The Sharpest Lives

di zinzuleddha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


E in quella mattina, gelida tanto quanto i cuori della gente in quello sporco New Jersey, c'era chi si recava frettolosamente al lavoro, chi, come me, a scuola.
Alzai gli occhi al cielo che, in quella mattina, rispecchiava alla grande il mio animo quando, come fosse un pugnale, venni trafitto da una melodia, che mi arrivò dritta al cuore.
Fu allora che, inebriato da una nuova sensazione, seguii la melodia, finendo in un vicolo cieco, trovandomi di fronte un uomo che, ad occhi chiusi, come fosse la cosa più facile del mondo, suonava un violino.
Il suo viso solcato dai segni del tempo, esattamente come il mio cuore che, solcato da quella melodia, aveva cominciato a sanguinare, sciogliendo così quello strato di ghiaccio che, nel corso degli anni, mi si era venuto a creare.
Più suonava, più mi sentivo vivo e, mi sentii nuovamente morire non appena smise di suonare, mettendosi in piedi.
Applaudire mi risultò doloroso dal momento in che avevo le mani gelate, gelate tanto quanto l'occhiataccia che, prima di voltarmi le spalle e riporre il violino nella custodia, mi aveva lanciato.
Fu allora che, dopo aver richiamato la sua attenzione, inondato da una nuova sensazione gli porsi una brioches, come per ringraziarlo.
Sorpreso dalla mia azione inclinò la testa da un lato, in cerca di una spiegazione.
Ruppi allora il silenzio, "Voglio che tu la prenda", dissi con un filo di voce, sforzando un sorriso.
"Perché dovrei?" la sua reazione mi lasciò di stucco. Alzai le spalle in risposta, terribilmente confuso.
"Cosa vuoi in cambio?" sputò, rompendo quel silenzio che, per quei secondi che sembrarono anni, si era venuto a creare.
Scossi la testa, "Niente"
"Nessuno ti regala niente, tutto vogliono qualcosa in cambio" schioccò, "Che vuoi?"
Annuii, riflettendo sulle sue parole, abbassando lo sguardo.
Decisi all'istante che volevo suonasse ancora, perciò, dopo un lungo respiro, glielo dissi e, in men che non si dica, nel bel mezzo del marciapiede, esaudì la mia richiesta e, ad occhi chiusi, ricominciò a suonare, questa volta una melodia più lenta, quasi malinconica e, fu allora che sentii nuovamente il mio cuore battere. Ma il tutto finì più presto di quanto potessi immaginare e, nel giro di un secondo, l'uomo scomparve dietro l'angolo.
Sospirai, dirigendomi definitivamente a scuola mentre, come il mare dentro una conchiglia, quella melodia risuonava nella mia testa.
Faticai a prendere sonno quella notte, non riuscendo in nessun modo a scacciare via quella sequenza di suoni dalla mia mente.. o forse non volendo farlo.
Sussultai non appena udii il suono della sveglia, trascinandomi pigramente giù dalle scale quando, un idea mi balenò per la testa: Mi sarei recato nuovamente in quel vicolo- avevo bisogno di udire nuovamente quel violino, così, troppo eccitato per far colazione, corsi fino a quel vicolo.
Gioii non appena vidi nuovamente quell'uomo.
Gioii non appena prese in mano il violino e, quella sensazione di vitalità mi assalì nuovamente non appena cominciò a suonare.
Così, senza la minima voglia di distrarlo, sgattaiolai al suo fianco, mettendomi seduto a le gambe incrociate.
Più suonava, più mi sentivo bene e, fu allora che arrivai ad una conclusione: Lui suonava, io vivevo.
Esistevo. E non volevo ciò finisse, nonostante fossi consapevole che non sarebbe potuto star li a suonare tutto il tempo e, soprattutto che non sarebbe stato li a suonare tutte le volte che avrei sentito il bisogno di sentirmi vivo, perciò una nuova idea si fece si spazio nella mia mente: avrei imparato a suonare anch'io.
"Si" esclamai entusiasta tra me e me, "Voglio suonare" continuai.
Mi resi conto di aver alzato un po' troppo la voce solo quando notai che mi stava fissando; aveva persino smesso di suonare.
Annuì, era forse un sorriso quello che si era fatto largo sul suo volto?
Trasalii non appena mi porse lo strumento, con tanto d'archetto.
"Allora? Non vuoi più suonare?"
Scossi la testa, un'espressione di meraviglia stampata in faccia mentre quegli occhi verde oliva mi facevano accapponare la pelle.
"Non so farlo" ammisi sottovoce, con un briciolo di speranza che non mi sentisse e andasse via senza dir niente, esattamente come il giorno precedente; "Ma voglio imparare" continuai.
Annuì nuovamente alla mia affermazione, riponendo il violino nella propria custodia.
"Va già via?" chiesi poi, sentendomi in colpa come se stesse andando via per colpa mia.
"Non riesco a decifrare i miei sentimenti" ammise a sua volta, dandomi le spalle.
"Capirai.." affermò, prima d'allontanarsi.
Non so cosa mi spinse a farlo ma, lo seguii, chiedendogli ulteriori spiegazioni.
"Suono per esprimermi", fece una pausa, prendendo un lungo respiro, "E adesso, a mia grande sorpresa, non so come farlo" continuò poi, lanciandomi uno sguardo.
Confuso, annuii.
"Dove ha preso lezioni?"
Alla mia domanda la sua risata risuonò nell'aria; scosse allora la testa.
"Non ho mai preso lezioni" affermò con fierezza, lasciandomi letteralmente stupito.
"Hai talento" più che una domanda risultò un affermazione, mentre un incontrollabile sorriso si faceva spazio sul mio volto.
Scosse allora nuovamente la testa, alzando il mento con fare orgoglioso;
"Ho passione" ammiccò, scostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi, prima di svoltare l'angolo e scomparire nuovamente.
Per tutta la giornata non feci altro che riflettere su come dire ai miei genitori della mia nuova passione, puntualmente interrotto dal ricordo degli occhi dell'uomo.
Per un istante provai ad immaginare quale potesse essere il suo nome, finendo per sghignazzare come una ragazzina e beccandomi l'ennesimo rimprovero dal professore.
Fu quella sera, mentre il silenzio regnava sovrano, che decisi di aprir bocca, proponendo ai miei genitori la mia magnifica idea.
"Mamma, papà" cercai di richiamare la loro attenzione, beccandomi in cambio delle gelide occhiatacce da entrambi.
"Voglio cominciare a suonare" feci una pausa, facendomi coraggio, "Il violino per l'esattezza".
Mio padre finì quasi  per affogarsi non appena, alla mia affermazione, scoppiò a ridere, mentre mia madre, prima di piegarsi in due dalle risate per la reazione di mio padre, mi uccise con lo sguardo.
"Chi, tu? Il violino? Stai forze scherzando?" aprì bocca mio padre opo aver preso fiato, adesso estremamente serio.
"No, io voglio-"
"Ma se non sei nemmeno capace di metter su un equazione, come puoi pretendere di imparare a suonare il violino? Ci vuole impegno per farlo, non è per i ragazzi come te." mi interruppe, alzando il tono della voce abbastanza da farmi contorcere lo stomaco.
"Perché, cos'ho io meno degli altri?" Urlai allora a quel punto, "La matematica e la musica son due cose ben distinte" affermai, mettendomi in piedi.
Ricominciarono allora, dopo essersi lanciati l'ennesima occhiataccia, a ridere.
Più ridevano, più sentivo la rabbia scorrermi nelle vene e, presto anch'essa si trasformò in furia.
"Non ci vuole talento per farlo! Ci vuole passione!" ricordai allora le parole del musicista, cercando di farmi, per una buona volta, sentire, "E io c'è l'ho, me lo sento nell'anima, posso farlo! Per una buona volta smettetela di sottovalutarmi, mi demoralizzate!".
Fu quando mio padre smise di ridere, balzando in piedi, che realizzai di aver eccessivamente alzato il tono della voce mentre, in preda allo sconforto nel vedere mio padre venirmi in contro, infuriato, singhiozzavo, faticando a respirare.
Così, prima che potesse nuovamente mettermi le mani addosso come occasionalmente, fin troppo spesso, accadeva, mi diressi al piano di sopra, finendo quasi per ruzzolare giù dalle scale.
E fu in camera mia che, tra un singhiozzo e l'altro, quella sensazione di nausea venne sopraffatta da una nuova idea e.. questa volta sapevo avrebbe funzionato.



- Salve a tutti! Ebbene, sono tornata e, se siete arrivati fin quì, vi ringrazio e vi invito a lasciare una recensione, per farmi sapere che ve ne pare di questo capitolo.
Chiedo perdono per gli eventuali errori e spero questa storia possa piacervi tanto quanto vi son piaciute le precedenti, anche perchè.. il meglio deve ancora venire! .. ;) - Perciò a presto,
- Danny x
 
P.S. Tra poco ricomincerà la scuola e, non sono sicura se riuscirò a pubblicare la storia quotidiamente, spero mi seguirete comunque :)

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Scosso per ciò che il giorno dopo mi avrebbe aspettato non chiusi occhio quella notte e, per la prima volta in vita mia, fui più che felice nell'udire il suono della sveglia e in men che non si dica, mi ritrovai fuori dalla porta.
Decisi all'istante che quel giorno non mi sarei recato a scuola: avevo di meglio da fare, come per esempio mettere in atto i miei piani per il futuro.
E mi sentii nuovamente vivo, non appena udii, per la terza volta, quell'armoniosa melodia che, sarebbe stata capace di far sentire vivi anche i morti e, io ne ero l'esempio vivente, dal momento in cui ero un morto vivente.
Trasalii non appena, nell'udire i miei passi, l'uomo smise di suonare, aprendo gli occhi, per poi, dopo quegli istanti che sembrarono anni, ricominciare a suonare, alzando il volto al cielo. Mi sedetti allora al suo fianco, osservando attentamente i suoi movimenti, per poi soffermarmi sulle sue lunghe ciglia che, ad ogni respiro, gli accarezzavano soavemente le guance. Chiusi allora anch'io gli occhi, ma le mie ciglia, troppo corte, mi sfioravano a malapena le guance; fu allora che un inaspettato pensiero si fece spazio nella mia mente: volevo sentire le sue ciglia sulla mia pelle.
Scossi la testa, scacciando quegli stupidi pensieri, fu solo allora che mi resi conto che, da quando ero arrivato, la melodia era cambiata radicalmente; era divenuta veloce, confusa, ti lasciava senza fiato, esattamente come la tachicardia che, alla vista dell'uomo, si era fatta presente.
Smise nuovamente di suonare, tirando un lungo respiro.
Entusiasta applaudii, osservandolo attentamente mentre, ancora ad occhi chiusi, prendeva fiato come se avesse appena fatto una lunghissima corsa, prima di rivolgermi un sorriso.
Fu allora che la mia attenzione si spostò sul suo sorriso; i suoi denti, piccoli e storti- dei quali uno tenuto da quella che, alla mia ignoranza, appariva una vite- tutti rigorosamente macchiati dalla nicotina, esattamente come adesso, la mia anima lo era macchiata da quella nuova melodia.
La sua espressione cambiò totalmente quando fece per aprire bocca, ma lo anticipai, consapevole di ciò che stava per chiedermi.
"Voglio che tu mi insegni a suonare", affermai dopo aver preso un lungo respiro, deciso.
"Ti pagherò; lo farò, davvero. Devo solo trovarmi un lavoro" quasi lo supplicai, nel non-vedere alcuna sua reazione.
Fu allora che si mise in piedi, osservandomi ad occhi stretti dalla testa ai piedi; fu allora che i nostri sguardi si incrociarono nuovamente, incatenandosi per i successivi tre minuti di silenzio- questa volta, a mia sorpresa, non imbarazzanti, ma strazianti.
I miei palmi cominciarono a sudare, il cuore in gola mentre, impaziente, aspettavo una risposta. Mi sentii terribilmente mortificato non appena mi voltò le spalle, cominciando, lentamente, a camminare, dirigendosi verso una metà a me ancora sconosciuta.
Fu mentre abbassai lo sguardo che mi sentii letteralmente crollare il mondo addosso; ero un illuso. Ero solo un bambino ancora convinto che la vita fosse tutta rose e fiori ma, mi dovetti ricredere non appena si voltò nuovamente.
Nonostante tenessi la testa bassa, sapevo mi stesse fissando; sapevo mi stesse sorridendo.
"Allora, ci hai ripensato? Non vieni?"
Fu a quella domanda che fui assalito da quella a me sconosciuta sensazione che, oramai non provavo da anni: felicità- mi sentivo felice. Tremendamente felice. Schifosamente felice.
E fu allora che, troppo felice per poterci pensare su, cominciando a saltellare come un bimbo alla vista dei regali di Natale, lo seguii, senza scostargli lo sguardo di dosso nemmeno un secondo. Facevo quasi fatica a tenere il passo.
E volevo chiederli un milione e una fottuta cosa, ma ero troppo felice per farlo.
E volevo chiederli un milione e una fottuta cosa, ma il suo sorriso mi distraeva.
Ci fermammo allora difronte una villetta gialla, dei ciclamini facevano capolino sui davanzali delle finestre e tra le erbacce del vialetto, un grande battente in ferro al centro del portone che, dopo aver poggiato il violino a terra, aprii, facendosi silenziosamente strada in casa mentre lo seguivo.
Per tutto il tempo non aveva aperto bocca, ma ciò poco importava; il suo sorriso valeva più di mille parole.
E conoscevo quell'uomo da sole settantadue ore, ma già mi ci sentivo estremamente legato- sapevo fosse una persona speciale, sapevo certe cose-me le sentivo nell'anima.
Mi distolsi dai miei pensieri, posando la mia attenzione sulla casa; le pareti color nocciola, tappezzate di tanto in tanto da coloratissimi quadri, parecchi mobiletti lungo il grande corridoio, i quali ognuno ospitava, sulla propria soglia, innumerevoli oggettini; intuii da quella particolarità fosse un grande collezionista.
Trasalii nuovamente non appena percepii un peso sulla spalla.
"Ti piacciono?" chiese, prendendone uno in mano che, prima di porgermi, spolverò con un dito.
Lo presi cautamente tra le mani, come ci fosse il rischio di farli male; come se fosse l'oggetto più prezioso del mondo e, forse era così. Ricordai allora ciò che, da bambino, mi era stato insegnato: ciò che per me era un semplice oggetto, per un altra persona poteva essere fonte di serenità.
Annuii, osservandolo attentamente. 
Era un pagliaccetto dai ricci capelli rossi, rigorosamente in tinta col rossetto sbavato e i ricciolini rossi della tuta a pois verdi che indossava.
Notai allora i pois, essi erano perfettamente in tinta con i bottoncini della tuta, i lacci delle scarpe e le 'x' sui suoi occhi.
Mi ricordava tanto il mio adorato vestito di Carnevale e le feste trascorse con il mio caro nonno, mi trasmetteva serenità.
Ridacchiò alla mia espressione da ebete, sistemando ulteriormente alcuni oggettini; soffiandoci sopra come se ciò avesse potuto mandar via il grosso strato di polvere che li ricopriva.
"Te lo regalo" fece una pausa, sospirando. Fu forse una mia impressione ma, per un attimo giurai stesse facendo di tutto per nascondere quel sorriso che, adesso, si stava facendo spazio sul suo volto.
Ridacchiai a quel pensiero, continuando ad osservare il sorridente pagliaccetto, adesso divenuto mio.
"D'oggi in poi siamo.. soci" affermò, dirigendosi poi verso quello che sembrava fosse il salotto.
Lo seguii nuovamente, stringendo il pagliaccetto fra i palmi sudati, attento a non farmelo scivolare.
Quasi inciampai in un tappeto; fu allora che posai nuovamente la mia attenzione sull'uomo, adesso seduto in una poltrona giallo ocra.
Mi fece segno di prendere posto difronte a lui, mentre, senza distogliere lo sguardo, tirava il violino fuori dalla custodia.
Poggiai allora, solo dopo avergli lasciato un ultimo sguardo, il pagliaccetto sul tavolino tra le due poltrone, posando la mia attenzione sul violino, adesso anch'esso sul tavolo.
Lo osservai allora, per la prima volta, attentamente, attentamente; anch'esso, esattamente come il volto dell'uomo, era marcato dai segni del tempo, dandogli un'aria vissuto che, dal momento in cui, per avere un aria vissuta dovevi vivere, non mi dispiaceva affatto.
Adoravo gli oggetti dall'aria vissuta, esattamente come, nonostante mi risultasse estremamente strano ammetterlo, adoravo il viso dell'uomo.
Posai una mano sull'oggetto adesso al centro del tavolo, sfiorandone le corde; erano taglienti tanto quanto le parole dei miei genitori che, taglienti come fossero lame, mi riducevano puntualmente il cuore in pezzi.
A quel pensiero una triste espressione si fece largo sul mio viso ma, seguita dai brutti pensieri, si affrettò a scomparire non appena percepii la presenza dell'uomo alle mie spalle; notai solo allora il violino non fosse più sul tavolo ma, poggiato nell'incavo del mio collo, mentre l'uomo, poggiandomi una mano sul viso, mi aiutava a poggiare correttamente il mento sullo strumento, del quale odore di legno antico mi inebriava il cervello.
"Vedi" ruppe nuovamente il silenzio, indicandomi il pezzo di legno nero sul quale, precedentemente, mi era stato fatto poggiare il mento.
"Questa, da quanto ne so, si chiama mentoniera" continuò orgoglioso, cominciando a gironzolare per la stanza, strofinandosi puntualmente i palmi delle mani, come se fosse alla ricerca di un qualcosa.
Nel frattempo sorreggevo lo strumento lo strumento col braccio sinistro, impaziente di impugnare l'archetto e cominciare a suonare.
Quasi sussultai non appena realizzai l'uomo fosse nuovamente alle mie spalle, questa volta aiutandomi ad impugnare correttamente quella che mi spiegò si chiamasse tastiera.
Annuii, impugnandolo saldamente; la mano tremante.
Venni allora assalito da una nuova sensazione; non avevo ancora cominciato a suonare ma, solo tenerlo come i veri musicisti facevano mi facevano sentire.. potente. Mi faceva sentire vivo.
Mi misi allora, intento a non farmelo scivolare dall'incavo del mio collo, in piedi, osservando poi attentamente i movimenti dell'uomo che, adesso, mi stava porgendo l'archetto, che, sfoderando uno dei miei migliori sorrisi, impugnai fieramente.
Mi sentivo terribilmente bene e, ciò, oltre che risultare strano, mi risultava del tutto nuovo, dal momento in cui, per anni, l'apatia aveva preso il sopravvento.
"Bene, adesso, sta dritto" disse, poggiandomi una mano sulla schiena che, presto scivolò sul mio fianco.
"Adesso apri un tantino le gambe, ti aiuterà a tenere la postura corretta che farà venir fuori un buon suono" sospirò, infilando un piede tra i miei, aiutandomi a raggiungere la giusta distanza per tenere una buona postura.
"Okay, adesso, tieni l'archetto così" disse infine, posizionandomi le dita sull'archetto mentre un enorme sorriso si faceva spazio sul suo volto. Il mignolo terribilmente dolorante.
"Lo so, fa male le prime volte, è tutta una questione d'abitudine" sputò sorridente, osservando le mie dita.
"Hai le unghie così piccole" osservò ingenuamente, passandomi un dito sull'unghia dell'anulare, mentre un espressione da ebete si faceva spazio sul suo volto.
Posai allora la mia attenzione sulle mie mani- Cristo quanto aveva ragione, sembravano quasi le mani di una ragazza.
"Meglio! Un punto a tuo vantaggio! Sai, non è molto facile suonare quando ti ritrovi delle dita del genere" continuo poi, mettendo una sua mano in confronto con la mia.
Osservai allora le sue mani, le quali in confronto alle mie risultavano giganti, per poi posare la mia attenzione sulle sue unghie, in parte scheggiate a causa affilatissime corde del violino, ma pur sempre ben curate; mi piacevano.
Accarezzò per un ultima volta la mia mano, prima di aiutarmi a posizionare correttamente il braccio -per far uscire un suono orecchiabile, mi aveva detto- e posizionare il volto nell'incavo del mio collo, per avere una migliore visuale del mio lavoro e aiutarmi a scorrere l'arco in modo corretto. E nel preciso istante in cui, per la prima volta, produssi un suono, mi cadde letteralmente il mondo addosso.
Era un qualcosa di orrendo e, più che una melodia, quella che stavo producendo sembrava il lamento di un elefante con la proboscide in culo; in quel preciso momento, mi resi conto di non essere bravo e, insieme alle mie speranze, svanì la mia passione, portandosi dietro, di conseguenza, il talento.
Per l'ennesima volta: mi ero illuso.
Mi arresi all'istante, riponendo il violino sulla poltrona.
Scossi allora la testa, passandomi ripetutamente le mani sul volto; sapevo che, da un istante all'altro, sarei scoppiato nuovamente a piangere, dal momento in cui venni nuovamente assalito da quella sensazione che credevo di essermi definitivamente lasciato alle spalle. E mentre continue reminiscenze dei miei precedenti fallimenti mi assalivano in continuazione, mi sentivo morire lentamente e, questa volta risultava tutto più straziante dal momento in cui quella sensazione di gelo assaliva nuovamente il mio cuore, accomunandomi a tutte le fredde persone di quella città.
"Devi apprendere dai tuoi errori, ragazzo" sospirò, mettendomi una mano sulla spalla.
"E' normale sbagliare, anch'io, oggigiorno, dopo anni di pratica commetto i miei errori; è umano. Devi semplicemente imparare ad apprendere da essi e, soprattutto, non arrenderti mai se una cosa la vuoi davvero"
Scossi la testa, confuso da quelle parole. Sentii una lacrima scivolarmi lungo il viso mentre, lentamente, mi si scatenava una guerra interna.
"Vieni, seguimi, voglio insegnarti alcune cose fondamentali" continuò poi, trascinandomi verso lo scantinato, infondo l'oscurità.
"Mettiti seduto" ruppe il silenzio che si era venuto a creare, porgendomi quello che mi sembrava il violino.
"Chiudi gli occhi" continuò sorridente, sedendosi difronte a me. Nonostante fossimo nella più totale oscurità, riuscivo a intravederlo.
Sospirai, "Non ne sono capace" ammisi in preda allo sconforto, sospirando.
"Questo perché lo credi. Fallo" mi ordinò, alzando il tono della voce; per un attimo mi spaventò a morte.
"Bene, suona. E non ribattere" continuò, potei udire tra una frase e l'altra una risata e, ciò mi aiutò a rilassarmi.
"Ma-" feci per ribattere, ma venni interrotto.
"Vuoi farlo?" mi domandò, abbassando nuovamente il tono della voce, adesso in un sussurro.
"Si" affermai.
"E allora PUOI farlo. Volere è potere!" esclamò entusiasta, infondendomi coraggio. Poggiai allora, deciso, l'archetto sulle corde, tentando innumerevoli volte di raggiungere il suono perfetto, finendo, puntualmente, per fallire miseramente.
Il mio lungo sospiro risuonò nella stanza, mentre, nuovamente in preda allo sconforto, poggiavo cautamente il violino a terra.
"E' da un ora che ci provo e, faccio ancora schifo" sospirai.
Nonostante il buio regnava sovrano, potei vedere che, adesso in piedi, stava scuotendo la testa, sorridendomi.
"Tener conto del tempo, mio caro ragazzo, è inutile" affermò duramente.
"Riprova un ultima volta, poi starà a te decidere se continuare o meno, dal momento in cui non sono nelle condizioni di poter influenzare la tua vita".
Presi nuovamente un lungo respiro, prima di poggiare nuovamente il violino nell'incavo del collo e, di conseguenza, l'arco sulle corde. Fu allora che, lentamente, lo feci scorrere, ottenendo allora l'ultima cosa che in quel preciso istante mi aspettavo: un buon suono.
"C'è l'ho fatta!" esclamai entusiasta, balzando in piedi.
Udii un applauso, percepii la sua presenza alle mie spalle.
"Bene, adesso che hai ottenuto il suono, voglio che tu apprenda la tecnica", disse poi, accendendo la luce.
"Nell'oscurità le cose riescono meglio" sussurrò al mio orecchio, alzando un sopracciglio.
"Osserva attentamente le corde" continuò poi, mentre un enorme sorriso si faceva largo sul suo volto.
Annuii, posando la mia attenzione sulle corde.
"Adesso suonale, dalla più spessa alla più fine"
Mi feci allora coraggio, poggiando poi l'archetto sulla prima corda, facendolo poi, lentamente, scorrere su di essa; respiravo a fatica.
Il suono che uscì non fu affatto spiacevole ma, sapevo che potevo fare di meglio, così suonai le corde successive, prima di posare nuovamente la mia attenzione sull'uomo, adesso con gli occhi serrati, mentre picchiettava, a ritmo del mio battito cardiaco, l'indice sul mento.
"Risuona la prima corda" schioccò e, parecchio confuso dalla sua reazione, poggiai nuovamente l'archetto sulla corda, chiedendomi ripetutamente il perché dovessi risuonarla, dal momento in cui il suono che ne era venuto fuori non fosse stato poi così terribile.
Alzai allora lo sguardo verso l'uomo, adesso stravaccato su quella poltrona rossa che, a mia sorpresa, mi era saltata all'occhio.
"Suonala ancora; descrivi il suono che produce" ammiccò.
Annuii, continuando a chiedermi il perché di tutto quanto.
La suonai altre quattro volte, alternando suoni terrificanti a suoni orecchiabili.
"E'... duro" alzai un sopracciglio, attendendo una sua risposta.
"Esattamente" schioccò, "Produce un suono molto duro, freddo, pesante, malinconico- non ti ricorda nulla?"
Riflettei su quella domanda per quelli che sembrarono anni, spolverando le mie memorie e, con esse, i miei sentimenti che, sopraffatti dall'apatia, si erano lentamente auto-riposti in una a me sconosciuta zona del cuore, portandosi con loro la mia positività. 
"Allora?" mi sollecitò, distogliendomi dai miei pensieri.
"Mi ricorda mio padre" sussurrai tra me e me, letteralmente stupito. "Mi ricorda la mia vita" affermai, dopo aver riflettuto ulteriormente.
Il silenziò calò nella stanza, mentre l'uomo annuiva ripetutamente, puntualmente inumidendosi le labbra con la lingua.
"Che sentimenti colleghi alla tua vita? Che sentimenti provi quando rifletti su essa?"
Cristo, se poco prima mi sentivo ad un provino, adesso mi sentivo dallo psicologo e, odiavo lo psicologo.
Sospirai, "Malinconia, tristezza, apatia, dolore.." sussurrai alzando un sopracciglio.
"Adesso suona le altre e, dimmi cosa ti ricordano esse"
Suonai allora la corda successiva, quella non molto grossa, che produsse un suono meno duro della precedente ma, pur sempre freddo.
"Descrive alla grande ciò che provo quando vengo mortificato dai miei genitori" sputai, abbassando lo sguardo sul pavimento che, notai solo allora fosse beige.
Non ricevendo alcuna risposta, continuai l'esercizio, scorrendo l'archetto sulla corda fine.
Quella era squillante, decisi all'istante fosse la mia preferita.
"Questa mi piace, emette un suono allegro" affermai entusiasta, ricevendo in cambio un sorriso, ma non ancora una risposta compiuta.
"Mi ricorda in campi in fiore in Primavera. Serenità, libertà, positività... vita!" esclamai infine, alzando le mani in aria, entusiasta, mentre quello scenario di libertà si faceva largo nella mia mente, facendo riaffiorare con esso meravigliosi ricordi della mia serena infanzia.
Rise alla mia reazione, aprendo finalmente gli occhi.
"Suona l'ultima" mi incoraggiò, mettendosi nuovamente in piedi, rivolgendomi poi uno dei suoi migliori sorrisi.
Feci allora ciò che mi disse, scorrendo l'archetto sulla finissima corda.
Il primo suono che fui in grado di produrre risultò terrificante tanto quanto l'espressione infastidita che si era fatta largo sul viso dell'uomo quando, nonostante fossi consapevole che quel suono fosse orrendo, continuai a tirare l'arco.
Fortunatamente, i successivi tre suoni prodotti risultarono orecchiabili.
Suonare quella corda era estremamente difficile dal momento in cui, la mano, non era in una delle posizioni migliori e, dovevo ancora acquistare scioglievolezza, aveva detto.
Fu allora che mi soffermai a riflettere su quella corda.
Era difficile da suonare ma, se suonata bene, dopo lunghi mesi di impegno, suonarla sarebbe risultato facile; dal suono tagliente, stridulo e fastidioso, esattamente come i miei compagni, le quali parole riducevano puntualmente in pezzi i miei ideali, rappresentava il mio obbiettivo: superare le difficoltà, superare le loro parole taglienti come lame che, come pioggia che si scagliava contro le finestre, si scagliavano come proiettili contro la mia suscettibile anima.
Gli spiegai allora la mia opinione, nonostante mi fossi un tantino discostato dall'esercizio assegnatomi, seguendolo poi fino la poltrona, dove adesso si era nuovamente stravaccato.
"Ah, la scuola" sospirò.
"Nascondendosi dietro maschere, dietro finti sorrisi, tenteranno di strapparti via la personalità, facendo dei tuoi ideali i loro ideali, trasformandoti così in un ennesima marionetta del sistema.
Ma tu, ragazzo, non lasciare che lo facciano, non lasciare che il mondo prenda il tuo cuore e, sopratutto, non lasciare mai che prendano la luce dietro i tuoi occhi", sospirò, mettendosi pigramente in piedi e poggiandomi un dito sul cuore, prima di rivolgermi un dolce sorriso.
Riflettei a lungo sulle sue parole, cercando di coglierne a pieno il significato. Per la prima volta in vita mia, mi sentivo compreso.
"Comunque non ci siamo ancora presentato" continuò d'un tratto, facendomi quasi sobbalzare.
"Io sono Gerard" soffiò, porgendomi una mano.
"Io Frank" risposi con fierezza, stringendola.
D'oggi in poi eravamo soci, con una grande missione in comune: rendere il mondo un posto migliore.




- Ed ecco il secondo capitolo, del quale, per scriverlo, ci ho impiegato due giorni.
Ebbene, tra un paio di capitoli, la vita di Frank prenderà una svolta definitiva che cambierà radicalmente la storia che, ad un certo punto, verrà letteralmente stroncata da un colpo di scena, dopo il quale la trama cambierà, diventando eccessivamente angst. Aah, quanto vorrei potervi spoilerare tutto..

Vi invito a lasciare una recensione per farmi sapere che ve ne pare. -

A presto,
- Danny x

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mi accompagnò dopo una lunga chiacchierata alla porta.
Mi raccontò la storia che si celava dietro il suo violino; disse di averlo acquistato a Parigi nel 1992, all'età di ventiquattr'anni, quattr'anni prima che io nascessi; non mi stupii poi così tanto nello scoprire avesse quarantasette anni, ovvero trenta più di me.
Disse anche di essere molto geloso delle sue cose, soprattutto del suo amato violino, visto che era la cosa a cui teneva più al mondo e che mi dovevo ritenere fortunato dal momento in cui avevo avuto la fortuna di tenerlo tra le mani.
Fu allora che mi spiegò il perché dell'esercizio sui sentimenti; mi confessò di non aver mai imparato le note e che non avesse la minima idea di come si leggesse uno spartito musicale; mi spiegò che non gli importava un cazzo della musica, ma gli importava di suonare e che tra le due cose ci fosse una grande differenza.
Mi spiegò allora che suonava basandosi sul suo stato d'animo, che suonava per sfogarsi, per esprimersi, per far arrivare alla gente quelle cose che possono essere trasmesse solo tramite l'arte e che riteneva suonare un arte.
Lo faceva per vivere e, io volevo fare lo stesso.
Mi spiegò poi che era per quel preciso motivo se mi aveva fatto accomunare ad ogni corda dei sentimenti e, che lui, per suonare, faceva lo stesso e che le cose mi sarebbero risultate più chiare alla prossima lezione.
Mi porse allora, dopo averlo afferrato dal tavolo, quello che adesso era il mio oggetto prezioso, ovvero il piccolo pagliaccetto dalla tuta a pois, invitandomi poi, prima di chiudermi la porta alle spalle, di tornare a casa sua il giorno successivo, per approfondire l'argomento e così, estremamente entusiasta per ciò che sarebbe avvenuto, felicissimo di aver, in parte, raggiunto il mio obbiettivo, tornai a casa, mentre piccole gocce d'acqua cominciavano a cadere dal cielo.
Il resto della giornata trascorse più velocemente di quanto avessi potuto immaginare e, neanche quella notte riuscii a chiudere occhio.
A mio stupore, fu già ora di alzarsi. Dormii solo tre ore quella notte e, dopo aver osservato per un ultima volta il piccolo pagliaccetto, adesso situato sul mio comodino, a vegliare sul mio sonno, in parte eccitato e in parte in ansia per ciò che mi aspettava mi recai in bagno a vestirmi.
Per la prima volta in vita mia ero felice di imparare e, decisi all'istante che nemmeno quella mattina mi sarei recato a scuola, dando, per una buona volta, precedenza alle mie passioni, così, senza nemmeno quella mattina far colazione, mi diressi di corsa verso casa dell'uomo.
Verso casa di Gerard.
Mi fermai di scatto non appena mi resi conto di essere davanti al vicolo cieco in cui tutto aveva avuto inizio; in cui, per la prima volta, la mia vita aveva preso una svolta positiva. Per un attimo venni assalito da un alone di tristezza nel vedere che l'uomo era assente ma, presto venne anch'esso sovrastato dalla felicità, non appena realizzai che, se in quella mattina non fosse li era perché fosse a casa sua, ad aspettarmi per offrirmi il suo più prezioso oggetto, dandomi la possibilità di coltivare la mia nuova passione, esprimendomi; dandomi la possibilità di esistere.
Mi accolse cordialmente in casa sua, invitandomi a prendere posto nel salone. Notai non appena mi porse il violino dei piccoli pezzi di scotch su di esso, posizionati, ognuno ad una precisa distanza dall'altro, sulla tastiera.
Mi spiegò che erano i punti in cui avrei dovuto poggiare le dita per produrre ulteriori suoni e, che man mano avrei imparato, avrebbe aggiunto nuovi pezzetti, ai quali avrei affibbiato nuovi sentimenti.
"Io non ne ho bisogno" schioccò con fierezza, mentre aggiustava un pezzetto di scotch che, al calore delle sue dita, era scivolato.
Notai solo allora di avere le dita gelide e, poggiarle sulle corde risultò maledettamente doloroso, ma ciò poco importava; mi piaceva quel genere di dolore.
Così, in quella mattina, imparai a produrre quattro nuovi suoni per corda e, soprattutto, imparai a tirare l'arco correttamente, producendo suoni orecchiabili, i quali, più suonavo, più miglioravano.
Ricevetti un lungo applauso dall'uomo, evidentemente felice dei miei miglioramenti.
Una settimana trascorse d'allora, una settimana nella quale, da totale incosciente, saltai la scuola.
In quella settimana migliorai decisamente il suono, facendo pratica con la tecnica e migliorando anch'essa giorno per giorno, mentre mia passione per il violino cresceva a pari passo della voglia di assaporare le labbra di quell'uomo.
E più presto di quanto avessi potuto immaginare, imparai ad esprimermi e, soprattutto, imparai che l'amore a prima vista esisteva eccome e, nonostante detestassi ricredermi, quella volta non mi dispiacque affatto.
Ebbene, a una sola settimana dal nostro primo incontro, persi totalmente la testa per quell'uomo e, mi si sciolse il cuore non appena, quella mattina, venne ad aprirmi la porta, rivolgendomi uno dei suoi migliori sorrisi.
Notai solo allora fosse ancora in pigiama e, stropicciandosi gli occhi, mi invitò ad entrare in casa.
Il suo sbadiglio risuonò nell'aria mentre, stiracchiandosi, mi indicava il violino poggiato sul tavolo.
"Come ti senti oggi?" ruppe il silenzio, facendo capolino dalla porta con due tazze di tè, delle quale me ne porse una. Approfittai allora del calore della tazza per scaldarmi le mani, prima di prenderne un lungo sorso.
Presi allora posto nella poltrona, osservando attentamente il violino.
"Oggi faccio un giro per la città, voglio trovarmi un lavoro, così potrò comprarmi un violino tutto mio e, non importunerò ulteriormente il tuo" Rise alla mia affermazione, finendo quasi per affogarsi con il tè, scuotendo la testa.
"Non voglio dei soldi, Frank, non da te. Mi ripagherai con il tuo impegno", affermò sorridendo, prima di poggiare nuovamente le labbra sull'ancora bollette tazza del tè.
Alzai le spalle, riflettendo a lungo sulle sue parole.
"Sai, oggi ho delle commissioni da fare e, visto il fatto che tu hai bisogno di trovarti un lavoro, stavo valutando il fatto di saltare la lezione di oggi, così avremmo entrambi più tempo.."
Restai deluso dalla sua affermazione, riflettendo poi sul fatto che, infondo, aveva ragione, mettendomi così in piedi e seguendolo fino alla porta.
"Comunque son felice di vedere che stai migliorando anche la tecnica" ammiccò, posando la sua attenzione su uno dei quadri difronte a lui, facendo quasi di tutto per evitare quella triste espressione che, adesso, si stava facendo nuovamente largo lungo il mio viso, mentre esitante, avanzavo verso di lui.
"Io volevo di più.." sospirai, mentre, alzandomi sulle punte delle dita lo abbracciavo da dietro.
"Oh, vedrai che migliorerai ulteriormente, la fretta non porta a nulla di buo-" "NO" lo interruppi, "Non in quel senso" sospirai nuovamente mentre, in preda all'ansia, riflettevo su ciò che sapevo sarei andato a fare.
Ebbene, in quegli ultimi giorni, al passo con la passione per il violino, era cresciuta la voglia di tastare le labbra di quell'uomo. 'Le conseguenze sono secondarie' mi ricordai, prima di afferrare i capelli dell'uomo, facendolo voltare prima di precipitarmi violentemente sulle sue labbra screpolate.
Tastai allora la lingua dell'uomo per quelli che sembrarono anni, prima di venire violentemente scaraventato a terra, trovandomi con la schiena dolorante contro il muro, mentre il mio nome risuonava nella stanza esattamente come in quel preciso momento, il battito del mio cuore in procinto di cessare di pulsare da un momento all'altro, risuonava nella mia cassa toracica tanto forte che, per un attimo, credetti potesse balzarmi fuori dal corpo e finire sul volto dell'uomo, adesso corrucciato in un espressione che non prometteva a nulla di buono.
"Si può sapere che diavolo ti passa per la testa?! Hai forse dato di matto o cosa?!" mi urlò contro gesticolando, finendo per colpire uno degli oggettini precedente posto sul mobiletto alle nostre spalle che cadendo a terra finì in pezzi, esattamente come, in quel preciso momento, lo era finito il mio cuore. E mi rendevo conto solo allora di quanto la mia azione fosse stata azzardata e da perfetto incosciente, finendo così, incapace di sostenere ulteriormente quello sguardo, a singhiozzare mentre, in preda alla vergogna, mi nascondevo il viso tra le mani, cercando di non lasciar trapelare le mie lacrime.
"Scusa" sussurrai, mentre le vene del suo collo, adesso estremamente evidenti, mi facevano accapponare la pelle.
"Non devi scusarti, Frank. Ma qualsiasi dannatissima stronzata tu ti sua ficcato in testa, voglio che tu te la cacci!" esclamò prendendo un lungo respiro, cercando con tutta la forza del mondo di moderare il tono della voce.
"Ma io provo-" tentai di giustificare la mia azione, finendo per venire interrotto da un brusco "NO" che risuonò nella stanza, lasciandomi letteralmente spiazzato.
"No, Frank! E' solo una tua stupida impressione, un idea! Ma ti giustifico dal momento in cui sei solo un ragazzino e ai ragazzi di idee idiote ne passano in continuazione per la testa. Quella che provi per me è solo una fantasia da ragazzo, la quale scomparirà da qui a una settimana!" Sputò acidamente.
"Adesso va via, hai fatto abbastanza!" mi urlò contro, mentre, terribilmente devastato mi mettevo in piedi, strisciando verso la porta precedentemente indicatami, la quale aprirla risultò estremamente difficile e, respirare risultò altrettanto difficile dal momento in cui la gelida aria, a contatto col mio fragile petto ulteriormente devastato dagli irrefrenabili singhiozzi, mi raggelò i polmoni mentre cercavo di autoconvincermi che, a sbattermi la porta alle spalle fosse stato il vento e non l'uomo.
E interiormente distrutto e devastato da continue indecifrabili emozioni trascinavo verso la via principale, all'adesso svogliata ricerca di qualche annuncio di lavoro qua e la sui muri.
Camminai più di mezz'ora, ma tutto ciò che trovai furono annunci per aspiranti modelle e estetiste.
"America terra delle occasioni" dicevano, forse lo era.. se tra le gambe avevi una vagina.
Andai quasi a sbattere contro un palo quando, ciò che vidi, mi fece esultare di gioia.
Era un annuncio e, non c'era specificata alcuna condizione, esattamente come non lo era alcun numero di cellulare, tantomeno informazioni su ciò che riguardasse. Tutto ciò specificato che era specificato era un indirizzo, al quale presentarsi se interessati, così colsi al volo l'occasione, dirigendomi di corsa verso la casa non molto distante da dove mi trovavo.
Così, dopo dieci minuti di corsa, mi ritrovai difronte una casa fatiscente, alla quale, dopo aver preso un lungo respiro, bussai alla porta, prima di trovarmi davanti un uomo pelato dal viso sfigurato.

 


- E rieccomi con il terzo capitolo. Dal momento in cui non ho avuto il tempo di ricontrollarlo, chiedo perdono per gli evenutali errori e vi invito a lasciare una recensione per farmi sapere che ve ne pare e, soprattutto, che vi aspettate nel prossimo capitolo, nel quale la vita di Frank verrà totalmente stravolta. -

A presto,
- Danny x

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Chiedo perdono per gli eventuali errori, non ho avuto il tempo di ricontrollare il capitolo


"Salve. Entra, ragazzo" disse lentamente; la sua voce mi fece accapponare la pelle e, mi si accapponò ancora di più alla vista dell'interno della fatiscente casa.
I mobili in parte distrutti, tutti rigorosamente ricoperti da uno spesso strato di polvere; innumerevoli ragnatele scendevano dal tetto e un fastidioso odore di fumo mi stava letteralmente uccidendo le narici mentre, esitante, seguivo l'uomo dal viso sfigurato verso la cucina, il quale disordine non poté non saltarmi all'occhio; c'erano piatti sporchi ovunque, persino sul divano, sul quale, disgustato, mi dovetti sedere.
"Bene. Sei qui per il lavoro?" continuò tirando una sedia dal tavolo, sulla quale si sedette poggiando il petto contro la spalliera, prima di accendersi una sigaretta.
Annuii, tossendo mentre una nuvola di fumo vagava sui nostri volti.
"Bene. Quanti anni hai?"
"17" sussurrai intimidito, mentre un enorme ghigno si faceva spazio sul suo volto.
Annuì prima di aprire bocca nuovamente, ridendo avidamente, "E.. c'è l'hai la ragazza?"
Si piegò letteralmente in due dalle risate non appena scossi la testa.
"Oohh, abbiamo un verginello qui, allora" continuo ghignando, mordicchiandosi un unghia.
"No" sputai terribilmente in imbarazzo, mentre un insostenibile sensazione di nausea mi assaliva lo stomaco.
"Vai a scuola?" chiese dopo aver sputato i pezzi di unghia precedentemente strappati coi denti.
Annuii, alzando un sopracciglio. Che gli importava della mia vita privata?
"Hai tanti amici?" disse poi alzandosi dalla sedia, afferrando una bottiglia di quella che sembrava fosse Vodka dal tavolo.
Alzai le spalle, mentre una strana sensazione mi assaliva nuovamente.
"Okay" disse infine, prendendo un lungo sorso della bottiglia che dopo mi porse, offrendomi da bere.
Ovviamente rifiutai l'offerta, disgustato dal solo pensiero di poggiare le labbra sulla stessa superfice sul quale precedentemente le aveva poggiate quell'essere.
"Bene, ti aspetto il nove, ovvero, fra quattro giorni. I miei amici son fuori e, abbiamo bisogno del loro aiuto. Dovrai aiutarmi a verniciare un'auto. Una grande auto. Tutto qua" concluse infine, dirigendosi verso la porta.
"Ci vediamo allora" sputò al mio orecchio, sobbalzai non appena, prima di chiudermi la porta alle spalle, mi lanciò una pacca sul sedere.
Così, mentre quella strana sensazione si accentuava notevolmente, facendomi sentire terribilmente a disagio, mi diressi verso casa, dalla quale non uscii per i successivi due giorni. Due giorni in cui, troppo straziato da quella sensazione, non riuscii ne a mangiare, ne ad alzarmi sul letto quando, quella mattina, in preda alla malinconia, tornai in quel vicolo, nella speranza di poter rivedere almeno una volta il viso di quell'uomo, dal momento in cui, non capivo il perché, non ero sicuro se l'avrei rivisto una seconda.
E quei milioni di dubbi e domande furono spazzati all'istante da una sensazione di terribile rimorso non appena, poggiato a quel cassonetto dell'immondizia a suonare non c'era nessuno; non appena alcuna melodia arrivò al mio orecchio.
Così, in preda allo sconforto e continuamente afflitto da inspiegabili emozioni, quella mattina, ad accasciarsi con la schiena contro quel bidone fui io, ma senza alcuno strumento da suonare, ne quell'aria positiva che, ogni volta che mi trovavo in quel posto, puntualmente mi assaliva.
Mi si contorsero le budella mentre, accarezzando il terreno, percepii una presenza alle mie spalle.
Sobbalzai non appena quel qualcuno avanzò verso me, voltandomi di scatto e, sobbalzai ulteriormente non appena mi trovai nuovamente faccia a faccia con Gerard.
Tirai un lungo sospiro di sollievo.
"Mi hai fatto spaventare" sussurrai, per un attimo credetti non mi avesse nemmeno sentito ma, mi ricredetti non appena un enorme sorriso si fece largo sul suo volto.
"Sono felice di rivederti" affermò, alzando lo sguardo.
Annuii, sforzando un sorriso, "Mi dispiace.." continuai.
Alzò le spalle, sospirando.
"Non devi. Sono stato io ad aver esagerato, non avrei dovuto reagire in quel modo e.. non era mia intenzione infliggerti alcun male. Mi sento in colpa" ammise.
Restai stupido dalla sua sincerità nell'esprimersi.
Alzai le spalle a mia volta, "Non mi hai fatto niente" dissi sorridendo, "sono felice che il nostro rapporto non sia andato in fumo. Ho agito da idiota e, me ne son pentito e, ammiro la tua comprensione" ammisi sincero a mia volta.
Solitamente, quelle poche volte in cui aprivo bocca per parlare, mentivo sempre, dal momento in cui non volevo dimostrarmi debole, o come mi chiamavano i miei amici, 'una checca', ma questa volta non ne sentivo il bisogno. Sapevo Gerard non mi avrebbe giudicato per la mia debolezza, dal momento in cui lui lo era tanto quanto me.
Restai stupito non appena avanzò ulteriormente verso me, questa volta a braccia aperte, stringendomi poi in un abbraccio, mentre delicatamente, come se potessi finire in pezzi da un momento all'altro, mi accarezzava la nuca e.. forse era così, dal momento in cui quella sensazione continuava a distruggermi interiormente.
"Ho una brutta sensazione" confessò l'uomo, facendomi raggelare gli occhi.
Spalancai gli occhi tanto che, per un attimo, credetti potessero balzarmi dalle orbite.
"Un brutto presentimento" continuò, alzando gli occhi al cielo mentre tirava un lungo respiro.
"Anch'io. Mi si sta contorcendo lo stomaco. E' da un paio di giorni che, come un peso sul cuore, me lo porto dietro" ammisi sottovoce, scorgendo un espressione sorpresa sul volto dell'uomo.
"Sarà solo una stupida sensazione legata a ciò che è successo alle spalle ma, il passato è passato. Lasciati tutto alle spalle e vedrai che starai meglio. Mi sa toccherà farlo anche a me" continuò poi sorridendo, prima di poggiarmi un braccio sulle spalle, stringendomi nuovamente a se.
"Adesso devo andare" sussurrai, prima di sforzare un sorriso e, a testa bassa, dirigermi verso casa dove, confuso, mi accasciai nuovamente sul letto.
Ore e ore trascorsero d'allora quando, qualcuno busso alla porta, distogliendomi dai miei indecifrabili pensieri.
Fece capolino dalla porta mia padre, sedendosi poi al mio fianco.
"Com'è andata la giornata scolastica?"
Restai ulteriormente stupefatto a quella domanda, dal momento in cui di come trascorrevo le mie giornate non gli era mai importato.
"Bene" mentii, sapevo che se avrebbe scoperto che avevo nuovamente saltato la scuola mi avrebbe ucciso e, così fu non appena cominciò ad urlarmi contro che ero un bugiardo.
"Ha chiamato il tuo insegnante di italiano, mi ha detto che ti sei assentato da scuola per un'intera settimana, saltando due importantissimi compiti in classe!" mi urlò contro, lanciandomi un ceffone.
"Ti sei forse bevuto il cervello?! Ti rendi conto che continuando di questo passo perderai un altro anni?! E poi pretendi anche di prendere lezioni di musica. Pretendi, pretendi, ma non fai mai qualcosa. Sarai un fallito nella vita, mi fai pena" continuò, trascinandomi dai capelli fuori dal letto, continuando a sbraitare.
"Sei la vergogna della famiglia. Mi sembri un frocetto, guarda come ti vesti! Prendi esempio dai tuoi cugini per una buona volta, guardali come sono svegli, tu sei un fottuto coglione, un parassita. Mi vergogno di ammettere che tu sia mio figlio!"
A quell'affermazione mi crollo letteralmente il mondo addosso, ma realizzai solo dopo che, a finirmi addosso fu il pagliaccetto regalatomi da Gerard che, nel giro di un secondo, finì in pezzi contro la mia faccia mentre, nuovamente devastato, prima che l'apatia prendesse nuovamente il sopravvento, mi misi in piedi quando, prima di scappare via da quel casino che si stava venendo a creare e, prima che si precipitasse nuovamente addosso per darmi il tanto atteso da mia madre, adesso sulla porta, colpo finale, finì per conficcarmi nel piede un'enorme scheggia di terra cotta; ma il dolore che provai in quell'istante non fu minimamente paragonabile al dolore che provare interiormente, il quale sperai potesse scivolar via insieme alla pioggia che, in quel momento, in mezzo alla strada, mi inzuppava i vestiti.
Realizzai solo allora si stesse avvicinando una tempesta e, che tutto avrei fatto tranne che dormire al parco, così presi al volo una decisione, dirigendomi di corsa verso la casa dell'unico essere umano disposto a sopportarmi tra i piedi: casa di Gerard.
Arrivai dopo dieci minuti di corsa, nella quale mi squarciai letteralmente il piede, difronte casa sua, alla quale bussai disperatamente.
Dieci minuti trascorsero dall'ultima volta in cui bussai e, senza speranza che venisse ad aprirmi, mi rimisi in piedi, quando udii una voce alle mie spalle.
Era in mutande, sulla porta, mentre si stropicciava gli occhi. Giudicai stesse dormendo e, mi sentii terribilmente in colpa quando credetti di averlo svegliato ma, quel senso di colpa si trasformò in fastidio non appena, dopo aver aperto la porta e avermi invitato ad entrare, stringendomi poi tra le braccia non appena realizzò stessi ininterrottamente singhiozzando, vidi una donna fare capolino dalla cucina.
Aveva i capelli corti e rossi fluorescenti, notai, non appena, dall'aria palesemente infastidita dalla mia presenza si fece avanti lanciando un occhiataccia a Gerard, indossasse un corpino nero, sopra una minigonna scozzese e dei reggicalze.
"I soldi sono sul tavolo" sputò Gerard infastidito, lanciandogli una volta un'occhiataccia e lasciandomi letteralmente confuso, prima di posare nuovamente la sua attenzione sul mio.
"Cristo, Frank, che ti è successo? Hai il volto ricoperto di sangue" sussurrò osservandomi, mentre un espressione che andava dal disgusto allo stupore si faceva largo sul volto.
"Oh cazzo" esclamò poi alla vista dell'enorme pozza di sangue che si faceva largo intorno al mio piede, mentre la donna, senza salutare, lasciava la casa.
C'era qualcosa che non andava nella sua voce e, i miei dubbi ricevettero un istantanea risposta non appena il suo odore inondò le mie narici, facendomi ulteriormente rivoltare lo stomaco.
Era ubriaco. Faticava persino a reggersi in piedi tanto che dovette appoggiarsi con le spalle al muro.
"Chi era quella donna?" chiesi freddo, riprendendo il fiato che mi era stato precedentemente tolto dai singhiozzi.
"Nessuno" sospirò, prima di avanzare nuovamente, cingendomi i fianchi.
"Che fai?" sussurrai confuso.
"Ti porto su" continuò con un filo di voce, mentre di peso mi prendeva in braccio.
Mi aggrappai saldamente al suo collo mentre, barcollando, saliva le scale, finendo però per inciampare. Mi ritrovai allora stesso sulle scale, il suo volte nell'incavo del mio collo mentre il suo respiro pensante risuonava nell'aria, prima di rimettersi in piedi, prendendomi nuovamente in braccio.
"C'è la faccio da solo" obbiettai, ma scosse la testa, continuando a salire, prima di andare a sbattere con la schiena contro al muro, in procinto di cadere nuovamente.
"Okay, non c'è la faccio" sussurrò nuovamente sul mio collo, ghignando.
Annuii, spingendolo leggermente, prima che mi aiutasse a camminare fino al bagno, dove mi sedetti sopra una cesta.
"Okay.. dov'erano.." disse tra se e se, frugando nel cassetto di un mobiletto.
"Eccoli" affermò fieramente, tirando fuori dei disinfettanti e una pizzetta.
"Farà male" disse, prima di chinarsi ed estrarre con la pinzetta l'enorme scheggia precedentemente conficcata nel mio piede, prima di soffermarsi a osservarla mentre il mio lamento risuonava nell'aria.
"Mi ha lanciato contro il pagliaccetto che mi avevi regalato" sussurrai abbassando lo sguardo.
Annuii, scagliando la scheggia contro il muro, facendola finire in ulteriori pezzi, prima di disinfettare la ferita e lavare via il sangue. Tirò poi una garza che andò a fasciare intorno al mio piede, raccomandandomi di non fare movimenti bruschi, prima di aiutarmi a lavare la faccia, sulle quali ferite mi mise della pomata.
Fece poi capolino dalla porta con un enorme maglietta in mano.
"Non ho altro da darti, mi dispiace. Credo che questa sia abbastanza per coprirti" disse prima di lasciare nuovamente la stanza, invitandomi a cambiarmi.
Così, terribilmente imbarazzato all'idea di dover dormire con solo una maglietta addosso, cominciai a cambiarmi, facendo fatica a togliermi i pantaloni.
"Gerard, ho fatto" richiamai la sua attenzione, per poi notare che era dietro la porta.
Entrò nuovamente nella stanza, annuendo, prima di tirar fuori da un altra cesta un phon con il quale cominciò ad asciugarmi i capelli, ridacchiando alle mie espressioni da imbecille quando, puntualmente, mi soffiava l'aria bollente in faccia, scompigliandomi i capelli con le mani per assicurarsi fossero ben asciutti.
"Okay" sussurrò, passandosi una mano tra i capelli, prima di aiutarmi a mettermi in piedi.
Ci dirigemmo verso la stanza da letto, il corridoio puntualmente illuminato dalle saette che puntualmente mi facevano sobbalzare mentre, lentamente, con la schiena a pezzi, mi sdraiavo nel letto, del quale aveva appena cambiato le coperte.
Sospirai mentre continui flashback di ciò che era avvenuto si facevano largo tra le confusionarie sensazioni, trattenendo le lacrime per miracolo.
Notai stesse prendendo posto al mio fianco e fu allora che, istantaneamente, posai lo sguardo sulla maglietta che stavo indossando, assicurandomi coprisse le mie parti più vergognose; fui molto sollevato nel vedere mi arrivasse fin sopra le ginocchia, sistemandomi sul cuscino, per poi affondarci il viso sopra, nella speranza che ciò mi avrebbe aiutato a non udire ulteriormente i continui tuoni che puntualmente mi facevano perdere un battito, ma non riuscii a trattenermi non appena cadde una saetta, finendo per sobbalzare nel letto spaventando Gerard.
Ebbene, i temporali erano una delle mie più grandi paure dal momento in cui avevo perso uno zio, finito morto dopo esser stato fulminato da una saetta.
"Frank.." sussurrò, la stanchezza trapelava dalla sua voce mentre, pigramente, mi tirava a se, stringendomi al suo petto nudo.
"E' tutto apposto, sei al sicuro qui" continuò lasciandomi un bacio sulla nuca mentre, soffocato dal suo terrificante alito di alcool, annuivo, finendo per sobbalzare nuovamente non appena l'ennesima saetta risuonò nell'aria.
E nonostante sapevo che Gerard compativa le mie debolezze, in quel momento le parole di mio padre risuonavano nella mia mente, esattamente come le saette nell'aria.
Mi sentivo un perfetto idiota e, in quel preciso istante, cominciai nuovamente a piangere, desiderando come mai prima d'allora di scomparire.
"Ci sono io qui con te, sei al sicuro. E' tutto finito" sospirò, adagiandomi nuovamente sul cuscino prima di farsi spazio nell'incavo del mio collo.
"Hai paura dei temporali?"
Scossi la testa, mentendo. Rise alla mia reazione.
"Puoi dirlo, Frank. Tutti abbiamo le nostre stupide paure.. tipo io. Io ho paura degli aghi. E' totalmente normale, ma dobbiamo sconfiggerle. Qui sei al sicuro e, ricorda che, dopo la tempesta c'è sempre il sole" continuò ghignando, abbracciandomi nuovamente.
Semplicemente annuii dal momento in cui, a causa del suo peso sul petto respirare mi risultava estremamente difficile e, con esso, persino parlare.
Credo se ne rese conto nel momento in cui fece per alzarsi, quando ebbe un conato di vomito e finì per precipitarmi nuovamente addosso.
Sussultai non appena percepii la mia delicata pelle nuda in contatto con la sua coscia, mentre, ridendo per la mia reazione, mi aggiustava la maglietta. Giurai stessi arrossendo.
Fu allora che i nostri sguardi si incatenarono esattamente come accadde il primo giorno in cui ci incontrammo, ma quella volta era diverso, c'era qualcosa in più in quello sguardo mentre, lentamente, saliva al mio orecchio.
"E' tutto così sbagliato, Frank" sussurrò, prima di poggiare la sua fronte sulla mia, i nostri petti incollati come fossero due pezzi di ghiaccio mezzi sciolti.
"Non dovresti essere qui, non dovremmo essere in questa situazione, sai?" soffiò sulle mie labbra.
Voltai allora la testa di lato, stringendo gli occhi incapace di sostenere ulteriormente il suo peso.
"Non dovremmo provare tale sentimento. E' sbagliato" continuò, facendo per reggersi nuovamente sulle braccia, strisciando e finendo per alzare nuovamente la mia maglietta.
Il suo respiro pesante risuonava nell'aria mentre, ad occhi chiusi, si ripoggiava sul mio corpo, strusciandosi ripetutamente contro il mio bacino, adesso scoperto.
"Smettila, Gerard" sussurrai con la voce spezzata dalla vergogna, nel momento in cui mi accorsi di essere mezzo nudo.
"Mi piace far cose sbagliate" continuò scuotendo la testa.
"Io sono sbagliato" sussurrai. Rise alla mia risposta, poggiando nuovamente la sua fronte sulla mia, sfiorando le mie labbra.
"Mi stai forse chiedendo di scopare, Frank?" trasalii a quella domanda.
Scossi la testa, terribilmente intimorito.
"Mentire non porta a nulla" continuò, prima di poggiare definitivamente le labbra sulle mie, mentre il panico veniva compensato dalla lussuria e cominciavo a stare a gioco.
Le cose si capovolsero e, inebriato dall'odore dell'alcool, mi ritrovai a fare movimenti sconnessi sul suo corpo, mentre i nostri gemiti si alternavano ai tuoni risuonanti all'esterno, mentre acquistavo, man mano, sicurezza con me stesso.
E mi sentii al sicuro non appena le cose si capovolsero, abbandonandomi così alla sua esperienza.
"Non hai la minima idea di quanto tutto questo sia sbagliato, Frank" bisbigliò mentre affondavo la testa nel cuscino.
"Non puoi minimamente immaginarlo e ciò mi devasta" continuò tra un gemito e l'altro, mentre i suoi movimenti diventavano sempre più scoordinati, provocandomi ulteriore dolore.
Finii per piangere nuovamente quella notte mentre l'uomo, in preda al piacere, si lasciava andare dentro me, adesso distrutto sia fisicamente che emotivamente mentre, infastidito, prendeva nuovamente posto al mio fianco.
Ci vollero parecchi minuti purché mi si schiarisse la vista dalle lacrime e, ciò che vidi mi fece accapponare la pelle.
Le coperte erano in parte inzuppate di sangue e, l'espressione che adesso si era fatta spazio sul viso dell'uomo non era affatto rassicurante.
"Se continua così ti porto all'ospedale" sputò acidamente, mentre con una coperta, dopo avermi aiutato a mettermi di fianco, mi stringeva il sedere, cercando di bloccare il flusso del sangue.
Una bestemmia risuonò nella stanza mentre si sistemava nuovamente sul cuscino, questa volta voltandomi le spalle, prima di chiudere definitivamente gli occhi e dormire.
. . .
Venni svegliato da un raggio di sole che, dalla finestra, mi colpiva dritto in faccia. Notai solo allora Gerard non fosse al mio fianco e, soprattutto, che ero vestito e che le lenzuola sporche di sangue fossero state cambiate.
Mi misi in piedi, confuso chiamai il suo nome, ma non ricevetti alcuna risposta. Notai solo allora un biglietto sul comodino al mio fianco, 'Sono uscito' diceva.
Sospirai, mentre i ricordi della notte passata continuavano a farsi strada nella mia mente quando, improvvisamente, vennero spazzati via da un'idea balorda, ovvero, quella di frugare, per pura curiosità, tra le cose di Gerard. C'era un qualcosa in quell'uomo che non mi convinceva. Decisi all'istante di dare un occhiata nell'armadio.
Tutto ciò che c'era erano parecchie camicie, la quale maggioranza a righe, e pantaloni principalmente neri quando, la mia attenzione venne richiamata da un cassettone infondo all'armadio, dal quale si intravedeva un foglio di giornale.
Aprii allora in cassetto, restando letteralmente sbalordito da ciò che conteneva.
C'erano delle droghe e innumerevoli giornali. Afferrai allora un ritaglio, il grande titolo, adesso sbiadito, era in francese; "Qui est le tueur?"
Spolverai allora quel poco di francese che, alle scuole medie, ero riuscito ad apprendere.
"Chi è il killer?" esclamai tra me e me, prima di soffermarmi sulla grande fotografia sotto il titolo.
Un uomo, incappucciato. Mi si raggelò il sangue non appena riconobbi quello sguardo e, mi si raggelò ancora di più non appena il mio nome risuonò alle mie spalle.
Mi voltai; Gerard, era rientrato e non l'avevo nemmeno sentito.
"Sapevo l'avresti fatto. Sei così prevedibile, Frank" scosse la testa, sospirando.
"St-Stai bene?" sussurrai mettendomi in piedi, indicandogli la droga.
"Staro bene, Frank" rispose sforzando un sorriso prima di strapparmi il foglio dalle mani, accartocciandolo e lanciandolo in una zona remota della stanza.
"T-tu-" cercai di continuare, finendo per essere, come sempre, interrotto.
"Si, Frank. Sono un assassino"
A quell'affermazione mi cedettero definitivamente le gambe.
"Ma ho i miei motivi, Frank; non sono un folle e, sai meglio di me che non ti farei mai del male" continuò, sedendosi ai piedi del letto.
Avanzai esitante verso di lui, sedendomi ad una distanza di sicurezza. Una risata nervoso risuonò nella mia stanza alla mia azione.
"Sai, Frank, nel lontano 1992 avevo un fratellino, Mikey.." cominciò, sorridendo al ricordo del fratello.
"Era un ragazzo d'oro, non dava fastidio a nessuno e, per questo non era molto accettato nella malsana società di quei tempi. A quell'epoca io avevo ventiquattr'anni, lui quattordici. Era la persona a cui più tenevo al mondo ma, un giorno, mi fu strappato via dalle braccia" sospirò, mentre i suoi occhi divenivano lucidi e, questa volta non a causa dell'alcool.
"Era anche un ragazzo molto ingenuo e, nel momento in cui la comitiva di ragazzi considerati fighi del quinto superiore gli si avvicinò accogliendolo calorosamente nella 'famiglia', non ebbe alcun sospetto di ciò che stavano tramando alle sue spalle quando, un giorno gli proposero di partecipare ad un party e, nella sua ingenuità, accetto orgogliosamente, ignaro di ciò a cui stava andando in contro" continuò tirando su con il naso.
"Quella sera, insieme alla sua verginità, gli strapparono via la sua voglia di vivere. Quella sera venne violentato, venne stuprato e, in preda alla vergogna, non mi disse niente, isolandosi dal mondo quando, un giorno, preoccupato dal fatto che avesse smesso di mangiare e di andare a scuola, feci irruzione nella sua stanza per chiedere spiegazioni quando, tutto ciò che trovai fu una lettera ai suoi piedi, penzolanti dal tetto. Incapace di sostenere quell'enorme peso sulle spalle, prese una delle decisioni più drastiche e sbagliate che si possano prendere, impiccandosi. Morì per asfissia, incosciente del fatto che il suicidio non avrebbe portato a nulla, ma che gli avrebbe solo portato via l'opportunità di rendere le cose migliori. E conoscevo bene mio fratello, sapevo che c'era qualcosa che non andava, me lo sentivo nell'anima, ma non ho fatto nulla e, mi maledico ogni giorno per questo"
Tutto ciò che fui in grado di dire fu un "oh", sopraffatto dai singhiozzi dell'uomo.
"Gli portai vendetta, ma ancora oggi, uno di quei fottuti bastardi è a piede libero e so che si trova qui, Frank" continuò mettendosi in piedi, stringendo poi i pugni.
"Ma poi sei arrivato tu e hai mandato tutto a puttane, esattamente come quella personalità che, per anni, ero riuscito a tenere vivo. Mi hai fatto provare nuovamente qualcosa e, quel qualcosa era un qualcosa di estremamente sbagliato dal momento in cui io ho trent'anni più di te e, se la gente venisse a sapere che tra di noi c'è un qualcosa potrebbero denunciarmi.. per stuprò" continuò a denti stretti, prendendo un lungo respiro.
"E io, Frank, non credevo potesse esistere gente spregevole tanto quanto quei tizi fin quando, ieri sera, in preda all'alcool mi son ritrovato a .. SCOPARE CON UN FOTTUTO RAGAZZINO, ESATTAMENTE COME QUEI CANI" mi urlò contro.
"E mi son calato ai livelli di codesta gente per renderti felice e tu che fai? piangi, mortificandomi. E se prima a farmi schifo ero io, adesso, nel trovarti a frugare tra le mie cose a farmi schifo sei tu.
TI HO DATO TUTTO CIO' CHE VOLEVI, FRANK. CHE ALTRO VUOI DA ME?" continuò in lacrime, gesticolandomi contro.
"Sei solo un fottuto ragazzino, ipocrita come tutti gli altri e, io ci son cascato.
Adesso, Frank, ESCI DA CASA MIA" continuò a denti stretti.
"ESCI DALLA MIA VITA"
A quelle parole, il mondo mi crollò addosso.
Scossi la testa, adesso anch'io in lacrime, incapace di metter su una frase di senso compiuto; incapace di sostenere quelle parole, pesanti tanto quanto il suo respiro.
Annuii, "Ho bisogno dei miei vestiti" sussurrai, la voce spezzata dalle lacrime mentre distrutto mi asciugavo il viso.
Mi lanciò allora i miei vestiti che, precedentemente erano su una sedia.
Dal momento in cui la vergogna non avrebbe minimamente infierito sul mio stato d'animo, ignorai la sua presenza, cominciando a svestirmi, sostenendo il suo sguardo fisso sul mio corpo adesso nudo.
"Senti la vergona" più che una domanda risultò come un affermazione, ma ciò non mi impedii di annuire, prima di voltargli definitivamente le spalle, avanzando verso la porta.
"Frank" richiamò un ultima volta la mia attenzione, "Qualsiasi cosa accada, non lasciare mai che prendano la tua innocenza infantile." affermò nuovamente in lacrime.
"Non fare il mio stesso errore Frank" continuò, la sua voce spezzata dai singhiozzi, esattamene come il mio cuore spezzato dalle sue parole.
"Combatti il nemico dimostrandogli affetto"




- Salve a tutti, ed ecco il quarto capitolo, del quale scrivere la scena *hot* mi è risultato estremamente difficile.
Come ho detto all'inizio del capitolo, chiedo perdono per gli eventuali errori, dal momento in cui non ho avuto tempo di ricontrollarlo.
Ci tenevo a mettere in chiaro che, in questo capitolo sono presenti molte frasi o parole scritte in grassetto, le quali saranno molto significative nei successivi capitoli, nei quali la vita di Frank cambierà radicalmente, perciò, spero abbiate letto attentamente.. ;)
Vi invito, come sempre, a lasciare una recensione e farmi sapere che ve ne pare. Ci tengo molto. -

A presto,
Danny x


-

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


E camminavo sotto la pioggia, nella speranza che avrebbe lavato via tutti quei sentimenti che mi riducevano il cuore in pezzi quando qualcuno chiamò il mio nome, facendomi sobbalzare.
"Hey, Frank" riconobbi all'istante quella voce; era l'uomo dal viso sfigurato, quello con il quale avrei dovuto verniciare la macchina, ricordai solo allora che mi sarei dovuto recare a casa sua quel pomeriggio.
"Pensavo mi avessi dato buca" ghignò, mentre quella strana sensazione si impossessava nuovamente del mio corpo, questa volta decisamente accentuata.
"Sali in macchina" ammiccò poi.
Alzai le spalle, scacciando via quella sensazione, 'è solo uno stupida sensazione' mi ripetevo, mentre, da totale incosciente, salivo sulla macchina.
Notai stessi tremando, non capivo il perché- infondo, verniciare una macchina non sarebbe stato così difficile, non avevo alcun motivo per star tanto in ansia ma, dovetti ricredermi non appena, alla vista di innumerevoli alberi mi distolsi dai miei pensieri, notando solo allora fossimo nel bel mezzo di una campagna.
Mi si accapponò la pelle non appena mi ritrovai col volto coperto.
. . .
Innumerevoli voci risuonavano nella mia mente, la vista appannata.
"Frank, se mi senti, tira fuori la lingua" mi urlarono; non conoscevo quelle voci.
"Frank, se mi senti, tira fuori quella dannata lingua" ripeté allora; percepii un colpo al viso, poi un altro.
Nuove voci si innalzarono nell'aria, non riuscivo più a comprendere ciò che dicevano.
"I battici cardiaci stanno diminuendo" udii, prima che il mio corpo venisse attraversato da innumerevoli scosse; fu allora che la vista cominciò a schiarirsi, urlai non appena mi ritrovai difronte un uomo con una mascherina sul viso, mentre una fioca luce bianca mi accecava.
Mi avevano forse rapito gli alieni?
Ero morto, era forse l'inferno?
Cominciai a dimenarmi involontariamente. Mi sentivo stremato, volevo fermarmi, ma non c'è la facevo, e mentre innumerevoli urla mi spappolavano i timpani, percepii una puntura sul braccio, mentre lentamente mi sentivo scivolare via le forze.
Vidi mia madre, la sua espressione non prometteva nulla di buono.
Mi ritrovai in un'altra stanza, seduto, una signora al mio fianco.
"Frank" cominciò, poggiandomi una mano sul ginocchio destro. Sobbalzai, urlandogli contro un qualcosa di incomprensibile mentre venivo nuovamente assalito da quelli che realizzai fossero dottori.
"Frank" urlò, facendomi nuovamente mettere seduto.
"Frank, sei stata vittima di un brutto incidente stradale" sospirò, mentre un espressione di totale shock si faceva largo sul mio volto.
"NO" gli urlai, balzando nuovamente in piedi.
"E' stata tutta una messa in scena" continuai, mentre sentivo nuovamente le forze scivolarmi via al ricordo di quelle tre notti.
"NO, NO" continuai, scuotendo la testa; per un attimo credetti mi stesse per volare il cervello dalle orecchie.
"Lui mi ha tenuto la dentro 3 giorni, mi ha torturato poi-poi" scoppiai in lacrime prima di sussurrare quella parola.
"Stuprato" conclusi, la voce spezzata dai singhiozzi alla vista delle loro espressioni scioccate.
"No, Frank. Nessuno ti ha fatto niente, è solo una tua impressione. L'incidente ti ha causato un grave trauma celebrare che non ha fatto che accentuare il tuo Disturbo Istrionico Di Personalità, identificatoti quando avevi 12 anni. Ti ricordi di me, vero, Frank?"
Scossi la testa, non sapevo chi fosse, ne avevo capito ciò che aveva detto.
Tutto ciò che avevo capito era che avevano creduto alla messa in scena.
Tutto ciò che avevo capito era che la mia vita era rovinata e, ne ebbi la conferma il giorno in cui, dopo una settimana di accertamenti e deliri, mi portarono in un ospedale psichiatrico, alla mia vista un manicomio, nel quale mi lasciarono per i successivi tre giorni, prima che si facessero nuovamente vivi e, soprattutto, prima che Gerard si facesse vivo. Ebbene, in quel giorno venne a trovarmi. Erano trascorse 72 ore da quando ero stato rinchiuso la dentro, in una stanza, da solo e, sapete qual era la ciliegina su questa bella torta di merda? Al buio, nel quale riscontrai che la stanza fosse piena di demoni.
Si insidiavano tra i freddi mattoni e, non appena voltavi le spalle ti assalivano, rendendoti come LUI, l'uomo dal viso sfigurato.
Contai allora i mattoni della stanza, erano 666, ciò significava che li dentro c'erano 1332 demoni, pronti a strapparmi l'anima, riducendola in pezzi come, in quei tre giorni, lo era finito il mio corpo.
Il primo giorno venni assalito da una donna, mi chiese cosa fosse successo in quei presunti tre giorni.
Le raccontai di quando, il primo giorno, mi legò alle pareti, bendato, facendomi bere benzina spacciandola per acqua; quando finì quasi per affogare a causa del vomito quando, mentre rimettevo, si divertiva a colpirmi ripetutamente sullo stomaco con un bastone.
Di quando mi strappò via le unghie dei piedi, di quando mi fece un lungo taglio lungo il petto.
Di quando, la terza sera, mi fece inginocchiare su dei ceci, con una tavola piena di chiedi difronte al volto mentre, dopo avermi legato con quello che sembrava un collare per cani, mi si avventava addosso quando, stremato dalla sua furia, finivo per cadere col viso dritto su quella tavola piena di chiodi, finendo ricoperto di sangue.
Gli raccontai degli orrori che vidi, degli orrori che subii, di quando mi sentii imponente nel momento in cui percepii nuovamente quell'orrendo dolore. Di quanto fosse stato disgustoso sentirlo venire al mio interno e, soprattutto, di quanto mi sentii devastato nel momento in cui mi iniettava un liquido a me sconosciuto, prima di gettarmi dalla macchina, in quella buia autostrada, prima di accelerare e venirmi in contro. Di come sentii le mie ossa fracassarsi mentre mi sentivo morire, ma non mi credette.
Nessuno mi credeva.
Dicevano fossi malato.
Ma non era così. Il mondo era malato, non io.
E in quei tre giorni, distrutto, mi rifiutai di compiere alcuna azione; non mi importava se ciò avesse comportato patire la fame o essere assalito dai demoni, loro non potevano farmi del male, la mia anima l'aveva già presa LUI, loro non avrebbero potuto infliggermi alcuna disgrazia.
Sussultai non appena udii qualcuno bussare alla porta, dal momento in cui in quel fottuto manicomio erano tutti estremamente invadenti. Ti mettevano le mani ovunque, ti obbligavano ad ingoiare pasticche dagli effetti collaterali a te sconosciuti, tramite le quali ti avrebbero spappolato il cervello.
Era tutto un piano stabilito da lui, erano tutti d'accordo, compresa mia madre e mio padre. Ero stato concepito per essere una cavia da laboratorio e, ne avevo le prove, me le avevano date i demoni.
Ebbene, volevo avere il dominio del mondo e, stavano testando se quelle pasticche facevano effetto sul mio corpo, ma non mi avrebbero preso così facilmente; non mi avrebbero mai preso vivo.
Così affondai la faccia in quel cuscino, non alzandomi per nessuno motivo al mondo, voltando ogni tanto la testa da un lato per cercare di prendere aria, ovviamente stando attendo che nessuno mi infilasse qualcosa in bocca. E fu allora che realizzai che me le avrebbero potute infilare nelle orecchie e, fu allora che me le tappai con due chiodi, precedentemente attaccati al muro.
Un urlo risuonò nella stanza, mentre sentivo un liquido caldo scivolarmi lungo il collo; presto tutte quelle urla che si erano innalzate nella stanza scomparirono, lasciando spazio ai sussurri dei demoni, che mi incitavano a riaffondare la testa nel cuscino.
Non ricordo che successe successivamente, tutto ciò che ricordo fu Gerard al mio fianco, mi stava accarezzando quando, d'un tratto sobbalzò dal letto; trasalii alla sua reazione.
"F-Frank" sussurrò, "H-Hai bagnato il letto" continuò, avvicinandosi nuovamente verso me.
"I dottori hanno detto che ti rifiuti di svolgere alcuna attività e, addirittura di muoverti. Pensavo che almeno andassi in bagno.. io-"
Lo interruppi, balzando in piedi tremolante.
"C'è un demone alle tue spalle" sussurrai, mentre si voltava.
"Quella è la mia ombra, Frank" sospirò.
Scosse la testa prima di lasciare la stanza, "Vado a prenderti un pigiama pulito" disse, prima di lasciarmi solo.
Rimproverai severamente quel demone; Gerard non si toccava, la sua anima era troppo preziosa, il mondo non poteva avere il suo cuore. Gerard era mio.
Sussultai non appena lo vidi sulla porta, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi estremamente lucidi. Per un attimo credetti i demoni avessero preso la sua anima ma, mi ricredetti non appena avanzò verso di me, cominciando a spogliarmi.
Non mi importava di essere nudo difronte 1332 demoni, ne tantomeno difronte a lui. Ormai avevo perso ogni minimo di pudore, esattamente come avevo perso ogni briciolo di positività, adesso nuovamente sopraffatta dal terrore.
Mi terrorizzava quel posto. La gente li dentro era matta, compresi gli scienziati pazzi che si spacciavano per dottori.
Mi trascinò poi verso la sala mensa, dove avvenivano gli incontri coi familiari; nemmeno quel giorno i miei genitori erano presenti, ma ciò poco importava dal momento in cui era presente lui e, sapevo mi avrebbe aiutato ma, mi dovetti ricredere non appena gli sussurrai tutto ciò che, tre giorni prima avevo raccontato alla capa degli scienziati, comunemente chiamata sotto il nome di 'psichiatra'.
"Psst, Gerard" sussurrai, richiamando la sua attenzione, prima di avvicinarmi al suo orecchio e raccontargli tutto.
Scosse la testa non appena terminai quello che sembrava un racconto di Stephen King.
"No, Frank. La psichiatra te l'ha detto, è solo un grave disturbo di personalità che, se collaborerai, scomparirà al più presto, riavendo così indietro la tua vita"
Urlai a quella risposta, lanciandomi ai suoi piedi mentre la campana suonava e lasciava il tavolo, mentre i medici mi assalivano, strattonandomi verso loro.
Mi aggrappai alla sua gamba, singhiozzando.
"Non lasciarmi qui, Gerard, non sono pazzo! E' una trappola, una messa in scena, esattamente come la storia dell'incidente" Lo scongiurai.
Scosse nuovamente la testa, persi totalmente il controllo dei miei sentimenti.
"Mi hanno fatto la stessa cosa che hanno fatto a tuo fratello" Urlai in preda al panico mentre si dimenava dalla mia presa.
Fu allora che ricevetti un calcio in pieno viso, abbandonandomi alla presa dei dottori mentre Gerard si avventava sul mio viso, ulteriormente ferito da un ceffone mentre i dottori mi reggevano in piedi.
"No, Frank" sussurrò a denti stretti mentre il silenzio calava nella stanza, sotto lo sguardo scioccato degli altri pazzoidi.
"Questo non te lo permetto. Ciò che hanno a mio fratello è reale, la tua una fottuta fantasia e, su ciò non si scherza" continuò, mentre il suo petto si alzava e si abbassava a ritmo del mio battito cardiaco.
"Sappi che se non fossi consapevole del fatto che fossi malato ti avrei ucciso con le mie stesse mani" terminò amareggiato, prima di voltarmi le spalle e avanzare verso la porta che portava al corridoio, la quale soglia non ci era permessa solcare, in quanto significava libertà.
"No, Gerard" urlai, nella speranza di richiamare un ultima volta la sua attenzione, prima che anche lui mi abbandonasse.
"Sei l'unica speranza per me" sussurrai in lacrime mentre, sotto la luce della vergogna, terribilmente amareggiato, mi lasciavo trascinare dai dottori, abbandonandomi alla depressione.





- Salve a tutti! E rieccomi quì con un nuovo capitolo, contentente il tanto atteso colpo di scena che avrebbe definitivamente sconvolto la vita di Frank ed è quì che vorrei chiarire una cosa- Nel terzo capitolo Frank tenta di baciare Gerard, nonostante tra i due, oltre a qualche sguardo e qualche sfioratina non fosse sbocciato nulla di che, risultando così avventato; ebbene, se tutto è avvenuto tanto in fretta c'è un preciso motivo, ovvero il Disturbo Istrionico Di Personalità di Frank, che lo porta ad agire compulsivamente, ( Se non avete idea di cosa io stia parlando, vi consiglio di dare uno sguardo su Wikipedia, così avrete le idee più chiare ;) ) al quale, col passare del tempo si aggiungerranno nuovi disturbi che lo porteranno a compiere azioni improbabili, i quali verranno elencati nei seguenti capitoli. Così, la storia sta prendendo una nuova piega e, vi aspetto ansiosamente tra le recensioni per sapere che ve ne pare! Chiedo perdono per gli eventuali errori.-

A presto,
Danny x <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quindici giorni trascorsero d'allora.
Quindici giorni nei quali mi rifiutai di parlare; quindici giorni in cui nessuno venne a trovarmi.
Avvennero innumerevoli cose in quei quindici giorni.
Dal momento in cui due giorni prima morì un ragazzo per abuso di farmaci, mi rifiutai di ingerire qualsiasi pasticca mi venisse presentata nel piatto e, dal momento in cui mi obbligavano di ingerirle contro la mia volontà, puntualmente finendo per esser preso dai capelli e schiaffeggiato finché non aprissi la bocca, cominciai a rifiutarmi di mangiare, in modo che a stomaco vuoto non avrei potuto far uso di alcun farmaco e, non avendo abbastanza energie per tenermi in piedi dopo una settimana di folle digiuno, non mi alzavo più nemmeno dal letto.
..E affondavo la testa nel cuscino nella speranza che ciò avesse potuto aiutare a zittire quelle malefiche voci che vivevano nella mia testa, nella speranza di non vedere i demoni che, come fossero acari, si infiltravano tra i tessuti del cuscino, insediandosi lentamente nei tuoi pori della pelle.
Alzai la testa, prendo aria. Stremato diedi un occhiata in torno, fu solo allora che ricordai ciò che mi aveva raccomandato la psicologa, o meglio, la capa degli scienziati, prima di lasciare la stanza, esasperata dalla mia non-collaborazione.
Gerard mi aveva detto di non lasciar mai che il mondo prendesse il mio cuore e così avevo intenzione di fare. Non mi avrebbero mai preso vivo, perciò non avrei mai collaborato, a costo di perdere la mia stessa vita.
Disse che scrivere in un diario, che poi le avrei presentato ogni fine settimana, mi sarebbe stato d'aiuto e mi avrebbe aiutato a sfogarmi; ebbene in quella settimana persi il conto degli attacchi di panico che mi assalirono a causa dei raccapriccianti incubi che si facevano presenti ogni notte, mentre, di giorno, le scene dell'uomo a torturarmi non facevano che assalirmi in continuazione.
Mi stavo lentamente autodistruggendo, mi dissero.
Afferrai allora il diario dalla copertina in cuoio, afferrando poi la penna precedentemente imbottita di ovatta, dal momento in cui temevano potessi far qualche pazzia, cimentandomi a scrivere.

"Giorno 1,
mi sento affamato" fu tutto ciò che fui in grado di scrivere, prima di gettarmi nuovamente a peso morto sul letto, riflettendo sulla mia vita, venendo poi interrotto da un conato di vomito.


"Giorno 2,
I dottori dicono che il mio comportamento diventi ogni giorno più folle, continuo a non capire il perché. Hanno tentato di farmi mangiare ma non ne sono stati capaci, non sono stati nemmeno capaci di farmi alzare dal letto.
Ah, il letto, l'ho bagnato nuovamente e ho il pigiama sporco di vomito. Non riesco più a controllarmi e, i dottori dicono che sia una cosa seria, io semplicemente ci rido sopra; rido per la disperazione. Tutto ciò sta diventando sempre più confusionario.
Ho sognato Gerard stanotte, in quel vicolo; non appena mi vide mi trafisse  il cuore con l'archetto; provai esattamente lo stesso dolore che provai il giorno in cui mi rifiutò, dicendo che non mi amava. E' stato orrendo."

"Giorno 3,
Ieri mi son staccato un dente. Era in fondo, tutto solo, mi faceva pena. Non volevo soffrisse come sto facendo io"

"Giorno 5,
non so che fare, i demoni insistano che io mangi qualcosa, esattamente come i dottori. Mi sento estremamente confuso e non riesco a scrivere."

"Giorno 9,
O mangiato un chiodo quattro giorni fa, finendo per essere operato d'urgenza.
I dottori si sono arrabbiati molto, non capisco il perché, infondo erano loro a dirmi di mangiare qualcosa. Dicono ci sia il rischio che abbia danneggiato le mie corde vocali e che non possa essere più in grado di parlare ma, dal momento in cui continuo a rifiutarmi di aprire bocca non ne hanno la certezza.
Dicono io sia esasperante che debba smetterla di piagnucolare; il mio dito sembra appetitoso."


"Giorno 10,
domani ti consegnerò alla dottoressa, mia caro diario dal nome impronunciabile dal momento in cui suonerebbe troppo patetico e spezza-cuore.
L'altro giorno si son presentati i miei genitori, ma mi è stato impedito di vederli. Ho sentito i dottori parlargli attraverso la porta, dicono che io presenti sintomi di bod- bor- Borderline, o qualcosa del genere e, che io stia sfiorando la schizofrenia.
Mi hanno detto la notte scorsa per calmarmi "conta le pecore"; come possano prendere che io lo faccia se nella stanza ci sono solo dei fottuti mattoni e del muschio sgocciolante? Poi sono io quello malato!"


"Giorno 24,
Sono stato assalito da un ragazzo nell'infermeria.
Mi avevano portato li perché una notte svenni, dal momento in cui non mangiavo da.. 39 giorni.
Dicono io abbia rischiato di morire; è quasi passato un mese dal momento in cui i miei genitori mi hanno abbandonato qui.
Ma torniamo a ciò che stavo dicendo, quel tizio mi è venuto addosso, mi ha morso uno zigomo e rotto una mano. Dicono che sia schizofrenico e che se continuo a rifiutarmi di ingerire le pasticche farò la sua fine ma, ciò non mi dispiace affatto.
Quel tizio non capisce nulla, nemmeno io voglio più capire nulla.
Ho sempre odiato il fatto di capir sempre fin troppo nelle situazioni, come adesso e, capire che starò rinchiuso qui per il resto della vita mi distrugge ancor di più di quanto già lo sia.
Voglio morire e, questa cosa è nota anche ai dottori, dal momento in cui ritenendomi un soggetto estremamente imprevedibile e pericoloso mi hanno messo in isolamento... Come se già in quella sporca stanza non lo fossi. Almeno li c'erano i topi a tenermi compagnia, tra i quali quello a cui staccai la coda con una delle unghie che mi strappai.
In preda alla fame addentai un topo un giorno, finendo per strozzarmi con un ossicino mentre il sangue mi invadeva i polmoni. Danneggiai nuovamente la mia gola, adesso estremamente delicata, finendo nuovamente per essere picchiato da quello che si definisce un dottore, da me soprannominato "Satana".
Cristo quant'è brutto. Ha la barba e il volto solcato dalle rughe. Non rughe come quelle di Gerard. Rughe cattive, come quelle dell'uomo dal viso sfregiato.
Ho nuovamente fatto presente ai dottori ciò avvenne ai dottori, la gola estremamente dolente ma, anche quel giorno insistettero che tutto ciò non fosse solo una mia fantasia e che la mia salute mentale e, di conseguenza quella fisica, stava notevolmente peggiorando.
Persi 32 chili in quel mese, adesso avevo il peso di un ragazzino di 13 anni, dicevano, e sfioravo l'anoressia.
Ma ciò poco importava, non avevo nemmeno uno specchio per vedermi.
Gerard diceva che tener conto del tempo non faceva che far sembrare il tutto più seccante. Seguii il suo consiglio ma, ciò non fece altro che accentuare la mia depressione dal momento in cui non avevo nulla da fare."

 

"Giorno 46,
Oggi mi hanno fatto uscire dall'isolamento; mi mancava il mio letto sporco di sangue. Un demone mi confidò che uccisero un ragazzo su quel letto e, che anch'io avrei fatto la sua stessa fine ma, lo ignorai quando la voce del dottor Satana mi disturbò, distogliendomi dai miei pensieri.
Mi porse un pacco regalo, "E' natale" esclamò felice.
Chiesi sul punto di scoppiare a piangere dalla gioia se fosse un violino tutto per me ma, finì per scoppiare a singhiozzare per terra non appena scosse la testa.
Mi obbligò ad aprire il pacco, stuzzicandomi con un piede sul volto terribilmente dolente; Ebbene, sotto consiglio del mio migliore amico avevo trovato un passatempo, ovvero quello di schiantarmi ripetutamente contro i muri; era estremamente divertente.
Il gioco consiste in questo, ti conviene prendere nota, o finirai per dimenticarti e non sai che divertimento ti perdi.
Prendi la rincorsa nudo, schiantandoti contro il muro mentre gli affilati mattoni ricoperti di muschio ti decorano la pelle.
Più lo fai, più ti decori e, decorandoti ti rendi unico e speciale, esattamente come il mio migliore amico. Lo chiamai Benzina, come quella che volevo spargere sul corpo di Gerard, prima di bruciarlo vivo.
Volevo vederlo bruciare; vederlo soffrire esattamente come lui lo aveva fatto con me.
Oh, e la parte più bella del gioco è quando senti il rumore delle ossa spezzarsi e il sangue scorrerti lungo il corpo, mentre lentamente un formicolio ti assale la testa, facendoti rilassare fino a calare in un sonno profondo.
Lo facevo ogni sera per zittire le voci e addormentarmi, ma adesso ho un piede rotto, dal momento in cui son scivolato sul mio pigiama, allora gettato a terra.
Stanotte mi è comparso un ragazzo in sogno, mi disse di chiamarsi Mikey;
era giovane, indossava gli occhiali e stava sanguinando. Mi disse che anche a lui era successa la stessa cosa, prima di venire rapito da un demone.
Scossi la testa, mandandolo via; funzionava sempre ma, adesso non ne avevo più bisogno dal momento in cui, in quel pacco, trovai un collare.
Piansi alla sua vista, ignaro del piacere che ti faceva provare.
Il dottore mi obbligò ad indossarlo, porgendomi un piccolo telecomando, con al centro un unico e grande bottone rosso, come quelli delle bombe.
Mi disse che, ogni volta che mi sentivo confuso, nervoso, o pronto a dare di matto, dovevo premerlo e che ciò avrebbe aiutato a rilassarmi.
Scoprì mandasse una scosse, una forte scossa che ti provocava dolore ma, avevo imparato ad apprezzare il dolore.
Era in un qualche masochistico modo soddisfacente.
Mi ricordava fossi vivo, nonostante finissi subito dopo in lacrime ricordando dov'ero e perché.
Voglio il mio violino, voglio Gerard con me.
Rivoglio indietro la mia vita."


"Giorno 58,
E' successa una cosa orrenda la settimana scorsa.
Quelle immagini sono ritornate e, non avevano intenzione di andare via dai miei occhi e, la scossa non aiutava.
Mi stava poggiando un coltello, squarciandomi il petto mentre mi colpiva ripetutamente il volto con una mazza, precipitandosi sul mio debole corpo.
Mi infilai un dito nell'occhio, trovando conforto mentre, lentamente, quelle immagini scomparivano e, la sensazione che provavo era estremamente piacevole quando il tutto venne interrotto da un urlo.
C'era mia madre sulla porta, il volto adesso coperto dalle sua mani mentre singhiozzava, continuando ad urlare.
I dottori mi corsero in contro, mi dimenai dalla loro presa mentre tentavano di allontanarmi il dito dall'occhio, del quale persi la vista.
Morsi violentemente la mano del dottore, il quale mi sferrò un calcio dritto nello stomaco mentre mi infilavano quella che sembrava una camicia di forza, estremamente stretta.
Dopodiché non ricordo più nulla.
Non ricordo nulla di ciò che è accaduto in questi giorni, tantomeno di ciò che è accaduto in quest'ultimo mese.
Sono in infermeria adesso, quel giorno caddi sul telecomando, premendo il pulsante che mi trasmise un irrefrenabile scarica che mi causò un infarto.
Sono sopravvissuto ad esso ma, i dottori dicono io stia perdendo ulteriori chili.
Un demone mi ha detto Gerard sia morto."


"Giorno 59,
HO PAURA."




- Salve a tutti. Come prima cosa chiedo perdono per gli eventuali errori dal momento in cui devo correre a studiare e non ho tempo per controllare ulteriormente il capitolo, prima di invitarvi, come sempre, a lasciare una recensione per farmi sapere che ve ne pare della piega che la storia stia prendendo e della "nuova vita" di Frank... Perchè pensate abbia paura? ;) -

Spero di poter riaggiornare al più presto,
Danny x

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


"Giorno 1037,
Sette mesi fa mi fu diagnosticato il cancro.
Due anni, 8 mesi e 64 giorni son trascorsi dal giorno in cui venni lasciato qui, 212 giorni dalla prima seduta di Chemio Terapia; fu allora che mi abbandonai ai voleri dei dottori.

Ricominciai a mangiare e a prendere le medicine che mi venivano prescritte, dal momento in cui ero stato freddamente avvisato che, se non l'avrei fatto questa sarebbe stata la volta buona che avrei perso la vita e, non volevo morire; non adesso che Mikey era entrato a far parte della mia vita, rendendola più serena. Non potevo morire, dovevo proteggerlo ma, non dai dottori, come avevo pensato avrei fatto; mi ero fatto un idea sbagliata sul loro conto. Capii solo allora che, se sarei stato buono con loro, loro lo sarebbero stati con me e le giornate sarebbero trascorse al meglio; arrivai a stringere amicizia con la grassa e nera infermiera che passava le pillole per le stanze, aiutandola ogni pomeriggio a distribuirle, nonostante i tizi delle stanze mi facesse una paura tremenda.
Mikey arrivò un anno fa, sembrava così sperduto in quel posto, sapevo come ci sentiva e, intuii all'istante fosse un bravo ragazzo, così mi avvicinai a lui.
Mi stette vicino ad ogni seduta di Chemio e, oggi non gli importa se ho perso i capelli e le unghie, o qualsiasi pelo ricoprisse un tempo il mio corpo; lui mi apprezza per ciò che sono e ciò mi fa sentire estremamente speciale.
Qualche giorno fa fu il mio diciannovesimo compleanno e, dal momento in cui nessuno ha soldi li dentro, mi regalò un bacio a stampo sulle labbra, che valse più di mille parole, un abbraccio o qualsiasi diamante prezioso al mondo.
Mi sorprese la sua azione. Adesso mi aspetta fuori, i dottori ci permettono di uscire, dicono che io ho fatto notevolissimi miglioramenti.
Sono stato operato all'occhio, in un ospedale vicino all'istituto, venni accompagnato da quello che chiamavo il Dottor Satana ma che si rivelò una persona d'oro; Si chiama in realtà Mark, Mark Hoppus, ed era un tizio davvero divertente- se non lo facevi incazzar nero, ripresi leggermente la vista e, con l'aiuto degli occhiali adesso riesco a vedere a malapena- tanto abbastanza per suonare al meglio il violino.
Ebbene in quegli chiesi ogni giorno per un violino, ma mi venne sempre negato dal momento in cui sostenevano fosse solo un capriccio e.. continuavano a non credermi; ma ciò poco importava, adesso c'era lui a tirarmi su di morale e, dal momento in cui non volevo vederlo deluso, mi precipitai in cortile, trovandolo seduto in un angolo, il viso rivolto al cielo.
Sorrise alla mia vista, facendomi segno di prendere poso affianco a lui mentre accarezzava i fragili fili d'erba bagnati di rugiada.
Mi sedetti, prendendo un lungo respiro mentre si gettava tra le mie braccia.
"Frank.. ricordi il discorso dell'altra volta?" sussurrò sforzando un sorriso.
Annuii, scostandogli i capelli dagli occhi.
"Bene, tu ti sei confidato con me e, credo sia giusto che anch'io lo faccia" continuò alzando le spalle e mettendosi seduto.
"Non devi farlo se non ti senti pronto" ammisi, sfiorandoli delicatamente una mano.
Sorrise, "So che posso fidarmi di te"
Annuii semplicemente, preparandomi ad ascoltarlo.
"Tutto successe due anni fa, quando avevo quattordici anni" cominciò, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
"Ero molto ingenuo allora; ingenuo e perdutamente innamorato di un uomo allora 30 anni più grande di me. Tra noi due non ci fu mai nulla oltre qualche abbraccio ma, lo amavo. Non avevo amici a quei tempi finché un giorno non mi si avvicinarono un gruppo di ragazzi del quinto superiore; allora erano i ragazzi più fighi della scuola mentre io ero il classico secchione e, non potei non accettare di uscire con loro- sarebbe stata la buona occasione per essere definitivamente accettato dai miei compagni. Ma capii fin troppo tardi che quella non era un uscita amichevole, tantomeno che sarebbe stato divertente. Venni stuprato quella sera"
Ad ogni suo singhiozzo una parte del mio cuore finiva in pezzi.
"L'unica persona alla quale ebbi il coraggio di confessarlo fu lui; li massacrò per portarmi vendetta ma, fu solo allora che scoprii fosse un pazzo. Soffriva di schizofrenia recidivante, quella sera perse il controllo. Solo uno riuscì a sfuggire alla sua furia, scappando in un altra città; allora, dopo essersi reso conto di ciò che aveva fatto e di ciò che sarebbe avvenuto di conseguenza, lasciò la città, sempre e comunque alla ricerca di quest'uomo; incosciente del fatto che, infondo, era alla ricerca di se stesso, perché lui odiava se stesso e per placare quell'odio cominciò a suonare. Ero con lui il giorno in cui comprò un violino, prima di darmi l'addio definitivo. Mi abbandonò li, quel giorno, scomparendo dalla mia vista. Feci parecchie ricerche sul suo conto, scoprendo avesse svariati precedenti penali; aveva già ucciso in passato- all'età di ventiquattr'anni, nel 1992, sotto l'effetto di droghe massacrò un barbone, credendo fosse un alieno intento a controllargli il pensiero. Fu solo allora che mi resi conto della gravità della situazione e, fu solo allora che mi confidai ai miei genitori che, notando il mio strano comportamento mi portarono in un ospedale psichiatrico di Parigi, nel quale finì per stare malissimo; non mi sentivo al sicuro all'idea che mi trovavo ancora in quella città di matti- così l'anno trascorso, alla vista dei miei notevoli peggioramenti mi portarono qui, dove conobbi te"
Non fui in grado di mettere su alcuna frase sensata mentre, assalito da una strana sensazione lo abbracciavo nuovamente. Tutto ciò non mi appariva affatto nuovo; era come se avessi già sentito quella storia, ma da un pulpito diverso, il quale non riuscivo a ricordare.
Avevo sempre avuto l'impressione che qualcosa ci legasse ma, non pensavo potesse essere un qualcosa di tanto grande dal momento in cui realizzai l'uomo di cui stesse parlando fosse Gerard e che, in quando schizzato mi aveva mentito su tutto, inventandosi quella storia per non farmi allontanare da lui.
In totale stato di shock mi lanciai a terra, colpendomi ripetutamente la faccia nella speranza di mandare via quei pensieri, quell'orrenda sensazione che adesso stava assalendo il mio stomaco; nella speranza che mi svegliassi da quello che speravo fosse solo un orrendo incubo.
Avevo vissuto una bugia.
Ebbi una crisi di panico in quel giorno, quando i dottori, sopresi dal momento in cui tale problema non si presentasse da ormai quasi un anno, dopo avermi somministrato dei calmanti mi sottomisero a quella che annunciarono fosse la mia ultima Chemio.
Ero guarito, avevano detto, mentre il mio cuore si riempiva lentamente di gioia e finì letteralmente per sciogliersi non appena potei vedere nuovamente un enorme sorriso farsi spazio sul volto del ragazzo seduto al mio fianco, mentre mi accarezzava dolcemente la mano, attento a non farmi male i delicatissimi polpastrelli.
Quel pomeriggio finii estremamente velocemente mentre, sfinito da quella seduta, mi dirigevo aggrappato a Mikey verso la sala visite.
Andavano li nonostante fossimo consapevoli che nessuno fosse stato li per noi, mentre Mikey, malinconico stringeva al petto il suo vecchio peluche di stoffa, sedendosi in una sedia e osservando con un alone di tristezza nei suoi occhi i ragazzi felici abbracciare i loro genitori.
Lo abbracciai, sussultando non appena percepii una presenza alle mie spalle. Era il dottore, mi stava indicando un tavolo nel quale notai fossero seduti i miei genitori. Non fui molto felice nel vederli ma, nonostante ciò, trascinai Mikey verso il tavolo; non l'avrei mai lasciato solo, per nessuna ragione al mondo.
Esitante si sedette al tavolo, nascondendo il viso sull'orsacchiotto adesso sul tavolo mentre un espressione di disgusto di faceva largo sul viso di mio padre nel vedermi baciare la sua nuca sudata.
"F-Frank" disse a denti stretti, alzando un sopracciglio mentre li ignoravo, concentrandomi sui capelli di Mikey color miele.
Alzai lo sguardo, sospirò, indicandomi Mikey.
"Oh, lui è Mikey" sospirai, mettendomi in piedi prima di tirare un lungo respiro, alzando il mento con fierezza.
"Lui è il mio ragazzo" affermai, mentre le espressioni disgustate dei miei genitori si trasformavano in pure espressioni di shock.
"Oh" fu tutto ciò che disse mio padre, rivolgendo uno sguardo a Mikey che, adesso, con un occhio mi osservava attentamente, sforzando, in preda all'imbarazzo, un leggero sorriso.
Fu allora che venni trascinato per un braccio da mia madre lontano dal tavolo, mentre Mikey vedendosi solo veniva assalito dal panico.
"Frank, che diavolo ti passa per la testa?!" mi rimproverò a denti stretti, sospirando prima di riaprire bocca.
"Vedi, Frank, io non ho nulla in contrario sul fatto che ti piacciano i ragazzi ma, quel ragazzo è palesemente malato, sai a cosa vai in contro? Qualsiasi cosa tu faccia potrebbe danneggiarlo, danneggiando di conseguenza te, è io non voglio ciò succeda, dal momento in cui sono più sicura entrambi abbiate sofferto eccessivamente"
Scossi la testa, facendo per ribattere quando venni nuovamente interrotto.
"Frank, lo dico per il suo e di conseguenza per il tuo bene, mi è stato detto anche dalla psichiatra che ciò potrebbe essere estremamente dannoso.
Se lo ami lascialo andare" sussurrò, mentre i suoi divenivano lucidi.
La scostai bruscamente, facendomi nuovamente strada verso il tavolo, dove non appena fui seduto, Mikey si gettò tra le mie braccia, piangendo.
Lanciai allora un occhiataccia a mio padre; notai poco prima gli stesse parlando, che diavolo gli aveva detto?
Alla mia occhiataccia scosse la testa, alzando le spalle; sospirai, probabilmente stava cercando solo di farlo sentire meno in imbarazzo ma, Mikey vedeva sempre il marcio dappertutto e, mio padre non era tanto terribile da far del male ad un ragazzo malato, o almeno, così ricordavo.
Mi faceva male il cuore ammetterlo ma, Mikey era ritardato; nonostante tutto era però un ragazzo dalle grandi capacità e il suo ritardo non influiva affatto sulla sua grande personalità. Lo ammiravo.
"Frank, prepara le valigie!" esclamò mio padre entusiasta. Inclinai la testa da un lato, cercando ulteriori spiegazioni mentre Mikey si metteva nuovamente seduto, guardando come spaventato prima me, poi mio padre.
"Domani veniamo a prenderti, Frank. E' tutto finito, i dottori dicono che sei nelle condizioni di riprendere la tua vita normale, ovviamente facendo uso degli psicofarmaci"
Sussultai a quell'affermazione, spostando lo sguardo su mia madre, ignorando per un attimo lo sguardo sconfortato di Mikey; notai fosse commossa.
"Vedi, Frank, ti riserva una bella sorpresa" disse asciugandosi una lacrima.
"Abbiamo consultato la psicologa, domani stesso partirai per Parigi dove prenderai lezioni di violino da un importantissimo musicista, fiero di darti lezioni; è rinominatissimo in tutta Francia e sta lentamente raggiungendo il successo internazionale, solo pochi ragazzo avranno l'onore di prendere lezioni da lui e, tu sarai uno di loro. A casa ti aspetta un violino tutto per te, ti abbiamo scritto in questa scuola, con la quale viaggerai a Parigi per incontrarlo, soggiornando in uno dei più lussuosi albergh-"
"NO" la interruppi, sbattendo violentemente i pugni sul tavolo e guadagnandomi così le attenzioni di tutti i presenti nella sala.
"Perché lo fate adesso? Perché non lo avete fatto prima? State forse cercando di recuperare? Sapete che l'affetto non si compra, vero?! Non era la stessa cosa che mi ripetevi tu, mamma, ogni volta che ti portavo una rosa a Natale?" Sputai acidamente, alzando decisamente troppo il tono della voce.
Annuii, sospirando, mentre mio padre si metteva in piedi.
"Si Frank, e non lo stiamo facendo per 'comprare il tuo affetto', ma perché siamo consapevoli del fatto che tu starai meglio senza di noi e che noi staremo meglio senza di te" sputò acido mio padre, mentre al suono della campanella si dirigeva verso la porta, seguito da mia madre, in lacrime che, prima di chiudersi la porta alle spalle mi lanciò un ultima occhiata, mimando un 'ciao' con la bocca"





- ..Ed ecco il settimo capitolo e, chiedo perdono per gli eventuali errori perchè nemmeno questa volta ho avuto il tempo di ricontrollarlo- la scuola mi sta distruggendo.
Ci tengo tantissimo a sapere che ve ne pare della piega che la storia sta prendendo e dell' ''eclatante'' colpo di scena riguardo la vita passata del nostro Gerard, perciò, come sempre, vi invito a lasciare una recensione. -

Adesso scappo; a presto,
Danny x

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


E preparavo le valigie quella sera, in quell'oscura stanza da me in precedenza tanto odiata, ma che adesso, troppo tardi, cominciavo ad apprezzare.
E mi sedetti sul letto, portando le ginocchia al petto, ripensando a tutti gli avvenimenti accaduti in quel lasso di tempo trascorso in quell'istituto. Volevo realmente lasciare quel posto? Ero realmente pronto a farlo?
E milioni di domande si fecero largo nella mia mente, e divennero ulteriormente confuse non appena udii qualcuno bussare alla porta.
Due secondi e mi ritrovai Mikey in stanza, sembrava allarmato, e ne ebbi la conferma non appena notai stesse piangendo, il suo peluche adesso scagliato in angolo, che succedeva?
E balzai in piedi in cerca di spiegazioni quando si precipitò sul mio petto, mirando alle mie labbra, mentre la vista mi diveniva lentamente offuscata.
Lo scostai bruscamente, finì a terra, aggrappandosi poi dalla mia gamba sinistra; mi cedettero le gambe, adesso anch'io, dopo aver sbattuto violentemente la testa ai piedi del letto, a terra; mi lamentavo, quando il mio respiro venne troncato alla vista di tre uomini.
I loro volti erano scuri, i loro lineamenti sfocati; erano alti, altissimi; ombre nere che adesso tentavano di trascinar via Mikey, che lentamente mollava la presa; persi un battito non appena mollò la mia gamba, fui sollevato non appena fu in grado di aggrapparsi nuovamente al mio braccio e le imponenti figure degli uomini si affievolivano lentamente, ma quasi rischiai l'infarto non appena addentò il mio braccio; e sentivo lentamente i suoi denti affondare nella mia carne, mentre un insopportabile dolore mi paralizzava lentamente; del sangue scorreva sulle sue fine labbra, mentre il suo viso veniva sostituito da quello dei dottori, e le ombre lasciavano la stanza.
Avvenne tutto nel giro di pochi minuti, l'ultima cosa che ricordo fu il viso del Dottor Hoppus che mi sussurrava qualcosa di a me incomprensibile mentre lentamente perdevo i sensi, per poi riprenderli solo la mattina dopo, in una macchina, ovvero fin troppo tardi.
È l'oscuro presentimento di esser stato rapito dagli alieni, che ormai da anni avevo imparato ad ignorare, si impossessò nuovamente della mia mente mentre il panico lo faceva del mio corpo, ma non fui incapace di muovermi, dimenarmi, o meglio ancora, urlare.
Non mi sentivo le gambe, tantomeno le braccia, e avevo tanto, tanto sonno.
Mi sentivo stordito, come se mi avessero appena sedato.
Ma anche quel brutto presentimento sparì alla vista di mio padre alla guida e mia madre al suo fianco che faceva capolino dal sedile; disse qualcosa, ma non le prestai attenzione; fu allora che ripeté.
"Stai bene, Frank?" La sua flebile voce risuonò nell'aria, mentre mio padre agiva sotto l'effetto del nervosismo, finendo puntualmente, non appena aprivo bocca, per tossire violentemente.
Annuii, credo che farlo sia stata la peggiore decisione che io abbia mai potuto prendere, dal momento in cui per un attimo credetti potesse balzarmi il cervello fuori dall'orecchie e un enorme senso di disgusto si fece largo in quel me adesso estremamente pentito; pentito di aver lasciato quell'istituto, pentito del fatto di non aver avuto l'occasione di poter trascinar Mikey con me, o almeno salutarlo dovutamente; pentito dalla coscienza che la mia vita non sarebbe stata più la stessa.
E il resto del viaggio trascorse in silenzio, notai di esser legato ad un seggiolino, come i bambini piccoli e.. notai solo allora di indossare gli stessi vestiti del primo giorno in cui mi presentai li, ovvero l'ultimo giorno in cui vidi Gerard.
E incapace di pensare ulteriormente, osservavo il mondo scorrere fuori dal finestrini, contando gli alberi e gli uccellini che solcavano il cielo.
E una nuova idea si fece largo nella mia mente non appena mi aiutarono a poggiare i piedi a terra, ma sapevo quello non fosse il momento adatto per metterla in atto.
Ed entrammo in casa, mentre mi aiutavano a reggermi in piedi e sussultai non appena delle persone mi si presentarono davanti, urlandomi contro.
C'era chi teneva dei pacchi in mano, chi indossava cappellini, chi suonava, ci faceva festa e chi, come quella vecchia, mi si precipitava addosso, abbracciandomi.
I miei genitori scomparirono dentro una stanza, ero solo, decine di persone che mi assalivano quando in preda al panico urlai, gettandomi a terra e strisciando verso un angolo buio, nella speranza che le ragnatele mi avrebbero in qualche modo potuto proteggermi da quei mostri.
Ricordo che portai le mani ai capelli e urlai più forte che potessi, nella speranza che le mie urla avrebbero in qualche modo potuti allontanarli, e così fu nel momento in cui tutti scapparono via nella stanza dove si trovavano i miei genitori, e smisi d'urlare non appena vidi nuovamente mia madre, che tendendomi una mano mi aiutava a mettermi in piedi; mi cedettero le gambe appena lo feci, mi sentii terribilmente a disagio non appena notai quelle persone spiarmi dalla porta della stanza, mentre mio padre stava dinanzi la porta, facendo come da scudo.
Un brusio s'innalzò nella stanza, udii una bambina piangere mentre mia madre, a testa bassa, dopo un lungo sospiro mi trascinava su per le scale; loro, loro avevano paura di me.
E mi chiuse la porta alle spalle, a chiave, e in quel momento mi sentii definitivamente morire; e in quel momento nulla passava per la mia mente, adesso ancor più debole delle mie gambe, quando, sul punto di addormentarmi, un idea che ritenni ancor più geniale della precedenti si fece largo nella mia mente.
L'indomani stesso sarei partito, nessuno li mi voleva, ero solo e.. questa era l'ultima occasione che avevo per vederlo, e chiarire quei pesanti dubbi che per quei due anni e otto mesi mi avevano letteralmente distrutto.
Così, adesso in preda a quella che poteva sembrare eccitazione, non ci pensai due volte a spalancare la finestra e, come spesso facevo da bambino per scappare dalle grinfie malefiche di mio padre, aggrappandomi dal grande albero al fianco della finestra, scesi lentamente, gioendo non appena toccai terra sano e salvo.
E fu allora che corsi, corsi fino a restar senza fiato e, lo restai ancora di più non appena, dopo dei lunghi minuti di corsa, resi ancor più pesanti dagli sguardi appartenenti dei passanti, mi ritrovai difronte quella casa, i quali fiori adesso erano appassiti, il quale giardino adesso era dominato dalle erbacce.
Avanzai verso il portone adesso ricoperto di muschio, anch'esso ricoperto da quelle erbacce che andai a strappare, scorgendo un foglio che andai a leggere solo mentre bussavo alla porta.
Una volta, due volte, tre volte; alcuna risposta.
Sospirai, abbattuto, concentrandomi sul foglietto che andai a staccare dalla porta, mentre la puntina che lo reggeva sopra finiva a terra, esattamente come lo fecero le mie gambe non appena lessi ciò che c'era scritto.
Si era trasferito, aveva lasciato la casa libera, la porta aperta, in modo che chiunque ne avesse mai avuto bisogno ci si sarebbe potuto in qualche modo rifugiare.
E allora, da perfetto incosciente, scostai la porta, scivolando dentro la casa.
I mobili coperti da un grosso strato di polvere che risaltava all'occhio persino nella più totale oscurità; niente più quadri, niente più oggettini, aveva portato via tutto, insieme ai miei giorni felici; niente più vita, credetti, ma mi dovetti ricredere non appena percepii una presenza alle mie spalle.
Mi voltai, tutto ciò di cui fu certo era che non fosse lui, tutto ciò che feci fu urlare e scappar via a gambe levate, mentre quel qualcuno mi seguiva a passo svelto.
E sbattei la porta alle mie spalle, nella speranza che in qualche modo avesse potuto sbatter contro il viso dell'uomo, uccidendolo; ebbene, tutto ciò che volevo era vedere quelle persone che in qualche modo, nella mia vita mi avevano fatto soffrire, compresi i miei genitori, compreso Gerard.
E quella che avevo non era voglia di uccidere, non era voglia di sangue; era semplicemente voglia di veder provare quelle persone ciò che in svariati modi avevo provato io, in modo così di poter esser capito una volta per tutti.
E mi gettai contro la porta, sbattendoci contro innumerevoli volte, nella speranza potesse in qualche modo sfondarsi.
Venne mia madre ad aprirmi, un espressione terribilmente preoccupata sul suo volto, mi si accapponò la pelle non appena mi aggrappò di forza, per un braccio, questa volta a malo modo; e mi obbligò ad ingoiare una pillola, mentre mio padre mi stringeva dalle spalle, e quasi finii per strozzarmi quando, mentre quell'orrore scivolava lentamente lungo il mio esofago, tentai di urlare; e nuovamente sentivo le mie forze scivolare lentamente via, per poi risvegliarmi, nuovamente, in quella macchina.
Una custodia al mio fianco, che andai a riconoscere all'istante: la custodia di un violino.
E la sfiorai con le dita come se potesse in qualche modo rompresi, come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
E ignorando gli sguardi che andavano dalla sorpresa alla preoccupazione dei miei genitori, mi precitiai su di essa, scorrendo lentamente la cerniera dai 2156 dentini che andai a contare, uno ad uno, prima di alzare, mentre un senso di meraviglia si univa a quel sorriso da ebete che adesso si faceva largo sul mio volto, la parte superiore della custodia; un gemito di puro stupore risuonò nell'aria, dal momento in cui non avevo ne forza di urlare dalla felicità, ne di esprimere in qualche modo quell'enorme senso di felicità che adesso si era impossessato del mio corpo.
E sfiorai la tastiera dello stumento, mentre nel udire quelle corde vibrare un altra volta innumerevoli brividi mi scorrevano lungo la schiena.
Non potetetti trattenermi dall'esultare, finendo per andare a sbattere la testa contro il tetto della fin troppo bassa macchina; e fu allora che portai una mano sulla bocca, mentre incontrollabili lacrime scorrevano lente tanto quanto quelli che decisi all'istante fossero i migliori minuti della mia vita.
E lo afferrai in mano, poggiandolo nell'incavo del mio collo quando venni fermato da mio padre; notai solo allora che la macchina fosse adesso ferma e che i miei genitori fossero adesso scesi da essa.
Mi strappò letteralmente lo strumento dalle mani, gettandolo con noncuranza nella custodia che andò a chiudere, mentre sbuffando forzava quella che era andata ad incastrarsi con un pezzo di stoffa.
Gli scostai le mani, mentre nel vederlo in tale stato mi si contorceva lo stomaco; sapevo fosse infuriato, sapevo avesse potuto, da un momento all'altro, uccidermi nel peggiore dei modi o semplicemente infliggermi dell'ulteriore dolore, non tanto fisico, a quello mi ci ero oramai abituato, ma quello morale.
Così, adesso terribilmente debole e scosso, scendevo dalla macchina, tenendo fra le mani l'unico bagaglio che possedevo: il mio violino.
Quello che per anni avevo desiderato, quello che mi era stato negato, il mio sogno, l'impossibile, LA MIA CHIAVE DELLA FELICITÀ.
E ad ogni aereo che solcava il cielo sulle nostre teste, il mio battito cardiaco accelerava e, credetti potesse fermarsi una volta per tutte non appena, entrati all'aeroporto, mi ritrovai tra centinaia e centinaia di persone che correvano ovunque; persone che, per una debole persona come me, rappresentavano un pericolo; chiunque avrebbe potuto farmi del male li dentro, anche semplicemente andando a sbattermi contro, dal momento in cui ero terribilmente impacciato e, l'incapacità di metter su una frase sensata non aiutava; e dal momento in cui sapevo che almeno una persona che avevo incrociato lungo il cammino avesse desiderato farmi in qualche modo del male, desiderai come mai prima d'allora di veder morire tutti, stringendo gli occhi non appena mio padre mi trascinò di forza dinanzi un gruppo di ragazzi.
Tutti in giacca e cravatta, i capelli messi in piega dalla brillantina, la loro postura tanto corretta, le valigie in cuoio, piene di oggetti preziosi, mentre scambiavano profonde conversazioni con quello che sembrava la nostra guida-maestro momentanea, e poi c'ero io, con ancora addosso i vestiti del giorno precedente, sporchi da quello che poteva sembrar vomito, e mi reggevo in piedi per miracolo, le braccia penzolanti, le vecchie e logore scarpe dai lacci slacciati, i capelli spettinati.
E fu allora che, dopo 2 anni e 8 mesi, potei finalmente il mio riflesso; quasi avevo dimenticato quale fosse il mio aspetto quando, osservando in totale stato di shock quello che sembravo io ingigantito su quel grande finestrone, passavo incredulo una mano sul viso, ignorando i bambini che dall'esterno mi additavano e, di conseguenza, gli sguardi dei loro genitori, soffermandomi sul mio scarno viso; i lineamenti estremamente messi a risalto, una leggera barba sul viso, orrenda; innumerevoli cicatrici, ovunque e.. il mio occhio, ci passai una mano sopra, scioccato; uno strano alone opaco su di esso, la mia pupilla dal colore quasi inesistente; sussultai non appena percepii un peso sulla mia spalla.
Mi voltai pigramente, mio padre.
Si spostò fino al mio viso, lasciandomi quel freddo abbraccio che non ricambiai prima che, scompigliandomi ulteriormente i capelli mi voltasse le spalle, e poi mia madre, ad asciugarsi le lacrime con un fazzoletto.
Impassibile non ricambiai nemmeno il suo abbraccio, ignorando il suo bacio in fronte, cosa che cercai di fare anche con le sue parole.
Sussurrò un qualcosa di incomprensibile, o meglio un qualcosa che mi sforzai di non capire, prima di sussurrare quel gelido addio dopo avermi infilato un contenitore di medicine nella tasca, lasciandomi li, con quegli esseri che mi additavano, che decisi all'istante mi facessero ribrezzo.
La guida si fece avanti, presentandomi a quelli che soprannominai folletti; ecco cosa mi sembravano, folletti; quelli brutti e cattivi, dal marciume in viso; ebbene, a differenza di quei folletti fiabeschi, loro il marciume c'è l'avevano dentro; l'anima sporca, sapevo l'avevano, capivo certe cose, capivo le persone, il Dottor Hoppus mi aveva insegnato a farlo.
Ebbene, nonostante avessi estremamente odiato quel posto, le persone che ci stavano dentro e i dottori, in quel giorno mi mancavano, perchè sapevo che quelle persone che mi ritrovavo davanti fossero peggiori, o meglio, ne avevo la certezza.
E mentre al viaggio prevedeva la guida, che adesso mi badava come fossi un bambino di due anni, trascinandomi con se ovunque, il mio pensiero andava a Mikey; sapevo avesse bisogno di me almeno la metà di quanto io ne avessi di lui, ma sapevo anche che tra noi due le cose non sarebbero mai potute andare.
E dopo che mi fu obbligato di ingerire una nuova pillola, adesso nel sedile dell'aereo, di fianco la guardia, mi abbandonavo ad un profondo sonno, osservando le nuvole all'esterno del finestrino.
E nonostante fossi adesso estremamente stacco, cercai di afferrarne qualcuna con la fantasia, immaginando il loro sapore che decisi fosse di zucchero filato, prima di andare con lo sguardo alla ricerca del castello del famoso gigante ucciso da Jack.
Ma non scorsi nulla di tutto ciò, tantomeno assaporai realmente alcuna nube, ma ciò poco importava dal momento in cui avevo un mio violino e, di conseguenza, la pace interiore.
E mi lasciavo alle spalle, o meglio, ai piedi, tutti quei problemi che per anni mi avevano tormentato, quell'orrenda vita che mi aveva consumato; e dal momento in cui il passato era passato per un buon motivo, pensavo al futuro, questa volta positivamente.
Sapevo le cose sarebbero cambiate radicalmente e, sapevo mi sarei sforzato per far si che andassero al meglio.
Così, adesso sereno, mollavo la resistenza, lasciando si che le mie palpebre coprissero lentamente quegli occhi che, dopo tali orrori, erano
divenuti estremamente deboli,
Amavo la vita, e non volevo perderla- non più. Avevo ancora fin troppe cose da fare, troppe vite sulle quali influire, troppe rivincite da avere, troppi momenti felici da recuperare- recuperare con quella persona che sapevo prima o poi avrei ritrovato e, ciò avvenne- più presto di quanto mai mi sarei immaginato.
L'inizio di una nuova vita o il rammendo di una precedente?
Poco importava, sapevo sarei stato felice; ne avevo il bisogno.

 

- Salve a tutti, sono tornata!
Come prima cosa, chiedo perdono per gli eventuali errori dal momento in cui non ho avuto il tempo di rileggere il capitolo e, soprattutto, chiedo perdono per il ritardo- sto contemporaneamente scrivendo una nuova ff, anch'essa Freard, questa volta ambientata negli anni '40 (Se può interessarvi, ecco il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2843606&i=1 ) e la scuola mi sta distruggendo ;-;
Vi aspetto tra le recensioni, sono molto curiosa di sapere che ve ne pare e, se avete ancora le idee confuse, i vostri dubbi verranno chiariti nei prossimi capitoli, contenenti svariati colpi di scena.. La storia volge al termine, ehehe -

A presto, spero
Danny x

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - EPILOGO ***


"Nonostante la stanchezza girammo Parigi quel giorno; visitammo innumerevoli posti incantevoli tra i quali il Louvre dove, in preda alla curiosità, andai a toccare una statua, finendo quasi per essere arrestato.
E adesso mi trovavo li, seduto in fondo quell'autobus di fianco quello che mi fu presentato come il mio insegnante di sostegno; e se il giorno prima avessi desiderato in qualche modo morisse, adesso ero più che felice di averlo nei dintorni; quei ragazzi lo temevano, mi si sarebbero tenuti alla larga.. almeno per un po'.
Ebbene i miei presentimenti su quei ragazzi erano stati confermati giusto la sera prima quando, in bagno, trascinandomi dai capelli mi fecero finire dentro una grande vasca, dove aprendo l'acqua mi schizzarono prima di correre per il corridoio urlando che mi fossi fatto la pipì addosso; e sapete cos'è stato ancor più imbarazzante? Il fatto che i professori gli abbiano creduto.
Tutti mi trattavano come se fossi ritardato e, alcune volte mi sorgevano dei dubbi ma, finivano sempre per svanire non appena, cominciando a suonare, notavo di fare un buon lavoro.
Mi furono chieste le mie conoscenze sulla musica quel giorno; l'unica cosa che fui in grado di esporre furono le mie opinioni su di essa, il fatto che sostenessi fosse un qualcosa di magico ma, giudicando dalle loro espressioni, supposi all'istante non condividessero i miei pensieri a riguardo; mi chiesero allora di che tecnica usufruissi dal momento in cui, nonostante non conoscessi le note e tantomeno le figure musicali, fossi in grado di suonare e, fu allora che intimorito ricordai la tecnica insegnatami dall'uomo.
Fu allora che le loro espressioni divennero ulteriormente stupefatte, ma questa volta positivamente.
Mi chiesero se già conoscessi il mio insegnante; scossi la testa, confuso.
Mi spiegarono fosse un uomo che dava lezioni ai ragazzi con problemi, in modo da aiutarli, tramite la musica, a relazionarsi positivamente con il mondo.
Fui mortificato dal sapere che, secondo loro, avessi ancora problemi e fui letteralmente devastato non appena ricordai tutte le volte che venni isolato, trattato come un bambino; come se non fossi in grado di affrontare le cose come il resto dei ragazzi, e mi sentivo così.. diverso.
Sospirai, alzandomi dal sedile e dirigendomi pigramente verso la porta adesso spalancata del pullman finalmente arrivato a destinazione, mentre gli schiamazzi dei ragazzi risuonavano nell'aria e le loro occhiatacce non facevano altro che mettermi a disagio; e per quei minuti che sembrarono anni estasiato restai ad osservare quell'immenso palazzo ottocentesco che sorgeva al mio fronte, dai balconi rotondeggianti e i finestroni contornati da fioriti affreschi quando, notando che il resto del gruppo di fosse allontanato, di corsa mi ritrovai a seguirli, finendo quasi per andare a sbattere contro il gigantesco portone che in quel preciso istante veniva lentamente chiuso da quella che giudicai fosse una guardia.
E se l'esterno fosse mozzafiato, l'interno lo era ancor di più; gli enormi lampadari di cristallo, le innumerevoli statue poste agli angoli, il pavimento a motivi decorato da coloratissimi vasi di panzé, le immense scale: il classico castello da sogno quando, alzando lo sguardo, incredulo mi sentii morire.
Da un lato i ragazzi considerati più svegli con i loro istruttori, a discutere con due anziani uomini che supposi sarebbero stati i loro professori; alle mie spalle quello che oramai era divenuto la mia guardia del corpo e al mio fronte l'ultima persona che in quel momento mi sarei aspettato; la stessa che, per un istante, desiderai sparisse.
Alcuna parola uscii dalla mia bocca, tantomeno dalla sua nel momento in cui, nella speranza che ciò avesse potuto in qualche modo rompere quella gelida tensione che si era venuta a creare, mi porgeva una mano guantata, portando l'altra dietro la schiena.
E nell'udire il mio nome nuovamente pronunciato da quelle labbra che credevo mai avrei rivisto cominciai a tremare, giurando potessero cedermi le gambe da un istante all'altro.
'Sono felice di rivederti!' aggiunse entusiasta, sfoderando un enorme sorriso che mi sciolse definitivamente quel gelido cuore malato mentre, nell'intuire che non avrei reagito ancor per molto ritraeva la mano, lanciando a sua volta un occhiataccia all'istruttore che adesso mi stava letteralmente uccidendo con lo sguardo.
Strinsi gli occhi, abbassando lo sguardo mentre un incomprensibile mugolio lasciava la mia bocca e l'uomo invitava cordialmente l'istruttore di sostegno a raggiungere il resto del gruppo, lasciandoci soli.
"Frank, stai bene?" Sussurrò preoccupato posando le mani sulle mie spalle, scuotendomi non appena si rese conto facessi fatica a respirare.
E tutto ciò che risuonò nell'aria fu il mio ennesimo tentato profondo respiro, stroncato da una sua carezza sulla nuca mentre mi stringeva fra le braccia come se non ci fosse un domani; era forse così? pensai.
E ad ogni carezza un ricordo affiorava in quella mente per mesi annebbiata, il terrore, le liti, i deliri, Mikey.
Sussurrai ansiosamente la prima scuso che mi passo per la mente, cercando di scostarlo; e ansimante ripetei quella frase innumerevoli volti nello scorgere quella confusa e preoccupata espressione che si era andata a impossessare del suo adesso eccessivamente corrucciato viso.
E non appena mi fu ulteriormente vicino, in preda a quello che sembrava terrore, cominciai a tossire violentemente prima che in preda a un attacco di panico finissi a terra, a dimenarmi da quella presa che aumentava notevolmente prima che si spostasse alle mie spalle, sistemandomi in ginocchio.
'Quattro secondi per ispirare, trattienilo sette e rilascialo in otto' sussurrò quella regola da me tanto bene conosciuta mentre, adesso anche lui nel panico, mi alzava il mento, poggiandomi la testa sulla sua spalla.
Feci allora per annuire, cominciando la solita procedura che per un istante mi chiesi come potesse conoscere; mi era stata un tempo insegnata da i dottori che, dal momento in cui calmava il sistema nervoso, mi raccomandarono di farla ogni volta che mi sarei trovato in difficoltà e non avrei avuto a disposizione alcun farmaco, ripetendola tante volte quante ne sentissi il bisogno, ovvero finché non riacquistassi il controllo del corpo.
E mi invitò a ripetere nuovamente l'azione mentre chiudendo gli occhi un estremo senso di sicurezza s'impossessava del mio corpo; e nonostante sapevo non lo fossi, non conoscessi quel posto tantomeno le persone che lo frequentavano, la sua presenza bastava per farmi sentire a casa; e nel vedere fossi nuovamente in grado di agire sotto controllo mollava definitivamente la presa e, non appena la sua presenza si spostò al mio fianco quasi finii per precipitare in quel vuoto venutosi a formare dietro la mia fragile schiena, mentre deciso mi tendeva quella mano che andai ad afferrare saldamente, prima che nuovamente insieme ci dirigessimo verso quelle immense scale dove tutto avrebbe iniziato ad avere un senso.
E in quella stanza dal immenso letto dalle lenzuola blu notte, dove il vecchio violino che andai a riconoscere istantaneamente spiccava luminoso, la mia vita prendeva nuovamente un senso;
E mentre il mio sguardo si perdeva nel meraviglioso panorama sbirciabile dal finestrone, incapace di sostenere lo sguardo dell'adesso anziano uomo, afferravo tra le mani quella cartella che mi era stata precedentemente porta; -Niente giri di parole, non più- ci eravamo promessi, e fu allora che cominciai definitivamente a leggere, scoprendo la realtà dei fatti.
Era una piovosa notte d'inverno quando, in seguito ad una litigata con mio padre, scappai di casa, dirigendomi dall'unica persona che sapevo sarebbe stata felice di avermi tra i piedi per un po'.
E in quella notte, qualcosa avvenne nella mia mente; quella piccola parte malsana che mi portavo dentro sin dalla mia prematura nascita si espanse, e quella schizofrenia che per anni i miei genitori si erano rifiutati d'affrontare prese definitivamente il sopravvento; delirai per l'intera nottata, un incubo, una visione, l'inizio di una realtà distorta che mi spinse a scappare, credente che nell'uomo ci fosse il marcio, ignaro che, in realtà, l'unica anima marcia presente in quell'isolato fosse quella in cui, in preda al delirio, andai ad imbattermi, accettando il passaggio che mi fu offerto.
Uno stupro, un incidente stradale nel quale quella bestia perse la vita, e io persi definitivamente la testa.
Una nuova realtà nella quale il mio subconscio si presentò sotto forma di eccessivamente realistiche visioni raccapriccianti; mi autodistrussi mentre, accecato da quella falsa realtà, ogni giorno i miei genitori e Gerard si recavano all'ospedale, perché infondo gli stavo a cuore; e la mia mente era malata abbastanza per percepire cose che nessuno fosse in grado di vedere, come Mikey; e nonostante non ne avessimo mai parlato a riguardo, ero già a conoscenza della sua storia, sapevo chi fosse, esattamente come sapevo chi fosse il fratello, Gerard. E conoscevo un milione di cose delle quali nessuno mi aveva mai parlato, e dal momento in cui mi piace spiegare l'inspiegabile e tener vivo l'indimenticabile, voglio credere a ciò che la gente dice: la mia mente è superiore tanto quanto malata e la musica è un qualcosa di magico, tanto quanto lo è quel violino, nel quale è racchiusa l'anima del ragazzo, percepibile ogni volta lo si suona.
Un semplice violino che ha legato tre vite e ne ha salvate altrettante.
'Vite frastagliate' era il titolo del giornale contenuto in quella cartella; vite frastagliate furono quelle che, con l'aiuto della musica e l'immenso supporto della gente, andammo a salvare.
Perché è vero: soffriamo più nella fantasia che nella realtà, e il confine che segna entrambe le cose è appunto la magia della vita. Sopravvivete, come io ho fatto."




- Salve a tutti! Ebbene la storia è definitivamente svolta al termine. Vi invito, se avete dubbi, non avete capito qualcosa della storia o delle semplici curiosità, a lasciare una recensione o a contattarmi su twitter ( sono @sussumella ), sarò più che felice di chiarirvi le idee!
E impaziente di sapere che ve ne pare della storia, vi lascio.
A presto,
- Danny x

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