The Exile

di felsah
(/viewuser.php?uid=684853)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La processione di guardie e cavalli sembrava interminabile ***
Capitolo 2: *** Il ciondolo dondolava davanti ai suoi occhi ***
Capitolo 3: *** Stai calma, andrà bene ***
Capitolo 4: *** La mattina ***
Capitolo 5: *** Le risate acute di Anna riuscivano a sentirsi dal corridoio ***
Capitolo 6: *** Vedo l’altra metà del mio cuore ***



Capitolo 1
*** La processione di guardie e cavalli sembrava interminabile ***





The Exile



Capitolo 1
La processione di guardie e cavalli sembrava interminabile






 
Se la mia sorte vuole che io diventi re, ebbene:
la sorte può incoronarmi senza che io muova un dito.
[Shakespeare, Macbeth]



 


 
La processione di guardie e cavalli sembrava interminabile agli occhi della piccola principessa, che cavalcava insieme a uno dei soldati, avvolta in un mantello scuro. Le ciocche dei suoi capelli, così chiare da sembrare bianche, apparivano stranamente luminose alla luce della luna, che seguiva pazientemente gli spostamenti di quel corteo.
Elsa non riusciva a smettere di fissare il vuoto, la fronte leggermente corrugata, e pensieri così intensi le sfrecciavano nella mente uno dopo l’altro in rapida successione che avrebbe desiderato poter smettere di esistere in quello stesso istante. Le immagini che vedeva erano sempre le stesse, sempre più vivide, invece che confusi come dovrebbero essere i ricordi. Anna e l’incidente. La sua ciocca bianca. La profezia.
Il viso di sua madre e le lacrime che aveva cercato di nascondere. Non sapeva nemmeno se l’avrebbe rivista.
Elsa aprì in modo maldestro il ciondolo rotondo che aveva al collo, rivelando i visi dei suoi genitori che la fissavano austeri da un piccolo ritratto. Sembrava che anche lì la stessero rimproverando.
Perché era tutta colpa sua se ora stava andando via.
Se solo non si fosse alzata dal letto quella mattina, se solo non avesse accontentato i capricci di sua sorella, se non fosse scivolata…se…se. Forse sarebbe successo comunque, prima o poi.
Il nitrito di un cavallo la riportò alla realtà e si girò appena in tempo per vedere un uniforme verde sbalzata giù dal suo cavallo, con una freccia piantata in pieno petto.
L’animale s’imbizzarrì prendendo a correre furioso, e così qualcun altro.
“Un’imboscata!” urlò il capitano. Lo sentì ripetere da altri. Le loro voci confuse rimbombavano in quel tratto di foresta, e mentre guardava tra gli alberi, come avesse sperato di vedere chi aveva scoccato quel bastoncino portatore di morte, i soldati con il compito di proteggerla parlavano della sua sicurezza. Mentre delle ombre minacciose uscivano a man a mano dal fogliame, l’uomo che l’accompagnava incitò il cavallo, con il cuore in gola. Elsa riusciva a sentirlo tremare e se ne stupì. Gli vide la paura negli occhi quando si voltò verso di lui, mentre correvano via. Correvano via.

La bambina si strinse saldamente al pomo della sella, per non rischiare di cadere. Sembrava il più importante dei suoi pensieri in quel momento. Sentiva il vento correre insieme a loro, insinuandosi prepotentemente dentro il suo mantello. Sentì l’uomo dietro di lei rantolare e lo vide scivolare giù dalla cavalcatura rigido come un pezzo di legno, con gli occhi cerulei spalancati. Il cavallo continuò a correre così veloce che non ci volle molto perché cadesse anche lei, nonostante si stesse tenendo con tutte le sue forze.
L’urto fu così doloroso da strapparle un urlo, mentre metteva avanti le mani per proteggersi. Non servì a molto. Atterrò sul terreno sassoso e coperto di sfoglie, sbucciandosi le ginocchia.
Sentì il ghiaccio concentrarsi dentro la stoffa dei guanti lacerati. Provò ad alzarsi, ma barcollò pericolosamente e dovette appoggiarsi al tronco di un albero per non scivolare di nuovo.
Ma lasciò che succedesse, perché non aveva abbastanza forza per opporsi all’inevitabile. Guardò per un attimo i visi sul medaglione aperto e poi i suoi occhi si chiusero, lasciando spazio a un nero mostruoso.

 

 
13 anni dopo


“Allora? Hai finito il trattamento di bellezza?”. Hans si fece strada attraverso la boscaglia, scostando gli arbusti più bassi con le mani ed entrò nella casupola di legno.
Sorrise e scosse la testa con fare divertito non appena vide la persona cui la domanda era rivolta esattamente impegnata a fare ciò che si aspettava. Elsa era china su una bacinella piena di pece e la stava spalmando piano sulla sua chioma bionda, rendo i suoi capelli di un nero intenso.
“Trovo che il tuo colore naturale sia molto più bello” sbuffò Hans, appoggiandosi allo stipite della porta, “non riesco a capire perché lo disprezzi in questo modo”.
“Buongiorno principino, come mai così mattiniero?” domandò la ragazza, smettendo per un attimo quello che stava facendo per guardare il suo interlocutore.
“Ero troppo di buon umore per stare a letto” mentì lui, allungandosi per afferrare una mela dal cestino lì accanto. “ Così sono scappato dalla finestra per correre qui da te, dolce donzella. Sapevo che ti avrei trovato sveglia con questo schifo sui capelli, lo fai ogni inizio del mese”. Diede un morso al frutto, mentre Elsa tornava alla sua tintura. “Non mi hai risposto, però”.

“Tu non mi hai fatto nessuna domanda” obbiettò lei.
“Perché rovini i tuoi capelli, intendo”.
“Non hai fatto una domanda, era una constatazione”.
“Perché?”. La fissò con occhi di sfida.
Elsa lo guardò con un sorriso beffardo da dietro le ciocche di capelli gocciolanti di quel miscuglio scuro. “Primo, non li rovino affatto. Secondo, perché i miei capelli naturali sono bianchi, ecco perché”.
“Sono biondi” la corresse lui, “non bianchi”.
“Non c’è alcuna differenza”.
“Sì che c’è. E’ come portare la gonna o portare i pantaloni” la sbeffeggiò, lanciando una rapida occhiata ai calzoni che la ragazza portava.
Forse era addirittura un paio dei suoi, perché a volte gliene aveva regalato alcuni, ma non poteva esserne certo.
“Sei qui per criticare tutto quello che faccio?” chiese lei con voce dura.
“Assolutamente no, capitano!”. Lui le sorrise e tutta l’asprezza della voce di lei sparì in quel momento. Elsa accennò a un sorriso e gli lanciò il panno che aveva tenuto vicino alla bacinella per pulirsi le mani.
Lui si scostò appena in tempo, evitandolo.
“Allora…cosa vuoi fare?” chiese lei, posandosi le mani sui fianchi. Hans la fissò per qualche minuto e i pensieri che lo avvolgevano sempre quando si soffermava un po’ più del necessario su di lei si fecero intensi. Probabilmente lei era stata l’unica cosa che gli aveva permesso di tenere i piedi ben saldi per terra. Sin da quando era solo una bambina spaurita arrivata nelle Isole a bordo di una nave di merci, senza genitori né amici. Stando a quanto le aveva detto lei, i suoi erano morti e l’uomo che l’aveva portata fin lì non sembrava conoscere molto altro.
Aveva sempre la vaga sensazione che lei gli nascondesse qualcosa, ma non gliene aveva mai parlato. Aveva accettato la sua amicizia come la può accettare il tredicesimo fratello dimenticato, un bambino solo e bisognoso di un compagno di giochi.
Elsa si era dimostrata spesso poco disposta a giochi movimentati, ma in compenso era stata un’ottima compagna di studi e nella vita di tutti i giorni. A poco a poco si era sistemata a palazzo e tutti si erano abituati a vederla come fosse stato il suo posto da sempre. L’amichetta di Hans, così la chiamavano ancora alcuni dei suoi fratelli con tono un po’ più malizioso di quanto non facessero prima.
E pensare che non si erano mai scambiati più di qualche pacca sulla spalla.
Nonostante tutto a volte Elsa tornava, come quella mattina, nella casa dell’uomo che l’aveva portata con sé dal Nord. Sembrava più tranquilla ogni volta che era lì. Eppure anche nel palazzo, al cospetto di nobili e corte, aveva quella grazia e quella compostezza che avrebbe fatto invidia a qualunque fanciulla. Hans l’aveva vista talmente di rado con un bel vestito però che una volta gliene aveva addirittura fatto arrivare uno all’ultima moda dalla Francia per costringerla a metterselo.
“Una passeggiata a cavallo?”.
“Andiamo” sospirò Elsa, “ prima che cambi idea”. Lei odiava i cavalli, e forse odiava cavalcare ancora di più. Il principe rise, e la spinse leggermente fuori dall’uscio mentre lei si infilava un paio di guanti color panna. Passeggiarono tra gli alberi che separavano il villaggio dal retro del castello, dove si trovavano le stalle. L’odore della resina impregnava l’aria fresca che si posava sulle loro teste. Rimasero in silenzio per un po’, ognuno preso dai propri pensieri. Nella pace di quel luogo quasi idilliaco si sentiva solo il rapido cinguettare di qualche uccellino, e il suo librarsi nell’aria.
Presto comparve anche l’odore di cavallo e sudore, e quanto entrarono il ragazzo che si occupava delle scuderie era già lì a sbrigare il suo lavoro.

Lì salutò e preparò per loro due cavalli. Quando furono montati in sella, presero il solito sentiero che percorrevano durante la caccia. “Sai…in realtà…ho…ho da dirti una cosa. O da chiedertela” fece lui, dopo un po’, “è per questo che sono venuto a cercarti prima del solito. Non sono riuscito a chiudere occhio”.
“Cosa è successo?” chiese Elsa allarmata, tirando le redini appena, perché il cavallo si fermasse. Hans fece lo stesso.
“Non è una notizia spiacevole, tranquilla” la rassicurò lui, “ o almeno, non credo”. Accennò a un sorriso.
Lei rimase in silenzio, in attesa.
“Sono stato invitato ad andare al Nord, ad Arendelle ” la vide sussultare, “ per rappresentare il paese durante alcune trattative politiche. E’ un’occasione decisamente speciale, il mio grado potrebbe non rimanere per sempre quello di ammiraglio” tentò di scherzare.
Lei sorrise, ma presto la gioia per una sua possibile promozione svanì. “Vorrei che tu venissi con me” lo sentì dire. Il suo cervello pensò a un miliardo di cose contemporaneamente e tutte svanirono abbastanza in fretta. Le parole uscirono dalle sue labbra prima che potesse rendersene conto.

“No” sputò acida, “io non ci vengo”.
“Mi lasci solo?”
Elsa spronò il cavallo e procedette la passeggiata mentre Hans, pur rimasto un po’ indietro, stupito dal suo gesto, tentava di seguirla.
“Perché?” chiese, con il fiatone.
“Non ci voglio venire e basta”.
“Puoi darmi una risposta che abbia un senso, per favore?”. Lei incitò ancora il cavallo, nonostante forse avesse più paura di galoppare di quanto non pensasse. Lui alzò gli occhi al cielo, ma poi pensò a una possibilità che non aveva mai voluto accettare.
“E’ da lì che vieni?” urlò Hans irritato, “ è la tua città?”. Lei proseguì.
“Lo è?!”. La sorpassò, bloccandole la strada e il suo cavallo si arrestò di colpo. “Elsa, dannazione!”.
Si pentì di quelle parole non appena vide il suo viso rigato da lacrime, che lei cercava di nascondere, asciugandole con la manica della camicia.
“Non ci vuoi tornare? Al Nord, intendo ”. Lo chiese, nonostante il volto della ragazza parlasse da solo.
“Non…io non lo so”.
“Elsa…”. Lei fu percorsa da un brivido al suo suono della voce di lui che pronunciava il suo nome con quella dolcezza. Tra loro c’era sempre stato tanto, ma mai la tenerezza. Il suo cuore vibrò. Hans si avvicinò ancora di un poco, alzandole il mento con la mano e lei si sforzò di simulare un sorrisetto.
“Guarda che non mi imbrogli, ragazzina, prima o poi mi dirai tutto”. Sapeva benissimo che non sarebbe stato così lei non lo avesse voluto, ma lo disse comunque.  “Parto tra una settimana” continuò, “ se cambi idea…”.
“Lo so”.



 
*

Sentì che quella terra che si sgretolava, quella terra su cui posava i suoi piedi scalzi, dietro cui sventolava la stendardo delle Isole del Sud, non le apparteneva più di quanto non le appartenesse la tintura nera che mascherava il colore dei suoi capelli. Lasciò che il vento le accarezzasse la pelle bagnata insinuandosi tra i vestiti e improvvisamente la voglia di tornare a casa fu più forte.
A  casa. Quella parola era come una brezza fresca in un giorno di torrido caldo. Finalmente aveva la soluzione.



 
*
 
Stesa tra le lenzuola morbide, Elsa faceva dondolare il ciondolo tondo che conteneva il ritratto dei suoi genitori davanti ai suoi occhi. Hans sapeva molte cose di lei, sapeva del suo potere, ma non sapeva che le persone ritratte all’interno della collana erano un re e una regina. Non sapeva chi era lei veramente. Affondò ancora di più sotto le coperte e per la prima volta dopo anni, si decise ad aprile il piccolo ovale che conteneva i due volti. Accarezzò la pittura servita per plasmarli e tentò di ricordare le loro fattezze reali. Chiuse gli occhi, tenendo il ciondolo sul cuore.
Ricordava poco di come era arrivata lì. L’imboscata era ancora vivida nella sua mente e ancora spaventosa, ma non sapeva cosa fosse successo dopo.
Si era ritrovata su una nave mercantile, sotto la protezione di un vecchino gentile e divertente, e sapendo che non sarebbe comunque potuta tornare a casa, lo aveva seguito.
I suoi genitori la stavano mandando via, no?
La sua bocca si piegò in una smorfia e le lacrime furono inevitabili. Come odiava i suoi capelli, come odiava la magia che le pizzicava il corpo, come odiava. Come odiava.
La tristezza nel suo cuore di bambina si era trasformata pian piano in qualcosa di più profondo, e nonostante provasse molto odio, specialmente verso se stessa, sapeva che non sarebbe mai riuscita ad odiare i suoi genitori.
Non era però a loro che aveva pensato nelle notti più difficili, quando la nostalgia si faceva più forte di qualsiasi altro sentimento. In quelle occasioni si stendeva a letto e il ricordo di Anna cancellava tutti gli altri.
Si divertiva più di qualunque altra cosa a immaginare come fosse diventata. Una giovane donna, ormai. E allora cercava il suo viso in quello di chiunque le somigliasse un poco e continuava quel gioco nei suoi pensieri.
Probabilmente a quel punto, Anna non ricordava nemmeno di avere una sorella, o di averla mai avuta. Forse i suoi genitori avevano avuto altri figli, e lei era stata dimenticata. Forse.
Chi avrebbe voluto al suo fianco una persona come lei? Tranne Hans, che la cercava in continuazione. Premette la testa sul cuscino, tentando di frenare le lacrime. Il ghiaccio aveva ormai ricoperto quasi la metà del letto, senza che lei quasi se ne accorgesse. Quel letto preso in prestito in quella camera in prestito, in quel palazzo dove niente era suo. Non ci dormiva quasi mai, perché l’odore che impregnava le lenzuola le ricordava quello che aveva sentito anni prima da bambina, ma quella notte aveva voluto provare.
Provare a ricordare.
Furono quei ricordi che due giorni dopo la portarono ad essere sul ponte di una nave, in compagnia di uomini che la guardavano come fosse stata una rarità esotica.
“ Le donne non si vedono spesso, ragazza” , le aveva spiegato un vecchio marinaio, “non sulle navi. Dovrai abituarti se vuoi resistere fino all’arrivo al Nord ”.
“La mia voglia di non arrivarci mai sta aumentando” commentò sarcastica all’orecchio di Hans. Lui rise e le afferrò una mano, “Grazie, so che lo hai fatto per me”.
“Veramente…non so ancora perché l’ho fatto”. Sciolse la stretta, dirigendosi sorridente verso la sua cabina.
“Quando lo scopri fammelo sapere, testa dura…”.
Lei fece la linguaccia, ma poi lo rassicurò, “Sarai il primo a saperlo” e scomparve nei suoi alloggi.



 
*

“ Sì, che è vero! Non me lo hai detto affatto!”.
“E invece sì, devo avertene accennato per forza!”.
Le urla erano così forti che gli uomini sul ponte erano immobili, ad ascoltare l’evolversi della discussione, nonostante questa provenisse dagli alloggi privati del principe Hans.
“Ah, accennato! Ma nemmeno quello hai fatto, perché sono più che sicura che se me lo avessi detto, mi sarei rifiutata di accompagnarti. E infatti non lo farò”.
“Vuoi buttarti giù dalla nave, forse? Ormai sei qui”.

“Intendo al ricevimento. Puoi andarci da solo, o con uno dei tuoi uomini per quanto mi riguarda. Io rimarrò sulla nave dall’arrivo fino al giorno del rientro”.
“ Per Dio, non essere sciocca, Elsa! Cos’è che non ti va a genio nell’idea di incontrare la famiglia reale? “ urlò Hans, alzando gli occhi al cielo per l’ennesima volta, “quando ti ho detto che andavo ad occuparmi di affari politici era sottinteso che dovessi incontrare il re e la regina. E che tu dovessi accompagnarmi a balli e altre sciocchezze date in onore di una possibile alleanza”.

“E come spiegherai la mia posizione al tuo fianco? Sentiamo, sono curiosa”. Elsa incrociò le braccia, sfidandolo con lo sguardo e rimase in attesa, sperando di essere riuscita a cambiare argomento.
“Dicendo qual è la tua posizione”.
“Ma io non ho una posizione, Hans!”. Elsa  appoggiò le mani al grande tavolo di legno che occupava quasi metà della cabina, facendo scivolare alcune mappe, “ Né nel tuo reame né nel loro”.
“Se mi avessi lasciato parlare, piccola vipera che non sei altro” mormorò lui con un sorrisetto che non prometteva niente di buono,  “scopriresti che tu hai un titolo, nel mio reame”.
Raccolse una delle carte che lei aveva fatto cadere e gliela porse, per poi ritirare immediatamente la mano quando lei stava per afferrarlo.
“Cos’è? Non sono in vena di giochetti” sospirò.
“E’ la carta” gliela pose di nuovo sotto gli occhi, “che testimonia la tua posizione di jarl di quasi metà delle mie terre”.
“Mi ha ceduto metà della tua eredità?” Lei sbarrò gli occhi e riuscì a strappargli il foglio di mano.
“Non contano poi molto per me, sono solo pezzi di terra. Ma se possono servire a far rimanere chi è veramente di valore…le cederei tutte”. Elsa quasi non lo ascoltava mentre lui parlava. Leggeva le righe su quel foglio senza capire nulla e capendo tutto contemporaneamente.
“Mi hai posto al pari di una principessa per farti accompagnare a degli stupidi ricevimenti?”.
“Non solo per quello” confessò lui, “ una posizione ti serviva da tempo”.
“Beh, ma non così alta!” ribatté lei, inorridita, lasciando che la carta ritornasse al suo posto sulla scrivania. “Io non sono una principessa, Hans” sussurrò con gli occhi venati di tristezza, “ non voglio esserlo”. Le ultime parole furono un singhiozzo, mentre cercava di uscire dalla stanza, “ per cui non chiedermelo”.


 



Ta da da dan! Rieccomi qui con una nuova scemenza in corso! *-* Allora, per rassicurare subito tutti voi, vi avviso che so già di per certo che questa fan fiction avrà sei capitoli + un 7 non-capitolo/non-epilogo che sarà una via di mezzo tra le due cose, per concludere in bellezza! Come lo so? Perchè ho finito di scriverla ieri sera, ed essendo tutta già scritta (solo da revisionare un pochetto) posso darvi questa sicurezza. Credo inoltre che sarò, sempre per lo stesso motivo, abbastanza veloce ad aggiornare. (Credo!)
Ne approfitto inoltre per chiedere scusa a chi segue "Cose da re e regine", dicendo che la colpa per il ritardo dell'aggiornamento è stata tutta a causa della mia frenesia di scrivere questa cosa invece dell'altra storia. E' nata davvero dal nulla nella mia testolina, mentre percorrevo una solita banalissima strada con la musica ad aiutarmi nel processo creativo e non le ho proprio potuto resistere! Spero che l'idea quindi vi piaccia. E' stata una cosa scritta per puro piacere personale, quindi, nonostante tratti argomenti abbastanza delicate come la famiglia, i diversi tipi di amore ed affetto, non sarà "pesante" possiamo dire, e forse alcuni punti (lo scoprirete leggendo) che avrei dovuto sviluppare alla fine non daranno frutti. E' una helsa mancata a mio parere, anche perchè in principio doveva essere esclusivamente quello...poi mi è uscita meno helsa e più elsa&lasuaincantevolefamiglia. Stavo impazzendo per trovare il titolo oltretutto...dopo tre giorni che rompevo le scatole a tutti mia sorella mi ha consigliato addirittura, "Chiamala La Storia a cui non riesco a trovare un titolo!" XD Finalmente poi ce l'ho fatta, anche se ancora non mi convince molto...
Va bene, mi auguro che la vostra lettura sia stata piacevole e che i miei sporloqui non vi abbiano annoiato troppo!
Un bacione!
felsah
ps. un'ultima cosa! ho fatto un po' di ricerche per conoscere i titoli nobiliari norvegesi nel medioevo, così da dare una posizione alla povera Elsa, e poi ho trovato jarl. Teoricamente, lo jarl norvegese, non era proprio un principe o principessa che sia, ma era comunque il pari più importante dopo il re (e i suoi eredi ovviamente).
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il ciondolo dondolava davanti ai suoi occhi ***


The Exile



Capitolo 2
Il ciondolo dondolava davanti ai suoi occhi




 

 
Io non posso gioire
lunge da voi, che siete il mio desire;
ma 'l mio pensier fallace
passa monti e campagne e mari e fiumi;
e m'avvicina e sface
al dolce foco de' be' vostri lumi;
e 'l languir sì mi piace
ch'infinito diletto ho nel martire.
[Torquato Tasso, Rime XXIII]



 
 
Il ciondolo dondolava davanti ai suoi occhi, mentre teneva la cordicella tesa, e nonostante fosse chiuso, poteva vedere i volti dei suoi genitori che si alternavano rapidi nei suoi pensieri. Ora Idunn, ora Agdar.
Ad un tratto Elsa lo afferrò tenendolo stretto nel pugno destro.
Si preparò a lanciarlo nell’acqua, che nel buio della notte appariva nera, quando la voce di Hans la colse di sorpresa, facendolo cadere sulla passeggiata in legno con un piccolo tonfo.
“Non si dovrebbero sprecare così le cose di valore, quel ciondolo è d’argento, sai?”.
Lei fece una risatina sarcastica e lo osservò mentre lo raccoglieva. Glielo porse e lei lo afferrò con fare sgarbato, riallacciandoselo al collo. “Sei ancora arrabbiata con me?” chiese.
“Non sono arrabbiata” precisò, “ ma avresti dovuto dirmelo prima”.
“No, sei solo infuriata come pochi possono essere” la sbeffeggiò Hans, “ ti conosco troppo bene, e se ne accorgerebbe chiunque possa darti un’occhiata”.
“E allora?”.
“E allora non mi va che tu sia arrabbiata” rispose, “ non per una sciocchezza simile”.
“Non vuoi che io sia arrabbiata, o che sia arrabbiata con te?” chiese lei, a braccia conserte. Lo osservò per qualche minuto prima distogliere lo sguardo.
“Arrabbiata” fece lui semplicemente, prima di aggiungere, “ e arrabbiata con me. Non ora”.
Elsa sospirò. “Ti prego, ho bisogno di te” la supplicò Hans, cercando i suoi occhi.
“ Credo di essere io quella che ha bisogno di aiuto” mormorò la ragazza, “ non so se ce la farò”. Abbassò gli occhi, fissando con una cura ossessiva le sue scarpe lucide.
“Elsa…” lei alzò gli occhi e li incrociò a quelli del principe, “ non so perché tu abbia così paura, e se non me lo vuoi dire, non ti costringerò, ormai lo sai, ma…”.
“So anche che verrai a sapere tutto, in qualche modo, e ho paura”.
“Non averne” le sorrise, “ tu sei una tempesta…una forza, e sopravviverai a tutto”.
“Sopravviverò…”.
“Esatto”.


 
*

Il viaggio in mare durò ben quattro giorni, in cui i due ebbero tutto il tempo di litigare e riappacificarsi, litigare ancora e di nuovo tornare d’accordo.  Il profilo del porto di Arendelle era già visibile nella mattinata del quinto giorno e Elsa si fece prestare uno dei cannocchiali in dotazione ai marinai, scrutando l’orizzonte per diversi minuti, sotto lo sguardo curioso del suo accompagnatore.
Giustificò la sua curiosità dicendo, “Non l’ho mai vista in vita mia, non posso essere curiosa?” e Hans, che stava passando sul ponte in quel momento alzò gli occhi al cielo, proseguendo per andare a discutere con il comandante a proposito dell’arrivo in porto. Dal momento che per tutto il soggiorno sarebbero stati ospiti del palazzo, dovevano disporre tutto perché andasse come previsto.
Elsa rimase incollata al cannocchiale fino a che non venne il momento di scendere.
Avevano visto il profilo del fiordo di mattina presto, ma quando sbarcarono li circondava già la brezza fresca della sera. Una fila di guardie nell’uniforme verde oliva che Elsa conosceva fin troppo bene, li attendeva con fare solenne, ma notò con sollievo che i suoi genitori non c’erano. D’altra parte, non era compito dei reali accogliere gli ospiti al porto, e si diede della sciocca per aver pensato a quella possibilità anche solo per un minuto.
Non sapeva come sarebbe stato vederli di nuovo, ma al solo pensiero il sangue le ribolliva nelle vene, facendola tremare come una foglia. Il solo mettere il piede in quei luoghi conosciuti, o la vista di quelle uniformi che avevano popolato i suoi incubi per un lungo periodo era più che sconvolgente. Batté le palpebre parecchie volte, per accertarsi di essere davvero sveglia.
Anche se più che un sogno, quello le pareva un bizzarro incubo. Si era ripromessa che non avrebbe mai più messo piede ad Arendelle, e adesso eccola lì.
Hans, al suo fianco, le offrì il braccio con un sorriso prima di scendere dalla passerella, e lei guardò la sua euforia e giovanile eccitazione, e infilò il suo braccio tremante attorno a quello che le veniva offerto. Il principe se ne accorse, ma non disse nulla e lei gliene fu grata.
Il capo delle guardie, sempre lo stesso da che Elsa ne aveva memoria, si esibì in un breve inchino. “Spero che le Loro Altezze abbiano fatto un buon viaggio”.
Lei cercò di scrutare il viso del principe a quelle parole, per capire se si stava rivolgendo anche a lei con quel nome, che ormai non sentiva più applicato a se stessa da diverso tempo. Ma lui non la guardava.
“Assolutamente” rispose Hans con fare deliziato, “ il mare è stato il più calmo che si sia mai visto”. Dal suo tono di voce capì che si stava divertendo e si sentiva importante. La gomitata che lui le diede, aspettandosi che dicesse anche lei qualcosa, la lasciò senza fiato per qualche minuto.
“Deliziosa traversata” mormorò alla fine, tentando ancora di riprendersi dal colpo.
“Ne siamo davvero felici” mormorò l’uomo con voce incolore, “io avrò l’onore di scortarvi fino al palazzo. Le loro Maestà vi hanno assegnato delle stanze, e sperano che vorrete unirvi a loro per la cena”.
“Senza dubbio”.
“Prego, vogliate seguirmi”.
Non ebbero nemmeno il tempo di far chiudere lo sportello della carrozza che li avrebbe portati a palazzo che Elsa sussurrò tra i denti, “Ecco. Ora sono arrabbiata”.
“Non lo essere, non ce n’è motivo. Questa sera devi essere deliziosa come solo tu sai essere, e sorridere”.
Lei lo guardò per qualche minuto con fare sgomentato. “Ma certo vostra altezza, tutto quello che vostra altezza desidera” lo sbeffeggiò per poi spostarsi nel sedile di fronte al suo. Incrociò le braccia al petto, lasciandosi scivolare pigramente.
“Sai cosa intendo”.
“No, non lo so veramente”.
“Solo di non farti prendere dal panico” precisò lui. Si spostò accanto ad Elsa, e prese una sua mano tra le sue. Lei lo lasciò fare senza dire nulla e cercò di usare quel contatto per far sbollire la tensione crescente.


 
*

 Giunti a palazzo, furono loro assegnate due delle più belle suite per gli ospiti. Mentre Hans veniva trascinato via per il corridoio da uno stuolo di domestici, Elsa soffocò un gemito di terrore e lasciò che le domestiche al suo servizio per quel soggiorno la portassero dalla parte completamente opposta. Camminava lentamente, come se i suoi piedi fossero stati incredibilmente pesanti, e ad ogni respiro sentiva il ghiaccio artigliarle le dita da sotto i guanti e intrufolarsi nelle sue scarpe. Era tutto esattamente come lo ricordava.
Oltrepassarono la galleria e le armature – sempre lucide e in ordine - , mentre Elsa teneva gli occhi fissi a terra, per impedirsi di vedere qualche ritratto che avrebbe potuto metterla in agitazione più di quanto non fosse già. Sapeva che in uno di quei quadri, doveva esserci anche lei. Sempre che i suoi genitori non lo avessero coperto,  e poi, con il tempo, rimosso. Salirono un’ampia rampa di scale, per poi ritrovarsi nell’ala della nursery. Elsa scorse la porta della sua vecchia stanza da letto e i suoi occhi vi rimasero incollati fino a quando non sparì. A
nche quel corridoio fu oltrepassato e lei giunse finalmente nella camera a lei destinata.
Le fu aperta la porta, e dopo che tutto quel personale inutile si fu allontanato, lei rimase sola al centro dell’enorme stanza dalle pareti color prugna. Rimase lì in piedi per un tempo interminabile, a contemplare il vuoto davanti a sé. Teoricamente, quella solitudine sarebbe dovuta servire per farla riposare, ma lei non ne aveva alcuna voglia, ed oltre a non sentirsi per nulla stanca, era troppo tesa per permettersi anche solo di provare il letto.
Cominciò una perlustrazione della stanza, toccando mobili e soprammobili come se non li avesse mai visti prima o fossero per lei una cosa nuova, aliena. Sfiorò le tende con la punta delle dita guantate fino a che non si decise a tirarle, scoprendo la grande finestra della stanza. La luce pallida della prima sera filtrava debole e lei rimase a contemplare la vista, che dava sulle montagne, coperte dalla fitta vegetazione.
Quel paesaggio le era mancato più di quanto lei stessa osasse immaginare. Sotto il palmo della sua mano poggiata sul vetro cominciarono a formarsi piccoli spruzzi di ghiaccio, andando a ricoprirne una piccola parte. Lei ritrasse la mano e si affrettò a scrollarlo via.

Fu il suono di una risata argentea a distoglierla per un attimo dai suoi pensieri. Fu un secondo, e altrettanto velocemente vide la porta della sua stanza aprirsi dall’esterno e richiudersi con un tonfo. Si girò appena in tempo per vedere una ragazza in un delizioso abitino verde, che incollata alla porta, con la mano ancora stretta sul pomello, riprendeva fiato, respirando affannosamente, ad occhi chiusi.
Sulle sue labbra aleggiava ancora l’ombra di un sorriso. Non doveva essere poi tanto più piccola di lei, si ritrovò a pensare Elsa, imbarazzata come non mai.
Non sapendo cosa fare, si schiarì la voce, nel tentativo di attirare la sua attenzione. D’altra parte, quella non era più casa sua.

 La ragazza, che aveva lunghi capelli rossi acconciati in due trecce, aprì gli occhi, notandola solo allora. Arrossì e portò due mani alla bocca.
“Scusate, scusate davvero!” cominciò, “io…ecco, non c’è mai nessuno in queste stanze e così…insomma sono entrata per…ma non fa niente, piuttosto non vorrei aver creato disturbo…sono davvero tanto dispiaciuta!”.
Elsa si ritrovò immobile nel punto in cui era, senza riuscire più a muovere un solo muscolo, paralizzata dalla sorpresa. Sembrava che nessuna parte del suo corpo volesse obbedirle. L’unica cosa che riusciva a fare era tenere gli occhi puntati su Anna, chiedendosi come aveva fatto non capirlo subito. Certamente era cambiata, e ormai era una bellissima giovane donna.
Nessuno dei volti che lei aveva pensato negli anni trascorsi da sola poteva renderle giustizia. Per un attimo provò un terribile vuoto pensando ai suoi capelli macchiati di pece e i suoi vestiti così inusuali: la sorella non avrebbe potuto riconoscerla nemmeno volendo. D’altra parte, non sapeva nemmeno se si ricordava di lei, e dopo qualche minuto realizzò che forse era meglio così.
Già. Era sempre stato meglio così. Senza di lei.

“Va tutto bene?”.
Elsa batté le palpebre, e si accarezzò la fronte con la mano destra. “Sì, sì “ riuscì a mormorare.
“Ne siete sicura?” domandò ancora Anna, guardandola incuriosita, “ Non vi ho disturbato?”.
“No” rispose lei, cercando di mettere su un piccolo sorriso, che si dimostrò essere assai convincente,” potete stare tranquilla”.
“Pensavo non ci fosse nessuno e…beh, è un po’ difficile da spiegare”.
“Non ne avete alcun bisogno” sorrise ancora Elsa. Anche se Anna non poteva sapere chi lei fosse, per un po’ la gioia di avere sua sorella davanti, oscurò tutti gli altri pensieri avuti in precedenza durante la lunga traversata.
“Voi siete una di quegli ospiti che aspettavamo dalle Isole del Sud, non è così?” chiese la principessa, avvicinandosi un poco. “Pensavo, insomma, credevo che non sareste arrivati prima di domattina”.

“Elsa” si presentò, cercando di capire l’espressione del volto della sorella al suono di quel nome. Fece un piccolo inchino. Quella d’altra parte, non sembrò mutare la sua allegria, né ricordarsi di qualcuno che potesse aver avuto un nome simile. “ E sì, probabilmente dobbiamo essere arrivati con un po’ di anticipo”.
Sorrise, al contrario, “Io sono Anna”.
Elsa lo aveva già capito, ma sentirlo dire da lei stessa fu come ricevere una scossa in pieno petto. Lo so, avrebbe voluto rispondere, e la sola cosa che non glielo permise furono tre veloci tocchi alla porta.
“Ehm…avanti”. Le due ragazze risposero all’unisono e rimasero una di fianco all’altra, mentre la porta si apriva, rivelando la figura di una domestica, alta e slanciata.
“Mi è stato detto di farvi avere questo, principessa” disse rivolta ad Elsa.
Lei non riuscì a far altro che prendere in mano la scatola che le veniva porta e ringraziare schiudendo appena le labbra. La posò sul letto, e slacciò piano i nastri che la tenevano chiusa. Riusciva a sentire lo sguardo curioso di sua sorella, mentre srotolava il bigliettino che le era scivolato tra le mani mentre la apriva e nello stesso momento, capì che l’unico a poter fare una cosa del genere, doveva essere stato Hans.
Stasera sarai in blu! recitava il foglietto. Le sembrò di sentire la sua voce mentre pronunciava quelle parole e le scappò una risatina. Alzò il coperchio, rivelando il corpetto di un vestito celeste, immerso in una gonna dello stesso colore, pieno di ricami sofisticati.
“Che meraviglia!” esclamò Anna, affiancandosi a lei per osservarlo meglio.
“Già…”. Si permise di accarezzarne piano la stoffa.
“Chi ve lo manda?”.
“Emh…Hans, cioè il principe Hans” balbettò, non sapendo come avrebbe dovuto presentarlo, “ mio fratello” fece poi, lanciando alla sorella un’occhiata nervosa. La prima bugia valida che le fosse venuta in mente.
“Sarete davvero spaventosamente bella con questo!” ululò gioiosa la principessa, mentre stringeva le mani, trasognata, “ma…beh, forse è ora che vada a preparami anche io. Penso serviranno la cena tra non molto”.
Elsa non seppe far altro che sorriderle ancora.  “Certo”.
“E…perdonate ancora l’intrusione, sono mortificata”.
“Vi assicuro, non avete creato alcun disturbo. E’ stato bello vedervi…insomma, conoscervi prima della cena”.
“Vedrete! Avremmo occasione di parlare questa sera…! A presto”.
La porta si chiuse e Anna scomparve così com’era apparsa. Elsa la riaprì piano e la guardò mentre correva via per il corridoio, seguendola con lo sguardo, come per accertarsi di non aver sognato. Le gambe le tremavano così forte che per un attimo temette di congelare la stanza. Strinse forte i pugni, e continuò a fissare il corridoio vuoto. Mosse un passo avanti, poi due, tre, e un altro, un altro.
I ghirigori viola della porta della nursery si mostrarono ai suoi occhi, e lei sfiorò la maniglia, tirandola piano. Chiusa a chiave. Per un attimo le lacrime le salirono agli occhi. La porta era chiusa, proprio come se lei fosse stata ancora lì dentro, una prigioniera in casa propria, una principessa nella torre.
“Che diavolo ci fai lì?”.
Elsa sobbalzò. “ Grazie al cielo, sei tu!”.
Hans rise.
“Ma perché ridi? Mi hai spaventato a morte!”.
“ Ammettilo, è stato divertente”.
“ Niente affatto”.
“ Come vuoi. Perché non sei ancora vestita piuttosto? Hai avuto il mio regalo?”.
“Sì” mormorò lei, “è in camera. Che cosa è quella?”. Indicò la scatola che lui aveva in mano, di dimensioni decisamente più ridotte rispetto alla precedente.
“Questa” rispose lui, “è la collana”. Gliela porse per avere le braccia libere.
“Ti sei dato proprio un bel daffare per il mio guardaroba, eh?”.
“Vieni!”, Hans la sollevò da terra, “andiamo a vestirci, non mi farai arrivare in ritardo”.
“Mettimi giù! Ora! So camminare! Hans! Hans!”. Le sue risate e i suoi strilli si confondevano.
“Sssh, dobbiamo sembrare persone civili, sai?” le intimò lui con un occhiolino, “ dov’è la stanza?”.
Elsa gli indicò la porta e lui la lasciò andare solo dopo averla oltrepassata. “Ora, indossalo. Voglio proprio vedere come stai, per una volta senza pantaloni”. Lei mostrò la lingua.
Poi un lampo di tristezza la attraversò. Il blu era anche il suo colore. Il colore di quella Elsa che non era più lei.


 
 

Buondì miei cari! Eccoci qui con il capitolo due :)
(Credo di non essere mai stata così veloce  *yeaaaah!*)
Che dire? Sono stata davvero felice del fatto che la mia idea sia stata apprezzata...diciamo che, nonostante io fossi "divorata dal fuoco della passione" (avevo perfino fatto un disegnino rapido del medaglione di Elsa e interni, ma ve lo risparmio, in quanto è solo una schifezza dell'ultimo minuto per mantenere l'idea fissa nella mia mente XD) mentre la scrivevo, quando mi è venuta la mezza idea di condividerla non ero proprio convintissima, perchè non sapevo se sarebbe piaciuta altrettanto, e invece...! Meravigliosa sorpresa! Quindi vi ringrazio davvero tanto tanto. Allora....ehm sì, in caso qualcuno se lo stesse chiedendo, Anna stava giocando a nascondino/acchiapparella o qualcosa di simile nella mia testa...quindi, è uscito quello che è uscito, l'importante è che volevo che rimanesse la ragazza solare e un po' pazzerella che è, e spero di esserci riuscita. Anche se forse questo rapido assaggio non è abbastanza e si vedrà meglio nei prossimi capitoli.
 Sto riguardando questo in cerca di qualcos'altro che potrei spiegare ma...non vedo nulla, quindi, se mi è sfuggito qualche dettaglio, chiedete pure e sarò felicissima di rispondervi.
Ah, ecco! Ovviamente, anche se l'avrete già capito tutti, per esigenze di trama ( e per non traumatizzare a vita la poverella!) il re e la regina di Arendelle, pur avendo compiuto l'infelice viaggio in mare (e capirete presto anche perchè lo hanno affrontato) sono ancora vivi.
Spero che vi sia piaciuto! A presto,
felsah :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Stai calma, andrà bene ***





The Exile




Capitolo 3
Stai calma, andrà bene







 
This waking nightmare
lingers.
When will the mirror
stop telling lies.
I don't know where
I've been.
Or where I'm going.
But I can't do it alone.
I'm reaching out.

Rescue Me
Show me who I am.
Cause I can't believe ,
this is how the story ends.
Fight for me.
If it's not too late.
Help me breath again.
No, this can't be
how the story ends.
[Rescue Me – Kerrie Roberts]

 
 




“Stai calma, andrà bene. Perché sei così agitata?”.
“Forse…” biascicò Elsa, “forse è meglio che vada a mettere i guanti?”.
“Se sei così agitata” rispose Hans in apprensione, senza staccare il suo sguardo da quello di lei. Non riusciva davvero a capire cosa potesse farla tremare così tanto, proprio lei, sempre così forte e decisa. Elsa nel frattempo fece due rapidi calcoli e decise che, “No, non li metterò”.
Sospirò con aria grave. L’altra Elsa li portava sempre, continuamente, costantemente.  E il fatto che il ciambellano l’avrebbe presentata come Principessa Elsa non aiutava di certo i suoi nervi a rimanere saldi. Immersa nella nuvola che era la sua gonna azzurra, non riusciva a sentirsi pienamente a suo agio.
Drizzò la schiena in un ultimo, disperato tentativo di coraggio e percorse il corridoio come fosse stata la navata che l’avrebbe condotta al martirio.
Hans, che le porgeva il braccio, riusciva a sentire il cuore sfondarle la gabbia toracica ad ogni passo.
La fermò a metà del corridoio. “Cosa?” fece lei.
“Che cos’hai?”.
“Lo sai, sono agitata. Tanto”.
“Intendo dire, cos’hai davvero?”.
“Niente” fece lei, sospirando ancora una volta, come se il corsetto non le avesse permesso di respirare. Aveva i brividi, lei, che non aveva mai avuto freddo in vita sua.
“Ti conosco da troppo tempo per non capire che niente, vuol dire uragano in arrivo”.
“ Ma questa volta no, te lo giuro”.
“E dovrei crederti?” domandò lui inarcando un sopracciglio, “ Elsa, per favore. Ci siamo sempre detti tutto. Perché ti spaventa così tanto incontrare queste persone?”.
Lei si accostò al muro, appoggiandovi un braccio, come se avesse dovuto riprendere fiato. “Non ti ho mai visto così indecisa in tutta la tua vita”.


“Io…”.
“Eri sempre tu a decidere per prima, a sapere cosa dover fare, o a dirmi che tutto sarebbe andato bene”.
“Hans…”.
“E, a casa, al castello, sei sempre venuta con me ai ricevimenti. Anche se poche volte” rise, “ lo ammetto”.
“A casa era diverso, Hans”.
“Cosa c’è questa volta di diverso? Cos’ha questo ricevimento, queste persone, che ti incute una simile paura?”.
Elsa si passò una mano tra i capelli, sentendo piccoli chicchi di ghiaccio infilarsi tra le ciocche tinte di nero. Il principe si avvicinò, prendendole dolcemente la mano.
Lei alzò gli occhi, e fece un respiro profondo, dopo averli chiusi.
“E’ solo uno stupido ricevimento” sussurrò a qualche centimetro dal suo viso, con un tono dolce e rassicurante, “ va bene?”.
Elsa appoggiò la testa al muro, interrompendo il contattato. Sarebbe tanto voluta scappare via di lì, e proprio ora, che arrivava il fatidico momento dell’incontro, non ricordava cosa l’avesse spinta a tornare laggiù. Con Anna non era stato così difficile, provò a convincersi. Anna non si era nemmeno ricordata chi fosse. E forse anche il resto della sua famiglia avrebbe fatto altrettanto. Famiglia. Quella parola faceva male come una freccia piantata in pieno petto, e allora, col tornare del dolore, capì perché era tornata.


“Sono i miei genitori” sussurrò, così piano che per un attimo lui pensò di aver capito male.
“Cosa?”. Il suo tono di voce era incredulo, e sperò con tutto se stesso che gli dicesse che non era vero, anche se sapeva benissimo che una confessione simile, fatta in quel momento di terrore, non poteva essere altro che la terribile, spaventosa, verità. E la verità ferisce sempre, che sia di seta o affilata come una lama. In quel caso, era la seconda.
“Sono i miei genitori” ripeté Elsa a voce più alta, come avesse dovuto convincersi lei stessa di quello che stava dicendo.
Le loro mani si sciolsero e loro occhi si incontrarono. Lei lo fissò con sguardo grave, ben sapendo di aver sciolto la terribile bugia che gli aveva detto anni prima. Che i suoi genitori erano morti, morti, morti. Che non era importante, lei non era che una bambina con luminosi capelli chiari  arrivata su una nave di prodotti mercantili.
Hans colpì il muro, il pugno serrato, arrivando quasi a sfiorare il volto di lei, che si ritrasse, respirando affannosamente.

“Tu…”. La voce di lui tremava. “Tu…”.
“Mi dispiace, Hans”. Quella di lei ancora di più e le lacrime non tardarono a scendere.  Rimasero in silenzio per diversi minuti, e lei girò, così che lui non potesse vederla piangere. Come fosse stato possibile per lui non accorgersene, che conosceva qualsiasi suo trucco. Incapace di fare qualsiasi altra cosa, dati i pensieri rabbiosi che gli si agitavano nella mente, si accasciò contro il muro, tenendo la testa premuta contro le ginocchia.
“Pensavo che tu fossi diversa” sussurrò giocando con i nastri della sua uniforme, mentre fissava il pavimento.
“Diversa?” chiese Elsa, “diversa come?”.
“Diversa dal branco di pecore che mi circondava quando sei arrivata da me. Diversa da…da tutto quello schifo. Invece sei proprio come loro”.
Mentre fissava i suoi occhi cerulei pieni di lacrime, dentro di lui infuriava la lotta tra cuore e cervello. “ Io ti ho sempre detto…qualunque cosa e tu…”.
“E così io!”.
“No!” quasi urlò, rialzandosi in piedi, “tu mi hai sempre riempito di bugie! Dannate bugie! Dall’inizio! Non sapevo nulla dei tuoi poteri, né della tua famiglia. C’è una cosa su cui tu non mi abbia mentito?”.
“ Sì, diamine!”. Ora urlava anche lei. “ Su di me! Su ciò che…ciò che abbiamo passato insieme. Quella ero io. Non ho mai mentito su ciò che provavo”.

“Ecco che menti di nuovo”.
“Mento?”.
“Devi dirlo tu a me. Io non so cosa provi. Non per me”.
“Ti voglio bene, Hans….io ti…sei, sei la persona più importante che – “.
“Non basta” la interruppe lui.
“Cosa non basta!? Pensi che non mi sia messa abbastanza a nudo, parlandoti della maledizione che ho sopra la testa? O semplicemente che venivo dal Nord, mentre ero in una terra straniera? Una terra, che per quanto poteva saperne una bambina, forse era nemica della mia ? Il resto era vero, era vero tutto quanto”.
“Perché non me lo hai detto?” domandò Hans, afferrandola per un braccio. “ Perché non dirmi chi erano i tuoi genitori? Io sarei stato dalla tua parte, Elsa, io lo sono sempre, dannazione!”.
“Avevo paura” singhiozzò lei. “Ho sempre paura. Ne avuto per tutta la vita”.
“Avevi paura anche di me?”. Il tono della sua voce si fece più carezzevole, e animò il suo cuore spezzato da quella confessione, mentre accoglieva tra le sue braccia la donna che amava.

Non l’aveva mai stretta, non così. La sensazione che gli diede fu così potente da fargli desiderare di stringerla di più, di abbandonare l’idea del ricevimento, rimanere così, almeno per un altro po’.
Rimanere così per sempre.
“No, ma…non sarei potuta tornare comunque. Quindi, perché dirti che…”.
“Che eri una principessa? Una principessa ereditaria? Perché dici che non potevi tornare?”. 
Elsa scrollò le spalle, tentando di scacciare via le lacrime. Hans le passò il fazzoletto che teneva nel taschino. “Mi stavano mandando via…quando sono finita nelle Isole”.
“Mandando via? Cosa vuoi dire?”.
“E’ una lunga storia”.
“Per colpa del tuo potere?” domandò lui, accarezzandole una spalla.
Lei annuì piano, mormorando un “quasi”.
“Beh, allora, dovrai proprio raccontarmelo, non credi? Un’avventura ”.
Lei abbozzò un sorriso, e la sua risposta fu interrotta dallo scocco dell’orologio a pendolo, che rimbombò per tutto il corridoio. “Stasera ne avremo tutto il tempo” le sussurrò Hans all’orecchio, “sei sempre sicura di voler scendere con me? Potrei sempre dire che ti sei sentita poco bene”.

“Sì” rispose lei, drizzando le spalle, “ come potrei rovinare la tua gloriosa cena? Hai bisogno di una dama al tuo fianco ”.
“Sei incredibile, sai?”. Le sorrise, sfiorandole appena una guancia,“ e qualunque sia il diavolo di motivo per cui è successo quello che è successo, non posso che esserne felice”.
Lei lo guardò, senza capire. “ Io ho avuto te”.
“Sì” mormorò Elsa, stordita da quella confessione, ancora con il sorriso sulle labbra, benché coperto di lacrime “e io ho avuto te”.
Lui le posò le mani sui fianchi, stretti nel corpetto, che racchiudeva la sua figura snella e sottile, attirandola a sé per un abbraccio.
Si strinsero per qualche secondo, dondolandosi in quella piccola tenerezza che si erano concessi.
“E’ la prima volta” sussurrò poi Elsa, con la testa poggiata sulla sua spalla. Anche se non poteva vederla, Hans sentì che sorrideva.
“Cosa?”.
“E’ la prima volta che mi abbracci”.
“Beh, allora dovremmo farlo più spesso”. Anche lui sorrise.
“Già”.


Si strinsero la mano mentre percorrevano il corridoio, fino a quando Hans non si fermò di nuovo. “Questo forse è meglio che lo tenga io…”.
Le slacciò il medaglione che portava al collo, con il ritratto dei genitori, e se lo infilò in tasca. “Non so quanto quei ritratti gli somiglino, ma se te l’hanno regalato penso riconoscano la fattura del ciondolo”.
“Credi che non noteranno nulla?” domandò lei, preoccupata.
“Con i capelli coperti da questa schifezza? Nah, puoi stare tranquilla…e poi, quanti anni avevi l’ultima volta che ti hanno visto? Cinque?”.
“Otto”.
“Ah” fece lui, fingendo di non saperne nulla, “otto…”. Le afferrò la vita, trascinandola giù per la rampa di scale a ritmo di saltelli, “solo otto…”. Lei rise, facendosi improvvisamente seria quando i gradini finirono.
“Smettila” intimò, “la sala da pranzo è dietro quell’angolo”.
“Agli ordini!”. Si guardarono un’ultima volta, prima di assumere l’atteggiamento più elegante e regale che sapevano sfoggiare. Spalle dritte, testa alta, portamento fiero: entrambi sapevano a perfezione l’etichetta che serviva per qualsiasi occasione, e così attesero nel salone d’ingresso che il re e la regina, e probabilmente anche Anna, entrassero. I minuti parevano non passare mai mentre aspettavano in piedi nell’enorme stanza, tanto che a un certo punto Elsa cominciò a battere i secondi sul pavimento, producendo un fastidioso ticchettio con i tacchi delle sue scarpe.


Il ciambellano che li avrebbe presentati, dietro di loro, era assente e incolore come le statue di marmo che adornavano le fontane all’esterno. Finalmente, le porte davanti a loro si aprirono, rivelando le figure del re e della regina: affianco a loro, Anna, in un abito verde, bello quasi quanto quello del loro incontro precedente.
Elsa smise di respirare. Guardò i volti di sua madre e suo padre, che non sembravano essere invecchiati di un giorno e il respiro le si mozzò in gola. Sperò di essere pronta a parlare quando sarebbe arrivato il momento, ma d’altra parte, sentiva che avrebbe preferito rimanere muta a contemplarli per tutta la sera. Se non ci fosse stato Hans a sostenerla per il braccio, probabilmente sarebbe caduta.
Il ciambellano ora parlava. Distinse a malapena le parole nella confusione della sua mente.
“Le loro Maestà…”.
“Il re e la regina…”.
Inchini.
“La principessa”.
Inchini.
“Il principe…”. Ancora inchini. Fino a che non sentì il suo, deformato nel titolo.
“La principessa Elsa, delle Isole del Sud”.


S’inchinò, cercando di non sbilanciarsi troppo con tutto il suo tremare, e quando rialzò la testa notò la smorfia che aleggiava sul viso di suo padre.
Disapprovazione?
Dolore?
Un triste tormento che non capiva. O forse era lui ad aver carpito il segreto che lei voleva mantenere a tutti i costi?
Ci furono una serie di parole che non ascoltò, parole di accoglienza e benvenuto, di amicizia da parte di entrambi. Riusciva solo a guardare i visi della sua famiglia con la fronte corrugata e uno strano brivido che le percorreva le braccia e le gambe. Finalmente, quando quella cerimonia fu terminata, furono liberi di andarsi sedere per la cena. Le sembrò di essere stata in piedi per ore, anziché per pochi minuti.
Fu fatta accomodare vicino ad Hans, al lato destro del tavolo: di fronte, i visi di sua madre e sua sorella, a capo di tutto, suo padre. Le pietanze cominciarono ad arrivare sulla tavola riccamente imbandita e i profumi a solleticarle il naso, facendole venire il voltastomaco. Il grande centrotavola contornato di fiori non faceva altro che esagerare quegli odori insopportabili.
Pensò che sarebbe scoppiata a piangere o a urlare, ma rimase in silenzio, rispondendo cortesemente quando le veniva chiesto qualcosa.

 Le portate, riccamente decorate e quasi esagerate nella loro suntuosità, cominciarono a danzarle davanti agli occhi in una successione infinita.
“Speriamo che il vostro viaggio sia stato piacevole” cominciò il re, mentre un servitore teneva sospeso davanti a lui un piatto con fagiano e patate. Ne prese quanto bastava e lo posò all’interno del suo piatto.
“Assolutamente Maestà” rispose Hans, mentre faceva altrettanto con una portata  totalmente diversa. Elsa non riuscì a capire cosa fosse. “ E’ stato decisamente piacevole con un mare così calmo. Sarebbe davvero un bene poter viaggiare di più in stagioni come questa”.
“E voi principessa? Siete d’accordo?” chiese ancora Agdar, piegando la testa per poterla guardare meglio. Elsa deglutì rumorosamente, e cercò di scaricare la tensione premendo il piede per terra con tutta la forza che aveva. Si creò un piccolo cumulo di neve, che sparì altrettanto rapidamente quando Hans le prese la mano da sotto il tavolo.
“Penso che la principessa…”.
“ Io penso che la principessa possa parlare da sola” ribatté il re con tono pungente. Elsa non capì perché lo aveva usato, anche se sapeva benissimo che poteva permetterselo, visto che in quel caso, da ciò che era riuscita a capire, erano le Isole a chiedere aiuto ad Arendelle e non viceversa. 
“Sono decisamente d’accordo, Vostra Maestà” si affrettò a dire, con un sorrisetto tirato, “ insomma, voglio dire, viaggiare e conosce posti sempre nuovi è un’opportunità affascinante quanto rara e dovrebbe essere praticata di più. D’altra parte, chi vorrebbe starsene sempre rinchiuso nello stesso posto?”.

“Non lo so, madame” mormorò il re con sguardo truce, mentre si preoccupava di tagliuzzare il cibo nel suo piatto, “ ma per ora, i mezzi disponibili a viaggiare sono pochi, e molto costosi”.
“Certamente” sussurrò lei sbattendo le palpebre, mentre si preparava anche lei a prendere quanto lei veniva offerto per metterselo nel piatto.

“Beh, ma la principessa ha ragione” intervenì la regina, per non far precipitare le conversazione di quella serata. “Vedere posti nuovi è decisamente interessante, è un vero peccato che sia così difficile”. E con quella frase, com’era abituata a fare, aveva messo d’accordo tutti. Per altre due o tre portate, gli argomenti furono vari, e altri così prettamente inerenti alla politica che conversarono quasi esclusivamente Hans e il principe.
Fino a che non fu Anna ad intervenire, rivolta proprio a lei. Non aveva quasi parlato durante quella prima parte della cena.

“Vi avevo detto che quell’abito vi sarebbe stato d’incanto, Elsa” si complimentò con un sorriso. Sua madre si affrettò subito a darle un colpetto con il piede da sotto il tavolo a quell’infrazione del protocollo. Aver chiamato un ospite con il proprio nome invece che con il titolo che gli spettava era decisamente grave in una corte.
“Anna…” sussurrò tra i denti, per rimproverarla.
“Oh, ma non fa nulla, madre! Io e E..cioé, la principessa, ci conosciamo già”.
“Vi conoscete?” intervenne il re, scrutandole entrambe per qualche secondo.

“Ehm…è una lunga storia” mormorò Anna, improvvisamente imbarazzata. “ Vedete padre…”.
Elsa intervenne, “ La principessa mi ha aiutato ad andare a recuperare questo abito dai miei bagagli. Avevo lasciato la custodia di questo lontano dalla mia stanza, e tornando indietro mi sono persa. Se non fosse stato per vostra figlia, non avrei ritrovato la strada. Abbiamo avuto occasione di parlare un po’, l’ho pregata io di chiamarmi con il mio nome”.

Le sorrise con complicità, mentre la sorella, anche se non sapeva di essere tale, sembrava ringraziarla con il pensiero. Hans la scrutò con fare curioso, intuendo la menzogna, dal momento che aveva fatto arrivare lui il pacco ed Elsa non era mai dovuta uscire dalla sua stanza.
“In questo caso, principessa Elsa” sussurrò il re, “ e poi, devo ammetterlo, quell’abito vi sta davvero bene, sarebbe stato un peccato se foste stata costretta ad indossarne un altro ”.
“Vi ringrazio”, rispose lei, altrettanto ironica. La tensione andò scemando man a mano che la cena procedeva.
“Vi sentite bene, cara?”. Quando nel turbinio di voci che le ronzarono nella testa, udì anche quella di sua madre, si destò, come da un sogno, incollando il suo sguardo al suo. Sorrise piano, nel sentire quel dolce appellativo: sua madre chiamava sempre tutte le sue dame “cara” o qualsiasi altra donna con cui fosse in confidenza, ma lei e Anna erano sempre state le sue care. Sue. “Non avete quasi toccato cibo”.
“ Ehm, sto bene Maestà, vi ringrazio”.
“Forse il viaggio è stato troppo lungo?” insistette Idunn, realmente dispiaciuta.
“Forse” concesse Elsa con un piccolo sorriso. La regina ricambiò.

A cena terminata, quando furono fuori dalla stanza, finalmente certi di essere scampati a tutti gli sguardi che avrebbero potuto giudicare qualsiasi loro azione, Elsa prese a correre follemente per il corridoio, nel tentativo di raggiungere la sua stanza il prima possibile. Dopo essere inciampata due o tre volte, lasciò che le scarpe scivolassero giù per le scale, e con le gonne sollevate, girò finalmente il pomello della porta.
Hans la inseguì e quando entrò in camera, la trovò intenta a lottare contro i nastri che le tenevano chiuso il corsetto. Ne aveva strappato una parte, ma per quanto lo graffiasse e tirasse, non riusciva a slacciarlo.
Le sue mani scivolavano sulla stoffa, e intanto creavano ghiaccio, che si confondeva tra i ricami del vestito. “Aiutami!”. Fu un grido soffocato, “ toglimi questa cosa!”.
Le mancava il fiato e ancora ansimava, a causa della corsa con il vestito troppo stretto.
Lui le si avvicinò e aprì i nodi. In un attimo, lei scostò le maniche e il vestito cadde ai suoi piedi. Libera di respirare di nuovo, Elsa si gettò sul letto, tenendosi una mano sullo stomaco.
“Stai bene?”.
“No”.
“Allora rimango un po’ con te” si offrì.
“Voglio stare da sola” rispose.
“Ma…”.
“Ti prego”.
“Se hai bisogno, la mia stanza è infondo al corridoio opposto”. Aveva già dimenticato la promessa fatta di raccontargli ogni cosa, ma lei no.
Due minuti dopo che lui se ne fu andato, Elsa rimase sola a rigettare tutto il cibo che aveva ingoiato.

 

*


Hans bussò alla porta di Elsa esattamente tre ore dopo, quando il castello ormai era piombato in un silenzio spettrale, e le uniche ad essere sveglie erano le guardie, le sentinelle e loro due. La fanciulla schiuse piano la porta, “Che ci fai qui?” sussurrò.
Il principe aprì il pugno destro, facendole ballare davanti agli occhi il suo medaglione, “Lo avevo ancora in tasca”. Elsa lo afferrò per la manica, e una volta che lui fu nella stanza, richiuse la porta e prese il medaglione.
“Meglio che lo metti un posto sicuro”.
“Ho paura che il posto più sicuro per ora, sia il mio collo”. La riallacciò.
“Stai meglio? Non hai una bella cera”.
Elsa scosse la testa, afflitta, “ Non riesco a chiudere occhio”.
“Nemmeno io”.
Si sedettero insieme sul bordo del letto. “Pensi che loro abbiano capito qualcosa?”.
“No, non lo credo” rispose Hans.
“Mio padre mi è sembrato così…non so nemmeno io come definire la sua espressione quando ha sentito il mio nome. E quando mi si rivolgeva era così freddo. Non l’ho mai visto così”.
“Gli avrà fatto un certo effetto. Non credo che sia stato divertente per lui perdere una figlia…” mormorò Hans, coricandosi con le braccia stese sotto la nuca. “E non una qualunque. L’erede al trono” ammiccò.
“Perché dici così? Pensi che se avessero perso mia sorella sarebbe stato meno doloroso?”.
“No, certo che no, diamine!” si affrettò a precisare il principe, drizzandosi a sedere, “dico solo che tuo padre riponeva le sue speranze per il futuro in te, non in tua sorella. E poi lei è così…diversa da te, e poi, tutti i re fanno così. Il primo figlio è la luce dei loro occhi, e forse anche il secondo, e se i primi due non muoiono, gli altri sono insignificanti”.
“Ah sì, e tu che ne sai?”.
“Oh, nulla, principessa. Io sono solo il tredicesimo di una nidiata di formiche”.
Elsa rise. “ E io povera sventurata, quattordicesima nella linea di successione!”.
“La prima, au contraire. Ma che vuoi dire?”.

“Quando mi è arrivato il tuo vestito, mia sorella era davvero con me. E quando mi ha chiesto chi me l’avesse mandato, ho risposto mio fratello” rise ancora, palesemente divertita, “ e poi ho metà delle tue terre no? Un giorno potrei diventare regina delle Isole”.
“Che diamine le hai detto? Tuo fratello?”. Hans strabuzzò gli occhi, incredulo.
“Proprio così”.
“Tu sei tutta matta! E come pensi di fare comunque, sentiamo? Vorresti infilzare con una stalattite tutti i miei fratelli? Riprenderti Arendelle sarebbe molto più facile”.
“Se servirà” fece l’occhiolino. “ Ma devo proprio avere un regno? Dev’essere parecchio noioso”.
“E’ una tua idea” fece Hans, mentre la fissava, “ saresti una brava regina, comunque”.
“E’ una tua idea” gli fece il verso, sorridendo in modo palesemente divertito, “E comunque, avevi un’idea migliore di fratello?”.
Si ristesero entrambi sul materasso, guardandosi negli occhi nel buio della stanza.
“Io ce l’avevo”.
“E…?.
“Potevi sempre dire di essere la mia deliziosa fidanzata”.
“La tua deliziosa fidanzata?” inarcò un sopracciglio. “No, grazie”.
“Che….?” recitò Hans con fare teatrale, “No grazie?”. Si finse imbronciato, “ ora ti faccio vedere io come si risponde alle cortesie di un principe, ragazzina”.
Prese a farle il solletico allo stomaco e alla gola, mentre le si contorceva, ridendo sottovoce. Il solletico aumentò e lei strillò piano.
“Sta’ zitta, mostriciattolo”.
“Smettila” urlò ancora lei, in preda alla ridarella.
“Sssh”.
“E…” risata, “allora…” risata, “smettila!”.
Hans osservò le sue labbra vermiglie schiudersi piano e poi richiudersi, come un bocciolo di rosa. Poggiò la sua bocca su quella di lei, accarezzandole la guancia con una mano. Elsa sbarrò gli occhi per la sorpresa, ma presto anche le sue mani corsero ad artigliare i capelli rossi di lui, attirandolo sempre di più a sé. Approfondirono a tal punto il bacio da non avere più fiato.
Poi, mentre lui le baciava il collo e le sue mani si insinuavano sotto la stoffa leggera della camicia da notte, quelle di lei correvano ai bottoni della sua camicia.
“Pensi che due deliziosi fidanzati farebbero questo?” chiese poi Elsa, fermandosi.
Hans le sfiorò l’orecchio con la punta del naso. Quando udì la sua voce, era calda e delicata, “Ma noi non siamo due deliziosi fidanzati”. E ripresero da dove avevano interrotto.

 

Buondì! Eccoci qui con il capitolo tre, finalmente! Ho dovuto lottare parecchio per riuscire a postarlo, perchè ogni volta che finivo di editarlo (sì, ci ho provato anche ieri, e mi è venuto così tanto nervoso che ho lasciato perdere, rimandando ad oggi...speriamo di farcela!) succedeva qualcosa: o mi si spegnava il pc, o mi si chiudevano le schede....grrrr! Ma se lo avete letto e ora state leggendo queste note, probabilmente finalmente devo esserci riuscita.
E' un po' più lungo del solito, ma spero non vi dispiaccia ;) Dico qui nel mio spazietto che mi sono presa un piccola libertà in questo capitolo: il francese. Sia il re che Hans lo usano in questo capitolo, con le espressioni "madame" e "au contraire". Allora, io dubito che in Norvegia lo usassero, specialmente nel periodo in cui dovrebbe essere ambientato Frozen, ma non ne ho la più pallida idea....quindi, beh sì, l'ho usato per dare alle loro conversazioni il "tono raffinato della nobiltà" eheh :p
Come avete potuto vedere voi stessi, sono successe un sacco di cose: l'incontro con i genitori, Hans ha scoperto la verità...il bacio....eheheh vi lascio proprio con delle patate bollenti in mano, ma non vi preoccupate, spero di riuscire a postare il quattro un po' più velocemente.
Inoltre, ho rincominciato a lavorare sul capitolo 9 dell'altra mia storia, quindi forse vedrete anche quello a breve.
Un bacione grande grande! :**
felsah

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La mattina ***





The Exile



Capitolo  4
La mattina





 
For the first time in forever
Don't let them in, don't let them see
I'm getting what I'm dreaming of
Be the good girl you always have to be
 A chance to change my lonely world
Conceal
A chance to find true love
Conceal, don't feel, don't let them know


[Frozen – For the First Time in Forever]



 
 
 
La mattina, quando il sole fece capolino da dietro il tendaggio leggero, trovò i due ancora tra le lenzuola, a fasciare i loro corpi nudi, avvolti nell’abbraccio in cui si erano addormentati.
Mentre entrambi fissavano il baldacchino sopra le loro teste senza dire una parola, la mano di Hans accarezzava il fianco di Elsa in un lento su e giù, riempendola di brividi. Avevano avuto molto da raccontare l’uno all’altra quella notte, ma le parole erano state poche; era stato un tuffo nelle loro anime, uno scambio di sguardi, complicità e irrefrenabile bisogno di sentire affetto. Amore.
Anche se nessuno dei due era pronto ad ammetterlo.

Ad un certo punto, lei afferrò quella stessa mano che sfiorava la sua pelle e loro dita si intrecciarono, come avevano già fatto numerose volte durante la notte appena trascorsa.
“Perché l’abbiamo fatto?”chiese Elsa dopo un po’, voltandosi così da poter guardarlo in viso. Il cuore le galoppava furioso nel petto al ricordo di ciò che avevano combinato. Non aveva mai pensato a tutto quello, a loro due in quel senso. Ora in qualche modo, era obbligata  a farlo. Hans prese una ciocca dei suoi capelli neri e la scostò dietro all’orecchio, con calma studiata, mentre cercava di capire dal tono della domanda se lei avesse avuto qualche ripensamento. Gli avrebbe spezzato il cuore, se proprio ora che era riuscito ad avvicinarsi, si fossero allontanati.
Il terreno era stato conquistato troppo, tanto faticosamente, e Hans non aveva intenzione di perderla di nuovo.
“Beh, prima di tutto, principessa, perché è piacevole…”.
Lo sguardo incredulo di lei, a quella mezza risposta, lo fece sorridere.
Idiota!” sbuffò Elsa divertita, allontanandolo con una manata. Lui però fece in modo che i loro corpi si riallacciassero e la strinse, così vicino da poter sentire il palpitare del cuore di lei.
Il suo batteva altrettanto veloce. “E poi…” continuò…si fermò. Sapeva cosa provava, ma non sapeva esattamente cosa voleva dire, o come quel sentimento dolce, bello e amaro, potesse chiamarsi.
Aveva creduto che non avrebbe mai potuto nemmeno conoscere un incantesimo tanto fatale, e sapeva che non era ancora pronto ad ammettere che ormai era stato stregato. No, non per ora. E forse non ci sarebbe mai riuscito, ma per lei, valeva la pena di fare uno sforzo.

“Ti voglio bene, Elsa” arrivò la confessione, pronunciata con lo stesso ardore di un ti amo, perché infondo, era quello che celava. “Ti voglio bene più di quanto ne abbia mai voluto a qualsiasi donna” mormorò, canzonando se stesso, “ o forse, a qualsiasi persona in generale”.
Lei gli toccò il viso piano, allungandosi per un bacio che non si fece aspettare. “E io ne voglio a te” soffiò sulle sue labbra. Fu il pretesto perfetto perché le loro labbra si incontrassero ancora.
“Finalmente l’hai detto” sussurrò Hans compiaciuto, senza smettere di immergersi nei suoi occhi.
“No” smentì lei,  “lo sapevi già”.
“Per niente, sono assai meravigliato” le assicurò lui, “ razza di imbrogliona ”. Le diede un pizzicotto sulla pelle nuda, facendole scappare un gridolino soffocato, per poi trascinarla infondo al materasso, riprendendo le posizioni della notte prima.
“Questa me la paghi” lo minacciò lei.
“Voglio proprio vedere” fu la risposta, poco prima che Hans riprendesse possesso delle sue labbra. La ragazza si aggrappò alle sue spalle, e mentre lui la soffocava con le sue attenzioni, premette forte sulla sua pelle, liberando dei piccoli ghirigori di ghiaccio. Quando il freddo si posò sulla pelle del principe, lui alzò la testa di scatto.
“Ahi” si lamentò, “ tu giochi sporco, però, principessa…io ti ho solo fatto un innocuo pizzicotto”.
Elsa sorrise divertita, preparandosi a scioglierlo con un tocco della dita, ma Hans la fermò, riportando le braccia di lei intorno al suo collo.

“Ora lo sciogliamo” sussurrò, facendole l’occhiolino. “Ma ora che ci penso…non avevi promesso di raccontarmi una storia, principessa Elsa?” chiese lui, calcando sul titolo preposto al suo nome. Elsa sospirò.
“Vuoi proprio sentirla adesso?”.
“Assolutamente”.



 

*



Sentendo lo scricchiolare della porta, Agdar si voltò di colpo e vide la moglie sostare sulla soglia con fare indeciso, un piede dentro e uno fuori. Le sorrise amaro, come per farle capire che aveva il suo permesso in caso avesse voluto oltrepassarla, ma che d’altra parte, a lui non importava poi molto cosa avesse fatto. La regina entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
“Non vieni a dormire?” domandò, fissando il marito, seduto al centro della stanza, con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo vagamente assente.
Nonostante il colletto dell’uniforme e la stanchezza di quella giornata lo stessero quasi uccidendo, il re sembrò quasi non sentirla.

Strinse i braccioli della sedia fino a farsi diventare le nocche bianche e spostò il suo sguardo su un letto vuoto, il letto di una principessa, che da lungo tempo non lo occupava.
Idunn si avvicinò titubante, e gli accarezzò una spalla. “ Caro…”. Strinse le palpebre, come per trattenere vecchie lacrime, ormai fossilizzante e stagnanti sul fondo dei suoi occhi. Il re sollevò la mano, sferrando un pugno ad uno dei braccioli, e quando capì che la rabbia non era stato uno sfogo abbastanza soddisfacente, nascose la testa fra le mani, chino su se stesso.
“Ti prego” mormorò la regina, chinandosi accanto a lui, “ti prego, non fare così”. Non di nuovo. Non potevano permettersi di ricadere di nuovo nell’oblio di quella disperazione per colpa di una straniera. La sua espressione mentre lo guardava in quello stato, era l’espressione di chi guarda la persona che ama divorata dalle fiamme, ed era un’immagine troppo intensa per essere sopportata.

“Non dovevo mandarla via” sussurrò il re, con la voce resa roca dal dolore e il pianto represso. Si premette le dita alla base del naso, sfregandosi gli occhi.
“Oh, caro. Noi facevamo solo quello che credevamo giusto…” rispose la regina, nel vano tentativo di consolarlo, “ non potevamo certo sapere che – “.
“No, non potevamo, certo” la interruppe lui,  sputando quelle parole come fossero state veleno, “ ma potevamo tenere nostra figlia con noi”. I suoi occhi tornarono sulla figura della moglie, “Potevamo…”. La voce gli si spezzò, e le parole che pronunciò furono segnate da un ultimo disperato tentativo di non piangere, “ Lei sarebbe qui ora. Sarebbe nella sua stanza”.

Non disse Elsa, perché nonostante fosse chiaro che parlava di lei, a quel nome non poteva nemmeno pensare. E quando lo aveva sentito, quella sera a cena, il suo cuore aveva perso dei battiti, ed era invecchiato di anni in un colpo solo; e poi l’aveva vista, aveva visto quella ragazza dai capelli corvini e lo sguardo freddo, che di Elsa non aveva nulla se non il nome.
“Avrebbe dei bei vestiti e una bella vita…” mormorò ancora. Si alzò, “E sai perché non li ha? – Per colpa mia!”. L’urlo di quell’accusa che rivolgeva a se stesso, finì con la sedia scaraventata dall’altra parte della stanza.
“Agdar, ti prego!”.
La bambolina che raffigurava Elsa, una delle due con cui le giovani principesse erano solite giocare, ora poggiata sopra il mobile dove la sedia era atterrata, scivolò sul pavimento. Il re la guardò per qualche minuto prima di andare a raccoglierla. La rigirò tra le mani.
“Tu va’ pure a dormire se vuoi, io devo rimanere qui…ancora un altro poco”.
La regina si allontanò, e mentre richiudeva la porta, sentì il marito singhiozzare, “La mia bambina”, stringendo la figurina di pezza così forte che temette l’avrebbe scucita.

Percorrendo il corridoio per tornare nei suoi appartamenti, si accostò alla finestra con le mani tremanti, fissando le ombre che percorrevano il giardino. I suoi occhi si posarono sulle rose, rese quasi nere dalla luce della luna e i sui due stagni di ninfee che Anna aveva voluto insistentemente quando aveva compiuto quattordici anni,  e che ora a malapena guardava.
Poi la vide. In piedi al centro del sentiero che portava in mezzo ai fiori senza far affondare i piedi nella terra, la loro ospite fissava davanti a sé, con i capelli neri sciolti sulle spalle e la vestaglia bianca svolazzante. La causa di tutto il dolore in cui Agadar si stava di nuovo crogiolando, dopo anni.
Si affrettò a percorrere il rimanente pezzo di corridoio e scese le scale. Percorse il giardino e si ritrovò anche lei sul sentiero, proprio dietro alla ragazza.


Non sapeva perché fosse andata lì, o meglio, non ne era pienamente sicura, né sapeva cosa avrebbe detto. Così, cominciò con un “E’ una bellissima serata, non è vero?”.
Elsa sobbalzò, voltandosi di scatto. “Vi ho spaventata?” chiese la regina con un sorriso, voltando la testa da un lato.
“Scusate, Maestà…” rispose lei, sforzandosi di fare un piccolo sorriso, “non vi ho proprio sentita arrivare”.
“Beh, il castello è pur sempre mio. So come fare, quando non voglio che le persone si accorgano che sono in un luogo”. Sembrava una chiara allusione al fatto che la principessa invece, fosse proprio al centro del giardino. Elsa arrossì un poco, e quando Idunn le fece cenno di andarsi a sedere accanto a lei su una panchina in pietra, esitò. Poi cedette e le fu accanto.
L’adrenalina che percorse il suo corpo il quel momento, in cui era così vicina a sua madre, eppure così lontana, la fece tremare. Piegò le dita, torturandole le une con le altre.
“Elsa, giusto?” domandò conferma la regina. Lei si limitò ad annuire.
“Io avevo…una figlia, che si chiamava Elsa”.
“Oh” rispose lei, mentre una dolorosa sensazione di tristezza s’impossessava del suo stomaco, “ e non è qui, vostra figlia?”.
Tenne le mani giunte, nel tentativo di fermare il dolore che le percorreva i palmi.
“Non lo so” rispose Idunn, voltandosi a contemplare il cielo. Elsa sussultò. “Non ho idea di dove sia ora, la mia povera bambina ”.

“Come?”. Ad Elsa si bloccò la voce in gola.
Idunn non sapeva bene cosa sperava cominciando quel gioco di frasi e parole sulla bambina che aveva perduto. Forse il suo cuore per un attimo aveva sperato che la ragazza seduta affianco a lei le svelasse il più bello dei misteri, dicendo di essere lei, la sua principessa perduta. Ma mentre il suo cuore lottava, il suo cervello sapeva che non sarebbe successo.
“Lasciate stare, non so perché ve ne ho parlato” liquidò l’argomento.
“Io…emh…mi dispiace”.
“Cosa vi dispiace? Il vostro nome?”.
Capendo quanto stupido fosse ciò che aveva detto, Elsa riuscì ad abbozzare un sorriso, che parve più una piccola smorfia, “Suppongo…” mormorò.

La regina sorrise. Vide l’ospite torturarsi le dita, facendole scrocchiare. “ Posso farvi una domanda?”. Il suo silenzio fu un chiaro invito a proseguire, e così fu. “ Che le è successo? A vostra figlia, intendo”.
“E’ scomparsa molto tempo fa”.
“Vi manca molto?” domandò la straniera, mentre una brezza improvvisa sollevava ciocche dei suoi capelli neri. Idunn lesse una strana desolazione nei suoi occhi mentre attendeva una risposta, e anche il suo sorriso si spense, avendo avuto breve vita.
“Terribilmente” confessò.

Quella notte, mentre si rigirava inquieta nelle lenzuola, Elsa non poté fare a meno che pensare e ripensare alla tristezza negli occhi di sua madre. La tristezza per la figlia che aveva perduto.
Si chiese perché avesse voluto mostrarla proprio a lei, perché proprio in quel momento. Ricordava di aver già visto una tristezza simile, anche se in occhi diversi, molto tempo prima.
La moglie dell’uomo che l’aveva ospitata nei primi mesi del suo esilio, Ragnhild, non era mai riuscita ad avere figli, e quando finalmente ne aveva avuto uno, era decisamente troppo anziana per affrontare una gravidanza. Lei aveva ormai dodici anni allora, e aveva visto la gioia colorare il suo viso, e la desolazione di quello stesso quando il bambino era nato morto.

“Non preoccuparti” le aveva sussurrato, “ ne avrete un altro”, ben sapendo che non sarebbe stato possibile. Ma non aveva saputo cos’altro fare per placare le lacrime di quella strana donnicciola che aveva imparato ad amare e che le aveva insegnato tante cose. Che l’aveva cresciuta. Ricordava di essersi chiesta se anche sua madre avesse pianto, credendola morta, dopo tutto quel tempo.
Non era nemmeno riuscita ad immaginare sua madre piangere, lei, la regina, sempre posata e regale.
“Forse non era destino” le aveva risposta la signora, mentre la stringeva in un abbraccio. Elsa si era lasciata cullare dalle sue dita affusolate, ed era rimasta con lei per un tempo infinito.
Giorni dopo, la donna era morta per colpa della febbre e tutto quel tempo, era sembrato improvvisamente troppo poco. A modo suo, forse aveva avuto una figlia.

Schiacciata dal peso di quei pensieri, andò a rifugiarsi tra le braccia di chi aveva vissuto quei momenti con lei. Dormì tra le braccia di Hans, che accolse il suo pianto e la consolò, senza saperne il motivo.


 
*
 

La mattina dopo, la regina e le due principesse, benché solo una di loro due sapesse di essere sorella dell’altra, si ritrovarono in quello stesso giardino, pronte per un giro all’aria aperta. La carrozza che le avrebbe accompagnate fino al limitare del sentiero attraverso il bosco che la regina aveva preannunciato avrebbero percorso, si sistemò davanti a loro e i servitori aiutarono la sovrana a salire.
Avevano già passato dei pomeriggi insieme, mentre Hans e il re discutevano insieme ad altri dignitari per ore ed ore, e qualche volta avevano anche partecipato a quelle riunioni, ma questa volta sua madre e sua sorella si erano proposte di farle fare un piccolo giro del regno e ne erano particolarmente entusiaste.
Proprio mentre Kai stava per porgere la mano ad Elsa, invitandola a  prendere posto, Anna comparve accanto a loro in sella a un cavallo dal manto dorato.
“Pensavo veniste con noi” disse Elsa, facendosi schermo dal sole con la mano destra. L’idea di rimanere di nuovo sola con sua madre un po’ la spaventava visto quello che le aveva raccontato la notte precedente. Aspettò una risposta, sentendo che il terrore cominciava ad invaderla pian piano. Non avrebbe sopportato altre confessioni di quel genere.

“E’ così infatti” sorrise l’altra, “ma io non posso proprio sopportare la carrozza, e se i viaggi sono brevi ne faccio volentieri a meno…mi sembra di essere chiusa in un baule! Perché non ne prendete uno anche voi e mi accompagnate? Sono sicura che mia madre non si offenderà”.
Elsa fu percorsa da un brivido mentre analizzava quella possibilità di stare lontana da sua madre.
E dopo tutto, nonostante Anna dicesse il contrario, non le sembrava una cosa educata, “ Grazie, ma credo usufruirò della carrozza, i cavalli mi fanno proprio una gran paura”.

“Come preferite”, Anna le sorrise ancora e partì, sapendo che ben presto anche il baule l’avrebbe seguita. Faceva sempre così: montava in sella e partiva al galoppo, allontanandosi parecchio, tornando indietro e allontanandosi di nuovo. Era rimasta uno spirito libero, e Elsa pensò che avrebbe fatto volentieri a meno della corona che era destinata ad ereditare se avesse potuto. Le lanciò un ultimo sguardo prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione al domestico.
Lei si sedette di fronte alla madre, e ben presto, dopo aver sistemato i cavalli e qualche bagaglio che avevano portato con  sé, anche loro furono pronte per il viaggio. I cocchieri e i lacchè le seguirono, così come la scorta che doveva occuparsi della loro protezione.

“Per quale motivo siete spaventata dai cavalli, se posso chiedere?” domandò Idunn, mentre la carrozza cominciava a dondolare. “ Ho visto la vostra espressione a dir poco terrorizzata”.

I cavalli. Elsa chiuse gli occhi, respirando profondamente. Quelle immagini mostruose e rapide le aleggiavano ancora nella mente nei momenti più inopportuni.
L’uomo dietro di lei colpito da una freccia, i suoi occhi che si facevano bianchi.
Gli animali che s’imbizzarrivano, sbarrando gli occhi, senza capire cosa stesse succedendo.
Tutti che sembravano chiedersi “perché a me?” mentre la morte li abbracciava; tutti meno lei, che stringeva il pomo della sella e sperava di non cadere.
Tutti meno lei, che fissava i volti dei suoi genitori da un medaglione.
Il sangue.
L’urto con i sassi che le aveva fatto sanguinare le unghie, che aveva ricoperto il terreno di neve e la neve di rosso vivido.

“Beh, diciamo che non ho…ricordi piacevoli, a proposito di questi animali” spiegò Elsa, mentre arrotolava con le dita la ciocca finale della sua treccia, “Da bambina sono caduta da un cavallo in corsa e…è davvero raro che io…insomma, mi procura pensieri spiacevoli”.
“Capisco” mormorò la sovrana, più incuriosita che soddisfatta.
Rimasero in silenzio per un buon tratto, ognuna persa a contemplare i propri pensieri. Il tanto agognato sentiero che avrebbero percorso cominciava ad avvicinarsi, e l’odore dell’erba bagnata e dei fiori si faceva sempre più forte. Elsa sporse un poco la testa fuori dal finestrino, scostando le tendine di pizzo e inspirò a pieni polmoni quell’aria fredda e deliziosa.

Ricordava l’odore dell’erba, che stonava così tanto con quello del vino e del sudore dei posti dove si era trovata dopo. Aveva rievocato quell’odore nei suoi pensieri e nei suoi sogni per lungo tempo.

“Oh, figliola” ricordava il mormorio della voce del vecchio con cui era rimasta per mesi interi, “ credetemi, non appena scenderemo dalla dannata nave sarete colta dalla meraviglia. Non ci sono posti più belli né fiori più graziosi di quelli del mio paese “ le aveva detto tra un colpo di tosse e l’altra, mentre lei dubitava fortemente che fosse possibile. Non avrebbe più provato meraviglia, gioia o felicità, aveva pensato, sul ponte di quella nave.
Non avrebbe mai più sentito l’odore di quei fiori che circondavano il giardino del suo palazzo, e aveva pianto stretta al cuscino, e così per notti intere, mentre le lacrime sulle sue guance si solidificavano in un batter d’occhio.
Vide Anna tornare indietro al galoppo e riaccostarsi alla carrozza con un gran sorriso sulle labbra. Proprio tipico di lei. Si fermarono entrambe.
“Dovreste venire a vedere cos’ho trovato prima di proseguire!” quasi urlò la principessa, in preda a quell’euforia infantile che la caratterizzava, rendendola tanto facile da amare.
Scese dal cavallo, lasciandolo alle cure dei servitori che le seguivano. Anche Elsa e la regina furono in breve fuori dalla carrozza, camminando in fretta per stare al passo con Anna. “Che cos’hai visto, cara?” chiese la regina, urlando per farsi sentire, “Non correre così! Qualunque cosa sia di certo non si sposterà!”.

Raggiunsero una piccola radura piena di piccoli fiori bianchi, che ricoprivano l’erba come fiocchi di neve, inondando l’aria del loro profumo. Fu quello a cui li paragonò Elsa nella sua mente e fu quello che sua sorella disse.
“Non sembra neve?” chiese, mentre ne strappava con le mani due pugnetti per poi farli danzare in circolo sopra la sua testa. Suo malgrado, Elsa scoppiò in una risata, pensando che sua sorella non era cambiata affatto e ne fu compiaciuta.
“Ci hai fatto correre qui per dei fiorellini?” domandò. Anna non notò il passaggio dal voi al tu, cosa che invece fece la regina.
Rimase in silenzio, preoccupandosi piuttosto di tornare alla carrozza per impartire ordini e far riposare la piccola corte che si erano portati dietro mentre scuoteva la testa, più divertita che infastidita.
“Ma questi non sono solo fiorellini, sai?” mormorò Anna indignata, mentre strappava fiori e correva verso Elsa. Gli lanciò addosso mentre raccontava in modo teatrale, “questo è il covo della Regina delle Nevi e questi sono i suoi servitori”.
Elsa rise di cuore ancora una volta. “Dei fiori?”.
“Dei fiocchi” consigliò Anna, facendole l’occhiolino, “fiocchi di neve”.
“E dove si nasconde la Regina?”.
“Quasi certamente non qui” rispose Anna, stando subito al gioco. “E’ troppo maestosa perché tutta la corte possa stare qui”.
“Ha anche una corte?”.
“Già, come ogni regina”.
“Fiocchi di neve?”.
Anna annuì, “Mmmh! E orsi polari, e ermellini, come quelli che usa per preparare la sua pelliccia!”. Si chinò a raccogliere un altro mazzo di fiori, mentre Elsa, seduta in mezzo all’erba, ne raccoglieva a sua volta, sebbene in modo un più aggraziato e lento. “ Oh e naturalmente” aggiunse la sorella, “pupazzi di neve”.
Elsa si sentì mancare il respiro e quando alzò la testa incontrò gli occhi di sua sorella, che la fissavano con gioia spensierata. Le lanciò addosso i fiori che aveva raccolto.

“Che cosa fai?” domandò, mentre provava a scrollarseli via dai capelli.
“Ti sfido a palle di neve” ridacchiò Anna, passando anche lei direttamente al tu.
Elsa gettò una rapida occhiata al mazzolino che teneva tra le mani, e alzatasi in piedi, li fece piovere sulla testa della sorella. Quella ne raccolse altri a sua volta e li lanciò, così l’altra. Mentre Anna non guardava, Elsa colse l’occasione per soffiare sui suoi capelli vera neve e fissare l’espressione confusa di sua sorella nel sentire la testa bagnata non appena quella si sciolse.
Quando la regina tornò indietro, le sorprese a ricorrersi nel prato lanciandosi fiori, fino a quando dopo essersi scontrate, caddero entrambe ridendo sul manto erboso.
Il ciondolo che Elsa teneva al collo balzò fuori dal vestito, in bella mostra sul suo petto.
Idunn sussultò alla vista dell’oggetto così familiare, che un tempo era stato suo, e poi di sua figlia. Un sentimento doloroso le attanagliò lo stomaco, e quando Elsa si rese conto della svista, si affrettò a farlo rientrare sotto la stoffa.


 

*


“Fai fare ai nostri ospiti un giro nel giardino, mia cara”.
Non appena erano tornate indietro dalla loro gita, Elsa, Hans ed Anna erano stati costretti ad affrontarne un’altra nei giardini del palazzo, mentre Idunn saliva furiosamente le scale che portavano alle camere degli ospiti.
“Dov’è la stanza della principessa?” domandò imperiosa ad una domestica di passaggio, non appena fu nel corridoio. Quella gliela indicò e proseguì per la sua strada. La regina camminò tanto veloce che pareva quasi correre mentre procedeva spedita verso la camera che gli era stata indicata. Aprì la porta rapidamente, e altrettanto velocemente fu dentro. La lasciò socchiusa, così da poter prevedere in anticipo l’arrivo di qualcuno. Non appena fu dentro, si diede un’occhiata intorno, senza notare nulla di inusuale: la loro ospite aveva lasciato tutto in perfetto ordine, una perfezione fastidiosa e quasi ossessiva.
Le rose rosa sul tavolo erano ancora fresche, vibranti di vita dopo interi giorni, il letto perfettamente rifatto, le tende tirate.
Era tutto così a posto da far quasi pensare che non la utilizzasse. L’unica cosa che non faceva parte di quella stanza prima del suo arrivo, erano i pesanti bauli sistemati contro il letto. Idunn si affrettò ad aprirne uno e vi frugò dentro con fare insistente, cercando di trovare qualcosa che avrebbe potuto confermare la sua teoria.
Se quella donna aveva il suo ciondolo, non poteva essere altri che una persona. Non poteva essere altri che la sua Elsa, perché era alla sua bambina che lei aveva lasciato quel ciondolo, e perché nessun altro avrebbe avuto motivo di portarlo. O di nasconderlo.
Spostò vestiti e ne lanciò altri sul pavimento, lasciando quasi vuoto il primo baule. Così fu per il secondo. Lo svuotò quasi per intero, quando sul fondo trovò un pacchettino di polvere nera. Ne vuotò un po’ sulla mano e strofinandolo sui polpastrelli una parte del colore le rimase appiccicato alle mani. “Cosa tingi con questo…eh?” chiese quasi a se stessa, mentre posava la polvere per continuare a cercare nel baule. Tirò fuori scarpe, collane e calze, senza che nulla potesse farle arrivare il minimo indizio.
Pensò alle differenze che potevano essere tra Elsa e la sua Elsa. Pensò con rabbia che forse aveva sempre avuto davanti entrambe.
La sua bambina e quella donna, che non era più sua.
Poi, la risposta arrivò, “I capelli!” quasi urlò, mentre spalancava il coperchio della terza scatola. “Si tinge i capelli”.
Frugò ancora, senza trovare niente di interessante. Libri, vestiti, qualche gioiello del tutto inutile. Come poteva esserne sicura? Il paio di guanti che aveva trovato non poteva bastare, perché quella ragazza non li portava in continuazione, e il più delle volte, aveva abiti che coprivano solo mezzo braccio. Sua figlia non avrebbe lasciato i suoi poteri così allo scoperto.
A meno che non avesse capito come controllarli. Era la speranza a spronarla nella sua ricerca, mentre metteva le mani in oggetti che non erano suoi. E il medaglione? Quello doveva, era sicuramente il suo.
Era stato un regalo da parte del marito, e non era sicuramente possibile che ce ne fosse uno uguale.
Poi, mentre sconfitta, cercava di riporre tutto come lo aveva trovato, la porta socchiusa si spalancò, rivelando la figura del principe Hans.
“Cosa ci fate qui?” domandò la regina, fissandolo dal pavimento, dove era appollaiata, tra mucchi di volumi e stoffa.
“Potrei chiedere lo stesso a voi” mormorò Hans, mentre entrando con fare cauto chiudeva la porta. “Che cosa ci fate qui, Maestà?”.
“Il castello è mio, no?” rispose quella, drizzandosi in piedi. Teneva ancora il sacchettino di polvere nera stretto del pugno.
“ Questa stanza però è occupata dalla mia principessa, ora”.
La regina rise, “Dalla vostra, principe Hans? O dalla mia?”.
“Cosa volete dire?”.
Idunn sollevò il sacchettino di polvere, facendolo dondolare a un palmo dal suo naso.

 

Chiedo immensamente perdono, non avevo intenzione di lasciar passare...beh, sì, insomma, quasi una settimana dall'ultimo aggiornamento! Perdonatemi, sul serio, non vi ho abbandonato.
E' stata una settimana davvero dura e non ho avuto un secondo di pace, ma finalmente sono riuscita a editare il capitolo. Ho controllato due o tre volte, ma vi chiedo comunque di avere pazienza se troverete errori, in quanto sono davvero tanto stanca e qualcosa può benissimo essermi sfuggito ;)
Allora...cosa dire? In questo capitolo succedono davvero un sacco di cose, e finalmente si capisce un po' di più sul perchè della reazione che Agdar ha avuto a cena...cosa pensate succederà ora? Ahahahah sono curiosa di sentire le vostre opinioni...Hans tradirà Elsa con il suo piccolo segreto e dirà tutto alla regina, oppure no? Ehehe sono cattiva, vi lascio sulle spine! Non so dirvi quando aggiornerò di nuovo, ma giuro che cercherò di muovermi...magari venerdì pomeriggio, oppure sabato. Inoltre, credo che una volta finita la storia, aggiungerò dei piccoli extra o qualcosa del genere, perchè rileggendo e postando, siccome avevo scritto la fic di botto, mi sono venuti in mente avvenimenti e cosine che aggiunte potrebbero stare bene...più che altro, scritti sono già scritti, perchè mi ci sono diverita un mondo (ho raccontato per esempio avvenimenti dell'infanzia di Elsa e Hans nelle Isole) ditemi se vi interesserebbe leggerli, altrimenti non se ne fa niente, perchè sono ancora tanto una frana con 'sto coso per mettere a posto il testo :D
Beh, un bacione grande grande!
felsah 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le risate acute di Anna riuscivano a sentirsi dal corridoio ***


The Exile



Capitolo 5
Le risate acute di Anna riuscivano a sentirsi dal corridoio





 
I know it all ends tomorrow,
So it has to be today
'Cause for the first time in forever
For the first time in forever
Nothing's in my way!
[Frozen – For the First Time in Forever]



 
 
 
Le risate acute di Anna riuscivano a sentirsi dal corridoio. Per tutta la mattina, durante la quale Elsa era stata con lei, e anche nei giorni precedenti, non l’aveva vista un solo momento senza quel costante sorriso stampato sulla faccia, che le ricordava tanto la loro infanzia. I suoi sorrisi riscaldavano intere stanze in un solo secondo e avevano il potere di scaldare anche il cuore di lei, che ogni volta la fissava come stregata.
Ora, nel grande salone in cui quella sera avrebbero allestito il ballo prima della partenza dei loro ospiti, che sarebbe avvenuta la mattina successiva, si stava esercitando a ballare con lei. Uno dei musicisti che avrebbe suonato quella sera si era offerto di suonare per la loro esercitazione, e così faceva, mentre altre delle dame di compagnia che ronzavano sempre intorno a sua sorella stavano pigramente sedute su delle poltroncine. Triste e allegra allo stesso tempo, cercava di godersi quei momenti, quegli ultimi istanti nel luogo in cui era nata.

“No! No! No! Aspetta…” mormorò Anna, fermando il loro dondolio, che non somigliava per niente alle movenze aggraziate delle coppie che ballavano. “Così…”, le mostrò muovendo il piede destro prima in avanti, poi leggermente indietro e infine di lato.
“Avanti…” e andarono avanti, “indietro”…e indietro…” di lato…”.
“Che razza di modo di ballare è questo?!”.
“Allora eri seria quando dicevi di non saper ballare”. Anna le sorrise. “Come fai quando tuo padre da' i suoi ricevimenti?”.
“Ehm…” mormorò Elsa imbarazzata, “ non ci vado…?”. Non aveva del tutto mentito, anche perché non era mai stata presente ad uno dei ricevimenti di suo padre, o almeno, non uno in cui fosse abbastanza grande da poter partecipare.
La sorella strabuzzò gli occhi, incredula. “Mai?”.
“Solo quando bisogna ballare, ma a volte vado anche a quelli. Ma non mi piace. Anzi, probabilmente se non fosse per Hans, la corte non vedrebbe mai la mia faccia”.
Le dame sulle poltrone avevano cominciato a civettare, e stare in quella stanza con le loro vocette stridule e le loro risatine stava diventando insopportabile. Il caldo di certo non aiutava quella convivenza. “Sono così noiose…” mormorò Elsa, lanciando un’occhiata alle sue spalle, “ sicuramente non le hai scelte liberamente, giusto?”.
“Affatto” sussurrò Anna mentre continuavano con il dondolio dei loro passi, “le ha scelte quasi tutte mio padre”.


Elsa scoppiò in una risata al solo pensiero che sarebbero potute essere le sue dame di compagnia, e probabilmente lo sarebbe state, se fosse rimasta a vivere dove avrebbe dovuto. Il destino aveva avuto per lei altri progetti.
“Cosa c’è di tanto divertente?”.
“E non potremmo liberarcene, almeno per ora?” sussurrò Elsa al suo orecchio, sorridendo. Anna ridacchiò. “Cosa vuoi fare?” le domandò.
La sorella fece spallucce, senza avere veramente di idea di cosa avrebbero potuto fare. “ Due passi all’aria aperta magari…”.


Proprio in quel momento, le porte del grande salone si aprirono  e il re fece la sua comparsa, in compagnia di Hans.
“Ah! Non ci posso credere” esordì quest’ultimo, “ se avete convinto mia sorella a ballare, chissà cosa potreste fare, principessa. Vi dispiace se la rapisco per un attimo? Abbiamo delle questioni private da discutere”.
“Prego”. Le due si staccarono e dopo una breve riverenza al re, che si allontanò con Anna, mentre Elsa e Hans presero la strada opposta.
Camminarono fino ad arrivare al corridoio della stanza di lei, in silenzio.
“Allora, quali sono le questioni private che dobbiamo discutere, signor Westerguaard?” chiese lei, spingendolo giocosamente verso il muro.
“Io fossi in te non riderei…” mormorò lui, strizzando gli occhi.
“Avanti, cos’abbiamo di così  importante da dirci?”.
Hans sospirò forte, e le prese la mano, trasmettendole una tensione palpabile.
“Ehi…” mormorò Elsa, accarezzandogli il dorso della mano con i polpastrelli. La tensione che piano piano cresceva dentro di lei, trovò sfogo nella sua magia, che piano piano riprendeva possesso dei suoi capelli, tingendo alcune ciocche di un bianco candido. La ragazza sussultò mentre le sfiorava con le dita, pensando che avrebbe dovuto ritingerle. La magia, per quello usava la pece. Se non avesse avuto quel bizzarro dono, chi lo sa, forse avrebbe avuto i capelli castani come quelli di sua madre, o del colore di Anna…ma invece, la magia le aveva preso perfino i capelli e ora se ne stava riappropriando. “Vuoi dirmi cosa succede? Mi stai facendo preoccupare”.
Camminarono ancora per qualche tratto, e mentre lei pensava che forse era meglio rimanere in silenzio, dava l’espressione sul viso di lui, grave e triste, d’altra parte l’angoscia e l’impazienza si facevano troppo forte. “Di cosa dobbiamo parlare?”.
Hans tossì, imbarazzato. “Beh, noi  di nulla. Ma forse tu hai qualcosa di importante da dire a lei…”. Girò la maniglia della porta, rivelando la figura pallida della regina all’interno della stanza. Elsa strabuzzò gli occhi, guardando prima l’una e poi l’altro, fino a che non capì.
Lei sapeva. La vide tendere una mano verso di lei, aprire le labbra, poi richiuderle, senza aver avuto il coraggio di dire niente.
“Tu…” sussurrò Elsa, a voce a malapena udibile, “tu…”. Indicò il principe con il dito tremante, fino a che la rabbia che la scuoteva divenne troppo forte perché potesse controllarla. “Tu! Traditore!”.

Gli afferrò i lembi della camicia a pugni chiusi,  e lo scosse, mentre lui cercava di fermarla e trattenere la sua furia.
“Tu mi avevi dato la tua parola!”.
“Non l’ho mai fatto, non dirlo”. Elsa si dibatté furiosa, mentre lui le stringeva i polsi.
“Lo sanno tutti?! Tutti quanti?”.
“No ”.
“Bugiardo!”, urlò, “ tu gliel’hai detto!”.
“No” intervenne ferma la voce della regina. “ Lo so solo io”.  I due si girarono mentre lei si avvicinava con tutta la grazia dovuta al suo ruolo. “ Lui  non ha fatto nulla. L’ho capito da sola” continuò.

Elsa lasciò andare la presa, voltandosi verso sua madre. “Hai…hai ancora il ciondolo che ti ho regalato”, la voce le tremò, mentre dava quella spiegazione.
Elsa la guardò con occhi spalancati, e tastò la cordicella a cui era attaccato il medaglione, tirandolo fuori da sotto il corpetto. Lo tenne nella mano per qualche minuto, come per accertarsi che fosse davvero lì e poi lasciò che ricadesse sul suo petto, senza spostare lo sguardo di un millimetro.
“Possiamo…parlare per un minuto?” chiese Idunn, ferma sulla soglia della porta.
Lei indietreggiò, “No…io…”. Cercò la mano di Hans, che prontamente afferrò la sua. “Scusa” mormorò voltandosi a guardarlo. Lui le baciò la mano e la lasciò, “Non preoccuparti” sorrise, “tornerò quando avrete finito”.
“Hans…!” lo chiamò lei, mentre si allontanava per il corridoio.

Lui si voltò a farle l’occhiolino e poi scomparve. Le due donne rimasero sole sulla soglia della porta. Il silenzio fu così assordante, che alla fine fu la regina a decidere di parlare per prima.
“ Stai bene?” chiese.
Elsa si limitò mostrare le braccia, come per dire, “lo vedi come sto”, facendo vedere i palmi nudi.
“Non hai i guanti” sussurrò ancora, azzardando un sorriso silenzioso.
“Non li ho più da molti anni”.
Il labbro della regina tremò mentre si portava le mani alle labbra, per frenare il pianto in arrivo. Elsa sapeva che il suo atteggiamento sembrava ostile agli occhi della madre, ma non lo era affatto. Non aveva nulla da rimproverarle, ma di fatto, la paura le bloccava il corpo, impedendole di reagire come avrebbe voluto.
“Elsa…” mormorò la regina, allungandosi per afferrarle una mano. Lei si scostò, indietreggiando fino a toccare il muro. “Per favore” la pregò ancora. “Solo per un attimo…” le fece cenno di seguirla.

Elsa fece un gran sospiro, respirando tutta l’aria che poté: sentì che di lì a poco, come minimo sarebbe svenuta. Si fissarono ancora e ancora, entrambe con il cuore pesante e felice, e confuso, e tutto un groviglio di sentimenti che non capivano, presenti tutti nello stesso momento. Percorsero insieme il corridoio, fino ad arrivare nell’aria della nursery, e si ritrovarono davanti alla porta della sua stanza, bianca e perfetta come lo era quando lei l’aveva lasciata per sempre. Camminarono insieme, così vicine da potersi sfiorare, ma non lo fecero.
La regina girò la maniglia, ed entrò. Elsa la seguì dopo qualche attimo, cercando di controllare il respiro e soprattutto, le mani. Al centro della stanza, stava la sedia di Agdar. Ricordò quanta voglia aveva avuto di rientrare in quella stanza, anche solo per pochi secondi e si spaventò di quanto negativi fossero i suoi sentimenti adesso che vi era dentro.
Sua madre si posizionò dietro alla spalliera della sedia, tenendola con entrambe le mani. Il loro stesso mutismo le sfiorava, schiaffeggiandole, rendendole entrambe nervose.


“Dal giorno in cui sei sparita…” spiegò Idunn, “tuo padre viene a sedersi qui. Per ore, e ore. All’inizio non veniva a dormire, o si addormentava nello studio, non si dava pace”. Si strinse le braccia al petto, per resistere alla tentazione di toccare la figlia, non potendo sopportare un rifiuto da parte sua. “ Non pensavo che ti avrei rivisto ancora”.
“Perché…perché mi dici tutto questo?”.
“Dove sei stata?”.
“Penso tu sappia da dove sono venuta”.
“Sei sempre stata lì?”.
“Sempre”, quella risposta fu un alito di vento.
La regina rialzò la mano, per accarezzarle una ciocca di capelli, e la riabbassò, come avesse visto solo in quel momento che erano tinti di nero e se ne stesse chiedendo il perché. “Quando eravamo nel giardino, perché mi hai mentito?”.
“Cosa potevo dire?” fece Elsa, sentendosi impotente, “tornare dopo tredici anni come se nulla fosse, ed essere sicura che mi avreste accolto a braccia aperte?”.
“Sei nostra figlia”. Quelle parole uscirono dalla sua bocca come un lamento.
“Sì” concesse lei. Si morse un labbro, nel tentativo di fermare il dolore crescente che sentiva invaderle il petto, insieme alla gioia e allo stordimento.
“Perché sei venuta, se non avevi intenzione di dirci nulla?”.
“Non sapevo che Hans dovesse incontrarvi”.
“Non saresti venuta?”. Quella domanda fu piena di tristezza.
“Volevo vedervi così disperatamente ” sussurrò lei, mentre una lacrima le rigava il viso. “ L’ho desiderato per anni. Ma poi una volta arrivata qui…”.
“Ti ho vista sai? Quando ancora non avevano detto il tuo nome…quando siamo entranti da quella porta. Il modo in cui ci fissavi. Con il tuo vestito blu e il tuo cuore spezzato in mano”. La regina rivolse per un attimo la testa al soffitto, ma le lacrime scesero comunque e lei non poté fermarle. “ Ho visto i tuoi occhi e mi sono chiesta cosa mai ti avessero fatto”. Chiuse piano le palpebre, permettendo alle lacrime di fluire libere.
Elsa fece una risatina amara. “Come una bambina” sussurrò, “ gli occhi di una bambina che si chiede in che razza di posto alieno sia finita, con che razza di uomini, senza sapere cosa ne sarà di lei. Una bambina che cerca i suoi genitori dentro una collana e sa che non può tornare a casa”.
“Cosa stai dicendo?”.
“Mi stavate mandando via…quando c’è stata l’imboscata. Stavo…me ne stavo andando per sempre”.
“Non per sempre!” la regina quasi urlò, “ per un po’. Volevamo che andassi al Palazzo Estivo qualche mese prima di noi, per…perché imparassi a gestire il tuo dono, e ti avremmo raggiunto non appena possibile”.
“Lo avete fatto sembrare un addio” pigolò Elsa, “ tu non puoi capire quanto fossi in pena. Ero una bambina di otto anni, senza i suoi genitori”.
“Elsa…”. E poi, “Perché non ci hai provato? Perché te ne sei andata?”. Quando Idunn provò nuovamente a toccarla, la figlia scansò la sua mano con rapidità, subito poco prima che dal terreno cominciassero a formarsi spuntoni di ghiaccio affilati.
“Secondo te l’ho deciso io?”. Elsa si appoggiò con la schiena alla porta, lasciandosi scivolare dolcemente sul pavimento freddo a osservare la sua difesa di ghiaccio. Vedeva ciò che i suoi occhi di bambina avevano visto, attraverso il suo riflesso nel ghiaccio.  “Ho visto uomini colpiti da frecce, uomini che morivano perché dovevano salvarmi a qualunque costo. Sono rimasta sdraiata in mezzo alla terra per ore, forse giorni, fino a che non mi hanno trovato. Avevo perso i sensi, e quando mi sono svegliata, su una nave, non sapevo né chi fossero le persone con me, né dove stessi andando. E non sapevo più che nemmeno chi ero io, così le ho seguite”.
“Ero perduta” continuò, “ e poi ho trovato Hans”.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi al ricordo di quei momenti spaventosi, quei ricordi che aveva cercato di affogare nei più remoti angoli di se stessa e che credeva non sarebbero mai più tornati a galla.
“Così eravamo noi” spiegò la regina, inginocchiandosi di fronte alla figlia, “siamo dovuti tornare alla radura, e fare in modo che i troll cancellassero i ricordi di Anna. Lei era…distrutta. Chiedeva di te continuamente, ossessivamente, e per i primi tempi, facemmo finta che tu fossi ancora nella tua stanza. Ma è sempre stata una bambina sveglia, e presto ha capito che non era così”.
“Allora…ho…me ne ero accorta. Lei non si ricorda di me”.
La regina scosse la testa, malinconica.
“Ma noi sì” mormorò. “ Ti abbiamo cercata a lungo. Abbiamo lasciato casa per venire a cercati…”.
“Voi…cosa?”.
“ Abbiamo attraversato il mare, e tu sei sempre stata così vicina…E non abbiamo mai smesso di sperare che arrivasse un giorno come questo, nel quale ci saresti comparsa davanti per magia”. Prese il viso della figlia tra le mani, spazzando via le sue lacrime, superando la barriera che lei aveva messo tra loro, e questa volta, Elsa rimase immobile, godendosi il contatto. Prese la mani della madre tra le sue, tenendosele premute sulle guance e chiuse gli occhi.
“Mamma…”mormorò. Il ghiaccio scomparve.
“Oh, tesoro mio…mia cara…!”. Idunn se la strinse al petto, con tutta la dolcezza e una dedizione che solo una madre può avere. Se la strinse al petto, e per qualche attimo, dimenticò tutto il resto.



 
*


Hans, dietro la porta da più di un’ora, sbuffò con impazienza. “Elsa…ma cosa diamine stai facendo là dentro?!”.
La sentì muoversi all’interno della stanza mentre gli rispondeva, “Ancora qualche minuto! Giuro che ti piacerà! Ne sono sicura, me lo hai sempre detto e ridetto”. La sentiva spostare oggetti e riporne altri. Rimase in ascolto fino a che non sentì degli altri passi provenire dal corridoio. Vide la principessa Anna venire verso di lui con un pacco ripiegato sul braccio, che probabilmente conteneva un abito.
“Ti ha esiliato?” gli domandò con un sorrisetto, “perché dovrei entrare. Mi ha madre mi ha chiesto di portarle questo”. Fece un rapido cenno a ciò che teneva in mano.
“Così sembra” rispose lui con un sospiro, “ma magari farà entrare te”.
“Elsa?” provò Anna.
“Oh!” rispose l’interpellata dall’interno della stanza, “Anna! Un minuto, un minuto solo”. I due si guardarono, palesemente incuriositi.  “Arrivo! Arrivo subito!”.
“Sembra che abbiano architettato qualcosa” ridacchiò Hans, “ vorrei proprio sapere di cosa si tratta”.
“Anche io” concordò Anna, “non sapere quello che succede mi da’ sui nervi…e  mia madre era così…allegra”. Storse il naso.
Proprio mentre sceglieva con cura quell’ultima parola, la porta si spalancò rivelando la figura di Elsa, buttata dentro un abito largo e informale. Anche in quel modo però, il suo viso spiccava. Si passò le mani tra i capelli, nuovamente albini, e domandò con un sorrisetto sardonico, “Come sto?”.
“Bentornata, biondina….” sussurrò Hans, facendole l’occhiolino.
Anna dal canto suo, rimase in silenzio, a bocca spalancata, per poi quasi urlare qualche minuto dopo, “Tu…sei…bionda?!”.


 
*
“Cosa avete pianificato, se posso saperlo?”. Hans ed Elsa, entrambi distesi sul materasso della camera di lei, gli occhi rivolti al baldacchino sopra di loro, erano rimasti muti per parecchio tempo prima che il principe ponesse quella domanda.
Elsa girò la testa per guardarlo, facendo piovere ciocche di capelli biondi sul suo petto. “Vuole…vuole che incontri mio padre. Sai, per…insomma, per dirgli che sono viva. Credo”.

“E poi?”. Prese un ciuffo dei capelli di lei tra le mani e cominciò ad arrotolarlo piano tra le dita, facendola sorridere.
“E poi, Hans” rispose lei, sollevandosi per mettersi a cavalcioni sopra di lui, “poi torneremo a casa e dimenticheremo questo brutto incubo. Dovrei staccarti la testa per quel che hai fatto”. Tracciò una piccola striscia di ghiaccio sulla sua gola, e lui inarcò un sopracciglio, sicuro che non lo avrebbe mai fatto.
“Davvero?”.
“Sono ancora arrabbiata con te”.
“A me non sembri così arrabbiata”, portò le mani sul busto di Elsa, facendola chinare per un bacio, “principessa”. Un bacio che non arrivò.
“La vuoi smettere?”. Elsa si alzò, portando con sé una scia di fiocchi di neve.
“Cosa ho detto?”.
“Devi piantarla di calcare quel principessa, ogni volta che mi dici qualcosa…è diventato insopportabile ”.
“Ma lo sei, Elsa”.

“No” rispose lei, fulminandolo con lo sguardo, “non è vero”.
“Lo è” ribatté, alzandosi a sua volta per andarle incontro. “E’ quello che sei, anche se non lo vuoi. Lo sei tanto nel mio reame quanto in questo”.
“Esatto, non lo voglio! Non lo sono, non lo sono mai stata. Una volta, forse. Non ora. Non mi sento esattamente quella che si può chiamare una principessa”.
“Ma come fai a ragionare in questo modo? Tuo padre è un re! Saresti la prima in linea di successione, saresti…”.
“Ma io non voglio essere la prima in linea di successione! Non voglio essere una principessa, né tantomeno diventare una regina! Voglio tornare a casa, voglio essere normale, come lo sono sempre stata fino a quando non hai scoperto tutto questo. Una volta non aveva importanza per te, se fossi una principessa o la figlia di un contadino, cosa è cambiato ora?”.

“Questo è cambiato. Tu sei a casa, e dici di voler andare via. E non una casa qualunque, una casa con due genitori che ucciderebbero per te, due genitori che ti amano. Una sorella. Come puoi lasciare andare tutto questo?”.
“La famiglia non è solo un fatto di sangue. Se ne può trovare un’altra”.
“Credimi” mormorò il principe, con la voce colorata di disapprovazione, “nessuno lo sa meglio di me. Io ne ho trovata un’altra”. La fissò intensamente negli occhi, “ una migliore. Una che amo. E proprio perché è l’unica cosa che ho non lascerò che commetta errori”.
“Il mio non è un errore Hans. E’ la cosa migliore da fare. Per tutti noi”.
“E per te?”.


 
*

Mentre girava, la stoffa dell’abito azzurro frusciò, e si alzò, danzando nell’aria per qualche minuto. Elsa si scontrò con la sua immagine riflessa allo specchio, senza riuscire a capire cosa provava in quel momento. Sentiva il suo cuore battere furiosamente.
Idunn le fu dietro, e poggiò le mani sulle sue spalle nude, sorridendole dallo specchio. Anche lei si era cambiata per la serata, e la corona argentata che portava sempre sul capo splendeva tra i suoi capelli bruni.
“Non so se posso farlo” mormorò lei, fissando ossessivamente il suo riflesso. I suoi capelli biondi splendevano, così come l’abito che sua madre aveva fatto confezionare in fretta e furia.
“Ce la farai” rispose la regina, posandole un bacio sulla fronte. “Ricordi tutto quello che ti ho detto a proposito del sistema dei balli?”.
“Certo”, Elsa fece un respiro profondo, “ il primo ballo, è riservato al re e alla primogenita”. Prese le mani di sua madre, cercando di fermare il tremore che la avvolgeva. “Ma come impedirò che mio padre balli prima con Anna?”.
“Ti spingerò se sarà necessario, ma farò in modo che ti veda, puoi starne certa”.
“Gli verrà un colpo al cuore, madre! Non potremmo…non lo so, incontrarci in giardino?”.
“Assolutamente no” sorrise incoraggiante la regina, “ voglio gustare lo spettacolo nel Gran Salone”.
 Elsa sorrise debolmente, “Allora…dobbiamo andare, adesso”.
“Ancora un attimo” la pregò la regina. Aprì uno dei cassetti del suo scrittoio, tirando fuori la piccola custodia di un gioiello.
“Cos’è?”.
“Una collana” sospirò la regina, “l’ho fatta fare anni fa, ma non l’ho mai portata. Preferivo guardarla e richiuderla nel cassetto. Ma penso che ora sia necessaria”. Scoperchiò l’astuccio che la conteneva, rivelando un piccolo fiocco di neve fatto d’argento.
“Oh”.
“Già”.
La allacciò al collo della figlia, sopra il medaglione che aveva sempre portato.

 

*

Il rumoreggiare dei presenti nella sala e il rumore dell’orchestra che suonava, sembrava ricoprire ogni altra cosa. Gonne fruscianti e colorate si spostavano per la sala con bicchieri di vino in mano, altre con ventagli di piume. Da tempo non c’erano festeggiamenti così sfarzosi a palazzo, e tutti sentivano l’eccitazione che invadeva l’aria. Il re e la regina stavano sui loro troni, mentre Anna girava inquieta per sala, godendosi il momento, su suggerimento di sua madre.
“Arriveranno in ritardo” mormorò il re contrariato, “voglio fare un’entrata spettacolare, non è così?”.
Idunn sorrise, poggiandogli una mano sul braccio, “Non preoccuparti. Andrà tutto bene”.
“Tu ne sai qualcosa?” chiese Agdar sospettoso.
“Perché dovrei?”. La moglie volse lo sguardo verso le dame presenti in sala, pregustando col pensiero il momento in cui sua figlia sarebbe entrata. E proprio mentre fissava le scale, in attesa, vide il principe Hans scenderle in tutta fretta, dirigendosi verso di loro. S’inchinò brevemente e poi parlò. “ Spero che loro Maestà vogliano scusare l’assenza della mia principessa”, volse un’occhiata alla regina, quasi implorandola di intervenire, “ improvvisamente non si è sentita molto bene, e ha preferito rimanere in camera”.
Idunn la cercò con lo sguardo, improvvisamente inquieta, sperando con tutto il cuore che fosse uno scherzo. Si erano messe d’accordo, e allora lei spariva.
Non poteva farlo! Non in quel momento. “Vogliate scusarmi per un attimo” mormorò. Si alzò, dirigendosi in tutta fretta verso il corridoio. La sua improvvisa uscita dalla sala ovviamente, non passò affatto inosservata. I mormorii cominciarono non appena gli invitati la videro scomparire dietro le grandi porte della stanza. Lei non se ne curò affatto.
Con il cuore che le batteva così forte da minacciare di uscirle dal petto, salì le scale, per raggiungere Elsa.




Mi scuso davvero tantissimo per il mostruoso ritardo! Non vi ho abbandonato, giuro! La mia vita è un pochino un disastro in questo periodo.
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e cercherò di postarlo nel week end della settimana prossima :) Spero davvero che mi perdonerete e che il capitolo sia di vostro gradimento.
Un bacione enorme!
felsah

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Vedo l’altra metà del mio cuore ***


Epilogo - Il primo ballo
(Vedo l’altra metà del mio cuore)








 
I hear your voice in my sleep at night
Hard to resist temptation
'Cause something strange has come over me
And now I can’t get over you
No, I just can’t get over you

I was there for you
In your darkest times
I was there for you
In your darkest nights
But I wonder where were you?
Oh baby why did you run away?
[Maps – Maroon 5]


La prima volta che vide Hans erano arrivati al porto da quasi due giorni, eppure il vecchio che l’aveva trascinata fin lì non aveva accennato a voler scendere. Dopo tutte le promesse sulla bellezza delle sue isole, l’incanto era svanito non appena avevano messo piede in quei luoghi di cui Elsa aveva sentito tanto parlare. L’uomo si era lasciato andare alle distrazioni dell’alcool e degli affari andati male, e ogni volta che la bambina lo incontrava si teneva a distanza, troppo spaventata dai suoi occhi color del sangue e troppo stanca e triste per poter sopportare i suoi discorsi da ubriaco.
Quel giorno, si era affacciata sul ponte per dare un rapido sguardo alla città, quando la sua attenzione era stata catturata dai tre giovani principi che parlavano con l’uomo che l’aveva salvata.
Rimase a fissarli, ma non riuscì a capire nemmeno una parola di quello che si dicevano, perché erano troppo lontani. Dopo che aveva perso i guanti chissà dove e si era risvegliata senza, aveva strappato dei pezzi del suo vestito e si era avvolta le mani in quegli stracci.
Così era rimasta lì ferma, come quasi per tutto il resto del tempo, aspettando qualcosa che avrebbe potuto cambiare quel terribile destino. Perché proprio io? , si chiedeva, e quando le cadeva lo sguardo sulle sue mani fasciate sapeva di avere la risposta. Il primo pensiero nel vedere quegli abiti eleganti fu di svelare subito la sua identità per trovare un modo di tornare a casa.
Poi i pensieri dell’addio ai suoi genitori e della corsa a cavallo le oscurarono la mente, impedendole quasi di parlare.
Forse, non le avrebbero creduto.
Forse, tornare sarebbe stato inutile.
Già, forse non meritava nemmeno di essere salvata. Non una come lei.
Altrimenti, perché si sarebbe trovata lì? Se solo se lo fosse meritato, ci avrebbero pensato i suoi genitori a salvarla.
Ci avrebbero pensato anni fa.
Se lo meritava? I suoi occhi si fissavano allo specchio, quasi non credessero di star guardando la stessa persona. Elsa slacciò l’acconciatura e sbottonò il vestito.



“Dove stai andando?”. Idunn cozzò contro la figlia proprio mentre saliva le scale, e quella le scendeva. “Perché ti sei cambiata, cara?”.
Le prese il volto tra le mani, dolcemente, mentre scrutava la sua tenuta da viaggio e il mantello scuro che celava i capelli biondi.
“Perdonami, mamma…” pigolò lei, “non ce la faccio”. La regina le calò il cappuccio, e cercò i suoi occhi, rigati dalle lacrime che aveva pianto prima di prendere quella decisione. “Lasciami andare…”.
“Andare dove?” domandò, tentando di tenerla ferma mentre lei voleva solamente sfuggire al suo abbraccio.
“Andare a casa” piagnucolò lei,  abbandonando la testa sopra la sua spalla, “ andare via senza che niente sia cambiato”.
“Sei già a casa” sussurrò la regina, baciandole i capelli biondi, “ dopo tanto tempo…sei a casa”. La sentì scuotere la testa e in quello stesso momento, rialzarla.

“No” disse, ingoiando l’amaro boccone che sentiva essere la verità. Anche la regina fu costretta ad assaporarlo, come una medicina disgustosa. Rimasero in silenzio per qualche minuto, ma Elsa aveva smesso di cercare di sottrarsi all’abbraccio della madre.
“E allora dove andrai?”.
“Via” rispose, così semplicemente che la banalità di quella risposta fece paura.
“E lasceresti così il principe Hans?”.
“Io non potrò…mai sdebitarmi per ciò che ha fatto per me. Ma lui se la caverà benissimo anche senza di me”. Sospirò, “Credo di avergli causato anche…anche troppi problemi”.

La regina sorrise dolcemente. “ Non dire sciocchezze, mia cara” mormorò, “ credi che nessuno abbia notato i suoi occhi quando ti guarda? Il costante pendere dalle tue labbra?”.
Le fece l’occhiolino, “è stata una delle tessere necessarie a farmi ricomporre il puzzle, anche se ho faticato ad ottenere la sua collaborazione”.
“Come fai a credere che funzionerà? Come fai a sapere che mio padre ci crederà?”, chiese Elsa, spostando lo sguardo verso le porte chiuse del salone, da dove arrivava la musica dei festeggiamenti. “Come sai che invece non mi caccerà?”.
“Perché lui non ha intenzione di perdere di nuovo sua figlia”. La sicurezza di quell’affermazione, per un attimo la travolse, e Elsa rimase ferma a fissare il viso di sua madre, deciso come quello di un soldato. “E nemmeno io. Io non ti perderò di nuovo”.


Il tremore che la percorse dopo quell’affermazione e tutta la sfiducia e la paura che la sorpresero, si tramutarono in ghiaccio. Spuntoni affilati come spade le fuoriuscirono dalle braccia, squarciando la stoffa dell’abito che indossava. Si lasciò andare sulle scale, prendendosi la testa fra le mani. Il ghiaccio continuava a tormentarla, pungendole la pelle, graffiandole il cuore.
Era così tanto tempo che non aveva quegli attacchi che aveva dimenticato quanto fossero dolorosi. “Perché?” riuscì a mormorare con un filo di voce. “Guarda cosa sono…”.
Idunn si sedette sulla gradino successivo. “Lo vedo”.
“Lo vedi? Io non credo”.
“No?” chiese la regina, con fare contrariato, spostando leggermente la testa da un lato, così da osservare meglio sua figlia. “Allora facciamo così, ti dirò esattamente cosa vedo e mi dirai se le due cose corrispondono. Vedo…”, si fermò osservandola così a lungo che Elsa fu costretta ad alzare il capo, chiedendosi a cosa fosse dovuta quella pausa, “ una bellissima donna”, la fece sorridere, “ e…soprattutto forte, e indipendente. Quello che ci vuole a per quella che sarà una regina”.
“Io…”. Le poggiò un dito sulle labbra, intimandole di fare silenzio. Le parlò come si fa con i bambini quando sono un po’ troppo capricciosi.
“Intelligente e sensibile” continuò, “ vedo una fatina a cui piacciono un po’ troppo poco i suoi poteri…”.
“Una fata?”.
“Vedo mia figlia…una bambina con cui avrei voluto passare più tempo, e una donna con cui spero di passarne ancora. Vedo l’altra metà del mio cuore. E non posso, non voglio perdere di nuovo il mio cuore”.
Elsa sorrise, mentre ancora tentava di contenere le lacrime.
 La magia scomparve dalla stanza così velocemente com’era apparsa, sostituita dal calore dell’amore che le circondava. “Ora mi dici come faccio a far entrare la mia principessa, se la mia principessa ha i vestiti strappati?” le chiese con un sorriso, raggiante e pieno dell’amore che provava. La aiutò a scacciare via il pianto.
“Credo” ridacchiò Elsa, “che la fatina che è dentro di me possa fare qualcosa”.
“Come?”.
Idunn la guardò piena di orgoglio mentre sulle scale, muoveva le dita per tramutare la stoffa del suo vestito in tanti piccoli cristalli luccicanti. Uno strato di neve e ghiaccio brillante le invasero il corpo, e ondeggiarono intorno a lei per formare un perfetto abito da sera.
Le sorrise, e si aggrappò al suo braccio, aiutandola a scendere le scale che rimanevano per arrivare al salone.  “Aspettami qui” mormorò lasciandola al centro della grande stanza. Rientrò nel salone come se nulla fosse successo, con il portamento degno della donna che era. Kai, che aveva aperto la porta, la fissò per qualche attimo. “E’ bello rivedervi, Vostra Altezza” la salutò, con il sorriso di chi la sapeva lunga.
Anche Elsa suo malgrado, rise.
“Bentornata” fu la risposta che ottenne, proprio mentre Anna compariva sulla soglia della porta.


“Venite?” domandò, “mia madre mi ha chiesto di accompagnarvi. Siete bella da togliere il fiato stasera!”.
La fece avanzare per un po’ all’interno della stanza e dopo qualche secondo, con sua enorme sorpresa, la prese per mano. Elsa la guardò allarmata, proprio a un passo da dove il ricevimento cominciava. Strinse la mano della sorella con maggior vigore, desiderando di abbracciarla così come aveva fatto per tanto tempo. A quanto pare, nella confusione dei balli e del rinfresco, la loro entrata era passata quasi inosservata. Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che né suo padre né sua madre erano seduti sui loro troni. Forse, essendo in giro per la sala a chiacchierare con gli ospiti, avrebbe potuto evitare il fatidico incontro ancora per un po’.
Così, trattenne un gemito di terrore quando si accorse che Anna la stava trascinando proprio verso il re e la regina, impegnati a discutere con Hans e altri dignitari. “Allora, ci siamo perse qualcosa d’interessante? O state sempre parlando di porti e mercanzie?” domandò la sorella a nessuno in particolare, con il suo solito buon umore stampato in volto.
“Sempre di porti e mercanzie, tesoro” rispose il re, voltandosi verso il punto dal quale era arrivata la voce di sua figlia.
Non appena i suoi occhi si spostarono dagli uomini con cui stava parlando a loro due, la sua espressione cambiò radicalmente. Rimase in silenzio, mentre i suoi occhi scrutavano i capelli biondi di Elsa, i ricami del suo vestito, e poi di nuovo il suo viso.

“Va tutto bene, padre?” domandò Anna, lanciando occhiate ansiose prima a una e poi all’altro. Aveva sentito Elsa, accanto a lei, irrigidirsi terribilmente. Le stringeva la mano così forte che pensava le avrebbe staccato le dita da un momento all’altro. “Padre?”.
La tensione vibrava nell’aria, così forte e prepotente che i due principali artefici di quella situazione sembravano aver smesso di respirare. Elsa di sicuro, stava trattenendo il fiato.
“Beh, alla fine siete tornata tra noi” mormorò la regina facendosi avanti con un gran sorriso, “principessa”.
Finalmente Elsa, anche se a fatica, si decise a spostare lo sguardo.
Guardò sua madre e poi di nuovo suo padre, immobile come fosse stato fatto di pietra. “Sì” sussurrò lei, così piano da essere a malapena udibile. “Sì. Sono tornata”.
E mentre diceva quelle parole, sentì di averle dette solo per se stessa. Fu il cominciare dei balli ufficiali, quelli più cerimoniosi ed elaborati, e che erano più di un semplice divertimento, a salvarli da quel colorato imbarazzo. Il primo ballo. Le parole che le aveva detto sua madre continuavano a ronzare nella testa della povera ragazza. Il primo ballo era riservato al re. E alla primogenita.
Si voltarono entrambi quando la voce acuta del ciambellano annunciò l’inizio di quella fiera. Anna si era voltata verso suo padre, visibilmente in fermento. Non vedeva proprio l’ora di ballare! L’aveva detto a chiunque con cui aveva avuto occasione di scambiare quattro chiacchere.
E si erano esercitati tanto.
Agdar impiegò qualche secondo a muoversi, ancora fermo nella stessa posizione, che sembrava averlo congelato. Poi porse la mano ad Elsa, invitandolo a seguirlo. Lei rimase a guardarlo per qualche minuto prima di decidersi ad abbandonare la stretta di Anna e sostituirla con quella di suo padre.
Mentre si allontanavano per raggiungere il centro della sala, aveva sentito sua sorella chiedere, con evidente impazienza, “ Aspetta, lo stanno facendo per le nostre trattative? Non dovrei avere io questo ballo?”. Non riuscì a sentire la risposta della regina.

Volteggiò con suo padre nel grande salone, consapevole di avere gli occhi di tutti addosso. Sapeva che quello non era proprio il momento più adatto per ricominciare a piangere.
Ma pianse comunque.
“Se ora tu piangi, finirò per farlo anche io” sussurrò il re al suo orecchio, quando la sentì tremare. Riuscì a strapparle una risata, mentre la figlia cercava di fermare le lacrime che le scorrevano sul viso. A dire la verità forse tremavano entrambi. E quando finalmente fu permesso anche alle altre coppie di ballare, ne approfittarono per uscire dal salone al giardino, sempre a passo di danza, così da cercare di non farsi notare.
Come se fosse stato possibile. Si fermarono davanti al laghetto di ninfee, e solo allora smisero di danzare. Continuarono però a tenersi stretti, come se fossero stati sul punto di riprendere da un momento all’altro.
Non riuscivano a far altro che fissarsi. Fissarsi e cercare di non respirare, per paura di dover far passare attraverso i polmoni un dolore troppo grande, un macigno insopportabile che li avrebbe spezzati. Agdar cercò le sue mani, e strinse i palmi nudi della figlia, senza essere troppo sorpreso del fatto che non ci fosse la stoffa dei guanti ad ostacolare il contatto.
“Padre…”. Fu un sussurro. Si perse nel vento. Il re alzò la testa di scatto, proprio come se una scarica elettrica lo avesse colpito in pieno petto. Fu un sussurro, ma lui lo sentì come se lei lo avesse gridato. La strinse a sé, forte, la strinse a sé, semplicemente.
“Bambina mia” singhiozzò. E pianse anche lui.


 

 
*


Tre piccoli tocchi alla porta. Hans, seduto alla finestra, con la camicia arrotolata fino ai gomiti, si voltò, aspettando che si aprisse senza aver dato il suo consenso. Sapeva benissimo che quella mano leggera e i suoi colpetti, appartenevano ad Elsa, e sapeva anche lei sarebbe entrata senza aspettare che dicesse “Avanti”.
Sapeva questo di lei, e altre innumerevoli cose. Sapeva che l’avrebbe persa per sempre senza averle mai detto ciò che contava. Qualche minuto dopo, vede la sua figura apparire davanti alla porta, bionda e a piedi scalzi, proprio come quando da bambini giocavano per le stanze di palazzo.

Ricordava una delle prime volte che era stato insieme a lei, in biblioteca, a leggere un libro di favole.
“Mi basterà avere una bellissima principessa con cui scambiare il bacio del vero amore” le aveva detto convinto, “ e poi sarò re  e avrò una bellissima regina al mio fianco. Avrò quello che voglio” le aveva spiegato, con la cieca convinzione tipica dei bambini. Ricordava anche la sua faccia inorridita e leggermente divertita allo stesso tempo.
Con il tempo, aveva dimenticato la prima parte del suo desiderio, e aveva cominciato a bramare solamente la bellissima principessa che sarebbe dovuta stare al suo fianco.
“Cosa c’è?” domandò, vedendola sostare davanti alla porta.
“Volevo…ecco…dirti una cosa”. Si guardò le dita dei piedi, mentre torturava le mani nude.
“Non verrai con me, vero?” la anticipò, “ se sei venuta a dirmi questo puoi anche andartene”.
“Veramente volevo farti una domanda” sibilò lei, alzando la testa con un movimento rapido.
“Prego, allora”. Avvelenato dalla gelosia che provava, la guardò avvicinarsi e sedersi sulle ginocchia, di fronte a lui. Il cuore gli si stritolò in una morsa all’idea che non aveva fatto abbastanza per conquistarla, mentre lei aveva trafitto il suo cuore.
“Sei…davvero un grandissimo idiota” lo fulminò lei, incrociando le braccia al petto.
“Co – “.
“E ora stai in silenzio e rispondi alla mia domanda. Non ti lascerò parlare perché so quanto tu sia così…difficile certe volte, così come sai essere un perfetto principe azzurro. Ma sono momenti passeggeri, perché la maggior parte del tempo sei insopportabile e odioso e pretendi che tutto vada sempre come vuoi tu. Riesci perfino a convincermi a fare quello che vuoi come…come cavalcare, o venire fin qui. Ma alla fine hai sempre ragione. Alla fine, ti comporti da pallone gonfiato, e io scopro sempre che lo hai fatto solo nel mio interesse, quando non dovevi affatto farlo”.
Hans la guardava ad occhi sgranati, senza sapere dove volesse arrivare. “E allora?”.

“E allora…sei presuntuoso e incredibilmente arrogante. E hai subito pensato che volessi piantarti in asso, come se non mi conoscessi. Ma nulla di tutto questo m’importa, perché…lo sono anche io. Io sono…l’altra metà di te. Sono quella che si prendeva la colpa se rompevamo qualcosa nel tuo castello”.
“Colpa che prontamente io mi riprendevo per non vederti rimproverata”.
Lei sorrise. “ Tanto alla fine castigavano entrambi. Ma nulla di tutto questo m’importa, perché sei l’uomo che amo”. Portò una mano tra i suoi capelli rossicci, mentre ancora lui era incapace di muoversi. “Tutto quello che voglio sapere da te, è se vuoi ancora una bellissima principessa da baciare”.
Si avvicinò alle sue labbra, sicura che lui non avrebbe rifiutato il contatto. Proprio mentre le loro labbra stavano per sfiorarsi però, lui la allontanò, tenendole il mento sollevato. “Non voglio più una bellissima principessa da baciare” sussurrò.
Lei non riuscì a nascondere la sua delusione e si ritrasse un poco, fino a quando lui confessò con un sorrisetto compiaciuto, “Voglio Elsa ”.



 
*

“Anna?”. La vide ferma sulla soglia della sua stanza, con una mano sospesa a mezz’aria, indecisa se bussare o meno.
Quando chiamò il suo nome, la sorella si voltò, leggermente sorpresa. Le sorrise da sotto la zazzera arruffata di capelli rossi.
“Eccoti qui” mormorò.
“Eccomi qui” ripeté Elsa, sorridendo nervosamente. Piegò un poco la testa e la vide dondolarsi leggermente sui tacchi dei suoi stivaletti, tormentando le pieghe del vestito verde con le mani.
“Sai…ci ho pensato tutto il tempo” continuò Anna, seguendo il filone di un discorso che aveva fatto solo a se stessa, e che lei non aveva sentito. “Mentre ballavamo…ci ho pensato e ripensato…a quanto, beh, a quanto sarebbe stato bello se fossimo state sorelle”. Fu il suo turno di sorridere imbarazzata, e le sue guance si imporporarono, “ Ma non avrei mai pensato che…”.

“ E’ stat –“.
“La mamma?” chiese Anna, interrompendola, “sì, me l’ha detto lei. Me l’ha spiegato, in effetti. Ha detto che potevo decidere da sola…se venire…o no. Dice che vuoi andartene di nuovo. Ma probabilmente sapeva che sarei venuta”. Rimase in silenzio per un po’, prima di tirare un forte sospiro, senza smettere di fissare Elsa negli occhi, “ avrei preferito che me lo dicessi tu” confessò.

“Anna…” mormorò lei, sinceramente afflitta.
“No…io…insomma…”.
“Io…mi…mi sei mancata così tanto. Non sapevo cosa fare. Non sapevo cosa fare nemmeno con i nostri genitori. E…” si prese qualche secondo, per cercare di regolare il respiro, “ e se non lo avessero scoperto, a questo punto, non so se glielo avrei detto. Volevo così tanto dirtelo…volevo…quando ti ho vista…”.

Anna sospirò afflitta, triste di non poter impregnare le sue parole dello stesso amore che sentiva traboccare da quelle di lei, “Io…beh, non sono ancora totalmente sicura di chi tu sia ma…lo saprò, presto”. Solo allora Elsa si ricordò di quel che le aveva detto sua madre a proposito dei troll e della memoria di Anna.
“Scusa…scusa io…sono stata troppo precipitosa ”.

“Credi che…” domandò l’altra esitando, “sarebbe del tutto imbarazzante e  inappropriato se ora ti abbracciassi? Sai io faccio parecchie cose imbarazzanti tutto il tempo e…”.
L’abbraccio arrivò comunque.
“Mi sei mancata” le confessò ancora Elsa, mentre la stringeva.




Buonasera!
Fiuuuuuuuuuuuuuù! Finalmente sono riuscita a postare. Chiedo davvero davvero scusa per tutto il tempo che ho lasciato passare tra la pubblicazione dell' (ormai ex) ultimo capitolo e questo...sono davvero davvero dispiaciuta, ma spero capiate. Cosa posso dire? Se non altro, questa volta ho qualche motivo in più per aver ritardato, perchè dopo non aver toccato la storia per molto tempo, quando ho riletto questo capitolo l'ho quasi totalmente riscritto, perchè non mi piaceva più. Nella versione originale per esempio, Anna accompagnava Elsa dal padre già sapendo che è sua sorella - ehehe, le donne della famiglia reale che tramano tutte insieme contro il povero Agdar! - e il re...beh...il re la incontrava in un modo un po' diverso [ se a qualcuno interessasse, era più o meno così ---> mentre la regina lo portava con un'innocua scusa a passeggiare in giardino, dopo aver sbirciato dalla finestra le sue figlie, che si trovavano lì, le sorprendono a "giocare insieme"], ma alla fine ho preferito questo. Spero davvero con tutto il cuore che questo capitolo vi sia piaciuto, e così anche la storia, che con ciò si può dire conclusa.
Vi abbraccio forte! :)
felsah

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2817499