maestro di palazzo dei Kuchiki tiene una lampada, di fianco a lui, e solleva lo sguardo per cercare l’espressione del padrone, ma ancora Byakuya non dice niente.
Un membro della tredicesima si avvicina per dirgli qualcosa.
- Kuchiki-taichou… Unohana-taichou dice che verrà appena possibile… noi… -
- E’ grave? -
- No, ci assicurano di no. -
Byakuya dormiva. Che imperdonabile leggerezza.
Lo hanno svegliato, dicendo che stavano tornando con Rukia, e lui ha fatto in tempo a rimettersi kimono e haori. Non ha indossato il kenseikan, però.
Distoglie lo sguardo portandolo sul piccolo corpo di Rukia che, affidato ora alle spalle di un servitore della casa, viene portato via.
- Ukitake-taichou verrà non appena… -
- Ditegli di venire domani – risponde, senza sprecare un’emozione e nemmeno troppo fiato. Rivolge al giovane shinigami uno sguardo che sembra non sfiorarlo davvero. – Questa notte Rukia sarà affidata alle cura delle sua famiglia. -
Con quelle parole, è come se le imponenti porte della casa dei Kuchiki si chiudessero di colpo. Irraggiungibili, d’un tratto, per chiunque. Tranne pochi privilegiati.
Lo shinigami si affretta ad inchinarsi e, raccolti i compagni, intima loro di tornare alla divisione.
Allora Byakuya si volta finalmente verso il vecchio maestro di palazzo: - Preparate un bagno nelle mie stanze. -
- Agli ordini, Kuchiki-sama. -
La trasporta lui, prendendola in braccio, vestito e tutto il resto. Prima di entrare nel bagno, le sfila il fodero della spada.
Rukia ha ricevuto qualche cura di base sul posto da un membro della quarta; ha il braccio fasciato e Byakuya può vedere altre bende sullo stomaco, dove il kimono è stato richiuso frettolosamente.
L’acqua, com’è ovvio, è già pronta. Piccole lampade sono state accese nella stanza da bagno, ma a farla da padrona è ancora la luce della luna.
Ora Byakuya deve fare il suo dovere. Come capitano, come shinigami, come capo del clan e come fratello.
Sveste Rukia lentamente, cercando di liberarsi dalla sensazione di torpore. Lei si agita leggermente; ha ferite insanguinate su tutto il corpo. Una sotto all’occhio sembra una lacrima. Terra ed erba le macchiano il kimono, e i gomiti, insieme ad una sostanza vagamente bluastra che deve avere a che fare con l’Hollow di quella sera.
E’ solo una questione di dovere. Nella notte lenta di casa Kuchiki, Byakuya sta solo facendo quello che deve. Non c’è altro.
Sfila l’hakama di Rukia, sfila la parte superiore del kimono. Nel farlo la tiene appoggiata a sé; la testa di lei gli ciondola stancamente sul petto, nell’incavo della spalla.
E’ solo una questione di dovere tinta dal sonno e dal colore strano che hanno le cose di notte: ma al torpore subentra il languore finché Byakuya non realizza che ha sbagliato. E’ solo un pensiero di un momento, ed è facile da scacciare. Ma le sue implicazioni sono ancora lì.
Rukia respira piano contro il suo petto e attraverso la stoffa lui riesce a sentire che la sua pelle brucia.
Chiude gli occhi sul piccolo corpo bianco coperto di segni e la lascia invece scivolare dolcemente nell’acqua. Rukia reagisce socchiudendo di poco gli occhi affaticati. Ha del sangue nell’orbita destra.
- Nii-sama… - mormora, la voce insieme flebile e affaticata, i capelli che le coprono il viso.
E’ praticamente identica.
Così, in questo modo, sarebbe tanto semplice fingere.
Non le risponde, concentrando lo sguardo sul viso di Rukia e capisce che per lei potrebbe anche essere una visione; non è lucida. Poi la ragazza rabbrividisce, nell’acqua calda, e si raggomitola in una posizione fetale. I capelli le ricadono davanti al viso mentre alcune ciocche già bagnate le si attaccano alla schiena.
Byakuya sente le mani iniziare a tremare.
Passano alcuni istanti e poi lui si china sulla vasca, immergendo le mani nell’acqua.
- Rukia. -
Ma lei non risponde. Protesta soltanto in maniera soffocata, e riapre di poco gli occhi affaticati.
- Stai bene? -
- Sì, nii-sama – dice lei questa volta, la voce assonnata.
Byakuya la osserva per un istante. Rukia ha abbassato lo sguardo.
- … Non chiamarmi in quel modo. -
Lei non protesta.
Continua a muovere le mani nell’acqua, ed è efficiente come in ogni aspetto della sua vita. Lava via il sangue, la terra, il sudore. Pulisce ogni ferita meticolosamente, ignorando le piccole proteste di Rukia. Le passa le mani sulle braccia, sulle spalle, stando attento a non disfare le fasciature; si è posizionato dietro di lei e Rukia appoggia ancora la testa contro di lui, muovendola impercettibilmente ogni volta che lui tocca un punto sensibile.
Gli pare di essere in un dormiveglia, almeno quanto lei. Questo bagno notturno ha qualcosa del sogno e dell’incubo; è insieme proibito e così familiare.
E’ incredibile che si assomiglino così tanto. Persino nel corpo. Byakuya conosce la rotondità delle piccole spalle, conosce i polsi e il disegno sbiadito delle vene, conosce persino le ginocchia un po’ spigolose che ora Rukia tiene piegate ed affiorano dall’acqua. Conosce il piccolo petto stretto, il contrasto della morbidezza dei piccoli seni sopra la gabbia toracica, le cosce magre. Le scapole. Le clavicole.
I capelli.
Solleva dell’acqua tra le mani e la fa cadere dolcemente sul capo di Rukia, e lei solleva il viso verso l’altro, come se fosse una benedizione, e apre gli occhi.
Si osservano per un istante.
- Byakuya – dice lei e stavolta lui è certo che lo stia vedendo.
Lui apre lentamente le mani che tiene poco sopra al suo viso.
E lei solleva senza preavviso una delle proprie, e gli tocca il mento. Con due dita, esitanti. Le pupille sembrano enormi dietro alle palpebre abbassate.
Lui non sa cosa fare.
E così non fa niente. Rukia aspetta qualche attimo e poi muove la mano. Tre, quattro, infine cinque dita sottili gli sfiorano il mento e poi il labbro. Lei segue la loro esplorazione con gli occhi, come se volesse unire le informazioni tattili a quelle visive.
Perché è davvero un’esplorazione, e una conquista.
Lo sta toccando.
Gli occhi di Byakuya, ancora, non dicono niente. Sono bellissimi e freddi come lo sono stati per tutta la sua vita mentre lui la lascia fare in silenzio e lei, toccandolo, gli bagna il viso.
- Chinati… – mormora lei mordendosi esitante un labbro. E’ quasi un’implorazione, ma lui sente che non potrebbe mai disobbedire. E allora si china piano e i capelli, non trattenuti dal kenseikan, cadono in avanti verso di lei.
Rukia li fissa con meraviglia, aprendo gli occhi un po’ di più e ritraendo la mano.
- Chi sono? – gli chiede, protetta dal velo di quei capelli.
E Byakuya per un momento è preda di un totale terrore.
- Rukia – la chiama, troppo in fretta, allarmato da quella nota nella voce che invece avrebbe dovuto essere totalmente rassicurante.
Ma lei annuisce stancamente. - Io sono Rukia. Lo sai, non è vero? -
Lui pensa che gli ci vogliano minuti interi per trovare il modo di rispondere.
- Sì. -
Lei annuisce ancora e distoglie lo sguardo. – Ho freddo – constata dopo un istante e lui si ricorda che è ferita, che tra poche ore Unohana e Ukitake saranno qui per curarla. Che tra poche ore tutto questo sarà solo un sogno, o un incubo.
Senza rispondere a parole la aiuta ad uscire nella vasca, la asciuga con un asciugamano caldo e quasi più grande di lei, le infila un nuovo kimono. E’ un piccolo kimono bianco di quelli che Rukia tiene in armadio e lei lo aiuta vagamente muovendo le mani per allacciarlo in vita, anche se fa fatica a rimanere in piedi.
Poi lui la prende di nuovo in braccio, gentilmente, e lei lo lascia fare sempre in silenzio.
Quando stanno per uscire dalla camera, lei stringe la mano attorno all’orlo del kimono di lui.
- Posso rimanere? -
E Byakuya si ferma. Dopo un istante, si volta e la depone sul proprio futon, con immensa attenzione.
Prima che possa rialzarsi, lei gli prende una manica, e, senza parole, con piccoli gesti cocciuti e bisognosi insieme, lo attira a sé finché non si sente completamente avvolta nel suo abbraccio.
Solo allora riprende sonno, e stavolta il suo respiro è più regolare.



Okay. Questa cosa è molto diversa da ciò che volevo scrivere e in quanto tale non ha senso. o.o''
Va be', beccatevi questa cosa che adoro:

http://www.animemusicvideos.org/members/members_videoinfo.php?v=103190
In the clouds, all the grey
I'll stay if you go away
Concrete, tall as the sky
All the movement passing me by
And you blush, what a rush
Reminisce, cold crush
Next door, ear to the wind
All the tension made for the core

I wish, I wish,
I wish it was all that easy
I wish, I wish,
I wish it was all that easy

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Capitolo 8
*** Vesper [Shunsui/Nanao] ***


Citazioni evidenti e dichiarate: Casino Royale e V per Vendetta. "Vesper" anche per l'ora del giorno. :P
Per il resto, una AU spero non troppo ooc. (no, lei è ooc e pure lui, dammit, lo sapevo)

Avvertenza: da adesso in poi, finiscono i capitoli già pronti, il che vuol dire che i prossimi (se ce ne saranno) li devo ancora scrivere. Perciò sono ben accetti i suggerimenti, ma attenzione: non sono capace di scrivere su commissione, perciò non posso garantirvi nulla, i suggerimenti sono solo un misero modo di porre rimedio alla mia mediocre immaginazione. XD


Vesper
[Shunsui/Nanao]




L’aveva cercata per mezza Soul Society, partendo dalla Quarta Divisione e risalendo fino all’Ottava.
Aveva iniziato nel pomeriggio ed ora era sera inoltrata, e il sole era rosso sangue: un adattissimo rosso sangue che pulsava contro il cielo notturno e scendeva come liquido sugli edifici. Si era solo al tramonto, e già la notte nera premeva per scendere.
E Shunsui non riusciva a trovarla.
Unohana aveva detto che aveva solo una piccola ferita alla spalla, niente di grave. Che si era alzata silenziosamente e se ne era andata dal suo letto. Che era ancora troppo sconvolta per stare da sola.
Aveva iniziato proponendo di mandare qualcuno a cercarla, ma Shunsui aveva scosso la testa. No. Toccava a lui.
La colpa era sua. Se lo ripeteva girando ogni angolo, nella sua ostinata e silenziosa ricerca, sempre più frenetica, sempre più spaventata.
La colpa era sua, che non aveva avuto abbastanza cura del suo luogotenente. Era stato lui a lasciarla andare in quell’orrenda guerra per la quale lei non era preparata. Era colpa sua se aveva rischiato di morire, la piccola Nanao dai libri stretti al petto, la più piccola della sua divisione… Lei e i suoi occhiali e i suoi capelli mai fuoriposto.
Continuando a cercarla finì col dimenticare perché lo stava facendo. Nella sua mente era ben presente la nozione più importante – era ferita e sconvolta, non doveva rimanere sola – ma non era quella che dava forza al suo shunpo, non era quella frenesia che sollevava le sue mani, una porta dietro l’altra.
Voleva vederla. Per la prima volta dopo il bagno di sangue che era stata quella guerra.
No, Nanao non era pronta per la carneficina.
Doveva trovarla.
Entrò negli uffici bui senza avere molte speranze: Nanao non aveva motivi per tornare lì. Percorse i corridoi silenziosi e le stanze vuote dell’Ottava Divisione in fretta; non c’era nessuno rimasto a lavorare fino a tardi, quella notte, perché c’era la guerra e nessuno aveva tempo da perdere dietro le scartoffie.
Poi, inaspettata, una piccola luce, un rumore confuso e attutito. Shunsui voltò a destra e si ritrovò nello spogliatoio. La luce era accesa e le docce illuminate; il rumore del getto d’acqua aperto arrivava costante dalla stanza accanto.
Aprì la porta, senza riflettere, concedendosi di sperare. Ed eccola lì.
Si permise un momento di pausa sulla soglia, recuperando la sua calma, mentre studiava lo spettacolo inatteso che si era trovato davanti agli occhi.
Nanao era accucciata sulle piastrelle della doccia più vicina, il getto d’acqua che batteva incurante sulle spalle e sulla testa. Era vestita del suo kimono nero sporco di sangue e sudore, ormai completamente bagnato; i capelli erano irrimediabilmente sciolti e le pupille un po’ dilatate mentre si stringeva con forze le dita delle mani sotto l’acqua, le une con le altre. Non aveva gli occhiali; da sotto l’orlo della manica strappata si poteva vedere la fasciatura bianca.
E continuava a strofinarsi le mani, come se non si fosse neppure accorta di lui.
- Nanao-chan! … Sei ferita, dovresti riguardarti! – fu la sua prima reazione, e fece per avvicinarsi, camuffando la preoccupazione dietro alla sua dolce indolenza, in un modo che avrebbe dovuto convincere la piccola shinigami ad avere fiducia in lui.
Ma un solo passo avanti e già si era reso conto che non era quello il caso. Nanao aveva a malapena sollevato gli occhi verso di lui, e Shunsui fu stupito e spaventato dal modo in cui quegli occhi, senza occhiali, senza controllo, sembrassero grandi come quelli di una bambina.
- Nanao-chan… - ripeté, chinandosi di fianco a lei. La vide seguire istintivamente il movimento dell’haori, glielo vide negli occhi. Per il resto si sarebbe quasi detto che lei non fosse lì.
Cautamente, allungò una grande mano, esitando ancora a toccarla. – Nanao-chan… che cosa fai qui? – chiese, la voce bassa, il tono dolce.
- Il sangue – rispose lei in un sussurro senza fiato, e lo guardò in viso, sbattendo le palpebre una volta sola, come per chiedergli aiuto. Poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani arrossate. – Non riesco a lavarlo via… - Shunsui raccolse lo sguardo nei suoi occhi, seguì il percorso che gli occhi indicavano, e donò un’occhiata di tenerezza a quelle povere mani. Una delle sue andò a prenderle, entrambe, in un palmo solo, mentre l’altra si decideva a posarsi gentilmente sulla china testa bagnata di Nanao. La sentì rabbrividire al tocco, ma non si oppose.
Strinse con fermezza le mani fredde. L’acqua era gelida.
- Non c’è sangue, Nanao – le rivelò con dolcezza.
Lei fissava le loro mani, tremando piano. Scosse piano la testa e lui la precedette, iniziando a massaggiarle dolcemente le dita con le proprie, nel tentativo di calmarla col movimento ritmico dei pollici sulla sua pelle: - E’ andato tutto bene, Nanao. – La sua voce era come una ninna nanna. Era roca, ma calda. Era perfetta per cullare i bambini. - Abbiamo vinto. -
- Sì, - concesse lei, e chinò il capo per annuire. Sapeva che lui cercava di tranquillizzarla, lo sentiva, e voleva rispondergli. Doveva controllarsi.
La stanchezza e il freddo le scuotevano il corpo, e Shunsui era chino, vicino, ma non troppo. Non poteva avvicinarsi troppo. L’avrebbe spaventata di più, così temeva.
Ah, Nanao, non è il momento giusto questo per essere il tuo seccatore innamorato. Hai bisogno di un capitano forte, ora.
Ma proprio quando la debolezza di Nanao avrebbe dovuto far risaltare la sua forza, Shunsui sentiva il cuore tremare alla vista del dolore di lei. Tremava perché, oh piccola Nanao, potrei stringerti ora, chiudere quest’acqua e asciugarti i capelli con il respiro.
Ma non posso farti questo, tu non lo vuoi, tu non ne hai bisogno.
Asciughiamo queste mani…

- Vieni, avanti… devi asciugarti – mormorò, tirandole gentilmente le dita.
Ma Nanao si strinse di più contro la parete della doccia e scosse la testa, guardandolo quasi stupita, con qualcosa di indefinibile negli occhi. Shunsui non capiva il perché, ma quell’ovvio rifiuto ebbe il potere di fargli un po’ male. Tentò uno dei suoi sorrisi, che gli uscì così triste. – La tua ferita si riaprirà… - la avvertì, cercando di essere logico. Ma non si sentiva logico. E non si sentiva bene.
Perché provava nausea per la guerra che avevano vinto, perché non avevano davvero vinto, perché poteva sopportare tutto il sangue ma non la vista di Nanao ridotta in quel modo.
Si scostò, sospirò, e si spostò gentilmente, poi si sedette di fianco a lei sotto le gocce sottili come spilli, morbide come steli d’erba. Nanao non reagì mentre gli strati del kimono e dell’haori si macchiavano piano piano, bagnandosi, e si attaccavano alla pelle del capitano che stava seduto completamente vestito, in silenzio.
- Hai ragione, Nanao-chan – sussurrò dopo un istante. - Come sempre hai ragione. C’è troppo sangue – disse, rovesciando la testa contro la parete di piastrelle, per guardare verso l’alto. L’acqua che scendeva in gocce fredde avrebbe potuto essere Dio.
Lei continuava a tremare, di fianco a lui. Solo allora mormorò, senza guardarlo: - Sono venuta qui… per cercarti. -
Shunsui non disse nulla, ma si voltò appena.
- Io… non sapevo dove andare… ma avevo bisogno… - Nanao strizzò gli occhi per un istante, - speravo che tu fossi qui. -
E il capitano sentì stringersi il cuore, davanti alla piccola Nanao che, di tutti i posti della Seireitei, era venuta fin lì sperando di trovare lui. La voce esile di Nanao che gli rinfacciava di non esserci stato gli soffiò sul cuore, accusatrice e calda insieme.
- La quarta divisione… - iniziò.
Ma Nanao sollevò una mano e gliela posò sul braccio, riconquistando la sua attenzione; strinse la stoffa bagnata con forza, e per un istante anche Shunsui vide il sangue sulle sue mani, e tremò.
Allora le prese di nuovo, stavolta le racchiuse nel palmo, e chinandosi sotto la pioggia artificiale le portò alle labbra e le baciò. Baciò dita sottili che sussultavano al suo tocco rilassandosi impercettibilmente di secondo in secondo.
Lasciò perdere ogni inutile spiegazione. - Sono qui – sussurrò sulle sue nocche.
Poi sollevò lo sguardo su di lei ed ora c’era qualcos’altro negli occhi di Nanao, uno sguardo attonito di meraviglia e di gratitudine, la bocca socchiusa e una ciocca nera che disegnava un arabesco sulla guancia.
- Va meglio, ora? -
Lei annuì appena.
Shunsui liberò una mano e le passò il braccio attorno alle spalle, facendola appoggiare a sé; Nanao gli si aggrappò all’istante.
Lui non disse nient’altro, chiuse gli occhi, e lasciò che l’acqua continuasse a scorrere mentre la accarezzava in silenzio.

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