compagni di viaggio

di Lau2888
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** passo 1) 24 ore all'inferno ***
Capitolo 2: *** passo 2) perchè sono un prescelto ***
Capitolo 3: *** passo 3) una corsa contro il tempo ***
Capitolo 4: *** passo 4) spettatori di una triste recita ***
Capitolo 5: *** passo 5) rincorrersi ***
Capitolo 6: *** passo 6) il peso di una scelta ***
Capitolo 7: *** passo 7) game over ***
Capitolo 8: *** passo 8) una torre di luce ***
Capitolo 9: *** passo 9) davanti a un triste giardino fiorito ***
Capitolo 10: *** passo 10) la prima vera sconfitta dei prescelti ***
Capitolo 11: *** passo 11)il marionettista che gioca nell'ombra ***
Capitolo 12: *** passo 12) un ultimo messaggio ***
Capitolo 13: *** passo 13) il laboratorio degli orrori ***
Capitolo 14: *** passo 14) la fine del percorso di due amanti: una luce che brilla per un'ultima volta. ***
Capitolo 15: *** passo 15) Assedio al settore dei Laghi ***
Capitolo 16: *** passo 16) il mio finale perfetto ***
Capitolo 17: *** epilogo: compagni di viaggio ***



Capitolo 1
*** passo 1) 24 ore all'inferno ***


Ciao a tutti ecco una mia nuova ff, buona lettura spero piaccia ^^
Solo una piccola precisazione: il prologo è narrato dal punto di vista di Tai, mentre il resto è … beh diciamo che è un punto di vista un po’ particolare (chissà magari qualcuno lo indovina). Dico solo che è presente della serie e che si mostrerà a poco a poco.
 
 
 
Digiprescelti…
Non avrei mai immaginato che questa parola potesse essere associata a un significato negativo.
Non avrei mai pensato che potesse essere pronunciata con rabbia, paura e perfino odio.
La prima volta che la sentii ero poco più di un bambino, avevo undici anni e avevo una vita semplice e spensierata… una vita dove il mio unico pensiero era giocare e divertirmi con i miei amici e la mia unica preoccupazione era la scuola.
Tutto era maledettamente più semplice: non c’era nessuno da impressionare, nessuno da salvare e nessuno dipendeva da te.
Già… semplice… peccato che in un caldo giorno d’estate tutto questo finì.
Quel giorno, insieme ad altri sei giovani ignari, fui strappato da quella vita e gettato senza alcuna cura in un turbinio di eventi che avrebbero cambiato tutto il mio mondo.
Eravamo solo dei bambini, io ero solo un bambino.
Avevamo sogni e speranze, volevamo vivere avventure fantastiche, volevamo solo fare la cosa giusta… Ma allora perché è andato tutto storto?
Perché le nostre speranze sono state infrante? Perché non ci è stato permesso realizzare i nostri sogni? Perché le nostre avventure e le nostre buone intenzioni ci si sono state rivoltate contro?
Avevamo combattuto con coraggio e onore, anche nelle situazioni più brutte non ci siamo mai tirati indietro… Mai.
Avevamo paura ma siamo andati avanti, ci sentivamo soli e sperduti ma ci siamo fatti forza a vicenda e incredibilmente siamo sopravvissuti.
Nonostante fossimo solo dei bambini avevamo preso sulle nostre fragili spalle il peso di ben due mondi. Ci avete mai sentito lamentarci di questo? Ci avete mai sentito tirarci indietro?
No, non l’abbiamo mai fatto e ne avevamo mai pensato di farlo. E allora perché? Perché è andata a finire così?
Avevamo quattordici anni quando questo peso non divenne più solo il nostro. Una nuova squadra ci affiancava e nuovi digiprescelti nascevano in tutto il mondo.
La nostra responsabilità ora era anche la loro.
Mi chiedo spesso se dividere con loro digiworld sia stata la cosa giusta. Certo al momento sembrava tutto bello: nuovi amici, nuove avventure… per non sottolineare il fatto che i nuovi arrivati ci guardavano con rispetto facendoci sentire importanti.
Ma sfortunatamente quest’immagine era solo un’illusione momentanea.
Eravamo solo dei bambini e come tali eravamo ingenui. Non avevamo pensato a come avrebbe reagito il mondo alla nostra presenza.
Le battaglie negli anni si erano susseguite senza esclusione di colpi.
All’inizio l’unico campo di battagli era digiworld e solo digiworld, ma ora non era più così.
Sempre più spesso i combattimenti si svolgevano nel mondo reale, con conseguenze devastanti.
Purtroppo, però, imparammo presto che la terra è diversa da digiword. I palazzi distrutti non vengono ripristinati una volta messo a posto il digicode, gli alberi sradicati ci mettono anni a ricrescere, le ferite non passano con la digievoluzione e le persone non rinascono sotto forma di uovo.
Nonostante questo siamo andati avanti, accettando ogni rischio e lo avevamo fatto solo per il mondo che amavamo e che volevamo proteggere.
Peccato che il mondo non avesse fatto lo stesso. Peccato che il mondo non lo avesse accettato. Noi non eravamo stati accettati.
Non mi sono mai pentito di essere stato un bambino prescelto. In quel mondo ho incontrato delle persone fantastiche, dei bambini che come me erano stati mandati in una guerra che non era nemmeno la loro. Ho incontrato il mio digimon, che ora è come un fratello per me. Ho vissuto degli anni incredibili fatti di fantastiche imprese, che non dimenticherò mai.
Ma come tutte le cose belle era finito… Il tempo di essere liberi e felici era finito.
Alla fine è apparso qualcosa che nemmeno noi potevamo sconfiggere.
Non si può battere un male invisibile che si diffonde nei cuori delle persone senza pietà.
Ci abbiamo provato, come sempre non ci volevamo arrendere, ma questa volta era diverso. Non c’era un nemico da affrontare perché stavamo combattendo contro il mondo. Non potevamo ricorrere ai digivise perché il nemico non era tangibile. Era un male incurabile, una piaga che affligge il nostro mondo da tempo immemore. Certo si può tentare di eliminarla ma torna sempre, è inevitabile, perché questa è la natura degli esseri umani.
Il mio nome è Taichi Yagami e all’età di sedici anni sto combattendo contro un avversario che sembra invincibile. Ha avuto molti nomi nel corso della storia: discriminazione, odio, razzismo… ma penso che il più appropriato sia paura.
È quello che senti quando ti trovi davanti qualcosa che non puoi o non vuoi capire, qualcosa di diverso, qualcosa che è al di fuori degli schemi. È allora provi paura… paura per te stesso e per il cambiamento che ne deriverà.
Provi così tanta paura che non cerchi nemmeno di dare una possibilità a quello che hai davanti. Provi così tanta paura che l’unica cosa che sei in grado di fare e schiacciare tutto quello che è diverso, che è fuori dagli schemi.
Noi eravamo fuori dagli schemi, noi eravamo diversi, noi eravamo troppo pericolosi per il mondo e ci stavamo diffondendo senza limiti. È allora il mondo ha reagito.
Ci hanno dipinti come dei mostri sanguinari senza onore e coscienza. Hanno dato a noi la colpa di tutto quello che era successo, di tutta la distruzione, di tutte le vite spezzate…
Noi che avevamo difeso la terra eravamo ora una minaccia troppo grande.
I nostri digimon li spaventavano, la loro potenza era tale che poteva mettere in ginocchio la terra in pochi attimi. Noi li spaventavamo perché controllavamo queste potenti creature a nostro piacimento.
Perché? Mi chiedo. Non avevamo mai mostrato volontà diversa da quella di custodire e proteggere il nostro mondo. E allora perché ai loro occhi siamo dei mostri?
 
 
Passo 1) 24 ore all’inferno
 
È una fredda mattina d’inverno. Il sole è da poco sorto e crea un magico gioco di luci con quella poca neve che è ancora rimasta sui tetti delle case.
Le strade della città sono semideserte, il traffico è quasi inesistente e solo ora i primi negozianti cominciano le loro attività.
Un vento gelido dal nord porta con se il caldo odore del pane appena sfornato. La città di Odaiba si sta svegliando.
In queste prime ore del mattino la città è avvolta in un innaturale silenzio, che attende disperato di essere interrotto. E dei passi rapidi accontentano questa richiesta.
È presto, molto presto, soprattutto per te, che sei solo un ragazzo che sta andando a scuola. Cammini veloce, devi arrivare in un luogo pubblico e chiuso al più presto possibile.
Il tuo cuore batte forte, il tuo corpo è rigido e i tuoi sensi ben attivi. Hai paura e non ti vergogni ad ammetterlo. Eviti più che puoi gli sguardi di quei pochi passanti che già solcano le strade. Sono occhi che fanno male, sono occhi carichi d’odio.
Rabbrividisci e abbassi il capo, quasi a volerti scusare. Anche se lo sai, tu non hai nulla di cui scusarti, perché non hai fatto niente di sbagliato.
Preghi ogni mattina che tutto ritorni a come era prima, che quegli sguardi spariscano, ma ogni mattina le tue speranze vengono amaramente deluse. Niente tornerà come era prima. Voi siete e sarete per sempre per tutti solo dei mostri.
Allora acceleri il passo, devi arrivare a scuola, anche se sai che lì non sarà affatto diverso.
 
Vedi l’edificio in lontananza e tiri un sospiro di sollievo. Ma quella sensazione di sicurezza dura solo pochi attimi. Appena attraversi il pesante cancello di ferro sai che inizierà un nuovo incubo.
Stringi con forza la tua cartella e cerchi di respirare con calma. Fai appello a tutto il tuo coraggio e ti dirigi verso l’entrata principale. Speri con tutte le tue forze che non sia ancora arrivato nessuno.
I corridoi sono deserti, la maggior parte delle aule sono chiuse, le luci sono spente e il riscaldamento non è ancora stato acceso.
Senti un brivido attraversarti la schiena, ma è sempre meglio che essere fuori al freddo.
Con calma attraversi il lungo corridoio, devi goderti più che puoi questi pochi attimi di pace.
Ti soffermi accanto a una delle ampie finestre. Da lì lo puoi vedere benissimo… Puoi vedere il tuo amato campo di calcio.
Ogni mattina quando passi in quel punto senti un dolore profondo lacerarti l’anima. Era il tuo sogno quello di diventare un giorno un calciatore professionista. Era la tua speranza quella di vincere una borsa di studio e di andare all’università. Ma ora non è più possibile perché il mondo è cambiato.
Sospiri pesantemente e tiri dritto verso la tua classe. Ormai l’hai capito, è inutile torturarsi ancora con i bei ricordi del passato. Sai che non tornerai più a giocare, sai che non potrai più far parte di una squadra, sai che nel tuo nero futuro non ci sarà posto per il gioco che ami. Lo sai bene perché i mostri come te non vengono considerati al pari delle persone normali.
Continui a camminare, non puoi voltarti indietro, non puoi guardare ancora quella distesa d’erba verde perché sai che ti farebbe ancora più male.
Le immagini di quei giorni passati sui campi a inseguire una palla con i tuoi amici sono un tormento troppo grande.
Ti soffermi e ti appoggi pesantemente al muro. Sei solo non ti importa che qualcuno ti veda.
Stringi con forza i pugni, faresti qualunque cosa per riavere la possibilità di giocare con una squadra, di giocare con Davis… Davis… il tuo pupillo.
Quanto vorresti anche solo passare un po’ di tempo con lui o anche solo parlagli. Ma non puoi, ormai non puoi più farlo. Vuoi troppo bene a quel ragazzino pestifero per trascinarlo a fondo con te.
La forza con la quale stai stringendo le mani e tale che le nocche sono praticamente bianche. Senti crescere sempre più un sentimento misto di rabbia e frustrazione.
Respiri. Cerci di riprendere il controllo.
Decisamente quello era uno di quei giorni. Quei giorni in cui non riesci a sopportare il peso della vita, in cui daresti qualsiasi cosa pur di tornare in dietro, in cui vorresti solo mollare tutto perché sei arrivato al tuo limite.
 
Sei così concentrato sul tuo respiro che non senti dei passi lenti che vengono verso di te. Il dolore che provi e così forte che non avverti una presenza che ti affianca, almeno non fino a quando una mano calda si appoggia delicata sulla sua spalla.
Sussulti a quel contatto. Senti il tuo cuore battere a mille.
Ti giri lentamente, temi di scoprire chi è il proprietario di quel tocco.
Il tuo corpo si rilassa quando incontra due occhi cremisi e un amorevole ma triste sorriso.
Una bellissima ragazza dai capelli rossi ti guarda con aria preoccupata. – ciao Tai -
Le sue parole sono appena sussurrate ma al solo sentirle ti rilassi. –ciao Sora-
Si avvicina a te, la sua mano è ancora ferma sulla tua spalla, quasi avesse paura di perderti se solo allentasse la presa. – un penny per i tuoi pensieri?-
Vorresti sorriderle e dirle che va tutto bene, ma lei ti conosce meglio di chiunque altro e sa quello che stai passando. – mi manca-
Non dici altro, non ce ne è bisogno. Lei ha capito. – sì, anche a me-
Senti stringere con più forza la sua presa, ti senti in colpa per aver sollevato in lei dei vecchi ricordi.
Ti giri e le prendi la mano. Lei sorride, sente il tuo calore e si sente rincuorata. – grazie-
Anche lei, come te, ha dovuto rinunciare ai suoi sogni. Sarebbe diventata una grande tennista. Aveva passione e talento. Amava tutti gli sport, ma quello era il suo preferito. E tu amavi guardarla giocare, lei era felice e tu eri felice per lei.
Vorreste rimanere lì per sempre, per godere di quel calore che solo la vostra amicizia vi sa dare. Ma la vita è ingiusta e crudele e voi lo avete imparato bene. Vero?
Sussultate quando sentite delle voci avvicinarsi. Le riconoscete, sapete bene chi sono.
Ti guardi intorno velocemente, devi pensare e in fretta.
A due passi da voi c’è l’aula di chimica, ancora chiusa e vuota. È lunedì mattina e sai bene che quella stanza non verrà usata per le prossime due ore.
Prendi per le mani la tua migliore amica e la trascini di peso verso l’aula. Spalanchi la porta e la spingi dentro.
Lei vorrebbe protestare, lo capisci dal suo sguardo deciso, ma tu non glielo permetti. Le metti un dito sulle labbra e la fai accucciare accanto al muro.
Lei tenta di trattenerti, ti fa segno di sedersi lì con lei, ma non puoi. Loro sanno che voi siete già li.
Scuoti con calma la testa e le sorridi. Esci dalla stanza chiudendo la porta alle tue spalle.
Cominci a camminare, devi allontanarti il più possibile.
Non hai fatto molti metri quando li vedi arrivare. Sai bene chi sono e sai bene cosa accadrà.
Uno di quei ragazzi ti vede e sorride. Ma è un sorriso che trasuda rabbia e odio.
Si muove verso di te con il suo branco al seguito. Ti odia e lo sai, non passa giorno che lui non te lo ricordi.
Vorresti odiarlo a tua volta, ma non puoi, non del tutto.
Ha perso sua madre in uno degli scontri che hanno visto la terra come ring. Vuole vendetta per questo e la vuole su di te, perché tu sei il leader dei prescelti.
Gli altri ragazzi lo seguono senza fiatare, non hanno nulla contro di te, ma ti faranno passare ugualmente un brutto momento. Non c’è odio nei loro occhi ma solo paura. Hanno paura che se protestano si troveranno al tuo posto e allora devono scegliere tra la loro vita e la tua.
Sai già cosa sceglieranno e non te la senti di odiarli per questo.
Vorresti scappare, ma pensi alla dolce ragazza dai capelli rossi che è rannicchiata nel buio di quella stanza. E allora accetti il tuo destino. Sai bene che se non prenderanno te allora cercheranno un altro prescelto.
Sei accerchiato. Stringi i pugni. Non fiati, reagisci al minimo. Preghi perché quella tortura abbia presto fine.
Le loro parole cariche di odio fanno male quasi più dei loro colpi. Le senti rimbombare nei silenziosi corridoi, le senti lederti l’anima e, lo sai, le senti ferire anche quella ragazza che nel buio cerca rifugio.
Non avevi mai notato quanto fossero freddi i pavimenti della tua scuola, non fino a quando la tua faccia viene premuta con rabbia verso quest’ultimi.
Alla fine il tuo corpo cede e tu cadi nel mondo dei sogni. Il tuo ultimo pensiero coerente è sempre rivolto alla tua migliore amica. Speri che siano soddisfatti e che non vadano a cercarla.
 
Senti qualcosa di caldo che ti tampona delicatamente il volto, senti un liquido dolce che ti scende in gola. Un brivido attraversa il tuo corpo, mentre al contempo qualcosa di caldo lo rassicura.
Apri lentamente gli occhi. Davanti a te solo una distesa azzurra. Il cielo.
Ti ci vuole qualche attimo per mettere insieme i pezzi, poi ti alzi di scatto con in mente una sola parola. Sora.
Una mano ferma ti tira giù e ti fa sdraiare. È un ragazzo più grande di te con i capelli blu, gli occhiali e un' aria seria e distinta. Sta cercando disperatamente di andare oltre le tue proteste e di medicarti. – Joe -
Lui sorride sollevato. –bentornato-
Cerchi di alzarti ancora ma ora è un’altra mano che ti tira giù.
Sei improvvisamente sollevato a quella vista. –Sora! Stai bene?-
Lei ti guarda e vorrebbe mettersi a piangere, ma si trattiene, sa che ti farebbe solo del male. Scuote la testa e ti scruta con occhi severi. – questo dovrei essere io a chiederlo a te-.
Fai del tuo meglio per sorriderle, vuoi tranquillizzarla, non vuoi farle vedere che sei ferito nel corpo e nello spirito. – tutto bene… ma come sono arrivato sulla terrazza?-.
Joe è accanto a te che lotta con un pezzo di ghiaccio. Alza gli occhi al cielo mentre pensa quanto sia imprudente il suo leader. – ci ha chiamato Sora… dovevamo rimetterti in sesto e questo ci è sembrato il posto più adatto per avere un po’ di calma-.
Interiormente sorridi, hai ancora dei buoni amici, anche se vi vedete poco loro ti vogliono ancora bene.
Guardi Joe farsi in quattro per te. Ammiri la sua capacità e la sua pazienza. È dotato, sarebbe un ottimo medico se solo potesse seguire i suoi sogni. Lui lo sa, glielo leggi in faccia. Vorresti abbracciarlo e dirgli che sarà un grande dottore un giorno, ma non vuoi dare false illusioni.
Ti riprendi dai tuoi pensieri.- ci..?-
I tuoi due amici stanno per parlare, ma la risposta che cercavi si è palesata da sola. La porta che conduce al piano sottostante si apre lasciando passare la figura di un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Cammina con calma mantenendo un aspetto freddo e distaccato.
Sora sorride – beh pensavi che io e Joe da soli saremmo bastati a portarti qui?-.
L’aria fredda e distaccata del ragazzo scompare quando ti vede sveglio. Accelera e viene verso di te. Ti fissa attentamente. Il suo sguardo è un misto tra rabbia e preoccupazione.
-ciao Matt - lo saluti, vuoi dimostrare di essere ancora vivo – grazie per il passaggio- scherzi, tentando di smorzare la tensione che si era creata.
Ma lui non sorride, non pensa che quello che ti è successo sia divertente. Vedi la sua rabbia crescere, lo prendi per un braccio, hai paura che possa andare a cercare quei ragazzi per fargliela pagare. Tu non vuoi vendetta, vuoi solo che i tuoi amici siano al sicuro.
Sente la tua presa ferrea e si calma. La rabbia piano piano sparisce, ma al suo posto compare un altro sentimento. – Tai… mi dispiace avrei dovuto essere li-.
Colpa. Si sente in colpa perché non era lì con te a condividere il tuo dolore.
Allenti la presa e guardi i profondi occhi azzurri del tuo migliore amico. – Matt… non hai nessun motivo di chiedere scusa… -.
Lui si volta dall’altra parte, vuole evitare il tuo sguardo.
Ti metti seduto, senti un po’ di vertigine ma non te ne preoccupi, il tuo amico ha la priorità. – Matt… davvero… sto bene… e poi ti stai scusando per che cosa esattamente? Eh? Per non essere stato lì a farti massacrare?-.
Tenti di istigarlo, sai bene che non resiste alle provocazioni. – e poi dopo chi mi salvava? Oh matt mio possente cavaliere!-
Non puoi vederlo in faccia, ma sai che hai fatto centro.
Non vuoi che lui sia arrabbiato… lui non deve odiare, c’è già troppo odio nel mondo.
Si gira e mette il broncio. – tsk! Stai zitto!-
Il ritmico suono della campanella attira la vostra attenzione, è ora di andare in classe.
Il tuo migliore amico ti fa da bastone, così che tu possa arrivare verso la porta. Joe ti da le ultime raccomandazioni per assicurarsi che tu arrivi vivo fino a sera. Sora ti sta accanto, il suo sguardo è triste, si sente in colpa. Ti deve la vita. Ma non è triste per questo. Nel suo cuore sa che questa non è stata la prima volta e che, purtroppo, non sarà nemmeno l’ultima.
Vi dividete, ognuno per le sue classi.
È finito il tempo in cui eravate compagni di banco. Vi tengono distanti il più possibile, hanno paura che se state insieme potreste decidere di distruggerli.
Prendete le vostre borse che fino a pochi istanti prima giacevano per terra dimenticate.
Il tuo migliore amico si allontana. Nella sua figura manca qualcosa di essenziale.
Ti fa male vederlo senza la sua chitarra. Amava quello strumento più di ogni altra cosa.
Ricordi bene il dolore che c’era nei suoi occhi quando, solo per un gesto d’odio, quello strumento è stato fatto a pezzi.
Certo ne ha comprato un altro, ma il suo nuovo amore non uscirà mai più da casa sua.
Sarebbe diventato un grande cantante. Sospiri. Ecco un altro sogno che è stato distrutto.
 
Entri in classe e prendi posto nell’ultimo banco. Ti piace quella posizione, da li puoi vedere l’intera aula…Quell’aula che è ancora la stessa dal tuo primo anno del liceo. Lo stesso colore pallido delle pareti, la stessa identica vecchia lavagna che ha visto tempi migliori, i banchi pieni di scritte e disegni che sembravano tanto grandi quando eri più giovane, mentre ora ti vanno un po’ stretti, lo stesso acquario che è rimasto tristemente vuoto per anni… lo stesso panorama alle finestre.
Eppure qualcosa è cambiato. Lo percepisci chiaramente ogni volta che solchi l’entrata e ti siedi lontano da tutti. Lo vivi ogni giorno quando c’è un’interrogazione, quando c’è lezione, ma anche solo quando sei in attesa del cambio dell’ora.
Le risate che ti accompagnavano il primo anno sono state sostituite da sguardi d’odio e disprezzo. Sguardi che ti seguono ogni secondo della tua esistenza, che scrutano e studiano con attenzione ogni movimento che fai.
Ogni volta che li vedi ti senti soffocare. Le vite che avevi contribuito a salvare nel corso degli anni ti stanno ora togliendo la tua.
Vorresti odiarli, così sarebbe tutto più facile. Ma non puoi. Hai imparato che dall’odio non nasce mai nulla di buono. L’odio genera solo altro odio in una catena che non ha mai fine, in una maledizione eterna.
Ringrazi il cielo che oggi i tuoi compagni hanno deciso di ignorarti. Forse i numerosi lividi che il tuo corpo mostra li hanno resi soddisfatti.
Entra il professore, puoi riprendere a respirare, la lezione sta per cominciare e per un po’ nessuno baderà a te.
 
Un’altra ora è finita. Un'altra giornata è finita. Finalmente puoi tornare al sicuro a casa tua, nell’amorevole abbraccio protettivo della tua famiglia.
Se pensi a loro sei felice. Felice per il semplice fatto che loro sono ancora lì per te e non ti hanno abbandonato…Ma al contempo sei triste… Triste perché devono sostenere il difficile peso della discriminazione con te. Certo, per le famiglie dei bambini prescelti è forse un peso più lieve. La gente li guarda non con occhi ricolmi d’odio ma di pietà, come se fossero appestati da una strana malattia che non si può diffondere ma nemmeno eliminare.
La loro pietà ti fa pensare e forse anche un pochino sperare. Speri che in fondo al loro cuore e persone sappiano che in realtà non siete pericolosi, speri che un giorno lo ammettano a se stessi e vi lascino la possibilità di vivere tranquillamente su questo pianeta. Ma probabilmente anche questa è solo un’effimera illusione.
 
Delle risate ti fanno ritornare alla dura realtà. Ti guardi intorno sorpreso del fatto di essere arrivato senza neanche accorgerti nel giardino della scuola.
Tieni la testa bassa, è un grande parco se non dai nell’occhio c’è la possibilità che nessuno noti la tua presenza.
Ma quella risata, che prima ti ha risvegliato, ora ti attrae nuovamente. Reagisci seguendo il tuo istinto e alzi lo sguardo. Lo punti verso un gruppetto di ragazze che attorniano con aria adorante la loro leader. Ed eccole li, le venerate regine della scuola, le ragazze più popolari, ma anche le più egoiste e piene di se. Loro sono le cheerleader.
Quando le guardi una nota di delusione appare sul tuo volto, perché lì in quel branco, in cui ogni membro esiste solo per sfruttarne un altro, vedi comparire una chioma rosa adornata di brillanti stelle.
-Mimi- sussurri solo il nome di quella giovane donna, non vorresti mai che qualcuno ti senta.
non lo fai tanto per te ma per lei, la prescelta della sincerità, una tua cara amica d’infanzia.
Ma lei può percepire comunque la tua presenza, il vostro legame è ancora esistente.
Sussulti quando vedi il suo sguardo puntato verso di te. Sussulti perché puoi leggervi chiaramente tutto il suo senso di colpa.
Colpa per avervi abbandonato, per avervi voltato le spalle, per aver rinnegato il suo ruolo di prescelta e per aver mentito ogni giorno da quando è tornata dall’America.
Ma tu non sei arrabbiato con lei. Tu non puoi odiarla per la scelta che ha fatto. Perché lo sai lei voleva solo sopravvivere. Fingerà per tutta la vita di essere quello che non è, vivrà nel suo bel castello di menzogne e lo farà tutta sola, questa è la punizione che si è inflitta. Perché le persone che la circondano ora non sono suoi amici, non le vogliono bene, non tengono a lei e soprattutto non la conoscono e nemmeno vogliono farlo.
E tu vorresti salvarla da tutto questo, ma non puoi perché Mimi non te lo permette. Lei ha fatto la sua scelta e ha accettato tutte le conseguenze… ha scelto di rinnegare il suo passato, di cancellarlo con un colpo di spugna, di fare finta che nulla è accaduto… ha scelto di mascherarsi da persona normale.
Sei deluso per la sua decisione ma non arrabbiato. Perché in fondo riesci a capirla, perché anche tu vorresti essere libero. Ma la libertà che la tua amica ha scelto è solo un’effimera illusione, un castello di sabbia molto fragile che crollerà alla prima folata di vento.
Ma tu altro non puoi fare se non essere presente accanto a lei quando quel vento la colpirà così da raccoglierne i pezzi.
 
È per te ora di tornare a casa, è il tuo stomaco che ti ricorda questo fatto. Anche oggi non sei riuscito a pranzare, eri troppo occupato a celare la tua presenza al resto del mondo.
Il tragitto verso casa è silenzioso e solitario, come sempre è accompagnato da sguardi che vorrebbero lacerarti l’anima.
Sospiri pensando al tempo in cui i tuoi pomeriggi erano occupati da partite di calcio, uscite con gli amici… da tutti quei piccoli frammenti di libertà che rientrano nel concetto stesso di vita.
 
Il sole che fino a qualche istante prima aveva accarezzato il tuo viso sparisce dietro a un complesso di tua conoscenza e tu sussulti per quella mancanza di calore.
Alzi gli occhi e senti finalmente la tensione della giornata che ti abbandona. Sei finalmente a casa.
 
È un vecchio edificio costruito intorno agli anni 70 ma è stato conservato e mantenuto con cura. È stato ridipinto l’estate precedente con colori caldi quasi tendenti all’arancione. C’è un vecchio ascensore ma tu non lo prendi mai, ami fare attività fisica.
Arrivi al quarto piano e come di rito ti affacci al parapetto per salutare il giardino dello stabile. È piccolo, con pochi giochi ma accudito con amore dai condomini. Ti piace quel luogo, sorridi ogni volta che lo vedi, ami i ricordi che ti ridesta. Quel giardino, piccolo ma curato e quello stabile, vecchio ma tenuto con attenzione, erano stati i vostri parchi giochi. Il tuo e degli amici che ti venivano a trovare.
Continui la tua corsa fino al sesto piano, cammini lungo il corridoio fino alla terza porta a destra. Ecco finalmente la casa dove hai sempre vissuto. L’unico luogo al mondo in cui ti senti al sicuro e ti senti amato.
 
Entri nell’appartamento, è tutto spento, è ancora presto perché i tuoi genitori siano già tornati dal lavoro. Gridi un ‘sono a casa’ giusto per rompere il silenzio assordante che circonda quelle mura.
Una luce si accende dal corridoio che porta alla stanza che dividi con la tua sorellina. Ti sorprendi, di solito non c’è mai nessuno a quell’ora a casa.
Una giovane donna, dai capelli castani pettinati in un adorabile caschetto, fa il suo ingresso nella sala. È più giovane di te di tre anni e indossa una divisa bianca e azzurra. Sorridi ogni volta che la vedi con quell’uniforme, ti ricorda un angelo. Un dolcissimo angelo sceso direttamente dal cielo.
-ciao Kari. Già a casa? Come mai?- glielo chiedi con un sorriso, ma in realtà temi la risposta.
Temi che lei venga scoperta, che possa subire la tua stessa sorte, che venga trascinata all’inferno con te. Questa è la tua paura più grande.
Nessuno sa che lei è una prescelta, avete fatto carte false per nasconderla al mondo intero. Una scuola diversa, un cognome diverso, passato creato per l’occasione, tutto solo per tenerla al sicuro. Non solo per lei, ma anche per tutta la nuova generazione di bambini prescelti. Nascosti sotto gli occhi di tutti, lontano da voi ma sempre nei vostri cuori. Ecco la speranza che vi siete creati, il futuro che volete preservare a ogni costo.
-ciao fratellone. Sai, Matt ha chiamato Tk e gli ha detto cosa è successo a scuola stamattina.- la sua voce è calma ma il suo sguardo mostra una tristezza infinita.
-non è grave come sembra. Sono solo un po’ ammaccato. Domani starò meglio- non vuoi che lei sia triste o preoccupata per te, la vuoi vedere sempre sorridente e serena, faresti di tutto per farla felice.
Lei sospira e scuote il capo. Vede chiaramente le tue menzogne. Sente che la tua anima è ferita e dolorante. –dai, vieni che ti cambio la medicazione. Altrimenti Joe si preoccupa.-
Ti prende per mano e ti porta nella stanzetta che dividete. Un letto a castello, una scrivania e un paio di armadi, ecco ciò di cui è composta la camera. Non molto, ma per voi è più che sufficiente. Stare insieme è tutto ciò che volete, solo questo, niente di più e niente di meno.
Lei ti sta accanto e ti cura, trasmettendoti l’amore che solo una sorella ti sa dare.
Sta in silenzio mentre osserva una per una le tue ferite. Leggi chiaramente un senso di colpa sul suo viso. Quante volte ha protestato dicendo che questo peso dovrebbe essere anche il suo. Quante volte ti ha pregato di permetterle di starti vicino. Quante volte ti ha chiesto scusa per quello che devi sopportare. Quante volte ti ha ringraziato per quello che fai per lei.
- come stanno i ragazzi?- decidi di interrompere il silenzio che si era creato. Vuoi distrarla dai suoi pensieri negativi.
- stanno bene, stiamo tutti bene… anche se continuiamo a nasconderci come conigli.- la tua sorellina è frustrata da tutto questo e non prova nemmeno a nascondertelo.
-Kari… è necessario lo sai- le prendi amorevolmente le mani e le sorridi. La tua voce è calma e calda, quasi paternale.
- si lo so… ma questo non vuol dire che sia giusto- ricambia la tua stretta con vigore, si aggrappa a te assorbendo il tuo calore. Rimanete stretti in un fraterno abbraccio per diversi minuti.
Non avete bisogno di parlare, lo avete già fatto molte volte. Ora avete solo bisogno di sapere che siete lì l’uno per l’altra e che sempre sarà così a prescindere da quello che succederà.
 
La magia viene interrotta da un suono ritmico e costante. Ti sciogli da quell’abbraccio, ma nel momento in cui lo fai senti già quel calore mancarti.
Frughi nel tuo zaino imprecando per la tua incapacità di tenere in ordine le cose. Alla fine lo trovi ed estrai con un gesto vittorioso l’oggetto che ha rovinato il vostro momento.
- un messaggio di Joe- sei sempre in ansia quando vedi comparire il nome di uno dei tuoi compagni sul cellulare, i vostri contatti sono ridotti allo stretto indispensabile, non sapete fino a che punto vi stanno perseguitando.
-ah! A quanto pare non ho più impegni oggi- da un lato la notizia ti solleva perché non devi più uscire di casa, ma dall’altro ti rattrista perché sai bene il motivo della tua sostituzione.
- ma fratellone, non dovevi andare da Izzy? Tocca a te questa settimana portagli quello che avete fatto a scuola- il tuo angioletto si alza in piedi e ti si avvicina con aria preoccupata.
- ci pensa Joe, in fin dei conti lo sai è meglio così… se Izzy mi vede in questo stato potrebbe avere un altro crollo- lo dici con disinvoltura, cercando di dare poco peso alla cosa, ma in realtà ti provoca un grande dolore pensare al tuo amico.
Tua sorella annuisce. Sa a cosa ti riferisci e sa quanto ti addolora tutto questo. Ma altro non può fare se non prenderti la mano e farti sentire la sua presenza.
- ora che sta meglio… non possiamo rischiare- annuisce ancora a questa tua affermazione, anche lei ci crede. Crede che il vostro amico si riprenderà del tutto, crede che in un futuro non troppo lontano sarete di nuovo una squadra unita, crede che un giorno sarete tutti liberi e felici, lei crede nel futuro.
- Izzy è forte- altro non dice, non vuole aprire vecchie ferite, non vuole ricordare quanto è stata dura per voi all’inizio. Una prova crudele, che non tutti avete superato. Izzy, il genio del gruppo, non ce l’aveva fatta, non aveva sostenuto l’odio che il mondo vi aveva versato contro e alla fine era crollato. No, non il suo corpo, quello c’era ancora ed era ancora intatto, ciò che è crollato è il suo spirito… Il suo spirito così legato alla logica e così avido di conoscenza non aveva retto alla razione irrazionale e ignorante che l’umanità aveva avuto.
Voleva arrendersi ma voi non glielo avete permesso. Avete continuato a lottare anche per lui. E ora piano piano con l’aiuto di tutti si stava riprendendo, stava reagendo e ritornando il vecchio se.
 
 
 
Gli ultimi raggi del sole accarezzano la finestra della tua stanza, il loro calore, che fino a pochi attimi prima, aveva cullato il tuo corpo stanco ora ti sta lasciando. Ti alzi dal tuo letto, insegui quei fili di luce, avvicinandoti ai vetri ora tinti di una calda luce arancione.
Il sole e il suo colore sono sempre stati il tuo simbolo, la tua forza, la tua guida. Quando al mattino il cielo abbandonava i freddi colori della notte in cambio di sfumature d’orate tu ti sentivi vivo e pieno di energia. Era un nuovo giorno, era una nuova speranza.
Ma ora guardi il sole scendere e a quella vista senti il tuo animo sollevarsi. La giornata anche per oggi è finita.
Come è cambiata la vita, una volta amavi il nascere del nuovo giorno, mentre adesso aneli il suo morire.
La tua mano appoggiata sul vetro sente piano piano la temperatura scendere. I tuoi occhi vedono l’orizzonte diventare prima d’oro, poi bronzo e infine carbone.
Nel nero la luna brilla sovrana permettendo a chi sa attendere di vedere i contorni della notte.
All’inizio la luna è sola, poi lentamente compaiono una per una tante stelle provenienti dai più disparati angoli dell’universo.
Guardi il cielo, guardi le storie raccontate dalle quelle stelle. Ogni cultura nel corso del tempo ha associato figure, racconti e speranza a quei piccoli puntini luminosi che solcano la notte…Notte che anche per te vuol dire speranza. Ogni sera prima di coricarti guardi le stelle e aspetti che una cada per te, cosicché nella sua scia tu possa esprimere un desiderio. Il desiderio che domani possa essere diverso, che tu possa trovare un modo per sconfiggere questo nemico invisibile, che i tuoi amici possano essere di nuovo liberi di vivere e non solo di sopravvivere…
Eccola! Tre volte un desiderio… l’universo trema… chissà forse sei stato ascoltato o forse il desiderio di qualcun altro è stato più forte del tuo….
 
 
 
Primo chappy andato… che ne pensate? Bello? Brutto?
So che è scritto in un modo un po’ diverso ma non so perché mi è venuto così ^^’ ( probabile effetto esami)
Ciao ciao  

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Capitolo 2
*** passo 2) perchè sono un prescelto ***


Ciao a tutti ^^. Eccomi tornata con il secondo chappy.
Approfitto per ringraziare tutti per il sostegno datomi per il primo chappy… spero di non deludervi.
Buona lettura.
 
 
Eccola! Tre volte un desiderio… l’universo trema… chissà forse sei stato ascoltato o forse il desiderio di qualcun altro è stato più forte del tuo….
 
Passo 2) perché sono un prescelto
 
La scia di una stella delicata attraversa il cielo notturno, donando sogni e speranze a chi avrà la fortuna di alzare lo sguardo nella sua direzione.
Viaggia, da un lato all’altro dell’universo, illuminando ogni anfratto che dalla sua luce verrà accarezzato.
Luce, vita e speranza… tutto questo rappresentato da un solitario miracolo grande quanto una lucciola.
 
Nel suo infinito viaggiare c’è, tuttavia, un piccolo angolo di universo dove la sua luce non potrà arrivare.
È un luogo oscuro e dimenticato da tutto e da tutti.
È una terra arida e senza vita che nemmeno i potenti raggi del sole riescono a scaldare.
Ed è proprio lì che, in questa notte, l’universo ha tremato… sfortunatamente un desiderio è stato più potente del tuo…
 
All’inizio era solo un’oscura presenza che dal nulla prendeva forma, ma poi, in un battito di ciglia, quell’esistenza non era più sola.
Vite nate non dall’amore ma dall’odio. Generate da quegli oscuri sentimenti che piano piano hanno divorato e corroso il pianeta azzurro che noi chiamiamo casa.
 
Esseri del buio, senza cuore o coscienza, si muovono su questa terra abbandonata cercando il loro prossimo obiettivo.
L’universo trema davanti alla loro venuta, perché sa che questi esseri senz’anima altro non bramano se non la fine di tutto.
La loro avanzata è lenta ma inesorabile e nessuno può fermare la loro comparsa.
Percorrono la distanza che li separa dalla loro destinazione annientando tutto ciò che trovano sul loro cammino.
La Terra ignora la loro presenza, il pericolo che essi stanno rappresentando, la distruzione che porteranno… e ignora anche di essere lei la causa della loro presenza.
Ma presto lo scoprirà… Scoprirà la loro esistenza perché è lei il loro unico e vero obiettivo…
Cara Terra, chi ti proteggerà questa volta se tu stessa hai rinnegato i tuoi eroi?
Chi si innalzerà in tua difesa ora che hai creato un mondo dove ognuno pensa solo al proprio io?
Chi ti salverà dal male che tu stessa hai partorito?
Cara terra goditi questi ultimi attimi di pace, perché domani il tuo sole potrebbe essere inghiottito da quelle tenebre che tu stessa hai inconsapevolmente generato…
 
Il tuo sole…
 
Quel Sole… quello stesso sole che proprio ora sta bussando delicatamente alla finestra della tua stanza, annunciandoti la venuta di un nuovo giorno.
All’inizio è solo una lieve carezza, ma poi piano piano si intensifica. La sua voce, sempre più insistente, ti chiama, costringendoti così ad uscire dal mondo dei sogni in cui ti eri rifugiato.
Apri gli occhi, chiedendoti se oggi le tue preghiere verranno ascoltate, se quella stella che hai visto la notte precedente abbia deciso di origliare il tuo desiderio.
Scuoti la testa e ti dai dello stupido. Sai che il tuo sogno è solo un’utopia. Sai che il cuore degli uomini non cambierà mai per così poco, lo sai… eppure, anche sapendolo non smetti di sperare. Ogni giorno conservi gelosamente dentro di te questa piccola illusione… un’illusione, un sogno, una speranza o solo un fuoco fatuo. Non importa come la chiami, l’importante è mantenere la sua fiamma viva, perché anche se debole è una delle poche cose che ti permette di andare avanti.
 
Guardi l’orologio. È quasi ora, la sveglia sta per cantare il suo ritmico ritornello. La spegni, non vuoi che svegli il tuo piccolo angelo che dorme beato nel lettuccio sopra il tuo.
Ti alzi cercando di fare il meno rumore possibile e ti dirigi fuori dalla quella stanza che da anni condividete.
Ti guardi intorno, trovando solo un immobile silenzio. È ancora presto, i tuoi genitori sono ancora probabilmente cullati dalle braccia di Morfeo.
Sorridi, mentre dirigendoti verso la cucina decidi di preparare la colazione per tutti.
Sorridi, pregustando già il momento in cui sarete tutti attorno a quel tavolo a godere della reciproca compagnia. Come se foste una normale famiglia. Come se tutto andasse bene…
Apri con energia la porta bianca che ti separa dal tuo obiettivo. Cigola, come sempre, ma ormai nessuno ci fa più caso.
Cerchi il necessario e ti metti al lavoro, in fondo qualunque cosa farai sarà sempre meglio di una colazione preparata da tua mamma.
 
Stai litigando con una frittella quando la diretta interessata entra in cucina.
È una donna molto bella, con i capelli lunghi legati in una coda bassa. Il suo corpo esile è avvolto in una vestaglia rosa, un vostro regalo dell’ultimo Natale.
Si avvicina lentamente e ti sorride con una buffa aria arruffata. – tesoro… che fai già sveglio?-
Senti la sua preoccupazione invadere velocemente la stanza. Il suo sorriso è sparito, nel momento in cui ha visto i tuoi lividi e la tua aria stanca.
I suoi occhi del colore dell’ametista sono per te un libro aperto. Puoi cogliere ogni sfumatura e incrinatura, anche se lei cerca di nascondere ciò che prova.
Vedi chiaramente la sua anima tormentarsi nei sensi di colpa… colpa perché sa che non può fare nulla per il suo bambino. Non può aiutarti, non può ridarti la vita che ti è stata ingiustamente sottratta, non può proteggerti come vorrebbe…
Scuoti la testa e le sorridi. Non il tuo solito sorriso sghembo, ma un sorriso caldo e luminoso.
Avvolgi le tue braccia intorno alla sua vita, appoggiando con amore la tua testa sopra la sua spalla.
È una donna forte e testarda, con il grande potere di sostenerti nei momenti difficili con la sua semplice presenza e di questo gliene sei eternamente grato.
Ti stacchi piano da lei, regalandole un piccolo bacio sulla fronte. Sai che non sarà mai sufficiente per cancellare le sue angosce, ma almeno adesso anche la tua mamma sta sorridendo.
–ben svegliata mamma… sto preparando la colazione… o almeno ci sto provando-.
Lei annuisce e senza chiederti altro ti si avvicina, cominciando a litigare a sua volta con le frittelle… non è mai stata una gran cuoca, ma in compenso è sempre stata una grande donna e una madre magnifica, non si è mai tirata indietro e non si è mai arresa… anche se cucina solo cose immangiabili, non puoi fare altro che volerle un bene dell’anima.
Tuo padre si alza poco dopo, probabilmente l’odore di qualcosa che bruciava ha interrotto il suo sonno. –‘giorno-
È un uomo di poche parole. Serio e distinto. Ha una folta capigliatura castano scuro, solcata solo qua e la da delle ciocche grigie.
Ancora assonnato si mette i suoi grandi occhiali, per poi abbracciare e salutare la sua bella moglie e il suo primo figlio.
-buon giorno papà… oggi frittelle!- regali un altro sorriso luminoso, nella speranza che sorvoli sul tuo stato e non ti faccia troppe domande.
Ma la tua è solo una vana speranza, perché appena ti si avvicina, il suo sguardo si assottiglia velocemente, trasudando una profonda rabbia malcelata. Stringe i pugni cercando di trattenersi, non vuole rovinare quella calda atmosfera che tanto faticosamente avete creato.
Un vortice di emozioni travolge gli occhi castani di quell’uomo che ora fissa con odio crescente quei lividi. Odia chi te li ha fatti e odia se stesso per non essere stato presente per l’ennesima volta.
Vedi il suo disperato tentativo di nascondere le sue sensazioni, anche se, lo sai, le può solo camuffare, ma non può certo farle sparire come per magia. È un padre e non può accettare che qualcuno, senza nessun motivo, abbia ridotto suo figlio in quello stato.
-papà… sediamoci a tavola- il tuo piccolo angelo è intervenuto. Si è stretta forte alla vita di quell’uomo ed è riuscita con poche parole a calmarlo, permettendo così a un piccolo incantesimo di nascere.
Come in una fiaba un’aura serena vi avvolge, separando quella piccola cucina dal resto del mondo.
Attimi in cui i problemi di ogni giorno vengono lasciati fuori da quella porta bianca, come a creare una piccola oasi di pace in cui potete finalmente respirare.
Sarà il profumo del latte caldo, la stretta amorevole di tua madre, il volto solare del suo angelo o lo sguardo protettivo di tuo padre… ma in quel momento il tuo animo si è fatto più leggero; e dentro di te nasce l’infantile desiderio che quell’attimo duri per sempre.
 
 
Una gelida folata di vento ti accoglie nel momento in cui esci dalla tua calda casa. La magia è finita, bisogna tornare al mondo reale.
Ti stringi nel tuo cappotto in cerca di calore. Alzi gli occhi verso il cielo. Tremi. Quella è una giornata che non promette nulla di buono.
Ma non è il triste cielo tinto di toni cupi che ti da questa convinzione, ma qualcosa di molto diverso… molto diverso…
È un presentimento che viene urlato a gran voce dal tuo istinto di guerriero.
Un presagio malcelato che dice che qualcosa sta per accadere… e che quel qualcosa non sarà niente di positivo.
Forse è per quello che lo hai preso con te. Oggi, per la prima volta da tanto tempo, hai legato alla cintura il tuo digivice.
Un’altra raffica di vento ti risveglia bruscamente. Ti dai dello stupido, non c’è tempo per perdersi nei propri pensieri. Devi correre e arrivare a scuola il più in fretta possibile.
Anche se è ancora presto non puoi permetterti di stare fuori da solo per le strade della tua città... no, decisamente quello è un lusso che più non ti appartiene.
 
 
 
Guardi fuori dalla finestra della tua classe. I minuti passano lenti ma inesorabili.
Sospiri. Anche se nulla fuori dall’ordinario è accaduto, quel brutto presentimento sta ancora urlando dentro la tua anima.
 
Il tuo cuore comincia a correre come non mai, quando un fulmine solca un cielo carico di nubi nere illuminando solo per pochi secondi una città altrimenti tetra.
Spalanchi gli occhi. Sei sorpreso, quasi spaventato.
No, non è quel potente fenomeno naturale che ti turba… fenomeno di cui hai sempre ammirato la potenza, ma il suo colore. Rosso. Un rosso acceso, innaturale, quasi da un altro mondo.
Tremi. Un brivido percorre il tuo corpo davanti alla sola ipotesi che questa possa essere la verità.
Scuoti la testa cercando di scacciare questo pensiero. Lo neghi cercando altre spiegazioni, dando colpa alla stanchezza. Lo neghi perché sai che ora come ora non sareste in grado di fare nulla.
 
 
Un pensiero… un presentimento… lo stesso che molto probabilmente, in quel momento, sta attraversando l’animo di una dolce ragazza dai capelli a caschetto che sta guardando il tuo stesso cielo. È nero, minaccioso, carico di rabbia inespressa.
Rabbrividisce quando lo vede tingersi di rosso. Si alza di scatto in piedi, facendo cadere rumorosamente la sedia su cui era elegantemente seduta.
Oscuri ricordi le attraversano la mente quando vede apparire quell’orrendo colore… il colore del sangue… il colore che aveva la frusta di Myotismon… il colore del male…
Trema visibilmente. La consapevolezza di quello che sta per accadere attraversa il suo corpo in maniera incontrollata.
Lei, il tuo piccolo angelo, ha capito grazie alla sua luce, che qualcosa di orribile sta per sopraggiungere.
L’ha percepito… Ha percepito un grande male muoversi lentamente ma inesorabilmente sulle fragili terre di questo mondo.
È vicino. Molto vicino… lo sente come se la stesse per investire da un momento all’altro.
Urla. L’attenzione della sua classe è ora incentrata su di lei, fissandola come se fosse pazza. Ma non le importa, è troppo sconvolta per pensare a questi dettagli.
L’insegnante si avvicina spaventata chiedendole se va tutto bene. Il tuo piccolo angelo scuote freneticamente la testa e la scaccia. Non è quella la persona che lei vuole al suo fianco.
Una mano calda si intreccia con la sua tremante - Kari… Kari che succede?- finalmente la voce che tanto anelava è arrivata da lei. E la figura di un angelo biondo, con due occhi azzurri così splendenti da far invidia alle stelle, le appare davanti.
Le si avvicina cingendola in un caldo abbraccio. Le sussurra parole di conforto, nel vano tentativo di vederla di nuovo respirare normalmente. –Kari…- continua a cullarla dolcemente – shh piccola sono qui- le parla con estrema attenzione, quasi con paura che quella delicata presenza si possa rompere tra le sue braccia.
-Tk…- alla fine trova la forza di parlare, tranquillizzata dall’amore regalatele dal suo fidanzato – dobbiamo andare…- il suo tono è allarmato, la sua voce tentenna – sono in pericolo…-
Il ragazzo non capisce cosa sta succedendo. Non percepisce quello che sente lei.
Tutto quello che sente è la paura che da quelle frasi disconnesse emerge.
Annuisce e la stringe con più forza, perché anche se non comprende di lei si fida.
Dopo tutto quello che hanno passato insieme la seguirebbe fino in capo al mondo, se questo servisse a renderla felice.
Con una nuova determinazione scritta nei suoi profondi occhi azzurri la stacca leggermente dal suo abbraccio e prendendola per mano la trascina verso l’uscita.
Dentro di lui nascono sentimenti contrastanti. Da un lato la preoccupazione per le persone che ama, dall’altro la paura per quello che potrebbe succedere se venissero smascherati.
Cammina tentando di calmarsi e di non farsi prendere dal panico.
Sa che quel gesto avrà delle conseguenze, ma sa anche che non può negare quello che realmente è.
Tanto alla fine sa che se si troverà a scegliere, la sua decisione cadrà sempre e comunque su quella ragazza che ha rubato il suo cuore da quando la vista prima volta. – d’accordo…- le dice sorridendo deciso  – andiamo!-.
 
 
I prescelti si sono mossi, ma non sono i soli. Nelle viscide tenebre che la città nasconde, qualcosa senza forma reale sta marciando a passo lento, usando come scudo quell’oscurità stessa che l’ha generata.
Ammassi informi di odio e paura navigano nelle strette e sporche vie dell’abbandonata periferia.
Lì dove la vita di una persona può essere oggetto di una compravendita, dove regna la legge del più forte e dove la giustizia ha la faccia di un inquisitore… li, quelle creature senza cuore si nutrono delle anime corrotte che la città stessa offre loro su un piatto d’argento.
Più assorbono e più crescono. Più si sfamano e più diventano potenti.
All’inizio sono quasi invisibili. Passano accanto alle persone senza che queste si accorgano della loro presenza.
Non le vedono ma ci sono e continuano la loro inarrestabile crescita.
Quando finalmente ci si accorge della loro presenza è troppo tardi.
Quando si fanno vedere ormai non si può più scappare, perché nel momento in cui permettono al mondo di vederle significa solo che è giunta la fine.
Se nel momento in cui erano giunti erano piccoli e affamati, ora la loro mole è tale da far sembrare una macchina un misero giocattolo nelle loro fauci.
Sono cresciuti, è vero, ma questo non vuol dire che la loro fame è scemata, tutt’altro.
Ora che hanno assaggiato il frutto dell’odio, non si accontenteranno e andranno avanti finché non avranno divorato tutta la pianta. 
Il loro passaggio distrugge ogni cosa. La loro anima nera corrode ogni corpo che entra in contatto con essa.
Oggetti inanimati o esseri viventi. Per loro non c’è nessuna differenza. Per loro sono solo identiche nullità.
 
 
 
Il tuo sguardo è ancora fisso su quelle nere nubi che solcano minacciose il cielo della tua città. I tuoi pensieri sono ancora legati a quella forte sensazione di pericolo che continua a bussare fastidiosamente al tuo animo. La neghi ancora e ancora… usi tutte le tue forze e il tuo impegno, sperando che così se ne vada.
Ma è tutto inutile. Lo capisci quando le sirene cominciano a ululare vigorose poco lontano dalla scuola. Prima era solo una, semisilenziosa e distante, poi diventano due… cinque… in un coro via via sempre più numeroso.
Intorno a te solo sguardi confusi. La situazione è grave, ma nessuno a parte te lo può percepire.
Beata ignoranza quella degli esseri umani, che vivono la loro vita senza sapere quali mali colpiscono questo mondo. Oh, ma questo stato di falsa felicità non è destinato a durare a lungo, come tutte le illusioni è destinato ad infrangersi. E così avviene…
A interromperlo è un suono ritmico, costante e acuto. Un allarme. Un ordine intimato a gran voce di uscire da quel luogo.
Il professore abbandona la lavagna, improvvisamente i logaritmi non sono più così importanti. Cammina incerto verso la porta nel tentativo di capire se c’è un pericolo reale o solo l’ennesimo scherzo di qualche ragazzino.
Vede le altre classi muoversi con sorprendente ordine e allora si convince, quella non è un’esercitazione.
Ritorna in classe cercando di mantenere un contegno – prendete le vostre cose- cerca di essere calmo ma la sua voce lo tradisce – non è uno scherzo… dobbiamo uscire da qui subito-.
La classe si muove e tu ti muovi con loro. Vedi sconcerto e paura sui loro occhi, ma questo non ti stupisce. Anche se tardi stanno cominciando a capire.
Aspetti. Aspetti che tutti abbiano varcato quella soglia. Solo allora anche tu esci, non puoi andare davanti agli altri, sai che non la prenderebbero molto bene e mai come in quel momento devi comportarti con prudenza.
Nell’attimo in cui attraversi la porta, qualcosa ti fa gelare il sangue. Non hai bisogno di indagare, sai esattamente cos’è.
Non avresti mai pensato che uno sguardo avesse il potere di farti rabbrividire in quel modo, eppure ora sai che è così.
Due occhi. Neri come la pece ti guardano carichi d’odio. Un sentimento così forte da essere quasi palpabile. Puoi sentirlo su di te mentre cerca di divorarti.
Quegli occhi provengono da una persona che fino a pochi anni prima avevi ammirato con tutta l’anima. Un uomo sulla cinquantina dai cortissimi capelli neri e la pelle abbronzata.
Un professore che si distingue dagli altri per la sua tipica tuta da ginnastica di un improbabile verde scuro. È stato il tuo allenatore, ti aveva visto crescere nella sua squadra, ti aveva nominato capitano, ti aveva sostenuto e incoraggiato, per questo lo ammiravi, volendogli bene come a uno zio.
Ma quella è stata la stessa persona che ti ha sottratto i tuoi sogni, cacciandoti in malo modo da quella squadra che tanto amavi. Ti ha deluso profondamente, ferendoti in un modo che nessun altro può capire.
E ora è li, davanti a te che ti guarda come se tu fossi solo un misero insetto da schiacciare.
I vostri occhi si incrociano solo per pochi secondi, ma riesci a ricevere perfettamente il messaggio che ti portano. È un’accusa, una pesante e ingiustificata accusa.
Ti incolpano per tutto quello che sta succedendo e che succederà, come se tutta la distruzione che sta per abbattersi su questo pianeta corrotto, fosse da te portata e voluta.
Ti trafiggono e ti feriscono, come un coltello che lentamente viene rigirato in una ferita aperta.
Non puoi sostenerli oltre, così ti giri e ti allontani il più possibile.
La mente ti dice di uscire da quell’edificio, ma l’istinto ti indica ben altra strada.
Ti fermi. Tanto nessuno noterà la tua assenza.
La tua classe procede attraverso il corridoio che li condurrà verso il cortile, dove sicuramente ci sarà già qualcuno pronto a prendersi cura di loro. Ma tu non sarai con loro. Tu hai già scelto un’altra via.
Comincia a correre seguendo solo il tuo istinto. Passo dopo passo, gradino dopo gradino… continui solo a correre.
Maledici il tuo stesso corpo, le ferite del giorno prima rallentano miseramente i tuoi movimenti, ogni metro che fai è un dolore crescente. Ma non ti fermi, non puoi e non vuoi.
Non sai ancora cosa sta succedendo, sai solo che non ti puoi fermare…
Un altro giro ancora di scale e poi la vedi: la porta che conduce al tetto dell’edificio scolastico.
Non sai perché sei venuto li, sai solo che in quel momento non devi essere in nessun altro posto.
Stringi con forza la maniglia. La apri con decisione. L’aria esterna ti stordisce per alcuni secondi e rimani li, imbambolato su quel tetto che tante volte ti ha dato rifugio.
Chissà, forse è per questo che sei li… forse il tuo animo cercava solo un po’ di calore e sicurezza, forse stavi solo fuggendo da quei terribili occhi accusatori… già, forse…
Una folata gelida ti distoglie dai tuoi pensieri. Ti muovi lentamente lasciandoti di nuovo manovrare dal tuo istinto.
Arrivi alla rete metallica che delimita i contorni di quel piccolo spiazzo di cemento.
Alzi gli occhi, oltre quella rete, oltre quell’edificio così freddo nei tuoi confronti e, in quel momento, il tuo respiro si ferma.
Ora puoi dare una forma a quella sensazione di pericolo che urlava dentro la tua testa, ora puoi dare una spiegazione a quelle sirene che per tutta la città ululavano, ora sai perché sei li…
Davanti a te dei giganteschi esseri informi stanno divorando e corrodendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino.
Urla.
Spari.
Macchine che sfrecciano.
Edifici che crollano.
Puro panico.
Puro terrore.
Pura follia.
Ecco quello che vedi…
 
Il mondo crolla sotto i pesanti colpi dell’odio e dell’indifferenza.
 
Gli uomini si difendo con tutto quello che hanno, ma non esiste arma alcuna, nemmeno la più potente, che possa sconfiggere un male senz’anima. Quegl’esseri non provano dolore, non possono essere feriti, non dormono e non si fermano mai. E presto anche il testardo e orgoglioso essere umano dovrà ammettere la sua impotenza.
Scappa uomo scappa, perché altra scelta non hai…
Nasconditi uomo nasconditi, perché altro non sai fare…
Ma anche se scappi, anche se ti nascondi, loro ti troveranno e potenziati dal tuo stesso odio divoreranno la tua vita.
 
 
Dalla terrazza di quell’edificio, ormai semivuoto, i tuoi occhi castani guardano con orrore l’apocalisse abbattersi su quella che era la tua città. Era… sì, perché dopo il loro passaggio non resta altro che l’assoluta desolazione.
La porta alle tue spalle si apre con un rumore sordo. Ti volti, solo per incontrare un paio di occhi celesti nettamente in contrasto con il nero di quella giornata.
- Tai…- il tuo amico ti si avvicina velocemente. Ha un aspetto sconvolto e il suo respiro è affannato.
- Matt…- lo guardi con preoccupazione, vorresti dirgli di andare via e mettersi in salvo, ma sai che non ti lascerà mai li, non da solo... Lui che guidato dal tuo stesso istinto ha ignorato tutto e tutti ed è salito su quel tetto…
- che … che sta succedendo?- ti parla, anche se in realtà non si aspetta da te nessuna soluzione, lo sa che probabilmente sei appena arrivato.
I suoi occhi guardano con disgusto lo spettacolo che ha davanti. È spaventato ma fa di tutto per nasconderlo.
- io… non so Matt…- il tuo sguardo è triste. Ti senti impotente, ti senti un fallito e soprattutto ti senti stanco… stanco per tutte le battaglie affrontate, per tutto il peso che ha sempre gravato sulle tue spalle. Lottare senza mai fermarsi un attimo per respirare, questa è la tua vita, che ti ha inghiottito lasciandoti senz’aria… lasciandoti ad annaspare nella ricerca di un po’ di libertà.
Vorresti tornare ad essere quel ragazzino spensierato che eri, il leader forte e senza paura che aveva guidato un gruppo di bambini per le folli vie di un mondo alieno, una persona diversa, una persona energetica e solare… non quell’ammasso di carne che si limita ormai solo a sopravvivere.
Ma nonostante questo…
- Matt…- infili una mano in tasca ed estrai l’unico oggetto che potrebbe veramente fare la differenza.
- cosa? Non vorrai… non hai davvero intenzione…- lo vede e sbianca. È da anni che il suo digivise è seppellito in un cassetto a prendere polvere.  È lì, abbandonato in un angolo come i suoi sogni e le sue speranze.
- Matt…- non fai altro che ripetere il suo nome, forse vuoi solo convincerlo che è la scelta giusta o forse vuoi solo convincere te stesso.
Perché nonostante tu ti senta soffocare, nonostante tu voglia arrenderti, nonostante tutto quello che stai passando… tu non puoi rinunciare, perché tu non vuoi essere come quelli che ti hanno rovinato la vita.
- NO- urla facendoti sobbalzare. Con un gesto veloce afferra saldamente il tuo polso e nei suoi occhi puoi leggervi chiaramente tutte le sue emozioni.
Paura.
-cosa pensi di poter fare eh?- la sua voce trema così come la sua mano ancora stretta alla tua.
- penso… di chiamare agumon…- lo sussurri appena, sai che dicendolo lo farai solo arrabbiare di più.
Rabbia.
- e poi? Che farai?- ti fissa dritto nei tuoi profondi occhi castani. Non è furioso con te e mai lo sarà. Lui vuole solo proteggerti… lui non vuole più perdere nulla. – non possiamo farli digievolvere oltre il livello campione… che pensi di fare solo con questo? Eh? DIMMELO!-
Sospiri e abbassi il capo. Non puoi sostenere oltre quel contatto, non puoi ammettere che ha ragione, non puoi arrenderti e lasciare tutto come è… no, perché tu sei…
- Matt… io… devo…- provi ancora a calmarlo, ma lo sai che è tutto inutile. Perché anche lui viene silenziosamente divorato da quel nemico invisibile che vi sta distruggendo.
Odio
- tu non devi fare nulla!- ti risponde deciso, facendo riemergere tutta la pressione a cui è stato sottoposto negli ultimi tempi – tu … non …. Non per LORO- urla ancora indicando quello che per lui è il vero nemico.
No, non quei mostri che stanno distruggendo la città, ma quelli che già la abitavano prima… quelli che hanno distrutto la sua chitarra e con lei i suoi sogni… quelli che l’hanno costretto a lasciare la donna di cui era innamorato… quelli che gli impediscono di vedere il fratello e la madre… loro sono per lui i veri mostri.
- Matt… io capisco… però…- ti mordi il labbro, hai paura di usare le parole sbagliate e di perdere il tuo migliore amico. Lui ha ragione, e tu lo sai…. Lo sai perché provi gli stessi sentimenti, però, nonostante questo tu non puoi lasciar perdere e girarti dall’altra parte.
- perché?- è il suo turno di abbassare lo sguardo. Lui lo sa il perché, ma te lo chiede comunque, forse pensa che se detto ad alta voce allora avrà davvero un senso combattere.
-perché nonostante tutto… noi… io… sono un digiprescelto… e questo non cambierà mai.- fai qualche passo indietro e ti stacchi da lui. Lui che stringe i pugni e scuote il capo trattenendo a fatica i suoi sentimenti.
- mi dispiace… Tai… ma… io non posso…-
Ed ecco l’unico sentimento che non avresti mai voluto vedere sul suo volto: resa.
Lui si vuole arrendere, ma tu non puoi permetterlo. No, non lo obbligherai a combattere, questo mai… però una cosa la puoi fare, puoi scendere in campo anche per lui… puoi infondergli una forza e una speranza che nemmeno tu sai di avere… puoi essere di nuovo il leader senza paura, il loro appiglio, la loro roccia…
- Matt… va bene così…- poggi una mano sulla sua spalla e gli sorridi dolcemente – vai dagli altri e proteggili-
Lui annuisce ma ancora non ti guarda.
Un boato in lontananza ti chiama, è ora di scendere in campo. Hai paura ma andrai lo stesso, perché nonostante tutto tu sei e rimarrai sempre un prescelto. 
 
 
Continua….
 
 
Ok… anche il secondo è fatto… che dite? Andava bene?
Piccola precisazione: i prescelti hanno usato ( come nella storia originale) i loro stemmi per ripristinare gli equilibri di digiworld. Per questo Matt dice che non possono andare oltre il livello campione…
Al prossimo
Ciao ciao lau2888 

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Capitolo 3
*** passo 3) una corsa contro il tempo ***


Ciao a tutti ^_^. Ecco il terzo chappy.
Un ringraziamento generale, ma in particolare a chi ha recensito e a chi lo ha messo tra le varie liste (vanno tutte benone^^).
Buona lettura e spero vi piaccia.
 
 
 
Un boato in lontananza ti chiama, è ora di scendere in campo. Hai paura ma andrai lo stesso, perché nonostante tutto tu sei e rimarrai sempre un prescelto. 
 
Passo 3) una corsa contro il tempo
 
Urla.
Lacrime.
Disperazione.
La città cade sotto il pesante attacco delle bestie oscure.
I palazzi, prima imponenti e maestosi, crollano come fossero fatti di fragile sabbia.
I giardini, lussureggiante vanto della popolazione, sono ormai solo cenere e macerie.
La periferia è solo un antico ricordo, lasciando al suo posto un triste deserto senza vita.
Non c’è anima in questo luogo che non stia provando sulla propria pelle il dolore della distruzione.
Gli abitanti scappano in preda alla paura, cercando disperatamente un angolo buio in cui nascondersi e aspettare che tutto finisca.
La città è tinta di un colore che non le appartiene, è un colore intenso, quasi soffocante… è un colore rosso… è il colore del sangue delle vite spezzate…
L’aria è satura di morte, ovunque si guardi si può respirare solo l’acre odore della fine.
 
Un quadro di puro dolore dipinto da un artista senza pietà…
 
Un’immagine che ti tocca l’animo nel profondo, facendolo tremare. Anche se, questa volta, non di paura…
Un’immagine in cui la tua figura spicca in netto contrasto con l’inferno che la circonda.
Sei un prescelto, un leader, un eroe… molti sono i modi per chiamarti, ma alla fine rimani solo un comune adolescente che ha deciso di prendere sulle proprie spalle un peso forse troppo grande.
Cammini sicuro per le vie in cui sei cresciuto, a testa alta per la prima volta da molto tempo.
Il tuo coraggio è tornato, ora non hai più dubbi. Sai cosa fare e la farai, non ti importa delle conseguenze.
Tai Yagami leader dei prescelti e rappresentante del coraggio hai fatto la tua scelta e nei tuoi occhi posso leggere tutta la tua determinazione.
 
Non indietreggi, nemmeno quando poco distante da te un palazzo frana miseramente, lasciandosi dietro solo una nuvola di polvere.
Continui sul sentiero che hai scelto, un passo alla volta fino ad arrivare alla tua meta.
Continui nonostante le strazianti urla che ti trapassano l’anima.
Continui anche se ormai sei rimasto l’unico che ancora percorre quel sentiero.
E continui anche nel momento in cui l’ombra gigantesca del male ti trova sovrastandoti… no, nemmeno allora ti tiri indietro…
 
- agumon - la tua voce è calma, l’unico strumento di cui hai bisogno brilla nella tua mano, il tuo partner è ancora una volta al tuo fianco – andiamo-
 
Che la tua battaglia abbia inizio… una battaglia che chissà potrebbe essere d’ispirazione per qualche spettatore solitario… come per esempio un ragazzo dagli occhi azzurri, la cui figura si erge ancora immobile sul tetto di un edificio ormai vuoto.
Sono passati diversi minuti da quando te ne sei andato, ma lui non è riuscito ad abbandonare il punto esatto in cui, con una semplice scelta, ha tradito te e se stesso.
In uno stato muto di trance vive e rivive le ultime parole che vi siete detti.
 
Un frastuono improvviso si scatena alle sue spalle e lui finalmente riesce a ridestarsi.
È un ruggito, un ruggito possente ma allo stesso tempo disperato.
Alza il volto verso l’orizzonte cercando di combattere il forte desiderio di chiudere gli occhi per non vedere quello che sta per accadere.
Per non vedere la fine… la resa… il crollo… per non vedere la morte.
Sa che nonostante i tuoi sforzi andrà a finire male, perché anche dando il massimo questa volta la situazione è senza via di uscita. 
È difficile ma lo ha accettato, anche se a malincuore.
Eppure… nonostante questo pensiero sia in lui così forte, vedo ancora nei suoi occhi una piccola luce che brilla. Una scintilla, che si accende al solo pronunciare il tuo nome.
Una luce, una scintilla, una voce, una speranza... che gli dice di credere in quell’assurdo ragazzo che era diventato il loro leader.
 
Un nuovo ruggito invade l’orizzonte scuotendo nuovamente il biondo prescelto dai suoi pensieri.
Il suo corpo, spinto da una scarica di adrenalina, raggiunge velocemente il confine del terrazzo, aggrappandosi quasi disperatamente alla rete metallica che funge da protezione. 
Ora può vedere chiaramente il proprietario di quell’urlo… Graymon ha fatto la sua comparsa.
Da quanti anni non vedeva il digimon nella sua forma campione? Due… tre…pochi, forse…ma per un ragazzo di soli 16 anni possono sembrare un’eternità.
Trattiene il fiato mentre guarda il possente dinosauro marciare senza esitazione verso uno di quei mostri.
Graymon, fiero guerriero del coraggio, non attende e attacca usando tutto quello che il suo limitato potere gli offre.
Il fuoco, gli artigli, le corna… prova … prova e prova ancora, ma nulla sembra scalfire il suo pericoloso avversario che continua indomabile la sua corsa.
Ma non si arrende, anche se in svantaggio, continua a combattere.
Cade e si rialza. Viene colpito ma non indietreggia. È ferito, debole e senza forze ma non vuole dichiarare sconfitta.
 
Ogni caduta è per il biondo ragazzo un sussulto di dolore e angoscia.
Ogni volta trattiene il respiro, pregando che al suo migliore amico… che a te non accada nulla.
Perché lo sa. Sa che non ti arrenderai mai, non importa quanto la situazione possa essere disperata, tu continuerai sulla strada che hai scelto di seguire.
 
Un’improvvisa nuova energia gli attraversa il corpo, facendo nascere il lui un irrefrenabile impulso di correre.
Di correre via da quel tetto dove è solo un miserabile spettatore…
Di correre verso di te per combattere ancora una volta al tuo fianco…
 
E così inizia la sua gara contro il tempo, per colmare lo spazio che vi separa.
Vola il prescelto dell’amicizia tra le strade ormai deserte, pregando con tutta la sua anima di poter arrivare prima che sia troppo tardi… prima di perdere qualcosa di prezioso.
Non sa nemmeno lui cosa può realmente fare per aiutarti. Tutto quello che sa è che deve essere lì, accanto a te per tenerti la mano, per proteggerti o anche solo per farti capire che non sei solo.
E per farlo è disposto ad attraversare l’inferno che ora avvolge ogni angolo di quello che prima era un luogo pieno di vita.
Era… sì, perché ormai poco è rimasto a testimoniare l’esistenza di quel paese chiamato Odaiba.
 
Odaiba … una città che sta piangendo disperata… Una città che è solo l’ombra di se stessa… ma anche una città che nonostante tutto non è ancora morta.
Tra le sue vie, coperte di macerie, c’è ancora vita e con lei c’è ancora una possibilità.
Una possibilità portata da due bianche divise che, in netto contrasto con il mondo attorno a loro, si dirigono verso la fonte di tutta quella distruzione.
Una giovane donna con al collo una fotocamera e un ragazzo con un cappello bianco si muovono velocemente legati l’uno all’altra solo dal saldo intreccio delle loro mani.
Una corsa quasi disperata che viene però bruscamente interrotta nel momento in cui una sagoma a loro ben nota compara imponente all’orizzonte.
-Kari… guarda- il prescelto della speranza punta l’indice nella direzione in cui il sole tramonta  – quello… quello è… Graymon!- la voce del giovane trema alla vista del gigantesco dinosauro. Vorrebbe essere felice per la sua scesa in campo, ma non può, sarebbe come mentire a se stesso.
Sa bene che per quanto forte e determinato non ha più il potere sufficiente per sconfiggere quei mostri, non dopo che è stato sacrificato per il bene del mondo dei dati.
- oddio- il volto della ragazza sbianca, davanti a lei una battaglia ha inizio… sbianca perché sa che la sua presenza può voler dire solo una cosa – Tk dobbiamo sbrigarci… Tai… sta combattendo da solo-
Tk stringe forte la mano della sua amata e insieme ricominciano la loro corsa.
Un’altra corsa contro il tempo per aiutare qualcuno di importante.
Ed è in quel momento che nelle loro menti, la città e il loro stesso mondo sono passati in secondo piano non risultando più così fondamentali… non rispetto a te: il loro leader.
Un fiume di immagini, sentimenti e ricordi investe le giovani menti dei due prescelti.
Singoli frammenti legati dal solo elemento della tua presenza.
Il modo in cui li hai protetti, prima a digiworld e poi nelle battaglie di ogni giorno.
Il tuo sostegno nei momenti di difficoltà, dato sempre con un luminoso sorriso.
Il tuo costante vegliare su di loro, anche se a volte in un modo forse un po’ ossessivo.
Sei un confidente, un amico e un fratello.
Sei prezioso per loro, più di quel mondo che li ha classificati come mostri e costretti a vivere nella paura.
 
E allora corrono…corrono luce, speranza e amicizia… corrono con tutto il fiato che hanno in corpo… corrono per raggiungere coraggio.
 
 
L’ennesima esplosione rimbomba nell’area ormai abbandonata della città.
Un enorme nuvola di polvere e cemento si solleva celando il risultato del combattimento alla vista umana.
Un altro palazzo è crollato, questa volta però sotto il peso dell’unico digimon che era sceso in campo.
- Taaaai- la voce roca, del grande digimon dinosauro, si stava spegnendo sempre più velocemente – m...mi dispiace-
Ha combattuto Graymon. Ha lottato con tutte le sue forze rialzandosi innumerevoli volte, ma alla fine è stato sconfitto da un nemico troppo grande per lui.
I tuoi occhi scuri si riempiono di lacrime alla vista del tuo amico più fidato ridotto a uno straccio, incapace anche solo di mantenersi sulle sue zampe.
Ti inginocchi accanto a lui e senti il suo respiro farsi sempre più difficile – va bene amico mio… basta così- gli accarezzi il muso dolcemente, vuoi fargli sentire tutto il tuo calore e il tuo sostegno.
-grazie … grazie per aver lottato con me- appoggi la tua fronte alla sua e chiudi gli occhi. Non c’è altro che voi due possiate fare.
Il nemico ha vinto e i suoi passi cominciano a corrodere il paesaggio che vi circonda.
Presto, troppo presto arriveranno a voi, senza che lo possiate impedire.
 
Alzi lo sguardo, ciò che hai davanti è solo un’ombra oscura senza intelletto nata dall’odio del genere umano… un’ombra indistruttibile e insaziabile…
Vi annienterà, lo sai, ma ugualmente rimani lì immobile ad attendere la fine.
Potresti scappare, le tue gambe reggerebbero lo sforzo, ma il tuo cuore no. Non potresti mai lasciare lì Graymon da solo a morire, non dopo che lui ha combattuto per te.
Chiudi gli occhi pensando che in quel momento vorresti tanto avere accanto a te i tuoi amici.
Izzy con il suo magico computer ti darebbe subito una soluzione, Joe curerebbe agumon in un lampo, Kari ti regalerebbe la sua forza d’animo, tk sarebbe la tua fonte di speranza inesauribile, Mimi ti tirerebbe su il morale con la sua allegria contagiosa, Sora ti donerebbe un sorriso con la dolcezza di una madre e Matt… beh in realtà ti tirerebbe un pugno degno di un professionista dandoti dell’idiota, ma lo vorresti lì lo stesso.
Sorridi mentre pensi a loro.
Sorridi perché sei felice che loro siano al sicuro lontano da tutta quella distruzione.
Sorridi perché confidi in loro, sai che alla fine troveranno una soluzione e sistemeranno tutto. Sorridi e piangi perché li ami tanto e non li rivedrai più.
 
I tuoi pensieri si fermano e tu spalanchi di nuovo i tuoi occhi. Qualcosa non va…
Senti che lo sguardo freddo della morte non è più interessato a te. I suoi passi cambiano velocemente percorso. All’improvviso tu non sei più una preda appetibile.
Non capisci il perché, ma quel gesto anziché rassicurarti ti fa gelare il sangue nelle vene.
Allora segui quegli occhi privi di vita. Li segui oltre le macerie dei palazzi distrutti, oltre le carcasse delle macchine, oltre i resti delle vite spezzate… li segui fino a capire con orrore qual è il loro obiettivo.
Due figure… due giovani angeli vestiti di bianco chiamano senza sosta il tuo nome.
- K..Kari…Tk?- il tuo battito cardiaco accelera velocemente – no… no… no-
- TAAAAIIII- la tua sorellina urla, incurante delle conseguenze, vuole solo sapere che stai bene e che è arrivata in tempo.
- no…no… no- li vedi avvicinarsi ma non riesci ad accettare la loro presenza li.
Ti chiedi come hai fatto a non accorgerti di nulla, eppure avresti dovuto, il tuo digivice avrebbe dovuto…
E lì ti blocchi. Sbianchi velocemente. Comprendi quanto è grave la situazione.
Estrai il tuo digivice e ne fissi incredulo lo schermo… uno schermo completamente vuoto.
Nessun segnale. Nessun puntino luminoso. Niente che indichi la presenza di altri prescelti.
Adesso hai di nuovo voglia di piangere – G...Graymon- la tua voce traballa – ti prego rialzati-
Lo supplichi. Altro non ti è rimasto. Perché hai capito…. Hai capito che quei due ragazzi sono venuti senza i loro digivice.
-Graymon - lo chiami ancora e ancora, ma il tuo potente digimon è ora solo l’ombra di se stesso.
Il tuo cuore batte così velocemente che temi possa scoppiare da un momento all’altro. Le lacrime scendono copiose senza che tu possa fermarle. Il panico ti assale lasciandoti senza fiato.
E allora cominci ad urlare. Urli con tutto quello che ti rimane. Urli per attirare l’attenzione di quel mostro. Urli nella speranza che quei due giovani angeli riescano a salvarsi.
Spaventati, ti sentono e si bloccano prima di essere arrivati a te, ma ormai è troppo tardi. Quell’ombra desiderosa di morte ha scelto una nuova preda, ed ora la punta famelica.
Ti alzi seguendo solo il tuo istinto e cominci a correre verso la tua sorellina. Non sai come ma la devi salvare.
 
Ma le ali della morte non ti danno tregua e si aprono ancora una volta, facendo iniziare una danza che ha il triste suono della fine.
-KARI- ti lanci frapponendoti tra lei e il colpo mortale. Ti fermi con le braccia spalancate, pronto a prendere qualunque cosa fosse destinata a lei. – TU NON LA TOCCHERAI- gridi, nel tuo ultimo atto di coraggio, parole di sfida.
Tutto si mosse molto lentamente, quasi come se i secondi si fossero tramutati in anni.
Quella danza, che tu eri pronto a ricevere, non giunse mai alla sua conclusione. Il suo tetro ritmo fu interrotto da una calda luce arancione… una luce scesa dal cielo, richiamata dalla forza splendente del tuo coraggio.
Brilla così intensamente che le tenebre attorno a voi si diradano, permettendo a un flebile raggio di sole colpisce il terreno martoriato.
L’atmosfera attorno a te non è più così opprimente e perfino l’aria è tornata ad essere respirabile.
Sorridi. Forse c’è davvero ancora una possibilità, anche se non sarà nulla di definitivo.
Non ti fai illusioni, lo sai bene che questo non basterà a sconfiggerli, però forse…
Tendi la mano e afferri quella sfera che davanti a te si è fermata… quella sfera che rappresenta il tuo perduto simbolo del coraggio.
La stringi, aggrappandoti ad essa, come se da lei dipendesse tutto il vostro futuro.
Ora puoi sentire tutta la sua potenza invadere il tuo corpo, un flusso di energia inesauribile … lo stesso che ti aveva guidato negli scontri digitali.
La tua figura viene avvolta dalla calda luce dello stemma del sole – GRAYMON- urli a pieni polmoni.
Il tuo digivice trema nella tua mano, mentre la sua forma si ricollega all’energia del tuo stemma.
Sei pronto a combattere, ma per tua sfortuna, non sei il solo. Quel mostro non vuole starsene a guardare.
La tua luce lo ha fatto indietreggiare, ma solo di poco. È una luce troppo fievole per sconfiggere le tenebre che risiedono nelle fondamenta di questo mondo. Non può, non da sola…
Il suo attacco è pronto, ma anche tu lo sei.
Avanzi. Ti allontani più che puoi dai due giovani che vuoi proteggere.
Ora sei a faccia a faccia con il tuo nemico. Le sue tenebre e il tuo coraggio sono pronti a darsi battaglia.
 
La voce della tua sorellina ti chiama disperata chiedendoti di tornare da lei, pregandoti di scappare per mettere in salvo la tua vita.
Ti giri e le sorridi. Non il tuo solito ghigno, ma un flebile e debole sorriso. Non un conforto, ma una scusa… ecco cosa rappresentava quel triste gesto. E lei lo sa, lo ha capito e per questo piange chiamando a gran voce il tuo nome.
Ma non è più il tempo di scappare… è tempo di dare di nuovo voce al tuo coraggio.
Una luce intensa colpisce il tuo amico ancora disteso al suolo privo di forze.- Tai- bassa e stanca la sua voce riemerge dalle tenebre in cui era stata relegata. – lo sento… sento il tuo coraggio-
E da quella energia ecco comparire l’eroe che stavi aspettando, il digimon drago di livello mega con cui hai vinto innumerevoli battaglie… ecco Wargraymon.
 
Sai di non avere molte chance, anche se sconfiggi quell’ombra non cambierà nulla.
L’avevi visto prima su quel tetto, di mostro non ce ne era solo uno ma a decine hanno invaso la tua città.
Allora scegli un’altra strada, se non puoi eliminarli almeno puoi fermare la loro avanzata.
Alzi gli occhi verso il tuo digimon. Il tuo sguardo è determinato. È ora di iniziare il secondo round.
 
Wargraymon lancia il suo attacco, è preciso e potente. Una vera forza della natura, esattamente come te la ricordavi.
Quel mostro, già indebolito dalla luce del coraggio, non ha nessuna speranza, il suo odio da solo non è sufficiente a battervi.
Un solo colpo… un solo colpo ben assestato è stato sufficiente per terminare quello che sembrava un incontro impossibile.
Stringi con forza il tuo digivice, mentre guardi quell’essere dissolversi nel vento.
Vorresti esultare, ma non puoi, la battaglia vera comincia adesso.
Il tuo volto è dannatamente serio e concentrato. Ne hai sconfitto uno, questo è vero, ma presto tutte le altre ombre saranno lì, attirate dal tuo stesso potere.
Si muovono lente, ma sai che stanno arrivando puoi sentire chiaramente l’acre odore della morte che portano con se.
 
-TAAAIIII- le calde braccia della tua sorellina ti stringono la vita – oddio… stai bene… meno male- ti giri e le vedi un flebile sorriso aprirsi sul volto.
- Tai cosa facciamo?- il giovane tk ti guarda con tutta la sua innocenza e la sua speranza.
Ti incontri con i suoi occhi, due pezzi di cielo luminosi, puri e splendenti.
Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, in lui ne puoi vedere chiaramente una pura e bellissima. Un’anima piena di amore e compassione, una vera rarità in questo mondo corrotto.
Sorridi, sei fiero di lui, nemmeno nel pericolo ha abbandonato il fianco della tua sorellina.
Anche in quel momento, in mezzo a tutto quel caos, si tengono per mano sostenendosi a vicenda. Per questo puoi sorridere, perché ora sei più tranquillo. Indipendentemente da quello che oggi accadrà sai che il tuo piccolo angelo sarà al sicuro. Tk la proteggerà…
- nascondetevi-  una sola parola pronunciata come un comando, non vuoi lasciar nascere dubbi o proteste.
- ma… ma…- Kari è spaventata, ha riconosciuto in te un tono e uno sguardo che non lascia intendere nulla di buono.
-niente ma. Ora dovete fare come vi dico- le stringi saldamente le spalle e incontri i suoi occhi mostrandole tutta la tua determinazione – non potete combattere- la tua voce è stranamente calma. – non potete fare nulla per adesso… ma io si-.
- ma Tai forse…- Tk si fa avanti, aggrappandosi saldamente alla manica della tua divisa. Ti guarda con i suoi grandi occhi, pregandoti di non lasciarli indietro.
 - no. Adesso tk devi prenderti cura della mia sorellina- sposti una delle tue mani verso il volto del ragazzo più giovane- lo farai vero?- gli accarezzi dolcemente la testa, mentre senti un flebile si venir pronunciato dalle sue labbra.
 
Un palazzo crolla poco lontano da voi interrompendo quel momento di dolcezza.
Un’esplosione lo segue, lasciando nell’aria un pesante odore di gas.
Decisamente avete finito il tempo a vostra disposizione, delle ombre affamate stanno per reclamare la vostra vita.
- forza andate!- devi allontanarli da lì al più presto, hai poco tempo e devi usarlo tutto… devi usarlo per ricordare…
- no!- la tua sorellina piange, urla e scalpita, mentre tk mantiene la sua promessa e la trascina lontano da li. Ma lei non demorde, chiama il tuo nome tendendo, come quando era piccola, le sue mani verso di te in cerca di protezione.
Ti giri. Non vuoi vederla, altrimenti non saresti capace di portare a termine ciò che ti sei premesso.
Chiudi gli occhi e ti concentri. Torni con la tua mente in dietro negli anni, fin quando eravate solo dei bambini. Devi ricordare un giorno in particolare… un evento in particolare. Perché adesso hai bisogno di ricrearlo.
 
 
 
Un innaturale silenzio avvolge la maggior parte delle strade della città ormai deserte. Solo un suono costante interrompe il gelo portato dal nulla. Il suono dei passi svelti di un adolescente dai capelli del colore del sole.
Corre, anche se il suo corpo non è abituato a tale fatica.
Corre, anche se l’aura di morte che avvolge la città gli toglie ogni energia vitale.
Corre disperato per arrivare in tempo.
Sente nascere dentro di se un forte senso di dejavou. Sì, perché una scena simile lui l’ha già vissuta.
Matt scuote la testa per non pensarci, quella volta era arrivato appena in tempo per salvare il suo migliore amico dalle grinfie di piemon. Ma questa volta… questa volta teme che non sarà così fortunato.
Gabumon non è più al suo fianco, il suo digimedaglione non è più un peso attorno al suo collo e il suo gruppo non esiste più.
Tutto quello che è rimasto è solo un mondo che li ha etichettati come mostri e li ha fatto sentire come tali, ma nonostante questo lui continua a correre.
 
Il prescelto dell’amicizia alza lo sguardo verso il cielo, attirato da una luce arancione che lo sovrasta per riconnettersi con l’orizzonte.
Un enorme boato si scaglia poco distante. Matt sorride, ha capito che il suo leader ha compiuto l’ennesimo miracolo, in fondo quella luce non poteva che essere destinata a te.
Ma nonostante questo non si sente tranquillo, anzi la sua inquietudine aumenta ogni secondo che passa.
Non sa cosa sta succedendo, sa solo che deve arrivare da te il più in fretta possibile.
Le sue paure vengono confermate quando un vento gelido si alza e avvolge quel che resta delle strade della città.
Il tuo amico trema, ma non per il freddo.
Sente la paura e il dolore diffondersi insieme a quel vento. Le tenebre stanno arrivando…
Aumenta il passo. Il suo cuore batte così forte che testa gli fa male.
La situazione sta precipitando e teme che questa volta nemmeno il potente wargraymon sarà sufficiente.
 
 
Gli ultimi cento metri sono i più faticosi che il biondo avesse mai fatto, i più lunghi mai percorsi in vita sua. Si arrampica sulle macerie di quello che probabilmente era un palazzo di uffici. Le scavalca con un’agilità che non credeva di avere e alla fine arriva in cima.
Dall’alto di quel cumulo, tra vetri, pezzi di mobili e cemento, può vedere l’arco finale della battaglia.
Una decina, almeno, di quelle immonde creature che senza pietà alcuna attaccano il potente digimon che davanti a loro coraggiosamente si erge.
Wargraymon, lucente guerriero, brilla fra quelle oscure tenebre. Con tutte le energie che gli sono rimaste contrattacca ogni singolo colpo lanciato.
Matt guarda immobile lo scontro – no… no….- scuote lentamente il capo, colpito da un’improvvisa consapevolezza: Wargraymon non combatte per vincere, lui sta solo prendendo tempo.
 
In una lotta a senso unico il digimon drago da fondo a tutto quello che ha.
Anche quando la sua armatura è fatta a pezzi lui continua a stagliarsi nel cielo, a testa alta e pieno d’orgoglio, come se stesse vincendo.
Non si fermerà, resisterà fino alla fine, affinché tu possa compiere un piccolo miracolo.
Ti fai avanti e senza la minima esitazione ti pari davanti a quei mostri.
Tendi il braccio verso l’alto mostrando al mondo la tua pietra del colore del sole che, in quel momento, come l’astro che la rappresenta brilla di una forza accecante.
Sei concentrato. Talmente tanto da riuscire a escludere ogni suono o immagine attorno a te.
Le voci di chi è venuto lì per cercare di aiutarti.
I rumori della battaglia.
Il crollo delle strutture che vi circondano.
Le urla di quei demoni.
La caduta del tuo digimon.
Tutto… elimini tutto per poterti concentrare solo sull’oggetto che trattieni a stento nella tua mano.
La pietra trema con forza ora che ha raggiunto il culmine del suo potere. Adesso è tempo…
- Wargraymon- chiami a gran voce il tuo digimon – sono pronto- prendi fiato, cercando con questo gesto di recuperare tutto il tuo coraggio.
La luce del tuo simbolo si innalza dalla tua mano, salendo verticalmente per rincontrarsi con un cielo nero. Ti senti svuotare velocemente, troppo velocemente. Cominci a temere di non riuscirci, di non avere sufficiente energia per ricreare quella barriera che ha il potere di allontanare le tenebre.
Tiri un sospiro di sollievo quando, finalmente, quella luce smette di salire.
Si arresta sovrana nel cielo per poi espandersi in tutto il suo splendore verso l’orizzonte.
Sei da solo, non hai la pretesa di creare una cupola che possa proteggere il mondo. Però, almeno alla tua città puoi aspirare.
Ti viene quasi da sorridere quando quel guscio dai colori d’orati avvolge, con la stessa cura di una madre, i resti di quello che era un posto pieno di vita.
Più si espande, più quei mostri indietreggiano. Forse non sei sufficiente per sconfiggerli, ma non permetterai loro di averla vinta così facilmente.
Crescono e si espandono le ali del sole del coraggio, crescono e avvolgono questo luogo maledetto. Crescono relegando agli estremi confini della città quei mostri bramosi di sangue.
 
Ce l’hai fatta bambino del coraggio, hai creato una protezione perfetta. Ma, per farlo, quanto ti è costato?
Ancora una volta hai messo la tua vita in secondo piano, regalando tutte le tue energie per dare una possibilità di sopravvivenza a una città che nemmeno ti ringrazierà.
Eppure, anche adesso che il tuo corpo sta cadendo al suolo privo di forze, stai sorridendo.
 
 
 
Quella luce sale inarrestabile, caricata da tutto il tuo coraggio e io salgo con lei. la sua salita si rispecchia in due occhi di un cupo coloro porpora che, dal buio di una piccola stanza, osservano privi di vita quello che potrebbe essere l’ultimo atto del suo leader.
 
Quella luce giunge nel suo picco massimo e comincia ad espandersi. È arrivata talmente in alto da poter essere vista da ogni angolo della città. Oltre il campo di battaglia… oltre il centro… oltre i quartieri popolati… sale fino a raggiungere due ragazzi che mischiati tra la folla tentano di salvarsi.
Si fermano dalla loro fuga. Solo per un attimo. Solo per avere l’occasione di mettere insieme i pezzi di quelle ultime ore.
 
Quello che era un semplice raggio si è ora trasformato in un ampio scudo dai colori del sole.
Le sue ali avvolgono materne una città ferita, quasi a volerla proteggere e consolare.
Sono calde quelle ali e piene dei sentimenti di chi le ha generate.
Sono una carezza che riesce perfino a far lacrimare due occhi color caramello che pensavano di non dover più provare nulla.
 
Un misto di sentimenti albergava nei cuori di questi particolari spettatori, mentre una sola domanda echeggiava nella loro testa: che cosa fare adesso?
 
Continua…
 
Terzo andato… che dite? Andava bene?
Di certi punti non ne ero molto convinta… quindi li ho riscritti non so quante volte… vabbè fatemi sapere^^.
Ciao ciao alla prox
lau 

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Capitolo 4
*** passo 4) spettatori di una triste recita ***


Ciao a tutti^^. Ecco il quarto capitolo…
Che posso dire?? Ringrazio come tantissimo chi legge e recensisce ( mi fa sempre piacere sapere quello che pensate) e auguro una buona lettura, sperando che vi piaccia.
 
 
 
 
Un misto di sentimenti albergava nei cuori di questi particolari spettatori, mentre una sola domanda echeggiava nella loro testa: che cosa fare adesso?
 
 
Passo 4) spettatori di una triste recita
 
La luce d’orata della barriera nata dal puro coraggio avvolge con cura una città ferita.
Dietro di essa ombre bramose d’odio battono e urlano contro i suoi caldi riflessi nel vano tentativo di abbatterla.
Le grida che fino a poco prima colmavano ogni strada sono cessate, il sangue ha smesso di scorrere e gli edifici sono per il momento salvi da ogni attacco.
Un silenzio innaturale si è ora innalzato dando a quel luogo un aspetto ancora più spettrale e decadente.
Nessuno osa muoversi dai propri nascondigli, la paura che l’incubo possa ricominciare da un momento all’altro è troppo forte.
 
Tuttavia, nonostante questa apparente calma, in un anfratto isolato della città, una piccola tragedia si stava ancora consumando.
 
Ora che le ali del coraggio sono state spiegate non c’era più ragione perché la colonna di luce che le aveva generate continuasse ad esistere. La sua accecante energia cominciava così piano piano ad affievolirsi, lasciando libero alla vista lo spettacolo desolante che la battaglia appena trascorsa aveva creato.
Li, dove quel bagliore era nato, rimane solo un cratere a testimoniare i tuoi sforzi. È grande quanto un campetto da calcio, ma fortunatamente non molto profondo. È scavato nel cemento fino ad arrivare alla nuda e semplice terra, spesso nella città dimenticata.
Quella luce adesso si è spenta, così da mostrare quello che al centro della voragine rimane.
Due figure, immobili e spente riposano: la tua, portatore del coraggio, e quella di una buffa palla rosa.
 
Tutto si era svolto talmente in fretta che i tre spettatori presenti sono rimasti a lungo inebetiti per quanto accaduto davanti ai loro occhi.
Solo quando il tuo corpo stanco è crollato al suolo hai potuto sentire la voce disperata della tua sorellina interrompere quel decadente silenzio che si era generato.
Incurante degli ordini che le avevi dato è uscita dal suo nascondiglio cominciando a correre verso quel cratere dove il tuo corpo riposa ora esamine.
- T...Tai..- All’inizio il tuo nome veniva pronunciato dalle sue labbra come un flebile sussurro, ma poi, più si avvicinava, più quel bisbiglio diventava un urlo. –TAAIII-
Ti chiamava e ti chiamava, ma tu non ti muovevi nonostante il suo tono di supplica… Forse è per questo… per questo tuo silenzio che i suoi occhi hanno cominciato a riempirsi di fredde lacrime non controllate… lacrime che hanno reso il suo cammino ancora più difficile.
Cadeva e cadeva, non potendo vedere dove andava, eppure non poteva… non voleva fermarsi.
È testarda e caparbia proprio come te…
È caduta ancora, ma questa volta, il suo corpo non ha toccato il terreno, due braccia sicure e amorevoli l’hanno sostenuta in tempo.
Tk, anche se con fatica, l’aveva raggiunta – forza Kari- La voce del giovane biondo è dolce e rassicurante – sono qui…- le dice stringendola a se per impedirle di allontanarsi ancora – andiamo… insieme-
Ma nonostante tutto questo, non sono loro i primi a giungere a te.
Una scheggia bionda li aveva sorpassati poco prima, ignorando la stanchezza e il pericolo.
 
Il tuo migliore amico è accanto a te, tu non lo puoi vedere ne sentire, ma lui c’è… alla fine è venuto, anche se non è arrivato in tempo per combattere al tuo fianco.
Chiama il tuo nome, scuote delicatamente il tuo corpo, cerca di capire cosa c’è che non va… ma ogni tentativo è vano, perché sia tu che il tuo digimon rimanete immobili sul freddo terreno… immobili come due bambole la cui carica si è estinta.
Matt ti guarda. Sei pallido e indifeso come non mai. La rabbia e la colpa invadono velocemente il suo animo corrodendolo.
Stringe i pugni. Non è il momento di fermarsi, deve agire.
- Tai - la sua voce è stranamente calma, ma dentro di lui c'è un mare in tempesta – non ti preoccupare… vedrai starai meglio-
Ti solleva, caricandosi tutto il tuo peso sulle sue spalle. Sei più alto e pesante di lui, ma non gli importa… farebbe qualsiasi cosa per aiutarti.
- Kari… Tk… dobbiamo sbrigarci- Matt è preoccupato, ma cerca di nasconderlo ai due ragazzi più giovani.
Decisamente la situazione non è buona. Il suo migliore amico respira appena, la città è semi-distrutta, non ci sono mezzi di trasporto, non c’è anima viva nel raggio di chilometri e tutti i digiprescelti sono considerati dei mostri… no, decisamente la situazione non è buona…
Con il tuo peso sulle sue spalle sottili, comincia a correre seguito a ruota da due angeli molto in ansia.
Non sa dove andare, ma sa che non ha molto tempo.
Impreca e si maledice mentalmente, se solo ci fosse lì con lui garurumon… allora tutto sarebbe più facile.
Sbuffa pesantemente il tuo amico… sbuffa perché il suo fido compagno non c’è e, a lui, non resta altra scelta se non correre.
 
 
 
Un tramonto dalle calde sfumature cremisi annunciava che quella giornata, che nessuno mai avrebbe dimenticato, stava giungendo al termine.
Il sole stava lentamente abbandonando il cielo per cullarsi dietro all’orizzonte, uno spettacolo magnifico che però era celato alla vista umana da nuvole nere.
Quelle stesse nuvole che avevano imprigionato l’azzurro dal momento dell’arrivo delle bestie oscure, rendendo il paesaggio così tetro da far sembrare che la notte non avesse mai realmente abbandonato la città.
Gli attacchi si erano susseguiti fino all’istante in cui la barriera era stata eretta, però, nonostante questo, non si era riusciti ad impedire il susseguirsi di numerose conseguenze.
Le comunicazioni erano andate perse, così come i mezzi di fuga, rendendo i cittadini dei prigionieri all’interno della loro stessa città.
Una città a cui mancavano gli elementi di base per sopravvivere, poiché senza elettricità era ripiombata nel medioevo.
Pochi i punti rimasti intatti di quello che prima era un grande centro abitato di cui ormai sono rimaste solo le macerie.
Eppure lì, tra i resti di una città ridotta solo allo scheletro di se stessa c’è ancora una speranza… è piccola e debole, ma c’è, ed è rappresentata da un complesso di capannoni, a cui quei mostri non hanno avuto modo di arrivare.
 
I soccorsi, quel giorno, erano stati veloci. Molte vite erano state salvate proprio grazie ai pronti riflessi di poliziotti, vigili del fuoco, militari, medici…
Vite scampate da una fine certa e ora custodite proprio in quei grandi complessi.
Certo, quel luogo non era dei più ospitali, chi era lì non aveva ne lussi ne privilegi, ma almeno possedeva ancora la propria vita e la speranza di arrivare fino al giorno dopo.
Ed era proprio tra quelle grigie e sporche mura che avevano trovato riparo i restanti membri dell’ex banda dei bambini prescelti.
 
Proprio lì, in una di quelle vecchie strutture abbandonate dal tempo, nascosta in un angolo, sedeva con le gambe strette al petto una giovane donna dai capelli ramati.
Appoggiata senza forza contro una parete crepata, sentiva il freddo entrarle pesantemente nelle ossa provocandole dei leggeri ed involontari tremiti.
Teneva la testa china e gli occhi chiusi, tentando disperatamente di isolarsi dal mondo che la circondava.
Si sentiva in colpa, perché davanti a un bivio aveva infine deciso di scappare.
Poteva combattere, ma aveva avuto paura… ne aveva avuta tanta.
Un sentimento che l’aveva paralizzata, facendola rimanere immobile a guardare quell’inferno per un tempo che le era parso infinito.
Le veniva quasi da ridere davanti alla sua incapacità di reagire. Probabilmente se non fosse stata trascinata via di peso sarebbe ancora lì, in una strada deserta a fissare il vuoto.
Non si era resa conto che una mano calda e forte la stava portando via, lontano da tutto, o almeno non subito. Aveva camminato come un automa, combattuta tra il desiderio di proteggere e quello di essere protetta.
Solo quando un’energia famigliare aveva inondato il cielo lei si era risvegliata, fermandosi con il suo salvatore in mezzo alla folla per cercare di mettere insieme i pezzi dell’ennesimo scherzo del destino.
Ma anche davanti a quella luce erano scappati, avevano scelti di seguire la folla e di mettersi al sicuro. Eppure… adesso con il senno di poi… domandarsi se quella era stata la scelta giusta era decisamente doloroso.
Le ore erano passate e lei era ancora lì che sbatteva ripetutamente la testa contro le sue stesse ginocchia nel tentativo di decidere cosa fare.
- Sora…- una voce sussurra piano il nome della ragazza, nella speranza di riportare la sua mente nel mondo reale.
I suoi occhi cremisi si spalancano nuovamente così da specchiarsi in due occhi blu nascosti dietro un paio di lenti.
La ragazza lo guarda spaesata ma il giovanotto non si da per vinto - ecco prendi- con un lieve sorriso e un movimento gentile gli si avvicina ponendole una pesante coperta di un insolito colore verde marcio.
Il peso dell’oggetto la fa ridestare, facendo nascere in lei un sorriso sincero - grazie Joe… che farei senza di te – è grata al suo amico dai capelli blu, infondo se non fosse stato per lui, lei sarebbe ancora in piedi in mezzo a una strada vuota.
Gli fa cenno di sedersi accanto a lei, non vuole rimanere sola, non in quel momento e non in quel luogo.
Joe ubbidisce, prendendo la coperta dalle mani della ragazza e sistemandola al meglio attorno ai loro corpi, ritrovando così un po’ di calore. 
- come stai?- sono vicini, ma il ragazzo le parla comunque sottovoce, anche se il suo istinto di medico prevale non vuole attirare troppo l’attenzione.
- insomma…- sussurra quasi all’orecchio del ragazzo - … fisicamente bene… però… ecco vorrei che gli altri fossero qui… vorrei sapere che stanno tutti bene… che sono tutti vivi- si ferma per alcuni attimi cercando di dare uno sfogo ai suoi pensieri Joe…- si morde nervosamente le labbra, tentando di controllare i dubbi che assillano la sua anima -… io… non so se abbiamo fatto la cosa giusta venendo qui…- alza lo sguardo verso la finestra più vicina, così da poter vedere quella magica barriera che li sta proteggendo.
Joe annuisce, sa cosa sta passando, perché per lui è lo stesso.
La paura, i dubbi, il senso di colpa… tutte sensazioni che stanno tormentando il suo animo, anche se cerca di nasconderlo.
Non dice nulla, si limita solo a prendere la mano della ragazza per cercare di darle almeno un po’ di sicurezza e calore.
Certo, non basta a eliminare quella spiacevole sensazione che attanaglia i loro cuori, ma se non altro riesce a lenirla… anche se di poco.
L’incertezza su quello che è successo ai loro amici si accavalla con l’incertezza per il loro futuro, portandoli a porsi la domanda successiva: come reagirà la gente rimasta appena capiranno che loro sono dei prescelti?
Una domanda la cui risposta è alquanto facile e dolorosa.
Eh sì, perché non ci vuole di certo un genio per immaginare che alla fine la colpa di tutto ricadrà su di loro…. Come sempre….
Per questo… per questa taciuta consapevolezza che i due ragazzi sono seduti in un freddo angolo, avvolti in una vecchia coperta, facendosi piccoli piccoli, quasi a voler sparire da quel mondo ingiusto in cui sono costretti a vivere.
 
Una scena, questa, così dolce se vista dall’esterno, è però giudicata con estrema amarezza da due occhi color caramello che di nascosto osservano i due ragazzi.
Sono occhi pieni di sensi di colpa, ma anche di tanta paura.
Sono occhi che appartengono a una giovane donna che quel giorno dopo tanto tempo ha provato il desiderio di abbandonare delle mentite spoglie per tornare ad essere se stessa.
Mimi, giovane cheerleader, vorrebbe mandare a quel paese i suoi pon pon e con essi buttare la maschera che si è costruita da quando è tornata dall’America. Perché la verità era che se lei aveva deciso di tornare era solo per restare con i suoi veri e unici amici.
A quel pensiero i suoi occhi sentono per la seconda volta in poche ore il desiderio di piangere, lei non era un’amica… non era sincera… era solo una traditrice che aveva girato le spalle alle persone che amava nel momento del bisogno.
Vorrebbe ridere di se stessa, perché nemmeno lei sapeva ben dire come o quando la sua recita era iniziata.
Era ritornata, aveva avuto il coraggio di prendere quell’aereo per il Giappone, ma non poteva immaginare ciò che la stava aspettando. Il suo gruppo, che era sempre stato la sua forza e la sua sicurezza, non esisteva più. I suoi impavidi membri si erano arresi, lasciandosi sopraffare e schiacciare da quelle stesse persone che per anni avevano protetto.
Odio, odio e solo odio in una spirale infinita… ecco cosa aveva trovato.
Lei si era sentita indifesa e vulnerabile, così aveva fatto la sua scelta…
Sospira Mimi, abbandona i suoi pensieri, costringendosi a distogliere lo sguardo dai quei due ragazzi che cercano rifugio e calore nella reciproca presenza.
Si gira e sorride falsamente al gruppo di persone normali di cui fa parte, caccia via le lacrime e i sensi di colpa, anche se dentro si sente morire.
Ride Mimi, si mostra sicura di se, ma in realtà è solo una bambina spaventata che ha trovato nella bugia un grande alleato.
Questa è la sua decisione… la sua scelta… sì, lei continuerà la sua commedia giorno dopo giorno… Continuerà finché, chissà, una bella mattina potrà svegliarsi e scoprire che le sue speranze e le sue preghiere sono state esaudite e che tutto è tornato magicamente come prima.
Sì, aspetterà… fino a quel giorno in cui potrà tornare a sorridere sinceramente. Anche se questo significa che fino ad allora dovrà continuare a distogliere lo sguardo, facendo finta che quello che sta accadendo intorno a lei non la riguardi…perché alla fine anche lei è solo un altro essere umano che vuole fare di tutto per sopravvivere.
 
 
Nel frattempo… poco lontano…
 
Due occhi azzurri si ampliarono ricolmi di sorpresa e di gratitudine, davanti a una visione tanto ricercata.
Aveva corso a lungo ed era stremato, ma non aveva voluto risposarsi nemmeno per un minuto, troppa era la paura per il suo amico ancora privo di sensi.
Aumentò il passo, quando vide in lontananza dei segni di vita.
Certo, avrebbe preferito un ospedale, ma la situazione era disperata e doveva accontentarsi di quel poco che era rimasto in piedi.
Più si avvicinava, più i lineamenti di quel luogo si facevano chiari: il freddo cemento del piazzale circostante, la vecchia recinzione metallica ormai arrugginita, il grigio sporco delle pareti, le ampie finestre nelle parti più alte della costruzione, macchinari da anni trascurati che giacevano immobili sul cemento…
Da lontano sarebbe apparso come un luogo abbandonato, soprattutto, per l’assenza di fonti di elettricità, ma non era così. A garanzia di ciò c’erano camion, macchine e ambulanze che si muovevano frenetiche tra il grande piazzale e il mondo circostante, portando viveri, medicinali, vestiti… e ogni altro elemento di prima necessità.
Non c’erano molte persone all’esterno del complesso di capannoni, molto probabilmente la maggior parte dei sopravvissuti era ancora rintanata all’interno delle strutture in cerca di protezione.
Al biondo prescelto dell’amicizia venne quasi da ridere davanti all’ingenuità umana. Se Tai non avesse fermato quei mostri, nascondersi in quel modo non solo non sarebbe servito a nulla, ma avrebbe addirittura reso più facile l’opera di sterminio.
Scuote la testa e va avanti, quello non era il momento adatto per pensare all’ingrato genere umano.
Sbuffa pesantemente, mentre passa dal cancello spalancato e incustodito.
Continua a correre senza nemmeno verificare che i due ragazzi più giovani lo stiano ancora seguendo.
Passa tra le poche persone che ci sono tra i camion senza che nessuno lo noti, in fondo hanno già il loro bel daffare per preoccuparsi di alcuni adolescenti.
Si butta letteralmente verso il primo edificio che gli si para davanti, non gli importa se sia stato adibito come dormitorio o cucina, gli serve solo che ci sia un medico.
Passa il portone d’entrata, si blocca un attimo sorpreso. All’interno può ben distinguere un numero abbastanza consistente di persone, brandine da poco messe e scatolame vario, portato molto probabilmente direttamente da quei camion. Ma ciò che sorprende il biondo cantante è la presenza di bianche luci al neon sparse qua e la. Sono poche e tenute basse con lo scopo di non farle vedere troppo da fuori.
Sorride, è un buon segno, vuol dire che hanno dei generatori. Decisamente una speranza in più di sopravvivere.
 
Un uomo si avvicina al gruppetto appena entrato, impossibile non notarli, visto che si erano praticamente gettati nell’edificio rompendo il religioso silenzio che regnava all’interno.
Matt si rilassa nel vederlo, sembra una persona gentile e se lo dovesse descrivere apparirebbe come il classico padre di famiglia, una di quelle figure che appena le vedi ti regalano sicurezza.
L’uomo è calmo e sorride, tentando di metterli a loro agio – ragazzi tutto bene? Serve aiuto?-
Matt ringrazia mentalmente il cielo, forse avevano avuto finalmente un colpo di fortuna – si graz…- ma le parole gli muoiono in bocca alla vista del caldo sorriso dell’uomo trasformarsi in uno sguardo gelido di disgusto e terrore.
Il ragazzo non capisce, si guarda intorno in cerca di un indizio che spieghi quel repentino cambiamento. 
Spalanca gli occhi. Un’illuminazione lo pervade. Se ne era dimenticato… aveva totalmente scordato quella buffa palla rosa con delle orecchie enormi che era ancora avvolta nelle amorevoli braccia di Kari.
 
- oh mio dio…- la voce di quell’uomo trema, forse per la paura o forse per la rabbia – voi… voi siete…-
Indietreggia, puntando un dito accusatore verso quei ragazzi stanchi e impauriti che avevano appena fatto il loro ingresso in un luogo, per molti reputato sicuro.
Indietreggia spaventato dal ricordo della giornata appena vissuta.
Indietreggia al pensiero che tutto possa ricominciare…
Non conclude la frase, Matt non gliene da il tempo. Lo sorpassa fiondandosi verso il centro della struttura.
Il ragazzo si maledice mentalmente per essere stato così imprudente e ingenuo. Tanta la fretta che aveva che non ha pensato a nulla, né a suo fratello che, lo sa, verrà trascinato a fondo con lui, né alla sorellina del suo migliore amico, che ora si guarda intorno con aria smarrita e spaventata, né a Koromon, che giace ancora privo si sensi e nemmeno alla reazione che avrebbero potuto avere le persone vedendoli… no, decisamente non aveva pensato a nulla, se non a cercare aiuto.
- aiutatemi… al mio amico serve un medico- urla il ragazzo dai biondi capelli, sperando che qualche buon cuore superi le apparenze e li veda solo per quello che sono.
 
Da quella richiesta di aiuto passano secondi interminabili, vissuti nel più completo silenzio e nella più soffocante angoscia. Attimi in cui ogni più piccola speranza veniva lentamente infranta…
Le persone presenti si allontanavano inconsciamente, cercando di creare più spazio possibile tra loro e quel gruppetto di adolescenti.
I loro occhi così come i loro volti trasudavano terrore e repulsione trasmessi in un silenzioso messaggio di paura e odio che, sfortunatamente, si trasformò velocemente in una tangibile accusa.
Parole confuse come ‘ mostri ’, ‘ assassini ’, ‘ criminali’… si elevarono minacciose rimbombando nell’alto soffitto dell’edificio.
Davanti ai tentativi di cacciarli via, Matt, sentì crescere dentro di se una rabbia, un odio e un senso di disgusto sempre maggiore.
 
Come osavano giudicarli in tal modo solo perché avevano con loro il piccolo e indifeso Koromon? Come osavano rifiutarsi di aiutarli dopo tutto quello che avevano fatto per questo misero pianeta?
 
Le cose stavano velocemente peggiorando, tanto che il musicista decise di cercare immediatamente i due ragazzi più giovani, per assicurarsi di averli abbastanza vicino da poterli difendere se fosse stato necessario.
Trovò subito Kari, accerchiata e spaventata fino alle lacrime perché considerata in quel momento la più pericolosa.
Matt corse subito verso la ragazza, cercando di contenere al meglio la sua rabbia, che piano piano lo stava accecando.
Tutto questo era ingiusto e lui non poteva sopportarlo… anzi, non voleva più sopportarlo.
La ragazza altro non aveva fatto se non supplicare di aiutare il fratello e veniva trattata così? Con insulti e minacce?
Un grido bloccò la corsa del ragazzo. Tk si era messo davanti a Kari cercando di proteggerla alla meglio da quella che stava diventando una folla inferocita.
Probabilmente una persona saggia sarebbe scappata, ma in quel momento la lucidità e l’autocontrollo del prescelto dell’amicizia erano passati a miglior vita.
- COME VI PERMETTETE!- cominciò a urlare verso un soggetto imprecisato – COME OSATE GIUDICARCI?... CHI SIETE VOI PER FARLO? EH? … PENSATE DI ESSERE MIGLIORI DI NOI?-
Nessun prescelto si era mai ribellato, forse per questo che lo sfogo del ragazzo ebbe come principale conseguenza quella di zittire tutti i presenti.
Matt ansimava, troppa era la rabbia che aveva accumulato nel corso del tempo – VOI… VOI… SIETE DEGLI IDIOTI…- con ancora Tai saldamente fermo sulle sue spalle, allungo un braccio per indicare l’esterno -… VEDETE QUELLA CAVOLO DI BARRIERA?... QUELLA È L’UNICA FOTTUTTISSIMA RAGIONE PER CUI DEGLI INGRATI COME VOI SONO ANCORA IN VITA…-
Prese qualche secondo di pausa, giusto per osservare le reazioni sconvolte delle persone che avevano osato insultarli in quel modo. - … E PER QUESTO DOVETE RINGRAZIARE SOLO QUESTO RAGAZZO… CHE HA DATO TUTTO PER CREARLA…-
I suoi bei occhi azzurri erano ridotte a due fessure di pura ira, oh, se solo non avesse avuto Tai sulle spalle, allora avrebbe preso a pugni tutti quegli esseri ignoranti – NON VOLETE AIUTARCI? BENISSIMO… SAPPIATE SOLAMENTE CHE SE IL MIO AMICO MUORE LA BARRIERA VA A FARSI BENEDIRE… E VI POSSO ASSICURARE CHE NON CI SARÀ PIU’ NESSUN ALTRO PRESCELTO DISPOSTO AD AIUTARE QUESTO SCHIFO DI MONDO-
Tirò il fiato e fece un passo in avanti. La sua gola bruciava, non ci era abituato, per via del suo carattere solitario non aveva mai avuto bisogno di gridare tanto.
Dopo il suo sfogo la sua rabbia si era ridimensionata, ma il suo senso di impotenza era ancora presente, tanto che sentiva il pungente bisogno di farlo esplodere in un pianto liberatorio. 
Si trattene anche se a fatica, quello non era né il tempo né il luogo adatto.
Non poteva farsi vedere debole davanti ai due ragazzi più giovani che contavano su di lui per un appoggio, ma soprattutto non avrebbe mostrato la sua sofferenza davanti a quelle persone che lo giudicavano senza conoscerlo.
 
Fortuna o sfortuna volle che, nello stesso capannone scelto dai ragazzi, avesse trovato rifugio un’anima amica che, attirata da tutto quel trambusto, era accorsa a vedere che succedeva.
- oh dio… Matt?... che sta succedendo?- una vecchia conoscenza si fece largo tra la folla che ora accerchiava muta i prescelti.
- signor… Kido – Matt poté tirare un sospiro di sollievo. Quell’uomo, coi capelli brizzolati e un antiquato paio di occhiali, non solo era il padre del suo amico Joe, ma era anche un ottimo medico.
 
Il biondo prescelto era stanco e completamente svuotato, in quel momento riusciva a malapena a sostenere se stesso e Tai, ma di fare altro non ne aveva la forza. Quindi per secondi che parvero interminabili, si limitava a sorridere in silenzio verso quell’uomo che rappresentava per loro l’unica fioca speranza.
Un sorriso spento che altro non era se non l’ennesima richiesta di aiuto.
Le sue gambe tremavano e i suoi occhi a fatica rimanevano aperti, ma nonostante questo avrebbe resistito fino alla fine… perché almeno questo al suo amico glielo doveva.
 
Sfortunatamente c’era qualcosa che Matt non aveva calcolato…
 
Il signor Kido era un uomo buono, dedito al lavoro e alla famiglia, ma purtroppo questo non sempre è un vantaggio.
Sì, perché davanti alla silenziosa richiesta d’aiuto che gli veniva rivolta, lui rimase per diversi attimi immobile indeciso su come comportarsi.
Aveva cinquant’anni, era un medico riconosciuto per le sue capacità e aveva una fantastica famiglia alle spalle che lo sosteneva sempre, tuttavia questo non significava che non provava paura.
Un sentimento negativo non certo rivolto a quei ragazzi, sapeva meglio di chiunque altro che erano solo degli adolescenti vittime dell’ignoranza generale… solo dei capi espiratori… qualcuno a cui dare la colpa se le cose andavano male… no, decisamente non erano loro che lo spaventavano.
I timori di quell’uomo erano principalmente rivolti verso quella che sarebbe stata la reazione generale a tutta questa assurda situazione… cosa sarebbe successo se aiutando quei ragazzi avrebbe attirato le ire della gente contro i suoi cari? Se facendo la cosa giusta avrebbe affossato quello che era il suo futuro e quella della sua famiglia?
Le sue paure, così come la sua indecisione, si potevano leggere chiaramente sul volto maturo del medico, forse è per quello… per quegli attimi interminabili di attesa… per quei silenzi ingiustificati, che è dovuto intervenire qualcuno a sbloccare quella condizione.
 
 
Ma questa volta a fare la differenza non sono stato io e nemmeno tu, leader dei prescelti… Questa volta siamo solo due spettatori inermi di quel pietoso show che il mondo ci offre.
Spettatori di una triste recita dove i protagonisti altro non fanno se non cercare di annullarsi l’un l’altro… una recita che si svolge su di un palco dove ci sono solo attori che indossano maschere create per proteggere il loro stesso personaggio da sguardi accusatori…su di un palco dove il copione è solo l’ennesima fitta ragnatela di bugie…
Eppure anche in questo triste spettacolo tu non te la senti di dare la colpa a nessuno. La paura è un pesante fardello che occupa l’animo umano… un fardello che oscura la vista e domina il cuore.
L’odio è solo una maschera creata per nascondere l’angoscia e l’insicurezza che domina quella difficile creatura che è l’uomo.
Cercare di proteggersi schiacciando gli altri, è questa la triste strada che l’essere umano inconsciamente segue… eh si, perché sceglierne un’altra significherebbe trovarsi da soli e insignificanti contro una realtà prepotente e smisurata.
Per questo capisci le urla minacciose di quelle persone o lo stato di indecisione in cui si trova un brav’uomo che ha dedicato tutta la sua vita agli altri.
Di certo non lo approvi, ma lo capisci…e solo capendolo puoi perdonarlo e andare avanti… avanti, sempre dritto attraverso la strada che hai scelto, in attesa di un cambiamento.
Eppure, nonostante questa triste rappresentazione, c’è qualcosa su quel palco che è in grado di riscaldarti il cuore rendendoti orgoglioso… anche se non puoi vederlo con gli occhi, puoi comunque percepire quello che sta accadendo intorno a te… il tuo cuore e la tua anima sono ancora attivi e presenti.
Sei fiero e sorridi, mentre osservi quei piccoli gesti che ancora ti fanno sperare in un futuro diverso.
Sorridi interiormente ed ecco cosa vedi: la testardaggine e l’amore del tuo angelo, il sostegno e la speranza del giovane Tk, la fiducia e l’amicizia che ha dimostrato di possedere il tuo migliore amico… e infine il coraggio che ha spinto, due persone spaventate e insicure, ad uscire dall’ombra in cui si erano nascosti per venire da te.
 
Trema la dolce Sora, mentre incerta cammina tra la folla che ora accerchia i suoi amici. Stringe con energia attorno alle sue spalle la coperta, che Joe le ha donato, in cerca di calore e sostegno.
La sua mano è stretta in quella pallida di un ragazzo dai capelli blu. È una stretta amorevole, che le da la forza di andare avanti e il coraggio di non tornare indietro.
I due ragazzi si muovono velocemente per raggiungere il centro del trambusto che si era creato e che aveva attirato la loro attenzione.
Nel momento in cui hanno riconosciuto una voce a loro cara non hanno esitato a uscire dal loro angoletto sicuro per precipitarsi verso la fonte.
Non sanno che aspettarsi, né si sono fermati a interrogarsi in merito, perché l’unico pensiero rilevante è rivolto verso i loro amici ancora mancanti, nella speranza che stiano tutti bene.
Si rammaricano i loro cuori, quando al loro arrivo, si trovano davanti uno spettacolo pietoso.
Persone, a decine, che inveiscono contro un misero e indifeso gruppetto di adolescenti, che li insultano e li cacciano come fossero merce avariata.
Il ragazzo dai capelli blu sente la sua indole pacifica abbandonare il suo corpo davanti a tale mancanza di umanità, lascia la mano della ragazza, non vuole che anche lei venga trascinata a fondo, e si precipita in mezzo alla mischia, proprio nelle fauci del leone. Ed è lì che incontra lo sguardo confuso e supplichevole del padre.
Due occhi, così simili ai suoi, che gli chiedono tacitamente di non intervenire, di lasciare le cose come stanno e di tornare a nascondersi.
Joe si sente deluso e tradito da una simile richiesta, così contraria a tutti quegli insegnamenti che il suo stesso padre gli ha dato… una richiesta che non può accettarla.
Il ragazzo si sistema gli occhiali sul volto, un gesto che spesso fa quando è nervoso o ha bisogno di riflettere, per poi procedere con passo sicuro verso i suoi amici.
Joe non ha bisogno d’interrogarsi su quale sia la scelta giusta da fare, ha già dovuto rinunciare ai suoi sogni, divorati senza pietà dall’ignoranza delle persone, non rinuncerà anche ai suoi più cari amici.
Osserva con attenzione quei ragazzi praticamente esausti. Legge con facilità preoccupazione e rabbia in un paio di occhi azzurri che scrutano ogni suo movimento.
Arriva da Matt e finalmente comprende il perché di quel disperato sfogo di cui prima era stato testimone: Tai, l’unica persona, oltre Tk, che potrebbe smuovere il freddo animo freddo del ragazzo, è in fin di vita.
- Matt che è successo?- una leggera nota di panico emerge dalla sua voce, ma si trattiene, deve essere all’altezza del suo ruolo.
- Joe… per fortuna che sei qui…- il cantante biondo sente il suo animo sollevarsi davanti alla presenza dell’amico. – la città è sotto attacco…- lo dice ad alta voce, se ne frega di quello che potrebbero pensare le persone presenti -… non sono digimon… o almeno non credo-
- a quello pensiamo dopo…- lo blocca immediatamente Joe – adesso dimmi che è successo a Tai - fa posare il leader per terra, così da avere la possibilità di aiutarlo.
- ha evocato non so come la sua digipietra… è riuscito a eliminarne un paio… ma erano decisamente troppi per Wargraymon… così… ecco…-
- cosa ha fatto quest’incosciente?- con sorpresa dei presenti, la flebile voce di Sora, vellutata e apprensiva come quella di una madre, si era introdotta con forza in quel piccolo universo che si era creato attorno ai cinque ragazzi.
- Sora…- Matt sorride debolmente nel vedere che la ragazza stava bene - … ecco… ha ricreato la barriera che avevamo usato per proteggere digiworld… solo che l’ha fatto usando solo il suo stemma…-
- oddio…- Sora ha chiuso ogni distanza che la separava dal gruppetto – Joe come sta?-
-non bene…- il ragazzo risponde serio, spostandosi un po’ dal corpo del leader-… devo aiutarlo… ma non ho né i mezzi né le capacità- si sfila gli occhiali e chiude gli occhi, mai come in quel momento gli sono sembrati così pesanti. Cerca di recuperare la calma e la lucidità che lo distinguono, altrimenti non potrà essere di alcun aiuto per quel ragazzo steso a terra.
- Joe…- la piccola Kari lo guarda supplichevole - … ti prego-. Niente per lei è più importante del suo amato fratello, darebbe e farebbe di tutto per riaverlo con se e, Joe, lo sa bene.
Il ragazzo si alza in piedi, non vuole deluderla e non vuole arrendersi, si volta e comincia a cercare un paio di occhi blu tra la folla.
 – papà- dice con voce decisa – papà!- ripete continuando a sostenere il suo sguardo.
Una sola parola pronunciata con fermezza… non è una domanda, non è un’affermazione, ma solo un richiamo…
Una sola parola usata da un figlio per cercare di spronare una persona che ama e che stima…
Una sola parola che contiene un messaggio… un messaggio di coraggio e amore.
L’uomo si sveglia dallo stato di trance in cui era caduto, interiormente sorride davanti alla forza e alla fermezza che il figlio ha dimostrato. Si ricompone e avanza finalmente incurante degli sguardi taglienti che gli vengono lanciati… avanza a testa alta, fiero di se stesso e di suo figlio.
Strano come delle volte nella vita siano i genitori a trovare la loro forza nei figli…
 
Poco distante su una strada deserta qualcuno scappava velocemente, poiché quella capacità di reagire non l’aveva trovata.
Una macchina stava lasciando a gran velocità la città con al suo interno tre persone.
Grazie a uno dei suoi occupanti poteva muoversi abilmente, perché con il favore di un computer molto speciale poteva sapere dove erano quelle creature e cosa stavano facendo.
Abbandonare quell’inferno era stata una scelta dei suoi genitori, troppo spaventati per quello che poterebbe accadere al loro più prezioso tesoro.
Era la scelta più logica… era la decisione più sensata… infondo che avrebbe potuto fare anche rimanendo? Lui il più debole tra i prescelti… che aiuto avrebbe potuto dare?
Lui, che per anni si era aggrappato disperatamente ai suoi amici, trovando in loro la forza di andare avanti, come poteva combattere da solo?
Il ragazzo puntò i suoi occhi di un cupo color porpora fuori dal finestrino, appoggiando piano la testa al vecchio sedile di pelle.
Strinse a se il suo fedele computer, cercando di convincere se stesso che quella era la scelta giusta… perché lo era vero?
Sbatté più volte la testa contro il morbido sedile, nel tentativo di mandare via l’immagine di quella luce che aveva visto ascendere al cielo nella notte precedente.
Non doveva pensare ad essa, non doveva illudersi… non doveva restare…
- Izzy …tesoro tutto bene?- la voce preoccupata di una bella donna dai lunghi capelli color ciclamino costrinse il ragazzo a staccare gli occhi dal tetro panorama.
- si … mamma… sono solo… dei pensieri senza senso… non ti devi preoccupare- chiude gli occhi e decide di riposarsi, il viaggio sarà lungo e poi potrà iniziare una nuova vita lontano da tutto questo.
 
 
Continua…
 
 
Anche il quarto è andato… andava bene?
Sono sempre disponibile alle domande, non fatevi problemi a farmele ^_^.
Ciao alla prox settimana
Lau2888 

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Capitolo 5
*** passo 5) rincorrersi ***


Ciao a tutti^^.
Ecco il quinto chappy, anche se un pochetto in ritardo (colpa dell’esame di procedura civile).
Ringrazio tanto chi legge, segue e recensisce (inchino di ringraziamento).
Sperando che vi piaccia vi auguro buona lettura.
 
 
 
Passo 5) rincorrersi
 
È scesa la notte ma nessuna stella adorna il cielo nero, facendolo apparire ancora più freddo e privo si vita.
Anche la luna si nasconde intimorita, impedendo ai suoi candidi raggi di raggiungere la città che sotto di lei riprende fiato.
Nonostante l’ora tarda non ci sarà nessun essere vivente che si abbandonerà volontariamente alle braccia di Morfeo.
In questa notte anche i cuori più valorosi non riusciranno a trovare la pace del sonno, poiché disturbati da furiose grida che al di fuori della barriera si alzano minacciose.
Urla che ricordano in continuazione ai sopravvissuti che la giornata è si finita, ma che l’incubo è ancora in corso.
 
Nella ceca oscurità un fruscio di vestiti accompagnato da due serie di passi veloci ed agili irrompe nel silenzio sovrano.
Due ragazzi dalle bianche divise stanno esplorando ogni anfratto di quei rifugi di fortuna creati per dare riparo a chi dalla strage è riuscito ad evadere.
Col fiato corto e il cuore galoppante cercano e cercano ancora, nella speranza di ritrovare infine coloro da cui sono stati separati.
 
Un corpo esile arresta la sua corsa, lasciando per il momento il compito di esplorazione al suo compagno, nonché migliore amico.
La stanchezza questa volta aveva avuto la meglio sull’ex calciatore che, per recuperare un po’ delle energie perdute, si abbandona pesantemente lungo una vicina parete grigia e malcurata.
Poggia la testa indietro fino a toccare il ruvido muro che ora gli fa da cuscino - Davis?- i suoi occhi di un intenso blu non si erano persi una sola mossa dell’altro ragazzo, ora sparito dietro l’ennesima vecchia porta arrugginita. -… allora?... trovati?- con una flebile speranza dipinta sul volto aspetta con impazienza una risposta dall’amico.
Un ragazzo dai capelli color mogano, spettinati e ribelli, esce amareggiato da quel vecchio edificio abbandonato negli anni. Scuote la testa quando sente la voce dell’amico poco distante da lui. - no, Ken. Non sono nemmeno qui- i suoi occhi, di solito di un brillante color rosso scuro, sono quella sera spenti per aver collezionato un nuovo fallimento. Era il terzo capannone che controllavano e ancora non avevano trovato traccia dei loro amici.
Con pochi passi raggiunge l’angolo occupato dal suo compagno di avventure e, con un profondo sospiro, prende posto accanto a lui. Infondo anche l’energico prescelto sente il peso della stanchezza, anche se nel suo caso è un tipo di stanchezza diversa.
Non dice nulla, per la prima volta da anni non ha né la voglia, né la forza di proferire parola.
Si sente preso in giro dall’ennesima calamità che li sta colpendo. Stringe i pugni, è arrabbiato.
Non bastava essere costretti a vivere come criminali, essere considerati da tutti dei reietti e dei mostri ed infine essere ridotti a nascondersi per poter avere un’illusione di vita normale… no, ora dovevano anche essere attaccati da dei mostri senza pietà che stavano distruggendo quel poco che gli era rimasto.
Involontariamente il suo volto si contrae in una secca smorfia di dolore che invano tenta di celare… sì, invano… perché l’ex imperatore è sempre stato un buon osservatore.
Con uno scatto fulmineo, il ragazzo dai capelli del colore della notte, si alza in piedi riuscendo a catturare tutta l’attenzione del suo leader - continuiamo!- la sua voce è decisa, quasi a voler compensare il comportamento insicuro mostrato prima dal compagno. – Davis… non possiamo arrenderci… sono sicuro che i ragazzi stanno tutti bene!- stringe forte i suoi pugni, lasciando le braccia rigide lungo il proprio corpo, è teso e preoccupato, ma non vuole mostrarlo.
Davis si ritrova nuovamente a sorridere, quando vede la mano del compagno tendersi verso di lui.
- hai ragione- il giovane calciatore ritrova un po’ di forza sfiorando delicatamente col dito gli occhiali sopra la sua testa – sono forti e sanno cavarsela- e prendendo quella mano si rialza in piedi pronto a continuare.
Annuiscono i due giovani dandosi un sorriso d’intesa, non si fermeranno, anche se ci volesse tutta la notte si riuniranno con il loro gruppo e, allora e solo allora, potranno fermare l’inferno che si è abbattuto sulla loro città.
Così la loro corsa riprende, mentre nel cielo cominciano ad addensarsi sempre più minacciose nuvole cariche di pioggia.
 
 
Il leggero rumore di una goccia d’acqua che delicatamente incontra il freddo cemento è l’unico movimento che sembra ora in quel luogo essere permesso.
Fredde mura illuminate solo da fioche luci al neon generano ombre che rimangono immobili nonostante il tempo continui a scandire i suoi battiti.
Un edificio che per anni era stato abbandonato appariva ora gremito di gente… eppure al contempo non era mai stato così privo di vita.
Non un movimento viene percepito, non un suono viene prodotto, non un respiro viene esalato… ogni vita è avvolta in una silenziosa tensione che rischia di esplodere da un momento all’altro.
Una grande e unica stanza che ora però appare come divisa in due parti disomogenee… due parti divise solo da quello che si potrebbe definire un immaginario muro di indifferenza.
Una linea invisibile generata da un gelido sentimento… una linea creata dagli umani per tenere a distanza ciò che loro è solo un abominio che non merita di esistere.
Il tempo passa in quel luogo, è lento e inesorabile ma purtroppo non riesce a lenire il dolore.
Ogni ora in più rappresenta solo l’ennesimo aggiornamento fatto dalle forze dell’ordine sulle conseguenze di quella giornata… rappresenta solo una nuova lista di nomi di persone disperse, ferite o peggio morte… rappresenta solo un nuovo pianto disperato di una madre, di un padre, di un figlio, di un amante, di un amico…
E tutto questo riversa le sue conseguenze su un gruppetto di ragazzi che dietro quel muro sono stati esiliati.
Occhi carichi di rabbia fissano, quasi a volersi squartare, quei corpi che giacciono stretti l’uno all’altro. Alla fine, nonostante tutto… tutte le belle parole e i buoni propositi loro rimarranno sempre e comunque per tutti la causa che ha portato più volte la distruzione sulla madre terra.
Certo, per il momento verranno lasciati stare, alla fine le rivelazioni del prescelto dell’amicizia avevano avuto il loro effetto, scuotendo il dubbio e la paura nel cuore delle persone.
Parole e atti che hanno portato alla creazione di uno status quo che nessuno osa travalicare.
Tuttavia quella che è stata creata è solo una momentanea tregua… una falsa pace… perché lo sanno alla prima occasione verrà meno e allora… beh, spero solo che quando verrà il momento sarò abbastanza forte per proteggere i ragazzi che mi sono stati affidati dal destino.
Ma fino ad allora quegli occhi non si staccheranno mai da quei corpi, facendo sentire tutta la pressione che il loro solo esistere crea.
Però io ho fiducia in questi ragazzi, altrimenti io per primo non li avrei mai scelti. Li guardo con orgoglio nelle loro azioni, sia quelle passate, sia quelle che so per certo compiranno in futuro.
Ed anche adesso che quegli sguardi vogliono incenerirli loro riescono ad ignorarli, incentrando la loro attenzione su di un unico punto… o meglio su di un'unica persona.
Un uomo, un dottore e un padre, ma soprattutto una delle poche esseri umani su cui al momento possono contare.
Ora i prescelti possono tranquillamente dire che sanno come sarà il loro amico Joe da grande, perché al momento hanno davanti la sua versione adulta.
 
Gli animi dei tuoi amici tremano quando vedono la sua figura avvolta da un bianco camice avvicinarsi a loro. Hanno aspettato con ansia sempre crescente per ore che lui facesse capolino da dietro la pesante tenda che divide ‘l’infermeria’ dal resto della struttura. Ed ora che lui è finalmente lì non riescono a far uscire una parola.
Hanno paura, lo leggo chiaramente nei loro occhi… hanno una fottuta paura di perderti. 
Sai, ogni tanto anche io lo dimentico… anche se fate di tutto per apparire forti, mi dimentico che siete solo dei ragazzi e che, come tali, siete pieni di dubbi, paure e incertezze.
Ed è per questo che i tuoi amici rimangono muti a fissarlo, con gli occhi spalancati e il respiro trattenuto.
 
L’uomo è straordinariamente calmo, con una postura retta e fiera, non sembrerebbe che ha passato le ultime ore a lavorare freneticamente per salvare più vite possibili. – ragazzi…- uno sguardo magnetico, tradito solo da pesanti occhiaie, fissa quei bambini cresciuti troppo in fretta che ora pendono dalle sue labbra in attesa di notizie.
Cerca nelle sue doti retoriche le parole giuste da usare.
Cerca nonostante la stanchezza di essere lucido e comprensivo.
Cerca di nascondere la sua frustrazione… cerca… ma un sospiro pesante lo tradisce.
E' sconsolato e triste, proprio come lo sono io... io, potente e millenario, non posso fare a meno di pensare che se tu sei  in quelle condizioni la colpa è anche mia...
Dopo tutte le battaglie che insieme abbiamo vinto, dopo tutti i sacrifici che sono stati fatti, dopo tutte le cadute e le riprese… dopo tutto questo, non sono stato abbastanza forte per sostenerti... Vorrei aiutarti ma nel tuo mondo la mia realtà fisica è quasi impercettibile…
Vorrei reagire in qualche modo… urlare… se potessi… certo, non servirebbe a nulla, questo è vero, ma mi farebbe sentire meglio… e invece, altro non posso fare se non osservare il susseguirsi degli avvenimenti.
Anche se tutto questo in realtà è ridicolo, perché io non ho nemmeno gli occhi per guardare, posso solo percepire quello che attorno a te accade.
E quello che vedo… quello che percepisco mi abbatte ancora di più…
Attorno a noi ci sono solo pensieri tristi che purtroppo ben si abbinano a questa funesta giornata.
Sentimenti che inghiottono il nostro potere lasciando a questa città sempre meno tempo.
Presto la nostra preziosa barriera crollerà sotto i pesanti colpi dell’odio, oramai è inutile negarlo è solo questione di ore…
Tutto quello che spero è che la nostra fiducia in quei ragazzi che guardano con occhi pieni di speranza il tuo corpo immobile sia ben riposta.
 
Un silenzio sembrato quasi eterno aveva avvolto quel gruppo di adolescenti stanchi e stremati dalla giornata passata.
Un silenzio finalmente interrotto dalla flebile voce del tuo angelo – signor Kido…- anche se le sue parole tremano i suoi occhi mostrano tutta la sua determinazione - … come … come sta Tai?- cerca di apparire forte e si fa avanti, il suo animo è fragile ma lei ha deciso comunque di sapere.
Infondo questa è solo l’ennesima dura prova a cui voi tutti siete sottoposti…
- dottore…- la presenza di Tk l’ha immediatamente affiancata, stringendole la mano in modo possessivo - … la prego ci dica-
-ragazzi…- nella voce del medico, così bassa e roca, emerge tutta la stanchezza accumulata in quella giornata - … è… è difficile…- l’uomo si toglie gli occhiali e si strofina le palpebre in cercando di concentrarsi - … è una situazione che non ho mai visto-.
Il tuo angelo si aggrappa quasi con disperazione al braccio del fidanzato – cosa vuol dire?- le sue parole, così insicure e sottomesse, nascondono a malapena la sua paura di avere una risposta.
- non ci sono ferite…- parla l’uomo più anziano, mentre nuovamente inforca i suoi occhiali sul naso, recuperando la fiera compostezza che si addice al suo ruolo - … o almeno niente di grave… anche se con i pochi strumenti che ho a disposizione non posso dare certezze…- 
- pensa che si sveglierà?- Matt è impaziente, non vuole il riassunto di quello che già sa… non ha bisogno che qualcun altro perda tempo a dirgli cosa era successo… perché lui… lui era presente… Era lì quando il suo amico, incurante delle conseguenze, ha scelto di richiamare l’antico potere del suo stemma per proteggere ciò che amava.
 
L’uomo si volta lentamente posando il suo sguardo poco lontano dal gruppo. Lì, in un ambiente totalmente inadatto, è stato creato un ospedale di fortuna… senza l’apporto di macchinari, con pochi medicinali, una manciata di brande e un personale senza vere qualifiche… decisamente poco… troppo poco… ma per ora è il massimo che possono offrire.
Ed è proprio su una di quelle brande che riposi in uno stato molto simile al coma… riposi, cercando di racimolare le poche energie che ti sono rimaste…
 
Quel dottore ha fatto del suo meglio ma ahimè non stava combattendo con una normale malattia o una qualunque ferita.
Ha fatto ogni tentativo che la sua esperienza gli ha insegnato per riportarti dai tuoi amici, ma alla fine si è dovuto arrendere. Quello che ti è accaduto esula dal suo campo e lui, per ora, non può fare più nulla.
Per questo i suoi occhi ti stanno guardando come ha chiedere il tuo perdono per il suo fallimento… oh, sei ancora vivo, questo si, ma non sa dire se ci rimarrai.
 
Le sue iridi si staccano dal tuo corpo immobile e privo di forze, per tornare a specchiarsi in quelle azzurre del tuo migliore amico. – sinceramente non lo so… da quello che mi avete detto… probabilmente dipende tutto dalla barriera che ha creato…-.
- cosa possiamo fare?- Joe interviene fissando con decisione il padre, quella decisione che ha scoperto di avere quando è andato a digiworld e che gli ha permesso di crescere diventando una persona nuova.
- aspettare…- una sola parola che però ha il grande potere di generare un profondo senso di sconforto nelle persone che l’hanno udita.
 
 
Il vento gelido della notte si era da poco innalzato, ululando sovrano tra le macerie rimaste a testimoniare il giorno appena trascorso.
Una folata solitaria porta con se tutto il peso della nevicata che aveva imbiancato la città nei giorni precedenti. È un assaggio d’inverno che colpisce in pieno il viso di due adolescenti dalle bianche divise oramai sporche e logore.
Corrono i due ragazzi, anche se stanchi e affaticati.
Corrono, anche se il sole aveva definitivamente abbandonato l’orizzonte, portando via con se la poca luce che donava un po’ di vita alla città che ora veniva lasciata alle cure della sorella luna.  Nonostante il buio fosse la loro unica compagnia, i due ragazzi continuavano a sfondare ogni porta, per scrutare poi minuziosamente ogni volto che incontravano – forza Ken… dobbiamo ritrovare gli altri- stringe i denti il nuovo leader, cercando di celare la sua preoccupazione. – manca poco…- lascia di proposito in sospeso la frase, perché anche se non ha partecipato alla battaglia ha comunque capito cosa stava succedendo e sfortunatamente anche quello che succederà.
Corre sapendo che il tempo non sta più giocando a loro favore. Percepisce la lenta sabbia che scorre nella clessidra della vita esaurirsi un poco alla volta, avvertendo che forse questa volta non verrà più rigirata.
Come potrebbe non saperlo, in fondo anche lui è legato a me dal sottile filo del destino che lo condanna a sentire la nostra debolezza come se fosse al sua.
Una mano pallida avvolge con decisione il polso del giovane leader – aspetta- l’amico lo aveva chiamato più e più volte, ma il ragazzo dai capelli mogano sembrava perso in un altro mondo – Davis… aspetta!- si impone alzando leggermente il tono della voce, mentre la sua presa diventa una stretta morsa che non lascia scampo.
- che… che succede?- si gira titubante cercando uscire da quella nebbia in cui i suoi pensieri e le sue sensazioni lo avevano abbandonato.
- la tua tasca…- non dice molto, si limita solo ad alzare l’indice della mano libera verso la giacca del ragazzo completamente aperta e stropicciata -… sta brillando da almeno dieci minuti-
Davis come in uno stato di trans segue con gli occhi la direzione indicata dalla pallida mano del compagno – ma che…- ed estrae con rapidità l’unico oggetto che probabilmente quel giorno non aveva voglia di vedere – si è attivato-.
L’ex imperatore con un elegante gesto porta alcune ciocche ribelli dietro il suo orecchio sinistro – Davis...-  sospira davanti all’ingenuità mostrata dall’amico, in fondo, quello è pur sempre il simbolo che li rappresenta, che li identifica come prescelti e che, come tale, li poteva far scoprire in pochi secondi -… non voglio nemmeno sapere perché hai portato il tuo digivise con te…-
Abbassa lo sguardo il giovane leader, capendo bene il rischio a cui si era esposto portando quel piccolo oggetto con se a scuola – scusa- sussurra quasi sottovoce, cercando di tenere a freno il suo orgoglio.
- lasciamo perdere…- abbandona la ferrea presa con cui teneva legato a se il suo ingenuo compagno – …piuttosto…- parla mentre recupera il portamento rigido e signorile che lo distingue, perso in quella folle corsa - … che cosa rileva?-
- ah…- due stanchi occhi mogano fissano con fatica il piccolo schermo - … altri digivise… credo-
Ken si avvicina velocemente coprendo quella poca distanza che li separava – sono sparpagliati…- constata prendendo tra le mani il piccolo strumento - … ma alcuni si stanno muovendo-.
Un ampio sorriso illumina il volto del giovane Davis - bene!- ora le parti si sono invertite, ed è il giovane portatore del coraggio e dell’amicizia a trascinare per il polso il compagno – andiamo!- afferma con decisione, non lasciando all’altro nemmeno il tempo di protestare.
 
 
 
 
Le ore passarono inesorabili finché finalmente le fredde braccia della notte cominciano ad abbandonare la città, lasciando il posto a flebili raggi d’orati che invano tentano di fare capolino da dietro quella cappa nera che ancora possiede il cielo.
Un timido fascio di luce riesce a vincere questa lotta ed ad oltrepassare così l’oscura coltre nata dall’odio. Si staglia lento e libero nel cielo in una danza solitaria, fino a posarsi dolcemente su una parete grigia e malcurata.
Calmo si muove tra le crepe cercando un punto in cui poter pienamente risplendere.
Attraversa quasi timoroso i cocci di vetro di quella che una volta era stata una grande finestra.
Entra in un edificio, dove oscuri pensieri fanno da padroni, cercando qualcuno che abbia bisogno di lui.
Fendendo il silenzio e le tenebre che quel luogo avvolgono e giunge infine a destinazione, riposando sul volto di una giovane donna stremata dalla stanchezza e dal pianto.
Sentire quella sensazione di calore sulla pelle riporta alla mente della ragazza l’illusione di quelle carezze che era così solita ricevere nei momenti difficili.
Si alza piano dalla sedia su cui era adagiata e cammina in silenzio accanto ai corpi dei suoi amici addormentati.
L’immagine dei quei ragazzi, stretti l’uno all’altro per darsi calore e sostegno, riporta la sua memoria ai tempi di digiworld, quando coricati attorno a un fuoco dormivano all’aperto sotto l’occhio vigile delle sole stelle.
Vorrebbe sorridere a quel ricordo, ma non può, il suo animo è troppo preoccupato.
Sente dentro di lei nascere un forte bisogno che però non può più essere appagato.
Le manca come l’aria quel calore e quella sicurezza che solo una persona è in grado di darle.
Così si muove piano nella stanza, in cerca di quella sensazione… in cerca di te.
Prende posizione accanto alla branda che ospita la tua forma indebolita.
Vorrebbe piangere nel vederti in quelle condizioni, così spento e senza energia… esattamente l’opposto di quello che normalmente sei.
La sua pallida mano si intreccia tremolante con la tua abbandonata sopra le lenzuola. – ciao fratellone- sussurra controllando il tono della sua voce, quasi con paura di interrompere il sonno di cui hai tanto bisogno.
La tua sorellina… il tuo angelo… la tua forza, lei è lì accanto a te che aspetta il tuo ritorno. Ti chiama, ti sprona, ti protegge e piange per te.
Ma io e, solo io, so per certo che ora non puoi sentirla, perché se così non fosse saresti già corso accanto a lei, incurante di tutto e tutti.
- fratellone… fratellone… T-Tai…- pronuncia nuovamente il tuo nome, la sua voce trema leggermente, credo stia piangendo ancora, sai?
Il suo corpo è scosso da leggeri singhiozzi, cerca di trattenerli, l’ultima cosa che desidera è far svegliare i suoi amici dopo le ore infernali che hanno trascorso.
Tenta di apparire forte ma è solo un’altra maschera che si mescola con quelle presenti.
So bene quali sono i sentimenti della piccola Kari, nasconderli non serve a nulla, perché…sfortunatamente anche conoscendoli non posso accontentarla.
Vorrebbe aggrapparsi stretta alla tua gamba come faceva da piccola quando qualcosa la spaventava. Vorrebbe sentire la tua mano forte e sicura scompigliarli i capelli, mentre la tua voce calda le sussurra che andrà tutto bene.
Ma più di ogni altra cosa vorrebbe che tu la stringessi tra le tue braccia, perché lì, e solo lì, lei si sente veramente al sicuro.
Piange in silenzio, mentre continua a sussurrare il tuo nome.
Uno sfogo solitario che attutisce tutto quello che l’ha circonda, isolandola completamente dal resto del mondo.
Per questo non sente dei passi a lei sempre più vicini, almeno non fino a quando una stretta amorevole l’avvolge facendola sussultare – Shhh… su piccola non piangere…- la voce del suo ragazzo la culla come una ninna nanna - … vedrai si sistemerà tutto-.
I due giovani lasciano che il tempo attorno a loro trascorra libero, mentre, avvolti in quella piccola magia chiamata amore, recuperano un lieve spiraglio di serenità.
In quel cullare lento il tuo angelo si rilassa, riuscendo ora anche a smettere di piangere.
Allunga piano le sue mani verso il letto dove stai risposando, quasi con timore di rompere quell’atmosfera che si era creata.
Accarezza con un tocco materno la buffa palla rosa che ancora giace accanto a te immobile e priva di sensi.
Anche se per tutti quell’esserino dalle lunghe orecchie rappresentava una minaccia terribile lei non ha potuto abbandonarlo. Era un rischio tenerlo con se, lo sapeva bene, ma nonostante questo l’ha stretto tra le sue braccia per tutto il tempo, proteggendo e curandolo.
Mai se lo sarebbe lasciato portare via, perché per lei anche quella è una preziosa parte di te…
Il suo tocco si interrompe. Un brivido ha percorso bruscamente il suo animo costringendola a ritirare quella mano.
Anche se non li vede sa che sono li… quegli occhi la stanno ancora osservando…
Un rumore sordo la costringe ad alzare lo sguardo, abbandonando così definitivamente il mondo in cui si era richiusa.
Davanti a lei un gruppetto di persone si stava muovendo. Erano gesti semplici, che nulla avevano di particolare o di minaccioso. Eppure la rendevano comunque inquieta.
La pesante realtà è di nuovo piombata addosso alla tua sorellina.
Dal momento in cui erano arrivati nei rifugi erano stati emarginati, ma non dimenticati.
Sguardi carichi di odio fissavano ogni loro movimento, quasi si aspettassero chissà quale temibile azione da parte loro.
Sussurri pieni di rabbia rimbombavano tra le fredde pareti come se fossero urla, parole d’odio sempre e comunque volte a colpire loro.
Il tuo angelo trema davanti alla crudeltà umana. Una crudeltà da cui, fino a quel giorno, era stata abilmente protetta.
Una garanzia, quella della sua copertura, che era saltata nel momento in cui si era battuta per proteggere il piccolo e indifeso Koromon… ed da quel momento anche lei era totalmente allo scoperto.
Aveva avuto coraggio e si era mostrata per quello che era realmente, solo che ora si sentiva maledettamente nuda e vulnerabile.
Ora che ogni suo movimento era controllato, aveva timore di dire o fare la cosa sbagliata.
Ora che era un bersaglio mobile, il solo pensiero di allontanarsi dagli altri prescelti la faceva tremare.
Ora che la sua vita non valeva nulla, sapeva bene che da un momento all’altro quello status quo che si era creato poteva crollare e lei si sarebbe ritrovata come poche ore prima circondata, paralizzata dalla paura e coperta di insulti… e questo nella migliore delle ipotesi.
 
 
Passi veloci rimbombano all’interno della grande struttura. Occhi blu scrutano tra la folla presente in cerca del suo gruppo.
Si era allontanato solo per pochi attimi dai suoi amici. Aveva bisogno solo di una pausa per riprendere fiato. Voleva solo vedere il sorgere del sole per ritrovare un po’ di speranza e invece…
- Kari… Tk…- posa entrambe le mani sulle ginocchia nel tentativo di riprendere fiato
I due ragazzi si voltano, sorpresi dall’urgenza che quella voce di solito calma trasmetteva – Joe?- il giovane angelo dai biondi capelli scruta con attenzione la figura che ha davanti – che succede?-.
- siamo nei guai….- si avvicina più che può alla branda dove i due sono accoccolati -… chiamiamo gli altri e usciamo… c’è una cosa che dovete vedere- parla sottovoce, cercando di celare al meglio la conversazione.
Comincia a muoversi con calma per non attirare troppo l’attenzione, perché lo sa, se si scoprisse quello che ha visto allora si genererebbe un’ondata di panico senza precedenti e in quel momento la priorità è evitarla.
I due ragazzi non capiscono, ma lo seguono comunque. Lo sguardo che aveva era molto più eloquente di molte parole.
 
Un nuovo giorno aveva avuto finalmente inizio. Un nuovo giorno che per molti avrebbe dovuto rappresentare nuove speranze e possibilità.
Svegliarsi magari in un caldo letto e scoprire che era stato tutto solo un terribile incubo, ricominciare la propria quotidianità che per quanto stressante potesse essere era sempre meglio di quell’inferno in cui la città era stata avvolta.
Sì, sarebbe stato bello… peccato che non fosse così…
Se ne sono resi subito conto i tuoi amici nel momento in cui nei loro occhi si rifletteva l’inizio di un nuovo incubo.
- n…non è possibile- trema la voce della dolce Sora davanti alla triste realtà che aveva ora davanti – è…è… troppo presto- porta la mano davanti alle sue delicate labbra nel tentativo di trattenere il terrore che stava piano piano prendendo possesso del suo corpo.
- maledizione…- impreca il prescelto dell’amicizia, tentando di sfogare invano la sua frustrazione su di un piccolo metallico oggetto inanimato che finisce inevitabilmente calciato lontano.
- la barriera…- sussurra Kari, tenendo fermo lo sguardo su quella coltre d’orata che ancora avvolge la città ferita -… sta… sta per crollare-
Attimi di gelido silenzio avvolgono quel piccolo gruppo che si era appena visto infrangere l’ennesima speranza.
Credevano di avere più tempo.
Credevano che il miracolo compiuto dal loro leader sarebbe stato sufficiente.
Credevano… pensavano… speravano di non dover combattere.
Ci credevano e invece quei mostri alla fine stavano avendo la meglio, la barriera stava crollando.
Quella stessa barriera che gli aveva impedito fino ad ora di arrivare alle vite rimaste, che aveva protetto quei pochi rifugi ancora in piedi e che aveva rappresentato l’ultima illusione di sopravvivenza… ora stava cedendo.
 
I prescelti rimasero a lungo immobili sotto il gelido vento invernale a fissare quelle ali d’orate pregando in silenzio che tornassero a risplendere di nuova potenza.
Ognuno aveva paura di guardare il proprio compagno negli occhi.
La tensione era palpabile, reale come la neve che ancora giaceva al suolo.
Mai come in quel momento avevano sentito l’impellente bisogno di correre da te per chiederti consiglio, avvolti in un turbinio di emozioni contrastanti sentivano il bisogno disperato di una guida, un punto di forza, un incoraggiamento a continuare…
- ragazzi…- con lo sguardo rivolto a un orizzonte sempre più incerto, il più grande del gruppo, pose l’unica domanda che tanto li tormentava -… cosa facciamo?-
- che vuoi dire?- Matt si avvicinò con pochi passi veloci al ragazzo dai capelli blu, riuscendo a malapena a contenere il tono di rabbia della sua voce.
Joe abbassò il capo, cercando di liberare la mente. Infilò la mano in tasca, accarezzando lievemente l’oggetto che lì era nascosto – intendo… combattiamo?-.
Matt fece un passo indietro inorridendo davanti a tali parole molto più simili a un’affermazione che a una vera domanda – COSA?... stai scherzando vero?-
- fratellone…- Tk si aggrappò al braccio del biondo più grande nel tentativo di fargli riprendere il controllo - … io penso che…-
- NO!- gli occhi del ragazzo erano ridotti a due fessure – tu… voi… non dovete pensare…-
- ma Matt…- ritentò ancora il più piccolo – forse possiamo…-
- ho detto no!- il corpo del prescelto tremava, mentre un senso di dejavou lo attraversava – noi… non possiamo fare nulla- la sua rabbia si stava piano piano trasformando in una sensazione di impotenza e sconforto, unite a un insano desiderio di vendetta.
- noi…- ribadì con una maggiore decisione, trovandosi a pestare un piede per terra come un comune bambino che fa i capricci - … non possiamo fare nulla!-
Ancora il silenzio avvolse quel gruppo, ora troppo sorpreso per il comportamento quasi infantile tenuto dal prescelto dell’amicizia.
Matt manteneva lo sguardo fisso sui compagni, aveva preso la sua decisione, avrebbe impedito altre missioni suicide a qualunque costo – sinceramente…- con una voce ora più controllata aveva ripreso il discorso - … io penso che non possiamo fare nulla…- il tono era basso, quasi arrendevole -… e prima ce ne rendiamo conto e meglio è-.
- che... che stai dicendo?!- delusione e stupore apparivano evidenti nelle parole pronunciate dalla prescelta dai capelli del colore del tramonto
- la verità- strinse i pugni con forza – non abbiamo speranze di vincere…- si girò, dando le spalle al gruppo, facendo incontrare i suoi occhi azzurri con il tetro paesaggio -… non abbiamo i nostri digivice…- nascosti o dimenticati tra le rovine delle loro case -… e anche se ce li avessimo non possiamo andare oltre i livelli campione…- l’ennesimo sacrificio per un mondo che non era nemmeno il loro -… Tai è praticamente in coma e non sappiamo se si risveglierà…- siete un gruppo allo sbaraglio senza una guida, solo e spaventato -… Mimi finge che non esistiamo… Izzy è inutilizzabile… e i prescelti più giovani non sappiamo nemmeno se sono ancora vivi- soli contro un nemico invincibile – ditemi…. Cosa possiamo fare?-
- combattere!- un flebile ma deciso sussurro provenne dalla voce del tuo angelo fino a ora restata in disparte
-Kari…?- il prescelto dell’amicizia si volta sorpreso – proprio tu lo dici?....- il suo tono di voce mostra una disperazione malcelata – con tuo fratello in quelle condizioni?-
Il volto della ragazza si incupisce davanti alle ultime parole dette – è per questo che dobbiamo andare avanti…- alza lo sguardo, ora più deciso, anche se ancora molto spaventato - … per finire quello che Tai aveva iniziato-.
- Matt…- una mano delicata si sofferma sulla spalla del ragazzo - … Kari ha ragione…- la prescelta dell’amore con la dolcezza e la pazienza che sempre l’hanno distinta cerca di arrivare all’amico - … non possiamo tirarci indietro… Tai aveva fiducia in noi.-
- cosa…?- Matt trema, ma non per rabbia - … anche tu Sora?- guarda negli occhi la ragazza sperando di convincerla a cambiare idea.
Ha paura Matt, ma non vuole ammetterlo ad alta voce. Ha paura che i suoi amici facciano la fine del suo leader. Deve proteggerli, perché aveva fatto una promessa… su quel tetto… il giorno prima… aveva promesso al suo migliore amico che si sarebbe preso cura della squadra.
Farà di tutto per mantenerli al sicuro. Anche a costo di caricarli di peso sul primo mezzo a quattro ruote per portarli via, che loro siano d’accordo o no… non gli interessa. Ha già deluso il suo migliore amico una volta, di certo non fallirà di nuovo.
- Matt…- due occhi cremisi lo guardano cercando di raggiungerlo nei suoi pensieri -… ho paura anche io…- la sua presa sulla spalla si fa più forte, come ha volergli confermare che lei è ancora lì - … però… sono stanca di nascondermi…- il suo sguardo si fa più vacuo e un paio di lacrime circondano i suoi occhi - … io voglio combattere… e voglio farlo solo per la nostra squadra …. E…. e per Tai-
Sora abbassa il volto, quasi a vergognarsi per le parole appena dette. Si sente un’egoista ma non vuole rimangiarsele.
Ha deciso di combattere, questo sì, però ha anche deciso che non lo farà per il mondo o per la sua città, ma solo per i suoi amici.
È stufa di avere paura. Vuole avere anche lei dei sogni e una vita in cui realizzarli. Ma più di ogni altra cosa vuole proteggere i suoi amici… che ormai sono tutto il suo vero mondo.
- sono d’accordo…- Joe si avvicina appoggiando la mano sulla spalla libera dell’amico -… stare qui a guardare non servirà a nulla…- estrae dalla tasca il piccolo oggetto che più di una volta in quel giorno aveva accarezzato per trovare la forza di andare avanti - … anche se quello che hai detto è vero e noi possiamo fare ben poco…- stringe con energia il suo digivice e lo mostra finalmente senza timore ai prescelti presenti - … dico di combattere lo stesso… per Tai… glielo dobbiamo-
- fratello…- tk era lì accanto a lui, non si era mai allontanato di un solo centimetro per tutto il tempo - … combattiamo… insieme possiamo farcela- due occhi azzurri carichi di speranza incontrano quelli più freddi e stanchi del maggiore.
Tk non ha dimenticato la promessa che ha fatto a Tai solo poche ore prima. Proteggerà Kari anche a costo di affrontare quei cosi da solo.
- uffa…- arreso, il prescelto dell’amicizia, alza il volto verso il cielo - … così non vale, siete tutti d’accordo…- cerca di nascondere un mezzo sorriso davanti al pensiero che stava attraversando la sua mente. Aveva sempre voluto essere il leader della squadra e ora che aveva assunto temporaneamente quel ruolo, non solo aveva capito di non esserci portato, ma anche che non gli piaceva per niente.
Si porto una mano sulla fronte e scosse la testa chiedendosi come faceva Tai a sopportarli tutti senza sentire il bisogno di mandarli a quel paese ogni tanto.
- rimane però un problema di base…- riprese la parola tornando ad essere serio - … a parte Joe, noi non abbiamo i nostri digivice -.
Una sola frase detta dal biondo cantante aveva fatto inevitabilmente crollare tutte le certezze dei suoi compagni. Di sicuro la maggior parte delle loro abitazioni ormai non esistevano più e cercare nelle macerie un aggeggino così piccolo non era certo una passeggiata, soprattutto per l’assenza di tempo.
Ma anche nella positiva ipotesi che fossero ancora in piedi, non avevano né il tempo né la possibilità di raggiungerle e di prendere il necessario. In poche parole erano fregati in ogni caso.
O almeno così credevano…
 
- se solo questo è il problema… noi abbiamo la soluzione…- la voce roca di un uomo adulto attirò l’attenzione dei ragazzi.
Matt spalancò gli occhi in segno di pura sorpresa e sollievo, aveva pensato più volte in quella giornata di non rivedere più quella figura che ora era davanti a lui – Papà?-
 
 
Continua…
 
 
Chappy finito…. Che dite andava bene???
Era un po’ di passaggio ma necessario per non lasciare punti in sospeso…
Ciao alla prox ^^
Lau2888 

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Capitolo 6
*** passo 6) il peso di una scelta ***


 Ciao a tutti^^
Mi scuso per non essere riuscita a pubblicare nulla per due settimane ma ho avuto un blocco enorme, del tipo so che cosa scrivere ma quello che scrivo fa pena ^^’’’
Comunque dopo aver riscritto questo chappy cinque o sei volte ho deciso di pubblicarlo, anche perché ormai non riesco più a rendermi conto se è una cosa decente oppure no (spero vivamente che lo sia)
Sorvolando su questi piccoli dettagli faccio un mega ringraziamento generale ( recensori, preferiti, seguiti e lettori) e auguro una buona lettura.
 
 
 
 
Passo 6) il peso di una scelta
 
Un vento leggero, come una calda carezza, scompigliò leggermente i capelli di un bambino che beatamente dormiva nell’imponente ombra di un albero secolare.
Si era lasciato cullare dal lento e ritmico movimento della vecchia e cara auto di famiglia fino ad addormentarsi.
Quanto tempo era passato da quando quel scivoloso sedile in pelle lo aveva accolto? Ore? Minuti? Non sapeva dirlo…
Tutto quello che ricordava erano i dubbi e i sensi di colpa che avevano cominciato a roderlo dentro nel momento in cui aveva visto quella luce dai colori del sole ergersi sovrana nel cielo nero.
Una luce che da sola era stata sufficiente a farlo vacillare dopo tanto tempo…
Scacciò per l’ennesima volta i suoi pensieri, cercando di concentrarsi solo sulla piacevole sensazione che quella brezza gli dava.
Il suo istinto gli diceva di aprire gli occhi, ma la sua mente era di parere decisamente contrario, desiderando che quel bel tepore che lo stava custodendo non finisse mai.
Tra le braccia teneva stretto stretto il suo computer nonché suo migliore amico, aggrappandosi ad esso come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
La sua fronte si crucciò infastidita quando degli strani rumori in sottofondo cominciarono ad urtare il suo sonno. Rumori anomali ma privi del potere di attirare del tutto l’attenzione del piccolo addormentato.
Un’altra folata di un clima tropicale accarezzò di nuovo il suo volto, accompagnata però questa volta dal melodioso canto di un uccello.
Il bambino spalancò gli occhi, mostrando due belle e vive iridi color porpora confuse e appannate dal sonno – ok… questa non è decisamente una macchina- alza il braccio sopra gli occhi cercando di ripararli al meglio dai raggi del sole che con forza attraversavano le folte e verdi fronde degli alberi.
Si mise lentamente seduto sul terriccio, tastando i radi ciuffi d’erba che attorno a lui sono presenti.
Sono umidi e coperti da qualche goccia di rugiada… e per essere un sogno sono anche fin troppo reali.
Prende un respiro e cerca di fare mente locale – allora… appurato che questa non è la mia macchina… dove sono finito?-.
Osserva il paesaggio sentendo un profondo senso di dejavou misto a un sentimento di nostalgia riempigli l’animo.
Scruta ogni angolo di quel luogo a lui così familiare, lasciando rinascere in lui sensazioni positive per lungo tempo dimenticate.
 
Strano come essere circondato da una foresta tropicale, con fiori alti due metri e nessuna traccia di civiltà ti possa rendere improvvisamente sereno…
 
Il bambino rimane lì, in quel piccolo spiazzo d’erba, con il naso all’insù e gli occhi rivolti verso il cielo per un tempo indefinito, godendosi al meglio quella sensazione di sicurezza che ha il potere di scaldargli l’animo.
Ad un tratto il ritmico rumore di piccole ali che frenetiche si muovono lo riportano alla realtà, facendogli percepire una presenza conosciuta al suo fianco.
- Izzy… che fai qui?...- una voce roca, quasi metallica, attira su di se gli occhi, ora di nuovo aperti del giovane prescelto - …gli altri ci stanno aspettando-
Il bambino si alza di scatto, davanti a quella figura che aveva per lungo tempo temuto di non rivedere più – Tentomon…- un nuovo sentimento di felicità attraversa il corpo del giovane donandogli nuova vita -… sei tu… quanto tempo è passato-.
Il digimon coleottero piega confuso la sua tonta testa da un lato – che dici Izzy?.... siamo insieme da mesi…- e avvicinandosi un po’ di più al suo prescelto lo guarda dritto negli occhi - … stiamo viaggiando per tutto digiworld per sconfiggere i padroni delle tenebre…. Ricordi?-
Il giovane genio spalanca occhi e bocca davanti a tali affermazioni di per se assurde, ricordava bene il viaggio, le battaglie e infine la loro tanto agognata vittoria.
Era tutto già successo, era tutto già passato… era tutto già finito.
Un velo di tristezza scende su quelle belle iridi color porpora al solo ripensare a quei giorni felici oramai persi per sempre. 
Gli occhi gli bruciano mentre la sua mente pronuncia l’unica conclusione possibile: questo è solo un doloroso sogno e si deve svegliare, altrimenti, lo sa, impazzirebbe del tutto...
Apre la bocca per ribattere, eppure nessun suono esce dalle sue piccole labbra. Si era bloccato, ma non per mancanza di parole, bensì per aver notato solo in quel momento qualcosa che l’aveva paralizzato.
Tutto intorno a lui è grande… troppo grande. Perfino il suo digimon che dovrebbe arrivargli alle cosce lo sta fissando dritto negli occhi, ergo sono della stessa altezza.
Un’ondata di panico investe la mente del ragazzo ora di nuovo bambino- ma come…?- osserva incredulo il suo corpo tornato quello dei tempi di digiworld.
Gli stessi capelli corti schizzati in aria senza controllo, l’improbabile camicia arancione che era diventata una seconda pelle, mani piccole racchiuse in guanti gialli come andava di moda allora e un corpicino fragile che arrivava a malapena al metro.
- andiamo…- il digimon ignora palesemente il suo status di confusione e comincia a trascinarlo - … ci stanno aspettando- continua a ripetere con una nota nella voce quasi fin troppo allegra e spensierata.
- o…ok.- alla fine troppo confuso per ribattere si lascia guidare.
La sua mente è completamente vuota, vorrebbe elaborare le informazioni ma in quel momento non riesce nemmeno a pronunciare un pensiero coerente.
 
Dopo pochi attimi e una passeggiata sorprendentemente breve il digimon abbandona la presa al braccio del suo prescelto lasciandolo mollemente penzolare nel vuoto. 
Una piccola radura abilmente nascosta dalla fauna naturale del luogo si apre davanti ai due nuovi arrivati. La si potrebbe definire una piccola oasi di quiete se non fosse per delle rumorose presenze che al momento il bambino non riesce bene a mettere a fuoco.
Una grotta per ripararsi, un fiumiciattolo per pescare e un piccolo fuoco per la notte, ecco tutto quello che era presente… tutto quello che per loro a quei tempi era il necessario.
Si stropiccia gli occhi un paio di volte, cercando di convincersi nuovamente che quello che ha di fronte è solo un sogno dettato dallo stress e dalla stanchezza.
La sua mente comincia a risvegliarsi, ma ancora non riesce ad accettare quello che sta vivendo.
Tenta anche di pizzicarsi un braccio nel tentativo di ritornare alla realtà, ma niente, quelle immagini continuano a rimanere invariate.
Tutto questo dovrebbe preoccuparlo e invece nell’afferrare questa consapevolezza un mezzo sorriso si dipinge sul suo volto insieme a un’espressione serena.
Delle voci lo chiamano, urlando euforiche il suo nome. Ora che la nebbia che lo aveva avvolto si stava piano piano diradando potava chiaramente vedere chi erano quelle “rumorose presenze” che prima avevano interrotto la quiete del luogo.
Una battaglia dentro di lui aveva inizio, tra la voglia di avvicinarsi a loro e quella di scappare a nascondersi finché tutta questa assurdità non avesse avuto fine.
Non doveva lasciarsi coinvolgere, non di nuovo… non adesso che aveva finalmente trovato il coraggio di abbandonare tutto… perché era stato coraggioso a farlo vero?
- maledizione!- un’espressione indispettita viene sussurrata dalle sue labbra, erano bastati cinque minuti in quel sogno per avere i primi dubbi sulle sue scelte.
Distoglie lo sguardo, cominciando a ripetere a se stesso che questo è solo una fantasia e che lui non ci deve credere. È bella sì, ma non è reale e lui alle illusioni non vuole più aggrapparsi.
Eppure… eppure la tentazione di vivere ancora quei momenti in cui erano liberi è troppo forte, troppo tangibile, troppo facile… quindi… forse… magari… potrebbe… solo per questa volta…
 
Scuote la testa un paio di volte quando un tonfo e una serie di aggettivi poco gratificanti ebbero la capacità di distrarlo dai suoi pensieri.
Alzò gli occhi e pronunciò una piccola risata quando si trovò davanti una scena che da tempo immemore non aveva l’opportunità di gustarsi: da un lato Tai e Matt intenti nell’ennesimo corpo a corpo per le questioni più stupide, davanti a loro Sora e Joe che tentavano invano di far entrare un po’ di sale in quelle zucche vuote, Kari e Tk aggrappati ognuno alle braccia dei rispettivi fratelli cercando la loro attenzione e in un angolo Mimi che giocava con palmon, tanto per la ragazzina tutto questo era all’ordine del giorno quindi non c’era motivo di agitarsi… e il tutto naturalmente avveniva nelle loro versioni bambini delle elementari…
Davanti a quei semplici momenti che costellavano la loro vita quotidiana, Izzy, si sentì libero e leggero. Quella era per lui una seconda occasione di provare di nuovo un brivido di serenità.
Era tornato di nuovo bambino, ai tempi in cui aveva tanti sogni e possibilità, quando il suo futuro era si incerto ma in senso positivo e lui poteva essere se stesso, circondato dalle persone che amava, senza dover temere niente e nessuno.
E forse è per questo che decide di aggrapparsi ad essa…
È un bel sogno quello di Izzy, una bella illusione… peccato, che la realtà fosse completamente diversa…Una realtà dove il tempo a loro disposizione stava per finire…
 
 
 
 
 
L’alba era sorta, anche se nessuno aveva potuto godere dei caldi colori del sole, ancora tenuti prigionieri dietro tetre nuvole.
Le prime gocce di pioggia cominciavano ad annunciare la propria venuta, colpendo il terreno ancora freddo per la notte appena trascorsa.
La città era ancora avvolta in un immobile silenzio, anche se svegli, i cittadini non si sarebbero mai mossi dai loro nascondigli per paura di quello che fuori li aspettava.
Uno stato di calma apparente che era inevitabilmente destinato a finire di lì a poco, perché le ali d’oro del coraggio stavano per cedere davanti all’impazienza delle bestie oscure.
Non si erano mosse per tutta la notte, avevano continuato a colpire quella barriera che gli impediva di procedere.
Non avevano dormito, non ne avevano bisogno e questo le rendeva solo più pericolose.
 
Cara terra quella di oggi potrebbe per te essere l’ultima alba che accarezzerà il tuo orizzonte, è un tocco triste, quasi un addio.
Goditela, perché questa volta i tuoi eroi potrebbero non essere sufficienti per compiere l’ennesimo miracolo.
 
I tuoi eroi che nonostante tutto hanno deciso di combattere…
 
 
Due occhi azzurri, spalancati per la sorpresa, fissano increduli i nuovi arrivati.
Tante cose si sarebbe aspettato quel giorno, ma mai quella di trovarsi davanti quel gruppetto improbabile.
Cinque adulti, due uomini e tre donne, avevano fatto la loro comparsa alle prime luci dell’alba, intromettendosi in quella che era una discussione senza via di uscita.
Un arrivo provvidenziale che era riuscito a risollevare gli animi e a portare un po’ di speranza.
Posso vedere un piccolo sorriso che si dipinge sul volto stanco del tuo migliore amico. Ha passato ore di tensione, ma adesso può tornare a respirare.
Non deve più essere incrollabile, non deve più essere un punto di riferimento, non deve più lottare da solo… sembra impossibile, ma anche il suo stesso ruolo è diventato improvvisamente più leggero.
Si sente stanco mentre le preoccupazioni gli scivolano di dosso… preoccupazioni che ora può finalmente condividere trovando il sostegno di cui ha bisogno.
Non sono più soli e indifesi a combattere contro il mondo perché la calda protezione della famiglia è infine giunta il loro aiuto.
- Papà?- una parola che il prescelto dell’amicizia aveva temuto di non poter più pronunciare. – ma cosa..?- Sente i suoi occhi inumidirsi davanti al sorriso stanco di quell’uomo che per anni l’aveva protetto.
- Matt - si muove lento verso il figlio. Ha gli abiti sgualciti e completamente coperti di terra, i capelli castano chiaro sono spettinati come se avesse dovuto affrontare un uragano e il volto mostra tutta la stanchezza di una notte insonne.
Il signor Ishida prende la mano del figlio, lasciando al suo interno l’ultimo oggetto che il ragazzo si sarebbe aspettato di vedere.
- papà… come… quando… ?- è sorpreso Matt, infondo è da diversi anni che non prova più la sensazione di stringere nelle sue mani il simbolo che aveva cambiato la sua vita: il digivice.
Il ragazzo è confuso e spiazzato da una nuova serie di avvenimenti che non aveva previsto, eppure, stringere nuovamente nelle sue mani quel piccolo computerino fa scorrere in lui una calda energia che purtroppo nel tempo aveva dimenticato.
Alza lo sguardo da quello schermo ora tornato attivo, per cercare di capire se quel destino era toccato solo a lui o aveva investito anche i suoi amici.
Ma troppo era avvenuto in pochi minuti perché lui potesse avere una piena comprensione di quello che attorno a lui avveniva: la barriera che sta per crollare, una battaglia imminente, la decisione di combattere, la realizzazione della loro impotenza… tutto spazzato via dall’arrivo inaspettato dei loro genitori che portavano con se gli unici mezzi che potavano davvero fare la differenza.
Nel caos della sua mente tutto ciò che il ragazzo era riuscito a registrare era un ‘mamma’ urlato a pieni polmoni dai due giovani angeli e dalla dolce Sora, seguito da una serie di passi veloci.
E in pochi attimi tutto era cambiato, quel clima amaro era svanito, assumendo ora un sapore più dolce …
 
Incredibile pensare come la sola presenza di quelle persone era riuscita a cambiare radicalmente l’atmosfera che era prima presente attorno ai tuoi amici.
Il senso di inutilità e di sconfitta sembravano completamente dimenticati, così come la paura e la disperazione che in quelle ore li avevano colpiti.
E tutto questo grazie al semplice abbraccio della propria famiglia…
Non importa che tu abbia cinque o vent’anni, la tua famiglia è sempre la tua famiglia, niente ti può scaldare e confortare con la stessa premura.
È e sempre rimarrà l’unico posto in cui ti puoi sentire sicuro e amato in modo assoluto e disinteressato.
Perfino io, ormai relegato al ruolo di attento osservatore, riesco ancora a sorprendermi di quello che riserva l’animo umano… di quello che riesce a realizzare… di quella forza che dentro di se nasconde. Una forza naturale che non può essere compresa con la logica o con i numeri...
Rivolgo lo sguardo con ritrovato interesse verso quel gruppetto che sotto le prime gocce di pioggia si è riunito. È uno sguardo attento e protettivo, lo stesso che daresti tu se potessi essere lì con loro.
Non rientra nei miei compiti, questo è vero, ma lo faccio lo stesso, in fondo non ci eravamo mai legati a degli esseri umani per tanto tempo e credo che alla fine ci siamo affezionati ai nostri protetti.
Per questo sento la mia essenza rallegrarsi davanti ai volti ora più rilassati dei tuoi amici, finalmente liberi di essere di nuovo solo degli adolescenti... anche se per poco.
Il tuo migliore amico, Matt, è muto e immobile davanti all’uomo che ha fatto del suo meglio per crescerlo, anche se da solo e quasi sempre assente. Non dicono nulla, non è nei loro caratteri, eppure i loro sguardi così come i loro accennati sorrisi riescono a essere molto più eloquenti di mille parole.
La tua dolce Sora è avvolta dal protettivo abbraccio di una bella donna dai capelli di un rosso intenso, quasi cupo, raccolti in un disordinato chignon.
Piangono stringendosi l’una all’altra con tutta la forza e la disperazione che possiedono, un abbraccio disperato che trasmette il timore dell’abbandono a cui più volte la vita le ha sottoposte.
Sai, ogni volta che siamo andati a trovare questa bella donna, sono sempre rimasto impressionato dal suo portamento distinto e dal suo aspetto curato, cosa che è adesso in lei parzialmente sparita, facendola apparire ancor più trasandata e stanca.
Eppure… sembra che questo per qualcuno non sia rilevante…infatti, nonostante le lacrime, i vestiti sgualciti e il trucco in disordine agli occhi della sua bambina che aveva temuto di perderla non era mai apparsa più bella.
Sposto il mio sguardo lontano da loro incontrando la figura di una donna dai lunghi capelli biondi lasciati liberi di caderle sulle spalle e due occhi azzurri che mostravano tutta la sua preoccupazione.
Appena aveva visto il figlio minore avvicinarsi non si era fatta scrupoli e l’aveva immediatamente bloccato tra le sue braccia, cominciando a sotterrarlo di carezze e domande. Da qui i tentativi del prescelto della speranza di sopravvivere omettendo alcuni particolari della giornata, come il tentativo di linciaggio o il fatto che un mostro avesse tentato di mangiarlo…
Continuo a sorridere, infondo per i tuoi amici anche questo è un prezioso momento di quotidianità.
Sai Tai, ormai ho imparato a conoscerti e so che pagheresti oro per essere qui con loro a condividere queste piccole oasi di tranquillità… anche se, e sorrido divertito a tale consapevolezza, credo che l’unico angolo che attirerebbe davvero la tua attenzione sarebbe quello in cui la tua sorellina è la protagonista.
So che vorresti essere qui per consolarla e proteggerla, o almeno per escogitare qualche espediente per non farla coinvolgere in una battaglia già persa in partenza.
E invece… non è andata così, qui ci sono solo io ad osservarla da lontano mentre viene stretta tra le calde presenze dei vostri genitori.
Piange il tuo piccolo angelo, mentre si aggrappa con forza al soffice maglione rosa della madre.
Piange, ma questo non significa che si sia arresa o che sia debole.
Sta crescendo, diventando una donna forte, combattiva e testarda.
Caratteristiche queste che erano emerse dalle parole decise che aveva rivolto al resto della squadra solo poco prima e che ora vedo chiaramente dal suo sguardo.
Ha passato delle ore terribili, anche se non lo ammetterà mai per non far soffrire nessuno, eppure ha ancora le energie per rialzarsi e andare avanti. Sì, decisamente puoi essere fiero di lei.
 
Un’atmosfera di serenità, quella che si era venuta a creare, interrotta involontariamente da un semplice domanda posta da un padre preoccupato.- Kari…- accarezza i capelli della figlia con un gesto amorevole – dov’è Tai?-
Silenzio. Nessuno aveva osato rispondere a quella ingenua domanda che aveva avuto il potere di gelare all’istante l’aria che li circondava.
Sui volti ormai bianchi dei tuoi amici si poteva leggere a chiare lettere un sentimento di impotenza e di colpa. Dovevano dire loro la verità, ma con che coraggio?
Come fare a dire a una madre e un padre, che amano i loro figli più di ogni altra cosa, che probabilmente ne hanno perso uno?
E perché poi? Perché stava cercando di salvare quelle stesse persone ingrate che avevano reso la sua vita un inferno? Beh, come giustificazione non conforterebbe nessuno.
È per questo che i tuoi amici altro non riescono a fare se non restare in silenzio davanti ai volti tesi di due genitori che sentono ogni secondo che passa la loro speranza di una risposta positiva diminuire drasticamente.
Li posso vedere sai? Li posso vedere mentre continuano ad aggrapparsi con forza alla figlia minore guardandosi attorno con occhi confusi e spaventati.
Non capiscono il senso di quei silenzi e di quelle occhiate sfuggenti… non capiscono eppure sentono un forte dolore espandersi nei loro petti.
Un dolore… una consapevolezza… che è difficile pronunciare ad alta voce e che nasce dalla terribile giornata che hanno vissuto.
So per certo che hanno visto la battaglia in cui sei stato protagonista, infondo chi non ha notato un enorme dinosauro combattere nel centro della città? e so anche che hanno riconosciuto, anche se inconsciamente, l’origine della barriera.
Sono solo due persone che hanno passato le ultime ore, se non gli ultimi anni, a pregare in ogni momento che nulla accada ai loro figli. A Sperare che nonostante il destino, le difficoltà e le battaglie i loro tesori possano sempre tornare a casa da loro.
Per questo dico che probabilmente hanno già intuito quello che è successo, solo che hanno paura di ammetterlo… Perché ammetterlo significherebbe renderlo reale.
-Kari…- un lieve sussurro è ora la voce della donna che vi ha generato - … dov’è Tai?- i suoi occhi cominciano a luccicare pericolosamente, mentre il suo volto perde il suo colore naturale davanti alla sua bambina che si morde nervosamente le labbra pur di non rispondere - cos’è successo al mio bambino?- una frase quasi urlata dalla voce tremante di una madre che teme di aver perso uno dei suoi due beni più preziosi.
-signora Yagami…- una mano candida si poggia delicata sul braccio tremante di quella bella madre dai capelli castani - … si calmi…- la voce del ragazzo ha recuperato la calma e l’affidabilità che l’ha sempre distinta -… non è morto… però…- Joe cerca di misurare le parole, come suo padre gli ha più volte insegnato - … venga dentro, che le spiego tutto quello che è successo…- vede la donna confusa, troppo per poter comprendere appieno quello che le sta cercando di dirle -… venga con me… andiamo da lui…- cerca di sorriderle e di tranquillizzarla -… andiamo da Tai-
andiamo da Tai…’ Possono queste sole parole fare la differenza? Evidentemente sì. Perché al solo sentirle i tuoi genitori e il tuo angelo hanno subito seguito senza fiatare il ragazzo dai capelli blu, sparendo in pochi secondi dentro quella vecchia struttura che è stata il vostro riparo per la notte.
 
Gli adulti rimasti avrebbero voluto andare con loro per dare a quella famiglia il loro sostegno, ma la loro presenza sarebbe stata solo una fonte di dolore ulteriore.
Sono pochi i momenti in cui le persone devo essere lasciate sole con i loro affetti più cari e quello che la famiglia Yagami stava per affrontare era proprio uno di quelli.
E, strano a dirsi, fu proprio il giovane Tk che fermò sul nascere qualunque tentativo da parte dei genitori presenti di entrare – mamma…- afferrò con una presa insicura il braccio della donna quando quest’ultima stava scattando per seguire una cara amica.-… aspetta… lasciamoli soli per un po’…- gli occhi celesti così simili dei due si incontrarono mostrando confusione e tristezza -… ne hanno bisogno.-
La donna annuì accarezzando dolcemente la testa del figlio – va bene- si arrese accocolandolo nelle sue braccia, infondo anche lei era stata innamorata e poteva ben comprendere quanto quella semplice frase gli fosse costata.
Voleva andare dentro anche lui, negarlo sarebbe stato una bugia troppo grossa, ma sapeva che la sua dolce Kari non era da sola in quel momento, c’erano i suoi genitori e naturalmente anche Joe e suo padre. Erano attimi troppo privati per potervi interferire, sapendo bene che entrando altro non avrebbero fatto se ricordagli che la battaglia non era ancora finita e che la lista delle cose care perdute era ancora lontana dall’essere conclusa.
Il peggio doveva ancora venire… è questa era una realtà impossibile da cancellare.
Quindi per quanto la tua… la nostra situazione possa essere grave e dolorosa, c’è ancora qualcosa in ballo che non regge nemmeno il confronto.
Una consapevolezza, questa, che si poteva leggere a chiare lettere negli occhi dei pochi presenti.
Tante emozioni vedo in quegli occhi, soprattutto in quelli di chi è già arrivato all’età adulta… emozioni che mi fanno capire quanto deve essere stato duro per loro il giorno appena passato.
Io non sono un essere umano e non provo i vostri stessi sentimenti, eppure, riesco comunque a percepire quanto difficile deve essere stata la scelta fatta dai genitori, tuoi e quelli dei tuoi amici, quando la città è stata assediata.
Nel pericolo scegliere di non cercare i propri figli, ma un modo per aiutarli quando sarebbero stati pronti.
Nelle scosse di una città che stava crollando come le tessere di un domino, scegliere di andare in quello che rimaneva delle proprie abitazioni per prendere gli unici oggetti che avrebbero davvero potuto fare la differenza.
Passare un’intera giornata con il cuore in gola, scavando e scavando ancora, in fretta e da soli.
Correre nella notte, riunirsi e finalmente portare a termine la missione che si erano posti: consegnare i digivise e dare una speranza vera a questo mondo.
Anche se non erano mai stati a digiworld, anche se avevano vissuto le avventure dei figli solo in maniera indiretta e anche se molte cose erano sempre state a loro celate… erano comunque riusciti a capire che quei piccoli computerini bianchi non erano solo un simbolo che rappresentava quello che i loro figli erano.
Ed è grazie a loro che adesso ogni digiprescelto presente poteva stringere tra le proprie mani quel piccolo oggetto e fare così in modo consapevole la propria scelta.
Una scelta che in quel momento aveva assunto un improvviso peso diverso, perché ora era diventata reale e tangibile.
Da quel preciso istante non c’era più la scusa ‘vorremmo combattere ma non possiamo’, ora avevano tutti i mezzi e scegliere di usarli spettava solo a loro.
Vittoria facile penserete… invece vi devo deludere, perché quei mezzi da soli sono insufficienti.
È vero che io sono sceso dal mondo dei dati, ma non c’è sicurezza che i miei fratelli e sorelle facciano lo stesso… o meglio, lo farebbero se ci fossero le condizioni, ma non possono… i loro prescelti non sono ancora pronti.
Alla fine l’odio e la paura avevano corrotto anche gli animi più puri, portandoli a rifiutare il loro stesso destino. Forse solo in minima parte, ma era bastato per farli vacillare, lasciando che la rabbia e il desiderio di vendetta li guidasse nelle loro decisioni.
È con questo senso di realtà che il tuo migliore amico fissa con sguardo vuoto lo schermo ora attivo del suo digivise. In sospeso nel dubbio attende un segno che gli possa indicare la via da seguire.
Da un lato la scelta giusta, dall’altro la scelta più naturale…
 
 
Penso che un genitore sappia leggere cosa tormenta un figlio… e lo faccia solo osservando di sfuggita i semplici e involontari segnali che questo manda.
Ed è per questo che, con un triste sorriso sul volto, il signor Ishida colma con pochi passi la distanza che lo separa dal suo ragazzo. – Matt… ascolta…- richiama l’attenzione del figlio permettendo ai loro occhi di incontrarsi - … non ti ho portato il digivise perché tu debba combattere…- gli mette una mano sulla spalla per fargli sentire tutta la sua vicinanza e il suo calore -… non posso dirti quello che devi fare… nemmeno quello che è giusto fare in realtà…-ridacchia portandosi la mano libera sulla testa scompigliandosi i capelli - … te l’ho… anzi… ve li abbiamo portati perché voi possiate scegliere. -
- così…- intervenne la madre di Sora concludendo il discorso -… se deciderete di scendere in campo avrete almeno la possibilità di fare davvero qualcosa.-
- ma questo non significa che siamo d’accordo…- ci tenne a precisare la madre di Tk -… questi cosi non sono un invito ad andare.- infondo non aveva mai nascosto il fatto di non aver mai accettato il ruolo che il mondo dei dati aveva dato ai figli, quindi perché cominciare ora?
- ricordatevi solo…- sorrise dolcemente la signora Takenouchi – che potrete sempre contare sul nostro appoggio…- strinse ancora di più a se la figlia ben consapevole delle conseguenze che da quel discorso sarebbero potute derivare - … qualunque scelta facciate.-
I ragazzi annuirono ma non diedero una vera risposta, alcuni animi erano in dubbio, altri invece erano più determinati…ma tutti erano nella comune e tacita decisione di godere appieno di quei momenti, che ha prescindere dalla loro decisione finale potrebbero essere stati gli ultimi.
Ora tutto stava a capire come viverli…
 
 
 
Superare un ostacolo… fare una scelta… andare avanti nonostante tutto e tutti… non è e non sarà mai una cosa facile.
Alcuni riescono a trovare da soli la loro strada, mentre altri devono essere spronati e guidati.
Ma si sa, anche questo fa parte della vita e non si può lasciare che siano gli altri a decidere per noi.
Forse è per quello che anche se osservatori abbiamo deciso di intervenire per aiutare un tuo amico che ha dimenticato chi è, arrivando perfino ad abbandonare se stesso.
Certo è solo un intervento indiretto, perché comunque alla fine solo lui potrà prendere quella che sarà la sua strada.
Allora Izzy, continua a vivere il bel sogno che ti abbiamo preparato sacrificando anche le nostre ultime energie… vivilo e goditelo, perché alla fine di esso la realtà da cui sei scappato negli ultimi anni ti cadrà pesantemente addosso.
 
 
Izzy sa che quello che lo circonda non è reale. Lui non ha più dieci anni, non è bloccato in un mondo alieno, non sta viaggiando a fianco a fianco con i suoi amici più fidati e soprattutto lui non è più felice di vivere. Lo sa… lo ha capito… sarebbe illogico negarlo… eppure… eppure in questa bella illusione lui si sente esplodere in mille e colorate emozioni che aveva dimenticato.
Si lascia trascinare dagli eventi senza opporre alcuna resistenza, prepara strategie e fa ricerche con la ritrovata curiosità di un bambino, mostrando un sorriso su un volto che per molto tempo era rimasto privo di espressioni.
Il fuoco scoppietta illuminando ciò che lo circonda con toni caldi. È scesa la sera e anche nel mondo dei dati sale un venticello fresco che spazza via le tracce di un clima più tropicale di quello a cui solitamente eravate abituati.
Del pesce si sta cuocendo su quelle fiammette dalle sfumature arancioni, riempiendo l’aria di aromi che altro non sono se non uno stuzzicante invito a cena.
Chiacchiere e risate accompagnano ogni singolo attimo di quella serata, portando un’atmosfera calda e serena.
Izzy sbircia tutto questo da dietro lo schermo del suo computer, cercando di trattenere un sorriso spontaneo che da troppo tempo non riusciva a nascere sul suo volto pallido e inespressivo.
- Izzy…?- il bambino smette di battere con abile velocità sulla tastiera del suo fidato computer, una vocina dolce e flebile ha richiesto con un tono quasi supplicante la sua attenzione.
- Kari….- sorride alla piccola bambina - … dimmi… che posso fare per te?-
- ecco…- è nervosa e non lo guarda negli occhi, continuando insistentemente a giocare con un sasso vicino alle sue scarpe -… tu…. Tu non ci vuoi più bene?- trema la sua voce mentre pronuncia queste poche parole con l’innocenza tipica dei bambini.
-Ka…Kari…- sbatte le palpebre due o tre volte sorpreso, sentendosi improvvisamente gli occhi di tutti addosso -… ma… ma che dici?- appoggia il computer a terra e cerca di avvicinarsi a quella bambina vestita di candidi colori pastello – certo che vi voglio bene… siete come una seconda famiglia per me!-
- allora perché?- gli occhioni color cioccolato di quel piccolo angelo lo guardano supplichevoli e tristi – perché ci abbandoni?-
Il prescelto della conoscenza spalanca occhi e bocca trovandosi di fronte a una domanda che lo lascia interdetto – co… cosa dici?- si guarda attorno in cerca di sostegno, ma tutto quello che trova sono solo volti che esprimono la medesima tristezza degli occhi della piccola Kari – non vi abbandonerei mai… siete troppo importanti per me-.
Izzy allunga la mano per cercare di arrivare al viso della dolce bambina ora rigato da due leggere lacrime. Spinge il suo corpo sempre più in la ma quella distanza di soli pochi centimetri gli sembra incolmabile. Kari è sempre più distante da lui, eppure la bambina non si è mossa di un solo passo.
Qualcosa non va e non ci vuole di certo un genio per capirlo.
Il vento fresco ha smesso di muovere i suoi capelli, il fuoco è diventato solo una presenza inanimata senza calore e funzione, gli odori così come i suoni sono tutti scomparsi, lasciandosi dietro solo un profondo senso di vuoto. Il paesaggio comincia a mutare, come assorbito da un profondo buco nero che non lascia scampo. La grotta, il fiume, gli alberi… niente è rimasto di quel bel sogno che era riuscito a regalargli un sorriso dopo tanto tempo.
Le immagini dei suoi amici si dissolvono lentamente diventando sempre più trasparenti. Non parlano quelle figure, rimangono solo ferme a fissarlo con sguardi privi di vita, come se fossero solo delle marionette a cui sono stati tagliati i fili.
Le belle iridi porpora del prescelto della conoscenza perdono velocemente ogni luce, lasciando che gelide lacrime di sconforto si infrangano al suolo.
Ora è di nuovo solo avvolto in un mondo privo di luce.
Si accuccia e stringe le ginocchia al petto, nascondendo la testa dietro di esse.- era troppo bello… che stupido sono stato…-
Poche ore immerso in un piccolo angolo di paradiso sono state sufficienti a far emergere sentimenti e ricordi che un giovane uomo aveva rinchiuso a doppia mandata nel suo cuore, ma infondo era solo un tentativo di proteggere se stesso dalla crudeltà del mondo.
Fanno male quelle sensazioni ora risvegliate, perché portano con loro un pesante senso di solitudine.
- Izzy, amico mio…- una voce calda e confortevole… la tua voce, prescelto del coraggio, chiama la figura rannicchiata di un ragazzo quindicenne dai capelli porpora -… guardami.- non un ordine, non una domanda, non una richiesta… dal tuo tono e dal tuo sguardo posso chiaramente vedere una supplica.
Il tuo amico non si muove, si sente di nuovo debole e vulnerabile, senza difese e speranze, come quando il suo mondo era crollato qualche anno prima.
Ti avvicini a lui, puoi muoverti liberamente e senza fatica, tanto questo non è il mondo reale.
Gli accarezzi piano il capo, scompigliandogli i capelli tenuti ora molto corti e ordinati.
Quante volte ti sei ritrovato a ripercorrere questo semplice gesto negli ultimi anni?
Quante volte hai dovuto correre da lui per dargli la forza e il coraggio necessario per continuare ad andare avanti?
Quante volte lo hai visto crollare sotto il peso del suo ruolo?
Tante… troppe…
Eppure siete entrambi ancora qui, questo qualcosa deve pur significare…
- Izzy…?- ti accucci davanti a lui chiamando piano il suo nome, con dolcezza e pazienza, come farebbe un padre con il proprio figlio.
Forse per quel contatto o forse per il tuo tono caldo, finalmente puoi vedere le sue iridi color porpora lucide e amareggiate.
- T…Tai?- si asciuga gli occhi, ha sempre avuto stima e rispetto per te, perciò non vuole che tu lo veda ancora più debole di quello che è -… sei… sei di nuovo grande-
Sorridi davanti alla sua affermazione così stupida e infantile… così poco da Izzy.
Sorridi perché per quanto innocenti quelle poche parole possano essere, sono molto più di quanto avete fino ad ora ottenuto con mesi di terapie e farmaci.
Ti guardi attorno trovando solo un universo avvolto dalle tenebre e privo di vita, non c’è nulla attorno a voi, se non il vuoto assoluto.
Izzy ti osserva con attenzione e interpreta male la perdita del tuo sguardo ora interessato al mondo circostante.
Scatta con un movimento veloce aggrappandosi con tutte le sue poche forze rimaste alla divisa scolastica che ancora indossi.
- ti prego non andartene.- non dice altro affondando il volto tra le sue braccia tese verso di te.
Senti la sua paura… la sua disperazione… la sua solitudine.
Ti avvicini ancora di più a lui, porti il braccio libero attorno alle sue spalle magre e fragili, così da permettergli di appoggiare la testa sopra la tua spalla.
- Izzy…- sospiri pesantemente vuoi aiutarlo ma il tempo che ci rimane sta velocemente scorrendo via – so che hai paura…- lo stringi di più a te, alla fine state tutti vivendo la stessa maledizione -… ma chiudere gli occhi e scappare non è la soluzione-
Non ti guarda, non dice nulla, però lo sai che ti sta ascoltando – non cambierà nulla …e tu sei troppo intelligente per non saperlo…- cerchi il suo sguardo che ti è ancora negato, senza arrenderti – … poi… siamo una squadra… e abbiamo bisogno di te-.
Il tuo amico scuote violentemente il capo, quasi tu avessi detto la più assurda delle bugie – non è vero…- ogni suo crollo e ogni sua debolezza sono vive nella sua mente impedendogli di andare avanti - … io… non servo a niente-.
Spalanchi gli occhi. Senti il tremore nella sua voce e non lo accetti.
Non puoi credere che abbia davvero rinunciato a vivere… che questo mondo corrotto sia alla fine riuscito a spezzare l’animo di un ragazzo che tu stesso hai sempre ammirato per la sua genialità.
Un amico dal carattere buono e gentile che è diventato uno dei pilastri fondamentali del vostro gruppo.
Interrompi quell’abbraccio protettivo, provocando sorpresa e paura sul suo volto. Sei deciso, se la pazienza e il conforto non bastano allora gli serve una scossa… e questo in senso letterale.
Gli prendi le spalle con forza, forse anche troppa, ma devi svegliarlo da quello stato vegetativo in cui si è rinchiuso. Sei stufo di andare a trovare una bambola che a malapena mette insieme due frasi guardandoti solo per sbaglio in faccia.
Non vuoi più vederlo buttare via il suo genio perché si rifiuta di andare a scuola, passando tutto il suo tempo a fissare lo schermo spesso nero del suo computer.
Lui deve vivere la sua vita insieme ai ragazzi della sua età divertendosi facendo cose stupide e non chiuso in una stanzetta buia dove l’unico elemento che determina lo scorrere del tempo sono i farmaci che deve assumere.
-dannazione!- alzi la voce, la frustrazione e l’impotenza dei mesi passati riemerge dolorosamente – guardati attorno….- non ti stacchi da lui, non cedi lo sguardo, vuoi solo che lui torni quello che era - … che cosa vedi?- domanda retorica a cui Izzy risponde solo con un’espressione confusa – te lo dico io… niente- sottolinei l’ultima parola scandendola più lentamente – e questo niente sarà tutto quello che rimarrà quando quelle orride bestie avranno finito con la nostra città- vi hanno fatto soffrire, ma la vita ha per te ancora un valore troppo grande per non fare nulla.
Sospiri. La stanchezza comincia a farsi sentire anche in questo mondo irreale creato con il mio potere. Vorresti arrenderti, ma non lo vuoi fare, senti che dentro al tuo amico qualcosa si sta finalmente muovendo.
Devi sbrigarti, il nostro tempo qui non è infinito e il tuo corpo comincia già a reclamare il mondo reale.
- Izzy… non puoi chiudere gli occhi facendo finta che le tue scelte non abbiano conseguenze- ecco l’unica scelta che questo ragazzo ha fatto: ignorare la realtà rifugiandosi solo in luoghi sicuri.
- abbiamo davvero bisogno di te… del tuo genio e della tua razionalità- ogni pezzo è fondamentale per ricomporre il puzzle della vostra squadra – molte volte ci hai tirato fuori dai guai…- la tua figura comincia a svanire ma tu ti aggrappi con le tue ultime energie al contatto creato - … ti ho sempre ammirato molto amico mio…- gli sorridi dolcemente senza lasciare spazio ad arroganza o ironia – sei forte molto più di quello che credi…- gli prendi la mano lasciando custodito in essa l’ultimo regalo che puoi fargli - … non lasciare mai che qualcuno ti dica il contrario.-
Ed ecco che il nostro tempo è alla fine scaduto, entrare nel subconscio delle persone richiede un quantitativo enorme di energia, che noi abbiamo egoisticamente sottratto a quella preziosa barriera d’orata che avvolge la città.
La barriera crollerà a momenti ma almeno abbiamo fatto un tentativo che, lo sai, può fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta.
Forse lui crede che in una battaglia l’elemento fondamentale sia la forza, si sbaglia, soprattutto in questa lotta e in quelle future che ci saranno per sconfiggere l’odio in tutte le sue forme.
Il tuo amico si risveglia, sta bene… forse un po’ scosso, ma è tornato alla realtà.
Si guarda attorno spaesato. È notte, le strade sono buie e coperte di macerie, riconosce la vecchia macchina con i sedili in pelle acquistata diversi anni prima da suo padre.
Sono ancora in movimento, i suoi genitori non hanno voluto perdere un solo attimo di tempo e si sono dati il cambio alla guida.
Izzy stacca la testa dal freddo finestrino dove si era mollemente appoggiato. Ricorda perfettamente ogni parola, sensazione ed emozione che il sogno appena vissuto gli ha trasmesso, eppure ancora non riesce a prendere il suo coraggio a due mani per dare voce ai suoi pensieri.
È confuso, troppe cose sono avvenute in troppo poco tempo, però sente che qualcosa è cambiato… lui è cambiato, quella vecchia parte di se che aveva abilmente seppellito cominciava ora a riemergere incontrollata.
Per la prima volta da tanto tempo sente il bisogno di muoversi, non tanto in senso fisico ma in senso mentale. Milioni di domande su l’inferno che si è scatenato premono nella sua testa e, con esse, altrettante strategie e ipotesi.
Un’energia che aveva dimenticato si fa largo con forza nel suo corpo tingendosi di brillanti sfumature viola e lillà. China lo sguardo verso la fonte di quella luce al tatto così calda e confortevole. Solo in quel momento si accorge che per tutto il tempo la sua mano destra è rimasta ben chiusa, quasi a voler inconsciamente proteggere il suo prezioso contenuto.
La apre piano scoprendo così il prezioso dono per il quale abbiamo sacrificato tempo ed energia.
Una piccola sfera è posata nel palmo della sua mano… una sfera contenente un grande potere che lentamente gira su se stessa battendo la stessa forza di gravità.
Al centro di essa si erge un solo simbolo, è piccolo ma inconfondibile: lo stemma perduto della conoscenza.
Izzy abbraccia con entrambe le mani quel piccolo segno di speranza, lo culla mentre un leggero sorriso illumina il suo volto. – credo di sapere cosa fare… grazie Tai- solo una frase sussurrata al vento, impercettibile ma pronunciata con determinazione.
 
 
 
Piccole e gelide gocce di pioggia si abbattono implacabili sulle ali d’orate che proteggono la città.
Se all’inizio scivolavano sulla perfetta superficie liscia, adesso riescono a penetrarla passando attraverso le piccole crepe che si sono formate.
Sul suolo si infrangono aumentando il loro numero ogni secondo che passa.
Un tuono.
Un urlo implacabile.
Una luce che si infrange, lasciando che i suoi resti si mischino nella pioggia.
Un ghigno crudele si dipinge sui volti delle bestie oscure ora di nuovo libere di agire.
La barriera è crollata… la battaglia è imminente.
Le ombre si muovo veloci puntando dritto verso l’unico punto in cui sentono concentrarsi la vita.
Cinque guerrieri sono pronti ad attenderle.
Lotteranno, anche se hanno paura.
Daranno il massimo fino alla fine, anche se sanno di non avere speranze.
Non sarà facile, dovranno combattere contro un nemico invincibile, contro l’odio della gente e contro i loro stessi dubbi… non sarà facile… eppure sono lì.
Ecco l’ultima difesa: un uccello di fuoco, un enorme lupo bianco e azzurro, un gatto bianco, un angelo biondo e un pelosissimo mostro marino con un arpione in testa.
L’unica domanda che mi pongo è tutto questo servirà davvero a qualcosa?
 
Continua…
 
Ooook… allora com’era? Spero andasse bene…
Alla prox
Ciao ciao
Lau2888

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Capitolo 7
*** passo 7) game over ***


Salve bella gente^^ ringrazio chi mi ha continuato a seguire nonostante il caldo torrido che a colpito il nostro bel paese ( in particolare i santi che recensiscono)
Lasciando le mie chiacchiere da parte vi auguro buona lettura.
 
 
 
Passo 7) game over
 
La pioggia incessante colpiva il terreno martoriato di una città quasi ormai distrutta.
Inclementi come piccole schegge gelate, le piccole gocce d’acqua battevano quasi a voler trafiggere i cinque guerrieri, che ritti e fieri, aspettavo l’arrivo ormai prossimo delle bestie oscure.
Cinque digimon a livello campione sono tutto quello che rimane della possente squadra che aveva difeso con le unghie e con i denti il mondo dei dati.
Un uccello, un lupo, un gatto, un angelo e un mostro marino rappresentano ora l’ultima speranza per un mondo corrotto che comunque vuole continuare a vivere.
Una difesa povera e svantaggiata, ma ben decisa a non tirarsi indietro.
Loro sono lì, pronti ad affrontare l’inferno, ma non lo faranno per questo mondo che non gli appartiene. No, troppo ha fatto soffrire i loro prescelti per pretendere di essere protetto a costo delle loro vite.
Oggi loro hanno attraversato il varco che i due universi separa e lo hanno fatto solo e unicamente per quei bambini, ora ragazzi, che avevano tanto atteso di incontrare. Quegli stessi ragazzi che si trovano poco distanti armati solo di quel digivice che è stato il simbolo della loro discriminazione.
Le bestie si stanno avvicinando, al solo sentire l’odore della vita rimasta hanno accelerato il passo. Sono stufe di giocare, hanno digiunato tutta la notte e ora vogliono il loro lauto pasto.
Per questo i prescelti le attendono poco distanti dai rifugi, quello è il loro banchetto e non c’è modo o battaglia che possa avere il potere di distrarle dal loro ritrovato obiettivo.
I sopravvissuti, i vostri genitori e anche il tuo corpo immobile sono contenuti in quei luoghi, ora unica e ultima fragile barriera.
I restanti membri della comunità si nascondono dietro i vecchi e grigi muri di quelle strutture nella vana speranza di non essere visti. Rimangono lì, con gli occhi spalancati e il respiro trattenuto a scrutare l’orizzonte attendendo terrorizzati anche il più piccolo cambiamento.
Il vento ululava rendendo l’atmosfera ancora più fredda e tetra. Lampi e fulmini solcavano il cielo provocando a ogni loro comparsa l’accelerarsi dei battiti degli inerti spettatori.
Anche se era giorno la città era avvolta dalle tenebre quasi a voler predire quello che sarebbe stato il triste futuro di un pianeta sempre stato colorato.
La pioggia implacabile impediva la vista e smorzava gli altri sensi, anche se sei un digimon era impossibile sapere con certezza quello che attorno a te avveniva.
Ogni ombra poteva essere un nemico, ogni movimento poteva essere un attacco e ogni respiro poteva essere l’ultimo.
 
Un lampo. Un bagliore più forte dei precedenti è riuscito a creare uno squarcio in quelle tenebre lasciando intravedere agli occhi umani decine di presenze che ghignanti si muovevano silenziose gustandosi la caccia.
Un’improvvisa sensazione di paura si diffuse più velocemente della più letale tra le malattie, colpendo indistintamente chiunque potesse capire quello che stava per succedere.
Le grida si sollevarono ovunque e sempre più forti, fino a superare l’intensità stessa del vento quel giorno implacabile. Il panico, la rabbia e l’impotenza si fecero sovrane, insieme a quella consapevolezza si essere solo dei topi in trappola.
Circondati e senza possibilità di uscita. Ecco quale terribile scenario aveva mostrato quel semplice lampo.
I tuoi amici reagiscono seguendo il puro istinto, il tempo dei piani ragionevoli è finito.
Si muovono prendendo ognuno direzioni differenti con l’unico intento di arginare il più possibile un’avanzata ora inevitabile.
Divisi… una scelta azzardata che ancor più riduce quelle che erano le speranze di una conclusione positiva di una battaglia persa in partenza.
 
Sono vecchio ragazzi miei… vecchio come il simbolo che mi rappresenta. Ho visto tante cose e ne ho vissute altrettante, sia con voi che prima di voi e su di una cosa ormai non ho più dubbi: la vera forza della vostra squadra consiste nella pienezza della stessa. Se manca anche un solo membro allora tutto quel perfetto equilibrio che vi contraddistingue viene meno, portando allo sfracello del gruppo. 
Forse in passato questo errore sarebbe stato ai tuoi compagni subito evidente, troppo fresche le avventure trascorse per non ricordarne gli insegnamenti tratti da quest’ultime, ma adesso… adesso che quel tempo è così lontano… adesso che il gruppo non esiste più… adesso che tu non sei lì con loro, dimmi, c’è ancora qualcosa che davvero può tenerli uniti?
Purtroppo no e questo può fare una differenza enorme nella dura realtà di un combattimento dove in ballo c’è la stessa sopravvivenza. Uccidi o vieni ucciso, questa è l’unica vera ed esistente regola di questo triste gioco.
Una partita macabra con pedine fatte di carne dove il campo da gioco sono gli scheletrici resti di quella che una volta era una città.
E allora giochiamo, perché le pedine si sono già mosse…
 
Corre garurumon affondando le sue zampe nel fango. Corre in un turbine di fiamme azzurre come gli occhi del suo prescelto.
 
Vola angemon nonostante le ali zuppe e pesanti per via della pioggia. Vola avvolto in una luce brillante e pura come l’animo del suo piccolo Tk.
 
Salta Gatomon da un tetto all’altro pur rischiando il suo equilibrio reso precario dalla pioggia e dal ghiaccio invernale. Salta mentre il suo anello riflette una calda luce rosata come la digipietra della sua Kari.
 
Si innalza nel cielo birdramon tentando di mantenere vive e forti le sue fiamme. Sale sempre più su sprigionando tutto l’amore che la sua Sora gli sa donare.
 
Ruggisce ikkakumon traendo potenza dal suo elemento naturale che dal cielo discende. È lento rispetto a quelle bestie, ma non ha nessuna intenzione di deludere Joe.
 
Ogni digimon lancia il suo attacco più potente, sotto gli occhi attenti e non poco distanti dal proprio prescelto.
Lo scontro è iniziato, ma non riesco ad essere positivo, non questa volta.
Vorrei immaginare una nuova alba per questo mondo, lo vorrei davvero, ma ora come ora non ci riesco.
Distolgo lo sguardo, forse prendendo una pausa un miracolo arriverà… ma nemmeno io ci credo davvero.
Tai… alla fine avevi veramente un piano in mente? Spero vivamente di sì, perché quello che sta per accadere non mi piace per niente.
Odio assistere impotente. Eppure nelle mie attuali condizioni non ho altra scelta.
Mi sembra di essere ritornato nel passato, quando prima di incontrarti ero avvolto in una massa di pietra. Inerme. Immobile. Inutile…. Esattamente come adesso.
Evitare di guardare non serve a nulla, sai?. Percepisco comunque l’evolversi della battaglia… per quanto un combattimento a senso unico possa definirsi così.
Ogni digimon è circondato da tre o quattro avversari. Rido istericamente tanto nessuno può sentirmi. Se Graymon aveva fallito con uno che speranza reale possono avere i tuoi compagni contro un numero più elevato.
Vedo ogni attacco fallire.
Vedo le loro difese cedere.
Vedo i loro animi crollare.
Vedo gli occhi dei tuoi amici riempirsi di lacrime.
Una sola parola mi viene in mente, ma non la voglio pronunciare.
 
Un attacco interrompe i miei tristi pensieri. Le ali di fuoco di birdramon invadono il cielo portando una fiamma rossa che fende l’oscurità.
Viaggiano quelle lingue di  fuoco ricoprendo grandi distanze in pochi attimi. Sfiorano ciò che resta di un grattacielo percorrendolo in tutta la sua altezza fino ad arrivare al loro obiettivo che alla base dello stesso attendo ghignando.
Immagino che quel fuoco sarebbe stato più potente se almeno madre natura fosse stata dalla vostra parte, ma anche così, senza quella pioggia implacabile, non credo che l’attacco avrebbe avuto esito differente.
La bestia oscura vede l’offensiva che il leggendario digimon dell’amore gli ha lanciato contro. Non si muove di un passo, non ne ha bisogno.
Allarga crudelmente il suo ghigno e assorbe quel colpo come se fosse stata solo una semplice folata di vento.
Posso leggere tutta la delusione e lo sconforto tingersi sul volto della tua migliore amica.
Ma non sono questi sentimenti che mi preoccupano. No. Quello che mi angoscia è vedere nei suoi occhi una nota di rassegnazione, come se già sapesse che era una battaglia persa in partenza e che come tale l’aveva accettata.
Se così fosse… se fosse vero… allora tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora sarebbe risultato inutile.
 
Un’esplosione. Un’altra. Un'altra ancora.
Altre vie distrutte. Altri palazzi crollati. Un altro pezzo di città che viene sacrificato.
Una nuvola di polvere si è sollevata celando l’origine di quelle scariche. Si mescola con la pioggia rendendo l’aria ancora più pesante e irrespirabile.
Ma il vento in questo giorno è spietato e non ammette pause. Porta via velocemente, forse anche troppo, quei granelli che impediscono di vedere l’inevitabile.
L’ombra di un mostro marino è la prima cosa che si riesce a scorgere. Dalla sua testa splendono nuove scintille segno che si sta preparando per un nuovo attacco.
Gli ultimi erano si andati a segno ma nulla avevano fatto se non provocare l’esaurirsi delle energie del digimon che li aveva lanciati.
Arranca a fatica per rimanere dritto sulle sue possenti zampe. Il suo pelo è sporco dal combattimento e schiacciato dall’acqua rendendo ancora più pesanti e difficili i suoi movimenti.
Il suo arpione è pronto a colpire, ma non si fa illusioni, sa che probabilmente il suo prossimo colpo sarà l’ultimo. Lo sa, per questo sta urlando a Joe di allontanarsi il più possibile da lui.
 
 
Delle piume bianche danzano tristemente nel freddo vento invernale. La difesa di angemon è appena caduta.
Il suo bastone d’orato è ora conficcato nel terreno, coperto di fango e macerie che nascondono la sua natura celeste. È lontano dal suo proprietario che ora giace immobile al suolo con le ali spezzate.
Tk si sente morire, rivive ancora e ancora nella sua mente le tristi immagini della prima loro vera battaglia sull’isola di file. Il nemico, la lotta, gli inganni, la tanto agognata vittoria e infine la perdita di un loro caro amico… la perdita di angemon.
Sente i suoi occhi inumidirsi, mentre tra le sue labbra muore sussurrato il nome del suo digimon.
Vorrebbe correre da lui, ma non può perché in quel momento non è solo. Accanto a lui c’è la sua dolce Kari che nemmeno per un secondo ha abbandonato il suo fianco.
Combatteranno insieme e insieme se questo è il loro destino verranno sconfitti, questa è la decisione che i due giovani angeli del gruppo hanno preso.
Una calda luce avvolge il campo di battaglia attorno a loro ed è tinta di caldi colori rosati.
Gatomon, digimon di livello campione è ancora in piedi e da sola sta difendendo i due prescelti e il suo amico ferito.
Le sue piccole dimensioni le permettono di evitare agilmente gli attacchi avversari e i duri allenamenti a cui myotismon l’aveva sottoposta la rendono una micidiale macchina da guerra.
Piccola si, ma decisamente non indifesa…
 
 
Un turbine di fiamme crea una folata calda che netta si scontra con il pungente freddo della tempesta.
Nonostante i colori freddi di quelle lingue di fuoco dalle sfumature cobalto il loro tocco può bruciare anche i materiali più resistenti.
Un lupo si erge sovrano come fonte originaria di quell’attacco. Fiero e ritto sulle sue quattro zampe da fondo alle sue energie per impedire che quei viscidi mostri arrivino a sfiorare ciò che è a lui caro.
Scatta da un edificio all’altro per meglio usare le sue carte, ma non sa che quei mostri con lui stanno solo giocando. Lo attaccano con il solo scopo di farlo stancare così da rendere la loro caccia più divertente e duratura. Il solo puro istinto le guida in questa partita, suggerendoli sogghignante che una volta abbattuto il loro avversario più nulla ci sarà ad ostacolare il loro cammino.
Matt segue con lo sguardo il suo digimon, vorrebbe corrergli dietro, ma sarebbe solo un inutile peso. Lo vedo mordersi insistentemente le labbra mentre mentalmente impreca davanti a una sorte ormai anche ai suoi occhi inevitabile.
Vorrebbe sperare, dire che il suo digimon alla fine avrà la meglio, ma sarebbe solo una grossa bugia. Lui non è ceco e vede chiaramente garurumon perdere velocità e potenza, mentre quelle creature fresche e riposate ridono crudelmente per la debolezza del loro avversario.
 
Nei suoi occhi, come in quelli della prescelta dell’amore, posso vedere la stessa identica espressione delusa e rassegnata.
Non credono in questa battaglia. Non credono che realmente servirà a qualcosa.
Non pensano di poter vincere e che, anche se così miracolosamente fosse, le cose davvero cambino.
Sanno che alla fine per loro non ci saranno onori e medaglie, ma solo disprezzo e altro odio.
La gente non cambia da un giorno all’altro, finge di farlo ma nel profondo rimane sempre la stessa.
Alla fine saranno di nuovo soli contro un mondo ancora più agguerrito, perché si sa per i morti di queste ultime ore qualcuno dovrà essere responsabile.
Combattere senza realmente credere in quello che si sta facendo, rassegnati e spenti… ecco quello che sfortunatamente sta avvenendo.
I loro digivice brillano, questo è vero, ma quella che riflettono non è la loro vera luce… quella è solo una brutta e opaca imitazione che al confronto dell’originale non ha alcun valore.
Gli manca quella scintilla che accenda il loro fuoco e li aiuti a risplendere di forza propria, quel desiderio di vivere e di realizzare i propri sogni… quell’energia che nel tempo gli è stata sottratta insieme alla voglia di credere nel futuro.
Come si può pretendere che continuino a lottare se davanti a loro c’è solo un baratro nero senza uscita.
Sono delusi dal modo in cui la vita gli si è rivolta contro e sono rassegnati a dover subire passivamente questa condanna ingiusta.
È difficile far brillare le proprie qualità quando sei avvolto in una gabbia così stretta da non poter nemmeno respirare liberamente. Il tempo passa e strette in questa morsa piano piano si affievoliscono fino ad essere alla fine dimenticate.
Non si può pretendere di credere ancora nell’amore o nell’amicizia quando il tuo unico pensiero è cercare di non affogare in quel mare d’odio che li avvolge.
È per questo, per questa apatia in cui vi siete per necessità rinchiusi, che i miei fratelli e sorelle non possono giungere in vostro aiuto, negandovi così il vostro massimo potere.
Una volta lottavate per il mondo, ora a malapena per voi stessi.
Una volta avevate ideali, mentre ora vi rimangono solo sogni infranti.
Una volta nulla vi poteva abbattere, mentre adesso siete relegati in un angolo a leccare le vostre numerose ferite.
Per questo loro oggi non possono vincere, perché in realtà non lo vogliono.
 
 
 
La pioggia oggi è implacabile, si abbatte violentemente su cose e persone senza distinzione o pietà.
Tocca le grigie mura di quei vecchi capannoni rendendole ancora più cupe e tristi all’occhio umano.
Passa attraverso le crepe che negli anni si sono formate fino a giungere al gelido suolo rivestito di inospitale cemento.
È un movimento lento.
È un gesto impercettibile.
È solo una goccia che al contatto della superficie si infrange dividendosi in centinaia di gemme che vanno a ricongiungersi con le sorelle già cadute in precedenza.
Eppure è la sola cosa che ora riesce a muoversi libera all’interno di queste pareti che rappresentano ancora una flebile protezione.
È un luogo dove adesso c’è solo un pesante silenzio avvolto in un’atmosfera carica di tensione e paura.
Un pesante silenzio interrotto solo dal ritmico battere della pioggia sulle grandi finestre.
I suoni della battaglia sono ora cessati, eppure nessuno dei presenti ha il coraggio di alzarsi dai loro angoli dove si sono rannicchiati per andare a vedere l’esito dello scontro.
Donne, uomini, vecchi e bambini. Tutti avvolti nel silenzio dei loro pensieri.
Nessuno osa emettere un respiro, ogni energia è concentrata a cercare di captare i suoni esterni, unico indizio e unica fonte di speranza.
Immobili tra il desiderio e la paura di sapere attendono il passaggio di minuti percepiti come pesanti e interminabili.
Un’atmosfera dettata da un tacito accordo creatosi tra gli adulti presenti. Un accordo che però non tutti sono in grado di comprendere.
Due occhi verdi e brillanti come smeraldi si guardano attorno incuriositi e spaventati.
Iridi innocenti di un bambino di circa cinque anni che ancora non ha imparato a conoscere il mondo.
Eppure anche nella sua fanciullezza riesce comunque a percepire il freddo alito della morte che ora si è impadronito di quei luoghi.
Trema confuso dalla gelida atmosfera che lo avvolge, cercando istintivamente un calore che lo protegga.
La sua manina e stretta in quella più grande della madre che con fare protettivo accosta a se il corpo del suo piccolo, quasi a volerlo fondere con il suo.
- mamma- sussurra piano piano il bambino, quasi con paura di fare la cosa sbagliata parlando.
La donna distoglie per la prima volta da ore lo sguardo dalle arrugginite porte metalliche che li separano dall’esterno – tesoro…- vede il volto spaventato della sua creatura così tenta di sorridere trattenendo a stento lacrime di impotenza - … cosa c’è?-
Il bambino osserva ancora l’ambiente circostante, come a cercare una risposta al perché delle sue emozioni – mamma ho paura-
Le braccia della donna lo avvolgono completamente portando quel corpicino a sedersi sul suo grembo – anche io piccolo… anche io- e riporta lo sguardo verso quelle porte, pregando che almeno il figlio non le venga portato via.
Una tenue preghiera nasce dalle sue labbra. È una lenta nenia accennata solo da un filo di voce.
Sussurrata nella consapevolezza che con un tono più alto le sue parole sarebbero risultate rotte e tremolanti.
Prega per se stessa, per suo figlio e per il marito che ha perso in quella triste giornata.
Prega per trovare la forza di proteggere ciò che gli rimane, anche se è debole e sola.
Prega per i ricordi felici che le hanno riempito la vita, sperando di poterne vivere ancora.
E alla fine prega per quei ragazzi che ella stessa ha sempre denigrato considerandoli dei mostri. Prega per la loro vittoria e la loro vita, perché da questo dipende il suo futuro e quello della dolce creatura che ha in braccio.
È una richiesta egoistica e forse anche un po’ ipocrita, perché alla fine non riconosce davvero il reale valore che quelle giovani vite hanno.
Vite viste solo per la loro attuale utilità, senza considerare il futuro o i gesti passati.
Ma si sa, anche questa è la natura umana.
Anche se la cosa mi intristisce riesco comunque a trovare un barlume di speranza in quella preghiera. Un piccolo passo avanti è stato fatto nel momento in cui ha chiesto a voi aiuto senza incolparvi per la morte che la circonda.
Tante silenziose preghiere si elevano all’interno di quelle mura fredde e crepate.
Tanti sono i sentimenti che in esse posso leggere, tanti quante le sfaccettature che l’animo umano può assumere.
E tra questi una attira la mia attenzione. È una sommessa richiesta pronunciata da una bella donna dai lunghi capelli castani che tremante stringe i lembi di una pesante coperta.
Tra le lacrime invoca il nome del figlio… il tuo nome, supplicandoti di svegliarti. Come se sapesse che attendere significherebbe non vedere più il tuo caldo e solare sorriso.
Tuo padre è accanto a lei, in piedi e immobile, tiene lo sguardo fisso sul tuo volto alla ricerca di un qualunque movimento che lo rassicuri che non è troppo tardi.
Quante volte i tuoi genitori hanno pensato di abbandonare questa città così meschina e cambiare vita? Tante… troppe, eppure non l’hanno mai fatto, voi non lo avete mai consentito.
Vi volevano portare via di peso, ma sapevano che sarebbe stato inutile perché qui sareste comunque tornati… qui dove erano i vostri compagni prescelti.
Eppure, mai come in questo momento i tuoi genitori si sono pentiti di questa scelta.
Tuo padre vorrebbe piangere dando così sfogo a quella sensazione di impotenza che attanaglia il suo animo, ma si trattiene e lo fa solo per evitare un ulteriore dolore alla donna che ama.
Una spirale di dolore infinita che non ammette pause. È ovunque e impregna ogni angolo di questo luogo.
La puoi sentire… la possiamo sentire, è troppo forte per poterla ignorare.
Fa fremere il tuo corpo e fa vibrare la tua anima, ti fa desiderare di uscire dal tuo guscio buio solo per tentare di estinguerla… per i tuoi genitori, per la tua sorellina, per i tuoi amici… ma non solo per loro, perché nessuno merita di essere travolto da una simile tortura… nessuno.
 
 
Un boato interrompe in modo definitivo quella falsa calma così carica di tensione che si era generata.
La terra trema, anche se solo per poco, generando una nuova ondata di paura tra quegli edifici così fragili.
Un muro è appena crollato sollevando all’interno un disordinato caos di polvere e detriti.
La gente si allontana istintivamente non sapendo cosa si cela dietro quella coltre grigia.
Una coltre che piano viene cancellata dal vento e la pioggia che ligi fanno il loro dovere, purificando l’aria diventata altrimenti pesante e irrespirabile.
Una sagoma appare sempre più nitida fino a diventare un orribile quadro che nessuno avrebbe voluto vedere. Perché lì, immobile sepolto tra i detriti vi è un enorme uccello di fuoco dai caldi colori arancioni.
Il suo corpo privo di ogni energia brilla diventando un evidente contrasto con l’oscurità che ancora la città avvolge.
Le sue dimensioni diminuiscono drasticamente fino a lasciare solo la piccola figura di un uccello rosa ferito e sfinito.
Un urlo chiaro e acuto si solleva nello sbigottimento generale. Un solo nome viene pronunciato dalla voce di una bella ragazza il cui corpo è avvolto nella perfetta divisa da cheerleader.
Nel suo cuore qualcosa si era risvegliato dopo tanto tempo portandola a ignorare tutta la sua sicura rete di bugie che si era abilmente creata.
Si è mossa seguendo solo l’istinto e il cuore, forse nemmeno rendendosi veramente conto del suo gesto avventato.
Tutto quello che sa è che davanti ai suoi occhi è appena crollato sconfitto il digimon della sua migliore amica.
Tutto quello che sente è il suo cuore battere furiosamente nel suo petto, temendo che l’inevitabile sia alla fine accaduto.
Tutto quello che vede sono i piccoli flash che, a ogni passo che fa, invadono la sua mente rievocando ricordi talmente belli da farle male.
Corre a fatica tra i resti miseramente crollati, scivola e inciampa, ma continua ad avanzare fregandosene anche del fatto che quella parte di edificio potrebbe caderle addosso.
Un singhiozzo le sfugge traditore da quelle belle labbra così ben curate, nel momento in cui una sfumatura rossa emerge tra i calcinacci e la polvere.
Come un automa senz’anima comincia a muoversi verso quel punto, tentando di convincersi di altre mille possibilità che però non hanno consistenza.
Perché alla fine lei può aver mentito a tutti, ma non al suo cuore. E in questa piccola verità lei sta pregando che quel corpo immobile che davanti a lei giace non sia di quell’unica persona che le aveva sempre voluto bene nonostante i suoi difetti.
Mi dispiace giovane donna che ha abbandonato il tuo stemma oggi le tue preghiere non saranno ascoltate.
- oh mio dio…- si inginocchia Mimi tra i vetri, i ferri e il cemento - … Sora…- con le mani tremanti si avvicina al corpo della prescelta che per lei è stata come una sorella - … no… no…- sposta febbrilmente tutto quello che ostacola la sua visuale, mentre in uno stato di trance continua a chiamare il nome dell’amica - … n..non devi preoccuparti…- avvicina quell’immobile bambola a se -… ora chiamo Joe…- tenta di sorridere, ma non c’è nessuno che accoglie quel gesto isterico - …e… e vedrai starai benissimo… e … e sarà di nuovo tutto perfetto-
Sconnesse le sue frasi, i suoi pensieri e i suoi sentimenti… sconnesso è il suo animo mentre si racconta l’ennesima bugia.
Piccola Mimi non sei ancora stanca di vivere in questo modo? Per quanto ancora permetterai a questo mondo corrotto di soffocarti?
Hai paura, ti senti sola, sei confusa… lo capisco… capisco ogni cosa, però pensi davvero che questa sia la soluzione giusta? La tua voce dice di sì, ma le tue lacrime dicono di no.
Hai passato l’ultima notte tra i dubbi e i sensi di colpa, lasciando che il tuo animo si crogiolasse nella disperazione.
Provavi a chiudere gli occhi per scacciare sentimenti e pensieri che non volevi, eppure ogni volta che lo facevi ti ritrovavi sempre davanti i volti di chi stavi abbandonando.
Ma anche allora non trovavi la forza di gettare quella perfetta maschera che completamente ti avvolge e protegge.
Piccola Mimi sei solo una bella marionetta legata con fili sottili, non pensi che sia ora di sollevare gli occhi dal tuo perfetto copione e di abbandonare quel palco che ti fa solo soffrire?
 
- Mimi…!- una voce debole e tremante è tutto ciò che a malapena arriva alle orecchie della prescelta.
- Mimi!- Una pressione inaspettata fa alzare le iridi coloro caramello da quel corpo coperto di polvere.
Lo sguardo di mimi vaga fino a trovare una ragazza fasciata nella sua stessa divisa che la osserva spaventata e confusa. Guarda il suo braccio, punto in cui quella pressione era stata generata, per trovarlo avvolto da due mani fini e curate che con forza tentano di farla alzare.
- Mimi che stai facendo?- due occhi cremisi, neanche lontanamente paragonabili in bellezza a quelli della sua Sora, le inviano una muta richiesta di riprendersi quella maschera.
- io…- l’adrenalina che aveva mosso la prescelta si sta ora affievolendo lasciandole comprendere così il significato delle sue azioni. Un significato che le cade addosso come un pesante carico di mattoni, facendola sbiancare e rabbrividire.
- allontanati da quella…quella… ragazza…- pronuncia l’ultima parola come se fosse una cosa sporca e infetta -… è pericolosa…- strattona ancora il braccio racchiuso tra le sue mani – andiamo via… torniamo dagli altri- mostra un teso sorriso, assolutamente falso e terrorizzato.
Mimi ancora non risponde, passa lo sguardo dal volto della sua compagna cheerleader a quello della sua migliore amica.
Confusa comincia a capire il suo errore, portandosi a chiedersi se davvero è stato tale.
Confusa, spaventata e frastornata deve fare una scelta, da cui non dipende solo la vita della dolce Sora.
Scegli Mimi... Scegli chi sei, perché non avrai altre occasioni…
Ma ricorda piccola che ogni azione ha il suo peso e le sue conseguenze, qualunque cosa farai soffrirai comunque. Quindi devi solo decidere quale scelta strazierà meno il tuo cuore.
 
 
Un altro boato. Un'altra nube di macerie. Un altro crollo.
Solo che questa volta non si tratta di uno dei rifugi, ma di un edificio poco distante fortunatamente vuoto.
Edificio su cui ora giace esausto un grande mostro marino che ha fieramente combattuto e resistito oltre i limiti che gli erano stati concessi.
Tenta di tornare sulle sue zampe, ma i suoi artigli sprofondano nei detriti di quel palazzo che a malapena sostiene il suo enorme peso.
Non ha più colpi da lanciare e non ha più energie a cui aggrapparsi, questo combattimento per lui è finito.
I suoi grandi occhi chiedono miseramente di potersi chiudere per riposare, ma lui è troppo testardo per cedere a questa richiesta.
Si affloscia sul peso del suo stesso corpo che avvolto da una triste luce ritorna minuto e fragile.
Vorrebbe dormire, ma sa che quello non è il momento, non ha sconfitto i suoi avversari e di conseguenza non è riuscito nel compito per cui è nato.
Il suo corpicino bianco e fragile si strascina tra i resti dell’edificio su cui era stato scaraventato.
La struttura è instabile e i vetri sono lame taglienti sulle sue zampe, ma ancora non si ferma. L’ultimo flash che ha della battaglia è quello di un’enorme sfera nera diretta sul suo prescelto, sfera che lui ha prontamente intercettato sacrificando le sue misere energie.
- JOE…- arrivato finalmente a toccare un solido terreno può tirare un sospiro di sollievo – MI SENTI?...- la sua voce stanca e rauca riesce a malapena a superare i rumori naturali della tempesta.
- JOE… DOVE SEI?- nessuna risposta arriva a quella domanda appena sussurrata al vento – dove sei?- bisbiglia ancora una volta più a se stesso che a un vero interlocutore, lasciando che i suoi occhi di solito brillanti e pieni di vita si tingano di una cupa tristezza velata di solitudine.
 
 
Mosse eleganti risaltano nel nero della tempesta come se fossero un triste balletto.
Gli artigli del digimon della luce affondano nei corpi avversari senza veramente ferirli.
Ghignano divertite le oscure creature perché a loro è bastato solo un attacco per mettere fine a tutto.
- GAAATOOOOMONNNN- l’urlo pieno di dolore della piccola Kari riesce perfino a fendere quel vento implacabile.
Corre verso quell’aperto spiazzo di cemento e resti di civiltà dove il suo digimon era stato brutalmente scagliato dopo aver provato a contrattaccare.
Non le importa del pericolo, dei mostri o del combattimento incorso, l’unica cosa che sa è che la sua migliore amica è stesa al suolo e non si muove.
Si accascia senza forze tirata verso il basso dal peso stesso dei suoi abiti appesantiti dalla pioggia.
Trema visibilmente. Il freddo le entra nelle ossa come tanti aghi lunghi e appuntiti, ma nemmeno questo sembra fermarla.
Allunga le mani verso quel corpicino martoriato dallo scontro e mentre lo fa l’unica cosa che pensa è che è almeno i digimon non possono sanguinare.
- gato… amica mia…- piange? Forse, ma la pioggia è così fitta che nemmeno io riesco a dirlo.
- non… non ti azzardare a lasciarmi…- accarezza con dolcezza quel pelo sporco di cui il suo digimon va tanto fiero - … almeno tu…- con estrema cura la solleva così da poterla cullare nel suo grembo -… resta sempre con me…- un doloroso silenzio è tutto ciò che al tuo angelo rimane, lo stesso che aveva provato la notte prima quando invano evocava il tuo nome - … me lo hai promesso.-
 
 
- KARIIIII- Inutile si era rilevato il tentativo di Tk di rincorrerla e di proteggerla -… NON ANDARE!-
L’ultima cosa che il biondo prescelto riuscì a vedere era la bianca divisa della ragazza che veloce si perdeva nella tempesta, questo prima che uno di quei mostri si parasse davanti a lui tagliandogli la visuale e ogni possibilità di passaggio.
- KARIII- un ultimo grido carico di rabbia e preoccupazione rimasto senza destinatario e risposta… un grido di frustrazione per una promessa mancata.
Come un automa fissa quel punto nella speranza che lei riappaia come per magia.
Un movimento preciso e veloce seguito da una risata fredda e maligna fu tutto quello che il giovane Tk riuscì a percepire prima di rendersi conto di quello che stava succedendo.
Il suo nemico non aveva nessuna intenzione di dargli tregua e lui era rimasto immobile a fissare il vuoto… decisamente una pessima mossa.
Chiuse gli occhi, tanto ormai non poteva scappare, almeno, si disse, non dovrà vedere i suoi cari morire.
- no Tk!- un guerriero che pensava sconfitto si pose come sua ultima difesa lasciando che i suoi poteri angelici scacciassero il male.
Anche se aveva le ali spezzate, angemon, non si sarebbe tirato indietro, mai lo ha fatto e mai lo farà.
Il piccolo Tk è stato per lui il suo primo tesoro, un’anima pura e splendente che andava protetta a ogni costo. Morirebbe di nuovo, non una ma ben cento volte, se questo servisse a tenerlo al sicuro.
- ma cosa…?- Tk riapre i suoi grandi occhi azzurri cercando confusi la presenza del suo digimon che lo aveva appena protetto – angemon?... ma dove…- davanti a lui solo un mostro privo di coscienza che però al momento lo stava ignorando, attratto solo dalla sua nuova e appetibile preda.
- angemon!- sbiancò velocemente il volto del prescelto quando vide ciò che rimaneva del suo digimon imprigionato nei neri artigli del nemico – no…. No… no…- vorrebbe muoversi e tentare di salvarlo, anche solo urlare andrebbe bene, ma non può. Terribili ricordi appartenuti a un passato ora così lontano si fanno strada nella sua mente, lacerando il suo cuore e la sua anima.
In ginocchio cade il prescelto nell’attimo in cui il grido di dolore del suo più fedele amico si fa eco in quell’inferno di acqua, vento e morte.
 
Un ruggito si fa strada in quello stesso inferno. È il ruggito dell’ultimo digimon che è ancora in grado di combattere.
È il grido disperato di chi vede le proprie difese crollare davanti ad avversari che nemmeno lo prendono sul serio.
In un turbinio di fiamme che a malapena vivono per se stesse si fa strada il digimon lupo.
Giocando sulla sua agilità e sulla lunga portata dei suoi attacchi è riuscito a tenere a distanza i suoi avversari, ed è questo l’unico vero obiettivo che si è posto il tuo migliore amico.
- PORTALI LONTANO GARURUMON…- rifugiato dietro una macchina rovesciata un adolescente dai biondi capelli tenta di far giungere la sua voce al suo digimon -… PIÙ LONTANO CHE PUOI.- È stanco e completamente zuppo, ma nonostante questo non ha perso il suo lato fiero e affascinate che lo ha sempre distinto.
Il digimon lupo tenta disperatamente di non allontanarsi troppo dal suo prescelto, non sa di cosa sono realmente capaci quei mostri e non vuole certo che sia Matt a farne le spese.
Per questo li allontana e poi a sua volta indietreggia, va avanti così in una danza infinita che prosciuga lentamente ogni sua energia.
- GARURUMON!- Matt grida con un tono che non ammette repliche, mentre con rabbia colpisce il telaio già martoriato di quell’auto abbandonata che è ora il suo scudo.
- ma Matt…- cerca di giustificarsi il lupo evitando per un pelo l’ennesimo colpo che era a lui destinato.
- NIENTE MA…- frustrazione e rabbia salgono velocemente in lui -… fai come ti ho detto…- non vede possibilità di uscita, non sa dove sono gli altri prescelti e ogni minuto che passa è un alito di vita sprecato - … non sono una fottuta bambola che non sa difendersi da solo.- l’unica cosa cui riesce a pensare è che non manterrà la promessa fatta al suo leader e che quindi ancora una volta deluderà l’unica persona che nonostante tutto gli è sempre stata vicino.
Garurumon volta il muso per incontrare lo sguardo del suo prescelto, cercando di trasmettergli la muta preghiera di lasciarlo stare accanto a lui fino alla fine.
Preghiera però che dal biondo cantante non può essere accettata – VAI!- gli urla senza nessuna esitazione – starò attento…- la sua voce si ammorbidisce tentando anche di mostrare un mezzo sorriso – …non ti preoccupare, non mi muovo di qui.- infondo capisce la preoccupazione di garurumon e l’ultima cosa che vuole è ferire qualcuno che per lui è importante.
Le parole del tuo migliore amico non riescono a sollevare il lupo dalle sue paure, forse nemmeno lo convincono che quella è la scelta migliore da fare. Eppure, pur di non deluderlo, il digimon a malincuore si volta e comincia a contrattaccare con più forza di prima.
Le spinge lontano, sempre di più. Riuscendo così ad ottenere una piccola vittoria.
Matt trattiene il respiro, non riuscendo a staccare gli occhi nemmeno per un secondo dal suo amico, almeno fino a quando qualcosa di lungo, viscido e corrosivo colpisce quello che rimaneva dell’autovettura facendola a pezzi.
Il prescelto salta d’istinto, ritrovandosi disteso per terra tra i resti di quello che era il suo unico riparo. Guarda con orrore la fonte di quell’attacco che ora lo osserva ghignante e affamata.
Alla fine aveva sopravvalutato garurumon e preso sotto gamba quelle dannate cose.
Aveva pensato che se ci era riuscito Tai allora potava farlo anche lui. Dannata competizione.
Ci era ricascato una seconda volta e di nuovo aveva fatto la scelta sbagliata.
Ma il tempo dei pensieri è finito, perché ragazzo mio quel mostro non ha nessuna intenzione di darti la possibilità di scappare o reagire. Ha già estratto i suoi artigli dal terreno dove poco prima si erano conficcati e, prima che il prescelto abbia la possibilità di rendersene conto, sono già puntati verso il suo fragile corpo.
Quando Matt li vede orami è troppo tardi, non ha  nemmeno il tempo di chiudere gli occhi e quel mortale attacco parte.
Veloce, duro e implacabile si tinge di rosso e si conficca nel terreno.
Gli occhi del prescelto sono sbarrati, il loro normale azzurro è diventato un ghiaccio di incredulità e paura.
Davanti a lui solo un colore imbratta ogni cosa facendola risaltare perfino in quella tempesta nera e violenta. È sui suoi vestiti, sul cemento, sui pezzi sparsi di quella vecchia auto… è lì e si allarga ogni secondo che passa.
Ironico come la stessa pioggia anziché lavarlo lo trascini ovunque facendolo diventare ancora più doloroso e indelebile.
Ovunque solo quel dannato rosso.
Si accuccia posando le sue mani pallide sul terreno. Ridacchia istericamente, adesso anche quelle sono tinte di quel colore che gli sta lacerando l’anima.
Sente una fitta terribile nel petto, chissà, forse se davvero sarebbe stato colpito avrebbe provato meno dolore.
La triste verità di quello che è successo lo ferisce potente come un pugno nello stomaco.
La nebbia che con lo shock era comparsa nella sua mente comincia a diradarsi lasciando che lacrime di realizzazione scorrano libere dai suoi occhi.
Con pochi gesti colma la poca distanza che dalla fonte di quel colore così insopportabilmente vivo lo separa.
Le sue mani incontrano quelle più grandi di un uomo che gli aveva appena fatto da scudo.
Stringe forte quelle mani così fredde, così deboli e così maledettamente ricoperte di quel colore.
Cerca di allungarsi più che può su quel corpo, quasi come se volesse scaldarlo.
Non è mai stato un tipo emotivo, non l’ha mai abbracciato, eppure adesso vorrebbe tanto farlo.
-n…no… no….- come una lenta nenia la sua voce cerca di arrivare a un interlocutore dormiente – non… mi lasciare…- rotta da singhiozzi incontrollati e da lacrime che ormai sono un tutt’uno con la pioggia -…papà.-
Le cose dette e quelle taciute, i bei momenti passati insieme e quello persi, la felicità e il rimorso, la colpa, la rabbia e infine l’amore, tutto viene riversato in un unico grido disperato di un ragazzo che ha appena perso una parte del suo cuore.
Niente ora ha più importanza, solo quel corpo senza vita ha ora la sua più assoluta attenzione.
Troppo per un giorno solo da sopportare.
Troppo per potersi rialzare e combattere.
Troppo per un adolescente che si è appena affacciato alla vita.
Tutto questo per lui… per voi è solo troppo….
 
È troppo chiedere alla piccola Mimi di gettare la sua maschera per buttarsi a kamikaze in qualcosa che la farà solo soffrire per il resto della vita.
È troppo chiedere a Sora di rialzarsi per l’ennesima volta è far brillare il suo amore quando altro non ha ricevuto se non odio.
È troppo chiedere a Izzy di rinunciare alla possibilità di rifarsi una vita per tornare nel tormento, nella solitudine e nell’ombra.
È troppo chiedere a Joe di continuare a dare il massimo per tutti quando lui stesso non ha più appigli per andare avanti.
È troppo chiedere a Kari e Tk di far brillare la loro luce in questo mondo avvolto dall’odio e dalla paura.
E forse anche per te è così. Essere il leader, la roccia del gruppo, senza aver a tua volta un appoggio è troppo. Come è troppo chiederti di alzarti e continuare a combattere sacrificando un poco alla volta tutto quello che hai.
 
Forse questa volta è davvero la fine.
Forse l’unica cosa da fare è alzare gli occhi al cielo e dichiarare game over.
Forse… ma nel momento in cui due occhi castani si spalancano mi viene da dire… forse no.
 
 
Continua…
 
 
Settimo concluso… spero sia piaciuto, nonostante la quasi assenza di battute ^^’’’… è che nelle mia mente bacata vi erano solo flash di diversi combattimenti, anche a impegnarsi i protagonisti non parlavano ^^’’’
Comunque… u.u… ho aperto diverse parentesi in questo chappy (nonché in tutti gli altri) che si chiuderanno con il prossimo.
 
Ciao ciao
Lau2888 

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Capitolo 8
*** passo 8) una torre di luce ***


Ciao a tutti^^ . ecco il nuovo chappy (un po’ in ritardo ^^’’’)
Ringraziando sempre chi recensisce e segue vi auguro buona lettura.
 
 
 
Passo 8) una torre di luce
 
Un mondo dove la calma e il silenzio regnano sovrani.
Un mondo dove tutto è immobile e niente è esistente.
Un mondo dove la luce non può arrivare, ma dove nemmeno esistono le tenebre.
Un mondo dove la tua anima può riposare, inghiottita dalla stessa calma che l’avvolge.
Questo è il mondo creato dalla tua stessa mente per riprendere quelle energie che facendo la cosa giusta hai buttato.
 
Per quanto tempo sei rimasto in questo luogo? Minuti? Ore? Nemmeno sei più in grado di dirlo.
Tutto qui è così immobile che non percepisci neanche la necessità di pensare.
Ti lasci cullare in questo spazio dove nulla esiste: il dolore, la stanchezza, la paura, l’odio, il freddo e la fame… sono solo brutti e sbiaditi ricordi.
La tua mente è vuota… il tuo corpo è vuoto… il tuo cuore è vuoto… questa è la tua realtà, almeno lo è fino a quando qualcosa finalmente riesce a rompere questo ciclo altrimenti infinito.
 
Una, due, tre… piccole gocce di cristallo toccano il tuo volto percorrendolo lentamente.
 

Sono calde…

 
Il tuo primo pensiero dopo attimi interminabili di silenzio assoluto.
 

Sì, prescelto, lo sono… sono piccole gemme calde e salate… ti sembra così strano?

Io… Non lo so…

 
La tua anima trema leggermente e io non capisco… non capisco come un fatto così irrilevante possa toccarti così nel profondo.
 

Riposati. Lascia che il tuo corpo si abbandoni a questo bel tepore che lo avvolge. È una bella sensazione, vero?

Si…

 
Mi ascolti. Ti fai cullare permettendo finalmente al tuo fisico di rilassarsi.
 

Come ti senti?

Respiro… per la prima volta da tanto tempo…

 
Attorno a te non c’è nulla, solo il degno riposo di un guerriero caduto.
 

Non vedo niente… i miei occhi sono aperti?
No, ragazzo mi dispiace, ma sai, per riposare bisogna avere gli occhi ben chiusi.
Perché?
Per non vedere quello che c’è fuori…
Cosa c’è fuori?
Nulla… nulla di importante…
Ma allora perché non posso aprirli?
Non ci pensare, ora devi solo riposare. Hai già dato il massimo, ma adesso basta.
Posso davvero?
Sì, giovane guerriero. Hai sopportato anche troppo per la tua età.
Grazie… è così calmo qui…
Bravo, così, lascia che il tuo spirito si addormenti. Cullati nel sonno infinito, così almeno il dolore smetterà.
 

Un’altra calda goccia si posa sulla tua pallida guancia, percorrendone i lineamenti ogni giorno più maturi, fino a posarsi leggera sul morbido cuscino che ti sostiene.

 
L'ho sentita… che cosa era?
Niente ragazzo, hai dato tutto le energie che avevi, ora devi solo dormire.
 

Delle voci soffocate cominciano a fendere la pace che ti avvolge… pace che fino ad ora era interrotta solo dallo scorrere dei nostri pensieri.

All’inizio è solo un brusio, incomprensibile e fastidioso, ma poi diventa un uragano di parole ed emozioni.

 
Chi… chi sono?vengono da fuori vero?
Si ragazzo vengono da fuori, ma tu le devi ignorare.
Perché?sono pericolose forse?
No, ma tu per loro non puoi fare più nulla. Ora il tuo posto è qui.
 

I tuoi pensieri si ammutoliscono, devi essere proprio stanco se riesco per la prima volta da quando sono al tuo fianco ad importi qualcosa. Hai sempre mandato all’aria ogni mio avvertimento, ogni mio richiamo alla prudenza, ogni mio tentativo di fermarti e tutto solo per seguire quello che il tuo cuore ti diceva.
Lo senti vero? Non c’è soddisfazione nelle mie parole, perché io non ho meriti né tantomeno capacità di persuasione. Questa tua arrendevolezza dipende dal fatto che qui i tuoi ricordi sono sopiti.
Qui nel profondo della tua coscienza dove sei… dove siamo stai relegati dopo aver infranto la barriera dell’io di un altro essere umano.
 

Quelle voci… fanno male… perché?
Non fraintendere prescelto, non sono le parole che fanno male…
Allora cosa?
Sono i sentimenti… i sentimenti che esse trasportano.
 

Dolore…
Paura…
Odio…
Vendetta…
Solitudine…
 

È…è orribile…
Devi ignorarle… isolati e dimenticale… non puoi fare più nulla.

Ma…
Fidati, è meglio così.
Fidarmi? Ma nemmeno so chi sei…
Sì, è vero non lo sai, ma sono sempre stato con te da quando avevi undici anni e mai una volta ho abbandonato il tuo fianco.
Anche se non mi potevi vedere io ero sempre li con te, lì, per alimentare la fiamma della tua anima… la fiamma del coraggio.
Davvero?
Sì, quindi credimi se ti dico che stare qui è per il tuo bene.
E il bene di quelle voci?non voglio che nessuno soffra così…
Te l'ho detto, hai già fatto tanto per loro… ora riposati.
 
 

Le voci cessano e la tua mente ritorna calma e appannata dal silenzio.
Quei sentimenti che con tale forza laceravano la tua anima si estinguo tornando a essere solo un flebile ricordo.

Faccio la cosa giusta a tenerti qui? Probabilmente no, ma so che se ti permettessi di combattere allora la tua vita si spegnerebbe consumata dal mio stesso potere e io ti sono stato affiancato anche per evitarlo.
È il mio piano… è la mia intenzione quella di tenerti qui per tutto il tempo che ti sarà necessario. Minuti, ore, giorni… non mi importa, non ti lascerò fare altre sciocchezze.
Almeno questo è quello che vorrei: un illogico desiderio nato proprio dal contatto con una specie contraddittoria come quella umana.
Sospiro cercando di rassegnarmi davanti a questa causa persa in partenza, infondo tu non sei mai stato quel tipo di persona che accetta di farsi mettere da parte, soprattutto non quando nel mondo reale si sta scatenando l’inferno.
Il mio è un duro combattimento, non solo contro la tua volontà ma anche contro lo stesso destino… destino che non vuole che quelle voci si plachino.
 
 
- ti prego…-
La voce di una donna soffocata dal pianto rimbomba nel tuo cuore lacerandolo.
- torna da me…-
Ti chiama da un tempo infinito, pregando con tutte le sue energie che tu torni da lei, perché così la vostra famiglia possa essere di nuovo completa e felice.
 

Mamma…

 
- fratellone…-
Il richiamo di un angelo bagnato dalla pioggia e dalle lacrime.
- fratellone… ho paura-
Una vocina flebile di una giovane donna che attende disperata l’arrivo di chi l’ha sempre protetta e amata.
 

Kari…

 
- ho fallito…-
In ginocchio nel fango la speranza lascia il posto alla delusione.
- Tai… non ho mantenuto la mia parola… non sono riuscito a proteggerla-
I suoi occhi sempre così azzurri da far impallidire il cielo, si stanno spegnendo nei suoi stessi sensi di colpa.
 

Tk…

 
 
Nomi. Nomi e ricordi invadono la tua mente, portati da quel fiume di emozioni che con forza premono su di te. Voci che con disperata insistenza ti chiamano, facendo riemergere il tuo innato e inarrestabile istinto protettivo.
E poi finalmente qualcosa in questo mondo immobile cambia…
Anche se i tuoi occhi sono ancora ben chiusi immagini vive e reali prendono forma davanti a te… immagini che nemmeno nel peggiore dei tuoi incubi avresti voluto vedere.
 
Un adolescente schiacciato dalla pioggia e dal dolore chino sul corpo sempre più freddo del padre che ha appena perso.
 

Matt…

 
Una giovane cheerleader con l’anima divisa dalla sua stessa paura e dalla sua stessa indecisione. Con un braccio stringe a se con cura la sua amica ferita nel corpo e nell’anima, mentre con l’altro afferra la sua maschera ormai incrinata.
 

Mimi… Sora…
 
 

Il tuo riposo ormai è giunto al termine, il tuo cuore non può più accettare di rimanere immobile mentre le persone che ami crollano una dietro l’altra.
Vuoi aprire gli occhi e correre da loro. Sai che probabilmente la tua presenza non cambierà le cose, ma almeno non vivrai nel rimorso di non essere stato lì con loro fino alla fine.
Il tuo mondo cambia, il bel tepore che ti cullava lascia il posto al freddo pungente di un inverno senza sole.

Il tuo corpo diventa sempre più pesante, tanto che ti sembra quasi un’assurdità la tua stessa volontà di muoverlo.
Le tue palpebre si sollevano debolmente aspettandosi fasci di luce che tuttavia mai incontrano.
Un luogo stranamente cupo e privo di colori ti avvolge, portandoti a chiederti che fine a fatto il pianeta verde di cui l’umanità si è sempre vantata.
Grida confuse e indistinte si sollevano in una tempesta di fuoco e acqua. Sono così disperate da riuscire a stordire ancora di più la tua mente che piano cerca di risvegliarsi.

Apri e chiudi gli occhi più e più volte cercando di mettere a fuoco quello che vedi.
La nebbia avvolge il tuo sguardo e la tua mente, abbandonandoti in uno status confusionale dove il confine tra sogno e realtà è ancora perduto.
 
- Tai…-
 
Un piacevole calore si diffonde sul tuo volto, avvolto ora tra le candide mani di una bella donna.
 
- Tai…-
 
La sua voce piena d’amore accompagna ogni carezza, mentre calde gocce salate cadono sulle tue guancie percorrendole fino a sparire.
 
- figliolo…-
 
Un’altra voce si affianca a quella della donna, è più roca e maschile, ma ha comunque il potere di farti sentire stranamente bene.
 
Cullato da quelle voci riesci, anche se con fatica, a uscire da quella nebbia che soffocava i tuoi sensi. I tuoi occhi si aprono mostrando a chi ti sta accanto le tue calde iridi castane.
Un’immagine ti appare chiara davanti… un’immagine che ha il potere di straziarti il cuore.
Il corpo dei tuoi genitori sovrasta il tuo avvolgendolo in un disperato abbraccio, è una stretta così forte da toglierti il respiro, ma da cui non ti scioglieresti per nulla al mondo.
- mamma…. papà…- I loro volti, segnati dalla stanchezza e dalle lacrime, ti appaiono ora più vecchi e sciupati. – sono qui…- Ricambi con energia la loro stretta, aggrappandoti con forza ai loro vestiti. – qui con voi- il mondo fuori non esiste, ci siete solo voi tre su quella piccola branda avvolti l’uno nel calore dell’altro.
 
- Taaaaiiii….- una vocina gracchiante attira la tua attenzione, mai avrebbe voluto interrompervi, ma ora come ora il tempo non gioca più a vostro favore.
- koromon…- ti volti staccandoti leggermente dal petto di tuo padre -… come stai?- sorridi mentre incontri duo grandi occhi azzurri pieni di vita.
- Tai…- dopo un paio di balzi ti ritrovi una morbida palla rosa tra le braccia -… dobbiamo andare-
- si…- annuisci mentre il tuo cuore comincia a battere sempre più velocemente -… andiamo- le immagini che ti avevano risvegliato sono ancora marcate a fuoco nella tua mente.
Il tuo digimon è tornato con te, siete collegati in molti modi che per un essere umano è difficile comprendere.
Ti capisce e comprende come nessun altro mai potrebbe fare, sente la tua apprensione, ma anche le tue paure ed è per questo che piano si allontana regalandoti ancora qualche minuto con la tua famiglia.
Con lo sguardo lo segui, ringraziandolo mentalmente, mentre a malincuore ti devi separare dall’abbraccio dei tuoi genitori.
- mamma… papà… io…- li guardi un ultima volta, cercando di trasmettergli la tua determinazione e il tuo amore -… io…-
- devi andare- conclude tuo padre per te, cercando di regalarti un triste sorriso.
- lo sappiamo…- tua madre si tormenta le mani, col solo scopo di trattenersi dal correre da te per non lasciarti andare più - … solo… fai attenzione, ok?-
Annuisci e sorridi – vi voglio bene- ti volti con l’intenzione di non fermarti finché non sarai lontano da quegli occhi così tristi. Solo allora, solo quando la fredda pioggia coprirà le tue lacrime fermerai il tuo cammino. Ti fermerai e alzerai lo sguardo verso il cielo, così da poter lasciare al vento il sussurro di un’ultima scusa per aver mentito ai tuoi genitori, pronunciando la sottointesa bugia di tornare da loro.
Esci con passo veloce, senza nemmeno dare uno sguardo a quello che ti circonda. Sai già quello che è accaduto nelle ultime ore e non hai bisogno che un muro abbattuto, una macchina esplosa o quant’altro te lo confermino.
Sarà impossibile per te eliminare quelle immagini che così violentemente hanno disturbato il tuo riposo. Sarà impossibile dimenticare il senso di impotenza che hai provato nel dover essere solo un immobile ed inerme spettatore. Sarà impossibile dimenticare tutto quel dolore…
 
Freddo. Una veloce folata gelida ti colpisce il volto riportandoti al presente, lontano da quegli indelebili ricordi.
La pioggia ti accoglie, inzuppandoti velocemente i vestiti, colpendo il tuo corpo come tanti piccoli e ghiacciati aghi.
In pochi attimi ti ritrovi a tremare sotto una violenta tempesta che preannuncia l’inizio dell’inferno.
 
Il piccolo koromon continua a proseguire incurante della pioggia che rende le sue buffe orecchie così pesanti da non riuscire nemmeno a tenerle su. Con un goffo salto riesce a raggiungere la cima di un muretto, che probabilmente fino a ieri era parte di una casa o di un negozio.
- Tai…- i suoi occhi brillano di consapevolezza mentre osserva l’orizzonte nero che ha davanti - … sono pronto.- serio e concentrato è di nuovo disposto a scendere in campo al tuo fianco, contro tutto e tutti se è necessario.
Annuisci sapendo bene che nessuno ti sta guardano per cogliere tale gesto.
Colmi la distanza che ti separa dal tuo digimon, prima di combattere vuoi almeno salutarlo come si deve.
- koromon…- passi una mano sul tuo viso cercando di scacciare dei ciuffi di capelli che per via della pioggia ti scendono fino agli occhi - … per tutti questi anni…- ti allunghi per afferrare una delle sue buffe e morbide orecchie, cominciando ad accarezzarla dolcemente - … grazie.-
Sorride. Il digimon non fa altro. Sorride con amore e amicizia.
I vostri sguardi si incontrano. Non vi servono parole, sapete già cosa succederà fra poco ed è per questo che vi state assaporando gli ultimi istanti insieme.

 

Afferri il tuo digivice, lo porti al petto e gli affidi le tue speranze.
La sua luce brilla nella tempesta come un potente faro che fende le tenebre.
È ora prescelto. Chiamami. Invocami e io come sempre ti darò la mia potenza.
Usami come strumento per mettere fine a tutto questo. Usami senza ritegno e restrizioni. Usami perché c’è troppo in gioco per attendere ancora.
Lascia che la mia luce dai toni arancioni inondi questa oscurità. Lascia che diventi il ponte di collegamento con il mondo dei dati. Lasciami creare l’opportunità di chiamare qui i miei fratelli e le mie sorelle.
 
Guarda mondo la potente colonna d’energia che ho creato, si innalza da un piccolo strumento nelle mani di un ragazzo di soli sedici anni e si erge vittoriosa oltre la nera coltre che questa città avvolge.
Ammira la sua purezza, senti il suo coraggio e prega che sia abbastanza.
 
 
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All’interno di uno dei capannoni, lì, in un piccolo angolo dove un muro era appena crollato, il silenzio di chi ha paura di scegliere era diventato un pesante elemento dominante.
Due ragazze si studiavano cercando nei rispettivi sguardi la giusta risposta che esse attendevano.
L’una dai lunghi capelli rosa e dagli occhi color caramello.
L’altra con uno sbarazzino taglio corto e gli occhi cremisi.
In ginocchio la prima cercando inconsciamente di proteggere con la sua stessa presenza un corpo inerme e ferito.
In piedi l’altra con gli occhi ricolmi di rabbia e le mani strette in una ferrea presa attorno al braccio di quella che era fino a pochi attimi prima una sua amica.
- MIMI…- urla la cheerleader dai capelli castani – ADESSO BASTA!- con un altro tentativo cerca di portarla via da lì – non so cosa tu stia facendo…- una voce carica di sentimenti negativi non lascia possibilità di scelta - … ma devi smetterla, quello non è il tuo posto!-
- io non…- la prescelta si morde nervosamente il labbro inferiore, cercando con questo gesto di impedire alle sue stesse parole di tradirla.
- TU COSA?- a quella ragazza non importa quello che attorno a lei accade. L’attacco, il crollo della sua città, le innumerevoli perdite… niente in quel momento riesce a distoglierla dal pensiero di staccare quelle due ragazze. Un pensiero irrazionale, nato nel più inopportuno dei momenti, ma per lei ora necessario come l’aria che respira.
Controllo. La sua vita è alla deriva e ha bisogno di poter controllare qualcosa, fosse anche solo una superficiale amicizia nata tra i banchi di scuola.
Sfogo. Forse è rimasta sola e forse non ha più una casa. Ha bisogno di dar voce a quei sentimenti di rabbia e paura che la opprimono facendola sentire impotente.
Per questo continua a urlare. Per questo continua a scuotere la ragazza dai capelli rosa.
Tutto solo per un irrazionale sentimento che se messo da parte potrebbe salvare più vite, compresa la sua.
- io…- Mimi abbassa lo sguardo, cercando di trovare dentro di se la forza di reagire - … penso…-
La sua voce è solo un lieve sussurro quasi impercettibile - …che dobbiamo aiutarla-.
- COSA?- la voce della ragazza è talmente carica di rabbia che fa desiderare a Mimi di essere rannicchiata in un angolo a fare finta che il mondo non esista – cosa hai detto?- le sue unghie laccate in un intenso color porpora affondano nel braccio della prescelta, lasciando che i primi rivoli di sangue solchino la pelle chiara della ragazza accovacciata.
Un gemito di dolore a malapena trattenuto viene prodotto dalle labbra di Mimi, stringe il pugno di quel braccio sospeso a mezz’aria cercando di confermarne ancora la sua appartenenza.
- dobbiamo aiutarla- riesce in fine a dire mantenendo ostinatamente lo sguardo lontano da quegli occhi cremisi così ricolmi di rabbia.
- NO!- lascia andare improvvisamente quel braccio, quasi ne fosse rimasta scottata – perché?-
- perché…- parla Mimi tentando ancora miseramente di salvare almeno una parte della sua maschera - … perché… anche lei è un essere umano… e … e adesso è ferita-
- bugiarda!- una spinta fa cadere in terra la prescelta – BUGIARDA!- le urla contro l’altra ragazza senza sosta, pestando rabbiosamente i piedi per terra.
- no… io …- trema la prescelta davanti a quel comportamento a cui mai era stata sottoposta – io… non sono…- vorrebbe dire bugiarda, ma non può – io non…- vorrebbe dire che mai mentirebbe perché lei è la prescelta della sincerità, ma nemmeno quello può fare.
 
Cara Mimi che ancora abbassi lo sguardo in cerca di una fuga, ora che le tue bugie non incantano più nessuno, dietro a cosa ti nasconderai?
Guardati attorno Mimi… guardati attorno e cerca qualcosa per cui combattere… per cui vivere.
Cercalo, afferrarlo e proteggilo.
 
Vorrebbe scappare in quel momento, il suo corpo, il suo istinto, tutto di lei le urla di andare via, più lontano che può.
Eppure… eppure come attratto da una forza magnetica il suo corpo non riesce a fare un passo. Non può perché in quel momento è l’unica cosa che fa da scudo a una ragazza altrimenti indifesa.
Quella stessa forza fa girare la piccola Mimi costringendola a guardare veramente il volto della sua migliore amica per la prima volta da un tempo che le pare infinito.
Si stupisce di quanto sia cresciuta, di come i suoi capelli si siano allungati, di come il suo volto sia ora più adulto e si stupisce di quanto le sia mancata.
Le immagini degli anni passati assieme le invadono la mente a un ritmo vertiginoso, ed insieme ad esse riemergono tutti i sentimenti che aveva così disperatamente tentato di dimenticare.

 

Una spinta. Tutto quello che le serve in quel momento è solo una piccola spinta per farla andare avanti. Un piccolo aiuto per far cadere del tutto quella triste maschera, così da permettere ancora al suo vero io di brillare incontrastato.
E infondo chi siamo noi per negarle questo?
 
Tutto nella mente della ragazza accade in un attimo.
Una luce calda proveniente dal mondo esterno le illumina il viso, costringendola ad abbandonare il volto di Sora per alzare lo sguardo.
Lì, attraverso quel muro crollato, poco lontano da dove lei è inginocchiata, è apparsa in tutto il suo splendore una colonna di energia.
È un obelisco dai vivi colori sulla cui cima si erge vittorioso lo stemma del coraggio.
Coraggio…ecco cosa le mancava… ecco la spinta che aspettava… ecco il simbolo che le urla di non arrendersi e di non aver paura, perché lei non è, e non sarai mai, sola.
 
Sorride Mimi. Sorride e lentamente si volta verso quella ragazza che fino a pochi secondi prima le aveva buttato addosso tutto il suo odio e la sua rabbia – hai ragione…- Mimi delicatamente e con grazia si alza, davanti all’espressione stupita della sua ex compagna - … quello che hai detto è vero…- sospira cercando dentro di se la forza di finire quello che ha iniziato – io sono una bugiarda…-.
- NO!- urla la cheerleader allontanandosi di qualche passo – STA ZITTA!- si copre le orecchie con le mani, nel vano tentativo di cancellare quello che essa stessa ha generato.
- ho sempre mentito…-. Continua Mimi, ora o mai più - … ma adesso basta!- si volta verso Sora regalandole uno sguardo pieno d’amore e scuse – questa ragazza… è la mia migliore amica, lo è sempre stata e lo sarà sempre- affonda la mano nella borsetta a tracolla che mai per un minuto l’aveva abbandonata in quelle terribili ore - … e io…- estrae l’unico oggetto che mai si sarebbe sognata di mostrare al mondo - … sono una prescelta…- stringe al petto il suo digivice ora ornato in una tenue luce verde – e sono dannatamente fiera di esserlo!-.
La ragazza rimane lì, immobile a guardarla, e Mimi, per la prima volta si disinteressa di quello che gli altri potrebbero pensare di lei.
- m… mi… Mimi- una flebile voce, incorniciata da due grandi occhi cremisi riesce al contempo a far sbiancare e illuminare la prescelta.
- oddio Sora… sei sveglia.- Mimi ignora ogni cosa che la circonda fiondandosi di nuovo a fianco della sua migliore amica. – come stai?... dove ti fa male?...- una raffica di domande che non può trattenere, così come non può trattenere quella felicità che ora la invade.
Non deve più nascondersi, non deve più fare finta, ora può gridare al mondo chi è veramente e se il mondo non la vuole ascoltare… beh è un problema che non la riguarda.
- Sora!- un tocco di panico l’avvolge quando vede scendere sul volto dell’amica delle lacrime traditrici – cos’hai? Perché piangi?... oddio… andrà tutto bene, adesso cerco Joe… e poi…-
- Mimi!- con voce decisa anche se un po’ roca la prescelta dell’amore riesce a fermare l’ondata di panico della sua amica – va tutto bene… - il suo volto si illumina di un sorriso carico di affetto – ben tornata amica mia… - si mette con fatica seduta e stringe a se quel corpo che per anni le era solo vietato anche guardare - … sono fiera di te… mi sei mancata!-
Le due ragazze piangono. Piangono tutte le lacrime che per anni avevano trattenuto in silenzio.
Piangono mentre due luci le avvalgono come un gentile abbraccio materno.
La luce verde che porta con se il simbolo della sincerità e la luce rossa che porta con se il simbolo dell’amore. Eccole le mie due sorelle che dopo anni hanno finalmente riacquistato il loro giusto posto.
- andiamo…- sussurra Mimi tra le lacrime - … andiamo dagli altri… hanno bisogno di noi-
Annuisce Sora alzandosi a fatica. Trattiene a stento il dolore che invade il suo corpo e lo nasconde dietro un falso e tirato sorriso.
Mimi avanza con rinnovata sicurezza e Sora silenziosamente la segue.
Forse se il buio non fosse stato il sovrano di quel luogo, forse se le lacrime non avessero incrinato la vista di Mimi e se forse non ci fosse stato il pensiero di raggiungere gli altri prescelti in fretta, allora, forse la prescelta della sincerità avrebbe notato quel pezzo di ferro che dalle macerie fuoriusciva… quel pezzo di ferro arrugginito coperto da un insolito colore rosso.
 
 
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L’urlo del digimon del mare si innalza nella tempesta, riuscendo a smorzare i suoni di quell’inferno.
È un ruggito carico di rabbia e dolore, pronunciato da chi sarebbe disposto a cedere anche la sua stessa vita pur di proteggere quella di chi ama.
È un suono triste che lacera il cuore e le speranze di chi lo ascolta.
- ikkakumon…- una parola solo sussurrata dalle labbra ormai quasi blu del prescelto dell’affidabilità. L’ultima parola pronunciata prima di rendersi conto del pericolo che sta per investirlo.
Era rimasto nel centro della battaglia per affiancare il suo più fidato amico.
Era rimasto senza nascondersi o indietreggiare per poter gridare a gran voce il suo sostegno.
Era rimasto nonostante le preghiere del digimon di allontanarsi… era rimasto ed ora era solo un peso.
Pochi attimi di consapevolezza e poi il mondo intorno a lui cominciò a perdere consistenza, come se tutti i rumori, gli oggetti e le persone, fossero scomparsi, lasciandolo così da solo con quella sfera di energia oscura pronta a divorare la sua vita.
Non ha il tempo di pensare, chiude gli occhi registrando nella sua mente solo l’urlo del suo digimon.
Qualcosa di freddo e liscio avvolge velocemente buona parte del suo corpo.
Il terreno sotto i suoi piedi viene bruscamente meno, lasciandogli solo una forte sensazione di vertigini.
Un boato. I suoni di un crollo. L’odore pesante del cemento si sparge nell’aria diventando un tutt’uno con la pioggia.
Tiene gli occhi ancora saldamente chiusi, rifiutandosi anche per un solo istante di aprirli.
Non può e non vuole, perché aprirli significherebbe vedere la fine di tutto e questo non è in grado di accettarlo.
- Joe il tono allarmato di una voce a lui famigliare lo chiama – Joe… hei amico tutto bene?- viene dall’alto, sopra di lui anche se non di molto.
È una voce che il prescelto conosce bene, ma che mai si sarebbe aspettato di sentire quel giorno.
Il suo istinto gli urla di aprire gli occhi e lui fedele lo segue. Osserva e studia quello che lo circonda, riuscendo finalmente a capire perché quel colpo non è mai andato a segno.
- oddio – si accorge che sotto di lui ad accoglierlo c’è solo il vuoto – ma dove…? Come…?- lontano dalla solida terra, guarda dall’alto i resti della città riuscendo solo con fatica a distinguerne i netti contorni.
La paura dell’ignoto percorre velocemente il suo corpo, spingendolo ad aggrapparsi con forza a quell’unico elemento solido che sembra impedirgli di cadere.
- non temere Joe – ancora la voce di prima lo chiama, questa volta però con un tono più rilassato, quasi divertito – non ti molla-.
Ancora confuso e frastornato scende con lo sguardo fino all’oggetto che con cura lo sta sorreggendo, per quanto un enorme artiglio di un cupo blu scuro possa farlo.
Lo risale interamente fino a riconoscerne il proprietario – kabuterimon – sussurra piano mentre un vero sorriso si dipinge sul suo volto.
Il digimon solleva il braccio, permettendo così al prescelto di atterrare sulla sua testa, dove, saldamente attaccato al suo corno, c’è l’ultimo membro della banda originale che ancora mancava all’appello.
Irido blu si specchiano in iridi color porpora, ritrovando in esse quella voglia di vivere che da tanto tempo non vedeva.
- Izzy…- un nome appena pronunciato, forse nel timore di scoprire che il ragazzo davanti a lui è solo un’illusione provocata da quel colpo – sei … sei qui – solo una costatazione dettata dal caldo contatto che solo un abbraccio tra amici può dare – stai bene?... quando sei arrivato …? Come...?-
Il prescelto della conoscenza scuote il capo divertito dall’eccessiva premura con cui il suo amico lo sta radiografando con lo sguardo per assicurarsi che sia tutto intero.
- Joe…- sorride Izzy sentendo quel senso di vuoto che lo aveva divorato per mesi cominciare a sanarsi - … scusa il ritardo-
- bentornato amico…- il più grande poggia una mano sulla spalla del giovane genio stringendola come farebbe un padre fiero di suo figlio - … è da un po’ che ti stiamo aspettando-.
 
Una luce dai caldi colori d’orati si innalza nell’oscurità che nella città regnava.
I due prescelti dall’alto del possente kabuterimon seguono la sua nascita con lo sguardo, osservandola stagliarsi fino al cielo.
Con il volto serio e concentrato pensano alla loro prossima mossa, mentre un solo nome muove nelle loro menti. – Tai…- sussurrano all’unisono entrambi i membri presenti, percependo quell’energia come un invito a raggiungerlo.
- andiamo dagli altri…- parla Joe senza mai distogliere gli occhi dalla colonna di luce che si era generata.
- si…- continua Izzy pervaso da una nuova forza, la stessa regalatagli dal suo leader attraverso un sogno - … è da troppo che ci siamo persi…- sorride dentro di se al pensiero che solo Tai aveva il potere di mantenerli uniti nonostante tutto e tutti - … è ora di tornare a essere noi stessi-
- e poi…- Joe rivolge lo sguardo verso il palazzo prima crollato sotto il peso del suo digimon – devo ritrovare gomamon prima che si accorga della mia assenza e abbia un attacco di cuore-
 
Si allontanano i due ragazzi nella tempesta, mentre una sfera tinta del colore del metallo corre per raggiungerli, così da permettere che anche l’affidabilità si ricongiunga al suo prescelto.
 
 
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Le lacrime scorrono libere e silenziose sul volto stanco e sciupato della prescelta della luce.
Il corpo avvolto in una bianca divisa ora logora e bagnata è un invitante preda per le creature dell’oscurità.
La fronte è appoggiata contro quella, sempre più fredda, di un gatto bianco mollemente abbandonato sul suo grembo.
Trema per la pioggia che congela lentamente il suo corpo.
Trema per ogni silenziosa lacrima versata.
Trema per il senso di solitudine e dolore che nel suo animo si diffonde.
Non alza lo sguardo da quel corpicino privo di forza nemmeno per un secondo, non ora che il suo cuore è spezzato per aver perso i suoi tesori più cari.
Rimane immobile anche quando l’ombra della morte si avvicina a lei desiderosa di divorarla.
Lentamente, la creatura dell’odio, chiude quel poco spazio che ancora proteggeva la prescelta della luce. Guarda con occhi avidi la bimba indifesa che curva sotto la pioggia a malapena trattiene tutto il suo dolore. La studia e pregusta il suo nuovo banchetto.
Tuttavia per quanto fossero affilati i suoi artigli non sono riusciti a giungere a destinazione.
- KARIIIIII- un aiuto giunge per lei a cavallo di un drago azzurro e bianco.
- combatti con me mostro…- si pone a scudo della sua preziosa amica, bloccando con ritrovata energia ogni singolo attacco a lei destinato – … con me non avrai speranza.-
Si volta il giovane prescelto alla ricerca di uno sguardo d’assenso da parte della compagna d’avventure. – Kari?- il panico scorre velocemente nel suo corpo quando si accorge di avere davanti solo una bella bambola avvolta nel suo dolore.
- Davis!- la voce rauca di exveemon cerca di trasmettere al suo prescelto tutta l’urgenza che la situazione presenta.
- lo so!- Con un agile salto scende dalla schiena del suo digimon – tienilo impegnato più che puoi-
Con un cenno di intesa si separano, ognuno con la sua battaglia e il suo obbiettivo in mente.
 
- Kari!- si fionda accanto alla ragazza ricoprendo in pochi secondi la distanza che li separava – Kari! Parlami… cosa è successo?- un innato istinto di protezione accompagnato a un irrazionale desiderio di vendetta invadono la mente e il cuore del giovane.
La ragazza continua a tremare senza nemmeno provare a guardare il nuovo arrivato – tutto finito…- sussurra tra i singhiozzi - … non c’è più nessuno…- le lacrime scorrono ancora più veloci lungo le sue pallide guance - …non c’è più speranza.-.
Gli occhi di Davis si spalancano in un moto di rabbia e paura – che stai dicendo?- le afferra le spalle cercando di svegliarla – che cosa ti è successo Kari? Dove sono gli altri?-
- Gatomon… mi ha salvato…- stringe ancora di più a se quel corpo immobile – Tai… mi ha salvato…- non può fare a meno di pensare all’ultimo triste sorriso che il fratello le aveva regalato - … Tk è sempre lì a proteggermi… io sono inutile… e adesso loro non ci sono più…- come un lento mantra poche parole continuano a uscire dalle sue labbra – colpa mia… solo colpa mia-
- adesso basta!- l’urlo di Davis così carico di sentimento riesce a fermare lo stato depressivo della ragazza, portandola almeno per pochi secondi ad alzare lo sguardo – smettila di dire sciocchezze! Siamo una squadra e questo implica che ci proteggiamo a vicenda- un ghigno appena accennato appare sul volto del ragazzo – Gatomon è forte e se facciamo in fretta si riprenderà… Tai è beh è Tai e non si farà abbattere tanto facilmente… mentre Tk… appena lo trovo gli darò una bella lezione per aver lasciato da sola una bella ragazza come te!- e quel ghigno si trasformò in un luminoso sorriso.
- Davis…- Kari sentiva le sue tenebre diradarsi, mentre un piccolo spiraglio di luce si riapriva nel suo animo, un piccolo spiraglio di luce portato da quell’uragano di Davis.
Gli occhi della prescelta si spalancano quando il simbolo del coraggio si innalza alto nel cielo tramutando l’oscurità in una nuova speranza.
Un piccolo sorriso si anima sul volto della ragazza restituendo un po’ di vita a quegli occhi prima così vuoti – Tai…-.
- visto?!- Davis si alza con uno sguardo compiaciuto indicando la colonna di energia – te l’avevo detto  o no? Non si può abbattere Tai così facilmente… infondo è il mio sempai.-.
- grazie.- Kari afferra la mano che il compagno con affetto le tende. Un contatto che permette alle energie del digivice di Davis di raggiungere quello di Kari per dare nuova forza al suo digimon.
- grazie- sussurra di nuovo la ragazza sentendo il corpo di Gatomon riprendere il calore perduto.
- per così poco- con fare strafottente il prescelto porta una mano dietro la testa scompigliandosi i capelli.
- e Kari?- continua ritrovando un tono serio – non sei inutile…- vede la ragazza fissarlo con aria stupita - … sei uno dei nostri membri più forti… e prenderò a calci chiunque dica il contrario-.
Senza nemmeno darle il tempo di rispondere comincia ad avviarsi verso il suo digimon – andiamo… è ora di mettere fine a tutto-
I ragazzi camminano fianco a fianco mentre due sfere accompagnano il loro viaggio. Alla fine anche miracolo e luce hanno fatto il loro ingresso in campo.
 
 
 
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L’urlo di dolore di un angelo dalle ali spezzate si fa eco in quell’inferno di acqua e vento.
Il suo corpo fragile viene schiacciato lentamente e crudelmente tra gli artigli della morte.
Un corpo che anche se fatto di dati può provare come ogni altro essere vivente tutta l’agonia che quella tortura può provocare.
- angemon…- in ginocchio è caduto il suo prescelto sentendo il peso di quelle urla come il proprio.
Svuotato e perso il giovane dai biondi capelli osserva privo di energia la fine di una vita per lui importante.
Una vita sacrificata per lui e solo per lui.
Le grida aumentano ma la sua mente, inaridita come il suo cuore, non riesce a reagire, rimanendo solo un passivo spettatore.
- fermo!- una diversa folata di vento ha il potere di interrompere quello strazio, impedendo che l’angelo cada di nuovo nell’oblio della morte.
Un colpo netto e preciso recide l’artiglio della bestia dando libertà e respiro al digimon, che nella caduta ritorna al suo livello base.
Tk no sa chi o cosa abbia salvato il suo amico da quel supplizio, tutto quello che riesce a registrare in quel momento è la forza di gravità che priva di pietà attira verso il basso quel piccolo essere indifeso.
Facendosi condurre solo dall’istinto e dall’adrenalina si alza e si lancia nella speranza di almeno attutire la caduta del suo digimon.
Come dei piccoli flash gli eventi che si susseguono vengono registrati nella sua mente.
Le urla. La caduta. Un piccolo ed esausto digimon che giace nelle sue braccia. Un guerriero alato che si pone come sua spada e suo scudo. Una voce che cerca di attirare la sua attenzione.
Tk percepisce la presenza di qualcuno accanto a lui, è un’immagine che ricorda vagamente i toni cupi della notte. La percepisce, la riconosce e vorrebbe davvero ringraziarlo per quello che per lui sta facendo.
Vorrebbe, eppure, non riesce a proferire parola o ad accennare un sorriso.
I suoi pensieri sono avvolti da pesanti tenebre, diffusasi dentro di lui insieme al terribile ricordo della perdita del suo digimon avvenuta quando era ancora un bambino piccolo.
- patamon…- avanti e indietro dondola il suo corpo, continuando senza sosta a pronunciare il nome del piccolo essere come se solo questo gesto potesse aggiustare tutto - … mi dispiace… patamon… patamon…-
Un ragazzo dai capelli neri si china accanto al biondo coetaneo, inzuppando nel fango la sua bianca divisa nel toccare il suolo. – stingmon!- urla poi girandosi verso il suo digimon – cerca di tenerlo a bada… penso che tk sia sotto shock… ci serve del tempo-.
- certo… farò quello che posso- con eleganza il digimon insetto parte all’attacco, con l’intenzione di non deludere il suo prescelto.
- Tk!- non cercando di nascondere tutta l’urgenza della sua voce, il nuovo venuto prende con forza le spalle del ragazzo biondo – hei?! Mi senti?! Tk!-
Un sussurro di parole incomprensibili e incoerenti è tutto quello che riceve in risposta il giovane genio. Un flusso di elementi sconnessi mischiati alle lacrime di un giovane guerriero.
- Tk…- con energia cerca di scuotere quel corpo altrimenti immobile - … sveglia amico… Tk… patamon si riprenderà…- un silenzio vuoto e due occhi vitrei è tutto quello che riceve – Tk…. Dannazione tk! Guarda!- urla cercando di riportare lo sguardo vuoto del ragazzo verso il digimon che nelle sue braccia riposa - … Tk l’hai salvato… lui è ancora qui!-.
Si morde nervosamente le labbra cercando di trovare in fretta una risposta – dannazione!- impreca nella sua impotenza.
Lascia la presa e si scosta volendo osservare in modo distaccato quello che a davanti. Non si alza, rimane solo lì sul posto per qualche secondo.
- non ho altra scelta- ripete più a se stesso che ad altri – scusa amico- e il forte rumore di uno schiaffo si genera in quella piccola parte di mondo dimenticato.
Tk sbatte più volte le palpebre registrando il dolore, la presenza calda nelle sue braccia, il freddo della pioggia e l’immagine di un ragazzo chino su di lui che lo guarda con aria preoccupata.
- Ken?!- il prescelto della bontà tira un sospiro di sollievo davanti alla reale riuscita di quel gesto avventato – che cosa…?- il prescelto della speranza è smarrito fino a che un flash si sblocca nella sua memoria riportando in vita la battaglia appena trascorsa – angemon!- urla agitandosi improvvisamente

- stai tranquillo- Ken lo riafferra per le spalle – sta bene- dice indicando la palla bianca e arancio che giace nelle sue braccia.
Tk sorride cercando di riporre nel dimenticatoio della sua mente quei ricordi che hanno il terribile potere di far crollare la sua anima come un castello di carte.
Non sa ancora se e come tutto questo finirà, sa solo che deve andare avanti. Dovrà combattere ancora, questo si, ma adesso è più tranquillo. Per lui avere il suo migliore amico al sicuro tra le sue braccia è più che sufficiente.
 
Una colonna di luce si innalza poco lontano chiamando a gran voce la fine di quell’incubo che tutto aveva avvolto.
 
- qualcosa mi dice che dobbiamo andare la- parla Tk con un tono leggermente ironico ritrovando così un po’ della sua sicurezza che insieme alla sua speranza aveva abbandonato.- ma prima andiamo a cercare Kari infondo il giovane ha sempre una promessa da mantenere.
- oh… - lo guarda Ken sorpreso – non ti preoccupare… Davis è andato ad aiutarla-
Tk si blocca sbiancando leggermente in viso – Davis?... e io non mi dovrei preoccupare??!!-
- si tranquillo…- si alza trascinando con se il biondo – vedrai che se la caveranno-
Anche se poco convinto il giovane Tk si avvia a fianco dell’ex imperatore per ricongiungersi con la sua squadra, mentre nei loro digivice lente ritrovano la strada di casa le sfere coi simboli della speranza e della bontà.
 
 
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Un grido di rabbia e dolore fuoriusciva dal fragile corpo di un ragazzo dai biondi capelli.
In ginocchio tra il sangue e il fango rimaneva chino sopra la figura di un altro essere umano.
Piangeva il giovane tenendo stretto a se il corpo dell’uomo più vecchio, sentendolo diventare ogni minuto sempre più freddo.
Non riusciva a muoversi o a pensare correttamente, troppo grande era la ferita che attanagliava la sua anima. Una dolorosa e infetta ferita che lo aveva reso la persona chiusa e diffidente che era, portandolo più di una volta a rischiare di perdere se stesso.
Una ferita che era sempre stata lì da quando i suoi genitori avevano divorziato portandogli via la cosa a lui più preziosa: il suo fratellino.
Inconcepibile era ed è sempre stata quella perdita, soprattutto per un bambino che brutalmente viene gettato nel mondo reale degli adulti.
Negli anni si era lenita grazie a digiworld e alle splendide avventure che aveva vissuto, si era sentito di nuovo amato e accettato, permettendo che quella silenziosa malattia chiamata solitudine finisse nel dimenticatoio.
Un bel sogno nato in un mondo magico, tra strane creature e amici veri che sono diventati la sua nuova famiglia.
Bello. Tutto era bello. Peccato che alla fine dal quel sogno si fosse risvegliato.
La pausa era finita e lui si era solo illuso, ritrovandosi così a vivere un nuovo e terribile incubo.
Era stato rigettato nella sua solitudine e quei pochi affetti che aveva gli erano stati negati. Alla fine quella ferita non solo era stata riaperta, ma era diventata ancora più grande.
Annaspava e soffocava ogni giorno in un mare di rabbia incontrollata.
Rabbia verso se stesso perché si era illuso.
Rabbia verso i suoi amici perché avevano creato quell’illusione e ora non volevano combattere per essa.
Rabbia verso i suoi famigliari perché uno dopo l’altro l’avevano abbandonato senza nemmeno permettergli di dargli un ultimo degno addio.
E infine rabbia verso quel mondo che tutto ciò aveva generato, perché lui ne era certo, tutto questo poteva essere evitato.
Se solo gli avessero dato una possibilità…
Se solo gli avessero ascoltati…
Se solo si fossero degnati di guardarli, invece che giudicarli…
Allora tutto sarebbe stato diverso e lui si troverebbe avvolto tra i suoi affetti in una calda casa invece che solo e abbandonato sotto una fredda pioggia.
Perché era lì poi?
Perché stava combattendo?
Perché voleva vincere?
Chiude gli occhi e ride di se stesso. Ride di quel ragazzino stupido che altro non aveva fatto che rincorrere per tutta la vita inutili chimere.
Illusioni. Perché le cose non cambiano.
Illusioni. Perché i miracoli non avvengono.
Illusioni. Perché alla fine le persone a cui vuoi bene ti lasciano.
Illusioni. Perché la morte non la puoi combattere, tanto vince sempre lei.
Favole. Erano tutte favole e lui ci aveva creduto, come un idiota ci era cascato sperando in un lieto fine che non è mai arrivato.
E ora non ha più niente a cui aggrapparsi, perché anche l’ultima persona per lui importante l’aveva lasciato solo.
Piange su quel corpo immobile senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità di andarsene da lì, per andare dove poi? Non gli è rimasto più nulla.
 
Qualcosa lo strattona violentemente da dietro, cercando di staccarlo dal corpo del padre.
Matt nemmeno guarda chi lo sta portando via, l’unica cosa che fa è continuare a lottare per tornare a fianco di quell’uomo che per lui ha dato la sua vita.
Qualcuno parla in sottofondo, ma al ragazzo giungono solo parole sconnesse.
Non gli importa chi è o cosa vuole, in quel momento non gli importa di niente e nessuno.
Scivola nel fango mentre tenta disperatamente di scappare da quella presa così ferrea e protettiva allo stesso tempo.
Cade ma viene fatto rialzare con forza e con la stessa energia viene trascinato per qualche metro fino a ritrovarsi in un luogo asciutto.
Una donna bionda e un uomo dai capelli blu lo stavano studiano con aria attenta, quasi a temere un’altra crisi da un momento all’altro.
- Matt?- la donna cerca di accarezzare i capelli del ragazzo ora seduto sul freddo cemento con la testa nascosta tra le ginocchia.
- hei ragazzo- l’uomo si sistema gli occhiali così malamente cadutagli sul naso – sei ferito?-
Forse per la sensazione di sicurezza che quelle voci gli regalavano o forse solo per il fatto di non essere più sotto la pioggia con davanti il cadavere del proprio genitore, riesce a ridare al prescelto un po’ di controllo – no… io sono tutto intero- anche se un singhiozzo tradisce le sue parole.
- meno male…- sussurra piano la donna inginocchiandosi per raggiungere lo stesso livello del figlio.
Matt alza gli occhi, trovandosi a specchiarsi in due iridi identiche alle sue – mamma…- ancora le lacrime percorrono la sua pelle pallida - … io… io non sono ….non mi ero accorto… poi papà era lì…- le immagini di quello che era appena successo sono ancora vive e nitide nella sua mente – mamma … mi dispiace…-
- non è stata colpa tua…- la voce della donna è ferma, aveva amato quell’uomo ma ora la sua priorità è mantenere in vita i suoi figli -…è stata una sua scelta… tu … non potevi fare nulla. -
- è finito.- sussurra Matt senza quasi nemmeno dare retta alle parole della madre.
- cosa?- chiede curioso e preoccupato il signor Kido – che cosa è che è finito Matt?-
- tutto…- si sente svuotato, si sente perso, si sente solo… e non prova neanche a nasconderlo - … ormai non c’è più speranza.-
- ti stai arrendendo forse?- un filo di rabbia e delusione scorrono nella voce del dottore – dopo tutto quello che avete passato ti lasci andare così?-
Il prescelto abbassa la testa, stringendosi ancora di più contro il muro in cerca di calore e protezione.
- Matt…- lo chiama dolcemente la madre - … non arrenderti…- accarezza piano i capelli fradici e sporchi del ragazzo -… c’è ancora tanto per cui lottare-
- non è vero…- Matt non la guarda si limita solo a nascondersi per evitare di affrontarla direttamente -… non sono arrivato in tempo… né per papà… né per Tai… né per Tk e… e ora non c’è più nessuno. -
Scuote il capo la donna in un lento e triste movimento – non è vero Matt e tu lo sai bene- afferra la mano del figlio stretta a pugno con determinazione intorno a un oggetto – guarda…- quasi come un automa esegue le parole della donna, trovandosi a osservare uno schermo grigio dove frenetici si muovevano più puntini rossi - … questi sono i tuoi amici vero? Il digivice segna la loro presenza, anche se sono lontani. -

Matt la fissa con aria sorpresa e incuriosita, ma ancora non comprende come questo possa aiutarlo – si… ma…-
- ragazzo.- interviene il dottore con voce decisa - … mio figlio, tuo fratello e il resto della tua squadra sono ancora tutti vivi e stanno ancora combattendo…- i segnali sul digivice si muovono con energia sullo schermo, dove, ogni tanto, appare un puntino nuovo - … diavolo, sono anche più di prima… e…- sorrise aggrottando leggermente la fronte per la sorpresa - … anche se è incredibile credo che anche Yagami sia tornato tra noi!-
- Tai?!- Matt spalancò gli occhi sentendo percorrere nel suo copro un brivido di impazienza e speranza – cosa glielo fa pensare?-
L’uomo sorrise e alzo divertito la mano per indicare il mondo esterno che da un muro crollato si poteva scorgere – beh, lo posso dedurre da quella gigantesca colonna di luce-
Matt scatto velocemente in quella direzione stringendo ancora in mano il digivice.
Studiò con attenzione quel fenomeno quasi a volersi assicurare della sua reale presenza, trovandosi per l’ennesima volta a maledire il suo leader per il suo dannato carattere impulsivo.
Quasi sorrideva mentre pensava al meritato pugno che gli avrebbe tirato quando tutto questo sarebbe finito. Oh, sì, dopo avergli rovesciato addosso il ruolo di leader se lo meritava proprio.
- hai visto Matt?- sua madre con pochi passi lo aveva raggiunto – non sei solo, hai ancora me, tuo fratello e tutti i tuoi amici – un sorriso lieve e amorevole era sul volto stanco e bagnato della donna – proteggili e combatti per loro-
Il prescelto si sentiva confuso, per via degli opposti desideri e sentimenti che attraversavano la sua mente e il suo cuore. Da un lato il dolore per quanto era appena successo che lo spingeva a chiudersi in se stesso, abbandonandosi in un angolo a piangere. Mentre dall’altro c’era il sollievo e la speranza di vedere insieme alle persone che amava un nuovo giorno.
- Matt…- una mano calda si appoggio delicatamente sulla spalla del ragazzo – avremo tempo per piangere domani, ora dobbiamo trovare il modo di andare avanti…- la donna si trovava a combattere contro tutti i suoi istinti che gli urlavano di scappare con i figli e metterli al sicuro, ma alla fine sapeva bene che quella non era la scelta giusta - … vai da loro… vai dai tuoi amici, lo so quanto sono importanti per te-
Matt annuì tenendo lo sguardo fermo su quella colonna che da sola riusciva ad illuminare tutto il cielo nero.  Sua madre aveva ragione, aveva ancora qualcosa di prezioso e, anche se dovesse combattere il mondo intero, lo avrebbe protetto.
L’ultima luce si stacco dal mondo dei dati prendendo il suo degno posto accanto al prescelto dai biondi capelli… una sfera blu che rappresentava l’amicizia.
 
Ora che anche l’ultimo dei miei fratelli è finalmente sceso in campo posso tirare un sospiro di sollievo, per questo mondo c’è ancora speranza.
 
L’ultimo round stava per avere inizio…
 
 
Continua…
 
Fino dell’ottavo… fatemi sapere che ne pensate^^.
Avrei voluto finire qui la battaglia ma a quanto pare sono un po’ prolissa e quindi continua nel prossimo. Spero che la parte iniziale del chappy non abbia creato troppa confusione.
Ciao ciao
Lau2888
  

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Capitolo 9
*** passo 9) davanti a un triste giardino fiorito ***


Ciao a tutti^^.
Un esame e un trasloco mi hanno tenuto via da efp, ma alla fine sono tornata.
Allora… ringrazio come sempre i santi lettori e i santissimi recensori che sono per me una fonte d’ispirazione continua.
Detto questo auguro buona lettura nella speranza che non vogliate uccidere l’autore prima della fine del chappy^^’’’
 
 
 
 
 
Passo 9) davanti a un triste giardino fiorito
 
La tempesta, che implacabile aveva martoriato una città già ferita, stava ora lentamente svanendo dall’orizzonte.
Le nuvole nere degradavano piano piano in colori più tenui, lasciando finalmente la possibilità al cielo di rischiararsi.
Il vento smetteva la sua furente corsa, diventando solo un tenue sospiro che delicato si intreccia con la sottile e rada pioggia che ancora era rimasta.
Il freddo invernale non aveva abbandonato l’aria ma ora senza quel tumulto frenetico di eventi naturali sembrava meno pungente e spietato.
L’acqua era scesa in abbondanza in queste poche ore, arrivando a penetrare ogni anfratto ormai scoperto di questo luogo, che fino a ieri era pienamente vivibile.
È un liquido tinto dai colori della battaglia che affonda tra il cemento delle strade crepate riuscendo così a toccare la nuda terra altrimenti irraggiungibile.
Incontrollabile scivola libero tra le macerie di quelle che l’uomo ha sempre considerato abitazioni resistenti e sicure. È un percorso che non conosce più limiti, arrivando perfino a toccare tutti quei beni preziosi che gelosamente ogni persona custodiva con cura sotto la protezione della propria casa.
Un torrente d’acqua sì e generato tra le varie vie. Un torrente che puro scorre portando via con se sangue e macerie.
Per ventiquattro ore la città era stata soffocata dal buio della paura e della disperazione, ma ora un primo piccolo respiro aveva portato la speranza… un respiro che aveva assunto la forma di una colonna dai caldi colori del sole.
Non so se ridere o essere deluso dalla certezza che se fosse apparsa solo due giorni addietro sarebbe stata accolta come l’ennesima grande minaccia proveniente dal mondo digitale.
Forse dovrei chiamarla ipocrisia? Istinto di sopravvivenza? Ignoranza? O forse è solo la natura umana? Questo non lo so. Di per certo posso solo dire di aver visto nascere un sorriso sul volto di chi si è reso testimone del librarsi del mio simbolo nel cielo… un simbolo che adesso ha il potere di placare anche l’animo più spaventato e solo che in alto ha rivolto lo sguardo.
 
Ed eccolo…un obelisco che collega la terra e il cielo come se fossero una cosa sola. Non ha consistenza perché è nato dal mio stesso potere, però ha la forza di portare un raggio di luce tra le tenebre… uno spiraglio che è visto in ogni angolo di questo posto che chiamate casa.
Davanti a quella potente colonna di energia un nuovo guerriero aveva fatto il suo ritorno sul campo di battaglia, pronto a respingere chiunque osasse anche solo scalfirla.
Un digimon dinosauro coperto da un’armatura d’orata raccoglieva i poteri del sole per trafiggere l’oscurità. Il suo scudo, saldamente riposto sulle sue spalle, era proteso per difendere ogni forma di vita che sincera avesse chiesto il suo aiuto.
Ecco, il primo vero atto di speranza messo in campo dai prescelti, il digimon che grazie al mio potere evolve: ecco wargraymon.
 
Con orgoglio, prescelto, ti guardo scendere in campo.
Questa volta andrai fino in fondo, niente al mondo ti farà chiudere gli occhi finché non avrai la certezza che questo inferno ha raggiunto la sua fine.
Non ci saranno barriere. Non ci saranno temporaggiamenti. Non ci saranno seconde occasioni.
Questa sarà la battaglia decisiva, ed io mi ritrovo solo a sperare che voi possiate vedere un altro giorno insieme.
Il mondo dei dati è stato aperto così da permettere ai miei fratelli e alle mie sorelle di attraversare quel ponte per raggiungere i loro prescelti. Eppure, questo non mi rende del tutto soddisfatto, perché anche se i tuoi compagni ancora non lo sanno, questo il tuo ultimo regalo per loro.
Alzi lo sguardo verso il tuo partner, accennando sul tuo volto l’immagine di un piccolo sorriso. Questa volta non sarete soli a combattere, perché sai che i tuoi amici non si arrenderanno, non questa volta.
Senti dentro di te crescere una certezza che per te è assoluta …la certezza che presto saranno da te.
Non importa quante volte la vita vi faccia lo sgambetto, voi vi rialzerete sempre e sempre continuerete a camminare sulla strada che il destino vi ha mostrato.
 
Ardi di decisione, mentre lasci che il tuo e il mio potere si fondano insieme per dare nuova forza a quel guerriero digitale che in campo per te combatte.
Lo stemma che mi rappresenta brilla in tutta la sua potenza. Lo spingi sempre di più, desiderando che la sua energia venga sentita in ogni dove… desiderando che essa raggiunga i tuoi compagni attirandoli a se.
Lo fai perché affrontarli insieme è più sicuro, o almeno questo è quello che continui a dirti, in realtà il tuo invito è solo un piccolo desiderio egoistico di rivederli… un desiderio dettato da una consapevolezza inevitabile.
 
Stringi forte il tuo digivice, mentre con ansia crescente aspetti il segnale che ti indichi che tutto è andato per il meglio.
Una nuova ondata di energia premia le tue aspettative. Volti lo sguardo nella sua direzione, lasciando crescere sul tuo volto un nuovo e ampio sorriso pieno di orgoglio e fiducia.
La tua colonna ora non è più sola a danzare su questo triste palco, la città si tinge finalmente anche di altri colori.
 
Chiudi gli occhi per assaporare questo istante di libertà, mentre le ultime gocce di pioggia scivolano silenziose sul tuo volto.
I primi raggi di sole cominciano a lottare per uscire da quella coltre che li teneva così testardamente imprigionati.
Apri gli occhi mio prescelto ed ammira lo spettacolo che la vita ti offre… ammira il cielo tingersi dei toni dell’arcobaleno.
Il tuo coraggio gli dona il colore arancione.
L’amore della dolce Sora lo affianca con un caldo rosso.
La luce del tuo angelo si staglia brillando di un delicato rosa.
La bontà di Ken la segue con un gentile lillà.
La conoscenza di Izzy ritorna al vostro fianco tinta di un vivo porpora.
L’amicizia di Matt si illumina potente come non mai di un blu profondo.
L’affidabilità di Joe vi avvolge con un deciso color metallo.
La sincerità di Mimi recupera se stessa in un allegro tono di verde.
La speranza di Tk evoca i colori delle stelle, riproducendoli nel cielo.
E infine il miracolo di Davis sprigiona la sua potenza in una luce d’orata a cui speri di affidare il domani.
Ogni colonna rappresenta una battaglia.
Ogni colonna rappresenta un prescelto.
Ogni colonna rappresenta una speranza.
Finché splenderanno nel cielo i doni che esse rappresentano continueranno ad esistere, scacciando le tenebre che questo mondo avvolgono.
Sono ancora distanti l’una dall’altra, sparpagliate sul terreno come ultime roccaforti di questo triste gioco.
Avanzano per riconquistare quello che ingiustamente gli era stato sottratto, distruggendo le pedine avversarie che incontrano sul loro percorso.
I digimon dei prescelti si sono rialzati ritrovando il loro antico splendore, ora non esiste nemico che essi non sono in grado di battere.
 
Un incalzante ritmo di attacchi smorza il silenzio altrimenti immobile che ha avvolto ogni anfratto di una città che vuole disperatamente rialzarsi.
Ogni essere vivente trattiene il fiato davanti alla spaventosa bellezza ed eleganza di quel potere…Un potere per lungo tempo così temuto da tentare di sopprimerlo.
Eppure a quella sconosciuta forza ora devono la vita, ritrovandosi a rispecchiare in essa l’immagine di un miracolo.
 
Le bestie cadono, una dopo l’altra, sotto i ritrovati poteri che ora tingono i vostri digivice.
Il loro numero diminuisce e con esso gradualmente si azzerano le distanze che ancora vi separano.
Ogni stemma è destinato a ricongiungersi con i suoi fratelli così da poter scacciare insieme questa maledizione che così pesantemente ha colpito questa città.
Ormai il tempo è giunto e i prescelti stanno per riunirsi più forti che mai.
 
 
Un piccolo computerino trema nella tua mano, è la tua personale finestra sul mondo, perché da lì puoi sorvegliare i tuoi compagni di avventura.
Non perdi nemmeno una delle loro mosse, pronto a correre da loro al minimo accenno di pericolo.
Li guardi rialzarsi, li guardi evolvere, li guardi combattere e infine li guardi venire da te.
Sollevi il tuo sguardo verso il cielo. Presto il sole farà di nuovo capolino dietro quelle nuvole, abbracciando e riscaldando questo posto altrimenti morto.
Sorridi mentre osservi i suoi raggi lottare per uscirne vincitori, presto la battaglia sarà conclusa.
Il tuo sorriso si spegne, lasciando il posto a un pesante senso di vuoto che dentro di te si diffonde.
Un solo interrogativo ossessiona la tua mente: che cosa accadrà dopo?
Non ti ha mai spaventato pensare al futuro, perché infondo qualunque cosa sarebbe capitata l’avreste affrontata insieme. No, ciò che davvero ti fa raggelare il sangue è il pensiero di non essere lì per sfidare quel futuro con loro.
 
I suoni della battaglia ti riportano alle realtà. Un colpo è esploso particolarmente vicino a te.
- TAI!- la voce rauca del tuo digimon esprime preoccupazione e paura. Decisamente non è il momento migliore per distrarsi. – stai attento!-
- scusa…- ti guardi attorno per scoprire che il numero degli avversari è pericolosamente aumentato, come se quelli rimasti si fossero tutti riuniti in quell’unico punto.
Sbuffi. Ma la cosa non ti stupisce più di tanto, infondo dietro di te si erge una delle strutture più grandi e più gremite di persone dell’intero complesso, alla fine era naturale che venissero lì.
Il tuo digimon urla, mentre rovinosamente viene scagliato a terra da un violento attacco. Anche se potente sono ancora troppi per lui.
Guardi il tuo digivise e rimani impassibile, siete circondati ma la cosa non ti preoccupa.
Hai già valutato attentamente la situazione: scappare sarebbe stupido, per non dire inutile, sei troppo stanco per andare lontano. L’unica possibilità è attendere e avere fiducia.
 
Quegli esseri ti si avvicinano attirati dal mio enorme potere che attorno a te risplende.
Cerchi wargraymon, ma adesso è troppo lontano per raggiungerti in tempo.
Volti lo sguardo decidendo di non chiamarlo, se le cose andassero male sarebbe solo un dolore per lui.
Li fissi con sfida, aggrappandoti con forza al tuo digivice simbolo del tuo coraggio e della fiducia che ciecamente riponi.
- fatevi sotto…- sussurri piano più a te stesso che verso quegli immondi esseri - … tanto non andrete lontano.-
Parte un attacco ma il tuo sguardo non vacilla, rimani immobile e lo attendi.
Un suono ritmico e costante parte ovattato nella tua mano destra, è la conferma che stavi aspettando.
Un piccolo sorriso si dipinge sul tuo volto, qualunque cosa facciano non sei preoccupato.
 
- siluro congelante-
Un assalto, preciso e potente, degno del magnifico digimon lupo a cui appartiene.
Colpisce e congela all’istante, nulla sfugge alla forma mega del digimon dell’amicizia.
 
- aquila incandescente-
Una fiamma nasce dalle ali del digimon dell’amore prendendo la forma di una possente aquila, un fuoco creato per proteggere.
 
- corno demolitore - - martello boomerang-
Con forza si scagliano i digimon della conoscenza e dell’affidabilità, travolgendo tutto quello che le loro saette incontrano sul loro cammino.
 
- cannone floreale-
Un getto di fiori d’orati è tutto quello che testimonia il rapido attacco del digimon della sincerità. Petali sparati da una potente arma a energia.
 
- raggio dell’aurora- - freccia sacra-
Fasci di pura luce vengono scagliati dai digimon angelici della luce e della speranza.
Sacri attacchi nati per eliminare le tenebre e curare dal male.
 
- arpione laser-
Il potere congiunto della bontà e dei miracoli ha dato vita a una delle creature più forti a vostra disposizione: il digimon drago di livello mega in assetto da combattimento.
 
Qualunque attacco fosse a te destinato è stato fermato sul nascere dall’arrivo dei tuoi amici.
In groppa ai loro digimon li hanno condotti attraverso il campo di battaglia travolgendo tutto quello che ostacolava il loro cammino.
Non hanno esitato nel vederti in pericolo, trasformandosi immediatamente nel tuo scudo e nella tua spada.
 
Sorridi. Non hai dubitato di loro nemmeno per un attimo.
 
Scendono con sicurezza dai loro partner per prendere posizioni a fianco a te.
Ti sembra che siano passati anni dall’ultima volta che li hai visti e ti sono dannatamente mancati.
Li osservi con attenzione così da poter imprimere nella tua memoria ogni sottile cambiamento, ogni piccola crescita, ogni minima espressione.
 
Le braccia di tua sorella ti avvolgono così velocemente che quasi non hai nemmeno il tempo di registrare l’evento.- fratellone!- urla contenta stringendoti a se con tutta la forza che le è rimasta – mi hai fatto spaventare…- seria alza il suo sguardo, assumendo un broncio adorabile a cui non sai resistere - … non farlo mai più!-.
Ricambi il suo abbraccio, rinchiudendola in una stretta di pari vigore, ha sofferto tanto in questo poche ore e tanto soffrirà in futuro.
Nascondi il volto nella sua spalla, così da non mostrare l’incrinatura cupa che il tuo viso ha assunto.
Ti mordi il labbro inferiore per impedirti di dirle qualunque cosa, perché sai, che in quel momento la tua voce ti tradirebbe.
 
- Tai sempai – la voce allegra del tuo pupillo segue subito quella della tua sorellina. – sei tutto intero!- è un sole pieno di energia che scaccia automaticamente ogni pensiero oscuro – è stata una cosa incredibile!-.
Sorridi al tuo degno, ma purtroppo, troppo giovane successore. È un falso sorriso, perché sai che un giorno la sua allegria verrà divorata dal peso che in questo mondo il suo ruolo ha assunto… un peso che avresti tanto voluto evitargli.
 
Dietro di loro si avvicinano lente, quasi a rispettare quel veloce ritrovo, due figure avvolte in bianche divise. Due ragazzi, due giovani guerrieri che tante sfide hanno già affrontato per la loro tenera età.
Solo un accenno viene scambiato tra te e l’ex imperatore, ancora troppo chiuso e riservato per manifestare apertamente i suoi sentimenti con voi della vecchia guardia.
Tk, invece, si illumina di un raggiante sorriso, un gesto che ti fa intendere il suo essere allo scuro di molti dei recenti avvenimenti.
Cerchi di nascondere quel sentimento di pietà e compassione che dentro di te si muove, infondo non spetta a te il compito di dirgli quanto è accaduto a quell’uomo che, anche se era stato poco presente, lo aveva amato lo stesso...
Però, dopo quello che hai visto, una cosa gliela devi – grazie Tk - una carezza tra i capelli del tuo angelo è sufficiente per fargli capire che ha fatto un buon lavoro nel proteggere il tuo più prezioso tesoro.
 
Un battito d’ali e una folata di vento caldo fa muovere velocemente il tuo sguardo in un'altra direzione, lasciandolo cadere su di una bella ragazza dai capelli rossi.
Il sorriso che avevi sprofonda - Sora…- La tua fronte si corruga in un’espressione confusa, vedendola senti l’istinto urlarti che qualcosa non va.
Si muove lenta, stringendo a scatti le mani attorno alla sua divisa scolastica ormai fradicia e sporca.
I suoi occhi di un inteso color cremisi sono velati di tristezza e forse anche di silenziose scuse.
Non capisci il perché, ma in lei puoi leggere uno stato d’animo molto simile al tuo.
Si tiene distante dal gruppo che si sta formando, la cosa ti preoccupa e vorresti tanto andare da lei per abbracciarla e placare così il tuo senso di protezione troppo sviluppato.
Trattieni a fatica il tuo istinto, non devi e non puoi, non quando l’unica cosa che tiene ancora sveglia la tua mente è la vicinanza con la fonte del mio potere… Potere che ironicamente ti sta velocemente togliendo anche le ultime energie rimaste.
Rialzi lo sguardo cercando ancora l’immagine della tua migliore amica. I vostri occhi si incontrano facendovi entrare in un mondo tutto vostro.
Sorridi al pensiero che Matt vi ha sempre preso in giro dicendo che sareste una coppia perfetta.
Sbuffi. Probabilmente ha anche ragione, se solo le cose fossero andate in modo diverso…
Scuoti la testa cercando di cancellare questo pensiero che probabilmente diventerà un tuo grande rimpianto.
 
Una mano pallida e stanca si posa delicatamente sulla tua spalla facendoti perdere quella piccola connessione con la tua migliore amica.
Istintivamente volti lo sguardo alla ricerca della fonte di quel contatto, trovando così due occhi azzurri stremati e carichi di dolore.
– ben tornato – un piccolo sorriso e una frase appena pronunciata sono tutto ciò che sai di poter ottenere in quel momento da lui.
- grazie Matt - il suo tocco si intensifica, stringendo con più energia la tua spalla. Un gesto semplice in cui puoi leggere tutta la sua paura di perdere ancora qualcosa si importante.
Sta per staccarsi, infondo non è nel suo carattere mostrare palesemente dei sentimenti, ma tu ancora non sei pronto ad abbandonare quel contatto – mi dispiace…- lo sussurri appena ricevendo uno stanco accenno come risposta – … sarò sempre accanto a te quando servirà.- parole di cui lui ha ora bisogno, anche se il messaggio in esse ancora non può essergli chiaro.
Sei stanco, ma decidi comunque di mettere su un falso sorriso per il tuo amico. Sai che lui in tutto questo sarà quello che ne uscirà più scottato. Ha perso molto e sfortunatamente perderà ancora qualcosa, tutto quello che speri è che sia abbastanza forte da riuscire ad indossare il ruolo che stai per trasmettergli.
 
- Tai!- sei di nuovo perso nei tuoi pensieri e non ti accorgi dell’arrivo dei restanti membri del gruppo.- Tai?- la voce confusa e preoccupata del prescelto dell’affidabilità ti richiama facendoti ritornare nel mondo reale.
- Joe –allarghi il tuo sorriso mostrando il tuo classico e baldanzoso ghigno – scusa…- ti porti una mano dietro la testa cercando di sembrare naturale - … ero distratto. Dicevi?-
Joe sospira, sembra quasi rassicurato dal tuo comportamento – ti stavo chiedendo se stai bene-.
- oh…- per un attimo avevi dimenticato di averlo fatto preoccupare da morire – sto benone…- bugia! Enorme ma necessaria bugia. - … tuo padre ha fatto un buon lavoro- infondo adesso la verità non farebbe alcuna differenza, se non portare un maggiore scompiglio.
Fai vagare lo sguardo, cercando di evitare quello poco convinto del membro più vecchio del gruppo, alla fine non ti ha creduto, almeno non del tutto.
 
Velocemente e senza un vero scopo o interesse, percorri il territorio circostante, cercando disperatamente una qualunque scusa per distrarti.
Pochi secondi e trovi qualcosa che attira la tua attenzione, o meglio qualcuno.
Rilassi il volto, ammorbidendo il tuo sguardo. Alzi il braccio e gli fai un semplice segno di avvicinarsi.
Due figure che si erano messe in disparte, colgono il tuo messaggio e riprendono la loro degna posizione nella vostra piccola ma calda famiglia.
- Mimi… Izzy…- ti specchi nei loro occhi ritrovando quella scintilla che ormai temevi si fosse spenta - … vi stavamo aspettando…- li vedi tranquillizzarsi, infondo avevano davvero temuto di essere rifiutati – bentornati-
Gli altri seguono subito il tuo esempio dando il degno benvenuto ai due ragazzi, alla fine tutti hanno sofferto per quella lontananza obbligata che li costringeva a restare sempre in disparte ad aspettare che qualcosa cambiasse.
Ed ora finalmente siete di nuovo insieme, uniti contro un male comune per adempiere al compito che la vita vi ha imposto.
I vostri stemmi brillano e risplendono come non mai trovando la loro fonte nella vostra rinnovata determinazione.
Con sfida guardate il nemico che ormai ha i minuti contati, ciò che non verrà abbattuto dai vostri digimon verrà eliminato dal mio potere e da quello dei miei fratelli.
Dopo tante ore di terrore la battaglia ha finalmente incontrato la sua degna e rapida conclusione.
 
 
Le immagini di ciò che è poi accaduto in quell’inferno di fuoco e acqua sono rimaste impresse nella memoria di molti.
La loro diffusione ha superato ogni confine, trasportando così il racconto di una giornata che sarà difficile da dimenticare.
Ogni attimo a partire da quel lampo rosso che ha squarciato il cielo nero, è stato registrato e testimoniato dalle moderne tecnologie.
Foto e video trasmessi da chi è sopravvissuto, storie raccontate da giornalisti che in cerca dello scoop si erano addentrati nell’occhio del ciclone e poi medici, militari e forze dell’ordine che avevano cooperato per salvare più vite possibili… tutte testimonianze di una sola vicenda che ha visto come suoi protagonisti dei ragazzini che per tutti erano considerati dei pericolosi mostri.
La loro sofferenza, la loro lotta e infine la loro vittoria è stata vissuta da ogni persona esistente come se fosse la propria, portando il mondo per la prima volta a porsi delle reali domande su quelli che consideravano solo degli esseri inferiori da eliminare.
Un potere, quello dei bambini prescelti, sempre visto come sinonimo di qualcosa di oscuro e negativo, si è manifestato come un magnifico arcobaleno che è riuscito a spazzare via le tenebre.
Quei ragazzi non hanno indietreggiato nemmeno davanti alla morte.
Non si sono arresi anche quando tutto sembrava perduto.
Erano feriti ma si sono rialzati.
Erano soli e spaventati ma si sono fatti coraggio l’un l’altro.
Incuranti dei pericoli sono avanzati tra le macerie e la distruzione, riuscendo alla fine a vincere questo macabro gioco.
 
 
Ricorderò sempre quel giorno, perché mai come allora io e i miei fratelli siamo stati così fieri di un nostro prescelto.
In quel giorno quando solo con la vostra volontà e determinazione siete riusciti a richiamare i vostri doni, dando così la possibilità a un mondo corrotto di continuare a vivere.
Eravate felici in quei momenti per la prima volta da molto tempo e noi gioivamo con voi.
Dentro il vostro animo si diffondeva un nuovo calore, la cui fonte non era una momentanea vittoria bensì il fatto di essere di nuovo insieme.
 
Nessuno aveva parlato quando l’ultimo nemico era caduto, non c’erano state grida di gloria, non c’era stato nessun sussulto di soddisfazione… c’eravate solo voi, avvolti nel vostro piccolo mondo lontano da tutto e da tutti.
Ragazzi diversi ma uniti dallo stesso incredibile destino.
Ragazzi che hanno sofferto e lottato.
Ragazzi che nonostante tutto erano sopravvissuti.
Immobili siete riamasti a guardare il sole trovare la sua libertà da quella coltre oscura che l’aveva sommerso.
Una vera e bellissima alba su un nuovo giorno, tinta di colori caldi e vivi.
Quell’attimo rimarrà per sempre nella tua memoria, perché quello è l’ultimo spettacolo che come gruppo avete condiviso… l’ultima volta in cui eravate tutti insieme.
 
 
 
2 anni dopo
 
Un gruppo di ragazzi lento cammina lungo un sentiero di bianca ghiaia.
In silenzio percorrono il breve percorso, un silenzio interrotto solo dallo scricchiolare dei sassolini sotto le loro scarpe.
È una bella giornata di fine primavera e il sole è già alto e caldo in un cielo limpido e azzurro.
Il sentiero nasceva da un pesante cancello in nero ferro battuto che da lì si districava tra verdi lotti ben curati e tenuti.
A ogni ora si può vedere questo piccolo angolo di mondo sempre visitato da molta gente, ognuna venuta anche da lontano per rendere omaggio a chi lì riposa.
Il gruppo si muove tra i monumenti e le foto ignorando gli sguardi curiosi che gli vengono rivolti.
Da quel giorno quando molte vite erano state distrutte sono passati ormai due anni, eppure, tutti ancora ricordano la battaglia che li aveva visti come protagonisti in quella che era ricordata come la città di Odaiba.
Tante cose sono cambiate da allora e la più triste si trova in questo giardino.
 
Raccontando questa storia avrei tanto voluto portare un finale diverso… un finale dove tutto è andato per il meglio, dove i ragazzi sono liberi e felici, dove i digimon sono ben accetti e l’odio è solo un brutto ricordo… avrei tanto voluto, ma le cose non sono andate così.
Di quella battaglia l’unico vero ricordo che gelosamente i prescelti custodiscono nei vostri cuori è quell’ultimo caldo sole che dalle tenebre era riemerso, riscaldando i loro corpi stanchi e feriti.
Un ricordo prezioso perché era l’ultimo che insieme avevano vissuto…
 
Il gruppo si ferma trovandosi ora di fronte la loro prima destinazione.
Un leggero vociferare proveniente da visitatori sconosciuti interrompe quella pesante aurea che li aveva avvolti, riuscendo così un po’ a smorzare quel senso di oppressione nato dal motivo della loro presenza.
Come risvegliato, proprio da quei rumori molesti, un ragazzo, dai lunghi capelli biondi portati fino alle spalle, si fa avanti per salutare in silenzio un ospite di quel luogo.
Stringe i pugni ma rimane immobile, quasi aspettandosi che ciò che ha davanti muti improvvisamente, ma purtroppo ciò non avviene…
D’istinto il suo fratellino lo affianca porgendogli un mazzo di camelie e dalie, dei fiori che sottintendo un silenzioso messaggio di ringraziamento per il sacrificio fatto per loro.
Il più grande le prende delicatamente e le posa sul freddo marmo, nella speranza che il tempo sia clemente e che le lasci vivere il più possibile.
Si inginocchia per fare in modo che i suoi occhi celesti arrivino al livello di quella foto che così crudelmente gli sorride.
Alza il braccio fino a raggiungere la stele di marmo bianco tracciandone i contorni con il dito indice fino ad arrivare a sfiorare il nome del proprietario.
 
Hiroaki Ishida.
 
- ciao papà- sono le uniche parole che vengono pronunciate dalle labbra di un figlio ancora soffocato dal dolore che in quel triste giorno ha lacerato il suo cuore.
Il gruppo dona il suo saluto a quell’uomo che ha dato la sua vita per salvarne un’altra.
Lo ringraziano e lo onorano, dopo di che si rialzano e continuano a camminare su quel bianco sentiero.
Pochi passi per raggiungere la loro seconda tappa: due bianche lapidi decorate entrambe con dei semplici angioletti, posati lì per vegliare sul riposo di due vite stroncate troppo presto.
Altri due mazzi di fiori sono destinati a onorare il riposo di due amici e compagni di avventure.
Uno dei ragazzi tra i più giovani presenti si fa avanti. Il suo portamento è contenuto e controllato, mostrando al contempo eleganza e rispetto.
Scosta un ciuffo di capelli blu, quasi corvino, dalla fronte portandoli con un gesto raffinato dietro le orecchie.
L’ex imperatore si inginocchia per posare il suo dono, come farebbe un cavaliere per la sua dama.
Delle gardenie simbolo di sincerità e dei gelsomini bianchi simbolo di affetto vengono posati in un piccolo vaso posto vicino alla foto di una giovane donna dai capelli del colore dei ciclamini.
Due parole sono marchiate sotto quella foto, sono un nome… il nome di una prescelta piena di energia e voglia di vivere che purtroppo ha avuto la sfortuna di fare quel giorno la scelta sbagliata.
 
Yolie Inoue.
 
- ciao amica mia- sussurra il prescelto della bontà cercando di scacciare il ricordo del corpo della ragazza trovato dai soccorritori tra le macerie della propria casa.
Era andata lì pensando fosse un luogo sicuro in cui rifugiarsi insieme alla sua famiglia, un luogo che però li ha sommersi con il suo stesso peso.
 
Una leggera pressione sulla sua spalla lo fa rialzare, rimembrandogli che il loro giro non è che all’inizio. Prende il suo posto nel gruppo, lasciando che il prescelto della conoscenza, nonché mentore della ragazza, si faccia avanti per dargli il suo saluto.
Un attimo di pausa per poi prestare attenzione all’amico che alla sinistra della giovane Yolie riposa.
A staccarsi dal gruppo è il più vecchio tra i prescelti presenti, un ragazzo dai capelli e occhi blu con indosso un vestito formale.
Compiendo un gesto che vuole ostentare sicurezza si sistema gli occhiali, così da trovare ancora un secondo di raccoglimento prima di avvicinarsi a quel bambino che tanto gli ricordava se stesso.
Delle margherite simbolo di innocenza e semplicità vengono posate sotto la sua foto, intrecciate a dei fiori di ciliegio simbolo di buona educazione.
Il nome del prescelto più piccolo del gruppo risalta tra i petali bianchi, il nome di un bambino che si era sacrificato tentando di fare la cosa giusta.
 
Cody Hida
 
Non era andato a scuola quel giorno, per stare accanto al nonno che si era di recente ammalato.
Si erano da poco trasferiti in un appartamento adiacente alla periferia, era più piccolo della loro vecchia casa ma era più vicino all’ospedale.
Quella era stata la zona che per prima era stata attaccata, nessuno degli abitanti di quel quartiere era sopravvissuto.
 
Un leggero vento si alza, è caldo e delicato, quasi come una materna carezza che accompagna quei ragazzi alla loro prossima e dolorosa meta.
Una stele avvolta in tre gambi di rose rosse accoglie i suoi visitatori.
Un piccolo lume acceso indica che da poco qualcun altro era venuto a porgere il suo saluto, probabilmente la stessa donna che due anni prima aveva piantato quelle rose per onorare la sua bambina.
Una bella ragazza dai capelli rosa nascosti sotto un ampio cappello dai colori stranamente opachi, si fa questa volta avanti sorreggendo tra le sue mani il dono da lei personalmente scelto.
Protetto in una leggera carta velina bianca vi era un bel mazzo di fiori dagli accesi colori rossi, interrotti qua e la da pochi gigli bianchi.
Il rosso è il colore dominante su questa lapide ogni anno, ed era stata proprio lei a iniziare questa tradizione… rosso come il simbolo di chi le è stata sempre fedele… rosso come gli occhi e i capelli della sua migliore amica… rosso … un colore che la prescelta della sincerità non potrà mai dimenticare, non da quel giorno di due anni prima quando l’aveva visto spargersi e allargarsi velocemente su di un corpo innocente… il suo corpo innocente.
 
Sora Takenouchi
 
- grazie Sora la stessa e unica frase che la piccola Mimi ripete ogni volta, l’unica, secondo la ragazza, che al meglio possa esprimere quello che sente.
Un singhiozzo sfugge dalle labbra della prescelta al solo posare lo sguardo sul volto sorridente di una Sora in tenuta da calcio. Era giovane in quella foto, molto di più rispetto a quando il crollo della città è avvenuto, però quella era lei e nessun altra immagine avrebbe potuto esprimere al meglio lo spirito della ragazza.
Mimi si rialza e torna dal resto del gruppo… un gruppo ora più fragile perché ha perso il suo cuore.
Il senso di colpa verso quella morte che si poteva evitare è ancora palpabile nonostante il tempo trascorso.
I ricordi dolorosi sono quasi impossibili da cancellare, nonostante tutto l’impegno umano.
Come dimenticare la violenza con cui la prescelta dell’amore era stata scagliata contro un edificio insieme al suo digimon?
Come dimenticare la paura e il senso di impotenza che aveva provato Mimi quando l’aveva trovata immobile tra le macerie?
Come dimenticare il sollievo provato dai prescelti quando era tornata da loro per combattere?
Ma soprattutto come dimenticare la paura quando l’avevano vista crollare, mentre si soffocava nel suo stesso sangue…
Testarda, irremovibile e altruista fino alla fine, questa era la prescelta dell’amore.
Una ragazza che nonostante le ferite aveva trattenuto il dolore per salvare chi era per lei prezioso.
 
Volti scuri e chini si muovo in silenzio verso la loro ultima ma più sofferta visita.
Nessuno di loro aveva mai preso in considerazione la possibilità che l’indistruttibile colonna portante del gruppo venisse meno, non dopo tutto quello che insieme avevano passato.
La sua presenza era sempre stata una certezza anche nei momenti più disperati e bui. Una presenza così forte che il suo venir meno ha finito per creare un vuoto incolmabile.
Per questo per loro sembra ancora irreale essere lì, davanti a quella lapide così stranamente silenziosa.
Pochi passi per arrivare da lui, infondo sono stati loro ad insistere che le tombe dei prescelti fossero messe il più vicino possibile, così da stare insieme sempre, almeno nella morte.
Una lapide in semplice marmo con sopra intagliato uno stilizzato digivice appare davanti agli occhi dei ragazzi. È un’immagine che ogni volta li colpisce come un potente pugno nello stomaco.
Un singhiozzo interrompe questa lenta processione, il tuo angelo sta piangendo e a malapena riesce a nasconderlo.
L’unica cosa che la consola è che almeno quest’anno è riuscita ad arrivare fino a qui senza scappare al solo pensiero di vedere quella stele fredda e priva di vita.
Tk è subito al suo fianco per consolarla e proteggerla. L’aveva giurato due anni prima e mai verrà meno a quella promessa, non soprattutto davanti a quell’ultimo nome.
 
Tai Yagami.
 
Questa volta non hanno portato grandi e curati mazzi di fiori, ti conoscono e sanno che difficilmente ti sarebbero piaciuti. Eri un tipo da cose più pratiche e gesti più semplici.
Ognuno di loro tiene stretto tra le mani il proprio dono, l’unico che a parere di chi ti voleva bene era in grado di onorarti: un luminoso girasole.
Uno alla volta si avvicinano per salutarti e per posare accanto al gelido marmo quel piccolo pensiero.
- sempai - Il tuo pupillo è il primo che si fa avanti, aggrappandosi disperatamente agli occhiali che gli hai regalato per trovare il suo coraggio.
- Tai…- Il tuo angelo, sorretto e sostenuto da tk, si inginocchia priva di forze davanti a quella foto che gli rievoca solo ricordi dolorosamente belli - … torna da me – allunga la mano tentando di raggiungerti, sapendo bene quanto questo sia in realtà inutile.
Uno per uno vengono a te, salutandoti a loro modo, sembra che anche adesso tu abbia il potere di riunire i membri della tua squadra… ironico vero?
Pochi minuti e quella tomba bianca viene avvolta dai brillanti colori del sole, rendendo quel marmo ancora più odioso.
Una tomba anche se ricoperta di vita rimane pur sempre una tomba e questo è impossibile da cambiare, nonostante tutti i tentativi che l’essere umano attua ogni giorno.
La morte è sofferenza. La morte è dolore. La morte è solitudine.
La puoi ignorare… La puoi combattere… La puoi allontanare… Ma alla fine rimane l’unica certezza che ogni essere vivente ha.
Ti accompagna per tutta l’esistenza come un’ombra silenziosa, per poi mostrarsi solo alla fine del cammino che il destino a scelto per noi.
È interessante vedere come ci si impegna tanto a rifiutare qualcosa che è e sempre sarà paradossalmente fuori dal controllo umano.
Però lo capisco sai? Infondo voi esseri umani non avete la possibilità di ritornare se i vostri dati vengono eliminati. La fine per voi è una cosa definitiva e senza alternative.
Ma dopo anni credo di aver anche compreso che il vero dolore della morte non sia per chi viene accolto tra le sue braccia ma per chi da lei viene lasciato indietro con l’unico rammarico di una tomba vuota.
Lo vedo nell’amarezza delle lacrime del tuo angelo.
Lo sento nella rabbia del tuo migliore amico.
Lo guardo nello sconforto dei tuoi genitori.
Lo percepisco insieme ai sensi di colpa dei tuoi amici.
Più volte si sono raccontati che il tuo sacrificio è stato necessario per salvare non solo la loro vita, ma quelle di un’intera città. È una bella storia, romantica ed eroica, ma che non ha e non avrà mai il potere di lenire i loro animi feriti.
 
 
Sai Tai il nostro è stato un lungo percorso, irto e tortuoso, pieno di ostacoli e di difficoltà, ma lo abbiamo fatto insieme traendo potere e forza l’uno dall’altro. Un percorso che per te è arrivato alla sua fine.
Ma io sono ancora qui e continuerò a proteggere chi hai amato fino all’ultimo, la tua eredità non è perduta ma vive e continua in un nuovo prescelto.
Io sono il coraggio e come tuo ultimo desiderio sono stato trasmesso insieme al tuo ruolo di leader.
Ora il mio simbolo pende attorno ad un altro collo, dividendo lo spazio con uno dei miei fratelli.
Tutti, io compreso, abbiamo sempre pensato che sarebbe stato Davis il tuo legittimo successore, ma alla fine hai cambiato le carte in tavola, Matt è stata la tua scelta.
Il tuo pupillo ha capito sai? Era troppo giovane ed inesperto per quel ruolo così grande per un ragazzo che si era appena affacciato sul mondo.
L’ultima tua decisione ha messo il tuo migliore amico alla guida della vostra banda in questo lungo viaggio… un viaggio che sta diventando a poco a poco più facile.
Nessuno ha mai osato toccare le vostre tombe o infangare il vostro nome, non almeno da quel giorno di due anni fa quando avete guadagnato un po’ di rispetto da parte di chi è riuscito ad uscire da quell’inferno grazie a voi.
Piccoli passi, solo piccoli passi che hanno cominciato a fare la differenza.
Persone che hanno fatto parte del tuo… del vostro passato sono venute a porgere le loro scuse su quelle lapidi bianche. alla fine hanno aperto gli occhi così da potervi vedere solo per quello che eravate: degli adolescenti usati come capro espiratorio.
Ricordo un uomo di mezza età che ha posto sulla tua tomba una maglietta di calcio protetta da una teca di plastica… il tuo ex allenatore.
Un ragazzo robusto a capo di una piccola banda di suoi coetanei ha porto le sue scuse sia a te che alla tua dolce Sora… il vostro aguzzino al liceo.
Una donna con un bambino dagli incredibili occhi verdi è venuta a ringraziarvi… un esempio di chi vi deve la vita.
Una cheerleader dai capelli corti e gli occhi cremisi ha più volte accompagnato Mimi sulla tomba della sua migliore amica… qualcuno che ha superato il dolore per ritrovare se stessa.
Tutto questo è ancora poco, lo so, ma almeno è un inizio che mi fa ben sperare per il futuro.
Chissà un giorno questi piccoli passi avanti porteranno davvero a un cambiamento e allora avremo il mondo che avete sempre desiderato… un mondo dove digimon e umani possano convivere senza temere l’altro.
 
Si… forse un giorno…
 
Peccato che ogni qualvolta l’umanità faccia un passo in avanti ne compia subito dopo due indietro, arrivando così a portarvi via anche quel flebile miraggio di pace.
 
6 mesi dopo…
 
Girano lenti i simboli incisi su di un antico e sacro portale.
Girano, danzando l’uno con l’altro fino a raggiungere uno schema prefissato.
Girano, facendo apparire in un cielo calmo e azzurro un cerchio perfetto dove il portale in questione presto emergerà.
Una prigione creata fa un angelo per custodire un grande male sta per infrangersi e con lei le poche speranze che in questo piccolo periodo erano nate.
Il sorriso sghembo e derisorio di un clown si allarga nel vedere le sue sbarre lentamente dissolversi, il momento che tanto aveva atteso era finalmente giunto.
- bambini prescelti…- nei suoi occhi si specchia un nuovo mondo, fatto non di dati ma di persone -…me la pagherete cara- un luccichio sinistro brilla nelle sue iridi appena socchiuse – ah ah ah…- una risata agghiacciante si fece eco nel silenzio del cielo – sarà una vendetta lenta e dolorosa… ah ah ah –
Un corpo agile fatto di dati e coperto di vesti colorate uscì con una grazia quasi selvaggia da quel luogo che lo aveva privato dei suoi sogni di potere.
Lancia uno sguardo vuoto a quell’anonima terra che sotto di lui respira ingenua nella consapevolezza che presto non ne sarebbe rimasto molto.
Congiunge le lunghe dita affusolate davanti al suo volto, assumendo una finta espressione pensierosa – è tempo di divertirsi…- sussurra a se stesso -… ma prima…- lascia che i suoi poteri illusori lo avvolgano dando alla luce la sua nuova maschera -… ci vuole l’abito adatto-.
Candide ali, lunghi capelli biondi e una celeste armatura, ecco il travestimento scelto… ecco la copia esatta del digimon della speranza… ecco magnangemon.
Dopo anni di attese, pianificazioni e inganni ora lo spettacolo del clown può avere inizio – e ora… SHOW TIME! - grida compiaciuto coinvolgendo i suoi poteri in un distruttivo attacco.
 
 
1 anno dopo
 
La fioca luce di una lampada da tavolo avvolge un piccolo angolo di una stanza altrimenti buia.
Anche se l’alba ha già annunciato l’inizio di un nuovo giorno le tapparelle di quel piccolo appartamento sono tutte ben chiuse, al fine di donare al solo abitante l’illusione di un minimo di controllo sulla sua vita.
Lunghi capelli biondi legati in una bassa coda ricadono dispettosi tra gli occhi azzurri di un ragazzo di diciannove anni ricurvo su una scrivania di legno.
Con un gesto ormai automatico e poco elegante li rimette al loro posto, sbuffando per quella fastidiosa interruzione.
Riposiziona la penna tra le dita, lasciando che l’inchiostro nero segua il suo percorso riempiendo le pagine bianche di un vecchio diario.
Con la mano libera accarezza il pendente che attorno al suo collo simboleggia il suo ruolo.
Un semplice medaglione dove si intrecciano i colori caldi del sole con i toni più freddi del mare.
Un oggetto innocuo all’apparenza, ma che mi permette di continuare ad osservare l’evolversi di un mondo salvato a caro prezzo.
Il nuovo leader dei prescelti poggia la penna lontano da quelle pagine e con cura richiude quel prezioso oggetto custode di memorie di giorni lontani.
Fissa per qualche secondo la spessa copertina dal vivace colore verde, cercando di trovare la forza di alzarsi da quella sedia per cominciare la sua giornata.
Apre la prima pagina, scorrendo le dita su quelle poche parole che invadono un foglio altrimenti inutile: diario di Tk.
Un senso di vuoto fa tremare l’anima del giovane prescelto. Il solo vedere la scrittura del fratellino più piccolo ha ancora il terribile potere di farlo sentire impotente e inutile.
Alla fine, per quanto si sia sforzato, non era riuscito a proteggere le persone per lui importanti. Alle fine, le aveva perse tutte, una dopo l’altra.
Chiude di scatto l’ultimo tangibile ricordo che ha del fratello, un movimento quasi rabbioso che ha lo scopo di cacciare via l’immagine sorridente del suo angelo biondo.
Alza lo sguardo lasciandolo vagare sulla scrivania, tutto pur di cercare di seppellire il senso di colpa per non essere stato presente quel giorno. Stringe i pugni quando i suoi occhi del colore del cielo incontrano l’unico oggetto che ha considerato degno di seguirlo nella sua fuga e che ora è lì in bella vista ha ricordagli ancora una volta quello che ha perso.
Una foto. Quella del suo primo viaggio a digiword.
Tanti volti sorridenti e pieni di speranze.
Umani e digimon affiancati gli uni agli altri come se fosse la cosa più normale del mondo.
Fissa quell’immagine con sfida – io… rimetterò le cose a posto… riporterò tutto a come era prima…- si alza e spegne quella l’unica luce, puntando il suo digivice verso il pc portatile già aperto verso il mondo digitale – …ve lo prometto!-.
 
 
Continua…?
 
 
Allora… volete ancora uccidermi??? Si eh? Beh lo ammetto ho fatto morire metà dei personaggi e non è ancora finita…
Piccola spiegazione: originariamente la storia avrebbe dovuto concludersi con la visita al cimitero, però ha pensato che non a tutti piacciono i finali aperti e deprimenti, così ora dipende da voi.
Posso chiudere qui togliendo l’ultima parte (per intenderci da “6 mesi dopo”), oppure posso continuarla arrivando a un vero finale (la parte di piemon e matt è come una specie di prologo, che tra l’altro è solo un accenno).
Fatemi sapere^^
Ciao ciao
Lau2888

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Capitolo 10
*** passo 10) la prima vera sconfitta dei prescelti ***


Lettori e Lettrici un saluto generale a tutti^^
eccomi tornata con un nuovo chappy, che, come vi avevo annunciato, sarebbe una sorta di sequel dei precedenti 9 ( tanto per non far finire la storia così)
piccola info: ci sono due linee temporali: - passato, il giorno in cui piemon attacca
                                                                   - presente
vi auguro buona lettura ( con la speranza che sia uscito qualcosa di coerente^^’’’’)
 
 
 
Passo 10) la prima vera sconfitta dei prescelti
 
Scorre inevitabile il tempo sulla linea del destino, scandito solo dal lento susseguirsi dei giorni che senza controllo alcuno prendono nuova forma in anni.
Il passato e il presente si fondono creando le basi da cui nascerà il futuro di questa storia… storia di cui sono ormai relegato al ruolo di passivo osservatore.
La mia esistenza ha cessato la sua funzione quando la vita del mio ultimo prescelto si è spenta tra le fredde braccia della morte. Eppure, nonostante questo, io continuo a rimanere nel mondo reale.
Forse penserete che questa sia stata una mia egoistica scelta, ma la verità non potrebbe essere più lontana. Io sono qui perché questo è stato l’ultimo desiderio pronunciato su di un letto di morte da un essere umano che il destino aveva legato a me.
In quel frangete è stato scelto un nuovo leader a cui io sono stato affidato e che io seguirò, anche se lui non potrà sentirmi.
Matt è nato per portare l’amicizia e non il coraggio, quindi io non potrò mai brillare per lui, ma ancora una volta, non penso che sia questo il vero motivo per cui gli sono stato affiancato.
Tai sapeva che avrebbe avuto bisogno di un sostegno per il pesante fardello che gli aveva trasmesso, ma sapeva anche che nessuno avrebbe potuto svolgere al meglio questo ruolo… non meglio di quanto la mia sola presenza avrebbe potuto fare.
Quindi osservo, vivo e guido senza che il mio essere sia veramente tangibile… Sono lì solo come il fantasma di me stesso e da lì continuo a testimoniare quello che davanti a me accade…
 
 
I toni di una crudele risata scandivano i rintocchi dell’inizio di un nuovo giorno.
Un clown mascherato da angelo guardava con disprezzo la terra che sotto di lui viveva ignara del pericolo in cui incorreva.
Non sapeva dove si trovava, anche se era evidente che quel mondo così gremito di persone non era digiword.  
Un’altra sadica risata si liberò nell’aria. Il portale si era aperto proprio dove lui sperava, anche il destino pendeva a suo favore mettendogli la sua vendetta su un piatto d’argento.
Si guardò attorno chiedendosi quanto tempo avrebbero impiegato i prescelti ad accorgersi della sua presenza, infondo loro erano gli ospiti principali del suo spettacolo e dovevano essere in prima fila.
 Un ghigno apparve sul viso dell’angelo rendendolo irriconoscibile, oh, avrebbe presto giocato con i bambini prescelti, doveva solo essere ancora un po’ paziente.
Si mise con grazia in posizione per sferrare un attacco degno della sua fama… un attacco che avrebbe stravolto di nuovo il corso degli eventi.
Il tempo era per lui tiranno, doveva dare inizio al suo show e doveva farlo prima che il vero magnangemon avesse la possibilità di scendere in campo.
 
 
 
Il leggero aroma del caffè si mescola all’invitante profumo dei crossaint appena sfornati, creando all’interno della piccola tavola calda quella confortante sensazione di casa.
Le poche cameriere si muovo con calma, è presto e ancora non ci sono molti clienti.
Questo locale è un luogo di passaggio, dove ogni giorno vanno e vengono un numero imprecisato di persone. Troppe per potersele ricordare, anche per la mente più brillante, ed è per questo che è stato scelto.
Un vecchio giradischi rallegra l’atmosfera con canzoni appartenenti a tempi andati, anche se probabilmente la sua funzione principale è solo quella di coprire un silenzio altrimenti imbarazzante.
Una donna sulla quarantina, con una divisa di un inteso colore rosa interrotto solo da un bianco grembiule, si appresta a raggiungere l’ultimo tavolo del locale, dove siede tranquillo uno dei pochi clienti presenti.
- ecco a lei- sorride posando sul tavolo una tazza di caffè nero – le servo altro?- indica il menu cercando di essere cortese con quel bel giovane.
Il ragazzo chiude il libro che aveva davanti, custodendolo gelosamente tra le mani – più tardi…- non alza nemmeno lo sguardo facendo in modo che i suoi intensi occhi azzurri rimangano celati dietro la visiera del cappellino che abilmente porta per nascondere i capelli biondi - … sto aspettando qualcuno-.
La donna sorride e fa un passo indietro, è tanto che fa il suo lavoro e sa bene quando un cliente non vuole essere disturbato – certamente giovanotto-.
Il ragazzo la guarda allontanarsi, tirando inevitabilmente un sospiro di sollievo – quanto odio i luoghi pubblici- sussurra a se stesso, maledicendo per l’ennesima volta quella mattina il motivo per cui è dovuto scendere dal letto.
Si rilassa, mollando quella stretta presa che cingeva la copertina verde del suo tesoro più prezioso, ringraziando mentalmente quella donna per essersene andata.
Guarda l’orologio e malamente impreca. Il suo dannato appuntamento era in ritardo e anche di un bel po’.
Allontana la tazza di caffè e si rituffa tra quelle bianche pagine che sono per lui il suo più grande sostegno e il suo più grande dolore.
Ogni volta che lo apre cerca di evitare di cadere nella tentazione di leggere la prima metà, quella scritta dalla mano del suo fratellino più piccolo.
Ha ereditato, no, meglio, ha sottratto quel diario prima che potesse cadere in mani sbagliate… Prima che facesse la stessa fine di tutta la roba che apparteneva al suo angelo biondo.
Strinse i pugni, sentendo la rabbia salire annebbiandogli la mente. Avrebbe preferito bruciarlo personalmente piuttosto che darlo in pasto ai militari di questo o di un altro stato.
Non solo era un ricordo del fratellino, ma quelle pagine custodivano gelosamente la loro storia, con i loro segreti, le loro paure e i loro sogni.
Riprese tra le sue mani la penna che prima aveva abbandonato sul tavolo, anche se non aveva grandi capacità come scrittore avrebbe concluso quel diario e, chissà, forse un giorno avrebbe realizzato il sogno del fratello e l’avrebbe pubblicato.
 
 
 
Gli occhi dei prescelti erano increduli davanti alle immagini che il televisore gli stava mostrando.
Immobili come statue trattenevano il respiro, nella speranza che quello che avevano di fronte fosse solo un brutto scherzo, perché dopo tutto quello che avevano passato non potevano accettare che un nuovo incubo avesse inizio. Era passato troppo poco tempo e le ferite dei loro animi erano ancora troppo vive e il loro dolore troppo forte.
Eppure, nonostante il loro desiderio quello schermo piatto continuava a trasmettere le testimonianze della caduta di una città americana per mano del digimon angelico. 
Un digimon che urlava ai quattro venti di voler portare la distruzione per mano del suo prescelto.
Un danno incalcolabile correlato da una beffa ancora più grande, perché in quel momento patamon era mollemente appoggiato sulla testa di Tk.
 
 
 
 
Un anonimo taxi giallo fermava la sua corsa davanti a una tavola calda situata su una delle tante strade di passaggio per arrivare alle città più vicine, o almeno a quelle che erano sopravvissute.
Dalla portiera del passeggero scende con movimenti lenti e aggraziati una giovane donna dai lunghi capelli castano scuro.
Tremando lievemente stringe a se la sua giacca di jeans tentando di riscaldarsi dalla fresca brezza del mattino che mostrava i primi segni dell’autunno.
Cammina con calma, non ha nessuna fretta, è una bella donna e come tale è suo diritto farsi aspettare un po’… soprattutto se attenderla non solo è un bel ragazzo ma è il suo bel ragazzo, o almeno un giorno spera che lo sarà.
Sospira, mentre si specchia in una delle ampie vetrate esterne, è un gesto rassegnato, perché sa che per quanto si impegni lui non la vedrà mai, non fino quando il suo cuore rimarrà sigillato nel dolore.
Afferra la maniglia di ottone che trasversalmente taglia il legno della porta ed, annunciata dal suono ritmico di un campanellino, fa la sua entrata nel locale.
I suoi occhi color caramello percorrono velocemente la piccola sala per la colazione alla ricerca di un vecchio amico.
- posso aiutarla signorina?- una divisa rosa era improvvisamente apparsa comprendo buona parte del campo visivo della giovane
- la ringrazio…- sorrise gentilmente sistemando meglio il largo capello che le dava qualche anno di più – ma ho già trovato quello che cercavo- indicò un giovane con un berretto intento a scrivere su un libro.
 
 
- dobbiamo fare subito qualcosa!- Davis uno dei prescelti più giovani urlava tutta la sua rabbia – non so chi sia… ma me la pagherà carissima- i suoi occhi guardavano con odio quello schermo come se volessero incenerirlo – come osa mandare a quel paese tutti i sacrifici che abbiamo fatto?!-
Neanche pochi minuti dopo la caduta della prima città un altro attacco era stato lanciato, ma questa volta la distruzione era portata da un drago, o meglio, dalla nuova maschera scelta dal clown: imperialdramon.
- non credo sia una buona idea…- Izzy tentò di bloccare il giovane calciatore dall’aprire un digivarco -… è tutto troppo strano…- cercò di spiegare sentendosi addosso numerosi occhi stupiti e arrabbiati - … potrebbe essere una trappola-
- andremo!- il nuovo leader del gruppo fece un passo avanti interrompendo ogni discussione – aprite il varco, passeremo attraverso digiword e lo fermeremo.- strinse i pugni mantenendo uno sguardo glaciale che vagava dallo schermo ai suoi compagni di squadra.
 
 
 
Gli occhi celesti del ragazzo scorrevano velocemente tra le righe che aveva appena finito di scrivere. Sorseggiò un po’ del suo caffè e voltò pagina, pronto a immettere in essa tutto ciò che non poteva trattenere nella sua mente. Ogni volta partiva con l’idea di raccontare solo quello che poteva essere veramente rilevante per urlare al mondo la verità sui prescelti, ma poi inevitabilmente si perdeva in pensieri, trovandosi a scrivere come se stesse parlando a un vecchio amico.
 
Oh forse solo fingendo che un vecchio amico fosse ancora con lui…
 
Un’ombra gli tolse la poca luce che veniva dall’impianto del locale, spingendo il ragazzo ad uscire dai suoi pensieri ed ad alzare la testa.
- ciao Matt – la voce allegra di una giovane donna lo accolse calorosamente – come stai?- senza attendere di essere invitata si accomodò con eleganza occupando il posto davanti a lui.
- Mimi…- con un tono quasi scocciato pronuncia il nome di uno dei pochi membri rimasti della vecchia squadra – perché mi hai chiamato?- chiude il diario con un gesto quasi rabbioso – sai che è pericoloso…-
- io sto bene… grazie Matt, sono contenta che ti preoccupi per me. – con un’occhiata divertita sfidò l’amico, non sforzandosi nemmeno di nascondere il tono sarcastico delle sue parole – allora…- prese in mano il menu -… ordiniamo?- sperando che almeno a stomaco pieno il ragazzo potesse essere più disponibile.
Matt sospirò rassegnato seguendo i gesti dell’amica – ciao Mimi… sono contento di rivederti- ritrovandosi così con in mano un menu pieno di piatti dolci che lui odiava, soprattutto di mattina presto.
 
 
Il mondo digitale aveva nuovamente aperto le sue porte per i bambini prescelti.
Il loro piano era semplice: usarle per ricoprire velocemente la distanza che li separava dal quell’impostore che stava portando panico e distruzione a loro nome.
- maledizione!- imprecò il prescelto della conoscenza mentre correva verso il prossimo varco.
- cosa?- urlò Matt con voce esasperata
- è in Europa…- Izzy scollegò per alcuni secondi lo sguardo dal suo portatile - … ha cambiato destinazione di nuovo.-
- chi è adesso?- chiese con voce preoccupata Mimi, infondo non ci teneva a vedere la brutta copia del suo digimon che distruggeva tutto quello che incontrava.
- metalgarurumon.- rispose prontamente Izzy mantenendo uno sguardo preoccupato su Matt, che in quel momento era avvolto da un’aurea omicida che avrebbe spaventato chiunque.
Accelerarono il passo arrivando velocemente alla digiporta, ma purtroppo quando puntarono i digivise, il varco rimase chiuso.
Una risata sinistra si fece eco nel settore e tutto quello che i prescelti furono in grado di capire fu che quella era una trappola e che loro ci erano caduti in pieno.
Bloccati a digiword, mentre nel mondo reale le copie dei loro digimon distruggevano città e portavano morte ovunque, facendo crollare quella poca fiducia che si era creata verso i prescelti.
Non ci voleva di certo un genio per capire che al loro ritorno sarebbe scoppiato il finimondo e che nessuno avrebbe creduto che loro erano innocenti.
 
 
Matt alzò uno sguardo scocciato verso la parete opposta al locale. Sbuffò quando vide un orribile orologio a forma di uovo di gallina segnare le nove, era lì da quasi due ore e ancora non sapeva perché.
- Mimi!- sbatté le mani sul tavolo puntando la ragazza con un’occhiata truce – adesso basta…- quella ragazza era molto dolce ma cavolo, aveva parlato interrottamente per tutto il tempo -… dimmi perché mi hai chiamato qui…e…- le punto il dito indice contro -… basta cazzate del tipo “volevo stare un po’ con te”-.
La prescelta sospirò, appoggiando l’ennesima tazza di tè caldo che si era versata.
I suoi lineamenti infantili si trasformarono in un’espressione seria e determinata, riuscendo perfino a sostenere quegli occhi azzurri divenuti nel tempo freddi e senza emozioni.
- bene.- prese la borsa e ne estrasse un giornale – sono stanca di stare nascosta e aspettare – glielo mise di fronte aprendolo alla prima pagina – voglio fare qualcosa.-
- no Mimi…- non guardo nemmeno il titolo, tanto immaginava cosa ci fosse scritto, era un ritornello che si ripeteva orami da un anno -… devi avere pazienza, Izzy e Joe stanno facendo quello che possono… presto ritornerà tutto alla normalità-
- non è sicuro e tu lo sai bene…- alzò la voce, quel tanto da far girare alcuni clienti e far zittire il biondo -… è solo un’ipotesi, non sappiamo nemmeno se sia davvero realizzabile…- abbassò i toni cercando di resistere all’istinto di prendere a pugni il suo interlocutore, che al momento la stava guardando come se avesse detto un’eresia -… anzi, sai che ti dico? È solo un sogno… un’illusione… Tai e Sora non se ne sarebbero stati fermi a fare nulla… loro avrebbero…-.
Un pugno sul tavolo e un piatto che cadeva rovinosamente a terra bloccarono ogni possibile parola della ragazza – non nominarli…- sussurrò il nuovo leader trattenendo a stento la rabbia - … non parlare di loro…-.
Le rivolse uno sguardo carico d’odio – e non dire che è solo un sogno… loro torneranno… tutto tornerà come un tempo e saremo di nuovo insieme- si appoggiò alla sedia incrociando le braccia al petto, per lui la questione era chiusa.
Mimi sospirò. Era inutile, lei non era Tai e non sapeva convincere Matt con uno scontro diretto – senti Matt, mi dispiace per loro… per Tai, Sora, Cody, Yolie e… per Tk…- pronunciò l’ultimo nome con paura, temendo un’altra reazione esagerata -… farei di tutto per riaverli con me… lo sai… ma… loro non sono più qui adesso, mentre…- riprese in mano il giornale buttato in un angolo del tavolo - … gli altri prescelti ancora si e non parlo solo del nostro gruppo-.
 
 
- maledizione!- il prescelto della conoscenza strinse i pugni poggiando malamente la testa sul suo pc portatile. – maledizione! Ci ha fregati-
Il tempo nei due mondi continuava la sua corsa, quasi a voler beffeggiare ulteriormente la sconfitta degli eroi digitali. Erano ancora bloccati lì e più il tempo passava, più aumentava il numero dei danni che venivano inflitti al mondo reale in loro nome.
Ogni volta che un nuovo attacco veniva lanciato una nuova e canzonatoria risata si faceva eco attorno ai prescelti.
- aspettate…- urlò Davis attirando l’attenzione del gruppo - … si sta aprendo…- indicò con aria stupita il computer di Izzy, dove un digivarco stava lentamente prendendo forma sul Giappone - … Grande! Sei un genio ce l’hai fatta!-
Fece per attivare il suo digivice ma venne prontamente fermato dal genio in questione – non sono stato io e…- si rivolse quasi supplichevole verso Matt - …continuo a pensare che sia una trappola-.
Anche se non sapeva chi c’era dietro a tutto questo ormai per lui era evidente che non avevano possibilità di batterlo, la situazione peggiorava ogni minuto che passava e loro continuavano a fare esattamente quello che il nemico voleva… Marionette senza controllo delle proprie azioni, ecco quello che erano diventati.
Un suggerimento che avrebbe potuto fare la differenza, peccato che nemmeno quella volta fu ascoltato.
Forse tutto dipendeva dal fatto che il dolore e la rabbia erano ancora troppo forti.
Forse i loro pensieri erano avvelenati dall’idea di vedere crollare di nuovo il loro domani senza poterlo evitare.
O forse era solo la comparsa di una nuova maschera con la forma di wargraymon che ha scatenato una reazione, ma sta di fatto che appena il portale si aprì i prescelti si fiondarono dentro, ignorando ogni istinto che gli urlava di nascondersi.
 
 
Matt prese stancamente il giornale cercando di evitare le eloquenti occhiate che gli venivano lanciate dalla sua amica di infanzia.
Si soffermò sulla prima pagina per diversi secondi, indeciso se odiare di più la campagna diffamatoria prodotta dal titolo scritto a caratteri cubitali, oppure la foto che ritraeva una caccia alle streghe andata a buon fine.
Sbuffò decidendo alla fine di odiare in generale i mezzi di comunicazione. Non che avesse qualcosa contro l’informazione, solo che il suo utilizzo come mezzo di plagio e controllo delle masse lo lasciava un po’ schifato, soprattutto se l’argomento dell’anno era “catturiamo i prescelti e salviamo il mondo dal male”. Tsk! Che ipocriti!
Si passò la mano sugli occhi sentendoli improvvisamente troppo pensanti, decisamente l’aver passato l’ennesima notte in bianco a fissare quella dannata foto, posta in primo piano sulla sua scrivania, non si era rilevata una buona idea.
Alzò lo sguardo incontrando due occhi caramello che brillavano di una rinnovata determinazione. Gli stessi occhi che lo interrogavano silenziosamente sulla sua mancanza di azioni, non capendo che lui infondo stava solo cercando di proteggere quel poco che gli era rimasto.
- Matt!- la prescelta spostò velocemente tazze e piatti rimasti, così da potersi allungare il più possibile su tavolo e raggiungere quei fogli di carta che avevano dato inizio a tutta questa discussione – guarda questa dannata foto- toccò il giornale con il dito indice – loro erano gli ultimi prescelti europei…- una giovane donna dai lunghi capelli biondi e un ragazzo dalla carnagione abbronzata e i capelli scuri apparivano in prima pagina scortati da forze militari come se fossero criminali -… ed erano anche nostri amici e alleati…- si risedette cercando di trattenere l’adrenalina che le scorreva nel corpo -… non possiamo non fare nulla… altrimenti perderemo le loro tracce, come è successo con…- si bloccò, maledicendosi mentalmente per essere entrata in un terreno così minato.
Matt abbandonò il giornale fissando la ragazza con l’espressione più gelida che riuscisse a produrre – come è successo con Tk?- chiese retoricamente non nascondendo tutta la rabbia e il dolore che trasudava da quella semplice frase.
Mimi si lasciò pesantemente andare sulla sedia, sentendo sul suo corpo una stanchezza decisamente superiore alla sua età – si… come è successo con lui- abbassò lo sguardo mordendosi nervosamente le labbra, possibile che ogni argomento con lui fosse un campo minato?
 
 
Il passaggio tra i due mondi era stato istantaneo, facendo atterrare i prescelti proprio nel centro del ciclone.
Rimasero paralizzati e storditi per alcuni secondi davanti al triste spettacolo di una città che stava cadendo davanti ai loro occhi impotenti.
Di nuovo… era successo di nuovo… la storia si stava ripetendo e ancora una volta era troppo tardi.
Immagini vecchie di alcuni anni risuonarono prepotentemente nelle loro menti, facendo riemergere tutto il dolore che con esse era sopito.
Grattacieli che crollavano come miseri castelli di sabbia, nubi di cemento che intossicavano l’aria, macchine rovesciate abbandonate in mezzo al nulla, persone che scappavano, urlavano e piangevano, il sangue era ovunque e si mischiava irrimediabilmente con le macerie che aumentavano in modo esponenziale… tutto era così maledettamente simile a quello che era accaduto due anni prima, solo che questa volta non ci sarà nessuna colonna di luce che li verrà a salvare travolgendoli con il coraggio del suo evocatore.
Una risata, la stessa che li aveva perseguitati per ore, si fece sentire forte e chiara nonostante il caos che regnava in quel luogo.
Il dolore lasciò il posto alla rabbia e al disgusto, quando i prescelti nell’alzare lo sguardo incontrarono la sagoma di wargraymon. Oh beh, se quel tipo aveva deciso di farli incavolare aveva scelto decisamente la maschera giusta.
- Gatomon!- a sorpresa la prima a risvegliarsi fu la prescelta della luce – prendilo e disintegralo!- tutto avrebbe potuto sopportare, tranne che qualcuno profanasse la memoria del fratello.
Peccato che nessuno ebbe effettivamente il tempo di fare qualcosa. Quel crudele nemico come era apparso dal nulla era anche scomparso altrettanto velocemente, lasciandosi dietro solo l’ennesima beffarda risata.
 
 
Un pesante silenzio carico di parole e sentimenti non detti aveva avvolto quel tavolo che era stato fino a pochi attimi prima così rumoroso.
Due ragazzi erano lì seduti travolti dai loro rispettivi dolori.
Il tempo non era riuscito a lenire le ferite di quei due animi, rendendoli così fragili da poter essere spezzati da un semplice soffio di vento.
Mimi aveva paura ad alzare di nuovo lo sguardo, avrebbe accettato tutto tranne essere guardata con odio e disgusto da quel ragazzo che tanto aveva imparato ad ammirare nel corso degli anni.
Si torturava con ansia le mani, pensando che lei nella sua situazione non sarebbe mai riuscita a rialzarsi, figuriamoci a sperare in un avvenire diverso.
Così se ne stava zitta nell’attesa che lui si calmasse, tanto da permetterle di parlare di nuovo civilmente.
Senza farsi notare studia con attenzione i lineamenti duri e freddi del prescelto, sperando di ritrovare qualche segno che le ricordasse la persona che aveva conosciuto a digiword, invece che del ragazzo solo e privo di vere emozioni che aveva davanti.
Un sorriso, o anche solo una semplice scintilla di vita negli occhi le sarebbe bastata, perché avrebbe significato che c’era ancora la possibilità di credere in un domani.
- Mimi…- il ragazzo sospirò pesantemente mentre piegava il giornale mettendolo da parte – quello che provi tu lo proviamo tutti…- una smorfia di disgusto apparve su quel volto pallido al pensiero di essere trattati come la peggiore delle malattie -… non credere che a noi ci stia bene così, perché non è vero…- congiunse le mani davanti alla faccia, facendo toccare leggermente le punta delle dita - … e se ci fosse davvero qualcosa da fare, credimi se ti dico che non ce ne staremmo di certo a guardare…- i suoi occhi celesti puntarono freddi quelli della ragazza impedendole di interromperlo in qualunque modo – ma… nella nostra situazione attuale siamo con le spalle al muro…- appoggiò senza forze la testa sulle mani congiunte in cerca di sostegno, o solo forse per nascondere una pesante sensazione di impotenza - … non possiamo combattere contro il mondo… perché che tu lo voglia accettare o no, è lui attualmente il nostro avversario.-
La ragazza sentiva che le sue speranze venivano schiacciate lentamente da quella voce che appariva stanca e sconfitta, eppure lei ancora non se la sentiva di gettare la spugna.
Strinse i forte i lembi del suo maglione verde scuro. No, non poteva e non voleva arrendersi.
Lei aveva fatto un giuramento su di una tomba ricoperta di rose: aveva giurato di proteggere quello che rimaneva della loro famiglia digitale, nessuno doveva più essere solo o dimenticato.
Aveva giurato e non si sarebbe tirata indietro, anche se questo avrebbe significato combattere tutti gli eserciti del mondo. Non le importava, lo avrebbe fatto.
- troviamolo!- con una voce determinata riuscì ad attirare su di se quegli occhi del colore del cielo – troviamo quel bastardo che ha fatto tutto questo e dimostriamo che i prescelti non sono dei mostri sanguinari.-
Matt si lasciò scivolare lentamente sulla sedia, ormai aveva perso il conto del numero di volte in cui aveva fatto questo discorso con gli altri prescelti, Davis in particolare era stata una vera testa calda… degno del suo idolo. – ora sei tu che vivi in un’utopia Mimi…- i suoi occhi vagarono fuori dalle ampie vetrate trovando improvvisamente il magro parcheggio della tavola calda molto interessante – non sappiamo chi fosse… non conosciamo i suoi veri obbiettivi… e non abbiamo la più pallida idea di che fine abbia fatto…- si soffermò un attimo a studiare con attenzione il via vai sulla strada, una delle sue nuove e paranoiche abitudini -… credimi, il modo migliore per uscire da tutto questo è stare nascosti e aspettare che Izzy compia il suo miracolo-.
Mimi sospirò sconfitta, quello che aveva davanti era un muro impenetrabile che non voleva sentire ragioni.
Ironico, pensava mentre ridacchiava a bassa voce, ora che aveva finalmente ritrovato la forza di gettare la sua maschera accettando tutto quello che era, doveva nascondersi un'altra volta dietro a un nuovo ruolo.
Vestiti, capelli, nome… tutto per potersi muovere nel mondo senza rischiare di finire anche lei in prima pagina, mentre un giornalista acclamava la sua dipartita.
Voltò anche lei lo sguardo verso quell’ampia finestra circondata da tende a quadretti bianchi e rossi. Era uno sguardo vuoto riversato verso il nulla, perché nonostante tutte le belle parole lei non riusciva a non pensare di essere solo una marionetta nelle mani di un digimon pazzo che stava solo giocando con loro.
 
 
Pochi sono i frammenti di quello che accadde in seguito che la mente dei prescelti riuscì effettivamente a registrare.
I suoni divennero ovattati e le immagini sbiadite e confuse.
Il fuoco continuava a bruciare tutto quello che incontrava sul suo percorso, ancora in attesa di un qualunque intervento che frenasse la sua corsa.
Gli edifici crollavano sotto il peso dei colpi ricevuti, producendo grandi nuvole di polvere che intossicavano l’atmosfera.
Tutto si muoveva al rallentatore come se lo stesso padre tempo si stesse prendendo gioco di loro.
Nessuno dei ragazzi osava muovere un muscolo non almeno fino a quando delle prese ferree si avvolsero attorno ai loro polsi cominciando a trascinarli lontano da lì.
Persone, che non avevano mai visto e conosciuto urlavano cercando di risvegliarli da quello stato catatonico in cui erano intrappolati. Gli dicevano di scappare, gli dicevano di nascondersi, gli dicevano che erano in pericolo… eppure loro ancora non capivano cosa stesse succedendo o perché li stessero aiutando.
Ancora oggi mi interrogo sul perché alcuni abitanti di quella città caduta vi abbiano tratti in salvo, riuscendo ad evitare quella che sarebbe stata altrimenti la fine definitiva dei prescelti.
Tutto quello che posso supporre è che forse ciò che era successo pochi anni prima nella vicina città di Odaiba non era passato così inosservato come si potrebbe pensare e che forse per una volta delle persone si erano poste delle domande prima di agire come una massa.
 
 
 
Una sedia venne rumorosamente spostata indietro, mentre in contemporanea dei soldi vennero appoggiati sulla superficie del tavolo.
Mimi alzò lo sguardo confusa, sentendosi più impotente che mai, ancora una volta non poteva fare nulla per aiutare chi amava.
Allungò le mani per afferrare quel ragazzo dai lunghi capelli biondi che era diventato il loro leader e punto di riferimento, ma tutto quello che trovò fu solo il vuoto.
Matt si spostò bruscamente facendo quasi cadere definitivamente quella sedia che era appena appoggiata alle sue gambe. Con poca grazia prese velocemente quello che di sua proprietà era rimasto in quel luogo e con altrettanta rapidità era pronto ad andarsene.
Bloccò con un’occhiata gelida ogni tentativo della ragazza di fermarlo – rimani nascosta e aspetta… purtroppo non abbiamo altra scelta.- fece pochi passi, cercando di evitare lo sguardo triste e deluso che aveva invaso il volto della sua amica.
Sospiro pesantemente fermandosi esattamente dietro di lei. Anche se aveva deciso di non tornare indietro, un cuore ancora ce l’aveva e lasciarla così gli faceva male.– Mimi?... è…. È stato bello rivederti… abbi cura di te. –
Un piccolo sorriso si dipinse sul volto della prescelta, forse una piccola speranza c’era ancora.
 
 
Matt era frastornato e confuso, il mondo attorno a lui si muoveva troppo velocemente per seguirlo. Un attimo prima era alla ricerca di un digimon pazzo che aveva avuto la brillante idea di rovinare quel poco che rimaneva delle loro vite e poi all’improvviso era scoppiato il finimondo e lui stava scappando.
Una risata si era udita in ogni vicolo di quella città di cui nemmeno ricordava il nome, mentre attorno a lui ogni cosa crollava rovinosamente.
Luci, mezzi militari e persone armate sono spuntate da ogni angolo e tutte puntavano loro come se fossero dei terroristi.
Erano bastate quelle poche ore per far si che dei semplici adolescenti diventassero il pericolo numero uno del mondo intero… decisamente ironico pensando al numero di volte in cui il mondo lo avevano salvato.
Matt sbiancò, sentendo un brivido di terrore attraversarli il corpo. Non ci voleva di certo un genio per capire quello che stava succedendo, e no, non era una prospettiva allettante.
Questa volta per loro sarebbe stata la fine, li avrebbero arrestati e poi avrebbero buttato via la chiave... e questo nella migliore delle ipotesi.
Tentò di correre verso i suoi compagni, ora era il leader e il suo compito era quello di proteggerli, anche se ancora non sapeva come.
Improvvisamente il suo corpo venne strattonato nella direzione opposta a quella dei suoi amici, lasciandolo impotente a subire il corso degli eventi.
Gridò con tutte le sue forze tentando invano di liberarsi da quella presa che diveniva sempre più stretta.
Si voltò di scatto, pronto a combattere con chiunque gli impedisse di arrivare dalle persone a lui care, non gli importava che fossero militari o che fossero armati, lui li avrebbe abbattuti tutti e avrebbe mantenuto quella dannata promessa che aveva fatto a quel testardo ragazzo che era il suo migliore amico.
Tuttavia ogni suo istinto venne meno quando i suoi occhi incontrarono i volti preoccupati e spaventati di due uomini che in quel momento gli urlavano solo di salvarsi.
Non erano militari ma solo due uomini comuni, probabilmente padre e figlio, che avevano visto in lui non un capro espiatorio bensì un adolescente spaventato forse anche più di loro.
Voleva ringraziarli. Voleva chiedere spiegazioni. Ma ancora di più voleva sapere se gli altri stavano bene…. Sfortunatamente per diverse ore le sue domande non avrebbero ottenuto risposta.
 
 
 
Terremoti e incendi distruggono un mondo che non ha regole e confini.
I settori cadono a uno a uno disperdendo scie di dati che verranno immagazzinati in attesa di essere riutilizzati per un possibile domani.
I suoi abitanti emigrano raggiungendo i limiti delle terre emerse in attesa che i loro eroi tornino a salvarli ancora una volta.
Tutto quello per cui si era così ardentemente combattuto era andato perso, travolto insieme a quell’utopica pace che era stata concepita con tanta fatica.
Fautore di tale disastro era un esercito di digimon virus, che aveva attraversato un portale considerato fino a quel momento inespugnabile, raggiungendo così un mondo in quel momento indifeso.
Una lenta e fredda vendetta stava consumando quelle terre… una vendetta chiamata da un essere che aveva vissuto anni di prigionia dopo aver subito l’umiliazione di veder cadere il suo regno per mano di alcuni bambini del mondo reale… e per questo anche quel mondo avrebbe pagato.
Ma quello che il digimon non sapeva e che nel fondo di un piccolo lago dai colori cristallini si celava una valida struttura creata appositamente per dare una speranza ai due mondi.
Ed è proprio qui che ancora vive l’eredità dei prescelti…
 
 
 
Mura di freddo metallo avvolgono un’ampia stanza che è il cuore e l’anima di una costruzione celata tra fredde acque incontaminate.
Protetta dai poteri degli stemmi sopravvive ogni giorno per realizzare un obiettivo comune… un obiettivo che ormai è l’unica flebile speranza rimasta.
All’interno potenti macchine lavorano senza sosta sotto l’occhio attento degli unici esseri umani che lì abitano stabilmente da ormai un anno.
Una grande scrivania in legno nero accoglie diversi computer, ognuno intento a terminare quel programma che potrebbe salvare i due mondi.
Dietro di essa è illuminato dalla luce dei monitor il volto stanco di un giovane dagli spettinati capelli color porpora.
- dai… dai … dai…- i suoi occhi, segnati dall’insonnia, sono fissi sui lunghi elenchi di dati che davanti a lui scorrono - … funziona… funziona … funziona.-
Incrociando le dita spera che quello schermo dai colori celesti, dia vita al suo lavoro, assumendo un tono di verde.
- calmati Izzy…- una voce roca e metallica interviene cercando di interrompere quel piccolo monologo sconnesso -… non andrà più veloce di così – il piccolo coleottero tende una tazza calda di te verso il suo prescelto, nella speranza che stacchi gli occhi dallo schermo per almeno dieci minuti – perché non prendi una pausa?-
Un suono acuto viene generato da quella macchina attirando nuovamente a se tutta l’attenzione del giovane genio.
- maledizione!- urla quando davanti a se si ripresenta l’ennesima risposta data in un riquadro rosso – un altro fallimento!- stringe i pugni sbattendoli sul tavolo, tentando così di sfogare almeno parte della sua frustrazione.
 
Passi leggeri si muovono nella semioscurità della stanza attirati nel fondo della stessa dal volume insolitamente alto del prescelto della conoscenza. – che succede Izzy?- la voce matura di un vecchio amico riesce a scavalcare i suoni prodotti dalle macchine – non andava bene nemmeno questa volta?- si toglie gli occhiali tentando di pulire il vapore di cui sono ricoperti per via della temperatura necessariamente elevata che viene mantenuta in quel luogo.
- Joe…- volta il capo Izzy mostrando la stessa espressione che avrebbe un bambino a cui hanno appena negato un giocattolo - … non capisco… eppure ci sono così vicino…- alza la mano per indicare lo schermo del computer più grande dove brilla un’enorme e deludente schermata rossa -… infondo non abbiamo problemi con il viaggio tra digiword e la terra… perché per questo deve essere diverso?-
Joe non sa se ridere o essere scoraggiato di fronte all’immagine del suo migliore amico che gonfia le guance sbuffando come un bambino – abbiamo tempo…- si avvicina prendendo dalle zampe di Tentomon quella tazza di te praticamente ignorata dal prescelto -… perché non fai una pausa?-.
Un ringhio mal trattenuto viene pronunciato dalla gola del genio, mentre tende la mano verso quella tazza all’improvviso così allettante – perché mi chiedi?...- beve avidamente sentendo i nervi distendersi grazia all’aroma dell’infuso - … beh per cominciare siamo ricercati sulla terra… senza contare che c’è in giro un digimon folle con un perverso senso dell’umorismo che non vede l’ora di farci le feste e non in senso buono…- appoggia il gomito sul piano di legno abbandonando tutto il peso della testa sulla mano libera - … e poi… - sospira chiudendo gli occhi - … vorrei tanto evitare l’ennesimo attacco isterico di Matt. –
Joe sorride osservando il suo più giovane compagno assopirsi lentamente su quel freddo legno – scusa Izzy ma era necessario- prede la tazza che aveva prima corretto con un leggero sonnifero -... non dormi da giorni e vorrei tanto evitare di ritornare ai livelli di quattro anni fa-.
Un plaid color crema viene delicatamente appoggiato su quelle spalle fragili, in attesa che il sonno prenda il sopravvento permettendogli così di spostare il ragazzo nel letto più vicino.
Avvolto in un religioso silenzio si avvicina al centro della stanza, ha un po’ di tempo prima che il sonnifero faccia pienamente effetto e vuole usarlo per ammirare quel dannato progetto che non li fa dormire la notte.
Simboli appartenenti ad antichi poteri sono incisi in un blocco di pietra nera, a sua volta assicurato a una struttura di rame e ferro che ne eviti il contatto con il pavimento.
Un complesso di elementi con una mole e un peso non indifferente soprattutto se si considera che quella pietra ha le dimensioni di un auto… un auto sospesa a due metri di altezza.
Naturalmente poi ad essa si collegano cavi e computer, così da testarne le attività e la potenza.
Qual’è la sua funzione? Beh, unire insieme conoscenza umana e digitale per ottenere uno squarcio non solo nello spazio ma anche nel tempo… uno squarcio che ha ora l’aspetto di una piccola sfera di bianco cristallo avvolta in un instabile arcobaleno di luce.
Joe la guarda e sospira, chiedendosi se davvero sia mai possibile trovare una via di uscita a quella situazione in cui si sono cacciati.
 
 
Matt aprì gli occhi uscendo dal confortante torpore del sonno. Non avrebbe voluto, ma qualcosa aveva interrotto il suo forzato riposo.
Una porta aveva sbattuto facendo non poco rumore, rivelando la presenza di altre persone che con passi veloci si avvicinavano al luogo in cui era sdraiato il ragazzo.
Il prescelto si guardò attorno con aria smarrita, chiedendosi quando fosse stato portato in quello che dalla penombra aveva riconosciuto come un piccolo appartamento.
Una luce si accese nella stanza adiacente confermandogli due informazioni: non era da solo e quella casa era a lui totalmente sconosciuta.
Scostò quasi con rimpianto la calda coperta che avvolgeva il suo corpo, abbandonandola sul divano rosso scuro che gli aveva fatto da letto per quelle ore.
Si alzò con circospezione cercando di fare il meno rumore possibile.
Dopo anni di esperienza digitale aveva imparato a non fidarsi, soprattutto di calde case appartenenti a persone ignote .
Si mosse verso la porta, ma la sua mente fu più veloce del suo corpo. I pochi ricordi delle ultime ore passate invasero la sua mente generando un forte senso di vertigine, come se il terreno sotto di lui avesse deciso di abbandonarlo.
Il suo corpo divenne più pesante e le sue gambe non avevano più la forza di reggere tutta la stanchezza e lo stress di quelle ultime ore.
 Cadde in avanti, senza mai tuttavia raggiungere il suolo. Qualcuno era entrato nella stanza e ora lo stava portando di nuovo verso quel divanetto.
Dopo qualche minuto la sua vista tornò normale e i suoi pensieri si liberarono dalla nebbia che li aveva avvolti. Fu allora che vide davanti a lui due volti che lo fissavano preoccupati.
- Matt?? Mi senti?- occhi e capelli blu, un paio di occhiali incapaci di stare fermi e una posa composta. Decisamente quello era il suo amico Joe – dei calcinacci ti sono caduti in testa nella fuga… hai un leggero trauma cranico… è meglio se non ti muovi.-
Il prescelto dell’amicizia annuì cercando di mettersi seduto, anche se in realtà l’unica vera informazione che aveva registrato era che almeno il suo amico occhialuto stava bene e che non era stato catturato.
Una voce si mosse dietro a Joe, spingendo Matt ad allungare il collo per vedere meglio l’altro volto per lui ancora sconosciuto – chi è lui, Joe?-.
Un uomo basso sulla cinquantina fece un passo avanti cercando di spaventare il meno possibile il suo ospite.
- ci ha salvati…- il volto del prescelto si incupì - … e ci sta nascondendo in casa sua mentre capiamo cosa fare.-
 
 
 
Una nuvola di polvere e foglie è tutto ciò che testimonia il rapido passaggio di due moto nere su di una strada ormai abbandonata.
Corrono incuranti di limiti e segnali, come se da quel viaggio dipendesse la loro stessa vita.
Corrono in un mondo solitario, guidati solo dall’impazienza e imprudenza che caratterizza la giovane età dei conducenti.
Dietro di loro il sole è da poco sorto, lasciando che i suoi raggi rendano chiaro un percorso altrimenti celato dal buio.
Non ci sono lampioni, o meglio, alcuni ci sono ma non sono più alimentati da diversi mesi.
Infondo non avrebbe senso spendere soldi per un itinerario quasi dimenticato… un itinerario che prima conduceva a una città piena di vita la cui fonte principale era il turismo.
Attraversano un cavalcavia, uno dei pochi sopravvissuti dal disastro dell’anno precedente, è mal ridotto e crepato in più punti, ma almeno permetto loro un passaggio indisturbato.
L’unica femmina del trio stacca la testa dalla schiena del suo compagno di viaggio, così da permetterle di osservare il triste passaggio che si specchia nella scura visiera del suo casco.
Sospira pensando che quella una volta doveva essere proprio una bella località. Una di quelle graziose cittadine da cartolina, con ampi parchi, una diretta connessione alla spiaggia, un curato ed elegante lungo mare, case numerose ma su pochi piani circondate da fioriti giardini… un luogo bellissimo dove avrebbe passato volentieri le vacanze, o almeno questo è quello che vedeva finché i suoi occhi rimanevano chiusi ad immaginare quello che era che sarebbe potuto essere.
Lì riapri ritrovando una realtà purtroppo molto diversa.
La spiaggia così come il mare erano sotterrati dalle macerie e dai detriti rovinando irrimediabilmente quella che altrimenti sarebbe stata una baia perfetta.
Interi crateri invadevano la cittadina, cancellando buona parte del lungomare e delle casette esistenti.
Tutto era morto o abbandonato, anche chi era sopravvissuto alla fine era emigrato lontano lasciando che quel luogo una volta affollato divenisse una città fantasma.
 
 
La piccola stanza era immersa in un silenzio talmente pesante da togliere il fiato.
I pochi adulti presenti stavano tentando di spiegare con il maggiore tatto possibile quello che era accaduto ai prescelti che avevano deciso di salvare.
All’inizio i ragazzi erano sollevati nel sapere che c’erano persone che credevano in loro e che li vedevano solo come dei normali adolescenti… salvo naturalmente il piccolo dettaglio del “salvare il mondo” come loro lavoro occasionale.
Era bello sentire l’ammirazione che quegli sconosciuti provava per loro… ammirazione nata e sviluppata da quelle immagini che avevano fatto il giro del mondo raccontando i fatti che avevano colpito la loro città natale.
Fu un bel momento che tuttavia si frantumò in fretta nelle parole ‘scusate ma non siamo riusciti a salvare il vostro amico con i capelli biondi… l’hanno preso’.
In quell’istante il mondo crollò addosso ai prescelti rimasti, di nuovo il destino si faceva beffe di loro portandogli via un'altra persona importante.
Quello che non sapevano è che da quell’avvenimento si sarebbe generato un nuovo incubo che avrebbe messo la parola fine all’eroica dinastia dei prescelti.
 
 
La prima moto rallentò la sua corsa, segnalando, tramite il gioco delle frecce, l’intenzione di volersi fermare poco più avanti.
Erano entrati in città e il panorama che li avvolse era opprimente e desolante. Certo, anche dall’alto si vedeva che era un luogo abbandonato, ma esservi dentro dava tutto un altro effetto.
Uno dei guidatori scosse la testa infastidito. Quel posto non era poi ridotto così male tenendo conto di quello che era successo e con un po’ di impegno sarebbe tornato agli antichi splendori in poco tempo. Ma no, perché salvare un giocattolo rotto quando puoi avere una magnifica città fantasma capace di trasmettere solo un amaro sentimento di perdita.
Fece un ringhio sommesso, che fortunatamente venne coperto dal rombo del motore. Questa scelta era per una persona come lui, costretta ad abbandonare il suo amato paese natale, inconcepibile.
Strinse i pugni facendo scricchiolare i guanti di pelle, un giorno questo sarebbe cambiato. Fosse l’ultima cosa che faceva avrebbe riportato tutto alla normalità.
Le moto diminuirono la velocità, andando quasi a passo d’uomo. Erano passati mesi, ma quelle strade erano ancora invase dalle macerie, chiunque fosse sopravvissuto aveva lasciato quel luogo in gran fretta, senza farvi più ritorno.
Le vetrine dei negozi erano rotte, riversando nelle strade i loro contenuti… conseguenza questa molto più probabilmente imputabile ai saccheggi che al vero attacco digitale.
Anche le case non erano in condizioni migliori e quelle ancora in piedi erano per loro inutili, perché non rispondevano alle loro esigenze. Così non avevano altra scelta che continuare quella triste processione tra quei resti abbandonati… almeno fino a quando la ragazza del gruppo picchiettò sulla spalla del suo migliore amico indicandogli un edificio poco distante.
Da sotto il casco si ampliò un ghigno di approvazione per l’ottima scelta, magari questa volta avrebbe avuto anche un po’ di divertimento.
Scesero dalle moto una volta entrati nel parcheggio, tentando di nasconderle al meglio tra i rottami di alcune auto sportive abbandonati.
Uno dei due ragazzi presenti sollevò la visiera per scrutare al meglio la zona. A parte un enorme crepa che divideva a metà il parcheggio il resto sembrava in buone condizioni e, a giudicare dalle carcasse presenti nello stesso, doveva essere anche un posto parecchio frequentato in passato.
Si tolse il casco scostando con un gesto elegante i lunghi capelli dal viso, non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma quel coso che dovrebbe salvargli la vita in caso di incidenti proprio non lo sopportava.
Si mosse velocemente verso l’entrata, sapendo per certo che i suoi due compagni di viaggio lo stavano seguendo, infondo era da un anno che viaggiavano insieme e ormai li conosceva come le sue tasche.
Camminarono per qualche metro su un tappeto rosso, notando ad ogni passo i tessuti sgualciti e i colori opachi rovinati dagli agenti atmosferici.
Si aggrapparono al corrimano in ottone d’orato per cercare di evitare i solchi che nelle scale si erano creati e che rendevano instabile il passaggio. Tutto questo ovviamente cercando di non ascoltare le espressioni poco colorate che venivano lasciate dal secondo ragazzo del gruppo ogni qualvolta la sua goffaggine aveva il sopravvento.
La ragazza sospirò, quella era una scalinata degna di una regina, peccato percorrerla quando era in quelle condizioni pietose.
Fortunatamente in pochi minuti la scalata finì e si ritrovarono davanti alla maestosa facciata dell’edificio costruita in stile rinascimentale, da cui spiccavano statue, archi e colonne tutte in pregiato marmo bianco. Decisamente i proprietari non avevano badato a spese…
Occhi scuri come la notte sondavo con accuratezza porte e finestre nella speranza che fossero sopravvissute al saccheggio della città.
Sorrise quando la pesante entrata in legno blindata non cedette alle sue spinte, questo significava che potevano fare il loro lavoro bene e in fretta.
Il suo sorriso si trasformo in un ghigno quando estrasse il suo digiterminal per connetterlo ai codici della porta e aprirla… beh, infondo era stato un genio del male una volta…
Se l’esterno era imponente l’interno lo batteva di gran lunga, soprattutto perché era ancora perfettamente intatto, coperto di polvere, certo, ma intatto.
- evvai!- un urlo compiaciuto fece saltare il genio dai capelli scuri, che orami si era abituato a tenere un basso e calmo profilo – che bellezza…- cominciò a correre nella grande sala visibile grazie alla luce solare che entrava dalle ampie finestre - … lì possiamo usare vero Ken?-
Un leggero tic fece muovere l’occhio destro dell’ex imperatore – Davis…- pronunciò il nome come se fosse un sibilo -… non siamo qui per giocare…- indicò un grande tavolo verde su cui c’erano ancora stecche e palle di vari colori – … cerchiamo un posto dove riposarci e facciamo quello per cui siamo venuti. -
Davis abbandonò il tavolo da biliardo per esplorare il resto dell’ampia sala – e questi li puoi accendere??…- scostò un po’ di polvere dallo schermo di alcune slot machine - … scommetto che avevano un generatore di scorta.-
Ken contò mentalmente fino a dieci, cercando di ricordare a se stesso perché avesse scelto un casinò di lusso come rifugio. Sospirò. Infondo doveva aspettarselo, per quanto Davis fosse cresciuto e maturato negli ultimi anni c’era ancora quella parte infantile di lui che ogni tanto e senza preavviso usciva fuori.
Un piccolo sorriso illuminò il suo volto mentre vedeva il suo compagno di viaggio esplorare i tavoli di black jak con la curiosità di un bambino. Forse, considerando tutto quello che stavano passando, non gli dispiaceva poi più di tanto, significava solo che lui non era ancora morto dentro.
Una mano sottile si appoggiò sulla spalla del ragazzo, ricordandogli la presenza del terzo componente – faccio un giro di perlustrazione…- una voce e un volto che avevano perso la sua dolcezza fecero perdere in un attimo il sorriso dell’ex imperatore - … vedo cosa riesco a trovare- due occhi vuoti lo fissavano chiedendo alla fine solo il permesso di allontanarsi un momento.
Ken annuì dando a Davis e a se stesso dell’idiota. Sapeva quanto Kari soffrisse per la perdita di Tai e Tk, eppure non aveva calcolato che quei rari momenti di allegria del compagno erano per lei troppo dolorosi… dolorosi come i ricordi che con essi riemergevano.
Il goffo e allegro Davis era quello che si allenava con Tai a calcio e che con lui studiava per diventare un prescelto e un leader.
Il curioso e spensierato Davis era quello che con lei e il resto della nuova squadra di prescelti aveva affrontato le avventure di digiword.
Il Davis spavaldo era quello che combatteva notte e giorno con Tk per il suo cuore.
Non era questo il Davis che ha viaggiato con lei.
Non era questo il Davis che le ha promesso di aiutarla a ritrovare Tk.
Non poteva essere Davis, perché se lo fosse stato tutto sarebbe diventato troppo doloroso.
Per questo doveva allontanarsi, non poteva vedere quei ricordi nei gesti inconsapevoli del suo migliore amico.
 
Matt stringeva con tutta la forza che aveva i fragili braccioli in legno della sua sedia nel vano tentativo di trattenersi dal lasciare quel rifugio per andare a cercare il fratello.
Kari piangeva in silenzio rannicchiata su se stessa in cerca di calore, la vita l’aveva privata di nuovo di una persona importante e questa volta difficilmente si sarebbe ripresa.
Mimi era accanto a lei per sussurrarle parole di conforto… parole che davanti al suo dolore erano totalmente impotenti.
Davis era furioso. Erano stati attaccati dai militari senza nemmeno dargli mezza possibilità di spiegare quanto era accaduto, così come se fossero dei volgari kamikaze con tanto di bombe addosso. Semplicemente inaccettabile…
Joe cercava di mantenere una facciata calma, ma dentro di se era più in ansia che mai. Sapeva che una volta calmata la rabbia si sarebbero resi conto di quanto era grave la loro situazione e allora l’intero gruppo sarebbe caduto nella depressione più nera.
Tornare a casa era impensabile sarebbe stato il primo posto in cui li avrebbero cercati e poi dovevano proteggere a tutti costi le loro famiglie, almeno quello che ne rimaneva…
Senza contare che la loro posizione attuale era di totale svantaggio, troppe erano le cose che non sapevano, compreso chi stava giostrando il tutto.
Passò una mano sulla fronte sospirando. Anche se era egoistico ammetterlo avrebbe pagato oro per riavere Tai lì in quel momento, anche se non poteva fare miracoli, avrebbe tenuto il gruppo unito e quella era ora la cosa più importante.
Alzò gli occhi per scrutare il resto dei suoi compagni, concentrandosi in modo particolare sui due geni del gruppo che al momento lavoravano freneticamente su computer appoggiato su di un piccolo tavolino da tè in ferro e vetro.
Izzy e Ken stavano setacciando i due mondi alla disperata ricerca di un qualsiasi segnale da parte del digivice di Tk, il quale purtroppo sembrava svanito nel nulla senza lasciare traccia.
Un ringhio di frustrazione venne prodotto dalle labbra del più piccolo davanti all’ennesimo fallimento, decisamente questa battaglia l’avevano persa.
 
 
Passi decisi rimbombavano all’interno di un corridoio dai toni freddi e anonimi.
Un giovane uomo cresciuto troppo in fretta li percorreva veloce, ansioso come sempre di conoscere i risultati settimanali delle ricerche che aveva affidato ai suoi amici più fidati.
Fioche luci al neon illuminavano le spoglie pareti di metallo al suo passaggio, segnalando così la sua presenza alle poche vite presenti nella struttura.
Nella sua mente il solo pensiero coerente era legato a quella vecchia foto che testardamente portava sempre con se. Perché quella foto era il suo unico obiettivo e la sua unica ragione di vita.
- Maaattt!- un digimon avvolto in una calda pelliccia dalle sfumature cobalto cercava disperatamente di stare al passo con il suo umano – aspettami!- le gambe tozze non erano all’altezza di quelle lunghe e snelle del ragazzo dai lunghi capelli biondi – non abbiamo fretta… qui siamo al sicuro- si attaccò di peso alla maglia nera che avvolgeva quel corpo esile.
Gli occhi azzurri del prescelto si mossero d’istinto perlustrando ogni angolo presente nel suo campo visivo di quel luogo creato nel mondo dei dati, non trovando nulla che potesse essere considerato anomalo.
Sbuffò, ancora una volta stava per cedere al suo lato impaziente.
Rimase fermo in piedi in quel corridoio per alcuni attimi, respirando un paio di volte così da ritrovare uno sprazzo di lucidità.
- scusa…- rivolse al suo digimon un’occhiata stanca - … hai ragione Gabumon -.
Il piccolo lupo tiro un sospiro di sollievo, l’ultima cosa che gli serviva adesso era un colpo di testa da parte del leader del gruppo.
- che hai Matt?- le iridi sincere di Gabumon percorsero velocemente il volto scuro del ragazzo – è successo forse qualcosa? Gli altri prescelti…-
- no!- lo interruppe subito, quasi a non voler nemmeno prendere in considerazione l’idea – stanno bene…- allontanò lo sguardo cercando di perdersi nel riflesso di una piccola finestra a lui poco distante - … sono sicuro che i ragazzi… stanno bene. -
Gabumon annuisce, non convinto però dal tono quasi disperato che ha assunto la voce del ragazzo – ma allora cosa…?-.
- non è nulla…- interviene cercando di interrompere il prima possibile quel discorso -… solo forse non avrei dovuto leggere il giornale questa mattina.- senza guardarlo riprende a camminare verso la sua meta originaria, questa volta però a un passo più lento.
 
Continua…
 
 
Allora… come era?? Interessa ?? lo continuo??
Va beh, devo dire che mi ero immaginata un chappy migliore… forse troppe informazioni da dare e troppo poco spazio?? ( di cui non le ho date nemmeno tutte, si evolveranno nei chappy successivi)
Spero solo che non sia una totale schifezza, mi dispiacerebbe rovinare la storia.
Purtroppo i flash back sono e saranno un elemento fondamentale per via degli anni passati… spero che non abbiano dato fastidio…
Ok. Fatemi sapere…
Ciao ciao
Lau2888
 
Ps generale: ho dimenticato di ringraziare tutti voi santi che continuate a sorbirvi i miei capitoli (inchino) e in particolare chi recensisce (doppio inchino)
 
Ps per kymyit: il tuo caro pagliaccio avrà un ruolo maggiore dal prossimo chappy.^_-
  

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Capitolo 11
*** passo 11)il marionettista che gioca nell'ombra ***


Cari lettori sono tornata!! Mi scuso per il ritardo (imperdonabile!) ma il mio povero pc è stato annientato da un virus (ho dovuto far istallare di nuovo il sistema operativo T.T)… in parole povere il chappy era pronto una settimana fa ma era bloccato su un pc che nemmeno si accendeva ^^’’’
Comunque… bando alle chiacchere, ringrazio tutti (lettori e recensori) e auguro buona lettura!!
 
 
 
 
Passo 11) il marionettista che gioca nell’ombra.
 
 
Una sfera di vetro verde era tenuta con cura nell’esile mano di una bimba di appena dieci anni.
La ruotava divertita, osservando come i lustrini che la ricoprivano cambiavano colore a contatto con la luce, creando così dei piccoli arcobaleni.
La bambina se ne stava seduta su di una piccola seggiolina muovendo le gambe avanti e indietro al ritmo con una canzone le cui note vibravano nel caldo salotto.
La sua mamma aveva appena acceso lo stereo per creare un po’ di atmosfera, o forse, solo per svegliare i due uomini pigri che abitavano con loro.
Era una giornata importante e tutto l’appartamento odorava di biscotti e zabaione, due delle poche cose che la cuoca di casa sapesse fare correttamente… almeno quando seguiva le ricette originali.
La bambina ridacchiò al pensiero di quale strano ingrediente avrebbe usato questa volta la sua mamma per “migliorare” la ricetta, chissà, magari sarebbe stato qualcosa di dolce.
Ma ogni sua speranza svanì miseramente quando vide la suddetta cuoca entrare in sala con in mano un cavolo.
Scosse la testa sconsolata decidendo che era meglio non conoscere gli ingredienti del menu, almeno avrebbe preservato la sua salute mentale.
Girò ancora tra le sue mani quella sfera, giocando un po’ con il gancio d’orato che sulla cima della stessa spiccava in netto contrasto con i colori della liscia superficie di vetro. La sua mamma si era offerta di aiutarla a metterla sul quel bell’albero verde che avevano comprato e che ora riposava spoglio accanto alla bambina, ma lei si era rifiutata, quella era una cosa che avrebbe fatto con il suo fratellone.
Un caldo sorriso si dipinse sul suo volto. Il suo fratellone sarebbe arrivato presto, non aveva dubbi, perché per lei lui c’era sempre.
La porta che dava sul corridoio si aprì appena lei ebbe finito di formulare il pensiero, lasciando emergere dalla semioscurità la figura assonnata di un adolescente.
La bambina faceva fatica a trattenere le risate davanti al suo molto arruffato fratello maggiore con addosso un pigiametto rosso e bianco in pieno spirito natalizio… oh, Sora era stata crudele a regalarglielo.
Scese dalla seggiolina con un leggero saltello, già pronta a godersi le gioie che quel giorno le avrebbe donato – ben svegliato fratellone!- con un veloce scatto raggiunse il ragazzo più grande, arpionandosi immediatamente alla sua vita – buona vigilia!-.
Una carezza piena di affetto le scostò i capelli dalla fronte – ciao Kari … buona vigilia anche a te!- un sorriso luminoso si dipinse su quel volto che aveva ancora tratti infantili – allora …- lo vide guardarsi attorno con aria furba, come se ne stesse preparando una delle sue -… sei pronta per preparare l’albero?-.
Entrambe le manine della bimba s’immersero ansiose in quella del più grande cominciando a trascinarlo verso l’angolo del salotto dove aveva sistemato l’abete che aveva comprato il giorno prima suo padre.
Si sentiva piccola davanti a quell’albero che la doppiava in altezza, ma non le importava, perché dove non sarebbe arrivata lei ci avrebbe pensato il suo fratellone.
Rise felice, mentre cominciava ad estrarre le lunghe file di luci dalla scatola di cartone in cui erano state sepolte l’anno precedente. Oggi avrebbero ripreso nuova vita.
L’albero prendeva piano piano forma diventando ogni minuto più bello.
Non c’era un colore dominante, ma solo un arcobaleno di luci e palline scintillanti.
Fiocchi e candele, poc-corn e nastrini, angeli e animali… era l’albero di natale più strano ed eterogeneo che si fosse mai visto, ma era perfetto, esattamente come lo erano loro.
Guardò l’orologio appeso appena sopra il televisore della sala. Il suo sorriso si allargò – fratellone… sai dovresti andarti a cambiare…- lo disse con un’aria innocente, come quella di una volpe pronta a colpire -… fra poco gli alti arriveranno …- uno sguardo divertito cadde sul buffo vestiario del ragazzo - … e chissà cosa penseranno se trovano il loro impavido leader con indosso il pigiama di babbo natale.- soffocò una risatina davanti all’espressione d’orrore del fratello… si, decisamente Sora era stata veramente crudele a regalaglielo.
- hai ragione…- Tai prese con due dita un lembo della maglia osservando il colore rosso acceso del tessuto con rammarico -… però prima…- con un agile scattò colmò la distanza che lo separava dalla sorellina e prendendola in vita la sollevò in aria, facendola arrivare all’altezza della punta dell’abete - … devi mettere la punta.- concluse con un ampio sorriso, infondo pensava fosse giusto che l’angelo che rappresentava il puntale fosse messo dal suo angelo personale.
 
La bimba canticchiava trattenendo a malapena la sua felicità, quel momento era perfetto e nulla poteva rovinarlo.
L’albero illuminava la stanza con luci e colori che si alternavano al ritmo di una melodia natalizia.
Tanti regali emergevano da sotto le sue fronde, erano un numero così elevato che ormai venivano accatastati un po’ ovunque nella sala.
La casa era calda ed accogliente, piena di decorazioni e profumi che gridavano a gran voce l’arrivo del periodo natalizio.
La tavola era imbandita di ogni ben di dio e, per sua fortuna, non tutto era stato preparato dalla madre.
Ma la cosa più bella in assoluto era tutti quei visi a lei cari che attorno a quella tavola chiacchieravano e ridevano.
I suoi genitori erano a capotavola con due bicchieri di vino tra le mani e un sorriso sul volto.
Nascose malamente un espressione divertita quando vide le loro fronti toccarsi e le loro occhiate diventare eloquenti … era bello vedere che dopo tanti anni di matrimonio facevano ancora i fidanzatini.
Suo fratello era seduto davanti a lei tentando di strozzarsi con il troppo cibo che aveva messo in bocca in un colpo solo. Scosse la testa sconsolata, infondo Tai rimaneva sempre Tai… beh, almeno aveva tolto quell’orribile pigiama.
Dovette tapparsi le orecchie quando i suoi due migliori amici, Tk e Davis, avevano deciso di litigarsi il posto accanto al suo. Sarebbe stata anche una cosa carina se non fosse stato per il piccolo dettaglio che la stavano assordando nel processo.
Fortunatamente l’intervento di Yolie mise fine a ogni possibile protesta. Infatti, la giovane donzella arrivò con un balzo felino e un’infantile linguaccia e si appropriò del tanto desiderato posto, fregando i due maschietti e salvando i suoi poveri timpani.
Naturalmente poi c’era tutto il resto del gruppo: il mite Cody che parlava sotto voce con Joe, il geniale Izzy che tentava di scappare da una iperattiva Mimi e infine la coppietta Matt –Sora che litigava per l’ennesima volta… certo che quei due avevano una pessima alchimia.
Perfetto… tutto era perfetto come un fragile vetro a cui bastava un lieve soffio per rompersi… un soffio che purtroppo arrivò.
Le immagini intorno a lei divennero gradualmente sempre meno chiare, come se la sua stessa vista si stesse appannando.
I suoni e i rumori si attutivano sostituiti solo da un brusio senza senso che andava perfino a stonare quelle allegre canzoni natalizie.
Il calore della casa era sparito, lasciandola in un profondo e freddo sentimento di vuoto e abbandono.
Allungò le mani davanti a lei, cercando istintivamente il calore dell’unica persona che le era stata sempre accanto nonostante tutto e tutti.
Voleva afferrare le sue grandi mani forti, sentire il calore di quel corpo perennemente abbronzato, vedere quel sorriso che era in grado di illuminarle la giornata… ma soprattutto voleva sentire la sua voce che le diceva che sarebbe andato tutto bene.
- fratellone?- il suono timido e spaventato delle sue parole divenne un eco insostenibile in quel mondo confuso che ora la circondava.
- fratellone?- chiamava e chiamava, ma nessuna risposta arrivava a quella che stava diventando una supplica solitaria.
Si sentì improvvisamente sola, sola e messa da parte, quasi dimenticata.
Le sue mani erano ancora tese verso il nulla, non le avrebbe mai ritratte, non fino a quando non avrebbe ritrovato quel calore confortante che l’aveva avvolta fino a pochi attimi prima.
Fece qualche passo in avanti aspettandosi quanto meno di sbattere contro qualche mobile della cucina, non sarebbe stato bello, ma almeno le avrebbe confermato che quel che aveva visto esisteva.
Si morse le labbra quando si accorse che il suo corpo proseguiva senza trovare ostacoli.
Davanti a lei solo un nulla sfuocato che diventava sempre più scuro e freddo, come se qualcuno avesse tolto per dispetto ogni fonte di luce.
Un vento gelido le fece chiudere gli occhi, invadendo il suo corpo con pungenti brividi.
Li tenne chiusi solo per pochi secondi, ma furono sufficienti a cambiare il luogo che la circondava.
Sotto le sue scarpe una strada ricoperta di macerie…
Attorno a lei una città distrutta…
Fumo che ovunque infestava l’aria…
Incendi ancora indomati…
Un cielo avvolto da tetre nuvole che piano si stavano diradano…
Poca gente nelle strade che con timore usciva da quei pochi luoghi sicuri che erano rimasti…
E infine a risplendere nel cielo c’erano dieci colonne di luce…
Ognuna aveva un suo colore.
Ognuna aveva un suo dono.
Ognuna aveva un suo guerriero.
Ognuna aveva un suo prescelto.
Kari sussultò sentendo improvvisamente il bisogno di vomitare salire per la sua gola.
- no…- scuoteva la testa con forza, incapace di staccare gli occhi da scena che aveva si fronte - … no… no… non di nuovo.-
Lei, nel suo corpo di quattordicenne, stava combattendo la battaglia finale contro quelle bestie oscure che dal nulla erano arrivate e avevano devastato la sua città natale.
Lei stava guardano una se stessa sorridente accanto alle persone che amava mentre stava riconquistando la sua libertà.
Lei stava per assistere di nuovo al dolore più grande della sua vita, e, ancora una volta, era impotente.
Voleva correre lì e fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma il suo corpo era troppo pesante per riuscire a muovere un passo.
L’ultimo nemico era stato abbattuto, lasciando dietro di se solo una scia di energia e una città distrutta.
I prescelti e i loro digimon si ergevano fieri e vittoriosi, avevano vinto ed erano sopravvissuti. La loro nuova vita sarebbe iniziata da quel momento e non vedevano l’ora di averla.
La sua altra lei rideva felice mentre correva da Gatomon, l’abbracciava e girava su se stessa, quasi danzando.
Rise tristemente della sua lei passata, che sciocca che era stata in quel momento. Se solo fosse stata meno egoista… se solo fosse stata più attenta… se solo fosse stata a fianco del fratello… se solo fosse stata più forte… allora… allora forse lui sarebbe ancora lì con lei.
Lacrime cominciarono a nascere intorno ai suoi occhi… perché era costretta a rivivere ancora e ancora quel ricordo? Perché il dolore non voleva lasciarla andare avanti?
Perché…?
Perché…?
- perché fratello mio non hai mantenuto la tua promessa di starmi sempre accanto?- un dolore le nasceva nel petto vedendo la torre del coraggio spegnersi per sempre – perché hai voluto fare tutto da solo?- un corpo… il corpo del leader cadde a terra privo di energia – perché mi hai lascito sola?-
L’altra lei perse il suo sorriso, cominciando a correre incurante di qualsiasi cosa che non fosse il fratello – perché te ne sei dovuto andare?- ed infine entrambe piangevano in preda alla stessa terribile angoscia. 
In ginocchio alla fine cadde, sotto il peso di quei ricordi, desiderando solo di avere di nuovo la possibilità di vivere un altro giorno con le persone che le erano state portate via.
Alzò lo sguardo alla ricerca dell’altra lei, provando improvvisamente un moto di rabbia ed invidia verso la sua versione più giovane.
Invidia… pura e semplice invidia… perché aveva in quel momento una cosa che lei aveva perso.
Rabbia… veloce e rivoltante rabbia… perché da quel giorno lo aveva dato per scontato.
Lui, l’unico altro suo tesoro oltre al fratello… un tesoro di cui non sapeva bene il valore finché non gli è stato portato via.
Lui era sempre lì a sorreggerla, ma lei non lo vedeva.
Lui cercava di illuminarla con il suo sorriso, ma ha lei non bastava.
Lui era lì… era sempre stato lì… lui…
Il suo secondo dolore…
La persona che l’amava incondizionatamente…
un nome ormai diventato anch’esso tabù…
Tk…
In quel sogno… no, in quell’incubo in cui ora era intrappolata, poteva vedersi imprigionata tra le calde braccia della persona che amava… persona che adesso non c’era più.
Una scossa di dolore, ancora più potente di quella precedente, le invase il corpo lasciandola rannicchiata su se stessa in cerca di quel calore che ora le veniva negato.
Annaspava in cerca di quell’aria che il peso di quei ricordi così crudelmente le sottraeva.
- basta!- teneva le testa con entrambe la mani – basta!- le sue dita affusolate entravano con forza tra i suoi capelli – basta!- tirava con rabbia quei fili castani ora portati lunghi fino alle spalle.
 
Kari…
Un sussurro nel vento tentò di raggiungerla rimanendo tuttavia inascoltato.
Kari… oddio… mi senti?
Le parole diventavano sempre più forti, riuscendo alla fine ad attirare l’attenzione della prescelta.
Kari svegliati… subito!
Nuovamente tutto attorno a lei perse consistenza, fino a diventare semplice fumo dalle tetre sfumature… fumo si diradò velocemente lasciando il posto a una fastidiosa luce dai toni verdi.
Sentiva le sue spalle venire strattonate con forza, arrivando addirittura a far sobbalzare il suo copro addormentato sul morbido materasso.
Sbatté le palpebre più volte, cercando di ricordare dove fosse e cosa stesse succedendo.
- meno male…- un sospiro di sollievo venne esalto da una voce preoccupata e stanca -… ti sei svegliata.-
Si sentiva stordita e senza forze, ma aveva comunque il bisogno di alzarsi per fare mente locale.
Si appoggiò sui gomiti cercando di mettere a fuoco la vista, sentiva uno sguardo preoccupato su di se, ma per il momento l’avrebbe ignorato.
Eleganti e spesse tende rosse con ricami d’orati scendevano sull’ampia vetrata della stanza impedendo a ogni raggio di sole di invadere il sonno dei suoi abitanti.
Le pareti, rivestite di carta da parati dai toni leggermente più scuri delle tende, rendevano l’ambiente intimo e caldo.
I mobili erano scelti con cura: un armadio, due comodini, uno scrittoio, un comò, un tavolino da te e un paio di poltrone, tutto in stile barocco, creati in un pregiato legno chiaro nell’evidente tentativo di alleggerire l’ambiente.
Dal soffitto pendeva un lampadario a più bracci, legati insieme da numerose gocce di cristallo di varie dimensioni. Un oggetto unico, che se acceso riproduceva nella stanza bellissimi giochi di luci.
Al momento tuttavia la stanza era nella penombra, illuminata solo da una lampada da tavolo in ferro con la copertura di vetro verde… il colore che l’aveva accompagnata fuori dal quell’orribile incubo.
I pezzi si ricomposero riportandola definitivamente nella realtà, il sogno era svanito e lei non era più quella bambina. No, lei era una ricercata in fuga da un paese all’altro, in compagnia dei suoi due migliori amici, itineranti nel disperato tentativo di ritrovare il suo fidanzato scomparso da un anno.
Decisamente non era una bella vita se avevi solo diciassette anni…
Scosse la testa per scacciare via quei tristi pensieri, doveva ricacciarli in un angolo buio della sua mente e doveva farlo prima che il dolore invadesse di nuovo il suo corpo lasciandola senz’aria.
- Kari?- quella voce chiedeva timorosa attenzione – Kari?- aveva aspettato, dandole il tempo di riprendersi, ma alla fine la preoccupazione aveva vinto.
La prescelta posò finalmente il suo sguardo su quel ragazzo che con gli occhi sgranati la fissava trattenendo il fiato, doveva averlo fatto preoccupare e anche parecchio – Davis – con voce rauca, quasi tremolante, aveva chiamato il nome dell’amico, aumentando il suo livello di ansia.
- come ti senti?- non le si avvicinò, aveva intuito quello che era successo e sapeva che non era la persona che lei voleva accanto – mi hai fatto venire un colpo!... ero venuto a cercarti…- la sua voce salì improvvisamente di tono - … ti ho sentito urlare e ho pensato subito al peggio…- quante volte nei suoi incubi si vede portare via le persone che ama o che ha amato - … quando sono entrato non riuscivo a svegliarti… sono andato nel panico…- un senso di impotenza l’aveva investito, guardare ma essere inutili è la peggiore delle condanne.
- sto meglio…- lo fermò quando vide nelle sue iridi di un intenso color mogano crescere un’immagine di paura che non dovrebbe appartenergli -… è stato solo un incubo… passerà- scacciò le parole con un gesto della mano, come se volesse indicare che quello che era successo non aveva importanza.
-Kari…- abbassa gli occhi pronunciando il suo nome pronunciato con un sussurro -… non mentirmi…- stringe i pugni afferrano con forza il tessuto nero dei suoi jeans -… non allontanarmi così…- una delle poche luci rimaste nella sua vita si stava spegnando inesorabilmente e lui non poteva fare altro che stare a guardare - … non nasconderti dietro una maschera di impassibilità che non ti appartiene…- farebbe qualunque cosa per lei pur divederla di nuovo felice - … non smettere di vivere solo perché loro non ci sono più…- rialza lo sguardo cercando di regalarle un sorriso di comprensione, infondo vuole solo che lei capisca che lui sarà sempre lì -… non avrebbero voluto e tu lo sai…- la vede tremare, la rabbia e il dolore del sogno sono ancora troppo vivi nella sua mente -… parla con me…- cerca di tenderle la mano nel tentativo di afferrare la sua -… confidati con me… io posso capirti… voglio aiutarti… - e così magari aiutare anche se stesso, prima di annegare nelle tenebre della solitudine - … non ti abbandonerò mai… io…-
Il rumore sordo di uno schiaffo fece morire nella gola del prescelto ogni parola che avrebbe voluto pronunciare. Il ragazzo si ritrova a fissare con orrore prima la sua mano arrossata e poi il volto livido di rabbia della prescelta della luce, forse, era andato di nuovo oltre i limiti che la sua amica aveva messo.
- bugiardo…- una sola parola che però ebbe l’effetto di bloccare di colpo ogni cosa nella stanza, come se il tempo stesso si fosse fermato -  bugiardo!- questa volta urlò, mal trattenendo lacrime di frustrazione -… anche tu… come loro… - tremava incontrollata puntandogli contro un dito accusatore – anche tu mi lascerai… come tutti… alla fine… sarò sola- si mise le mani davanti agli occhi, continuando una nenia di frasi senza senso separate solo da continui singhiozzi.
Davis era spaventato, la sua amica stava crollando e lui era lì immobile a guardarla senza sapere cosa fare. D’altronde è difficile salvare qualcuno da un baratro quando tu stesso stai pericolosamente per cadere nella stessa oscurità.
La sua mente andava a mille all’ora, il suo battito era irregolare e le sue mani tremavano, eppure, non riusciva comunque a muovere un muscolo.
Il pensiero del fallimento lo opprimeva ogni giorno, arrivando perfino a toglierli quella gioia di vivere che l’aveva sempre distinto. Alla fine la cruda realtà della vita lo aveva brutalmente investito e lui ora non poteva fare altro se non aggrapparsi disperatamente a quelle poche cose che gli erano rimaste… anche se ormai si stavano lentamente frantumando davanti ai suoi occhi.
Abbassò le mani, lasciandole mollemente abbandonate lungo i suoi fianchi. Era davvero stanco e dannata situazione gli levava ogni energia, troppo era il peso che il destino aveva posto su quelle fragili spalle.
Buttò la testa indietro, perdendosi nei riflessi verdi che da quella lampada arrivavano fino al soffitto. Un tentativo, quasi vano, di rilassare la sua mente che, per la confusione, aveva cominciato a pulsargli dolorosamente.
Il mondo girava e lui non riusciva a fermarlo. Oh, come avrebbe voluto avere la pazienza di Joe o la calma di Izzy o la sensibilità di Mimi oppure… oppure la forza d’animo di Tai.
Lui non era Tai. Certo, erano due allegri sbruffoni e per questo si somigliavano, ma restava il fatto che lui non era Tai.
I suoi pugni si strinsero al solo pensiero del mentore. Per lui non era riuscito a fare nulla, però… però per quella fragile figura tremante seduta davanti a lui forse era ancora in tempo.
Sbuffò e mandò al diavolo il buon senso, infondo il semplice istinto era sempre stata la sua arma vincente. Così con un solo agile scatto strinse la ragazza tra le sue braccia cominciando a sussurrarle lentamente parole di conforto, sperando che fosse la cosa giusta.
Un leggero e quasi impercettibile sorriso si presentò sul suo volto quando, la sua amica, si aggrappò con forza a lui come se da quel contatto dipendesse tutta la sua vita.
Rimasero così, avvolti dai toni rossi e verdi della stanza, immobili in quella posizione cercando il conforto reciproco di cui la loro anima aveva tanto bisogno.
 
La porta, lasciata semi aperta dal passaggio di Davis, venne lentamente chiusa senza far alcun rumore.
Occhi scuri come la notte lasciarono sole quelle due figure nella speranza che in quell’affetto quasi fraterno possano ritrovare un po’ di fiducia per il domani.
Sbuffò, tirando indietro i suoi capelli diventati un po’ troppo lunghi. Aveva un bel po’ di lavoro da fare e doveva sbrigarsi, anche perché ora come ora avrebbe dovuto farlo tutto da solo.
Eh, già. Perché lui non era un genio per niente e sapeva che i suoi due attuali compagni di viaggio sarebbero stati inservibili per un bel po’ di ore.
Pazienza, voleva dire che si sarebbe vendicato su Davis… quando sarebbe stato meglio, si intende, non era certo così crudele.
Fece dietro front, lasciandosi alle spalle quella stanza e i suoi due abitanti, forse al loro risveglio le cose avrebbero preso una nuova piega.
Sogghignò al pensiero di ritrovare un po’ di quell’allegria perduta che tanto caratterizzava il loro gruppo. Infondo, anche se non l’avrebbe mai detto ad alta voce, preferiva la versione sbruffona del suo migliore amico a quella seria e apatica… certo, a volte era insopportabile, ma continuava a preferirla.
Senza contare che se lui sarebbe tornato quello di un tempo allora anche le speranze si veder di nuovo sorridere Kari aumentavano e poi, chi lo sa, il futuro è una tale incognita che potrebbe accadere di tutto.
 
Un bip proveniente dalla tasca destra dei suoi jeans chiari interruppe il suo monologo interiore.
- bene.- sussurrò a se stesso - il collegamento è pronto, ora posso lavorare-
Abbandonò velocemente il terzo piano di quel casinò che era diventato il loro attuale rifugio.
Vide l’ascensore, scosse la testa e optò per le scale. Anche se grazie al generatore di emergenza presente avevano corrente elettrica, non voleva rischiare di prendere quella costosa trappola di ferro e questo per due motivi: il primo è che non sapeva se aveva energia elettrica a sufficienza e il secondo … beh non voleva rimanere bloccato, altrimenti chissà quando veniva liberato da quei due.
Così continuò la sua discesa fino al primo piano, dove il suo fedele computer lo stava aspettando già prontamente collegato alla rete satellitare che i gestori di quel posto avevano fortunatamente istallato.
Rete da lui recuperata grazie all’esperienza accumulata nel suo famoso periodo da imperatore digimon… beh alla fine fare la parte del cattivo rischiando di mandare giù due mondi aveva avuto i suoi risvolti positivi.
 
 
 
 
 
La luce di una lampada illuminava una scrivania in pregiato legno nero.
Carte e fascicoli erano accumulati su quella superficie lucida in attesa di essere firmati e mandati ai vari reparti.
Un computer a schermo piatto di nuova generazione era sommerso dalla polvere. Un dono che proveniva dei piani alti ma che mai era stato acceso, infondo il proprietario non aveva mai amato quelle trappole tecnologiche.
Foto, la maggior parte in bianco e nero, apparivano ordinate e perfettamente pulite su di uno scaffale a più ripiani in ferro e vetro. Ricordi, questi, appartenuti a un passato lontano, a una vita vissuta e a un presente ottenuto con fatica e sudore.
Una bandiera spiccava con forza dietro la scrivania, illuminando l’ufficio con il bianco predominante dello sfondo e rallegrandolo con il rosso acceso del cerchio centrale.
Lo squillo di un telefono interruppe l’unico suono che in quel luogo si potesse udire, lo scorrere sicuro di una penna su moduli prestampati che con abili gesti venivano compilati e divisi in varie cartelle.
Un uomo, sulla cinquantina e con i capelli corti brizzolati, allungò la mano per afferrare la cornetta. – pronto.- una voce bassa e autoritaria si fece eco nella stanza silenziosa – che notizie mi portate?- le sue spalle erano dritte e la sua posture perfetta, non un solo grammo di tensione emergeva dal suo corpo – altri due in sicurezza? Perfetto- un sorriso appena accennato si erse su quel volto solcato dal tempo – portatemi quello che mi serve… mentre per i corpi usate la solita procedura-.
Chiuse la telefonata e abbandonò la sua postazione, lavorava da diverse ore ed era il momento di sgranchire i suoi muscoli.
Si avvicinò lentamente all’ampia vetrata del suo ufficio, godendosi ad ogni passo il riflesso della sua immagine che diveniva ogni secondo più chiara.
Dentro di lui il suo orgoglio ribolliva alla vista di quella divisa dai toni verdi scuri, un simbolo che si era trasmesso nella sua famiglia di generazione in generazione.
Accarezzò le tre stelle che la adornavano sentendo nascere inevitabilmente in lui un profondo senso di vuoto perché lui ormai non aveva più nessuno a cui trasmettere quell’onore.
Strinse la stoffa attorno a quelle stelle. Avrebbe cambiato le cose e si sarebbe ripreso quello che i mostri digitali gli avevano tolto.
- perso nei tuoi pensieri… compare?- una voce fredda dai toni derisori emerse dalla penombra di un angolo della stanza.
- tu!- un senso d’irritazione pervase l’animo di solito controllato dell’uomo – sei in ritardo – con le mani dietro la schiena e le spalle dritte si diresse a passo di marcia verso la sua scrivania, cercando di reprimere tutto l’odio che provava verso quel viscido essere.
- su, su. Non serve arrabbiarsi. Ora sono qui no?- con gesti eleganti abbandonò il muro su cui si era appoggiato e, quasi senza far rumore, raggiunse lo scaffale vicino alla scrivania.
L’uomo si sedette trattenendo a malapena un espressione di rabbia e disgusto – non permetterti tutta quella confidenza con me…- gli puntò il dito indice contro alzando inevitabilmente la voce come se stesse parlando a un suo semplice sottoposto – sei tu che lavori per me e non viceversa…- quella che lui definiva una scarsa imitazione di vita gli girò le spalle dedicando totalmente la sua attenzione a quelle foto presentate come un trofeo - … hai capito… piemon?- pronunciò il nome del clown quasi fosse spazzatura, infondo anche lui alla fine avrebbe condiviso lo stesso destino dei prescelti.
Il clown ghignò divertito dalla stupidità mostrata da quell’essere umano – certo generale – passò un dito sulla teca di vetro immaginando il momento in cui avrebbe spezzato personalmente il collo di quell’omuncolo – ho capito perfettamente … infondo questa è la sua operazione e io…- mise una mano davanti alle labbra cercando di trattenere una risata – sono solo una sua semplice pedina.-
Il militare strinse i pugni, cercando di soffocare l’istinto che gli urlava di sparare in testa a quel digimon e ammazzarlo una volta per tutte – bene!- cominciò a sistemare le carte sulla sua scrivania, aveva bisogno di calmarsi altrimenti mai il suo obiettivo si sarebbe realizzato – allora…- seguì con sguardo attento ogni singolo movimento fatto dall’altro occupante della stanza, aveva dannatamente bisogno di lui, ma questo non voleva dire che si fidava –… i digivice che ti ho dato sono abbastanza per aprire il digivarco?-. aveva dato fondo a tutte le sue conoscenze per avere il controllo completo di quella operazione di “bonifica della terra” e ora voleva avere dei risultati.
Piemon dentro di se rideva spudoratamente, aveva scelto proprio bene, quell’umano si era rilevato troppo facile da soggiogare – purtroppo no – con pochi passi arrivo fino alla scrivania, ritrovandosi così ad osservare l’uomo dall’alto in basso – li dobbiamo avere tutti… soprattutto quelli dei prescelti originali …- l’ignoranza, disse a se stesso, è il più grande difetto umano, ed è per questo che è così facile disseminare il seme dell’odio - … altrimenti non posso aprire il varco per la città della rinascita – ed eccola la bugia che gli aveva permesso di raggirare un numero consistente di esseri umani, trasformandoli così in sue semplici marionette.
Politici, militari, giornalisti… tutti corrotti dalle sue parole. Tutti convinti di avere il controllo. Tutti pronti a fare di tutto pur di arrivare a quella mitica città che ha il potere di far ritornare dalla morte. Ma la cosa più bella era che erano tutti degli illusi creduloni…
Aveva promesso potere e loro avevano accettato.
Aveva promesso gloria e loro lo avevano seguito.
Aveva promesso di riportare in vita i loro cari e loro gli avevano creduto.
Ed era divertente per lui pensare che in realtà non avrebbero ottenuto nulla, non solo perché la città della rinascita funzionava solo per i digimon ma anche perché lui li avrebbe distrutti tutti prima che digiword lo potessero anche solo vedere.
Rivolse il suo sguardo verso quell’uomo che credeva di dominarlo. Pazzo, ecco cos’era. L’unico motivo perché ancora respirava era per fargli ottenere quella tanto attesa vendetta. Oh ma avrebbe presto posto rimedio anche a questo… lui rivoleva indietro la sua famiglia? Benissimo, gliela avrebbe fatta incontrare… certo nel regno dei morti, ma questo era solo un misero dettaglio.
 
Il generale incrociò le mani davanti al suo volto cercando di nascondere la sua delusione nell’aver appreso che ancora doveva attendere – capisco.- l’uomo non si scompose e mantenne un tono autoritario tipico dei militari – ieri ne abbiamo presi altri due…- mise via alcune carte come se stesse cercando lì le informazioni da dare al clown -… avrai al più presto i loro digivice - .
Piemon fece un leggero cenno con la mano, quasi a voler scacciare un’immaginaria mosca fastidiosa – certo, ci conto – si allontanò di qualche passo pronto ad andarsene – e io come sempre farò la mia parte individuando per voi altri prescelti.- e in un vortice di dati come era apparso scomparve.
L’uomo tirò un sospiro di sollievo, ogni volta che si trovava solo con il digimon aveva l’impressione di trovarsi davanti un demone dell’inferno pronto a cibarsi della sua anima.
Scosse il capo sconsolato mentre si dirigeva verso la sua preziosa bacheca per accertarsi che quell’essere non avesse fatto danni.
Il vetro era perfetto, liscio e lucido come sempre, così come perfette erano le foto al suo interno.
Una in particolare riusciva sempre ad attirare la sua attenzione, anche se fra tutte era forse la più semplice e povera.
Non c’erano personaggi famosi né militari di alto rango, ma solo l’immagine di un ragazzo poco più che maggiorenne che sventolava felice il diploma appena ottenuto del liceo. Capelli castano portati lunghi e occhi verdi che avevano il potere di illuminare un stanza. I primi ereditati dalla madre, mentre i secondi da lui.
Strinse i pugni ritrovandosi a maledire il giorno in cui aveva deciso di cambiare città per seguire la sua splendente carriera invece di rimanere in quel piccolo centro abitato in cui era cresciuto.
Un pugno colpì violento il muro. No, non era di certo colpa sua, lui lo aveva fatto solo per il bene della famiglia.
Alzò gli occhi per incontrare ancora il volto sorridente del figlio. La colpa era tutta di quei mostri che un anno prima avevano messo a ferro e fuoco mezzo mondo provocando morte e distruzione.
Già, erano loro i responsabili: i prescelti. Loro avevano ordinato quello sterminio, loro avevano attaccato la sua città e loro avevano ucciso sua moglie e suo figlio… e loro avrebbero pagato.
 
 
 
 
 
Un turbine di dati illuminò per pochi istanti una stanza altrimenti buia e solitaria.
Il digimon clown atterrò con eleganza sulla morbida moquette che rivestiva il pavimento di quella che appariva come la camera da letto più sontuosa della casa.
Un battito di mani fu sufficiente per accendere il sistema d’illuminazione dell’abitazione, che riprese così in pochi attimi vita e calore.
Passeggiò nella stanza, prendendo il suo tempo per ammirare il buon gusto di quegli umani che l’avevano arredata nel corso degli anni. Dal lino delle lenzuola ai mobili fatti su misura, tutto era di suo gradimento… tutto era degno di lui.
Sorrise a se stesso. Sì, aveva scelto proprio bene il suo “rifugio”.
Passò davanti alla grande cassettiera in legno chiaro, accarezzando lievemente quelle foto lì ormai abbandonate e ricoperte di polvere. Umani, chissà perché avevano quella necessità di immortalare ogni cosa.
Arrivò al letto, un ampio matrimoniale a baldacchino, dove giaceva ben piegata una vestaglia di seta bordò con incise sul lato destro le iniziali di quello che era stato il suo originario padrone.
Scese le scale di quella villa a tre piani, mentre con movimenti lenti avvolgeva attorno alla sua vita quell’indumento morbido e regale allo stesso tempo.
Quella casa era grande con un numero di stanze esagerato, soprattutto considerando che fino a un anno prima era abitata solo da due persone.
Non perse tempo a visitarle, tanto lui ne usava sì e no tre o quattro, mentre le altre erano lasciate un po’ a loro stesse.
Si riprese dai suoi pensieri quando vide la stanza dove passava la maggior parte delle ore nel mondo reale: un salotto che probabilmente veniva usato per gli incontri di lavoro.
Si versò un bicchiere di vino, scegliendo accuratamente tra le pregiate marche presenti in un mobiletto vicino a una pesante scrivania in legno nero.
Raggiunse con pochi passi una delle sue poltrone posizionate davanti a un grande camino in marmo bianco. Si sedette accavallando le gambe e con un veloce schiocco di dita fece apparire nella sua mano una piccola fiamma.
Il fuoco illuminò il centro del camino, non riuscendo tuttavia a cambiare l’atmosfera della stanza che continuava a essere fredda e morta.
Prese un sorso di vino lasciando cadere i suoi occhi sul tavolino di vetro posizionato accanto a lui. Una foto raccolta in una cornice di legno attirò la sua attenzione. Un uomo e una donna sulla sessantina erano raffigurati con un sorriso sereno.
Una risata agghiacciante si liberò all’improvviso, raggelando totalmente la temperatura della casa.
Raccolse quel ritratto e lo lanciò sul fuoco – infondo…- sussurrò divertito a se stesso – è giusto che faccia la stessa fine dei precedenti padroni di questa casa…- rise ancora questa volta però a un tono più sommesso - … ed il fatto che entrambi siano bruciati per mano mia, rendo tutto solo più divertente.-
 
 
 
 
 
Uno, due, tre giri di chiavi e la porta si aprì.
Un piccolo appartamento venne illuminato solo per pochi secondi prima di ripiombare nel buio.
- sono a casa- venne detto ad alta voce solo per abitudine, perché ormai non c’era più nessuno che veniva ad accoglierlo quando rientrava.
Cercando di ignorare quel senso di vuoto che ogni volta lo assaliva, gettò le chiavi sulla prima superficie disponibile, con l’obiettivo di recuperarle in un secondo momento.
Il loro tintinnio si trasformò in un suono assordante in quella casa che era così dannatamente silenziosa.
Accese la luce, sperando così inutilmente di cacciare quei pesanti fantasmi che infestavano la sua esistenza.
Passò una mano tra i lunghi capelli biondi. Era stanco, troppo per un giovane di soli vent’anni.
Si tolse la divisa da lavoro, così da poter affondare in un pesante maglione. Era solo autunno, ma in quel vecchio appartamento c’erano spifferi dappertutto e lui come al solito si era dimenticato di impostare il riscaldamento.
Sbuffo nel gettare sul letto la camicia a maniche lunghe blu e il grembiule abbinato, non odiava quel lavoro, anzi era un piccolo miracolo di per se, solo non era quello che voleva.
 
6 mesi prima
Era un lunedì mattina e il grande parcheggio davanti al cimitero di Odaiba era praticamente deserto.
Un ragazzo scese dalla macchina presa a noleggio sotto falso nome, non aveva un piano ma solo un obiettivo in mente.
Camminò tranquillo cercando di non dare nell’occhio ‘tanto’ pensò ‘ chi vuoi che venga a cercarlo proprio lì, nella sua città natale’.
Si guardò velocemente intorno, scansionando ogni centimetro di quel triste luogo che racchiudeva pezzi importanti della sua anima e del suo cuore.
Sorrise costatando che tutto, in particolare le tombe dei suoi cari, era rimasto immutato.
Il suo cuore aveva galoppato fino a pochi secondi prima, vivendo nel timore di trovare quelle lapidi per lui così importanti vandalizzate o rovinate.
Per questo, quando le vide, non solo intatte ma anche ricoperte di fiori, aveva tirato un sospiro di sollievo, forse c’erano ancora persone decenti in giro.
Passeggiava da solo, facendo visita alle varie tombe. Era da tanto che non veniva e questo faceva solo salire il suo senso di colpa.
 
Nemmeno lui sapeva ben dire quanto tempo fosse rimasto lì, in piedi e immobile, davanti alla tomba del suo migliore amico, tentando di dare un senso a quelle che stava attraversando.
Istintivamente allungò la mano per toccare quella foto in cui lui appariva così sereno e solare e fu in quel momento che qualcosa accadde… qualcosa che anni prima non si sarebbe mai aspettato.
- fermo!- una voce lo stava aggredendo alle spalle – che pensi di fare?- era carica di rabbia e stava puntando dritta a lui.
Matt ritirò la mano con un gesto rapido, lasciandola però sospesa a mezz’aria – eh?- sbatté le palpebre più volte cercando di elaborare velocemente le informazioni, infondo lui era ancora un ricercato in fuga.
- ti ho chiesto che diavolo pensavi di fare?- un ragazzo alto e muscoloso gli agitava pericolosamente il pugno contro – sei uno di quei fanatici vero?- aveva più o meno la sua età, i capelli castani e un aspetto dannatamente famigliare, purtroppo però non in senso buono – oh li conosco i tipi come te…- il silenzio di Matt lo fece arrabbiare ancora di più -… venite qua pensando di fare giustizia… vendicandovi su delle tombe…- il suo sguardo era disgustato ai massimi livelli - … tombe di eroi che hanno perso la vita per questo mondo che li ha trattati come spazzatura…- si fionda sul prescelto afferrando con entrambe le mani il tessuto della giacca -… ma io non permetterò mai che una cosa del genere accada!-
Fortunatamente fu proprio quel gesto a salvare il prescelto da una serie sicura di pugni, perché quel semplice strattone fece cadere il cappellino che usava per nascondere i capelli biondi, facendoli risplendere alla luce del sole.
- oh!- quella montagna umana perse subito ogni istinto rabbioso, restando immobile a guardare il ragazzo cercando di capire se aveva davanti un fantasma o meno.
- senti amico…- Matt riuscì a uscire dalla sua presa – non voglio problemi…- fece qualche passo indietro e recuperò il capello abbandonato nella ghiaia – sono venuto solo a salutare un vecchio amico ….- un’ondata di panico salì incontrastata, insieme alla consapevolezza di essere stato riconosciuto - … non voglio fare nulla… - alzò le mani davanti al viso in segno di resa – adesso me ne vado.-
- sei Matt, vero?- il ragazzo era riuscito a uscire dal suo stato d’intontimento e ora lo fissava con un’espressione triste e dispiaciuta – Matt Ishida, uno dei prescelti-.
Matt sbiancò velocemente, sentire il suo nome pronunciato ad alta voce in pubblico era tutto tranne che una cosa positiva. Si guardò attorno freneticamente, quasi temendo di venire circondato da un momento all’altro da uno squadrone militare pronto ad arrestarlo.
- non ti preoccupare… non ho intenzione di metterti in pericolo.- il ragazzo si affrettò subito a precisare vedendo la reazione del prescelto – non ti ricordi di me vero?- mise un mezzo sorriso nel tentativo di rassicurarlo – beh, forse è meglio… sai, non avevamo un buon rapporto al liceo… colpa mia ovviamente!-
Ci vollero pochi secondi per il biondo prescelto per mettere insieme i pezzi e capire chi aveva davanti.
Muscoli…
Pessimo carattere…
Liceo…
Nemici giurati…
‘ ma porca…’ pensò ‘ il bullo della scuola… ecco sono fregato!’
La fortuna di tornare nel suo paese natale dopo mesi di assenza e di incontrare come prima persona il ragazzo che ha reso la sua vita un inferno al liceo, massacrando lui e gli altri prescelti dalla mattina alla sera… quando si dice che la buona sorte è cieca ma che la iella ci vede benissimo!
- mi dispiace.- due parole che fecero sobbalzare il prescelto facendolo bruscamente uscire dai suoi pensieri.
- mi dispiace- ripeté il ragazzo – davvero… per tutto.- tese la mano verso Matt – permettimi di rimediare… io sono Mark e per me è un vero piacere conoscerti.-
Prese quella mano e da lì un piccolo spiraglio di luce si fece largo nella sua vita.
 
Tre ore dopo…
 
- allora…- disse Mark addentando un hot dog ricoperto di varie salse -… ti fermi a Odaiba o riprendi la fuga-.
Matt alzò lo sguardo al cielo, cercando di far luce nei suoi pensieri – non so…- puntò i suoi occhi sulla figura del suo interlocutore chiedendosi fino a che punto potesse davvero fidarsi di lui - …sono stufo di scappare da una città all’altra…- anche perché ormai aveva capito che non serviva a nulla, indipendentemente da quello che facevano alla fine venivano catturati -…e poi tutto quello che mi rimane è qui- indicò il cancello del cimitero che ancora si poteva scorgere poco lontano da dove erano seduti.
- qual è il problema allora?- gettò la carta del panino facendo un centro perfetto in un cestino per i rifiuti.
- sai…- rispose Matt in tono sarcastico – sono ricercato da un paio di paesi, non credo che mi daranno un lavoro o un appartamento tanto facilmente-
Un sorriso poco rassicurante si aprì sul volto dell’altro ragazzo – se è solo questo… posso aiutarti io…-
 
Presente…
 
Matt sorrise al pensiero di come si erano evolute velocemente le cose da quel giorno.
Un ragazzo che l’aveva sempre odiato era diventato non solo un suo amico, ma, per molti versi, anche un suo salvatore.
Gli aveva dato un lavoro nel negozio del padre e gli aveva affittato un appartamento, certo, non era una vita a cinque stelle, ma era sempre meglio che viaggiare alla cieca con il solo appoggio fisso di digiword.
Si buttò stancamente sul divano, lasciando andare il suo corpo tra i morbidi cuscini arancioni.
Buttò la testa indietro, aveva tanti pensieri e purtroppo ancora nessuna soluzione.
 
- perché lo stai facendo?- Matt fissava con aria crucciata le chiavi di un appartamento. Aveva di nuovo una casa, ma ancora non sapeva dire il perché.
- perché ti sto aiutando?- Mark scaricò chiavi e documenti nelle mani del ragazzo con un gesto che non ammetteva repliche – vedi Matt, ho fatto tanti errori in passato…- assunse un aria seria, forse per la prima volta da quando lo conosceva -… affogavo nella rabbia e nel dolore per la perdita di mia madre e… e con qualcuno me la dovevo prendere…- alzò la mano nel tentativo di bloccare qualunque risposta da parte del prescelto -… ho sbagliato prendendomela con voi e lo capito quel giorno… quando la nostra città è stata quasi rasa al suolo- due occhi confusi lo osservano assorbendo silenziosi ogni parola – tu non lo sai, ma ero anche io nei rifugi… insieme a mio padre e alla mia sorellina- sospirò cercando di cancellare i brutti ricordi di quel giorno – ho seguito tutto quello che era successo in prima persona… ho visto tutto quello che avete fatto…- si voltò verso il prescelto porgendogli un sorriso di ammirazione - … non vi siete arresi… anche se non avevate speranze avete lottato fino alla fine- in quella situazione disperata la loro determinazione lo aveva lasciato spaesato, portandolo a chiedersi chi erano i veri mostri che abitavano la loro città.
Matt annuì poco convito, perché l’unica cosa che riusciva a ricordare pensando a quel giorno era il vuoto che aveva lasciato nel suo animo – sì, ma a che prezzo- sussurrò più a se stesso che al suo interlocutore.
- lo so!- riprese subito Mark – però è stato allora che ho capito…- Matt spalancò gli occhi cercando di capire dove volesse andare a parare -… ho capito che anche voi eravate impotenti davanti a quello che stava succedendo… non lo sapevate e non lo potevate evitare…- strinse i pugni al pensiero di quanto egli stesso era stato immaturo e stupido - … vi ritrovavate in quelle situazioni di merda e dovevate trovare su due piedi una soluzione… e lo avete sempre fatto senza chiedere nulla in cambio, anzi, ricevendo solo insulti e minacce…- mise una mano sulla spalla del prescelto – per questo vi ammiro… perché nonostante tutto l’odio che vi veniva versato addosso continuavate a difendere questo mondo.-
 
 
Il corpo del prescelto affondò definitivamente nel divano. Era stata una giornata maledettamente stressante e questo non solo perché al negozio si erano presentati solo clienti che non sapevano nemmeno accedere un forno a microonde. No, quella dannata giornata era cominciata male fin dall’inizio e tutto perché aveva dovuto alzarsi prima del solito per incontrare una vecchia amica che aveva deciso di incasinargli la mente.
Si massaggiò lentamente le tempie, cercando di scacciare quel terribile mal di testa che, quell’uragano dagli attuali capelli castani, gli aveva fatto venire parlando per due ore interrottamente.
Sospirò mentre ripensava alla nuova Mimi che si era ritrovato davanti, ormai non era più quella bambina viziata e piagnucolona che aveva incontrato a digiword, no, quello era solo un vecchio e sbiadito ricordo.
Quella mattina aveva incontrato una donna che era maturata superando molto avversità, tirando fuori un bel caratterino e anche una certa malizia che non gli dispiaceva.
Sorrise leggermente al pensiero che era perfino riuscita a tenergli testa in uno scontro diretto, cosa non facile considerando il carattere lunatico che si ritrovava.
 
Il segnale acustico del suo orologio suonò le dieci, tirandolo fuori dai suoi viaggi mentali.
Sbuffò decidendo infine che per quella sera non avrebbe combinato più nulla, certo avrebbe potuto tormentare un po’ Izzy per fargli accelerare il lavoro, ma poi avrebbe dovuto assorbirsi un Joe in piena fase “mamma chioccia” e la cosa non gli andava per niente.
 
Infilò la mano nella tasca dei pantaloni per estrarre il suo portafortuna: una vecchia foto che portava ormai in giro da anni.
La aprì con cura, cercando di rovinarla il meno possibile… quello era uno dei suoi tesori più preziosi.
Scansionò i volti presenti uno per uno, fino ad arrivare a quello centrale che gli interessava – sai Tai…- sussurrò cullato dalla solitudine del suo appartamento -… mi hai lasciato proprio una bella gatta da pelare…- sbuffò ricordando quando lottava con lui per il ruolo di leader - … sappi che quando rimetterò le cose a posto…- sorrise e ripiegò la foto -… ti riprenderai questo ruolo ingrato e io mi farò una lunga e meritata vacanza.-
 
 
 
 
 
 
Il rintocco dell’orologio a pendolo annunciava al padrone di casa la fine della giornata.
Il clown spense il fuoco e appoggiò il libro, tra le cui pagine si era rifugiato per passare quelle noiose ore nel mondo reale.
Si tolse la vestaglia e proseguì con passo calmo nella stanza affianco, dove un computer era già acceso per lui.
Sorrise al pensiero che aveva fregato i prescelti usando proprio quel mezzo che era a loro tanto caro, non solo li aveva battuti in casa ma aveva usato il loro stesso trucco: i digivarchi.
Proprio quegli stessi varchi che tanto aveva desiderato controllare Myotismon e che avevano sempre rappresentato una barriera insormontabile per i digimon, ora erano suoi.
Ormai non avevano più segreti per lui, aveva impiegato i suoi anni di prigionia per studiarli e alla fine li poteva aprire e chiudere ovunque volesse. Uno strumento perfetto per la sua vendetta perfetta.
Ma quella sera non l’avrebbe oltrepassato, non ne aveva bisogno, poteva gestire tranquillamente tutto da quella comoda casa. E tutto grazie al suo più fidato servo, il suo asso nella manica, il digimon grazie al quale era possibile il controllo delle digiporte… - Datamon…-
Il monitor del computer uscì immediatamente dalla modalità stand-by per connettersi al mondo dei dati, dove l’immagine di un digimon androide con una cupola di vetro e delle lunghe braccia metalliche aspettava la chiamata del suo nuovo datore di lavoro.
- padron Piemon… cosa posso fare per lei?- fece un leggero inchino, sapendo bene di essere visto dal clown.
- Datamon… come vanno i preparativi a digiword?- si sedette su di una comoda poltrona rossa in morbida pelle accavallando elegantemente le gambe.
- bene mio signore…- la voce meccanica del digimon rimbombava nella grande stanza del vecchio castello dei padroni delle tenebre, dove ora era stato ricostruito il centro operativo -… i settori si stanno indebolendo velocemente…- il suo tono era soddisfatto e il suo sorriso subdolo, presto anche lui avrebbe assaporato la sua rivincita -… quando vi stancherete di giocare con i prescelti non ci sarà nessuno in grado di fermarvi.-
- perfetto…- una risata divertita si fece eco nella silenziosa casa del mondo umano - … non vedo l’ora.- batté vistosamente le mani, tenendo il ritmo stesso delle sue risate – e datamon?-
Il digimon stava per chiudere la comunicazione – si mio signore?-
Se fosse possibile il sorriso di Piemon si allargò ulteriormente – domani ti invio altri digivice … uniscili alla mia collezione privata.- il solo pensiero che quegli sciocchi umani avevano creduto davvero che lui usasse quei computerini per creare un passaggio per loro lo divertiva.
Un’occhiata d’intesa fu lanciata dall’androide – certamente… avranno un bel posto nella bacheca della vostra stanza insieme a tutti gli altri…. Me ne occuperò personalmente!-
Il digimon mega spense il computer ritrovandosi così solo con la sua stessa immagine riflessa.
Aveva fatto bene a salvare i dati di Datamon anni prima.
Certo, quando li aveva trovati sotterrati in quella piramide non sapeva che farsene, ma adesso si erano rivelati come al sua arma vincente. 
Etemon era stato ceco a non vedere il potenziale di questo digimon, soprattutto considerando le sue grandi abilità in campo informatico. Abilità che ora erano al suo servizio e gli permettevano non solo di controllare i varchi ma anche la posizione dei prescelti nel mondo… beh, anche se di questo doveva ringraziare il piccolo Tk.
Un’altra sadica risata si liberò nell’aria. Tutto stava andando alla perfezione, solo altri pochi semplici passi e i due mondi sarebbero caduti sotto il suo dominio.
Rise pregustando il momento in cui avrebbe dato il colpo finale ai prescelti originali.
Rise perché sapeva bene che nemmeno un miracolo avrebbe potuto salvarli.
 
 
Continua…
 
Allora… com’era il chappy??? Certo, alcune cose ancora non sono state chiarite, ma verrà anche il loro tempo…
Ciao ciao. Alla prox
Lau2888

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Capitolo 12
*** passo 12) un ultimo messaggio ***


Ciao a tutti^^.
Ok, sono un po’ di fretta, quindi non mi perdo in dettagli…
Ringrazio chi segue e recensisce (inchino di ringraziamento^^) e auguro buona lettura.
 
 
 
 
Passo 12) un ultimo messaggio
 
Terra- Colorado.
 
Una vecchia porta arrugginita sbatté violentemente nelle solitarie e abbandonate strade della  periferia di una città ormai senza nome.
Un adolescente dai corti e ribelli capelli biondi si appoggiò, ansimando pesantemente, alla fredda superficie di ferro.
Aveva corso, in quelle strade vuote, finché le gambe lo avevano retto.
Aveva corso senza nemmeno curarsi di dove lo stavano portando, perché in quel momento l’unica cosa importante era scappare.
Le sue mani tremavano, mentre, con quella poca forza rimastagli, chiudeva quel passaggio pregando per un po’ di essere al sicuro.
Si guardò attorno, cercando di calmare il battito del suo cuore, aveva poco tempo e doveva usarlo tutto se voleva vedere ancora il giorno successivo.
Non c’era luce in quel luogo, se non quella della luna che silenziosa entrava dalle ampie vetrate che quasi occupavano tutta la parte superiore della struttura.
Da quel poco che riusciva a vedere, aveva davanti a se una stanza molto ampia, probabilmente un vecchio magazzino abbandonato e sommerso dalla polvere.
 
Scosse la testa, afferrando la borsa a tracolla che fedelmente l’aveva seguito in ogni avventura.
La svuotò con cura degli unici due oggetti che al momento gli potevano salvare la vita… salvarlo dalla sua stessa curiosità che questa volta l’aveva portato troppo oltre.
Un pc portatile, fortunatamente ancora carico, viene appoggiato sulla malcurata pavimentazione in cemento.
Un digivice bianco di prima generazione viene immediatamente collegato al portatile, attendendo con impazienza che facciano il loro lavoro.
Una serie d’informazioni sono velocemente convertite con un codice e inviate a una fonte sicura… sono il suo ultimo capolavoro… la sua ultima scoperta … la sua ultima speranza.
Si morse il labbro quasi fino a farlo sanguinare, trovandosi a maledire se stesso per essere stato così stupido da aspettare a mettersi in contatto con Izzy e tutto perché non sapeva tenersi a freno.
Aveva visto uno spiraglio per risolvere quel complesso enigma che li sta lentamente uccidendo e senza pensarci due volte l’aveva seguito, l’aveva risolto e adesso per questo doveva pagare un conto molto salato.
 
Sobbalzò quando un rumore metallico si fece eco nell’abbandonata struttura, ritrovandosi a pregare che fosse solo un enorme topo.
-non è nulla- sussurrava a se stesso tentando di calmarsi – non c’è nessun pericolo- ma la sua voce tremava, non riuscendo nemmeno a convincersi di quella piccola illusione.
Smise quasi di respirare e si fece più piccolo che poteva, aveva paura, ma non poteva farsi vincere. Doveva farsi forza, doveva continuare, doveva… no, voleva sopravvivere.
Le sue dita tremavano ma il fermarsi dallo scrivere, quello che sarebbe potuto essere il suo unico messaggio di aiuto, non era in quel momento un opzione. Perché forse con un po’ di fortuna quel testo non sarebbe rimasto inascoltato.
Un altro rumore fece alzare di scatto il suo volto, lasciando che i suoi occhi azzurri varcassero quella stanza spoglia e semibuia.
Il suo cuore batteva come non mai diventando quasi un rumore assordante nelle sue orecchie, portandolo a chiedersi come mai quel suono non avesse già svegliato l’intera città.
Un bip d’invio partì dal suo computer facendo nascere un piccolo sorriso di sollievo sul suo volto, forse alla fine ce l’avrebbe fatta.
-vana speranza- una voce canzonatoria derise quel piccolo gesto – gli esseri umano sono così divertenti- rimbombava nel magazzino celando la sua fonte – soprattutto da morti.-
Chiuse il computer con un gesto deciso e fece l’unica cosa che in quel momento avrebbe potuto fare la differenza: lo smagnetizzò cancellando ogni dato, una piccola precauzione che si era preso in caso di necessità.
Fece per recuperare il digivice ancora abbandonato per terra, ma un’elegante mano avvolta in un guanto bianco gli afferrò il polso – no, no, no.- il dito indice della mano libera venne sventolato davanti al volto pallido del giovane – non si fa così Willis … quando qualcuno pasticcia con i miei piani non può solo pensare di farla franca.-
L’espressione del prescelto si contrasse in una smorfia di consapevolezza e determinazione – fanculo Piemon gli altri prescelti ti tireranno giù e allora pagherai per quello che hai fatto!- per lui era la fine, questo era inevitabile, ma almeno non sarebbe morto per niente.
Il digimon sorrise – patetico!- mosse la mano con un gesto veloce ed elegante – inutile!- che arrivò dritto al cuore del ragazzo –illuso!- perforandolo con una delle sue lame – e morto!-.
Raccolse il corpo e il digivice, lasciando disgustato quel luogo in un turbine di dati. Probabilmente avrebbe dovuto dare una sferzata ai suoi piani.
 
 
 
 
 
 
Digiword. Settore dei laghi – ultimo avamposto dei prescelti.
 
Lunghe ciocche di un blu tenue sfuggono dispettose dalla bassa e mal legata coda dell’unico membro dei prescelti attualmente presente e attivo nel laboratorio di ricerca.
Uno sbuffo infastidito è pronunciato dalle labbra del giovane uomo che ora seduto dietro una scrivania, la cui superficie è occupata completamente da carte e computer.
Senza staccare gli occhi dal luminoso schermo, scaccia con un movimento deciso quei ciuffi che andavano inevitabilmente a ostacolare la sua vista già duramente messa alla prova dalle dure ore di lavoro… Ore spese cercando di analizzare i dati con precisione e accuratezza, così da portare avanti al meglio l’operazione di quel genio informatico che era ancora addormentato nella sua stanza. Un’attività snervante fatta nell’esclusiva speranza di poter sopravvivere all’ira del suddetto genio quando al suo risveglio capirà che era l’unico responsabile del sonnifero nel suo tea.
-elaborazione in corso…- lesse a bassa voce per spezzare il silenzio che avvolgeva quella grande struttura – che noia… come diavolo fa Izzy a trovare eccitante questo affare!- le parole rimanevano immutate sulle schermo per minuti che apparivano infiniti, quasi a voler schermire il prescelto dell’affidabilità.
Riportò gli occhiali sul naso, un gesto che per lui era ormai diventato un’abitudine dettata dallo stress e dalla stanchezza. – vabbè!- intrecciò le mani sopra la testa tendendo poi le braccia verso l’alto – sveglia! Sveglia!- incitò se stesso, mentre stiracchiava il corpo ormai intorpidito.
Decise di abbandonare la scrivania, tanto aveva capito che i computer non avrebbero lavorato più in fretta se lui stava lì a fissarli. Anzi probabilmente sarebbe solo impazzito nel processo.
 
I suoi passi rimbombavano nella stanza, accompagnati solo dal ronzio dei vari macchinari presenti… una calma innaturale, quasi artificiale, che escludeva il resto del mondo e lo avvolgeva in ogni movimento.
Probabilmente anni addietro Joe avrebbe apprezzato appieno quel luogo così tranquillo, eleggendolo a proprio “rifugio studio” personale, ma adesso, dopo tutto quello che aveva passato e perso, non poteva fare a meno di pensare che quella contraffatta quiete che lo avvolgeva ventiquattro ore al giorno fosse dannatamente sbagliata… Se poi si considerava il fatto che il suo unico coinquilino presente parlava solo con i computer allora la cosa diventava drammatica.
Sospirò pesantemente ritrovandosi a pensare che avrebbe dato di tutto pur di rivedere Matt e Tai litigare come poppanti per qualunque cavolata, oppure per sentire le urla di Mimi mentre scappava dalla vista di una lucertola oppure ancora per vedere giocare spensierati i piccoli Tk e Kari.
Tutte cose che avevano e che gli erano state portate via.
Tutte cose a cui non aveva dato peso ma che ora gli mancavano.
Tutte cose che riempivano la sua vita di colori e suoni.
-chissà … - Joe sorrise lievemente – sarà forse per questo che ho deciso di dare retta al folle sogno di Matt - sogno sì, perché di piano realmente non si poteva parlare.
 
 
1 anno prima- dopo l’attacco di Piemon.
 
Tre adolescenti erano seduti in silenzio all’interno di una piccola cucina. Avevano deciso di allontanarsi dagli altri membri del gruppo lasciandoli alle cure dei due padroni di casa a cui dovevano la vita e la libertà.
Erano passate diverse ore dall’attacco ma ancora tutto quello che le loro menti erano in grado di registrare era un profondo senso di perdita accompagnato dal sapore amaro della sconfitta… un sapore che questa volta difficilmente avrebbero dimenticato.
 
Joe era lì, in quella stanzetta isolata dal resto dell’appartamento, pallido e stanco come non lo era mai stato.
Le sue mani erano sulla maniglia della porta accompagnandola con estrema lentezza, un ultimo tentativo disperato di prendere tempo per riordinare le idee.
Poco prima Matt, il leader, di punto e in bianco si era alzato e senza dire una parola lo aveva trascinato di peso lì insieme a Izzy.
Joe era sorpreso, preoccupato e spaventato. La sua mente era un groviglio di confuse informazioni che come intricati pezzi di puzzle non ne volevano sapere di combaciare.
Si trovava spaesato e scombussolato come se avesse fatto venti giri sulle montagne russe senza fare neanche una piccola pausa… continuando a girare e girare in modo incontrollato finché il tuo stomaco  cede facendoti vomitare anche l’anima… e, sì, tra le altre cose, vomitare al momento non gli sembrava una cattiva idea, visto come si sentiva, ma purtroppo non se lo poteva permettere.
Lui era il più grande, ripeteva in continuazione a se stesso, e come tale doveva darsi una svegliata per essere un punto di riferimento per i suoi compagni.
Doveva proteggerli, guidarli e consolarli.
Doveva essere forte.
Doveva essere d’esempio.
Doveva… voleva… avrebbe voluto…
Sì, ma chi ha mai detto che essere grandi significa essere forti?
L’età davvero ti da tutta quella saggezza per superare tutte le avversità che il destino ha in servo per te?
Se glielo avessero chiesto in quel momento, Joe, avrebbe semplicemente risposto che la vita fa schifo… che il destino è troppo grande… e che vorrebbe tanto avere di nuovo la possibilità, come quando era bambino, di infilarsi dentro l’armadio e aspettare che le calde e forti braccia del padre o del fratello vengano a prenderlo e a consolarlo… sì, vomitare al momento non gli sembrava per niente una cattiva idea.
 
Due sedie si spostarono in sincronia, costringendolo a riaprire gli occhi che nemmeno di era reso conto di aver chiuso. Si staccò da quel pezzo di legno facendo girare con un gesto indeciso la chiave nella toppa, non sapeva perché ma aveva la sensazione che quella conversazione non sarebbe piaciuta agli altri prescelti.
 
Prese posto nell’unica sedia libera intorno al tavolo, osservando discretamente il volto pallido, coperto dai lunghi capelli biondi, del suo amico. Sospirò, chiedendosi per quanto ancora Matt avrebbe trattenuto i suoi sentimenti prima di scoppiare. Perché sì, lui sapeva che era solo questione di tempo prima che l’effettiva realizzazione della perdita del fratellino lo colpisse in pieno, distruggendolo definitivamente.
Joe era ingenuo, ma non era stupido. Lui aveva capito, dal momento in cui Izzy aveva dato un responso negativo della sua ricerca, che il piccolo Tk non lo avrebbero più rivisto.
Lui lo aveva ammesso, non accettato, ma solo arrendevolmente ammesso e da lì a breve anche Matt sarebbe arrivato alla stessa conclusione… ma la domanda che si poneva era: lo avrebbe accettato o avrebbe dato il via a una crociata personale?.
 
-ragazzi…- Matt alzò il volto rivelando ai suoi due interlocutori due occhi freddi come il ghiaccio e un volto che a malapena tratteneva un turbine di emozioni contrastanti – prima abbiamo perso Tai e Sora…- i due prescelti sussultarono al sentire quei due nomi che orami erano diventati un tabù tra le loro file -… dopo qualche giorno abbiamo scoperto i corpi di Yolie e del giovane Cody…-  il tono del ragazzo non ammetteva interruzioni o repliche – e adesso è stato il turno di…- si fermò per un attimo mordendosi il labbro inferiore pur di non dover pronunciare quel nome – di… di Tk chiuse gli occhi per qualche secondo nel tentativo di recuperare il suo controllo.
-Matt, noi …- Joe intervenne, voleva dire qualche parola di conforto… voleva evitare che il suo amico cadessi in un baratro di tenebre e disperazione, ma fu fermato con un semplice gesto della mano dal biondo leader.
- stiamo cadendo…- Matt era diventato improvvisamente calmo e concentrato, come un predatore che sta studiando la sua preda -… inevitabilmente e inesorabilmente… stiamo cadendo- i due prescelti lo guardavano confusi e spaventati, dalle sue parole sembrava quasi volesse arrendersi – e non c’è nulla che possiamo fare per andare avanti-
-ma…- la voce di Joe tremava, era la prima volta che vedeva l’amico ammettere una sconfitta e questo lo spaventava più che un suo attacca isterico -… non ci possiamo arrendere- una frase che sembrava più una supplica che un’affermazione.
- non ha mai detto il contrario.- rispose il biondo intrecciando le mani e appoggiandole sul tavolo, cercando di ignorare due coppie di occhi lo guardavano sorpresi – ho detto solo che non possiamo andare avanti. -
 
 
Joe sospirò, continuando a camminare nel grande e solitario laboratorio alla ricerca di una qualunque distrazione mentre attendeva il risultato di quei dannati test… aveva già detto che trovava noioso quel lavoro??
Si passò una mano fra i capelli, scostando con aria stanca le ciocche diventate un po’ troppo lunghe, forse se mai un giorno sarebbe tornato sulla terra se le sarebbe tagliate.
Un brivido attraversò il suo corpo portandolo istintivamente ad affondare entrambe le mani nelle tasche della felpa e contrarre le spalle in cerca di calore… ormai le mancate ore di sonno cominciavano a farsi pesanti e probabilmente più tardi sarebbe toccato a lui crollare sotto un sonnifero.
Lasciò correre il suo sguardo, stanco e annoiato, finché fu catturato dall’unica parte di quel luogo che emanava luce propria, sbuffò decidendo di andare ad ammirare per l’ennesima volta quella che lui aveva battezzato “la folle utopia di Matt”.
 
 
Erano passati circa tre minuti da quando il prescelto dell’amicizia aveva esposto la sua idea ai due geni presenti e ancora nessuna reazione si era presentata.
-COSA?!- salvo per quando l’urlo di Izzy aveva quasi stordito gli altri due ragazzi facendoli quasi cadere dalla sedia  – non per offenderti Matt…- sbatté le mani sul tavolo dopo aver recuperato un minimo di compostezza -… siamo amici da anni ed io ho molta stima di te, ma…- lo guardò fisso negli occhi con uno sguardo sconvolto -… sei forse impazzito?-
- no, sono molto serio- rispose il biondo sentendosi leggermente offeso per aver messo in dubbio la sua salute mentale.
- ah!- Izzy si ricompose ritornando correttamente seduto sulla sedia – no, perché mi sembrava di aver capito che volevi tornare indietro nel tempo…-
- è quello che ho detto!- rispose pacato come se avesse pronunciato la cosa più ovvia del mondo.
- ah!- il prescelto della conoscenza sbatté più volte le palpebre chiedendosi se l’amico non avesse visto troppi film di fantascienza – sai, io credo che abbiamo tutti bisogno di riposo e poi…-
Ma ogni sua parola fu bloccata da Joe – aspetta!- non aveva ancora detto una parola dal momento in cui Matt aveva sganciato la bomba. Certo, pensava fosse un’idea a dir poco insensata, ma quello sguardo dannatamente serio che aveva il suo amico gli faceva pensare il contrario – Matt, spiegati meglio… che cosa avevi in mente?-.
-voglio usare i digivarchi…- il leader scrutò con attenzione entrambi i volti pallidi e stanchi dei due ragazzi seduti con lui attorno a quel tavolo -… se già possiamo usarli per muoverci liberamente sia nel mondo digitale che nel mondo reale…- strinse con forza la stoffa del maglione, dove sotto rimanevano nascoste i due medaglioni che avevano cambiato la sua vita -…allora penso che il passo successivo sia quello di muoverci nel tempo.- la sua presa si fece più ferrea quasi a voler ricercare in quel contatto la forza per andare avanti – rivoglio…- sbatté un pugno sulla liscia superficie di legno -… quello che mi è stato portato via!-
 
E fu in quel momento… in quella voce decisa e in quegli occhi determinati, che Joe e Izzy avrebbero giurato di rivedere nel loro amico biondo l’immagine del loro vecchio leader… forse Tai non gli aveva lasciato solo una collana.
 
 
 
Perso nei suoi ricordi raggiunse l’imponente impalcatura che regnava sovrana al centro del laboratorio.
Restò qualche passo indietro, il senso di soggezione che quella pietra emanava, forse per quello che rappresentava o forse per come l’avevano ottenuta, lo opprimeva ogni volta.
Girò attorno alla struttura per meglio osservarla, cercando di evitare di calpestare gli innumerevoli cavi che da ogni parte sbucavano.
I suoi occhi si soffermavano incantati sulle antiche rune d’orate che spiccavano sulla superficie nera e irregolare dell’enorme pietra… rune che per loro erano ancora per la maggior parte un mistero.
Staccò i suoi occhi da quei caratteri d’orati, lasciandoli correre per tutta la superficie fino ad arrivare alla sommità della pietra stessa, dove nasceva e risplendeva una sfera di luce che rappresentava la chiave dell’intero progetto. Era formata da cristalli, che quasi sembravano non avere consistenza reale, ed era avvolta dai caldi colori dell’arcobaleno… una vera bellezza che si poneva in netto contrasto con la superficie nera della base.
 
La mente del prescelto era concentrata totalmente su quell’opera che avrebbe potuto cambiare il corso degli aventi, tanto da portarlo a ignorare tutto quello che lo circondava.
Se solo fosse rimasto un altro po’ a quella scrivania, avrebbe sentito un acuto suono acustico provenire dal pc portatile di Izzy e allora forse la vita di un compagno sarebbe stata salvata… ma in questo caso le parole chiave erano “se solo…”
 
 
 
Una piccola campanella, appesa alla finestra semiaperta di una casa stile occidentale, suonò leggermente accarezzata dal vento.
Davanti a quei vetri limpidi si rifletté l’immagine di un vecchio uomo che attraverso i suoi occhi osserva lo scorrere della vita digitale fuori dalla sua abitazione.
Le sue mani erano intrecciate dietro la schiena, incurvando ancora di più la sua piccola figura, ma dandogli al contempo un’aria saggia.
Si trovava in silenzio in quella posizione da diversi minuti. Doveva pensare con calma e prendere una decisione… una decisione che nel bene e nel male avrebbe cambiato il presente che lui conosceva.
-Gennai?!- una voce impaziente richiama la sua attenzione, la stessa voce che poche ore prima aveva fatto irruzione nel suo salotto.
Il vecchio si girò lentamente cercando di rubare dell’altro tempo. Sapeva che doveva pur dire qualcosa a quei tre ragazzi che ora erano seduti davanti a lui, ma ancora non sapeva cosa.
Li vorrebbe aiutare, questo è certo, ma al contempo non voleva illuderli con false promesse o false speranze, perché lo sapeva che in quel caso li avrebbe persi del tutto.
Gennai sospirò, guardando quei bambini, ora adulti, che lui stesso aveva trascinato nel mondo digitale chiedendogli di proteggerlo e salvarlo… chiedendogli di compiere un miracolo.
Scosse la testa tristemente, cercando di scacciare quel senso di colpa che da anni lo perseguitava. Quella missione impossibile era stata portata a termine, però il prezzo pagato dai suoi ragazzi era stato  decisamente troppo alto… un prezzo che a nessuno dovrebbe essere chiesto di pagare.
Alzò lo sguardo incontrando una coppia di occhi azzurri, una coppia di occhi blu e una coppia di occhi porpora… tutti con la stessa luce… tutti con la stessa forza… tutti con la stessa determinazione… e tutti sfortunatamente con le stesse dolorose ferite.
Strinse i pugni davanti a quegli occhi che ormai avevano perso tutta la loro innocenza, brutalmente strappata a loro dall’odio, dall’arroganza e dall’avidità sia umana che, con suo rammarico, anche digitale.
Strinse i pugni vedendo intorno al collo di Matt due medaglioni, simbolo del peso doppio che ora stava portando.
Strinse i pugni al pensiero che Joe e Izzy erano pronti a rinunciare alla loro vita sulla terra pur di fare la differenza.
Strinse i pugni sentendosi piccolo e impotente davanti a questo destino crudele che si sta prendendo gioco di loro.
Strinse i pugni e prese la sua decisione – prescelti!- vede sussultare il trio presente, temendo da lui una risposta negativa – capisco quello che volete fare, ma purtroppo non ho il potere che cercate- non abbassa la testa ne perde il contatto visivo – in realtà non esiste nessun digimon che possegga quella capacità… - vede con rammarico le loro speranze infrangersi davanti a quelle poche parole, ma ormai la sua decisione è presa e spera solo di non doversene pentire in futuro – però… penso di sapere chi vi possa aiutare…-
Izzy scatta in piedi allargando gli occhi dallo stupore – ma… avevi appena detto che non esiste.-
Il vecchio annuì lasciando il prescelto ancora più confuso – il fatto che non esista non significa che con fatica e pazienza non si possa creare-
 
Una serie di segnali, acuti e costanti, ruppero l’opera di contemplazione del prescelto che si ritrovò a malincuore a ritornare verso quella dannata scrivania ora ribattezzata come sua prigione.
Un ringhio sommesso venne prodotto dalle sue labbra quando vide apparire l’ennesima schermata rossa sul computer principale. Un altro fallimento.
Sbuffò. Tutto quel duro lavoro per nulla, ora sì che Izzy scatenerà le sue ire su di lui. Probabilmente bloccherà di nuovo l’accesso alle porte della biblioteca esiliandolo da quel luogo per settimane.
Rabbrividì al ricordo di quei giorni passati nella totale noia senza i suoi amati libri, forse dovrebbe davvero smettere di pasticciare con le bevande del genio. Ma ancora, le lo facesse veramente non sarebbe lui…
 
Nel frattempo, in una stanza completamente avvolta nell’oscurità, un mucchio di coperte cominciò a muoversi lentamente emettendo gemiti di fastidio.
Una testa porpora molto confusa riuscì a liberarsi dal pesante e morbido involucro, cercando di ricordare in primo luogo come ci era arrivato lì dentro.
Il suo corpo era pesante e la testa gli faceva male, che avesse dormito troppo?, strano, perché lui di solito a malapena aveva il tempo di coricarsi.
Si guardò attorno con aria assonnata tentando di mettere insieme i pezzi per capire cosa fosse quella leggera sensazione di fastidio che lo attanagliava:
1 era nella sua stanza e aveva ancora addosso la tuta che usava a lavorare ergo non ci era arrivato da solo nel letto.
2 c’era un bicchiere d’acqua con un’aspirina sul comodino segno indelebile che era passato Joe.
3 il suo digivice indicava chiaramente che era già mattina il che significava che quella notte non aveva combinato nulla il che voleva dire che era indietro con il lavoro, il che portava inevitabilmente all’ennesima crisi isterica di Matt.
4 in quella dannata base costruita in capo al mondo c’erano solo lui, tentomon e Joe… e dubitava che il piccolo digimon coleottero fosse riuscito a portarlo di peso in camera.
Conclusione finale: - JOE! CHE DIAVOLO HAI FATTO?- un urlo che si sentì in ogni angolo della base.
 
E fu in quel momento che il prescelto dell’affidabilità pensò bene che forse era il caso di chiedere asilo politico a Gennai per un po’ di tempo.
 
 
Il cielo di digiword venne avvolto in pochi attimi da pesanti nuvole grigie.
Un aumento improvviso di potenza si percepiva nell’aria, rendendola quasi troppo pesante per essere respirabile.
Potenti tuoni solcavano quel manto grigio, illuminando un’atmosfera altrimenti tetra… tuoni che non enunciavano l’arrivo della pioggia, ma quello di un essere superiore che anche se indebolito dalla stessa instabilità del suo mondo era comunque giunto per rispondere a un richiamo.
Azulongmon, il potente digimon drago, fece la sua comparsa, attraversando quelle nubi che al suo cospetto si diradavano.
-prescelti…- la sua voce rimbombava in tutto il settore -… una nuova crisi senza precedenti ci ha colpiti…- i tre ragazzi e il loro digimon guardavano il drago con soggezione, intimiditi dalle stesse leggende con cui sono cresciuti - … e questa volta dubito che ne usciremo vincitori-
I prescelti chinarono il capo davanti a tali affermazioni, forse davvero per loro non c’erano speranze?
-Gennai…- continuò azulongmon -… mi ha spiegato quello che volete fare…- sogghigno al pensiero del discorso fatto con l’entità digitale che rappresentava il vecchio -… è un piano folle quasi irrealistico, ma mi piace…- i ragazzi sconvolti alzarono la testa di scatto sbarrando increduli gli occhi -… non vi voglio mentire, sarà difficile, ma ho fiducia e ho deciso di scommettere su di voi.-
Gli occhi del drago s’illuminarono facendo apparire davanti a tre sbigottiti prescelti un’enorme pietra nera decorata con antiche rune d’orate.
- Questa è una pietra sacra…- spiegò il digimon – avrebbe dovuto evolversi in una digipietra, ma questo non è mai avvenuto-.
- azulongmon…- si fece avanti Izzy riuscendo grazie alla sua curiosità a superare quella sensazione di soggezione che gli impediva quasi di respirare normalmente -… in che modo può aiutarci?-
Il sorriso sul volto del drago si ampliò – questa è una pura fonte di potere… tanto che se correttamente dirottato può anche spezzare il corso del tempo… tuttavia…- il digimon cominciò a svanire confondendosi nel cielo grigio -… capire come spetterà a voi… buona fortuna!-.
E in un lampo di luce svanì, tornando nelle retrovie del mondo dei dati, dove con il suo potere cercava di salvare il salvabile di quel mondo ormai in rovina.
 
 
 
Città abbandonata – casinò.
 
Al piano terra del casinò, appoggiato a uno dei tanti tavoli che prima formavano il lussuoso ristorante, un ragazzo dai lunghi capelli scuri era interamente assorto dal suo portatile.
Velocemente batteva i tasti, usando tutte le sue conoscenze per muoversi come un fantasma all’interno della rete, spostandosi con maestria da un server all’altro. Un lavoro rapido e pulito, tutto pur di non farsi individuare e perdere così un tale utile strumento... Infondo quella scelta di stare in un posto così appariscente era dettata proprio dalla presenza della potente connessione satellitare.
Scansionava ogni luogo, sia reale che digitale, al fine di ottenere una qualunque traccia del prescelti scomparsi e poter finalmente capire quello che stava succedendo.
Ken sospirò pensando all’unico prescelto che in realtà volevano davvero ritrovare. Sì, perché era inutile mentire a se stesso con ragioni altruistiche, l’unico motivo per cui viaggiavano da un paese all’altro, ispezionandolo ogni volta centimetro per centimetro, era esclusivamente quello di riportare a casa Tk.
Si bloccò improvvisamente sentendosi invadere da un pesante senso di sconforto.
Erano mesi che facevano e rifacevano la stessa cosa, eppure, nonostante tutto il loro impegno, non avevano ancora ottenuto nulla, nemmeno una piccola traccia.
Si sentiva inutile, avvolto nella strana sensazione di essere immobile mente il mondo attorno a lui si muove a un ritmo vertiginoso.
Appoggiò la testa al tavolo evitando di toccare i tasti del pc, chiedendosi se davvero era possibile sistemare le cose, ma soprattutto chiedendosi se davvero avrebbero mai rivisto il loro amico.
Scosse la testa per cercare di cancellare l’immagine del ragazzo dai biondi capelli dai suoi pensieri, non aveva molto tempo, la connessione che stava usando sarebbe stata pulita ancora poco e lui doveva concentrarsi… almeno se voleva evitare ripercussioni da parte di Kari.
Alzò gli occhi per fissare il soffitto, ripensando ai suoi due compagni al piano di sopra… no, decisamente la prescelta della luce non gliele avrebbe fatta passare liscia se avesse saputo che aveva perso tempo e risorse preziose per fantasticare.
Fece per rimettersi al lavoro, ma le sue mani si bloccarono a mezz’aria. Qualcosa d’inaspettato aveva appena invaso il suo pc, facendo accendere una scintilla di paura e speranza nel petto del giovane: un messaggio da qualcuno che non vedeva orami da tempo immemore, ma che aveva sempre rispettato per la sua genialità.
Willis. Il biondo prescelto americano era il mandante.
Lo aprì velocemente, se la regola del non contattarsi salvo questioni di vita e di morte era stata applicata correttamente allora significava che il ragazzo era nei guai.
Sbiancò quando vide il codice di aiuto, ma non per il suo contenuto, bensì perché proveniva da un digivice ormai non più operativo… un digivice il cui schermo era diventato freddo e nero… un digivice di un prescelto che aveva perso la vita.
Strinse i pugni più e più volte costringendo se stesso a non urlare per la frustrazione. Di nuovo un innocente era stato preso e di nuovo non si era potuto fare niente per evitarlo.
 
-che succede Ken?- la voce dolce, anche se un po’ rauca, di Kari lo aveva svegliato dall’improvvisa oscurità che minacciava di invade il suo corpo.
La ragazza aveva gli occhi gonfi e rossi, ma il suo viso era meno teso e i suoi lineamenti più infantili, come se di colpo avesse recuperato alcuni anni che la sua dura vita le aveva tolto.
-ragazzi…- spostò il suo sguardo per vedere accanto a lei colui che ormai era diventato come un suo secondo fratello, Davis – non ci sono buone notizie… anzi-
Vide quei due volti sbiancarsi e maledì se stesso per il suo ingrato ruolo di messaggero. Sapeva che la loro maggiore paura era perdere quel poco che restava dei loro affetti, eppure non c’era nulla che poteva fare per evitare a loro un nuovo dolore.
Lui aveva conosciuto poco Willis, certo, si erano scambiati molte mail nel corso degli ultimi anni, ma il loro rapporto era più professionale, più distaccato. Tutto al contrario dell’amicizia che invece legava il biondo americano con i suoi due compagni di viaggio… un legame che era nato dopo la loro vacanza negli USA, dove insieme avevano combattuto e sconfitto un nemico potente.
-si tratta di Willis- quattro semplici parole che ebbero l’effetto di far gelare di colpo l’aria nella stanza.
 
 
Tavola calda- Giappone.
 
Contemporaneamente, in un’ubicazione del tutto distinta, l’attuale biondo leader dei prescelti stava disperatamente cercando di trattenere l’istinto di sbattere ripetutamente la testa contro il tavolo che aveva davanti.
Nonostante le sue normali capacità mentali, non riusciva a spiegarsi come sia potuto nuovamente cadere in quella terribile trappola. Insomma una volta passi, ma con due si cadeva nel ridicolo…
Eppure eccolo lì bloccato per la seconda volta in quella dannata tavola calda con le ampie vetrate e le cameriere con l’accecante divisa rosa.
Di fronte a lui la stessa insistente amica d’infanzia, dagli attuali capelli castani, che parlava interrottamente da due ore… due ore ben scandite da quell’odioso orologio a forma di uovo che il destino aveva deciso, solo per dagli fastidio, che doveva essere appeso nella parete dietro a Mimi.
Cercò con uno sguardo supplicante la cameriera, sperando così di ottenere una pausa ordinazione che bloccasse quel lungo monologo senza un tema specifico… speranza vana perché la suddetta donna stava flirtando apertamente con un camionista che sembrava essere un cliente abituale.
Spostò sconsolato gli occhi sulla ragazza seduta davanti a lui, voleva interromperla non appena si fosse fermata così da chiederle per quale diavolo di motivo lui non era nel suo caldo letto, ma, per sua sfortuna, dopo due ore aveva capito che la suddetta donzella poteva parlare interrottamente senza nemmeno riprendere fiato.
Prese un respiro e optò per un attacco diretto – Mimi!- con un tono leggermente irato scandì il nome della ragazza riuscendo ad attirare la sua attenzione.
-si?- chiese candidamente abbagliandolo con un grande sorriso.
Contò mentalmente fino a cinque, cercando di calmarsi -perché mi hai chiamato qui questa volta?-  anche se il suo tono diceva tutt’altro.
Mimi allargò il suo sorriso mentre prendeva con tranquillità la tazza di tea caldo che aveva davanti tra le mani -appuntamento!- cinguettò allegra
-eh?- Matt perse per un attimo il suo imperturbabile sguardo glaciale, trovandosi inevitabilmente a spalancare gli occhi.
La ragazza non perse il suo sorriso, ma dentro di lei sbuffava sonoramente per le eccessive barriere che il suo biondo amico aveva messo nel corso del tempo –sai…- continuò con nonchalance -… ti vedevo un po’ stressato ultimamente e ho pensato che uno svago potesse farti bene- questo naturalmente se s’ignorava le innumerevoli occhiate omicide che il biondo le aveva inviato per due ore.
Matt sbatté le palpebre più e più volte cercando di trovare il significato nascosto dietro le parole della ragazza… perché si sa, quando le donne parlano hanno sempre un significato nascosto –eh?-
Mimi sospirò, aveva un bel po’ di lavoro da fare se voleva scongelare il cuore del prescelto dell’amicizia – lascia perdere… fai finta che non abbia detto nulla- alla fine ammise, senza però perdere la sua determinazione. Era chiaro che il ragazzo non era ancora pronto, quindi ci voleva pazienza… tanta pazienza.
Sapeva che sarebbe stato difficile, però non aveva intenzione di arrendersi per così poco.
Annuì convita dei suoi stessi pensieri, avrebbe fatto breccia nel cuore del giovane arrivandoci piano piano… e se non ci fosse riuscita con le buone, allora avrebbe sfondato con le cattive le sue dannate barriere. Sì, avrebbe fatto proprio così.
Fissò negli occhi il suo ormai confuso interlocutore e rimettendo il suo radioso sorriso continuò come se niente fosse – pensavo di tornare a Odaiba- sorseggiò il suo tea aspettando che il suddetto biondo recepisse la notizia.
-COSA??- e infatti l’aveva recepita mettendo nel dimenticatoio ogni questione relativa al fantomatico appuntamento – sei impazzita??- sbatté le mani sul tavolo contenendo malamente rabbia e preoccupazione – è pericoloso… e … e dannatamente stupido…- sempre cercando di ignorare le evidenti occhiate sconcertate che gli venivano lanciate – … nasconditi in modo decente!-
- Matt, posso farti notare che attualmente tu abiti e lavori a Odaiba?- la ragazza incrociò le braccia leggermente irritata per la risposta.
- è diverso!- si affrettò a concludere Matt
-ah! E in che modo scusa?- Mimi si sporse minacciosamente contro di lui.
- perché l’ho deciso io- pessima risposta con una sola immediata conseguenza: una serie d’imprecazioni e insulti, uniti a un monologo quasi urlato durato all’incirca un’altra ora.
 
 
Mondo digitale- ex castello dei padroni delle tenebre.
 
La notte si schiariva nel mondo dei dati, lasciando il suo spazio a un pallido sole che annunciava il mattino tentando di illuminare uno dei settori più oscuri di digiword.
I suoi raggi toccavano quella terra che ormai era solo fredda e arida. Niente era rimasto di quel glorioso passato che l’aveva resa ricca e fertile… quello ora è solo un doloroso ricordo.
I fiumi col tempo si erano prosciugati mentre delle belle foreste verdi rimanevano solo scheletri di legno marcio e senza vita.
Quello era un luogo che in ogni angolo gridava morte, promettendo di estendere la minaccia in ogni altro settore.
Eppure se si aveva il coraggio di addentrarsi si poteva anche scorgere una piccola parvenza di vita: una struttura che in realtà era il nucleo stesso degli orrori che colpivano i due mondi.
Il monte spirale, ricostruito col solo elemento di Piemon, si ergeva sorvegliando ogni angolo del territorio conquistato dal crudele clown.
Non temeva il digimon che qualcuno riconoscesse la sua firma su quel monte, infondo nessuno finora era stato così suicida da tentare di invadere quei confini, non almeno con buona parte del suo esercito schierato per difenderli.
Beh, in effetti qualche aspirate eroe c’era stato, ma tutto quello che aveva trovato erano stati i pochi resti dell’ex dimora dei padroni delle tenebre ormai in rovina e una morte dolorosa.
Il vero castello e la vera entrata erano stati ben nascosti da un paranoico datamon che avrebbe sfidato chiunque a trovarla… sempre se ne avesse avuto il tempo, ovvio, alla fine non aveva certo messo attorno alla roccaforte un esercito per bellezza.
 
L’interno del castello richiamava molto i tratti delle fortezze medioevali.
Grezze e irregolari pietre formavano le pareti che erano ricoperte poi con fini arazzi dai colori scuri. Un tentativo questo di dare un tocco aristocratico a un luogo nato per la battaglia.
Radi dipinti e volte completavano poi l’interno di quelle fredde mura così impersonali e, in più tratti, evidentemente costruite in fretta.
Pochi e semplici mobili erano sparsi nella struttura, solo lo stretto e indispensabile era stato comprato, infondo il piano di Piemon avrebbe previsto presto un trasferimento di base in un luogo a lui più degno… che sia sulla terra o a digiword ancora non lo aveva deciso.
Unico elemento fondamentale e ben curato era rappresentato dall’alta tecnologia che copriva alcune aree della fortezza. Elettricità e riscaldamento erano stati una costante in quasi tutte le stanze, piacere questi ereditati dal mondo reale.
Nella parte più bassa del castello era custodito il prezioso laboratorio di datamon. Punto centrale sia delle strategie sia delle ricerche.
Ed era qui che il digimon androide attualmente si trovava quando il suo crudele padrone fece alla sua comparsa in un turbine di dati.
 
La stanza era semibuia, illuminata solo in alcuni punti da alcune luci al neon di colore azzurro.
Lo spazio era immenso, ma quasi interamente occupato da macchinari di vario genere, esperimenti principalmente, nati tutti dalla mente malata di un digimon cresciuto nella vendetta.
Datamon si trovava davanti a uno schermo che da solo riusciva a occupare un buono spazio sulla parete. Era il suo gioiello, il suo capolavoro, il suo strumento per controllare tutto, dal funzionamento dell’impianto elettrico all’ultimo avamposto di guerrieri situati dall’altro capo di digiword.
Una fredda brezza e una flebile luce bianca fecero voltare il digimon androide che, con prontezza, s’inchinò per accogliere il suo padrone. Il rispetto, aveva imparato, era una delle principali cose che gli permetteva di essere il braccio destro di quel clown così maledettamente attaccato al suo ego.
Sbuffò senza farsi vedere. Anche se non gli piaceva prendere ordini lo avrebbe seguito, infondo non solo lo aveva salvato ma aveva anche provocato indirettamente la morte di coraggio e amore, i prescelti che lo avevano portato alla quasi cancellazione… oh, se solo gli altri prescelti lo avessero saputo…
-mio signore, vedo con piacere che avete preso quel topolino che aveva frugato nelle nostre tasche- sogghignò, adorava il fatto che quasi tutto il lavoro sporco lo facessero gli altri, dopo le batoste passate aveva capito di essere più portato per fare la mente che il braccio.
I passi di Piemon si fecero eco nella stanza trasmettendo rabbia e frustrazione. – datamon!- come anche il suo tono che era tutt’altro che felice – questo pezzente è riuscito a trasmettere ai suoi amichetti delle informazioni- lanciò computer e digivice al digimon - mettiti subito al lavoro e scopri cosa è riuscito a mandare. - decisamente il fatto che un semplice umano fosse riuscito solo con l’aiuto dei suoi due digimon a violare il suo sistema e a sottrarre informazioni lo mandava fuori di testa.
 
Datamon s’inchinò in segno di accettazione, dando subito la sua completa concentrazione sul portatile, senza però sapere che ormai era inutilizzabile. Se solo avesse fatto più attenzione al digivice, si sarebbe accorto che per pochi attimi aveva brillato di vita propria dando a chi di dovere un ultimo messaggio che il suo precedente prescelto aveva in lui inserito.
 
 
Città abbandonata- casinò
 
La grande sala del ristorante trasudava ancora, nonostante i mesi passati, un senso di regalità.
Tende e arazi, quadri e fini decorazioni, cristalli e candelabri d’argento… tutto era ancora presente, impolverato sì, ma ancora lì a far brillare quel posto che in passato era pieno di colori e vita.
Forse se si chiude gli occhi, è ancora possibile sentire le urla dei giocatori che festeggiano la vittoria o le risate delle famiglie in vacanza… o almeno questa è la sensazione che si sarebbe vissuta fino a pochi minuti prima.
Ora la stanza è tinta solo di un vento gelido e di un silenzioso sussurro di morte e tristezza. Tutto, perfino i colori chiari delle pareti, hanno perso la loro allegria, diventando improvvisamente freddi e inospitali.
Le ultime parole che avevano aleggiato nell’aria erano destinate agli ultimi istanti di vita di un loro amico, anche se cosa era effettivamente avvenuto era ancora avvolto nel mistero.
Tre ragazzi erano presenti ognuno perso nei propri pensieri, vicini fisicamente ma distanti mentalmente.
Una situazione di doloroso stallo, che si sbloccò solo al suono acuto di un segnale proveniente da un digivice al suo ultimo respiro.
 
Ken non si era mosso dalla sua postazione tenendo testardamente gli occhi fissi sulla tastiera del pc, come se cercasse lì la risposta a tutti i suoi guai.
Socchiuse gli occhi, lasciando che la sua lunga frangia nera andasse a coprirli. Non poteva rialzarli, non poteva rischiare di incontrare ancora i volti bianchi e stanchi di vivere di Kari e Davis. Sì, perché lui lo sapeva che se avesse alzato lo sguardo avrebbe visto solo l’ennesimo crollo delle loro speranze.
Fu per quello che appena il suo computer, collegato ai tre digivice presenti, diede segni di ricevere dei segnali, lui fu subito pronto a riceverli, anche se la loro comparsa fu solo una questione di un battito d’ali.
-ma che…?!- il suo sguardo si ampliò come se avesse visto un fantasma – non è possibile..- beh, forse considerando che il messaggio arrivava da un digivice di un prescelto morto era plausibile – Kari! Davis!- urlò i loro nomi, forse quello che aveva appena visto avrebbe potuto salvare le loro anime dal cadere in pezzi.
 
Kari e Davis fissavano il vuoto da un tempo indefinito.
Tantissime immagini viaggiavano veloci nelle loro menti, alcune appartenute a un passato vicino e altre provenienti da anni più distanti.
Volti, voci, sentimenti … tutto vorticava freneticamente senza dare ai due ragazzi un attimo di respiro.
Il loro viaggio in America…

Il loro viaggio a digiword…

L’incontro con il prescelto biondo e i suoi due digimon…

L’incontro con le loro squadre…

La battaglia contro un virus che aveva reso schiavo un digimon buono….

Le innumerevoli battaglie fatte come bambini prescelti….

La perdita…

Le perdite….

Il dolore…

 
Tutto si bloccò improvvisamente quando i loro nomi furono chiamati da Ken.
 
-il suo digivice si è attivato!- bastarono solo queste poche parole per farli svegliare dal loro stato catatonico – solo per pochi secondi ma si è attivato- osservavano il loro amico digitare velocemente sulla tastiera del computer, cercando disperatamente di raccogliere quel piccolo segnale – sono delle coordinate!-
Kari scatto verso il tavolo, quasi travolgendo l’ex imperatore pur di vedere quello che aveva scoperto – cosa? Dove?- un passo avanti, era tutto ciò che riusciva a pensare, dopo mesi e mesi di vagabondaggio senza riuscire a captare nulla ora avevano finalmente qualcosa di tangibile, tutto il resto per lei passava in secondo piano.
-digiword- rispose Ken cercando di riprendere il controllo del suo pc – è il settore dove avete combattuto Piemon l’ultima volta- il volto del prescelto si fece più cupo, troppe erano le opzioni che gli venivano in mente e la maggior parte non erano positive.
Kari stacco il suo digivice dagli altri – andiamo!- ansia e aspettativa erano dipinti sul suo volto – subito!- forse questa era la volta buona, forse lo avrebbe ritrovato.
-no!- Ken scattò in avanti bloccandole ogni movimento del polso – non è sicuro, potrebbe essere una trappola!- ma la ragazza nemmeno lo ascoltava, cercando di divincolarsi –ascoltami! È tutto troppo semplice… sembra servito su di un piatto d’argento apposta… e poi non sappiamo nemmeno che aspettarci…-
-io dico di andare!- la voce di Davis era bassa ma comunque ebbe l’effetto di fermare la discussione tra i due prescelti.
-ma Davis… hai capito quello che ho detto? Quel digivice era morto… e… e si è riattivato all’improvviso solo per darci delle coordinate… ti pare possibile?- Ken era esasperato, l’ultima cosa che voleva era guidare altri suoi amici nelle braccia del nemico.
-appunto- sottolineò Davis – Willis era un genio… certo uno sbruffone ma sempre un genio – il ragazzo non può non ricordare come il loro rapporto era fondato su un’amichevole rivalità – e secondo me è proprio una cosa che lui avrebbe fatto – guardava gli occhi supplicanti di Kari, certo anche lui avrebbe preferito non metterla in pericolo, ma se questa spedizione le avrebbe restituiti un po’ del suo animo allora sarebbe andato anche all’inferno.
Ken abbassò il capo sconsolato. Era inutile, quei due aveva già deciso e sarebbero andati anche senza di lui… che testardi.
Sorrise, anche se impercettibilmente, mentre pensava che forse l’unica cosa che davvero quei due avevano ereditato da Tai era proprio quella testaccia dura… per sua sfortuna, ovviamente, alla fine era lui che se li doveva sopportare.
-e va bene…- alla fine si arrese – però… - bloccò di nuovo il tentativo di Kari di aprire il digivarco -… prima contattiamo Gennai e facciamoci mandare i nostri digimon- se sulla terra non li potevano proteggere perché sarebbe stato come girare con un bersaglio appeso alla schiena, almeno a digiword li voleva, se no col cavolo che tornavano indietro.
 
 
Continua…
 
Grazie a chi a letto, spero che sia piaciuto^^.
Auguro buone feste ai lettori di questo fandom!
Lau2888
 
 

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Capitolo 13
*** passo 13) il laboratorio degli orrori ***


 
Salve gentil pubblico di efp^^ dopo una pausa (causa ultimi esami) che ho dovuto prendere sono tornata. Naturalmente mi scuso per la lunga assenza e spero che siate ancora interessati alla storia.
Ringrazio chi segue e recensisce^^. Buona lettura.
Ah! Qua sotto c’è un piccolo riassunto, ho pensato di metterlo per evitare confusioni.
 
 
 
Riassunto dei capitoli precedenti:
L’attacco alla città di Odaiba si è alla fine concluso con una sofferta vittoria per i prescelti, ottenuta purtroppo a discapito di molte vite, tra cui quelle di quattro loro compagni.
Dopo un breve periodo in cui le cose sembrano migliorare i loro mondi crollano nuovamente a causa della ricomparse di un vecchio nemico.
Nell’ombra Piemon aveva tessuto i suoi piani preparando la sua vendetta contro i due mondi e contro i prescelti. Vendetta che prevedeva come primo passo la devastazione di alcune città terrestri indossando i panni dei digimon degli eroi digitali.
Durante l’attacco i ragazzi riescono a malapena a scappare e a nascondersi, ma purtroppo pagano un prezzo alto: Tk viene catturato e scompare senza lasciare traccia. Da quel momento le loro strade si dividono: Matt, Izzy e Joe tentano l’utopistica impresa di riprendersi tutto quello che il destino gli ha tolto cercando di piegare il tempo, mentre Kari, Davis e Ken vagano da un lato all’altro del pianeta nella speranza che il loro compagno sia ancora vivo (mimi vorrebbe avere un ruolo attivo ma l’iperprottettività sviluppata da Matt la obbliga, almeno all’inizio, a nascondersi).
Contemporaneamente anche il malvagio clown fa le sue mosse, corrompendo con false promesse chiunque può essere utile al suo scopo e avviando così una campagna di diffamazione verso i prescelti di tutto il mondo, che sfocia alla fine nella loro cattura.
Nello scorso capitolo c’è stato un punto di svolta: Willis, anche se a scapito della sua stessa vita, era riuscito a trovare una soluzione al rompicapo che affliggeva Izzy e trasmetterglielo. Allo stesso modo aveva regalato al trio viaggiante la posizione del laboratorio di datamon e con tale anche la speranza di recuperare Tk.
 
 
 
 
Passo 13) il laboratorio degli orrori
 
 
 
Una luce argentata squarcia per pochi secondi le tenebre che avvolgono uno dei settori più corrotti del mondo digitale.
Nascosto, ai confini di quella che una volta era una rigogliosa foresta, un digivarco viene aperto, scagliando lontano le rocce che per anni lo avevano tenuto celato alla vista dei nemici.
Grazie al potere dei digivice tre guerrieri riescono a irrompere silenziosi dentro i confini di un territorio ormai diventato proibito… una terra che anche i più coraggiosi saggiamente evitavano.
Benvenuti, sembra sussurrare un vento gelido ai nuovi visitatori, benvenuti nel settore conquistato da un padrone oscuro e crudele.
 
La luce, velocemente come è arrivata scompare, rivelando a queste terre prive di speranza le figure degli eroi che ancora una volta lotteranno per i due mondi.
 
Grandi ali si ripiegano con eleganza lasciando penetrare nella terra morta i freddi artigli -Davis…- il primo guerriero, un drago azzurro eretto sulle zampe posteriori, avanza di pochi passi scrutando ogni centimetro di quel luogo con attenzione -… siamo nel settore giusto…- la sua voce è triste nel vedere una parte della sua terra natale ridotta in cenere e macerie - … stammi vicino- allunga un’ala per avvolgere il corpo del ragazzo come se fosse uno scudo, di certo l’ultima cosa che vuole è che anche il suo prescelto sparisca nel nulla.
Il giovane annuisce, vorrebbe parlare ma quel luogo è così intriso di dolore e disperazione che sicuramente la sua voce lo tradirebbe.
Forse è l’assenza di vita.
Forse è l’aria che porta con sé l’acre odore della morte.
O forse è quel vento gelido che sembra ridere di loro.
Lui non né è certo, sa solo che il suo corpo e il suo istinto urlano freneticamente il desiderio di allontanarsi da lì il più in fretta possibile, come se fossero già a conoscenza di cosa da lì a poche ore avrebbero incontrato.
 
Delicate e pure piume brillano in netto contrasto con un ambiente bruciato e scarno -Kari?! Tutto bene?- la voce gentile di un digimon angelo avvolge con calore l’animo tormentato della sua prescelta – sei sicura di voler continuare?- la sua mano, avvolta da un guanto di sottile seta bianca, sfiora lentamente il volto pallido della sua protetta, riuscendo ad ottenere con questo semplice gesto la sua attenzione.
Si specchiano per pochi secondi gli occhi scuri della rappresentante della luce nell’elmo argentato che copre il viso dell’angelo dai capelli del colore dell’oro. Un contatto che dura solo pochi attimi, ma che è sufficiente a far leggere alla ragazza lo stato di ansia in cui vive la sua custode.
Kari sorride, è un sorriso povero e falso, messo su solo per cercare di tranquillizzare la sua migliore amica – le tenebre sono l’opposto del mio stemma…- una mezza verità usata per nascondere tutte le sue paure e preoccupazioni, tra cui, la più pesante, quella di un fallimento che forse non sarebbe stata più in grado di superare -… mi fanno sempre un brutto effetto. Mi abituerò!- nel suo cuore nulla sarebbe stato più insopportabile della consapevolezza di trovare l’ennesimo vicolo cieco, o peggio di scoprire di aver perso definitivamente Tk.
Nemmeno lei sa quale sarebbe la peggiore tra le due opzioni: vivere nel dubbio, rimanendo bloccati nel passato o affrontare il dolore di aver perso di nuovo una persona per lei importante.
Incertezza o consapevolezza. Difficile dire cosa alla fine le farà più male…
 
 
Il ronzio leggero di lunghe ali trasparenti si attenua lentamente, facendo ripiombare il gruppo in quel silenzio mortale che caratterizza quel luogo  – Ken …- serio e mortale è il tono dell’ultimo guerriero che attraverso la luce del varco ha fatto la sua comparsa - qual è l’obbiettivo indicato dal digivice di Willis?-. il digimon insetto, la cui natura era di solito gentile e ben educata, appariva in quel momento come se fosse stato posseduto da uno spirito di un militare: testa alta, spalle dritte, comportamento professionale e un unico scopo: proteggere il suo prescelto e, che quell’inferno gli fosse da testimone, non avrebbe fallito.
- Ken?- Non sentendo risposta provenire dal ragazzo dai capelli corvini cessò la sua attività di perlustrazione per riposizionare la sua attenzione direttamente su di lui – Ken?- trovandolo così con gli occhi incollati sul suo portatile in preda a quello che si potrebbe definire un conflitto interiore.
-ah… ecco…- L’ex imperatore tentennò per qualche altro secondo come a cercare di capire quale fosse la risposta giusta da dare – …è al centro del settore, è… - si morse il labbro inferiore, cercando di capire perché le brutte notizie non avevano per loro mai fine - …è il monte spirale.- voltò lo sguardo cercando con aria preoccupata i suoi due compagni di squadra, oggi sarebbe stata per loro l’ennesima dura giornata.
 
 
monte spirale…
Due parole all’apparenza innocue che a un estraneo indicherebbero solo uno dei tanti caratteristici luoghi digitali, ma per chi è stato scelto, rappresentano molto, molto di più.
È un luogo di battaglie, dove le gesta epiche di alcuni bambini avevano trovato il loro apice attraverso la caduta dell’ultimo padrone delle tenebre e del suo regno di tirannia.
È un luogo che porta con sé i ricordi di un passato non molto lontano dove, in un caldo giorno di sole, un gruppo abbastanza numeroso di ragazzi di età differenti, si erano incontrati sotto le ombre del parco della loro città, per condividere i racconti della vecchia generazione di prescelti.
Bei giorni andati di cui rimangono solo tristi ricordi e un senso opprimente di gelo che è in grado di soffocare anche l’anima più luminosa.
Dannato è questo luogo che già una volta era quasi riuscito a privare gli eroi digitali delle loro vite… dannato e maledetto, perché ancora una volta ritorna come protagonista di un’altra probabile battaglia, solo che questa volta non c’è la speranza di Tk a condurli alla vittoria con un miracolo all’ultimo minuto.
 
Kari strinse i pugni ritrovandosi a tremare leggermente. Odiava quel monte con tutto il suo essere.
Odiava i ricordi di quel giorno che ancora tormentavano i suoi incubi.
Odiava ripensare alla sofferenza del suo vecchio gruppo che era stato costretto a prendere strade diverse per colpa dei giochetti dei padroni delle tenebre.
Odiava l’immagine del fratello quasi morto in una battaglia solitaria e persa in partenza.
Lo odiava…
-Kari? Stai tremando… che ti succede?- la voce preoccupata di angewomon fu un’improvvisa luce nell’oscurità dei ricordi che la stavano divorando.
Una luce che in un attimo la fece allontanare da quel baratro di ricordi che la stava reclamando.
Una scossa al suo animo tormentato provocata dall’amore e dalla preoccupazione che proveniva dalla voce femminile e quasi materna dell’angelo.
Un calore delicato e protettivo che le ricorda che anche nei luoghi più bui non era sola e non lo sarebbe mai stata.
Un piccolo sorriso si abbellì sul suo volto. Sì, la luce non era ancora scomparsa, nemmeno in quel luogo così divorato dalle tenebre. Non era un’ipotesi ma una certezza nata dai sentimenti sinceri di chi la circondava.
Alzò il capo e fece un profondo respiro – sto bene!- disse con voce ferma, puntando lo sguardo in avanti, verso un punto cieco dove presumibilmente si trovava il loro obiettivo ancora non in vista.
Lei era una prescelta, disse a se stessa, lei era una combattente, lei era una sopravvissuta, lei non era sola, lei non era più una bambina spaventata che si aggrappava ai pantaloni del fratello e cascasse il mondo non sarà una paura infantile a impedirle di sfondare a calci il portone di quel dannato castello e trovare così il suo ragazzo.
Annuì a se stessa. E poi chi l’ha detto che deve essere sempre la ragazza la donzella in pericolo?
I suoi occhi si illuminarono di pura determinazione, mettendo nel retro della sua memoria tutti quegli oscuri pensieri che sarebbero stati solo un peso e un pericolo per la missione.
-andiamo!- la sua voce decisa non ammetteva repliche, questa era la sua migliore occasione e non se la sarebbe lasciata scappare.
 
-si! andiamo a riprenderci ciò che è nostro!- con un pugno alzato verso il cielo e un grido un po’ eccessivo per la situazione corrente, Davis mostrò il suo apprezzamento per la forza ritrovata di Kari. Rivivendo per qualche attimo il ricordo della sua vecchia amica che affrontava le sue battaglie di petto scacciando l’oscurità con la sua luce.
 
-uff… che banda di pazzi- e Ken semplicemente sorrise. In quel luogo morente pieno di dolore e disperazione semplicemente sorrise, sperando solo di non perdere quei pochi progressi che i suoi due amici avevano ottenuto con tanta fatica. Eh sì, alla fine vivere e andare avanti si rileva sempre la cosa più difficile di tutte.
 
 Poco dopo tre guerrieri solcavano il cielo valendosi della copertura offerta dalla stessa coltre oscura che da anni impediva al sole di raggiungere quella terra dannata… Tre guerrieri armati di una nuova forza, pronti ad affrontare le loro paure e i loro nemici.
 
 
 
Base nascosta prescelti- digiword settore dei laghi.
 
Izzy dall’alto della sua infinita saggezza aveva infine deciso di perdonare il suo amico Joe per lo scherzetto dei sonniferi, concedendogli così il lusso di vivere un altro giorno… s’intende, questo dopo averlo quasi fulminato con una maxi saetta di kabuterimon, tsk! Erano finiti i tempi in cui era buono, caro e timido.
Quindi dopo un interessante gioco a guardie e ladri tra i due all’interno della base, il prescelto della conoscenza, ha finalmente potuto prendere possesso della sua postazione di lavoro e soprattutto del suo amato pc portatile da cui era stato così barbaramente separato.
Izzy eccezionalmente sorrideva, mentre con poca attenzione liberava la superficie in legno da carte e altri oggetti inutili. Quella era stata una buona giornata per lui, una delle poche da molto tempo, si era riposato e quell’infantile battibecco lo aveva rimesso al mondo facendogli dimenticare per un po’ il peso del suo ruolo.
Per questo canticchiava, mentre con la sua fedele tazza di caffè, preparata da lui personalmente e priva di medicinali, attendeva pazientemente che il suo portatile giallo e nero si accendesse.
Un buon umore che non vacillò davanti al lavoro arretrato.
Un’espressione serena che non si modificò nemmeno davanti a un numero considerevole di ore passate lontano dal suo progetto.
Sentimenti positivi che rimasero intatti anche quando videro un messaggio ormai vecchio di un giorno proveniente dal Colorado.
Poi aprì il messaggio.
Pochi attimi e quella tazza ricolma di liquido nero cadde sul pavimento infrangendosi in un rumore sordo.
Il suo sorriso si cancellò lentamente lasciando il posto a un volto bianco e contorto dal dolore.
La realizzazione di quanto era successo in quelle poche ore lo colpì violentemente impedendo ai suoi polmoni di funzionare regolarmente.
Un solo nome nella sua mente, quello di un amico che aveva lavorato con lui per anni – Willis – un sussurro che quasi sembrava un urlo all’interno di quel laboratorio fin troppo solitario.
Scosse la testa più e più volte cercando di negare quella che era una realtà per lui inaccettabile: un altro nome si era infine aggiunto a quella interminabile lista di morte che ora era diventata la loro vita. E per quanto lui fosse cresciuto vedere quella lista gli faceva sempre male.
Strinse i pugni cercando di riprendere a respirare, eppure qualcosa faceva traballare il suo respiro trasformandolo in veloci singhiozzi.
Chinò il capo lasciando che lacrime trasparenti si infrangessero sulla levigata superficie scura del tavolo.
Chiuse gli occhi perché per la prima volta in vita sua non poteva vedere quel luminoso schermo che da anni lo aveva accompagnato fedelmente.
Non si allontanò dalla sua postazione, rimase solo lì, fermo per un tempo immemore a cercare la forza di aprire l’allegato che probabilmente rappresentava l’ultimo atto di vita di quello che era stato un caro amico.
Sapeva che doveva farlo, la sua logica glielo imponeva, ma in quel momento non riusciva nemmeno a toccare quei lisci tasti consumati negli anni.
Voleva muoversi ma non poteva e quindi rimase lì finché le voci allarmate di Joe e tentomon fecero irruzione nella stanza attirate dal rumore di qualcosa che si rompeva… anche se probabilmente non era solo una tazza a essersi rotta sul quel pavimento.
 
 
Base militare - ufficio del generale
 
Solo la luce di una lampada da tavolo dava vita all’altrimenti fredda e silenziosa stanza adibita a ufficio di un importante uomo militare.
Il luogo era vissuto e disordinato, come se una persona ci avesse abitato per giorni senza mai abbandonarlo. Un luogo che al momento nemmeno rispecchiava la personalità precisa e meticolosa del suo proprietario.
Fogli e cartelle erano sparsi sulla scrivania, aperti e accatastati senza un’apparente logica e funzione.
Scatole di cibo d’asporto, alcune vuote altre ancora integre, occupavano i punti d’appoggio più impensabili di quello spazio ristretto, facendo sembrare addirittura più piccolo.
Una giacca, verde scuro adornata con stelle e medaglie, emergeva malamente appesa ai bordi di una grande poltrona di pelle nera. Un simbolo di solito tenuto in perfette condizioni che al momento appariva dimenticato e in più punti spiegazzato, come se il proprietario l’avesse trasportata avanti e indietro per giorni senza mai davvero metterla.
Un uomo stanco, il cui volto mostrava molti più anni di quelli che in realtà avesse, sedeva dietro quella scrivania ignorando o forse nemmeno vedendo il disordine e il decadimento che lo stava avvolgendo.
Nelle sue mani passavano frenetici i vari documenti che in quell’apparente caos lui stava studiando, o almeno li stava studiando ore addietro, poiché al momento guardava quei fogli senza nemmeno vederli.
Il telefono era staccato e ora giaceva accanto a lui inutilizzato e ignorato. Era stato lui stesso, ore prima, a liberarsi di quell’oggetto infernale. Aveva bisogno di pensare e con le incessanti interruzioni che grazie alle nuove tecnologie possono raggiungerlo ovunque, proprio non ci riusciva.
Allungò la mano destra, abbandonando per pochi attimi quella liscia superficie di carta che lo stava facendo impazzire, scostò documenti e cartelle alla ricerca della sua fidata stilografica che per qualche motivo a lui ignoto si era perduta sotto tutta quella confusione.
Cominciò a giocare con quel freddo e costoso oggetto, aveva bisogno di una distrazione qualsiasi, altrimenti sapeva che quel frustante dubbio, che come un veleno stava invadendo la sua mente, lo avrebbe fatto impazzire.
Un rumore secco segnò la fine di quella stilografica in avorio, spezzata nella stretta morsa della mano del vecchio generale. L’uomo abbassò lo sguardo emettendo un ringhio irritato, la sua mano e i suoi documenti si stavano imbrattando velocemente con un intenso e oleoso inchiostro rosso.
Strinse ancora di più la stretta attorno a quelli che ora erano i resti di quel povero oggetto. Rabbia e frustrazione viaggiano veloci e incontrollati nel suo corpo, lacerandolo e annientandolo come il peggiore dei tumori, portandolo ancora e ancora a quel pensiero, a quel tarlo, a quel dubbio che lo stava divorando.
Sfregò la mano pulita contro la fronte, un gesto con cui voleva portare via la stanchezza dei suoi anni ogni giorno sempre più pesanti. Chiuse gli occhi cercando di focalizzare il problema che lo teneva inchiodato a quella scrivania.
Lui fin dall’inizio aveva creato un piano perfetto e questo non lo avrebbe mai messo in discussione: eliminare i mostri, ottenere il loro potere e ridare la vita a chi davvero lo meritava, il tutto sfruttando un digimon debole e ansioso di vendetta. Veloce, pulito e indolore, almeno per gli umani e lui, naturalmente non considerava i prescelti come tali.
Eppure… eppure qualcosa non andava. Lo sentiva nelle ossa e il suo istinto, forgiato in anni di guerre, lo urlava come non mai.
La maggior parte dei continenti erano stati ripuliti, i corpi sistemati e i digivice consegnati, tuttavia la situazione era sempre e comunque di stallo e ogni volta che chiedeva spiegazioni a quel dannato clown si ritrovava sempre la stessa identica risposta: “li dobbiamo recuperare tutti, soprattutto quegli dei primi bambini prescelti”.
Strinse di nuovo i pugni, ignorando i danni ormai fatti da quella sostanza rossa, una sola conclusione faceva eco nella sua mente: quell’essere lo stava prendendo in giro. Non aveva prove ma sapeva che era così, quel dannato sorrisetto strafottente che aveva sempre non era certo lì per simpatia.
Sospirò frustato e appoggiò il busto alla comoda poltrona di pelle, benedicendo quell’unica comodità che aveva voluto nel suo ufficio. Voleva seguire il suo istinto e uccidere quel digimon tanto fastidioso, ma senza di lui il piano… no, il suo stesso sogno non poteva realizzarsi.
Aveva bisogno di lui. Volente o dolente Piemon era la sua unica speranza di riavere quello che la vita gli aveva ingiustamente tolto. Ma se questo era vero allora perché il suo istinto gli urlava che stava cadendo dalla padella nella brace? Eppure il controllo su tutta l’operazione era in mano agli umani, giusto?
Scosse la testa cercando di cacciare via quei dubbi non necessari, non poteva tentennare, non ora che era così vicino.
Cercò di sorridere dei suoi stessi pensieri, mettendo a tacere con forza il suo istinto. Forse era solo troppo paranoico, alla fine era solo un misero digimon, per di più vestito da clown, che mai poteva fare contro interi eserciti? Gli faceva sparire con un telo bianco?
Sì, annuì con falsa convinzione, aveva ragione, doveva essere così… doveva per forza essere così… eppure…
Si staccò leggermente dalla superficie diventata calda della poltrona e con un gesto titubante aprì uno dei cassetti della sua scrivania, solo per assicurarsi che il suo prezioso contenuto fosse ancora lì. Emise un sospiro di sollievo nel vedere una scatola di metallo nero, poco più grande di un libro, che spiccava all’interno come unico elemento presente.
Il generale sorrise, ritrovando parte della sua sicurezza nell’accarezzare quella superficie liscia che all’interno conteneva la sua polizza di sicurezza contro quel digimon. Polizza che gli era stata consegnata quella mattina stessa dai suoi scienziati.
Il suo sorriso si allargò diventando un ghigno di un predatore, sentiva le energie tornagli così come l’adrenalina scorrergli nelle vene. Che quel clown mantenesse o meno gli accordi presi non aveva alcuna importanza, perché alla fine anche avrebbe fatto sparire anche lui. Oh, già si pregustava il momento in cui l’avrebbe fatto.
Chiuse il cassetto e si rimise al lavoro. Presto, molto presto tutto sarebbe finito e i digimon sarebbero stati solo una dimenticata macchia della storia del mondo.
 
 
 
 
Digiword – monte spirale
 
Un luogo che può essere tranquillamente descritto in due parole: affascinante ma sinistro.
Difficile descrivere le contrastanti emozioni che nascono nella mente di chi si trova davanti questa imponente costruzione così complicata e innaturale, ma al contempo così perfettamente inserita nel contesto che la circonda.
Osservare le sue vorticose linee partire dal terreno e ricollegarsi come per magia a un solido territorio roccioso lascia un senso di irrequietezza che si traduce in persistenti brividi che raggiungono la parti più nascoste dell’anima. Eppure, nonostante questo, non si può fare a meno di non distogliere lo sguardo.
Un luogo misterioso che era stato il centro dell’imponente battaglia passata contro i padroni delle tenebre. Un luogo che adesso è solo rovine abbandonate, anche se non per questo silenziose.
-cavolo Ken, sei sicuro che siamo nel posto giusto?- Davis guardava i resti di quello che una volta era un castello regale e sontuoso – no, perché io dubito che qui ci abiti davvero qualcuno- grattandosi la testa restava deluso dal triste panorama, aspettandosi da un momento all’altro il classico passaggio della palla di fieno che avrebbe solo confermato l’assoluta presenza di niente.
L’ex imperatore sospirò chiedendosi perché il suo compagno di squadra stesse urlando il suo nome in territorio nemico, forse si era perso qualche passaggio fondamentale lungo la via? –si, sono sicuro- beh, anche se doveva ammettere che era vero, quel posto era un macello, ma che razza di battaglia avevano combattuto i suoi predecessori? – il segnale del digivice di Willis è poco distante, anche se … come dire?- osservava con aria crucciata i dati che aveva raccolto chiedendosi come interpretarli.
- Ken?- la voce di Kari era solo un sussurro, appiattita dal peso dei ricordi che in quel luogo si ridestavano impetuosi. – che vuoi dire?- Guardava il suo compagno con aria implorante, sperando che quella frase non significasse uno sbaglio o una sconfitta, perché per quanto determinata, essere lì per lei era ancora troppo difficile.
-ecco…- continuò il ragazzo non staccando gli occhi dal suo digiterminal – è come se venisse da sotto di noi… - anche se la cosa lo lasciava perplesso, infondo poteva ben vedere che, a parte quell’unica striscia a forma di spirale, all’interno il monte era vuoto.
- allora che facciamo?- Davis si avvicinò incrociando le braccia dietro la testa – cioè mica ci dobbiamo mettere a scavare?- non che non ne avesse voglia, solo che restare in quel settore più del necessario non era uno dei suoi sogni segreti.
Ken scosse la testa, indeciso se rispondere o meno alla sua domanda idiota, ma fortunatamente per lui un pugno ben piazzato da parte di angewomon raggiunse la testa dura del suo compagno di squadra risolvendo così il suo dilemma.
-un’altra entrata… forse nascosta- la prescelta della luce si fece avanti con un tono più deciso, probabilmente rincuorata dal battibecco infantile che era nato tra il suo digimon e Davis – i padroni delle tenebre erano molto scaltri e paranoici, … praticamente non si fidavano l’uno dell’altro- rifletté ad alta voce, mantenendo sempre uno sguardo quasi assente su resti scheletrici del castello -… è più che probabile che avessero dei livelli sotterranei o roba simile.- abbassò gli occhi per un attimo, quasi a cercare conferma delle sue stesse supposizioni.
- bene!- sorrise l’ex imperatore estraendo il suo portatile – sono più che d’accordo- si sedette per terra pregando che il suo lavoro non avrebbe richiesto troppo – ora sappiamo cosa cercare – e lo avrebbe fatto con la tecnologia, decisamente scavare tra le macerie era da escludere a priori.
Sorrise soddisfatto, forse alla cieca non avrebbero trovato nulla, ma loro avevano una guida che li avrebbe condotti dentro. Una guida silenziosa e invisibile rappresentata dal segnale di un digivice che nel suo ultimo atto di vita aveva regalato loro un piccolo faro di speranza.
 
 
2 ore dopo… diverse macerie spostate… un paio di tentativi di soffocare Davis da parte di angewomon ... e alla fine un entrata fece la sua comparsa.
 
-oook sembra di essere in un film medioevale…- il prescelto dai capelli mogano camminava all’interno di uno dei corridoi del castello sotterraneo -… e un film a basso budget direi…- si soffermò a toccare uno dei pochi arazzi che ornavano le altrimenti fredde e spoglie pareti in pietra – vista la totale assenza di qualunque cosa… cioè, davvero ragazzi, qui non c’è nemmeno una mezza sedia, neanche a pagarla d’oro.- si bloccò in mezzo al nulla cominciando a indicare a caso punti delle stanze o dei corridoi.
- Davis?- il leggero tic all’occhio sinistro dell’ex imperatore fece la sua ricomparsa – non so se l’hai notato, ma siamo in una base nemica…- completamente soli e senza aiuti -… circondati da un esercito…- che se si accorge della loro presenza li fa fuori in meno di tre secondi -… senza nemmeno sapere chi stiamo per affrontare…- una minaccia psicopatica e priva di scrupoli che solo pochi anni prima aveva distrutto diverse città - … quindi evita di comportarti come se fossi in una dannata gita scolastica e fai finta di essere serio- e fu così che l’ennesimo pugno raggiunse il capo ormai dolorante dell’ex giocatore di calcio.
-uffaaaa- un’acuta protesta infantile accompagnò un visibile broncio sul volto falsamente arrabbiato di Davis.
Però per quanto le sue parole e i suoi gesti potessero apparire a un osservatore esterno come seri o quantomeno fuori luogo, in realtà dentro di lui si accendeva una scintilla di gioia e orgoglio.
Ormai era cresciuto. Le battaglie, il dolore e le perdite lo avevano fatto inevitabilmente crescere. Non era più l’ingenuo, forte e allegro ragazzino che inseguiva bei sogni e fantastiche avventure.
No, decisamente quello non era più lui… Eppure questo non significava che non poteva rispolverare il suo vecchio se stesso per un bene superiore.
Si girò con aria persa verso i suoi due compagni di viaggio, non voleva fissarli direttamente, ma solo controllare che tutti quei colpi presi fossero serviti davvero a qualcosa.
Un’ondata di soddisfazione invase il suo corpo. Ken era accigliato come se avesse mangiato un limone, ma Kari, la sua adorata sorellina acquisita, aveva un aria più rilassata e un piccolo accenno di un sorriso.
Annuì congratulandosi con se stesso, anche per quel giorno aveva usato le sue grandi capacità al servizio del suddetto bene superiore.
 
 
 
Interno del castello – laboratorio di datamon.
 
-maledizione!- arti metallici afferrarono con forza uno dei tavoli di vetro e ferro presenti nel laboratorio – maledetti mocciosi!- il rumore di vetri infranti si fece eco in tutta l’ampia sala, interrompendo il silenzio che di solito ne faceva da padrone.
La figura di un digimon androide molto frustrato veniva illuminata dalla innaturale luce delle lampade al neon presenti sulle pareti. Una luce bluastra che aveva il potere di rendere quella stanza ancora più fredda e inospitale di quanto già fosse.
-aaaggghhh- il suo braccio meccanico era avvolto attorno ad un ormai inservibile computer portatile. Inservibile perché il suo precedente padrone aveva cancellato ogni traccia e dato presente prima di soccombere sotto la lama del nemico.
Scaraventò l’oggetto in terra con rabbia, quel dannato ragazzino americano l’aveva fregato per bene: prima gli aveva rubato importanti informazioni distribuendole a buon mercato, poi lo aveva lasciato con niente in mano facendo fallire così l’importante compito datogli da padron Piemon.
Oh, ma non sarebbe finita così. Lui avrebbe trovato le risposte che il suo padrone voleva e lo avrebbe fatto anche a costo di estirparle dallo stesso cadavere del moccioso in questione.
Il computer colpì uno dei tanti schermi appesi alle pareti, facendolo inevitabilmente a pezzi. Datamon si scrollò l’evento di dosso, alla fine non sarebbero rimasti in quel luogo ancora per molto e i soldi per le attrezzature erano l’ultimo dei loro problemi, tanto pagavano gli umani.
Lasciò tutto come si trovava, tavoli e vetri compresi, e marciò di buon passo verso il livello più basso della struttura, quello più complesso e a ben vedere anche quello più inquietante.
Aprì la porta blindata del laboratorio e, come un fulmine alimentato solo dalla sua rabbia, proseguì verso la sua meta, incurante di tre figure che nascoste dietro l’angolo l’avevano visto.
 
 
 
Kari camminava in silenzio attraverso quel labirinto di corridoi che rappresentavano la molto probabile base nemica principale, in cui erano riusciti a entrare con molta fortuna e un grande aiuto di un amico che non avrà mai l’occasione di ringraziare.
Ogni passo che faceva rappresentava un pesante dolore nel petto, la sua digipietra soffriva soffocata da tutte quelle tenebre e Kari con lei.
Un dolore reso più forte per via dei ricordi del passato che le inondavano la mente, eventi passati a cui sperava ardentemente di non riassistere.
Un dolore stranamente reso più leggero grazie alle calde e sicure presenze di Davis e Ken.
I suoi due amici… no, i suoi due fratelli, avevano il potere di renderle tutto più sopportabile. Probabilmente senza di loro sarebbe già caduta in quel baratro oscuro di disperazione che ogni giorno le sembrava sempre più allettante. Senza di loro si sarebbe già arresa da un bel po’ di tempo.
Sorrise leggermente, quando vide compiere da parte di Davis la grande impresa di far perdere la maschera di compostezza dell’ex imperatore. Sapeva che anche per lui era difficile andare avanti, eppure eccolo lì che le regalava un ghigno sciocco solo per vedere un po’ di vita in lei.
Socchiuse gli occhi, ringraziandoli ancora una volta in silenzio, perché era solo per merito loro se riusciva a respirare normalmente in quel luogo terribile.
Il suo sorriso, anche se ancora piccolo, divenne più sincero e sereno, lei non era sola in quell’inferno.
Affrettò il passo e colmò quella poca distanza che la teneva lontana dai due ragazzi. Se loro si davano tanta pena per lei, il minimo che potesse fare era di andare avanti a testa alta e, magari, chissà anche godersi quei preziosi e ormai pochi spiragli di luce che la sua esistenza le riservava.
 
Un attimo, questo, di pace e tranquillità che sfortunatamente scomparve un istante dopo, trascinato lontano da rumori sordi e vetri infranti.
I tre ragazzi si bloccarono e i loro digimon ritornarono immediatamente nelle loro forme più piccole. Non sapevano da dove venissero quei rumori, ma non avrebbero rischiato di farsi scoprire per nulla al mondo, troppo era in gioco per sbagliare.
Trascinati dal semplice istinto, si fecero piccoli piccoli schiacciandosi sulla fredda parete dove una curva ad elle del corridoio li nascondeva.
Trattennero il respiro per secondi che sembravano eterni, chiedendosi se fosse o meno il caso di allontanarsi da lì, ma ancora il loro istinto li teneva ancorati in quel poco spazio.
Altri rumori si susseguirono, finché un urlo carico di rabbia li fece rabbrividire, spingendoli a stringersi ancora di più l’uno vicino all’altro in cerca di protezione.
Restarono in silenzio e immobili per tutto il tempo, controllando perfino il loro stesso respiro, nulla avrebbe dovuto tradirli.
Poi accadde. Una parete poco lontano da loro cambiò forma rivelando una porta nascosta, ora almeno sapevano quale era la fonte di quei rumori.
Una luce bluastra invase il corridoio solo per alcuni attimi, rivelando così la figura di un piccolo digimon androide con lunghe braccia metalliche uscire come una furia di quella stanza.
Uno sguardo di orrore si tinse sul volto della prescelta della luce -datamon- fu l’unica parola che riuscì a pronunciare, mentre la sua mente cercava di contenere le tante domande che sfrecciavano senza sosta in quei pochi frangenti.
Quel digimon era morto, eliminato per mano di suo fratello e di Sora. Quindi come poteva essere lì?
Che fosse già rinato?
Scosse il capo, i suoi dati erano stati “mangiati”da Etemon e quindi perduti. No, questo era da escludere.
Una lampadina le si accese. Che qualcuno li avesse recuperati o meglio salvati da quella distruzione? Ma chi e perché?
Forse anche questa strada era sbagliata, infondo perché aspettare tanto tempo a ricomparire, magari si stava preoccupando per nulla. Magari non era nemmeno il “loro” datamon… o forse…
Scosse ancora testa cercando di rimanere concentrata sulla realtà, era inutile formulare ipotesi campate in aria, sarebbero state solo una distrazione.
Un tocco delicato le sfiorò il braccio richiedendo la sua attenzione e interrompendo ogni ipotesi –seguiamolo- sussurrò con decisione Ken – e avremo delle risposte- lei annui trovandosi d’accordo con lui. Beh, non è che avessero molta scelta, soprattutto se tutte le camere più importanti erano sigillate e nascoste come quella.
 
 
 
Datamon prese a calci ogni singolo oggetto che non fosse inchiodato al suolo e che avesse la sfortuna di trovarsi sul suo cammino. Pochi minuti prima aveva distrutto buona parte del suo laboratorio e ancora non era soddisfatto, non del tutto almeno.
Ma datamon non era arrabbiato… no, datamon era incazzato nero. Nemmeno le inopportune e non richieste serenate di Etemon lo facevano arrivare a simili livelli.
Lui, un digimon nato per essere un genio assoluto, era stato fregato e beffato da un semplice umano non una, ma ben due volte. Oh, ma avrebbero pagato anche questa e con gli interessi anche!
Sogghignò quando si trovò davanti all’entrata del suo “parco giochi” personale: un bellissimo laboratorio dove lui si dava alla pazza gioia come un bambino il giorno di Natale… naturalmente se si ignora il lato psicopatico e leggermente horror dei suoi giochi.
Tuttavia, tutto quello che riuscì a fare fu aprire la suddetta entrata, dopodiché il suo mondo divenne buio grazie all’intervento di tre digimon che con un colpo ben piazzato lo avevano mandato nella terra dei sogni.
 
 
 
Non erano servite parole tra i tre prescelti, la decisione era stata presa con un solo e fugace sguardo d’assenso.
La porta si era aperta e loro non avevano esitato un attimo. Erano stati veloci e perfetti, come un unico corpo forgiato in anni di battaglie.
Pochi secondi e tutto era già finito, il digimon messo a KO e loro erano dentro, anche se dove ancora non lo sapevano.
La stanza era avvolta dall’oscurità, solo alcune sottili strisce luminose interrompevano la stessa, disegnando percorsi o delimitando quelle che sembravano essere delle vasche lunghe un paio di metri e abbastanza strette.
L’aria era tesa, assorbita in un pesante silenzio spezzato solo dai ronzii prodotti da macchinari quasi invisibili nella penombra.
I ragazzi avanzarono pensando di essere pronti ad affrontare quello che c’era in quel laboratorio.
Avevano visto datamon e le loro menti avevano elaborato un’idea semplice: cercare informazioni, rubare i dati e andare dritti nel luogo dove molto probabilmente i loro compagni erano tenuti prigionieri.
Pensavano ingenuamente che tanto altro non avrebbero trovato, infondo quella avrebbe dovuto essere una stanza puramente scientifica… col senno di poi si sarebbero resi conto di quanto ancora puta e infantile fosse la loro visione della vita.
Un solo movimento oltre la porta blindata e i sensori automatici fecero il loro lavoro.
Luci al neon di un tenue colore blu accarezzarono ogni oggetto presente in quel luogo rendendolo visibile.
Macchine e computer uscirono dallo stato di stand-by attivandosi immediatamente per soddisfare il loro padrone.
Gli occhi dei ragazzi alla vista di quel luogo apparentemente innocuo si ampliarono in una smorfia d’incredulità e orrore.
Decine di quelle vasche tappezzavano quasi interamente il pavimento, staccate l’una dall’altra di circa mezzo metro. Cavi e monitor erano collegate ad ognuna di esse, registrando ogni segno o movimento che veniva prodotto. 
Osservate da lontano sarebbero apparse come delle lunghe cupole di vetro e metallo, chiuse ermeticamente e riempite di una sostanza liquida di colore blu chiaro, niente che potesse spaventare… o almeno questa è l’impressione finché non si guardava al suo interno.
-oddio!- un sussurro di puro ribrezzo fu pronunciato dalle labbra della prescelta della luce.
La sua pelle sbiancò velocemente mentre i suoi occhi vagavano da un contenitore all’altro cercando di negare quello che stava vedendo.
Corpi. Corpi umani, ancora forse vivi, erano immersi in quei liquidi come volgari esperimenti.
Dormienti, sperava, e forse ancora coscienti, anche se imprigionati.
Il suo corpo tremava, rifiutandosi di muovere un passo verso il centro della stanza, legato in quella posizione come a impedirle di vedere quei volti cha al momento gli erano ancora celati.
Bloccata forse dalla sua stessa paura di scoprire che alla fine la sua ricerca era finita e che per lei non ci fossero più speranze.
- Kari - una mano calda e ferma catturò quella della ragazza, facendola uscire da quello stato di trans in cui era caduta – siamo qui… non preoccuparti- la voce di Davis l’aveva raggiunta di nuovo, dandole il sostegno di cui aveva bisogno.
-andiamo- Ken fece un passo avanti aprendo la strada – scopriamo cosa sta succedendo- prese a camminare verso le vasche più vicine, cercando di ingoiare il pessimo presentimento che lo stava tormentando.
Kari e Davis rimasero qualche passo indietro al compagno tentando di muoversi nel laboratorio senza inciampare nei vari cavi che attraversavano il pavimento e senza toccare nulla.
-bene!- l’ex imperatore allungò la mano verso il vetro di uno di quei contenitori – vediamo cosa c’è qui- la superficie era liscia e fredda, un contatto che fece venire i brividi al ragazzo.
Il contenuto ancora parzialmente celato da una teca appannata venne rivelato da un suo gesto deciso.
- Ken?- Kari non osava avvicinarsi troppo, temeva che se lo avesse fatto allora tutto sarebbe crollato.
L’ex imperatore stringeva con forza i pugni, cercando di trattenere un moto di rabbia che in quel momento sarebbe stata solo dannosa – è… è Katherine prese fiato mantenendo lo sguardo fisso sul volto della ragazza, quasi a tentare di convincersi che fosse davvero lì davanti a lui – la prescelta francese che è scomparsa qualche giorno fa-.
La rappresentante della luce si guardò attorno spaventata, passando lo sguardo da un contenitore all’altro.
Di certo non ci voleva un genio per capire di chi erano i restanti corpi presenti.
Si accasciò al suolo senza forze. La sua ricerca era finita, ma lei non poteva essere felice dei risultati ottenuti.
 
 
Digiword - settore dei laghi
 
Joe camminava avanti e indietro, percorrendo più e più volte con ansia crescente i pochi metri di corridoio che delimitavano la camera di Izzy.
Sapeva che poteva fidarsi di lui.
Sapeva che ormai non era più bel bambino fragile.
Sapeva che da tempo aveva imparato a superare le sue paure e a combattere le sue battaglie.
Lo sapeva… lo credeva…. Lo sperava… eppure quella memoria era ancora lì.
La memoria di quei mesi passati a combattere per lui, per tenerlo in vita, per proteggerlo da se stesso.
No, non potrà mai dimenticare l’immagine adolescente del suo migliore amico che si lasciava morire perché troppo ferito da quell’odio privo di senso che gli veniva versato addosso ogni giorno.
Non potrà mai cancellare i ricordi di una vita che veniva divorata e corrosa da quel sentimento marcio e privo di logica che anni addietro aveva spinto il rappresentante della conoscenza oltre il bordo dell’umana sopportazione. No, è una paura questa che sarà sempre impressa a fuoco nella sua anima. Una paura, un pensiero, un dubbio… che non sarà mai in grado di superare.
Si morse le labbra aumentando il passo di marcia, cercando di combattere la voglia di buttare giù quella porta per vedere se andava tutto bene, per assicurarsi che ancora una volta il suo amico sarebbe riuscito a rialzarsi.
Si bloccò di colpo fissando il suo stesso riflesso in quella porta di ferro. Se solo fosse stato più attento la notte precedente forse le cose sarebbero potute andare diversamente e allora Willis, un prescelto che Izzy considerava quasi come un fratello, sarebbe ancora vivo.
Sospirò appoggiando la testa contro quella fredda e liscia superficie. Era riuscito a parlare un poco con il suo attuale coinquilino, prima che afferrasse il suo portatile e si chiudesse in camera farfugliando frasi sconnesse. Non che si fossero detti granché, ma almeno non gli aveva dato la responsabilità per quello che era successo… magra consolazione.
Si staccò dalla porta e si sedette sul pavimento cercando di catturare ogni minimo suono o indizio che gli dia la certezza che il suo geniale amico sia ancora intero e mentalmente stabile.
 
 
 
Izzy aveva solo lievi flashback di quella che era stata la sua conversazione con Joe e tentomon. Qualche parola di conforto, un gesto di incoraggiamento e un volto contratto dalla preoccupazione e dai sensi di colpa. Nulla di più. Non sapeva nemmeno quanto tempo aveva effettivamente passato a fissare il suo portatile mentre il suo amico cercava di attirare la sua attenzione.
Povero Joe, lo faceva sempre annegare nell’ansia.
Sbuffò, a volte era più una madre che un amico con lui… ma ripensandoci dopo tutto quello che aveva passato ringraziava il cielo per la sua presenza soffocante e rassicurante al tempo stesso.
Tremò, un brivido di freddo invase il suo corpo. Probabilmente dipendeva dal fatto che era seduto per terra, da tempo indefinito, stringendo al petto il portatile… anche se quando ci era arrivato sul pavimento della sua stanza era un bel mistero.
Si alzò e a tentoni cercò il tasto della luce, forse uscendo dall’oscurità le cose sarebbero cominciate a sembrargli meno sfuocate.
Si sentiva stanco e confuso. Stringeva a se quel portatile quasi con paura di perderlo, ma al contempo non aveva il coraggio di guardarlo, temendo quel messaggio che dentro di se custodiva.
Fece qualche passo avanti, raggiungendo uno dei pochi mobili presenti nella stanza: una scrivania di legno scuro con tre cassetti e qualche ripiano come mensola.
Fisso con occhi vuoti quella superficie ordinata e pulita, pensando che Joe doveva essere passato a fare un po’ di ordine quella mattina stessa.
Scansionò i pochi oggetti presenti, fermandosi per qualche minuto a giocare con alcune penne, questo finché una gli scivolò dalle dita atterrando proprio accanto all’unico tesoro che ancora possedeva: una fotografia.
Allungò la mano e prese delicatamente la cornice in ferro che l’avvolgeva, quasi con paura che anch’essa svanisse da un momento all’altro.
Sospirò pensando che infondo alcuni di quei bambini ritratti nella foto in realtà erano già scomparsi, due dei quali in un cimitero e un altro chissà dove.
Si sedette sul letto portando con sé quell’immagine… l’immagine di alcuni bambini con i loro digimon, mentre affrontano con un sorriso le loro avventure nel mondo digitale.
La osservò per alcuni minuti desiderando ardentemente di tornare indietro a quei giorni e impedire a tutto questo caos di avventarsi sulle loro vite, distruggendole senza pietà.
Strinse i pugni, perché desiderarlo quando forse poteva davvero ottenerlo? Infondo è per questo che stava lavorando così duramente, no? Altrimenti perché abbandonare la terra e rintanarsi in fondo a un lago? Perché seguire il sogno utopistico di Matt se anche lui davvero non desiderava altro?
No, non era ancora il momento di gettarsi nello sconforto. Non c’era tempo per i dubbi o i sensi di colpa. Non c’era tempo per i se e per i ma.
Aprì il portatile con un gesto deciso. Se Willis come ultimo gesto gli aveva inviato quel messaggio doveva essere qualcosa di importante e lui sarebbe stato dannato se lo avesse ignorato solo per una umana debolezza.
-a noi due!- il pc si accese e finalmente quel messaggio trovò il giusto destinatario, forse appena in tempo per cambiare il corso degli eventi.
 
 
Digiword – monte spirale
 
La luce tremolante di alcune candele districava i contorni della stanza padronale del castello.
In quel settore dove i raggi del sole mai giungevano ogni cosa era sempre avvolta da una notte senza fine. Una notte che infondo rappresentava il vero animo dei pochi abitanti della fortezza.
Piemon era seduto con un’eleganza aristocratica su di una grande poltrona di pelle nera posta quasi al centro della stanza stessa. Il suo profilo era a malapena visibile in quel luogo quasi sempre semibuio, solo quando un lieve alito di vento muoveva la flebile fiamma delle candele presenti era possibile distinguere alcuni dettagli del malvagio clown.
Con le mani intrecciate davanti al volto, studiava con aria compiaciuta la parete davanti a lui, dove ormai era quasi completo il suo più grande capolavoro.
Una teca enorme di vetro rinforzato si ergeva regale a più di un metro da terra, protetta da complessi sistemi che garantivano anche un collegamento tra il suo prezioso contenuto e la sala di controllo centrale.
Piemon sorrise al pensiero di quella sala, infondo li teneva la maggior parte dei suoi animaletti domestici, quelle piccole imitazioni di eroi che lui subdolamente aveva levato dal mondo.
Ah, come era bella la vita ora che non c’era quasi più nessuno che infastidiva i suoi piani di conquista, certo, c’era ancora qualche parassita qua e la, ma anche per loro aveva in mente un bellissimo piano.
Il rintocco di un antico orologio da tavolo segnò il passaggio di un'altra ora, scuotendo il clown dai suoi oscuri pensieri.
Alzò con eleganza il sopracciglio vedendo quanto tempo era passato da quando era lì – strano…- sussurrò, mentre cercava di mettersi in contatto con il laboratorio di datamon -… nessuna risposta?!-. Piemon era seccato, si aspettava una risposta dal suo fidato servo su quel computer, ma non solo non si era fatto sentire, non era nemmeno nel laboratorio – molto strano-
Stava per abbandonare quella stanza per andare a placare quel piccolo dubbio che gli rosicava l’animo, quando dentro la preziosa bacheca uno dei suoi trofei si illuminò, indicando la presenza di alcuni suoi simili nelle vicinanze.
Il digimon colmò la poca distanza che lo separava da quel vetro in un battito di ciglia, trovandosi così a fissare il suo stesso riflesso su quella superficie lucida. Lì, davanti a lui, messi con ordine su diversi file, vi erano tutti i digivice dei prescelti che, grazie alla cupidigia umana, erano caduti nella sua trappola, diventando semplici bambole senza coscienza nelle sue mani.
Al centro, su di una fila quasi vuota, un digivice di nuova generazione dai bordi dai caldi colori dorati segnalava tre puntiti sullo schermo.
Il sorriso di Piemon si trasformò in una smorfia di pura rabbia. Prima un topo scava nelle sue informazioni poi tre ladri entrano in casa sua. Inaccettabile!
Guardò ancora una volta quella mensola ancora per poco vuota prima di sparire in un vortice di dati – forse è il caso di aggiungere altri tre trofei alla mia collezione- infondo fino a quel momento aveva solo uno dei digivice dei prescelti originali e la sua vendetta li richiedeva tutti.
 
 
 
 
Pochi secondi, un solo evento e poi tutto era crollato di nuovo…
Il tempo si era fermato, tingendo il mondo circostante con tenue e amare sfumature di grigio.
Le luci al neon erano diventate sole pallide sfocature, il blu acceso che le caratterizzava è ormai solo un ricordo.
Le macchine emettevano leggeri ronzii ovattati, appena udibili in quel tumulto interiore, ma comunque fastidiosi.
Non c’erano odori nell’aria, perfino la caratteristica e pungente scia di disinfettanti era stata alla fine sconfitta e dimenticata.
Tutto, come in un incubo da cui si era stati bruscamente risvegliati, appariva anonimo e senza vita. Tutto… perfino quei volti che avevano cercato con così tanta insistenza e determinazione.
Subito dopo aver scoperto il corpo, forse ancora vivo, della prescelta francese tutto era diventato improvvisamente immobile e confuso.
Era una sensazione strana, come se qualcuno avesse estratto con forza ogni forma di calore o colore che di solito illumina l’esistenza e se la fosse portata via.
Una sensazione che alla fine ti abbandona stordito e con la testa molto pesante.
Ecco come si sentiva Kari, accovacciata per terra, mentre il suo mondo di fragili certezze e speranza lentamente si sgretolava.
Perché lei sapeva… anche se ancora non lo aveva detto ad alta voce, lei lo sapeva…
Lei era luce, la luce è vita e anche se non comprendeva logicamente perché, aveva la certezza che in quelle vasche non battesse più l’alito dell’esistenza. No, quei corpi erano solo gusci vuoti. Solo una pallida imitazione di quello che una volta era un essere umano.
Aveva voglia di piangere…
Aveva voglia di urlare…
Aveva voglia di distruggere tutto quell’orrore…
Ma soprattutto aveva voglia di chiudere gli occhi per non vedere chi altro era imprigionato in quel luogo dove veniva trattato come un comune esperimento di una mente malata e sadica.
- Kari - una voce preoccupata e carica di tristezza la stava cullando fuori da quel mondo sordo in cui la sua mente in negazione l’aveva richiusa – sono qui Kari, andrà tutto bene vedrai- la mano calda del suo ormai fratello acquisito premeva sulla sua spalla, tirandola verso il suo petto, in un gesto di calore e sostegno.
- Davis - la voce della prescelta era impastata e confusa, i suoi occhi guardavano ogni oggetto di quel luogo, quasi a cercare conferma di quella orribile realtà.
 Il suo corpo era talmente stanco e pesante che se non fosse stata per la presenza di Davis probabilmente non si sarebbe rialzato da quel freddo pavimento –io… loro… come…-.
Il prescelto la strinse a se con più forza, trattenendo a fatica la rabbia e la frustrazione che nel suo animo stavano prendendo il sopravvento. – Ken!- la sua voce divenne quasi un ringhio sommesso – che diavolo sta succedendo?- i suoi occhi mogano si specchiarono in quelli neri del compagno entrambi esprimenti sentimenti contrastati di furia e preoccupazione - che significa tutto questo?-.
Esseri umani usati come cavie, esseri umani che loro consideravano amici e compagni, esseri umani… solo esseri umani come loro…
L’ex imperatore riportò il suo sguardo sul volto immobile e pallido della ragazza chiusa tra quelle spesse pareti di vetro.
Non sapeva che pensare, o meglio non riusciva a pensare lucidamente. Troppo, troppo stava avvenendo in quei pochi minuti perché lui riuscisse a darvi una logica.
Sospirò fissando quel corpo appoggiato su una fredda lastra di metallo. I lineamenti della prescelta erano rilassati, quasi come dormisse, i suoi capelli lunghi e biondi si muovevano morbidi nel liquido che l’avvolgeva, come se fossero vivi, la sua pelle aveva perso il suo colore naturale, dandole una bellezza eterea… ma, i suoi occhi erano chiusi e il suo corpo era collegato a macchine, di cui la vera funzione ancora ignorava.
-non so…- deglutì pesantemente cercando di evitare qualsiasi altro contatto con quei due ragazzi che lo guardavano con attesa e aspettativa -… non so che dire…-  tese la mano verso il vetro. Era freddo, forse troppo e per questo si ritrovò a sperare che almeno all’interno fosse garantita una qualsiasi forma di calore – non so nemmeno da che parte cominciare… dio, vorrei che Izzy o Joe fossero qui- aveva paura a toccare qualunque cosa. Se era ancora viva, una mossa sbagliata la poteva uccidere e se non lo era… beh, a quella possibilità non voleva nemmeno pensarci.
-va bene…- la voce sconsolata di Davis interruppe l’attimo di silenzio che si era creato -… allora… suggerimenti?- scrutò la stanza come a sperare in un improvvisa rivelazione –cioè, di lasciarli qui non se ne parla neanche- non dopo tutta la fatica che avevano fatto per trovarli.
- magari…- una quarta voce apparve alle loro spalle, facendoli rabbrividire e scattare in posizione di difesa - … potrei suggerirvi di unirvi a loro…- dalle ombre del laboratorio emerse la figura di un clown con un crudele ghigno -… infondo la mia collezione non è ancora completa-
Kari spalancò gli occhi, aggrappandosi alla maglia di Davis con tutta la forza che aveva –non è possibile… Piemon - fu un sussurro che indicava il ritorno di un incubo che sperava di non dover più rivivere.
 
 
 
Terra- Odaiba.
 
Uno… due… tre…
A gruppi di tre erano percorse le scale che conducevano al terzo piano di una palazzina appena fuori dal centro di Odaiba.
Quattro piani in tutto, un piccolo giardino e riservatezza garantita, ecco come appariva quel posto all’esterno perfettamente anonimo.
Un posto che, sfortunatamente per il giovane uomo dai capelli castani che stava salendo le suddette scale, era privo di quella moderna invenzione chiamata ascensore, per cui tre meravigliosi piani a piedi con il suo stomaco che protestava non glieli toglieva nessuno.
Sbuffò, cercando di ignorare l’orribile color verde scuro con cui erano state dipinte le pareti. Doveva concentrarsi solo sulla sua missione giornaliera, questa era la sola cosa importante.
Sogghignò al pensiero di tormentare un po’ il suo nuovo amico, nonché attuale inquilino, e naturalmente scroccagli un pasto gratis.
Perché lui di certo non si era percorso mezza città in macchina solo per fare una visita di cortesia. Oddio, magari già che c’era poteva fare pure quello.
Si soffermò per un attimo al pianerottolo del secondo piano con aria incerta, che stesse sbagliando qualcosa?
Certo, il suddetto biondo non era il massimo della simpatia e della cordialità, ma che cavolo cucinava da dio e lui essendo quel grande amico che era andava a fargli compagnia spesso e volentieri… poi, che sua madre e la sua fidanzata non sapessero nemmeno far bollire l’acqua era solo una mera coincidenza.
Sorrise complimentandosi con se stesso e con il suo buon cuore. Infondo lui gli aveva dato casa e lavoro, nonché la sua disinteressata amicizia, quindi un pasto gratis o forse cinque alla settimana poteva pure averli, no?
Beh, gli aveva anche causato un sacco di problemi in passato, quando era un giovane liceale stupido e arrabbiato… ma questi erano solo dettagli.
Affrettò il passo appena vide la moquette grigia che caratterizzava i corridoi esterni dei pochi appartamenti del terzo piano. Sì, quel giorno aveva decisamente fame.
Ora, quello che lui si aspettava di trovare al di la dell’ultima porta in legno scuro era: un giovane uomo molto probabilmente di cattivo umore, un appartamento semibuio ma silenzioso e una cucina che sarebbe stata presto aperta per lui. Sfortunatamente per il suo stomaco quello che invece trovò non corrispondeva per niente alla descrizione appena fatta… fatto salvo per il giovane uomo di cattivo umore.
- Matt Ishida!- una bella donna dai capelli castano scuro puntava il dito verso il biondo attuale inquilino dell’appartamento – togliti quel muso lungo e dimmi dove posso mettere le mie cose!- inquilino che se ne stava in piedi al centro della stanza con le braccia incrociate e broncio molto pronunciato.
- in un altro appartamento…- l’attuale leader prese alcuni vestiti della ragazza che erano stati abbandonati sul divano e glieli mise tra le braccia -…preferibilmente che si trovi in un’altra città- naturalmente il fatto che la sua casa fosse stata pensata per una persona sola e che avesse solo un piccolo armadio e un cassettone non c’entrava nulla.
-no!- rispose semplicemente mimi riscaricando i vestiti sul divano – questa città e questo appartamento… ormai ho deciso. Rassegnati!- lei aveva fatto la sua scelta, avrebbe passato quello che rimaneva della sua vita insieme a quel testardo biondo di cui era innamorata e lo avrebbe fatto che lui lo volesse oppure no.
Mimi non era stupida. Forse un po’ ingenua e superficiale, ma non una donna stupida.
Non era più quella bambina che si attaccava a sogni ed illusioni come se fossero oggetti tangibili. Non si nascondeva più dietro a false maschere solo per perseguire una flebile immagine di una vita reale che ormai non le poteva più appartenere.
No, era cresciuta e lo aveva fatto a caro prezzo. Un prezzo che da qualche anno riposava in quella stessa città sotto una lapide di marmo bianca avvolta da cespugli di rose rosse.
Per questo che, nonostante le belle parole Matt, l’impegno di Joe e Izzy e la testardaggine di Kari, lei non si faceva illusioni. Il numero di prescelti rimasti ormai si poteva contare sulle dita delle sue mani e presto sarebbe toccato anche al loro piccolo gruppo. Ma non le importava, non realmente.
Da tempo aveva accettato questo destino diventato avverso e immutabile, sarebbe andata a finire così. Punto e basta, ma che lei sia dannata se cadeva senza combattere per un assaggio di vita vera.
Ecco perché in quel momento si trovava davanti a un biondo molto scocciato e imbronciato, invadendo la sua privacy e il suo bisogno giornaliero di rimuginare nella sua solitudine… beh invadendo anche il suo appartamento ovviamente.
-ehm… scusate…- una voce maschile a lei sconosciuta interruppe il suo attuale rimuginare sui casi della vita che ti portano inevitabilmente a importi in casa di un ragazzo -… non vorrei interrompere queste belle manifestazione d’amore, ma, Matt, che sta succedendo?- era una sua impressione o l’attuale giovanotto appena entrato aveva un tono leggermente divertito?
Matt, se possibile, divenne ancora più imbronciato a quelle parole, mentre un ghigno strafottente si dipinse sul quel volto abbronzato a lei sconosciuto. Sì, decisamente quel ragazzo si stava divertendo.
- Mark!- ringhiò il biondo più come un avvertimento che altro – togliti quel sorriso idiota!- incrociò le braccia irrigidendosi ulteriormente – questa…- indicò con un cenno della testa la prescelta che attualmente faceva allegramente ciao ciao con la mano – è una mia vecchia amica…- al che al vecchia la ragazza di stizzì leggermente – e se ne stava andando… molto molto lontano da qui-.
Ma prima che mimi potesse ribattere o che Mark potesse prenderlo ulteriormente in giro o pretendere cibo la suoneria di un cellulare si fece eco nella stanza facendo cadere nel silenzio i tre ragazzi. Silenzio determinato dal solo fatto che la suddetta suoneria riproduceva la sigla della pantera rosa. Suoneria che apparteneva al cellulare di un imbarazzato Matt che nel frattempo si era fiondato con un slancio degno di un atleta olimpico, sul suddetto oggetto incriminato nel tentativo di far cessare quelle note così stonate con il suo carattere da bello e dannato.
-pronto- fece qualche passo verso la finestra vicina, cercando di nascondere la sua sorpresa e preoccupazione davanti al numero che era apparso sul display – izzy? Che succede?- cercò di controllare la sua voce e le sue azioni così da farle apparire più normali possibili ai due spettatori presenti – piano… piano… non capisco una sola parola- cominciò involontariamente a camminare avanti e indietro nella piccola sala mentre un mix di sensazioni opposte nascevano dentro di lui – cosa? Ma sei impazzito del tutto?- gesticolava e camminava ora ignorando completamente chi aveva attorno troppe erano le informazioni che stava ricevendo in pochi attimi – si, si. Ho capito… si ci penso io- passò una mano tra i capelli assumendo un espressione stanca e incredula – vengo appena ho fatto. Ciao.-
Alzò lo sguardo lentamente incontrando quello curioso di mimi – era Izzy - disse cercando di apparire calmo, tanto sapeva che alla ragazza non avrebbe potuto tener nascosto quello che stava per accadere – ha detto che… che ci servono delle pale per dissotterrare delle tombe- contò mentalmente fino a dieci, poi la reazione che aspettava lo colpì in pieno.
-cosa??- anche se stranamente non fu un urlo ma solo un sussurro incredulo.
 
 
Continua…
 
Spero che il chappy vi sia piaciuto^^
Auguro una buona pasqua a tutti.
Alla prox
Lau2888

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Capitolo 14
*** passo 14) la fine del percorso di due amanti: una luce che brilla per un'ultima volta. ***


Buona sera lettori di efp^^. Ebbene sì, sono ancora viva e intenzionata a finire la storia.
Posso solo scusarmi per la mia assenza prolungata e dare tutta la colpa alla mia laurea.
Sorvolando sui miei problemi vi lascio alla storia e vi auguro buona lettura.
 
Nel capitolo precedente: Kari, Davis e Ken hanno trovato il laboratorio degli orrori di datamon e lì scoperto che fine avevano fatto i loro compagni prescelti.
Nel frattempo sulla terra il curioso trio formato da Matt, Mimi e Mark riceve una alquanto fuori dal comune missione da Izzy.
 
Passo 14) la fine del percorso di due amanti: una luce che brilla per un’ultima volta.
 
Una luce…
Una luce dai caldi colori d’orati mi sta chiamando.
La mia essenza si risveglia ancora una volta.
Sorrido, ma è un’espressione triste. La prima volta che il mio sonno millenario è stato interrotto ti ho incontrato e in quel momento anche la mia millenaria solitudine ha avuto fine, ma adesso…
Sospiro stancamente. No, non voglio svegliarmi, perché so che non ti avrei più al mio fianco.
Tento di riassopirmi, ma quella luce non demorde e si fa sempre più insistente. Perché non mi lascia in pace? Non vede come sono inutile ora? Non vede che il mio simbolo… il mio sole è spento e senza vita?
Cerco di ignorarla, ma non me lo lascia fare. Come una bambina capricciosa adesso sta urlando…
Può una luce urlare? A quanto pare sì. Non so come ma lo sta facendo.
Urla e urla ancora, finché non rialzo lo sguardo verso il mondo degli umani… quel mondo che tu amavi tanto da dare la tua vita per lui, ma che alla fine ti ha tradito e deluso più e più volte.
Scuoto la mia intangibile essenza, credo di aver sbagliato quel giorno a lasciarti usare appieno per due volte il mio potere, ho sbagliato e la prova ce l’ho davanti: tu non ci sei più, io sono inutile e due mondi sono vicini alla loro distruzione…
Tutto. Tutto quello che abbiamo fatto, tutto quello che abbiamo sacrificato e tutto quello che abbiamo sofferto, è stato alla fine solo uno spreco di tempo ed energie. Perché allora dovrei ancora lottare?
Sospiro e porto il mio sguardo lontano. Tu che faresti Tai? Andresti avanti?
Sogghigno. Scommetto di si… scommetto che non solo affronteresti il mondo con la sfacciataggine che ti distingueva, ma che daresti anche un sonoro scappellotto a me per essermi arreso.
Rido leggermente. Sarebbe il colmo, il Coraggio che si tira indietro, dovrei essere io a spronare gli altri e non viceversa.
Ah, quella luce è tornata, sembra che non si voglia proprio dare per vinta, infondo da lei non mi aspetto niente di meno.
Lei, la mia sorellina, la Speranza. Lei che mi sta pregando di aiutarla a salvare non il suo prescelto, ma qualcuno per lui prezioso.
Lei che chiama a gran voce me e Amore, le uniche due digipietre senza prescelto, perché le potessimo donare l’energia che le serve per fare un ultimo miracolo.
Credo che ci raggiungerai presto Speranza e tu lo sai bene. Sarai presto qui con gli altri stemmi perduti, avvolta in un sonno senza sogni, in una lunga attesa solitaria di un nuovo prescelto che possa degnamente impugnare il tuo potere.
Lo sai, ma non t’importa.
Il tuo prescelto lo sa ma non gli importa. Sarà il vostro ultimo atto di vita, il vostro ultimo atto di fede e il vostro ultimo atto d’amore…
Sorrido, ed è un sincero gesto di comprensione. Ho deciso, vi aiuterò con tutto quello che ho e poi insieme attenderemo un domani migliore.
 
 
Probabilmente se in quel momento il prescelto dell’amicizia avesse rivolto il suo sguardo verso i due medaglioni, che indossava ben nascosti sotto una dolcevita nera, avrebbe avuto l’occasione di veder brillare per l’ultima volta il sole del coraggio.
Un ultimo bagliore arancione prima di lasciarsi di nuovo cullare da un allettante sonno eterno.
Un ultimo sacrificio fatto in nome di ciò che il suo prescelto riteneva prezioso.
E chissà, magari anche un ultimo gesto che avrebbe potuto riportare la bilancia in favore degli eroi digitali.
 
 
Digiword – monte spirale.
 
Una luce si muove a intermittenza, illuminando a tratti quella che era stata, fino a poche ore prima, la parete di una stanza perfettamente integra.
È un chiarore debole e mal funzionate, però è una delle poche cose che riescono ancora a dimostrare l’esistenza stessa di quel luogo.
Sotto di lei, appoggiata malamente al freddo muro crepato, giace immobile la figura di una giovane donna dai capelli castani. Tra le sue braccia, protetta e custodita, dorme esausta una piccola creatura che appare come un cagnolino rosa con delle enormi orecchie e un vistoso collarino d’orato.
Il silenzio avvolge il loro sonno, interrotto solo ogni tanto da qualche macchinario che ancora tenta invano di riprendere la funzione per cui era stato creato.
Del laboratorio che quel pomeriggio avevano trovato solo una metà è ancora riconoscibile, mentre l’altra sono solo cumuli di macerie ormai inservibili.
I fili al neon che delimitavano il pavimento sono ora fuori uso, lasciando quindi i visitatori camminare alla cieca in questo luogo a loro sconosciuto.
I computer e i macchinari che si trovavano nella zona centrale sono stati fatti a pezzi, disseminandone i componenti lungo quello che rimane della preesistente pavimentazione.
Alcune pareti sono crepate e quelle più vicine all’epicentro dell’attacco presentano segni neri di bruciature.
Le uniche cose che sono rimaste ferme nel loro luogo originale senza prendere nemmeno una crepa sono quegli involucri di metallo e vetro che rappresentavano il vero orrore di quel posto, questo almeno per quanto riguarda quelli più esterni, per quelli centrali è tutto un altro discorso.
Un’ombra si muove barcollando tra quei resti, avvicinandosi sempre di più al corpo ancora privo di sensi della prescelta.
Accelera i suoi passi quando i suoi occhi non riescono a vedere nessun movimento provenire dalla ragazza.
Accelera, quasi corre, ignorando i vetri e i ferri che nel suo cammino rischiano di ferirlo.
-Kari?!- Appoggia di peso una mano contro il muro, mentre l’altra incontra il viso della ragazza, alla ricerca di quel calore che lo rassicuri.
- Kari! Mi senti?-Le scosta i capelli con delicatezza, sono fradici, ma a parte questo non vede nulla di sbagliato in lei.- uff… per fortuna stai bene- Le si inginocchia accanto, tirando un sospiro di sollievo nel saperla viva e illesa, nonostante quello che pochi attimi prima era accaduto.
Si rialza, passando, con un gesto che trasuda nervosismo e stanchezza, una mano nei folti e ribelli capelli del colore del mogano.
Appoggia il peso del corpo sulle gambe, ora che quella preoccupazione che gli divideva l’anima è diminuita, può chiaramente sentire gli effetti di quell’esplosione che lo aveva fatto finire lontano da dove erano i suoi compagni. – e per fortuna che non eravamo noi i bersagli di quel botto- sussurra a se stesso, mentre con la mente studia i vari tagli e contusioni che evidenti si mostrano su gambe e braccia.
Alza gli occhi, scansionando velocemente quel poco che può vedere di quel grande laboratorio, alla ricerca di un movimento che gli dia un indizio per scegliere la sua prossima mossa.
Si morde il labbro inferiore indeciso. Da un lato vorrebbe cercare Ken e magari capire che fine a fatto Piemon, ma dall’altro non riesce ad allontanarsi da Kari, soprattutto nel saperla indifesa e incosciente.
-Davis!- un mal improvvisato mucchio di ferri e calcinacci crolla velocemente portandosi dietro un eco non gradito e un po’ di polvere – Davis! Che bello…- una vocina squillante si fa strada attraverso quel piccolo caos, riuscendo perfino per pochi secondi a lasciare senza parole l’ex calciatore – che bello stai bene!- e da quella polvere una palla blu chiaro e bianca, munita di piccole zampine, rimbalza con energia verso il suo prescelto.
Il ragazzo sorride e, anche se con un po’ di fatica, si inginocchia per prendere al volo il suo amico – demiveemon…- lo accarezza con vigore, nascondendo dietro un’espressione sfrontata la sua preoccupazione - … dove eri finito?- alla fine quando pochi attimi prima si era svegliato completamente solo, aveva temuto il peggio – come cavolo faccio a tornare a casa se tu non ci sei??- ride, continuando a sfregare il suo pugno sulla testolina dell’essere digitale, ma dentro di se è sollevato nel vederlo ancora al suo fianco –eh? Me lo dici? Come scendo da questa dannata montagna??-lo prende in giro, ma le sue stesse azioni lo tradiscono, lo sta stringendo a se così forte che il piccoletto non ha nemmeno l’aria per rispondere a quel fiume in piena del suo prescelto.
-Davis!- una voce rauca arrivò alle spalle del ragazzo facendolo sussultare e allentare la presa sul suo digimon - smettila di urlare- scocciato per il pessimo risveglio, in ansia come non mai e afflitto da un martellante mal di testa l’ex imperatore assottiglia gli occhi sulla figura, a volte troppo fastidiosa, del suo compagno di viaggio. Compagno che ovviamente non colse l’avvertimento.
- Ken! Mi hai trovato!- gli si avvicinò velocemente, evitando di abbracciarlo solo perché lo vedeva reggersi a malapena in piedi – sei tutto intero?- il suo tono di voce si abbassò, mal celando la sua ansia nel vedere il suo migliore amico appoggiare tutto il suo peso a quello che restava di una colonna di marmo.
Il prescelto scostò con la mano libera i lunghi capelli dal volto, constatando con ribrezzo che erano ricoperti di cemento e di una sostanza liquida che sperava vivamente fosse acqua.
Sospirò frustato, cercando di dimenticare il dolore alla gamba destra che non gli permetteva quasi di camminare – sto bene- tagliò corto, non avevano molto tempo e muoversi ora era la loro principale necessità – Kari?- si guardò attorno, un po’ per cercare la sua compagna e un po’ per cercare il malvagio clown che, al momento, erano le due cose che avevano la priorità più alta rispetto alla sua probabile gamba rotta.
Davis sorrise tristemente e indicò la figura inconscia della ragazza a pochi metri da loro –che facciamo adesso?- una domanda appena sussurrata trattenendo il timore della risposta.
-ce ne andiamo subito- il volto del ragazzo dai capelli corvini si oscurò nella serietà della sua scelta – prendi Kari, non abbiamo tempo di aspettare che si svegli- si staccò dalla colonna, tenendo gli occhi bassi, sperando che la prescelta della luce lo avrebbe perdonato per un simile atto.
- ma… ma…- gli occhi mogano del suo interlocutore si sgranarono all’inverosimile - … e di loro…- indicò con la mano quelle capsule, no, quelle prigioni di vetro, dove erano contenuti i corpi che tanto avevano cercato -… che mi dici? Non vorrai abbandonarli qui, vero?- sapeva già la risposta, ma in cuor suo non voleva accettarla, non dopo tutto quello che avevano passato per arrivare fino a lì.
Ken sospirò pesantemente, cercando di ingoiare quella sensazione di tradimento mista a sconfitta che lo tentava di fare marcia indietro – Davis…- alzò gli occhi per vedere quelli delusi del compagno, sospirò ancora, perché gli rendeva le cose ancora più difficili? – non possiamo fare nulla- il suo tono sembrava chiedere la fine di quella conversazione, chiedendosi per quanto tempo ancora il suo amico volesse continuare a mentire a se stesso.
-non è vero!- i suoi occhi mogano si chiusero quasi a non voler vedere la realtà che lo circondava – possiamo salvarli… possiamo salvarci tutti!- una realtà che era veramente troppo difficile da accettare.
-Davis!- con uno scatto l’ex imperatore colmò la distanza che lo separava dal ragazzo vicino a una crisi di nervi – non c’è nessuno da salvare – gli mise le mani sulle spalle tentando di tenere la sua attenzione su di lui – sono solo corpi senza vita – voltò per pochi secondi lo sguardo, lasciandolo cadere su alcune di quelle prigioni che si erano spezzate nell’esplosione di poco prima – tutti… sono tutti morti – sentiva dentro di se un dolore salire alla vista di alcuni cadaveri riversi e rotti sul quel freddo pavimento o dentro quelle teche ora non più funzionanti – penso… che lo fossero sempre stati…- deglutì cercando di calmarsi, almeno uno di loro doveva rimanere lucido – credo che li tenesse così solo per far funzionare i digivice - non era una certezza, solo una supposizione nata dalle poche parole che aveva pronunciato il pazzo clown.
Davis abbassò lo sguardo, sconsolato e sconfitto. Non disse una sola parola, solo un lieve cenno con il capo per far capire all’amico che era ancora lì con lui. Si voltò e si diresse verso Kari, pronto a fare l’unica cosa che in quel momento aveva ancora il potere di controllare.
Ken poteva dirgli tutto quello che voleva, ma in quel momento nulla avrebbe cancellato la convinzione che quel giorno avevano perso. Piemon stava conducendo la battaglia e loro erano fuori gioco e senza speranza, ora letteralmente.
 
 
 
 
Delicata, come una goccia d’acqua, una mano gentile di un’anima invisibile accarezzò, con un tocco leggero, la guancia della ragazza che serena riposava distesa su di un pavimento spoglio.
Un lieve torpore che durò solo pochi attimi, ma che fu sufficiente per richiamare dal suo sonno quella giovane guerriera.
Una luce leggera e protettiva nacque dal suo petto, avvolgendola nei suoi caldi toni rosati. Era la luce del suo simbolo di prescelta, una luce che anch’essa cercava di spingere la sua coscienza in quel luogo.
I suoi occhi si aprirono lentamente e con fatica, come se fossero rimasti in letargo per un lungo tempo. Sbatté le palpebre più e più volte, nel tentativo vano di mettere a fuoco l’ambiente che la circondava. Vano perché tutto quello che poteva vedere era a malapena se stessa.
Confusa allungò la mano cercando di toccare quella misteriosa nebbia che aveva coperto ogni cosa… ogni cosa tranne lei.
Era strana, osservò, ma al contempo famigliare.
Era calda e accogliente, quasi volesse avvolgerla in un abbraccio.
Era d’orata, per la maggior parte, con allegre sfumature rosse e arancioni che si amalgamavano perfettamente tra di loro.
Sorrise. Non capiva perché, ma per la prima volta da anni si sentiva a casa.
Socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel bel tepore che riusciva a scaldarle il cuore, facendola sentire al sicuro, amata e protetta.
 
Rimase lì, seduta in quella nebbia d’orata, senza porsi domande o dubbi.
Rimase lì a crogiolarsi in quel calore senza sentire il desiderio di andarsene.
Rimase lì per un tempo indefinito, finché una voce portata dal vento appena sussurrò il suo nome.
 
-Kari- solo una parola, pronunciata con la leggerezza di una goccia di pioggia che s’infrange nel mare. Una parola che, in quel luogo avvolto nella più assoluta quiete, appariva come un urlo assordante.
-che…?- la prescelta spalancò gli occhi, bruscamente risvegliata da quelle belle sensazioni – chi c’è?- si alzò in piedi, mettendosi in posizione di difesa. Lei non era debole e, ora che le tenebre non stavano più succhiando il potere della sua pietra, poteva prendere a calci chiunque minacciasse ciò che era per lei prezioso.
 
Una flebile brezza si mosse dentro quelle nubi dai colori del sole, quasi a voler rispondere alla sua domanda.
Dapprima era solo un alito appena percepibile ma in pochi secondi mutò in una forte raffica il cui nucleo era un piccolo uragano che prese forma davanti a lei.
Chiuse gli occhi, solo per un attimo, attendendo che quel vento stranamente tiepido si fermasse, chissà, forse quando gli avrebbe riaperti avrebbe scoperto il vero aspetto di quel posto.
 
-Kari- ancora una volta quella voce la chiamava. Aveva un tono dolce e morbido, eppure allo stesso tempo triste. – Kari… apri gli occhi… guardami- questa volta non era un sussurro nel vento. No, questa volta era reale ed era davanti a lei.
Più per istinto che per una vera e propria risposta a quella supplica, la prescelta si mosse velocemente, quella voce era così dannatamente familiare da farle male solo a sentirla.
-oh dio!- intorno a lei quel mondo era ancora avvolto in una coltre d’orata, ma in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri – sei… sei vivo…- davanti a lei c’era la figura corporea e tangibile dell’unico ragazzo che abbia mai amato e per cui aveva smontato mezzo mondo per cercarlo – Tk!-
Corse. Fregandosene se quello era un sogno, una crudele illusione o una verità che tanto desiderava.
Corse. Erano solo pochi metri, ma per lei in quel momento erano sembrati chilometri che solo per farle dispetto non finivano più.
Corse. Sorridendo come una bambina davanti al suo gioco preferito, era cresciuta così in fretta in questi mesi che il solo rivederlo le aveva restituito un pezzo della sua anima e della sua innocenza.
Lui allargò le braccia accogliendola in un abbraccio che avrebbe soffocato chiunque tranne loro, perché per loro quel contatto era fondamentale come l’aria se non di più.
-non ci credo…- rideva Kari, sentendosi per la prima volta in tanto tempo leggera e felice -… sei qui… non sia quanto ti ho cercato…- si accoccolò nel suo petto, memorizzando dentro di lei la sensazione di sicurezza che solo quel contatto le poteva regalare - … tutti dicevano che non c’erano più speranze… - rise trovando questo stesso fatto impossibile visto la digipietra che il destino aveva riservato al suo ragazzo -… ma io sapevo che ti avrei ritrovato-.
Alzò lo sguardo specchiandosi in due pezzi di cielo –si…- rispose Tk sorridendo – mi hai trovato- eppure, nonostante quel sorriso c’era una profonda tristezza nella sua voce.
 
Trascorsero veloci i minuti per i due amanti, nascosti in quel un sogno che per loro si era finalmente realizzato… ma come in ogni sogno prima o poi tutto deve finire.
Tk sospirò rassegnato, era una bella favola quella che stavano vivendo, ma sfortunatamente era solo quello e niente di più e una voce dentro di lui non faceva altro che ricordarglielo.
-Kari…- mise le mani sulle spalle della sua amata, staccandola mal volentieri leggermente da se -… ora devi ascoltarmi…- si morse il labbro, desiderando tanto di non dover nemmeno iniziare quel discorso -… abbiamo poco tempo!-
La prescelta spalancò gli occhi, sbiancando lievemente davanti a quelle parole che non lasciavano presagire nulla di buono – ma che dici Tk?- sorrise, usando tutte le sue forze per cercare di ignorare i sentimenti di tristezza che erano chiaramente dipinti sul volto del suo ragazzo –ora che ci siamo ritrovati, non ci separeranno più…- scostò lo sguardo lontano da quelle iridi del colore del cielo che tanto ha imparato ad amare -… tornerà tutto come prima, ne sono certa…-. 
Tk scosse il capo socchiudendo gli occhi quasi in segno di scusa –no Kari… questo…- si morse il labbro inferiore sapendo bene quanto dolore avrebbe portato quella conversazione alla ragazza – questo non è reale… -
-cosa?- Kari spalancò gli occhi, mentre il suo sorriso, seppur ora palesemente falso, non vacillò – Tk, cosa stai dicendo? Certo che è reale… noi siamo qui… siamo insieme finalmente- eppure nonostante lei credesse in quelle parole, la frase uscì come una preghiera appena udibile.
- Kari…- il volto di lei venne preso delicatamente dalle mani del ragazzo che amava – ora devi concentrarti… - le baciò con dolcezza la fronte come avrebbe fatto una mamma per consolare la sua bambina spaventata – ti ricordi del laboratorio? Ti ricordi di essere venuta a cercarmi lì con Davis e Ken? Ti ricordi quello che hai trovato?- le sue parole erano cariche di una profonda tristezza, quelli sarebbero stati i loro ultimi attimi insieme ed erano condannati a passarli con dolorosi ricordi.
I caldi occhi marroni della prescelta divennero vacui e appannati, anche se lei cercava con tutte le sue forze di rimanere ancorata a quel presente dove Tk la teneva stretta tra le sue braccia, non poteva nascondersi dai frammenti che nella sua mente riemergevano incontrollati.
-ti ricordi?- insistette ancora il prescelto della speranza. Si odiava per questo, ma doveva farlo. Lei doveva capire, solo così sarebbe potuta andare avanti e vivere ancora una volta.
 
Ti ricordi?
Un luogo…
 
Fredde e innaturali luci bluastre…
La terra scambiata per pavimenti in metallo…
Una stanza gelida impregnata dell’odore dei farmaci…
Capsule di vetro… fili ovunque e … e dentro …
Ti ricordi vero?
 
 
Dentro solo morte…
 
Lei annuì, stringendosi con più forza al petto del ragazzo in cerca di calore e conforto – avevamo trovato una buona traccia… e siamo andati al Monte Spirale…- un vecchio incubo che ne conteneva uno nuovo e ancora più orribile del precedente – …datamon… datamon era lì… e l’abbiamo seguito…- rammarico e tristezza erano leggibili nella sua voce, forse alla fine non avrebbe voluto farlo -… fino al suo …- i suoi occhi si spalancano in un’espressione di orrore -… oddio il laboratorio… gli esperimenti…- la sua presa si fa più forte, come più forte è il desiderio di piangere -… i nostri amici erano lì… trattati come cavie…- la rabbia per quella vista rode il suo animo, facendo desiderare alla luce la vendetta -… e noi… ed io non potevo fare nulla.- e infine anche lo sconforto dell’impotenza.
Lui annuì comprensivo, continuando ad accarezzarle dolcemente il capo – si… e poi? Cosa è successo?-
 
Una risata crudele si faceva beffe di loro e dei loro sacrifici…
L’immagine slanciata di un clown che con movimenti eleganti li sovrastava…
La rabbia… tanta rabbia nata da vecchi ricordi…
 
Che cosa è successo?
 
                                                                   Il desiderio di combattere imbottigliato insieme al loro stesso orgoglio…
                                                            L’odio era l’unica emozione che poteva essere letta negli occhi di quei giovani guerrieri…
 
Volevate combattere?
 
Si… solo la sua morte sarebbe stata un giusto pagamento…
 
                                                                L’impotenza si unì alla rabbia e all’odio… distruggendo infine anche le loro ultime speranze…
 
Perché non avete combattuto?
 
                                                            Le risate del demone dal volto dipinto dominavano il silenzio mortale di quel luogo…
Quel luogo troppo piccolo per combattere…
Quel luogo pieno di vite che potevano forse ancore essere salvate…
                                                           Quel luogo dove l’unica via di uscita era bloccata da un nemico che avrebbe dovuto essere imprigionato per sempre…
 
La nebbia che fino a quel momento li aveva avvolti cominciò a diventare lentamente sempre più trasparente, lasciando che quei caldi e familiari toni d’orati perdessero luce e forza. Era uno spettacolo unico contornato però da un sapore malinconico, in fondo sembrava quasi che la vita stessa venisse con una calma inesorabile risucchiata da quel luogo.
Tk alzò lo sguardo osservando tristemente il fenomeno, ringraziando il cielo che Kari non se ne fosse accorta. Troppo poco era il tempo che avevano e l’ultima cosa che voleva era sprecarlo cercando di impedire a lei di lottare contro qualcosa che non si poteva evitare.
-si è liberato…- un sussurro appena pronunciato richiamò bruscamente il prescelto dai suoi pensieri – lui… si è liberato…- una voce carica di rabbia e disgusto che nemmeno cercava di nascondere – come è possibile, Tk?- due occhi oscurati da emozioni negative fissavano ora con forza quelli celesti del giovane – com’è possibile che Lui sia uscito dalla prigione di Magnangemon?- non un’accusa verso il ragazzo o il suo digimon, ma solo l’istintiva ricerca di una ragione a tutto il dolore che la stava colpendo – perché Piemon è vivo e libero mentre loro no?- il prescelto della speranza socchiuse gli occhi davanti alle parole della sua amata. Più volte si era posto la stessa domanda, tormentandosi per la morte dei loro amici. Più volte si era chiesto se tutto questo si sarebbe potuto evitare, se cambiando una qualunque azione le cose si sarebbero rimesse a posto e loro sarebbero stati tutti insieme e felici come lo erano anni addietro.
Tk sospirò, forse era per questo che aveva iniziato a scrivere il suo diario: vivere nei bei ricordi e al contempo cercare di capire che cosa aveva mandato tutto in malora e forse magari un giorno rimediare facendolo comprendere anche al resto del mondo.
Sbuffò, ecco un altro sogno che s’infrangeva, non solo non avrebbe mai finito di scrivere le loro avventure, ma non le avrebbe mai nemmeno pubblicate.
-Kari…- ancora la voce gentile e carica d’affetto del ragazzo fece fermare i tremiti di rabbia repressa dal corpo della sua amata -… non so dirti come sia successo o perché…- il loro abbraccio era diventato un cullarsi a vicenda cercando di darsi reciproca forza e sostegno -… so che ti mancano, esattamente come mancano a me o agli altri, nessuno di noi è stato più lo stesso da quando se ne sono andati…- mai il ragazzo potrà dimenticare il triste giorno in cui lì aveva seppelliti tutti, dandogli il suo ultimo addio, sapendo che non li avrebbe più avuti al suo fianco -…ma tesoro, ti prego, non perdere la speranza, continua a combattere e vedrai che tutto alla fine si sistemerà…- sorrideva dolcemente mentre prendeva con delicatezza il volto della ragazza tra le mani - .. io sarò sempre accanto a te… sempre- tristezza nella sua voce mentre le raccontava una mezza verità che alla fine avrebbe causato un’altra crepa nel suo cuore.
- ma Tk, abbiamo perso…- man mano che i ricordi emergevano dalle retrovie della sua mente il suo dolore aumentava – in quel dannato laboratorio, volevamo combatterlo ma abbiamo perso… - tutte quelle vite dipendevano da lei e lei nemmeno era riuscita a far attivare il suo digivice -… lui non faceva altro che ridere davanti alla nostra impotenza…- rabbia al pensiero che erano arrivati fino a lì con tanti sacrifici e alla fine erano stati messi con le spalle al muro -… bloccandoci la strada …- l’unica uscita era sbarrata dal corpo stesso del loro avversario, dandogli solo una possibilità: arretrare verso il centro - … e minacciando di colpire a caso una qualunque di quelle vasche- stringeva i pugni desiderando che avesse potuto aver in quel momento il potere di eliminare definitivamente quel ghigno crudele che si dipingeva beffardo sul volto del digimon pagliaccio.
Tk annui silenzioso, poteva sentire il suo dolore adesso esattamente come in quegli attimi disperati. L’unica consolazione che gli rimaneva era che almeno era riuscito a fare qualcosa.
-ricordi poi cos’altro è accaduto?- un sussurro dolce che nascondeva il suo desiderio di piangere che lentamente cominciava a farsi sentire.
Kari aggrottò la fronte dubbiosa. Cos’era un sogno, cos’era la realtà? Ormai da anni c’erano momenti in cui non era in grado di distinguerli – una luce… credo… una luce d’orata-.
 
 
Disperato, il corpo della prescelta arretrava cercando una qualunque via di fuga…
Si muoveva da solo, traballante e incerto, senza sapere dove andare, solo seguendo un flebile istinto….
              Dove erano i suoi amici? Dove era il suo digimon?doveva cercarli, ma non riusciva ad abbandonare gli occhi crudeli e derisori del clown che le stavano divorando l’anima…
Erano solo topi in trappola…
Erano solo dei bambini spaventati e impotenti…
Era solo tutto troppo grande per loro …
 
È per questo che hai chiuso gli occhi?
 
                                                                 La speranza era perduta… anche se da quanto tempo aveva rinunciato ad essa non sapeva dirlo…
 
È per questo che ti sei accasciata al suolo senza combattere?
 
                                                                                      Un sorriso su un volto rigato dalle lacrime, gli avrebbe rivisti… avrebbe rivisto coloro che amava e che gli erano stati portati via così slealmente…
 
Chi chiamavi?
 
Sora… il cuore del gruppo…
Codi… una gentile e giovane anima…
Yolei… una geniale amica inestimabile…
 
Stavi piangendo? Per chi?
 
                                                                                Tai… un leader coraggioso che aveva ispirato la nuova generazione di prescelti…
 
e… e per te… l’amore della mia vita…
 
 
 
 
mi hai chiamato?
Sì, per tanto tempo…
E alla fine…
 
Anche se il tempo è limitato…
 
Sono/sei arrivato da te/me
 
La luce inondava quelle fredde pareti di metallo e pietra.
Tre ragazzi spaventati cercavano una soluzione per salvare chi per loro era prezioso.
Un digimon malvagio pregustava la sua vittoria.
E poi tutto si interruppe.
Quella luce assunse i colori d’orati del sole, scacciando le tenebre con i suoi riflessi rossi e arancioni.
Un enorme boato partì dal fondo della stanza.
Un colpo preciso, nato dalla pura speranza di un giovane uomo.
Un tributo d’amore e di coraggio che evitando accuratamente i tre giovani prescelti colpì in pieno il crudele clown.
Un corpo digitale si dissolse, mentre per i tre eroi tutto si oscurava.
La speranza di salvare i prescelti imprigionati era morta insieme a loro, ma la speranza di salvare il futuro era ancora più viva che mai.
 
 
 
I corpi dei due amanti erano ancora uniti in uno stretto e disperato abbraccio che non avrebbero mai voluto spezzare. Gli occhi di entrambi erano chiusi, nessuno dei due voleva aprirli, perché quel semplice gesto avrebbe significato affrontare la realtà che presto li avrebbe colpiti.
-Kari…- Tk si odiava in quel momento, con che coraggio stava di nuovo per spezzare il cuore della sua amata? Con che coraggio le stava di nuovo per dire addio, dandola in pasto a un mondo che la odiava? – Kari ora devi ascoltarmi, il tempo a mia disposizione sta per finire- con che coraggio ora doveva guardare i suoi occhi castani pieni di speranza e amore, per poi portarle via tutto?
-Tk?- le parole della prescelta erano solo un sussurro, certo, aveva ricordato quello che era successo, ma questo non voleva dire che aveva anche accettato le conseguenze di quel gesto.
- amore mio, mi dispiace…- la sua voce aveva iniziato a perdere forza o forse era solo lui che stava esaurendo le energie rimastegli – quella luce… quella luce che aveva invaso il laboratorio veniva dalla mia digipietra e...-
-lo so…- lo interruppe lei cercando di mascherare la sua espressione spaventata dietro un falso e tirato sorriso - … ho riconosciuto il tuo potere… ci hai salvati!- era infantile, lei lo sapeva, ma come poteva lasciarlo continuare, quando in cuor suo conosceva la realtà.
-si, ma per farlo la mia digipietra si è…- si morse il labbro cercando le parole giuste, anche se non sapeva se erano per salutarla o per ritardare quel momento - … estinta…- sussurrò quell’ultima parola forse nella speranza che lei non l’avesse sentita – e con lei…- alzò lo sguardo per vedere il mondo attorno a loro perdere forma e colore, sbiadendo velocemente davanti ai suoi occhi -… si è estinta anche la mia vita.- niente come quella frase avrebbe potuto fare più male a entrambi.
Si dovevano lasciare e sarebbe stato per sempre.
Non avrebbero più avuto seconde possibilità, non ci sarebbe più stato un domani.
Tutto era perso. Tutti i loro sogni. Tutti i castelli di sabbia che si erano fatti pensando al loro domani. Tutto era stato assorbito da quell’unica frase.
La ricerca, le lotte, le continue corse contro il tempo… alla fine tutto si era rilevato vano. Alla fine tutto era svanito nel vento.
-no…- due occhi spalancati lo fissavano increduli –no…- il volto della sua amata era impallidito, erano bastate quelle poche parole per privarla di tutta la luce che aveva in corpo –non è vero…- scuoteva la testa freneticamente, tanto che alcune lunghe ciocche castane s’insediarono fastidiose lungo il suo bel viso – non… non è vero- come un mantra le uniche parole che ora conosceva erano di pura negazione, alla fine nonostante tutta la sua forza d’animo non poteva perdere anche lui.
- mi dispiace…- sussurrò Tk, mentre, beffardo il mondo attorno a loro cominciava a sbiadire sempre più velocemente. Presto, pensò il ragazzo, tutto sarebbe finito – mi dispiace… tanto Kari, non sai che farei per poter rimanere con te e i ragazzi…- le accarezzò dolcemente una guancia, era calda e delicata, avrebbe portato con sé quella sensazione per sempre.
-perdonami Tk…- la prescelta nemmeno di accorse di quello che accadeva attorno a loro, tutto quello che per lei era importante era ora fra le sue braccia, tenuto stretto per paura di non vederlo più -… perdonami per non averti salvato… per non essere arrivata in tempo… - lei piangeva, ma non le importava, perché di nuovo il destino era contro di lei, sottraendole di nuovo qualcuno d’importante -… per non esserti stata vicino quando ti hanno catturato… perdonami per …-
L’abbraccio tra i due si fece più forte, alla fine, anche se cresciuti nel corpo, erano ancora dei ragazzi spaventati che null’altro chiedevano dalla vita se non di rimanere con le persone che amavano.
-shhh… va tutto bene…- Tk la cullava delicatamente, cercando di calmare quei singhiozzi che li laceravano l’anima -… non hai nulla di cui scusarti, non hai fatto nulla di sbagliato…non è stata colpa tua…- la vide scuotere la testa furiosamente, troppo le era capitato nella sua giovane vita per superare da sola anche questo -… non c’era niente che voi potevate fare… eravamo condannati da tempo…- prigionieri nei loro stessi corpi senza la reale possibilità di andarsene – anzi… direi che ci avete salvato… ora possiamo essere liberi- una libertà amara per cui entrambi avrebbero sofferto.
Una lacrima solcò il viso del giovane prescelto, sentiva il suo corpo indebolirsi, ormai il suo tempo era finito. Il suo tanto sofferto viaggio era arrivato al termine.
Guardò le sue mani diventare piano piano trasparenti, anche se stranamente ancora poteva sentirle come quando era… beh era vivo –Kari...- la stanchezza lo stava invadendo facendogli solo desiderare di chiudere gli occhi – so che sarà difficile, ma devi andare avanti…- il mondo attorno a loro era ora solo una sfocatura mal fatta e priva di colori. Il potere delle tre pietre era esaurito – devi portare a termine quello che abbiamo iniziato, devi combattere, anche se adesso ti sembra impossibile…- staccò da se quel corpo che tanto amava, almeno per un’ultima volta la voleva guardare negli occhi, imprimendo nella sua mente ogni singolo dettaglio della donna che aveva rubato il suo cuore – vai avanti… combatti per la tua libertà, conquistala, torna ad amare e ad essere di nuovo felice…-
-no…- lei piangeva, a ogni parola pronunciata ciò che seguiva era solo l’ennesima negazione dall’anima di una bambina spaventata e sola – no…- scuoteva la testa, abbassava gli occhi scappando da quello sguardo triste, sincero e pieno d’amore che aveva davanti –no!- come poteva accettare quello che le stava chiedendo? Come poteva andare avanti quando dalla vita le avevano tolto tutto quello che amava? Come poteva ancora combattere quando la speranza era perduta per sempre?
-Kari…- il sogno stava per finire, pochi secondi e poi lei si sarebbe risvegliata -… non è un addio…- chiuse gli occhi e le baciò la fronte – ci rivedremo un giorno, te lo prometto-. Dentro di se sorrise, giurando a se stesso che se mai avesse avuto un'altra possibilità avrebbe chiesto a questa splendida donna di sposarlo non appena si sarebbero rincontrati. Giurò di aver sentito la sua pietra sbuffare, alla fine la sua speranza era davvero incrollabile.
Kari non ebbe mai il tempo di ribattere perché quelle furono le ultime parole che il destino concesse ai due amanti, la prossima cosa che lei sapeva era di essere in volo nei cieli di digiword stretta tra le braccia dei suoi due migliori amici.
 
 
Digiword – Monte spirale.
 
-AAHHHG!- un urlo di pura rabbia sfondò il silenzio della stanza padronale del castello –maledetti!- il corpo del crudele digimon clown apparve in uno sfarfallio di dati cercando la protezione di quelle fredde mura di pietra decorate con arazzi dai toni cremisi.
Solo la furia degli ultimi avvenimenti lo teneva ancora in piedi, perché altrimenti il suo spirito sarebbe stato come le sue vesti ora a brandelli e bruciacchiate.
Con uno sguardo di puro odio fissò, quasi a volerlo cancellare dal mondo, l’unico solitario digivice che era riuscito a sottrarre tempo addietro al bambino prescelto della speranza. Digivice che ora stava lentamente svanendo dalla sua collezione, trasformandosi in polvere digitale.
-insopportabile moccioso…- sibilò a denti stretti, perdendo per una volta tutta la sua eleganza e compostezza - … questa è la seconda e ultima volta che interferisci…- curioso come lo stesso bambino che aveva causato la sua fine nella battaglia sul monte spirale era riuscito a sconfiggerlo nuovamente quasi cancellando la sua esistenza -…ma… pagherai anche questa…- sorrise malignamente, alla fine avrebbe vinto lui, lo sapeva -… anzi me la pagherete tutti… con tanto d’interessi.- rise sommessamente pregustando l’ormai fine del suo geniale piano, presto il mondo come lo conoscevano gli umani sarebbe stato solo un flebile ricordo.
-Datamon!- richiamò a gran voce il digimon androide al suo cospetto. Digimon che tra l’altro era vivo solo grazie al suo intervento, dato che lo aveva preso al volo prima che la luce della speranza lo friggesse… cosa che aveva quasi fatto finire arrosto lui, ma questo era un dettaglio.
Beh, almeno adesso datamon aveva un doppio debito con lui e lo avrebbe servito fedelmente a vita… Oddio, non che tenesse davvero a quell’essere mezzo vetro e mezza macchina, anzi se in futuro si facesse ammazzare ben venga. Solo che al momento trovare un sostituto sarebbe stato non solo fastidioso, ma anche molto difficile, considerando il fatto che tutti i geni sembrassero essere dalla parte dei prescelti. Ah! Non c’era più nessuno che apprezzasse una sana apocalisse alla vecchia maniera.
- eccomi, mio signore. Avete urlat… cioè chiamato?- il fedele e mezzo bruciacchiato digimon uscì dalle ombre della stanza, dove si era nascosto per lo per evitare di essere travolto dalla furia del suo padrone. Sospirò, chiedendosi perché i prescelti facessero sempre incazzare Piemon quando c’era lui in giro. Non so, non potevano aspettare che fosse al sicuro nei suoi bei laboratori blindati dotati di serrature e allarmi multipli?
Totalmente ignorando le sofferenze del suo servitore, il crudele clown fissava ostinatamente i digivice rimasti in suo possesso, immaginando la sua vendetta compiersi ai danni di tutti coloro che di quel particolare oggetto ne erano investiti -è ora…- sussurrò quasi divertito, certo, le ultime visite che aveva ricevuto gli avevano scombinato un po’ i piani: smascherandolo, danneggiando la sua proprietà e restringendogli i tempi del suo perfetto progetto, ma ormai non si poteva più rimediare. Il tempo di giocare nell’ombra era finito.
Datamon spalancò gli occhi sorpreso – mio signore? Ne siete sicuro? Non è forse troppo rischioso agire adesso?-.
Il padrone del castello si girò lentamente verso il suo servo abbandonando così la contemplazione della sua parete dei trofei – al contrario, dobbiamo agire subito prima che si organizzino- in fondo ora i prescelti avrebbero presto conosciuto chi era il loro nemico e di certo non avrebbero atteso a lungo per un contrattacco – prepara il mio esercito…- respirò pesantemente assaporando quello che sarebbe presto accaduto - … è il momento di mettere in scena l’atto finale del mio piano -.
Datamon annuì inchinandosi, finalmente anche lui avrebbe avuto la sua vendetta – prima la terra o i prescelti a digiword?- alzò lo sguardo per scorgere uno dei tanti schermi dei digivice appesi alla parete. Uno dei tanti che contrariamente alla volontà del suo prescelto stava tradendo il suo stesso ruolo.
Una breve risata fu per alcuni secondi l’unica vera risposta dal suo padrone – entrambi, naturalmente- e quel crudele sghignazzo riprese, più lungo e più forte, rimbombando nel silenzio della stanza padronale.
Il clown rideva… rideva perché in quel momento davanti ai suoi occhi diversi puntini luminosi apparivano in movimento su quegli schermi ormai fuori dal controllo del loro originario destinato, regalando al servo e al padrone una precisa panoramica dell’ubicazione dei prescelti nei due mondi.
Lui aveva già vinto… da tempo aveva già vinto e loro nemmeno l’avevano mai sospettato.
 
 
Terra – città di Odaiba.
 
Una lieve brezza calda, caratteristica tipica dei primi pomeriggi autunnali, avvolgeva con calma una delle zone più grandi della città giapponese e, incredibilmente, anche una delle più solitarie.
In un giardino che ora si stava tingendo delle prime sfumature rosse e arancioni due occhi azzurri osservavano indecisi da diversi minuti il piccolo appezzamento di terra che avevano davanti.
Il ragazzo dai lunghi capelli biondi torturava, cercando di nascondere la sua frustrazione, il povero manico di legno che teneva tra le mani, chiedendosi ogni tre secondi per quale diavolo di motivo riusciva a farsi sempre coinvolgere in situazioni impossibili che ormai avevano superato anche il limite del legale.
-lassù qualcuno mi odia- sussurrò a se stesso, pensando a come quello che stava per fare, gli ricordava stranamente quegli assurdi film horror che tanto piacevano al suo migliore amico ed ex leader della squadra – scommetto che è la tua vendetta per averti alla fine soffiato il ruolo di capo- disse impuntando uno sguardo irritato sulla foto del giovane ragazzo che aveva davanti –vero Tai?- oh, ma avrebbe messo in conto anche questa e gliele avrebbe fatte scontare tutte quando, una volta ritornati in vita, gli avrebbe risbattuto quel cavolo di ruolo in faccia.
- si può sapere con chi diavolo stai brontolando?- una voce maschile lo fece sobbalzare, ricordandogli inevitabilmente come non fosse solo in quella così allegra missione – allora?- la suddetta voce insistette, cercando a malapena di celare una leggera nota di divertimento – Matt, non mi dire che ti sei ammattito del tutto e adesso te la prendi anche con i morti?- beh, alla fine non capita tutti i giorni di dover salvare il mondo passando prima per un cimitero.
Matt sussultò leggermente, cercando di nascondere il fatto che lui in quel momento stava davvero mandando diverse maledizioni alla tomba del suo amico – Mark, fammi il piacere di non dire assurdità – si girò velocemente verso il ragazzo puntandogli contro il badile che teneva in mano nel vano tentativo di apparire minaccioso – questa è una cosa seria, senza contare che è pieno giorno e abbiamo poco tempo – sospirò, pensando alle milioni di conseguenze che sarebbero avvenute se davvero lo avrebbero arrestato per aver profanato un paio di tombe. Diciamo solo che ogni scenario era peggiore di quello precedente.
Improvvisamente un passo marziale fece scricchiolare la bianca ghiaia che ricopriva i vari sentieri che si districavano nel grande cimitero. I due ragazzi si zittirono all’istante, pronti a ricevere l’ennesima sfuriata della giornata.
-che state facendo lì impalati?- mani sui fianchi, broncio visibile e capelli castani raccolti in una coda di cavallo, la digiprescelta dalla sincerità aveva fatto la sua comparsa – prendete i badili, affondateli nel terreno e scavate!- un tono beffardo, che tentava di trasmettere una falsa dose di sicurezza e indifferenza – su forza che non abbiamo tutto il giorno!- girò così velocemente su se stessa che i due ragazzi non ebbero nemmeno il tempo di ribattere – terrò lontano scocciatori e affini, ma voi datevi una mossa!- con passo veloce si allontanò il più possibile da quel piccolo angolo di mondo che con tanta cura avevano creato e custodito in quegli ultimi tempi. Tutto, avrebbe potuto sopportare, tranne il vedere il sonno di due suoi cari amici che veniva disturbato, anche se erano loro a farlo.
Anche se era fatto per un fine superiore.
Anche se questo avrebbe contribuito a restituirglieli.
Scosse la testa cercando di eliminare ogni pensiero, soprattutto quelli grafici. No, non riusciva nemmeno ad accettare di immaginarlo, figuriamoci se poteva starsene lì a vederlo.
Per questo, anche se in realtà aveva già pagato il custode per impedire a chiunque l’accesso a quell’area, se ne stava andando cercando di mettere più spazio possibile tra lei e quel gesto tanto disperato quanto pieno di speranza.
-Mimi…- Matt sussurrò il nome della prescelta, scuotendo lentamente la testa in un segno non negativo ma di reciproca comprensione.
Spostò lo sguardo, osservando tristemente davanti a se, tentando di combattere il desiderio di correre dietro alla ragazza per confortarla. Sospirò, alla fine le loro maschere non erano poi così diverse e incredibilmente avevano entrambe gli stessi difetti e le stesse crepe.
La capiva. Capiva il suo dolore, perché in fondo era lo stesso che provava lui.
Vedeva il suo tentativo di nascondersi dietro a parole grosse e ad atteggiamenti sfacciati.
Sentiva la tensione e l’angoscia che la sua voce trasmetteva.
Percepiva la paura e l’insicurezza che trasudavano in ogni suo gesto.
Tutti messaggi difficili da riconoscere, ma che a lui arrivavano forti e chiari. Forse, perché alla fine erano le stesse increspature che avevano col tempo invaso la sua maschera e che tentava disperatamente di celare al mondo esterno.
Una mano si appoggiò sulla sua spalla costringendolo così ad allontanare il suo sguardo dalla ragazza in fuga –senti Matt…- la voce di Mark aveva perso tutto il sarcasmo e il divertimento che fino a pochi attimi prima la caratterizzava. Dopo tutto il tempo passato insieme, anche se era ancora un estraneo al mondo digitale, poteva benissimo percepire le paure che aleggiavano tra i due prescelti – pensi di riuscirci? Non credo sia un bello spettacolo da vedere- il pensiero del ragazzo andava in quel momento alla tomba della madre che si trovava nel vecchio cimitero della città, chiedendosi se lui avrebbe mai avuto la forza di disturbare il suo sonno, anche se questo avrebbe significato salvare il mondo.
Scosse la testa e guardò verso la direzione presa da quella bella ma rumorosa ragazza. No, decisamente non l’avrebbe fatto. Sarebbe scappato anche lui tentando di ignorare quello che avrebbe rappresentato un gesto inaccettabile.
-non ti preoccupare…- sussurrò Matt, rifiutandosi di abbandonare con lo sguardo quell’erba così verde e viva che ricopriva quella porzione di terreno incriminato – non dobbiamo estrarre le bare o scoperchiarle, abbiamo incastonato i digivice nella parte superiore dei coperchi…- un sospiro di sollievo fu pronunciato alle spalle del biondo, perché per quanto spavaldo e coraggioso, il ragazzo moro, non saltava dalla gioia all’idea di scoprire cosa succedeva al corpo umano dopo anni la sotto – quindi…- continuò il prescelto ignorandolo completamente – dobbiamo rimuovere la terra solo per arrivare a prenderli… non ci metteremo nemmeno molto… spero- commentò mentre si soffermava ancora una volta a guardare la foto del suo migliore amico, forse nella speranza di trovare un’altra soluzione –e poi…- alzò lo sguardo verso l’altro ragazzo e sorrise tristemente – io sono il leader ed è mio compito fare questo-.
Così con un gesto freddo che non credeva di poter fare, conficcò la pala nel terreno, concentrandosi solo nella zona in cui doveva esserci il digivice. Tutto quello che doveva fare era non alzare gli occhi e guardare la foto sulla lapide, poi tutto sarebbe andato bene.
I minuti trascorsero veloci e in silenzio, solo il cinguettare di alcuni uccelli interrompeva il fruscio del metallo contro la terra.
Ogni gesto e ogni movimento erano lenti e calcolati, tutto doveva essere fatto con il massimo rispetto e la massima cura.
Gli occhi erano bassi e la teste chine. Era la cosa giusta da fare, questo lo sapevano bene, ma non significava che ne andassero fieri.
Mark era concentrato sulla tomba della giovane Sora, attento a non toccare le belle piante di rose che avvolgevano con fare protettivo la lapide bianca.
Matt si muoveva sopra quella di Tai, cercando di danneggiare il meno possibile le piante di girasoli che la sorella aveva piantato solo l’anno prima, anche se sfortunatamente un paio avrebbe dovuto sacrificarli.
L’unica consolazione che aveva era che servivano solo quei due digivice, così almeno Yolie e Cody non sarebbero stati disturbati… una magra consolazione.
Scosse la testa cercando di concentrarsi sull’obiettivo di quella macabra missione: il recupero dei digivice originali, tutti quelli che avevano a disposizione, anche se sarebbe più corretto dire tutti quelli che erano rimasti.
Izzy era stato chiaro, per quanto uno sproloquio delirante contornato da termini tecnici possa essere considerato come tale: per portare a termine la sua invenzione e sperare di farla funzionare in un futuro molto prossimo servivano i loro digivice, i digivice dei primi prescelti ad essere andati a digiword.
Matt sbuffò, trovandosi a maledire la volta in cui, anni addietro a quel famoso campo estivo, ebbe la brillante idea di prendere in mano un oggetto avvolto in una luce mistica che era appena caduto dal cielo. Sembrava così carino, così innocente… che ne sapeva lui che apriva un enorme passaggio che li avrebbe portati in un altro mondo…
Sbuffò ancora, spostando con un gesto secco una ciocca dei lunghi capelli dal viso. Era inutile pensarci ora, non con il poco tempo a loro disposizione.
Un rumore sordo attirò la sua attenzione, riportandolo alla realtà delle sue azioni.
-Mark…- un sentimento di sollievo invase il suo animo, almeno adesso sarebbero potuti andare via di lì - … credo che abbiamo trovato quello che cercavamo…- si chinò, inserendo la mano al centro del buco appena fatto – chiudiamo tutto e andiamocene…- l’altro ragazzo imitò i suoi gesti, desiderando davvero di tornare alla sua vita normale.
Dopo pochi minuti le figure di due ragazzi stavano camminando velocemente verso l’uscita più vicina, lasciando come unici segni del loro passaggio un po’ di terra smossa e alcuni girasoli abbandonati.
Il loro obiettivo era stato portato a termine e anche se non fieri di quello che avevano fatto, stringevano gelosamente due piccoli computerini bianchi con lo schermo spento, che in quel momento rappresentavano per loro l’ultima fonte di speranza.
 
 
Digiword – Monte Spirale
 
Un paio d’ore e i generatori del castello erano di nuovo attivi e funzionati, anche se non all’originario cento per cento.
Un nuovo laboratorio è stato preparato solo con l’essenziale, ricoprendo il solo scopo di sostituire alcune funzioni di quello precedente.
Una stanza senza finestre, costruita solo con la fredda pietra, al cui centro padroneggiava l’unico vero pezzo di arredamento esistente… sempre se così si possa definire una grossa macchina dall’aspetto vagamente simile a un ragno.
Diversi cavi partivano dalla stessa collegandola sia ai computer che ai maggiori generatori ancora pienamente funzionanti.
Attorno ad essa un digimon androide si muoveva freneticamente, ignorando la stanchezza e i danni, solo per esaudire l’ordine impartitagli dal suo padrone. In fretta faceva gli ultimi controlli, provvedendo contemporaneamente a collegare tutti i digivice sopravvissuti alla macchina.
Certo, pensò l’essere digitale, anni addietro non erano stati necessari per permettere a Piemon di attraversare un capo all’altro della terra indisturbato, ma adesso la situazione era totalmente diversa. Perché adesso non doveva trasportare un solo digimon ma migliaia.
Sorrise, in fondo era stato fortunato, anche se più della metà dei digivice era andata in polvere, a causa della morte di quei corpi umani che tanto faticosamente avevano collezionato, quelli che rimanevano erano sufficienti per aprire almeno cinque varchi per continente.
Sogghignò crudelmente. Oggi era il giorno in cui avrebbe avuto la sua rivincita sui prescelti, che tanto avevano condannato il suo lavoro.
Sempre attaccati ai loro ideali puri.
Sempre convinti che il bene vincerà sul male.
Sempre convinti che alla fine accadrà un miracolo e tutto si sistemerà.
Che ingenui…
Attaccò l’ultimo digivice in suo possesso e accese la macchina. Tutto era pronto.
-lord Piemon?- spinse uno dei pulsanti nel suo braccio e aprì la comunicazione con il suo oscuro padrone, al momento impegnato a disporre del suo esercito –ho finito… attendo solo un suo segnale-.
Una risata sommessa, quasi trattenuta a stento, si fece eco dal ricevitore del digimon dati – apri i portali… è tempo di dire ai due mondi della nostra esistenza…- è perché no, pensò tra se, andare anche a restituire un paio di favori ai cari bambini prescelti.
 
 
Digiword – settore dei laghi.
 
Joe fissava la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi con aria crucciata e preoccupata.
Fino a pochi attimi prima era bloccato in preda all’ansia nel corridoio davanti alla camera del suo amico sperando di rivederlo ancora con la sua piena sanità mentale, mentre ora fissava il suddetto genio chiedendosi se forse depresso era meglio.
Cioè lui era lì accucciato davanti alla sua porta pregando ogni dio che conosceva di non far crollare definitamente Izzy dopo la scoperta della morte di Willis, quando la porta si spalanca e la fonte delle sue preoccupazioni esce fuori corredo come speady-gonzales verso il laboratorio.
Non una parola. Non una spiegazione… nemmeno un fottuto sguardo lasciato di sfuggita verso di lui. Niente.
E dopo che fa? Comincia a straparlare al telefono, con una persona, che al quel punto sperava fosse Matt, per chiedergli, e questo ha davvero dell’assurdo, di andare a profanare un cimitero. In pieno giorno per giunta!
Ma sì, tanto loro non erano minimamente dei ricercati in fuga per crimini che non hanno commesso, potevano permettersi questo e altro…
Si portò una mano al viso sistemandosi gli occhiali, sperando, forse, che con quel gesto la situazione sarebbe tornata alla normalità. Guardò gogamon alla sua destra e tentomon alla sua sinistra. No, decisamente dai loro sguardi allucinati deduceva che nulla era cambiato.
Riportò l’attenzione davanti a se ritrovandosi a fissare uno stranamente eccitato genio che stava cercando di collegare i loro due digivice a quell’infernale macchina che li stava facendo dannare da mesi.
Ah! Aveva per caso già accennato al fatto che il suddetto genio gli aveva anche sottratto il digivice?
Joe sospirò, trovandosi a sperare ardentemente di non subire attacchi da parte dei nemici finché non riavrebbe avuto indietro il suo piccolo computerino bianco. Altrimenti sarebbe stata dura, molto dura, uscirne fuori vivo.
Scosse la testa cercando di non pensare subito in negativo, in fondo non possono essere davvero così sfortunati… vero?
Un rumore lo risvegliò dai suoi pensieri, probabilmente provocato da qualcosa di metallico che nell’evidente fretta del genio era caduto rovinosamente a terra. Non era nulla di grave, ma era sufficiente a riattirare lo sguardo di Joe al centro della stanza, dove la loro unica speranza di una vita libera sorgeva ingombrante e sovrana.
Aggrottò la fronte perplesso. Era solo una sua impressione o la sfera di energia posta in cima alla struttura era ora leggermente diversa?
Sospirò ancora una volta, riflettendo se era il caso o meno di intromettersi e fare qualche domanda a Izzy, anche se aveva quasi la certezza che non lo avrebbe nemmeno considerato.
-ehm… Izzy?- il ragazzo dai capelli blu avanzò lentamente, sentendosi improvvisamente molto a disagio, come se entrasse in un’area che non gli apparteneva – ecco… non vorrei disturbarti…- decise di usare un tono materno con parole semplici – ma… cosa stai facendo?- si piegò leggermente in avanti nel tentativo di raggiungere al meglio l’amico seduto sul freddo pavimento in metallo, circondato da una marea di cavi e pezzi di cui ignorava l’utilizzo.
Il ragazzo più piccolo si bloccò sul posto, interrompendo il suo lavoro di collegamento e configurazione della macchina –Joe- pronunciò il nome dell’amico come se riconoscesse solo in quel momento la sua presenza.
Passarono qualche secondo immersi in un imbarazzante e scostante silenzio, questo prima che Izzy sorridesse illuminandosi improvvisamente come un albero di natale – ha trovato la soluzione!- si alzò in piedi, quasi facendo perdere l’equilibrio dell’altro con quel gesto – Willis… aveva capito cosa c’era di sbagliato …- per un attimo, per un piccolo e quasi invisibile frangente, tutto il suo entusiasmo venne oscurato dal triste ricordo della perdita del compagno -… e … e ha usato quell’ultimo messaggio per dirmelo – il senso di colpa per non essere riuscito a fare nulla per salvarlo era ancora presente, come un’ombra che per sempre avrebbe avvolto gli occhi porpora del giovane prescelto – ora possiamo davvero riavere le nostre vite…- ma non avrebbe permesso a quel pesante fardello di bloccarlo in un angolo a deprimersi, non adesso che la loro utopia era finalmente a portata di mano -… ora possiamo riavere i nostri amici- non si sarebbe fermato, non questa volta.
Inoltre doveva trovare il modo di convincere Joe che stava bene e che sarebbe andato tutto per il verso giusto. L’ultima cosa che voleva era far preoccupare l’amico più del dovuto, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui in questi ultimi anni.
Sorrise. Gliene era tremendamente grato e forse un giorno glielo avrebbe anche detto.
-possiamo sistemare ogni cosa…- no, non si sarebbe fatto vincere dalla paura – Joe, abbiamo una seconda occasione!- sorrise sinceramente come non lo faceva da anni, tutto sarebbe tornato a posto, avrebbero salvato tutti, anche Willis e poi avrebbe attribuito a lui il merito della buona riuscita del loro sogno… dopo avergli fracassato il computer in testa per essere morto, s’intende!
Joe sbatté più e più volte le palpebre, cercando di seguire l’improvviso fiume d’informazioni ed emozioni che gli veniva versato addosso dall’amico.
Registrava quelle parole che da mesi sperava di sentire e mentre che lo faceva si sforzava di non illudersi troppo, perché altrimenti sarebbe stato troppo difficile rialzarsi se avessero fallito.
Avrebbe voluto parlare, chiedere al genio spiegazioni e avere così anche solo una piccola conferma che potesse dare forza alle sue speranze, ma non ne ebbe il tempo poiché un peso non poco considerevole si attaccò al suo braccio e lui si trovò trascinato da un lato all’altro di quel percorso a ostacoli che l’amico chiamava laboratorio.
Se Izzy non fosse stato davanti alla scoperta del secolo, forse avrebbe letto la confusione e la paura sul volto di Joe, ma in quel momento tutti i suoi neuroni erano incentrati sulle infinite possibilità che l’attivazione della macchina avrebbe portato. Doveva solo aspettare il ritorno di Matt e Mimi per i restanti digivice e poi avrebbe dato il via allo spettacolo, perché sì, nella sua mente non c’erano dubbi che avrebbe funzionato.
Quello che ora doveva fare era solo farlo vedere anche a Joe –l’idea di usare il digivice per potersi muovere nel tempo, non era sbagliata…- sorrise Izzy al pensiero degli innumerevoli viaggi che avevano fatto attraverso i due mondi proprio grazie ai particolari poteri di quei piccoli oggetti -… il mio errore era stato quello di usarne solo uno, dando per scontato che funzionasse come per le digiporte…- si diede un leggero colpetto in testa con il palmo della mano scherzando sulla sua stessa ingenuità -… ma alla fine tutto quello che produceva era un piccolo e instabile portale da cui sarebbe passato a malapena uno spillo…- un risultato inutile che aveva scoraggiato il genio e fatto incazzare Matt - … ed ecco che, quando avevo perso le speranze, Willis trova la soluzione!- si ferma all’improvviso dal suo girovagare senza meta, indicando teatralmente con la mano la sfera di cristalli che era nata sopra la macchina – collegare il maggior numero di digivice originali tra loro, rendendoli stabili con un programma di sua invenzione- Izzy guardò fiero il risultato: ora il passaggio era più grande e già più controllabile… e questo solo con due digivice.
Joe seguì il genio senza possibilità di reagire, chiedendosi da quando il suo amico avesse una tale capacità polmonare da fare un simile lungo discorso senza mai riprendere fiato.
Si rimise con un gesto della mano, ora di nuovo libera, a posto gli occhiali, che nella foga del trascinamento gli erano quasi caduti dal naso.
Guardò davanti a se, per accorgersi che Izzy era ritornato al lavoro e che lui era in piedi come un idiota in mezzo alla stanza da un tempo imprecisato. Anche se confuso da tutto sorrise, forse alla fine non era poi un sogno così irrealistico come avevano pensato. Ora non era più solo un progetto per tenere in vita i loro spiriti, evitando così che si spezzassero sotto il peso del loro ruolo. No, era vero e finalmente intangibile.
Chiuse gli occhi richiamando alla memoria la figura del padre.
Presto avrebbe avuto un'altra occasione.
Presto sarebbe stato si nuovo solo un adolescente con una spiccata passione per i libri voluminosi.
Presto avrebbe potuto riprendere in mano quegli studi che ormai da anni aveva abbandonato, realizzando così il suo sogno di seguire le orme del genitore rendendolo così orgoglioso.
Presto avrebbe potuto avere una vita normale da dividere con le sue persone più importanti.
Con un peso in meno sulle spalle si voltò e lasciò l’amico al suo lavoro, non sapendo che il destino è spesso dispettoso, soprattutto quando vuole giocare con le vite degli uomini.
 
 
Terra – Giappone.
Una tazza s’infranse al contatto col suolo, spargendo sulla moquette verde scuro quello che rimaneva del suo contenuto.
La scrivania in legno tremava facendo cadere dalla sua liscia superficie i resti d’innumerevoli progetti lasciti sparsi dal proprietario di quell’ufficio.
La vetrinetta in ferro e vetro minacciava pericolosamente di crollare, con il rischio così di danneggiare e lasciare incustodito il prezioso contenuto.
Le pareti tremavano, tentando si sobbarcarsi il peso dell’intera struttura militare che in quel momento era sfidato da una forza esterna che nessun uomo da solo poteva sperare di affrontare.
Il vecchio generale rimase stranamente calmo in mezzo a tutto quel caos che stava invadendo la sua base. I suoi istinti di guerra presero possesso della sua mente e del suo cuore, facendogli capire subito che quello non era un terremoto nato da una causa naturale, bensì creato da un essere malvagio che alla fine si era dimostrato per quello che era veramente tradendoli tutti.
Uno dei soldati più giovani in quell’istante entrò frenetico nel suo ufficio, quasi sfondando la porta nella sua foga. Era spaventato, lo vedeva chiaramente. Troppo giovane e troppo inesperto per mantenere il sangue freddo davanti a una minaccia di morte.
Il generale chiuse gli occhi, ignorando la voce del giovane che farneticava su portali ed eserciti di mostri. Sapeva che sarebbe successo, che quell’accordo con il clown si sarebbe concluso con un tradimento. Quello che non sapeva era quando sarebbe successo e chi tra i due lo avrebbe fatto.
Sbuffò sentendosi un pivello alle prime armi. Era stato forse troppo fiducioso nelle sue capacità e a giudicare dalla reazione del suo sottoposto aveva giudicato male le reali potenzialità di Piemon.
Scosse la testa, decidendo che non era ancora tutto perduto. Aveva ancora la sua polizza di sicurezza e non aveva motivo di esitare a usarla.
Aprì il cassetto della sua scrivania ed estrasse la scatola nera che solo poco tempo prima aveva segretamente nascosto. Di sicuro con quella non poteva certo abbattere un esercito, ma non era quello il suo obiettivo.
Sbloccò i codici con gesti decisi, continuando a ignorare il caos attorno a lui. Prese con mano salda ed esperta l’impugnatura dell’arma portandola davanti ai suoi occhi per rimirarne la bellezza.
Certo, avrebbe voluto farne creare delle repliche per darle ai suoi soldati, ma era impossibile farlo, almeno senza i digivice.
Dall’unico che aveva conservato o meglio dalla fusione dei suoi pezzi era nata un’arma bianca con sfumature azzurre a cui aveva dato la forma di una pistola.
Strinse la presa, fiero di se stesso. La vera opera d’arte erano i proiettili, creati dall’energia residua di quel digivice e da un potente virus con cui avrebbe cancellato all’istante anche il digimon più micidiale.
Sorrise, caricando l’arma e infilandola nella fondina dei suoi pantaloni. Il momento che tanto aveva atteso era giunto, avrebbe cancellato quel ghigno derisorio dal volto del clown una volta per tutte.
 
 
Terra – Odaiba.
 
Mimi era appoggiata all’enorme cancello di ferro nero che indicava l’entrata del cimitero della sua città natale. Tenendo gli occhi fissi su un cielo azzurro e limpido, attendeva con impazienza e timore il ritorno dei due ragazzi dalla loro missione.
Era la prima volta dalla morte di Sora che si era rifiutata di portare a termine un compito come prescelta, eppure non riusciva a sentirsi in colpa per questo.
Aveva sbagliato molte volte in passato arrivando addirittura a rinnegare se stessa, ma da quando aveva perso la sua migliore amica, il suo unico obiettivo nella vita era diventato quello di redimersi, affinché quando si sarebbero rincontrate, avrebbe potuto sostenere fieramente il suo sguardo.
Aveva portato a termine molti incarichi e c'è da dire che non tutti erano nei limiti della legalità, ma lo aveva fatto a testa alta, sapendo bene che era non solo per la loro sopravvivenza come prescelti ma anche per la salvaguardia di due mondi… eppure…
Eppure nonostante tutto non riusciva nemmeno a concepire il pensiero di toccare anche solo leggermente le tombe dei suoi amici…
anche se lo avrebbero fatto con cura e rispetto…
anche se fosse una scelta necessaria….
Anche se non avrebbero quasi nemmeno toccato la bara…
Sospirò riportando la sua concentrazione sul cielo libero da nubi. Sapeva che Sora non sarebbe mai stata arrabbiata con lei per averla disturbata, ma cavolo non era una cosa per cui era pronta.
Scosse la testa cercando di cancellare questi pensieri, non le avrebbero portato altro che paranoia e lei non se lo poteva permettere.
Un vento freddo le colpì il viso, facendola leggermente rabbrividire. Si strinse le spalle chiedendosi che fine avesse fatto il bel tiepido sole che l’aveva cullata fino a quel momento.
Si bloccò, quando davanti ai suoi occhi il candido azzurro del cielo si trasformò in pochi secondi in un grigio sporco privo di vita e calore.
Il vento aumento di potenza scompigliando i suoi capelli che ora danzavano con esso –oh mio dio…- riuscì a sussurrare a se stessa nel momento in cui apparve qualcosa che ormai sperava di vedere solo nei suoi incubi -… non è possibile-
Nel cielo della città dove era cresciuta, apparve un enorme portale e in pochi secondi si scatenò l’inferno.
 
Continua…
 
 
Ok, spero che il capitolo vi sia piaciuto^^.
Allooooora vi rompo solo per darvi due messaggi:
  • la storia sta per concludersi, prevedo un altro chappy con l’epilogo (al massimo se è lungo due chappy + epilogo)
  • altra cosetta… sono entrata nel fantastico mondo del lavoro, quindi il mio tempo per scrivere è (come avrete notato dalla mia lunga assenza) più limitato. Tutto quello che posso assicurare e che finirò questa storia, nella sempre ovvia speranza di non metterci di nuovo mesi ad aggiornare.
 
Grazie a tutti per aver letto
Lau2888
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** passo 15) Assedio al settore dei Laghi ***


Buongiorno a tutti i lettori che ancora hanno voglia di seguire questa storia^^.
Comunico ufficialmente che la storia è finita (non con questo chappy!!!!). Domani pubblico il capitolo 16 e dopodomani l’epilogo.
Augurandovi buona lettura, spero che il capitolo vi piaccia^^ (l’inizio è un po’ lento, portate pazienza!!)
 
 
 
Piccoli richiami al precedente capitolo: Mimi, Matt e Mark sono alla ricerca dei digivice, sepolti insieme ai corpi dei loro vecchi compagni, su ordine di Izzy che, grazie all’aiuto di Willis, è riuscito a risolvere il mistero della macchina “ del tempo”.
Kari, Davis e Ken hanno scoperto l’orribile fine che è stata riservata da Piemon a tutti i loro amici scomparsi e, dopo un ultimo incontro con Tk, sono riusciti a scappare dal Monte Spirale. 
Nel frattempo Piemon ha deciso di porre fine ai giochi…
 
 
 
 
Passo 15) Assedio al settore dei laghi
 
Un fulmine non cade mani due volte nello stesso punto, questo una volta le era stato detto da un professore a scuola.
 
Dopo una terribile tempesta spunta sempre fuori un bellissimo arcobaleno, parole con contorni poetici sentite in film e libri.
 
Quando tocchi il fondo, non puoi fare altro che risalire, un consiglio che era stato dato dal padre nei suoi primi anni dell’adolescenza.
 
Eppure….
 
Eppure se adesso Mimi guardava davanti a se altro non poteva fare se non vedere, impotente, tutte queste convinzioni disintegrarsi.
Chiuse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime di frustrazione. Ora ne era certa, alla fine di quella giornata non ci sarebbe stato nessun arcobaleno a farla sorridere, donandole quella speranza di un futuro diverso di cui aveva tanto bisogno.
No, quando il sole sarebbe tramontato, non ci sarebbe rimasto più nulla, perché lei lo sapeva, tutto quella che amava, le sarebbe stato di nuovo portato via dal quel proverbiale fulmine che per la seconda volta era caduto, martoriando la città dove lei era cresciuta.
 
Strinse forte i pugni lungo i fianchi fino a far diventare bianche le mani. La rabbia stava invadendo il suo corpo, mischiandosi a un maledetto sentimento d’impotenza che ormai da anni l’accompagnava ovunque andasse.
 
Un intenso odore di bruciato le invase prepotentemente le narici, riportando contro la sua volontà a galla i ricordi dell’ultima volta che quell’odore e quelle sensazioni avevano preso possesso del suo animo.
 
Un vento gelido la fece sobbalzare bruscamente, decisamente, si disse, quello era il fondo e da lì nessuno di loro sarebbe più risalito.
I suoi occhi erano ancora testardamente chiusi, nonostante il caos che poco lontano da lei si stava sviluppando, si rifiutava di aprirli. No, non poteva rivivere tutto ancora una volta, non ne era semplicemente in grado.
Tremava. Nemmeno lei sapeva se era per il freddo, per la rabbia o solo per paura, ma stava di fatto che il suo corpo non ne sapeva di voler rispondere.
-maledizione!- imprecò a bassa voce sbattendo con frustrazione un piede per terra. Che cosa doveva fare? Il suo istinto le imponeva la fuga ma il suo cervello le diceva chiaramente che era inutile. Allora forse doveva seguire il suo cuore di prescelta? Quel cuore che per anni aveva chiuso a chiave, per poi riabbracciarlo quando era già troppo tardi?
 
Aprì gli occhi, sperando forse che la situazione non fosse così disperata come aveva pensato all’inizio. 
Un cielo grigio sporco accolse le sue iridi color caramello, facendogli perdere tutta la loro luce.
Due… due portali enormi sovrastavano, come buchi neri, l’intera area metropolitana, sbattendo in faccia a chiunque l’impossibilità di scappare.
Dalle spirali viola di quei gate uscivano, con una velocità allarmante, decine e decine di digimon virus. I servi delle tenebre erano arrivati e portavano con sé un unico messaggio: la razza umana è estinta.
A quella vista un improvviso senso di stanchezza l’avvolse, questo era troppo per lei e, anche se da tempo ormai si era già rassegnata al suo destino, questo non vuol dire che era ancora in grado di sopportare l’ennesima battaglia a senso unico.
 
Abbassò lo sguardo, portandosi le mani al petto. Che cosa doveva fare?
 
Una scossa di energia attirò la sua attenzione. Nella sua mano destra il suo digivice vibrava.
Ridacchiò sconsolata, nemmeno si era accorta di averlo estratto dalla sua borsa, probabilmente il suo istinto di prescelta era alla fine davvero più forte del suo istinto di sopravvivenza.
Accarezzò leggermente la superficie bianca dell’oggetto incriminato, chiedendosi se era davvero tutto finito. 
 
Alzò gli occhi ancora una volta e scosse la testa, forse la vera domanda che doveva farsi era cosa poteva fare… perché non ci voleva un genio per capire che tutti i mezzi a loro diposizione non sarebbero mai stati nemmeno lontanamente sufficienti con un numero di nemici così elevato.
La sua vista si offuscò, voleva piangere e gridare la sua debolezza, ma al solo pensiero di farlo si sentiva ridicola.
Fissò con ostinazione i portali… i nemici erano troppi questa volta…
Veramente troppi…
 
-Mimi…-
La prescelta sobbalzò, ritrovandosi trascinata di nuovo alla realtà, lontano dai quei pensieri oscuri.
Una mano diafana si appoggiò delicatamente sulla sua, stringendola in un confortevole calore che in quel momento rappresentò una piccola luce nella disperazione.
-Mimi…- la voce calma, anche se un po’ affannata del ragazzo… no, dell’uomo di cui si era innamorata, riuscì a calmare il suo animo dandole un po’ di quella forza di cui aveva tanto bisogno – sono qui…- non sei sola, sembrava dire – andrà tutto bene…- anche davanti alla caduta delle loro speranze, vedeva ancora un futuro possibile – torniamo a Digiword, lì Izzy sistemerà ogni cosa e saremo tutti di nuovo insieme- strinse la presa attorno alla sua mano regalandole assieme a quel gesto un piccolo sorriso.
 
Mimi si soffermò a guardare stupidamente come la mano di Matt fosse più grande della sua, tanto che in quella presa le sue dita sottili e ben curate sparivano nel nulla. Sorrise chiedendosi quando il ragazzo davanti a lei aveva abbandonato le sue forme delicate per trasformarsi in un uomo a tutti gli effetti.
 
Ma lei? Anche lei era cresciuta?
 
Alzò gli occhi incontrando quel piccolo sorriso che da tanto attendeva che fosse rivolto a lei e a lei soltanto. Quel briciolo di umanità che nemmeno nel fondo di quel baratro di disperazione, che era diventata la loro vita, non aveva perso e che ora era solo suo.
Sei importante per me: ecco cosa leggeva nei suoi occhi azzurri in quel momento.
 
Sorrise anche lei, prendendo in quel momento la sua decisione. –Matt, prendi il portatile e vai a Digiword…- parlò calma, cercando di ignorare la confusione che nasceva negli occhi del prescelto -… raggiungi Izzy e Joe e fate quello che dovete…- staccò lo sguardo da quegli occhi azzurri che aveva imparato ad amare e lo gettò con determinazione sulla città in fiamme -… io resto qui- nell’esatto istante in cui aveva pronunciato quelle parole un enorme peso si alzò dalle sue spalle, dandole la certezza di aver fatto la scelta giusta.
 
-Cosa? Te lo scordi!- Matt aveva risposto di getto, senza nemmeno darle la possibilità di dire altro. Non che a lui non importasse delle persone che vivevano in città, anzi, ma in quel momento sapeva che andare nel centro del ciclone significava non tornare più in dietro e, che lui sia dannato, se lasciva di nuovo fare una cosa del genere a una delle ultime persone preziose che gli erano rimaste.
 
Quando Tai se ne era andato da quel tetto anni addietro per salvare quella che lui considerava una città d’ingrati, non aveva fatto nulla per fermarlo e da allora se ne era pentito ogni giorno.
E adesso quella stupida, arrogante, insopportabile, allegra, bellissima donna occupatrice abusiva di appartamenti, voleva senza alcun motivo apparente rimanere lì a fare dio solo sa cosa.
 
-tu vieni con me!- ribatté deciso, infondo era o no il leader? – e Mark anche!- si girò verso il ragazzo dai capelli castani, dandogli un’occhiata da “non accetto rifiuti”.
-ragiona…- le disse afferrando con la mano libera la sua spalla – qui non possiamo fare nulla, ma se raggiungiamo il settore dei laghi, possiamo cambiare la storia… la nostra storia!- strano come la sua voce decisa si trasformò a ogni parola quasi in una supplica.
 
Mimi scostò lo sguardo da Matt, cercando quello di Mark. Un solo fugace contatto e i due avevano già preso una decisione.
Mark si mosse a passo marziale verso la sua macchina parcheggiata a pochi metri da loro. Prese il portatile che avevano lasciato sul sedile e lo accese. – ti ringrazio amico mio, ma anch’io rimango qui…- sorrise il ragazzo abbronzato al solo pensiero che nonostante tutto era riuscito a far breccia nel muro difensivo del prescelto e a diventare suo amico -… vado a cercare la mia famiglia…- niente avrebbe potuto fargli cambiare idea, suo padre e sua sorella erano tutto quello che aveva, non poteva rischiare di perderli -… e con un po’ di fortuna riuscirò a far scappare da quell’inferno più persone possibili-.
 
- perché?- sussurrò Matt in risposta, era arrabbiato sì, ma non con i due ragazzi – anche se ne salviamo cento non avranno un posto dove nascondersi e saranno braccati a vita – non era difficile immaginare che quelli non erano gli unici portali aperti nel mondo – l’unica soluzione per salvare tutti è andare a Digiword con i digivice-.
 
Mimi sorrise e l’abbracciò, erano entrambi irrazionali ma al contempo erano entrambi nel giusto.
Capiva perché Matt voleva portarli con sé, vedeva il suo disperato bisogno di tenere vicino quelle poche persone che amava e che gli erano rimaste… Lo capiva perché anche lei come lui voleva proteggere quel poco che la vita non le aveva ancora tolto… lo capiva, lo capiva davvero, però…
 
-grazie Matt, ma come ho detto io rimango qui!- il prescelto era così stordito dall’improvviso contatto che la sua rabbia era svanita all’istante – attirerò l’attenzione su di me e cercherò di farti guadagnare più tempo che posso- appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo biondo cercando di ricordare per sempre le sensazioni che quel gesto d’affetto le stava regalando – e poi potrei avere fortuna e riuscire a scoprire chi c’è dietro a tutto questo-.
A malincuore si staccò dal biondo, anche se il tempo a loro disposizione era finito, lei era contenta così, perché alla fine una piccola illusione l’aveva vissuta. 
 
Puntò il suo digivice verso il portatile, attendendo per pochi secondi l’arrivo di Palmon.
-benvenuta amica mia…- sorrise alla piccola pianta che per anni l’aveva accompagnata nelle battaglie nei due mondi - … e ora della nostra ultima entrata in scena- il digimon ricambiò il sorriso e attese che il potere di Mimi le entrasse nel corpo facendola evolvere in Lillimon.
 
- andiamo!- La prescelta salì con movimenti rapidi sulle spalle del digimon fata, non voleva dare al biondo nessuna possibilità di farle cambiare idea, perché questa era la sua decisione… la sua decisione egoistica.
Lei che era sempre stata la principessa delle favole che pazientemente aspettava il suo principe azzurro, per una volta sarebbe diventata il possente cavaliere dalla scintillante armatura.
Avrebbe combattuto per tenere al sicuro ciò che per lei era più prezioso.
Sorrise, chissà che cosa avrebbe detto Matt se avesse saputo che l’aveva appena paragonato a una gentil donzella in pericolo…
 
Chiuse gli occhi solo per un istante, giusto il tempo di ritrovare il suo equilibrio, in fondo quella si era rilevata una giornata piena di emozioni.
Non era il suo compito quello di cambiare il presente.
Non era la sua destinazione Digiword.
Non era lei il personaggio principale di quest’ultimo atto.
No, quello era il compito di Matt. L’unico tra di loro che era stato così testardo da non riuscire ad accettare quella che era diventata la loro realtà.
L’unico che a costo di sembrare pazzo aveva ostinatamente portato avanti un’idea che di tangibile aveva praticamente nulla.
L’unico che alla fine ci aveva veramente creduto.
Il suo sorriso si allargò, mostrando un’espressione serena.
Il suo ruolo si sarebbe concluso qui, nella sua città natale. In questo luogo dove aveva vissuto per tanto tempo con le persone che amava.
Avrebbe fatto la cosa giusta questa volta, combattendo fino al suo ultimo respiro come una prescelta.
Non aveva timore.
Non aveva dubbi.
Tutto si sarebbe sistemato alla fine.
Matt avrebbe sistemato ogni cosa, il loro futuro aveva ancora una speranza finché lui era vivo e al sicuro. E lei avrebbe fatto in modo che accadesse.
 
Fece un cenno a Lillimon che si alzò rapidamente in volo.
Un vento gelido che puzzava di morte accolse entrambe non appena abbandonarono la terra, ma nemmeno questo riuscì a cancellare l’espressione serena che era disegnata sui loro volti.
Guardò a terra un’ultima volta, Matt la stava fissando con la stessa espressione disperata che aveva quello stesso giorno, quando tutto era andato perduto per sempre.
Gli stessi occhi sbarrati con cui aveva fissato per un tempo indefinito il cadavere del padre, morto per lui.
Lo stesso volto pallido, teso nei lineamenti e nelle espressioni, con cui aveva mascherato i propri sentimenti quando era stato costretto a guardare impotente la morte di Tai e Sora.
Gli stessi pugni stretti ai fianchi con cui l’aveva visto mal celare la sua rabbia, ogni volta che un prescelto era portato via perché considerato un mostro.
E ora tutto questo adesso era per lei e solo per lei. Come poteva, la sua piccola parte di ragazza innamorata, non esserne felice.
 
- ISHIDA!- incatenò i suoi occhi a quelli celesti del ragazzo – quando rimetti tutto a posto, mi devi un appuntamento!-
Non attese una risposta, non era quella che voleva. Per lei era sufficiente che lui avesse ricevuto il messaggio.
 
Quella fu l’ultima immagine che Matt ebbe di Mimi. Un raggio di allegria e semplicità che nei momenti più bui era riuscito a rallegrargli la giornata.
Un raggio che scomparve all’orizzonte inghiottito dalle tenebre….
Matt, abbassò lo sguardo e si girò verso Mark, alla fine un’altra persona a lui importante era sfuggita dalle sue mani.
Il computer portatile si trovava a terra poco distante da lui, avrebbe potuto seguirla, sarebbe bastato solo un gesto della mano e Gabumon sarebbe apparso davanti a lui.
Si fermò ad osservarlo quasi incantato. Sì, solo un gesto…
 
-lasciala andare…- la voce dell’amico interruppe qualunque iniziativa o movimento che il prescelto accennava di fare -… è la sua scelta…- accanto alla sua macchina, Mark, lo guardava con comprensione, nascondendo a malapena un piccolo sorrisetto strafottente di chi la sa lunga -… vuole proteggere la persona che ama…- sospirò vedendo l’espressione confusa di Matt, possibile che quel ragazzo fosse così cieco? – lascia perdere…- sussurrò sconsolato, non aveva abbastanza tempo per spiegargli il magico mondo femminile.
Probabilmente i due ragazzi sarebbero rimasti lì, immobili nelle loro posizioni e nelle loro decisioni, a fissarsi. Ognuno pronto a balzare se l’altro avrebbe fatto un solo passo.
Un clima di testarda tensione li avvolse, un’atmosfera che fu spezzata da un solo e flebile suono che proveniva dal digiterminal del prescelto.
Sgranò gli occhi quando vide cosa c’era scritto, il suo più grande timore si era avverato: il settore dei laghi era sotto assedio.
 
 
 
Terra- base militare.
 
Esplosioni…
Fumo…
Macerie…
La sua base, orgoglio e fiore all’occhiello della sua nazione, era crollata a una velocità spaventosa.
Erano bastati pochi attacchi da parte di quei mostri per eliminare ogni loro forma di riparo, lasciando, i pochi sopravvissuti, scoperti e vulnerabili.
Sbatté un pugno sul muro. Quella era stata una sconfitta totale che aveva portato con sé l’inevitabile infrangersi di tutti i suoi sogni.
Chiuse gli occhi, richiamando a se tutti gli anni di addestramento ed esperienza sul campo, mai ne aveva avuto bisogno come in quel momento.
Era stato ferito nell’esatto momento in cui aveva lasciato il suo ufficio, dei digimon avvolti in un’inquietante armatura rossa scura, erano apparsi dal nulla.
Ringhiò, sicuramente era stato quel dannato clown a mandarli. Il bastardo non voleva nemmeno dargli la possibilità di combattere, schiacciando così il suo orgoglio. Oh, ma avrebbe pagato anche per questo affronto.
La gamba destra gli faceva male, il braccio sinistro era molle al suo fianco, il suo respiro era mozzato da alcune costole rotte e per finire in bellezza era coperto di sangue… purtroppo non tutto era suo.
Socchiuse gli occhi. Quanti giovani combattenti avevano perso la loro vita in quella giornata? Quanto del loro sangue macchiava ora l’anonimo cemento che rappresentava quella che era stata una gloriosa base militare?
Il generale cominciò ad arrancare con fatica tra le macerie, cercando di mettere tutto il peso del suo corpo sulla gamba sana. Si sentiva stanco, mai come il quel momento la sua età si era rivelata un tale fardello.
 
Inciampò malamente tra la polvere, tossendo sangue e perdendo per un attimo la vista, che fosse davvero arrivata la sua fine?
Si rialzò tremante, le immagini della sconfitta… no, dello sterminio che si era verificato poco prima erano ancora vive nella sua mente, prendendosi gioco di lui e della sua vulnerabile natura umana.
Uno scontro a senso unico ecco cos’era stato, i digimon si erano presi gioco di loro, uccidendoli lentamente, facendogli capire che nessuna arma in loro possesso avrebbe mai funzionato.
 
Tossi ancora, sentiva i polmoni bruciare, quasi volessero uscire dal suo stesso petto. Il suo tempo era al limite, ma a lui andava bene. Avrebbe rincontrato presto i suoi cari, ma prima li avrebbe resi fieri di lui.
Strinse la presa attorno a quella pistola nata dall’unico digivice che aveva tenuto per se. Già una volta lo aveva salvato cancellando i digimon che prima lo avevano attaccato, adesso lo avrebbe servito per una seconda volta.
 
Arrancò tra quello che rimaneva di un campo di addestramento, ritrovando determinazione e nuove energie, il suo obiettivo non era lontano, tutto quello che doveva fare era stringere i denti ancora per un po’.
Si nascose dietro una jeep ribaltata, i combattimenti non erano ancora finiti e lui non poteva rischiare di farsi vedere. Avrebbe usato quello che rimaneva dei suoi uomini come copertura per raggiungere il suo obiettivo e poi li avrebbe seguiti, affondando insieme a loro.
 
Sentiva le loro urla, ma non poteva fermarsi. Chiuse il cuore e la mente, tenendo lo sguardo fermo sulla sua ultima meta.
-finalmente…- sussurrò a se stesso, sentendo per la prima volta da anni il cuore battergli frenetico nel petto - … finalmente vedrò quel mondo maledetto…- l’adrenalina correva velocemente nel suo corpo dandogli la forza di uscire dal suo piccolo nascondiglio e muoversi, anche se con difficoltà, verso il centro della rimanente struttura – finalmente porrò fine a tutto.-
Pochi passi e si ritrovò davanti il portale che da anni desiderava aprire: il portale per il mondo digitale.
 
Alzò la mano fino a sfiorare uno di quei tanti cerchi concentrici viola che solcavano la superficie nera e instabile del gate.
Doveva toccarlo, sapere che era vero, essere certo che almeno prima di morire avrebbe avuto la sua occasione, non più di realizzare i suoi sogni, ma almeno di avere la sua piccola vendetta.
Il suo corpo fremeva a quel contatto, in un misto di eccitazione e paura, ma pazientemente attese.
All’improvviso una scarica di energia gli attraversò il corpo, quello era il segnale che aspettava: il segnale che lo avrebbe portato il quel luogo accessibile solo per chi era stato prescelto.
 
 
Riaprì gli occhi e per la prima volta ebbe la conferma che il suo istinto su quel mondo era sempre stato giusto: quello era l’inferno e da lì non c’era possibilità di uscita.
 
 
 
Digiword - Monte Spirale
 
Niente. Non era rimasto più niente.
Digiword era caduto, divorato da un esercito oscuro che nemmeno aveva dato al quel mondo la possibilità di difendersi.
Ogni settore era diventato la copia carbone della valle che circondava il monte Spirale… una copia morta e priva di speranza.
Che fine avevano fatto le verdi foreste rigogliose?
Dov’erano finite le colorate e strambe città?
Cos’era successo al perfetto cielo azzurro digitale?
 
Kari chiuse gli occhi, colpita in pieno volto da un freddo vento che sapeva di zolfo.
Chiuse gli occhi chiedendosi perché il suo destino di prescelta l’aveva costretta a svegliarsi lasciando Tk, se poi tutto quello che le rimaneva altro non era che la realizzazione del suo incubo peggiore.
Le veniva da piangere. Il vuoto che attraversava il suo cuore era incolmabile e la vista, di quella che era per lei una seconda casa distrutta, non faceva altro che far sanguinare di più le ferite della sua anima.
 
Si morse il labbro a sangue, stringendo con più forza la presa attorno alla criniera di Imperialdramon. Tutto quello che aveva fatto in quegli anni, era stato vano.
Le battaglie, gli amici che avevano perso, l’infanzia a cui avevano rinunciato e i sacrifici fatti. Tutto era stato fatto per assolutamente per nulla.
Si accasciò mollemente sulla possente schiena del digimon, chiedendosi se valeva davvero la pena rialzarsi.
Il suo corpo le faceva male, ma non era quello che la teneva inchiodata al suolo. No, il dolore fisico lo poteva benissimo sopportare ma non quello del suo cuore… quello era ormai troppo forte.
Erano inutili le parole di Ken, tanto non potevano raggiungerla.
Erano inutili i sorrisi carichi di tristezza di Gatomon, nemmeno il piccolo digimon ci credeva.
Erano inutili gli abbracci di Davis, anche quei tocchi erano diventati freddi.
Alzò lo sguardo verso il cielo, cercando un po’ di azzurro tra quelle nuvole nere cariche di odio.
 
Chiunque tu sia che hai fatto questo… hai vinto… mi arrendo.
 
Abbassò gli occhi verso le ultime persone preziose che le erano rimaste.
Scusate ragazzi. Ecco quello che dicevano le sue iridi castane. Alla fine sono solo un essere umano…
 
 
Davis piangeva mentre guardava impotente la luce di Kari spegnersi. Il corpo della ragazza era ancora vivo, ma il suo spirito non era sopravvissuto all’ennesima crudele prova che la vita l’aveva sottoposta.
- Kari…. – s’inginocchiò accanto alla forma priva di forze di quella donna che amava come una sorella -… Kari…- la strinse con tutta l’energia che gli era rimasta sperando in una sua qualunque reazione, anche un urlo o un pianto sarebbero andati bene - … sono qui… siamo qui…- si dondolavano avanti e indietro, incuranti del caos che faceva ormai da padrone nel mondo attorno a loro -… non arrenderti… non lasciarmi anche tu- perché alla fine anche l’erede del coraggio provava paura: la paura di non riuscire a proteggere ciò che amava.
 
Voltò il capo quando sentì un tocco leggero appoggiarsi sulla sua spalla. Ken era lì, accanto a lui, cercando di dargli una sorta di conforto silenzioso.
In piedi dietro di loro il ragazzo dai capelli corvini se ne stava immobile e muto, a osservare impotente i suoi due più cari amici sgretolarsi davanti a lui. Temeva che un giorno questo sarebbe successo, eppure ancora credeva in un miracolo.
Sperava davvero che un giorno avrebbero avuto una vita normale, fatta di cose comuni e noiose.
Ci sperava… ci credeva, o almeno lo voleva con tutta l’anima, ma…
 
Staccò con forza gli occhi dalle due figure tremanti ai suoi piedi e guardò la distruzione di Digiword dall’alto del volo di Imperialdramon.
Il fumo e la cenere coprivano buona parte della sua visuale.
Le fiamme inondavano le terre, cancellando il verde e prosciugando le acque.
La vita digitale piano piano saliva verso il cielo nero sotto forma di dati, che come tante piccole stelle scintillanti si dissolvevano nell’aria.
Non c’era speranza di recuperare ciò che veniva eliminato, la città della rinascita era stata il primo posto ad essere raso al suolo e ora non c’era più la possibilità di credere che il mondo digitale avesse un domani.
 
Abbassò il capo sconfitto, qualunque azione sarebbe stata solo un tentativo inutile di illudersi, perciò fece l’unica cosa che poteva e voleva fare: si sedette, appoggiando la testa su una spalla di Davis e prendendo nella propria mano quella più piccola di Kari.
Erano insieme e questo era tutto ciò che per lui era importante.
Almeno alla fine sarebbero stati insieme…
 
 
 
Digiword- settore dei laghi.
 
Una luce.
Una luce dalla forma di un cristallo…
Un cristallo fragile e tremolante…
Un cristallo della dimensione di una palla da calcio…
Ecco che cosa era rimasto della loro speranza, dei loro sogni e del loro futuro.
 
Gli occhi porpora del genio dei prescelti studiavano con attenzione ogni frammento di quel portale, cercando di trovare nel più breve tempo possibile una via d’uscita.
Sospirò pesantemente sentendosi crollare addosso tutta la responsabilità di quel progetto, che, adesso lo sapeva, non avrebbe mai visto la fine.
Il gate ora come ora era troppo piccolo perché un essere umano potesse passarci, quindi loro erano da escludere a priori. Aveva pensato a un digimon, ma sapeva che per via della sua instabilità nulla di vivo sarebbe arrivato intero dall’altra parte.
Rise tristemente. Quale parte poi? Non avevano nemmeno abbastanza controllo per decidere il quando.
Si passò stancamente una mano sugli occhi. Il loro tempo era scaduto e l’ombra della morte, con cui così a lungo avevano giocato, era lì che gli stava alitando sul collo, invitandoli a smettere di correre lontano da lei.
Aveva voglia di mettersi in un angolo a piangere. Perché? Perché proprio oggi? Perché proprio adesso che mancava così poco?
 
Spostò lo sguardo sugli unici due digivice che erano attualmente in suo possesso, chiedendosi che cosa doveva fare. Se li staccava e combattevano avrebbe perso tutto il lavoro fatto, ma se aspettava non c’erano certezze che Matt arrivasse in tempo.
 
Emise un lungo respiro tremante, cercando di coprire con quel suono le esplosioni che continuavano a martoriare quel settore la cui bellezza naturale li aveva sempre affascinati.
Alzò gli occhi al soffitto, chiedendosi distrattamente quanto di quei magnifici laghi era ancora indenne da quell’orda di digimon malvagi che dal nulla erano comparsi.
Chiuse le palpebre, tormentandosi nel pensiero che forse se loro non avessero trovato base lì, quel settore si sarebbe salvato e quella bellezza preservata.
 
Una mano si posò sulla sua spalla, costringendolo con quel tocco fermo e deciso a ritornare alla realtà – smettila di torturarti Izzy…- il genio sorrise, incredibile come il buon vecchio Joe apparisse magicamente sempre nel momento perfetto -… hai fatto del tuo meglio, non hai nulla da rimproverarti…- la stretta si fece più forte come se avesse paura di una sua fuga improvvisa - … non potevamo sapere che avrebbero attaccato oggi e non dobbiamo prenderci colpe per cose di cui non abbiamo il controllo.-
 
Izzy si girò per guardare il suo amico in volto, si sentiva meglio? No, decisamente no, ma almeno non era solo, senza contare che la vicinanza del prescelto dell’affidabilità aveva sempre avuto su di lui un grande potere calmante.
Sospirò – Joe, che cosa devo fare?- non aveva bisogno di spiegargli nulla, più e più volte avevano parlato e studiato insieme su quella dannata macchina e, anche se il ragazzo dai capelli blu non era un esperto al suo livello, ne conosceva ogni funzione e ogni dettaglio.
 
Joe fulminò quei due digivice, chiedendosi se avrebbero avuto realmente il tempo materiale di collegarne altri – tu non devi fare nulla…- staccarli e spostare tutto in un'altra parte avrebbe significato perdere definitivamente ogni possibilità di cambiare il passato -… se non aspettare che Matt arrivi…- doveva dare un po’ di fiducia al suo leader, anche se non era Tai, doveva credere che sarebbe arrivato in tempo - … io terrò a bada i nostri ospiti più a lungo che posso.-.
Gogamon si fece avanti mentre contemporaneamente il digivice e il medaglione dell’affidabilità furono avvolti in un bagliore grigio. Aveva un'unica digievoluzione al suo arco, perché una volta allontanato dalla macchina avrebbe perso ogni contatto con il suo digivice e allora non ci sarebbero state seconde possibilità, ma a lui a quel punto andava bene così.
 
Lasciò lentamente la presa sulla spalla del suo amico, congiungendo i loro sguardi per un’ultima volta. Porpora e blu si scontrarono in un pazzo vortice di sentimenti.
Paura, determinazione, rabbia, impotenza, speranza, illusione… tutto albergava nei loro sguardi tenendoli ancorati a un silenzio che altro scopo non aveva se non quello si tenerli legati lì, in un piccolo mondo tutto loro, per il più lungo tempo possibile.
Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma, dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che avevano perso, erano diventanti l’uno la famiglia dell’altro. Entrambi tenevano a quello strambo legame fraterno che si era formato sotto i laghi di Digiword.
Un legame prezioso…
Un sentimento di calore…
Un’illusione di avere ancora qualcuno accanto…
Un qualcosa a cui aggrapparsi per evitare di essere inghiottiti dall’oscurità…
E tristemente anche l’ultima cosa che ad entrambi era rimasto…
 
Forse era per questo, per respingere quella solitudine che ormai era da padrona nelle loro vite, che Izzy si aggrappò con una presa malferma al polso dell’amico.
Sapeva che l’unica opportunità che avevano era quella di guadagnare tempo per permettere agli altri di arrivare, ma saperlo non gli rendeva le cose più facili. Dove finiva il suo lato razionale quando serviva?
- non andare…- le parole del genio dai capelli porpora erano solo un sussurro… il sussurro di un bambino spaventato -… non … andare… - un mantra ripetuto, nel tentativo di esternare il vuoto che da anni attanagliava il cuore del ragazzo e che adesso sarebbe diventato incolmabile -… qui saremo al sicuro per un po’- aggrapparsi alle ultime illusioni per continuare a vivere.
 
Joe sorrise. Un sorriso triste e pieno di affetto. Era da sempre il più vecchio di tutta la squadra e questo lo aveva portato a diventare involontariamente una figura paterna per quei guerrieri mai stati bambini… vabbè, forse considerando il suo carattere leggermente ansioso era più una mamma chioccia, ma a tutti era sempre andato bene così.
 
-Izzy… io credo con tutto me stesso che Matt arriverà in tempo…- con un tocco leggero scivolò dalla presa dell’amico -… se sto qui non sarò di nessun aiuto, ma se vado fuori posso guadagnare un po’ di tempo…- non che s’illudesse di poter far molto, ma almeno poteva distrarli e portarli lontano dall’entrata della base -…e …- bloccò ogni tentativo di ribattere assumendo un tono più severo -… tu non puoi venire con me…- prese una posizione da insegnante, dio, a volte si sentiva davvero una madre -… Matt è un caro ragazzo, ma non capisce un acca di computer è fermo ancora alla carta e penna…- tentò di sorridere, odiava il pensiero di andarsene con un dramma in corso -… quando arriva gli serve che tu sia qui per far funzionare quella cavolo di macchina gigante…- si allontanò un poco, sentendosi sollevato del fatto che l’amico non stava più tentando di fermarlo -… appena è pronto saltateci dentro…- sorrise, questa volta era vero e sincero -… noi ci vedremo dall’altra parte, con tutti gli altri!- questa era la sua scommessa e cascasse il mondo era certo che alla fine l’avrebbe vinta.
 
Izzy non si sentiva rassicurato, non era tranquillo e maledizione non c’era verso che potesse essere anche solo lontanamente pronto, eppure eccolo lì, mentre annuisce in silenzio, rassegnato a seguire una decisione su cui non sarà mai d’accordo.
Una scelta questa che rimpiangerà per sempre, ma che, nonostante tutto, una parte di lui è contenta di fare, solo per la semplice speranza di avere così ancora un domani che altrimenti nemmeno esisterebbe.
Alla fine è anche lui solo un essere umano, con le sue incertezze, le sue paure e le sue debolezze.
 
 
Izzy non guardò Joe andarsene, in quel momento non ne aveva avuto la forza.
Sapeva che il peso dei suoi sentimenti, così contrastanti, sarebbe diventato troppo insopportabile se solo avesse provato a guardare quella schiena, che l’aveva protetto in tutti quegli ultimi anni, diventare più piccola fino a scomparire.
Si voltò verso la macchina, cercando di non pensare a quanti sacrifici erano stati fatti per arrivare fino a questo punto. Aveva un compito da portare a termine e nemmeno il diavolo in persona gli avrebbe impedito di concluderlo.
Lo avrebbe fatto per se stesso, per Joe, per Willis, per i suoi compagni digiprescelti e per i suoi amici digitali…
Lo avrebbe fatto perché in quel mondo, dove lui è bloccato, non c’è più posto per loro e forse non c’era mai stato…
Lo avrebbe fatto, non perché credeva e crede nel folle sogno utopistico di Matt, ma perché vuole che quella visione del futuro si realizzi diventando anche sua…
Sorride. Un piccolo e triste sorriso. Alla fine è davvero ancora un bambino che si rifiuta di credere che le favole non esistono, nonostante la realtà gli sia così crudelmente sbattuta in faccia.
 
 
Digiword- settore dei laghi- base prescelti.
 
Passi veloci rimbombavano in un eco metallico nel corridoio semibuio della struttura subacquea.
Non c’erano mai state finestre o aperture in quel luogo, ogni cosa era stata progettata per non essere scoperti da occhi indiscreti, anche se questo voleva dire perdere ogni contatto con il mondo esterno.
Eppure in quel momento Joe non aveva bisogno di vedere per sapere cosa stava succedendo fuori da quelle mura artificiali, che li avevano custoditi nell’ultimo periodo della loro esistenza.
Sapeva che alla fine di quel breve corridoio si sarebbe trovato davanti un’orda impazzita e disorganizzata di digimon virus. Un esercito composto da un numero imprecisato di mostri digitali il cui livello spaziava dal più infimo al mega.
Un ammasso di cattiveria priva di coscienza che si stava scagliando senza remore contro ogni forma di vita presente del settore.
 
Joe sentì un brivido precorrergli la schiena, ancora poco e tutto quello si sarebbe concentrato solo su di lui. Strinse i pugni, decisamente la prospettiva non era delle migliori.
Prese l’ascensore per raggiungere l’uscita più esterna, doveva allontanarsi il più possibile, più li disorientava più tempo avrebbe guadagnato per Matt e Izzy.
Si sistemò gli occhiali e portò un lungo ciuffo ribelle dietro il suo orecchio destro. Si sentiva stranamente tranquillo, come se il suo cervello non avesse ancora registrato cosa lo stava aspettando.
Sorrise, forse era quella la famosa calma prima della tempesta di cui sentiva sempre parlare.
 
L’ascensore cigolava, in suoni metallici ritmici e costanti, mentre lentamente faceva la sua ascesa verso l’alto.
Il cuore di Joe cominciò a battere più velocemente man mano che i numeri che indicavano il piano cambiavano. Fece un respiro profondo, la calma e la lucidità in quel momento erano fondamentali.
 
La porta si aprì e si trovò gettato senza sconti nel campo di battaglia.
Alzò gli occhi in uno sguardo determinato. La tempesta era arrivata…
 
 
Nello stesso istante in punti diversi del settore due portali si aprirono in contemporanea.
Entrambi i viaggiatori avevano un unico obiettivo che in quel momento si trovava nella base dei prescelti, protetto dalle acque dolci di uno dei tanti laghi esistenti.
Un solo scopo che per tutti e due rappresentava una tappa fondamentale del loro cammino, anche se il punto d’arrivo era confinato ai lati opposti.
Salvare il mondo o distruggerlo. L’ennesima corsa che alla fine avrebbe prodotto solo uno di questi risultati.
L’unica domanda che rimaneva in sospeso era: chi sarebbe arrivato per primo.
 
Continua…
 
Spero che sia piaciuto^^
A domani con l’ultimo ( e poi l’epilogo)
Un grazie e chi legge^^ (inchino)
 
Lau2888

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Capitolo 16
*** passo 16) il mio finale perfetto ***


Gentili lettori (santi che ancora seguite questa storia) come promesso ecco l’ultimo capitolo^^.
 
Avvertenza: ho postato ieri il chappy n 15 (09/09/2014)!!!! Così nel caso vi sembri manchi qualcosa….
 
Augurandovi buona lettura, spero che il capito vi piaccia^^.
 
Passo 16) il mio finale perfetto
 
Avete presenta quella sensazione che provate quando riuscite a ottenere un risultato che vi eravate imposti?
Quando dopo aver lavorato come dei muli, maledicendo il momento in cui avete deciso di intraprendere quella strada, finalmente vedete il traguardo finale?
Riuscite a sentire il battito del cuore che aumenta al solo pensiero di avere avuto la meglio?
Riuscite a gustare quel sentimento di anticipazione che fa fremere il corpo e prudere le mani?
Riuscite a trattenere quella risata liberatoria che si tramuta come un ghigno sprezzante per essere arrivati nonostante tutto e tutti?
Ecco, immaginate tutto questo e poi avvolgetelo in un cuore gelido e in una mente crudele, ciò che otterrete è un digimon che, con uno sguardo malizioso e sadico, volteggia sopra quello che una volta era un magnifico e rigoglioso settore, godendosi ogni opera di distruzione portata dal suo esercito.
Quello che otterrete è un clown che con movimenti eleganti quanto letali passeggia tra i resti digitali di un mondo che sta per crollare sotto la sua vendetta.
Un clown a cui non importa se quando il suo attacco di massa sarà concluso non ci sarà rimasto più nulla… Non gli è mai interessato di regnare, solo di dimostrare di essere il più forte.
In un mondo dettato da troppe regole e confini ben precisi, lui voleva essere l’eccezione: voleva essere libero… libero di fare… libero di esistere come più gli appagava.
Ora, che poi lui fosse solo un sadico malato bastardo di prima categoria era solo un dettaglio… una conseguenza trascurabile… una quisquilia insomma.
Come era solo un dettaglio che nel suo tentativo di esprimere se stesso avesse per caso quasi distrutto Digiword dopo averlo reso suo schiavo come quel tiranno che era…
 
Che fosse per questo che avevano tentato di ammazzarlo così tante volte?
 
 
Piemon scacciò via come un fastidio quel treno di pensieri che, quasi sicuramente, se fosse proseguito lo avrebbe riportato dritto ai suoi anni di prigionia e allora la sua rabbia avrebbe preso il sopravvento, contaminando la sua soddisfazione per la vittoria che stava per ottenere.
Non doveva pensare a quel luogo oscuro come la sua anima, dove era stato rinchiuso in solitudine per anni, solo per il fatto che aveva tentato di conquistare il mondo digitale.
Doveva solo concentrarsi su cose felici, come ad esempio la morte di quell’odioso digimon angelo che nel momento della sua vittoria contro i prescelti lo aveva battuto, chiaramente barando, e lo aveva spedito ai confini dell’universo… morte che aveva elargito personalmente con una così viva soddisfazione.
 
Ignorando totalmente la distruzione che lo circondava, provocata tra l’altro dal suo stesso esercito, proseguì con passo elegante attraverso l’ormai ex settore dei laghi.
Sollevò leggermente un sopracciglio quando dal nulla dietro i suoi digimon rinnegati apparve uno dei digimon dei prescelti.. quello che era una via di mezzo tra una tartaruga e un tricheco… come si chiamava? Zugomon? Dudamon?
Fece spallucce e continuò per la sua strada, non era con il mammifero marino gigante che aveva un conto aperto e tanto sapeva che da solo avrebbe fatto ben pochi danni ai suoi piani.
Ecco! Magari poteva mandargli contro quel pezzo inutile di ferraglia di Datamon, così se lo levava dai piedi, infondo il lavoro per cui gli aveva salvato la vita più volte in quegli ultimi anni lo aveva fatto… però a pensarci bene quando il mondo sarebbe caduto sotto la sua incredibile forza si sarebbe trovato solo e annoiato.
Sospirò e si prese il mento tra il pollice e l’indice, forse poteva tenerlo ancora per un po’ e usarlo, non so, come tiro al bersaglio.
Annuì a se stesso mantenendo il suo umore alle stelle, oggi non solo avrebbe conquistato il suo giusto posto nel mondo, ma avrebbe anche chiuso il suo ultimo conto in sospeso il prescelto che aveva deciso di lasciare per ultimo.
Il suo sorriso si trasformò in un ghigno crudele – Matt Ishida- sussurrò il nome del ragazzo biondo con tutto l’odio che possedeva – oggi prenderò il tuo futuro e la tua vita- in fondo lui lo aveva sempre detto: la vendetta è un piatto che va servito freddo.
 
Abbassò gli occhi e osservò il suo riflesso nelle acque del lago. Tutti quegli anni di pianificazione e macchinazione nell’ombra avevano dato i loro frutti. Sbuffò e pensare che tutto era iniziato con una stella e un desiderio espresso dal profondo del suo odio.
 
 
 
Settore dei laghi- laboratorio dei prescelti.
 
Quel luogo, avvolto da acque fredde, era silenzioso e vuoto come mai era stato in tanti anni. Dopo che Joe se ne era andato, Izzy, a malincuore, aveva spento tutto tranne il generatore che teneva in vita la macchina.
Era un gesto disperato e niente di più, fatto nella flebile speranza di guadagnare più tempo che poteva.
 
Doveva nascondersi, nascondere la presenza di quel laboratorio. Se non lo avessero trovato fino all’arrivo di Matt, allora il suo migliore amico non si sarebbe sacrificato per nulla.
-… Joe…- un sussurro tremante e appena udibile, uscì miseramente dalle labbra del genio. Non lo aveva fermato perché la sua mente logica e razionale gli aveva detto che era giusto fare così, ma adesso se ne pentiva amaramente. -… Joe…- ironico come fosse proprio quella sua stessa parte che ora gli stava dicendo, con una freddezza assoluta, che il suo unico affetto rimasto non sarebbe più tornato.
 
Sospirò pesantemente, lasciando scivolare il suo corpo stanco contro una delle gelide pareti metalliche. Voleva… no, doveva zittire quel suo dannato e insicuro cervello. Doveva credere che tutto alla fine sarebbe andato bene…
Doveva credere in Joe, che in qualche modo ce l’avrebbe fatta…
Doveva credere in Matt, che presto sarebbe arrivato da uno qualunque dei computer presenti…
Doveva credere nei suoi amici, che presto sarebbero arrivati ad aiutarlo…
Doveva… doveva… allora perché quella dannata voce gli continuava a dire che erano solo illusioni?
 
Appoggiò la testa sulle ginocchia, stringendole maggiormente vicino al suo petto. Aveva dovuto spegnare anche il riscaldamento e ora la naturale temperatura fredda delle profondità del lago cominciava a farsi sentire.
 
Chissà, si chiese, forse avrebbe dovuto uscire anche lui? Certo, fuori era pericoloso, ma era sempre meglio che restare lì, isolati dal mondo esterno, senza la più pallida idea di che cosa stesse succedendo.
Sospirò sconfitto. Perché diavolo aveva spento anche le telecamere esterne?
 
Chiuse gli occhi lasciando che la semioscurità di quella stanza dove aveva passato così tante notti, l’avvolgesse completamente. Forse così avrebbe potuto fingere, anche se solo per pochi attimi, che tutto sarebbe andato bene.
Voltò il capo, vedendo il suo volto riflesso in una delle tante superfici di metallo presenti nella stanza. Forse sarebbe stato meglio mantenere gli occhi chiusi, così almeno non avrebbe visto la sua stessa bugia.
Il suo viso, così segnato dai dolori e dalle battaglie, amaramente tradiva queste sue speranze, mostrando un volto serio e dannatamente più vecchio di quello che avrebbe dovuto essere.
Nella semioscurità di quel luogo, ormai solo illuminato dai flebili raggi del portale che avevano così faticosamente creato, la figura del prescelto appariva più piccola e fragile di quanto mai era stata. Per la prima volta in tanti anni il ragazzo si sentiva di nuovo solo e perso in quella oscurità, sapendo bene che questa volta ne Joe ne Tai sarebbero potuti venire e tirarlo fuori a forza.
 
Pensieri e sentimenti negativi che, fortunatamente o sfortunatamente per il genio, ebbero breve durata, considerando soprattutto la grave situazione in cui si trovavano.
- ma che…?- sollevò la testa di scattò, spalancando gli occhi e tendendo le orecchie. La stanza era avvolta da un inquietante silenzio, tanto che anche il suo stesso respiro risultava assordante.
Il prescelto della conoscenza si alzò lentamente, poteva anche essere stato perso nei suoi pensieri ma il suo istinto di sopravvivenza era sempre allerta.
Aveva sentito uno schianto proveniente dal corridoio che andava verso le camere e la cosa gli aveva dato una bruttissima sensazione.
 
Si mosse senza fare rumore verso la porta blindata che separava il laboratorio dal resto della struttura. Doveva controllare e assicurarsi che nessun digimon rinnegato avesse fatto irruzione nella loro base.
Chiuse gli occhi e si ritrovò a pregare intensamente che così non fosse, altrimenti tutto sarebbe finito.
 
Ad ogni passo che faceva sentiva il suo battito cardiaco accelerare. Non era armato e aveva inviato tentomon a guardia dell’entrata principale… grande, pensò, era solo, indifeso e al buio, meglio di così non poteva andare…
 
Uscì dalla porta, cercando di abituarsi alla totale oscurità e se la richiuse alle spalle, bloccandola con i codici di accesso manuali… se proprio volevano quello che c’era dentro avrebbero dovuto sudarselo.
 
Un altro rumore lo fece sobbalzare. Qualcosa di metallico sembrava essere caduto e, sfortunatamente per lui, non era nemmeno molto distante.
Tentò invano di calmare il suo respiro, in quel dannato silenzio ogni suono anche il più piccolo diventava un eco assordante.
L’unica cosa positiva, pensò, era non aver portato la torcia elettrica, altrimenti l’avrebbero individuato in tre secondi.
 
Si appoggiò alla superficie fredda e liscia del muro, se proprio doveva muoversi nell’oscurità di una base senza luce, almeno doveva avere una guida per non fare chiasso e farsi scoprire.
Si mosse lentamente in avanti, tenendo gli occhi e le orecchie spalancate, chiedendosi a ogni passo se davvero quella fosse stata un’idea intelligente.
- probabilmente Joe mi farà una bella ramanzina…- un sorriso triste nacque insieme a queste poche parole appena pronunciate, ma perfettamente udibili in quel desolante silenzio che ormai avvolgeva la struttura.
- perché? Che hai fatto?- una voce tranquilla fece dal nulla capolino alle spalle del prescelto della conoscenza, facendolo staccare dal muro con cui si era quasi fuso e balzare almeno tre metri lontano dalle suddetta fonte di suoni.
-aaaahhhh… stai lontano…- pronto a correre di nuovo nel suo blindato e sicuro laboratorio, Izzy, prese in mano in primo oggetto che trovò a disposizione, pronto a scagliarlo contro chiunque avesse difronte – brutto…- ma si fermò quando una luce proveniente da una torcia elettrica illuminò l’invasore preso di mira dal genio -… brutto… mostro??- che ora lo fissava con aria assente cercando di mettere insieme i pezzi.
- Izzy! Che diavolo ti prende?- se prima la voce era tranquilla ora era molto seccata – che ci fai qua fuori al buio?- e stanca, visto che la persona che aveva davanti doveva averne passate tante per arrivare lì – e per quale assurdo motivo hai in mano una scopa?- che stranamente lo faceva sembrare tutto tranne che minaccioso.
- uh? – sbattè le palpebre più volte il ragazzo dai capelli rossi, aspettando che il cuore tornasse a battere normalmente – Matt?-
Il sopracciglio dell’attuale leader dei prescelti si contrasse un paio di volte, mostrando il suo famoso tic da “mi sto per incazzare” che aveva sviluppato dai continui litigi con Tai – si, Izzy, sono io… sai quello che hai mandato a scavare tombe in pieno giorno…- mise le mani in tasca, tirando fuori i preziosi digivice che aveva recuperato quel pomeriggio -… per prendere questi!-.
Al giovane genio si illuminarono gli occhi al solo vedere il suo amico, vivo e corporeo, davanti a lui con niente di meno di due digivice – Matt!- mollò la scopa e con un scatto felino balzò verso il ragazzo biondo, se per abbracciarlo o per trascinarlo al sicuro nel laboratorio ancora non sapeva – perché ci hai messo tanto?- fu solo per caso che l’euforia di Izzy non gli permise di notare lo sguardo truce che l’attuale leader gli stava rivolgendo, altrimenti forse se ne starebbe stato zitto in un angolo.
-Izzy….- non badò nemmeno a come la pronuncia del suo nome ricordava improvvisamente un ringhio mal trattenuto, l’unica cosa che riusciva a pensare era che forse, alla fine, tutto quello che avevano fatto non sarebbe stato vano.
Prese tra le sue mani i digivice, trattenendoli stretti a se come se fossero la cosa più preziosa del mondo… e forse, pensandoci bene in quel momento lo erano.
 
Il giovane genio partì a passo deciso verso il laboratorio, l’ansia e la paura di poco prima erano ormai solo flebili ricordi, sentendosi euforico come non lo era stato per anni. Questa era la fine del suo più importante progetto e l’inizio di una nuova vita… una nuova vita degna di essere vissuta.
 
Inserì i codici di accesso e attese l’apertura della porta blindata che conduceva al laboratorio.
Sorrideva infantilmente. Si sentiva uno sciocco, ma non poteva farne a meno. Era come se fosse stato immerso sott’acqua senza poter respirare per tanto tempo e adesso, finalmente, vedeva la luce che conduceva all’uscita.
 
-Izzy…- Matt scosse la testa e sospirò stancamente. Sentiva la sua rabbia scemare velocemente davanti alla genuina felicità dell’amico, lasciando in lui solo il pesante fardello degli ultimi avvenimenti.
Il prescelto dell’amicizia abbassò lo sguardo, cercando di riporre in un angolo remoto della sua mente le ultime immagini che gli erano rimaste dei suoi amici. Non voleva ricordare le loro figure che si allontanavano da lui per andare a combattere una battaglia persa. Non doveva… non poteva… altrimenti, lo sapeva, il suo fragile mondo sarebbe crollato e con lui anche l’unica vera speranza che gli era rimasta.
Doveva concentrarsi sulla missione, anche se a mente lucida sapeva che non avrebbe più rivisto in questa vita Mimi, Mark e Joe… ma infondo ora la sua missione erano diventati anche loro.
Sorrise sinceramente mentre guardava Izzy saltellare nell’attesa che i codici di accesso venissero accettati -… dai, entriamo e chiudiamo questa storia- il ragazzo più piccolo volse il capo verso di lui guardandolo con occhi carichi di speranza e, per la prima volta da quando erano piccoli, di felicità…Una felicità che purtroppo ebbe vita breve.
 
La porta del laboratorio si aprì e in quel frangete tutto crollò.
Accadde tutto in attimo, così velocemente che il prescelto biondo non era nemmeno riuscito a muovere un muscolo, eppure per lui che era lì la scena sembrava svolgersi al rallentatore.
 
Il rumore nauseabondo di qualcosa che si rompeva accanto a lui.
 
Quegli occhi porpora che fino a un secondo fa emanavano luce ora si erano spalancati in una smorfia di orrore.
 
Un liquido rosso ricopriva per la seconda volta le sue vesti e le sue mani… e per la seconda volta non apparteneva a lui.
 
Una risata echeggiò in quel corridoio facendo rabbrividire istintivamente i due ragazzi.
-non potrei essere più d’accordo- gli occhi di Matt si spalancarono davanti all’orribile vista di Piemon, uno dei suoi incubi peggiori, in piedi dietro a Izzy con due spade conficcate saldamente nel petto del ragazzo.
 
-no…- sussurrò il ragazzo incredulo, incapace di muoversi o solo di levare gli occhi da tutto quel sangue –non è possibile- se era riferito alla presenza del digimon o alla ferita di Izzy, questo neanche lui lo sapeva, tutto quello che la sua mente confusa riusciva a trasmettergli era il forte desiderio che quello fosse solo un orribile incubo da cui si sarebbe presto svegliato.
 
Piemon guardò i volti pallidi e contorti da un’espressione di dolore dei due ragazzi e non si trattenne, ne aveva un vero motivo di farlo. Rise, gustandosi la morte del più giovane e la realizzazione del fallimento del prescelto che più di tutti lo aveva ostacolato.
 
Il corpo di Izzy scivolò a terra, senza vita e con ancora quelle lame conficcate nel petto. Cadde privo di peso, come una bambola a cui erano stati tagliati i fili… una bambola che non si sarebbe più rialzata.
 
Matt si ritrovò senza fiato, mentre guardava impotente la fiamma della vita spegnersi in quegli occhi porpora che fin da bambino brillavano di un incredibile fame di conoscenza e curiosità.
Una fiamma che negli anni si era affievolita ed a volte oscurata, ma che era stata sempre presente e che aveva spinto il giovane prescelto a continuare a sperare.
Cerano tante cose che in quel momento passavano nella testa di Matt, eppure, tutte apparivano insignificanti davanti a quel rosso così intenso che così terribilmente stonava con il volto pallido di Izzy ed lo scuro e freddo pavimento in metallo.
La sua parte logica sapeva che era in pericolo…
Il suo istinto gli urlava di scappare…
Il suo cuore sussultava davanti al crollo di tutti i sui sogni utopistici…
Eppure… niente veniva davvero percepito dal ragazzo.
Sentiva i suoni attutiti, anche se poteva giurare che qualcuno stesse follemente ridendo in sottofondo.
Sentiva il dolore provenire dalle sue mani, tenute così strette da farle sanguinare.
Sentiva il brividi di freddo e il suono delle scorrere dell’acqua, ma la sua mente annebbiata non riusciva nemmeno a registrare semplici fatti.
Tutto era finito…
Tutto il loro lavoro, tutti i loro sacrifici, tutte le loro battaglie… tutto si era trasformato in cenere e da lì nulla sarebbe potuto rinascere.
 
Poi qualcosa ebbe finalmente il potere di far staccare i suoi occhi azzurri dal corpo straziato di Izzy. Era un calore immenso e concentrato, che, da una singola fonte alle sue spalle, partì vorticosamente alla ricerca di un solo obbiettivo – soffio infuocato!- voltò la testa, seguendo quella voce roca che da anni stava al suo fianco senza chiedere nulla in cambio.
-Gabumon…- un sussurro e quella coltre di nebbia che attanagliava la mente del ragazzo cominciò a svanire. Osservò, all’inizio con aria distratta, quelle fiamme dai colori freddi nascere dal suo digimon e propagarsi verso un punto preciso davanti a se.
Spalancò gli occhi quando le vide scontrarsi contro una lama che, dalla traiettoria da cui era stata lanciata, lo avrebbe sicuramente colpito.
Strinse i pugni. Era successo di nuovo. Si era abbandonato nel rifiuto e aveva dimenticato il mondo attorno a lui.
Aveva lasciato che le sue esperienze passate avessero la meglio sul suo tanto vantato, ma al contempo inesistente, autocontrollo, gravando, ancora una volta, il suo digimon del compito di salvarlo.
-Gabumon!- stavolta non era un sussurro ma un ringhio deciso, pieno di rabbia e frustrazione – pronto a digievolvere!- e la sua pietra fremeva, come il suo spirito, nel desiderio di combattere.
Le fiamme del digimon lupo si erano estinte, ma i loro effetti erano ancora vivi, proteggendoli, almeno per il momento da quella risata che ancora si echeggiava nel corridoio e che non prometteva nulla di buono.
Il fumo, che si era generato da quel solo scontro di poteri, era ancora presente, avvolgendo i due avversarsi nella paura e nell’attesa della battaglia.
Matt strinse saldamente il suo digivice, invocando l’energia azzurra della sua digipietra che già piano piano cominciava ad avvolgere il piccolo computerino bianco.
-Matt…- il pelo di Gabumon di drizzò, era più che pronto, perché lui, a differenza del suo prescelto aveva ben visto chi era il loro avversario -… i digivice…- sussurrò appena, indicando con un flebile gesto della zampa guantata quei preziosi oggetti che ora giacevano accanto al corpo immobile di Izzy.
Il prescelto scosse lentamente il capo – Sono inutili…- era triste ammetterlo, perché significava che indipendentemente da tutto quello che avrebbero potuto fare da quel momento in avanti, erano sconfitti e relegati per sempre in quel mondo ormai paragonabile solo all’inferno - … io non so far funzionare la macchina, solo Izzy e Joe…- si morse il labbro e scostò lo sguardo da davanti a se. Anche se il fumo era ancora presente il corpo di Izzy era un elemento impossibile da non vedere e, per quanto la sua mente cercasse di mettere in secondo piano le emozioni, non poteva negare l’enorme vuoto nel petto che lo divorava al solo pensare ai suoi due compagni.
 
Alzò il capo di scatto. Quello non era il tempo di piangere i suoi compagni.
Un riflesso aveva bruscamente risvegliato i suoi istinti.
Una spada era stata sguainata.
Il loro ultimo scontro stava per iniziare.
-Gabumon… ora!- il piccolo digimon scomparve in un vortice di dati, lasciando il posto alla sua controparte di livello mega.
Il digimon lupo signore dei ghiacci e protettore dell’amicizia era pronto a scendere in campo.
-Questo è decisamente poetico…- una risata si fece eco alla fine della digievoluzione dell’ultimo prescelto rimasto in campo -… non trovi Matt?- la voce sarcastica del loro avversario, tratteneva a malapena tutto il divertimento che provava – insomma, nonostante sia rimasto solo tu, hai deciso comunque di combattermi…- passi cadenzati si facevano lentamente largo nel corridoio -… esattamente come fece il tuo adorabile fratellino l’ultima volta…- il suo tono cambiò, accennando note di rabbia e disprezzo.
 
Matt sbiancò sentendosi mancare il fiato. Quella voce la conosceva… la conosceva fin troppo bene.
Quante volte aveva avuto incubi su quella dannata battaglia sul Monte Spirale…
Quante volte aveva sognato di essere arrivato troppo tardi per salvare Tai…
Quante volte aveva rivissuto le scelte che aveva fatto, dannandosi per il suo egoismo e per le sue insicurezze…
Quante volte in quelle poche settimane di battaglie estenuanti aveva rischiato di perdere i suoi amici e suo fratello… Quante? Tante… Troppe… e tutto solo per colpa dell’odio e della cupidigia dello stesso digimon che ora era di nuovo di fronte a lui, ghignando, prendendolo in giro, sapendo che alla fine gli aveva veramente portato via tutto.
-Piemon…- un sussurro appena pronunciato – non è possibile…- scuoteva inconsciamente il capo, mentre i ricordi di quegli anni tornavano a galla impetuosi – Magnangemon ti aveva imprigionato…- lui si era stato libero e dio solo sa da quanto tempo – l’equilibrio delle digipietre ti teneva richiuso…- come in un complicato puzzle tutti i pezzi andarono al loro posto e fu allora che la confusione e la paura si trasformarono in rabbia e odio.
Strinse i pugni e assottigliò lo sguardo – TU!- tutto quello che avevano passato in quegli ultimi anni, tutto quello che avevano perso, tutto era stato manovrato da lui – Sei stato tu!- il marionettista che aveva giocato con le loro vite – è tutta colpa tua!- le aveva prese e alla fine le aveva distrutte – tutto questo è opera tua – due mondi distrutti da un unico essere malvagio in cerca di vendetta.
 
Metalgarurumon si spostò in un lampo, frapponendo il suo stesso corpo fra il suo prescelto e quel digimon malvagio – Matt, cosa facciamo?- i suoi occhi erano puntati sul suo nemico, sapeva quando fosse pericoloso e, fosse anche l’ultima cosa che faceva in questa vita, non l’avrebbe fatto avvicinare al suo prescelto –Matt?- sentiva la rabbia salire dal corpo del ragazzo, incontrollata e impetuosa stava divorando la sua lucidità mentale che, sfortunatamente per loro, in quel momento gli serviva tutta.
 
-che ti aspettavi umano? Che quella prigione mi tenesse rinchiuso per sempre?- lentamente, pregustandosi ogni momento, il clown si avvicinò alle sue ultime vittime – una prigione di luce…- un passo, ricordando l’attimo in cui quella porta d’orata, solcata da mistici simboli, si richiuse beffarda precludendogli la tanto agognata vittoria -… una cella di ombre…- un passo, mentre malediceva quel mondo oscuro, privo di forma e vita, in cui volevano sigillarlo per l’eternità -…mantenuta in vita dal potere di un mucchio di marmocchi e dai loro mielosi sentimenti …- un altro passo, più deciso, quasi rabbioso. Lui, il più potente padrone delle tenebre tenuto prigioniero da sentimenti che nemmeno nei suoi incubi più scuri avrebbe voluto conoscere.
Si fermò sogghignando, questo era il suo momento. – anche se devo ammettere che mai mi sarei aspettato che questo stesso universo mi avrebbe regalato una via di fuga…-  estrasse una delle sue spade dal corpo immobile di Izzy, trattenendosi a stento da emettere un lamento di puro piacere nel farlo -… un desiderio ricolmo d’odio e ho ottenuto una chiave perfetta.- scostò gli occhi dalla sua ultima vittima, cercando la realizzazione sul volto del prescelto biondo.
 
Matt era furioso e metalgarurumon lo sapeva, avrebbe fatto da un momento all’altro una sciocchezza… una sciocchezza che gli avrebbe sicuramente costato la vita. La vita dell’ultimo prescelto rimasto.
Alzò il muso metallico con un movimento fiero ed elegante, ignorando le parole arroganti di quel digimon malvagio. Non aveva bisogno di pensare a che cosa fare, il suo compito, il suo obbiettivo era sempre stato uno e uno solo dal momento in cui era nato.
Vide con la coda dell’occhio il corpo di Matt muoversi, pronto ad attaccare quel clown con il solo scopo di cercare vendetta. Fu più veloce, in fondo era un potente digimon mega.
La porta del laboratorio era ancora semiaperta e anche se non indistruttibile era pur sempre blindata. Forse, pensò il digimon lupo, avrebbe potuto ottenere un po’ di tempo.
Con un movimento deciso spinse il ragazzo oltre la porta, veloce la richiuse alla sue spalle e con un unico attacco la sigillò. Infondo se la sua armatura era dotata di un raggio laser un motivo doveva pur esserci, giusto?
Si voltò alla ricerca del suo avversario. Doveva stare attento, sicuramente quell’essere subdolo non si sarebbe arreso per così poco.
 
-Uh Uh…- una leggera risata che nella penombra di quello stretto corridoio aveva il potere di apparire ancora più sinistra -… sembra che siamo rimasti solo io e te…- il clown fece la sua comparsa assumendo un elegante posizione d’attacco -… beh, facciamo in fretta, ho un prescelto da uccidere!- sguainò un'altra spada decretando l’inizio della battaglia dell’ultimo digimon dei prescelti rimasto.
 
 
- METALGARURUMON!- l’urlo del prescelto rimbombò nel laboratorio deserto.
Si era ritrovato dal nulla scaraventato all’interno della stanza, sdraiato sul freddo pavimento, senza nemmeno aver avuto mezza possibilità di reagire.
-APRIMI!- chiuso, all’interno di quel posto che era sempre stato il regno di Izzy. Sigillato, dietro una porta blindata, dal suo stesso digimon che, traditore, lo aveva allontanato dalla battaglia solo per tenerlo al “sicuro” –METALGARURUMON…- una sedia venne con ferocia scaraventata contro il metallo che lo separava dalla sua vendetta - … APRIMI SUBITO!- un pugno, un calcio… tutto solo per poter uscire da lì. Tutto solo per non nascondersi di nuovo – METALGARURUMON!- tutto per non arrendersi – METALGARURUMON!- una lacrima scese incontrollata da quelle iridi del colore del cielo – Metalgarurumon…- la voce si spegneva lasciando solo il sangue e le lacrime a testimoniare la furia di un giovane uomo a cui l’unica consapevolezza che gli restava era quella di essere rimasto da solo.
- Metalgarurumon- la sua voce divenne solo sussurro, lasciando che la stanchezza della realtà cadde sull’ultimo prescelto rimasto.
Il suo volto era giovane ma la sua anima, che così brutalmente traspariva da quegli occhi così chiari, era vecchia, logorata e stanca delle mille battaglie.
- Metalgarurumon…- il corpo del prescelto cadde pesantemente al suolo, privato della forza di continuare – non lasciami…- addossato a quella stessa lastra di metallo che lo separava dal suo compagno digitale – …almeno tu..- consapevole che nel momento in cui quella porta di sarebbe aperta davvero, avrebbe avuto la crudele certezza di aver perso tutto, anche la più flebile speranza – …non  lasciarmi.-.
Appoggiò la testa sulle ginocchia sentendo l’adrenalina scomparire del tutto. Ora che la rabbia se ne era andata non aveva più nulla che lo spingesse a combattere, ormai sapeva che tutto quello che doveva fare era attendere.
Un attimo di apatia che aveva il solo scopo di annunciare una nuova tempesta.
 
I suoi occhi si spalancarono all’improvviso e il suo istinto si risveglio prepotentemente cavalcato dal battito impazzito del suo cuore.
Quella porta, il cui freddo metallo era stato per lui così poco accogliente, era diventata rovente, tanto da rendere impossibile l’immediata vicinanza.
Reagì seguendo solo il puro istinto, riuscendo ad allontanarsi pochi attimi prima che quel resistente metallo si sciogliesse come burro, lasciando solo un’apertura malforme su un corridoio buio.
In quel momento, dopo tutti quegli anni di lotte, la consapevolezza di essere solo un topo in trappola, a cui erano state tolte una per una ogni possibilità di fuga, lo investì prepotentemente.
Non aveva nessuna possibilità, nessun piano B, nessuna arma, nessun domani… niente. Era solo in quella stanza ricoperta di metallo che fino a poche ore prima era stata la rappresentazione vivente di tutte le loro speranze.
Solo con il suo peggior incubo.
- Prescelto… Prescelto…- incubo che stava lentamente entrando dal quel buco informe creato in pochi istanti nel metallo – dove sei mio piccolo prescelto?- canzonando la sua sconfitta e quella ora certa del suo digimon.
Assottigliò gli occhi elargendo un numero imprecisato di insulti mentali. Oh col cavolo che finiva così!
Si alzò di scatto dal punto in cui era rifugiato dal calore e semplicemente corse.
Non era per paura. No, quella l’aveva da un bel pezzo seppellita in quell’acuto dolore che era diventata la sua anima.
Non era neppure per cercare una qualsiasi forma di vendetta, in cuor suo sapeva che non gli avrebbe mai ridato niente di quello che gli era stato strappato via.
Solo corse perché doveva farlo. Perché il suo istinto di prescelto lo aveva spinto muoversi verso una direzione precisa e, anche se sembrava incredibile dirlo, neppure lui sapeva quale.
Spalancò gli occhi e, nella sua disperazione, sorrise davanti al destino beffardo. La macchina creata da Izzy in pochi secondi era davanti a lui, attiva, in funzione e perfettamente illesa.
Si bloccò, solo per un’istante, davanti a quella struttura. Sentendo il bisogno di fare qualcosa, ma non sapendo cosa fosse.
Un’istante in cui i suoi occhi si persero nei riflessi arcobaleno creati dai cristalli di quel piccolo portale.
 
Un’istante che fu più che sufficiente per Piemon.
 
 
 
In quella prigione di oscurità lui aveva riprodotto tante volte nella sua mente quello che sarebbe stato il suo finale perfetto.
Come una favola, in quel mondo solitario, si era raccontato quello che sarebbe stato il suo percorso di vendetta che un giorno avrebbe sicuramente intrapreso.
Ogni singolo dettaglio era stato studiato con una tale minuzia e precisione da non lasciare nulla al caso. Tutto per lui doveva essere perfetto.
Era la sua rivincita.
Era il suo finale.
Era il suo trionfo.
E lui ne voleva assaporare ogni momento, giocandoci, gustandolo e, perché no, facendolo anche durare il più che poteva.
Per questo, e solo per questo, aveva accettato quella specie di nascondino che aveva intrapreso con i prescelti.
Voleva godere del loro tormento, respirare ogni loro attimo di disperazione e infine essere presente quando finalmente anche la loro ultima speranza sarebbe crollata.
Il suo finale perfetto.
Eppure nel momento in cui i suoi occhi si posarono sull’ultimo prescelto capì che non sarebbe quello che avrebbe ottenuto, o almeno non del tutto.
 
- Illuso…- il clown sogghignò quando vide il ragazzo alzarsi e correre -… piccolo topolino illuso – per lui era tempo di iniziare l’ultimo atto.
- Giochiamo…- il suo ghignò si allargò, deformando i suoi tratti aristocratici – non correre, giochiam…- si bloccò perdendo improvvisamente tutta la sua arroganza.
Estrasse le spade sentendo il sangue gelarsi vene. Il ragazzo non era più un pericolo, di questo ne era certo, ma il bagliore blu nato attorno al collo del prescelto, era tutta un’altra cosa.
Già una volta la luce di una digipietra aveva segnato la sua sconfitta e di certo lui non avrebbe mai commesso due volte lo stesso errore.
La prima volta l’aveva ignorata, ora non la lascerà nemmeno nascere.
Quella semplice luce aveva il potere di cambiare le sorti di interi mondi, sottovalutarla, anche per un digimon orgoglioso come lui, sarebbe stato da stupidi.
Per questo, nel momento in cui il ragazzo si era fermato, aveva lanciato il suo attacco.
Per questo, aveva rinunciato alla sua soddisfazione finale, nonostante il prescelto fosse privo di difese e girato di spalle.
Per questo e solo per questo aveva inchiodato con le sue spade il busto dell’ultimo prescelto a quell’ammasso di ferraglia e fili che, per i prescelti, rappresentava così tanto.
Sorrise, quando vide le sue lame penetrare in quelle carni, bloccando in posizione eretta il corpo del ragazzo contro la macchina.
Sorrise, ghignò e infine rise apertamente. Aveva vinto. L’ultimo era caduto proprio ai piedi della loro sola speranza. Anche se non come se lo era immaginato aveva ottenuto il suo finale perfetto.
 
 
 
 
Questa è fine che ti meriti…
Un colpo è tutto ciò che aveva, ma alla fine un colpo è tutto ciò di cui aveva bisogno.
Aveva sognato per anni il giorno in cui avrebbe varcato le porte del mondo digitale, perché quello sarebbe stato il giorno in cui quel mondo gli avrebbe ridato gli affetti che gli aveva ingiustamente tolto.
Era stanco e la sua divisa militare, appesantita dal suo stesso sangue, gli rendeva ancora più difficile respirare.
Strinse tra le sue mani quella piccola pistola nata dall’unico digivice che era riuscito a sottrarre a Piemon. Sorrise guardando quell’oggetto, quel clown non era così furbo come pensava.
 
Questo è il mio finale…
Era  un sopravvissuto, lo era sempre stato. Anni di guerre e di sacrifici lo avevano formato, creando quel generale dalla sguardo freddo e dall’animo solitario.
Ma questo… questo mondo non suo, ormai distrutto da uno dei suoi stessi abitanti, sarebbe stato il suo capolinea.
Sorrise, alla fine avrebbe realizzato il suo desiderio, avrebbe rivisto sua moglie e suo figlio, solo non nel modo in cui sperava.
Si trascinò a fatica tra i corridoi di metallo. Sentiva la sua vita scivolare via velocemente, ma solo per questa ultima volta l’avrebbe trattenuta.
Infondo aveva ancora una cosa da fare…
 
Anche se non è quello che aveva immaginato…
Le pareti in quel punto erano calde, come se qualcosa di molto potente le se avesse fuse.
Seguì quel calore, passando la mano sulla superficie liscia. Lo seguì, in quei corridoi bui, fino al momento in cui il metallo divenne informe.
Sorrise, aveva trovato il passaggio.
 
Alla fine è il mio finale perfetto.
Vita o morte per lui non avevano più valore. Non gli importava del corpo del ragazzo dai capelli rossi che giaceva abbandonato nel corridoio, come non gli importava di quello probabilmente ancora vivo trafitto delle spade del malvagio digimon.
No. Una volta forse, qualcosa si sarebbe mossa nella sua anima, alla vista di quei ragazzi così giovani ricoperti del loro stesso sangue. Una volta… ma ora… ora non era più rilevante, perché infondo tutto quello che aveva era un colpo solo.
- … è finita…- Sorrise serenamente nel momento in cui il suo corpo si accasciò al suolo, mentre in lontananza l’eco di uno sparo rimbombava nel laboratorio.
 
 
 
La risata del clown si arrestò di colpo.
Una sensazione che mai aveva provato prima attraversò ogni cellula digitale del suo corpo distruggendola.
Un rumore che mai si era preoccupato di conoscere echeggiò nella stanza, beffandosi della sua ignoranza.
Una persona, che pensava fosse solo uno scarafaggio in suo potere, si accasciava al suolo poco lontano da quell’apertura che lui stesso aveva creato.
Non capiva. Non aveva avuto il tempo di capire, perché in pochi istanti il sua esistenza digitale sparì in milioni di minuscoli frammenti.
Il clown era caduto per mano di quel mortale che lui stesso aveva reso nemico di digiword e, ironia, per il colpo di un’arma che lui stesso aveva indirettamente contribuito a creare.
 
 
 
 
Il silenzio avvolse improvvisamente quella stanza, la cui unica fonte di vita ormai pareva essere solo quel brillante portale, troppo piccolo e instabile per essere davvero qualcosa di diverso di una fonte di luce.
Matt gemette tentando di rimanere lucido. Troppo era successo in quei pochi minuti. Troppo era così inaspettatamente cambiato.
Si mosse lentamente, cercando di mettere insieme i suoi pensieri. Era davvero tutto finito? Piemon, il suo incubo da quando aveva dodici anni, era finalmente morto?
Si bloccò, cercando di trattenere l’istinto di vomitare. Quelle lame che spuntavano dal suo petto e che lo tenevano ancorato al metallo, non erano davvero un bello spettacolo.
-stronzo…- sussurrò a denti stretti -… infido di un clown…- due lame nel petto ed era ancora vivo -… l’ha fatto apposta.- perché quelle lame che mancavano in modo così chirurgico i suoi organi vitali, erano una vera presa in giro.
Sospirò cercando di calmarsi. Solo il dolore gli impediva di sfogare la sua frustrazione prendendo a pugni quella macchina ora praticamente inutile.
- e stronzo anche quel militare…- non lo riconosceva, non almeno a quella distanza e ridotto in quel modo -… arrivare prima no?- i suoi pensieri erano includenti, annebbiati e sfortunatamente per lui ancora presenti.
Boccheggiò, sentendosi improvvisamente mancare il fiato. Nonostante tutto gli rimaneva poco tempo da vivere – beh…- sospirò tristemente – almeno vedrò Mimi…- perché alla fine una piccola breccia era riuscita ad aprirla nel suo cuore -… infondo le devo un appuntamento-.
 
Gemette, appoggiando la fronte al freddo metallo. Era davvero tutto finito? Era questo il finale a loro riservato?
Sospirò, desiderando veramente per la prima volta di lasciarsi andare alla stanchezza e mettere veramente la parola fine a tutto. Chiudere gli occhi, annegare nel buio e finalmente respirare.
Sentiva il suo corpo diventare a poco a poco sempre più insensibile, mentre la sua mente, sempre più annebbiata, chiedeva a gran voce di lasciarsi andare a un meritato riposo ristoratore.
Abbassò le palpebre decidendo che combattere per rimanere sveglio non gli sarebbe servito a nulla.
Izzy, l’unica persona che sapeva cosa farne dei digivice, giaceva freddo e abbandonato a pochi metri da lui.
Joe, l’altra sola loro speranza, era morto chissà dove in quell’inferno di battaglia che aveva distrutto il settore dei laghi.
Ken, non era nemmeno da considerare, se era ancora vivo, cosa che ormai dubitava con tutto se stesso, era a caccia di fantasmi con Kari e Davis.
Sospirò stancamente, non volendo nemmeno prendere in considerazione l’idea si essere rimasto davvero l’ultimo prescelto.
Chiuse gli occhi. Forse questa volta doveva solo arrendersi.
Aveva fatto del suo meglio, forse era davvero arrivato il momento di ricongiungersi con le persone che amava.
Chiuse gli occhi e sorrise amaramente.
I suoi genitori e suo fratello…
I suoi due migliori amici, Tai e Sora…
Il suo fidato Digimon…
E naturalmente tutta la loro banda…
Forse alla fine li avrebbe davvero rivisti tutti, anche se non nel modo in cui l’aveva immaginato.
Appoggiò la testa al freddo metallo. Si, forse era davvero arrivato il momento…
 
O forse no…
 
Aprì gli occhi di colpo, sentendo il suo corpo invaso da un’ondata di energia che aveva imparato a conoscere bene.
Un lampo di luce blu, piccolo e flebile partì dal suo medaglione e con una forza decisamente testarda si collegò a quel piccolo portale ancora, nonostante tutto quello che era successo, aperto.
Matt guardò l’evento con aria scettica, chiedendosi se in tutto quel caos anche la digipietra dell’amicizia fosse impazzita. Anche sorvolando sul fatto che non si poteva muovere e che era l’ultimo sopravvissuto in quell’orrendo film horror di seconda categoria che era diventata la sua vita, che cosa esattamente doveva farci con quel mini portale?
Ricordava ancora quello che sempre ripeteva Izzy nei suoi momenti di frustrazione: piccolo, instabile e inutile. Niente cose vive. Al massimo di potrebbe passare…
Spalancò gli occhi, realizzando quello che la digipietra voleva da lui.
… un quaderno.
Li riabbassò verso una delle tasche interne della sua giacca.
- oppure…- disse a se stesso, riuscendo, non con poca fatica a estrarre il contenuto prezioso -…un diario- sorrise guardando il piccolo oggetto dalla copertina verde una volta appartenuto al suo fratellino.
- alla fine…- il bagliore del digimedaglione si spense, ma ormai lui aveva capito che cosa fare – c’è ancora speranza…- e che fosse proprio il diario di suo fratello a riportarla, gli dava solo un valore maggiore.
 
Si stava riaddormentando, ora che la pietra non lo stava più sostenendo stava per ricadere nuovamente nell’oblio. Eppure c’era ancora un’ultima cosa da fare e, vista la sua totale mancanza di capacità sportive, sperava proprio di farla bene.
Alzò il braccio e prese la mira. Riportando la mente ai giorni in cui Tai e Sora, tentavano con poco successo di fargli fare qualche sport.
Non gli aveva mai dato retta e, adesso, con il senno di poi, un po’ se ne pentiva. Ma solo un po’, infondo, quei due erano delle macchine, mentre lui era un musicista, non sarebbe sopravvissuto ai loro ritmi.
Lanciò il prezioso diario, sentendo, con quell’ultimo gesto, le spade di Piemon muoversi nel suo petto, rendendo la loro presenza definitivamente letale.
L’ultimo prescelto chiuse per sempre gli occhi, ma non prima di aver visto il piccolo diario sparire avvolto in una luce di pura speranza.
 
 
 
Digiword- in un tempo e in un luogo diversi
 
Un piccolo portale si aprì sopra uno dei settori verdi di digiword. Fu solo un piccolo e instabile bagliore che probabilmente nessuno mai avrebbe notato, se non fosse per la piccola testimonianza lasciata del suo passaggio.
Dal cielo di digiword, da un’altezza non poco indifferente, cadde un diario dalla copertina verde.
Avrebbe potuto andare perso, distrutto o dimenticato, ma non fu così.
Cadde, sorprendentemente senza danneggiarsi, cullato nella sua discesa dalle fronde degli alberi.
Cadde, in una giornata di sole, sull’unico sentiero battuto di tutto il settore.
Cadde, davanti ai piedi dell’unico viaggiatore che probabilmente l’avrebbe attraversato per i successivi decenni avvenire. Infondo digiword era appena stato creato.
Il giovane essere digitale si avvicinò con curiosità, inginocchiandosi con attenzione ai fini di non sporcare la sua bianca tunica.
Prese il diario e cominciò a sfogliarne le pagine. Alla fine il suo compito era quello di raccogliere dati e informazioni.
Riprese il suo viaggio, entusiasta di incontrare presto i potenti digimon supremi.
 
Il nome di quell’essere digitale era Gennai.
 
Continua….
 
 
E con questo è tutto! Spero vi sia piaciuto.
Epilogo in arrivo!!!!
Ciao ciao
Lau2888

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Capitolo 17
*** epilogo: compagni di viaggio ***


Gentili lettori dato che ho l’influenza, ho deciso di pubblicare oggi anche l’epilogo. Giusto per evitare di non riuscire più a farlo domani^^’’’’’ quindi attenzione perché ho postato tra oggi e ieri due capitoli e l’epilogo.
Detto questo auguro a tutti buona lettura nella speranza che il capitolo vi piaccia^^
 
 
EPILOGO: compagni di viaggio
 
Cammini veloce, trattenendo a malapena l’ansia e l’eccitazione.
Ti passi una mano tra i capelli, ora più corti, ma sempre indisciplinati, tentando di sistemarli alla meglio.
Ti sistemi il vestito, tirandolo più e più volte da ogni lato, nel tentativo di eliminare pieghe in realtà insistenti.
Abbandoni l’ampia camera da letto, per poi tornare indietro imprecando solo un minuto dopo. Non puoi presentarti senza il regalo che con tanta cura hai scelto per l’occasione.
Hai ventotto anni, eppure ti senti agitato come un bambino. Infondo si tratta sempre della tua sorellina.
Sorridi, pensando che forse nemmeno quando era stato il tuo grande giorno, circa cinque anni prima, eri così in ansia.
Ricontrolli tutto più e più volte, fino a renderti conto che forse qualcosa manca – dannazione…- cominci a sollevare e spostare tutto quello che ti capita a tiro -… dov’è? Dov’è?- ti senti un’idiota e probabilmente in quel momento lo sembri – dove si è cacciato- e la dolce risata che senti alle tue spalle non fa altro che confermalo.
- Tai, tesoro. Cosa stai facendo?-
Ti giri, solo per vedere la radiosa figura di tua moglie, avvolta in un bellissimo kimono blu.
Le sorridi, anche se leggi nei suoi occhi una luce di malizia e divertimento, la ami da sempre e non puoi farne a meno. – Soraaaaa…- come un bambino metti il broncio - … non trovo il mio digivice, è tardi e non lo trovo.-
Lei ride ancora, scuotendo la testa. Alla fine, pensa, che tu non cambierai mai e di questo ne è veramente grata – Tai…- ti si avvicina e ti stacca quasi di peso dall’armadio che fino a pochi minuti prima era un esempio perfetto di ordine -… è attaccato alla tua cintura, vedi?- lo dice con pazienza, usando lo stesso tono con cui di solito parla al vostro bambino di tre anni – ora respira e andiamo, ci stanno aspettando tutti.-
E anche se non sai perché quella frase ha la capacità di far nascere una profonda sensazione di calore all’interno della tua anima.
 
La festa è cominciata, avvolta in un digiword verde, rigoglioso e vivo.
Raggiungi i tuoi amici e compagni in una piccola radura vicino ad un lago che, per concessione dei digimon supremi, è addobbata con toni candidi.
Kari avrebbe voluto una cerimonia intima, ma fra i vostri amici digimon, gli altri digiprescelti, i loro rispettivi partener e le famiglie, quel piccolo angolo di paradiso trabocca di vita.
Prendi la mano di tua moglie e a passi affrettati raggiungi il tuo migliore amico e la sua fidanzata.
- Maaattttt…- gli salti praticamente addosso, alla fine certe cose non cambiano mai.
- scendi idiota!- brontola il suddetto migliore amico cercando di nascondere un sorriso.
Ridi, alla fine adori imbarazzarlo pubblicamente – ma Matt, non ti fai quasi mai vedere, sempre in giro con la tua band… sei un amico cattivo!- reciti, fingendoti offeso, anche se non lo ammetterai mai sei uno dei suoi fan – a proposito…- sorridi malizioso, facendo rabbrividire visibilmente il tuo amico – non cominci ad essere un po’ vecchiotto per fare ancora questo lavoro?-
-cosa?- risponde lui in un sussurro, passando d’istinto le mani tra i capelli, la vecchiaia è una cosa che mai accetterà. Scuoti la testa, Matt su questo punto è peggio di una donna.
- certo!- rispondi con serietà – non è ora che metti la testa a posto anche tu e ti decidi a sposare questa bella donna?- trattieni una risata, mentre fai l’occhiolino alla famosa modella in sua compagnia – eh? Che ne dici Mimi?-
-Mhm…- lei sorride maliziosa, abbandonando per un attimo la conversazione con Sora – aggiudicato!- urla travolta da nuova energia – anche oggi!- dice cercando di non ridere davanti al volto improvvisamente pallido di Matt – beh forse no, Kari mi ucciderebbe per portale via il grande giorno…- Matt tira un sospiro di sollievo, ma chi è lei per concederglielo? - … ma il mese prossimo è mio e siete tutti invitati!- ok, forse dovrebbe smetterla, il suo ragazzo non ha una bella cera.
- giusto!- una nuova presenza si piomba sulle spalle, da poco libere, di Matt – mi offro come testimone!- Mark, uno degli ultimi prescelti aggiunti al vostro gruppo, ha fatto il suo trionfale ingresso… per il grande dispiacere di Matt.
 
 
Joe aggiustò i suoi occhiali, un tic che non aveva mai perso nel corso degli anni, mentre fissava con aria crucciata il gruppo poco distante. Infondo, si ritrovò a pensare, sono ormai tutti adulti.
Adulti sani mentalmente…
Adulti sani mentalmente e ovviamente maturi…
Si, annuì a se stesso, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Alzò gli occhi e sospirò, la sua convinzione era appena stata totalmente distrutta da un urlo indignato di Matt.
Sospirò si nuovo, trattenendo a forza i suoi istinti di medico che gli intimavano di intervenire e salvare la povera vittima.
- Joe, respira e bevi- con un tono annoiato e divertito, il giovane genio del gruppo mise tra le mani del medico una bevanda colorata dall’aspetto tutt’altro che innocente – ignorali, quando Kari si sarà stancata li caricherà di mazzate-
Joe sollevò un sopracciglio, chiedendosi se il lavoro di Izzy non l’abbia stressato fino al punto di far impazzire pure lui. Quale lavoro poi, nessuno in realtà lo aveva ancora capito… c’erano dei numeri e un computer sicuramente… poi forse delle sfere luminose…
Vide gli occhiali scivolargli di nuovo dal naso e decise saggiamente di lasciar perdere e salvare la sua sanità mentale.
Su una cosa però doveva dare ragione a Izzy: se la situazione si fosse messa male Kari li avrebbe uccisi tutti.
 
 
La musica è partita e improvvisamente il silenzio ha avvolto l’intera radura.
Ogni invitato presente si è affrettato per prendere posto e vedere l’arrivo dei due protagonisti.
Sorridi quando vedi arrivare la tua sorellina e, lo sai, fino alla fine della cerimonia non avrai occhi che per lei.
Il suo abito da sposa bianco la fa sembrare un angelo e il suo sorriso la fa splendere più del sole stesso.
Da una parte verresti protestare, mettere il broncio e beh, inseguire Tk con una mazza da baseball, reo di sottrarti la tua adorata sorellina… sorellina che ai tuoi occhi sarà sempre quel fagottino bisognoso di attenzione che i tuoi genitori ti hanno messo in braccio per la prima volta tanti anni addietro.
Ma dall’altra lei è così felice che ti viene da andare ad abbracciarla e… inseguire comunque Tk con una mazza da baseball, giusto per assicurarsi che faccia il bravo la prima notte di nozze.
Annuisci a te stesso continuando a sorridere come un idiota, complimentandoti per essere un bravo fratello maggiore.
Ti guardi attorno e vedi i tuoi genitori qualche fila più in là. Il tuo sorriso diventa più ampio nel vedere che condividono i tuoi stessi sentimenti: tua madre vorrebbe spupazzare di coccole Kari, mentre tuo padre vorrebbe spezzare le ossa a Tk.
Ah! Che bella cosa la famiglia…
Aggrotti la fronte, perdendo il tuo sorriso per un attimo. Parlando di famiglia ti rendi conto che manca qualcuno.
Questo fino a che non vedi una manciata di riso venire tirata addosso a Tk un po’ troppo forte e decisamente troppo presto sulla tabella di marcia… Infondo il povero ragazzo non è ancora stato raggiunto da Kari.
Ridacchi vedendo Davis lanciare occhiatacce allo sposo, il tuo fratellino acquisito è passato da spasimante di Kari a suo nuovo e molto protettivo fratello maggiore.
Trattieni a malapena una risata mentre pensi che probabilmente dopo si unirà a te e a tuo padre nella caccia allo sposo…. O forse no, a giudicare dalla pacca “amichevole” che Ken ha appena “gentilmente” dato sulla testa di Davis…
… o all’urlo di Yolie…
… o all’occhiataccia di Cody…
Peccato, pensi, sarebbe stato un inseguimento divertente.
 
 
Poco lontano dal grande gruppo un uomo dai capelli castani sfogliava, con un piccolo sorriso sul volto, un vecchio diario dalla copertina verde.
- Gennaaaaiiii- alzò gli occhi da quelle pagine ingiallite dal tempo – vieni, facciamo una foto di gruppo- chiuse il diario sorridendo ampiamente, mai fare aspettare la sposa nel giorno delle sue nozze. 
 
 
 
 
Tanti anni sono passati da quando mi sono risvegliato in quella grotta umida, di nuovo solo in attesa di incontrare il mio prescelto come se nulla fosse successo.
Le battaglie, l’odio, il dolore… tutto è stato cancellato con un colpo di spugna e credo, guardandomi indietro, che sia meglio così.
Nessuno si ricorda, anche se qualcuno sa grazie a quel  piccolo diario e di questo non posso che esserne grato.
Il mondo reale non ha mai saputo dell’esistenza del mondo digitale, i prescelti esistono, questo si, ma sono pochi e ben nascosti dalla curiosità umana.
Digiword non varcherà mai i confini della Terra, questo hanno stabilito i digimon supremi.
Le battaglie ci sono state, ma nulla di neanche lontanamente paragonabile a quello che era avvenuto la prima volta.
Tiro un spirituale e profondo sospiro di sollievo, alla fine è andato tutto per il meglio.
Osservo con attenzione la festa in corso, beandomi del clima di felicità e pace in cui è avvolta.
Sorrido. Tutto è perfetto. Questo è il modo in cui avrebbe dovuto finire fin dall’inizio e trovo giusto che sia così che è finita…
È stato un lungo cammino, ma non mi lamento, infondo ho trovato i migliori compagni di viaggio.
 
Fine.
 
 
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia, in particolare i santi che hanno recensito.
Un grazie anche a chi l’ha messa tra le preferite, seguite e ricordate.
Piccola precisazione: l’idea di Mark come prescelto è stata suggerita da Kymyit ( Grazie!!!)
 
Un grande abbraccio ^^
A presto
Lau2888

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