Did you know? I'm here to stay.

di Black Chandelier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vacanze, notizie inaspettate e gente sgradita. ***
Capitolo 2: *** 2) I'm sorry I have to say it but you look like you're sad, your smile is gone, I've noticed it bad. ***
Capitolo 3: *** Together ***
Capitolo 4: *** Die Bitch! ***
Capitolo 5: *** Please stay until I'm gone. ***
Capitolo 6: *** Giochi divertenti ma tragici. ***
Capitolo 7: *** Tomorrow just holds such better days. ***
Capitolo 8: *** Colpita e affondata. ***



Capitolo 1
*** Vacanze, notizie inaspettate e gente sgradita. ***


Ciao a tutte/i!
Questa è la mia prima Fan Fiction sui blink-182 e finalmente sono riuscita a buttare giù qualche idea ed il risultato è qua sotto. 
Inizialmente la mia mente era un po' un casino, non sapevo bene da dove partire finché un giorno, ascoltando loro ovviamente, mi è venuta questa idea. 
Buona lettura! :3


(p.s per chi se lo chiedesse, ho cambiato nome e in precedenza ero "killallyourfriends", lo dico per chi mi "conosce" per le recensioni, perché non vorrei si creassero casini vari xD) 





 

Did you know? I’m here to stay.
 

 

1)   Vacanze, notizie inaspettate e gente sgradita.
 

 

 
Il sole splendeva a Poway: l’estate era finalmente arrivata.
Le persone organizzavano grigliate, feste e andavano in vacanza, la scuola era terminata e per chi lavorava c’erano le ferie.
Preparare una valigia non era mai stato così facile per me, che di estivo non avevo niente se non una o due canottiere nere, per il resto il mio armadio era composto solo da magliette di gruppi musicali.
Non ero molto amante dell’estate, preferivo l’inverno, le cioccolate calde, la neve e il Natale.
I miei migliori amici, Mark e Tom, mi avevano costretta ad andare in  vacanza con loro e, come rifiutare davanti a due ragazzi che ti ripetono in continuazione, facendo gli occhioni, “Dai, vieni con noi!” portandoti all’esaurimento nervoso?  
La meta estiva era San Diego, che distava mezz’ora da Poway, ma continuare avanti e indietro non era facile per la benzina e tutto il resto.
Avevamo prenotato una stanza in un hotel piuttosto economico vicino alla spiaggia e speravo soltanto di non trovarmi come compagni di stanza dei simpatici ragni, la mia fobia.
“Kay, già ci sono Mark e Tom con il loro..” Mia madre entrò in camera mia, facendomi sobbalzare. “Furgone.” Continuò, facendo una smorfia.
Sorrisi trattenendo a stento una risata, su quel furgone c’erano scritte le peggiori frasi e mia madre sembrava non gradirle.
Quel giorno teneva i capelli neri raccolti in una coda di cavallo e indossava un vestito piuttosto casalingo: era sabato e, di conseguenza, il giorno delle pulizie di casa.
La gente non faceva altro che ripeterci quanto eravamo identiche e io non potevo chiedere di meglio: i capelli neri e lunghi, la  bocca carnosa al punto giusto, e gli occhi grandi e azzurri, li avevo “acquistati” da lei.
Era un dono, visto che non volevo per niente assomigliare a mio padre, dopo quello che ci aveva fatto.
Quando avevo la tenera età di 7 anni, dove si vede tutto il mondo a colori, lasciò me e mia madre da sole e ci soffrimmo molto perché amava un’altra donna e io non volevo più vederlo, anche se il giudice durante il divorzio aveva deciso che dovevo vederlo ogni fine settimana.
Mia madre passò un periodo orribile dopo il divorzio e io la maggior parte delle volte dovevo arrangiarmi da sola, perché lei spesso aveva le crisi di pianto e restava chiusa in camera per due o tre giorni.
“Comunque lo sai che quei due non mi piacciono.”
 Indicò la finestra ma non mi voltai, sapendo a chi si riferiva.
Più volte avevo provato a convincerla del fatto che Mark e Tom non erano dei drogati e cose simili, ma lei non mi credeva.
“Lo sai che non sono drogati né disgraziati o altro.”
Mi avvicinai a lei e la strinsi in un abbraccio sincero, mormorandole un “ti voglio bene”.
“Per qualsiasi cosa puoi chiamarmi, non ti fare problemi, okay?”
Continuai poi, staccandomi da lei e prendendo la valigia che poco prima ero riuscita a chiudere.
“Oh, che sbadata! Mi sono dimenticata di dirti che verrà anche tua cugina Josie con voi!”
La valigia per poco non mi cadde dalle mani.
No, non poteva aver fatto una cosa del genere.
Io odiavo mia cugina: tutta santarellina, le tette rifatte e quegli orrendissimi capelli rossi che si era fatta fare, che odio!
Digrignai i denti, per poi pronunciare un “no” deciso.
“Lo sai che la odio. Non puoi farmi questo!”
Rise e in quel momento mi irritai ancora di più, tanto da buttare la valigia per terra.
“Tanto vi vedevate comunque a scuola, no? Conoscerà Mark e Tom. In più ha finito la scuola e ti terrà d’occhio!”
“Un motivo in più per fare la troia.”
Distolsi lo sguardo da mia madre, guardando la valigia in terra, che stranamente non si era aperta.
“Non rivolgerti così a tua cugina! Verrà con te e basta.”
Alzò la voce e non le risposi, mi limitai a prendere la valigia e ad uscire dalla mia stanza, passandole a fianco e trattenendo la mia rabbia.
Josie era antipatica, odiosa e una volta mi ha urlato davanti a tutti che era colpa mia se mi padre, nonché suo zio, se n’era andato.
Per colpa sua anche io passai un periodo tristissimo e mia madre non sapeva niente di ciò che era successo.
Il mese più bello della mia vita si sarebbe trasformato in un incubo, grazie a lei.
Trascinai la valigia fino alla porta d’ingresso, non degnai di uno sguardo mia madre che era dietro di me e non faceva altro che farfugliare qualcosa.
Spalancai la porta con poca gentilezza e mi trovai davanti i miei migliori amici con un enorme sorriso stampato sul viso che sparì subito dopo che ebbero visto la mia faccia.
“Guai in vista!” Urlò Tom che ricevette una sberla dietro alla testa da Mark.
“Andiamo?” Mi limitai a dire con voce atona, facendo una smorfia.
“Non..” Disse Mark, indicando mia madre dietro di me.
Gli passai la valigia e salutai mia madre controvoglia con un bacio sulla guancia e poi li raggiunsi sul furgone in silenzio.
Non avrei mai immaginato che potesse fare una cosa del genere. Non si fidava di me, evidentemente.
Dopo aver riposto le valigie nel bagagliaio, salii sul furgoncino nei posti  dietro vicino a Mark, mentre Tom guidava.
“Mi spieghi perché questo muso lungo?”
Mark mise un braccio intorno al mio collo e mi strinse a sé, facendomi sorridere.
“Si aggiunge un’altra persona alle nostre vacanze.”
Mormoro rabbuiandomi subito dopo, giocherellando nervosamente con i lembi della mia maglietta a maniche corte.
“Chi?” Esclamano all’unisono i due, Tom aveva già messo in moto e ci stavamo dirigendo verso l’autostrada.
“Josie!”
Urlai improvvisamente, facendo sobbalzare il moro al mio fianco.
Nemmeno loro sapevano ciò che mi aveva fatto e la conoscevano solo per la sua fama da troietta.
Mi voltai verso Mark che aveva un sorrisone dipinto sul volto e sbuffai irritata, guardandolo malissimo.
“Si può sapere che cazzo hai da ridere?” lo spinsi dandogli un pugno sulla spalla, ma lui sembrava non darci tanto importanza.
Mi alterai ancora di più, perché lui e Tom non facevano altro che fare battutine idiote.
“Tom, stasera si festeggia! Yahuu” urlò esaltato.
Il diretto interessato rise e annuì, beccandosi una sberla sul collo dalla sottoscritta.
Incrociai le braccia e mormorai un “vaffanculo” che probabilmente non sentirono neanche, troppo presi dal fantasticare sulle tette di mia cugina.
Dopo cinque minuti di risate i due si calmarono e io nel frattempo presi il mio mp3 e mi infilai le cuffie nelle orecchie, tenendo il volume alto per non sentire altre cazzate.
Quando avevo nominato Josie, Tom aveva subito cambiato strada facendo una curva allucinante per dirigersi a casa di quella sottospecie di ragazza che chiamavo cugina.
Rabbrividii al sol pensiero di passare un mese con lei e mi morsi il labbro nervosamente, canticchiando mentalmente la canzone che stavo ascoltando.
Quando finalmente, dopo 5 minuti, mi stavo più o meno rilassando e avevamo quasi raggiunto la nostra meta, qualcuno mi tolse la cuffia destra dall’orecchio. Mark, chi se no?
“Perché ti dà così fastidio che venga pure lei con noi? Almeno non starai in mezzo a due maschi!” Disse, sfoggiando un sorrisone.
Lo guardai malissimo, possibile che non capiva l’odio che provavo per quella donna spregevole?!
Non risposi e voltai la testa, prendendo la mia cuffia caduta e mentre me la riportavo all’orecchio, la mano di Mark fermò il mio polso.
“Guardami.”
Mi lasciò andare il polso e mi spostò il viso delicatamente, facendo sì che i nostri occhi si incontrassero.
I suoi occhi azzurri erano così ipnotici che mi fecero arrossire.
 Mi sentivo terribilmente in imbarazzo e il mio lato duro si stava letteralmente sciogliendo come un ghiacciolo al sole.
Lui continuò a guardarmi e io ricambiai lo sguardo, arrossendo sempre di più e scoprii che c’era un’altra cosa che mi stava facendo preoccupare parecchio: i miei battiti del cuore erano aumentati.
Di solito si dice che quando succede è perché quella persona ti piace.
Ma non poteva essere possibile: Mark l’avevo sempre visto come un fratello, stessa cosa Tom, anche se a volte ero gelosa delle sue battutine riguardo al fisico di una ragazza, non ci avevo mai pensato.
“Qualsiasi cosa ti abbia fatto, non preoccuparti, okay?” Mormorò, con voce calda e protettiva.
Spostai lo sguardo verso le sue labbra e una voglia di toccarle con le mie stesse labbra mi assalì improvvisamente.
Cosa mi stava succedendo?
“Siamo arrivati!” L’urlo poco maschile e più femminile di Tom mi fece sussultare e mi costrinse a spostarmi da Mark.
“Coglione, che cazzo ti gridi?!” Urlai di risposta io, scendendo controvoglia dal furgone, ancora scossa da quello che era successo pochi secondi prima.
Ero davvero imbarazzata e sconvolta, non poteva farmi questo effetto, era uno dei miei migliori amici.
Nel frattempo Josie era già sulla soglia di casa e con quell’aria da sapientona e da poco di buono, ci raggiunse sorridendo.
Aveva i capelli sciolti che le arrivavano alle spalle, indossava una canottiera bianca che lasciava intravedere tutta la sua scollatura facendo risaltare la sua abbronzatura e i pantaloncini color jeans, essi erano accompagnati da delle Converse anch’esse blu jeans.
Inutile descrivere le facce dei due che avevo a fianco, visto che non era una novità.
Tom aveva la bocca socchiusa e agitava una mano in continuazione, mentre Mark si mordeva il labbro e schiacciava continuamente l’occhiolino.
Irritanti.
Poi c’ero io, che stavo per avere una crisi di nervi perché la ragazza si era avvicinata a me e mi aveva baciato le guance, urlando un: “Cuginetta cara!”
La voglia di tirarle i capelli era tanta ma non volendo mettere nei guai tutti, mia madre compresa, mi trattenni mostrandole un sorriso falso che lei di sicuro non avrebbe nemmeno riconosciuto, troppo presa a mostrarsi ai miei due migliori amici.
“Come sono contenta che tua madre mi abbia invitata!” disse tutta esaltata, saltellando sulle punte.
“Che fortuna.” Risposi io acida, salendo sul furgoncino, fregandomene del fatto che potesse sentirmi.
Risate, risate e risate, in quei cinque minuti d’attesa vi erano solo risatine e frasi perverse.
Sbuffai come sempre, rifugiandomi di nuovo nella musica.
 
Il viaggio fu noioso e stancante.
Il caldo iniziava a farsi sentire e purtroppo quel furgoncino non era dotato di aria condizionata e, di conseguenza, dovevamo accontentarci dei finestrini.
Io ero ancora accanto a Mark e non gli avevo più rivolto parole e lui sembrava non preoccuparsene.
Josie era nel posto davanti, accanto a Tom e come era abituata a fare con gli altri ragazzi lo stuzzicava facendo qualche battutina sconcia.
Non volevo che Tom cadesse in una delle sue trappole perché Josie voleva sicuramente portarselo a letto.
A lui non sarebbe dispiaciuto, comunque.
Dopo quest’ultimo, passò a stuzzicare Mark voltandosi di tanto in tanto distraendolo totalmente dalla lettura del suo fumetto preferito.
Mi stava facendo innervosire e anche parecchio, tanto che ad un certo punto urlai: “Volete stare zitti?!”
La quiete ritornò, anche se sentii Josie sussurrare qualcosa a Tom, ma non mi importava.
Con quel silenzio che durò più o meno dieci minuti, mi appisolai sperando che quello era solo un sogno e che Josie non sarebbe mai venuta con noi.
Tuttavia quel pisolino non durò molto.
Mark mi svegliò con una pacca sul braccio dicendomi che eravamo quasi giunti a destinazione ma Tom doveva andare in bagno e ci eravamo fermati in un autogrill.
Osservai la strada mentre gli altri scendevano: molte auto erano dirette verso San Diego.
“Non scendi?”
La faccia di Tom fece capolino dal finestrino da cui stavo osservando la strada.
“Non ho voglia.” Risposi, evitando il suo sguardo.
Sapeva quando c’era qualcosa che mi turbava.
“Ti devo parlare, scendi.”
Controvoglia lo seguii in silenzio e lo aspettai di fronte ai bagni.
Mark e Josie erano spariti da cinque minuti e sicuramente erano al bar perché quella zona di servizio era piuttosto piccola.
Immaginarmeli insieme mi provocò gelosia.
Me ne stavo appoggiata al muro grigio scrostato in alcuni punti del bagno, quando il mio migliore amico uscì e mi guardò con espressione seria.
“Josie ti turba. Che ti ha fatto?”
“Niente.”
Alzò un sopracciglio e disse: “Lo sai che mi accorgo quando c’è qualcosa che non va.”
“Tom… Quando ero più piccola mi ha fatto passare uno dei periodi più brutti della mia vita. Mio padre se n’era andato da poco e lei davanti ad alcuni compagni di classe mi disse che era colpa mia.”
Strinsi i pugni a quel ricordo e Tom mi passò una mano sulla schiena.
“E’ una vipera! Mi madre non sa niente e si fida così tanto di lei che vuole che mi controlli.”
“Capisco. Ma che t’importa?”
La faceva facile lui. Io la odiavo e non avrei accettato passare la vacanza con lei.
La porta del bar si aprì di colpo, cigolando.
Mark e Josie erano insieme: ridevano, scherzavano e … lui aveva le labbra sporche di qualcosa che sembrava … rossetto. 
Il mio battito cardiaco iniziò ad aumentare. I miei occhi erano sbarrati e non potevo assolutamente credere a quello che i miei occhi mostravano.
“Kay, tutto bene? Dobbiamo andare!”
Di colpo tornai in me ed ero ancora più confusa di prima.
Mi stava forse iniziando a piacere Mark?
Sarebbe stata una vacanza molto lunga. 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** 2) I'm sorry I have to say it but you look like you're sad, your smile is gone, I've noticed it bad. ***


Ciao a tuttiiii! :D
Parto subito dicendo che ringrazio chi ha recensito e ha messo nelle seguite/preferite questa storia, mi  fa piacere che l'inizio sia piaciuto (...) e niente... eccomi qua!
Questo capitolo non mi piace molto, mi scuso in anticipo se trovate i tempi un po' accelerati nelle vicende ma non volevo renderlo noioso, poi io con le descrizioni faccio pena e vi ho risparmiato un po' di schifo... 
Niente, vi auguro una buona lettura! p.s scusate per gli eventuali errori, è tardi e i miei genitori rompono. Ho già controllato questo capitolo ma sono mezza rincoglionita e potrei aver fatto qualche errore, scusatemi ^^



 

Did you know? I'm here to stay.
 



2) I'm sorry I have to say it but you look like you're sad, your smile is gone, I've noticed it bad.
 


 

La brezza marina di San Diego ci scompigliò i capelli una volta scesi dal furgoncino.
La struttura di quel che poteva sembrare un hotel era di fronte a noi e dietro di esso si potevano intravedere la spiaggia ed il mare.
“Ragazzi, l’hotel deve essere questo!”, annunciò Tom sventolando al mini-mappa che teneva in mano, su cui vi era tracciato un cerchio rosso che stava a segnalare la destinazione.
Josie guardò con espressione schifata l’hotel e scosse la testa nervosamente.
“Scusa se non è un hotel dove ci sono camerieri che ti lavano la schiena!”, sputai acida rifilandole un’occhiataccia.
Non doveva lamentarsi se voleva, anzi doveva, purtroppo, stare con noi.
Mark, che era al mio fianco, tossì per evitare un litigio fra donne – anche se sapevo gli sarebbe piaciuto – e aggiunse, confermando la frase di Tom: “E’ questo!”
Dopo aver preso i bagagli e parcheggiato il furgoncino, entrammo in quel che era il nostro hotel.
Sulla porta di vetro principale vi erano appesi dei volantini che non lessi ed avvisi vari.
All’interno una signora anziana e magrolina ci venne incontro, dietro di lei c’era un piccolo bancone in cui vi era un PC piuttosto vecchio e moduli vari.
“Oh, voi dovreste essere i ragazzi di Poway!”
Ci sorrise dolcemente e si presentò: si chiamava Rosalba ed era la proprietaria dell’hotel.
Ci disse che in quell’hotel, nonostante si affacciasse sul mare, vi erano pochi clienti ed era sicura che avrebbero chiuso i battenti al più presto.
Mi fece tenerezza e mi venne voglia di abbracciarla, a differenza di mia cugina che la guardava con espressione scocciata.
A volte mi domandavo se aveva un cuore o se al posto di esso aveva uno strano aggeggio che la faceva funzionare.
Questi erano dei veri misteri della vita.
Gli altri due la ascoltavano interessati, Mark si era pure offerto di darle una mano facendole pubblicità ma lei rifiutò dicendo che nonostante tutto era felice così.
Ci mostrò le camere che erano al pian terreno in un mini-corridoio che profumava di rose, dicendoci che eravamo simpatici e giovani.
La nostra stanza era la numero 5, pregai qualcosa per non avere un letto in più, in modo che Josie se ne doveva  andare al più presto, se non voleva dormire da sola.
Ma le mie preghiere non servirono a nulla.
Quando entrammo nella stanza, che a detta della signora era la più grande, un letto a castello era accanto al muro a sinistra, mentre al centro vi erano due letti separati.
Di fronte ai letti vi erano un armadio con accanto una mini televisione, mentre in fondo alla stanza c’era una portafinestra con un piccolo balcone che si affacciava sul mare ed accanto ad essa vi era una piccola porta che portava in bagno.
Ci lasciò le chiavi e la ringraziammo.
“Oh, finalmente!”
Tom si buttò su uno dei due letti con poca grazia, come era solito fare anche a casa sua.
“Devo farmi una doccia …”, cinguettò Josie tutta sorridente.
“Se vuoi ti aiuto io a farla.”, rispose Mark in modo sensuale facendole l’occhiolino.
Sentivo il sangue ribollirsi nelle vene e mi stavo innervosendo di nuovo.
Dovevo iniziare a controllarmi, altrimenti avrebbero sospettato di qualcosa di non vero!
“Hoppus, calma i bollenti spiriti.”, lo guardai malissimo mentre dissi quella frase, maledicendomi subito dopo.
“Scusa, hai qualche problema?”, ribatté la ragazza guardandomi storto.
“E’ il mio fottuto migliore amico, lo conosco da più tempo di te e non ti permetto di far la troia! A malapena lo conosci e te lo vuoi già scopare, ma non ti fai schifo?!”
Urlai con tutta la forza che avevo in me, quella ragazza mi stava stufando e in qualche modo dovevo vendicarmi per ciò che aveva fatto anni prima.
Forse avrei dovuto raccontarlo a mia madre, in modo che lei non sarebbe venuta con noi.
Tom si alzò dal letto quasi ammazzandosi per fermare Josie che si stava già scagliando contro di me.
Che aveva intenzione di fare?! Picchiarmi?!
La guardai facendo una smorfia e la spintonai quasi facendola cadere, poi aprii la porta e me ne andai.
Di sicuro ciò che avevo fatto mia madre lo avrebbe scoperto al più presto, quella stronzetta doveva pur vendicarsi in qualche modo e potevo dichiarare la mia vacanza finita.
Mi immaginai a casa, da sola, mentre loro erano in vacanza e grugnii qualcosa, beccandomi un’occhiataccia dal nostro vicino di stanza che era uscito in quel momento.
“Scusi, ha qualche problema?!”
Dovevo imparare a stare zitta, ma in quel momento era difficile trattenersi.
“Quanta maleducazione!” Urlò l’anziano guardandomi in continuazione mentre io gli passai davanti per uscire dalla porta posteriore.
Volevo andare in spiaggia e rilassarmi.
L’ultima parte del viaggio era stata piuttosto stancante perché non facevo altro che pensare a cosa avevano combinato quei due al bar.
Mi venne il mal di testa a ripensarci, così decisi di non pensarci più.
Percorsi quei pochi metri che distanziavano la spiaggia dall’hotel ignorando il fatto che non avevo un costume ma indossavo solo dei pantaloncini e una maglietta a maniche corte.
Una volta arrivata in spiaggia, l’odore del mare mi fece sorridere.
La spiaggia di San Diego mi era mancata decisamente tanto, non ci andavo da quando ero piccola nonostante avessi la possibilità di andarci durante il fine settimana.
Corsi verso la riva e mi sedetti per terra, osservando il panorama che si presentava davanti ai miei occhi.
I raggi del sole riflettevano sul mare creando quel senso di luminosità che tanto amavo nelle onde.
I ragazzi, gli adulti ed i più anziani si divertivano in acqua fregandosene totalmente del giudizio degli altri.
Perché, effettivamente, il mare è capace di allontanarti dalla realtà, di farti divertire e di farti dimenticare tutti i problemi.
Mi rilassai totalmente, lasciando che  l’aria mi scompigliasse i capelli, in quel momento nessuno doveva disturbarmi.
Osservavo le onde infrangersi sulle mie gambe e i bambini poco più lontani da me costruire un castello di sabbia aiutati dai loro genitori.
Non avevo ancora sbollito del tutto la rabbia, però.
Il comportamento di Josie mi dava fastidio e non sapevo perché, ma soprattutto non sapevo perché me la prendevo solo con Mark e non con Tom, anche lui con le battutine esagerava.
Forse non volevo che lo facesse star male e lo illudesse.
La conoscevo abbastanza per dire ciò, insomma, tutti a scuola conoscevamo la sua reputazione.
Sospirai e cercai di cancellare dalla mia mente la reazione esagerata che avevo avuto 5 minuti prima, quando ad un certo punto sentii qualcuno urlare il mio nome.
“Kaaaaaaaaaaaaaay!”
Mi alzai di scatto scrollandomi di dosso la sabbia e alzai lo sguardo.
Un ragazzo di media statura, con i capelli biondi corti mi corse incontro sventolando dei foglietti.
Confusa cercai di pensare a chi fosse, ma non mi venne in mente nessuno, finché quest’ultimo non mi cadde davanti, attirando l’attenzione di alcuni ragazzi che si stavano rilassando, o meglio cercavano di rilassarsi.
“Scusa ehm … io, volevo …”
Il ragazzo si rialzò e notai che sulla faccia aveva un po’ di sabbia, quando se ne accorse arrossì.
“Dicevo …” si schiarì la voce e tornò a sventolarmi davanti quei foglietti che cominciavano a darmi fastidio.
Ma cosa voleva?
“Sono Scott Raynor, non so se ti ricordi di me, vengo a scuola con Mark e Tom…”
Ecco chi era! Il ragazzo che spesso vedevo con loro, quando io arrivavo a scuola come sempre in ritardo.
Non ci avevo mai parlato ma mi era sempre sembrato un tipo timido rispetto ai miei migliori amici.
“Ah sì! Mi ricordo di te!” Annuisco velocemente cercando di capire perché ha in mano quei biglietti.
“Stasera organizzo una festa qui vicino, perché sono qui da mio padre e vi ho portato gli inviti, sapendo che venivate qui…”
Le feste non erano il mio forte, quando venivo invitata ad una festa solitamente litigavo con qualcuno e finivo per ubriacarmi, per poi svegliarmi con un mal di testa assurdo.
“Oh, va bene..”, mi porse i biglietti e li guardai, notando che c’era un’enorme scritta in rosso che diceva: “Party Raynor.”
Dopo aver parlato del più e del meno, se ne andò dicendo che si era fatto tardi e doveva aiutare suo padre a preparare il materiale per la festa.
Che tipo strano, pensai ridacchiando.
 
 
Il silenzio regnava nella nostra stanza.
Ero rientrata giusto in tempo per farmi una doccia e per avvisarli della festa e, l’unico che si era veramente esaltato era Tom.
Mark non mi aveva nemmeno salutata e aveva accennato un mezzo sorriso – falso – quando ho spiegato di Scott.
Certo, la mia reazione era stata esagerata, ma lui era davvero uno stronzo.
Prima mi prometteva che ci sarebbe stato sempre, mentre in realtà faceva l’offeso perché Josie non gliel’aveva data, a quanto pare.
Quest’ultima non la cagai di striscio, anzi, si era già preparata ed era meglio così.
Decisi di indossare un vestito nero senza spalline che mi arrivava sopra alle ginocchia, accompagnato con dei tacchi semplici, anch’essi neri, che risaltavano ancora di più le mie gambe bianche cadaveriche.
Mi guardai un’ultima volta nello specchio del bagno ed uscii, catturando l’attenzione degli altri che stavano sul letto a guardare la tv.
“Che bomba!” disse Tom ridendo e applaudendo, era sempre il solito.
Arrossii, ringraziandolo.
Insomma, ci tenevo molto a quel vestito, me lo aveva regalato mia madre ed era il regalo più bello che potessi ricevere, insomma, avevo sempre sognato di avere un vestito del genere.
“Beh, voi siete pronti?” Guardai solamente Tom, perché gli altri due sicuramente non mi avrebbero risposto, stronzi com’erano.
“Mh, sì!”
Tom indossava una camicia bianca che risaltava la sua abbronzatura da californiano, mentre Mark indossava la maglia dei Green Day raffigurante la copertina di Kerlpunk, accompagnata dai suoi classici pantaloni larghi da skater.
Presi la mia borsetta contenente tutto il necessario e seguii Tom, fregandomene altamente di ciò che Josie stava sussurrando a Mark.
Cercavo di ignorare le mie sensazioni in quel momento ma allo stesso tempo mi chiedevo perché reagivo così.
Dopo esser usciti dalla nostra stanza avvisammo la proprietaria che per quella sera non mangiavamo in hotel e lei ci disse di stare tranquilli che non c'era problema.
Dovevamo percorrere uno dei viali più famosi di San Diego, dove vi erano i soliti pub/discoteche che rimanevano aperti fino a tardi per arrivare a casa Raynor.
La casa di Scott non era per niente distante, era il nostro silenzio che faceva sembrare il “percorso” piuttosto lento.
Tom faceva battute ma nessuno di noi lo calcolava.
Io ero arrabbiata e odiavo il modo in cui era iniziata la giornata. Ma anche la vacanza.
Mia madre era stata decisamente troppo severa con me e Josie per ripicca mi avrebbe controllato al meglio per riferirle tutto ciò che facevo di sbagliato, rovinandomi così la vacanza.
La conoscevo bene, lei voleva dimostrarsi dolce e simpatica, ma in realtà era stronza e anche tanto.
Ero sicura del fatto che aveva sicuramente apprezzato il fatto che Mark non mi parlasse: d’altronde farmi sentire di merda era il suo divertimento preferito.
Sentivo lo sguardo tagliente di Mark dietro di me e sapevo che era arrabbiato, solo non capivo bene la causa del suo comportamento.
Stava forse difendendo Josie?
La musica pop che ormai andava di moda in quel periodo riportò la mia attenzione su come si sarebbe svolta la serata.
La villa del signor Raynor era illuminata da luci di vario colore e sulla porta di casa vi erano alcuni ragazzini che imploravano il cameriere di farli entrare, nonostante quest’ultimo ripetesse continuamente “No” o “Chiamo il proprietario.”
“Ho proprio bisogno di bere! Finalmente un po’ di divertimento!” Urlò con voce stridula Josie, facendo cenno a quei ragazzini di andarsene.
Loro ovviamente ubbidirono.
Mark la seguì come uno cagnolino affamato e a quanto pare Tom se ne accorse, visto che mi lanciò un’occhiata che capii al volo.
Alzai le spalle in risposta ed entrai stando al suo fianco.
La casa era stracolma di gente, principalmente ragazzi che erano già ubriachi persi e tentavano di sedurre qualche ragazza di cui sicuramente il giorno dopo non avrebbero ricordato il nome.
Cercai di spostare un po’ di gente per raggiungere il banco degli alcolici, la mia parte preferita, pur sapendo che non era una cosa giusta da fare.
Dopo aver preso un po’ di birra, l’unica cosa che era avanzata, mi diressi verso la veranda dove non c’era nessuno e mi sedetti sul dondolo, sorseggiando la mia bevanda.
Mi rilassai totalmente.
Pace.
Sentii qualcuno camminare ma non ci feci troppo caso, mi stavo rilassando.
“Tu non mi scappi.”
Sobbalzai, Tom era di fronte a me e teneva le braccia appoggiate ai fianchi ed aveva un’espressione seria.
“Tom?! Vai a divertirti, non sono in vena di discorsi questa sera…” rispondo cantilenando.
“Sei triste. Il tuo sorriso è scomparso. Sei strana da questa mattina e non capisco perché. Insomma, cosa ti succede?!”
Tom era un genio, capiva tutto al volo.
“Tom, io odio Josie. La odio con tutto il cuore, mi rende e mi ha reso la vita impossibile. Mark non mi parla e questo fa male.. mia madre si è comportata da stronza. Non so più cosa fare.”
“Perché ti preoccupa così tanto Mark? Perché quella reazione?”
Kay 0 – Tom 1.
Colpita e affondata.
“Non lo so.. mi preoccupo del fatto che lei lo voglia solo usare, tutto qui, penso sia normale, no?”
La mia voce tremava ed ero sempre più spaventata dal mio comportamento.
“Sei sicura?”
Mi fissava e mi faceva sentire a disagio. Dove voleva arrivare?
Rimasi in silenzio e abbassai lo sguardo sul bicchiere di carta ormai vuoto.
“Non è che ti piace?”


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Capitolo 3
*** Together ***


Ciaaao! :D
Ecco, finalmente ho aggiornato! Dovevo aggiornare due giorni fa ma ho avuto un po' di problemini e sono in ritardo, damn! *si picchia*
Beh, in questo capitolo vedremo "entrare" Jennifer. Tranquille, non sarà una stronza né tantomeno darà fastidio a qualcuno. Per quello ci pensa già Josie *si sfrega le mani* Eh eh. 
Come al solito ringrazio tutte quelle che hanno recensito il capitolo precedente, non sapete quanto mi faccia piacere ç___ç Anyway, questo capitolo non mi piace molto, però non volevo farvi aspettare a lungo e non volevo cambiare ancora una volta il capitolo .-. Quindi mi scuso in anticipo çWç




 
Did you know? I'm here to stay.
 

 
 
 3)  Together.
 
 

 
I pensieri mi tormentavano e fui costretta ad alzarmi presto e a fare colazione da sola.
D’altronde era meglio così, non volevo altre domande da parte di Tom e non volevo rovinarmi la mattinata sentendo le cazzate che sparava Josie.
Tom la sera prima si era comportato in modo strano, non mi aspettavo per niente una domanda del genere, a cui per altro non sapevo dare una risposta.
No. Mark non poteva, anzi non doveva piacermi.
Era semplice gelosia e preoccupazione, infondo desideravo soltanto che mia cugina la smettesse di stuzzicarlo.
Quando terminai la colazione decisi di andare in spiaggia: sotto alla mia maglietta nera e ai miei pantaloncini indossavo un costume a due pezzi nero, che forse era l’unico decente che avevo.
Le strade erano deserte, raramente si vedevano alcuni ragazzini di ritorno dalla discoteca e qualche adulto che faceva jogging.
Poi c’ero io, che avevo due occhiaie da paura ed ero la confusione in persona.
Alla festa non avevo bevuto nient’altro, stranamente non avevo voglia di ubriacarmi e creare casini, quindi passai tutta la serata seduta a pensare.
Non mi preoccupai neanche di cosa Josie stesse facendo con Mark ma sinceramente preferivo non saperlo, anche se immaginavo qualcosa.
In spiaggia non c’era nessuno e c’era una leggera aria fredda, a differenza del pomeriggio precedente.
Quel giorno però, dovetti stare ancora senza ombrellone, non ero pratica con quelle cose e siccome era una spiaggia libera, io e gli altri ci eravamo portati tutto l’occorrente.
Arrivata a riva, lasciai i miei vestiti lì e osservai il mare, di nuovo, sentendo quella sensazione rilassante.
“Kay! Che ci fai qui?”
Sobbalzai per lo spavento e mi voltai trovandomi di fronte Mark coni suoi occhioni azzurri.
“Non riuscivo a dormire…” risposi semplicemente, notando che anche lui era già in costume.
Ma come mai era già sveglio? In effetti in stanza non c’era, ma nemmeno a fare colazione.
“Ohw, e come mai?”
Non volevo dirglielo, insomma… avevo passato la notte in bianco per una stupida domanda e mi sentivo una bambina.
“Non lo so, sai?”
“Sarà l’aria del mare!” rise e una strana sensazione, quella sensazione, si impadroni di me.
Annuii sorridendo appena, non riuscendo a capire il perché la sua risata mi fece quell’effetto.
“Senti che ne dici di un bagno?” continuò.
“Sei pazzo?! L’acqua è ghiacciata a quest’ora!”  Ribattei io, guardandolo in modo strano.
“Sì, ma noi siamo alternativi.” Disse ridendo di nuovo, poi con una mossa rapida mi prese in braccio e io iniziai a urlare dandogli tante sberle – piuttosto forti – sulla schiena, ma a lui non importava, visto che continuò a correre in acqua fino ad un certo punto, ovvero quando mi lasciò e io mi bagnai tutta.
“SEI UNO STRONZOOOOOOO!”, urlai contro di lui, fregandomene totalmente della poca gente che ci sentiva.
Lui, in risposta, rise come un matto e mi spruzzò ancora dell’acqua addosso, facendomi infreddolire ancora di più.
“Dai, Kay, non prenderti male.. consideralo come il nostro primo bagno insieme!”
“Va bene, va bene … comunque me la pagherai cara, eh Mark!” risi anch’io e poi mi misi accanto a lui, che stava contemplando il panorama.
“San Diego è sempre San Diego, non è vero?” mi chiese, mettendosi le mani sui fianchi.
“Già.. anche se non ci sono stata molte volte, credo che sia una città bellissima.” Giocai con l’acqua e poi osservai il profilo del suo viso.
“Mark … senti …” sospirai, era un momento tranquillo ma prima o poi dovevo chiederglielo.
Forse dovevo starmene zitta, ma la curiosità era tanta e non volevo permettere che mia cugina si comportasse male con lui usandolo come zerbino.
Mi guardò interrogativo e allora, decisi di continuare la mia domanda: “Cos’hai fatto ieri con Josie?”
Alzò un sopracciglio, sembrava quasi che quella domanda gli provocasse fastidio, ma forse erano solo mie pranoie.
“Io la vedo solo come una semplice amica, Kay. So che non la sopporti però non puoi andare avanti così, calmati.”
La difendeva, e quella cosa faceva dannatamente male … però almeno era a conoscenza di ciò che mi aveva fatto, molto probabilmente glielo aveva raccontato Tom, visto che era l’unico a saperlo.
“Mark … è una stronza. Son sicura che starà tramando qualcosa contro di me, è una strega!”
“Non dire così, dai!”
Mi stava salendo il nervoso, volevo andarmene ma rimasi lì come una stupida, perché effettivamente lo ero.
Non lo capivo proprio, prima mi diceva di stare tranquilla e poi la difendeva? Doveva avergli detto qualcosa, per forza.
Rimasi in silenzio ed era meglio così, perché se aprivo bocca non finivo più di riempire di insulti quella sgualdrina.
“Pensa solo alla vacanza, mh?” continuò lui, fissandomi.
Sapeva benissimo che quando rimanevo in silenzio non era un buon segno, soprattutto perché io ero una che parlava tanto, forse troppo.
“No. Non penso alla vacanza, Mark, tu non capisci! Ma vai pure da lei… tanto
“Sbaglio o qualcuno qui è geloso? Da quando sei così gelosa di ciò che faccio io con le ragazze? Prima non eri così!”
Mi aveva colpita a fondo, in quel momento non avevo nessuna difesa.
Era preoccupante anche il fatto che improvvisamente, non volevo che nessuno si avvicinasse a lui.
Ma forse era solo semplice gelosia da amici.
Forse.
“Mark, io non sono gelosa! Io ho solo paura di perderti, okay? Non puoi venirmi a dire di lasciarla perdere quando mi ha fatto passare uno dei periodi più brutti della mia vita, capisci? Non so, non so come farti capire … tutto questo.” alzai leggermente la voce e dopo che me ne resi conto mi sentii in colpa.
“Sai, rimarrai sempre e comunque la mia migliore amica. Josie non è niente per me, è lei che fa di tutto pur di provarci.”
Quelle parole mi rassicurarono, d’altronde si sapeva che lei ci provava con chiunque avesse  a che fare con me, perché in qualche modo doveva farmi soffrire.
Lo abbracciai forte, sussurrandogli nell’orecchio un: “ti voglio bene” sincero, che lo fece sorridere.
Mi sentivo al sicuro fra le sue braccia ed era una sensazione stupenda.
 
 

A metà mattinata Tom e Mark, con l’aiuto mio e di Josie, decisero di portare i lettini e gli ombrelloni in spiaggia, che al rientro in hotel avremmo riposto in una cabina della spiaggia.
Josie si era lamentata tutto il tempo, non faceva altro che lagnarsi per le sue unghie che si sarebbero spezzate, mentre alla fine non era successo niente e ci aveva procurato un mal di testa terribile.
“Oh meno male che ci avete aiutato voi!” disse esaltato Tom, passandosi una mano fra i capelli.
“Sì ma le  mie unghie hanno rischiato di rovinarsi!” cinguettò Josie, continuando a guardarsele.
“Josie, devi capire che delle tue unghie non frega un cazzo a nessuno.” La zittii, di colpo, stendendo il mio salviettine su quello che sarebbe stato il mio lettino.
“Taci bambina, oppure potrei riferire tutto a tua madre. E poi puff! Vacanza sparita!”
Digrignai i denti, quella stronza se le cercava e con la coda dell’occhio notai che Mark e Tom si guardarono preoccupati, sapevano come potevo reagire quando mi provocavano.
“Azzardati a rovinare la vacanza che ho fatto con i miei amici e finisce male. Perché tu non sei la benvenuta, non lo sei mai stata, e ora ti aggrappi a questa cosa che mia madre ti ha invitata, ma abbassa la cresta.”
“Oh, ora che fai, minacci pure? Non ti è bastato rovinare la tua famiglia?”
La schiaffeggiai. Non  so come, ma le diedi uno schiaffo sul viso, che la fece zittire.
Fece un espressione stupita e mi guardò storto, mentre con la mano sinistra si massaggiava la guancia.
La famiglia era una cosa che non mi doveva toccare, soprattutto dopo tutto ciò che avevamo passato io e mia madre.
Non sapeva niente e parlava solo per giudicarmi, per farmi del male, per compiacersi del fatto che era riuscita nella sua missione.
Se ne andò, mentre io rimasi a fissare il nulla per cinque minuti buoni.
Quando mi arrabbiavo difficilmente schiaffeggiavo le persone, anzi, rimasi stupita del mio gesto.
Era ora che capisse con chi aveva a che fare e che insultare non la rendeva più bella, ma più bambina.
“Credo di essermi appena rovinata la vacanza.” Mi stesi sul lettino e sbuffai nervosamente, notando ancora una volta che i miei due migliori amici mi stavano fissando in un modo piuttosto strano, quasi scioccato.
“Cosa pensi sia capace di fare?” Chiese Tom, sedendosi ai piedi del lettino.
“Non lo so, probabilmente si inventerà qualcosa da dire a mia madre. Mia madre, ovviamente le crederà.”
“No, non le permetterai mica di rovinarti la vacanza?! Insomma, non ti abbiamo mai vista così, ma forse è meglio che taccia…” Intervenne Mark, continuando a guardarmi con la stessa espressione precedente.
“E io che pensavo di divertirmi. E’ solo il secondo giorno e ho l’omicidio alto. Bello, bellissimo!”, proclamai ironizzando. “Dai, cambiamo discorso. Tom, è tutto okay? Ieri sera non ti ho più visto…”
Sperai con tutto il cuore che non accennasse niente al semi-discorso che avevamo fatto, anzi, alla domanda che mi aveva fatto.
Io non gli avevo risposto e avevo cambiato discorso in fretta, poi lui decise di andare a salutare Scott e non lo vidi più.
“Sì, è andato alla grande! Non ho neanche bevuto molto!” annunciò, fiero di ciò che aveva fatto.
“Meno male.” Mi tranquillizzai, solitamente si ubriacava e non poco, arrivando a creare qualche casino.
“Ah, a proposito! Ho conosciuto una ragazza.”
Io e Mark ci guardammo confusi, per poi riportare di nuovo lo sguardo su di lui.
“Cioè?” Esclamammo all’unisono, ridendo.
“Si chiama Jennifer Jenkins, è alta, mora, ha due occhi azzurri da sballo.”
Quel nome mi era famigliare, forse quella ragazza frequentava la nostra scuola?
“E sì, frequenta la nostra scuola. Gira sempre con una ragazza bionda, aspetta, come si chiama… Sk…Skye! Skye Everly!” proseguì, sorridendo sornione.
“Ah sì! E’ la tizia bionda che mi sbava dietro!” Urlò Mark, esaltato. Quando si trattava di ragazze, nessuno poteva fermarlo.
“Cosa?! E perché non ne so niente?!” Mi finsi offesa ma non durò a lungo, risi praticamente subito.
“Ragazzi! Basta! E’ una cosa seria … a me piace.”
“Che cosa?!” Guardai Tom stupita, non era un ragazzo serio soprattutto quando si trattava di ragazze, non era un tipo da relazione lunga e duratura.
“Tom, non eri tu quello che  diceva che l’amore fotte?” Gli domandò Mark, dandogli una pacca sulla schiena.
“Sì ma ragazzi … è bellissima, dio.” Sospirò e guardò il cielo, sorridendo subito dopo.
“Qualcuno è innamorato!” Lo abbracciai e poi feci segno a Mark di unirsi, così da fare un mini abbraccio di gruppo.
Noi stavamo bene così, eravamo pochi ma buoni, sapevamo sempre come divertirci e non avevamo problemi a sfogarci l'uno con l'altro.
Certo, potevano esserci dei momenti di alti e bassi e ne eravamo a conoscenza, ma la nostra amicizia era piuttosto solida - cosa di cui andavo fierissima - non si sarebbe mai sgretolata
Avrei fatto di tutto pur di impedire a Josie di rovinarmi l’amicizia e la vacanza.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Die Bitch! ***


Heeey giiirls and boooys!
Salve!
Sono tornata anche io, ahimè, dovete sopportarmi. 
Comunque, il ritorno a scuola mi ha uccisa.
E le idee non finiscono, però sto calma e non scrivo nulla... a parte la song fic che ho pubblicato stamattina su blink, appunto. 
E voi, come state?

p.s. in questo capitolo ci saranno termini volgari, scusate ma era per rendere al meglio la storia. Ah, e il capitolo sembra corto ma è l'editor di efp che accorcia tutto, quindi... non picchiatemi, su Word sono 7 pagine. Buona lettura!


 

 Did you know? I'm here to stay.

 

4) Die Bitch!

 


 

La tranquillità non durò molto.
Il pomeriggio lo passammo insieme fra un gavettone e l’altro, poi conoscemmo meglio Jennifer che reputavo una ragazza simpatica e altruista, si era presentata sia a me che a Mark nonostante ci conoscesse già di vista.
Tom arrossiva ogni volta in cui lei lo guardava o semplicemente gli parlava.
Io li vedevo bene insieme, stranamente lui non faceva il coglione ma rimaneva serio, il che non era una cosa naturale per Tom DeLonge.
Fra una risata e l’altra arrivò l’ora di rientrare in albergo per la cena, eravamo tutti molto affamati, me e Hoppus in particolare.ù
Il problema era che in quel momento Josie era stranamente scesa a mangiare con noi e per poco non mi andò di traverso il boccone che stavo masticando.
Teneva due piattini con verdure miste in mano in quel momento desiderai che gli cadessero su quel vestito provocante che indossava.
“Buon appetito!” Sorrise, la guardai con disgusto mentre sorseggiavo il mio bicchiere d’acqua.
Mark e Tom  risposero, io stetti in silenzio beccandomi una gomitata da quest’ultimo.
“Oh, Kay, mi ha chiamato tua madre prima.”
Quasi mi scappò una bestemmia davanti a tutti, ma  mi trattenni a fatica.
Sicuramente le aveva riferito tutto o si era inventata qualche bugia per peggiorare ancora la situazione, sentivo già la vacanza sgretolarsi mentre giocherellavo con la forchetta.
“Beh? Non vuoi sapere che mi ha detto?” Continuò, mostrandomi un sorrisino falso, ironico, pieno di falsità e menzogne.
“No, in realtà non me ne frega un cazzo di ciò che ti ha detto. E azzardati a dirle qualcosa di falso che ti spacco la faccia, o non ti è bastato il ceffone dell’altro giorno??” Digrignai i denti, ero arrabbiatissima e i miei migliori amici mi guardavano preoccupati.
Stette in silenzio, mi era passata la fame e in realtà mi interessava ciò che si erano dette lei e mia madre, ma non le avrei mai dato quella soddisfazione.
Ad un certo punto, strategicamente, fissai a lungo il bicchiere davanti a me e feci un sorrisino malefico.
Allungai la mano verso di esso e feci finta di giocarci, mentre in realtà puntavo al vestito di mia cugina.
Accadde tutto velocemente, feci cadere il bicchiere e la birra che vi era all’interno finì proprio al centro del vestito di Josie, che immediatamente si mise ad urlare istericamente catturando l’attenzione di tutti i presenti in sala.
Trattenni la risata che stava per uscirmi dalla bocca e sussurrai: “Ops!”, notando la ragazza alzarsi e correre via.
Quando fu abbastanza lontana scoppiai in una grossa risata, che mi provocò il mal di pancia.
“Sei davvero una stronza.”
La frase di Mark mi rimbombò nelle orecchie e mi fermò di colpo, rabbrividii mentre lui si alzò per seguirla.
Ero confusa, arrabbiata, delusa e …
“Che cazzo gli è preso?!?! Se lo meritava quella stronza!”
Mi rincuorava sapere che Tom era d’accordo con me, d’altronde anche lui iniziava a non sopportare Josie, ma mi chiedevo ancora quale fosse il problema di Mark.
Insomma, sapeva ciò che mi aveva fatto e ancora doveva seguire quella falsa sgualdrina.
C’era qualcosa che non andava, sicuramente lei gli aveva riferito qualcosa mentre io stavo facendo la doccia, per ripicca.
 Ero sicura del fatto che lei si fosse inventata una storiella per fargli credere che lei era la pecorella innocente e io il toro incazzato.
No, non si poteva decisamente continuare così.
“Tom, senti, andiamo in spiaggia? Io …” Sentii gli occhi pizzicare, ma mi trattenni, non volevo piangere come una cretina.
“Va bene, Kay. Tanto non ho molta fame, dopo il panino che ho mangiato con Jennifer oggi.”
Ridacchiai vedendolo arrossire e gli scompigliai i capelli, era tenerissimo quando arrossiva ed ero sicura che si era preso una bella cotta per lei.
Scendemmo nella hall e salutammo la proprietaria, che aveva la faccia esausta e stava firmando alcuni moduli.
Dopo essere usciti dall’hotel, come al solito vi era molta gente per strada e c’era della musica, Tom mi guardò e mi sorrise sincero, sapeva che stavo male psicologicamente e ancora non riuscivo a capire quale fosse il problema di Mark.
Era riuscito a farmi sentire colpa di un gesto di cui dovevo andare fiera, e invece rovinava tutto.
Lo odiavo, ero arrabbiatissima con lui e mi stavo immaginando di tutto e di più.
Turbata, guardavo chiunque senza farlo apposta mi sfiorava malissimo, Tom stava in silenzio perché mi voleva far sbollire la rabbia, ma in quel momento era difficile che mi passava.
Stavamo vagando senza una meta specifica, inoltre indossavo una camicia a quadretti con le maniche corte e dei jeans neri accompagnati dalle Converse anch’esse nere, Tom invece indossava una maglietta larga e i soliti pantaloncini da skater.
“Che caldo fa…” si aggiustò il cappellino che come al solito teneva in testa e sospirò, sorridendomi poi.
Istintivamente lo abbracciai e mi sentii protetta fra le sue braccia, nonostante il pensiero precedente mi torturava continuamente.
Mi dispiaceva un po’ per lui, infondo doveva beccarsi le mie lagne.
“Mi dispiace Tom.” Sussurrai, per fortuna eravamo al lato della strada che si affacciava sul mare.
“Non preoccuparti, lo sai che io ci sono sempre.”
“Lo so, ma…” Mi staccai da lui e lo guardai negli occhi, “Ti sto tartassando, sto tartassando tutti, sembro una depressa cronica. Quindi mi dispiace, scusa, non pensavo che la vacanza iniziasse così.” Scossi la testa lentamente.
“Tranquilla. Davvero, io non mi stuferò mai di te. Josie è una stronza, l’altra sera si è pure avvicinata a me, alla festa, notando che Mark non glielo dava. E io l’ho rifiutata, posso essere un coglione ma ci arrivo alle cose.” Mi accarezzò il braccio e mi donò uno dei suoi grandi sorrisi.
Mi sentii un po’ meglio a sentire quelle cose, infondo sapevo che Tom ci teneva a me e non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
“Grazie.” Mormorai, ricambiando il sorriso. “Senti, lasciamo da parte i miei sentimenti da depressa e parliamo un po’ di te?”
Iniziammo di nuovo a passeggiare, non era poi così male passeggiare per strada, c’era un po’ d’aria e, insomma, si respirava.
Il moro annuì e arrossì subito, sapeva già di cosa volevo parlare.
“Beh… che vuoi sapere?”
“Diciamo, ieri mi hai fatto tenerezza. E tu e Jennifer siete perfetti, secondo me anche lei ti trova carino. Insomma, a quanto pare vengono tutti a San Diego in vacanza!”
Rise e mi scompigliò i capelli beccandosi un’occhiataccia dalla sottoscritta.
“Sì, lei ci viene spesso. Beh, che dire di lei? E’ bellissima, i suoi occhi mi fanno innamorare ogni volta.”
Jennifer era davvero una bella ragazza secondo me, i suoi occhioni azzurri facevano un baffo a quella stronza di Josie.
Poi era simpatica e parlava, anche se all’inizio era intimidita dalla nostra presenza poi si è lasciata andare e abbiamo chiacchierato alla grande.
 
 


Dopo dieci minuti di camminata, io e Tom eravamo piuttosto stanchi, così decidemmo di andare in un pub lì vicino dove suonavano musica punk-rock ed era piuttosto carino e accettabile.
Ci eravamo seduti in un tavolino appartato, io quella sera non ero delle condizioni migliori e preferivo che nessuno vedesse le mie occhiaie, così ordinai una birra e Tom anche.
Quando lui chiese alla cameriera delle noccioline scoppiai a ridere e mi disgustò mangiare a quell’ora, infondo erano quasi le 22 e non era una cosa normale.
“Carino questo locale, no?” Ondeggiai appena con la testa stando al ritmo della canzone, c’era un gruppo musicale che suonava su un piccolo palco e non erano male.
“Ce la farò pure io a suonare davanti a delle persone, prima o poi.” Disse, sospirando.
Lui e Mark suonavano rispettivamente la chitarra e il basso, cercavano un batterista con cui fondare una band ma non ne trovavano.
Tom amava la chitarra, quando i suoi gliela regalarono era la persona più felice del mondo e a scuola lo diceva a tutti, me compresa.
Poi quando conobbe Mark – che io già conoscevo – e scoprì che aveva la passione  per il basso, gli si illuminarono gli occhi perché era il suo sogno.
Mentre stavo per rispondere a Tom, la porta del bagno che avevamo di fronte si aprì e uscì chi non volevo vedere per nessuna ragione.
Josie.
Aveva i capelli arruffati, il rossetto era sbiadito e un sorrisino malizioso era stampato sulle sue labbra.
All’inizio pensai che fosse una visione, un mio film mentale… ma fu quando si avvicinò al nostro tavolo compiaciuta che non vidi più nulla dalla rabbia.
Le bestemmiai in faccia, ignoravo le parole di Tom e mi alzai, guardandola in cagnesco.
Il suo sorriso mi irritò ancora di più e mi fece imbestialire, non sapevo da dove iniziare.
“Troia.” Urlai, tanto nessuno ci avrebbe viste o sentite litigare, col casino che c’era.
“Sei solo una puttana.” Continuai, provocandola.
Volevo vedere come reagiva.
“Tuo zio nonché mio padre è un bastardo, come tutti voi ovviamente. Ma tu rimani la prima troia.”
Non ero in me, mi facevo quasi paura ma non l’avrei mai data vinta a lei, a lei e a mio padre che mi stavano distruggendo lentamente la vita.
Quella era la mia vacanza, i miei migliori amici erano miei e non le avrei permesso di rovinarmi.
A quanto pare fu quella frase a far traboccare il vaso, visto che mi spinse e io le risi in faccia, dicendo: “E’ tutto quello che sai fare, puttanella?”
Le sputai in faccia, sembravo una camionista e ne ero consapevole, ma quella ragazza si meritava il peggio.
 Poi la spinsi anche io, facendola cadere e ridacchiai maleficamente, Tom cercava di fermarmi ma io lo scansai e lo guardai male, intorno a noi si era formato un cerchio di persone mezze ubriache che ridevano e ci incitavano a continuare.
La schiaffeggiai in pieno viso, proprio come avevo fatto alla mattina e ne fui felice, fu come sfogarsi contro qualcosa.
La odiavo, la odiavo più di qualsiasi altra cosa.
La cosa che mi fece ridere ancora di più fu quando lei si alzò in piedi, barcollando e aprì la bocca, ma da essa non uscì nessun suono, anzi, scoppiò a piangere come una bambina e corse via, probabilmente fuori dal locale.
“Ma sei impazzita?” Mi urlò Tom nell’orecchio destro, facendomi voltare verso di lui.
“No, se lo meritava. Mi sta portando via il mio migliore amico, quella stronza.”
Sorseggiai la birra e sorrisi al cameriere che ce la portò, che sembrava piuttosto spaventato, ma alla fine non mi importava.
Creeek.
La porta del bagno si aprì.
Uscì un ragazzo dai capelli arruffati e i vestiti stropicciati.
Chiamava il nome di una ragazza.
Josie.
Mi sentivo male psicologicamente e volevo piangere dal dolore che provavo, quella scena era orribile e quel sorriso che era disegnato sulle sue labbra mi stava uccidendo lentamente.
Mark era di fronte al nostro tavolo, Tom lo guardava shockato e io ero … io ero allibita.
“Mark, non dirmi che …”
“Sì, me la sono scopata. Problemi?”
 
 

 

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Capitolo 5
*** Please stay until I'm gone. ***


Buonasera!
Sia dannata la scuola, i compiti, le verifiche e le interrogazioni. Ogni volta che mi mettevo a scrivere mi passava la voglia perché ero troppo stanca. E non avevo idee, però ne buttavo giù sempre qualcuna. 
Però ringraziate i blink, mi sono messa ad ascoltare Not Now e mi è venuta ispirazione. 
Non mi dilungo, buona lettura :3



Did you know? I'm here to stay.

 
5) Please stay until I’m gone.

 
 
La stanza era buia quando aprii gli occhi, avevo un mal di testa lancinante ed ero vestita come la sera precedente, a quanto pare qualcuno mi aveva portato a letto.
L’alcool era una brutta cosa.
“Tom?!” Sussurrai, scoprendo tristemente che non c’era nessuno.
Quando accesi la piccola lampada che c’era sul comodino, vi trovai accanto un piccolo foglietto, che era sicuramente del mio migliore amico.
 
- Hey, buongiorno dormigliona!
Noi siamo scesi a mangiare e poi andiamo in spiaggia, ti aspettiamo lì, guastafeste!
Tom. - 
 
 
Sorrisi e ripiegai il foglietto, alzandomi controvoglia dal letto.
I miei vestiti puzzavano di fumo misto ad alcool e non era decisamente una bella cosa, avevo bisogno di una doccia.
Mi ero ubriacata a causa di Mark, non di certo per le botte che avevo dato a Josie.
Ero arrabbiata e delusa da ciò che aveva fatto, se l’era portata a letto ma sicuramente c’era lo zampino di mia cugina, lui non era un ragazzo che finiva a letto con una ragazza che conosceva a malapena.
Evidentemente lei non aveva ancora capito la lezione, ma sapevo di trovarmi nei guai, lei non si sarebbe mai fatta mettere KO dalla sottoscritta, quindi avrebbe di sicuro chiamato mia madre.
Malvolentieri andai a farmi una doccia, notando che avevo qualche livido sparso sul corpo, probabilmente a causa della rissa che avevo avuto.
“Quella stronza…” Dissi digrignando i denti.
Subito dopo aver fatto la doccia mi guardai allo specchio, ero davvero messa male e purtroppo le occhiaie si vedevano e anche molto.
Non mi sarei truccata, non aveva senso e non volevo fare come Josie che si truccava per andare in spiaggia, come se dovesse andare a fare una sfilata di moda.
Non avevo voglia di fare colazione, così dopo essermi vestita decisi di andare direttamente in spiaggia, pur sapendo di non avere un bell’aspetto.
Sentii ancora il sapore dell’alcool in bocca e provai disgusto, mentre le parole, o meglio la frase di Mark, mi rimbombavano in testa.
 
“Me la sono scopata, problemi?”
 
Non era da lui dire e fare una cosa del genere, non lo era decisamente.
Pensai mentre uscii dalla stanza e salutai con  un sorriso sincero la cameriera, che nel suo camice aveva appeso un cartellino su cui vi era scritto il nome.
Mandai un messaggio a Tom che sicuramente non avrebbe visto e uscii dall’hotel.
Finalmente respiravo.
Ero decisamente stufa di tutti quei litigi, mi sarei goduta l’estate anche se era difficile, dovevo smetterla di pensare a Mark, a Josie e vivere la mia vita, infondo non ne valeva davvero la pena, lui aveva la sua vita e io la mia.
Avevo cercato di fargli capire che tipo di persona era Josie, ma a quanto pare non era servito a nulla, se non a peggiorare la situazione.
Sospirai e mi passai una mano nei lunghi capelli neri, infilandomi le cuffiette nelle orecchie.
La musica per me era come un ancora di salvezza, senza di essa non andavo da nessuna parte e sapeva sempre farmi sfogare, in un certo senso.
Fischiettai la canzone che stavo ascoltando guardandomi intorno, la spiaggia era molto più affollata dei giorni precedenti, ogni giorno arrivava sempre più gente, soprattutto famiglie molto numerose.
Dopo essermi guardate intorno per cercare l’ombrellone, il nostro ombrellone, notai con piacere che seduta sulla sdraio vi era Jennifer che si stava spalmando la crema sulle gambe.
Sorrisi pensando a lei e Tom , chiedendomi dov’era quel coglione e come aveva potuto lasciarla da sola, speravo solo si trattasse di poco tempo.
Corsi verso di lei e le diedi una leggera pacca sulla spalla, richiamando la sua attenzione.
“Jennifer! Ciao!”
Si voltò verso di me e quando mi riconobbe ricambiò il sorriso e mi fece cenno di sedersi accanto a lei, così io annuii e mi tolsi i vestiti, rimanendo in costume da bagno.
“Kay! Stai bene?”
Forse quella era una domanda che non avevo previsto, anche perché non sapevo cosa rispondere.
Sì, sto bene ma il mio migliore amico si è scopato mia cugina.
Sì, sto bene ma ho paura di perdere il mio migliore amico.
No, sono…
“Scusa la domanda eh, ma ieri sera… beh…”
“Jen, ormai lo sanno tutti e no, non mi vergogno.” La interruppi in modo brusco, pentendomi subito dopo del tono che avevo usato.
Non volevo ricordare la sera precedente, volevo solo divertirmi, ma alla fine non era colpa sua e nessuno si meritava la mia antipatia.
“Scusami, io non volevo…” Sbuffai, sedendomi poi al suo fianco.
Mi accarezzò la schiena lentamente e mi sorrise, facendomi capire che era tutto okay.
“E’ che è tutto un casino, Jen. Non so davvero cosa fare, quindi lo chiedo a te anche se non ti conosco molto bene, ma sei donna. Con tutto il rispetto che ho per Tom, lui mi capisce, però…”
La mora mi interruppe con una grossa risata.
“Capisco benissimo Kay! Non preoccuparti, sfogati pure.”
“Grazie” Sorrisi timidamente, “In sintesi ti dico che Josie è mia cugina, in caso non si fosse capito, e non abbiamo mai avuto un bel rapporto. Ci odiamo a vicenda e mia madre, ignara del tutto, l’ha invitata senza il mio permesso in vacanza con noi! Capisci? Con noi!”
Alzai un po’ la voce ma quando mi resi conto che la coppia che avevamo a fianco ci stava fissando, o meglio mi stava fissando, tossicchiai e continuai il mio discorso mantenendo un certa calma.
“Beh, stavo dicendo … che ha iniziato a fare la puttanella con Mark. E lui, quando ha notato il mio cambiamento, mi ha detto di non preoccuparmi. PALLE, ERANO TUTTE PALLE!”
Sentii gli occhi pizzicarmi, ero fuori di me e non mi importava, avevo davvero bisogno di sfogarmi.
Jen mi strinse la mano e mi fece un cenno, spronandomi a continuare.
“E poi è arrivata ieri sera. Non ci ho visto più, le ho messo le mani addosso. Poi è arrivato Mark e … beh .. lui …”
Non riuscivo a parlarne. Ero fottuta e mi sentivo malissimo.
Mi stavo odiando, mi stavo odiando con tutta me stessa per ciò che provavo.
Ero una stupida.
“Lui ha detto che se l’è portata a letto.”
Jennifer annuì lentamente, perplessa e schifata allo stesso momento.
“Wow… sincero il ragazzo. Comunque beh, Josie è … beh, è con loro. Io ti consiglio una cosa, poi fai come vuoi. Prova a fartela amica, non pensarci più per un po’ a loro, goditi la vacanza. Poi vedrai che Mark ti darà attenzione e lei si pentirà. Fidati.”
La guardai storto, io dovevo essere amica sua e vedere quei due comportarsi come due fidanzatini? No grazie!
Non volevo essere scortese e quindi non risposi, limitandomi ad un’alzata di spalle.
“So che sembrerà strano ma … funzionerà.”
“Cioè, quindi io dovrei far finta di niente? Ma Josie? Dopo la cosa di ieri sera mi prenderà per pazza!”
“No, stai tranquilla, dille che è stato un malinteso, ignorala, fai finta che non sia successo nulla ma concentrati su Mark.”
Annuii e iniziai a cercarlo con lo sguardo, avevo un po’ di timore a chiedere a Jennifer dove si trovasse.
Mentre osservai il mare mi feci qualche filmino mentale su me, Mark e Josie amici.
Era una cosa impossibile, io dopo un po’ non avrei più retto il gioco esplodendo in una litigata che batteva sicuramente quella precedente.
Spesso mi capitava di pensare al motivo per cui la mia vita era così complicata. Quando le cose sembravano andare bene, succedeva sempre qualcosa, sempre.
Prima mio padre, poi mia madre che non si fidava di me e infine, Josie e Mark.
Cos’avevo di così sbagliato?
 

 
 
A pranzo non mangiai molto.
Non avevo molta fame e non avevo nemmeno parlato tanto, nonostante fossimo tutti e 4 seduti al tavolo, Josie continuava a lanciare delle occhiatine a Mark che sorrideva come un cretino.
Tom stava sempre in silenzio, probabilmente pensava a Jennifer.
E poi c’ero io, che ogni volta che vedevo il mio migliore amico perso negli occhi di mia cugina, insultavo il pessimo piano di Jen.
Mi congratulai mentalmente con me stessa perché stranamente ero riuscita a tacere e a non alzare le mani.
Al pomeriggio eravamo tutti in spiaggia, Jennifer compresa.
“Vi va un bagno?” Chiese Tom, abbassandosi lentamente gli occhiali.
La sua pelle stava diventando sempre più rossa, si stava bruciacchiando.
Lo guardai di sottecchi e poi gli sorrisi, alzandomi, dovevo godermi la vacanza, non stare tutto il tempo sotto l’ombrellone a deprimermi.
Gli pizzicai un fianco beccandomi uno spintone da parte sua, eravamo pari, più o meno.
“Sei pronta?” Mi chiese, ridendo. “Non pensare a niente. Corriamo verso il mare e tuffiamoci, liberiamoci dai brutti pensieri. Non sembra ma è così.”
“Va bene!” Ridacchiai e fissai il mare limpido, facendo un respiro profondo.
Ero pronta a tutto.
Al tuffo.
A Josie e Mark.
A riprendermi la mia vita.
Corsi, corsi in modo velocissimo con Tom al mio fianco che rideva come uno scemo, sentivo i miei capelli spettinarsi a causa della brezza marina, i piedi bagnati e le gambe anche.
Quando arrivammo ad un buon punto ci tuffammo insieme, schizzando acqua da tutte le parti.
Ero felice, mi stavo davvero godendo quel momento senza pensare a niente.
Poco dopo riemersi, sentendo gli occhi pizzicare a causa dell’acqua salata che avevo pure ingerito e tossii, scoppiando di nuovo in una risata rumorosa.
“Grazie Tom.” Dissi tutto d’un tratto, guardandolo negli occhi.
“Figurati. Goditi la vacanza, non farti mettere i piedi in testa da nessuno, stupidina!” Mi schizzò con l’acqua facendomi rabbrividire.
Stavo meglio. Decisamente meglio.
Dopo pochi minuti, io e Tom stavamo parlando del più del meno, lui mi stava raccontando dei pochi minuti passati con Jennifer alla mattina, si stavano conoscendo e io ero davvero felicissima per loro due.
Lui poteva sembrare una persona a cui dei sentimenti non fregava nulla, ma in realtà non era così, avrebbe fatto di tutto per la ragazza che amava.
Cercai di non mettere in mezzo le mie paranoie, anche lui aveva bisogno di parlare e non esistevo solo io, solo che quando vidi arrivare in acqua Mark e Josie che nuotavano verso di noi, una strana sensazione si impadronì di me, facendomi distrarre dalle parole di Tom.
“Le voglio chiedere di uscir… mi stai ascoltando?”
Ripensai alle parole di Jennifer.
“Prova a fartela amica”
“Non pensarci per un po’”
Non era minimamente possibile. Non poteva esserlo. Non doveva esserlo.
Tom mi stava guardando male e la presunta coppietta era ormai di fianco a noi.
Mark mi fissò a lungo e io feci di tutto pur di evitare il suo sguardo, avevo paura che lui mi dicesse qualcosa riguardo alla sera precedente.
Josie gli stava praticamente appiccicata, sembrava fosse il suo polipo personale, ma cercai di non dare a vedere il mio fastidio sorridendo a Tom, che sembrava parecchio scocciato.
Mimai un “scusa” con le labbra, ma quando lui fece per rispondermi, sentii qualcuno afferrarmi il polso destro.
Mi voltai di scatto non sapendo cosa dire, ma notando che Josie era scocciata.
“Buongiorno anche a te.” Disse Mark, non staccando il suo sguardo dai miei occhi.
Rimasi in silenzio per un attimo ma poi risposi: “Buongiorno, Mark. Dormito bene ieri sera?”
Mi morsi la lingua, dovevo imparare a stare zitta se volevo che le cose andassero bene, ma non sarebbe stata una cosa facile.
Lui arrossì e abbassò lo sguardo, mia cugina stava sicuramente pensando ad un piano per uccidermi, lo percepivo dal suo sguardo truce verso di me.
Tom mi pizzicò un fianco, sentivo che la situazione non stava andando bene come speravo.
“Ehm, uhm… scusami.” Farfugliai, cercando di stare calma.
“Figurati. Comunque ho dormito bene. E tu?”
“Oh sì, anche io!” Ironizzai, indicando le mie occhiaie che erano piuttosto visibili.
“Mh-mh. Che mi racconti?”
Sembrava davvero interessato a me, forse si ricordava di avere una migliore amica, il che non era poi così male, considerando il fatto che la sera precedente avevo fatto a botte con la sua pseudo -ragazza.
“Nulla di che. Senti, io…”
“So cosa vuoi dirmi. So che ti senti in colpa per ciò che è successo ieri sera. Io non c’entro niente ma sappi che ci sarò sempre. E ti voglio bene e… mi manchi.”
Mi abbracciò fortissimo, io me ne stavo lì impalata e fu quando sentii Tom ridacchiare che ricambiai l’abbraccio.
Forse c’era ancora la possibilità di far scomparire Josie.
Ne ebbi conferma quando Mark mi sussurrò, nell’orecchio: “Tua cugina è una vera palla.”
Ed ero felice. Dannatamente felice. 

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Capitolo 6
*** Giochi divertenti ma tragici. ***


Oh, buon salve. 
Se ve lo state chiedendo no, non sono andata in vacanza né tantomeno in letargo, se qualcuno si degna ancora di leggere questa storia (cosa che non credo proprio, but who cares), sappia che ho avuto un mucchio di problemi  e non trovavo mai il tempo per scrivere, anzi, scrivevo ma avrò cambaito mille volte questo capitolo, non mi accontentavo mai.  
Quindi mi scuso e anzi, una bella notizia ve la do, ora che è finita la scuola ho tutto il tempo del mondo e ho già scritto il prossimo capitolo, più o meno, devo aggiungerci delle cose.
Vi giuro che mi dispiace avere abbandonato per questo lungo periodo la fic, al quale tengo molto, anche se non sembra.
Anyway, mi scuso per aver fatto molti "tagli" in questo capitolo, ma non sapevo davvero cosa scrivere! Si accettano consigli per il continuo della storia, obv!
Buona lettura! 



 

Did you know? I'm here to stay.



 

 

6) Giochi divertenti ma tragici. 

 

 
Il pomeriggio come di routine lo passammo in spiaggia, a giocare come dei bambini.

Mark aveva comprato dei palloncini e successivamente li avevamo riempiti d’acqua, per fare i classici gavettoni, con secchi compresi.

Inutile dire che le occhiatacce e le risate da parte di bambini e adulti le avevamo notate e sentite, ma era normale, d’altronde non tutti sapevano divertirsi.

In quel momento Mark ed io eravamo distesi sulla riva del mare, osservavo il cielo ripensando al suo abbraccio e alle sue parole.

Probabilmente non mi accorsi dell’enorme sorriso che si fece spazio sul mio viso, perché quando mi voltai notai che lui mi stava guardando con un sopracciglio alzato, segno che non stava capendo il motivo per cui sorridevo.

“Che c’è?” Gli chiesi curiosa, perdendomi per un momento nei suoi occhi azzurri.

“Nulla, come mai sorridevi?”

“Niente, pensavo a ciò che mi hai detto prima.” Feci un sorriso compiaciuto pensando a mia cugina.

“Ma non hai proprio intenzione di riallacciare i rapporti? Scusa per la domanda di merda.” Mark si grattò la testa timidamente, rendendosi conto della domanda che mi aveva fatto.

“No, Mark. Io non sono una che perdona facilmente e lo sai.  D’altronde quelle cose mi han fatto passare un periodo bruttissimo.” Sospirai mentre una

leggera brezza mi scompigliò i capelli.

Il mio migliore amico rimase in silenzio, annuendo appena.

Mi guardai intorno, notando che Josie era sparita da qualche parte, mentre Tom e Jennifer erano sotto l’ombrellone che chiacchieravano timidamente, lui era troppo strano per essere … Tom.

Non lo avevo mai visto così preso da una ragazza, solitamente preferiva passarci una notte assieme e poi non rivederle più, ma Jennifer aveva fatto proprio breccia nel suo cuore.

Non avevo avuto molti ragazzi nel corso della mia vita: tutti quelli che ci provavano con me o almeno, tentavano, erano decisamente troppo.

Spesso pensavano che io me la facessi con Tom, e molte ragazze me lo avevano detto chiaro e tondo e io rispondevo alzando un sopracciglio e spiegando loro che lui era soltanto il mio migliore amico.

La scuola non mi mancava, sinceramente.

Ogni giorno  qualche ragazza mi fermava per chiedermi informazioni e/o dicerie su Mark oppure su Tom, a volte ricevevo anche messaggi da numeri sconosciuti, e la maggior parte delle volte sembrava lo facessero apposta a chiedermelo quando ero di cattivo umore e, di conseguenza, rispondevo loro in modo sgarbato.

Lasciai Mark a riva da solo per tornare sotto l’ombrellone ad ascoltare della sana musica che non ascoltavo dal viaggio in furgone.

Quando mi stesi sentii intorno a me un silenzio assordante, con la coda dell’occhio vidi i due piccioncini che mi stavano fissando curiosi.

“Beh? Che c’è?” Chiesi loro in modo pacato e curioso allo stesso tempo.

“Niente, Mark sembra un ebete.” Tom lo indicò ridacchiando. “Avete litigato ancora?”

“No. Mi ha solamente chiesto se ho intenzione di riallacciare i rapporti con lei. Potete immaginare la risposta.”

Jennifer rimase in silenzio continuando ad osservarmi, mentre Tom annuì e disse: “Eh, ti credo. Comunque credo che Josie se la stia spassando alla grande.”

Guardai oltre di lui e vidi la ragazza che si stava baciando beatamente con un ragazzo dalla pelle scura e dai lineamenti messicani.

Mi venne una voglia matta di chiamare Mark ed indicargliela, ma non lo feci.

“Oh, bene, vedo che non si è persa niente.” Mormorai tristemente, distogliendo lo sguardo da loro. 

Odiavo vedere le persone che si prendevano gioco delle persone che amavo, era una cosa che non sopportavo e mi faceva molto innervosire, soprattutto se una di quelle persone era mia cugina.

Sbuffai rassegnata, presi il mio mp3 e infilai le cuffie nelle orecchie, pronta ad entrare nel mio mondo.

Rimasi ad osservare il mio migliore amico a distanza, la sua schiena sudata e leggermente abbronzata pareva risplendere in mezzo a tutta quella gente.

Mi venne voglia di correre da lui ed abbracciarlo e chiedergli scusa per tutte le mie sceneggiate da isterica, ma qualcosa mi bloccava.

La paura di disturbarlo.

 

**

 
“Ragazzi, stasera che facciamo?” 

Quando la voce di Tom mi giunse alle orecchie, stavo facendo zapping col telecomando mentre ero stesa sul letto, in cerca di qualche programma televisivo da guardare.

Avevamo deciso di rimanere un po’ in stanza, nessuno di noi aveva voglia di scendere per andare in spiaggia.

“Tutto tranne feste. Non voglio più vedere una festa. Nè pub o robe varie.” Dissi continuando a premere i tasti del telecomando.

“Sei una pigrona del cazzo, non hai mai voglia di far niente tu.” Affermò Mark ridendo, poi prese un cuscino e me lo lanciò addosso.

Lo afferrai al volo prima che potesse arrivarmi in faccia e lo guardai con espressione compiaciuta: “Allora, chi è la pigrona?”

“Non vantarti troppo!” Rispose lui facendo una smorfia e poco dopo ci accorgemmo di Tom che ci stava osservando muovendo la testa a destra e a sinistra come se fosse ad una partita di tennis.

Ridacchiai, poi mi venne in mente che in giro avevo sentito qualcuno parlare di un falò sulla spiaggia, che sarebbe stato fatto quella sera.

“Stasera in spiaggia dovrebbe esserci una festa, dicono che ci sia un falò.” Dissi ad entrambi mentre osservavo la TV che mostrava le immagini del TG serale.

“Ma non avevi detto che non volevi feste o cose varie?” Mi chiese Mark ridacchiando subito dopo.

“Sì, ma non ho voglia di marcire qui come un’ottantenne in pensione, quindi qualcosa dovremmo fare… che ne dite?” Ero sempre stata molto coerente, ma sinceramente non mi andava di passare la serata a guardare film romantici e deprimenti.

I ragazzi annuirono e iniziarono a cercare dei vestiti da indossare: sospirai e mi alzai anche io, pensando che quei due a volte eran peggio di due donne.

Mi feci spazio tra di loro che erano letteralmente appollaiati sull’armadio e li spinsi via ridendo per le loro facce turbate.

“Che c’è? Volete essere gentiluomini? Allora sciò, fatemi prendere un vestito.” Iniziai a frugare velocemente tra i vestiti, quando la mano di Tom mi fermò.

“Io ti direi quello nero senza spalline.” Mi voltai a guardarlo in modo strano, da quando aveva deciso di diventare uno stilista?

“Sì, decisamente.” Concordò Mark.

“Ma che cazzo?! Tom, sei diventato per caso uno stilista? Comunque okay, mi fido.” Lanciai di nuovo un’occhiata ai due e presi il vestito, correndo in bagno subito dopo per indossarlo abbinato probabilmente ad un paio di infradito nere.

Sarebbe stata una lunga serata.
 


**

 
“Che ne dite, facciamo il gioco della bottiglia?” Chiese divertito Tom, lanciando lontano la sua lattina di birra appena terminata. 

Io e gli altri ci guardammo un po’ spaesati, ma alla fine accettammo: ci voleva qualcosa che muovesse la serata.

“Bene.” Tom girò rapidamente la bottiglia, che si fermò puntando a Skye, che a sua volta arrossì, imbarazzata.

Girò di nuovo la bottiglia che si fermò verso Alex, un ragazzo delle parti di San Diego che si era unito a noi quella sera insieme ad altri due suoi amici, Frank e Robert.

Sembravano ragazzi a posto, simpatici e senza troppa puzza sotto al naso.

Skye e Alex si baciarono timidamente e velocemente, poi tornarono ai loro posti in silenzio con le guance arrossate.

Skye era la migliore amica di Jennifer e spesso la incrociavo a scuola, mi sembrava una ragazza abbastanza tranquilla ma i suoi sguardi non mi erano mai piaciuti.

La osservai, sembrava parecchio infastidita da quel bacio dato ad uno sconosciuto e mi venne voglia di dirle che era solamente un gioco, ma tacqui, non volevo rovinarle la serata.

Quando Tom rigirò la bottiglia un brivido mi percosse la schiena: avevo la sensazione che quella fottutissima bottiglia verde si sarebbe fermata proprio verso di me.

Non amavo molto quel gioco, non sapevo mai cosa, anzi chi mi aspettava, e conoscendo il mio migliore amico avrebbe inventato qualche cazzata.

“KAY! HA-HA!” L’urlo di Tom mi fece tornare alla realtà: volevo sprofondare.

“Uhm, okay…” mormorai.

Fu impossibile per me non notare lo sguardo complice che si lanciarono lui e Jennifer.

Avevo paura della persona che sarebbe uscita, insomma, non che baciare i miei amici mi piacesse così tanto!

Girò la bottiglia Jennifer, sembrava che sapesse già la mia sorte/vittima, il che mi fece molto preoccupare.

Mi agitai fissando la bottiglia girare: era così imbarazzante per me, sembravo una bambina durante il suo primo giorno di scuola.

Chiusi gli occhi quando la bottiglia iniziò a rallentare, tutti ridevano mentre a me pareva d’essere in un film horror.

“Mh, no, troppo esagerato.” Pensai tra me e me, infondo era solo un semplice bacio, nulla di più. Per fortuna, aggiungerei.

“MARK!”

Sbarrai gli occhi e fissai il mio migliore amico, sembrava tranquillo mentre io morivo dentro e non sapevo nemmeno il motivo.

Ebbi la tentazione di alzarmi ed andarmene, non volevo che i ragazzi che avevamo appena conosciuto si facessero una brutta impressione su di me.

Ma chi volevo prendere in giro, io non volevo baciare Mark.

Ero fottuta.

“Su, alzate i culi!” Urlò Tom, eccitato.

Mi alzai titubante e, dopo essermi tolta la sabbia di dosso, andai verso Mark, che sembrava sorridere in continuazione.

Per un momento mi parve di sentire la mia testa girare, ma forse era solamente agitazione da bacio.

“Sei sicuro di volerlo fare?” Gli chiesi sottovoce avvicinandomi al suo orecchio, ma purtroppo l’ennesimo urlo di Tom non gli diede il tempo di rispondermi.

“MUOVETEVI! Per punizione ci vorrà anche la lingua.”

Volevo scappare, fingere un dolore intestinale, qualsiasi cosa.

Mi voltai verso gli altri, di cui non ricordavo nemmeno il nome e con dispiacere notai che erano tutti d’accordo.

Merda merda merda merda.

Annuii lievemente con la testa, tenendo lo sguardo rivolto verso i miei piedi ricoperti di sabbia, improvvisamente divennero interessante.

Mark avvicinò il viso al mio e sorrise, con l’indice della mano destra mi alzò il viso per far si che io potessi guardarlo negli occhi.

Mi alzai sulle punte per far incontrare le nostre labbra e socchiusi gli occhi, sentendo le sue labbra incontrare le mie, era qualcosa di strano ma piacevole.

Schiusi le labbra quel poco che bastava per permettere alla sua lingua di incontrarsi con la mia e rabbrividii non appena lo fece: mentalmente mi ripetevo in continuazione che quei brividi non erano per niente normali e ancora mi chiedevo perché stavo beatamente ricambiando quel bacio che sembrava infinito.

Quando finalmente ci staccammo, mi voltai subito e tornai al mio posto, per impedire sia a Mark sia agli altri di veder le mie guance terribilmente arrossate.

Quando il mio cuore smise di battere all’impazzata e mi calmai, alzai lo sguardo e fu impossibile non notare lo sguardo rabbioso di Skye nei miei confronti.

Mi guardava di sottecchi e per un momento mi parve di sentire una valanga di insulti dalla sua bocca.

Scossi la testa e mi passai una mano sul viso, probabilmente l’effetto delle due birre bevute precedentemente mi stava facendo effetto.

Prima che Tom potesse rigirare quella maledetta bottiglia, decisi che dovevo parlare a Jennifer del bacio e di Skye.

“Hey Jen! Mi accompagni a prender da bere?” Le chiesi indicando il capanno di paglia che non distava molto dalla riva.

La ragazza annuì, così ci alzammo a vicenda e ci allontanammo dal gruppo: mi sentivo libera.

“Ti devo chiedere una cosa…” Guardai il mare e poi spostai lo sguardo verso di lei, che mi fece un cenno con la testa, sembrava aver già capito.

“Secondo te è normale che … beh, io abbia sentito dei brividi strani durante quel bacio? A parte l’enorme imbarazzo, ecco.” Tossicchiai ed abbassai di nuovo lo sguardo.

Sogghignò e la guardai infastidita, ero seria, sfortunatamente, e lei lo capì.

“E’ normale, non devi preoccuparti.” Disse tranquillamente, passandosi una mano tra i lunghi capelli castani.

“Normale?! E’ il mio migliore amico, cazzo!” Alzai la voce, disturbando una coppia che stava amoreggiando accanto al bar.

“Sarà stata l’agitazione Kay, non devi preoccuparti, okay?” Mi accarezzò la schiena per tranquillizzarmi.

Non sapevo bene cosa avesse in mente ma quelle parole non mi sembravano per niente sincere, sembrava quasi avesse paura di dirmi la verità.

Lasciai perdere e ripensai allo sguardo di ghiaccio che avevo notato in Skye, decisi di chiederlo a Jennifer per eventuali chiarimenti.

“La tua amica che mi guarda male non aiuta, però.” Ammisi alla fine, sentendo un groppo alla gola.

Avevo appena baciato il mio migliore amico e non sapevo bene perché in me si stava scatenando quel vortice di emozioni che mi rendeva ancor più nervosa di quanto potessi esserlo in quel momento.
Jennifer inoltre, la reputava una cosa normale, il che mi faceva innervosire.

Come poteva reputare normale provare delle emozioni quando il tuo migliore amico ti bacia, e non con un semplice bacio a stampo?

Probabilmente si accorse del mio turbamento, perché quando arrivammo al bar, prima che potessi aprire bocca per ordinare di nuovo due birre, mi chiese se era tutto okay.
Non le risposi e ordinai quelle maledettissime birre, ma lei mi impedì di andarmene da sola e mi afferrò per un braccio.

“Senti, okay, probabilmente non è normale.” Tirai un sospiro di sollievo, anche se la cosa in parte non mi sollevava affatto. “Ci sono passata anche io, quando ancora ero una teenager alle prime armi.”

Nel frattempo le passai la birra, continuando a camminare e ad ascoltare: “E’ successa la stessa cosa, più o meno, per un gioco venimmo costretti a baciarci davanti a tutti e non un bacio da due secondi.” Si guardò intorno, sembrava le facesse male parlare di quel fatto.

“Io da quel momento capii di provare qualcosa per lui. Glielo dissi e si arrabbiò a morte, dicendo che erano solo fantasie.”

Rimasi in silenzio, ma subito dopo un senso di angoscia si impadronì di me: non volevo finire come lei, non volevo fare quella fine.

Maledii mentalmente quel fottutissimo gioco da teenager impazziti ed abbracciai Jennifer quasi istintivamente.


 

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Capitolo 7
*** Tomorrow just holds such better days. ***


*appare in una nuvola di fumo* 
Hi people! Come stanno andando le vacanze? Spero bene!
Eccomi qua con un nuovo capitolo, ispirato in parte alla canzone Adam's Song e alle emozioni che provava Mark quando l'ha scritta.
So, buona lettura, ci si vede sotto per eventuali chiarimenti. 


Did you know? I'm here to stay.

 
7) Tomorrow just holds such better days.
 
 
Quella mattina stavamo facendo colazione tutti insieme e il silenzio regnava sovrano nella mensa dell’hotel.

Sorseggiai il mio cappuccino tenendo lo sguardo rivolto verso il basso, quel silenzio mi innervosiva e mi faceva sentire a disagio.

Sentivo gli occhi di Josie puntati su di me mentre mangiava il suo muffin al cioccolato, il che non mi piaceva per nulla, perché: o sapeva, o tramava qualche maledizione su di me.

“Ieri sera è stato uno spasso, comunque!” Affermò Tom, addentando la brioches. “Vedere le vostre facce è stato bellissimo. Vero?”

Ci fissò tutti e tre con aria preoccupata, io feci finta di niente e continuai a fare ciò che stavo facendo fingendomi tranquilla, non volevo che Mark sospettasse qualcosa.

“Mark?” Chiese, passando una mano davanti ai suoi occhi e scoppiai a ridere, era troppo buffo quando si incantava ed entrava nel suo mondo.

“Mh?  Oh, sì, sì, hai decisamente ragione.” Giocherellò con la carta e sorrise. Io arrossii vistosamente, sembrava davvero felice. “Skye è uno spasso!”

Io e Tom lo fissammo a lungo – più io che lui – mentre Josie scoppiò in una sonora risata: dovevo parlare con lei, anche se non volevo, dava l’impressione di sapere qualcosa.

Quel qualcosa che volevo sapere.

“Uno spasso? Mark, per piacere, ha fatto tutta sera ad arrossire e a fare vocine!” Ribatté lei.

“Tu come lo sai? Nemmeno c’eri.” Non diedi il tempo di rispondere a Mark, ma sembrò parecchio turbato e annuì approvando ciò che avevo appena detto.

“Quando tu sei andata via io c’ero.”

Annuii, ma non ero molto sicura sul fatto che Skye avesse fatto tutta sera ad arrossire: a mio malgrado, dovevo parlarne con Josie.

“Sentite … io e Josie andiamo un attimo, uhm, fuori …” Venni fulminata con lo sguardo da parte sua e con la testa gli feci cenno di seguirmi.

Ci alzammo sotto lo sguardo confuso dei due ragazzi, insomma, li capivo benissimo: stavo per rimanere da sola con mia cugina alias la vipera che
odiavo.

Non avevo per niente intenzione di chiarire con lei, volevo solamente informazioni, visto che lei solitamente era brava a spettegolare.

Dopo esser finalmente uscite dalla mensa, ci fermammo in corridoio anzi, mi obbligò lei chiedendomi ripetutamente cosa volevo.

“Senti Kay, non ti sembra di esagerare? Insomma, tu mi odi e…”

“No, zitta. Ti devo chiedere delle cose e anzi, lasciamo da parte Skye per un momento.” Le risposi decisa, notando il suo sguardo spaventato. “Cosa
pensi di fare? Prima te la spassi con Mark e poi ti fai il primo californiano che capita?”

“Ho capito che Mark non fa per me e lui non sembra così interessato.” Ammise in tono quasi dispiaciuto, notai parecchio vittimismo nella sua voce.

“Oh, povera gioia.” Dissi in tono ironico.

“Senti, cosa vuoi?”

“Sapere ciò che sai su Skye. Tutto.” Risposi in modo convinto portandomi le mani sui fianchi, senza lasciar trapelare alcuna emozione.

“Ieri sera sembrava una frignona del cazzo e allora mi avvicinai a lei con l’intento di chiederle perché non si stava godendo la festa”, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro, concentrandosi sul racconto, “E, una volta chiesto, mi rispose dicendo che tu avevi baciato Mark e ciò l’aveva ferita.”

I sensi di colpa caddero su di me come un enorme masso di pietra, rabbrividii e il mio volto cambiò espressione: l’ultima cosa che volevo era far soffrire per uno stupido gioco una persona che a malapena conoscevo.

“I-Io non … davvero, cioè …” Farfugliai qualcosa cercando di scacciare i brutti pensieri.

“Lo so, ma non preoccuparti. D’altronde non è colpa tua.”

Non riuscivo a credere a ciò che le mie orecchie avevano appena sentito in quel momento: Josie mi stava rassicurando.

Ma d’altronde, cosa potevo aspettarmi da lei? A lei i sensi di colpa non sarebbero venuti nemmeno dopo aver ucciso qualcuno, quindi non diedi molto peso a quella frase, visto che a lei effettivamente non fregava niente.

Non feci in tempo a rispondere che sentimmo la porta della mensa spalancarsi: uscirono un Tom frettoloso e un Mark piuttosto tranquillo, seguiti da altri due anziani signori.

“Ragazze scusate, giù c’è Jen che mi aspetta e … beh, non vi dispiace se vado a farmi un giro con lei?”

Ridacchiammo entrambe alla visione di Tom agitato: quella ragazza lo aveva fatto innamorare sul serio e ciò mi rendeva molto felice.

“Tranquillo, io penso che andrò a fare shopping con Gonzalèz.” Disse felice Josie, alzai un sopracciglio poi annuii, non che mi dispiaceva il fatto che lei non ci fosse.

“Toooom!” Lo guardai facendo gli occhi dolci, “mi concedi un saluto alla tua dolce metà?” Chiesi al mio migliore amico, sorridendo sornione.

“Certo, basta che non me la tieni occupata tutta mattina!”

Ci dirigemmo tutti verso la hall, dove Jen aspettava pazientemente Tom: dovevo scusarmi per la sera precedente, ero stata molto distaccata con lei e l’avevo involontariamente obbligata a raccontarmi un episodio che l’aveva ferita.

La vidi seduta su una delle tante poltroncine bianche che offriva l’hotel, mentre leggeva un volantino e mi fiondai verso di lei urlando il suo nome.

Si voltò di scatto e si alzò, stringendomi in un forte abbraccio che in quel momento serviva.

In quell’esatto momento mi resi conto che dovevo passare l’intera mattinata con Mark e sinceramente, dopo ciò che era successo la sera precedente, non mi andava per niente di stare con lui.

“Jen, devo star sola con Mark.” Sussurrai al suo orecchio destro, preoccupata.

“Tranquilla dai, sii te stessa.” Rispose sempre sussurrando, poi si staccò da me e mi sorrise: ciò mi incoraggiò molto.

Una volta finito di salutarci, Josie, Tom e Jennifer se ne andarono, lasciando me e Mark ad un triste destino.

Sembravamo i due single della situazione e ciò non mi piaceva, non mi andava di passare l’estate vedendo persone intorno a me felicemente fidanzate che mi chiedevano in continuazione il permesso per stare da sole, mi sembrava di essere una baby sitter.

Nel frattempo io e Mark ci incamminammo verso la spiaggia in rigoroso silenzio, quel tipo di silenzio che devi spezzare immediatamente anche dicendo la cosa più insensata del mondo.

Ero curiosa di sapere perché era così strano, perso nei suoi pensieri, speravo non si fosse accorto del mio cambiamento repentino nei suoi confronti.

“Cosa ne pensi di Tom e Jennifer?” gli chiesi improvvisamente, tenendo lo sguardo fisso verso l’orizzonte.

“Oh, posso finalmente affermare la mia teoria!” Disse Mark convinto, dal suo viso non trapelava nessuna emozione.

Lo guardai confusa, non capendo bene il significato di quella frase.

“Intendo dire che le donne ti fottono il cervello.” Ammise più serio di prima, quella frase suonò come un maledetto insulto.

“Cosa vuoi dire?!” Replicai  bruscamente, buttando la mia borsa per terra: eravamo finalmente arrivati al nostro ombrellone.

Mi infastidiva parecchio il suo modo di pensare, sembrava quasi geloso della felicità di Tom e non mi piaceva, per niente.

“Voglio dire che Tom mi ha rotto i coglioni.” Sbuffò, non degnandomi di uno sguardo ma continuando a frugare nella sua tracolla blu, “In vacanza siamo venuti per stare tra noi, per divertirci. E ora guardaci, Kay. Sembriamo due idioti.”

Non aveva tutti i torti, però non accettavo comunque il fatto che desse la colpa a Tom.

“Non esagerare, Mark.” Assunsi un’espressione neutra, “Anche tu avresti fatto la stessa cosa, e poi non si sta dimenticando di noi, insomma, guardalo: sta bene, è felice.” Sospirai, “Se lo merita.”

Mi stesi sul lettino ancora infastidita dalla frase precedentemente detta da Mark ed iniziai a spalmarmi la crema solare lentamente sulle gambe, osservandolo con la coda dell’occhio.

“Possono stare anche con noi, se vogliono, non è necessario isolarsi.” Sbuffò un’altra volta, irritato.

“Mark, per favore…” Smisi di spalmarmi la crema per guardarlo. “Non essere cattivo, vedrai che è solo un momento, Tom non lo farebbe mai.
Figurati, non lo faceva quando stava con Holly.”

Rabbrividii nominando quella sporca persona, e mi meravigliai quando vidi il viso di Mark rilassarsi: ero riuscita a convincerlo.

Mi sarebbe dispiaciuto vederli litigare per una cosa simile, d’altronde erano migliori amici da una vita e non avevo mai visto un’amicizia così solida e duratura.

Sfogai la mia tensione, la mia rabbia e la mia confusione nella musica, chiudendo gli occhi ed entrando in quel mondo che solo lei riusciva a creare.
 
 
 
“Kay?”

Aprii a malapena gli occhi e scorsi due figure che non riuscivo a riconoscere a causa del fatto che fossi ancora in dormi veglia.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile e finalmente misi a fuoco le due persone che avevo davanti: Tom e Jennifer.

Li guardai spaventata e mi alzai di scatto sul lettino, quando improvvisamente risuonarono nella mia testa le parole di Mark.

“E’ tutto okay?” Domandò Tom preoccupato, sedendosi di fianco a me.

“Che ore sono?”

Rivolsi lo sguardo verso i due piccioncini e notai che si erano cambiati rispetto a quando li avevamo salutati in hotel: Jen portava i capelli raccolti in un chignon ed indossava un costume nero che riuscivo ad intravedere attraverso il suo pareo trasparente, mentre Tom invece, indossava una semplice maglietta a righe abbinata ad un costume nero.

I due risposero all’unisono dicendomi che era quasi ora di pranzo, così io ne approfittai per voltarmi con l’intenzione di chiedere a Mark quanto avessi dormito ma del moro non c’era traccia, nemmeno del suo salviettone.

“Avete visto Mark?” Chiesi, innocente.

“No, sarà in hotel …” Disse sospirando Tom, come se sapesse cosa gli passava per la testa.

“Che ne dite, saliamo anche noi?” Propose Jen, mostrandoci un ampio sorriso.

“Ma voi siete appena arrivati!” Esclamai io, guardandoli poi in modo interrogativo.

“Nah, io ho fame e Jen pure.”

Mi alzai e, dopo aver piegato il salviettone, lo infilai nel borsone e cercai le mie ciabatte sparse tra la sabbia sotto le risate dei due.

Dopo averle finalmente trovate, ci avviammo verso l’hotel.

“Senti scusaci se stamattina siamo spariti, non vorrei scatenare litigi, né farvi pensare che sto con voi solo per Tom…” Le parole di Jennifer
rimbombarono nelle mie orecchie e ad un certo punto pensai che avesse il potere magico di leggermi nel pensiero.

Era così difficile far ragionare Mark, quando si fissava su un pensiero, su qualunque cosa, difficilmente riuscivi a fargli cambiare idea.

Non avrei mai pensato che quella vacanza si trasformasse in tristezza e malintesi.

Guardai Jennifer in cerca di una risposta e notai che i suoi occhi cristallini emanavano tristezza e senso di colpa, dall’espressione del suo viso si capiva chiaramente che c’era qualcosa che non andava.

“Non preoccuparti, okay? Ti conosco da poco ma sembra di conoscerti da una vita e questo è bello.” Dissi semplicemente, cercando di non lasciar trapelare nessuna emozione.

Quando finalmente raggiungemmo l’hotel, la proprietaria ci salutò con un sorriso e ci avvisò dicendoci che il pranzo stava per iniziare.

Salutammo Jennifer e ci fiondammo verso la camera in un rigoroso silenzio.

Mi voltai verso Tom una volta arrivati davanti alla porta in legno della camera ed esordii con un: “Ha lui le chiavi.”

Bussammo e un Mark assonnato e confuso venne ad aprirci la porta, Tom lo ringraziò mentre io rimasi in silenzio, con lo sguardo basso e mi sedetti tranquillamente sul letto.

Nel mentre osservai i miei due migliori amici con l’occhio di una ragazza che sente che sta per accadere qualcosa, qualcosa di brutto e prevedibile.

Spostai lo sguardo verso Mark, che se ne stava seduto sul fondo del letto con lo sguardo basso e la schiena curva e fu in quel momento che promisi a me stessa che non mi sarei intromessa tra i due, perché sapevo che la vera motivazione non era il fidanzamento di Tom ma qualcos’altro.

Quando qualcosa gli ronzava per la testa aveva la tendenza a stare in silenzio, a non dire nulla e quando cercavamo di scoprire cos’era l’argomento che lo turbava, cambiava discorso e fingeva che non fosse successo nulla.

Vedere la loro amicizia troncarsi a causa di un semplice capriccio di Mark non mi andava per niente quindi mi decisi a parlargli una volta che ci fosse stata la possibilità di essere soli.

Tom uscì dal bagno nel quale era entrato per cambiarsi ed alzò un sopracciglio notando la tensione che c’era in quella camera.

“Ragazzi, che musi lunghi.”

Sbuffò passando lo sguardo su di noi, “Io vado giù per il pranzo, ordino qualcosa nel frattempo. Ci si vede.” Ci salutò scherzosamente con la mano e io sorrisi appena, guardando la  porta chiudersi alle sue spalle.

“Okay Mark, non puoi fare il finto tonto con me. So che hai un problema e so anche che non sono Tom e Jennifer quindi, sputa il rospo!” Lo obbligai, precipitandomi verso il fondo del letto per mettermi accanto a lui che, come sempre nelle situazioni di tristezza, si osservava le dita e giocherellava con esse.

“Cosa te lo dice che non siano loro il problema?” Domandò, spostando lo sguardo verso di me.

“Se fosse stato il loro fidanzamento o il semplice fatto che stamattina ci abbiano lasciati soli, ti sarebbe passata perché tu non sei un tipo che se la prende per queste cose.” Ammisi, continuando ad osservare la sua espressione.

“Bingo, hai fatto colpo un’altra volta. Potresti fare la psicologa.” Disse con un lieve tono di ironia nella voce. “Il problema non sono loro.”

“Il problema sei tu, Mark. Cos’hai?”

“Mi sento maledettamente solo, vedere loro due felici ha provocato un senso di angoscia e tristezza in me che inizialmente pensavo fosse solo invidia nei loro confronti, ma mi sbagliavo.” Abbassò di nuovo lo sguardo verso le sue mani. “Con voi sto benissimo anzi, sono felice di essere in vacanza qui con voi, il fatto è che …”

“Non hai una ragazza.” Continuai al posto suo, assumendo un espressione compiaciuta nel vedere i suoi occhi spalancati.

“Bingo.”

“Mark, non devi preoccuparti, okay? Voglio dire, non è essenziale avere una ragazza o un ragazzo.” Ridacchiai strappandogli un sorriso, mi pizzicò un
braccio e poi mi strinse a sé, bisognoso di affetto. “Ma Skye?”

“Skye è simpatica, tutto quello che vuoi ma sembra un’oca, scusami.”

Scoppiai in una sonora risata e contagiai anche lui, che improvvisamente iniziò a farmi il solletico e io mi divincolai sotto di lui ridendo a crepapelle.

“Basta!” Urlai con il fiatone continuando a ridere, sicuramente non avevo un bell’aspetto, però quello che mi importava in quel momento era aver visto comparire quel sorriso sul suo viso che mi aveva scaldato il cuore.

Rimanemmo distesi sul letto l’uno accanto all’altra a fissare il soffitto come due ubriachi, così ad un certo punto mi voltai verso di lui girandomi su un fianco con l’intenzione di spronarlo ad andare giù a mangiare prima che la cuoca dell’hotel ci avrebbe mandato a quel paese.

“Tu saresti la mia ragazza ideale.”

“Forse è meglio che andiamo giù a mangiare, Mark.”
 

 
 
- - - 


La penultima frase di Mark non so bene come mi sia uscita.
Con ciò non voglio far si che i due si fidanzino immediatamente, non avrebbe senso questa fic se solo dopo 7 capitoli i due iniziassero ad accoppiarsi come conigli, scusate. *censored*
Ne succederanno delle belle, soprattutto nel prossimo capitolo.
Spero che vi sia piaciuto questo, anche se a me più di tanto non garba (come sempre, d'altronde), però non mi andava di farvi aspettare.
ALLA PROSSIMA, BBIES!

 

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Capitolo 8
*** Colpita e affondata. ***


Ciao a tuuuuutti *spolvera la storia* come state? Tutto bene?
Io sono presa male perché tra una settimana inizia la scuola, ma tranquille, ho già preparato le scalette dei prossimi capitoli e vi avviso che in questo ci sarà un colpo di scena.
Ne rimangono altri 4 o 5, dipende anche se sono più propensa a farne 4 perché ho già pianificato tutto, ma ora vi spiego: la storia avrà un seguito e in questo seguito sarà passato un po' di tempo. Non picchiatemi, ma dovevo farlo, era lì nella mia mente! *risata malefica*

Mi scuso in anticipo se questo capitolo non è nulla di che, sono stata precedentemente in vacanza e non ho scritto praticamente nulla, però era tutto ben impresso nella mia mente perfida!
Non volevo lasciarvi senza capitolo per altri due mesi perché non sapevo come riempirlo, quindi sempre meglio di niente, no?
Buona lettura!

P.S. ah, mi sono appena accorta che il titolo della storia combacia perfettamente con ciò che succederà. sono un genio. 



 
Did you know? I'm here to stay. 
 

8. Colpita e affondata. 


 

Mi ritrovai immersa in una folla di gente sudicia che gridava in continuazione il nome di una band emergente che quella sera doveva suonare su quella sottospecie di palco che poteva contenere al massimo due persone.

Tom ci aveva portato ad una festa, o meglio, ci aveva costretti ad andarci in quanto aveva già comprato i
biglietti.

Sbuffavo in continuazione cercando di evitare le gomitate delle persone che mi stavano attorno, ogni tanto afferravo il braccio dei miei migliori amici per evitare di morire spiaccicata.

“Tom riusciremo mai a raggiungere un tavolo che preferibilmente non abbia litri di sudore sopra?” Urlai al moro, mentre ci facevamo spazio.

Quel locale era piuttosto piccolo per una band emergente molto conosciuta e quale idea migliore di aggiungersi a loro?

Ci sedemmo tutti quanti ad un tavolo che si appoggiava alla parete del muro - stranamente era pulito ed ordinato – e cercammo con lo sguardo una cameriera che potesse aiutarci.

“D’ora in poi non ti seguirò più.” Dissi puntando il dito verso il mio migliore amico che se la rideva tranquillamente sotto ai baffi nonostante sia io che Jen lo stessimo guardando male.

“Eddai, mica possiamo vivere come pensionati!” Affermò lui sfoggiandoci un sorriso.

“ Spero che la band sia ascoltabile.”

“Ragazzi mi sa che dobbiamo andare al bancone.” Ci avvisò Mark sbuffando e voltandosi verso la fila di persone che c’era di fianco all’entrata, “Tom, che ne dici andiamo?”

“Sì, birra per tutti?”

Io e Jennifer annuimmo all’unisono e scoppiammo a ridere subito dopo aver visto i due cercare per l’ennesima volta di farsi spazio tra le persone che avevano iniziato ad urlare il nome della band in quanto
erano in ritardo.

“Secondo te sono tutti amici della band?” Domandai curiosa, alzando la voce.

“No, non credo.” La ragazza fece una smorfia e scosse la testa, indignata. “Che bordello, avrei preferito la serata anziani dell’hotel.” Dichiarò subito dopo, io risi cercando con lo sguardo i due.

“Spero che non si perdano.”

“Tra l’altro devo andare in bagno, morirò spiaccicata. Mi aspetti qui?” Chiese Jen alzandosi e sbuffando verso la folla inferocita.

“Vai, tranquilla, mi dispiacerebbe però se ti spiaccicassero.” Scoppiai in una sonora risata alla vista del suo sguardo malefico.

Afferrai un tovagliolo dalla scatolina bianca al centro del tavolo sulla quale vi era scritto il nome del pub e tenta di farmi aria con quel piccolo pezzo di carta: nonostante quella sera indossassi una canotta nera abbinata a degli shorts avevo la sensazione di esser ricoperta di maglioni e coperte invernali.

Amavo i concerti in generale e i pub che davano a band emergenti la possibilità di farsi conoscere ma allo stesso tempo odiavo i posti piccoli e affollati.

In un certo senso però mi accontentai, era meglio essere immersi in quella folla piuttosto che in una discoteca dove le persone pensavano solo alla loro notorietà e alle/ai ragazze/i  su cui avrebbero fatto
colpo.

Fin da piccola ero cresciuta con la musica rock, punk e sottogeneri  e spesso, soprattutto i primi anni di liceo, mi sentivo a disagio con i miei coetanei perché non sapevo nulla riguardante il genere commerciale ma a me andava bene così, non volevo cambiare per essere accettata.

“Scusa, questo tavolo è libero?”

Alzai lo sguardo e un ragazzo piuttosto alto, con il viso tondo, i capelli neri mossi che parevano formare tanti boccoli e le sue labbra sottili che andavano a formare un sorrisetto malizioso.

“Evidentemente no.” Risposi in tono ovvio, alzando un sopracciglio.

“Oh, peccato.” Incalzò un tono da finto offeso per poi scoppiare in una sonora risata. “Non ci sto provando, se è questo che insinui. Non sei il mio tipo.”

“Ora dovrei essere offesa?”  Chiesi semplicemente.

“In teoria sì … aspetta, ma quei due idioti che c’erano con te prima sono tuoi amici?”

“Quei due idioti, come li definisci tu, sono i miei migliori amici.” Risposi arrogante, guardandolo male. “Tu chi sei? Ci conosciamo? No, ciao.”

“La mora è occupata?” Parve non udire per niente il mio rifiuto verso di lui, sbuffai e feci cenno di sì con la testa, pregando che Mark e Tom sarebbero tornati presto.

Il ragazzo dal nome sconosciuto se ne andò lentamente, quasi confuso sul da farsi: se c’era un tipo di persone che non sopportavo erano quelli che da lontano un miglio era evidentemente chiaro che ci stessero provando con qualcuno ma non lo ammettevano.

Odiavo esser stata così scontrosa con quel tipo, ma quando si trattava dei miei migliori amici nessuno riusciva a fermarmi e anche mia madre lo sapeva bene, visto che lei da sempre affermava con convinzione il fatto che non li sopportasse e io di conseguenza mi arrabbiavo molto.

"Mah, che tipo." Dissi sbuffando.

Jennifer tornò dal bagno con una faccia sconvolta e spaventata, si sedette al tavolo e mi guardò con occhi serrati: “Io in quel bagno non ci torno.”

“Che è successo? Qualcuno ti ha fatto del male?” Domandai alzando la voce, “Se è così giuro ch-…”

“No, tranquilla. Sembrava solamente di essere in un puttanaio, ho aspettato dieci minuti perché una coppia doveva scopare!”

Una smorfia schifata si formò sul mio viso, ma d’altronde quella notizia non mi stupì più di tanto perché in quasi tutti i locali di San Diego accadevan queste cose.

Mark e Tom nel frattempo  tornarono e tenevano in mano due birre ciascuno, che una volta appoggiate al tavolo presero a bere con ingordigia e velocità.

La band tanto acclamata in quel momento uscì sul palco e la folla sembrò parecchio contenta, iniziarono a suonare dopo uno scambio di battute (pessime) ed io non potei fare a meno di non notare lo sguardo
sognante di Tom verso il palco.

Sapevo che in quel momento stava sognando di esserci anche lui su quel palco, amava suonare insieme a
Mark ma purtroppo non trovavano mai nessuno in grado di suonare la batteria a Poway e questo discorso veniva a galla ogni volta che si parlava di musica.

Mi dispiaceva vederlo così, con aria sognante ma allo stesso tempo triste, perché io più volte avevo ripetuto ad entrambi che se ci credevano prima o poi il loro momento sarebbe arrivato.

“Non mi piacciono, non vedo il motivo di pogare così tanto per un semplice melodia” Disapprovò Mark sbuffando subito dopo, “Saranno sicuramente dei raccomandati del cazzo.”

Tom annuì e sia io che Jennifer ci limitammo a rimanere in silenzio.

Improvvisamente sentii il mio cellulare vibrare nella tasca dei miei jeans rigorosamente corti e sobbalzai, riferendo ai ragazzi che sarei uscita per rispondere.

Controvoglia mi feci spazio ancora una volta tra la folla sudaticcia e maleducata, ricevetti spintoni, gomitate e perfino insulti di ogni genere ma sinceramente non mi importava.

Una volta raggiunta l’entrata il cellulare smise di suonare, come era giusto che fosse, ed io guardai infastidita chi mi aveva chiamato.

Papà.

Scoppiai in una sonora risata e mi appoggiai al muro ruvido e freddo del locale, convincendomi del fatto che sicuramente aveva sbagliato numero, perché di rado quell’uomo che aveva deciso di lasciarmi sola mi chiamava se  non per qualche urgenza.

Attesi cinque minuti e quel piccolo aggeggio prese a squillare di nuovo tra le mie mani, così titubante ma allo stesso tempo preoccupata risposi senza però spiaccicar parola.

“Kay? Ci sei?” Dall’altra parte del telefono, oltre alla sua voce, proveniva una melodia strana e la voce di una donna che lo chiamava in continuazione.

Rabbrividii sperando che non si trattasse della sua compagna – che io non avevo mai conosciuto in quanto quando ero obbligata a vederlo lo incontravo da solo – e sussurrai un “Sì” poco convinto.

“Kay, sono io, tuo padre.” In quel momento l’istinto di chiedergli se lo fosse davvero mi raggiunse, ma non lo feci. “Senti, ho precedentemente chiamato tua madre e mi ha detto che sei in vacanza a San Diego.”

“E quindi?”

“E quindi mi ha anche detto che ha trovato un posto fisso a New York e preferisce che tu vada con lei. So che ti starai chiedendo il motivo per cui non te lo sta dicendo lei ma siccome l’ho aiutata a trovare un piccolo appartamento mi ha chiesto di dirtelo perché non ne aveva il coraggio.”

Calò il silenzio.

Rimasi a fissare per cinque minuti buoni la strada davanti a me con gli occhi sbarrati, non volevo crederci.

Sperai che fosse uno scherzo di cattivo gusto, sperai che mio padre mi dicesse da un momento all’altro che scherzava e voleva che passassi una giornata con lui, sperai che tutto quello non finisse.

Non avevo intenzione di andarmene dalla California ma tanto meno di andare a vivere con mio padre e la sua compagna a Los Angeles come alternativa al trasferimento di New York.

Ero finita in un vortice di ingiustizia e di tristezza, mi sentivo impotente in quanto non potevo far niente per cambiare le cose perché d’altronde a mia madre serviva un posto fisso.

A Poway lavorava ma saltuariamente, non aveva mai un lavoro fisso e spesso abbiamo rischiato entrambe di finire in banca rotta, ma per fortuna si presentava sempre qualcosa da fare.

Non riuscivo ad essere felice per lei perché l’idea di trasferirmi in una città dall’altra parte dello stato mi spaventava e creava in me un senso di soffocamento, avrei dovuto abbandonare i miei migliori amici, la scuola e tutto il resto.

Chiesi con voce strozzata quando avrei dovuto andarmene  e mio padre rispose che sarei potuta restare a San Diego solo per una settimana. Era decisamente un incubo.

“Domenica prossima tua madre ha il volo.”

“Ma non avete pensato a me? Devo frequentare l’ultimo anno e devo cambiare scuola, devo lasciare i miei amici e trasferirmi dall’altra parte degli Stati Uniti!” Alzai la voce, ero arrabbiata e delusa.  Mio padre si limitò a scusarsi, sembrava davvero dispiaciuto ma io ero disperata.

Quando terminai la chiamata asciugai le lacrime sul mio viso e rientrai nel locale sperando che non si accorgessero di nulla, non avevo intenzione di dirglielo quella sera e di rovinare loro il divertimento.

La folla si era leggermente calmata così io raggiunsi il tavolo tranquillamente e un sorriso sincero mi si formò sul viso notando che i ragazzi stavano ridendo insieme.

“Kay, sei viva!” Urlò Mark indicandomi con il dito, io scoppiai a ridere e mi sedetti al mio posto, cercando di rimanere tranquilla.

Avevo intenzione di divertirmi durante quella settimana rimanente e godermi gli ultimi momenti con loro, non volevo piangermi addosso né tantomeno rendere i miei amici tristi e fare discorsi che non stavano né in cielo né in terra.

“A proposito, tutto bene? Qualcuno ti disturbava?” Domandò Tom tranquillamente, trangugiando l’ultimo sorso di birra che gli era rimasto.

Scossi la testa, “No tranquillo, era solo mia madre che voleva sapere come stavo.”

“Ah, meno male.”

Non sapevo in che modo glielo avrei detto, ma quasi sicuramente mi avrebbero capita, mentire non era nei miei piani ma a volte era necessario farlo per evitare casini e tristezza.
 
 
 
 
 

okay, ora odiatemi. 
 

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