F.L.E.S.H. - Cruel Game

di alix katlice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 - Alla Venuta ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 - Accorgersene ***



Capitolo 1
*** prologo ***


 




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prologo



La neve di Gennaio mi aveva sempre affascinato tanto.
Ero seduta sui gradini gelidi della casa, un cappotto pesante che mi stava troppo largo e un paio di guanti di lana come unica protezione dal freddo: sotto, indossavo il mio pigiama blu, quello con su scritto "villains do it better", e osservavo il viale silenzioso senza disturbare quella quiete.
Solo osservando.
I miei occhi scuri scorrevano veloci dal marciapiede scivoloso agli alberi, coperti di neve, alle casette per gli uccelli che il mocciosetto dei vicini aveva costruito per poterli catturare e poi ammaestrarli.
Cavolate, dicevo, mormoravo quando i miei e i suoi non potevano sentirci, come una litania lenta e melodica che lui per non ascoltare si tappava le piccole orecchie con i palmi: mi faceva la linguaccia, rideva, mi assicurava che sarebbe riuscito a catturarne uno, un giorno.
Io scuotevo la testa e ripetevo ciò che lui non voleva sentire.
Il mio sguardo correva ora verso l'unica fonte di rumore che quel paesaggio silenzioso mi offriva: un furgoncino grigio topo che produceva un suono assordante, tanto che dovetti trattenermi dalla voglia di tapparmi le orecchie, per proteggerle.
Avvertii dentro di me quel sentimento familiare che ogni volta provavo in quella situazione: una sorta di risveglio, come se fino a quel momento fossi rimasta a dormire e solo allora avessi aperto gli occhi.
Il furgoncino si avvicinò lentamente, e più avanzava -cautamente, a causa della neve, più io avevo voglia di tirarmi in piedi e correre verso di esso, fermarlo, sorridere e urlare dalla felicità.
Mi trattenni finché non si parcheggiò proprio davanti a casa nostra: allora mi alzai in piedi e cominciai ad avvicinarmi verso la figura che intanto era scesa dal furgone e aveva spalancato gli sportelli posteriori: gli saltai addosso, stringendolo fra le mie braccia sottili. Un verso di sorpresa, poi una risata.
« Nena, sei completamente scema » disse mio fratello con affetto e ricambiando la stretta.
Sapevo a cosa si riferiva: ogni volta che tornava io aspettavo lì, con impazienza, al gelo o al sole bollente, questo non importava.
Io lo aspettavo e lo abbracciavo, perché a dodici anni l'unica cosa che mi importasse oltre alla mamma era lui, lui soltanto.
Quella volta fu come tutte le altre: lo abbracciai e gli baciai la guancia, gli scompigliai i capelli e gli sorrisi.
Anche lui lo fece, continuando a chiamarmi Nena, quel soprannome di bambina che io consideravo troppo infantile, e che impedivo a chiunque altro di pronunciare: tranne a lui, lui poteva chiamarmi come voleva.
Ero troppo presa dalle parole di Nicola, che non mi accorsi dell'altra figura che era scesa dalla macchina.
Un paio di occhi verdi mi scrutarono, ed io scrutai loro: il ragazzo che li possedeva aveva una folta chioma di capelli neri come la notte, ricci, dei lineamenti non propriamente dolci ma in un certo senso femminili.
Era bello. La consapevolezza mi trafisse come una lama acuminata, una consapevolezza che non avevo mai provato nei miei scarsi dodici anni di vita -o almeno non così forte e pungente.
Aveva tanti amici Nicola, -a diciassette anni è sempre così, ma nessuno mai mi aveva colpita così violentemente.
Nicola si accorse che lo stavo fissando e sorrise di nuovo, quel sorriso che gli illuminava gli occhi scuri quanto i miei e lo faceva sembrare più bello di quanto già non fosse.
« Scusa, non vi ho presentati. Questo è un mio amico, Nena, quello da cui sono stato per questi giorni: Simone, Nadia; Nadia, Simone. »
Il ragazzo strinse la mia piccola mano, dolcemente, ed io ricambiai la stretta.
Mi rimase sempre impresso il modo in cui il ragazzo mi aveva guardata, come se io, piccola bimbetta, fossi una persona a cui donare attenzione, come se fossi importante.
Mi rimasero sempre impressi quei suoi occhi chiari e quei capelli ricci, che non avevo mai visto in un ragazzo -almeno non così lunghi.
Mi rimase impresso tutto, dall'odore della neve al gelido freddo che durante quella mattinata mi era entrato nelle ossa, sotto la pelle, le casette per gli uccelli del moccioso dei vicini, mio fratello e il suo sorriso, gli occhi, i capelli, i lineamenti gentili di Simone.
Fino ad adesso.
Sono passati tre anni da quel giorno.



 





 

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Capitolo 2
*** capitolo 1 - Alla Venuta ***



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capitolo 1
ALLA VENUTA

 









This is not the way into my heart, into my head
Into my brain, into none of the above
This is just my way of unleashing the feelings deep inside of me
This spark of black that I seem to love

We can get a little crazy just for fun, just for fun
.


[F.L.E.S.H - Simon Curtis]



 

Il tutto inizia un pomeriggio di Settembre, con il suono fastidioso del campanello che disturba i miei pensieri e manda all'aria la mia concentrazione.
Studio latino, questo pomeriggio; guardo con insistenza la versione di dodici righe che spero si traduca da sola, il dizionario aperto, il quaderno dalle pagine candide: poi, qualcuno suona alla porta.
Mi alzo dal divano immediatamente, facendo rotolare la matita mordicchiata a terra, sul tappeto: mi dirigo velocemente, troppo, forse, quasi inciampo, verso la porta.
Quando la apro, un piccolo mormorio di sorpresa sfugge dalle mie labbra.
C'è Simone.
Io sono cambiata, lui per niente: io mi sono alzata -anche se sono sempre minuta, anche se ho mantenuto comunque i miei lineamenti da topina, come dice Nicola, e i capelli lunghi e scuri, gli occhi vivi e neri; ho un corpo più da donna che da bambina, i seni piccoli ma sodi e le gambe toniche, i fianchi più larghi.
Lui, invece, ha sempre quegli occhi chiari che ora mi mettono in imbarazzo, e quei capelli ricci: vorrei poterli toccare, vedere se sono morbidi, ma non mi sembra una buona idea e perciò non glielo chiedo.
È solo un po' più alto, le spalle un po' più larghe, le braccia più forti.
Il suo sguardo, a cui non sono abituata, mi mette in imbarazzo e un po' persino a disagio: fa scorrere i suoi occhi sul mio corpo -chissà se si aspettava di vedermi così cambiata, mi domando, (e, con sorpresa, mi chiedo anche se gli piaccio, se non mi vede più come la piccola bambina di dodici anni che è corsa incontro al suo fratellone quella gelida giornata di tre anni fa.)
E mi guarda, non accennando a voler entrare in casa, non accennando a nulla in realtà: mi sembrano passati diversi minuti -ore, giorni?, quando la sua espressione cambia.
« C'è Nicola? » mi domanda, senza salutare, ma sono troppo concentrata sul suono melodico della sua voce per riuscire a notarlo.
Scuoto la testa, intimidita. Guarda per un momento oltre la mia spalla, poi la sua attenzione torna su di me.
« Posso entrare? » chiede in seguito.
Mi scosto leggermente, così poco che quando entra posso sentire il calore che emana il suo corpo quando mi passa accanto.
Prendo un respiro profondo, prima di chiudere la porta e dirgli di mettersi comodo in cucina.

 

Nicola arriva verso le sette, quando io avrei dovuto già da due ore finire la mia versione di latino, e invece sono ancora alla settima riga.
Appena si entra nella mia casa c'è un piccolo atrio e poi il salotto: poi un corridoio che conduce alle camere da letto, ai due bagni e allo studio. La cucina si trova alla sinistra del salone, e da lì si arriva alla terrazza.
Perciò, la prima cosa che Nicola vede quando arriva sono io.
Si avvicina, e come al solito mi da un bacio sulla guancia e mi domanda com'è andata oggi, mentre intanto si toglie il giacchetto -ancora leggero per via del tempo caldo di Settembre.
« C'è Simone in cucina » gli dico, interrompendolo, prima di fargli finire la domanda.
Ed è come se gli avessi gettato un secchio d'acqua gelata addosso: si immobilizza e mi guarda, quasi come se si aspettasse che da un momento all'altro cominciassi a ridere e dicessi che è uno scherzo.
Ma uno scherzo non è, e la sua reazione mi inquieta.
« Quando è arrivato? » mi domanda, passandosi una mano fra i capelli scuri e scompigliandoli.
« Qualche ora fa. Mi ha chiesto di farlo entrare, anzi, no, prima mi ha chiesto se eri in casa e poi di farlo entrare. L'ho mandato in cucina... pensavo, è un tuo amico, no? » rispondo io, preoccupata di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Nicola mi sorride, forse essendosi accorto della mia inquietudine, ma so che non è un sorriso vero: conosco mio fratello più di quanto io conosca me stessa.
« Sì, siamo amici. Non devi preoccuparti, Nena, aspetta qua: quando arriva la mamma dille che è arrivato Simone e dille di apparecchiare per quattro, per favore. »
Se ne va, lasciandomi sola.
Mentre tento di finire questa maledetta versione di latino, posso sentire le loro voci, dai toni animati, che discutono di un argomento che non riesco a visualizzare bene: ma non mi interessa -non deve, e mi costringo a non ascoltare.

 

La mamma arriva con una busta della spesa in una mano e un libro dalla copertina rigida nell'altra.
La aiuto a poggiare sul tavolo della cucina la spesa -Nicola e Simone si sono trasferiti nella stanza di mio fratello, intanto, e poi la abbraccio: le racconto della giornata, della versione di latino che mi ha fatto tanto penare, di Ilaria -la mia migliore amica, che oggi ha preso un bel voto dopo tanti tre, di come Simone si è presentato alla porta e della richiesta di Nicola di apparecchiare per quattro.
La mamma mi sembra turbata, un po' troppo: le do una mano anche a tagliare i pomodori per il sugo per la pasta e a lavare l'insalata.
Quando abbiamo finito, la cena pronta e la tavola apparecchiata, la mamma chiama Simone e Nicola.

 

« Simone può stare qui da noi, per qualche giorno? »
Questo è l'inizio della conversazione che la mamma e Nicola portano avanti per tutta la durata della cena. Parlano di cose puramente tecniche -come il posto dove dormirà, o come gli orari dei pasti, o il coprifuoco delle dieci e mezza nei giorni scolastici e dell'una nel week-end, fino ad arrivare alle motivazioni e agli spostamenti e a tutta una serie di cose che non riesco a seguire.
La mia mente, infantile, forse, per dare così tanto peso al bel viso di Simone o al modo in cui ogni tanto rivolge lo sguardo verso di me -che mi infiamma il viso e fa volare le farfalle nel mio stomaco come il più noioso dei cliché, non tiene in conto null'altro che non sia gli occhi chiari e i ricci scuri dell'amico di mio fratello.
Vengo risvegliata dai miei pensieri dalla voce di Nicola, allegra, e mi rendo conto che la mamma deve avergli dato il permesso di ospitare Simone.
« Ehi, Nena, per te non c'è problema, vero? » mi domanda, sorridendomi.
Sposto lo sguardo velocemente su Simone, lo osservo.
Anche lui mi sorride, ma non come Nicola. È un sorriso che mi fa provare le stesse emozioni dei suoi sguardi di prima.
« Certo... » dico alla fine « ...nessun problema. »


La mattina dopo, quando vado a scuola, Simone dorme sul divano.
Faccio piano, per non svegliarlo: afferro velocemente un panino alla nutella dal tavolo -mamma me lo prepara ogni mattina, prima di andare a lavoro, e poi esco silenziosamente, osservandolo mentre dorme.
Mentre cammino sul vialetto i miei pensieri sono cosparsi da immagini vivide del suo viso: ha un bel viso, ma non bello quanto quando lo è da sveglio.
Quando si dorme calano tutte le difese e, in tutti i romanzi che ho letto, la protagonista ama vedere il proprio amato dormire: lo ama senza difese.
Io non amo, invece: io osservo, studio.
Sto osservando Simone da parecchie ore e la cosa che più mi affascina di lui è la luce che possiedono i suoi occhi.
« Pensierosa, oggi? »
Mi volto e sorrido ad un ragazzo dai capelli rossastri e gli occhi azzurri, una spruzzata di lentiggini sul naso: è Andrea, il moccioso dei vicini che anni fa voleva catturare gli uccelli nelle loro casette.
Ora è uno dei miei migliori amici.
Gli sorrido e mi sporgo per dargli un bacio sulla guancia: lui mi stringe leggermente, come se fossi una bambola di porcellana, e poi mi lascia andare.
« Un po' » rispondo, alla domanda di prima.
« Qualche novità interessante? »
Penso un po' alle parole che sto per dire, prima di pronunciarle: le parole sono importanti, e non vorrei che fraintendesse ciò che sto per dire.
« Sai, uhm, Nicola? »
Andrea annuisce, mentre comincia a camminare ed io lo seguo.
« Un suo amico ieri pomeriggio è venuto a casa e mi ha chiesto di farlo entrare. Quando Nicola è arrivato hanno discusso per un po' e meno di un'ora dopo erano completamente a loro agio. Anche mia mamma, quando le ho detto che era venuto Simone (si chiama così) mi è sembrata turbata... e poi a cena era tutta contenta. Non, diciamo, non capisco molto cosa sta succedendo, e sai quanto io odi quando non capisco cosa mi capita attorno. »
Mentre parlo, percorriamo la via alberata di casa nostra, diretti a scuola: osservo l'autobus che ci passa accanto, superandoci.
Potremmo prenderlo, ma preferiamo camminare, sia io che Andrea: in più, il liceo è così vicino che ci mettiamo dieci minuti a piedi.
« Ed è solo questo? » mi domanda, quando vede che non sono più concentrata sulla conversazione.
Penso un po', prima di rispondere.
« No » mormoro, prendendolo sotto braccio « non è solo questo. »


Appena arrivo a scuola getto lo zaino sul banco, accanto ad Ilenia.
Ilenia, capelli scuri e ricci, occhi dello stesso colore e pelle color miele, è la mia migliore amica: in classe non ho legato con nessuno oltre che con lei (Andrea non frequenta il liceo classico) e mi fa sentire meno sola. Uno dei motivi per cui noi due andiamo d'accordo è quello che comprende la sua parlantina sfrenata e le mie poche e timide parole.
Un altro, è che mi piace davvero tanto.
È matta, ma in senso buono: potrebbe avere molti più amici di me ed Andrea, perché lei è così aperta, solare, ha la parlantina facile di Nicola.
Io invece... io invece no. E ogni tanto mi chiedo cosa sia quel qualcosa che la trattenga dallo scollarsi da me ed essere la migliore amica di qualcun altro.
Io che sono così chiusa, che penso sempre a tante cose e non dico quasi mai nulla, io che potrei sembrarle benissimo una ragazzina infantile, sola con le sue mille preoccupazioni.
Lei sa già chi vuole diventare, cosa vuole fare fra qualche anno, ha dei progetti, delle ambizioni.
Mentre io... io sono ancora alla ricerca di chi sono e del mio posto.

Durante la prima ora, lezione di matematica, le spiego velocemente quello che non ho avuto il coraggio di dire ad Andrea per un motivo che neppure io riesco a capire.
Le parlo sottovoce, parole strascicate e continue interruzioni, ma alla fine riesco a farmi capire ed è questo ciò che conta.
Mi guarda concentrata, perché se in un primo momento può sembrare superficiale e menefreghista, sotto c'è tanta voglia di ascoltarmi, di aiutarmi.
Quando termino il racconto, -Simone e i suoi occhi, i suoi sguardi che mi sondano come per valutarmi, soppesarmi, mettermi alla prova, lei ha un'espressione che, sul suo viso, signica solo una cosa: una brutta, anzi, pessima idea.
« Questo è l'inizio di una storia clandestina, te lo dico io » mormora, un sorriso malandrino.
La lascio parlare, comincia a raccontare nei nostri futuri incontri segreti dentro il bagno.
Alla fine delle sei ore, ho la testa che mi scoppia, ma l'abbraccio ugualmente.
« Ci vediamo domani! » esclamo, dopo che anche Andrea l'ha salutata.
Ci dirigiamo a casa mentre lei prende l'autobus: ci saluta dal finestrino mentre ci sorpassa.


Dopo un intenso pomeriggio di studio, senza aver visto Simone per casa, mi dirigo verso la cucina con il desiderio di mangiare velocemente e poi andarmene a dormire.
La sera, a cena, Simone non c'è.
Me ne accorgo appena entro nella sala, e vedo apparecchiato solo per tre persone: osservo la mamma mentre mette in tavola una tovaglietta di paglia -la delusione mi avvolge e mi rende debole, come se fossi spenta, e toglie la pentola con la pasta dal fuoco e la posiziona lì, fra il mio posto e quello di Nicola.
Mi siedo, sorrido alla mamma.
« Simone non c'è? » domando, prima che possa trattenermi, e non so neppure perché lo sto chiedendo -perché dovrebbe interessarmi.
Mamma, come prevedibile, mi rivolge un'occhiata incuriosita, come se non si aspettava che glielo chiedessi, e prima che possa aprire bocca interviene Nicola che è velocemente arrivato e si è già seduto.
« Simo' mangia fuori, stasera » dice lui, alzando le spalle come per scusarsi, ma con un sorriso in viso.
Capisco quell'espressione dopo qualche secondo, e una vampata di calore mi investe: ho sempre detestato il fatto di non riuscire a trattenermi dall'arrossire, ma è più forte di me e spero che nessuno se ne accorga.
Simone non mangia fuori, stasera. O almeno non da solo.
Sarà in buona compagnia, magari di una ragazza, e tornerà solo a notte fonda o persino domattina, se lei è una sentimentale.
Potrà godersi il suo sorriso alla luce appena accennata dell'alba, la sua cascata di ricci neri sul cuscino candido, le sue labbra sulla pelle, le sue ma...
« Nena, tutto okay? » mi domanda Nicola, quel sorriso sempre in volto.
Mi prudono le mani e capisco che potrei facilmente prenderlo a schiaffi.
« Certo, perché? » chiedo io in risposta, sperando di non trovare conferma di ciò che già so nella sua espressione.
E invece, trovo la conferma.
« Senti caldo? Sei arrossita di botto » dice lui, non senza una sfumatura instigatrice nella voce: decido di non rispondere alla provocazione per il semplice fatto che alla mamma non piace interrompere i nostri battibecchi, e per il fatto che Nico non ha davvero voglia di infastidirmi.
Il resto della cena lo passo ad ascoltare ciò che mio fratello e la mamma hanno fatto durante la loro giornata e a pensare alle mani di Simone sul corpo di qualcuno che so per certo di non poter essere io.

 

Mi sveglio di scatto, un suono di un qualcosa che cade rimbomba nella mia testa e nel silenzio della casa.
Mi alzo, scostando le coperte con un gesto incerto, ed esco dalla mia camera.
So che dovrei muovermi con cautela -potrebbero essere dei ladri, intrusi, ma non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello l'ascoltare quel muto consiglio.
I miei piedi nudi non producono alcun rumore sul pavimento freddo: rabbrividisco leggermente, ma continuo a camminare.
Quando raggiungo il salone, non dovrei rimanere troppo sorpresa di trovarci Simone, la luce accesa che mi fa quasi male agli occhi: invece, il mio cuore ha una specie di sobbalzo, che non riesco a trattenere.
Lui mi vede, quasi nello stesso istante in cui lo vedo io, ma non dice nulla.
Mi sorride e si siede sul divano.
Vedo per terra una felpa e le sue scarpe, gettate da un lato.
Poi alzo lo sguardo: continua a guardarmi, mentre si sfila la maglietta e la getta da un lato.
Arrossisco -come prevedibile, quasi immediatamente: mi piacciono le linee del suo corpo, i muscoli accennati ma non troppo; hanno un qualcosa di armonioso che mi lasciano incantata, quasi.
Capisco che lo sa, che sa benissimo cosa sta passando per la mia mente in questo momento: lo comprendo appieno quando, sempre guardandomi, si slaccia solo i primi bottoni dei jeans, e poi si sdraia sul divano con un movimento aggraziato, (tutto questo continuando a guardarmi.)
E mi guarda, ancora, ancora: capisco che è una sorta di sfida, una muta sfida.
Cosa farai adesso?
Non capisco, ed il mio cuore non aiuta: batte ad una tale velocità che non riesco a capire nulla.
Mi volto e torno a letto, voltandomi una sola volta per vedere che Simone ha incrociato le braccia dietro alla testa e ha chiuso gli occhi, un sorriso furbo in volto.
Sono brava a capire le persone: quando torno in camera mia e mi metto sotto le coperte, però, non riesco a vedere oltre gli occhi chiari di Simone.
Non riesco a leggerlo. Non come faccio con tutti gli altri.






 





Spazio di Alice:

Piccolo particolari:
Il banner l'ho fatto io (e si vede) e i prestavolto per Nena e Simone sono Eline Powell e Robert Sheehan (per chi ha visto Anita B., sì, sono i protagonisti).

Salve a tutti! Eccoci qui con il primo vero capitolo di questa storia: il prologo era una sorta di introduzione ai personaggi e alla situazione in cui ci troviamo; con questo primo capitolo -spero, si cominciano a capire alcune relazioni che legano la protagonista agli altri personaggi. I personaggi per ora sono solo questi (con l'aggiunta della nonna di Nadia che comparirà nel prossimo capitolo o nel terzo!).
Naturalmente la storia sarà incentrata sul rapporto di Nena con Simone, ma questa non è una storia d'amore: è una storia di crescita.
Perciò, spero di riuscire a trattare anche il rapporto che c'è fra Nadia, Ilenia e Andrea, oltre che a quello con sua madre, Nicola e la nonna.
Insomma... spero vi sia piaciuto questo primo capitolo e spero che continuerete con me questo piccolo viaggio dentro la testa di Nadia :3
P.S: grazie mille ai recensori del prologo, alle 2 persone che hanno inserito fra i preferiti, alle 2 fra i ricordati e alle 4 fra i seguiti!
Mille grazie!
Spero che anche questo capitolo sia piaciuto (ho cambiato l'impaginazione che a breve cambierò anche al prologo :3)
Se vi va, lasciatemi un piccolo parere,  fa sempre piacere e aiuta a migliorare :D
Bacioni :*

 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 - Accorgersene ***



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capitolo 2
ACCORGERSENE

 







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[F.L.E.S.H - Simon Curtis]



 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal mio incontro serale con Simone oramai è passata una settimana, e tutto quello che è successo fra di noi nel mezzo... non è successo.
Non è successo nulla.

Per i primi quattro giorni ho avuto la tendenza ad arrossire ogni qualvolta lui si trovasse nei paraggi -cosa a dir poco imbarazzante. Invece, riguardo gli ultimi tre giorni, li ho passati ad interrogarmi sul perchè, a domandarmi se ci fosse una spiegazione logica per il suo comportamento, per la sua provocazione.
Spesso seduta accanto ad Ilenia, poche parole e tanti pensieri: sono giunta ad una conclusione ieri sera, quando ho spento il cellulare e l'ho poggiato sul comodino, gli occhi che mi si chiudevano per la stanchezza.
Non c'è una spiegazione logica. Simone non ha nessun motivo per comportarsi così.
Io non gli piaccio -come potrei? Sono solo una ragazzina in confronto a lui, non sono interessante, non sono bella -non nel modo più convenzionale del termine, non sono ancora nulla. Quindi, giungo alla conclusione che doveva essere ubriaco, che i suoi sguardi sono sguardi che io mi immagino, (forse perché è ciò che vorrei), che i suoi sorrisi obliqui a tavola degli ultimi giorni, ovvero l'unica cosa che da lui ho ottenuto, non significano nulla se non simpatia per la sorellina di un suo amico.
E mi sta bene, penso. Scendo a patti con l'idea ed oggi vado a dormire con la mente calma, in pace.
Ho una cottarella per questo ragazzo? Sì, mi affascina ed è infinitamente bello
Potrebbe essere mai qualcosa più di questo?
No.

La mattina, quando mi alzo, mi rendo conto che è presto grazie alla luce che non filtra attraverso le tapparelle della mia camera.
Siamo a Settembre, e a Settembre alle 7.00 (cioé quando mi sveglio per andare a scuola) solitamente c'è luce.
Ora, apro gli occhi e vedo solo l'oscurità della stanza.
Mi alzo e barcollo leggermente prima di riuscire ad accendere la luce; mi acceca, devo strizzare un paio di volte gli occhi prima di poterli aprire.
Tengo le dita sulla parete mentre percorro il corridoio, diretta in soggiorno: c'è sempre una spiegazione a tutto, ed io trovo quella per cui mi sono alzata così presto seduta al tavolo
della cucina.

La mamma ha lo sguardo puntato sulla tazza del thé che tiene fra le mani.
Mi avvicino, cercando di far più rumore possibile per segnalarle la mia presenza, ma quando le sfioro una spalla lei comunque sobbalza leggermente.
Mi siedo, senza dire nulla; la mamma mi sorride e poi abbassa di nuovo lo sguardo sulla tazza.
E capisco che c'è qualcosa che non va.
« Mamma? » richiamo la sua attenzione di nuovo, e non riesco a nascondere la preoccupazione.
« La nonna sta male » mormora lei, ed anche se non è proprio una bella notizia sento il mio stomaco che si alleggerisce di botto (dopotutto io la mia nonna non la conosco più di tanto, non posso dispiacermi.)
« L'hanno portata in ospedale? »
Annuisce, non guardandomi negli occhi.
« Volevo andarla a trovare, ma mi hanno chiamato per fare dei turni in più... »
« Ci vado io. »
Lo dico senza pensarci e senza valutare nulla; perderò ore per studiare o per stare con i miei amici? Sì, ma non me ne curo.
La nonna ha bisogno di me, la mamma ha bisogno di me. Soprattutto contando che il suo dispiacere non è poi così tanto per la suocera quanto per il fatto di doverla andare a
trovare.

È triste, a pensarci bene. Ciò che è successo fra la mamma e mio padre non dovrebbe riguardare un'anziana vecchietta, non dovrebbe neppure sfiorarla; mia madre è  buona, certo, ma anche una persona che non riesce a perdonare facilmente.
« Sicura? » mi domanda, anche se già vedo che la notizia l'ha resa più rilassata.

« Più che sicura » dichiaro allora, sorridendole.
Mi sfiora con il dorso delle dita la guancia, un piccolo gesto che però mi rende felice.
« Grazie mille, tesoro. »
Torno in camera mia per godermi gli ultimi minuti di sonno prima della sveglia.

 

Una delle poche cose che ho imparato di Simone è che ama parlare.
In realtà è un po' strano, perché non è il chiacchiericcio sconclusionato di Nicola, no; parla di cose che sa, di cose che ha toccato con mano propria, luoghi che ha visitato, posti magnifici che ha visto, persone che ha incontrato e con cui ha parlato.
Non che le racconti a me, ovviamente.
Mentre studio in terrazza, la porta-finestra della cucina aperta per permettere alla mamma di sentirmi in caso di necessità, lui parla; si siede al tavolo, mamma che intanto tagliuzza verdure per la cena, e lui comincia.
E diventa un sogno ad occhi aperti, un viaggio fantastico di cui vorrei non interessarmi ma che, alla fine, riesce a trascinarmi sempre con sè: e vedo tutto ad occhi aperti, con chiarezza, contorni netti.
È una cosa che mi affascina, perché io ciò che penso lo tengo nella mia mente: invece Simone lo disegna in aria, e non scompare nulla, anzi, si fa sempre più nitido e rimane tutto impresso.
Amo questi momenti, quando mi perdo nella sua voce e non c'è null'altro.
L'unica cosa che vorrei è che tutto questo fosse effettivamente riservato a me, e a me soltanto.

 

Il sabato arriva velocemente; Simone non mi considera -oltre a quei sorrisi e quegli sguardi che, mi ripeto, sono tutti nella mia testa, la scuola non mi offre nulla di nuovo se non lezioni su lezioni e interrogazioni, e Ilenia ed Andrea sono sempre gli stessi.
Io ed Andrea siamo al parco, questo pomeriggio.

Il sole mi riscalda il viso senza però scottarmi, l'erba sotto di me ha un odore buono.
« Mia nonna sta male » dico.
Andrea immediatamente si irrigidisce, il suo sorriso scompare dal viso, si volta verso di me.
« L'hanno portata in ospedale? »
Annuisco.
« Ho promesso alla mamma che sarei andata a trovarla. »
« Se vuoi posso accompagnarti... » si offre lui dopo qualche secondo di silenzio.
Scrollo la testa, sorrido.
« Non ti preoccupare. Volevo solo dirtelo. »
Andrea allunga una mano, afferra la mia. La stringe forte, ed io lo ringrazio silenziosamente.
 

Quando torniamo dal parco, prima di entrare in casa, Andrea fa una cosa strana.
Prima di entrare, mi afferra il polso e mi tira verso di sè; sento le sue braccia avvolgermi.
Ci siamo abbracciati tante, tante volte... ma questa volta è diverso. Non so da cosa riesco a capirlo, ma c'è qualcosa di profondamente diverso.
Mi lascia andare dopo qualche secondo, con un'espressione strana in viso.

Entro in casa e la cena è servita.
A tavola ci sono tutti; mia madre, Nicola e Simone.
Mi siedo fra Nicola e la mamma, lanciando un veloce sguardo a Simone che però viene intercettato -cosa che speravo non accadesse. Abbasso gli occhi quasi immediatamente, mentre vedo sulle sue labbra formarsi già i contorni di un sorrisetto sghembo.
È bello. Lo penso durante tutta la cena, (pasta al pesto e petto di pollo), lo guardo di soppiatto e penso che è davvero troppo bello.
Non ascolto ciò che dicono, non mi concentro nè su Nicola nè sulla mamma; la mia attenzione viene risvegliata solamente quando vedo le labbra di Simone muoversi mentre guarda me, segno che mi sta parlando.
« Scusa, come? » domando, e Nicola non si trattiene dal ridacchiare; sono conscia che sembro davvero una sciocca, ma ciò che mi ha chiesto o detto mi interessa, davvero.
« Dicevo » ripete lui, un tono cordiale, nessuna presa in giro « che se vuoi posso accompagnarti io. »
Dove dovrebbe accompagnarmi?
Penso di averlo detto ad alta voce.
« All'ospedale, da tua nonna » chiarisce subito la mamma, trovandomi in difficoltà.
Non mi piace, l'idea. Non mi piace affatto. Trovarsi da sola con Simone? Potrebbe anche essere piacevole -sicuramente per quella parte di me che anela la sua attenzione.
Ma arrossirei di continuo e mi troverei a disagio, di sicuro.
« Se vuoi un passaggio in auto, visto che mi pare di aver capito che dovresti prendere l'autobus... » aggiunge poi Simone.
Oh.
Vuole essere solo gentile. Non vuole passare del tempo con me: decido che non deve importarmi, che non deve sfiorarmi, anche se so benissimo che mi ha ferito più di quanto avrebbe dovuto.
« No, non preoccuparti, posso andarci da sola. Dovrei riuscire a non perdermi. »
Il mio tono è amaro, ma nessuno sembra notarlo più di tanto.

 

La Domenica mattina perdo qualche minuto a sciegliere ciò che devo indossare: alla nonna i vestitini e le gonne devono piacere, penso, non lo so, non ho mai passato molto tempo con lei.
La mia scelta alla fine ricade su una camicetta bianca e una gonnellina a vita alta a fiori, colori che vanno dal rosa carne al rosso: la infilo, osservandomi allo specchio.

Non so perché, ma mi ritornano in mente le parole di Ilenia, quelle che mi ripete spesso, sullo sciogliere i capelli (sei più bella!).
Non la ascolto, e al posto di quel consiglio decido di sistemare al meglio la treccia che ho tenuto per tutta la notte.
Quando ho fatto, devo dire che complessivamente mi piaccio.
Afferro lo zaino -con dentro una boccetta d'acqua e un paio di panini per il pranzo, ed esco velocemente dalla mia camera: poi, la mia traiettoria viene interrotta da Simone che esce dal bagno.
La prima cosa a cui penso è che non è davvero possibile: la nostra casa è piuttosto grande; come ho fatto ad incontrarlo? Soprattutto ora, soprattutto così.
Ha i capelli bagnati e la pelle umida di chi si è appena fatto la doccia: indossa solo un paio di pantaloni stretti, i piedi nudi, il petto scoperto.
Reprimo l'istinto di guardarlo, sondarlo con lo sguardo.
Appena mi vede, per un momento resta interdetto, come se ci fosse qualcosa che non lo convince appieno: in un secondo momento mi rendo conto che, semplicemente, non mi aveva riconosciuta, vestita così carina.
Il suo sguardo cambia, la tentazione di fare un passo indietro è forte: è famelico, ora, un sorriso sghembo che aleggia sul suo viso, ma che non lo rende meno bello -al contrario di quello che si potrebbe pensare.
« Questo è per andare dalla nonna? » mi domanda, e la sua voce è un suono leggermente roco, basso.
Annuisco, guardandolo negli occhi, ora, per non guardare altro.
Si avvicina leggermente, il suo sguardo sulle mie gambe messe in bella mostra dalla corta gonnella e poi sulle mie labbra.
« Stai bene, angioletto. »
Angioletto.
Non mi piacerebbe, se fosse Nicola a dirlo, come non mi piacerebbe se Simone mi chiamasse Nena: ma angioletto suona così giusto, sulle sue labbra.
Allunga una mano verso il mio viso e, impercettibilmente, mi tiro indietro; lui non ci fa caso, o fa finta di non farci caso, e sfiora con delicatezza la treccia.
Le sue dita la afferrano con dolcezza e percorrono per intero tutta la sua lunghezza, fino ad arrivare al laccetto nero che la tiene: lo slega.
Ora i capelli mi cadono sul viso; li scansa leggermente dai miei occhi, e poi sorride, compiaciuto.
« Così però è meglio. »
Vede che non dico nulla, non ho nessuna reazione -almeno esterna: dentro, sto bruciando come se qualcuno mi avesse dato letteralmente fuoco.
« Buona giornata, allora » dice infine, voltandosi e entrando in camera di Nicola.
Rilascio un sospiro di sollievo solo quando la porta si chiude dietro le sue spalle, e mi sento libera di uscire di casa (anche se con un groppo in gola.)

 

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Spazio di Alice:

Piccolo particolari:
Salve :D Scusate il mostruoso ritardo ma l'inizio della scuola mi ha tenuto un po' occupata.
Queste note saranno davvero cortissime: mi scuso per i molti errori del testo (ho molo sonno e penso di essermi persa parecchi orrori grammaticali) ma ho riletto quattro volte e non trovo null'altro.
Insomma, secondo capitolo! Si incominciano a esplorare alcune dinamiche.
Nulla, un bacio, un abbraccio, se vi va lasciate un commento sia negativo che positivo -fanno sempre piacere tutti e due, e ci sentiamo al prossimo aggiornamento!
Baci :*

 

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