And you would stay another night?

di DearMarti_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ho girato il mondo ***
Capitolo 2: *** Mi ci hanno letteralmente buttata dentro questa cosa ***
Capitolo 3: *** -Non sapevo dovessimo rilasciare un’intervista al giornale sportivo locale- ironizza Alex ***
Capitolo 4: *** Mi volto stupita da quella voce ***



Capitolo 1
*** Ho girato il mondo ***


-Cacchio!- urlo buttandomi sfinita sul divano. È quasi mezza notte e io sono appena tornata a casa.
-Cosa succede chica?- mi chiede Lola la mia coinquilina. 
Lola ha ventidue anni ed è la classica ragazza con cui non puoi uscire a fare un giro per strada tranquillamente perché ogni passante di sesso maschile ti fissa, o meglio la fissa, come se fosse una dea o cose simili. È alta, fisico statuario da modella di bikini qual è, pelle costantemente dorata e lunghi capelli neri. Quanto la odio per tutto ciò. A parte la sua disarmante bellezza, Lola viene da Città del Messico ed e vive con me da pochi mesi,  è una buona amica in fin dei conti. A volte ho avuto qualche problema con le sue compagne che dopo la notte passata insieme dimenticavano reggiseni in bagno e cose varie, ma alla fine le voglio bene. Lavora come aiuto cuoca in un piccolo locale quanto non è troppo impegnata con sfilate e simili,  infatti ogni volta che torno casa c’è sempre qualcosa di pronto un po’ come se fossi ancora a Liverpool. Lei è una ragazza abbastanza mondana ed è sempre aggiornata su quello che succede a Baltimora; mentre io sono più quella che preferisce stare a casa con il suo libro e il vecchio giradischi da cui non mi sono mai separata. 
-Il mio capo mi ha affidato un’intervista a un gruppo rock di Baltimora gli All…All time low mi sembra…-
-Ti sembra? Come fai a non sapere chi sono gli All time low?! Voi inglesi sempre e solo con i vostri Beatles e Rolling Stone- mi dice con il suo accento messicano. “Hey, ma la state smettendo con questa storia!” penso tra me e me.
-è così eccitante, intervisterai gli All time low! Sono la band più famosa in città! E poi sono così carini e del mio giudizio puoi fidarti eh!- afferma facendomi l’occhiolino tutta pimpante come se fosse lei a dover scrivere questo stupido articolo.
-Non mi interessa come sono, il problema è che Richard mi ha affidato questo incarico oggi e l’intervista è domani e io non so neanche come si chiamino questi tizi!- affermo disperata come se fossi maledettamente impreparata per una delle interrogazioni a sorpresa della Dorbus, la mia vecchia prof del liceo.
-Vivi qui da un anno e non hai mai sentito parlare di loro? Sono abbastanza conosciuti  a livello mondiale e poi tu ascolti solo il loro genere di musica…insomma dovresti averli ascoltati! E poi il prossimo anno faranno  un tour proprio in Inghilterra!-
-Ti ricordo che io non torno a Liverpool da anni ormai e poi non ci andrei di sicuro per vedere un gruppo che non conosco- dico con un tono di voce un po’ troppo alto alzandomi dal divano e dirigendomi verso la mia stanza. La mia vita in Europa è qualcosa che voglio dimenticare. I pianti di mia madre quanto mio padre e scappato, i suoi assurdi lavori per mantenerci e Roger che si è portato via tutto quello avevo dopo la sua morte. Dimenticare. Dimenticare e basta.
-Aspetta chica, non volevo farti tornare alla mente brutti ricordi, ma so come aiutarti!- afferma prendendomi un braccio e attirandomi a lei. Dopo qualche secondo mi allontana da lei dolcemente e si avvia verso la sua stanza, poco dopo esce con un cd in mano mostrandomelo. 
–Questo è Don’t panic, a mio avviso è il loro lavoro migliore-
-Mi spieghi dove lo tenevi nascosto questo?- domando indicandolo.
-Tu non sai tante cose di me, querida Phoebe!- dice maliziosamente. 
–Lo ascoltiamo insieme così ti fai un’idea del  loro sound!- dice tutta felice mentre inserisce il cd nel lettore. Un attimo dopo la voce di un ragazzo irrompe nella stanza mentre canta Long live the reckless and the brave. Cerco di concentrarmi sulle parole del testo e  sul significato e un po’ mi ritrovo anche io. Sono scappata dal conformismo nell’ultimo tempo e ne sono fiera. Ci credo davvero nell’essere se stessi, nel non seguire la massa e terminare la giornata con la consapevolezza di averla vissuta davvero a modo proprio.
-Il cantante è Alex Gaskarth, la chitarra Jack Barakat, il basso Zachary Merrick, per tutti zack, e poi Rian Dawson la batteria - dice Lola interrompendo così il mio flusso di pensieri. La guardo confusa dalla musica. Mi piace la voce del cantante. Lola mi dà qualche informazione utile su di lui e sugli altri componenti del gruppo che io mi appunto su un foglio che sicuramente domani non troverò più. Siamo sedute sul pavimento e io istintivamente chiudo gli occhi appoggiando la schiena al muro freddo. Voglio davvero concentrarmi su quello che queste persone volevano dirci. All’improvviso mi vengono in mente milioni di domande, cose che vorrei chiedergli domani, ma so che devo fare un pezzo sul loro tour viste le rigide istruzioni del capo. Sento le parole lontane della mia coinquilina confondersi con quelle della canzone che sto disperatamente cercando di ascoltare. Le informazioni di Lola però prendono la piega del gossip, fatti che non ho la minima intenzione di memorizzare e che provo ad ignorare adesso. Dopo circa quaranta minuti di disco parte una traccia che solo più tardi scoprirò chiamarsi For Baltimore. Spengo l’interruttore che mi collega a questa stanza , a questa casa, a questo tutto. Corro, corro come feci via da Liverpool, mi è sempre piaciuto andare veloce, bruciare tutti sul tempo. Credo di esserci riuscita, di aver preso con me solo il mio coraggio e di averlo reso il mio unico bagaglio; di averlo reso la mia velocità.  Ricordo l’ultimo brano ascoltato prima di aver chiuso gli occhi Oh, calamity. Ho pensato a quante cose sono successe prima di trovarmi qui, quando ho permesso che non mi influenzassero più la vita, perché la vita è mia, solo mia. Non importa il passato, io so chi voglio essere oggi e chi diventare domani. Forse questo è davvero il mio pezzo di lancio, forse dopo questo potrò essere davvero Phoebe; quella che gira il mondo e lo racconta; un po’ come hanno fatto gli All time low in quest’ultima ora dopo aver visitato il mio.

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Capitolo 2
*** Mi ci hanno letteralmente buttata dentro questa cosa ***


È banale lo so. Classica ragazza trasferitasi in America per far fortuna e farsi una vita decente; da copione. Non è così come me la immaginavo la mia nuova vita però. È più che altro un concentrato di bollette, panico per l’affitto, lavoro sottopagato, bollette e non glamour o altre cazzate che si sentono in giro. Io sono originaria di Liverpool e ho lasciato la mia città e la mia famiglia, ormai praticamente a pezzi, per inseguire quel tunnel senza uscita dove all’ingresso campeggia la scritta ‘sogno americano’. Vivo a Baltimora da ormai quasi un anno e sono una stagista per un giornale di spettacolo locale e non il New York Times come sognavo da piccola. Sono stata nella grande mela per un po’ di tempo ma la retta del mio appartamento era troppo costosa per me e poi quando mia madre era malata mi spostavo continuamente dall’ America all’Europa vedendo quei pochi soldi guadagnati  in un piccolo negozio di vinili scivolare via dalle mie tasche. Quando mia madre è morta e il suo nuovo marito scappato con quel pezzo di eredità  che ci restava, ho mandato tutto quello che avevo costruito a farsi benedire e mi sono trasferita qui. Scelsi questa città per puro caso, insomma se non aveva funzionato a New York non poteva di certo farlo a Los Angeles; così ho optato per una metropoli conosciuta ma non così affollata da gente che sognava di diventare la nuova Marylin Monroe degli anni duemila. In fondo il mio sogno è sempre stato quella di essere una reporter un giorno e non un attrice di successo o cose simili, io voglio solo conoscere il mondo e raccontarlo; così come realmente è. Lo voglio fare per tutti quelli che non hanno creduto in me. Per mio padre, Dio solo sa dove sia ormai, mia madre, che pensava che tutto questo coraggio mi avrebbe uccisa e forse la vicina di casa che mi dava sempre dell’idiota e dell’incapace. Ora non importa perché sono qui e non posso letteralmente tornare indietro, voglio dire che a Liverpool non ho più una casa e obblighi quindi devo farcela o devo farcela.
 
Sono seduta alla mia scrivania, o meglio in un angolo confinato in fondo all’ufficio dove Richard Hunt, il caporedattore, mi ha piazzata. Sono in prova da non so quanti mesi e non ho scritto altro se non pezzi su mostre canine o aperture di nuovi locali; notizie insulse per tagliare corto. Ogni giorno trascino le mie reali chiappe fino a questo monumento alla stupidità e ogni giorno  spero sempre il capo mi si avvicini e mi dica…-Phoebe Mason ho una notizia interessante per te!-
-Phoebe! Phoebe….signorina Mason sta per caso dormendo?- Una voce maschile, lontana e stranamente rompipalle mi riporta alla realtà.
–Ehm, signor Hunt. Stavo...stavo...stavo solo controllando che la testiera funzionasse, faceva uno strano rumore- dico toccandomi la guancia intorpidita e con qualche segnaccio.
 –Non mi vorrà mica far dubitare di averle assegnato questo in carico?-
-Quale incarico scusi?- chiedo un po’ stordita dal pisolino improvvisato.
-Lei intervisterà gli All time low appena tornati in città per la fine del loro ultimo tour!-
-Gli All time chi?-
-è vero lei viene dall’Inghilterra quindi non è informata sugli sviluppi del rock moderno. Ah, voi britannici…sempre lì chiusi nell’ascoltare i soliti Beatles e Rolling Stone!- mi dice ridendo. Ma si  può essere più stupidi? Non so assolutamente chi siano questi All time low ma sicuramente non hanno scritto pezzi come Hey Jude o Streets of love…o forse sì.
– A parte questo cara Phoebe lei ha un pass per un’intervista privata a questi quattro giovanotti, le ho mandato un email con tutti i dettagli. I nostri lettori vogliono conoscere la vita in questi mesi passati in giro per il mondo, gli aneddoti, le mozioni, Phobe, le emozioni! Si diverta!- afferma come un bambino che ha appena aperto il suo primo regalo di Natale o è più una presa per i fondelli la sua?
-Aspetti, la prego, io non so nulla di questi tizi, mandi qualcun altro!- sto quasi urlando colta da un’improvvisa insicurezza
- Non era alla ricerca della sua notizia di lancio vero?-
-Sì…ma…non l’ha detto lei scusi che noi inglesi sappiamo solo di Beatles e Rolling Stone?- chiedo più calma utlizzando questa assurdità per convincerlo.
-Secondo lei dovrei spedire a un’intervista a ragazzi con una media di ventisei anni l’uno una di queste mummie da uffici?- domanda guardandosi intorno. In effetti i miei ‘colleghi’ hanno tutti un età compresa tra i cinquanta e sessant’anni, insomma io sono davvero la più giovane qui; ma in fatto di conoscenza musicale credo siano molto più informati loro sulla musica degli ultimi tempi che io. Sono ancora una tipa fissata con Led, Queen e cose simili. 
Guardo il signor Richard e poi lo schermo del pc, poi di nuovo il signor Richard e poi lo schermo del pc.
- Buon lavoro signorina Mason; sono sicuro che farà del suo meglio- dice facendomi l’occhiolino e senza darmi il tempo di replicare si volta in direzione del suo ufficio. Lo guardo andarsene e appena scompare nella sua tana mi volto verso il computer googlando le parole all time low e buttandomi a capofitto nella lettura degli articoli in rete.
Sarà una lunga serata. 

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Capitolo 3
*** -Non sapevo dovessimo rilasciare un’intervista al giornale sportivo locale- ironizza Alex ***



-Non ce la farò mai!- urlo iniziando di nuovo a correre verso una meta indistinta. Mi sono addormentata. Addormentata su una stupida panchina del Patterson park. Una panchina. Ieri, o meglio, oggi devo essere andata a dormire dopo aver ascoltato il cd…ma che razza di ore erano? Adesso tutto questo non ha importanza perché sono le 11.30 e la mia intervista è alle 12.00. Sì, posso farcela. Devo farcela, dannazione! Sono quasi vicina alla City quindi tra mezz’ora dovrei arrivare in questo benedetto hotel, perfetto! Mentre prendo velocità, però, mi rendo conto di un dettaglio fondamentale: il mio abbigliamento.  Sono vestita ancora in tenuta da jogging cacchio! Ora ricordo tutto. Questa mattina ero così agitata per il primo vero incarico della mia vita (per cui forse sarò licenziata visto che sarà uno schifo) che ho avuto la brillante idea di scaricarmi facendo una corsa nel parco. A volte mi chiedo perché non bevo una camomilla quando sono nel panico invece che prendere delle decisioni così idiote. Mi devo essere fermata per riprendere fiato e poi…il poi si sa. Non farò mai in tempo a tornare a casa, cambiarmi, prendere la metro e tornare qui, così potrei perdere davvero il lavoro. Rifletto per qualche secondo. Cosa c’è di male se ad un’intervista si ci presenta un po’…un po’ casual? Forse lo sono un po’ troppo i miei shorts neri o la mia canotta fucsia e anche le scarpe flou non sono da meno, ma almeno se devo essere licenziata per qualcosa tanto vale averci almeno provato a presentarsi all’ appuntamento. Così guardo sul mio telefono, l’unica cosa utile che ho con me, tutte le indicazioni, se pur precarie, salvate che possono essermi utili, ma mentre sblocco il telefono scorro l'avviso di ben dieci chiamate perse e altri otto messaggi da Lola tutti con un testo del tipo ‘Dove sei querida?’, ‘Sono preoccupata per te e per il tuo lavoro, rispondimi’ e simili. Le mando un sms dicendole che sto bene e che ho avuto un insignificante intoppo. Ho il fiato corto e sto attraverso strade e scansando persone come se fossi inseguita da una specie di serial killer, ma cerco di sbrigarmi e di non pensare che la mia carriera giornalistica dipende da questi istanti. Niente di più rilassante, no? Dopo venti minuti di ‘scusi’ e ‘mi dispiace averla urtata’ sono davanti all’edificio. Controllo l’ora sul cellulare e con mio grande, grandissimo sollievo, sono solo le 12.05 in punto. Entro nell’immenso atrio dell’albergo dove gente ben vestita e di classe mi fissa, o meglio fissa il mio abbigliamento per nulla consono all’occasione.
Mi avvicino alla donna alla reception provando a pensare ad altro. –Mi scusi io sono Phoebe, Phoebe Mason e sono qui per un’intervista, potrebbe dirmi dove recarmi?- le domando con un sorriso da ebete cercando di distrarla dal mio look per l’occasione.
-Il suo appuntamento è al decimo piano, suite  1300, signorina Mason. Qui c’è il suo badge, prego.- risponde trattenendo una risatina.
Dopo averla ringraziata mi dirigo verso gli ascensori. Decido di prendere quello vuoto per evitare che qualche altro uomo d’affari mi fissi le gambe e qualche ricca signora mi lanci un occhiataccia. L’ascensore è spazioso e su una delle quattro pareti vi è uno specchio. Osservo la mia immagine riflessa. Ho le occhiaie, i capelli in disordine e sono evidentemente sudata. Mi sfrego la faccia, mi pizzico le guance per darvi colore e raccolgo i lunghi capelli in una rigida coda alta. ‘Fatti valere, dimostra di che pasta sei fatta’ mi ripeto autoconvincendomi. Arrivata al decimo piano scorgo i vari numeri attaccati sopra le stanze dello stretto corridoio. Mi guardo intorno per qualche secondo, fino a trovare davanti a me la fatidica 1300. Faccio un bel respiro, mi sistemo la canotta e busso sicura di me. Subito una donna sulla trentina apre la porta. Indossa un completo blu e ha i capelli disordinatamente raccolti dietro la nuca. Sembra molto stanca.
-La aspettavamo dieci minuti fa, se ne rende conto vero?
-Sì, ho avuto un problema, m-mi scusi davvero!- balbetto distrutta da questa maratona senza fine. La donna sembra non aver notato il mio abbigliamento.  ‘Meglio così’ penso seguendola per il corridoio di quella che più di una suite ha le somiglianze di una villa metropolitana.
-Piacere di conoscerla, io sono una delle assistenti del manager degli All time low; mi chiamo Vanessa- mi dice distrattamente. –Le ricordo che la sua è un’intervista basata sull’ultimo tour del gruppo e non le è permesso divulgarsi su argomenti come pettegolezzi o vita privata- si volta a guardarmi –Mi sono spiegata?-
Annuisco cordialmente e inizio a seguirla. Le parati intorno a noi sono bianche, essenzialmente eleganti dove vi sono appese opere contemporanee; su alcune mi sembra anche di aver scritto qualcosa qualche settimana fa. Attraversiamo un’altra stanza, bianca anch’essa dove al centro campeggia un tavolo in vetro sul quale sono abbandonanti avanzi di cibo.  Sento delle voci di ragazzi provenire dall’immensa stanza sotto i nostri piedi.
‘Ci siamo Phoebe, falli a pezzi’ penso mentre scendiamo le scale. L’ambiente che si apre davanti ai miei occhi è uno spettacolo. Una grande, grandissima, stanza nella quale una delle tre pareti è costituita da una vetrata sullo skyline di Baltimora. Ci sono un pianoforte, un piccolo bar e altri oggetti minimal sparsi nell’ampio spazio, questa volta le pareti sono azzurro molto chiaro e si confondono dolcemente col cielo alla mia destra. Al centro dell’ambiente quattro ragazzi. Quelli che dovrebbero essere Zack e Rian (se non ricordo male) sono seduti sul divano in pelle bianco, Jack il chitarrista (giusto?) è disteso sul pavimento con la schiena appoggiata alle gambe dell’amico e sulla poltrona vicina si trova Alex (mi sembra).
Sto pregando che Vanessa faccia un minimo di presentazioni per rinfrescarmi la memoria.
-Allora ragazzi- dice richiamando il silenzio.  All’improvviso i loro sguardi sono tutti su di me. ‘Vi prego non ridete’ implora la mia mente. –questa è Phoebe Mason, e Phoebe loro sono rispettivamente Jack Barakat, Rian Dowson, Zack Merrick e Alex Gaskarth-  afferma indicandomeli tutti fortunatamente.
-Non sapevo dovessimo rilasciare un’intervista al giornale sportivo locale- ironizza Alex sollevando una risata generale. Cerco di trattenere l’impulso di mettergli mani addosso. Lui non sa la della mia nottata passata a capire qualcosa di lui e del suo gruppo, della corsa fino a qui e del male alla caviglia che adesso inizia a farsi sentire; come si permette di fare anche battutine idiote?
-Comunque complimenti per le gambe- aggiunge con un sorrisino.
-Mi spiace per il mio…ehm…per questo insomma. Ho avuto una nottata lunga tra il lavoro e il resto e stamattina sono arrivta qui solamente con le mie gambe che ti piacciono atnto- dico scusandomi e cercando di ripagarlo con la sua stessa moneta. Lui mi guarda in silenzio mentre gli altri ragazzi cercano di comprende la situazione con ‘non ti preoccupare’ o cose simili.
 Vanessa non sembra capire sul momento, poi voltandosi verso di me realizza quello che prima non aveva notato come ad esempio le mie scarpe fluo e il resto.  Mi lancia un’occhiataccia e dopo aver blaterato qualcosa prende due sedie vicine e le posiziona davanti ai ragazzi. Mi accomodo vicino a lei e attivo il registratore dal mio telefono. Non ricordo assolutamente le domande che mi ero preparata ieri e lascio che la mia mente si rilassi dandomi la possibilità di lavorare come solo io so fare. Sono a mio agio nel mio mondo, lascio che la mia testa parli da sola. Non metto filtri o altro, conosco quello che devo dire e aspetto che le domande arrivino automaticamente. Inizio a chiedergli come è stato tornare a casa dopo quasi un anno di assenza, quanto gli mancano il tour e i fan e se la vita in giro per il mondo li abbia cambianti in qualche modo. Come prima intervista non sta andando male, i ragazzi sono simpatici ed è piacevole parlarci; anche Vanessa sembra essere più rilassata. Jack fa battute qua e là, Rian lo asseconda, Zack è stato forse quello meno scatenato del gruppo, è molto dolce comunque; mentre Alex ha sempre risposto a  tutto ma era diverso dagli altri…sentivo i suoi occhi su di me come se fosse veramente attento a quello che dicessi. ‘Saranno state le gambe’ penso stupidamente ritornando al suo commento iniziale. Dopo più di un’ora l’appuntamento è quasi finito e mi resta tempo solo per un’ultima domanda. Non importa cosa voleva Richard dal momento che fino a prova contraria lui non è presente qui decido di chiedere qualcosa di diverso dall’argomento principale, qualcosa solo per me.
-Dopo questa domanda vi lascio in pace, parola di lupetto- dico con un sorriso abbastanza contagioso.
 -Se aveste la possibilità di essere qualcun altro per un giorno soltanto nella vostra vita, voi chi sareste davvero?- chiedo suscitando lo stupore del mio piccolo pubblico.
-Questa è una grande domanda…-inizia Rian –be’ io penso che sarei il Papa-
Gli altri ridono istintivamente e anche io, ma Rian sembra serio. -Io vorrei essere il Papa, perché potrei essere sempre me stesso e forse riuscirei ad aiutare qualche persona in più. E poi lui è davvero avanti coi tempi insomma ha una specie di decappottabile, un account twitter e senso dell’umorismo, chi non vorrebbe eserre lui?- chiede scherzando.
-Io vorrei essere il presidente degli Stati Uniti- afferma Zack- e non solo per tutte le cose fantastiche che ha tipo la visione di film in anteprima, jet e cose simili…anche per quello vorrei esserlo effettivamente- nuova risata generale –ma principalmente avrei il potere di richiamare ogni soldato a casa dalle sue famiglie e insegnare che la pace non si porta con la guerra-
-Io sarei di nuovo me- dice Jack –Ho tutto quello di cui ho bisogno, la mia famiglia, i miei amici, il lavoro che ho sempre sognato e devo solo ringraziare Dio o chiunque ci sia lassù per tutta questa felicità-
Tutti lo fissiamo a bocca aperta, letteralmente.
-Scusate ma per chi mi avete preso?- domanda lui ridendo.
-Io sinceramente non lo so- afferma Alex –sicuramente qualcuno coraggioso, libero di vivere come gli pare, senza flash e vincoli particolari. Uno come te, ad esempio- conclude puntando il suo sguardo nel mio. Sono spiazzata, insomma Alex Gaskarth, un cantate famoso e di successo, vuole essere come me. ‘Wow’. Non so come sia la faccia di tutti i presenti adesso perché io sono concentrata solo su di Lui.
-Be’…- sussurro visibilmente imbarazzata- grazie ragazzi del vostro tempo, sono felice di avervi incontrati- continuo alzandomi e stringendo la mano a tutti. Quando la mia e quella di Alex si incontrano un fremito mi attraversa.
–è stato un piacere- afferma lui e io lo ricambio con un segno di assenso abbastanza stupita dalla situazione. Vanessa mi accompagna gentilmente alla porta salutandomi cordialmente.
-Grazie di non aver passato il limite- mi dice stringendo la mano. La saluto a mia volta e corro fuori dall’edifico. Appena in strada lancio un urlo di felicità lasciando cadere il tutto mio peso e tutto lo stress della mattinata sulle ginocchia incurante della gente che mi lancia occhiate di disappunto. Non mi importa di loro, l’intervista è andata bene e credo altrettanto il mio articolo. Appoggio la schiena al muro dell’edificio e tiro un sospiro. Resto ferma, immobile per qualche secondo. Non ho nulla con me e questo vuol dire che dovrò tornare a casa a piedi. Di nuovo. Ho ignorato il dolore alla caviglia per tutto questo tempo e la stanchezza non è da meno. Mentre rassegnata  sto per dirigermi verso casa sento una voce alle mie spalle.
-Phoebe!-
È Alex.
 

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Capitolo 4
*** Mi volto stupita da quella voce ***


Mi volto stupita da quella voce. È Alex. È davvero lui. Faccio per muovermi verso la sua direzione, ma non ci riesco; rimango incollata all’asfalto come se fossi appena stata colpita da un fulmine. Ora che lo guardo meglio è incredibilmente alto e slanciato. I suoi occhi marroni mi colpiscono, sono troppo sorridenti e dolci per avere un colore così comune. Mentre io mi ritrovo incapace di qualsiasi movimento, Alex è di fronte a me. “Ho visto quella caviglia mentre scendevi , zoppicavi. E mi spiace dirtelo, ma hai un odore discutibile e, dalle occhiaie che vedo, non hai dormito molto stanotte. So che hai bisogno di un passaggio.” afferma serenamente mentre affonda le mani nelle tasche e fissa lo sguardo nei miei occhi. ‘Wow’ penso, il mio cervello si è decisamente fermato al commento sull’odore non così gradevole ma credo di poter passare oltre. Mentre penso a cosa rispondere la voce di Alex mi interrompe “Scusa se sono stato troppo diretto ma non accetto un rifiuto perciò seguimi, ti riporto a casa” “Credo di aver superato la fase in cui prendo ordini da mamma e papà. Conosco la strada di casa e so tornarci da sola” rispondo in modo sarcastico. “quindi ora fammi, un favore e scansati.” Concludo mentre cerco di superarlo evitando il suo sguardo. Appena mi muovo, però, sento che la caviglia sta per cedere 'No,ti prego, non adesso!' penso, ma è troppo tardi. Alex mi afferra per il gomito e con l’altro braccio mi cinge la vita. Cerco disperatamente di non aggrapparmi a lui ma non ci riesco, non ce la faccio da sola. Credo di trovarmi in una posizione per cui qualsiasi delle sue fan ululanti pagherebbe oro per ritrovarsi. I passanti intorno a noi intanto ci guardano stupiti, evidentemente Alex Gaskarth non è poi così sconosciuto come pensavo. Faccio del mio meglio per divincolarmi dalla stretta e allontanarmi in fretta, ma invano. “Senti, non voglio che l’autrice di una delle interviste meglio riuscite della mia carriera si infortuni prima di tornare a casa mandando a monte il suo articolo e poi Jerry, il nostro autista, è proprio qui dietro l’angolo.” Afferma convinto allentando la presa su di me. Rifletto un attimo sul da farsi. ‘In fondo è solo un passaggio…e poi ha ammesso che è stata la miglior intervista della sua vita o qualcosa del genere, non sarebbe carino non accettare l’invito. No?’ Annuisco in silenzio e seguo Alex mentre mi mostra la strada. Non sono completamente a mio agio, forse perchè il dolore alla caviglia non mi consente di riflettere sul fatto che sto seguendo un totale sconosciuto dentro un auto e che una volta entrati l'atmosfera sarà piena di imbarazzo, ma cerco di passare sopra anche a questo piccolo particolare. La macchina degli all time low non è esattamente la classica vettura con cui mia madre mi accompagnava a scuola in un tempo indistinto nella mia mente, qualcosa con cui passare inosservati, ma al contrario è un bestione nero coi vetri oscurati. “Bungiorno Jerry!” afferma Alex gioviale all'uomo in camicia e pantalone gessato sceso dalla macchina. Jerry, ricambia il saluto e cordialmente mi fa un cenno col capo. Alex intanto mi apre la portiera e cerca di aiutarmi a salire data la temporanea infermità. Una volta all'interno l'ambiente è bellissimo. C'è un mini bar, dei sedili in pelle scura riscaldabili e un fantastico impianto stereo, Mentre mi gurado attorno stupita Jerry mi sta domandando l'indirizzo della mia abitazine. “Signorina Phoboe?” mi richiama all'attenzione l'autista. “ dico sistemandomi sul sedile. Dopo qualche secondo noto che Alex mi sta fissando “Che c'è?” domando sulla difensiva. “Niente... semplicemente mi incuriosisci.” afferma sincero. Io resto spiazzata da quelle parole. Non credevo di destare curiosità in nessuno, almeno fino ad adesso. Sono una persona “normale”, anonima il più delle volte, e posso assicurare che di solito non mi addormento sulle panchine e non giro per la città in pantaloncini. “Sei diversa dalle persone che mi circondano di solito e questo mi piace. Vorrei saperne di più su di te.” “Mi spiace deluderti Alex, ma non c'è molto da sapere.” ribatto poco convinta. 'O forse sì' penso tra me e me...

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