Virus di LaraPink777 (/viewuser.php?uid=646593)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo/Febbre ***
Capitolo 2: *** Messaggio ***
Capitolo 3: *** Padre ***
Capitolo 4: *** Virus ***
Capitolo 5: *** Verità ***
Capitolo 6: *** Trappola ***
Capitolo 7: *** Preso ***
Capitolo 8: *** Figlio ***
Capitolo 9: *** Base ***
Capitolo 10: *** Tortura ***
Capitolo 11: *** Foresta ***
Capitolo 12: *** Pioggia ***
Capitolo 13: *** Caccia ***
Capitolo 14: *** Tartarughe ***
Capitolo 15: *** Bambini ***
Capitolo 16: *** Arcobaleno ***
Capitolo 17: *** Rabbia ***
Capitolo 18: *** Strada ***
Capitolo 19: *** Dormire ***
Capitolo 20: *** Addio ***
Capitolo 21: *** Silenzio ***
Capitolo 22: *** Morire ***
Capitolo 23: *** Vendetta ***
Capitolo 24: *** Maschera ***
Capitolo 25: *** Lacrime ***
Capitolo 26: *** Lampo ***
Capitolo 27: *** Respiro ***
Capitolo 28: *** Corsa ***
Capitolo 29: *** Rosso ***
Capitolo 30: *** Lavare ***
Capitolo 31: *** Attesa ***
Capitolo 32: *** Peso ***
Capitolo 33: *** Coltello ***
Capitolo 34: *** Parole ***
Capitolo 35: *** Demoni ***
Capitolo 36: *** Dojo ***
Capitolo 37: *** Risvegli ***
Capitolo 38: *** Esserci ***
Capitolo 39: *** Tagli ***
Capitolo 40: *** Fratelli ***
Capitolo 41: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo/Febbre ***
Cap 1
N/A Hey dudes!!! Che si dice?
Lara Pink è tornata!!! Ehm…, come sarebbe a dire “e chi se ne frega” @.@
Cof cof, allora… Eccomi, finalmente pubblico la mia nuova
storia, come al solito incrociando tutte e venti le mie dita sperando che vi
piaccia e che vi faccia divertite almeno un pochino pochino (io a scriverla mi
son divertita tanto tanto!!! ^_^)
Questo lungo racconto è il seguito della mia storia “Aria”,
ma anche in questo caso chi non avesse letto la mia fanfiction precedente non
si preoccupi: va benissimo come storia a sé, poiché se faccio piccoli richiami
li esplicito in modo che tutti possano seguire.
Anche questa storia è completa; cercherò (lavoro
permettendo! >_< ) di pubblicare
un capitolo al giorno, massimo ogni due o tre giorni. Penso sia qualcosa a metà
strada tra il thriller, il family drama ed il medical drama (insomma tutta robetta
allegra XD ). Ci saranno realismo, introspezione, fluff, azione ed un bel po’
di violenza… Non credo sia adatta a chi ha meno di 14 anni :(
La storia era finita da un po’, poi è venuta l’estate con i
suoi piacevoli impegni a tenermi lontana da questo posto magico, fatto di
tartarughe ninja e di fantastiche lettrici/autrici (lettori/autori? ci sono
anche maschietti tra di voi, giusto?). Inoltre si è verificato nel frattempo un
evento di cronaca che ha attinenza con la mia finzione, e sono stata un po’ in
dubbio sulla sua pubblicazione (si vedrà tra qualche capitolo).
Ho seguito i preziosi suggerimenti di alcune amiche di
questo sito, ed ho scritto la maggior parte dei capitoli più lunghi rispetto
alle mie storie precedenti; ho però continuato ad usare un tempo narrativo poco
consueto (il passato prossimo per una storia in terza persona) e lo stile un
po’ brusco, pieno di scarti improvvisi e frasi nominali: informatemi se ritenete
che questo vi renda faticosa la lettura, mi impegnerò a cambiare. Scrivere è
divertente, ma mi fa piacere se posso anche far divertire gli altri. Io stessa
mi immergo con gioia in bellissime ff. Quindi grazie fin d’ora per suggerimenti
e consigli.
Che dire altro? Disclaimer, va beh: non possiedo le
tartarughe, purtroppo, che appartengono alla Nickelodeon; se appartenessero a
me, Mikey sarebbe in cucina a prepararmi le lasagne, Raph mi tinteggerebbe la
casetta, Donnie mi sistemerebbe la caldaia e Leo risolverebbe tutti i miei
problemi al lavoro.
Ok, ho finito. Ah no, un’ultima cosa: GRAZIE PER ESSERE
QUI!!! ^_^ Buona lettura!
***
(flashforward)
“Io… io ero felice, April. Sono un ibrido umano-tartaruga
cresciuto nelle fogne da un maestro ninja che è un ibrido umano-ratto. Per chi
vive là fuori può sembrare strano, bizzarro, mostruoso, ma per me è la mia
vita, è normale. Ero felice di praticare il ninjutsu, studiare, inventare,
mangiare la pizza con i miei fratelli. Di stare con la mia famiglia. Ero
felice, dio mio, ero felice... Perché ci è successo questo? Perché nel mondo ci
sono uomini come Shredder, come Tucker? Perché ci sono le guerre, perché c’è
tanta violenza? Sarò così intelligente, ma proprio non capisco, April, non
capisco… Noi non abbiamo mai fatto del male a nessuno, anzi utilizzavamo
l’insegnamento del nostro maestro per rendere il mondo un posto più sicuro, un
posto migliore. Noi aiutavamo la gente, April. Lui, lui aiutava la gente.
Perché allora è su quel lettino, inerte? Perché?”
***
Febbre
“And freedom will find me
The
satellites will catch me
And when the
world turns against me
I will push
until I break free”
Edisun, Ready
To Believe
“Booyakasha!”
L’urlo di battaglia è risuonato acuto e squillante nella
notte.
La voce era giovane, l’intonazione divertita. Chi lo
conosceva bene avrebbe potuto notare che durante la tensione per la lotta, la
voce assumeva un tono appena appena più basso.
Uno slancio, e con un piede ha usato il muro della piccola
rimessa sul terrazzo per darsi una spinta in aria e lanciarsi su due bot ninja.
Come un funambolo, è rimasto in equilibrio qualche secondo sulle nere teste
meccaniche, ruotando veloci i suoi nunchaku, per poi colpire preciso e potente
mentre con un balzo già volava via.
Michelangelo era così rapido che l’occhio faticava a
seguirlo. Un salto mortale, per arrivare con una mano a terra, una gamba tesa
di lato ed una leggermente piegata. L’altra mano ha continuato a ruotare un nunchaku che ha fracassato una
gamba meccanica. Legno contro ferro e materiale sintetico. Un rumore secco.
L’adrenalina riempiva il suo giovane corpo nell’euforica
ebbrezza della battaglia. Poteva dimostrare agli altri ed a sé stesso la
propria bravura, poteva mettere in atto le tecniche che aveva studiato da una
vita, poteva divertirsi a battere dei robot senza provare il minimo senza di
colpa, poiché non si trattava di esseri che sentivano dolore, o mostravano sentimenti.
Ed infine, perché no, poteva godere di quel piccolo brivido
di paura che il pericolo iniettava nelle sue vene, una sensazione che pulsava
dentro di lui e lo faceva sentire vivo, giovane, potente.
In questo era molto simile a suo fratello Raph, che combatteva
al suo fianco. Raffaello sembrava essere sempre, in ogni momento della sua
vita, pronto per la battaglia. Era come se ne avesse fisicamente bisogno, come
se solo nell’affrontare i nemici avrebbe potuto combattere insieme a loro anche
i suoi demoni interni, che fin da piccolo turbavano il suo sguardo ed ai quali
nessuno aveva mai saputo dare un nome, o un perché.
Mentre con un calcio al busto ha allontanato un avversario,
dalla gola di Raffaello è sfuggito il solito ringhio furente, basso e
minaccioso, a metà strada tra l’auto-incitamento di un atleta ed il ruggito di
una fiera: la battaglia era per lui passione e sofferenza, gioia e fatica. Ciò
che mancava alla sua vita, lo riempiva con questo. Non lo avrebbe mai ammesso,
ma amava questa sensazione di assoluta vitalità che solo il momento
dell’indeterminatezza sapeva dargli.
Ha schivato un colpo, con un veloce movimento del busto, per
poi assestare un altro calcio al robot che l’aveva aggredito; un rapido giro su
sé stesso, ed affrontando il nuovo pericolo che giungeva da dietro, ha
affondato il sai nel torace meccanico: piccole scintille hanno pizzicato la
pelle verde delle grandi dita della sua mano. Con una torsione, forte della sua
massa muscolare, ancora acerba per la giovane età ma già forgiata da intense
ore di allenamento giornaliero, è riuscito ad alzare in aria il bot trafitto, e
l’ha scaraventato lontano, sull’altro lato del tetto.
Donatello ha fatto un salto per schivare quel bot ninja che
era arrivato ai suoi piedi. Ruotando il suo bo sulla testa, a differenza di
Mikey lui non rideva, a differenza di Raph lui non ringhiava. Per lui la
battaglia era un incidente che bisognava risolvere nel modo più veloce ed
efficace possibile. Un problema da estinguere in modo scientifico. Il minor
numero di danni subiti ed il maggior numero di danni inflitti. Stop. Risolvere
l’inconveniente di percorso nel quale statisticamente purtroppo era sempre più
facile incappare, e tornare ad occuparsi delle altre faccende che lo
riguardavano. Gli studi sul mutageno, per esempio.
Non poteva negare, certo, che ogni qual volta un colpo
perfetto andasse a segno, un piccolo compiacimento lo coglieva; non disprezzava
la bellezza e la maestria di un gesto preciso ed efficace: ne proiettava nella
sua mente la matematica armonia in termine di scontro tra forze ed equazioni dalle
infinite variabili. Poteva in un certo senso capire la soddisfazione che
provava suo fratello Leo ad eseguire le sue figure come da manuale.
Leonardo rasentava la perfezione. Anno dopo anno, mese dopo
mese, le sue tecniche si erano affinate sempre più, fino a pensare di poter
competere, un giorno non molto lontano, in bravura addirittura con il loro
maestro Splinter. Ogni scontro era per lui un appuntamento per il quale si era
preparato fin dall’infanzia; il ninjutsu era un’arte, e lui era l’artista che
vi aveva dedicato tutta la sua giovane vita.
Nei kata perfetti proiettava la sua insaziabile sete di
equilibrio; nell’onore del combattimento si esplicava la sua aspirazione ad
essere il leader, la guida, l’esempio, il risultato. Affondi precisi, colpi possenti:
una danza veloce e letale, una fluidità di movimenti senza pari; le sue katana
erano strisce di luce nella notte newyorkese che tranciavano di netto a metà le
antropomorfe figure robotiche.
…
“Quale devo colpire?”
“Uno qualsiasi, tranne quello con la maschera rossa.” Quello è mio.
L’uomo con la divisa nera ha annuito. Ce la poteva fare
anche da quell’enorme distanza, e con i nemici che si muovevano in
continuazione. Era il più bravo in quel lavoro non solo di tutto lo squadrone,
ma probabilmente di tutto il mondo.
Aveva tre aghi a disposizione. Ce la poteva fare. Anzi, ce
la doveva fare. Perché anche se lui era il migliore nel suo campo, anche se un soldato
altrettanto abile nell’utilizzo di quella particolare arma sperimentale non
sarebbe stato facile da trovare, l’uomo che gli stava dando i comandi non
avrebbe esitato un attimo a ucciderlo in caso di un suo fallimento.
Impugnando con maestria quello speciale fucile a lunghissima
gittata, ha stretto un occhio per mettere a fuoco attraverso il minuscolo
mirino; poi il colpo è partito.
Il primo ago si è rotto contro il colpo metallico di un bot
che rapido si è intromesso davanti alla tartaruga mascherata in arancione. La
battaglia continuava, a diversi tetti di distanza, ma il numero dei bot piano
piano andava scemando. Come sempre, quei mutanti stavano avendo la meglio.
Miriamo a quello con
la maschera viola.
Un altro ago ha sibilato nell’aria. Ma la tartaruga più alta
ha roteato il bo proprio nella sua traiettoria.
Dannazione.
“È l’ultimo ago. Non serve che ti ripeta che non puoi
sbagliare, soldato”. Come per rafforzare con il gesto le sue parole, il suo
superiore ha accarezzato il pugnale che portava al fianco.
Era la sua ultima chance. La sua vita dipendeva da un soffio
di vento.
L’ago sottilissimo ha lasciato la canna. È volato nella
notte, fra i tetti. Ha riflesso per una piccola frazione di secondo nella sua
minuscola superficie il bagliore delle luci multicolori che come puntini
tremolanti si irradiavano flebili giù in basso. È passato tra due bot ninja, ha
sfiorano il nunchaku vorticante della tartaruga mascherata in arancio, ha superato
il guscio dell’altro guerriero, quello con la maschera viola.
Si è immerso di appena pochi millimetri nella pelle verde, per
poi cadere a terra con un tintinnio così debole che non sarebbe stato udito
neppure se su quel tetto non stesse infuriando una feroce battaglia.
Leonardo si è toccato il collo. Cos’era stato? Una
sensazione dimenticata subito nella concitazione del momento. Ha trafitto da
dietro uno dei bot che stavano accerchiando Donatello.
Un minuto, ed era già tutto finito. I quattro fratelli
ansimavano un po’ mentre riponevano le armi. Si sono riavvicinati, portandosi
verso il mutante in blu. Intorno a loro, una dozzina di bot ninja giacevano
distrutti, i corpi robotici distesi in forme scomposte.
“Ottimo lavoro, ragazzi.” Leonardo ha assunto una posa
fiera, pugni sui fianchi, petto in fuori. Tra il serio ed il faceto, ha imitato
il capitano Ryan del suo amato Space Heroes.
“Ma finiscila.” Raffaello gli ha dato una spinta che per
poco non l’ha fatto finire a terra.
“Uh uh, me la posso tenere?” Michelangelo ha preso in mano
la testa di un bot, rigirandola affascinato.
“Per sostituire la tua? Non è così che funziona.” Il
fratello mascherato in rosso gli ha appioppato uno schiaffo sulla nuca. “E poi
basta il nerd a riempirci la tana di bot-spazzatura.”
“Non è spazzatura, pezzo d’asino, ma materiale che posso
utilizzare per le mie invenzioni.”
“Come mi hai chiamato?”
“Ehm… Leo? Torniamo a casa?” Donatello è indietreggiato
davanti al fratello che aveva appena risfoderato i sai. Affibbiargli epiteti
mentre era ancora pieno di adrenalina per la battaglia non era una grande idea.
“Torniamo ragazzi. Mikey, posa quella testa.” Il leader in
blu è saltato sul tetto di fronte, riprendendo la strada di casa. Dopo di lui,
gli altri tre ninja l’hanno seguito balzando agili, nere silhouette nella notte.
Ignari degli occhi grigi che hanno guardato da lontano tutta
la scena.
…
(Tre giorni dopo.)
“Leo? Leo?”
Leonardo si è sentito chiamare da qualcuno. Ha aperto gli
occhi a fatica. Ha impiegato un paio di secondi per scacciare gli ultimi
brandelli di sonno ed ha messo a fuoco la figura china sopra di lui, che lo
stava scuotendo delicatamente per una spalla.
Verde. Arancione. Lentiggini.
“M… Mikey? Che vuoi?” Infastidito si è girato dall’altra
parte sul suo letto. Perché suo fratello lo disturbava nel bel mezzo della
notte? Lui era così stanco…
“Alzati fratello! Ti stai perdendo la colazione.”
Alzarsi? Colazione? Ma che ore erano?
Leonardo è balzato a sedere sul letto ed ha preso tra le
mani la sveglia. Era tardissimo! Lui solitamente a quell’ora era già in piedi
da tempo. Si alzava sempre prima dei suoi fratelli.
“Muoviti, o Raph si pappa tutto!”
Michelangelo è uscito dalla stanza lasciando un Leonardo
stordito e confuso. Come mai non si era svegliato? E come mai gli sembrava di
aver dormito solo un paio d’ore? Eppure ricordava di essere andato a letto per
primo la sera precedente: dopo la ronda era tornato a casa insolitamente
stanco…
Si è fatto forza, ha stiracchiato le braccia, sbadigliando. Ha
preso la sua maschera blu dal comodino e l’ha allacciata con cura. Ha indossato
le fasce e le protezioni ed è sceso in cucina.
“Uh! Il grande Leonardo che si alza per ultimo! Da scrivere
negli annali!” ha iniziato Raffaello mentre addentava un toast.
“Ben svegliato, figliolo. Tutto bene?”
“Buongiorno Sensei. Sì, tutto a posto, grazie.” Leonardo ha
odorato disgustato gli odori della cucina. Un conato di vomito gli è salito
alla gola. Sì è seduto tra il padre che sorseggiava il suo tè e Donatello che
con una tazza di caffè in una mano digitava sull’inseparabile portatile con
l’altra.
“Donatello, figlio mio, non puoi mettere da parte il
computer mentre facciamo colazione?” Quello di suo padre non era un semplice
invito, e Donatello ha immediatamente riposto su uno sgabello il portatile.
Senza spegnerlo, però.
“Et voilà!” Michelangelo ha poggiato davanti a Leonardo un
piatto di pancetta ed uova strapazzate.
Alla vista del cibo, la tartaruga mascherata in blu si è
sentita rivoltare lo stomaco.
Ha allontanato il piatto.
“Scusa Mikey, non ne voglio.”
Michelangelo ha guardato il fratello come se lo avesse
appena pugnalato al cuore. Leonardo si è affrettato ad aggiungere: “Si vede che
è tutto ottimo, come sempre, ma stamattina proprio non ho fame. Scusa.”
“Non c’è problema, fratello.” La tartaruga mascherata in
arancione gli ha rivolto un caldo sorriso ed ha iniziato a togliere il piatto,
per essere fermato al volo da Raffaello, tutto chino a mangiare voracemente come
se non vedesse cibo da mesi.
“Lascia a me.”
Michelangelo ha annuito compiaciuto. Con Raph raramente si
sprecava qualcosa.
Splinter e Donatello hanno guardato Leonardo.
“Va tutto bene, ok? A voi non capita mai di non aver fame?”
Leonardo ha fatto un sorriso di circostanza mentre appoggiando entrambe le mani
sul bordo del tavolo si è alzato per andare in bagno.
…
“Hajime!”
Splinter come di consueto ha dato inizio alla sezione di
allenamento.
Quella mattina, Raffaello doveva gareggiare contro
Donatello, Leonardo contro Michelangelo. Solitamente, in queste situazioni non
c’era storia: i due fratelli maggiori battevano sistematicamente i minori.
Donatello ha ruotato il suo bo mentre è avanzato, non molto
convinto, contro il fratello. Stava pensando chi gliela facesse fare a provarci
ancora, dopo tanti anni, quando non era riuscito a batterlo neanche una volta.
Con l’espressione rassegnata di chi è consapevole di andare
incontro all’inevitabile, ha abbassato il bo in posizione difensiva sperando di
riuscire almeno a non farsi male. Raffaello con un ghigno satanico gli si è
lanciato contro; Donatello ha deviato l’assalto facendo leva sul bastone per
ruotare di lato, ed ha tentato di assestare un calcio da dietro al fratello.
Questi ha fatto una capriola per rimettersi di fronte a Donatello e, mentre era
ancora giù, l’ha colpito sui polpacci, piano per non fargli male ma abbastanza
forte da sbilanciarlo.
Meno di trenta secondi e Donatello era già al tappeto con in
piede del fratello mascherato in rosso sul piastrone.
Ha girato la testa di lato a cercare la comprensione di
Michelangelo che sicuramente aveva subito la stessa sorte.
Invece ha visto Leonardo inginocchiato che si teneva il
volto ed un mortificato Michelangelo accanto a lui.
Splinter si è avvicinato al figlio mascherato in blu, gli ha
tolto le mani dal volto per controllare eventuali danni. Solo un piccolo segno
rosso sulla guancia, ed un taglietto a lato della bocca.
“Io… io… mi dispiace, Leo! Ma pensavo che l’avresti parato!”
Michelangelo era contrito, si è rivolto verso il maestro allargando le braccia:
“Sensei, hai visto? Era una mossa elementare! Come ha fatto a non pararla! Mi
dispiace tanto! Io…”
“Va tutto bene, Mikey. Colpa mia, mi sono distratto. Scusa
Sensei.” Leonardo si è alzato in piedi e rivolto al maestro ha chinato il capo
in un rispettoso gesto di scusa.
“È pericoloso distrarsi durante l’allenamento, Leonardo.
Quando si usano le armi anche una piccola disattenzione può provocare gravi
danni. Te la senti di proseguire?”
“Certamente Sensei, non è niente.”
“Bene. Ricominciamo.”
Ma dopo un po’, Splinter ha capito che qualcosa non andava.
Leonardo combatteva male, si muoveva in modo insolito, e si era fatto battere
praticamente da tutti i fratelli. Adesso era in evidente difficoltà a parare la
gragnola di colpi di Donatello.
“Yame.”
Al comando, Donatello si è bloccato col bo a mezz’aria una
frazione di secondo prima di centrare ancora il fratello.
Splinter si è avvicinato a Leonardo, che ansimava
leggermente.
“Tu non stai bene, oggi, figlio mio.”
“No Sensei, io…”
“Leonardo.”
Leonardo ha abbassato lo sguardo. “Sì, Sensei, non mi sento
molto bene.”
I fratelli si sono guardati l’un l’altro, in colpa. Avrebbero
voluto sprofondare, lì dove si trovavano: ognuno di loro aveva gioito in cuor
proprio, orgoglioso di aver battuto il fratello.
Donatello ha mollato il suo bo ed ha guardato Leonardo con
fare clinico. Il blu aveva gli occhi insolitamente rossi e lucidi. Gli ha messo
una mano sulla fronte.
“Hai la febbre.” La tartaruga mascherata in viola si è
sentita un verme. Stava prendendo a colpi suo fratello che aveva la febbre.
Per la loro conformazione particolare, avere la febbre
poteva essere solo di per sé un problema abbastanza serio. Essi avevano un
sistema di termoregolazione imperfetto ed imprevedibile; per il loro miscuglio
genetico il corpo non reagiva a questi normali fenomeni di autodifesa come ci
si sarebbe aspettati.
Né rettili, né mammiferi, erano delle creature singolari, e
per loro la medicina umana aveva dei limiti.
In parole povere, anche pochi gradi di febbre non potevano
essere sottovalutati. E Donatello ha sentito la fronte del fratello che
letteralmente scottava.
“Perché non ci hai detto niente?” Adesso Donatello era non
solo in modalità medico, ma in modalità fratello medico che iniziava ad
incazzarsi.
“Ma sto bene! Ho solo un po’ di febbre!” Leonardo ha
abbassato il capo, arrossendo.
Splinter ha sorriso. Questo suo figlio fin troppo
orgoglioso. Gli ha poggiato una mano sulla spalla.“Non c’è niente di cui
vergognarsi a stare male, Leonardo. Capita a tutti.”
“Cos’altro ti senti?” Donatello ha preso il viso del
fratello con una mano continuando a scrutarlo come se fosse un esperimento di
laboratorio. Raffaello ha incrociato le braccia ed ha scambiato uno sguardo
divertito con Michelangelo. Faticavano a trattenere le risate di fronte alla
scena dell’accorato medico e dell’imbarazzatissimo paziente.
“Ehm, vomito e… devo andare spesso in bagno.” Ha intravisto
con la coda dell’occhio Raffaello e Michelangelo ed è diventato ancora più
paonazzo.
“Va bene, figlio mio. Vai in infermeria con Donatello e
fatti visitare. Per oggi sei esentato da ogni attività.”
“Uh uh! Ed io ti farò da infermierina per tutto il giorno!”
Michelangelo è balzato addosso al fratello e l’ha abbracciato fino a
strizzarlo. “Non ti preoccupare di niente! Penserò a tutto io! Ogni tuo
desiderio sarà un ordine e starò tutto il giorno vicino a te!”
Leonardo ha allargato gli occhi. Sarebbe stata una lunga
giornata.
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Capitolo 2 *** Messaggio ***
Cap 2
“Death
You bring death, and destruction to all that
you touch”
Muse, Take A Bow
“Ed infine, nell’ultima versione, quella che mi ha regalato
Raph, beh, il realismo è da paura, ma il seno è ancora più piccolo!”
Leonardo ha appoggiato sconfitto la testa contro il logoro
cuscino che fungeva da spalliera sulla seduta del gradino. Nonostante
l’antipiretico che aveva appena preso, il secondo in quella giornata, la febbre
continuava a salire. Il mal di testa e la nausea lo stavano mettendo a tappeto
e, come se non bastasse, era costretto a stare lì ad ascoltare Michelangelo che
illustrava l’evoluzione del seno di Lara Croft in tutte le versioni di Tomb
Raider.
Appena Donatello è uscito dal suo laboratorio, Leonardo l’ha
guardato con occhi imploranti.
Il mutante mascherato in viola si è messo a ridere. “Mikey,
la smetti di sfinire Leo a ciance?”
“Ma Donnie! Sto facendo compagnia ad un povero ammalato! E
poi ci stiamo divertendo, no Leo? Dimmi, fratello, lo sai qual è la versione di
Need for Speed che amo di più? Secondo m… ahio!”
Raffaello li ha raggiunti giusto in tempo per affibbiare uno
scappellotto in testa al fratello mascherato in arancione. “Tu non fai
compagnia, testa di legno. Tu sottoponi le persone a dure prove di
sopportazione.”
Si è buttato pesantemente a sedere anche lui sui gradini
della fossa nella zona centrale, accanto a dove si era appena seduto anche
Donatello.
“Uh Senzapaura, stasera non hai l’aria molto sveglia. Sembri
Mikey.”
Leonardo e Michelangelo hanno lanciato in sincronia la
stessa occhiataccia al fratello mascherato in rosso.
“Quindi direi che per questa notte la ronda salta.”
“E perché mai, Raffaello?” Le tartarughe si sono girate
verso il loro sensei, in piedi tra la colonnina piramidale e la piscina. Si
trovava già lì o era appena arrivato? Avere per padre un furtivo maestro ninja non
è sempre il massimo, soprattutto se sei un adolescente.
“Donatello, figlio mio, come sta tuo fratello?” Splinter si è
rivolto direttamente al medico di casa sapendo che se l’avesse chiesto al
diretto interessato, la risposta sarebbe stata un generico ‘sto bene’.
“Credo che abbia preso l’influenza che sta correndo, Sensei.
Basta tenere la febbre giù, ed in un paio di giorni dovrebbe essere a posto.”
Leonardo ha chiuso gli occhi. Il pensiero di stare due
giorni a casa ammalato non l’attirava neanche un po’.
“Allora non vedo alcun motivo per cui voi non dovreste
uscire, figli miei. Raffaello, per stasera il leader sarai tu.”
Raffaello, che era rilassato e con le braccia incrociate, si
è alzato in piedi di scatto, come se fosse stato morso da una tarantola.
Ricordava ancora la fallimentare esperienza di quando aveva provato a guidare i
suoi fratelli. Mikey era stato colpito a causa sua e lui era rimasto
pietrificato dal panico; per fortuna Donatello aveva salvato la situazione.
“Con tutto il rispetto, maestro, non sarebbe meglio che tu affidassi
questo compito a Donnie?”
Donatello l’ha guardato imbambolato e si è quasi slogato la
mascella da quanto ha spalancato la bocca.
“No, Raffaello. Questa sera il capo sarai tu, e Donatello vi
guiderà invece domani sera.”
“Ed io? Io, Sensei? Io quando?” Michelangelo è balzato in
piedi anche lui ed ha iniziato a ballare da un piede all’altro.
Splinter si è passato le mani sul petto, a lisciare il suo
kimono, un po’ in difficoltà.
“Poi vedremo, figlio mio. Tutti ci auguriamo che Leonardo
possa tornare presto alle sue responsabilità.”
“Uh uh, certo.” Michelangelo ha abbassato lo sguardo, un po’
ferito per non essere stato scelto, un po’ in colpa per non aver pensato che in
un paio di giorni il fratello mascherato in blu si sarebbe ripreso, cosa che
lui desiderava con tutto il cuore. Ha quindi guardato con affetto Leonardo.
…
Quando la porta a vetri si è
aperta, le guardie all’ingresso si sono drizzate in un militaresco gesto di
saluto. Nessuno ha osato guardare in faccia l’uomo alto ed elegante che ha
percorso i lussuosi marmi con passo marziale. La notte era ormai avanzata, ma
le guardie sapevano bene che il loro padrone non aveva orari per presentarsi al
suo ufficio. Lavorare per lui voleva dire essere sempre pronti, vigili,
preparati. Anche la notte.
Lui, anzi, si mostrava soprattutto
la notte: la giovane guardia si stava chiedendo il perché, quando con un lieve
inchino ha abbassato lo sguardo, mentre il padrone gli passava davanti per entrare
nell’ascensore; forse a causa della sua menomazione fisica, una profonda
ustione che gli deturpava il viso. O forse, perché la notte era il regno dei
diavoli come lui, la guardia ha pensato deglutendo, osando alzare lo sguardo
solo quando le porte dell’ascensore si sono chiuse, nascondendogli la vista dell’inquietante
e misterioso uomo d’affari straniero per cui lavorava.
Solo, all’interno dell’ascensore,
l’uomo si è lisciato le mani sul costoso gessato italiano, che nascondeva ma
faceva immaginare la possente muscolatura, il corpo ancora giovane ed atletico;
ha piegato il collo da una parte e dall’altra per sgranchirsi dal lungo volo
dal Giappone.
I giorni passati erano stati molto
difficili. Ma aveva vinto, ancora una volta. E chi aveva perso, non avrebbe mai
più avuto la possibilità di pentirsi per aver osato mettersi contro di lui.
Adesso, aveva lasciato lì solo i suoi uomini per occuparsi delle ultime
faccende ‘da mettere a posto’. Lui è potuto tornare a dedicarsi interamente ai
suoi piani qui a New York.
Quando ha percorso il corridoio
che portava al suo ufficio, non ha potuto fare a meno di sorridere,
soddisfatto, al pensiero. Il sorriso, sbieco e crudele, gli si è congelato di
colpo quando ha aperto la porta del suo immenso studio, che si affacciava in
alto sulle sfavillanti luci di Manhattan, le quali brillavano oltre le pareti
di vetro, arrivando ad illuminare l’ambiente di un freddo barlume irreale, che
faceva distinguere l’arredamento della stanza ancor prima di accendere la luce.
È bastata una frazione di secondo
al suo corpo per mettersi in allarme.
La mano ha stretto la pistola
nella fondina sotto la giacca ancor prima che la maggior parte delle persone
avesse avuto il tempo di capire che qualcosa non andava.
C’è qualcuno.
Poi, l’ha visto.
Seduto sulla poltrona in pelle
della sua scrivania, lì in fondo.
La sagoma si distingueva anche nella
semioscurità, in leggera silhouette contro il cielo di piombo aldilà del vetro.
…
“Mikey! Finiscila di giocare con quell’antenna! Vuoi
lasciare tutto il palazzo senza televisione?”
“Capirai che perdita! E poi sei leader da poche ore e già rompi
come Leo!”
“Prova a dirlo un’altra volta!” Raffaello ha agguantato
Michelangelo e l’ha buttato per terra, sul tetto di un vecchio condominio.
Donatello guardava le luci lontane, seduto sul cornicione.
“Ragazzi, la serata è morta. Che
dici, Raph, torniamo? Voglio vedere come sta Leo.”
Le tre tartarughe avevano
pattugliato tutta la sera sotto una pioggerellina sottile e fastidiosa. L’acqua
faceva brillare il cemento dei tetti e delle terrazze, e riempiva le poche
finestre illuminate ai piano inferiori di una miriade di briciole di luce.
Raffaello si è alzato da sopra
Michelangelo, dopo avergli strofinato forte con le nocche la pelle della testa.
“Direi di sì. Inizio ad essere inzuppato
fino alle ossa, dannazione.”
All’improvviso Michelangelo, che
si era appena rialzato anche lui, ridacchiando e tenendo una mano sulla testa, ha
visto qualcosa venirgli incontro.
Velocissimo, si è scansato di lato.
Un pugnale dal manico nero si è
conficcato, vibrando, nel muro della casupola che conduceva alle scale del
palazzo, proprio a fianco della tartaruga mascherata in arancione. “Ma cosa…”
I tre fratelli hanno estratto le
armi, guardinghi. Nei tetti vicini non si vedeva anima viva.
“Se pensavano di colpirmi da
lontano con un pugnale non conoscono il grande Michelangelo!”
“Non volevano colpirti, testa di guscio.
Guarda!” Raffaello ha indicato l’arma nel muro, accanto al fratello. Tra la
lama ed il manico vi era conficcato qualcosa di bianco. Un pezzo di carta
ripiegato.
Michelangelo ha estratto il pugnale
dal muro, mentre i fratelli si guardavano ancora intorno. Ha spianato la
sottile striscia di carta, bagnata dalla pioggia.
Donatello si è girato a guardare Michelangelo.
Il fratellino ha letto il messaggio con gli occhi sgranati; le pupille azzurre
hanno seguito la linea della scrittura sulla carta una, due, tre volte; la
bocca era tirata in un’espressione seria come raramente si era vista sul suo
viso lentigginoso. Michelangelo ha poi alzato lo sguardo a Donatello, uno
sguardo stupito, impaurito, doloroso, e poi a Raffaello che gli si era
avvicinato , a cui ha consegnato il biglietto.
Donatello non avrebbe saputo dire
con esattezza se la mano di Michelangelo tremasse o se fosse solo una sua
impressione, ma ha visto chiaramente che adesso stavano tremando quelle di
Raffaello.
…
“Chi sei? Come hai fatto ad
entrare?”
Ha puntato la pistola contro la
figura seduta alla sua scrivania, ma non avrebbe sparato. Non subito, almeno.
Alla rabbia per l’affronto si sommavano la curiosità di sapere cosa volesse
quell’uomo da lui e, nonostante tutto, la stima per il suo coraggio e per le
sue capacità. Non era facile entrare nel suo ufficio, all’ultimo piano della
Oroku Saki Corp, con l’imponente numero di guardie che proteggevano la struttura.
Alcune di quelle guardie, comunque, non avrebbero mai più fatto uno sbaglio
simile.
L’uomo si è alzato, allargando lentamente
le braccia.
“Sono un amico. Sono qui per
offrirle il mio servizio.” La voce era calma, sicura.
Oroku Saki ha acceso la luce
dall’interruttore al suo fianco, sempre tenendo la pistola puntata sull’uomo.
Adesso, poteva vedere benissimo le
fattezze della persona che aveva osato introdursi nel suo ufficio. Era un uomo
alto, caucasico, sui quarant’anni d’età. Capelli brizzolati tagliati
cortissimi, viso squadrato, corpo snello ma muscoloso. Indossava una divisa
nera, di foggia militare.
Freddi occhi grigi l’hanno
guardato senza mostrare paura; un sorriso gelido si stagliava sul viso
perfettamente rasato.
“Mi chiamo Kurtis Tucker, signor
Oroku. O dovrei chiamarla Shredder.”
L’uomo si è allontanato dalla
scrivania, mostrando con ironico ossequio il posto lasciato libero.
Shredder si è avvicinato, ma non
si è seduto. “Dammi un motivo per cui non dovrei ucciderti subito.”
Kurtis l’ha guardato dritto negli
occhi. “Gliene darò quattro. Grandi ed umanoidi tartarughe ninja. Anche se
ormai probabilmente dovrei dire tre.”
Il giapponese ha alzato le
sopracciglia. Quest’uomo insolente si era meritato la sua attenzione, ed il
diritto di restare in vita ancora per un po’.
Ha poggiato la pistola, e si è
seduto. Ha squadrato meglio l’uomo che aveva di fronte, che adesso lo stava
guardando in attesa, sempre con quel sorrisetto gelido sul volto; la sua espressione,
beffarda e sicura di sé, aveva un non so che d’inquietante.
Oroku Saki, che conosceva bene le
nefandezze dell’animo umano, ha identificato subito l’aura che l’uomo irradiava
intorno a lui: sapeva di morte.
“Vai avanti.”
Kurtis ha annuito leggermente,
quasi divertito.
“Sono venuto a sapere che le
interessano quei mutanti. Li ho visti combattere con i suoi ninja. Io e gli
uomini che lavorano per me possiamo risolverle il problema. Come le dicevo, ne
abbiamo già messo fuori gioco uno.”
“Quale?”
Gli gelidi occhi grigi hanno
brillato per un attimo di sadica soddisfazione. Quello che gli aveva piantato un coltello nella spalla. Si è
toccato per un attimo la ferita, ormai guarita.
“Quello con la maschera blu”.
Shredder ha allargato gli occhi in
maniera appena percepibile. Quest’uomo aveva ucciso l’allievo più abile del suo
nemico? Un piacere crudele gli ha accarezzato l’anima nera al pensiero del
dolore che questo doveva aver procurato a quel mostro mutato di Hamato Yoshi.
Quest’incontro si stava rivelando
più interessante del previsto.
N/A Piango,
ragazze. Mi avete fatto piangere. Ho aperto il computer, entro nel mio piccolo
tarta-mondo-felice (cara cartoonkeeper8, eccolo, il posto felice!!!), ed un po’
titubante mi chiedo se qualcuno ha letto il primo capitolo. Mi trovo 9
recensioni.
Sicuramente ho letto
male.
Tolgo gli occhiali, li pulisco.
NOVE RECENSIONI! ODDIODDIODDIO!!!A questo punto vi risparmio
la scena straziante di LaraPink che prende un profondo respiro e poi piange in
pieno stile manga, fontanelle dagli occhi.
Grazie grazie grazie! Siete state carinissime! Le care
vecchie amiche cartoonkeeper8, CatWarrior, ladyzaphira, Ser Barbs, piwy, LisaBelle_99,
NightWatcher96 mi hanno onorato e lusingato, ed adesso mi sento un po’ in colpa
per non essere stata molto presente in questo sito come avrei voluto. La
fontanella è diventata il Rio delle Amazzoni quando ho letto che vi ricordavate
pure del mio OC.
Siete fantastiche, ragazze <3
Un grazie di cuore anche alle “nuove” Conn e ILoveRaph,
piacere di conoscervi dudettes, spero che resteremo a divertirci un po’ insieme.
Ehmm…. Maschietti, ma ci siete? Esistete? Dai, almeno uno?
Riguardo alla storia, questa volta ho dato un po’ di spazio
al mio OC (solo un poco, tranquilli. Prometto che non ruberà affatto il posto
alle turtles, che restano le protagoniste indiscusse, tutte e quattro in ugual
misura). Io personalmente quando leggo che in una storia c’è un OC arriccio un
po’ il naso, ma poi spesso me ne innamoro. Spero di aver creato un personaggio
che possa piacervi almeno un po’, volevo un villain che non fosse solo il
solito Shredder.
Non me ne volere Oroku, sai che ti amo, sì, continua a
massaggiare lì, caro…
Un abbraccio grande come il Colosseo che vi faccia
riprendere dallo shock del primo giorno di scuola, a presto!
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Capitolo 3 *** Padre ***
Cap 3
“You're still young,
that's your fault,
There's so much you
have to go through”
Puggy, Father and Son
Splinter ha preso la pezzuola
bianca dalla bacinella e l’ha strizzata. Nonostante l’attenzione, qualche
goccia è arrivata a bagnare il comodino accanto al letto di Leonardo, dove la
bacinella era poggiata. Vicino alla bacinella, piegati con cura, vi erano la
maschera ninja blu, le protezioni per i gomiti e le ginocchia, le fasce per i
polsi e le caviglie, e la cintura e la tracolla per le armi, di cuoio.
La febbre era salita ancora.
Splinter ha poggiato la pezzuola sulla fronte del figlio, che teneva gli occhi
chiusi. Leonardo adesso stava talmente male da aver superato l’imbarazzo di
avere il padre seduto su una sedia accanto al suo letto che l’accudiva come
quando era bambino. Si sentiva la testa scoppiare, lo stomaco in subbuglio,
faticava perfino a respirare bene. Non ricordava di essere mai stato così male.
Se questa era l’influenza, doveva averla presa nella sua forma peggiore.
Dal canto suo Splinter stava
provando la stessa ansia di quando i suoi figli erano bambini. Quando si
ammalavano, per lui era sempre stato un colpo al cuore: non sapeva mai come i
loro piccoli corpi mutanti avessero reagito ai più banali malesseri, ed era dolorosamente
consapevole che se le cose si fossero messe male non avrebbe mai potuto
portarli in ospedale, come i bambini umani. Per fortuna tutte le loro malattie
si erano sempre risolte velocemente; solo una volta aveva veramente temuto il
peggio, aveva perso notti di sonno e la sua stessa salute, per una brutta
bronchite di Michelangelo.
Quindi anche se questo suo ragazzo
aveva ormai sedici anni, ed era un forte ninja che negli ultimi mesi aveva
combattuto e vinto nemici di ogni sorta, arrivando a sgominare solo poche
settimane prima un’intera organizzazione del traffico internazionale di droga,
per lui cambiava poco: finché la febbre non fosse scesa, non sarebbe stato
tranquillo.
Qualche ora prima, si era
avvicinato titubante alla stanza del figlio. Leonardo era andato a dormire
appena i suoi fratelli erano usciti in superficie, e Splinter dapprincipio aveva
deciso di non disturbarlo: il figlio sapeva ormai badare a sé stesso, e sarebbe
stato disonorevole trattarlo come un bambino.
Ma dopo aver cercato di meditare
un po’, non ce l’aveva fatta più: aveva ceduto alla debolezza paterna,
vergognandosi un po’ della situazione, ed aveva aperto piano la porta della
stanza di Leonardo. Si era avvicinato al suo letto, e si era accorto che il figlio
si lamentava, in un sonno agitato. Gli aveva poggiato delicatamente la mano
sulla fronte, per scoprire sgomento che, nonostante le medicine, la febbre
aveva continuato ad alzarsi, ed il giovane scottava come Splinter pensava che
non potesse essere possibile, dato il suo sistema circolatorio non propriamente
a sangue caldo.
Splinter aveva quindi iniziato a
fargli della spugnature con l’acqua fresca; Leonardo si era svegliato, e non si
era opposto. Il maturo mutante aveva capito da questo quanto il figlio fiero e orgoglioso
dovesse stare male.
Ad un certo punto, Leonardo ha
sorriso al padre, chiudendo gli occhi.
“Ricordo quando mi hai fatto le
spugnature da bambino, quella volta che ci siamo ammalati tutti e cinque.”
Splinter ha sorriso anche lui.
Ricordava benissimo quel momento. Un virus intestinale aveva colpito tutta la
famiglia, e Leonardo e Michelangelo avevano avuto la febbre alta per un paio di
giorni.
“Sì, figlio mio? – Ha ribagnato la
pezzuola, e l’ha messa nuovamente sulla fronte dell’adolescente. – Eppure eri molto piccolo. Avevi forse tre o
quattro anni.” Si è asciugato le mani contro il suo kimono, poi ha accarezzato
il piastrone del figlio. Era già segnato da alcune piccole cicatrici. Quando
era bambino, il suo guscio era così liscio, setoso…
“Cos’altro ti ricordi di quando
eri piccolo? Quali sono primi ricordi che hai?”
La tartaruga mutante ha aperto gli occhi. Il
loro blu risaltava contro la pelle verde. “Beh, ricordo quando ci hai dato le
maschere, e quando abbiamo iniziato la formazione. Poi ricordo quando Donnie si
è avvelenato, quando Raph è scappato di casa… Quando Mikey si è perso nelle
fogne. Ah, e quando si stava soffocando con le costruzioni, ma questo non lo
ricordo bene. E poi…– Ha ridacchiato un po’, imbarazzato. – Ricordo quando
giocavamo ad ‘acchiappa coda’.”
Splinter ha alzato le
sopracciglia, poi si è messo a ridere. Si è sentito invadere da un caldo senso
di tenerezza. Aveva quasi perso questo ricordo. I suoi piccolissimi quattro
figli che gli giravano intorno, con Michelangelo e Donatello ancora incerti
sulle gambe, cercando di afferrargli la coda. Si è stupito che Leonardo avesse memoria
di episodi così lontani nel tempo.
Leonardo e Splinter hanno continuato
a parlare per un po’, ricordando aneddoti della vita passata e chiacchierando
del più e del meno, non come maestro e allievo, ma come padre e figlio; e se
non fosse stato per la situazione, con Leonardo vistosamente debole e spossato
dalla febbre, Splinter sarebbe stato felice di questo prezioso momento di
riacquistata intimità: adesso che i ragazzi erano cresciuti, diventava sempre
più difficile passare del tempo con loro.
Forse era soprattutto colpa sua,
ha pensato sospirando il ratto mutato che una volta era stato Hamato Yoshi:
negli ultimi anni si era imposto sempre più come maestro e sempre meno come
genitore, ed adesso i figli trovavano più naturale chiamarlo Sensei che padre…
Stava riflettendo su questo quando
le sue orecchie si sono mosse per captare il rumore degli altri figli che
rientravano. Si è alzato in piedi quando ha sentito che i passi concitati
correvano verso la stanza dove si trovava.
“Sensei!” Raffaello è entrato
nella stanza trafelato, seguito da Michelangelo. Hanno guardato Splinter con
un’espressione che ha trasmesso all’uomo mutato la loro preoccupazione.
Il rosso ha abbassato lo sguardo
a Leonardo, col viso teso, poi ha fatto segno a Splinter di seguirlo fuori.
Leonardo era intontito dalla
febbre alta, ma si è alzato su un gomito, facendo scivolare giù la pezzuola che
aveva sulla fronte. “C… cosa…”
Michelangelo si è seduto sul bordo
del letto, ha sorriso al fratello, ma con un sorriso tirato che puzzava di
finto da lontano e che faceva a pugni con i suoi occhi spaventati; invece di
rispondergli, gli ha chiesto: “Come ti senti, fratellone?”
Leonardo l’ha guardato serio. “Che
succede, Mikey?”
Nel frattempo è entrato Donatello,
con una siringa in mano.
“Tranquillo, Leo. Tra poco ti
raccontiamo tutto. Prima ho bisogno di prendere un po’ del tuo sangue.”
Fuori dalla porta, Splinter di
fronte a Raffaello stava leggendo la striscetta di carta che il figlio
mascherato in rosso gli aveva porto. Su di essa una scritta sbiadita e dai
bordi deformati dall’acqua.
L’ha dovuta rileggere più volte,
col cuore che gli batteva forte nel petto ed un’ansia che gli formicolava nelle
mani.
“Tuo fratello è morto, tartaruga.
Vedremo se sei più uomo o più animale.”
Ha guardato Raffaello, che aveva
un’espressione spaventata. Sembrava un bambino. Gli occhi verdi dilatati
dall’ansia, urlavano paura e senso di colpa. Splinter avrebbe preferito, per
una volta, che il suo figlio più irruento mostrasse la sua solita rabbia,
piuttosto che vederlo in questo stato.
Quando ha parlato, la sua voce
tremava. “So chi è, Sensei. Era un mercenario al soldo del trafficante di droga
che abbiamo fatto arrestare.”
Splinter ha annuito, teso. “Tra poco mi racconterai tutto. Voglio che ci sia pure
Donatello.”
Sono ritentarti nella stanza di
Leonardo.
Una fialetta di sangue era
poggiata sul comodino; Michelangelo, in piedi a braccia incrociate, una gamba
piegata col piede appoggiato al muro, teneva lo sguardo dall’altra parte.
Donatello stava ispezionando il
fratello sul letto, gli teneva un braccio tra le mani e lo guardava
accuratamente, poi l’ha riposto ed ha iniziato ad esaminare le gambe. Leonardo
si è fatto manipolare passivamente, guardando a turno il padre ed i fratelli
con occhi malati e spaventati. Aspettava una spiegazione che già temeva non gli
sarebbe affatto piaciuta.
Quando Donatello ha guardato il
fratello dietro al collo, si è bloccato un attimo, per poi accostare il viso per
controllare bene. Splinter si è avvicinato ed ha visto anche lui ciò che il
mutante mascherato in viola aveva cercato: una macchia tondeggiante, rossa e
leggermente gonfia, segnava la pelle di Leonardo.
“Gli è stato iniettato qualcosa
qui.” Donatello ha riferito ad altra voce guardando anche Raffaello e
Michelangelo; poi si è rivolto a Leonardo: “Ti sei accorto quando sei stato
colpito?”
Portandosi una mano al collo, per
sfiorare la piccola chiazza, Leonardo ha alzato uno sguardo confuso e lucido di
febbre al suo sensei: “Io… no… ma che è
successo?”
Splinter si è seduto sul letto del
figlio, gli ha poggiato una mano sulla gamba. “I tuoi fratelli hanno trovato un
messaggio. La tua malattia non è un evento naturale.”
Leonardo ha sussultato in maniera
appena percepibile, ha stretto gli occhi e si è sdraiato piano. La testa ha
iniziato a girare ancora di più. Non voleva dare a vedere la sua paura, ma il
cuore ha iniziato a battergli forte. Questa era una brutta notizia. Una
bruttissima notizia.
Ha riaperto gli occhi. Donatello e
Raffaello erano già usciti dalla stanza. La loro fretta ha aumentato la sua
ansia. Quando Splinter ha fatto per alzarsi dal letto, Leonardo gli ha
afferrato un lembo del kimono, impulsivamente, per poi lasciarlo subito.
“S… Sensei, dovete raccontarmi
tutto.”
Splinter gli ha poggiato una mano
sulla fronte. “Tranquillo, figlio mio. Parlerò con i tuoi fratelli e poi verrò
a riferirti. Dobbiamo sapere cosa ti è stato iniettato. – Ha guardato
Michelangelo, ancora appoggiato al muro, che fissava Leonardo senza riuscire a
nascondere la sua preoccupazione. – Michelangelo resterà con te finché non
torno.”
La tartaruga in arancione ha
annuito, con un sorriso stanco. Da una parte voleva sentire anche lui quello di
cui Splinter avrebbe parlato con Donnie e Raph. Ma da un’altra parte, no; una
brutta notizia per questa sera gli era bastata, e non era sicuro di farcela a
sopportare l’idea che le cose potessero andare ancora peggio di come già
credeva che andassero.
In cuor suo sperava, sapendo di
ingannarsi, che questo fosse tutto un bluff, un’idea contorta di qualche
criminale che si divertita a terrorizzarli; magari quella che era stata
iniettata a suo fratello era qualche sostanza innocua, che provocava solo un
po’ di febbre. No, non ci credeva neanche un po’. Qualcuno aveva fatto del male
al suo fratellone, al suo aniki. Qualcuno
aveva attaccato la sua famiglia. Non sapeva chi fosse, ma aveva capito che Raph
doveva averlo conosciuto: forse aveva a che fare con quei trafficanti che
avevano sconfitto. O forse era qualche nemico che il suo fratello in rosso si
era fatto nelle sue pattuglie con Casey. Fatto sta, la situazione era
preoccupante. Quel piccolo pezzo di carta lo aveva veramente spaventato.
Si è seduto sulla sedia accanto al
letto. Leonardo aveva nuovamente gli occhi chiusi e il respiro un po’
affannoso. Avrebbe dovuto dirgli qualcosa? Tirar fuori qualcuna delle sue
battute per tentare di farlo sentire un poco meglio? Leo era più tosto e
coraggioso di lui, eh, ma la notizia doveva averlo buttato parecchio giù.
Ma forse, adesso Leo preferiva
riposare. Ed inoltre, stranamente, per una volta Michelangelo non ha trovato
proprio niente di divertente da dire.
Sì, forse per questa volta era
meglio stare zitto.
N/A Ho fatto strani pensieri. Fatti di mani mozzate, Death Note,
bazooka e micetti assassini.
Ragazze, Kurtis in confronto a voi è Gandhi, e Shredder uno
degli Orsetti del Cuore… ^^’
* deglutisce spaventata*
Spero che anche questo piccolo cappy padre/figlio vi sia
piaciuto, girls. Come dicevo a Conn, è una delle mie tematiche preferite, che
avrà tanta parte in questa storia, non solo per quanto riguarda Leo.
A proposito, posso salutare casa? XD “Quali sono primi
ricordi che hai?” me l’ha chiesto una volta mio padre. Oggi è il suo
compleanno. Auguri papi!!!
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Capitolo 4 *** Virus ***
Cap 4
Jennifer Thomas, Release
Le fredde luci al neon riverberavano
contro le pareti bianche, i poster con illustrazioni scientifiche, i monitor
accesi. Donatello si muoveva veloce, correndo da un lato all’altro del
laboratorio. Azionava centrifughe, cromatografi, ed altre apparecchiature
mediche racimolate e sistemate nel corso degli anni; metteva varie gocce del
sangue di Leonardo in fialette piene di soluzione. Era serio, concentrato.
Raffaello lo guardava, con
ammirazione, sentendosi in quel momento un po’ inutile ed incapace, mentre si
teneva in disparte con Splinter al suo fianco.
“Ok, adesso devo aspettare qualche
minuto.” Donatello era in piedi vicino ad un macchinario in funzione.
Splinter ha fatto segno a
Raffaello di iniziare a raccontare.
Il mutante mascherato in rosso ha
preso un profondo respiro. Non era piacevole ricordare quella notte, e lo era
ancor meno raccontarla. Si è appoggiato al muro di fianco alla porta, portando
la mano destra a stringere il braccio sinistro.
“Allora… La seconda parte del
messaggio si riferisce ad una frase che mi ha detto l’uomo che mi aveva fatto
prigioniero, quando con Leo ci eravamo intrufolati in quella fabbrica chimica,
un paio di mesi fa. Ve ne avevo parlato, credo che fosse il capo di un reparto
armato al soldo di quei trafficanti. Ricordo che ha detto di chiamarsi Kurtis…”
È rabbrividito, al ricordo. Non
era stato un momento piacevole. Rammentava la sua paura, le viscide mani
dell’uomo su di lui… Nessuno dei suoi familiari lo sapeva, ma nei suoi incubi
quei malefici occhi grigi tornavano a volte a tormentarlo.
Donatello nel frattempo si era
seduto al computer ed adesso stava digitando qualcosa alla tastiera. “Kurtis… Me
lo puoi descrivere? Mi hai raccontato che aveva gli occhi grigi…”
“Sì. Bianco, capelli brizzolati.
Alto, snello ma ben impostato. Sui quarant’anni, credo.”
“Cosa ti aveva detto?” Splinter si
è rivolto al figlio mascherato in rosso.
“Non ricordo bene tutte le sue
parole, soprattutto dopo che mi ha drogato… Mi chiedeva chi fossi… Anzi cosa fossi. – Un guizzo di rabbia ha
infiammato gli occhi verdi. – Era calmo, inquietante. Credo che fosse
addestrato alla tortura.” Un altro brivido. Il ricordo di come gli avevano
infilato il tubo di metallo in bocca.
“È lui?” Donatello con un cenno
della mano li ha chiamati accanto allo schermo del computer.
Il volto sulla scheda nel monitor
a Raffaello non diceva nulla. “No. Cosa stai guardando?”
Continuando a sfogliare schede
digitali, Donatello ha risposto: “Ho pensato che potrebbe essere un ex
militare. Sto controllando le cartelle di congedo del Ministero della Difesa.”
Naturalmente. Raffaello era ormai
abituato all’eccezionale talento di suo fratello, che stava rovistando tra i
documenti Top secret dell’esercito con la stessa disinvoltura con cui la gente
comune naviga su Google.
“Eccolo! È lui.” Ha bloccato
Donatello poggiandogli una mano sulla spalla. Aveva visto sul monitor quegli
inconfondibili occhi grigi.
“Cosa dice?” ha chiesto Splinter,
osservando il monitor da dietro i due figli.
“Colonnello Kurtis Tucker…
congedato con disonore nel 2008… a capo di un reparto speciale in Afghanistan…
mhm… corte marziale… inchiesta per presunte torture su prigionieri di guerra…
violenza sessuale… scomparso dal 2008.”
Donatello ha alzato lo sguardo a
Splinter, mentre Raffaello ha avvicinato il volto al monitor, per leggere
meglio la scheda, e poi si è allontanato, sbattendo disgustato un pugno sul
tavolo. “Quindi, non si sa dove sia. E con questa serie di crimini alle spalle
se ne va in giro a guidare un suo squadrone di mercenari, quando dovrebbe
marcire in qualche prigione militare! Ed il Governo non fa niente!”
Il viola ha scosso leggermente la
testa, disilluso. Suo fratello, a differenza sua, non aveva letto alcuni
disgustosi rapporti segreti su alcune commistioni tra esercito e politica, altrimenti
non si sarebbe stupito più di niente.
“Cosa ti ha fatto, esattamente,
figlio mio?”
Splinter, data la reticenza del
figlio a raccontare ciò che gli era capitato quella notte, in queste ultime
settimane si era astenuto dal chiedere. Ma adesso, era giunta l’ora di
approfondire la questione. Voleva capire esattamente chi fosse quell’uomo e che
cosa volesse dalla sua famiglia. Aveva bisogno di ogni più piccola
informazione. Quell’uomo aveva aggredito due suoi figli. Questa azione non
sarebbe passata più impunita. Ma l’importante, adesso, era aiutare Leonardo.
Raffaello ha fatto un passo
indietro, e si è involontariamente stretto le braccia intorno al corpo. Non era
più il momento di tergiversare.
“In effetti, quasi niente. Appena
un colpo con lo sfollagente. E mi ha drogato. Mi avevano legato ad una sedia,
ed avevano messo degli strumenti di tortura su un tavolo, per spaventarmi.”
Doveva raccontare anche… Al
diavolo, sì.
“E poi, mi ha toccato, in modo…
strano.”
Ha abbassato lo sguardo.
Donatello ha potuto vedere la
rabbia scorrere lungo il corpo del fratello, che al ricordo ha
involontariamente teso tutti i muscoli. E poi, girandosi a guardare il suo
sensei, vi ha letto la stessa emozione negli occhi, anche se l’espressione del
viso era ancora forzatamente calma.
“Strano in senso…”
“Sì, Donnie. In quel senso.”
Splinter ha stretto le mani a
pugno. I due adolescenti tartaruga se ne sono accorti.
“Per fortuna Leonardo è arrivato
giusto in tempo. Ma non ricordo cosa sia successo. So che ha ferito quel
bastardo alla spalla con un pugnale, perché me l’ha raccontato dopo.”
Il maturo mutante ha annuito.
Leonardo aveva raccontato quella storia anche a lui.
Il segnale di un macchinario ha
fatto balzare su Donatello dalla sedia. Ha preso una provetta, ha estratto un
po’ di liquido con un contagocce e l’ha posizionato su un vetrino.
Il silenzio è sceso nel
laboratorio, carico delle spiacevoli sensazioni del racconto di Raffaello,
mentre la tartaruga mascherata in viola analizzava la goccia sul vetrino al
microscopio.
I secondi battevano lenti
nell’orologio alla parete.
Ad un certo punto, Donatello ha
sussultato.
Ha cambiato le impostazioni del
microscopio, ed ha guardato ancora. Si è girato verso il computer, e le mani
hanno lavorato veloci sulla tastiera, mentre osservava attentamente il monitor;
quindi è tornato al microscopio. Un altro minuto è scivolato lento. Ha alzato
gli occhi al padre per un attimo, poi è sceso nuovamente a guardare
nell’oculare del macchinario.
Anche se era solo per un secondo,
a Splinter non è piaciuto quello che ha letto nello sguardo del figlio.
L’attesa era diventata adesso
insopportabile. Erano passati solo pochi minuti da quando Donatello si era
seduto al microscopio, ma sembravano ore.
Alla fine, il mutante mascherato
in viola ha alzato definitivamente la testa.
Era impallidito.
A Raffaello ha iniziato a battere
forte il cuore. “Allora?”
La voce di Donatello è stata un
sussurro.
“Un virus… un filovirus… forse
geneticamente modificato…”
Si è alzato in piedi. Splinter ha
notato l’appena percepibile sbandamento.
Il viola si è rivolto al padre, con
gli occhi pieni di paura.
“Ebola.”
Il tempo nel laboratorio sembrava
essersi fermato. La superficie metallica del tavolino rifletteva le tre figure
antropomorfe, immobili, e la fredda luce artificiale rendeva tutto asettico,
inorganico, irreale.
“Ebola…” Raph ha ripetuto meccanicamente. Il
nome gli riportava alla mente qualcosa di molto pericoloso. Qualcosa di
mortale.
Splinter ha sentito il bisogno di
sedersi sullo sgabello vicino al tavolo. “Quanto è pericoloso?”
“Assomiglia al ceppo dello Zaire,
ma credo che sia stato riprodotto in laboratorio. Forse come agente di
bioterrorismo… Se le caratteristiche sono simili a quelle del virus originale, il
rischio di morte è oltre il 90%... – Donatello si è passato una mano sugli
occhi. La voce ha iniziato a tremare. – Ma se, come temo, è frutto di
ingegneria genetica, potrebbe essere del 100%.”
Raffaello ha potuto sentire i
battiti del suo cuore rimbombare nei fori auricolari.
No no no. Non può essere.
“E non puoi… non puoi trovare una
cura?”
Donatello ha guardato il fratello
con condiscendenza. “Solo nei film è possibile trovare le cure ai virus in
pochi giorni, Raph. Nella vita reale ci vogliono mesi, o anni. E spesso non si
trova affatto.”
Si è pentito della durezza delle
sue parole quando ha visto suo fratello inorridire per quello che aveva sentito.
Ha guardato Splinter, il quale ha stretto gli occhi a due fessure ed ha
chiesto: “Quanto tempo ha?”
Raffaello non poteva credere che
questa conversazione stesse accadendo. Improvvisamente è stato avvolto da uno
spiacevole senso di irrealtà. Forse era tutto solo un sogno. Un incubo. Sì,
doveva essere così.
“Non… non posso saperlo, padre. Il
virus originale dopo la manifestazione dei sintomi dà pochi giorni di vita, meno
di una settimana… Ma questo è un virus modificato, e Leo non è un essere umano,
quindi proprio non so… Potrebbe essere di più…”
O di meno. Era abbastanza sicuro che anche Raph e Splinter
l’avessero capito.
“Che… che gli farà?”ha chiesto il
maturo mutante, con una voce che non sembrava la sua, da quanto era lontana dal
suo solito tono impostato e sicuro.
“È una febbre emorragica. I primi
sintomi sono simili a quelli di una comune influenza” Ed io sono stato così idiota da farmi ingannare. “Febbre, mal di
testa, nausea, dolori addominali.”
Ha inspirato, facendosi forza per
continuare. “Ad un certo punto, inizia la rottura dei capillari, e cominciano
varie emorragie, sempre più gravi… A quello stadio sembra che non ci sia più
niente da fare. E la malattia diventa più contagiosa.”
“È contagiosa?” Raffaello ha
spalancato gli occhi. Sono stati tutti a contatto con lui… E Mikey era ancora
nella camera del fratello.
“Solo tramite sangue, e fluidi
corporei. Nelle fasi iniziali, il contagio è estremamente raro. In ogni caso,
adesso voglio analizzare il sangue di tutti noi, per esserne sicuri.”
Splinter ha lottato per non cedere
a segni di sconforto davanti ai suoi figli. Oltre al terrore, il suo animo era
attanagliato da una rabbia feroce. Nonostante tutti i suoi ideali, al momento
la cosa che avrebbe desiderato di più era far pagare pesantemente le proprie
colpe alla persona che aveva ideato tutto questo. Era disgustato al pensiero
che potessero esistere esseri così abietti, da portare un virus mortale nella
città di New York. Un tale disprezzo per la vita altrui era inconcepibile.
“Cosa proponi di fare, Donatello?”
Il mutante mascherato in viola ha
portato per un attimo le nocche della mano a premere sulla bocca socchiusa,
traendo un profondo respiro. All’improvviso si è sentito gravato di una
responsabilità che temeva di non essere capace di sopportare. Il suo cervello,
che solitamente risolveva in pochi secondi equazioni complesse, adesso faticava
ad organizzare pochi piccoli pensieri.
Era un effetto dello shock della
notizia, lo sapeva. Ma sapeva anche di essere l’unica infinitesimale speranza
di vita di Leonardo. Non poteva permettersi di fermarsi e riflettere sul fatto
che non era di una procedura di laboratorio che stava parlando, ma della
malattia letale di suo fratello. Se si fermava a pensare che Leo era
praticamente morto, non avrebbe più avuto la lucidità per fare niente. Doveva
reagire subito alla vischiosa paura che rischiava di cementargli la mente.
“Dovrò fare delle ricerche. Ho
bisogno di medicinali... Purtroppo non… non esistono farmaci per curare
l’ebola. In Europa stanno sperimentando qualcosa, ma con scarsi risultati. Posso
solo cercare di ritardare i danni, rallentando la disidratazione e le
emorragie, e dargli qualcosa per il dolore. Temo che nei prossimi giorni la
malattia diventerà piuttosto… brutta. – Donatello si è premuto il dorso della
mano sul lato della fronte, chiudendo un attimo gli occhi. – Ormai è quasi
l’alba. Domani appena fa buio dovremo uscire a procurarci dei farmaci. Intanto
in mattinata mi farò già portare qualcosa di libera vendita da April,
serviranno flebo e…”
Splinter ha alzato una mano,
interrompendo la tartaruga mascherata in viola.
“In ogni caso voglio che i
contatti con April, e con Casey Jones, siano ridotti al minimo. Anche se hai
detto che il contagio è difficile, non possiamo assolutamente rischiare di
diffondere il virus tra gli umani. La posta in gioco è troppo alta.”
Donatello ha annuito. Era pienamente
d’accordo. In qualsiasi modo, non avrebbero dovuto esporre al pericolo la gente
di New York. Era nauseato dalla completa incoscienza che aveva manifestato chi
aveva rivolto quell’attacco. Era il peggior atto criminale che si potesse
concepire. I virus non sono gestibili. Le tossine, avvelenano l’organismo, e
tutto finisce lì, con la morte della vittima. Ma i virus sono esseri viventi.
Mutano, si evolvono. Il loro comportamento non è mai totalmente prevedibile.
A volte si chiedeva se esistesse
un limite alla stupidità degli uomini.
Si è avvicinato all’armadietto, ha
tirato fuori alcune siringhe e delle fialette vuote, e li ha riposti su un
vassoio.
Si è girato verso Raffaello, che
da un po’ non aveva aperto bocca.
Raffaello, aveva un caratteraccio.
Anche quando tutto andava bene, trovava sempre un motivo per incazzarsi. Era
perennemente in lotta col mondo intero. Quindi Donatello era abituato, fin da
quando erano bambini, a vederlo arrabbiato, o proprio furioso. Ma l’espressione
del suo viso, e la vibrante tensione del suo corpo, stavolta erano proprio
spaventosi. Gli occhi erano due fessure, le nocche delle mani erano sbiancate in pugni tremanti, il respiro
rumoroso. Sembrava che la rabbia si irradiasse da lui come qualcosa di fisico,
come onde di un’energia che si stava accumulando nel suo corpo e che rischiava
di scoppiare da un momento all’altro per distruggere tutto. Ha restituito a
Donatello uno sguardo che avrebbe fatto tremare i diavoli dell’inferno, e poi
ha sibilato, quasi fosse una bestemmia, più che una domanda.
“Perché?”
Il fratello in viola ha guardato
Splinter, ma suo padre ha chiuso gli occhi.
“Perché? – Ha ripetuto il rosso. –
Perché ha fatto questo…”
Nessuno avrebbe potuto dare una
risposta, al momento. Vendetta, forse. O qualche oscura macchinazione nei loro
confronti. Raffaello sentiva che stava iniziando a prendere forma in lui anche
l’angosciosa sensazione del senso di colpa, in pensieri che adesso non riusciva
bene a delineare, ma che già iniziavano ad aggiungere altro dolore al suo animo
che stava faticando per riprendersi dal colpo violento che aveva appena
ricevuto. Ha scosso la testa, ha alzato un po’ le mani, quasi per afferrare
qualcosa nell’aria, e le ha ributtate sui fianchi con forza, ha fatto alcuni
passi furiosi avanti ed indietro, respirando rumorosamente, per calmarsi. Non
era questo il momento di dare in escandescenze.
Donatello ha chiesto, rivolto al
suo sensei, in un sussurro: “Cosa dobbiamo raccontare a Mikey e Leo?”
Splinter si è lisciato la sottile
striscia di barba, con gli occhi chiusi.
Non era una decisione facile.
Michelangelo non era più un bambino, lo sapeva. Anche se aveva assunto il ruolo
di fratello minore, e teneva a volte un atteggiamento infantile, era ormai
quasi un adulto, come i suoi fratelli. Ma il suo animo ingenuo e innocente come
avrebbe reagito alla notizia?
E Leonardo, se questi fossero stati
i suoi ultimi giorni, sarebbe giusto che li passasse nella speranza ma nella
menzogna? I suoi ultimi giorni… Ma questo stava realmente accadendo? Il suo
Leonardo stava morendo?
Ha aperto gli occhi, traendo un
profondo respiro.
“Donatello, tu pensa a
Michelangelo. Raccontagli quello che hai scoperto. Digli ogni cosa. Io parlerò
con Leonardo. – Si é passato una mano sul viso. – Lui… lui non è necessario che
sappia… che sappia tutto. Il suo organismo combatterà meglio la malattia se il
suo animo sarà confortato dalla speranza. ”
Il giovane mutante ha annuito. La
visione di suo padre, affranto su quello sgabello, si è appannata dietro le
lacrime che gli sono salite agli occhi.
N/A Ebola. Quando
ho letto la notizia Ansa, quest’estate, sono rimasta di sasso davanti al
computer. Era balzato agli onori della cronaca proprio il virus che avevo usato
nella mia narrazione. Per un po’, ho pensato che a questo punto avrei cestinato
tutto, non potendo cambiare completamente la storia, che era praticamente
completa tranne che per pochi capitoli finali. Donatello avrebbe dovuto
riconoscere il virus, per poter descrivere gli sviluppi alla sua famiglia,
quindi doveva essere un virus noto. Ed i sintomi che avrebbero poi dovuto
colpire il povero Leonardo sarebbero dovuto essere quelli, doveva essere una
febbre emorragica, poi vedrete il perché. Cambiare il nome del virus sarebbe
stato come usare la colla vinilica per la faglia di Sant’Andrea. Poi, per
fortuna, anche questa volta l’allarme epidemia è rientrato, ed ho deciso di
pubblicare ugualmente questa mia storiella. Ho tolto i riferimenti all’attualità
(quelli sugli sviluppi della malattia negli anni passati) e ridotto molto
quelli relativi alla pandemia. Ho pensato che, in ogni caso, anche quando si
scrive una fiction su personaggi inventati, è inevitabile toccare qualche
argomento che potrebbe avere spiacevoli paragoni con la vita reale. In fondo,
nella mia storia vi sono anche altri accenni a tematiche che potrebbero turbare
qualcuno, come la corruzione militare e la violenza domestica.
Se qualcuno ha trovato sgradevole la menzione, mi scuso.
Questo d’altronde non è altro che un gran bel gioco per divertirci insieme con
i nostri personaggi preferiti. Un piccolo mondo felice, come ho già detto, per
staccare un po’ dallo stress quotidiano, e divertirsi con tante ragazze
simpatiche (chissà se troverò un giorno anche un maschietto tra i lettori, sì
sì, lo so, sta diventando una fissa… XD )
Grazie ancora alle carissime cartoonkeeper8, CatWarrior, ladyzaphira,
Ser Barbs, LisaBelle_99 e Conn per le recensioni, grazie per gli auguri al mio
papino, grazie a chi mi ha messo tra i preferiti, grazie a chi mi legge:
insomma, ho intenzione di farmi fare una t-shirt con un’insegna GRAZIE al neon,
ed ancora sarebbe troppo poco!!!
Un abbraccio grande quanto lo stadio di San Siro! :*
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Capitolo 5 *** Verità ***
Cap 5
“The sharp knife of a
short life, oh well
I've had just enough
time”
The Band Perry, If I
die young
Raffaello è uscito dalla sua
stanza. Era ormai tardo pomeriggio. Restare a letto non avrebbe avuto senso; non
riusciva a dormire, e neanche a riposare. Si era forzato a restare sdraiato
qualche ora, ma adesso non ce la faceva più. Sarebbe tornato un po’ al suo
manichino, che usava come sacco da box.
Si è strofinato le nocche, ancora
arrossate dai pugni che aveva dato al fantoccio quella mattina. Aveva bisogno
di sfogare questa tensione che sentiva nelle braccia, nella testa, nelle gambe.
Quest’ansia che si manifestava in un malessere fisico. Un bolo di acido
ribolliva nello stomaco. Nella testa, solo tre parole, come un mantra al
negativo, lo stordivano.
Leo. Virus. Mortale.
Come si può combattere un tale
nemico? Cosa valevano tutta la forza e tutta l’abilità del mondo, contro un
simile male? Lui era, al momento, completamente ed assolutamente inutile. Anzi,
lui era, probabilmente, la causa di tutto. Se Leo non fosse dovuto venire a
salvarlo, magari quel bastardo assassino non avrebbe architettato questo
crimine. Anzi, se lui quando avevano scoperto il traffico di droga non si fosse
ficcato in quel furgone, fregandosene degli ordini di Leo, adesso niente di
tutto ciò sarebbe successo.
Era colpa sua.
La mattinata era passata in un’atmosfera
irreale. Leonardo, forse a causa degli antipiretici, aveva dormito tutto il
tempo. Era strano, vederlo lì, nella sua stanza, sotto le coperte, dopo quello
che avevano saputo. Faceva male, vederlo in quello stato, a dormire ignaro.
Aleggiava nell’aria la sensazione che qualcosa di prezioso stesse sfuggendo
loro dalle mani, e che bisognava affrettarsi a stringere i pugni prima che ogni
più piccolo granello di sabbia fosse scivolato via. Era angosciante, saperlo
indifeso e vulnerabile, lui che era sempre stato forte, coraggioso, pieno di
vita.
Raffaello non aveva sentito il
discorso che Splinter aveva fatto a Leonardo, dopo il loro colloquio in
laboratorio. Aveva ascoltato solo poche frasi, passando davanti alla porta
della camera del fratello, mormorate con voce calma, tranquilla.
Sicuramente il suo sensei aveva
avuto ragione. Raccontare a Leo che aveva poche speranze di vita, non avrebbe
avuto alcun senso.
Certo, Raffaello coglieva la tragica
assurdità della situazione. Splinter aveva caricato, nei mesi scorsi, Leonardo
di un peso via via crescente di responsabilità. Stava plasmando il leader del
gruppo, a volte con durezza. Stava gravando sulle spalle di un figlio un peso
maggiore rispetto agli altri. E Leonardo ne aveva preso atto, ad a poco a poco si
era assunto con sempre maggiore impegno la sua funzione. Aveva accettato senza
remore il ruolo di protettore della squadra: si era praticamente quasi
sacrificato più volte per i fratelli. Aveva iniziato a praticare sessioni di
allenamento supplementari, ed il loro maestro sembrava pretendere da lui sempre
qualcosa in più.
Ed adesso, invece, gli nascondeva
proprio una verità che lo riguardava, e lo proteggeva come se fosse un bambino.
Il mutante mascherato in rosso ha
riflettuto sul fatto che, per una volta, erano loro tre a portare il peso anche
per Leonardo. Adesso erano loro che dovevano essere forti per il fratello
maggiore: erano lui, Donnie e Mikey a dover essere “senza paura”.
Forse, però, ha pensato ancora
Raffaello, Splinter a questo punto avrebbe potuto tenere nascosta la gravità
della scoperta anche a Mikey.
Raffaello era insieme a Donatello
quando questi aveva dovuto riferire la sua scoperta al fratello minore,
richiamato in laboratorio mentre Splinter era tornato da Leonardo. Il viola era
stato preciso, sincero. Aveva descritto il virus, i danni. Certo, avrebbe fatto
ricerche. Ci avrebbe lavorato su. Ma era ebola. Letale.
E Michelangelo aveva reagito come
si sarebbero aspettati. Si era messo a piangere. Non aveva mai avuto filtri,
per le sue emozioni. Dopo aver finito di ascoltare Donatello, in silenzio e con
un’espressione seria, era scoppiato in singhiozzi. Piano, per non farsi sentire
da fuori. Poi si era scostato quando il mutante mascherato in viola aveva
cercato di mettergli una mano sulla spalla, si era asciugato le lacrime, con
rabbia, ed aveva chiesto, con voce atona, indicazioni sul da farsi.
Tranne che per Donatello, c’era
stato effettivamente poco da fare, durante tutta la giornata. Le analisi del
sangue avevano confermato, come si aspettavano, che il virus non si era diffuso
a loro. Donatello gli aveva spiegato che molto probabilmente era stato
manipolato in laboratorio per rendere il rischio di contagio più basso rispetto
al virus originale, ma che data l’altissima posta in gioco era meglio non
correre il benché minimo rischio. April aveva portato le forniture mediche, ma
non era entrata nella tana, seguendo gli ordini di Splinter. Si era limitata a
lasciare i sacchetti oltre i tornelli, aveva guardato Donatello con gli occhi
tristi e lo aveva implorato di farle sapere subito ogni informazione relativa
allo stato di Leonardo.
Per tutto il giorno, Donatello
aveva fatto ricerche nel suo laboratorio; lui non aveva neanche cercato di
dormire. Aveva ingurgitando ettolitri di caffè, correndo come un pazzo da un
computer all’altro, analizzando più e più volte il sangue di Leo.
Uscito dalla sua stanza, Raffaello
voleva passare dal laboratorio prima di andare al suo sacco. Ma quando ha
sbirciato nella stanza di Leonardo, ha visto che il fratello era sveglio.
Splinter gli stava parlando piano.
È entrato nella stanza, e Splinter
si è alzato dalla sedia, uscendo senza dire niente. Raffaello non ha avuto
bisogno di chiedere perché: suo padre era praticamente rimasto lì tutto il
giorno. Ed anche i corpi mutati hanno necessità fisiologiche.
Il rosso ha preso il suo posto,
sulla sedia. Si stupiva sempre un po’ di quanto fossero caldi i mammiferi.
“Mhm, fratellone, ieri eri brutto
ma oggi fai proprio schifo.”
Leonardo gli ha sorriso, gli occhi
lucidi, l’espressione assonnata.
“S…sono sempre più bello di te.”
“Nei tuoi sogni.”
Raffaello ha guardato le medicine
sul comodino, accanto alle ciotole vuote della zuppa che Michelangelo aveva
portato qualche ora prima a Splinter e Leonardo.
“Come ti senti? – La domanda era
stupida, ma Raffaello ha sentito il bisogno di farla. – E se dici ‘bene’ ti
prendo a pugni.”
“Allora non dico niente. Ma non
sto tanto male.”
“I pugni stanno arrivando…”
“No, davvero. Le medicine che mi
ha dato Donnie mi fanno stare meglio. Anche i crampi allo stomaco sono quasi
passati.”
Leonardo ha alzato gli occhi, a
guardare la flebo. Una goccia scendeva piano, scandendo il tempo. Poi è tornato
a guardare il fratello.
“Sensei mi ha detto che questa
sera andrai con Donnie al deposito farmaceutico. State attenti.”
“Ma stai scherzando, Senzapaura? È
un magazzino! Ci entreremmo bendati senza il minimo sforzo!”
“Sì, lo so… Ma state attenti,
anche per dopo…”
Raffaello ha corrugato la fronte,
si è spostato sulla sedia.
Il fratello maggiore ha
continuato: “Raph, l’ha fatto per vendetta?”
Quindi Splinter gli aveva
raccontato di Kurtis. Raffaello ha stretto un angolo del lenzuolo, ed ha iniziato
a giocarci con le dita.
“Forse. Non lo so. È un bastardo
sadico, abbiamo visto la sua scheda. Gli starà bruciando che gli abbiamo fatto
perdere il lavoro.”
“Come ha fatto a procurarsi un
simile virus?”
“Donnie sta facendo ancora
ricerche. Era un ex militare, forse aveva accesso alle armi biologiche. – Ha spianato il lenzuolo che stava spiegazzando,
assestando due delicate pacche sul piastrone coperto di suo fratello. – Ma non
ti preoccupare, il nerd ne verrà a capo prima che tu ti stanchi di stare a
letto.”
Leonardo ha chiuso gli occhi blu.
Ha sospirato.
“Sì, Splinter mi ha detto che
Donnie è sicuro di trovare una cura.”
“Donn-”
“Ma non ci credo.”
Ha aperto gli occhi. Due
tremolanti e tristi laghi blu.
“Ma che dici, Leo? Sei diventato scemo?
La febbre ti fa sragionare?”
“Raph, non c’è bisogno che mi
mentiate. L’ho capito, da come mi guardi. E poi Mikey aveva gli occhi rossi,
poco fa. Morirò, vero?”
Raffaello ha sentito qualcosa
bruciargli nel petto. Improvvisamente, è come se si fosse trovato in mancanza
d’aria. Le parole di Leonardo gli hanno fatto male. No, cosa stava dicendo suo
fratello? Come osava credere una cosa così assurda? Lui era suo fratello
Leonardo. Era il migliore tra tutti loro. Era il leader “senza paura”. Come
poteva pensare di morire per uno stupido virus? Raffaello si rifiutava di
crederlo, era impossibile. Anche se tutti gli scienziati del mondo avessero affermato
che la sua malattia fosse mortale, ebbene, avrebbero sbagliato tutti. Raffaello
non voleva pensare ad una cosa così inammissibile. E non ci avrebbe dovuto
pensare neanche Leonardo. Non ci doveva pensare!
È saltato su dalla sedia.
“No Leo! – Ha iniziato a camminare
nella stanza, senza guardarlo. – No, Donnie troverà una soluzione, lui lo farà.
E noi…”
“Raph.”
“Noi… Donnie sta lavorando… Tu
starai bene e noi…”
“Raph.”
“Che c’è?” Quasi gridando, si è
girato di scatto a guardare il fratello.
“Siediti.”
Raffaello si è riavvicinato, senza
sedersi. Leonardo ansimava leggermente. Il viso era imperlato di minuscole
goccioline di sudore, le gote arrossate dalla febbre erano un luminoso
contrasto al verde della sua pelle. Sulla fronte, sulle guance, intorno ai fori
di respirazione, le appena visibili linee scarlatte dei capillari disegnavano l’epidermide
con motivi di piccolissime ragnatele.
Aveva gli occhi lucidi. Lo sguardo
che ha rivolto al fratello era stanco, spaventato, ma imperativo.
“Raph, non mettere i ragazzi in
pericolo per me. Se… se non ce la faccio, non cercare vendetta.”
Raffaello ha scosso la testa, ha
fatto un passo indietro, no, non voleva sentire queste cose…
“No…” ha mormorato piano, sempre
indietreggiando.
“Raph…”
“NO!” ha gridato prima di correre
fuori dalla porta.
Splinter, fermo fuori dalla camera,
ha fatto per afferrare il mutante mascherato in rosso. Ma questi è rientrato in
camera sua, sbattendo la porta dietro le spalle.
N/A Ragazzeee!!! Vi
amo, vi adoro, vi sposerei tutte!!! Ok ok non esageriamo, e comunque mi
piacciono i maschietti… XD XD XD
Carissime Cartoonkeeper8
(beata Franca!), CatWarrior
(sorella Florence!), Ladyzaphira
(scusa se maltratto il “tuo” Leo! XD Ed effettivamente Kurtis è ricercato anche
per violenza sessuale, quindi… eh eh), Ser
Barbs (per “pietà” stecchisci con l’Avada Kedavra? Gulp, sono tua amica,
vero? ^^’), Piwy (ricordi ancora
Buio? Oddio grazie!*piange commossa*), LisaBelle99
(se tuo fratello chiama un esorcista accorro a darti man forte XD), Conn (anche se ci conosciamo da poco
prendi lo stesso in considerazione la mia proposta di matrimonio? :D )e NightWatcher96 (perdonami!!! Mi
cospargo il capo di cenere e ti chiedo umilmente scusa!!! Mi era sfuggito
proprio il nome della mia “sorellina”!) GRAZIEEEE!
Davvero, non ci sono parole per dirvi quanto vi ringrazio e
quanto mi onorano le vostre recensioni e che sono strafelice che la mia storia
vi stia piacendo. Sapere che non vi ha dato fastidio la sfortunata menzione di
un tema tragicamente attuale (Cat anch’io ho ancora un po’ di fifa :( ) e che sono riuscita ad emozionarvi almeno
un pochino mi rende talmente felice che... praticamente non consumo più le
suole delle scarpe poiché cammino a un paio di centimetri dal suolo XD
Riguardo alla storia, ancora angst in questo capitolo, avevo
bisogno di un momento Leo/Raph… Ma l’azione sta arrivando, non preoccupatevi ;)
Faccio un altro doveroso avviso (e poi mi tolgo dalle
scatole ^^’). Dal prossimo capitolo in poi la storia si fa via via più
violenta. Ci saranno sangue, torture ed allusioni allo strupro. Quindi, se hai
meno di 14 anni, amico, magari il mio racconto non fa per te…
Per tutti gli altri, spero che continuerete a divertirvi
insieme a me. Un abbraccio grande quanto il colonnato di San Pietro!!! :*
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Capitolo 6 *** Trappola ***
Cap 6
“Deprived of all his
thoughts
The young man
struggles on and on”
Metallica, The Unforgiven
Donatello ha aperto piano la seconda
porta che dalle scale interne introduceva al corridoio; di lì si arrivava
direttamente ai locali che fungevano da deposito. Scavalcare il cancello e
forzare le serrature era stato un gioco da ragazzi. D’altronde, era un semplice
magazzino farmaceutico.
All’interno, una debolissima
luminescenza violacea ha permesso ai suoi occhi abituati all’oscurità di
individuare, sbirciando dietro l’angolo del corridoio, la telecamera del
sistema di sicurezza. Secondo i suoi calcoli, avrebbe dovuto incontrarne due
prima che Raph mettesse fuori gioco la guardia nella sala video, dall’altro
lato della struttura.
Nascosto dietro l’angolo, ha
tirato fuori uno shuriken dalla sua cintura, poi affacciandosi velocemente l’ha
lanciato proprio al centro della minuscola ottica.
Il lievissimo crepitio elettrico
ha rotto per un paio di secondi il silenzio.
Adesso, poteva avanzare fino alla
prima stanza. All’interno avrebbe potuto trovare i medicinali che gli
servivano.
Si è inginocchiato davanti alla
porta; mentre le mani verdi lavoravano veloci con i ferretti per aprire
l’ennesima serratura, una strana sensazione ha iniziato ad accarezzare
fastidiosamente i pensieri del mutante.
Forse è solo l’ansia. La paura per Leo. La stanchezza, poiché aveva
dormito solo un paio d’ore. La fastidiosa cognizione di star compiendo un
piccolo reato, seppur ne avesse tutte le ragioni.
Ma sentiva che qualcosa non
andava, e non riusciva a capire cosa.
Ha cercato di non farsi distrarre
da una stupida sensazione. Bastava aprire la porta, prendere i medicinali e
filare. Tempo di disattivare anche questa telecamera…
La telecamera.
Appena aperta la porta, nella sua
mente il pensiero si è messo a fuoco. Quando aveva colpito la prima telecamera,
nella frazione di secondo in cui lo shuriken era in volo, aveva notato
qualcosa. Cosa?
Ha dato uno sguardo in alto, all’interno
della sala. La seconda telecamera era proprio sopra la porta.
Ha capito.
La lucina. Non c’era la lucina.
Le telecamere erano disattivate.
Si è messo velocemente contro la
parete. Una goccia di sudore è scesa sul lato della fronte, a perdersi tra le
fibre della maschera viola. La consapevolezza l’ha colpito come un pugno.
Telecamera. Magazzino. Messaggio.
Avevano avuto il messaggio, che li
aveva avvertiti che uno di loro era ammalato. I medicinali che gli servivano
erano molto specifici, difficilmente reperibili: si trovavano in alcuni
ospedali, dove non sarebbero mai andati poiché erano pieni di umani, e solo in
quel magazzino farmaceutico a New York. Le telecamere erano disattivate.
Merda. Che idiota che sono, che idiota!
Ha preso il T-phone.
Raph ha risposto al primo squillo.
“Donn-”
“Scappa Raph. È una trappola!”
…
(poco prima)
Raffaello era appiattito contro il
muro, accanto alla porta aperta, fuori dalla gabbiola della sicurezza.
Dall’interno, si irradiavano le luci sfarfallanti dei monitor di controllo.
Ha tirato fuori il sacchetto
sigillato che gli aveva preparato Donnie, e l’ha strappato con attenzione,
tenendolo lontano dal suo volto. Pure così, l’odore pungente del cloroformio
che imbeveva il fazzoletto è arrivato ad irritargli i fori di respirazione.
Senza il minimo rumore, ha varcato
la soglia. Ha intravisto l’uomo di guardia, seduto davanti ai monitor, con le braccia
distese lungo i fianchi.
Mi dispiace amico, devo metterti a nanna.
Lui solitamente avrebbe preferito
menar le mani. Ma non con un povero cristo che faceva il suo lavoro.
Si è avvicinato, alle spalle della
guardia; i piedi fasciati hanno fatto qualche passo silenzioso sul freddo
pavimento dello stanzino.
Si è bloccato di colpo.
Sotto la sedia dell’uomo, una
macchia scura. L’uomo era assolutamente immobile.
Ha fatto un altro passo,
improvvisamente in allarme.
Una goccia è caduta dal dito
dell’uomo.
Sangue.
Raffaello ha sentito un brivido
gelido scorrergli lungo tutto il corpo. Ha girato piano intorno all’uomo, per
guardarlo in faccia.
Occhi sbarrati in un viso bianchissimo.
Dalla ferita oscena della gola recisa, il sangue gocciolava ancora.
L’adolescente mutante ha fatto un
balzo all’indietro, mollando il fazzoletto che aveva in mano. È riuscito a
trattenere il grido che gli stava esplodendo nel petto.
Mio Dio! L’hanno ucciso! L’hanno ucciso!
Ha sentito la testa girare, il
cuore iniziare a martellare come se volesse uscire dalla gabbia toracica.
Qualcuno aveva ucciso questa guardia, solo pochi minuti prima. La nausea gli è
salita alla gola. La sua mano ha afferrato un sai per istinto, prima che lui se
ne rendesse conto. Con l’altra ha preso il T-phone.
Donnie. Doveva avvertire Donnie.
Appena afferrato, il telefono ha
squillato: Donatello lo stava chiamando. Si è stupito che la mano tremasse
mentre schiacciava il pulsante di risposta.
“Donn-”
“Scappa Raph. È una trappol-”
Un bagliore. Ha fatto uno scatto
di lato. Le punte di un taser si sono rotte contro il muro al suo fianco.
Ha riposto velocemente il T-phone
per prendere l’altro sai. Quattro uomini in divisa nera sono entrati dalla
porta.
…
Donatello saliva velocemente per
le scale, inseguito.
Non sparano. Mi vogliono vivo.
Questa era relativamente una buona
notizia.
Appena si era accorto della
trappola, ed era uscito dalla stanza di deposito per tornare sui suoi passi, le
luci della struttura si erano accese. Si era trovato circondato da decine di
uomini in divisa militare nera.
Aveva valutato velocemente che
sarebbe stata più intelligente una fuga. Lui, a differenza di Raph, evitava
sempre lo scontro, se possibile. Erano troppi, anche per un ninja. E poi una
lotta richiedeva tempo, e Leo non ne aveva.
Aveva usato il suo bo per farsi strada,
con un salto, sulla testa degli avversari, e poi aveva imboccato le scale, per
arrivare sul tetto.
Stava salendo, volando sui
gradini, a due a due. Ma fatte appena poche rampe, si è accorto che un gruppo
di nemici arrivava di corsa anche dai piani superiori. Si è bloccato per un
attimo su un gradino, ha sentito quelli dietro farsi più vicini.
Ha raggiunto il pianerottolo, ha
tentato di aprire la porta di ferro. Era chiusa. Non c’era tempo per forzarla.
A questo punto, ha deciso di
scendere nuovamente. Aveva studiato abbastanza le tecniche di combattimento per
sapere che è avvantaggiato chi arriva dall’alto.
Col cuore che galoppava forte per
la scarica di adrenalina, si è scagliato col suo bo sui primi avversari in
salita. Il vantaggio della sorpresa gliene ha fatto buttare giù un paio, che
sono caduti su quelli subito dietro di loro.
Ha calpestato gli uomini a terra,
e con un altro colpo ha fatto cadere di mano un taser ad un soldato che già
prendeva la mira. Ruotando su sé stesso, ha assestato un haito uchi col taglio della mano sulla gola di un uomo che aveva
cercato di sferrargli un pugno; altri due che salivano hanno tentato di
afferrarlo: Donatello si è agilmente divincolato, e facendo un balzo
all’indietro, li ha buttati giù ambedue con un calcio. Un altro paio di soldati
hanno schivato i compagni che cadevano e salendo hanno cercato di colpirlo, con
dei manganelli; Donatello ha mollato il suo bo, inutile in uno spazio così
angusto come le scale, li ha deviati, ha fatto un salto in aria, e facendosi
leva con le mani sulle loro spalle ha dato ad entrambi una ginocchiata sul
torace. Già tre affiancati si erano fatti strada ed hanno cercato di agguantarlo;
lui è balzato su di loro, colpendone due sul volto, gli è passato di sopra
mentre cadevano, è sceso di altri gradini, ma è arrivato proprio in mezzo al
mucchio degli inseguitori. Decine di mani l’hanno afferrato.
Ha capito con sgomento che
prendere le scale era stata una mossa stupida. Non si sarebbe dovuto infilare
in uno spazio stretto. Ci sono errori che nella vita si pagano cari. Certo, non
poteva immaginare che in quella struttura ci fosse un intero esercito.
Divincolandosi le braccia ha
sferrato due pugni a quelli più vicini. Qualcuno l’ha tenuto per le gambe. Una
testata, e giù un altro.
Ma nel frattempo quelli che
scendevano erano arrivati, e quelli buttati a terra prima si erano rialzati.
Erano troppi.
Altre mani l’hanno ghermito, con
forza. Alle braccia, al guscio, al collo. Ha dato un morso alla mano che ha
trovato vicino alla sua bocca.
Si è sentito trascinare al
pianerottolo, poi la massa di corpi l’ha spinto contro il muro. Ha sbattuto
forte il viso. Ha visto delle stelle bianche danzargli davanti agli occhi,
mentre la bocca si riempiva del gusto ferroso del sangue. Un piccolo fiore
rosso ha macchiato il bianco lucido della parete. Gli avevano spaccato il lato
della bocca, e forse avrebbe perso un dente o due. Stordito, ha capito di
essere immobilizzato contro il muro, non ce la faceva a muoversi.
Poi, è stato spinto per terra. A
quel punto, qualche mano l’ha mollato, e mentre alcuni uomini ancora lo
tenevano giù, altri hanno iniziato a colpirlo violentemente. Pugni, calci,
manganellate.
Sotto la gragnola di colpi, ha
istintivamente chiuso gli occhi e cercato di portare le mani alla testa. Ha
lottato con tutte le sue forze, ma lo tenevano fermo per le spalle, e per le
caviglie; mentre punte di stivale e sfollagente arrivavano a mordere
dolorosamente le sue gambe, e le braccia, e la testa, rimbombando sul guscio,
facendo scricchiolare il piastrone.
Ha cercato di fare l’ultima cosa
che avrebbe a quel punto potuto salvargli la vita. Utilizzando tutta la sua
forza si è raggomitolato il più possibile su sé stesso, in quello che poteva
sembrare solo un tentativo di difendersi dai colpi. Invece il suo braccio è
arrivato ad afferrare qualcosa dall’interno della sua cintura e, nascondendolo, l’ha portato alla bocca,
facendo atto di proteggersi il viso.
Donatello aveva sempre scherzato,
interpretato il relativismo einsteiniano in senso filosofico, su come fosse
mutevole la nostra percezione del tempo in base a ciò che si fa in un
determinato momento. Il tempo passava troppo veloce quando April era al suo fianco.
Troppo lento, quando Leo gli ordinava di stare in attesa davanti ad una
sospetta base dei Kraang. Adesso, lui sapeva che in termini di tempo cronologico
forse erano passati appena cinquanta, sessanta secondi dall’inizio del
pestaggio. Ma il suo tempo soggettivo si era dilatato in una dimensione quasi
infinita, fatta di dolore. Lui aveva già ricevuto dei colpi, anche duri, nella
sua giovane vita. Ma mai tanti, mai tutti insieme. Il dolore di ogni percossa
si veniva a sommare al precedente, amplificandolo. Quando un colpo arrivava in
zone più sensibili, nei gomiti, nonostante le protezioni, nella muscolatura
delle cosce, nell’attaccatura del guscio, nelle dita dei piedi, nella delicata
zona inguinale, esplodeva in scariche che attraversavano tutto il corpo,
facendo sfuggire suo malgrado gemiti soffocati e lacrime dagli occhi serrati.
“Basta così.”
Donatello non ha apposto
resistenza mentre è stato alzato in ginocchio: era troppo intontito, e tutto il
corpo pulsava per i corpi ricevuti, in calde ondate di dolore che arrivavano
dalla pelle fin dentro le ossa.
Le orecchie fischiavano; ha aperto
gli occhi a fatica. Uno gli faceva male, un colpo lo aveva centrato sull’arcata;
sperava di non averci rimesso la retina. L’altro bruciava per il sangue che gli
colava dentro da una lacerazione sulla fronte.
Ha guardato l’uomo fermo davanti a
lui. Ha visto i suoi freddi occhi grigi. L’ha riconosciuto.
Nella sua mente confusa, un
groviglio di pensieri.
Raph aveva fatto in tempo a
mettersi in salvo?
Chissà se il trasmettitore che
aveva costruito era effettivamente a prova dei suoi succhi gastrici.
Quell’uomo davanti a lui gli
avrebbe causato ancora dolore.
Leo, Leo non aveva tempo…
Poi l’oscurità l’ha avvolto.
N/A Eccomi! Inizia un po’ d’azione. Scusa, Donnie… ^^’
Ragazze (ormai ho capito, pochi maschietti sul pianeta TMNT ) qualcuna di voi
andrà a vedere il film in uscita oggi? Se sì, sono curiosa di sapere che ne
pensiate. Io l’ho visto ad agosto e sinceramente non mi è piaciuto al 100%. (Premetto
che in inglese sono una mezza chiavica e qualche dialogo mi è sfuggito).
Qualcosa di buono c’è. Per esempio Donnie. E’ semplicemente adorabile.
Un abbraccio quanto la cassaforte con gli incassi di Michael
Bay. :*
|
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Capitolo 7 *** Preso ***
Cap 7
“I'm frightened by
what I see
But somehow I know
That there's much more
to come
Immobilized by my fear
And soon to be
Blinded by tears”
Evanescence, Whisper
“Dove diavolo è finito?”
Raffaello si è lasciato cadere dai
tubi di ventilazione al soffitto proprio sulle spalle dei due uomini con la divisa
nera.
“Eccomi, idiota.”
Ha sentito le clavicole degli
uomini rompersi sotto i suoi piedi con uno scricchiolio sinistro; i due soldati
si sono piegati gemendo mentre lui, rialzatosi dopo una capriola, si è
ritrovato di fronte proprio agli altri due. Si è chinato per scansare il colpo
di sfollagente diretto alla sua testa e ha assestato un forte calcio al
ginocchio dell’umano, che è caduto all’indietro con un grido; il compagno
accanto a lui ha diretto verso Raffaello una serie di pugni veloci, indossando
sulle nocche dei lucenti tirapugni
d’acciaio.
Il mutante li ha deviati tutti con
rapidi movimenti del busto, poi ha fatto una finta ed abbassandosi ha tirato un
colpo alla gola dell’uomo con il manico del suo sai: il soldato è caduto a
terra tossendo ed ansimando nel disperato tentativo di prendere aria.
Raffaello è quindi corso a
nascondersi dietro una serie di casse impilate in un angolo poco illuminato,
per riprendere fiato; altre voci si stavano avvicinando. Sentiva il suo cuore
battere forte, ed iniziava a respirare con affanno: era stanco. Ne aveva fatti
fuori quanti, una quindicina? Era quasi sicuro di non averne ferito gravemente
nessuno. Non che non se lo meritassero, questi bastardi. Avevano ucciso un
pover uomo che faceva il suo lavoro. Li avevano attirati in una trappola. Erano
la causa del male di Leo…
La rabbia si è nuovamente
riversata su di lui come un’onda, spazzando via la stanchezza. È balzato fuori
da dietro le casse parandosi davanti ai quattro uomini.
Ansimava ed aveva gli occhi di un
demone; dalla sua gola è esploso un ruggito furioso mentre è balzato su di loro
come una belva. Con lo slancio, arrivandogli praticamente addosso di peso, ha
buttato giù quello che già aveva preso la mira, puntando un taser verso di lui;
a terra, ancora sopra l’uomo, con una rapida torsione del busto gli ha
strappato il taser dalle mani, e con lo stesso movimento gli ha assestato una
fortissima gomitata alla mascella; nello stesso istante ha sparato le punte dell’arma
all’avversario più vicino, che è caduto all’indietro contorcendosi sotto gli
spasmi della scossa elettrica.
Raffaello si è rimesso in piedi
con un balzo, e ruotando su sé stesso ha assestato un calcio volante alle
costole del terzo uomo, che è volato all’indietro e poi è rimasto a terra
lamentandosi; il quarto uomo si è avventato sulla tartaruga impugnando in ogni
mano un lungo pugnale. Raffaello ha bloccato le lame con le tsuba dei suoi sai, indietreggiando per
la forza dell’attacco.
Adesso, i due avversari si
fronteggiavano, tendendo i muscoli con forza: il soldato, alto, muscoloso, un
ghigno di fatica sul duro viso butterato, ha tentato di dirigere le lame contro
le spalle di Raffaello. La tartaruga mutante, ringhiando, gli occhi due fessure
iniettate di sangue, ha cercato di ruotare i polsi per disarmare l’avversario. Il
rosso ha fatto qualche passo indietro; alla fine, si è ritrovato con il guscio
contro il muro. I muscoli delle braccia tremavano dallo sforzo. Con un ultimo,
improvviso atto di forza, l’acciaio dei sai ha rotto quello dei pugnali. L’uomo
ha mollato le impugnature ormai inutili. Raffaello gli si è gettato contro, con
le punte dei sai in avanti; l’acciaio è affondato in entrambe le spalle
dell’uomo. Il mutante ha ritirato le armi con un movimento veloce.
L’uomo si è piegato sulle
ginocchia, portandosi le braccia incrociate sulle ferite.
Raffaello lo sovrastava,
ansimante. Ha guardato le sue armi. Il sangue tingeva di rosso il metallo. Ha
avuto per un istante il desiderio di colpire ancora l’uomo. Poi si è scosso,
stordito e disgustato dal suo stesso pensiero. Si è guardato velocemente
intorno. Uomini gementi per terra intorno a lui. Nessuno più in piedi. La
rabbia è scemata, sostituita da un’ansia pressante, mentre ha iniziato a
correre verso l’esterno della struttura.
Doveva correre da Donnie.
Non conosceva bene la pianta del
fabbricato. Per arrivare nel lato dei magazzini, dov’era entrato suo fratello,
ha deciso di percorrere il perimetro esterno. Quella zona della città era scura
e poco trafficata. Mentre correva radente al muro, ha visto delle luci bianche venirgli
incontro dall’ingresso del vicolo. Ha fatto qualche passo indietro e si è
nascosto dietro la casupola di cemento della società per l’energia elettrica;
quando una serie di veicoli gli è sfrecciata davanti, si è appiattito il più
possibile contro il muro, sperando che nessuno lo vedesse.
Guardando le luci rosse che
scomparivano dal vicolo, è stato preso da un inquietante timore. Erano cinque Hummer
ed altrettanti furgoncini. Sembravano veicoli militari. È corso verso l’ingresso
del magazzino.
L’entrata principale era aperta. Ha
iniziato ad ispezionare l’interno; non si vedeva nessuno. Non si è arrischiato
a chiamare suo fratello a voce alta, preferendo cercare in silenzio nascosto
nell’ombra: i nemici potevano ancora aggirarsi nella struttura. Ma dopo diversi
minuti di ricerche, ha capito che non vi era più nessuno. Ha perlustrato decine
di piccole stanze di stoccaggio, i corridoi, altre stanze ed uffici. Tutto silenzioso,
ma le luci erano accese. La sua ansia è aumentata. Di Donnie nessuna traccia.
Ha trovato l’accesso alle scale
interne, è salito per una rampa, la porta al piano di sopra era chiusa. È
salito ancora. Chiuso anche il piano successivo.
Continuando a salire, ha visto
qualcosa su un pianerottolo. Degli oggetti erano sparsi per terra.
Ha avuto un tuffo al cuore.
Il bo di Donatello.
Il suo T-phone, distrutto. La sua
borsa di pelle marrone. Cintura, tracolla e protezioni per le articolazioni.
Sul pavimento scuro si distingueva
anche una piccola macchia di liquido rosastro e schiumoso. Raffaello si è
inginocchiato, l’ha toccata con le punta delle dita. Saliva e sangue.
I sordi battiti del suo cuore
riecheggiavano nelle tempie. Si è alzato nuovamente, guardando il muro. Una
piccola chiazza strisciata di sangue sulla vernice bianca, all’altezza dei suoi
occhi.
C’era stato uno scontro. Ha
pregato che il sangue non fosse di suo fratello. Ma Donnie non c’era, e non
avrebbe mai abbandonato le sue cose.
Era stato catturato.
Raffaello ha preso in mano uno dei
pad di protezione per i gomiti: era stato tagliato con un coltello. Il taglio
era leggermente sporco di rosso.
Ha sentito lo stomaco chiudersi in
una morsa, la testa ha iniziato a girare.
Donatello era stato catturato da
quell’uomo. Da quel Kurtis.
Nella sua mente sono balenate le
immagini degli occhi grigi e crudeli di quell’uomo. Gli strumenti di tortura.
Le sue viscide mani addosso. Il suo sorriso lascivo…
No! Non Donnie! Non lo poteva
permettere. Non poteva lasciare che quel sadico facesse del male a suo fratello.
Ha respirato piano, per calmarsi,
appoggiandosi al muro.
Gli avevano teso una trappola.
Perché? Cosa voleva quell’uomo da loro? Possibile che fosse solo per vendetta?
Cosa volevano adesso da Donnie? Cosa gli avrebbero fatto? Il pensiero del suo
gentile fratello nelle mani di quelle persone era insopportabile.
Inoltre, senza Donatello, Leonardo
non avrebbe avuto speranze.
Ha cercato di non farsi prendere
dal panico. Era un ninja, era un guerriero. Allontana
i pensieri negativi e concentrati sul presente.
Ha tirato fuori il suo T-phone e
ha controllato lo schermo. La lucina di un segnalatore in funzione lampeggiava
ipnotica. Per fortuna Donnie aveva potuto attivare il segnalatore che portava
con sé; quindi adesso poteva essere rintracciato. Un briciolo di speranza in
quella situazione angosciosa.
Raffaello ha preso da terra la
borsa e ci ha guardato dentro. Tra le varie attrezzature, c’era un foglio di
carta scritto dal fratello in viola. Ok, era l’elenco dei medicinali per Leo.
Forse avrebbe dovuto trovarli lui, e portarli subito a casa. Senza di quelli,
Leonardo si sarebbe aggravato velocemente. Sì, doveva cercare le medicine,
prima che qualcuno si accorgesse dell’inferno che era scoppiato lì dentro, e portarle
a Leo.
Ma d’altra parte, la ricerca gli
avrebbe preso del tempo prezioso, lui a differenza di Donnie non ne capiva
niente di queste cose, e ci avrebbe messo parecchio solo ad interpretare le
etichette. Invece voleva correre subito al covo a prendere lo Shellraiser per
seguire il segnale. C’era il rischio che trovassero il segnalatore addosso a
suo fratello e lo distruggessero. Ed inoltre non ricordava di quante miglia
fosse la portata del dispositivo. Se nel frattempo che lui tornava alla tana,
Donnie fosse finito fuori portata? Erano arrivati a piedi, e per tornare a casa
ci sarebbe voluta almeno un’ora anche correndo come non aveva mai fatto.
Oddio, non sapeva che fare. Si è
sentito invadere da un profondo sconforto. Dalla sua decisione dipendeva la
vita dei suoi fratelli. Era così che si sentiva Leonardo, a guidarli? Lui non
era come Leo, non ce la poteva fare. Era solo, non poteva fare due cose nello
stesso tempo…
Improvvisamente, ha capito dove
stava sbagliando. Lui non stava pensando in termini di squadra, come avrebbe
fatto Leo. Lui non era solo. Certo, l’idea che gli è venuta in mente non gli
piaceva, ma non c’era altra soluzione.
Ha tirato nuovamente fuori il suo
T-phone.
“Raph?”
“Mikey, hanno preso Donnie. Ha
attivato il segnalatore. Rintraccia il segnale sul tuo T-phone e seguili con la
Stealth Bike, credo che sia in un furgone. Mi hai capito?”
“Come, hanno preso Donnie…”
“Mikey mi hai capito?”
“Sì.”
“Fa’ come ti ho detto. Limitati a
vedere dove vanno. Io ti raggiungo dopo aver portato a casa le medicine per
Leo.”
“Ok, Raph-”
“Mikey, seguili e basta. Aspetta
me.”
“Va bene, stai tranquillo. Vado.”
Quando Michelangelo ha
riattaccato, Raffaello ha stretto forte il telefono, chiudendo gli occhi e
traendo un profondo respiro.
Sperava di aver fatto la scelta
giusta, a mettere in pericolo anche l’altro suo fratello.
N/A Ok, vai Mikey…
E vai LaraPink con i “ringraziamenti individuali”, come dice
la mia cara gemella spazio-temporale Cat
Warrior, che ringrazio e saluto (oltre ai “nostri” Florence mi piacciono
molto i Muse, Radiohead, Bullet for My Valentine, Skunk Anansie, Evanescence,
Korn, Linking Park, Audioslave e davvero tanto altro. Adoro la musica!!! Come
te, se ho capito bene ;) Alcune delle mie canzoni preferite sono quelle che
fanno da “colonna sonora” ai capitoli.) Grazie anche come sempre a Cartoonkeeper8 e LisaBelle_99,
(ragazze, io il film l’ho visto in inglese in America… Va beh, lo confesso,
l’ho visto su internet ^^’; cmq pur non essendo un capolavoro, l’ho trovato
abbastanza interessante. Raph, Mikey e soprattutto Donnie sono delineati in
modo stupendo; Leo mi ha un po’ delusa), Conn
(ops, volevo dire Uccelo del Tuono!
Me gusta! ^_^), Ser Barbs (ti
piacciono i Cliffhanger? Bastava dirlo! Ne ho un camion pieno!!! XD. Ehm… non
conviene stuzzicare la candidata al posto per sadica torturatrice >.< ), Piwy (grazie a te per esserti
appassionata tanto alla mia storia! Non riesco ancora a crederci, mi lusinghi!
Emh… preferirei non essere torturata, se per te è lo stesso ^^’), NightWatcher96 (rinnovo in pubblico
l’apprezzamento che ti ho scritto in privato! :*) e grazie ad Alej_and_Mizu (e piacere di conoscerti,
ti è piaciuto il film?).
Un abbraccio grande come la voglia di pizza che ho stasera.
Ciao! :*
|
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Capitolo 8 *** Figlio ***
Cap 8
“But what I do know,
is to us the world is different”
VNV Nation, Illusion
(Poco prima)
“… ed il nostro maestro punì me e
Saki facendoci fare cinquanta flessioni ad ogni fine giornata per una
settimana.”
Leonardo ha sorriso al suo sensei,
con un velo di stupore nei suoi occhi stanchi ed acquosi.
“D…davvero? Hai… hai fatto
questo?”
Splinter ha annuito sorridendo,
mentre con la mano si lisciava uno dei suoi lunghi baffi.
“Anch’io sono stato giovane,
figlio mio. Ed irruento. Guardando tuo fratello Raffaello a volte mi sembra di
vedere me alla vostra età.”
Leonardo ha fatto un piccolo cenno
con la testa, un po’stupito. Poi ha chiuso gli occhi, vinto dalla spossatezza
per la febbre alta. Pur sentendosi debole e dolorante, ha apprezzato questo
momento di dialogo con suo padre.
Gli era sempre piaciuto ascoltare
i suoi racconti. Solitamente il suo sensei non parlava molto di sé, di quando
era umano, della sua giovinezza. Anzi solitamente non parlava più molto, con
lui.
Quando era un bambino, invece, le
cose erano diverse. Una volta Leonardo non conosceva il mondo se non attraverso
i racconti che ascoltava dalle parole di suo padre. La sera, sul materasso che
condivideva con i suoi fratelli, si perdeva al suono della sua voce calda e
rassicurante, prima di prendere sonno. Ed in quel momento magico tra il sogno e
la veglia, nei suoi pensieri di bambino si mostravano colorati e lucenti le
immagini del favoloso mondo della superficie, con le sue case alte centinaia di
piani ed i suoi oceani così grandi che una nave ci poteva navigare per mesi;
con i coraggiosi quarantasette ronin
che avevano sfidato l’imperatore e con il gelato che poteva avere decine di
gusti. Un mondo che a loro era estraneo e nemico, pericoloso e nascosto. Il
piccolo Leonardo aveva fretta di diventare grande e forte, di crescere per
poter esplorare questa dimensione sconosciuta che la voce di Splinter svelava e
narrava, prima che le sue mani calde gli dessero una carezza e gli
rimboccassero le coperte.
A quei tempi, bastavano le parole
di suo padre per scacciare tutti i mali del mondo, bastava un suo abbraccio per
tenerlo al sicuro, lontano dal dolore…
Leonardo si è accorto di aver dato
un gemito. La febbre era molto alta, ed il dolore all’addome era tornato a
farsi sentire con ferocia. Vergognandosene, ha aperto gli occhi, per vedere la
reazione del suo sensei.
Questi lo stava a sua volta guardando,
mentre prendeva la pezzuola dalla fronte per immergerla di nuovo nell’acqua
fresca. E per una frazione di secondo, prima che cambiasse il suo sguardo in
un’espressione tranquilla e rassicurante, Leonardo ha fatto in tempo a leggervi
il dolore e la preoccupazione.
Quindi, tra i fumi della febbre, il
pensiero è tornato. I racconti di suo padre l’avevano distratto un po’, ed era
quasi riuscito a non pensarci.
Ma adesso, è tornata la paura.
La sua malattia era grave.
Lui stava morendo.
Probabilmente aveva davanti a lui solo
pochi giorni di vita, al massimo settimane. In quel momento si sentiva così
debole, così stanco… Uno sfinimento doloroso in tutte le membra, mentre la
febbre lo raggelava in brividi che non riusciva a trattenere. Lui stava
morendo, l’aveva capito. Lo avevano infettato con qualcosa di mortale.
Aveva perdonato suo padre ed i
suoi fratelli per aver cercato di mentirgli; era logico, lo capiva. Ma le
parole avrebbero potuto cercare d’ingannare, non gli sguardi, non
quell’infinitesimale innaturalezza nei gesti, che un fratello non poteva non
cogliere. Non gli occhi azzurri spaventati di Mikey, che rossi di pianto si
erano abbassati subito a terra; né quelli verdi ed insolitamente dimessi di
Raph. O quelli ramati di Donnie, che non l’avevano mai guardato dritto in
faccia, quando l’aveva visitato, con le mani troppo fredde, sudate.
Lo aveva capito piano piano, con
crescente sgomento. In un primo momento aveva cercato di illudersi, e di
ancorarsi alle parole rassicuranti del suo sensei, cullato dal torpore della
malattia che rendeva sempre più difficile ragionare con lucidità. La cura,
Donnie avrebbe trovato la cura. Ma poi, alla fine, era stato impossibile
continuare ad ingannarsi, ed aveva compreso. L’aveva detto a Raph, col solo
risultato di ferirlo. Si era pentito. Avrebbe dovuto fingere pure lui, dare a
intendere di non aver capito.
Capito di dover morire, adesso, a
sedici anni, quando aveva appena iniziato a scoprire il mondo, quando non aveva
ancora imparato ad essere il forte leader che i suoi fratelli si sarebbero
meritati.
Doveva ancora fare tante cose,
fare tante cose…
Non voleva morire.
Improvvisamente, ha avuto voglia
di piangere.
Ma non poteva farlo. Non poteva
mostrare la sua paura; non sarebbe stato onorevole. E, soprattutto, avrebbe
portato ancora più dolore a suo padre.
Che adesso era in pena che lui.
Che era al suo fianco e lo curava amorevolmente. Che lo curava come… come un
figlio.
Certo, lui era suo figlio.
Era suo figlio?
Si meritava queste attenzioni?
Era il suo allievo.
Era stato abbastanza in gamba? Non
aveva deluso il suo sensei?
Era diventato ciò che doveva diventare?
Rispondeva alle aspettative?
Era debole? Era debole…
Ha gemuto ancora. I pensieri si
aggrovigliavano nella sua testa. Ed erano brutti, lo ferivano. Era debole?
Non era un ninja? Non era un umano…
La nausea bloccava il suo respiro.
La testa pulsava dolore, il corpo era ghiaccio bollente.
Chi era veramente? Cos’era
veramente?
“Mhmm…”
“Leonardo, figlio mio, hai
dolore?”
Sono debole. Adesso morirò. Senza onore.
Tutta la stanza girava.
Morirò. Ho paura. Sono debole.
“Leonardo?”
Scusa Sensei. Sono debole.
“Mhm, s…scusa…”
“Cosa dici, figlio mio? Perché ti
scusi?”
Leonardo ha iniziato a scuotere la
testa. La pezzuola è caduta per terra.
Splinter ha avuto paura, l’ha
preso per le spalle. I grandi occhi blu si guardavano intorno spalancati, senza
fissare niente.
“Leonardo, resta calmo. È la
febbre. Calmati.”
“Scusa Sensei. S…scusa... Sensei, Watashi o yurushite…”
“Figlio mio, calmati!” Splinter ha
alzato la voce, spaventato. Ha poggiato una mano sulla fronte dell’adolescente
mutante.
Leonardo ha smesso di dimenarsi.
La sua testa è affondata esausta sul cuscino. Ha chiuso gli occhi.
“Io… io non sono… non sono tuo
figlio. Io sono solo… una tartaruga…”
Splinter ha spalancato gli occhi.
Ha ispirato profondamente: improvvisamente, la morsa che gli premeva il petto
dal giorno prima ha stretto più forte le sue ganasce.
Era questo che pensava suo figlio?
Il delirio della malattia gli aveva fatto svelare il peso che portava nel
cuore? Era questo, che credeva di sé?
Il maturo mutante si è dovuto alzare dalla sedia, ha fatto un
paio di passi nella stanza, ed è tornato a sedersi.
Era per questo che il suo Leonardo
fin da piccolo aveva cercato di primeggiare? Per questo che lavorava sodo
affinché il padre fosse fiero di lui? Per farsi accettare come figlio?
Oh Grandi Antenati, no…
Splinter si è sentito schiacciare
dal peso del fallimento. Forse era stato un bravo maestro, ma se suo figlio
pensava questo di sé, era stato un padre orribile…
Ha aperto la bocca per rispondere,
per convincere, per negare con veemenza. Ma ha visto i muscoli del viso dell’adolescente
rilassarsi, mentre iniziava a respirare rumorosamente. Si era addormentato di
nuovo.
L’uomo ratto si è preso la testa
tra le mani, ha sentito la disperazione graffiare il suo cuore. Rabbia,
impotenza, senso di colpa lo stringevano alla gola togliendogli l’aria. Si è
fatto fuggire un gemito soffocato prima di notare con la coda dell’occhio una
figura in piedi fuori dalla porta.
Oh, grandioso. Si è anche fatto
vedere da Michelangelo in questo stato di abbattimento.
L’arancione era appena uscito
dalla sua stanza. Tanto non riusciva a riposare. Neanche i suoi fumetti lo
allettavano, questa sera. Raph e Donnie avevano deciso che lui sarebbe stato
più utile a casa, per eventuali problemi di Leo, e non avevano voluto che
andasse anche lui al magazzino. D’altronde, era un’azione banale e noiosa. Ma
lui avrebbe preferito uscire a prendere un po’ d’aria, piuttosto che restare al
covo. Piuttosto che vedere Leo in queste condizioni.
Non è che avesse visto molto suo
fratello. Durante la giornata appena trascorsa ogni tanto aveva sbirciato dalla
porta, e l’aveva visto quasi sempre addormentato. Quando gli aveva portato la
colazione e la cena, che Leo non era riuscito a mangiare, era entrato ed uscito
subito, senza dire una parola. Non ce la faceva, a guardare suo fratello in
faccia.
Adesso, appena uscito dalla propria
stanza, aveva sentito Splinter gridare a Leo di calmarsi. Lui non era accorso,
a vedere cosa stesse succedendo. I suoi piedi, si erano rifiutati. Tanto, se Sensei
avesse avuto bisogno di lui, l’avrebbe chiamato. Fino ad allora, preferiva
restare il più lontano possibile dalla stanza di Leonardo.
Ed ora, che ha guardato dalla
porta suo padre che angosciato si teneva la testa tra le mani, ha capito di
aver fatto bene. Lui non poteva entrare in quella stanza, non poteva.
È corso nel dojo. Ha tirato fuori
i suoi nunchaku. Ha chiuso gli occhi, ha iniziato a praticare alcuni kata, i
più difficili. Ha continuato ad allenarsi, serrando tutto fuori di sé.
Intorno a lui, solo il sibilo
vorticoso delle sue armi. La sensazione del tappeto, sotto i suoi piedi. Il
sudore, che dopo qualche decina di minuti ha iniziato a scorrere sulla sua
pelle. Il silenzio, la semioscurità, la pace.
Poi, ha sentito al suo fianco la
vibrazione del T-phone.
Sul display, una buffa immagine di
Raph rubata in un momento poco edificante.
“Raph? - Come, hanno preso Donnie…
- Sì. - Ok, Raph - Va bene, stai tranquillo. Vado.”
Ha chiuso la comunicazione, e per
un attimo i suoi occhi hanno fissato davanti a sé senza vedere niente.
Donnie era stato catturato.
Donnie, Donnie era stato catturato.
Lui doveva scoprire dove lo
portavano.
Lui, da solo.
Ha deglutito. Ha deciso di non
pensare al fatto che Leo era gravemente malato, e che Donnie era in pericolo.
Era già abbastanza difficile focalizzarsi sul pensiero che lui adesso doveva fare
qualcosa da cui sarebbe dipesa la vita dei fratelli. Oh, certo, doveva solo
seguire il segnale…
Ha cercato il segnale sul T-phone.
Eccolo. La lucina lampeggiava, riflettendosi nelle sue iridi azzurre.
Ha iniziato a correre verso la
stanza di Leo, per avvertire Sensei prima di prendere la Stealth Bike.
Solo seguire il segnale, ed
aspettare Raph. Facile. Ce la poteva fare anche lui. Bastava non incasinare
niente, restare concentrati. Bastava non pensare che Donnie era stato preso e
che Leo stava male…
Bastava non farsi prendere dal
panico.
N/A Angst,
camionate di angst, montagne di angst…
Coma ha detto la grande Ladyzaphira,
le cose andranno MOLTO peggio di così… (grazie cara, sono felice che ti siano
piaciute le scene d’azione! :*); grazie mitiche Ser Barbs, Uccello di Tuono
e NightWatcher96, ebbene sì, sembra
proprio che stia per entrare in ballo il discolo di casa Hamato… cara LisaBelle_99, la gemella della mia
gemella è mia gemella (ti abbraccio, gemella!!!), ma io devo essere stata un
po’ in Dimensione X, visto lo scarto temporale XD, giusto CatWarrior?(Col cellulare benedetto si fanno chiamate da Dio… Ok,
ok, questa me la potevo risparmiare -_-‘).
Piwy mi hai commosso come pochi, e
penso di essere la prima persona al mondo ad essere fiera di istillare pulsioni
omicide!!! Ultima ma non ultima la mia interlocutrice musicale Cartoonkeeper8: beh, sì, secondo me
Raph è irruento, violento, impulsivo, mooooolto emotivo, ma sa essere
intelligente quando vuole, il ragazzo (sempre che la sua sia stata una scelta
intelligente)! Certo, peccato che a volte non sia sempre facile usare il
cervello, quando il sangue ti sale alla testa. Lo capisco, eccome… >.<
Ragazze, al solito un ringraziamento di cuore, che estendo a
tutti quelli che continuano a seguire la mia storia.
Un abbraccio grande quanto la
rabbia di Raph. :*
P.S. Avete
visto il finale di
stagione due? Ragazzi, quelli della Nickelodeon si sono superati.
Bravi, quasi quasi gli spedisco una scatola di cioccolatini. Hanno
preso uno
show per bambini e l’hanno portato a un livello diverso. Violento
ed
emotivamente intenso. Un piccolo capolavoro d’animazione. Adesso
lo spoilerizzo
per chi non l’ha visto… :P Tranquilli, ci tengo alla
pelle, e da queste parti
circolano troppe ragazze appassionate all’arte della tortura.
Gulp.
|
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Capitolo 9 *** Base ***
Cap 9
“It's quite deceiving
as I'm feeling the flesh make me bad.
Does it make me bad?”
Korn, Make
Me Bad
Certo che erano creature strane.
Avevano la forma umana, ma questi gusci da tartaruga li rendevano alquanto…
grotteschi. No, non era la parola giusta. Avevano qualcosa di animalesco, ma
erano affascinanti. Sì, ecco, affascinanti. Ragazzi tartaruga. Perché dovevano
essere ragazzi, adolescenti. Il rosso era molto giovane, ed anche questo viola
ai suoi piedi non poteva che avere tra i quattordici ed i diciotto anni. Ma
forse si sbagliava. Magari questi mostriciattoli sembravano ragazzi ma non lo
erano. Comunque, a lui piaceva pensare che fossero giovani. Più giovani erano,
più sarebbe stato… divertente.
Si è chinato sul sedile nel vano posteriore
del furgone per toccare la pelle del mutante incappucciato. Era fredda, più
fredda di quella di un essere umano. Era normale che fosse così? Le dita sono
scorse intorno al grosso livido che si stava formando sulla coscia dalla pelle
di giada. Tutto il corpo era pieno di abrasioni e contusioni, enfiate e scure.
Kurtis ha arricciato il naso. Forse era un peccato averlo rovinato in questo
modo.
In ogni caso, non era il rosso.
Ha provato un impeto di rabbia. I
suoi uomini se l’erano fatto scappare. Qualcuno avrebbe pagato, per la propria
inettitudine. Avevano avuto la possibilità di catturare due tartarughe in una volta
sola, e quegli incapaci non erano riusciti a prendere proprio la sua preda più
ambita.
Aveva desiderato avere il rosso
tra le sue mani per troppo tempo. Da quando era fuggito quella sera.
Non gli piaceva lasciare le cose
incompiute. Averlo avuto tra le sue mani, suo,
per volerci giocare, e poi esserselo fatto portare via. No, non gli piaceva.
L’idea lo aveva fatto arrabbiare, infuriare. Doveva riprenderlo, doveva finire
ciò che aveva iniziato.
Finisci sempre ciò che hai iniziato. Glielo diceva sempre suo
padre. Tra un pugno e l’altro.
Ed adesso avrebbe rimediato.
Avrebbe finito il suo lavoro. Avrebbe portato a termine la missione. E nel
frattempo ci avrebbe guadagnato. Tantissimo. Era stata una fortuna, in fondo,
aver incontrato questi mutanti. Il bravo soldato sa girare a proprio vantaggio
anche una situazione strategicamente sfavorevole.
Aveva perso il suo vecchio e
redditizio lavoro, aveva perso molti dei suoi uomini. Ma aveva capito di aver
trovato la gallina dalle uova d’oro. Era stato in gamba. La ferita nella spalla
ancora sanguinava sotto i vestiti, quando lui aveva iniziato ad oliare i suoi
contatti nell’esercito per verificare la fondatezza della voce su quel reparto governativo
che si stava interessando ai mutanti. Ed aveva fatto centro. Quell’inquietante
funzionario in occhiali scuri che aveva incontrato avrebbe pagato profumatamente
per uno di questi mostri vivo.
Poi, all’audacia si era sommata la
fortuna. Nell’ambiente del traffico della droga, era riuscito a contattare un
membro di una delle principali bande di strada di New York. Quell’imbecille con
un ridicolo tatuaggio di un drago viola per poche dosi gli aveva raccontato
delle storielle alle quali prima non avrebbe creduto. Storie di ninja meccanici
e di mutanti. Storie di un milionario giapponese ossessionato.
E lui aveva fiutato che avrebbe
potuto attenere ancora di più. Non era l’incapace che diceva suo padre.
Le tartarughe erano quattro. Una
l’ha usata per sperimentare anche sui mutanti il virus che doveva vendere. Sicuramente
il blu sarebbe morto di lì a poco. Avrebbe carpito al prigioniero le
informazioni per accertarsene. Un’altra l’avrebbe data a quel funzionario del
governo. Le restanti gli avrebbero portato ancora soldi per mano di
quell’idiota orientale col viso deturpato, che ne voleva almeno una, ma avrebbe
pagato di più per un paio.
Kurtis ha sorriso al pensiero. Sarebbe
diventato incredibilmente ricco. Avrebbe potuto arruolare talmente tanti uomini
da diventare una delle principali bande di mercenari al mondo. No, non era
l’incapace che diceva suo padre, quando gli spegneva le sigarette addosso. Lui,
Kurtis Tucker, sarebbe diventato molto potente.
È sceso ad accarezzare la gamba
del prigioniero riverso sul fondo del furgone. Questa pelle liscia, a metà tra
quella di un umano e quella di un rettile, lo stava eccitando. Ha guardato tra
le gambe del mutante, il fondo del guscio nascondeva alla vista la sua
fisionomia. No, non era il rosso, ma sarebbe andato bene lo stesso. Poi,
avrebbe finalmente preso anche il rosso. Quegli occhi verdi che lo guardavano
con sfida cercando di nascondere la paura… Di che colore aveva gli occhi,
questo? Nocciola, ramati, se non ricordava male…
Sì, ci avrebbe guadagnato, avrebbe
portato a termine ciò che aveva iniziato. E si sarebbe divertito.
Chissà che voce avrebbe avuto un
mutante che urla.
…
Michelangelo non credeva di
doversi allontanare tanto dal centro della città. Avevano lasciato New York da
quasi due ore. Ha guardato preoccupato il livello del carburante. Donnie non
aveva ideato la Stealth Bike per le grandi percorrenze, ma per piccole e
invisibili ricognizioni urbane a partire dallo Shellraiser. Adesso, anche se il
serbatoio era pieno quando aveva lasciato la tana, il carburante era quasi
finito. Perfetto, un altro problema che si veniva a sommare a quelli enormi che
già lo stavano pressando.
Nei suoi videogiochi, non finiva
mai il carburante. Aveva ragione Leo. La vita non era proprio come nei
videogiochi. Lì le persone a cui vuoi bene non vengono contagiate con virus
mortali o rapite da assassini che fanno abbassare lo sguardo a Raph. Ed infine,
nei videogiochi, non ti entrano i moscerini negli occhi. Al centesimo moscerino
lui si era ormai amaramente pentito di non aver infilato il casco…
Seguendo il segnalatore, aveva raggiunto
i veicoli e si era avvicinato abbastanza da vedere, ogni tanto nei rettilinei e
da lontano, le luci rosse dell’ultimo furgoncino del convoglio che stava
seguendo. Un altro problema della Stealth Bike era che non avesse le luci. Non
che le avesse accese, in ogni caso, col pericolo di farsi avvistare. Ma questo
faceva sì che lui stesse guidando praticamente alla cieca a quasi ottanta
miglia all’ora.
Ecco un’altra differenza con i
videogiochi. Lì se ti schianti contro un albero al bordo della carreggiata, puoi
ricaricare. Qui, fai marmellata di tartaruga. Meglio non pensarci.
Doveva seguire Donnie.
Tra l’altro, adesso che si stavano
addentrando nel bosco, non poteva più contare neanche sulla luce della luna. Ha
deciso di rischiare, di avvicinarsi e seguire come guida le luci davanti a lui.
Almeno la Stealth Bike era quasi del tutto invisibile e silenziosa. Donnie era
un genio. Quando l’avrebbe riabbracciato glielo avrebbe detto.
Da diversi minuti, il convoglio
aveva lasciato la strada principale per inserirsi in una stradina sterrata, in
mezzo agli alberi della foresta. Le grosse ruote dei veicoli militari
sobbalzavano sul terreno accidentato, tra i sassi e le bitorzolute sporgenze
delle radici degli alberi; nuvole di terra si tingevano di rosso davanti alle
luci dei fanalini posteriori.
Michelangelo ha rallentato;
intravedeva intorno a lui le imponenti torri di legno degli alberi, minacciose
figure nere nella notte. Un'altra decina di minuti di strada, e poi il motore
ha sussultato. Quello che temeva si è avverato. La benzina era quasi finita.
Il giovane mutante non ha fatto in
tempo nemmeno ad imprecare poiché ha visto che, per fortuna, il convoglio che aveva
seguito era arrivato ad uno spiazzo in mezzo al bosco e si stava fermando. La tartaruga ha portato il suo mezzo fuori
dalla stradina, in mezzo ai cespugli; l’ha spento e si è praticamente fiondato
fuori, a vedere dove fossero arrivati.
Furtivamente, restando nascosto
dagli alberi, si è avvicinato. Veloce, un’ombra nera che tre le altre ombre.
L’aria umida della notte era intrisa del balsamico odore della resina, così
diverso dall’odore stantio del cemento delle fogne. In lontananza, un rapace
notturno strideva le sue note.
Nel grande spiazzo, si distinguevano
nella penombra tutta una serie di costruzioni in legno; veicoli si stavano dividendo
e parcheggiando davanti ad alcune di esse. Michelangelo ha guardato verso la
cima dell’albero al quale era appoggiato: da lassù, avrebbe potuto vedere
meglio.
Arrampicarsi al buio non era molto
facile; per fortuna, il cielo iniziava ad assumere la lievissima luminescenza prima
dell’alba.
Da un grande ramo quasi in cima,
Michelangelo si è sporto a guardare. Le costruzioni in legno erano almeno una
trentina, di diverse dimensioni. Alcune sembravano più che altro dei capannoni,
altre delle piccole casette. Al centro, tra le costruzioni, un piccolo
spiazzale. Lampadine erano appese sotto i porticati di alcune di queste
strutture. Guardato così sarebbe potute sembrare il complesso di un campeggio.
Dai veicoli sono scesi decine di
persone, vestite con una tuta militare nera. Alcune si sono disperse per la
struttura, imbracciando dei fucili automatici in spalla. Ma la maggior parte è
rimasta intorno ad uno dei furgoni, parcheggiato davanti ad una piccola
costruzione di legno, a foggia di casetta, con un porticato.
Michelangelo ha aguzzato la vista.
Gli uomini si sono guardati intorno prima di aprire il portellone del
furgoncino; si è stretto contro la corteccia dell’albero quando un soldato ha
guardato in alto, nella sua direzione. Ma era quasi sicuro che non potessero
vederlo. Dal veicolo sono quindi scesi altri militari, poi Michelangelo ha
visto che due di loro trascinavano qualcosa. Una figura immobile, legata.
L’ha trovato. Era Donatello.
Quando sono passati sotto la luce
del portico, pur da quella distanza Michelangelo ha potuto vedere che suo
fratello era incappucciato e che, poiché aveva le mani legate dietro la schiena
insieme alle caviglie, lo stavano trascinando tenendolo da sotto le braccia e
facendolo strisciare per le ginocchia. L’arancione già per questo li avrebbe
presi tutti a calci. Ma ha fatto un respiro per calmarsi. Adesso, doveva
mandare un messaggio a Raph, ed aspettarlo prima di fare qualsiasi cosa.
Lui da solo, in mezzo a svariate
decine di militari armati, non avrebbe potuto fare niente. Era un ninja, mica
era uno dei suoi amati supereroi. Non aveva il dono della bilocazione, non era
invisibile, quando veniva colpito sentiva dolore e non era assolutamente a
prova di pallottola.
Doveva solo aspettare. Però, lo
tormentava l’idea di lasciare suo fratello da solo con quegli uomini. Pregava
che Raph arrivasse presto. Anche in due, comunque, la situazione sarebbe stata
disperata. Michelangelo stava iniziando a farsi prendere dallo sconforto. Ci
fosse stato Leo, lui avrebbe ideato un piano. Sperava che anche Raph potesse
inventarsi qualcosa. A lui per adesso non veniva in mente niente.
Solo aspettare, come gli era stato
detto.
Ha alzato gli occhi al cielo.
Strisce di nuvole disegnavano diverse tonalità di antracite nel firmamento
ancora quasi del tutto buio. Aspettare, aspettare Raph. D’altronde, in poco
tempo, cosa sarebbe potuto succedere?
N/A Già. Cosa sarebbe potuto succedere?
Altro cliffy per chi come SerBarbs li ama tanto. Guarda, io
questi piccoli autori di ff che si divertono a fare stare sulle spine i lettori
non so che gli farei.. (ç.ç penso che tu però lo sai che gli faresti, rigulp…).
Anch’io l’ho rivisto, il finale, ne vale la pena. Cazzutissimi geni (loro sì
che se lo meritano, cara SerBarbs). Anche alla mia co-gemella LisaBelle_99 è piaciuto (senti, alla
fine i cioccolatini me li sono mangiati io, ma se li sarebbero meritati XD ). Ho
trovato stupendo l’abbraccio tra Raph e Mikey. Non avevo mai visto niente di
così intenso in un lavoro d’animazione, se non in qualche lungometraggio.
Inoltre, gli autori hanno fedelmente ricalcato, anche graficamente, alcune
tavole dei fumetti classici (l’ambientazione dell’epico scontro di Leo, ad
esempio). Ho visto che la mia imoto-san NightWatcher96
è stata stuzzicata proprio dal finale di stagione per scrivere un’one-shot, che
vi consiglio di leggere (imoto, al solito la tua analisi del mio capitolo è
impagabile). A portare il mio ego in orbita geostazionaria, con tutti i loro
gentili complimenti, insieme a lei ci si sono messe anche Piwy (che fa sembrare sempre più Kurtis un pivellino in campo di
crudeltà al suo confronto. Tipetta tosta, l’amica, sperate di non avercela mai
dalla parte sbagliata XD ) e Uccello del
tuono (DEL Tuono! Sorry!!!) Felice di essere con lei “sulla stessa
lunghezza d’onda”, andate a leggere anche la sua ultima storia perché, oltre ad
essere intensa e poetica, ha tanto in comune con questa che ho scritto io, lo
vedrete tra qualche capitolo. Che anche Ladyzaphira
sia una scrittrice di interessantissime ff lo sapete già (non mi merito ciò che
hai detto; le tue storie sono così cariche di emozioni da illuminare questo
fandom!) e… vogliamo dire altre due cose sul film? Perfettamente d’accordo con
lei. Ben delineate le Turtles, ma c’è troppo April. Anch’io l’ho trovato
divertente e spettacolare (parliamo della scena sulla neve? Wow). Certo, la
trama faceva acqua da tutte le parti, e Shredder mi è sembrato l’ultimo dei
fessi. A mio modestissimo parere, si capisce. Molto meglio quello della serie
2012! Cara neko CatWarrior (sono
felicissima che ti sia piaciuta la mia “colonna sonora”! Adoro quel pezzo,
letteralmente!), vedrai nell’ultima puntata, uno wow Shredder e soprattutto uno
wow Leo. L’uno dice cose di una crudeltà shakespeariana, l’altro è… potrei
stare qui a commentarlo un giorno intero, come dice la mitica Cartoonkeeper8. Pensavo di fare della
discreta introspezione psicologica, finchè lei non mi ha mostrato come si fa
davvero. La sua recensione è migliore della mia storia! *piange sbattendo i
piedi*. Cavolo sorella, è come se fossi dentro il cervello di Mikey, che poi in
questo caso sarebbe dentro il mio cervello che spiega il cervello di Mikey, cioè
un cervello capisce un cervello che spiega un cervello e… insomma… va beh ^^’ Grazie a tutte come sempre, care amiche <3
Ultime due parole ai due nuovi recensori
di questa storia… (??? Forse ho trovato un maschio tra noi! *piange di gioia*.
A meno che non sia una donna interessata al seno di Lara Croft… tutto può
essere XD ). Grazie infinite per le vostre parole. ToraStrife, la tua analisi riassume in breve con accuratezza i
fulcri sui quali ruota la storia: grazie per averla letta. Sono contenta che tu
abbia apprezzato anche la colonna sonora dei grandissimi VNV Nation. Non centra
nulla, ma ieri sera ho assistito alla performance di un gruppo emergente, I
Verbal. Ne sono rimasta stregata, e li volevo consigliare ai tanti che mi
leggono e che amano la musica, in questo caso un acidissimo e psichedelico
trans rock. Se vivete in Lombardia come me, teneteli d’occhio. LauraMomiji. E’ bello trovare una
persona “grande”! Io stessa, e le mie amiche di qui lo sanno, non sono più una
ragazzina, avendo superato i trent’anni. Dire che le passioni non hanno età, e
che riuscire a far sì che la vita “adulta” non ci strappi via tutti i nostri
sogni è quasi un miracolo, sembrerebbero frasi fatte. Il solo fatto che tu
abbia dedicato a me la tua prima recensione mi fa sentire così grata che non ho
parole che possano renderne l’idea. E che io non abbia parole è strano, visto
quanto ho chiacchierato adesso XD
Oddio! L’angolo dell’autore è più
lungo del capitolo!!! *.*
Un abbraccio grande quanto il seno
di Lara Croft nel primo Tomb Raider!!!
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Capitolo 10 *** Tortura ***
Cap 10
“I'm gonna use you and
abuse you
I'm gonna know what's
inside
Gonna use you and
abuse you
I'm gonna know what's
inside you”
Marilyn Manson, Sweet Dreams
Donatello aveva ripreso conoscenza
da un po’. Aveva aperto a fatica gli occhi; le tempie pulsavano dolorosamente.
La prima percezione che aveva focalizzato era stata la sensazione soffocante
del tessuto intorno alla testa. Gli avevano messo addosso un cappuccio nero. Si
era reso conto di essere in un furgone, dai sobbalzi che facevano dolere tutti
i colpi ricevuti. Era stato legato, in una posizione piuttosto
scomoda, con le braccia dietro la schiena ed i polsi uniti alle caviglie.
Aveva
tuttavia finto di essere ancora svenuto, lottando per mantenere il suo respiro
lento e regolare ed i suoi muscoli rilassati. Anche quando qualcuno lo aveva
toccato. Aveva solo stretto di più gli occhi, ma era riuscito a restare
immobile. Con disgusto aveva sentito una mano scorrere ad accarezzargli la gamba
e la coscia. Si era ricordato dei racconti di Raph.
Dire che ne era stato atterrito sarebbe
stato un eufemismo.
Aveva avuto la nauseante sensazione che
ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato. Lui non era stato addestrato per
questo. Lui era un ninja che lottava con onore. La violenza era sempre da
biasimare, certo; ma qui non vi era dignità: non era la semplice aggressione di
un nemico. Non sopportava di essere toccato così, come una preda, come un
oggetto. Queste carezze stomachevoli ed il suo assoluto senso di impotenza
avevano fatto male all’animo quanto le percosse ne avevano fatto al suo corpo.
Sperava che il trasmettitore che
aveva nello stomaco stesse facendo il suo lavoro, non voleva sperimentare oltre
le proprie capacità di resistenza. Ma, nonostante tutto, ciò che lo spaventava maggiormente
era il fatto che il tempo scorresse inesorabile mentre lui era nelle mani di questo
maniaco, quando avrebbe dovuto cercare di aiutare Leo.
E poi, temeva per Raph. Aveva
chiuso di scatto la loro ultima comunicazione. Non sapeva se avesse avuto il
tempo di fuggire, o se non fosse stato catturato anche lui. O peggio.
Non capiva perché questi uomini
avevano voluto prenderlo vivo. Se questo Kurtis si voleva vendicare, perché non
l’aveva semplicemente ucciso? A questo punto, Donatello si era sforzato di
analizzare razionalmente la situazione. Forse voleva da lui delle informazioni,
voleva sapere da dove provenisse, voleva il resto della sua famiglia? Quindi
l’avrebbe torturato. Ok, questa era una brutta ipotesi. E poi in ogni caso,
perché? Oppure doveva consegnarlo a qualche centro di ricerca, a qualche
laboratorio, dove sarebbe stato studiato e sezionato? Questa supposizione non
era migliore. O forse era semplicemente un sadico e per vendicarsi voleva fargli
del male. Anche questa era una brutta, bruttissima ipotesi.
Tutte le idee che gli venivano in mente,
dalla più sensata alla più improbabile, dal coinvolgimento del Governo a
qualche setta di fanatici, non prevedevano niente di buono per lui. Insomma,
poteva solo sperare che il segnalatore funzionasse e che Raph stesse bene e
venisse presto con Mikey a salvarlo. O sperare di riuscire a fuggire.
Solo speranze, in quella che era
davvero una situazione disperata.
D’un tratto, ha sentito
chiaramente il furgoncino fermarsi. Il portellone è stato aperto, e l’aria
fresca e frizzante si è riversata nel vano. Ha cercato di percepire dove
fossero arrivati, mentre veniva portato fuori. Non poteva vedere, ma ha capito
di essere fuori città dal silenzio e dall’odore degli alberi.
É stato sollevato da un paio di uomini e portato fuori dal
furgone. É stato trascinato su una superficie di legno. Questo ha procurato
graffi e schegge nelle sue ginocchia, ormai senza protezioni. Dopo è stato in
malo modo sbattuto giù.
Ha sentito armeggiare nelle corde
sulla sua schiena.
La speranza di poter tentare la
fuga si è dissolta quasi subito, quando ha visto che avevano semplicemente sciolto
la corda tra le caviglie ed i polsi, che restavano però saldamente legati tra
loro. Si è sentito afferrare per le spalle, alzare un po’, mettere in ginocchio.
Non poter vedere quello che succedeva
intorno a lui lo frustrava. Certo, era stato addestrato a percepire l’ambiente circostante
con gli altri sensi. Si è sforzato di farlo, seppur intontito dai colpi
ricevuti. Ha capito solo di trovarsi in una stanza non molto grande, col
pavimento in legno, circondato da almeno cinque persone.
Improvvisamente, si è sentito
spingere la testa con forza verso il basso…
Acqua!
Gli avevano messo la testa
sott’acqua! Istintivamente, ha cercato di divincolarsi. Ma almeno due paia di
mani lo tenevano fortemente per la testa e per le spalle. E lo trattenevano
giù. Lo costringevano sott’acqua.
Il piastrone strofinava contro il
bordo di una grande bacinella di metallo, piena di acqua gelida. Donatello ha
lottato con tutte le sue forze, ma non è riuscito a liberarsi. Nello shock, un
po’ d’acqua gli è entrata in gola, ed adesso la trachea lottava per tossire. Ha
scalciato furiosamente con i piedi legati, mentre continuavano a tenerlo giù:
lo volevano annegare!
Non poteva respirare, non
resisteva, sarebbe annegato, padre sarebbe annegato!
Lo avevano portato qui solo per
ucciderlo! Perché? Perché così? No!
Lui ed i suoi fratelli potevano
restare in apnea per parecchi minuti. Michelangelo addirittura quasi sette. Un
po’ merito della loro natura mutante, e un po’dell’allenamento a cui si
sottoponevano. Lui stesso riusciva ad arrivare a cinque minuti. Ma in apnea
statica, e non dopo aver già inalato acqua nella trachea. Non sapeva quanto
tempo l’avessero tenuto giù, ma dopo un po’ non ce l’ha più fatta.
Ha inspirato.
Ed i suoi polmoni si sono riempiti
d’acqua.
A quel punto, gli hanno ritirato
la testa su, e tolto il cappuccio inzuppato, ma lui se n’è accorto appena.
Pensava di morire. Era come se i suoi polmoni fossero scoppiati, il suo torace
era pieno di gelo, i suoi sensi completamente andati.
Eppure, alla fine il suo corpo,
nonostante tutto, era ancora vivo. Buttato sul pavimento, ha iniziato a
riversare l’acqua dalla sua bocca, e poi a tossire forte. Gli sembrava di star
vomitando fuori tutti i suoi organi interni. Scintille rosse velavano la sua
visione, mentre ha cercato disperatamente aria che sembrava non volesse più
entrare nel suo corpo sofferente.
Quando dopo un’eternità ha ripreso
a respirare, ha sentito di essere appena tornato dalla morte. Non pensava che
annegare potesse essere così doloroso.
Ha dato un ultimo colpo di tosse;
ha soffocato il conato di vomito premendo la bocca contro il pavimento bagnato,
rannicchiato su un lato, le membra scosse, pesanti come marmo.
Ha girato la testa, alzato lo
sguardo. Una lampadina appesa ad un filo. Una delle vecchie lampadine ad
incandescenza, col vetro appannato dalla polvere. Soffitto di legno.
Pareti di legno. Un tavolo contro
il muro, delle sedie, un armadietto, alcune casse. Ed umani. Vestiti di nero.
Quattro, no cinque.
Ha incontrato gli occhi di quello
che si stava chinando su di lui.
Occhi grigi.
“Ben svegliato, mostro. O eri già
sveglio?”
Donatello ha sbattuto le palpebre,
ancora stordito.
“Adesso ti spiego come funziona.”
Kurtis l’ha rialzato sulle ginocchia, con forza, poi gli ha preso il viso in
una mano, stringendogli le guance e costringendolo a guardare verso di lui.
“Io ti faccio delle domande, e tu
mi rispondi.”
Donatello ha cercato di
divincolarsi, col risultato di essere stretto ancora con più forza sul viso già
tumefatto.
“Prima mi dici dove posso trovare
gli altri mostri come te, e meno male ti facciamo. Capito?”
Il giovane mutante gli ha rivolto
uno sguardo pieno d’odio. Lui aveva letto tutte le tecniche per cercare di
limitare i danni in un interrogatorio sotto tortura, ma in questo momento capiva
che vi era un abisso enorme tra teoria e pratica: non solo non riusciva a
ricordare niente di quello che sarebbe giusto dire, o fare, ma non riusciva a
focalizzare la sua mente su nient’altro che sulla rabbia verso questi uomini
che gli stavano facendo questo, e sulla paura, una forte ed echeggiante paura.
La testa ancora dolorante per i colpi ricevuti, il corpo intorpidito che
sembrava non voler rispondere ai suoi comandi, si aggrappava all’esile speranza
che i suoi fratelli venissero a liberarlo prima che fosse troppo tardi.
“Capito?”
Afferrandolo con una mano dal
bordo superiore del piastrone, piantando crudelmente le unghie nella pelle
nascosta della delicata attaccatura dello stesso, Kurtis gli ha sferrato con
l’altra mano un pugno sul viso. Poi un altro, ed un altro, ed un altro ancora. Donatello
ha stretto gli occhi, stordito, mentre un rivolo di sangue ha disegnato un filo
dalla sua bocca al mento, iniziando a gocciolare sul suo piastrone.
Poi ha annuito, piano. Basta
pugni. Ma se quest’uomo pensava che avrebbe messo in pericolo i suoi fratelli,
si sbagliava di grosso. Avrebbe resistito, avrebbe resistito il più possibile,
a costo di farsi annegare altre mille volte e farsi massacrare a botte. Avrebbe
resistito fino a quando la porta non si fosse spalancata e fossero venuti a
salvarlo. Raph… Raph sicuramente aveva fatto in tempo a fuggire. Sì, doveva essere così.
“Bene.” Kurtis si è drizzato, ed
ha fatto un cenno agli uomini dietro di lui.
“Legatelo alla sedia.”
Tre uomini si sono avvicinati alla
tartaruga inginocchiata per terra; uno ha iniziato a tagliate la corda dietro
la schiena, mentre due lo tenevano stretto ognuno da un braccio.
Donatello si allenava nell’arte
del ninjutsu praticamente da sempre. Anni e anni a ricercare la forza, la
furtività. La velocità. L’arte di ingannare l’avversario con finte e movimenti
inconsueti. Ha rallentato il respiro, ha preso consapevolezza del suo corpo, ha
messo da parte paura e dolore. Ha aspettato il momento perfetto, l’unica frazione
di secondo utile.
E nell’istante in cui il coltello ha
finito di recidere la corda che teneva uniti tra loro i due polsi, è scattato.
Ha portato tutta la sua attenzione
su un braccio solo. Il sinistro, il suo braccio principale. L’ha tirato via con
tutta la forza che aveva, e che la disperazione aveva amplificato, strappandolo
dalle mani dell’uomo che lo teneva. I suoi aguzzini non si erano neanche
accorti cosa fosse successo che lui, con una torsione del corpo, ha battuto con
un pugno l’uomo che gli teneva l’altro braccio, mentre il busto è scattato
all’indietro a colpire col guscio il terzo uomo che ancora teneva il coltello.
Facendosi leva con le mani sul
pavimento, Donatello è balzato in piedi, le caviglie ancora legate tra loro. Ha
ignorato il dolore che saliva dalle membra contuse, soprattutto da un piede. Ha
messo a frutto lunghi ed estenuanti esercizi di lotta in equilibrio con i piedi
uniti. Senza pensare, senza pianificare nulla, poiché il suo istinto gli diceva
solamente di abbattere in quel momento più nemici possibili, con un balzo si è
avventato contro altri due uomini in piedi, che si sono visti arrivare una
furia verde, gli occhi nocciola stretti a due fessure di determinazione, la
dentatura irregolare che si mostrava in un ghigno di sforzo e concentrazione.
Ha colpito con le nocche delle
mani le gole dei due uomini, poi ha bilanciato il corpo e con una gomitata
all’indietro ha centrato un avversario che si stava avvicinando: ha sentito i
denti dell’uomo scattare contro la propria articolazione.
Velocissimo, con una rotazione ha
infine colpito con un sinistro un altro uomo, sul viso, che è caduto
all’indietro. Era Kurtis.
Donatello non ha fatto in tempo a
vederlo cadere ai sui piedi che questi da terra gli ha sferrato un calcio alle
gambe, sbilanciandolo. L’adolescente è caduto a sua volta giù.
I primi uomini atterrati in un
secondo gli erano già di sopra; l’hanno immobilizzato contro il pavimento.
Il giovane mutante ha guardato
l’uomo dagli occhi grigi che si è rialzato da terra portandosi una mano al volto;
questi si è strofinato il dorso della mano contro il labbro spaccato.
Ha abbassato lo sguardo al
mutante. Ha sorriso, crudele. Si è guardato un attimo la mano, e poi si è
leccato la striscia di sangue che la ricopriva.
Donatello è rabbrividito. Lo sguardo
dell’uomo era quello di un folle, di un maniaco.
“No, così non va bene. Adesso
dovrò punirti.”
Kurtis ha parlato al mutante
scuotendo la testa, col tono di chi stava rimproverando un bambino per aver
rubato la marmellata. Gli occhi grigi brillavano.
Si è rivolto ai suoi uomini.
“Il braccio.”
Donatello ha capito di essere seriamente
nei guai quando altri due uomini si sono avvicinati ad agguantarlo sulle
braccia. Adesso, tenuto fermo da cinque robusti soldati, non sarebbe potuto
scappare nemmeno se fosse il doppio più forte di Raph. L’hanno rimesso in
ginocchio, mentre un altro uomo prendeva due cassette di legno e le poneva
dinanzi a lui, ad una dozzina di pollici l’una dall’altra.
Il mutante è stato tenuto giù, il
braccio destro piegato dietro la schiena, l’altro spinto sulle cassette. La
mano sinistra tenuta ferma su una delle casse, la spalla e il gomito premuti
sull’altra, l’avambraccio sullo spazio vuoto tra di esse.
Il viola ha sentito il suo cuore
perdere un battito. L’orrore assoluto si è impadronito di lui quando ha visto
Kurtis recuperare un grosso martello da un cumulo di strumenti sopra il tavolo,
e soppesarlo con ostentazione fra le mani. Gli occhi grigi dell’uomo erano
dilatati e malvagi mentre ha piegato l’angolo della bocca in un sorriso feroce,
per poi inumidirsi le labbra con la lingua, come a pregustare un piacere insano
e contorto.
Il giovane mutante ha compreso
subito le sue intenzioni.
Il braccio. Mi vuole rompere il braccio.
Ha tentato di divincolarsi, di
ritirare il braccio, ma era chiuso in una morsa d’acciaio; ha teso i muscoli al
massimo, con un ringhio, scrollando la testa, le spalle, cercando inutilmente
di allontanarsi.
No, non il suo braccio sinistro.
Lui era mancino, lavorava con quello. Con quel braccio scriveva, digitava, versava
pericolosi acidi nelle pipette, stringeva i bulloni dell’impianto di
riscaldamento della tana e regolava i freni a disco dello Shellraiser. Era la
principale estensione della sua mente.
Gli serviva per cercare la cura
per Leo.
No vi prego, no…
Ha iniziato a respirare
velocemente mentre guardava terrorizzato Kurtis avvicinarsi a lui, piegarsi con
un ginocchio a terra, alzare in alto il martello.
Il mutante ha scosso la testa, ansimando
disperato; ha visto il pesante blocco di metallo scuro in cima al manico
arrivare in alto nella sua traiettoria, e poi velocemente ed inesorabilmente
scendere giù.
“No! NOO!”
Quando il martello si è abbassato,
Donatello ha potuto sentire come il rumore di un legno secco che si spezza e di
un tessuto bagnato che si strappa; un rumore ripugnante.
Poi ha sentito un urlo lacerare il
silenzio, ed ha capito che la voce era la sua.
N/A Vi è
un’arcana legge, scritta in caratteri di fuoco su adamantine pagine, secondo la
quale le diaboliche menti delle autrici di fanfiction si divertirebbero ad
ideare torture e supplizi per i loro prediletti. Ne sanno qualcosa sir Mikey di
madama NightWatcher96 e messer Leo di donna LadyZaphira, solo per citarne
alcuni…
Secondo codesta veneranda legge, il preferito di LaraPink dovrebbe
essere Donnie, uahahahah… cof cof.
Troppo cruento? Troppo poco cruento? Pss, pss… avvicinatevi
che vi confesso una cosa: in prima stesura quella perversa dell’autrice aveva
calcato più la mano in senso… beh in quel senso, direbbe Raph.
Praticamente, Donnie era stato
punito con la rottura del braccio per aver colpito Kurtis che aveva cercato di
abusare di lui. La scena alla fine era troppo adulta e pesante per questa
storia, alla quale non volevo dare quell’impostazione, e l’ho eliminata,
riscrivendo buona parte del capitolo. Ecco come iniziava (è solo la bozza):
Si è rivolto ai suoi uomini. Ha
indicato con lo sguardo il tavolo accanto a lui.
“Tenetelo fermo.”
Donatello è stato alzato in piedi,
e sbattuto rudemente contro il tavolo. La parte bassa del suo piastrone ha
dolorosamente colpito il legno. Gli uomini che lo tenevano l’hanno spinto giù,
con il piastrone contro il tavolo, e con poche mosse, come se eseguissero un
comando già compiuto mille volte, mentre uno gli teneva la testa e le spalle
contro il legno, l’altro gli ha piegato entrambe le braccia dietro la schiena.
Il giovane mutante non ha capito
bene cosa volessero fare, ha iniziato ad aspettare altre percosse, pronto alla
nuova dose di dolore. Ma non è stato colpito. Un altro uomo ---Kurtis, si è
messo dietro di lui.
Con le proprie gambe, ha divaricato
quelle del mutante. Col il bacino, ha premuto sul bordo inferiore del guscio.
Donatello ha sentito il cuore
perdere un battito nel petto. La comprensione di quello che l’uomo voleva
fargli gli ha gelato il sangue di orrore e ribrezzo. Per un paio di secondi, lo
shock è stato tale che il suo cervello ha semplicemente smesso di pensare e di
trasmettere qualsiasi comando al suo corpo.
Eccetera eccetera…
Capito, no? ;) Spero di aver
risposto così a chi come la cara Piwy
mi chiedeva se la storia avrebbe preso una piega più oscura (se per “finire il
suo lavoro” intendevi che il mio pazzo sadico maniaco dagli occhi grigi abusasse
sessualmente di una delle Turtles).
La mia storia non arriva a tanto, in fondo il
rating è arancione ^^’
La prossima chissà… (Mikey legato
ad un tavolino, cara imoto NightWatcher96?
Mhmm… Povero Mikeyyyy! Ma lo lascerai mai in pace? Spero di no! XD)
Baci bacini e bacioni anche alla
draghetta SerBarbs, alla tosta Uccello del Tuono, alla mia co-gemella Lisabelle99, ed alla lettrici di menti Cartoonkeeper8 (poi mi spieghi come
cavolo fai, visto che io il fatto che il padre di Kurtis abusasse di lui l’ho
tagliato dalla storia @.@ Ok, adesso mi fai paura…)
Grazie a chi ha letto anche questo capitolo! Un
abbraccio grande come il Colonnato di San Pietro. :*
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Capitolo 11 *** Foresta ***
Cap 11
“If I'm alive and
well,
Will you be there a
holding my hand
I'll keep you by my
side
With my superhuman
might”
3 DoorsDown,
Kryptonite
(Nel frattempo)
Michelangelo era tormentato dall’attesa.
Dieci minuti, erano più di dieci minuti che Donnie era in quella casupola. Cosa
gli stavano facendo? Perché Raph non arrivava? I suoi occhi azzurri resi enormi
dall’ansia si muovevano dal T-phone alla costruzione di legno.
Vado.
No, sarebbe un suicidio.
Ma Donnie può essere in pericolo, vado.
No, Raph mi ha detto di aspettarlo.
Devo andare.
Cosa posso fare da solo contro un mezzo esercito, oltre a farmi
ammazzare? Se mi faccio ammazzare Raph si incazzerà come una bestia, e poi
dovrà salvare Donnie da solo e non ce la farà. Ma forse non ce la faremo
nemmeno in due… Ahrg!
Ha poggiato la testa contro il
tronco dell’albero, in piedi sul grosso ramo.
Poi, l’ha udito.
Un grido si è sentito chiaramente
nel silenzio della foresta. Un urlo di dolore, straziante.
La voce era quella di suo fratello.
Michelangelo è rimasto per un
attimo congelato, poi ha tirato fuori dalla sua cintura la piccola balestra, e
senza esitazione ha legato un’estremità della corda al ramo ed ha sparato
l’arpione sul tetto della più vicina costruzione di legno.
Mentre con la piccola carrucola
scivolava giù velocemente sulla corda, non ha più pensato a niente. Voleva solo
fermare le persone che stavano facendo urlare suo fratello.
…
Donatello non avrebbe voluto gridare.
Non avrebbe voluto dare al suo aguzzino tale soddisfazione. Ma il dolore che ha
provato è stato qualcosa che non aveva mai sperimentato prima, e l’urlo è
fuggito dai suoi polmoni senza che lui potesse farci niente. La sua gola era in
fiamme, e lacrime sono scese involontariamente a bagnargli la maschera e rigargli
le guance. Ha stretto gli occhi, sibilando tra i denti, mentre ha iniziato a
tremare per lo shock.
Il dolore ha inondato tutto il
lato sinistro del suo corpo. Ha riaperto gli occhi, ha trovato il coraggio di
guardare il suo braccio, ancora tenuto fermo dai soldati. Era piegato tra le
cassette in modo innaturale. Le ossa si erano spostate dalla loro sede, e le
punte spezzate premevano contro la pelle.
È inorridito. Ha analizzato il danno con la sua mente da
scienziato. Frattura scomposta del radio e dell’ulna, probabilmente multipla,
con dislocazione e probabile danno ai tendini.
Ansimando e sbuffando dal dolore
insopportabile, ha alzato lo sguardo verso l’uomo dagli occhi grigi, che si è spostato
sull’altro ginocchio, giocherellando col martello.
Donatello ha distolto lo sguardo.
Ha fissato lo spazio tra due asticelle di legno del pavimento, completamente
immerso nel dolore.
Boccheggiava.
I suoi fratelli sarebbero
arrivati, i suoi fratelli sarebbero arrivati…
Pochi secondi di silenzio, poi
Kurtis si è rivolto nuovamente ai suoi uomini.
“L’altro.”
Donatello ha voltato nuovamente il
viso verso il suo torturatore, di scatto, con gli occhi sbarrati di orrore.
Kurtis lo stava guardando con un osceno sorriso divertito.
Il mutante ha stretto per un
attimo gli occhi. Per un secondo, ha desiderato solo una cosa: che non gli
fosse fatto altro male. Vedere quell’uomo col martello lo aveva completamente terrificato.
Per un secondo, il pensiero orribile era stato: basta dolore, a qualunque
costo.
Poi si è odiato per questo suo
pensiero, ha capito con sgomento la spietata efficacia della tortura e si è
chiesto se avrebbe potuto sopportare tutto questo, e fino a quando. E non era
solo il dolore, ad atterrirlo. Gli avevano appena maciullato un braccio. Ne
capiva abbastanza di medicina per sapere che con una lesione talmente grave la
guarigione non era del tutto sicura. Probabilmente non avrebbe mai più
riacquistato la completa funzionalità. Se vi era stata una lesione ai nervi, la
sua mano principale non avrebbe più potuto stringere il bo. Non voleva neanche
immaginare cosa sarebbe stato perdere il pieno utilizzo di un braccio,
figuriamoci di entrambi. Non sarebbe mai più potuto essere un ninja; tutto il
suo mondo, con le uniche sicurezze che aveva della sua vita, sarebbe crollato.
Ha guardato Kurtis prepararsi al
colpo. L’uomo con deliberata lentezza ha spostato il peso del corpo dal piede
al ginocchio che poggiava a terra, con l’aria compiaciuta di chi si stava
godendo ogni momento di quello che faceva, stringendo il manico di legno del
martello, e poi portando il braccio ancora su.
E in quei pochi secondi in cui il
suo aguzzino sembrava assaporare il panico della sua vittima, Donatello si è
trovato congelato nell’assoluta incertezza che il terrore aveva portato alla
sua mente, stringendola tra le sue spire vischiose. Doveva parlare? Implorare,
mentire, inventarsi qualcosa? L’unica cosa di cui era certo, era che mai e poi
mai avrebbe consapevolmente messo in pericolo la sua famiglia. Ma se solo al
primo dolore, seppur atroce, insopportabile, il suo corpo e la sua mente già si
perdevano disperati, come avrebbe potuto essere sicuro di non fallire?
Bang.
Improvvisamente, un rumore: un
colpo di fucile, da fuori. Poi un altro, ed un altro. Alcune voci concitate,
dei comandi gridati.
Kurtis si è bloccato, ha
riabbassato il braccio, si è alzato in piedi; gli altri uomini si sono
guardati.
“Che succede?” ha esclamato uno di
loro.
Il viola ha sentito il caldo
abbraccio della speranza, mentre si è lasciato sfuggire un suono dalla gola,
quasi un singhiozzo.
Succede che sono arrivati i miei fratelli, bastardi.
Un altro rumore, proprio dietro di
lui, sulla porta, e poi uno lieve sulle loro teste, di vetro infranto; la
stanza è piombata nella semioscurità quando la lampadina è esplosa in una
pioggia di schegge.
Non potendo vedere nient’altro che
ombre, Donatello si è concentrato sui suoni: il suo respiro affannoso, il suo
battito cardiaco forte contro il guscio; passi concitati, colpi accanto a lui.
Lamenti, e rumori di corpi che cadono. Spostamento veloce d’aria. Un paio di
grida.
Le mani che lo tenevano l’hanno
mollato. Adesso sì è sentito afferrare nuovamente e tirare su.
Ma questa volta, ha percepito il
familiare tocco di un guscio contro di lui, e non ha opposto resistenza. Ha
dato un gemito di dolore quando gli è stato toccato il braccio. Con le caviglie
ancora legate, è stato trascinato verso la porta.
“R…Raph…” ha mormorato, esausto e
grato.
“Ritenta, fratello.”
“Oh, Mikey…”
Il suo fratellino. C’era il suo
fratello minore a salvarlo. Dov’era Raph?
Usciti dalla porta, ha scavalcato
i corpi di diversi uomini riversi per terra. Parecchi uomini. Possibile che
Mikey li avesse abbattuti tutti da solo?
Pioveva. L’alba che si accingeva a
presentarsi rendeva appena visibili i contorni delle altre capanne, e degli
alberi che circondavano il complesso. La pioggia dava all’atmosfera una triste
luminescenza lattiginosa, sfumava i contorni delle cose, copriva le grida del
manipolo di uomini che già stavano correndo verso di loro.
Donatello è sobbalzato quando un proiettile
ha fischiato a pochi pollici dal suo volto, conficcandosi nella parete con un'esplosione di pezzetti di legno. Era ancora appoggiato a Michelangelo, che gli
aveva appena liberato le caviglie e adesso se lo stava trascinando dietro quasi
di peso, tenendolo da sotto le braccia.
Altri colpi di arma da fuoco, ed
un proiettile ha schizzato l’acqua dalla pozzanghera che stavano attraversando;
Donatello non ce la faceva a correre, le gambe livide dal pestaggio lo facevano
gemere ad ogni passo, forse aveva anche un dito del piede rotto da qualche
colpo di manganello. Ma ancora peggio era il dolore che gli scossoni recavano
al suo braccio.
Avevano quasi raggiunto gli
alberi, quando Michelangelo si è fermato.
“Sali!”
Si è abbassato per permettere a
Donatello di salirgli sul guscio. Altre pallottole troppo vicine. Gli uomini
che accorrevano li avevano quasi raggiunti; la pioggia non permetteva di vedere
che a pochi piedi di distanza.
“Ma…”
“Sali Donnie, veloce!”
Donatello si è aggrappato al suo
fratello più basso, le gambe intorno alla vita, il braccio buono a stringere il
collo. L’operazione gli è costata un grido di dolore quando il braccio rotto ha
sbattuto contro il guscio di Michelangelo, e la visione è diventata nera per un
secondo.
Michelangelo ha ripreso a correre,
con il peso del fratello sulle sue spalle; è entrato tra gli alberi che
circondavano il complesso, fuggendo verso la foresta.
Altri spari sono risuonati dietro
di loro, poi un ordine è stato gridato in lontananza, e la gragnola si colpi si
è fermata.
Perché ci vogliono vivi? Per chi lavorano questi uomini?
Donatello non era convinto che si
trattasse di vendetta. Volevano la sua famiglia. Perché?
Quello comunque non era il momento
né il luogo per pensarci. E non ne aveva la lucidità. Ondate di dolore si
irradiavano dal suo braccio, ogni sobbalzo era una tortura.
Gli uomini continuavano ad
inseguirli, li sentivano urlare ordini dietro di loro, tra gli alberi.
Michelangelo solitamente era
veloce come il vento, ma il peso del fratello adesso lo rallentava parecchio.
Il mutante mascherato in arancione già ansimava, stremato. Ma sapeva che la
fuga era appena all’inizio. Doveva farcela, doveva allontanarsi. Non poteva
permettere che fossero catturati, che Donnie tornasse tra le mani di quegli
uomini. Sbuffando come un toro, si è addentrato tra la fitta vegetazione. La
visuale era scarsissima, temeva di sbattere contro un ramo da un momento
all’altro. La pioggia rendeva il terreno vischioso e scivoloso, faceva
appiccicare alle gambe le foglie morte del sottobosco.
Inoltre, il terreno accidentato
rendeva ogni passo un’incognita. Sbilanciato dal peso, Michelangelo era
terrorizzato al pensiero di inciampare. La visione era scarsissima, la debole
luce dell’alba filtrava a fatica tra i rami, e la pioggia entrava negli occhi e
nascondeva le forme degli alberi.
Michelangelo correva, scansava; i
ramoscelli degli arbusti graffiavano le gambe, le foglie gli strisciavano
contro il viso. Ansimando per lo sforzo, cercava di ascoltare il rumore degli
inseguitori; procedeva a zig zag, girando intorno agli alberi, piegandosi per
evitare i rami più bassi. Quando ha incontrato un piccolo avvallamento nel terreno si è
lanciato nella discesa e poi si è aiutato a risalire con le mani.
Correre, correre, correre.
Iniziava a non farcela più. I
polmoni stavano scoppiando, il cuore batteva come un tamburo nel petto, i
muscoli delle gambe gridavano dalla fatica.
Non avrebbe potuto continuare a
lungo.
Ha visto alla loro sinistra un
pendio, una ripida discesa che portava ad una specie di conca, piena di foglie
e detriti, una ventina di piedi più sotto. Ha deciso.
Si è diretto verso la pendenza, si
è fermato ed ha fatto scendere Donatello. Poi rapidamente ha stretto a sé il
fratello, gli ha messo una mano sulla bocca e si è buttato giù, di guscio. I
due mutanti sono scivolati velocemente lungo il pendio insieme ai detriti del
sottobosco ed all’acqua fangosa.
Sono arrivati in fondo con un
forte tonfo e Michelangelo ha sentito il fratello soffocare un grido sotto la
sua mano quando ha sbattuto il braccio rotto contro il terreno; si è gettato
sopra di lui e poi ha cercato di coprire il meglio possibile i loro corpi con
lo spesso strato di foglie morte presenti nell’avvallamento.
Michelangelo ha pregato che
passassero oltre senza accorgersi di loro. Per alcuni minuti, ha sentito solo
il rumore della pioggia sulle foglie che ricoprivano le loro teste ed suo
respiro affannoso, calmarsi piano piano mentre riprendeva fiato dalla corsa
stremante. Donatello era immobile, sotto di lui, e Michelangelo ha temuto che
fosse svenuto.
Poi, ha sentito i soldati
avvicinarsi. Ha chiuso per un attimo gli occhi, ha portato le mani ai suoi
nunchaku, ed ha preso un profondo respiro, per prepararsi alla battaglia.
N/A Oggi sarò breve (seee, ah ah ah). Giusto il tempo di
ringraziare assai assai assai l’Araba Fenice Piwy, la mia sorellina LisaBelle99
(nahhh, voglio proprio che torturi Raph!), Ladyzaphira
(voglio il seguito di “Io non perdono”! Voglio il seguito di “Io non perdono”!
*batte i piedi e piange*), la torturatrice enigmistica nonché gemella CatWarrior, la trucidatrice di Leo ed
anche lei lettrice di menti Uccello del
Tuono, la passionale LauraMomiji
(e chi ci ammazza a noi? Le passioni si sommano, non si sottraggono. Parola di
chi tiene Seneca col peluche di Donnie), la mia imoto NightWatcher96 (piani contro il male, mhmm… ci penserò dopo aver
terminato il piano per conquistare il mondo), la coordinatrice del comitato
elettorale Cartoonkeeper8 (non è
normale che io ancora rida come un’idiota alle tue recensioni), la statuetta
miracolosa SerBarbs (ho guardato il
peluche di Donnie come Raph e lo stesso Donnie si sono guardati dopo una
puntata di “Super
Robo Mecha Force Five!”: Dove hai preso il bazooka?) e coluicheportaipantaloni ToraStrife (non riuscirò mai più a pensare
a Donnie, né a Donatella Rettore, allo stesso modo).
Un abbraccio grande quanto la distanza percorsa da Mikey con
Donnie sul guscio. Ciao! :*
|
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Capitolo 12 *** Pioggia ***
Cap 12
“And I'm going under
Never let me go, never
let me go”
Florence + The Machine,
Never Let Me Go
La pioggia disegnava linee di luce
davanti ai fari dello Shellraiser. Sul
monitor accanto al volante le due spie del tracciamento lampeggiavano.
Raffaello teneva d’occhio sia loro
che la strada. Il segnalatore di Donnie ed il T-phone di Mikey. Sembravano
vicine tra loro, forse erano insieme; ma non poteva esserne sicuro. Potevano essere
a decine di piedi di distanza l’uno dall’altro. Quello che era sicuro, è che i
due adesso fossero fermi.
Si trovavano a parecchie miglia a
nord ovest di New York. La tartaruga mascherata in rosso ha mollato una mano
dal volante, per impostare la sovrapposizione della mappa dello Stato al
monitor di tracciamento, come gli aveva insegnato Donnie. Gli accessori di cui
il fratello aveva fornito lo Shellraiser avevano una tecnologia stupefacente:
era incredibile come fosse riuscito a costruirli con materiale di recupero.
Certo, l’estetica lasciava molto a desiderare, la plancia era un’accozzaglia di
saldature, strumentazioni dalle forme più disparate tenute insieme in modo
alquanto bizzarro; fili, nastro isolante e linee di mastice facevano capolino
qua e là. Ma nel complesso, una simile apparecchiatura avrebbe fatto invidia
alla maggior parte dei veicoli militari del mondo. Diamine, suo fratello era un
genio. Raffaello non glielo aveva mai detto, ma lo stimava profondamente. E gli
voleva un bene dell’anima, a quel nerd. Se avessero osato fargli del male,
ebbene, i suoi sai avrebbero portato la più feroce delle vendette, ad diavolo
tutto.
Ha alzato la fronte, sorpreso, al
risultato del tracciamento. I rilevatori non segnavano un centro abitato, ma una
foresta. Si è passato una mano sul viso, come a tirar via la stanchezza.
Guidava da più di un’ora, e da quando Leo si era ammalato non aveva quasi
chiuso occhio. Adesso, lo teneva sveglio solo l’adrenalina, la voglia pressante
di andare a riprendere suo fratello per riportarlo a casa, a curare Leo.
Quando aveva portato, di corsa, le
medicine al covo, era entrato nella camera di Leonardo a chiamare Sensei. Suo
fratello dormiva, con la bocca socchiusa. Era pallidissimo, sudato. A Raph
spezzava il cuore vederlo così. Lui era il suo fratello maggiore, il leader,
colui che doveva guidarlo. Non doveva stare lì, nel letto. Era come si ci fosse
qualcosa fuori luogo, come se parte della realtà fosse diventata stridente.
Ha stretto con forza le mani sul
volante.
Kurtis. L’uomo dagli occhi grigi.
Chi aveva osato fare questo alla
sua famiglia l’avrebbe pagata. Si sarebbe ripreso Donnie, ed avrebbe preso a
calci quel maledetto. L’avrebbe, l’avrebbe…
Il T-phone è squillato.
Forse era Mikey. Aveva provato a
chiamarlo, prima, ma non aveva risposto. Probabilmente era appostato in
silenzio, e non poteva parlare.
Ha preso il telefono dalla sua
cintura. Non era Mikey.
“Ciao, April.”
“Raph? Ho chiamato Donnie, ma il telefono risulta staccato. E Mikey non
risponde. Come sta Leo?”
Il rosso non ha potuto fare a mano
di sorridere. Era stato il terzo della lista. Beh, che April fosse molto legata
a Donnie era fuori dubbio. Evidentemente, si trovava più a suo agio anche a
parlare con Mikey piuttosto che con lui. Comunque, era ancora l’alba. Era chiaro
che neanche la loro amica dormisse molto, in questi giorni.
“Al solito. Ha la febbre alta.
Sensei gli sta somministrando le medicine che ho preso questa notte.”
Se lei non chiede, io non racconto. Inutile farla preoccupare.
“Dov’ è Donnie?”
Lei ha chiesto.
Per qualche secondo, ha valutato
se raccontare. Ma sì, i suoi amici umani avevano il diritto di sapere.
“April, stanotte io e Donnie siamo
caduti in un’imboscata. Donnie è stato catturato.”
“Oh mio Dio…”
“Tranquilla, so dove l’hanno
portato, sto andando a salvarlo. E Mikey è già sulle sue tracce.”
“Il Piede?”
“No, i mercenari che hanno attentato
a Leo.”
Raffaello ha sentito l’amica
trarre un profondo respiro.
“Raph, dove sei? Voglio venire anch’io. Chiamo Casey e...”
“No, April. Me la vedrò da solo.
Tu e Casey non dovete starci intorno in questi giorni, ricordi?”
“Ma Raph! Quegli uomini sono pericolosi! Ed io… Donnie…”
“April, ascolta. Porterò Donnie a
casa, te lo prometto. Ed anch’io sono pericoloso. A dopo.”
Ha chiuso la comunicazione, ed ha stretto
nuovamente le mani sul volante; la sua amica rabbia iniziava a tingere nuovamente
di rosso la sua visione.
Quel figlio di una cagna lo vedrà, quanto lo sono…
Ha lanciato un’altra occhiata al
display del segnalatore. Ed ha corrugato la fronte. Dei due puntini lampeggianti,
adesso ne era rimasto solo uno.
…
Splinter sedeva a lato del letto. Ha cercato di allontanare
la sua ansia focalizzando l’attenzione sul respiro di Leonardo. I suoi figli
erano in pericolo. Donatello era stato catturato da un folle, Michelangelo e
Raffaello erano andati a lottare contro un esercito per liberarlo. E Leonardo…
Guardava il figlio dormire irrequieto, il piastrone del
giovane mutante alzarsi e abbassarsi in respiri faticosi. Leonardo mormorava
nel sonno sconnesse frasi in giapponese.
Ha poggiato per l’ennesima volta la mano sulla fronte
dell’adolescente. La febbre era ancora molto alta, la pelle verde emetteva
calore. Ha imbevuto nuovamente la pezzuola nel catino, e poi gliel’ha poggiata
sul capo. L’acqua si era ormai intiepidita, ma non voleva alzarsi per andarla a
cambiare.
Leonardo al contatto fresco ha mugugnato, ha iniziato a muoversi,
poi ha aperto gli occhi. Splinter gli ha sorriso, gli ha accarezzato il
braccio, e poi gli ha messo il termometro sotto l’ascella, per misurare ancora
la febbre.
Il giovane si è guardato intorno, l’espressione vacua, gli
occhi blu offuscati dal dolore.
Splinter ha controllato la temperatura, poi ha stretto per
un attimo gli occhi, preoccupato. La temperatura sarebbe stata alta anche per
un mammifero. Era spaventato al pensiero dei danni che la febbre avrebbe potuto
portare al corpo mutato del figlio.
Gli occhi zaffiro della tartaruga hanno vagato per la
stanza, muovendosi veloci senza fissare niente, poi si sono fermati sul padre.
“O… otōsan… (padre)”
“Watashi wa koko yo,
musuko (sono qui, figlio).”
Leonardo ha cominciato ad agitarsi, ha chiuso nuovamente gli
occhi, ha sbattuto la testa da una parte all’altra sul cuscino. Ha mosso le
braccia e le gambe, come se volesse liberarsi da qualcosa.
“K…kizutsu…keru… Kizutsukeru… (dolore).”
Splinter si è alzato dalla sedia, stava iniziando a farsi
prendere dal panico. Il figlio delirava. La febbre era troppo alta. Si è seduto
sul letto di Leonardo, gli ha afferrato le spalle, per tenerlo fermo.
“Otōsan… otōs…”
Improvvisamente, Splinter ha viso con orrore il figlio
tendersi, il corpo scosso da brividi di agonia; poi irrigidirsi, ruotare gli
occhi all’indietro ed iniziare a muoversi spasmodicamente, nelle convulsioni.
Hamato Yoshi è rimasto ghiacciato dalla paura, ha portato le
braccia dietro il guscio di Leonardo e l’ha avvicinato al suo petto; poi, mentre
ancora si dibatteva, si è alzato, l’ha preso in braccio, un po’ a fatica, con un
braccio sotto il guscio ed uno sotto le ginocchia, ed è uscito fuori dalla
stanza.
Doveva cercare di abbassare la temperatura, subito.
Ha iniziato a correre verso il bagno, col cuore in gola. Ha
percorso quella breve distanza nella loro tana con l’impressione che fossero
parecchie miglia. Entrato in bagno, si è diretto velocemente dentro la doccia,
e con il figlio ancora in braccio ha tirato il miscelatore: un getto di acqua
fredda si è riversato su di loro.
Leonardo ancora si agitava, Splinter ha poggiato la sua
testa su quella del figlio.
“Sono qui, Leonardo… Watashi
wa koko yo, Leonardo…”
Sempre tenendolo in braccio, si è seduto sul fondo della
doccia. Il getto gli inzuppava il kimono, scorreva a rivoli tra la pelliccia. L’acqua
fredda faceva da contrasto con il calore che irradiava dal giovane mutante che continuava
a dimenarsi in agonia.
Non poteva perderlo, non poteva. Suo figlio era un forte
guerriero, non poteva morire così. Non poteva lasciarlo in così giovane età.
Aveva ancora tanto, da insegnarli. Era il suo studente più bravo, sarebbe
diventato presto più abile di lui. Sarebbe diventato il miglior maestro di
ninjutsu al mondo. Sarebbe stato il migliore di tutti gli Hamato che avevano
mai calpestato questa terra da secoli.
Amava tutti i suoi figli nello stesso modo, non vi erano
dubbi. Non aveva mai fatto preferenze, tra i suoi ragazzi, nonostante Raffaello
a volte non la pensasse così proprio perche con questo figlio più grande aveva
sempre avuto un rapporto speciale. Erano simili, in tante cose. Avevano tanto
in comune. Solo con Leonardo poteva passare delle ore giocando a scacchi o
intingendo i pennelli per la shodō o
discutendo sul tè o sul bushidō. Ma
anche se così non fosse, anche se non avessero niente in comune, se non fosse
un coraggioso guerriero, se non fosse un ninja, lui l’amerebbe nello stesso
modo. Perché era suo figlio. Doveva diglielo, quando sarebbe guarito.
Ha stretto il ragazzo a sé, sotto la pioggia d’acqua. L’ha
avvolto col suo corpo, sotto il getto gelido, ha assorbito i suoi tremiti, ha serrato
gli occhi e digrignato i denti, quasi a ringhiare, per strappar via da lui il
suo male, proteggerlo, difenderlo!
Lì, sul fondo freddo della porcellana, disperato, l’ha abbracciato
forte, forte, come se non potesse mai lasciarlo andare, come se nessuno mai
potesse portarglielo via. Non l’avrebbe lasciato, non poteva perderlo…
No, no, no, non poteva perderlo, doveva ancora dirgli
questo. Doveva dirgli che non avrebbe dovuto fare niente per meritarsi il suo
amore, perché lui gli voleva bene solo per il fatto di essere suo figlio, il
suo Leonardo.
Era suo figlio, suo figlio…
N/A Vi chiedevate
di Raffuccio nostro? Eccolo, sta arrivando (già incazzato, così si porta il
lavoro avanti).
Dubbio amletico più che legittimo: può il piccolo Mikey
portare lo spilungone Donnie? Risposta vagliata alla luce di un indiscutibile
esperimento scientifico (e qui perderò quel poco di credibilità che mi resta
come scribacchina e come essere umano). Io sono alta 175 cm e il mio bro dodici
cm più di me, e me lo sono caricata allegramente sulle spalle (per quasi tre
metri di strada XD) Se po’ fa’, se po’ fa’… Certo, io non ho il guscio (nessuna
è perfetta) e mi son quasi rotta la colonna vertebrale, va beh…
Thanks very very much alla mia impareggiabile imoto NightWatcher96, alla focosa poetessa Uccello del Tuono, alla mia sorellina
psyco dagli amabili scleri serali LisaBelle99,
alla mariottide in vena sadica/omicida SerBarbs,
alla farmaceutica sfracellatrice di pc Cartoonkeeper8,
al mio turbatore di sogni nonché istillatore di rettoriani dubbi ToraStrife, alla miciosa gemella spazio
temporale CatWarrior, alla mitica
creatrice di figure retoriche Piwy
e, last but not last, _Bara no Yami_
(piacere di conoscerti! Sono talmente lusingata da essermi praticamente
sublimata. Grazie!)
Un abbraccio grande quanto [inserisci qui la grandezza che
preferisci]. Baciiii :*
P.S. Ah! Dimenticavo. Ho finalmente visto il film anche in
italiano (chi ha detto “chi se ne frega”? Fatti avanti se hai coraggio!):
sparate al direttore del doppiaggio. E chi ha doppiato Leo? Sparate anche a
lui.
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Capitolo 13 *** Caccia ***
Cap 13
“Animal
You’re an animal
Don’t take anything less”
Muse, Animals
Senza smettere di camminare tra la vegetazione bagnata, Kurtis
ha bevuto dalla sua borraccia per mandare giù le due pastiglie. Il forte mal di
testa gli stava togliendo un po’ del gusto della caccia.
Gli avrebbe fatto pagare pure questo, a quei due mostri,
appena gli avrebbe messo le mani addosso.
Era solo questione di tempo, lo sapeva. Il viola era ferito,
e non poteva muoversi velocemente. L’arancione sarebbe stato costretto a
rallentare. Non sapeva se vi fosse anche il rosso, ma supponeva di no: i suoi
uomini non l’avevano visto. Avevano trovato una specie di moto, a poche
centinaia di piedi dalla base. Quindi, i fuggiaschi erano a piedi.
Lui ed i suoi uomini erano addestrati per questa situazione.
Braccare nemici nella boscaglia era una tattica alla quale aveva dedicato un
lungo periodo della sua vita. Li avrebbe presi, ed avrebbe fatto rimpiangere
mille volte all’arancione la botta in testa che gli aveva dato, lasciandolo per
qualche minuto stordito, quando aveva liberato il prigioniero. Ha stretto gli
occhi, ha cercato velocemente i sintomi di un possibile trauma cranico, ma a
parte il mal di testa e la rabbia furiosa, non ha trovato niente. Per sua
fortuna, il mostro non aveva colpito forte. Alcuni dei suoi uomini, però,
avevano riportato qualche danno un po’ più grave, ed adesso erano inutili. Da
che era iniziata questa storia, per mano di soli tre giovani mutanti aveva già
perso l’utilizzo di alcune decine di soldati ben addestrati.
Avrebbero pagato tutto con gli interessi.
Adesso che la pioggia era quasi cessata, la visibilità
sarebbe via via aumentata col sorgere del sole. Oltre al nutrito manipolo di
soldati che si era buttato subito all’inseguimento dei fuggiaschi, poteva
contare ancora su alcune decine di uomini, che aveva diviso, a gruppi di
quattro. Secondo le sue indicazioni, i gruppi poi si sarebbero ulteriormente
divisi in due quando la conformazione del territorio l’avrebbe richiesto. Era
una formazione da guerriglia a raggiera, che avrebbe permesso di battere passo
per passo tutta la foresta.
Si è toccato la parte della testa dolorante, ha ringhiato
una bestemmia. I suoi uomini che procedevano intorno a lui si sono guardati,
preoccupati. Avevano paura di lui, della sua rabbia. E facevano bene, ha
pensato. Ma la sua rabbia per adesso era rivolta verso quei due miseri scherzi
della natura che volevano sfuggirgli. Ha scostato con una mano il ramo basso di
un albero. Ha trovato calmante pensare a quello che avrebbe fatto a quei due
appena li avrebbe presi. D’altronde, i suoi clienti non avevano richiesto di
avere i prigionieri integri, ma solo vivi. E lui sapeva come far vivere a lungo
i prigionieri, anche quando questi non avrebbero voluto… Iniziava a sentirsi riscaldare
il sangue. Ha pensato a cento modi per torturarli. Legati, rotti, suoi.
Un sorriso gli ha attraversato il volto. Adesso, poteva
godersi la caccia.
…
Michelangelo è balzato fuori dal nascondiglio di foglie
veloce come un cobra. I due uomini che si stavano avvicinando non hanno fatto
in tempo neanche a chiedersi cosa stesse succedendo, che hanno ricevuto un
forte colpo di nunchaku per uno, dritto in centro al petto. I due si sono
piegati in avanti, senza fiato, e già il mutante aveva buttato a terra uno con
un pugno sulla nuca, l’altro con un calcio in faccia. Poi, con pochi gesti
veloci e precisi, utilizzando gli stessi vestiti degli uomini storditi, li ha
legati ed imbavagliati.
Si è voltato, ed ha visto che Donatello si stava alzando in
piedi, tenendo strettamente il braccio rotto con l’altra mano, e gemendo per il
dolore.
“Fratello, pensavo fossi svenuto.”
“Io… lo sono stato… per qualche minuto, Mikey. – Ha ansimato
stringendo gli occhi. – Taglia un lungo pezzo di tessuto dai pantaloni di
questi uomini ed aiutami a fare una fionda per il braccio.”
Michelangelo ha fatto come gli è stato detto e poi si è
avvicinato al fratello. Stringendo i denti e sbuffando, Donatello ha scostato
il braccio dal suo piastrone. Adesso, dopo il colpo della caduta, un pezzo
d’osso aveva perforato la pelle e sporgeva di pochi millimetri. Michelangelo è rabbrividito;
alla vista di quel bianco esposto, gli è salito in gola un conato di vomito.
Ha fatto un passo indietro, si è portato una mano alla
bocca.
“Donnie...”
La tartaruga mascherata in arancione ha guardato un attimo i
due uomini a terra con una forte voglia di prenderli a calci.
Ma ha cercato di riprendersi subito. Dovevano fare in
fretta. Ha fatto per passare il tessuto a Donatello, ma questi gli ha fatto
cenno di fare lui, ed ha chiuso gli occhi. Michelangelo ha velocemente steso la
striscia di tessuto sotto il braccio del fratello e poi l’ha legata dietro al
suo collo, cercando di ignorare i gemiti strozzati del viola, che stringeva
forte la bocca per non gridare quando il braccio è stato immobilizzato contro
il suo corpo.
Donatello ha fatto ancora qualche respiro tra i denti, poi
ha aperto gli occhi ed ha guardato per terra i due uomini; infine ha rivolto a
Michelangelo uno sguardo con un’indecifrabile luce negli occhi.
“Mikey, aiutami. Tienine fermo uno e dammi il tuo
kusarigama.”
Michelangelo ha allargato i suoi grandi occhi azzurri, ha
fissato per un attimo la mano che Donatello aveva teso verso di lui e poi l’ha
guardato sconvolto.
“C…che vuoi fare?”
Donatello si è inginocchiato con una smorfia di dolore
accanto ad uno dei due uomini, ancora stordito, ed ha mosso velocemente la mano
in segno di urgenza.
“Veloce, Mikey, fidati di me! Voglio solo un po’ del suo
sangue.” Così dicendo ha sfilato una piccola borraccia che l’uomo portava
intorno al collo ed ha iniziato a svuotarne sul terreno l’acqua che conteneva.
“Un po’… di sangue?” Michelangelo adesso era inorridito.
“Mikey!”
Al tono urgente e minaccioso del fratello, la tartaruga
mascherata in arancione suo malgrado ha sfilato dalla cintura il nunchaku che
aveva appena riposto, ha fatto scattare il falcetto e l’ha passato a Donatello,
poi si è inginocchiato sull’uomo, che aveva le mani legate dietro la schiena, e
le caviglie legate insieme utilizzando gli stessi lacci degli scarponcini.
L’uomo ha aperto gli occhi, poi si è guardato intorno prima confuso poi
spaventato. Michelangelo ha deciso di fidarsi di suo fratello, come sempre, ma
ha sentito il cuore iniziare a battere forte dalla paura. Sangue…
“T…tienilo giù.” Il mutante mascherato in viola ha sibilato
tra i denti
Michelangelo ha tenuto strettamente le spalle del
prigioniero ponendosi dietro di lui, mentre Donatello si è posizionato sulle gambe
dell’uomo immobilizzandolo.
“Chiudi gli occhi, Mikey.”
Il mutante più giovane ha chiuso strettamente gli occhi
mentre il fratello ha iniziato ad avvicinare la lama al braccio del soldato.
Poi, ha sentito l’uomo dibattersi sotto di lui e mugugnare sotto il bavaglio,
ed ha stretto più forte per tenerlo fermo. Infine, dopo quella che gli è
sembrata un’eternità, ha sentito uno strappo di tessuto e dopo qualche decina
di secondi finalmente Donatello gli ha parlato.
“Adesso puoi aprirli.”
Donatello si stava alzando faticosamente in piedi. Teneva
appesa intorno al collo la borraccia che aveva preso all’uomo, leggermente
sporca all’esterno di rosso. L’uomo aveva una vistosa fasciatura su un braccio,
e si era calmato un po’. Michelangelo l’ha mollato ed ha fatto un balzo
all’indietro come se avesse preso la scossa.
“Andiamo, Mikey.”
Michelangelo ha passato nuovamente un braccio intorno al
guscio del fratello, sotto le braccia di questi, per sorreggere il suo peso;
poi hanno ripreso a muoversi. Donatello era quasi sopraffatto dal dolore.
L’osso esposto stava lacerando la sua pelle, nonostante la fionda. Ogni passo
che veniva trascinato da suo fratello, un dolore accecante inondava di rosso la
sua coscienza.
Ma adesso finalmente poteva togliersi il dubbio che lo
attanagliava. Perché Mikey era solo?
“Dov’è Raph?” ha chiesto a bassa voce, ansimando.
“Sta bene, non preoccuparti. Ci raggiungerà a breve. Sta
seguendo i nostri segnali.”
“Io… io il localizzatore… l’ho inghiottito. È un miracolo se
non l’hanno… se non l’hanno ancora danneggiato i succhi gastrici.” Ha
riflettuto su quanto appena ascoltato. “Non… non sei venuto con Raph?”
“No, io ti ho seguito con la Stealth Bike mentre lui portava
a casa le medicine.”
Donatello ha guardato in faccia il fratellino accanto a lui.
L’aveva liberato da solo? Si è sentito avvolgere da un impeto di orgoglio verso
quella piccola testa svampita.
Michelangelo ha restituito lo sguardo ed ha sorriso, il suo
dolce e furbastro sorriso ancora bambino. Poi, sempre sottovoce, ha iniziato a
parlare.
“Perché hai p-”
Tutt’ad un tratto, si sono bloccati entrambi. Con i loro
sensi allenati, hanno percepito, a parecchi piedi di distanza, un suono, appena
avvertibile. Michelangelo ha mollato il fratello ed ha avvicinato le mani ai nunchaku,
trattenendo il respiro.
“Attento!”
Il viola ha dato un colpo al fratello, spostandolo leggermente
all’indietro.
Michelangelo, nel tempo delle percezioni dilatato
dall’adrenalina, avrebbe giurato poi di aver visto il dardo passare ad un
soffio del suo collo come se fosse stato rallentato in uno slow motion. Il
tempo è tornato normale quando il dardo narcotizzante sparato contro di lui si
è conficcato nell’albero al suo fianco, oscillando la coda piumata.
Ha allargato gli occhi, e guardato nella direzione da dove
il colpo era venuto. Altri due soldati, lontani, tra gli alberi.
“Via!” Michelangelo ha trascinato velocemente il fratello
nella direzione opposta, ma dopo pochi passi si è fermato e l’ha fatto salire
nuovamente sul suo guscio. Donatello non ce la faceva a muoversi rapidamente.
Ma lui così sarebbe stato raggiunto subito.
I fratelli hanno sentito i due uomini comunicare la loro
posizione; adesso i soldati sarebbero convertiti tutti nella loro direzione. Il
poco vantaggio accumulato, era perduto.
All’improvviso, Michelangelo ha scartato contro un grande
albero, girandoci dietro. Ha praticamente buttato a terra Donatello, e si è
appiattito contro la corteccia. Gli inseguitori si erano avvicinati, ma adesso
in allarme si sono fermati.
Il mutante mascherato in arancio non ha perso tempo. Si è
buttato fuori dalla protezione dell’albero, ed è corso incontro i due uomini,
come una furia, ruotando i suoi nunchaku. I due soldati hanno preso la mira, e
sparato con i loro fucili altri dardi narcotizzanti. Michelangelo li ha deviati
entrambi con il vortice delle sue armi, ha continuato a correre, è arrivato
addosso ai due uomini che avevano appena fatto in tempo a impugnare i loro
coltelli, e li ha travolti. Il legno dei nunchaku è scoccato contro le fragili
ossa delle mani. Altri due colpi, velocissimi, ed anche questi due nemici sono
rimasti a terra.
Michelangelo è corso a recuperare Donatello, se lo è
ricaricato sulle spalle, ed ha ripreso a correre. Ma dietro di loro, già si sentivano
altre voci.
“Inseguire noi due sembra essere diventato negli ultimi mesi
sport nazionale, D!”
…
L’ultimo messaggio di Mikey lo aveva avvisato che era
appostato nei pressi di un piccolo agglomerato di costruzioni in legno. Poi,
Raffaello ha provato a chiamare il fratello minore più volte, ma il questi non
aveva risposto. La tartaruga con la maschera rossa aveva parcheggiato lo
Shellraiser fuori dalla strada, nascosto in mezzo alla foresta, e si era
addentrato nella vegetazione, seguendo il segnale sul suo T-phone.
Dopo il messaggio, i segnali si erano spostati. Adesso ne
era rimasto solo uno, ed era fermo. Era scomparso il segnale di Donnie. Perché?
E perché Mikey, anche se non poteva parlare, non gli scriveva almeno un altro messaggio,
per fargli sapere della situazione?
L’incertezza lo stava facendo uscire fuori di testa. Mentre
correva, sbuffava dalla collera. Cosa diavolo era successo? Aveva ordinato a
Mikey di non prendere iniziativa prima che lui fosse arrivato. Adesso, cominciava
a temere seriamente che qualcosa fosse andato storto. La paura di aver messo
anche il suo fratello più piccolo nei pasticci gli ribolliva nello stomaco.
Sentiva la rabbia crescergli dentro come un fiume in piena.
Ed una parte di questa rabbia, era diretta proprio contro sé
stesso. Aveva permesso che catturassero Donnie. Poi aveva messo in pericolo
Mikey.
Adesso come non mai voleva Leo, lo voleva al suo fianco. Leo
era quello che prendeva le decisioni. Lui era il leader. Era stato uno stupido
ad aver osato un anno prima mettere in dubbio una cosa così chiara come la luce
del sole.
Mentre correva veloce tra gli alberi bagnati, con il
sottobosco ancora zuppo d’acqua del recente acquazzone, imprecava contro sé
stesso. Rivoli d’acqua ancora scendevano dalle foglie degli alberi, ma la luce
del mattino ormai rendeva ben visibile il percorso. Non era un ambiente a lui
congeniale. Era abituato ai cunicoli del sottosuolo ed ai tetti della ‘città
che non dorme mai’, non a quell’ambiente silvestre. Le foglie bagnate facevano
troppo rumore sotto i suoi passi, e le ombre tra i tronchi pungevano
l’attenzione materializzando i fantasmi dell’ansia che sentiva stringergli il
petto. Un fratello gravemente malato, altri due in pericolo: sembrava che i
suoi incubi avessero preso forma, che la sua paura più grande fosse arrivata a
richiedere il suo scotto.
E in tutta questa situazione, continuava a tormentarlo anche
un senso di impotenza e la convinzione che in un modo o nell’altro, fosse tutta
colpa sua. Si sentiva talmente scosso, impaurito e furioso da temere che se
avesse incontrato qualche nemico davanti a sé avrebbe potuto fare qualcosa di
cui poi suo padre non sarebbe stato contento. La rabbia che solitamente lo
accompagnava in ogni battaglia adesso rischiava di diventare un rosso bisogno
di sangue.
La paura di perdere il controllo si sommava alle altre. Cosa
resterebbe di lui se si fosse allontanato dagli insegnamenti di suo padre e da
ogni morale che gli era stata insegnata? Cosa, allora lo avrebbe reso diverso
da una bestia?
Sei più uomo o più
animale?
Si è fermato, per controllare ancora una volta il T-phone.
Era quasi arrivato. Ma non si trovava vicino a nessuna costruzione umana; era
piuttosto in piena foresta, ormai anche parecchio distante dalla strada.
Si è avvicinato al punto indicato dal suo tracciatore:
intorno a lui, solo gli alberi del bosco. Ha guardato ancora il monitor del
telefono, e poi intorno a lui.
Niente, qualcosa non quadrava. Non si vedeva nessuno, men
che meno Mikey. Eppure il punto era quello. Ha iniziato a cercare, tra gli
alberi e per terra.
Poi ha visto qualcosa. Alla fine di una forte pendenza, tra
cumuli di foglie secche ed altri detriti del bosco, quasi completamente
nascosto, spuntava il T-phone di Mikey.
Raffaello l’ha preso in mano ed ha imprecato tra i denti.
Adesso, non avrebbe più potuto rintracciare i suoi fratelli. Si è guardato
ancora una volta intorno, ha portato l’inutile telefono alla fronte ed ha
chiuso un attimo gli occhi.
Maledizione.
Non sapeva dove fossero i suoi fratelli. Non aveva più modo
di trovarli. Aveva messo in pericolo anche Mikey, non sapeva che fine avesse
fatto Donnie, e se fosse ancora nelle mani di quel folle. Ha disteso le mani
lungo i fianchi ed alzato il viso al cielo. L’azzurro si iniziava a distinguere
bene tra le cime degli alberi. Avrebbe voluto gridare tutta la sua
frustrazione, ha stretto talmente forte il telefono di Mikey in mano da farlo
scricchiolare. Ha sentito premere le lacrime nell’angolo dell’occhio.
Solo, in un luogo assolutamente sconosciuto ed estraneo,
incapace di aiutare i suoi fratelli.
Si è fatto forza, per mettere la parte la disperazione che
rischiava di annientarlo. Ha ringhiato, si è strofinato con violenza le nocche
sugli occhi chiusi, e poi ha iniziato a guardarsi intorno, per cercare una
direzione da prendere.
Ha visto, poco distante, del tessuto nero, e dei lacci di
scarpe, tagliati con un coltello. Poteva trattarsi dello stesso tessuto delle
mimetiche di quei soldati? Poteva essere un segno di qualcosa successo in quel
punto? Tessuto e lacci tagliati… Forse costrizioni? Tra la poltiglia di foglie
e fango, alcuni piccoli segni potevano indicare una lotta.
Ha emesso un profondo sospiro. Non ha capito cosa fosse
successo. E non sapeva dove andare per trovare i suoi fratelli.
Ma avrebbe cercato qualche traccia, anche a costo di battere
questa dannata foresta foglia per foglia. Avrebbe trovato Donnie e Mikey, l’ha
promesso a sé stesso.
Sì, sì, al diavolo. Li avrebbe trovati, e sarebbero tornati
da Leo.
N/A Ciao bella
gente! Noto con piacere che non sono l’unica pazza del gruppo, dal momento che
anche le mia care imoto-NightWatcher96
e Piwy
si sono cimentate nel nobile sport del Porto un Familiare in Spalla XD. Oltre
a loro come sempre un grazie di dimensioni mastodontiche all’intensa Conn/Uccello del Tuono, alla
pulcherrima puella LisaBelle99 (preso
10? Va beh anche 9 va bene. Sull’8 io non ci sputo), al birrofilo pathosicida ToraStrife, alla bellezza araba Ladyzaphira (non se pò sentì, la voce
di Leo non se pò sentì… bello però quando chiama Splinter “papà” ^_^) e dulcis
in fundo (LisaBelle99 traduci XD ) la mia stupenda consumatrice di Scottex Cartoonkeeper8 alla quale rubo
impunemente la similitudine abbracciosa :P
Un abbraccio grande quanto la distanza tra gli Stati Uniti
ed il Giappone! :*
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Capitolo 14 *** Tartarughe ***
Cap 14
“And I'm living off of grass
And the drippings from the ceiling
It's okay to eat fish
'Cause they don't have any feelings”
Nirvana, Something In
The Way
Ha asciugato con cura la pelle verde di suo figlio. Passando
l’asciugamano poteva sentire i brividi che scorrevano lungo il giovane corpo
della tartaruga mutante. Splinter l’ha preso nuovamente in braccio, alzandolo
dal pavimento del bagno. Certo, non poteva negare che il suo ragazzo adesso pesasse
troppo, perché lui potesse alzarlo
facilmente. Non era più la tartarughina che prendeva tra le braccia qualche anno
fa senza il minimo sforzo.
Leonardo adesso dormiva abbastanza tranquillo, la febbre si
era leggermente abbassata, pur restando alta. Splinter l’ha adagiato nel letto,
senza che l’adolescente si svegliasse. L’uomo topo ha temuto che questo sonno
così profondo potesse essere anche un effetto dell’abbondante dose di
antipiretici che era stato costretto a somministrargli. Non voleva neppure
pensare agli effetti dannosi dei farmaci sul corpo ancora in sviluppo del
mutante, in questo momento.
Si è seduto nuovamente sulla sedia accanto al letto.
Aveva freddo. Il suo kimono e la sua pelliccia erano ancora
bagnati. Ma non aveva la benché minima intenzione di lasciare il fianco di suo
figlio neanche per un minuto.
Ha accarezzato il braccio dell’adolescente.
“Mi senti, Leonardo?”
Certo che no, il figlio non lo sentiva, stava dormendo. Ma lui, che era sempre stato fin da giovane
un uomo di poche parole, adesso provava un bisogno irrefrenabile di parlare.
“Sai, stavo pensando che non ho mai rivelato una cosa, a voi
ragazzi. Certo, vi ho raccontato molte volte della nostra mutazione, di quando
vi ho presi con me, di come vi ho accudito i primi tempi. Ma non vi ho mai
detto tutto. Non vi ho mai detto quando siete diventati i miei figli.
I primi tempi, sono stati molti duri, lo sai.
Io ho faticato ad adattarmi al mio corpo nuovo. A volte
sembrava che i due esseri che erano in me, l’uomo ed il ratto, si muovessero
ognuno per conto proprio. Provavo a praticare i kata come mi aveva insegnato il
mio maestro, e mi ritrovavo intralciato dalla coda. Impugnavo le mie katana, e
mi sfuggivano dalle zampe. Stringevo un bicchiere fino a rompere il vetro.
Anche alzarmi e sedermi diventava un’impresa, a volte. Mi graffiavo spesso con
le mie stesse unghie. I movimenti istintivi della mia nuova natura mi
lasciavano perplesso. Per certi aspetti, ero ancora più agile, e più veloce. Per
altri, mi sentivo impacciato, e ciò per un maestro di ninjutsu era a dir poco
frustrante.
In tutto questo, avevo quattro piccole creature frignanti a
cui badare.”
Splinter ha strizzato il bordo inferiore del suo kimono. Un
rivolo d’acqua è serpeggiato sul pavimento accanto al letto.
“Quando vi ho preso su da quella melma verde nel vicolo,
piangevate tutti e quattro. Non so se per la paura, o il dolore. La mutazione
era stata molto dolorosa per me, e suppongo che lo sia stata anche per voi.
Ricordo che mi avete guardato, con paura, aggressività, curiosità e bisogno di
protezione, e dopo un poco avete iniziato a piangere, disperati. Io ero ancora
scosso dai brividi di dolore, e non capivo bene cosa mi fosse successo. Avevo compreso
di essere diventato una creatura mostruosa, ed ero spaventato. Il primo istinto
era stato di nascondermi ancora più all’interno del vicolo, invece di correre
in strada a chiedere aiuto. Forse era già la mia parte animale a guidarmi, o
forse anche in quel momento di terrore la mia mente era stata ancora abbastanza
lucida da capire che mostrarmi al mondo in queste condizioni sarebbe stata la
mia fine.
Fatto sta, mi sono accorto di voi quasi subito. C’è voluto
qualche secondo per capire che quello che era capitato a me, era capitato anche
alle tartarughe che avevo appena comprato.
In un primo momento, te lo ammetto, ho pensato che avevo
problemi più importanti, in quel frangente, per pensare anche a dei piccoli
animali domestici. Il mio primo pensiero era stato quello di abbandonarvi lì.”
Splinter ha chiuso per un attimo gli occhi, poi li ha
riaperti ed ha sorriso triste.
“Sì, non te l’ho mai confessato, e ti chiedo scusa. È stato
solo un secondo, ma nella mia mente è passata quest’idea infame e disonorevole.
La sofferenza, la paura, lo smarrimento mi stavano sopraffacendo. Mi è sempre
piaciuto considerarmi un forte guerriero, non ho mai temuto il dolore e la
fatica, ho sempre cercato di seguire la via della luce e della rettitudine, ma
quello che stavo attraversando forse era troppo anche per me.
Ma poi, ho visto i vostri occhi. Ricordo perfettamente il
vostro primo sguardo, l’immagine è ancora impressa a fuoco nella mia mente.
Raffaello con le sue iridi verdi, spaventato e guardingo; accanto a lui
Michelangelo ed i suoi occhi azzurri, un po’ più fiduciosi. Davanti, tu con il
tuoi occhi blu sembravi dolorante ed accanto a te Donatello con le sue iridi
nocciola che tremava.
I vostri occhi non erano occhi di tartaruga. Mi guardavate
come se mi leggesse nell’anima. Ma non erano neanche propriamente gli occhi dei
bambini. Ricordavo bene gli occhi della mia piccola Miwa. I vostri non erano
come i suoi.
Poi, Donatello ha iniziato a singhiozzare per scoppiare in
un pianto disperato. Tu e Michelangelo lo avete seguito subito e Raffaello vi
ha guardato, poi ha guardato nuovamente me ed infine si è unito al piccolo
concerto.
I pianti sì, che erano quelli dei bambini.
Mi sono girato verso l’ingresso del vicolo, spaventato. Le
voci di bambini che piangono e si disperano avrebbero potuto attirare
l’attenzione. Questo è stato quello che ha fatto cadere ogni titubanza. Vi ho
presi con me nell’urgenza di nascondervi. Anche ciò è stato poco onorevole.
Vedi quanta debolezza vi è in me, figlio mio?
Ma devo ammettere che già dopo avervi guardato negli occhi
avevo già messo da parte quasi completamente l’idea di abbandonarvi. Diciamo
che l’urgenza mi ha solo fatto mettere velocemente in atto una decisione che
avevo già preso. O forse questo è solo quello che mi è piaciuto raccontarmi più
tardi, quando con profonda vergogna ho ripensato al mio attimo di smarrimento.
L’idea che avrei potuto lasciarvi lì adesso mi tormenta. Siete la cosa più
bella che mi sia capitata dopo le mie amate Tang Shen e Miwa, la mia nuova
ragione di vita.
Siete i miei amati figli, ma allora eravate soltanto piccole
spaventate e strane tartarughe che avevano bisogno di me.”
…
Raffaello ha continuato a sentire delle voci, provenienti
dalla direzione verso la quale si stava dirigendo. Per pura fortuna poco prima
aveva visto quelle che sembravano impronte di passi tra le foglie del
sottobosco ed aveva deciso di incamminarsi verso quella parte. Poi aveva
trovato un paio di ramoscelli spezzati. Ma solo dopo aver sentito delle parole
indistinte in lontananza, aveva capito che per una volta la sorte gli era stata
favorevole. Adesso aveva una traccia da seguire.
Vi erano dannatissime probabilità che quelle voci
appartenessero a qualcuno dei mercenari che ce l’avevano con loro; a meno che i
boschi dello stato di New York la mattina presto fossero molto più frequentati
di quanto immaginasse.
Essendo troppo lontano per afferrare quello che dicevano, ha
continuato ad avvicinarsi furtivamente fino a comprendere stralci di conversazione.
… preso il sangue…
… quello viola non può
correre…
... quasi raggiunti…
Sì, sono quei bastardi.
Ha fremuto di rinnovata speranza, seppur turbato da quel poco che aveva
sentito. Si è avvicinato ancora un po’, e ha finalmente intravisto quattro soldati
nella loro mimetica nera.
Ha cercato di fare mente locale, continuando a seguire i
nemici in silenzio, tenendosi chino tra gli alberi.
Donnie e Mikey stavano scappando. Questi uomini li braccavano:
poteva solo immaginare che ve ne fossero molti altri, dispersi per la foresta,
a seguire i suoi fratelli come prede durante una battuta di caccia.
Quindi evidentemente Mikey aveva liberato Donnie. Raffaello
ha corrugato la fronte. Aveva detto a quella testa di legno di aspettarlo, e
lui invece aveva agito da solo. Sperava solo che avesse una buona
giustificazione per questo, altrimenti avrebbe dato a quel piccolo incosciente
una ripassata tale che se la sarebbe ricordata per settimane…
La rabbia contro suo fratello era però solo la fiammella di
un cerino paragonata all’incendio di quella che adesso provava contro questi
uomini. Aveva sentito abbastanza. Donnie non poteva correre. Gli avevano fatto
del male.
Ha stretto i pugni fino a lasciare i segni delle unghie sul
palmo. Chiunque avesse osato fare del male ai suoi fratelli avrebbe poi dovuto
vedersela con lui. Questa era una promessa che aveva fatto a sé stesso anni fa,
e che aveva intenzione di mantenere. Nessuno toccava i suoi fratelli.
Raffaello ha afferrato i suoi sai dalla cintura, pronto a
balzare su quei quattro per farli pentire amaramente di aver lavorato per quel
pazzo sadico. Si è avvicinato ulteriormente: adesso gli era quasi addosso. Ha ridotto
gli occhi a due fessure, ha rallentato il respiro e si è concentrato per
scattare su quei mercenari come una fiera sulle sue prede. Ha sentito il rosso torpore
della ferocia inebriargli i sensi. Li avrebbe fermati, li avrebbe fatti a pezzi
e poi avrebbe cercato tutti gli altri, fino a che non avrebbe trovato lui,
l’uomo dagli occhi grigi, l’infame che gli stava portando via suo fratello, il
suo migliore amico, e gli avrebbe immerso i sai nel petto…
Si è teso per lo scatto, come una bestia feroce. Ma
all’ultimo secondo, un pensiero l’ha bloccato. Si è appiattito al terreno. Non
poteva attaccare questi uomini. No, non sarebbe stata la cosa giusta da fare,
per il bene dei suoi fratelli. Doveva seguirli, e vedere se tramite loro poteva
rintracciare Donnie e Mikey. Era più probabile che i soldati trovassero i suoi
fratelli prima di lui: eliminare questi quattro davanti non avrebbe avuto
senso; se invece li avesse seguiti vi era la possibilità che si tenessero in contatto
con gli altri, e lui avrebbe potuto essere informato della situazione tramite i
suoi nemici. D’altronde per lui tallonarli senza essere notato era un gioco da
ragazzi.
Sì, avrebbe fatto così. È riuscito ancora una volta a
frenare la sua rabbia, per agire da ninja e fare la cosa migliore richiesta
dalle circostanze.
Ma fino a quando sarebbe riuscito a farlo?
N/A Ah! Vivamus mea Cartoonkeeper8, atque amemus! Pueres Mutantes Ninja Testudines amandos
sunt nobis... Direi che sono d’accordo
con te al 100%. Contrarissima alla pena di morte per le tue ragioni, io stessa non
so che farei a certe categorie di “uomini”. Riguardo al sangue… hai capito, hai
capito, lettrice di pensiero, lo so (cercherò di non pensare cose sconce quando
sono su EFP). Ma il Death Note ve lo fotocopiate con l’altra latinista (e che è,
un’epidemia!) SerBarbs? (Ahh! Mi
chiedi pure scusa per non aver letto subito il mio capitolo? Non è possibile,
sto sognando… Io ti amo, ti adoro, ti sposo, ti prego sposami, scappa con me…
ok basta.) Cara cavallerizza (wow) LisaBelle99
lo facciamo per te a parlare latino, così ripassi!XD Stracciali tutti all’interrogazione ed al
saggio! Imoto mia, NightWatcher96,
ho notato la similitudine astronomica in onore della mia passione ^_^, e mi
chiedevo: ma per caso vuoi far male a Mikey? No, perché mi sembrava… Conn/Uccello del Tuono vuole invece la
bua per Leo (avessi scritto la storia dopo aver sentito il suo doppiaggio nel film
probabilmente l’avrei fatto soffrire ancora di più solo per sfizio), mentre la
saggia Piwy si accontenta di far
soffrire Kurtis ma matematicamente. Scientifica. Permettetemi un abbraccio
speciale e un augurio di pronta guarigione a _Bara no Yami_ (ok che la storia si chiama Virus, ma non strafare,
ragazza mia XD ) e di buon compleanno a ToraStrife
dall’età indefinita (fai bene: io mi sono fermata a 30 e al diavolo
tutto) in onore del quale mi farò stanotte una doppio malto.
Un abbraccio grande come la distanza dal mio computer al tuo.
Baci! :*
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Capitolo 15 *** Bambini ***
Cap 15
“Summer has come and passed
The innocent can never last”
Green Day, Wake Me Up When September Ends
“Non sapevo bene cosa fare, con voi.”
Splinter adesso si era alzato dalla sedia, e guardava le
katana di Leonardo, appese ai supporti. Con una mano, piano, quasi reverente,
ha toccato la lama. Come in una carezza, il dito artigliato ha scorso la
lunghezza della shinogi, la
scanalatura che correva brillando lungo il freddo acciaio.
Poi ha ripreso a parlare al figlio, che ancora dormiva.
“In pratica, era come se improvvisamente avessi a che fare
con quattro bambini piccoli. Non era il mio campo, non era qualcosa che sapessi
o volessi fare. Avevo, sì, avuto un po’ di esperienza con Miwa, ma io ero e
sono un ninja, occuparmi dei bambini non era qualcosa che consideravo facente
parte della mia vita. Figuriamoci poi occuparmi di quattro piccole tartarughe
mutanti che erano anche diverse dai bambini umani… Non sapevo neanche cosa fare
per farvi stare bene.
Anzi, spesso non sapevo neanche come farvi smettere di
piangere.
Era molto demoralizzante. Ero alle prese con tutta una serie
di problemi pratici. Dovevo alimentarvi, ma non sapevo come. Dovevo tenervi
nascosti, e non sapevo dove portarvi. Non potevo tornare a casa mia, non potevo
entrare in farmacia per comprare degli alimenti per l’infanzia con la mia carta
di credito… E non sapevo neanche se gli alimenti per i bambini umani andassero
bene per voi, o se non vi avrei piuttosto avvelenato cercando di nutrirvi…”
Splinter è tornato a sedersi, fissando una foto sulla
cornice al muro. April l’aveva scattata ai ragazzi pochi mesi prima; Raffaello
ne teneva una simile in camera sua.
“Non eravate propriamente neonati, no… Come fase di crescita
eravate paragonabili a bambini umani di circa un anno di età… Tu sembravi il
più grande, Michelangelo il più piccolo, ma non ne ero sicuro. Avevo imparato
subito a distinguervi, anche se ancora non vi avevo dato alcun nome. Vi ho
raccontato più volte come ho deciso i vostri nomi, è una storia che conosci
bene. Dicevo, vi distinguevo subito. Eravate così diversi. Come tartarughe,
sembravate tutti uguali, ma come bambini, beh era tutta un’altra cosa.
Comunque, dopo i primi faticosissimi giorni, quando ormai
avevo trovato un riparo ed un modo per mantenervi in buona salute, e stavo
cercando di organizzare la mia nuova vita lontano dagli esseri umani e da tutte
le comodità della mia vita precedente, non avevo ancora capito bene cosa
rappresentaste per me.
Ebbene, sì. Non è stata un’edificante storia di conquista al
primo sguardo. Non è stato l’atto eroico di un uomo mutante che salva delle
creature indifese e le accudisce costi quel che costi. La vita reale è molto
più dura e molto meno poetica.
Ricordo che una volta mi sono fermato a guardarvi piangere
tutti e quattro su un tappeto. Vi avevo preso con me da un paio di settimane. Era
stato un giorno particolarmente faticoso. Avevo lavorato molto per rendere
pulito qualche ambiente di quella che poi sarebbe diventata la nostra casa, ma
che era all’origine un putrido agglomerato di detriti, sporcizia e carcasse di
topi morti. Avevo finito i pannolini che ero riuscito a procurarmi in modo non
molto onorevole. Eravamo tutti sporchi, ed affamati. Ricordo di essermi seduto
per terra, e di avervi osservato piangere. Mi stavo chiedendo se ne valesse la
pena. Se valesse la pena tirare avanti, che vita ci sarebbe potuta essere dinnanzi
a noi. Non ero neanche sicuro che fosse creature del tutto intelligenti.
D’altronde, non eravate che tartarughe, no?
Il dubbio era più che legittimo. Sì, i vostri sguardi, i
vostri gesti, erano quelli di creature senzienti. Ma fino a che punto avrei
potuto considerarvi alla stregua di bambini… normali? Le probabilità che aveste deficit intellettivi erano tutte
a nostro sfavore… E poi con quei piccoli gusci sulla schiena, come vi sareste
mossi una volta cresciuti?
Inoltre, Donatello sussultava al minimo rumore, e sembrava
non interagire pienamente con voi altri, Raffaello vi mordeva, Michelangelo
ridacchiava tra sé e sé senza un motivo e tu piangevi a volte solo guardandomi.
Sì, figlio mio, ti confesso che ho avuto paura di voi. Paura di quello che
sareste diventati. Paura di star portando avanti delle piccole vite di esseri
infelici, quando forse sarebbe stato più caritatevole farla finita.”
Splinter ha sospirato.
“Ricorderò per sempre lo sconforto di quel momento. Ma è
stato, per l’appunto, solo un momento.
Cancellato dagli innumerevoli momenti che sono venuti dopo e
che hanno cambiato per sempre la mia vita. Alcuni li conosci, a volte li ho
accennati, altri no. Ma nelle settimane, e poi nei mesi successivi, la mia esistenza
è cambiata completamente.
Mentre il mio nuovo corpo si raffinava per il duro
allenamento a cui mi sottoponevo, e la mia mente continuava il suo impegno
lungo la faticosa strada della disciplina, il mio cuore sentiva di giorno in
giorno crescere un nuovo calore.
C’era Michelangelo, che mi tendeva le manine per farsi
prendere in braccio, e rideva di pura gioia quando vedeva avvicinarmi con il
cucchiaio per la pappa. C’era Donatello, che cercava la mia approvazione quando
riusciva ad impilare le lattine vuote una sopra l’altra e mi sorrideva
soddisfatto del suo lavoro. C’era Raffaello, che sbatteva contro tutto cercando
di correre per la tana con i passi ancora incerti e passava dalle lacrime al
sorriso appena lo prendevo in braccio. E poi c’eri tu, che cercavi di imitarmi.
Una volta, stavo eseguendo dei kata mentre voi dormivate su
delle coperte. Con gli occhi chiusi, concentrato, ho colto la tua piccola
presenza dietro le mie spalle. Mi sono girato, e ti ho visto. Ti eri svegliato,
e senza il minimo rumore ti eri avvicinato a me. Ed adesso stavi imitando
l’ultima posizione che io avevo assunto.
Mi hai guardato, e mi hai sorriso, con le piccole braccia
allargate, e una gamba tesa in avanti e l’altra leggermente piegata. Avevi
riprodotto le mie movenze in modo incredibile, per un bambino.
Forse è stato in quel momento che nella mia mente ha preso
forma il barlume del pensiero che avrei potuto trasmettere a voi la mia arte,
un giorno. Ma che tu ci creda o no, l’unica cosa che mi importava in quel frangente
era il tuo piccolo sorriso orgoglioso e la luce felice dei tuoi occhi blu.
Nel primo anno che siamo stati insieme, avete imparato tante
cose. Avete imparato a parlare, prima tu e Raffaello, poi Donatello e
Michelangelo. Naturalmente, la vostra prima parola è stata papà. Avete imparato
a mangiare da soli. Ad usare i bagno. Beh, tranne Michelangelo. Avete imparato
insomma tutte le cose che i bambini umani sanno fare a quell’età.
Ma io ho imparato anche più di voi. Ho imparato che la mia
pazienza è più forte di quanto credessi. Che non è la forma del corpo che
conta, ma l’animo che lo guida. Che si può vivere bene con poco e che vermi ed
alghe possono essere deliziosi se cucinati bene. Ho imparato che si può restare
svegli anche per più notti di seguito se i propri bambini si ammalano tutti in
una volta.
Quando vi ho visti, seduti al tavolo, a festeggiare il primo
anniversario della mutazione, ricordo di aver pensato che, grazie ai Grandi
Antenati, stavate crescendo forti ed intelligenti. Michelangelo mi parlava
sputacchiando ed io capivo una parola su tre, Donatello cercava di tradurre per
me, ma ancora anche lui non era per niente chiaro ed a volte faticavo pure a capire
se stesse parlandomi in inglese o giapponese. Tu e Raffaello vi eravate messi a
litigare per qualcosa, vi stavate gridando contro a vicenda e cercavate
entrambi di attirare la mia attenzioni per risolvere l’ingiustizia, e poi senza
soluzione di continuità vi siete messi a ridere e vi siete abbracciati. Ricordo
anche che Donatello mi aveva chiesto per l’ennesima volta con che mano dovesse
prendere il cucchiaio ed io gli avevo spiegato per l’ennesima volta che non
aveva importanza quale mano volesse usare. E che Michelangelo aveva quasi
finito la sua porzione ed iniziava a tenere d’occhio quella di Donatello. Ridevate,
parlottavate, vi imbrattavate col cibo…
Sì, ricordo quel momento come se fosse ieri, e non quindici
anni fa. Perché ho avuto la piena e totale sensazione che voi tutti foste delle
creature speciali, perfette nella vostra singolarità, con piccoli corpi strani
ma perfettamente funzionanti e piccole menti come quelle dei bambini della
vostra età.
E ricordo, che in fondo, ormai non mi importasse più di
tanto. Che foste agili, intelligenti, vispi, come piccoli esseri umani. Perché,
ormai, eravate i miei bambini, i miei figli.”
…
“Coraggio D, tieni duro.”
Michelangelo ha sentito il fratello lamentarsi sul suo guscio.
Sapeva che i movimenti della sua corsa gli tormentavano il braccio rotto. L’arancione
era nuovamente molto stanco, sudato ed ansimante. Doveva riposare ancora
qualche minuto, o sarebbe crollato.
Forse erano riusciti a distanziare ancora i loro
inseguitori, non sentiva nulla alle loro spalle, ma non voleva perdere tempo
per girarsi a guardare.
“Dove… dove stiamo andando, Mikey? Raph…”
“Non so dove sia, Donnie.”
“Ma… chiamalo e…”
“Ho perso il T-phone.”
“Oh noo…”
Donatello ha poggiato la testa sulla spalla del fratello; si
sentiva sul punto di svenire nuovamente, era sfinito. Ed adesso, anche questa
notizia. Mikey aveva perso il suo telefono. Quindi non sapevano neanche dove si
stessero dirigendo. Stavano fuggendo alla cieca. Improvvisamente, ha desiderato
solo che tutto finisse. Voleva perdere i sensi, non sentire più nulla, ed
accada quel che accada.
Il pensiero di Leonardo l’ha risvegliato dal momento di
torpore. Doveva tornare alla tana. Doveva aiutare Leonardo. Ma iniziava a convincersi
che non ce l’avrebbero fatta. I loro inseguitori li avrebbero raggiunti, e loro
non erano in condizioni di opporre resistenza ancora per molto. Lui non poteva
combattere, e Mikey stremato dalla stanchezza non avrebbe potuto fronteggiare
tutti gli uomini che gli stavano dando la caccia. Senza un aiuto, sarebbe stata
solo questione di tempo, ma alla fine li avrebbero presi, e quell’uomo avrebbe
catturato anche Mikey.
No, non poteva permetterlo. Per Leo, ha pensato con un
dolore al petto, forse a quel punto non c’era più niente da fare. Anche se
fossero tornati alla tana nelle prossime ore, molto probabilmente sarebbe stato
tutto inutile. Si è sentito sopraffare dall’angoscia. Leo sarebbe morto.
Non poteva permettere che questi uomini facessero del male
anche a Mikey.
Avevano tentato. Se Raph li avesse trovati subito, forse. Ma
adesso, senza comunicazioni, braccati in una foresta, non c’era altro da fare.
Col suo peso sul guscio, Mikey non sarebbe andato lontano. Inoltre, il
fratellino stava crollando dalla stanchezza; lo capiva dal suo respiro,
affannoso ed irregolare, dai suoi movimenti sempre più lenti.
Era inutile sacrificare anche Mikey. Era finita.
“Mikey… lasciami andare.”
N/A Ok, ok, chiedo
scusa, non sono i capitoli più lunghi del mondo ^^'. Prendiamo questi ultimi due
come intermezzi per la mia solita fissazione sulle turtle-tots e il loro
rapporto col “topo muschiato” (riso alle lacrime. Splinter era bagnato quindi…
Lo so, so’ scema), per dirla come ToraStrife.
Allora, pur coccolando nella mia mente turbata le atmosfere cupe dei comics IDW
(quanto amo i disegni di Ross Campbell? Tanto), il background (inserita
nell’elenco delle parole fighe da usare più spesso) è l’universo 2k12, dove
Splinter è Hamato Yoshi e Karai è sua figlia Miwa. Il cazzuto ninja si è
trasferito a NY dopo che Shredder gli ha distrutto la famiglia per questioni di
pilu, lui viene insozzato di mutageno insieme alle tartarughe che aveva appena
comprato e il resto è storia (evidentemente a quel punto il pet-shop non glieli
ha volute cambiare). Ne seguo parzialmente la timeline, l’aspetto fisico ed i
caratteri (in fondo lì Splinter è meno perfetto che negli altri universi, ed è
più padre), ad eccezione di Michelangelo, che nella serie (almeno la 1a
stagione) è troppo fessacchiotto. Quello della Nickelodeon è indubbiamente uno show per
bambini, che però strizza parecchio l’occhio agli adulti, diventando in alcune
puntate anche inquietante. Hanno appena fatto il… guscio a Leonardo (cioè lo
vedi a terra mentre viene pestato, con buona pace dei Puffi), come nella serie
2k3, secondo la miglior tradizione dei fumetti Mirage.
Arcimegaultra felice che anche alle
inimitabili-diffidatedalleimitazioni poetessa
Conn/Uccello del Tuono, imoto NightWatcher96, puntuale Piwy, pulcherrima LisaBelle99, rogerrabbittiana Cartoonkeeper8
ed alla mia adorabile stolker CatWarrior
sia piaciuta la scena paposa (?), meno felice che _Bara no Yami_ abbia ancora la bua (dilatatore? @_@ Altra tipetta
tosta).
Un abbraccio grande come il ponte di Brooklyn, a presto!
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Capitolo 16 *** Arcobaleno ***
Cap 16
“In the darkness
before the dawn
In the swirling of the
storm
When I'm rolling with
the punches, and hope is gone
Leave a light, a light
on”
Coldplay , Midnight
“Mikey…
lasciami andare.”
Donatello ha disteso le gambe che aveva stretto intorno alla
vita del fratello, ed è sceso con i piedi a terra.
“D… Donnie? Che…”
Michelangelo si è fermato, stava per stramazzare al suolo.
Ha appoggiato le mani sulle ginocchia, piegato in avanti, ed ha girato la testa
verso dietro, guardandosi alle spalle, ansimando con la bocca aperta.
Nessuno dietro di loro, al momento.
Sempre piegato, ha poi alzato lo sguardo verso Donatello.
Non è riuscito ad interpretare la strana espressione del fratello mascherato in
viola.
“Rip… riprendo… fiato e… e continuiam…”
“Per andare dove, Mikey? Non possiamo fuggire, non in due.
Ci prenderanno. Lasciami qui e scappa.”
Michelangelo ha allargato gli occhi.
“C…cosa? Ma che… che dici?”
“Vattene, Mikey.”
L’arancione ha scosso la testa, sbigottito. Il viso
lentigginoso in quel momento, nell’affanno, sembrava ancora più giovane.
Si è raddrizzato, ha preso un’altra grande boccata d’aria,
poi ha ripreso a parlare, sempre col fiatone ed a bassa voce.
“Tu… tu non ragioni bene D. Forse ti hanno colpito in testa
troppo forte.”
Ha sbuffato, e si è guardato intorno, riflettendo per un
momento. Poi ha alzato lo sguardo verso l’alto, a scrutare i rami del grande
albero sotto il quale si erano fermati.
Ha fatto per afferrare Donatello, ma questi è indietreggiato.
A quel punto Michelangelo gli ha rivolto uno sguardo durissimo, così diverso
dalla sua espressione solitamente allegra ed un po’ infantile.
“Amico, adesso ti prendo sul guscio e saliamo su
quest’albero, per cercare di capire da che parte andare. Tu sali zitto e buono
altrimenti giuro che ti tiro su a forza.”
Donatello si è irrigidito; il fratello gioviale e burlone
questa volta non scherzava. Ha guardato anche lui l’albero. Sì, era una buona
idea. Si sarebbero nascosti per un po’ alla vista, ed avrebbero valutato il da
farsi. Anche se era ormai convinto che non avrebbe più permesso a Mikey di
mettersi ulteriormente in pericolo per lui, a nessun costo. L’idea che il
fratellino potesse finire tra le mani dell’uomo dagli occhi grigi lo spaventava
ancora di più che ricadere lui stesso nelle sue grinfie. Pensare che qualcuno potesse
fare del male a Mikey era un concetto così terrificante che in confronto la
paura ed il dolore che aveva sperimentato fino adesso sembravano quasi
accettabili.
Comunque, anche se era d’accordo a salire sull’albero, stava
anche chiedendosi se Mikey avrebbe avuto abbastanza forza per salire
trascinandosi lassù il suo peso sul guscio; Raph forse ce l’avrebbe fatta, ma
Mikey… I suoi pensieri sono stati interrotti dal fratello che l’ha tirato dal
braccio sano, provocandogli l’ennesima scossa di dolore, e se l’è caricato
ancora una volta sul guscio. Poi, ha iniziato ad arrampicarsi.
Con fatica, lentamente, i due fratelli sono riusciti a
salire a parecchi piedi dal suolo; quindi Michelangelo ha messo giù Donatello,
facendolo sedere sulla biforcazione di un grosso ramo. L’arancione ha ripreso
fiato ancora per qualche secondo.
“Donnie, aspettami qui, io continuo a salire per vedere se
si distingue qualcosa dall’alto, ok?”
Il mutante ferito ha annuito, con gli occhi chiusi,
appoggiando la testa contro il tronco dietro al suo guscio; Michelangelo l’ha
osservato un attimo, contrito per la sua evidente sofferenza: tutto questo movimento
aveva fatto soffrire parecchio il fratello, e lui non aveva potuto evitarlo in
alcun modo.
Ha dato una piccola carezza sulla testa del viola, che ha
aperto un attimo gli occhi per guardarlo sorpreso, e poi ha ripreso a salire,
questa volta agilmente e velocemente poiché libero da ogni impaccio.
Michelangelo amava gli alberi; amava tutto, della natura.
Certo, avrebbe preferito arrampicarsi per altri motivi, come quando lui ed i
suoi fratelli da bambini si arrampicavano sull’albero del dojo per puro
divertimento. Aveva lì imparato a salire tra i rami con destrezza, riconoscendo
subito come distribuire il proprio peso sui rami più sottili, e riusciva a
salire senza rompere neppure il più minuscolo germoglio di queste enormi ed
affascinanti creature.
Arrivato in cima, ha potuto constatare che, come aveva
giustamente capito dal terreno, quest’albero era più alto di quelli che lo
circondavano. Il sole era ormai sorto, ed illuminava una sterminava distesa di fusti:
tutt’intorno il verde scuro delle cime si estendeva per miglia e miglia in ogni
direzione. La pioggia era ormai cessata, e nuvole grigie si diramavano
lasciando vedere l’azzurro del cielo, della stessa tonalità degli occhi limpidi
del giovane mutante.
Osservare il cielo di giorno era un regalo meraviglioso che
lui ed i suoi fratelli non si potevano concedere. Un brivido gli è corso lungo
la colonna vertebrale, quando poi ha visto qualcosa che l’ha lasciato
letteralmente senza fiato: tra gli alberi ed il cielo si stagliava, brillante e
definito, un arcobaleno. La tartaruga ha spalancato la bocca, mentre gli occhi
si sono illuminati per la bellezza della visione.
Era la prima volta, in sedici anni di vita, che ne vedeva
uno.
Certo, li conosceva, dalle immagini sulle riviste, dai film,
dalla TV. Ma vederlo dal vivo era tutta un’altra storia. Il suo animo si è
immerso nella contemplazione di tanta inaspettata bellezza. Per un attimo, ha
dimenticato tutto, chi fosse, dove si trovasse, e la pericolosa situazione che
stava vivendo. In quel momento vi era solo lo spettacolo mozzafiato di una
pennellata di colori impressi contro l’azzurro del cielo, che si fondevano
sfumando l’un con l’altro nella loro incredibile scala cromatica; non era vero,
non era vero che avesse solo sette colori! Ne aveva molti, molti di più! Aveva
tutta un’infinita gradazione di tonalità, e nel suo quaderno da disegno non
avrebbe potuto darne che una pallida idea anche utilizzando tutti i suoi
pastelli che collezionava ormai da anni, da quando suo padre gli aveva
procurato i primi, in quello che forse era stato il miglior regalo di sempre.
Ricordava bene quel giorno, nonostante avesse avuto solo tre
o quattro anni d’età: nel grigio delle fogne, quando aveva stretto tra le sue
mani quelle matite colorate, di lunghezza diversa, alcune molto consumate, altre
praticamente nuove, gli era sembrato che la vita si fosse improvvisamente accesa
di tutte le cose belle e divertenti che si presentavano ammiccando dinnanzi a
lui. Aveva iniziato a riempire fogli e fogli di immagini che fiorivano veloci
nella sua mente bambina: il mondo adesso era nelle sue mani, pronto ad essere
riprodotto, felice di giocare con lui; ciò che vedeva, ricreava, e ciò che
sognava o semplicemente desiderava, ebbene lo ricreava ugualmente come la sua
fantasia imponeva. Ed ecco che gli umani della superficie avevano la pelle rosa
e gli abiti colorati, e vivevano in case dalle pareti pastello con gatti dalla
pelliccia variopinta; e lui ed i suoi fratelli, in un viaggio avventuroso su
una nave pirata tra i flutti blu del mare, spiccavano con le loro carnagioni
verdi contro un cielo fantastico, a cui solo l’azzurro non avrebbe reso
giustizia.
Ed adesso, sfavillante nel cielo, un vero arcobaleno
finalmente si mostrava ai suoi occhi, e stuzzicava il suo animo alla scoperta
delle varie tinte, partendo da un rosso fuoco intenso e forte che non poteva
non ricordargli suo fratello Raph, il suo amico, il suo compagno di giochi, il
suo protettore: con nessuno come con Raph si sentiva al sicuro. Se c’era lui al
suo fianco, niente gli sarebbe successo, lo sapeva; ed a ribadire questo,
l’arco nel cielo presentava l’arancione a stretto contatto col rosso, che
sembrava avvolgerlo e proteggerlo.
Accanto, ha potuto vedere il giallo che diventava il
brillante colore della sua amica, della maglia sportiva di April; lei che aveva
aperto loro un mondo nuovo da quando l’avevano incontrata. Prima, oltre ad i
suoi fratelli, per lui esisteva solo suo padre, che gli indicava le pericolose
meraviglie del sottosuolo di New York con il suo bastone verde. Verde erano
anche le foglie dell’albero del dojo attraverso le quali la luce filtrava
durante tutti questi anni di allenamento.
Poi vi erano il blu, ed il viola. Leo, grande, coraggioso.
L’esempio da seguire ed il formidabile avversario ai videogiochi. Che adesso
giaceva malato, ed era insopportabile guardarlo così… Ed infine Donnie, che
l’aspettava qualche ramo in basso.
Michelangelo al pensiero si è sentito in colpa per i pochi
secondi di divagazione. Il senso di urgenza e pericolo l’ha nuovamente
aggredito. Doveva portare in salvo Donnie. Suo fratello era ferito, e contava
su di lui.
Per una volta, aveva lui in mano la situazione. E questo lo
spaventava. E pensare che solo un paio di giorni prima aveva chiesto a Splinter
di poter provare a guidare il gruppo in sostituzione di Leo. Adesso, l’idea non
lo attirava più. Voleva aver accanto i suoi fratelli, per aiutarlo e guidarlo;
lui non era capace di fare nulla senza di loro. In fondo, era solo il piccolo
burlone del gruppo, il simpatico casinista, e niente di più.
Schermandosi con una mano dal sole che faceva capolino da
una nube, ha guardato tutt’intorno, per decidere il da farsi. Doveva cercare di
individuare una strada, o almeno un fiume, insomma un segno che gli indicasse
una direzione da prendere. Ma scrutando più in basso, all’improvviso gli è
sembrato di vedere un bagliore.
È stato solo per una frazione di secondo, e poteva essersi
sbagliato. Poteva trattarsi del riflesso del sole su qualche pozza d’acqua. Ma
poteva essere il barbaglio di un’arma, o di qualche altro oggetto metallico in
possesso dei loro inseguitori. Forse li avevano già raggiunti nuovamente.
È sceso di qualche ramo, per controllare. Si è
silenziosamente lanciato sull’albero vicino, invisibile tra il fogliame. Veloce
e agile, è saltato di ramo in ramo, di albero in albero, e si è avvicinato alla
zona dove aveva visto il luccichio. Scrutando con attenzione, ha potuto notare
che effettivamente si stavano avvicinando dei soldati.
Erano solo quattro. Ha deciso che avrebbe potuto metterli
fuori gioco velocemente e poi tornare da Donnie.
Si è immobilizzato, in attesa, e poi quando gli uomini sono
passati sotto di lui, si è lanciato.
Col suo slancio, ne ha subito messi fuori gioco due.
Rapidissimi colpi di nunchaku hanno steso gli altri prima che questi avessero
avuto il tempo anche solo di provare a reagire. Adesso doveva rapidamente
legarli e…
Con la cosa dell’occhio ha colto un movimento. Ce n’erano
altri.
Si è voltato, ma ha visto solo le sagome contorte degli
alberi. Non voleva dire niente, potevano essersi nascosti quando lo avevano scorto,
potevano essere posizionati intorno a lui. Erano soldati addestrati, lo sapeva,
non erano gli scagnozzi cretini delle gang di strada.
Michelangelo si è guardato intorno, ruotando piano su sé
stesso, i sensi allertati. Le braccia parzialmente tese, i gomiti piegati, le
mani strette sui nunchaku. Si è
girato due volte di scatto quando ha visto un movimento da una parte, e
sentito un frusciare di fogliame sull’altra. Erano almeno quattro, e lo stavano
accerchiando. Inoltre due di quelli che aveva atterrato prima, e che erano solo
leggermente contusi, si stavano rialzando. Doveva fare in fretta.
Sì è nuovamente girato, verso un fruscio, deciso ad
attaccare da quella parte. Poi, ha colto qualcosa avvicinarsi rapido e per puro
istinto si è spostato una frazione di secondo prima che un dardo narcotizzante lo
colpisse. I suoi sensi addestrati e la sua innata velocità gli hanno permesso
di schivarne un altro, ed un altro ancora, vicino, vicinissimo.
I due soldati che si erano rialzati gli si sono avventati
contro insieme, brandendo degli sfollagente. Michelangelo ha ruotato i nunchaku
e li ha colpiti, mentre altri due uomini, di quelli che si erano nascosti, sono
balzati allo scoperto correndo verso di lui. Il giovane mutante si è voltato ad
affrontarli, e nella periferia della visuale ne ha visto un altro paio che si
avvicinavano da opposte direzioni. Attacco simultaneo all’arma bianca. Niente
che un ninja come lui non potesse gestire.
Quando si è accorto del suo errore, era troppo tardi.
Un uomo che era a terra, aveva già preso la mira e sparato.
Michelangelo non ha potuto fare altro che scorgere le due
punte del taser che si sono conficcate nella sua coscia, mentre un bianco e
doloroso lampo di elettricità gli ha attraversato il corpo.
Per terra, nel dolore, sussultando nelle convulsioni, ha
visto gli uomini tutti intorno a lui. Forme scure e minacciose in controluce
contro i raggi che filtravano tra i rami.
Questa era stata la sua chance. La sua occasione per
dimostrare a sé stesso ed ai suoi fratelli che poteva farcela, che non era
l’anello debole della squadra. Aveva avuto l’opportunità di aiutare i suoi
fratelli; questa volta, loro avevano avuto bisogno di lui.
E lui aveva
fallito.
N/A Mi inchino
ancora una volta. Tutta la vostra gentilezza mi lusinga al limite dell’imbarazzo.
Non so come sdebitarmi. Ok, mazzi di fiori per tutte, mazzi (?) di birre per ToraStrife. L’idea di turtles
alimentate a vermi ed alghe non è mia, purtroppo (ma è abbastanza disgustosa
che potrebbe esserlo) ma delle menti inquiete della Nickelodeon (sicuramente
anche loro gaudenti bevitrici di bionde bevande come me e te) che hanno così
risposto alla trentennale questione: ma come cavolo fanno a sfamarsi quattro
adolescenti col metabolismo da atleti nelle fogne di New York? Io personalmente
ho perso notti insonni sulla questione. Ed ecco a voi che la natura (o le
cisterne) possono magicamente fornire fonti illimitate di proteine, vitamine e sali
minerali, e che i poveri mutanti dovranno aspettare di aver compiuto 15 anni
prima di addentare la prima pizza (esperienza che farà esplodere il cervello a
Mikey, letteralmente). Tra storie infinite, e Chi ha incastrato Cartoonkeeper8 (Hai un coniglio in
tasca o sei contento di vedermi? Battuta sprecata con un uomo che non l’ha
capita. Naturalmente non c’è mai stato un secondo appuntamento), devo
confessarti che la mia ignoranza non mi ha permesso di vincere il pupazzetto riguardo
al “Ti vedo quando ti vedo”. Poi sono venuti in mio soccorso dio Google e dea Wikiquote
(ma penso che equivalga a barare XD). Mia cara Conn/Uccello del Tuono spero che il finale sia all’altezza delle
tue aspettative, altrimenti ti autorizzo pubblicamente a prendermi a calci.
Comunque questa storia si chiamerà pure Virus, ma qui vi state ammalando tutte!
Prima _Bara no Yami_ (ff sulle turtles? Dai dai dai…), con la quale
condivido l’apprezzamento per la pucciosissima scena del film sulle baby
turtles (Leo gli afferra il dito! Arghhh *si è sciolta*), poi pure la mia
sorellina LisaBelle99! E che è!
Guarite ragazze! :* Grazie infinite come al solito anche alla carinissima CatWarrior (a quando lo leggerai :*), a Piwy (chiedo scusa ancora, così
cortini ce ne saranno pochi, gli altri capitoli sono tutti più lunghi), alla
mia imoto NightWatcher96 (visto?
Fatto la bua a Mikeyyyy!!! XD), all’altra mia gemella LauraMomiji (quanto è poetico il campbelliano Mikey tra le foglie
secche in copertina del #30?), ed a colei-che-fugge-dal-feroce-latino, la
mitica SerBarbs: guarda, lui ringhia,
morde e puzza pure. Ma un giorno magari come me lo odierai ed amerai. Quare id
faciam, fortasse requiris.
Un abbraccio grande come una foresta :*
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Capitolo 17 *** Rabbia ***
Cap 17
“This time you've tried
All that you can turning you red”
10 Years, Wasteland
April ha chiuso l’armadietto metallico. Intorno a lei, il
vociare allegro nel corridoio della scuola oggi le dava fastidio. Sentiva i
discorsi frivoli dei suoi coetanei, le risate civettuole delle ragazze con gli
short troppo corti ed il cervello troppo piccolo. Forse, oggi non sarebbe
dovuta venire. Era in ansia per i suoi amici.
Da quando le aveva telefonato Donnie, per raccontarle quello
che era successo a Leo, non aveva pensato ad altro. Aveva fatto ricerche
sull’ebola, e ne era rimasta atterrita. Non riusciva a credere che qualcuno
avesse potuto architettare un attacco del genere in una città con otto milioni
di abitanti. Era rimasta amareggiata quando Donnie le aveva spiegato che non
potevano rischiare di vedersi finché la situazione non si fosse risolta, ma
aveva capito le sue ragioni. Il fattore di contagio era basso, ma la posta in
gioco era troppo alta per rischiare. Lei non avrebbe temuto per sé stessa,
quanto per il pericolo di diffondere il virus in superficie, tra i suoi amici,
a scuola, tra le ochette che cianciavano intorno a lei…
No, non sarebbe dovuta venire. Ma nell’ultimo periodo, tra
le minacce dei Kraang e le sue “faccende da ninja” stava facendo troppe
assenze, e rischiava di dover ripetere l’anno, nonostante gli ottimi voti che
riusciva ad ottenere, a volte grazie all’aiuto di Donnie…
Donnie.
Si è sentita stringere forte lo stomaco. La faceva stare
male il pensiero del suo amico in balia di quegli uomini. Il giorno prima al
telefono Donnie le aveva raccontato tutto, della banda di mercenari e del
pericoloso criminale che li guidava; le aveva confidato le sue ansie, la paura
per Leo, la rabbia per quell’attacco alla loro famiglia del quale ignorava
ancora le ragioni.
April aveva ancora nelle orecchie la voce del giovane
mutante, il suo tono che lottava per suonare pacato e monocorde ma risultava a
tratti rotto. Si era immaginata, al di là del filo, i suoi bellissimi occhi
nocciola inumiditi dalle lacrime. Aveva sempre amato questo suo aspetto, questo
essere allo stesso momento un adulto ed un ragazzo, un forte e letale guerriero
ed un fragile adolescente, un genio senza pari ed un dolce ingenuo. Donnie era
un essere speciale, una creatura nobile e coraggiosa, un amico sincero; lei gli
voleva un bene dell’anima.
La ragazza ha raschiato i denti sulle labbra, con rabbia. Se
qualcuno avesse osato fargli del male…
Ha sospirato e si è voltata, per dirigersi in classe.
É
sobbalzata quando ha incontrato un volto sbarbato a pochi pollici dal suo, che immobile
aspettava dietro di lei. Le ha sorriso sfacciato con i suoi denti rotti, ma
negli occhi castani non ha saputo nascondere il velo di tristezza e la preoccupazione.
“Casey!”
Aveva telefonato a Casey Jones subito dopo aver sentito
Raph, per avvisarlo della situazione: aveva dovuto faticare parecchio per
convincerlo a non correre a dare man forte ai loro amici. Ed avevano deciso
insieme di non saltare la scuola, nonostante tutto.
Adesso, vedendolo lì davanti a lei, April ha sentito un
piccolo conforto nell’animo. Gli ha sorriso, e gli ha preso la mano. Casey ha
guardato le loro mani giunte, poi imbarazzato si è sistemato la bandana nera
sulla fronte e si è toccato dietro il collo.
“Non preoccuparti, Rossa. Ce la faranno. Ce la fanno
sempre.”
…
Non ce la faceva a muoversi. Le scosse elettriche avevano
completamente intorpidito tutti i suoi muscoli. Michelangelo è stato afferrato
da due soldati, ancora stordito, e tirato su.
Gli hanno piegato le braccia dietro la schiena, mentre lui
si è chinato in avanti, scosso da conati di vomito.
Macchie bianche ancora danzavano nella sua visione mentre ha
svuotato un po’ di bile del suo stomaco sulle foglie del sottobosco. Gli
stavano legando le mani dietro il guscio.
Ha dimenato la testa, per cercare di riprendere un po’ di
lucidità, con il corpo ancora tremante per la scossa elettrica, le gambe molli,
il gusto acido del vomito in bocca. Non poteva finire così. Cosa ne sarebbe
stato di Donnie? L’avrebbero trovato, l’avrebbero ripreso? Gli avrebbero fatto
nuovamente male; lo avevano già fatto urlare…
Michelangelo ha sentito rabbia e frustrazione insieme. Una
voglia di gridare e di piangere. Ha iniziato a prendersela con sé stesso. Aveva
fallito. Era stato un incapace. Si era fatto catturare. Aveva ragione Raph. Lui
era uno stupido, una testa di legno.
Si è guardato intorno, sbattendo i suoi grandi occhi
azzurri. Altri uomini erano convogliati in quel posto ed adesso ne poteva
contare almeno una dozzina, che convergevano verso di lui e si fermavano a distanza,
fissandolo.
Lo squadravano come se avesse due teste. No, no, lo squadravano
come se fosse una tartaruga gigante. Giusto. Ai loro occhi lui era questo, era
un mostro. Avendo ormai al fianco alcuni amici umani, Michelangelo a volte
tendeva a dimenticare come lui ed i suoi fratelli apparivano alla maggior parte
degli umani di questa terra. Peccato. A lui piacevano tanto gli umani. Avrebbe
voluto farsi altri amici, oltre a April e Casey. Sarebbe stato bello, avere un
gruppo di amici umani della sua età, per farsi epiche partite alla Play Station
e memorabili mangiate di pizza…
Uno dei mercenari ha tirato fuori la sua ricetrasmittente,
ed ha comunicato la cattura, per poi aspettare attento gli ordini.
Michelangelo sapeva leggere le emozioni molto bene, era un capacità
che aveva sempre avuto. Riusciva a capire quello che provavano i suoi fratelli
dalla luce nei loro occhi: spesso, utilizzava questa sua “dote” per farli stare
meglio, per tirarli su con i suoi scherzi o le sue battute quando li vedeva giù
di morale. O per girare a suo vantaggio una situazione, e togliersi per esempio
dai dintorni di Raph quando il livello di incazzatura del fratello gli avrebbe
causato più di uno scappellotto in testa.
Poi, da quando aveva conosciuto gli umani, aveva notato che riusciva a leggere anche i loro
occhi. E quelli del soldato che parlava al suo superiore erano pieni di
soggezione, incertezza, paura. Era terrorizzato dal suo superiore. Che specie
di persona doveva essere quest’uomo dagli occhi grigi per spaventare così i
suoi soldati?
Beh, tra poco avrebbe conosciuto di persona quel mostro, che
aveva drogato Raph, ferito Donnie e fatto ammalare Leo…
Un brivido è corso lungo il suo corpo, ed ha
involontariamente deglutito.
Ha abbassato lo sguardo. Le dita dei suoi piedi risaltavano
verdi contro il giallo marrone delle foglie morte. L’ha rialzato per vedere stringersi
intorno a lui altri quattro uomini.
I due che gli avevano legato le mani dietro la schiena,
adesso l’hanno afferrato stringendolo con forza dalle braccia. Michelangelo,
che iniziava ad avere nuovamente il pieno controllo del suo corpo, ha cercato
di divincolarsi. Sicuro come il giorno e la notte che avrebbe lottato con tutte
le sue forze fino alla fine.
Ma la presa dei due uomini, molto più alti di lui, era
d’acciaio; ha tentato di torcere il busto, di tirar via le braccia, di piegarsi
di lato per mordere le mani che lo tenevano.
“Lasciatemi! Lasciatemi!” ha gridato sperando di apparire
minaccioso ed accorgendosi invece di suonare un po’ patetico.
Ha approfittato della presa degli uomini sulle sue braccia
per mollare i piedi da terra e cercare di colpire gli avversari davanti a lui.
Uno di questi, che è stato sfiorato dal calcio del mutante, si è sfilato il
fucile dalla spalla.
“Stai buono!”
Col calcio dell’arma, ha assestato un forte colpo nel centro
del piastrone della tartaruga.
“Uh!” Michelangelo si è piegato in avanti, ed i polmoni si
sono svuotati mentre il calore del dolore si è irradiato sullo stomaco. Ok, questo ha fatto male. Ma vale la pena
ritentare…
Stava per scalciare ancora, quando ha sentito un sibilo
nell’aria ed entrambi gli uomini ai suoi fianchi l’hanno mollato.
Ha girato la testa ed ha guardato prima un uomo e poi
l’altro, e la sua espressione stupita non ha potuto non trasformarsi in un
piccolo sorriso: shuriken!
Dalle braccia dei soldati spuntavano quattro brillanti stelle
ninja; nell’ acciaio scuro si poteva nettamente distinguere una figura
pentalobata, l’inconfondibile simbolo del clan Hamato.
Michelangelo non ha perso tempo, ha approfittato
dell’improvvisa libertà per scagliarsi contro gli uomini in piedi davanti a
lui: il fatto di avere le mani legate non ha impedito al più giovane dei
fratelli Hamato di atterrare velocemente tre avversari, con una testata e due
calci. Durante la sua fulminea azione la furia arancione ha intravisto una
massa verde passargli rapidamente accanto ed arrivare contro gli uomini rimasti
alle sue spalle; quando si è girato, ha potuto constatare che suo fratello Raph
stava avendo facilmente la meglio contro il piccolo manipolo di soldati in
nero.
A Michelangelo è venuta in mente la frase sentita tante
volte nelle sue serie tv preferite, ‘non
sono mai stato più contento di vederti’ ed ha pensato che effettivamente,
nonostante lui fosse sempre contento di vedere Raph, questa volta era davvero molto molto contento.
Il suo fratellone gli aveva salvato il guscio ancora una
volta, ed adesso era lì che metteva fuori gioco l’ultimo uomo rimasto in piedi
trafiggendogli il braccio che brandiva un coltello con la punta di un suo sai.
Michelangelo ha distolto lo sguardo nauseato, sentendosi per l’ennesima volta
un perfetto cretino per essere l’unico ninja al mondo ad aver paura del sangue;
ma la violenza che stava usando Raph era inusuale nei loro combattimenti e
lontana dagli insegnamenti del loro sensei, che li aveva istruiti sulle
tecniche per mettere fuori gioco gli avversari causando loro il minimo danno.
Raffaello, invece, ha lottato con furia e ferocia. A
Michelangelo ha ricordato quasi l’aggressività di un… animale.
Il rosso si è guardato intorno sbuffando, e visti tutti i
nemici a terra è accorso dal fratello ed ha iniziato a liberarlo dalle corde
che gli legavano i polsi.
“Mikey, stai bene? Dov’è Donnie?”
“Io sono a posto. Donnie è nascosto su un albero; da questa
parte, vieni.”
Le due tartarughe sono corse velocemente sotto l’albero sul
quale si erano arrampicati prima i due fratelli minori.
Michelangelo ha alzato la testa verso le fronde. “È qua
sopra…”
“Donnie! Siamo noi, scendi, presto!” ha gridato la tartaruga
mascherata in rosso alla volta dei rami; il silenzio e la furtività erano
andati ormai a farsi benedire, dopo lo scontro. Dovevano solo scappare da quel
posto prima che arrivassero gli altri uomini.
“Raph?” Una voce titubante si è sentita dall’alto.
“Ehm, Raph, dobbiamo salire noi, Donnie non può scendere…”
“Cosa?” Raffaello si è girato di scatto verso Michelangelo,
poi ha fatto un suono con la gola, quasi un ruggito di rabbia, quando ha
compreso il perché; Michelangelo ha fatto un passo indietro, spaventato dallo
stato di assoluta ferocia in cui si trovava il fratello: Raph era sempre
aggressivo, ma vederlo talmente furioso era uno spettacolo terrificante.
Il mutante in rosso ha fatto un balzo ed ha iniziato ad
arrampicarsi sull’albero.
“Vado a prenderlo, aspettami qui.”
Pochi agili scatti, e si è ritrovato sulla biforcazione
dov’era seduto Donatello, con le gambe penzoloni, la testa poggiata contro il
tronco alle sue spalle, il braccio sano a cullare quello che portava al collo.
“R…Raph!” Gli occhi nocciola si sono illuminati dietro il
velo opaco della sofferenza.
Raffaello si è issato sul ramo e si è avvicinato a Donatello,
studiando il modo di prenderlo: il fratello che aveva davanti era in condizioni
pietose.
“Dio Santo, Donnie…”
Ha fissato i segni sulla pelle di suo fratello. La pelle di Donnie
era per natura più chiara della sua, dalla tonalità leggermente più calda; se la
sua si sarebbe potuta definire un verde foglia, quella di Donnie era più un
verde oliva. Raffaello ricordava quando da bambini giocavano a paragonare il tono
delle loro carnagioni. Mettevano le loro piccole braccia l’una vicino all’altra
e creavano una curiosa scala cromatica, a partire dal verde smeraldo, il più
intenso, di Leo, fino al tenue verde che tendeva al giallo di Mikey.
Adesso, la pelle di Donnie era invece uno scuro pasticcio di
macchie e lividi. Contro il verde spiccavano il viola delle numerosi ecchimosi,
ed il rosso di molteplici piccole abrasioni. Il volto del fratello era tumefatto
e sporco del sangue di una ferita alla fronte, che gli aveva impregnato la
maschera; un occhio era chiuso dal gonfiore cianotico, il lato della bocca era
spaccato, tracce di sangue gli macchiavano il piastrone. Il braccio che portava
al collo in una fionda di tessuto nero era piegato in un angolo innaturale.
Donatello respirava pesantemente e tremava, nell’evidente dolore.
Raffaello ha sentito le mani formicolargli, la rabbia
togliergli quasi il respiro: l’avevano pestato a sangue.
“Ce la fai ad aggrapparti?”
Il viola ha annuito, iniziando ad alzarsi; Raffaello l’ha
aiutato e se lo è caricato sulle spalle, provocando nell’operazione soffocati mugolii;
è sceso giù, con difficoltà: si è chiesto stupito come Mikey, pur essendo meno
forte di lui, fosse riuscito a trascinarsi il fratello sull’albero.
Una volta a terra, ha fatto un cenno all’ arancione, che
scrutava guardingo il bosco circostanze, ed ha iniziato a correre con Donatello
sul guscio, in direzione dello
Shellraiser, nascosto a qualche miglio dalla loro posizione.
Raffaello correva come il vento, seguito da Michelangelo, scansando
gli alberi, saltando tra i piccoli avvallamenti del sottobosco; il peso del
fratello sul guscio non era indifferente, ma per fortuna Donatello era il più
leggero tra loro quattro. Nella corsa, poteva sentire il suo ansimare, ed il suo
gemere piano, al quale cercava di non pensare.
Al momento, cercava di non pensare proprio a niente, tranne
al fatto che doveva riportare il più velocemente possibile i fratelli a casa.
Poi, avrebbe pensato anche a riversare sui responsabili di tutto questo la sua
rabbia, che cresciuta come un fiume in piena adesso premeva contro le ultime
restrizioni.
Avrebbe portato i suoi fratelli al sicuro, e poi avrebbe
cercato questi uomini.
Avrebbe cercato l’uomo dagli occhi grigi. Che aveva
massacrato Donnie. Che aveva… Leo…
Raffaello ha ringhiato. Come un animale.
N/A Scusate il ritardo! Ieri
non ho avuto proprio tempo neanche per respirare ( e _Bara no Yami_ sa che non è piacevole non respirare…), e nei
prossimi giorni si sono messi in testa che devo lavorare. Cose inaudite, che
mondo… Forse salterò ancora. Chiedo venia, flagellandomi. La storia è strafinita,
tranqui (come suona giovane), ma prima di pubblicare voglio rileggere ogni
capitolo ancora una volta. Chiedo scusa anche per “l’infeltrimento” di alcuni
capitoli, a dirla come ToraStrife.
Penso che “maledetta pusher di emozioni” sia la frase più bella che un uomo
possa dire ad una donna, dopo “ecco il mio bancomat, comprati quello che vuoi”;
me la farò tatuare.
Comunque per sfatare le superstizioni, il 17 porta bene, o
almeno porta Raph. Buon per lui perché qui ormai erano tutti pronti a fargli il
guscio… Baci a raffica, oltre ai sopracitati, anche naturalmente alla mia imoto
NightWatcher96, alla ragazza col
bazooka SerBarbs (essendo una
cinefila da due soldi conosco Zimmer; rimedierò subito riguardo agli altri), a Conn/Uccello del Tuono (recensione in
poesia! ^_^), lil sis LisaBelle99 (Salute!
Alla mitica Cartoonkeeper8 l’ho
confessato: lavoro per la Scottex XD ), CatWarrior
(signora le turtles gliele incarto o le porta via così?), Piwy (scritturata per The Expendables
4). I love you so much.
Un abbraccio grande quanto la muraglia cinese (se volete che
sia più precisa: 8852 chilometri). Ciao! :*
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Capitolo 18 *** Strada ***
Cap 18
“Assassin is born”
Muse, Assassin
“Eccoli!”
“Sono in tre!”
Alle grida degli umani alle loro spalle sono seguiti alcuni
dardi narcotizzanti che si sono piantati nella corteccia degli alberi.
“Uh, Raph…”
“C… corri, Mikey, corri!”
Michelangelo si era fermato un attimo, girandosi a guardare per dietro.
“Possiamo fermarli, Raph! Sono solo sei… ehm no, una
dozzina… uh… anche di più…”
“Ho… ho detto di… correre! Siamo quasi… arrivati allo
Shellraiser.”
La tartaruga in arancione ha ripreso a correre, raggiungendo
nuovamente il fratello che ansimando dalla fatica continuava a filare con
Donatello sul guscio. Si è messo subito dietro di loro, ed è stato sfiorato da
uno dei dardi che gli inseguitori continuavano a sparare nella loro direzione.
Per fortuna li volevano vivi, fossero state pallottole sarebbe stato ancora
meno divertente...
All’improvviso Michelangelo ha sentito qualcosa bloccargli
le gambe, ed è finito rovinosamente a terra, frenando la sua caduta con le
mani. Si è girato a sedere, ed ha visto le caviglie unite dalle forti corde di
un paio di bolas.
“Raphhh!”
Il mutante mascherato in rosso si è bloccato, ha imprecato ed ha mollato giù
Donatello, per correre ad inginocchiarsi al fianco di Michelangelo.
I soldati erano ormai vicini.
“Prendi Donnie e vai, siamo quasi arrivati, lo Shellraiser è
dopo quei cespugli laggiù.” Ha ordinato al fratello mentre finiva di recidere
la corda delle bolas.
“Ma…” L’arancione si è rialzato in piedi.
“VAI! Io li rallento e vi raggiungo.”
Raffaello ha sfoderato i sai, e si è messo in posizione. I
primi uomini erano ormai a pochi piedi. Michelangelo ha obbedito suo malgrado, ha
afferrato Donatello, e issandolo per l’ennesima volta sul guscio ha ripreso a
correre verso la direzione indicata dal fratello.
Il rosso ha impostato il corpo, tutti i muscoli pronti alla
battaglia, ha fatto un rumore basso, con la gola, ha stretto gli occhi a due
fessure fiammeggianti ed ha guardato gli uomini avvicinarsi. Erano forse una
ventina.
Ha abbattuto con un solo colpo , col manico dei sai, i primi
due che l’hanno raggiunto, poi ha tirato un calcio ad un altro, ed ancora un
colpo col manico. Un salto, un calcio volante, un paio di pugni.
Messo giù il primo gruppetto d’inseguitori, si è girato ed
ha ripreso a correre verso lo Shellraiser, nella zona dove gli alberi erano più
diradati; un altro gruppo di soldati, più nutrito, l’ha raggiunto a metà
strada, ha cercato di colpirlo, di agguantarlo. Raffaello si è fermato ancora a
combattere, tirando all’impazzata, con poca attenzione alla tecnica e molta
ferocia: ha iniziato a colpire, stavolta con le punte dei sai, ferendo i suoi
aggressori al viso, alle braccia, alle spalle; schivava, calciava, era una
furia verde e rossa.
Atterrati anche questi, ha percorso le ultime decine di
piedi verso il veicolo, sul quale erano appena saliti Michelangelo e Donatello:
altri nemici correvano verso di loro.
“Mikey, metti in moto!” ha gridato compiendo gli ultimi
passi, ed è saltato per afferrare il portellone dello Shellraiser.
“Rosso!”
Raffaello è congelato, al suono di quella voce. Si è
bloccato, ormai a bordo, davanti al portellone ancora aperto, mentre il
fratello in arancione si sedeva al posto guida, e si è girato verso gli
inseguitori.
Ha visto, insieme alle altre decine di uomini che li incalzavano,
il capo in mezzo a loro. Erano a meno di cento piedi di distanza. Alcuni hanno
preso la mira con i fucili e sparato alcuni colpi per cercare di colpire le
ruote del corazzato. Lo Shellraiser ha iniziato a muoversi, tra gli alberi.
L’uomo dagli occhi grigi, fermo, ha gridato ancora verso di
loro.
“Rosso! Tuo fratello non ce la farà!”
Raffaello si è sentito ribollire il sangue. Improvvisamente,
l’unica cosa che sembrava aver importanza era gettarsi contro quell’essere
abbietto e cavargli fuori gli occhi dalle orbite. Si è teso contro l’uscita,
pronto a balzare nuovamente giù.
“R… Raph…”
Ha abbassato lo sguardo, a cercare Donatello che, seduto sul
fondo del veicolo, l’aveva chiamato. Il silenzioso appello nelle iridi del
fratello l’ha fatto tornare in sé.
Ha continuato a guardare gli occhi nocciola del genio,
sofferenti ed imploranti, mentre la voce fuori seguitava a gridare:
“Domani a mezzanotte, al molo sette!”
Raffaello ha infine alzato nuovamente lo sguardo verso
Kurtis. Per un secondo, mentre lo Shellraiser si allontanava, ha incrociato i
suoi occhi. L’uomo, ormai lontano, ha annuito piano, come a sigillare un patto.
Adesso, la parte razionale di Raffaello sapeva quello che stava
cercando di fare il suo avversario. Poiché aveva capito che ormai gli erano
scappati, impossibilitato a raggiungerli, ha cercato prima di fargli perdere la
calma, e poi, come ultimo disperato tentativo, ha tentato di adescarlo in una
trappola. Puntando sul desiderio di vendetta, ha provato anche l’ultima
effimera strategia in suo possesso.
Raffaello sapeva che nessun essere intelligente si sarebbe
volontariamente presentato ad un appuntamento del genere. Inoltre, Leonardo
sarebbe guarito, giusto?
Ma un’altra parte di lui ha accarezzato quell’informazione,
l’ha cullata nella sua rabbia, l’ha tenuta stretta a sé nel fuoco che
tormentava le sue viscere.
Il mutante mascherato in rosso ha chiuso con un grugnito il
portellone dello Shellraiser. Ancora ansimante per la lotta, stordito dalla collera,
ha sentito l’involontario bisogno di scaricare parte del fiume di veleno che lo
strava travolgendo su qualcuno. E quel qualcuno era il fratellino alla guida,
che sfrecciava attento tra gli alberi.
“TU!” Raffaello ha stretto i pugni e se li è portati alla
testa. “Quale parte del ‘non fare niente
ed aspettami’ non hai capito?”
Michelangelo si è irrigidito, ma non si è voltato. Raffaello
gli si è avvicinato, e tenendosi dal suo sedile, ha continuato a gridargli
contro.
“Se non vi avessi raggiunto in tempo, sareste stati
catturati tutti e due! Ma cosa passa per quella tua testa vuota! Idiota!”
Il minore si è girato un attimo, poi ha rivolto nuovamente
la sua attenzione alla strada, palesemente preoccupato. Raffaello l’avrebbe
colpito anche se stava guidando?
Lo Shellraiser è sobbalzato immettendosi nella strada
asfaltata.
“Scusa Raph, ma…”
“ZITTO! Dovevi solo seguirli ed aspettarmi! Solo ASPETTARMI!
Era tanto difficile? Non si può fare affidamento, su di te!” Raffaello ha
alzato un pugno in alto, le gote rosse dall’ira, pronto a colpire. “Sei un
incapace!”
“R… Raph, lascialo stare.” La voce di Donatello è stata
appena un sussurro, ma si è sentita più forte di un grido.
Raffaello ha abbassato il braccio, e si è girato verso il viola,
ancora rannicchiato a terra. Donatello l’ha guardato, poi ha richiuso gli
occhi, ansimando e stringendo il braccio rotto al petto.
Michelangelo ha mormorato piano, continuando a tenere lo
sguardo sulla strada.
“Scusa, Raph. Ma l’ho sentito urlare ed io… Uhm, io…”
Il silenzio è sceso nell’abitacolo. Raffaello si è sentito
improvvisamente svuotato, la rabbia scemata, ogni energia lavata via. Il tono insolitamente
dimesso di Mikey, la forma sofferente di Donnie seduto per terra…
La tristezza ed il senso di colpa per non aver saputo
difendere i fratelli minori lo hanno aggredito nuovamente. Le sue spalle sono
crollate, si è avvicinato a Donatello e gli si è inginocchiato davanti.
Ha ispezionato i lividi e le escoriazioni, poi ha cercato di
sfiorargli il braccio.
“Fai vedere.”
Donatello si è ritirato.
“No, Raph. Non posso muoverlo. Lo curerò a casa. Ho una
frattura esposta”ha spiegato ansimando.
“Com’è successo?”
Il viola ha abbozzato un sorriso sofferente.
“Ha incontrato il martello del tuo amico Kurtis.”
Raffaello ha inveito sottovoce, ha chiuso gli occhi e fatto
un profondo respiro, per calmarsi. No, non poteva farsi prendere nuovamente
dalla rabbia.
“Per fortuna Mikey è arrivato in tempo per salvarmi l’altro
braccio.”
Hanno alzato entrambi lo sguardo al guidatore che è rimasto
stranamente zitto e tranquillo.
“Ok. Ti darò qualcosa per il dolore.” Ha iniziato ad
alzarsi, per prendere la cassetta del pronto soccorso.
“No, Raph.”
Donatello l’ha trattenuto.
“Raph, nello
Shellraiser abbiamo solo la morfina, e non va bene. – Ha scosso la testa – Mi
intorpidirebbe i sensi. Ed io voglio essere ben sveglio.”
Raffaello l’ha guardato stupito, non capendo perché il
fratello, che parlava a fatica, volesse continuare a soffrire.
Il mutante mascherato in viola ha indicato la borraccia che
teneva al collo.
“Ho preso un po’ di sangue ad uno dei mercenari.”
Il rosso l’ha guardato sempre più perplesso, e Donatello ha
continuato accennando un piccolo sorriso divertito.
“Mi hanno toccato, Raph, nonostante fossi sporco del mio
sangue. Ho perfino morso uno dei soldati. Come facevano ad essere sicuri che io
non fossi infetto, dopo aver contagiato Leo? Non potevano. Quindi, vi è una
sola spiegazione. Sono vaccinati. – La luce della speranza gli ha rischiarato
un po’ lo sguardo sofferente. – Sono vaccinati contro quel virus. Da questo
sangue posso ricavare una cura per Leo.”
“Davvero? Puoi
salvarlo?” La tartaruga in rosso si è come illuminata di gioia. Improvvisamente
tutta la rabbia e la stanchezza hanno lasciato i suoi lineamenti.
Donatello si è subito pentito per aver alimentato troppo le
speranze di Raffaello e di Michelangelo che davanti aveva ascoltato tutto.
“Forse sì. – Poi, ha abbassato la voce, ed ha aggiunto con
gli occhi nuovamente tristi e stanchi. – Ma aspettiamo a festeggiare, Raph.
Potrebbe essere troppo tardi.”
“Ti ho sentito, Donnie.”
Come Michelangelo potesse continuare ad avere un udito
finissimo, nonostante la musica che si sparava a tutto volume nelle cuffie,
facendosi rimproverare da Splinter, restava per Donatello un mistero.
Lo Shellraiser sfrecciava sull’asfalto, il sole ormai alto
sopra gli alberi si rifletteva sul vetro dello stretto visore. Qualche
automobilista, incrociando la loro strada, girava la testa a guardare stupito il
variopinto carrozzato ricavato da un vecchio vagone della metropolitana.
Raffaello si è alzato, ed è andato al posto di guida.
“Guido io.”
Michelangelo ha rallentato e gli ha ceduto i comandi, senza commentare.
Il fratello maggiore si è seduto velocemente, con il veicolo
ancora in modo. Ha squadrato i monitor di visione. A quell’ora del mattino, le
strade erano percorse da altre automobili. Dovevano tenere un basso profilo.
Impensabile entrare a Manhattan di giorno con lo Shellraiser, avrebbero dovuto
imboccare il vecchio tunnel periferico della metropolitana che aveva trovato
Donnie qualche mese fa.
Ma ancora ci sarebbero volute almeno un paio d’ore prima di
tornare alla tana.
Ha tirato fuori dalla cintura il T-Phone di Michelangelo, e
gliel’ha passato.
“Questo è tuo. Vedi di non perderti più niente.”
“Uh, grazie…”
“Chiama Sensei e poi April, prima che alla fidanzata di
Donnie venga un infarto.”
“Lei non è la mia fid…” Donatello si è fermato, ed ha sospirato.
Era troppo stanco anche per scherzare. Tutto il corpo gli faceva male. La testa
gli pulsava ed il dolore al braccio si trasmetteva in calde ondate bianche. Ha
pensato alla morfina nella cassetta dei medicinali desiderandola ardentemente.
Ma sapeva di dover resistere. Ha cercato di concentrarsi
sulle operazioni da fare in laboratorio una volta arrivati a casa. Nella sua
mente, formule e procedure hanno iniziato a materializzarsi. Aveva tanto lavoro
da fare, e sperava di riuscirci, in queste condizioni.
Doveva tentare, costi quel che costi. Sapeva che da lui
dipendevano le ultime speranze per la vita di Leo.
Sempre che non fosse troppo tardi.
N/A Lo so, lo so,
non faccio altro che ripetere le stesse cose. Ma veramente, non ho idea come
dichiaravi la mia gratitudine in un modo meno banale. L’affetto con cui state
seguendo la mia storia mi lascia sempre piacevolmente stupita. Le tantissime
visualizzazioni e recensioni mi fanno… mi fanno. Boh.
Mi fanno scialare
(traduzione internazionale per scialo:
enjoy ^_^ ) a dirla come la mia Cartoonkeeper8.
Sorella LisaBelle99, anch’io ho
odiato April, è stata proprio una stronza di prima categoria: se finisce con
Casey invio una busta con due sputi alla Nickelodeon. Cioè, lascia un genio per
uno che in questa serie, ha ragione _Bara
no Yami_, è pure brutto? Ah no, belli miei, nelle mie storie li faccio
mettere insieme (a costo di accoppare poi April XD). Riguardo alla serie 2k12,
pronti per domani? Leuccio nostro abbacchiato e senza maschera è l’espressione
tartarughesca della pucciosità…
Basta chiacchierare LaraPink, focus. Oltre a le fanciulle di
cui sopra grazissimissime a HellenBack
(me gusta il nuovo nik!), al videoludico ToraStrife
(io sono ignorantona a proposito, ho giocato solo con Out of the Shadows.
Suggerimenti sarebbero molto graditi ^_^), imoto NightWatcher96, SerBarbs e
il suo bazooka, l’omerica Piwy, la
sempre grande Ladyzaphira, e la mia personal
neko CatWarrior (cara, grazie, sei
di una gentilezza unica, ti mangerei a baci. Quindi attenta che ho fame).
Un abbraccio grande quanto la distanza che lo Shellraiser
sta percorrendo per tornare alla tana. :*
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Capitolo 19 *** Dormire ***
Cap 19
Jennifer Thomas, The
Tempest
Raffaello ha aiutato Donatello a scendere dallo Shellraiser,
e dall’entrata diretta in laboratorio si sono recati nella stanza di Leonardo;
Michelangelo li ha seguiti.
Il mutante in rosso ha continuato a sostenere il fratello
mascherato in viola, entrando nella stanza; l’arancione è rimasto sulla soglia,
appoggiato allo stipite.
“Bentornati, figli miei.”
Splinter si è alzato dalla sedia, e si è avvicinato ai
ragazzi. Il suo pelo era arruffato, il suo kimono presentava ancora macchie di
umidità; i suoi occhi erano rossi e stanchi. Le tartarughe non avevano mai
visto il loro maestro così in disordine. Anche l’aspetto, solitamente fiero ed
impettito, adesso appariva curvo e malfermo. Hamato Yoshi non dormiva che pochi
minuti alla volta, seduto accanto al letto di suo figlio, da ormai tre giorni.
Ha squadrato l’adolescente ferito, visibilmente
preoccupato; gli ha sfiorato piano con la mano villosa il braccio livido.
“Figlio mio… Cosa ti hanno fatto?”
Donatello ha alzato il braccio sano a toccargli la mano, in
un’inconscia sollecitazione al conforto: adesso era a casa, da suo padre. L’ha
guardato con occhi stanchi.
“Sto bene, Sensei. Leo?”
Splinter non ha risposto, non vi era niente da dire che non
si vedesse chiaramente. Hanno tutti abbassato lo sguardo sul malato, che
dormiva respirando rumorosamente, e lamentandosi piano nel sonno. Sulla pelle
sudata si notavano adesso nettamente i piccoli segni rossi dei capillari
sanguigni. I lati della bocca e le palpebre erano insolitamente scuri, e
profonde occhiaie nere segnavano gli occhi.
Donatello ha osservato le piccole pozze d’acqua per terra,
la flebo gocciolare piano fino all’ago nel dorso della pallida mano verde. Ha capito
tutte le disperate manovre del padre per abbassare la febbre.
“Sensei, ho bisogno d’aiuto per cercare di sintetizzare una
cura.”
Il suo maestro ha annuito. “Ti aiuterò io. Raffaello, resta
con Leonardo. Michelangelo, tu vai a riposare qualche ora. Poi vi darete il
cambio.”
Raffaello si è buttato pesantemente sulla sedia, incrociando
le braccia, sul viso un’espressione decisa. Michelangelo è scomparso subito,
quasi troppo ansioso di allontanarsi da lì.
Splinter si è avvicinato a Donatello, che si è aggrappato a
lui per sostenersi; il viola sperava proprio nell’aiuto del suo sensei, il più
indicato a seguirlo nelle lunghe operazioni di laboratorio, anche se temeva che
il maturo mutante fosse troppo stanco. Poi, ha considerato che suo padre era
Hamato Yoshi, il più forte ninja mai apparso sulla terra, e se qualcuno al
mondo poteva sopportare stress e stanchezza, ebbene, quello era lui.
L’uomo ratto da parte sua ha avuto per un momento la
tentazione di prendere il figlio in braccio, alla vista del suo corpo malconcio,
per portarlo lui stesso in laboratorio. Ma non l’ha fatto: sarebbe stato un
disonore per il ragazzo. Doveva ricordarsi che ormai erano forti ninja, non più
bambini indifesi.
Gli si è stretto il cuore al pensiero che Donatello, il
quale aveva evidentemente bisogno di cure mediche, avrebbe dovuto mettersi a
lavorare; sentiva il respiro pesante del figlio aggrappato al suo braccio, con
la sua fredda mano verde, leggermente sporca di sangue, stretta alla sua
pelliccia, e capiva che era sfiancato e molto sofferente.
Ma aveva fiducia in questo suo figlio coraggioso. Era fiero,
del suo Donatello. Ed adesso riponeva in lui tutte le sue speranze.
…
Kurtis ha finito di impartire gli ordini ai suoi soldati,
disposti intorno al tavolo. Fuori dalla finestra, un uccello cantava dagli
alberi del bosco.
Ha congedato gli uomini, ed è rimasto a guardare la cartina
del porto. Aveva un giorno e mezzo per preparare la sua trappola. Quella
sarebbe stata la sua ultima possibilità.
Ha tirato fuori il suo pugnale, e l’ha piantato con rabbia
nel punto che indicava il molo sette. Ha respirato piano, per calmarsi.
Era furioso, tutto era andato storto. Si era fatto sfuggire
ancora una volta quei mostri. Tre giovani mutanti erano riusciti a mettere in
scacco i suoi uomini, che aveva personalmente scelto ed addestrato tra i più
forti e pericolosi criminali e militari di tutti gli Stati Uniti.
E lui, che aveva messo in gioco la sua credibilità ed il suo
stesso destino, adesso vedeva profilarsi da lontano il freddo bagliore del fallimento.
No. Lui non poteva fallire. Lui non falliva mai. Lui non era
un incapace. Suo padre si sbagliava. Lo aveva gridato in faccia al suo vecchio,
quando gli aveva tagliato la gola.
Non avrebbe fallito, perché il rosso si sarebbe presentato
all’appuntamento. Il blu secondo i suoi calcoli sarebbe morto entro poche ore,
o forse era già morto in quel momento. Ed il rosso sarebbe andato da lui, oh
sì, lo sapeva.
Lo aveva letto negli occhi del mostro, mentre questi fuggiva.
Dietro quelle iridi verdi, aveva visto il tormento, e l’odio. Aveva
riconosciuto il richiamo rosso della vendetta. Aveva scrutato l’animale che
voleva sbranare l’uomo per difendere il suo branco. Aveva perfino scovato
qualcosa di sé stesso, in quello sguardo: l’inquietudine della morte, la
tortura di un animo che anelava la sofferenza per placare il vuoto.
Ha deciso. Avrebbe tenuto il rosso per sé.
D’altronde, gli accordi con Shredder parlavano di almeno una
tartaruga, in condizioni di esprimersi. Avrebbe pagato molto di meno, ma si sarebbe
accontentato di una.
Ancora, poteva salvare la situazione. Catturato il rosso,
l’avrebbe fatto parlare. Con lui tutti parlavano, prima o poi. L’avrebbe
drogato e torturato, senza ucciderlo, senza danneggiarlo troppo. Avrebbe poi
ripreso il viola e l’arancione per il pazzo giapponese e per il Governo.
Ma il rosso, sarebbe stato il suo schiavo. Adesso non
riusciva più a togliersi dalla mente gli occhi tormentati del mostro, e
l’impulso a farlo suo, a farlo soffrire, a farlo contorcere gridando sotto le
sue mani, sotto di lui, era ormai così forte da togliergli il fiato.
Sì, Kurtis, niente è perduto, si è detto. Un bravo soldato
si rialza, e sa che perdere una battaglia non vuol dire perdere la guerra.
Perché in guerra vince sempre il più forte, il più cattivo,
il più crudele. Questo era il vero segreto della guerra, e lui ne era un
maestro.
…
“Mhmm…”
Leonardo ha aperto gli occhi, a fatica. Raffaello è balzato,
sporgendosi dalla sedia, scuotendosi di dosso l’intorpidimento per essere
rimasto seduto immobile quasi sei ore. Credeva che Michelangelo sarebbe venuto
a dargli il cambio, al fianco di Leo, ma il fratellino non si era presentato.
Forse era stanco, e dormiva ancora. Non che Raffaello volesse allontanarsi da
lì, in ogni caso.
“Leo! Sei sveglio!”
Il mutante malato si è girato verso il fratello, senza
riuscire a metterlo a fuoco per qualche secondo.
“R… Raph…” I suoi occhi erano iniettati di sangue, la voce
un gemito rauco.
“Sono qui, fratello. Sono qui.” Raffaello gli ha preso la
mano nella sua, attento a non stringerla per non fargli male con l’ago della
flebo. Questo gesto tenero è stato istintivo; così inusuali tra di loro, tali
effusioni: Leonardo l’avrebbe preso per pazzo, in condizioni normali! Ma al
momento Raffaello l’ha sentita come la cosa più naturale al mondo.
Leonardo ha richiuso gli occhi, e per qualche minuto il
rosso ha pensato che si fosse nuovamente addormentato. Poi li ha riaperti ed ha
ripreso a parlare, con fatica.
“I… ragazzi?”
“Stanno tutti bene, Leo. Tutti a casa, al sicuro.”
La tartaruga più grande ha abbozzato un sorriso, che però si
è trasformato subito in una smorfia di dolore.
“Uhh…”
Ha iniziato a sopprimere dei gemiti, stringendo gli occhi e
digrignando i denti. Raffaello è saltato su dalla sedia.
“Che succede Leo? Hai dolore?”
Leonardo ha dimenato la testa, ed il fratello ha capito che
soffriva, molto. Non sapeva che fare.
“Sensei! Sensei!” Raffaello si è affacciato alla porta, a
cercare aiuto, spaventato, e poi è corso a sedersi sul letto del fratello,
prendendogli entrambe le mani tra le sue. Era lacerante vedere Leonardo in
questo stato.
Splinter è arrivato in pochi secondi, fiondandosi dentro la
stanza. Ha scostato Raffaello con forza.
“Non lo toccare!”
Raffaello è rimasto mortificato, ai piedi del letto, con gli
occhi dilatati dall’angoscia. Il padre pensava forse che gli avesse fatto male
lui?
“Leonardo, figlio mio, mi senti? Che succede?” Splinter ha
visto l’adolescente contorcersi dal dolore, con gli occhi chiusi, sbuffando e
gemendo.
“Vai a chiamare Michelangelo e portalo qui.”
Il mutante in rosso è praticamente corso a fare ciò che gli aveva
ordinato il padre senza chiedere spiegazioni. Ha spalancato la porta della
camera del fratello minore, e l’ha visto sdraiato sul letto, con un braccio a
coprire il viso.
“Mikey! Alzati! Sensei ti vuole da Leo.”
L’arancione ha tolto il braccio dal viso, ma non si è mosso,
né alzato.
“Perché?”
Raffaello è rimasto a bocca aperta. Perché? Poi ha visto rosso. Si è lanciato sul fratello, l’ha
afferrato dal braccio e l’ha sbattuto a terra.
“Muoviti, idiota!”
“Va bene, va bene, vado!”
Michelangelo si è alzato piano e si è incamminato fuori
dalla porta, ma con poca convinzione.
Il rosso ha resistito per miracolo al desiderio di
sferrargli sul calcio sul guscio, e si è limitato ad una sgraziata spinta,
continuando a gridargli contro.
“Maledizione, Mikey! Cosa c’è che non va, in te?”
Cosa c’è che non va,
in me?
Michelangelo non lo sapeva. Sapeva solo che non sarebbe mai
voluto entrare nella stanza di Leonardo. Avrebbe preferito entrare nel covo di
Shredder. Ma ha cercato di farsi forza, perché sapeva che Raph altrimenti
l’avrebbe preso a calci. E sapeva anche che avrebbe fatto bene.
…
“Coma farmacologico?”
“Sì.”
Donatello ha abbassato lo sguardo dopo aver risposto ad un
allibito Raffaello.
“Ma non puoi dargli un calmante, e basta?”
“È già imbottito di calmanti, Raph!” Ha sbottato, alzando il
braccio sano. “Credi forse che mi faccia piacere, prendere una decisione del
genere! Leonardo potrebbe non…”
Si è fermato, riabbassando il braccio.
“Potrebbe non svegliarsi più” ha continuato per lui
Splinter, che insieme ai due figli da qualche minuto discuteva intorno al
tavolo del laboratorio. Aveva ordinato a Michelangelo di restare con Leonardo,
ed aveva portato con sé Raffaello in laboratorio da Donatello.
“Sì, Sensei” ha mormorato il viola, con la voce rotta. Si
sentiva crollare, ormai distrutto dalla fatica e stordito dal dolore. Faticava
a restare lucido. Adesso, stava lottando anche per trattenere le lacrime, che
sentiva pungere negli angoli degli occhi.
“Posso somministrargli tramite flebo una miscela di
barbiturici ed oppiacei. Oltre ad indurlo in uno stato d’incoscienza, per cui
non sentirebbe più dolore, rallenterebbe le sue funzioni vitali, ritardando un
poco l’avanzata della malattia. Si ridurrebbe inoltre l’afflusso di sangue al
cervello. Nelle sue condizioni il rischio di un’emorragia cranica è molto
elevato: riducendo il metabolismo cerebrale è probabile che il rischio si
riduca. Ma non è sicuro. Inoltre, non sono del tutto certo se posso basarmi
sulla posologia prescritta per gli umani: un errore potrebbe causare danni ancora più gravi.”
Il silenzio è sceso a fare a pugni contro l’urgenza
dell’azione. Tutti e tre sapevano che dovevano fare in fretta, che bisognava
ritornare a lavorare subito sul vaccino. Inoltre nel frattempo Leonardo stava
soffrendo, mentre loro erano bloccati in questo tremendo momento.
Le due tartarughe hanno alzato lo sguardo al loro padre.
Toccava a lui, prendere questa decisione.
Splinter ha chiuso gli occhi. Il peso sulle sue spalle ha
iniziato a premere il suo corpo stanco verso il basso. Era un forte ninja, era
un uomo che aveva passato prove indicibili nella vita, era un mutante che non
aveva paura di nessuno.
Ma adesso, aveva paura per suo figlio. In cuor suo sapeva
che l’unica decisione giusta era seguire le indicazioni di Donatello, e mettere
Leonardo in coma. Farlo dormire, ecco, era meglio se diceva a sé stesso farlo dormire. Forse avrebbe dato loro
un po’ più di tempo, e poiché il lavoro sul vaccino era ancora lungo, ormai per
Leonardo tutto si giocava sul filo del rasoio.
Inoltre, non poteva sopportare che il figlio patisse in quel
modo. Vederlo soffocare i gemiti tra i denti era per lui la peggiore delle
torture. Leonardo doveva smettere di soffrire.
D‘altronde, l’idea che potrebbe essere messo a dormire per
poi non svegliarsi più era qualcosa di atroce. Come avrebbe potuto resistere a
questo? Nessun padre avrebbe mai dovuto prendere una decisione del genere.
Ha visto Leonardo.
Davanti agli occhi, ha visto Leonardo ballare e scherzare
con i suoi fratelli, fiero per aver fermato l’invasione dei Kraang.
L’ha visto in piedi davanti a lui, nel dojo, quando gli aveva
messo una mano sulla spalla. “ Sei stato
molto in gamba, ragazzo mio.” Ed i suoi occhi blu si erano illuminati orgogliosi
per aver battuto il Re dei Topi.
L’ha visto tenere nelle mani per la prima volta le sue
katana.
L’ha visto sorridere da sopra la scala, felice di aver vinto
la sua paura delle altezze.
Ed infine, l’ha visto
piccolo, molto piccolo.
Indossava ancora il pannolino, ma lo guardava fiero poiché
aveva imitato un suo kata. Aveva imitato la
posizione del guerriero.
Un guerriero dovrebbe morire con la sua spada in mano,
lottando per l’onore e per la giustizia. Ma Splinter non augurava neanche
questa fine, ai suoi figli. Oh, no, seppur onorevole, per i suoi figli voleva
altro. Leonardo avrebbe dovuto lasciare questo mondo in tarda età, fiero e in
pace, salutando serenamente un’esistenza lunga e, per quanto la loro vita
glielo avrebbe permesso, felice.
Non dovrebbe finire così, non così. Non dovrebbe lasciare
questa terra in giovane età, soffrendo su un letto, a causa del vile attacco di
uno psicopatico.
Se il suo Leonardo, il suo piccolo forte e fiero Leonardo, se
ne sarebbe dovuto andare adesso, portando la luce della sua famiglia con lui, almeno
non sarebbe morto nel dolore.
Ha aperto gli occhi.
“Fallo, Donatello. Fallo dormire.”
N/A Rieccoci da
Leo. Eh, altre abbondanti dosi di angst. Silos di angst ^^' Adesso
lasciate perdere la storia ed andate a leggervi le recensioni. Fidatevi, sono
meglio. Perché le ragazze non si accontentano di dire “è bellino”, no, no, loro
scomodano niente poco di meno che Kant ed Aristotele (Cartoonkeeper8 e _Bara no
Yami_). Porca Pucca. Stima profonda, ragazze!!!
Alla prima: il pegno è svelare qual’era il tuo “piano” XD, comunque sempre
lettrice di menti sei perché hai citato una cosa che… poi vedrai ;) Alla
seconda, concordo sulla stima per quel pazzoide di Greg Cipes, e credo che in
generale i dialoghi inglesi abbiano qualcosa in più (il grido “Leonardo!” di
Sean Austin nella fuga dal Technodrome è teatrale, ricco di pathos), senza
nulla togliere al doppiaggio italiano: Alessandro Rossi (la voce italiana del
mio mito vivente Patrick Stewart) e Luca Ward hanno reso epico lo scontro
Splinter/Shredder. Sorellina LisaBelle99
mettiamoci al lavoro e scriviamole noi delle belle storie Apritello
;) Sai, ho quasi pronta una storia con loro due, e Casey è
invece preso di mira da
qualcun altro... SerBarbs,
coccolatrice di bazooka, se poi mi mandi i tuoi sogni facciamo uno spin off di
Virus! :D Cara HellenBach, mi scuso
per aver sbagliato a scrivere ancora un tuo nick, mi sto prendendo a calci da
sola. Il fatto è che: 1 sono una testa di cavolo; 2 scrivo le note al volo e
sono infatti scritte con i piedi; 3 sono una testa di cavolo; 4… ho già detto
che sono una testa di cavolo? Piwy,
sei un tesoro come sempre, ma è tutto merito di Donnie: io non ci sarei mai
arrivata! XD Infine un bacio alla mia cara imoto NightWatcher96, sperando che i suoi problemi si risolvano presto.
Grazie ancora a tutti, e un abbraccio grande quanto la Mole
Antonelliana :*
|
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Capitolo 20 *** Addio ***
Cap 20
“I miss you so much boy
will we be coming on again”
Kashmir, Rocket Brothers
“Hai fame, fratello?”
“Scherzi, Leo? Io ho
sempre fame!”
“Che ne dici se
tornando a casa ci fermiamo dal signor Murakami per dei Pizza Gyoza?”
“E me lo domandi? Daiii!”
Il fratello mascherato
in blu gli ha fatto segno di seguirlo, e si è lanciato agile sul tetto di
fronte. Lui l’ha imitato, raggiante. Era felice di saltare tra i tetti, sotto il
cielo notturno di New York, che celava le stelle ma non era mai del tutto nero.
Amava stare con suo fratello Leo, che lo guidava, e lo proteggeva.
Leo, che era forte,
impavido.
Sano.
Michelangelo ha sbattuto gli occhi, che si stavano
riempiendo di lacrime. Farsi venire le lacrime era l’ultima cosa che doveva
fare. Ha messo da parte il suo sogno ad occhi aperti, ed è tornato alla realtà.
Solo che la realtà che aveva di fronte era spaventosa, orribile.
Il suo cervello gli ha implorato di ritornare nel mondo della fantasia, dove
non vi era tutto questo dolore. Ma lui ormai era lì, a guardare Leonardo
soffrire sul letto.
Il mutante più giovane era impietrito, appoggiato al muro.
Non riusciva a muoversi, a parlare. Non sapeva neanche se Leonardo fosse
cosciente della sua presenza. Sapeva che era sveglio, anche se temeva gli occhi
chiusi.
Leonardo ha dato un gemito un po’ più forte.
Michelangelo non ce la faceva più. Doveva andarsene da lì.
Da troppi minuti il suo sensei gli aveva ordinato di restare in quella stanza, a
tener d’occhio il suo fratellone che pativa le pene dell’inferno.
Oh, lui sapeva il perché: dovevano decidere qualcosa su
Leonardo. E lui era stato ancora una volta tagliato fuori. Ma non gli
importava. Per adesso gli importava solamente che qualcuno tornasse presto in
modo da poter fuggire da lì, allontanarsi il più velocemente possibile da quell’incubo.
Si è sentito piccolo, debole e stupido. Si è sentito
egoista. Ma non poteva guardare Leonardo in quello stato; non poteva, non ce la
faceva. Non era abbastanza coraggioso da guardare suo fratello lamentarsi nel
dolore. Perché Donnie non gli dava qualcosa? Perché lo lasciavano soffrire
così? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo smettere.
Ti prego fratello,
basta. Alzati da quel letto, e vieni a giocare. Ho qualche
trucco da mostrarti.
Michelangelo ha sentito le gocce d’acqua formarsi nelle
caruncole degli occhi. Ne ha raccolta una sulla punta di un dito, l’ha guardata
brillare sotto le luci artificiali della stanza; poi ha girato la testa verso
la porta, istintivamente, per controllare che nessuno fosse nei paraggi ad
accorgersi di questa sua debolezza.
Era per questo, che non voleva stare lì. Sapeva di non
essere forte come avrebbe dovuto, e di non poter aiutare nessuno. Voleva essere
lontano, da qualsiasi altra parte, e si sentiva molto in colpa al pensiero.
Cosa c’è di sbagliato,
in me?
Perché non riusciva ad essere forte, come Leo? Il suo
fratellone, che era abile, in gamba, che era il suo eroe. Un eroe vero, eh, non
come quelli di carta, un eroe che gli aveva salvato il guscio più volte.
Adesso, vedere il suo eroe in quello stato, gli faceva
paura. Era proprio terrorizzato. Niente lo spaventava di più. Al pensiero gli
scoiattoli mutanti erano innocui peluches, le lame di Shredder inutili
coltellini. La sua paura più grande era vedere qualcuno della sua famiglia in
pericolo, e non poter fare niente, come adesso.
Leo c’era sempre stato per aiutare lui, e lui non poteva
aiutare Leo.
Poi, un pensiero l’ha colpito. Sì, che poteva aiutare Leo.
Nel modo in cui era capace. Lui sapeva far stare bene i suoi fratelli, giusto?
Beh, sì, a volte li portava all’esasperazione, ma era solo un effetto
collaterale della voglia, grande, immensa, di stare con loro, della gioia di
vivere con la sua famiglia.
Anche se era un disastro totale in quasi tutte le altre
cose, se non riusciva a non toccare niente senza fare danni, se gli esperimenti
di Donnie esplodevano solo se lui li guardava, se non era stato neanche capace
di portare proprio il genio in salvo in quel bosco, ebbene, lì, in quel
momento, c’era qualcosa che lui poteva fare.
Ha staccato il guscio dal muro, ha fatto qualche passo verso
il letto. Cavoli, aveva le gambe di gelatina.
Si è seduto sulla sedia, ed ha preso la mano di Leonardo tra
le sue.
Il fratello maggiore ha aperto gli occhi e l’ha guardato. Le
iridi blu, oceani di dolore, erano circondate dalle cornee spaventosamente
rosse.
Michelangelo credeva di trovarlo in stato di semicoscienza,
ed invece ha trovato il suo sguardo vigile, e dietro il velo d’acqua, vi ha
letto tante cose, come se gli occhi del fratello fossero carta stampata. Vi ha
letto paura, stanchezza, e dolore, tanto dolore. Vi ha letto il desiderio che
lui non lo guardasse in quello stato ma anche la gratitudine per essere lì con
lui in quel momento.
A Michelangelo è bastato. Ha iniziato ad aiutarlo, come lui
sapeva fare. Gli ha parlato. Parlato parlato parlato. Di cose stupide, banali.
Di qualsiasi cosa, solo per distrarlo, o almeno per tentare di distrarlo. Non
gli ha detto le frasi sdolcinate che usavano nei film nei momenti drammatici.
Niente “ti voglio bene, fratello”.
Che stupidaggine! Certo che Leo sapeva che lui gli voleva bene! Se c’era una
cosa sulla quale tutti e quattro potevano giocarsi il guscio, era la certezza
che tra loro si volevano bene. Erano fratelli! Erano i migliori, i più grandi!
Erano i fratelli più strani mai esistiti, erano la famiglia disfunzionale più
speciale del mondo. Ed il bene che si volevano, beh, Michelangelo non avrebbe
saputo dire se l’universo sarebbe bastato a contenerlo tutto o se ci sarebbe
voluto un altro po’ di spazio.
Leonardo ha chiuso gli occhi, travolto dal mare di rumoroso
affetto. Michelangelo avrebbe potuto sbagliarsi, ma gli è sembrato che le
contrazioni del viso del fratello, sotto gli spasimi della sofferenza, fossero
diminuite d’intensità, e che forse i lati della bocca cercavano di abbozzare un
sorriso.
Poi, da un occhio chiuso del leader, una lacrima è scesa sul
cuscino.
Michelangelo si è fermato un attimo, ad osservare la piccola
macchia che la lacrima aveva prodotto e che si espandeva nel tessuto,
seguendone la trama finissima. Per un secondo, il suo cervello ha cercato di
elaborare ciò che aveva visto.
Poi, prima che se ne rendesse conto, si è staccato da Leo. Gli
ha mollato la mano ed è balzato via, semplicemente, senza pensarci. Se ci
avesse pensato non avrebbe mai fatto qualcosa di così stupido, no?
Ha iniziato ad urlare.
La macchia era rossa.
Michelangelo si è messo una mano sulla bocca, ma ormai il
danno era stato fatto.
Con la testa che gli girava, ha visto la scena che gli si
parava davanti come se lui non fosse lì; tutto era lontano, e confuso.
Raffaello e Splinter sono entrati nella stanza come due furie, qualcuno gli ha
chiesto cosa fosse successo, ma lui non ce l’ha fatta a rispondere, non
riuscendo a staccare il suo sguardo dalla macchia vermiglia che si ingrandiva,
adesso che Leonardo lacrimava sangue da entrambi gli occhi, guardandosi intorno
confuso e spaventato.
Leonardo ha alzato a fatica la mano per sfiorare le strisce
rosse sul suo viso, Splinter ha gridato concitato agli altri figli di non
toccarlo, non volendo che venissero a contatto col sangue infetto. L’arancione
ha iniziato a respirare velocemente, sempre più velocemente, si è fatto piccolo
contro la parete; i muri della stanza hanno iniziato a muoversi contro di lui,
quasi a volerlo schiacciare.
Michelangelo ha pensato che l’orrore dentro di lui avesse
raggiunto il suo limite, quando Leonardo ha iniziato a sanguinare anche dai
fori di respirazione. Splinter ha tamponato il sangue con lo straccio sul comodino,
e seduto sul letto di Leonardo ha preso a parlargli, per tranquillizzarlo, poi
si è girato verso Raffaello e gli ha ordinato qualcosa; il rosso è corso fuori
dalla stanza e dopo un poco è tornato sorreggendo Donatello.
Tutti si agitavano intorno al letto, e parlavano, ma
Michelangelo non riusciva a sentirli. Iperventilava, e macchie nere stavano
iniziando a correre davanti ai suoi occhi. Donatello ha inserito il contenuto
di una siringa nel flacone della flebo, poi si è fatto aiutare da Raffaello per
indossare un guanto nella mano destra, uno degli speciali guanti di gomma a tre
dita che lui stesso aveva creato, ed ha iniziato a visitare Leonardo,
inginocchiandosi accanto al letto con un gemito di dolore. Michelangelo ha
abbassato lo sguardo, ha notato che il fratello in viola non aveva ancora le
protezioni alle ginocchia, e che queste erano tutte tagli e lividi.
Altri piccoli particolari sono balzati alla sua attenzione,
come se volessero essere osservati tutti insieme. Le lenzuola appallottolate
cadute sul pavimento. A righe verdi e blu. Lo straccio sporco di sangue nel
catino sul comodino. L’acqua, che si faceva rosata, da piccoli riccioli purpurei
che partivano dallo straccio. Il riflesso della lampadina sulla cornice della foto
sul muro, che formava una semiluna bianca. Un livido sulla coscia di Donnie,
grosso, enorme, il più grande che avesse mai visto, viola come la sua maschera.
Michelangelo ha sentito formicolare le dita delle mani, e le
ha alzate per guardarle, ma la visione era ormai sfocata. Ha guardato
nuovamente Donnie, che gridava a Sensei qualcosa come lavare, lavarsi, ed ha
visto il padre uscire dalla stanza a malincuore, quindi il fratello mascherato
in viola ha chiesto qualcosa a lui, girandosi a guardarlo. Michelangelo ha
iniziato a sentire che le gambe si stavano piegando, ed il guscio ha strisciato
contro il muro mentre lui piano scendeva giù. Era una sensazione strana.
Qualcosa nel petto iniziava a stringersi. Ha visto Donnie allargare gli occhi e
gridare a Raph che si è girato a guardarlo anche lui.
Ha fatto in tempo ancora a vedere Raph che scattava verso di
lui tendendo le mani per sorreggerlo. Poi la stanza si è finalmente chiusa su sé
stessa e tutto è diventato nero.
…
Cosa lo tenesse ancora in piedi, davvero non lo sapeva.
Conosceva le miracolose prestazioni che l’adrenalina regalava anche al più
sfiancato dei corpi, ma non pensava che questo fosse il suo caso. Come
scienziato, sapeva che non poteva dare il merito a quel neurotrasmettitore,
poiché non avrebbe potuto sollecitare il sistema nervoso così a lungo con tanta
efficacia.
E che non venissero a parlargli di allenamento ninja, poiché
nel campo del lavoro sulla volontà lui era un disastro, all’incontrario di Leo.
E neppure di resistenza fisica, poiché era lontano mille miglia da Raph ed era
il più debole tra i fratelli. Quindi, per Donatello, il fatto che lui fosse lì,
cosciente, nonostante tutte le circostanze intorno a lui, restava un mistero.
Il suo corpo era talmente dolorante da far sì che per ogni movimento
dovesse lottare per soffocare i gemiti; il braccio, poi, ad ogni respiro
pulsava fuoco vivo nelle sue vene. Davvero, non avrebbe immaginato di poter
sopportare tanto dolore senza svenire; aveva preso un calmante così blando da
non aver quasi notato la differenza, e l’aveva preso perché si era convinto che
a quel punto niente avrebbe potuto stordirlo più del dolore stesso. Aveva
lavorato ore in laboratorio, e sapeva che il lavoro era ancora lungo; inoltre,
con un braccio solo le operazioni andavano a rilento, poiché spesso perdeva diversi
minuti a spiegare a Splinter come eseguire semplici manovre che lui avrebbe
compiuto in pochi secondi. Inoltre, nonostante le assicurazioni che aveva dato
a suo padre, quando prima in laboratorio gli aveva chiesto del suo braccio,
sapeva che più tempo passava, e maggiori sarebbero state le probabilità di non
avere un recupero completo. A questo punto, i tessuti ossei e muscolari stavano
iniziando a cicatrizzarsi a casaccio, in un pasticcio che più il tempo passava,
più sarebbe stato difficile sistemare.
Ma di questo, a lui, importava davvero poco. L’unica cosa
che importava, era riuscire a sintetizzare una cura per Leo. E questo era il
suo dolore peggiore. Sapeva, ed aveva fatto l’errore anche di dirlo alla sua
famiglia, che l’efficacia del vaccino sarebbe stata inversamente proporzionale
all’aggravarsi della malattia, e che, secondo manuale, l’inizio delle emorragie
nell’ebola segnava uno stato di decadimento fisico tale per cui non ci sarebbe
più stato niente da fare.
Ed ora, Leo aveva iniziato a sanguinare. La malattia era
già, inesorabilmente, arrivata al suo stadio finale. Se solo si fosse fermato a
riflettere su questa cosa, avrebbe smesso in quel momento di lavorare sulla cura.
Era ormai inutile.
Ma per una volta, il suo cervello si è rifiutato di
ragionare in termini scientifici, ed ha deciso di aggrapparsi alla speranza,
per quanto irrazionale. Perché altrimenti, non ce l’avrebbe fatta a sopportare
tutto questo.
Leo sul punto di morte. Dolore intollerabile. Ed adesso
Mikey stramazzato a terra.
Senza alzarsi, camminando sulle ginocchia, si è allontanato
dal letto, raggiungendo Mikey tra le braccia di Raph, si è sfilato il guanto,
tenendo il bordo con i denti e rivoltandolo al rovescio, ed ha tastato il polso
al fratello inconscio, quindi gli ha controllato l’occhio.
“Portalo in infermeria e fallo sdraiare con i piedi in alto,
tra poco vengo a controllarlo. Credo abbia avuto un attacco di panico.
Tranquillo, Raph, non è niente.”
Raffaello, che fino a quel momento lo aveva guardato con gli
occhi pieni di spavento, si è rilassato
un po’, ha preso il fratello in braccio come una sposa e l’ha portato fuori.
Donatello è potuto tornare da Leonardo, che lo guardava,
sveglio. Ha notato subito che si stava rilassando, i muscoli del viso
finalmente distesi. In pochi minuti, i farmaci l’avrebbero addormentato.
“M…ik…” ha bisbigliato piano, ma Donatello ha capito la
domanda.
“Sta bene, Leo, non preoccuparti. È emofobico, ricordi? Ha
visto qualche goccia di sangue ed è cascato come una pera cotta.” Ha cercato di
minimizzare e scherzare, ma non era sicuro che Leo avesse sentito tutto.
Gli occhi blu iniziavano a chiudersi piano. Giù lentamente,
per poi rialzarsi un po’ e tornare ancora giù, le palpebre stanche hanno
svolazzato come ali di una farfalla morente. Con un tuffo al cuore, Donatello
ha realizzato che forse quegli amati occhi blu, che l’avevano accompagnato,
amici, presenti, per tutta la vita, forse non li avrebbe mai più visti aperti.
Ha sentito un dolore ancora più forte, stavolta non fisico, ma molto più
straziante, nel petto, proprio sotto il piastrone. Un nodo gli è salito in
gola. Improvvisamente, avrebbe voluto dire a suo fratello tante cose. Subito. Avrebbe
voluto fargli sapere quanto lo stimasse, quanto gli fosse grato per tutto
quello che aveva fatto per lui. Ha valutato con orrore che non sarebbero
bastate ore, né giorni, per tutto ciò che voleva dirgli. Avrebbe voluto
commentare e ricordare aneddoti della loro infanzia. Confrontarsi per alcune
teorie sulla dimensione X. Parlargli dei suoi sentimenti per April. Ma non
c’era tempo, non c’era più tempo.
Ha sentito entrare Splinter, che si è messo dietro di lui, e
gli ha poggiato una mano sulla spalla.
Donatello ha alzato gli occhi, ad incontrare quelli disperati
di suo padre; questi ha ricambiato un secondo il suo sguardo, comunicandogli
senza parole tutta la sua angoscia, e poi ha abbassato il viso a guardare
Leonardo.
Tutti e due hanno osservato in silenzio il serrarsi lento
degli occhi blu.
Non sapendo cosa dire, incapaci di dire addio.
N/A Ciao gente. Visto “Within the Woods”? Ok,
incubi per tutti, stanotte. E la nuova voce di Leo mi ha fatto sentire
improvvisamente caldo, anzi, “le mie orecchie hanno orgasmato”citando la mitica
_Bara no Yami_ . Ok, con quella
della colonna vertebrale mi hai steso XD XD XD (E poi, ho capito bene, hai una
bimba? Wow!)
Ah, già, la mia storia XD Spero che questo capitolo 'un tantinello' drammatico sia riuscito
bene ^.^° Riguardo alle vostre gentilissime recensioni, le analisi puntuali che
ne fate mi fanno gioire come una bimbetta tra i pony, siete fantastici, e che
ve lo dico a fare?
Cara Ladyzaphira, vuoi che ti sveli
se Leo ce la farà? La mia storia ruota su quello, voglio giocare sul dubbio
fino alla fine e poi cercare di incrementare il consumo di fazzoletti per il
sollievo o l’angoscia (incrocio le dita sperando che il finale vi piaccia!): a
chi è mooolto curioso rispondo, come ho già fatto, in privato. Quindi se vuoi
te lo dico subito, batti un colpo e sono ai tuoi comandi, tanto io ho sbirciato
la fine XD
Già il fatto che vi siate tanto incuriositi mi rende come la bimbetta di prima
<3
Riguardo a Mikey, in questo capitolo ho spiegato il perché del suo
comportamento: lui ha paura. Lui è l’ultimo a perdere le speranze, vuol vedere
sempre il lato positivo, è ingenuo. Ma non sciocco. E’ fragile, è infantile, nel mio
universo è anche emofobico; ed adesso si sente spaventato dalla situazione. Succede
anche nella realtà quello che ho fatto provare a lui, il non riuscire a stare
con una persona cara ammalata (ne parlavo anche con LisaBelle99). SerBarbs mi
dispiace se ho provocato brutti ricordi anche a te, è la seconda volta che mi
capita in questa storia, scusa :( *corre
a nascondersi in un angolo sentendosi un verme*. Tutti nella mia ff si comportano
in modo stupido, prima o poi: li ho immaginati “umani”, e sotto stress se ne
fanno cavolate, eccome… Anche Splinter ne ha fatte e ne farà. Per non parlare
di Raph, che come giustamente ha notato HellenBach
poteva essere meno fetentone, no?
Comunque, LisaBelle99
e SerBarbs frequentate spesso Jeff
the Killer? Adesso sì che mi posso preoccupare…
Lettrice di menti Cartoonkeeper8, alla
fine un po’ ci hai azzeccato, visto che effettivamente Donnie fa qualcosa per
cercare di guadagnare tempo: non diffidare del tuo superpotere :D; e non mi
tradire con Rotoloni Regina... Cara Piwy,
ho fiducia che troverai la tortura adatta per Kurtis. Anzi, propongo la tua
nomina per torturatrice ufficiale del fandom. Bacioni al solito anche alla mia
imoto NightWatcher96 ed alla mia
neko CatWarrior. Adesso, tempo di
smaltire la mia birretta del sabato e cercare informazioni in rete sui buoni
vecchi arcade (il pizzuliano ToraStrife
docet), vado a nanna che vi ho riempito al solito di chiacchiere.
Un abbraccio grande come la distanza tra Manhattan e Northampton
:*
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Capitolo 21 *** Silenzio ***
Cap 21
“So I will hum alone, too far from you
All that I say now is nothing to you
We will lie under different stars
I am where I am and you're where you are,
you're where you are”
Trespassers William,
Different Stars
Si è svegliato, e la prima cosa che ha notato è stata una
figura verde, accanto a lui.
Ha sbattuto gli occhi, per mettere a fuoco. Fasce di
protezione, pad in pelle marrone per i gomiti. Due braccia verdi, incrociate,
su un piastrone che si alzava ed abbassava ritmicamente. Una testa verde,
reclinata all’indietro, poggiata sulla spalliera della sedia, con una maschera
rossa sugli occhi chiusi. Una bocca semiaperta in un respiro pesante, con un
filo di saliva che scendeva sul mento.
Michelangelo si è girato supino, a fissare il soffitto della
sua camera, prendendosi ancora qualche secondo per capire che ore fossero,
perché Raph dormisse su una sedia accanto al suo letto, e perché si sentiva la
bocca impastata e lo stomaco vuoto. Ha alzato una mano a sfiorare il suo
piastrone, ed ha toccato qualcosa di piccolo e piatto, come un cerotto. Ha piegato
il collo, per guardarsi.
Elettrodi monouso adesivi per l’elettrocardiogramma.
Tutto gli è tornato in mente. Leo, il sangue. L’angoscia.
Si è messo a sedere sul letto, lentamente, attento a non
fare rumore, per non svegliare Raph; si è strofinato gli occhi con il dorso
delle mani ed ha scollato gli elettrodi. Ne ha fatto una pallina appiccicosa
nella mano e l’ha guardata. Ha supposto che Donnie gli avesse fatto una visita
in laboratorio mentre era inconscio.
Vergogna.
Era svenuto. Leo aveva avuto un’emorragia e lui era svenuto.
Che grande ninja, che
sono! Porca miseria, che vergogna.
Si è alzato in piedi, piano, e scansando scatoli della pizza
e ciotole dei noodles vuoti, fumetti, action figures e cianfrusaglie varie per
terra, è uscito dalla sua stanza.
Silenzio.
Il covo era appena illuminato, la maggior parte delle luci
erano spente. Un silenzio innaturale aleggiava nell’aria. Michelangelo non
sentiva niente, oltre al suo respiro. Anzi, ad ascoltare bene, ha potuto udire
un gocciolare, da qualche parte, ed il motore del frigorifero in cucina. E
qualche macchinario in funzione in laboratorio.
È andato nella stanza di Leo, e l’ha trovata vuota.
Ha fatto un passo al suo interno, col cuore che iniziava a
battergli forte. Perché era vuota?
La lampada sul comodino illuminava lo stato
della camera. Era la prima volta in vita sua che vedeva la stanza di Leo in
disordine. Il catino con la pezzuola e l’acqua rossastra, vari straccetti
sporchi di sangue. Confezioni di plastica, qualche tubicino, una bottiglia
d’acqua vuota. Le lenzuola per terra.
L’odore, disgustoso, di sangue, urina e sudore: di malattia.
Ha rimesso in piedi la sveglia, caduta in avanti. Il
quadrante segnava le due e dieci. Michelangelo si è reso conto che non avrebbe
saputo dire se fosse notte o giorno.
Ha fissato il letto vuoto, in trance.
Il suo cuore adesso copriva il silenzio. Ha messo una mano
sul suo piastrone. Batteva talmente forte da sentirlo sotto le dita.
Perché il letto era vuoto?
Il vuoto è mancanza. Il vuoto è buio. Il vuoto è male. Il
vuoto è orrore. Il vuoto è…
No, non pensare la
parola brutta. Ci sono tante possibili spiegazioni.
Certo. Tante spiegazioni. E poi se… se… lo avrebbero
chiamato, no? Lo avrebbero svegliato…
Lo avrebbero svegliato?
Perché non riusciva a muoversi? L’avrebbero chiamato, certo.
Basta. Tante possibili
spiegazioni.
Ha tratto un profondo respiro, le gambe hanno ripreso a
muoversi.
Leonardo è stato spostato, forse in laboratorio. Certo, in
laboratorio, doveva essere lì.
Sentiva rumore di macchinari. In laboratorio c’era qualcosa
in funzione. Sicuramente apparecchiature mediche.
È uscito dalla camera; ha sceso i cinque gradini che dalla
zona notte immettevano alla zona centrale. Cinque gradini, non li aveva mai
contati, erano cinque. Cinque piccoli passi. Solitamente, li saltava tutti
insieme, al massimo li scendeva in due riprese; adesso, le sue gambe erano
rigide.
A destra, si apriva il laboratorio. Sì, lì c’era qualcuno:
la luce si proiettava dalla grande porta aperta fino alla zona centrale, a
creare lunghe ombre dietro il televisore, la poltrona a sacco, il fantoccio da
allenamento, il flipper, l’altalena sulla piscina fatta con un vecchio
copertone; le strisce scure arrivavano a sfiorare le pareti in legno e carta di
riso che chiudevano gli archi della parete del dojo.
Si è fermato un attimo sulla soglia della stanza, guardando
l’angolo che a volte, negli ultimi mesi, era servito da infermeria. Troppe volte.
Si è dovuto appoggiare allo stipite, poi ha sentito che l’ossigeno ha
ripreso a circolare con più facilità giù per la sua gola.
Eccolo. Dorme.
Sul un letto giaceva Leonardo; sull’altro, anche lui addormentato,
Donatello. Sulla sedia, in mezzo ai due lettini, Splinter, che ha girato la
testa verso di lui.
“Entra, Michelangelo.”
Michelangelo si è avvicinato, osservando la forma distesa
dei fratelli.
Donatello aveva una specie di ingessatura al braccio sinistro,
e la mano, gonfia e violacea, si appoggiava alle stecche metalliche che fuoriuscivano
dalle fasce rigide; altre fasce bendavano il piede e le ginocchia ed un vistoso
cerotto cingeva un lato della fronte; piccoli medicamenti erano sulle gambe e lividi
violacei cerchiati di giallo si distinguevano adesso ancora più nettamente su
tutto il resto del corpo. Il viso era gonfio al punto tale da deformarne
i lineamenti, soprattutto intorno all’occhio sinistro, dove una tumefazione
scura avrebbe reso impossibile al momento indossare la maschera viola.
Ma se le condizioni del suo geniale fratello gli stringevano
il cuore, è stato osservando Leonardo che Michelangelo ha temuto di non
riuscire a trattenersi dal mettersi a piangere.
Leonardo era completamente intubato: Michelangelo scopriva
nel peggiore dei modi che Donatello era riuscito nei mesi scorsi a procurarsi
chissà come un macchinario per la ventilazione artificiale.
Il mutante più piccolo ha spalancato gli occhi, due azzurri
e tristi cieli spaventati nella striscia di tessuto arancione. Ha osservato il
piastrone del fratello alzarsi ed abbassarsi a tempo con il lampeggiare della
macchina, un sacchetto riempirsi e svuotarsi alternativamente; un tubo
trasparente era infilato in bocca attraverso una piccola mascherina.
Altri tubicini fuoruscivano dai fori di respirazione ed uno
da sotto la coperta blu che copriva il suo corpo. Splinter ha spinto con un
piede una sacca sul pavimento, per nasconderla dietro il bordo del suo kimono;
Michelangelo ha notato il gesto.
“Come ti senti, figlio mio?”
La tartaruga ha sentito le guance diventargli rosse per la
vergogna. Suo padre vegliava un figlio che lottava tra la vita e la morte, un
altro era malconcio e livido per essere stato torturato, e chiedeva a lui come si sentisse. Avrebbe voluto
sprofondare nel pavimento.
“Bene, Sensei. Come sta Leo?”
Splinter ha tratto un profondo sospiro, ed ha accarezzato la
mano del figlio malato.
“È in coma
farmacologico. Donatello è riuscito a ricavare una cura. Gliel’ha somministrata
un paio d’ore fa.”
Michelangelo si è illuminato di gioia. “Davvero! Ma è
fantastico! Sense-”
“Michelangelo.” Lo sguardo del padre, più che il suo
richiamo, ha congelato il sorriso dell'arancione sul nascere. “Non è sicuro
che la cura finzioni. Donatello ha spiegato che gli é stata data troppo tardi.”
Michelangelo ha sentito il ghiaccio iniziare a scorrere
nelle sue vene. Il cuore batteva ancora forte nei fori auricolari mentre il
mondo gli è caduto addosso. Piccole, minuscole, goccioline d’acqua hanno
iniziato a bagnargli i bordi della maschera, ed alcune sono sfuggite per
correre lungo le guance lentigginose. Non avrebbe voluto mostrarsi ancora più
patetico e debole davanti al suo maestro, ma dopo quel secondo di speranza
questa notizia adesso lo ha frantumato.
Troppo tardi.
Se non avesse perso tempo in quel bosco, se fosse riuscito a
portare Donnie in salvo più velocemente, se lo avesse salvato prima che gli
facessero del male…
Si è accorto che il suo sensei aveva continuato a parlare.
“… anche il vaccino, e l’ha somministrato a tutti noi.”
Splinter gli ha indicato con un cenno della testa il
braccio. Michelangelo l’ha alzato, notando solo in quel momento che aveva un
pad di protezione abbassato ed un cerotto bianco nell’incavo del gomito.
Ha guardato Donatello, che non si era mosso e continuava a dormire
profondamente, e Splinter ha anticipato la domanda.
“Gli ho dato un po’ più di morfina quando ho cercato di
sistemargli il braccio. Ho lavorato per quasi due ore, ho finito poco fa. – Il
maturo mutante si è passato una mano sul volto stanco. – Ma non sono un medico,
ed il danno era molto grave…”
L’implicito del discorso era chiaro.
“Lo potrà usare ancora, padre?”
“Non lo so, Michelangelo, non lo so…”
Troppo tardi.
Il silenzio è sceso nel laboratorio. Solo la macchina per la
ventilazione faceva da sottofondo ai pensieri dell’adolescente mutante.
Suo padre gli aveva detto una volta di vedere in lui una
capacità molto preziosa e rara, che lo rendeva una persona speciale: aveva la
capacità di osservare sempre il lato positivo delle cose, di scorgere il bene
oltre il male, di trovare la luce nascosta dietro le tenebre.
Ricorda ancora quando glielo aveva detto. Avrà avuto intorno
agli otto, nove anni, e dopo aver combinato un pasticcio, beh un pasticcio un
po’ più grande del solito, era stato ferocemente preso in giro da tutti e tre i
fratelli. Al momento aveva risposto a tono, con la sua lingua acuta e la
battuta pronta, ma la notte aveva ripensato alla situazione, e si era fatto
prendere dalla tristezza per non essere abile come Leo, forte come Raph o
intelligente come Donnie. Aveva riflettuto sul fatto che tutti i suoi fratelli
avessero delle capacità eccezionali, a parte lui. Lui, oltre a combinare guai,
sembrava non sapesse fare nient’altro.
Così era andato nella stanza del padre, titubante a cercare
ancora conforto notturno quando ormai era una “tartaruga grande”. Suo padre
l’aveva invitato ad entrare,quando lui aveva fatto scorrere silenziosamente la shoji che immetteva nella stanza,
l’aveva invitato a sdraiarsi sul suo futon
e si era fatto raccontare il problema. Poi l’aveva abbracciato forte, come
faceva quando erano piccoli, e l’aveva consolato spiegandogli, appunto, che
doveva essere fiero di questa sua preziosa facoltà.
A Michelangelo è venuta in mente questa storia poiché, al
momento, pensava di aver perso questo suo “superpotere”. Non solo non riusciva
a trovare niente di positivo a cui aggrapparsi, ma sentiva forte come non mai,
in sedici anni di vita, un senso di inadeguatezza.
Ha pensato che forse non era capace di essere un ninja.
Si era fatto salvare da Raph, nel bosco; se il fratello non
li avesse raggiunti in tempo, lui e Donnie sarebbero stati catturati da quei
mercenari. Ripensandoci, in battaglia, i fratelli gli avevano salvato spesso il
guscio: la sua sbadataggine aveva messo a repentaglio la squadra più volte. Era
svenuto come un cretino nel momento in cui avrebbe dovuto essere di aiuto a
Leo. Adesso, si era mostrato a suo padre perfino in lacrime e non lo stava
aiutando in nessun modo…
Suo padre era visibilmente esausto. La pelliccia nascondeva
i segni della stanchezza sulla pelle, ma gli occhi rossi, l’espressione
svigorita e la postura cadente non lasciavano dubbi.
“Perché non vai a dormire un po’, Sensei? – Ha chiesto
titubante, temendo di mancargli di rispetto.
– Posso restare io, qui.”
Splinter ha alzato nuovamente lo sguardo, ha riflettuto un
paio di secondi prima di rispondere.
Era brutto a volte saper leggere negli occhi, quando si
leggeva l’imbarazzo di un padre.
“No figliolo, grazie. Non ce n’è bisogno.”
Certo, non si fidava di lasciarlo lì, dopo la prova che
aveva dato nella stanza di Leonardo.
“Sensei, per prima, io… insomma…”
Splinter ha alzato un braccio, interrompendolo.
“Ne parleremo un’altra volta, Michelangelo.”
Il giovane mutante ha annuito, abbassando il capo, ferito;
si è girato per andarsene ma il padre ha aggiunto:
“È un problema che dovrai risolvere, se vuoi continuare ad essere
un ninja.”
Michelangelo ha annuito ancora, voltato di spalle. E mentre
usciva dalla stanza, addolorato e sconfitto, è stato nuovamente aggredito dal
silenzio.
N/A Ancora un
capitolo Mikey-centrico. Uso spesso il suo punto di vista, chissà perché.
Forse, perché, come per ToraStrife,
è facile immedesimarsi in lui. Il “Contrario” con l’inutile arco. Nell’ultimo
fumetto IDW (gli ultimi numeri sono uno più bello dell’altro, ve li consiglio,
gente!) l’hanno fatto crescere ancora, arriva a contraddire seriamente Splinter
per mettersi dalla parte di Donnie: loro due sono i “normali” della squadra,
quelli meno fissati, “meno ninja”, e più simili a noi, come mi aveva appunto
fatto notare sempre il buon caro ToraStrife.
Donnie ha ubbidito a SerBarbs (deve
essere scomodo avere lo stomaco annodato XD) e si è fatto curare, ma… Sì,
Euterpe HellenBach, la fine non è
vicina. Anche in questo caso, eventualmente rispondo in privato col numero
esatto dei capitoli, sempre ai vostri comandi, i miei lettori sono la cosa più
bella del mondo ^_^
In ogni caso, avvertirò tutti poco prima della fine (così eventualmente potete
iniziare a rintracciarmi se qualcosa non vi
è piaciuta ^^’)
Grazie a te, LauraMomiji, sei un
tesoro come sempre ^_^ Hai scritto a Rob Paulsen! La sua voce mi piace
tantissimo, anche se quella italiana in questo caso non ha niente da invidiare,
è fresca, adolescenziale e quei gridolini sono adorabili. Sì, effettivamente
sembra che alla fine la storyboard che circola da mesi sulla prossima puntata
possa essere vera, e che ci sia il primo bacio Apritello: non so, potrebbe
essere troppo audace per il target a cui è rivolta la serie; io nel dubbio ho
già pronti i fuochi d’artificio. Vai Donnie!!!
Grazie come sempre anche alle care _Bara
no Yami_ (stracciala questa biologia, sorellina permettendo!), Cartoonkeeper8 (va beh che la lettura
della mente richiede il suo scotto, ma… svieni? *_* Dai, no, perché?), CatWarrior (mi hai steso, la tua carineria
mi ha messo ko, ancora non mi sono ripresa XD Contenta che ti abbia intrigato
la “goccetta”), LisaBelle99, (oggi giornata
di fatidiche prove! facci sapere come è andato il saggio :*) e dulcis in fundo la
sempre mitica Piwy.
Un abbraccio grande quanto lo stretto di Messina :*
|
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Capitolo 22 *** Morire ***
Cap 22
N/A Oggi rompo
prima, così poi mi tolgo dalle scatole e vi lascio alla storia. Solito,
pesante, ridondante, pedante, rompente e probabilmente superfluo avviso: questa
è una storia per bimbi grandi, i bimbi piccoli mi scusino. Questo cappy
contiene violenza domestica.
Ok, coscienza un po’ più a posto, veniamo a noi.
“Se c'è uno stupido che si sente stupido perché tutti lo credono stupido,
allora per dimostrare di non essere stupido farà qualcosa di incredibilmente
stupido.”Oscar Wilde ci fa una… scarpe. Mi è piaciuta talmente la recensione di
ToraStrife che penso di averla letta
tipo dieci volte. Perché ha capito la mia storia meglio di me, quel “cresci o
paga” mi ha fatto esclamare: “Cavolo, è quello che volevo dire!” Beh, si è
quello che poi ho effettivamente detto… Fatto sta, avete capito che i miei Hamato
sono imperfetti. Il dolore indurisce il cuore. Il capitolo davanti ve lo
conferma. Non so, io li immagino così, spero che piacciano anche a voi.
Pubblicare questa storia è come dar fondo ad un barattolo di Nutella, gente. Grazie
a voi tutti.
Alle care Cartoonkeeper8, CatWarrior, SerBarbs, NightWatcher96,
LauraMomiji, Piwy che mi stanno seguendo con affetto. Grazie a Shika98, che mi ha fatto “sentire
importante” XD. E’ un onore, sei gentilissima ma ci sono tante
scrittrici di ff molto più brave, che dedicano alla scrittura più tempo e
pazienza di me. Adesso comunque dovrò portare a tosare il mio ego, wow, ti sei
iscritta per me *occhi a cuoricini*
Un inchino giapponese anche ai centinaia
di lettori anonimi. Riwow, non ci credo. Non credevo neanche che esistessero
tanti turtles-fan-lettori-di-ff in Italia. E scusa, cara HellenBach, mi sono espressa da cani, la storia NON sta finendo.
Ancora gliene devo fare passare tante. Sadismo da fan.
Mutanti tra noi. A Torino. TMNP. E P sta per pantegana. Se non ci credete,
chiedete a _Bara no Yami_
Mutanti e musica. Ed ecco che mi svelate che Mikey è anche il chitarrista heavy
Michel Angelo e il rapper coreano J-Hope. (ToraStrife
e _Bara no Yami_) Dai. Davvero, vi
amo. Tutti. Free Love.
Vai, mia strizzaguanciotte ufficiale, sorellina Lisabelle99, strizzagli le guanciotte! Siamo a cavallo… Ok, questa
dimenticala, ma complimenti :*
Lady, mia cara Lady (Ladyzaphira),
la voce di Leo? Turba i miei sogni, inquieta i miei pensieri a lavoro, riecheggia
nella mia Pianura Padana. Ahimè, ha solo quindici anni, è pedofilia, io ne ho
più del doppio.
E’ solo un cartone-fumetto-racconto? Quisquiglie. Omnia vincit amor.
Un abbraccio grande quanto l’amore :*
“Hello, I'm the lie living for you so you can
hide
Don't cry”
Evanescence, Hello
Donatello si trascinava a fatica da un lato all’altro
dell’infermeria, lavorando alacremente. Poiché era infortunato sia al braccio sinistro
e sia, in maniera molto minore, al piede dello stesso lato, non poteva usare
una stampella, e quindi appoggiava solo il tallone attento a non gravare sul
dito rotto. Sebbene i suoi familiari vedessero quanto fosse frustrante, per
lui, non riuscire ad utilizzare la sua mano principale, e quanto lenti ed
impacciati fossero i suoi movimenti, non potevano fare niente per aiutarlo.
Quindi Raffaello, Michelangelo e Splinter restavano in
piedi, in disparte, a guardarlo analizzare il sangue di Leo per l’ennesima
volta in quella giornata, controllare più e più volte le sue funzioni vitali,
somministrargli medicinali nella flebo, ispezionare il macchinario di
ventilazione e quello, alquanto rumoroso e rudimentale, per il controllo del
battito cardiaco.
Le ore erano passate lente, pesanti, laconiche; grigie e
vischiose come una colata di cemento. Raffaello aveva preso il posto di
Splinter al capezzale di Leonardo per qualche ora, così che il padre potesse
dormire un po’. Michelangelo aveva preparato una zuppa leggera che tutti
avevano consumato, senza convinzione, in laboratorio.
Donatello, da quando si era svegliato, quella mattina, un
po’risentito col padre per averlo obbligato a dormire con l’aiuto dei farmaci,
si era incessantemente prodigato intorno al malato, ripetendo svariate volte le
stesse operazioni, nonostante il dolore che chiaramente ancora mostrava
sul volto.
Adesso, scostandosi dal microscopio, dopo aver controllato di
nuovo i valori di Leonardo, sì è lascato cadere sulla sedia, ed ha cercato con
lo sguardo i suoi familiari. Era il segnale che tutti aspettavano. Ora potevano,
per l’ennesima volta quel giorno, chiedere.
“Allora?” L’ansia è vibrata nell'accentuata voce
di Raffaello.
Donatello si è limitato a guardarlo per un paio di secondi,
poi ha scosso la testa ed ha abbassato lo sguardo.
Così non ha visto le loro espressioni. Non ha visto il padre
stringere gli occhi, il fratello minore dilatarli in angoscia, il maggiore distoglierli.
“Ma, la cura…”
Il mutante più magro ha rialzato il viso verso il fratello
minore.
“Il siero funziona, Mikey. La presenza di virus nel suo
sangue è diminuita ancora. Ma il suo corpo non ce la sta facendo a recuperare.”
La voce di Donatello aveva la cadenza di un bollettino medico, ma l’intonazione
rotta dal grumo che premeva in gola. “Le sue funzioni vitali continuano ad
abbassarsi, e l’urea nel sangue indica un danno ai reni.”
Si è pizzicato lo spazio tra gli occhi, ed ha proseguito.
“Purtroppo non ho gli strumenti per vagliare la gravità del danno, ed in ogni
caso non saprei neanche da dove iniziare se dovessi fargli una dialisi.”
Si è girato a guardare la forma distesa.
“Se fosse in un ospedale, forse, ma qui…” Ha fatto un gesto
sconfortato col braccio, a sottolineare la precarietà della situazione.
In una stanza ricavata da una stazione della metropolitana
abbandonata, con vecchie apparecchiature mediche trovate in discarica e
riparate con i pochi strumenti a disposizione, cosa poteva fare? Come se non
bastasse lui non era medico, aveva imparato le poche cose che sapeva da internet
aiutandosi con i vecchi manuali che possedeva. I quali tra l’altro spiegavano
il corpo umano, che era differente dal loro.
Infine, aveva solo sedici anni.
“Io… mi dispiace.”
Il dolore per aver deluso suo padre ed i suoi fratelli si è
aggiunto come un fiume in un mare allo strazio che sentiva nel cuore. Aveva
fallito. Non era stato in grado di salvare suo fratello. Leonardo si stava
spegnendo, e lui non aveva potuto farci niente. Come nel peggiore dei suoi
incubi, quando uno dei suoi familiari aveva avuto veramente bisogno di lui, lui
non c’era stato. Si era fatto catturare, aveva perso tempo prezioso. Non era
stato abbastanza veloce, non era stato abbastanza intelligente. Tutta la sua
vita, tutta la sua dedizione alla scienza, tutto il suo sapere, erano un
inganno. Era solo un piccolo, debole scherzo della natura, un pasticcio
cromosomico che grottescamente credeva di poter giocare in un gioco più grande
di lui.
Avrebbe voluto piangere. Gridare. Farsi male. Scomparire. Ed
invece, era lì, a sopportare gli sguardi infelici della famiglia di cui aveva
tradito le speranze. Doveva restare calmo, mostrarsi tranquillo. Doveva a loro
almeno quello.
“Ma ce la farà, vero?”
La voce di Michelangelo era commovente, da quanto speranzosa
riusciva ancora a suonare.
Ha guardato Donatello con tanta fiducia, tanta dolorosa aspettativa.
Non aveva capito bene tutta la sua spiegazione. Alcuni termini medici non
avevano alcun significato, per lui. Ma non aveva potuto non notare che Donnie fosse
più abbattuto e scoraggiato rispetto a qualche ora fa.
Donatello non ha risposto; allora Michelangelo ha alzato lo
sguardo a suo padre, a fianco a lui. Ma questi fissava un punto invisibile
aldilà del muro.
“Ce la farà?”
Ha dovuto chiedere ancora. Ha dovuto. Era stupido,
irrazionale, lo sapeva, ma doveva chiedere ancora. Ed aveva assolutamente
bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, di una frase rassicurante, magari di
altre parolone con le quali stordire il cervello e…
“No.”
Si è girato di scatto verso Raffaello, colpito dal duro
monosillabo. Il fratello in rosso l’ha guardato con una strana calma
inespressiva sul viso.
“No, non hai sentito?” I suoi lineamenti hanno iniziato ad
indurirsi, la sua voce a farsi più alta. “Non hai sentito quello che ha detto,
o sei talmente stupido da non capire quando ti si parla?”
Il mutante più giovane si è irrigidito, umiliato. Raph lo trattava
spesso in modo brusco, ma adesso le sue parole gli stavano davvero facendo male.
“Allora te lo spiego io, in termini che anche un idiota come
te può capire: Leo sta morendo!”
Michelangelo è inorridito, ha fatto un passo per
allontanarsi da questo suo fratello mascherato in rosso che adesso gli appariva
un nemico; ha cercato ancora il suo maestro, ma questi sembrava non averli
neppure ascoltati, tanto era distante da loro, in quel momento, pur essendo lì
accanto.
“Raph, non possiamo ancora…” Donatello ha cercato di
intervenire.
“Ah, no?” Raffaello adesso era furioso. “Possiamo cercare di
prenderci ancora in giro, Donatello? Non avevi detto tu stesso che quando
avesse iniziato a sanguinare sarebbe stato troppo tardi? Gli hai somministrato
la cura da quanto, diciotto, venti ore? E continua a peggiorare! È sempre più
pallido, vive attaccato a quella fottutissima macchina, e riesco a leggere i
monitor abbastanza bene anch’io per vedere che si sta spegnendo! Sta morendo, anzi
è come se fosse già morto! Leo è morto, quel maledetto bastardo l’ha ucciso! È MORTO!”
“No, no ti sbagli. Non è vero…” Michelangelo ha iniziato a
mormorare piano, scuotendo con forza la testa.
Raffaello l’ha fulminato. “Io mi sbaglio? Io ho smesso di
mentirmi. Dovresti farlo anche tu. Cresci, Mikey, dannazione. Non sei un
bambino, anche se ti piace comportarti come se lo fossi. E se tu non avessi
incasinato tutto come al solito, forse adesso non sarebbe troppo TARDI!”
Michelangelo ha sussultato, come se fosse stato colpito da
un pugno. Ha iniziato a tremare, piano. Ha sbattuto gli occhi e guardato
allibito e profondamente ferito prima Raffaello e poi Splinter, come a cercare
aiuto da suo padre.
Splinter si è ripreso dal suo torpore e si è girato a sua
volta, ha squadrato per un attimo Michelangelo e poi ha gettato al mutante in
rosso uno sguardo durissimo.
“Basta, Raffaello.”
Ma Raffaello era adesso scuro in volto, il respiro
affannoso, gli occhi fiammeggianti; incurante, per la prima volta in vita sua,
di un ordine diretto di suo padre, ha fatto un passo verso Michelangelo, e l’ha
afferrato per le spalle.
“Ti avevo detto di aspettare me!” gli ha urlato in faccia.
“Invece tu hai fatto di testa tua! Abbiamo sprecato ore preziose nel bosco! Hai
perfino perso il T-phone!” Ha iniziato a scuotere Michelangelo con violenza.
“Idiota! Altro che ninja! Sei uno smidollato che sviene alla vista del sangue!”
“Ho detto BASTA!”
Splinter con un balzo è saltato addosso a Raffaello, l’ha
staccato da Michelangelo prendendolo dal guscio e l’ha sbattuto forte contro il
muro. Era furioso, come mai i suoi figli lo avevano visto nei loro confronti, gli
occhi due carboni ardenti, il corpo fremente di rabbia. Non contento, ha
raggiunto con pochi passi il figlio riverso sul pavimento, l’ha tirato su con uno
strattone e tenendolo dal piastrone gli ha assestato due violenti schiaffi sul
volto, per poi ributtarlo con durezza giù.
Il rumore del guscio che sbatteva contro il pavimento è
rimasto come cristallizzato nell’aria immobile dell’innaturale silenzio che è
sceso nel laboratorio per qualche secondo.
Donatello ha portato una mano alla bocca, sconvolto.
Michelangelo è rimasto paralizzato, incredulo.
Mai, mai il loro padre li aveva picchiati. Mai, in sedici
anni di vita, si era imposto su di loro con la forza fisica. Certo, da piccoli
qualche sculacciata c’era stata, ma era stata l’umiliazione a bruciare più del
tocco di piuma. Poi, crescendo, a volte li aveva colpiti col suo bastone,
soprattutto durante la pratica, ma sempre attento a non fargli male: erano
sempre stati richiami, mai percosse. Era più un rigido gioco dei ruoli dove la
gerarchia era imposta con l’affettuosa autorevolezza; la sua severità si era
sempre esplicata in sguardi che li mettevano in riga e in piccole punizioni,
mai con la violenza.
Adesso, invece, c’era stata violenza. C’era stata ferocia, e
voglia di fare male. Nessuno riusciva a credere a quello che aveva appena
visto.
A cominciare da Splinter stesso.
Il maturo mutante ha fatto un passo indietro, stordito, non
riuscendo a staccare gli occhi dal figlio per terra; Raffaello si è messo a
sedere piano, ha alzato una mano tremante e l’ha portata al volto, a toccare il
sangue che iniziava a scendere da uno dei fori di respirazione. Poi ha
guardato, quasi stupito, il liquido rosso sulla punta del suo dito, ed ha
alzato gli occhi, spaventati e sconvolti, al padre.
Splinter ne è stato trafitto, dritto al cuore. Non riusciva
a capacitarsi di quello che aveva appena fatto. La stanchezza ed il dolore di
quei giorni lo avevano provato più di quanto volesse ammettere.
“Raffaello, figlio mio, io-”
“Vorresti che fossi io, vero?” La voce di Raffaello adesso
era esile, giovane, di una tristezza infinita. Non era il guerriero a parlare.
“Come?” Splinter non ha capito cosa il figlio intendesse.
“Vorresti che fossi io a morire, invece di Leonardo” ha
detto iniziando ad alzarsi in piedi, un po’ dolorante. “Lui è bravo, diligente,
ha tutte le qualità che io non ho. L’hai sempre preferito a me. Vorresti che ci
fossi io su quel lettino, invece di Leo.”
Gli occhi verdi erano oceani di disperazione. Una rabbia
diversa dal solito, una strana ed inquietante rabbia tranquilla gli deformava
il viso, mentre con un sussurro ha aggiunto:
“Ebbene, lo vorrei anch’io.”
Splinter ha sbattuto più volte gli occhi, troppo shoccato
per rispondere. Non vi erano parole per controbattere quell’assurdità, non
riusciva a capire come il dolore avesse potuto portare il figlio a pensare una
cosa del genere. Lui stesso si sentiva galleggiare in uno spazio irreale, dove
tutte le sue certezze, tutte le speranze che aveva cullato e nutrito negli
ultimi sedici, difficili anni, adesso si stavano sbriciolando come un castello
di sabbia al vento. Leonardo, il suo caro, caro Leonardo stava morendo, senza
che lui potesse fare nulla per proteggerlo, per difenderlo; questa volta, non
sarebbe bastato prenderlo in braccio e portarlo con sé. Ed adesso, nel dolore
incredulo, non riusciva, nonostante tutti gli anni passati a lavorare duramente
sulla disciplina mentale, in modo da fargli accettare come se fosse normale
vivere da reietti, nascosti, in corpi mutati, adesso non capiva come potesse
sommarsi anche quest’ultima assurdità, questo pensiero talmente surreale da
suonare osceno, come un altro dei suoi figli potesse anche solo minimamente
pensare che fosse possibile misurare l’amore che lui provava per loro in una
scala di valori.
E mentre ancora non riusciva a perdonare sé stesso per lo
scatto d’ira contro suo figlio, abominevole momento di debolezza che l’aveva
portato a picchiare un adolescente disperato, iniziava a chiedersi di quante
mancanze verso i suoi ragazzi si fosse macchiato in quegli anni senza
accorgersene, mancanze che adesso si presentavano tutte insieme a brillare
tetre contro il suo animo tormentato.
Si chiedeva quali altre colpe, oltre a quelle che stava
scoprendo in questi giorni angosciosi, avesse da farsi perdonare da questi suoi
figli maschi, oh sì, perché per lui non erano niente di meno che i suoi quattro
figli maschi, come se fossero carne della sua carne, fratelli di sangue della
sua Miwa, e voleva bene a loro esattamente come a lei. Glielo aveva mai detto?
Grandi Antenati, lo aveva mai detto ai suoi ragazzi? Lo aveva mai detto a
Leonardo?
Sopraffatto da questi pensieri, ha esitato per un secondo di
troppo, nel silenzio del laboratorio. Ed il silenzio è suonato come un assenso
al giovane mutante che, Splinter se ne è reso conto troppo tardi, avrebbe
desiderato ardentemente anche il più minimo cenno di diniego.
Le iridi verdi di Raffaello si sono contratte, nel suo
sguardo ferito; una fiamma ha iniziato a divampare nella profondità di quelle
luci, alimentando un dolore feroce, una rabbia distruttiva; occhi che si sono
spostati dal padre al lettino dove giaceva il fratello, hanno regalato a quest'ultimo
un addio disperato, pieno di tutto l’amore del mondo, e hanno permesso ad una
lacrima, solo una, di brillare tra il fuoco.
Prima che Splinter potesse fermarlo, Raffaello è corso fuori
dal laboratorio, fuori dalla tana, lontano da lì.
È corso a
trasformare il dolore in morte; perché vi era qualcun altro, oltre a suo
fratello, oltre all’amore di suo padre, oltre al suo animo, che adesso sarebbe
dovuto morire.
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Capitolo 23 *** Vendetta ***
Cap 23
“Am I too lost to be saved?
Am I too lost?”
Evanescence, Tourniquet
Lo sciacquio delle onde contro il cemento del molo era
perfettamente udibile: i rumori della città, la sua frenesia notturna, si
perdevano oltre le banchine del porto, lontani e ridotti ad un brusio basso,
quasi relegati in un’altra dimensione, lontana ed effimera, oltre una barriera
invisibile tra questa realtà calma, buia, pesante, e quella vitalità
artificiale e sporca.
Kurtis ha spostato le gambe, incrociandole in modo diverso.
Seduto sul cofano dell’Hummer, semplicemente aspettava.
L’aveva fatto molte volte, in guerra. Aspettare. L’attesa
era un momento importante quanto la battaglia, ed a lui non dispiaceva, no. Era
la promessa, silenziosa e vibrante, della violenza e del sangue; era l’agguato
alla preda, il potenziale in divenire di un'aggressione che stava già
avvenendo.
Ha guardato l’orologio: il display rifletteva la luce del
lampione e segnava le 11:54. Il momento era arrivato. Sapeva che la sua preda
sarebbe venuta, e sapeva che sarebbe stata puntuale.
Non aveva dubbi, su questo. Aveva letto la promessa in
quegli occhi verdi: forse il rosso non ne era stato subito consapevole, ma lui,
Kurtis Tucker, aveva capito subito che si sarebbe presentato. Conosceva troppo
bene l’alone di morte che si irradiava da quella creatura, aveva riconosciuto
la fiammella della violenza che aspettava solo l’occasione della vendetta per
alimentarsi e diventare un incendio. Sapeva che quella strana, affascinante
creatura sarebbe venuta a richiedere il suo sangue anche a costo di rimetterci
la vita.
L’operazione era stata pianificata con cura, stabilita in
ogni dettaglio; non si erano risparmiati fondi, né mezzi. Aveva praticamente
strizzato fuori fino all’ultima risorsa della sua organizzazione per
quest’incontro in grande stile. Niente era stato trascurato, le armi erano state
ricontrollate, i veicoli revisionati, le forze dell’ordine, che avrebbero
dovuto chiudere un occhio su quel trambusto notturno, corrotte. Questo era
l’atto finale, il gradino più basso da percorrere prima della risalita: da
questa notte, sarebbe dipeso il destino della sua organizzazione e forse della
sua stessa vita. Ma Kurtis era tranquillo: la sproporzione tra le forze in
gioco era immensa. Lui, i suoi uomini, le loro armi, i loro mezzi, contro un’adolescente
tartaruga mutante ninja.
Alle 11:57, Kurtis ha ricevuto sul monitor della sua
ricetrasmittente il messaggio dell’avvistamento al primo perimetro esterno.
Alle 11:59, la comunicazione degli uomini che si sono stretti a ventaglio.
Alle 12:03, l’ha visto con i suoi occhi.
In piedi sul tetto di un edificio all’ingresso del molo, tra
le pile dei container e la vecchia gru, si stagliava nettamente contro le luci lontane
dei grattacieli di Manhattan.
Anche da quella distanza, Kurtis ha potuto distinguere chiaramente
la forma particolare del mutante, il suo guscio sulla schiena.
L’uomo dagli occhi grigi ha tirato fuori dalla tasca il
piccolo binocolo, ed ha messo a fuoco: la tartaruga mutante scrutava il molo, le
fasce della maschera rossa sbattevano impazzite al vento, le braccia erano
incrociate in una posa strafottente, un piede era appoggiato sul basso
parapetto del terrazzo.
Eccolo.
La brezza marina portava gli odori di legno marcio e
cherosene. Kurtis ha inumidito le labbra, seccate dai refoli salmastri, in un
fremito di piacevole anticipazione; tutto era pronto: appena il mostro si fosse
fatto avanti, la trappola sarebbe scattata.
Su ogni edificio del molo, sulla gru, sui container,
nascosti tra i montanti della banchina, erano in attesa i suoi uomini: in
teoria ve ne sarebbero dovuti stare un paio anche sul tetto dove si trovava il
mutante, ma Kurtis aveva messo in preventivo qualche perdita. Sapeva quanto
questi esseri fossero pericolosi. In pochi giorni, avevano messo fuori gioco
decine dei suoi uomini. Ma lui ne aveva ancora altri, tanti altri. Che
aspettavano.
Cecchini scelti erano pronti, con l’ordine categorico di
intervenire solo in casi estremi e di sparare alle gambe; pistole narcotizzanti,
granate stordenti e taser erano in dotazione a tutti i suoi uomini; trappole elettrificate
erano state posizionate in vari punti del molo, e le reti erano state caricate nei
diversi cannoni sulla gru e sui container. Il perimetro di quella zona del
porto era pronto a chiudersi con tre cinture di uomini e veicoli.
Tutte le forze convogliavano in quel punto.
Vieni, ti sto
aspettando, Rosso.
Kurtis continuava a osservare il mutante col binocolo,
quando questi si è guardato intorno, ha disteso le braccia lungo il corpo, ed
ha iniziato ad indietreggiare, sul tetto, fino a sparire dalla sua visione.
Pochi secondi dopo, uno dei suoi uomini l’ha contattato al
comunicatore.
“Si sta ritirando,
signore.”
Kurtis ha alzato un sopracciglio, stupito. Stava scappando?
Una serie di spari hanno tuonato nell’aria, ed altre
comunicazioni hanno freneticamente confermato la notizia. L’ex colonnello ha
imprecato, e si è avvicinato allo sportello dell’Hummer impartendo ordini agli
altri veicoli e poi all’autista.
Dannazione.
Non poteva credere che quel codardo avesse cambiato idea
all’ultimo minuto. No, non poteva essere, non corrispondeva al profilo. Si
sarebbe dovuto avvicinare almeno un altro poco, sarebbe dovuto entrare nel
molo, venire a portata di voce. Aveva visto sì, tante volte, titubare davanti
allo scontro anche soldati apparentemente valorosi, ma aveva pensato che quel
mutante fosse diverso, accecato dal furore della vendetta.
Sarebbe stato tutto più facile. Ma aveva previsto anche
questa possibilità. In guerra, occorre saper valutare bene ogni eventualità,
anche le più improbabili. Aveva creduto che il mutante fosse più audace, forse
più incosciente. Ma non importava. Lo avrebbe catturato comunque.
Ad un suo ordine, un elicottero si è alzato in volo,
proiettando i suoi potenti fari sulla banchina.
Kurtis è salito a bordo dell’Hummer, ed il veicolo è
sgommato sull’asfalto del molo.
Inutile che cerchi di
fuggire, mostro.
Ormai, sarebbe stata la sua fine.
…
(un’ora prima)
C’era vento, quella notte, a New York. Freddo, veniva dal
mare. Raffaello era seduto su uno dei piani più alti della costruzione in
cemento, a qualche piede dal bordo, dove mancava la parete. Era un vecchio
palazzo non finito, che mai sarebbe stato completato. Requisito alla malavita
mentre era ancora uno scheletro di travi di ferro e pavimenti di mattoni,
aspettava da anni di essere abbattuto. Ma in quella zona, tra le più degradate
della città, tutto andava a rilento. Così, per lui ed i suoi fratelli, quello
scheletro edilizio rappresentava da mesi uno dei punti d’appoggio, uno dei
posti dove fermarsi a riposare e scherzare quando le nottate di pattuglia si
allungavano un po’, quando si riusciva a racimolare una pizza da mangiare lì in
alto come un trofeo tra il cemento.
Anche l’ultima notte che erano stati in pattuglia con
Leonardo, si erano fermati lì. Il leader in blu era stato un po’ più silenzioso
del solito, quella sera. Non aveva richiamato Mikey che aveva preso di mira
Donnie, con i suoi scherzi, portando il viola ad inseguirlo per più piani della
struttura con il suo bo in mano.
Il mutante mascherato in rosso ha ripensato a quella sera,
con un grumo nello stomaco. Ricordava come Leo non avesse risposto alla sua
provocazione, quando gli aveva detto che stava pensando di istituire un premio
come leader più noioso dell’anno solo per darlo a lui.
A pensarci bene, col senno del poi, si sarebbe potuto capire
che il fratello maggiore era stanco. Era stato l’ultimo nei loro salti tra i
tetti. Aveva mangiato solo un pezzetto di pizza.
Era già malato, ma non lo sapevano.
Raffaello si è portato le mani alla fronte, con i palmi a
premere sulle orbite.
Come aveva fatto a non accorgersene? Aveva trattato male Leo,
anche quella sera, come sempre. Si sentiva un essere orribile. Aveva gettato un’infinità
di volte su di lui la sua rabbia, il suo amaro sarcasmo, e fin da piccoli si
era divertito a provocarlo. Certo, avevano scherzato spesso, prendendosi in giro a vicenda,
perché pur essendo così diversi erano sempre stati molto legati. Erano
fratelli, diamine. Ma adesso, ogni parola, detta anche per scherno, o buttata
lì nei loro litigi, gravava nel suo cuore come un macigno.
Adesso, che non ci sarebbe stato più tempo per rimediare,
avrebbe voluto comportarsi in modo diverso. Avrebbe voluto farlo incazzare di
meno e fargli capire quanto lo stimasse di più. Ma soprattutto, la cosa che in
questo momento avrebbe voluto fare più di tutte, era semplicemente abbracciato,
Dio quanto desiderava abbracciarlo; e poi lottare per scherzo, fino a rotolarsi
per terra, e ridere con lui per una cretinata vista in TV, fare colazione
fregandogli i pancakes dal piatto, ed allenarsi ancora una volta nel dojo.
Ed invece, lui era qui, a prendere in faccia il vento, a
stringere i pugni fino a farli sbiancare, mentre suo fratello stava morendo.
Pensare a questo lacerava la sua anima a brandelli. Come due giorni prima, era
scappato da lui. Quella volta Leonardo gli aveva chiesto di non mettere in
pericolo Donnie e Mikey e di non cercare vendetta. Ebbene, lui non lo aveva
accontentato neanche nelle sue ultime richieste. Ed adesso si sentiva un mostro,
un fallimento come fratello.
E come figlio.
Ha abbassato i pollici delle mani a sfiorare i bordi della
mascella, doloranti e gonfi. Suo padre l’aveva colpito forte. Il resto del
corpo era ancora indolenzito, soprattutto dove il guscio si attaccava alle
spalle ed al bacino. Non che non avesse mai preso dei colpi molto più forti,
prima. Era stato battuto dai nemici, pestato da Shredder. Ma questi colpi facevano
più male.
Non biasimava il padre per aver sempre preferito Leonardo a
lui; gli spezzava il cuore, ma era giusto così. Suo padre era una persona nobile
ed onorevole, era normale che stimasse più il fratello di lui. Che lo amasse di
più. Aveva fatto bene a picchiarlo, si era meritato ogni colpo, ed anzi ne avrebbe
meritati molti di più, per come aveva trattato Mikey.
Un altro rimorso sulla sua anima.
Non riusciva a capacitarsi del perché avesse riversato tutto
quel veleno su suo fratello minore. Non pensava assolutamente quello che gli
aveva detto; perché, perché lo aveva detto? Perché lo aveva quasi colpito sullo
Shellraiser ed aggredito poco fa? Perché non riusciva a frenare la sua ira? Perché
si era comportato come un animale? Era davvero solo quello? Un animale?
Ha strofinato con rabbia le mani sugli occhi.
Il dolore lo stava travolgendo come una valanga, il senso di
vuoto gli stringeva lo stomaco; la sua vita gli sembrava improvvisamente vuota
di ogni significato, priva di ogni scopo.
A parte uno.
Vendetta.
Quando era più giovane, Splinter un giorno aveva deciso che
i tempi erano maturi ed aveva raccontato, a lui ed ai suoi fratelli, la vera
storia della sua vita; in una sera insolitamente triste e solenne, li aveva
fatti sedere nel dojo intorno a lui e gli aveva narrato per la prima volta
della distruzione della sua famiglia ad opera del suo nemico, Shredder. Alla
tremolante luce delle candele il piccolo Raffaello aveva alzato lo sguardo a
guardare la foto che suo padre teneva sulla mensola; fino a quel momento, alle
loro domande da bambini, Splinter aveva sempre genericamente risposto con un
“sono andate”, “non ci sono più”, e lui ed i suoi fratelli avevano capito da
tempo che quello era un argomento che era meglio non toccare. Quella sera, a
quel triste racconto, la piccola tartaruga mutante aveva sentito una profonda
rabbia verso quell’uomo crudele che aveva portato via qualcosa di così bello e
prezioso a suo padre. Aveva sentito un vibrante impulso a fare qualcosa, a
risolvere l’ingiustizia, a punire il male.
Ma Splinter aveva continuato a parlare, spiegando
pazientemente ai suoi figli il significato ed il vero senso della vendetta. Gli
aveva detto che con il tempo era riuscito a capire che la vendetta non avrebbe
portato altro che un maggior dolore, che non avrebbe restituito a lui la sua
famiglia; gli aveva spiegato che lui li stava allenando per difendersi dal male
che avrebbero incontrato un giorno nel mondo, e mai per portare altro male. Non
sarebbero diventati ninja per vendicarsi di Shredder ma per difendersi da lui,
e da quelli come lui.
Raffaello aveva assorbito le parole del padre, fiducioso
come ogni bambino. Poi, crescendo, qualcosa era cambiato. Aveva avvertito il
bisogno, forte, intenso, fisico, di sfogare contro i malvagi, contro i
prepotenti, contro la natura stessa che l’aveva ridotto là sotto, la sua rabbia
sempre più violenta, sempre più ingestibile. Aveva desiderato ardentemente, per
anni, di poter portare fuori dai nascosti anfratti del sottosuolo questa
dolorosa tensione: e quando, a quindici anni esatti, aveva respirato per la
prima volta l’odore della notte in superficie, la sua energia aveva finalmente
trovato la sua strada.
La sua rabbia adesso era libera.
Se qualcuno, poi, prendeva di mira i suoi fratelli, la sua
rabbia diventava qualcosa che, a volte, spaventava anche lui, perché sapeva che
forse non avrebbe più saputo fermarsi.
Se qualcuno faceva del male alla sua famiglia, lui gliel’avrebbe
fatta pagare nel modo peggiore.
Lui si sarebbe vendicato.
La vendetta avrebbe portato altro dolore, altro male, altro
fango nel mondo. Ma a lui non interessava. Lui aveva sete di vendetta. Lui
adesso viveva, respirava, solo per la vendetta.
Ne sentiva il gusto buono del sangue, mentre tremante di
tensione si mordeva il bordo della bocca.
Quell’uomo aveva ucciso Leonardo. Quell’uomo sarebbe morto.
Ha guardato il porto, in lontananza.
Non gli importava niente di rimetterci la vita a sua volta.
Sapeva di star andando a cacciarsi in una trappola. Sperava solo di essere
abbastanza forte da non titubare, e di vivere abbastanza a lungo per portare a
compimento la sua missione.
Lui, Hamato Raffaello, avrebbe ucciso per la prima volta;
l’avrebbe fatto deliberatamente, premeditatamente. Lui avrebbe affondato i suoi
sai nel corpo di quell’umano, si sarebbe sporcato del suo sangue, l’avrebbe
colpito fino a strappare da lui l’ultimo anelito di vita.
N/A Ma ciaaaao
geeente! Quanto tempo che non ci sentiamo! Va beh, solo due giorni, ma io sono
una sentimentale XD
Comunque Raph, se ti serviva aiuto bastava chiederlo: SerBarbs è sempre pronta col suo bazooka. E CatWarrior stampa “biglietti di sola andate per chissà dove” (mi
firmi una liberatoria che voglio usare la frase nella mia prossima ff XD ). HellenBach, chiedo scusa a te ed anche
a tutti gli altri se ieri non ho potuto pubblicare, ero troppo stanca e non
avevo ancora riletto bene il capitolo, forse salterò anche domani, sorry :( Piwy, mi è piaciuta molto la tua
riflessione: Splinter ha sbagliato perché ha pensato che “bastasse dare loro
uno scopo”. Sì, ha sbagliato, errare umanum est dice la mia sorellina latinista
Lisabelle99, anche abbastanza
rattico, in questo caso; condivido con LauraMomiji
l’ammirazione sconfinata per il topo in kimono, anche, e soprattutto,
quando fa cazzate come suo figlio Raph, che hai voglia a “frizionargli la testa”
(ToraStrife con le tue citazioni mi
sono già riempita un’agenda… ti svelo il mio trucco per scrivere angst: tengo
le bollette da pagare vicino al pc, e poi guardo la mia busta paga che sembra
un nonsense…). Puffola88, Shika98, Araba Fenice _Bara no Yami_ non so che dire: Cartoonkeeper8 ha finito le lacrime
(Scottex! Scottex! Nessun’altra marca *sbatte il piede per terra* XD ), io le
parole per ringraziarvi della vostra gentilezza. Un monumento imperituro di
marmo può bastare?
Ripeto, guys, non siamo alla fine. Certo che per essere una che lavora con la
lingua (no, non assaggiatrice di gelati) e che scrivacchia per hobby mi esprimo
peggio di Luca Giurato. Giro di boa superato, ma ancora ce vò…
Oggi sono stata brava e le note sono note e non un poema. Certo, se continuo a
parlare diventano di nuovo un poema e... Ok, mi tolgo. Baci baci baci.
Un abbraccio grande quanto la luna! O
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Capitolo 24 *** Maschera ***
Cap 24
“You’re dangerous
I’m lovin’ it”
Britney Spears, Toxic
“Fermo!”
I tre uomini hanno puntato le armi verso il mutante con la
maschera rossa. Lui si è fermato, a riprendere fiato, piegato in avanti,
appoggiando le mani sulle ginocchia. Essere in perfetta forma fisica non voleva
dire essere instancabile, dopo mezz’ora di corsa a perdifiato. Ha tirato altri
due profondi respiri, tanto non avrebbero sparato. Se una cosa aveva capito, è
che lo volevano vivo.
Ha cercato di fare mente locale. Non poteva andare a
sinistra perché prima venendo al porto aveva notato da quella parte alcuni
grossi fuoristrada, parcheggiati e coperti da dei teloni, e puzzava da lontano
come possibile posto di blocco. Non in alto, sui tetti, perché quel maledetto
elicottero gli stava attaccato al guscio. Non indietro perché due Hummer gli
erano alle calcagna. Non davanti perché con tre fucili puntati, anche se non
volevano ucciderlo, era meglio non correre rischi, magari di essere gambizzati.
Rimaneva solo la destra, giusto?
Una nuvola viola gli ha coperto la fuga quando ha buttato un
fumogeno ninja. Mentre scattava di lato, coperto dal fumo, utilizzando come gli
era stato insegnato gli altri sensi e la memoria fotografica del luogo, ha
sentito gli spari, ed una pallottola gli ha sfiorato il ginocchio. Quindi
quella di beccare qualche proiettile nelle gambe non era un’ipotesi
remotissima, in fondo.
Girando l’angolo, mentre continuava a correre, ha
controllato le forniture rimaste. Niente, quello era l’ultimo fumogeno. Non
poteva credere di aver già finito tutti i fumogeni e gli shuriken. Ma quanti
erano, questi uomini? Ne aveva messi sì fuori gioco almeno una ventina durante
la fuga, ma iniziava a pensare che ve ne fossero molti, ma molti di più.
Le luci di un altro Hummer che gli veniva incontro a tutta
velocità gli hanno fatto capire che anche la strada a destra non era la
migliore al mondo. Tornare indietro? Neanche per ipotesi. Allora…
Non ha rallentato, continuando a correre in direzione del grosso
veicolo. Le luci l’hanno accecato come un cervo sulla strada, ma lui ha continuato
ad andargli incontro e poi… è saltato. Gli è balzato di sopra, mentre quello
continuava a sfrecciare, ma solo per usare il tetto del fuoristrada come
appoggio, per una frazione di secondo, e slanciarsi in alto, ad afferrare il
cornicione di un edificio con una mano. Tirata su l’altra mano ed issato sul
bordo, si è concesso un attimo per guardare giù: aveva probabilmente battuto il
record olimpionico di salto in alto.
Comunque non ha perso tempo a farsi i complimenti, poiché le
luci dell’elicottero gli hanno ricordato, se mai se ne fosse dimenticato, che non
era salutare stare sui tetti, in quel momento. Due salti sugli edifici accanto
e poi è sceso giù, sfruttando un tubo di scolo per arrivare nuovamente a livello
di strada; luci a sinistra, vuol dire che si corre a destra.
Adesso, iniziava ad essere veramente stanco. Entrare in
qualche edificio voleva dire mettersi in trappola da solo, ma non avrebbe
potuto continuare a scappare a lungo. Avrebbe dovuto farsi venire un’idea,
avrebbe…
La strada è sfociata in un piccolo piazzale. Magazzini
chiusi, alcuni veicoli commerciali parcheggiati e, soprattutto, veicoli in movimento.
Militari e che cercavano lui.
No, qui è troppo
largo, troppo scoperto.
Ma non poteva tornare indietro. Altri tre imbocchi al
piazzale, e da tutti e tre arrivavano veicoli militari.
Almeno una decina, oltre a quelli che lo avevano spinto
verso quello spiazzo. Tutti puntavano contro di lui.
Ogni via d’uscita era chiusa. Davanti, solo le file delle
serrande dei magazzini. Si è voltato, ansimando. Le luci lo accecavano. Le
vetture si sono avvicinate, stringendosi intorno a lui.
Si è guardato freneticamente intorno. Niente, niente da
fare.
Ha iniziato ad indietreggiare, fino a che non si è trovato
con il guscio contro una delle serrande chiuse.
Fine della corsa. Mi
hanno preso. Mi ha preso.
I fari della corona di veicoli intorno a lui lo stavano abbagliando,
non riusciva a vedere niente. Si è coperto gli occhi con una mano, per cercare
di squadrare la tremolante ombra nera in controluce che, scesa da uno degli Hummer,
si è diretta verso di lui.
L’uomo dagli occhi grigi ha sorriso. La caccia, tutto
sommato, era stata divertente. Cosa sperava, questo piccolo insignificante
scherzo della natura, di scappare da lui? Non era stato difficile seguirlo, con
tutti gli uomini ed i mezzi a disposizione, con i suoi soldati che gli
comunicavano in tempo reale ogni mossa del fuggiasco. Cosa pensava di
risolvere, ritirandosi all’ultimo minuto, quando ormai le maglie della trappola
si erano strette? Gli avrebbe chiesto anche il significato di questo stupido
tentativo di fuga, dopo. Tanto di tempo per parlare ne avrebbe avuto, ne
avrebbe avuto tanto.
Adesso eccolo lì, davanti a lui, accerchiato, prigioniero,
vinto.
Kurtis si è avvicinato. Amava questi momenti, quando la
preda capiva che ormai tutto era perduto, che lui, il predatore, l’aveva alla
fine ghermita. Ha guardato compiaciuto il mutante fermo in un’inutile posizione
d’attacco, ancora ansimante, con le code della maschera rossa che continuavano
ad ondeggiare al vento. Il gusto della vittoria era inebriante, ed i premi che
essa preannunciava erano preziosi.
“È finita, Rosso.”
Il mercenario l’ha guardato in volto, aspettando la sua
risposta. Aspettandosi paura e rabbia.
Invece, ha trovato solo un piccolo sorriso beffardo, e
un’aria di derisione negli occhi azzurri.
Occhi azzurri?
Kurtis si è bloccato, ormai ad una decina di piedi dal
mutante.
Ricordava che avesse gli occhi verdi.
L’ha squadrato meglio.
Era più piccolo, meno muscoloso. Aveva delle lentiggini sul
viso.
“Non sei il rosso!”
Michelangelo ha fatto spallucce. “Eh beh, direi proprio di
no. Deluso?”
…
(mezz’ora prima)
Raffaello ha sentito freddo. Ha raggomitolato il corpo.
Ha aperto le palpebre, che sembravano di piombo. Oltre la
penombra, minuscole luci colorate in lontananza si sono messe a fuoco,
tremolanti cerchi policromi che si sono ristretti fino a diventare puntini.
Una raffica di vento più forte delle altre ha portato un
brivido lungo il suo corpo. Sotto di lui, il duro pavimento era gelido come una
lastra di ghiaccio. Era sdraiato per terra?
Si è alzato a sedere, stropicciandosi gli occhi, cercando di
ricordare dove fosse, e perché. Si sentiva la testa confusa, la bocca amara,
una leggera nausea, ed una forte voglia di continuare a dormire, se non fosse
per quel freddo che gli era entrato nelle ossa.
Si è guardato intorno, confuso. Non riusciva a ricordare
come fosse finito lì. Era sul pavimento in mattoni della struttura non finita
ed abbandonata che conosceva bene, ci veniva spesso con i suoi fratelli. Le
luci di New York brulicavano tutt’intorno, in quell’alta costruzione priva di muri.
Per prima cosa, ha avvertito una sgradevole sensazione allo
stomaco. Paura, dolore, rabbia. Dopo qualche secondo, ha iniziato a ricordare. La
malattia di Leo. Lui era scappato. La vendetta.
Come una doccia gelata, i ricordi sono alla fine arrivati
tutti.
Ha rammentato di essere venuto in questo posto, da solo, per
cercare di riflettere, e di raccogliere le forze prima di ciò che si accingeva
a fare.
Infine, ha ricordato quello che gli era successo. C’era
stato qualcuno: aveva improvvisamente sentito una presenza dietro di lui. Aveva
fatto per girarsi, ma era stato troppo tardi. L’ultima sensazione che aveva
provato era stata la paura di essere stato catturato da qualche nemico, la sensazione
angosciosa di cadere nell’oblio senza poterci fare niente.
Qualcuno l’aveva preso alle spalle e gli aveva stretto un
fazzoletto sulla bocca.
Era stato drogato!
Adesso si spiegava il suo malessere, la sua sonnolenza, il
gusto strano sulla lingua. Probabilmente, cloroformio.
Ancora confuso, non riusciva a capacitarsi chi potesse
essere stato. Lui era un ninja, non era facile sorprenderlo. Anche se, doveva
ammetterlo, quando era stato aggredito era immerso molto profondamente nei suoi
tristi pensieri.
Perché lo avevano drogato e poi lasciato lì?
Si è poggiato un attimo le dita sugli occhi chiusi. Era
ancora troppo confuso per ragionare con lucidità, ed adesso un mal di testa pungente
iniziava ad avvolgergli le tempie.
Si è alzato in piedi, barcollando leggermente. Ha tratto dei
profondi respiri. Ogni secondo che passava, si è sentito un po’ più lucido. Le
sensazioni stavano iniziando a tornare alla normalità.
Ha stiracchiato il corpo, intorpidito ed infreddolito,
portando le braccia in alto. Ha piegato il collo indolenzito da una parte e
dall’altra.
A quel punto, ha avvertito una sensazione strana, come di
qualcosa che mancasse. Ha ripetuto l’operazione, piegando più volte il collo,
avanti e indietro, a destra e a sinistra.
Le code della maschera.
Non sentiva strisciare sulle spalle e sul collo le familiari
code della sua maschera. Eppure indossava la maschera, lo sentiva dal consueto
contatto del tessuto con la testa e lo vedeva bene dai bordi estremi della sua
visione. Solo che il rosso gli appariva stranamente sbiadito, troppo luminoso…
Ha slegato la maschera, e l’ha presa tra le mani.
Arancione.
Cosa diavolo ci faceva con la maschera di Mikey? Ecco perché
non sentiva le code, la maschera di Mikey era più corta della sua.
È rimasto a fissare quella striscia di vivace tessuto tra le
sue mani verdi per qualche secondo.
Uno spiacevole presentimento si è fatto strada nei suoi
pensieri. Mikey, se voleva, sapeva essere abbastanza silenzioso da arrivargli
dietro senza che lui se ne accorgesse, e prenderlo di sorpresa. Poteva essere
stato lui a stordirlo per mettergli la sua maschera? Perché lo aveva fatto? E
se lui indossava la maschera di Mikey, che fine aveva fatto la propria?
Era possibile che l’avesse presa il fratello e…
Oh Cristo.
Ha tirato fuori il suo T-phone ed ha controllato il segnale
di Michelangelo.
Era al porto.
Il suo cuore ha perso un battito, una goccia di sudore
freddo è scesa lungo il suo viso.
Ha controllato l’orario, mezzanotte era trascorsa da qualche
minuto.
Ha preso a camminare, portando i pugni alle tempie.
Oh no. No, Mikey.Piccolo
idiota, cosa hai fatto? Perché, Mikey?
Si è fermato, ha preso un profondo respiro, ha guardato il
porto.
Ha indossato nuovamente la maschera arancione, stringendo
bene il nodo dietro la testa. Tutt’ad un tratto, la rabbia, la sete di vendetta,
erano lontane. Li ha accantonate, come qualcosa di prezioso, in un angolo della
sua mente.
Adesso doveva solo correre da Mikey.
N/A Cucù ^_^
Riuscito il colpo di scena? Ragazzi, ho troppo sonno stanotte, ho fatto in
tempo a postare il cappy perché è breve ma spero che non mi sia sfuggito
qualche orrore, ehm errore… *gli occhi lampeggiano, poi iniziano a chiudersi*
Un pezzo del mio cuore è vostro, scusate se non vi ringrazio come meritate, Ladyzaphira, Piwy, Cartoonkeeper8 (Raph
che chiede: “E’ la festa dei caduti?” Mi hai uccisa per asfissia, non so perché
mi ha fatto ridere tanto), _Bara no Yami_, HellenBach, Ser Barbs, CatWarrior, e
lettori che dedicate un po’ del vostro tempo a questa piccola storiella… Sonno…
Un abbraccio grande quanto… *dorme*
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Capitolo 25 *** Lacrime ***
Cap 25
“I try to catch my breath again
I hurt much more
Than anytime before
I had no options left again”
Linkin Park, Breaking
The Habit
Kurtis si è sentito ribollire il sangue. Questo piccolo
mostro che aveva davanti, che gli sorrideva beffardo mentre continuava a schermarsi
con una mano dalla luce dei fari, osava prendersi gioco di lui.
Ha tirato fuori uno dei due sfollagente che portava sempre
alla cintura, e che sapeva utilizzare con forza e maestria come una vera e
propria arma letale, e gli si è scagliato contro, per colpirlo mentre lui era
ancora abbagliato.
Ma Michelangelo ha deviato il colpo come se potesse vedere
bene, ed ha bloccato lo sfollagente in aria con una mano. Poi, ha tirato un
calcio al torace dell’uomo, allontanandolo nuovamente da sé, e si è rimesso in
posizione difensiva.
Kurtis è riuscito a non cadere per terra, ma i polmoni si
sono svuotati d’aria per qualche secondo; ha sentito che i soldati dietro di
lui caricavano le armi. Si è drizzato e si è rivolto nuovamente alla tartaruga.
“Cosa credi di fare, mostro? Dov’è il rosso?”
“Uh, ti saluta ma non è potuto venire, si è attardato con
tua madre.”
Michelangelo ha sorriso nuovamente, per cercare di
nascondere quello che sentiva dentro di lui: in quel momento, stava morendo di
paura. Era circondato, senza via di fuga, in balia di un sadico assassino.
C’era di che farsela addosso come quando Raph, da piccoli, gli aveva raccontato
quella storia di mostri.
Eppure, il suo piano era così semplice: si sarebbe dovuto far
vedere e poi, dopo essersi fatto seguire per un po’, in modo da allontanare le
forze dal molo, li avrebbe dovuto seminare e tornare a casa da Leo.
Tutto facile, no? Almeno, in via programmatica… Nella realtà
dei fatti, i nemici si erano rivelati troppi e troppo ben organizzati, non era
riuscito a schiodarseli di dosso e adesso si era fatto catturare per la seconda
volta. Voleva salvare suo fratello Raph… Beh, questo almeno lo aveva fatto, no?
Quando qualche ora prima Raph era corso fuori di casa, lui
era troppo ferito e troppo scosso per pensare a quello che stesse facendo suo
fratello testa calda. Raph lo aveva spesso trattato duramente, ma sentirgli dire
che era anche a causa sua, e della sua inettitudine, che Leo stava morendo, lo
aveva completamente rotto.
Anche perché, lui era convinto che in fondo avesse ragione.
Il senso di colpa lo aveva stretto al collo, e si era quasi sentito soffocare.
Dopo che suo padre aveva picchiato Raph, altra scena che non avrebbe mai più
dimenticato di quella notte degli orrori, e che questi era uscito dalla tana,
lui era andato in bagno…
…
(qualche ora prima)
Si è chiuso dentro, si è tirato via la maschera con forza. Era
triste, svuotato, come mai lo era stato in vita sua. Si è guardato allo
specchio, aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate. Con le mani che tremavano
un po’ ha aperto l’acqua fresca e si è sciacquato il viso, per calmarsi.
Appoggiato al lavandino, ha respirato piano. Aveva voglia di
piangere, ma non l’avrebbe fatto. Basta debolezze. Aveva ragione Raph, doveva
crescere. Non avrebbe pianto per suo fratello Leo, che lottava su quel letto e
che forse non si sarebbe alzato mai più. Non avrebbe pianto per la sua
famiglia, che stava crollando a pezzi. Non avrebbe pianto per sé stesso, perché
non riusciva, stavolta proprio non riusciva a trovare niente di bello al mondo,
e perché era stato un incapace, e non si sentiva più degno di essere un ninja.
Quante volte lui aveva incasinato tutto? Quante volte con la
sua sbadataggine aveva rischiato di mandare a monte le loro missioni? Nelle
battaglie, Leo e Raph erano sempre intorno a salvare la giornata quando le cose
per lui si mettevano male. Leo si era addirittura quasi sacrificato, nel Technodrome,
perché era dovuto tornare a salvarlo quando era caduto sui suoi stessi passi!
E lui, invece, adesso non era riuscito a fare niente per
Leo. Si sentiva un verme, per averlo evitato, in questi ultimi giorni. Quando
avrebbe potuto ancora parlare con lui, ascoltare la sua voce… Era stato
stupido.
Aveva avuto paura. Paura di vedere Leo malato. Perché per
lui, Leonardo era quello forte, quello grande, quello che gli risolveva i
problemi, quello che ci sarebbe sempre stato. Il pensiero che da un giorno
all’altro avrebbe potuto non esserci più, era talmente atroce da risultare
inconcepibile. Leo era quello che lo consolava la notte quando aveva gli incubi
e che si buttava davanti a lui in battaglia, che giocava con lui per ore ai
video game e che cercava di spiegargli l’universo di Space Heroes. Leo non
poteva non esserci, non poteva.
Quindi, lui aveva avuto paura, ed aveva sbagliato. La paura,
fa dire e fare cose stupide.
Dire cose stupide.
Michelangelo ha riflettuto. Raph aveva paura, come lui. Anche se era più in
gamba e più coraggioso di lui, come aveva detto Leo quella volta? “Tutti abbiamo paura, anche Raph ne ha.”
E cosa c’era di più spaventoso al mondo di quello che stavano passando? Cosa di
più terribile della possibilità di perdere uno di loro? Quindi Raph aveva paura
esattamente come lui. Ecco perché gli aveva parlato in quel modo. Suo fratello riversava
sugli altri la sua frustrazione: lui era sempre stato il suo capro espiatorio
preferito, fin da bambini. Da piccoli Splinter aveva dovuto prendere le sue
difese più volte quando lo aggrediva. Raph litigava con Leo, e poi se la
prendeva con lui. Ma Raph poi si pentiva di quello che faceva o diceva: non
glielo confessava quasi mai, ma lui glielo leggeva negli occhi.
Si è asciugato il viso con l’asciugamano, e si è seduto
sullo sgabello.
Raph non intendeva dirgli quelle cose, ne era sicuro. Era
solo arrabbiato, e spaventato. Certo, le parole rimbombavano ancora dentro di
lui e gli facevano male, ma anche questa volta ha perdonato suo fratello.
Gli voleva bene. Voleva bene a tutta la sua famiglia. Amava
la sua famiglia.
Ha alzato la faccia a guardare il piccolo mutante nello
specchio del bagno.
No, non era più piccolo.
Era quasi un adulto. Sotto i grandi occhi azzurri le
lentiggini spiccavano alla luce a neon, l’espressione era stanca. Aveva un po’
d’occhiaie. Curioso, non ricordava di aver mai avuto le occhiaie.
Che cosa stai facendo?
Basta autocommiserarsi, Michelangelo.
La tartaruga nello specchio ha stretto un po’ la bocca,
decisa.
Doveva farsi forza, per loro. Basta comportarsi come un
bambino. Non era un bambino. Forse non era un vero ninja, ma non era un
bambino.
Alzati, vai là dentro
ed aiuta la tua famiglia, come puoi.
Si è allacciato la maschera, ed è uscito dal bagno.
Tornato in laboratorio, ha visto suo padre seduto ancora una
volta accanto a Leo; Donnie era al tavolo da lavoro, che preparava un'altra
bottiglietta per la flebo, con le spalle curve, quel viso gonfio che quasi non
sembrava lui.
Ha alzato gli occhi a Michelangelo, o meglio l’unico occhio
che riusciva a tenere aperto, e l’ha guardato. C’erano nel suo sguardo
comprensione e solidarietà. Ma c’era in quell’occhio nocciola e stanco anche
qualcos’altro. Un guizzo di urgenza e preoccupazione. Ha distolto lo sguardo da
Michelangelo per guardare l’orologio da parete, e poi la porta, da dove era
uscito Raffaello, e infine nuovamente Michelangelo.
Il mutante mascherato in arancione ha capito subito, con un
sussulto. Non vi era mai stato bisogno di parole, tra lui e Donnie, per le cose
veramente importanti. Ha compreso il messaggio del fratello.
Giusto, come aveva fatto a non pensarci?
La rabbia, come la paura, fa dire e fare cose stupide.
Sapeva dove stava andando Raph. Toccava a lui fermarlo.
Forse, poteva ancora rimediare qualcosa.
Ha annuito piano a Donnie, ed è corso a prepararsi. Ha
afferrato i suoi nunchaku. Ha controllato il sistema di rilevamento del suo
T-phone. È uscito dal covo, portando con sé, nella sua cintura, anche
uno dei sacchetti con la pezzuola imbevuta di cloroformio che aveva preparato
Donnie tempo prima; in verità, si augurava di non doverla usare, e sperava di
far ragionare suo fratello semplicemente parlandoci.
Ma quando l’ha visto, da dietro, seduto su quel piano del
palazzo abbandonato, in silhouette contro la spettacolare skyline notturna
della Grande Mela, ha deciso di non rischiare. Suo fratello stringeva le
nocche, respirava pesantemente, era un vulcano di rabbia e disperazione. Raph
in queste condizioni non l’avrebbe ascoltato, l’avrebbe probabilmente
aggredito.
Allora, ha scartato la confezione col fazzoletto narcotizzante
e si è avvicinato furtivamente a lui, col cuore in gola. Il vento era freddo e
fischiava nei tubi abbandonati su quel piano del palazzo. Un passo dopo
l’altro, più silenzioso di quanto lo fosse mai stato in allenamento, silenzioso
come la notte stessa.
Gli è arrivato alle spalle.
Adesso. Scusa
fratello.
Con un movimento veloce ha portato le mani intorno alla
testa del rosso ed gli ha premuto la pezzuola contro il viso. Raffaello se n’è
accorto una frazione di secondo prima che il fazzoletto fosse spinto contro la
sua bocca ed i suoi fori di respirazione, ma non ha neppure fatto in tempo a
girarsi. Il rosso ha sussultato spaventato, e si è portato istintivamente le
mani al volto; Michelangelo l’ha stretto, puntando il suo ginocchio contro il
retro della testa del fratello seduto, per fare forza. Ha temuto per un attimo
di non farcela: Raph si è dimenato, ha cercato di forzargli le mani, per
liberarsi; era molto più forte di lui ma il cloroformio l’aveva intontito
subito. La determinazione ha prevalso sulla forza, e Michelangelo ha sentito il
fratello afflosciarsi contro di lui che lo abbracciava da dietro.
Lo ha adagiato delicatamente a terra, e poi gli si è seduto
accanto, per decidere il da farsi. Ha valutato che non ce l’avrebbe fatta a trascinarselo
fino al covo: doveva lasciarlo lì; d’altronde il posto era sicuro e, mancando
di scale interne, i piani superiori erano praticamente impossibili da
raggiungere, beh, a meno che non si fosse una tartaruga mutante ninja.
Ha sospirato e fatto spallucce, ed ha dato una carezza al
fratello addormentato. Si è alzato, per tornare a casa, da Leo. Aveva fatto
quello che poteva, sperava che Raph non l’avesse picchiato troppo forte, quando
inevitabilmente avrebbe capito quello che era successo. E sperava che il
cloroformio non l’avesse fatto dormire troppo, altrimenti il fratello si
sarebbe svegliato con un bel raffreddore, per essere rimasto delle ore all’addiaccio.
Poi, ha aggrottato la fronte: e se invece si fosse svegliato
troppo presto?
Si è rimesso a sedere, a gambe incrociate, grattandosi la
testa. Se si fosse svegliato in una, due ore, o anche prima, avrebbe potuto
andare ugualmente al porto. I loro nemici magari l’avrebbero aspettato un po’…
E se l’avesse legato? Poteva poi venire a slegarlo tra
qualche ora. Certo, Raph gliele avrebbe suonate subito… E poi, con cosa
legarlo? Aveva con se solo le fasce di protezione e la maschera…
La maschera.
Un sorriso furfante gli ha attraversato il volto.
Per essere sicuro di allontanare Raph dal pericolo, avrebbe
potuto allontanare il pericolo da Raph. Inoltre, facendo credere a quegli
uomini che suo fratello si fosse presentato all’appuntamento per poi cambiare idea,
questi non avrebbero più puntato sul provocare in lui un sentimento di vendetta,
magari con altri messaggi. Certo, Raph ci avrebbe fatto la figura del
vigliacco, ma chi se ne fregava di quello che pensava un uomo senza onore?
Ha sentito una piccola parte di sé, nascosta, che gli stava
anche suggerendo qualcos’altro: quell’uomo aveva fatto male a Leo e Donnie, e
non gli sarebbe dispiaciuto fargliela pagare per questo. Qualche colpo di
nunchaku bel assestato gli avrebbe insegnato a non toccare la sua famiglia… No,
no, niente di troppo… brutto. Solo l’ipotesi lo faceva stare male. Lui non
avrebbe mai voluto ferire i nemici, ma in questo caso quella piccola parte
nascosta gli chiedeva di fare un’eccezione. Quell’umano era un mostro senza
cuore, e stava provocando loro molto dolore. Michelangelo ha però messo subito
da parte il pensiero: quell’uomo non sarebbe venuto solo, ma con tutti i
soldati che aveva a disposizione. Presentarsi davanti a lui non sarebbe stata
una mossa intelligente. Avrebbe fatto lui ciò che voleva evitare che facesse
Raph? Se si fosse fatto catturare e magari uccidere, come si sarebbero sentiti
i suoi fratelli, suo padre, a soffrire anche per lui? No, non ne valeva la
pena. L’importante era che quell’uomo non si facesse mai più vivo, che li
lasciasse stare. Lui aveva cose più importanti che perdere tempo con quelle
persone: lui doveva stare con Leo.
Non sarebbe stato un problema per un ninja farsi vedere,
depistarli, allontanarli da quel molo e tornare a casa.
Sì, era un’ottima idea.
…
Allora, come mai era andato tutto storto ed adesso si
trovava in quella situazione?
Sotto quei maledetti fari, ha pensato che provocare il suo
nemico fosse la cosa migliore da fare. O almeno l’unica che poteva fare al
momento. Poiché, il nemico che perde la
calma diventa più vulnerabile…
Kurtis ha estratto la pistola dalla fondina, e l’ha rivolta
contro Michelangelo.
Il mutante ha allargato gli occhi, terrorizzato.
Oppure ti spara.
Il colpo di pistola è riecheggiato nel porto.
…
April ha scavalcato i tornelli ed è entrata nella vasta zona
centrale. Scura e silenziosa, la casa dei suo amici risultava stranamente
inquietante.
Eppure, l’aveva già vista molte volte anche nella penombra
della notte, quando aveva abitato per un breve periodo con loro. Ha pensato che
questa volta forse le appariva così perché si trascinava ancora dietro il
sottile senso di paura per aver attraversato un tratto della rete fognaria, e
della vecchia rete metropolitana abbandonata, nel bel mezzo della notte,
proiettando con la sua torcia ombre traballanti e grottesche.
Non aveva potuto aspettare il mattino. Appena Donnie l’aveva
chiamata, e le aveva raccontato di aver ricavato una cura ed un vaccino per il
virus, lei si era precipitata fuori di casa. Anche perché, nonostante queste
sembrassero belle notizie, il tono della voce del suo amico le diceva
tutt’altro.
Lui al telefono si era scusato per aver tardato a chiamarla.
Aveva borbottato di non averci pensato, poi di aver dormito, di aver monitorato
Leo, poi nuovamente di non averci pensato e si era scusato ancora: insomma,
April aveva capito subito che c’era qualcosa che non andasse, Donnie a volte si
impappinava al telefono quando parlava con lei ma questa sera aveva anche una
voce strana, lontana. Non era solo una telefonata per informarla sull’andamento
dei fatti, era una richiesta d’aiuto.
“Arrivo, Donnie” gli aveva detto.
“Sì, cioè no, April, è tardi…”
“Arrivo.”
Così, aveva mandato un messaggio a Casey, ed era corsa al
covo.
“Ragazzi? Sensei?”
Ha chiamato piano, quasi esitante, entrando in laboratorio,
da dove la luce si diffondeva nella più scura zona centrale.
Nell’angolo infermeria erano occupati due lettini ed una
sedia.
“April!”
Donatello si è alzato a sedere da uno dei due lettini
dov’era sdraiato, con una smorfia e poi un debole sorriso; Splinter, che seduto
le girava le spalle, si è voltato verso di lei, facendo un lento e rispettoso
inchino con il capo, ma ha continuato a restare seduto.
April si è avvicinata ed ha notato che questi stava
stringendo una mano di Leonardo. Poi la ragazza si è bloccata, ed ha portato
involontariamente una mano alla bocca, shoccata: Leonardo era intubato! Non si aspettava
di vedere l’amico così, ed è rimasta pietrificata, il respiro bloccato in gola.
Donatello si è alzato con fatica dal lettino e le è andato
incontro, le ha messo una mano sulla spalla; lei ha alzato gli occhi da
Leonardo e l’ha guardato: ha contratto le sopracciglia nel vedere com’era
ridotto, poi ha alzato a sua volta la mano per accarezzarlo piano sul volto
tumefatto.
“Dio, Donnie…”
“Andiamo, ti devo iniettare il vaccino.”
L’ha guidata ad uno sgabello, l’ha fatta sedere; zoppicando
per il laboratorio, ha reperito il necessario per l’iniezione, senza parlare.
April non poteva staccare gli occhi da Leonardo, pallidissimo, che alzava ed
abbassava piano il piastrone a tempo con il macchinario. L’altra apparecchiatura,
per il tracciamento cardiaco, emetteva un lieve bip intermittente oltre ad un
fastidioso ronzio di fondo.
“Come sta?” ha chiesto con un filo di voce, quasi non
volesse disturbare Leonardo, o Splinter che era tornato a stare voltato, chino
e dimesso, verso il figlio in coma.
Donnie adesso era accanto a lei.
“Puoi alzarti la manica, per favore?”
Lei ha prontamente eseguito, lui le ha passato un batuffolo
di cotone imbevuto d’alcol sul braccio, poi sempre con la mano destra ha preso
la siringa dal tavolo ed ha avvicinato l’ago alla pelle chiara.
April ha notato che mano dell’amico tremava vistosamente. E
lui non le aveva risposto.
L’ago le ha fatto un po’ male, e lei ha sobbalzato
lievemente.
Finito di iniettare il liquido, lui ha ritirato l’ago e l’ha
guardata mortificato. “Oh, io… scusa… sono mancino e…”
“Non è niente Donnie, non mi hai fatto male.”
Gli ha preso tra le sue la mano tremante.
“Vieni, facciamo un po’ di tè.”
Lei si muoveva in quella cucina con disinvoltura, ormai. Ha
preparato il vassoio, le tazze, la teiera. Lui si è seduto sullo sgabello, lo
sguardo perso nel vuoto. Lei ha messo a scaldare l’acqua e gli si è seduta
accanto; lui si è girato a guardarla, lentamente, con un’espressione stanca, vuota.
April gli ha squadrato il volto, rabbrividendo alle sue
tumefazioni; inoltre, era una delle rare volte che lo vedeva senza maschera. L’occhio
che riusciva a tenere aperto appariva più grande, più esotico, vagamente
orientale. Sembrava diverso, più giovane, più vulnerabile. Come se quel piccolo
pezzo di stoffa fosse un’uniforme, adesso lei aveva avanti a sé non il ninja,
ma solo il ragazzo ferito. Gli ha sfiorato piano la profonda escoriazione sul
lato della fronte.
Tutto il corpo livido, un piede ed un braccio ingessati.
April temeva di chiedere. Michelangelo al telefono le aveva solo detto che
Donnie era stato salvato e stava bene. Ma a lei non sembrava che stesse molto
bene. Era stato massacrato di botte.
“Cosa ti è successo?”
“Io…” Ha abbassato lo sguardo, ha iniziato a tremare
leggermente. “Scusa April, non ne voglio parlare. Non adesso.”
Lei gli ha fatto per cingergli un braccio sulle spalle, ma
viste le ecchimosi si è limitata a stringerlo sul guscio. “No scusami tu, Donnie,
non volevo turbarti. Se c’è qualcosa che posso fare…”
“Non c’è niente che tu possa fare, April. Nessuno può fare
niente” ha risposto, un po’ troppo duramente, rialzando la testa. L’occhio
aperto adesso era pieno di lacrime. “Io, io non posso fare niente. È troppo
tardi, April.”
Ha portato la mano sul viso, e si è lasciato sfuggire un
singhiozzo. April si è alzata in piedi, e l’ha stretto delicatamente a sé.
“Donnie…”
Lui ha poggiato la fronte contro di lei, cingendola piano
con suo braccio. Ha affondato il viso nel collo dell’amica, respirando forte.
April ha sentito la fresca pelle verde a contatto con la sua, ha sentito i suoi
respiri rotti, i suoi singhiozzi. L’ha stretto più forte a sé; Donatello ha
iniziato a piangere, le spalle scosse da sussulti.
“È troppo tardi, April. Leo sta morendo…”
La ragazza ha chiuso gli occhi, ed il cuore gli si è
stretto. Leo, il suo caro amico Leo. No, non poteva essere. Il cuore ha
iniziato a batterle forte, e le è venuta voglia di scoppiare a piangere. Ha
cercato di trattenersi, per non angosciare ancora di più Donnie. Questo tra le
sue braccia era il forte guerriero che si era buttato da un elicottero per
salvarla, che atterrava decine di nemici, potente ed inesorabile, se qualcuno
tentava di farle del male; ma adesso, sembrava così indifeso, fragile, rotto.
Donatello ha sentito dipanarsi il nero nodo che aveva dentro
di sé. Come un fiume in piena, ha avvertito tutto il suo dolore, la sua paura,
riversarsi fuori; si è rannicchiato nel caldo abbraccio di April, che lo
avvolgeva, barriera contro tutte le brutture del mondo. Non gli importava,
adesso, farsi vedere così da lei. Mostrarsi debole e patetico. Al momento,
sentiva solo disperazione e dolore. Aveva bisogno di lei, ne aveva bisogno.
Per un po’, non ha potuto fare altro che piangere, e lottare
tra i singhiozzi per respirare; April gli accarezzava delicatamente la testa.
Alla fine, ha iniziato a calmarsi; le ha raccontato dello
stato di Leo, del coma farmacologico, della cura, di come continuasse a
peggiorare. Le ha raccontato di Raph e Splinter, e di Mikey che era andato a
fermare Raph dal cercare vendetta. Le ha raccontato della sua paura, del suo
senso di colpa per non aver potuto trovare la cura prima.
La ragazza lo ha ascoltato, in silenzio; ha continuato ad accarezzarlo, poi gli ha alzato il viso con una
mano, per incontrare il suo sguardo.
“Donnie, Leo ce la farà, è forte. Leo ce la farà.”
Sentiva che questo era ciò che Donnie voleva ascoltare. Ci
credesse o meno, aveva bisogno di ascoltarlo. Aldilà di ogni ragione, aldilà di
ogni logica, anche il cuore di uno scienziato, quando tutto sembrava ormai
perduto, aveva bisogno di aggrapparsi alla speranza, all’illusione di un
miracolo, o di come lo chiamerebbe meglio lui, di “un evento statisticamente
improbabile”.
Nello sguardo nocciola e ciliegia del suo amico, uno sguardo
che l’aveva sempre affascinata, April ha letto la gratitudine, ed in mezzo alla
disperazione, un barlume di consolazione.
Quando si è staccata da lui, l’acqua nel bollitore era quasi
del tutto evaporata.
N/A Ma quanto mi
piacciono questi due? Apritello, Apritello per sempre, e Casey può andare a
farsi una partita di hockey. Vista l’ultima puntata Nickelodeon? Awww, era
vero, era vero! (Cartoonkeeper8 ero
pronta con striscioni e vuvuzelas). Però, lui non ci capisce più niente, lei lo
tortura… Ragazza, non lo sai che, come dice Mikey, il cuore è un organo
delicato? Basta poco per rompersi.
Comunque, venendo a noi, mi scuso del ritardo, venerdì superlavoro e ieri sono
andata a castagne (ne abbiamo raccolto mezzo chilo in tre, va beh. E qua a
Bergamo il sole solo in cartolina, co-gemella Lisabelle99; comunque sono ancora inorridita per la violenza dell'ipotesi della
calza al burro XD). Grazie cara LauraMomiji
per la comprensione :*, e un bacio spaziale al solito anche alla mia neko
gemella spazio-temporale CatWarrior,
alla talentuosa Ladyzaphira, alla
poetica Hellenbach, alla frizzante Piwy, alla draghetta Ser Barbs ed alla
“feelosa” (?) _Bara no Yami_: sono felicissima che la mia storia vi continui a
piacere.
Un abbraccio grande quanto un bigfoot :*
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Capitolo 26 *** Lampo ***
Cap 26
“We know just who we are”
Marilyn Manson, The
Nobodies
Michelangelo ha guardato la canna della pistola. Era un
piccolo calibro, ma non riconosceva il modello. Quando Donnie faceva le sue
noiosissime lezioni sulle armi, la sua testa era sempre da qualche altra parte.
È stato incuriosito dal vapore che si alzava dal minuscolo
foro dopo lo sparo. Era una spirale di fumo candido che brillava tra i fari
come un ricciolo di luce. Si è accorto pure di due gabbiani che si sono alzati
in volo, lì, in lontananza, virgole chiare contro il cielo scuro della notte.
Cavoli, ragazzi, quante cose che si notano un secondo prima
di morire!
Ha finalmente abbassato lo sguardo al suo corpo, a cercare la
ferita per la quale sarebbe morto. Strano, non sentiva niente… Solo un
bruciore, lì giù, al polpaccio…
Un rivolo di sangue fuoriusciva da una ferita di striscio
alla gamba destra.
Michelangelo ha espirato. Non si era reso conto, ma aveva
trattenuto il respiro.
Non era morto. Il cuore che batteva a velocità supersonica
dentro la sua gabbia toracica gli ha dato la conferma. L’uomo dagli occhi grigi
si era limitato a sparare contro le sue gambe, e tra l’altro l’aveva preso pure
di striscio.
Ma continuava a puntargli contro la pistola.
Kurtis ha notato lo sguardo di stupito sollievo del giovane
mutante, ed ha riso. A Michelangelo il suono di quella risata ha ricordato il
fastidioso stridere delle unghie contro la lavagna. Lo faceva da piccolo sulla
lavagnetta che gli aveva regalato Sensei, per far arrabbiare Raph.
“Oh, no, tartaruga, non ti ucciderò. Mi servi vivo. Adesso
andremo in un posticino tranquillo e tu mi dirai dove abiti, e dove sono i tuoi
fratelli.” Kurtis ha sorriso, gelido. “Quindi per il momento farai il bravo,
starai zitto e non ti muoverai di un millimetro, altrimenti con il prossimo
colpo ti porto via un ginocchio.”
Ha rivolto ai suoi uomini un gesto con la mano.
“Prendetelo.”
Michelangelo ha fatto appena in tempo a decidere, seppur a
malincuore, che un ginocchio valeva più del bellissimo insulto che gli era
venuto in mente, quando un lieve colpo è risuonato sull’asfalto.
Tra lui e gli uomini, proprio davanti al semicerchio di
automobili ed a pochi passi da Kurtis, qualcosa di metallo era caduto dal tetto
sopra i magazzini.
Un tubo esagonale nero con dei fori lungo i lati, che ha
rimbalzato una volta, mentre tutti gli occhi convergevano a capire di cosa si
trattasse, e poi è esploso.
Il lampo bianco ed il tuono sono stati sconvolgenti.
La luce è stata così intensa da essere bianca e nera nello
stesso istante; quasi che un sole fosse improvvisamente scoppiato lì, in quella
zona del porto. Michelangelo ha sentito un dolore fisico ai nervi dietro gli
occhi, ed era come se la luce lo avesse completamente travolto, inglobato,
fagocitato; la sentiva irradiare dappertutto, al di fuori ed al di dentro del
suo cervello. Il rumore poi è stato qualcosa di indescrivibile: talmente forte
da averlo buttato a terra, come un colpo, stordito, totalmente privo di ogni
senso dell’equilibrio, incapace di distinguere l’alto dal basso.
Per un tempo non quantificabile si è sentito in balia delle
sue sensazioni confuse, incapace di fare qualsiasi cosa, privo di percezioni
sensoriali; solo dopo un po’ ha cominciato ad avvertire che qualcosa, qualcuno,
lo stava sfiorando, toccando. Spaventato, completamente cieco e sordo, ha
tentato di ritrarsi da quel contatto, di combatterlo, ma senza riuscirci: si è
sentito spostare, forse sollevare, ancora non riusciva a capirlo.
Ha mugugnato, forse urlato, ha colpito alla cieca con le
mani contratte, ma non riusciva a distinguere se stesse toccando qualcuno o
l’asfalto o sé stesso, annebbiato in un pulsare psichedelico di assordante
caos.
Poi, pian piano, ha iniziato a riprendere coscienza
dell’ambiente intorno a sé, ed ha capito di essere trasportato, di corsa, da
qualcuno; ha sentito le proprie gambe penzoloni, i sobbalzi del movimento, la
propria testa ed il proprio busto tenuti forti da un paio di braccia, stretti
contro qualcosa di caldo e duro, di vivo e… familiare. Ha subito cessato ogni
tentativo di ribellione e si è affidato completamente al suo trasportatore quando
ha compreso di essere stretto contro un piastrone.
Michelangelo ha anche capito quello che era successo: Donnie
gli aveva spiegato il funzionamento delle granate stordenti; probabilmente gli
aveva spiegato anche quanto sarebbero durati gli effetti, ma lui non lo
ricordava affatto. Ha sbattuto gli occhi, forme confuse adesso iniziavano a
delinearsi nella sua visuale. Si è sentito mettere giù, ed è riuscito a stare
seduto a terra, sforzandosi di vedere cosa stesse succedendo: a fatica ha
distinto un muoversi concitato di ombre intorno a lui, ed ha riconosciuto la sagoma
familiare di suo fratello che combatteva con due figure, per poi atterrarle e
tornare a riprenderlo in braccio.
Non udiva altro che un fortissimo fischio nei fori
auricolari, ma alla fine almeno la vista gli è tornata abbastanza per
distinguere i vicoli della zona del porto dentro i quali si stavano
addentrando, e la luce dell’elicottero che continuava a volare sopra quella
zona.
“Mettimi giù. Posso camminare” ha detto ad un certo punto, e
la sua voce gli è suonata strana poiché non poteva sentirla.
Dopo qualche passo traballante ha preso a correre insieme a
Raph che continuava a tenerlo per mano, trascinandolo un po’; il fratello l’ha
portato in una specie di cortile zeppo di rottami oltre un vicolo stretto, e
poi l’ha spinto verso terra, per farlo entrare in un grosso tubo di cemento di
un canale di scolo, tra erbacce e spazzatura varia, e dopo essersi guardato
intorno vi si è ficcato anche lui.
Michelangelo ha camminato carponi per qualche piede, con le
mani e le ginocchia dentro una viscida melma; poi è riuscito a girarsi dentro
quel tubo ed ha appoggiato il guscio e la testa al cemento, riprendendo fiato.
Raffaello si è messo accanto a lui, ansimante.
Nonostante la vista fosse ormai tornata, nella semioscurità
dentro quel tubo, riusciva a malapena a distinguere il volto del fratello.
Nella debole luce che entrava dal vicolo, ha però potuto notare che Raph gli
stava parlando.
“Non ti sento, fratello” gli ha detto indicandosi i fori
auricolari. Ma dall’espressione furiosa di Raph e dalla sua gestualità
concitata ha potuto capire il tono del discorso. Michelangelo ha pensato che la
momentanea sordità non era completamente un male, dopo tutto.
Non ha potuto fare a meno di sorridere quando ha
riconosciuto dal labiale la parola “idiota” ripetuta più volte.
“Ti voglio bene anch’io, Raph.”
Raffaello si è bloccato, spalancando la bocca: questo
piccolo imbroglione lo stava prendendo in giro! Lo guardava con i suoi occhioni
azzurri e gli sorrideva beato. Ha alzato la mano per colpirlo, e Michelangelo
ha stretto gli occhi; allora, la tenerezza ha vinto la rabbia e Raffaello si è
fermato, riportando il braccio giù. La tecnica del fratello minore era
collaudata, e spesso riusciva a batterlo: la capacità di suscitare un senso di
protezione sfoggiando lo sguardo da cucciolo e l’aria da fratellino indifeso.
Sapeva che Mikey ne approfittava impunemente e consapevolmente, ma non poteva
farci nulla: suo padre avrebbe potuto ricordargli mille volte che in fondo lui
e Mikey avevano la stessa età, ma per lui era, e sarebbe rimasto sempre, il suo
fratellino.
Raffaello non si era ancora del tutto ripreso dalla paura
che aveva provato poco prima. Era riuscito a rintracciare Michelangelo proprio
quando questi veniva inseguito in quello spiazzale: il primo istinto era stato
di corrergli incontro, ma aveva capito subito che facendosi catturare pure lui
non avrebbe di certo aiutato suo fratello; quindi aveva fatto il giro intorno a
diversi edifici, e pregando di non essere visto da quell’elicottero che
continuava a ronzare nella zona, era salito sul tetto sopra i magazzini contro
i quali era stato spinto Michelangelo. Appiattito contro il tetto ondulato,
aveva ascoltato lo scambio di battute tra suo fratello e quell’assassino, ed
era stato orgoglioso di quanto forte, impavido e sferzante apparisse il piccolo
testa di legno. Si era sporto un po’, fino a vedere Kurtis che alzava l’arma
contro suo fratello, che era proprio sotto di lui.
Poi, l’uomo aveva sparato.
Raffaello aveva perso dieci anni di vita in pochi secondi.
Finché non aveva sentito Kurtis rivolgersi nuovamente a suo fratello, era
rimasto congelato dal terrore. La paura di quei momenti non l’avrebbe
dimenticata mai più.
Quindi, aveva agito velocemente. Aveva tirato fuori la
granata stordente che aveva recuperato da una delle pattuglie che avevano avuto
la sfortuna di incontrarlo poco prima, e che lui era riuscito a neutralizzare
prima che potesse dare l’allarme. L’aveva attivata, come gli aveva insegnato
Donnie, e l’aveva lanciata, abbassando il viso, chiudendo gli occhi e
coprendosi forte i fori auricolari. Anche così, e nonostante lui si trovasse più
lontano, il rumore era stato assordante.
Era sceso a recuperare Mikey, tra le decine di soldati
storditi. Suo fratello aveva cercato debolmente di lottare, intontito per
terra, ma lui l’aveva tirato su con forza, e portato via velocemente: i soldati
si sarebbero ripresi in pochi minuti.
Adesso aveva deciso di nascondersi per un po’. Mikey avrebbe
dovuto recuperare almeno il senso dell’equilibrio: lo aveva seguito
traballando, e se avessero dovuto scontrarsi in quelle condizioni non avrebbe
potuto combattere. Sperava che sarebbero bastati pochi minuti, non potevano
concedersi di più.
Ha guardato Mikey accanto a sé. Gli occhi si erano abituati
alla semioscurità e lo vedeva bene. Gli dispiaceva che anche lui fosse stato
colpito in pieno dagli effetti dell’arma, ma non aveva avuto altra scelta. Ne
avrebbe risentito un po’ per qualche giorno, lo sapeva. Per il resto sembrava
illeso, a parte una lieve ferita alla gamba: Raffaello ha ritenuto che non
fosse il caso di bendarla, l’emorragia si era quasi arrestata e la gamba era
coperta di putridi liquami.
Nonostante non fossero ancora fuori pericolo, perché la zona
pullulava di soldati e riuscire a scappare non sarebbe stato scontato, vedere
il fratellino sano e salvo lì accanto a lui gli ha riempito il cuore di gioia.
Il sorriso di Michelangelo era per lui in quel momento la cosa più importante
di tutte. Dopo la paura di averlo perso, sentirlo adesso vicino era come percepire
una luce che rischiarava le tenebre.
Gli ha avvolto un braccio intorno alle spalle, e l’ha tirato
rudemente a sé. Poi, gli ha appioppato un veloce bacio sulla fronte, e si è
staccato nuovamente.
Michelangelo ha spalancato la bocca, assolutamente stupito.
N/A Il mondo è
bello perché è vario. Acqua liscia, acqua gassata, sinistra, destra, Apritello
sì, Apritello no. Ed ecco che potrete trovare la sottoscritta, LauraMomiji, Lisabelle99, Shika98 e Hellenbach che con tanto di bandiere,
tamburi e guance dipinte di viola e di giallo inneggiano con cori da stadio la
coppia interspecie, e chi invece, come _Bara
no Yami_ , ritiene che la rossa sia simpatica come un eritema sotto
l’elastico delle mutande. Perché, effettivamente, non è che April e Karai siano
questi mostri di simpatia, e stanno sui geoidi di rotazione a
parecchi fan. De gustibus. (Lisabelle99 traduciiii!
XD).
Era “Il lato positivo”, Piwy? E’ un
film che ho visto mesi fa al cinema, e se non erro conteneva la celebre frase,
o almeno il senso (che poi è proprio dove sono arrivati i nostri eroi, il
fondo. A questo punto possono solo risalire, o procurarsi una pala). Forse no,
ma l’importante è partecipare. Meglio ancora vincere XD. Qui le citazioni
filmesche ormai si vendono in confezioni famiglia, ed ho praticamente pianto
alla “fan che incontra l’uomo con la pistola” (Cartoonkeeper8)di sergioleoniana memoria: sai qualcosa sulla
prossima puntata oltre a quello che ha diffuso la Nick, vale a dire
Karai-Splinter e rivelazioni sulla mamma di April? Spiffera, sorella, spiffera…
A proposito di mamma, quel figlio di fracchiana buona donna di Kurtis (altra
citazione gentilmente offerta dalla ditta ToraStrife)
alla fine non poteva giustamente ammazzare l’arancione nostro. Era telefonata,
eh beh. Non è che le tartarughe mutanti crescano sugli alberi XD
Ragazzi, grazie come sempre. Grazie alla nuova amica Gru,
che mi ha fatto restare davanti al pc con un sorriso ebete, le guance
rosse e gli occhi lucidi. Sto andando alla DHL a spedire a tutti un
pezzo di
cuore <3
Un abbraccio grande come gli anelli di Saturno :*
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Capitolo 27 *** Respiro ***
Cap 27
Ludovico Einaudi,
Divenire
Su. Giù.
Su. Giù. Su. Giù. Su. Giù.
Aria che entra. Aria che esce.
Splinter ascoltava il respiro di suo figlio. Da ore, fissava
il suo piastrone alzarsi ed abbassarsi. L’aria entrava ed usciva mantenendo la
vita in un corpo sofferente. Ma non era un respiro normale. Era un respiro dato
da una macchina.
Ha dato uno sguardo all’orologio. Leonardo era ormai
intubato da più di un giorno.
…
(Trentadue ore prima)
Donatello ha scollegato l’apparecchiatura per
l’elettrocardiogramma.
“Anche il cuore è a posto. Ho voluto controllare per
scrupolo, ma è stato solo un attacco d’ansia. Prima che cadesse a terra ho
notato che iperventilava.”
“Pensi sia stata la vista del sangue?” Raffaello ha guardato
Michelangelo privo di sensi sul lettino dell’infermeria con un’espressione tesa
e preoccupata.
“Sì, credo di sì. Inoltre lo stress di queste ore, più la
situazione… Comunque, portalo in camera sua, e tienilo d’occhio per un po’. A
Leo pensiamo io e Sensei, eventualmente ti chiamo.”
Dopo che Raffaello ha sollevato in braccio Michelangelo,
Splinter ha guardato Donatello prendere una mascherina monouso, e calarsela sul
volto; il giovane mutante poi si è infilato un guanto e si è avvicinato a lui e
Leonardo, nell’altro lettino.
Anche Splinter indossava guanti e mascherina, che mal si
adattava però al suo volto mutato. Donatello aveva detto che benché ormai fosse
a buon punto con la creazione del vaccino, preferiva non correre rischi.
Splinter stava insufflando aria in un tubo inserito in bocca a Leonardo, con un
pallone auto espandibile rudimentale.
Dopo i farmaci per indurre Leonardo al coma, Donatello aveva
spiegato che bisognava adesso ventilare il malato artificialmente. Splinter non
aveva capito subito che suo figlio non sarebbe più stato capace di respirare in
proprio, e la cosa, se possibile, lo aveva atterrito ancora di più. Ma si era
affidato completamente alle conoscenze di Donatello.
“Continua Sensei. Preparo la macchina.”
Splinter ha osservato impotente il figlio lavorare con difficoltà
utilizzando un braccio solo, faticare ad aprire il sacchetto del tubo, collegare
il tubo alla macchina; poi l’adolescente si è guardato intorno, ed è andato
all’armadietto per prendere qualche altra cosa che mancava. Ma i suoi movimenti
erano leggermente scoordinati per l’estrema stanchezza ed il dolore, e per
errore, aprendo la porta metallica dell’armadietto con la mano destra, se l’è
sbattuta contro il braccio rotto.
Al grido del figlio, Splinter istintivamente ha fatto per
andare a soccorrerlo.
“Continua Sensei! Non è niente!”gli ha quasi urlato
Donatello, tra ansimi rumorosi, piegato in avanti dal dolore, facendogli segno
di fermarsi con la mano.
Il maturo mutante ha annuito, ha stretto gli occhi; ha
iniziato a respirare al ritmo con cui la sua mano pompava l’ossigeno nel
pallone. Ha cercato di calmarsi. Dentro, fuori. Aria che entra. Aria che esce.
Non doveva pensare che uno dei suoi ragazzi stava soffrendo
come un cane, rifiutando di farsi medicare fino a quando non avesse trovato una
cura per il fratello. E che forse, a questo punto tutto sarebbe stato inutile.
Non doveva perdere la calma che aveva imparato a raggiungere
con tanti anni di studio e meditazione.
Aria che entra. Aria che esce.
Non doveva cedere alla stanchezza, al sonno, alla
disperazione.
…
(Quattordici anni prima)
Aria che entra. Aria che esce.
Dentro, fuori. Aria che entra. Aria che esce.
“Papà?”
Splinter ha aperto un occhio. Due piccole iridi blu lo stavano
guardando.
“Pure io, papà?”
Il giovane uomo ratto ha sospirato. Sperare di approfittare
del riposino pomeridiano delle piccole tartarughe per meditare a quanto pare
era stata una speranza vana.
“Pure tu cosa, Leonardo?”
“Come te.” Un ditino verde l’ha puntato.
Splinter ha compreso, alzando un sopracciglio, divertito.
“Vuoi meditare con me?”
“Sì!” La piccola testa si è abbassata su e giù più volte,
convinta.
Hamato Yoshi ha sorriso al bambino mutante in piedi davanti
a lui.
“Bene. Allora siediti qui, come faccio io” ha detto battendo
con la mano per terra.
Leonardo raggiante si è seduto di fronte a lui, incrociando
le gambe, e l’ha guardato in eccitata attesa.
“Adesso respira, come me” Splinter si è poggiato una mano
sul petto ed ha enfatizzato un paio di respiri. “Dentro, fuori.” Altri respiri
forti. “Aria che entra.” Forte inspirazione. “Aria che esce.” Forte
espirazione. “Hai capito?”
Il piccolo ha annuito, serio, ed ha iniziato a respirare rumorosamente.
“Adesso chiudi gli occhi.”
Leonardo ha stretto forte gli occhi; la sua espressione
decisa gli corrugava in maniera buffa i paffuti lineamenti infantili.
“Bravo, continua a respirare, ma lentamente.”
Splinter ha guardato intenerito il piccolo che, concentrato,
mettendo anche lui una manina sul piastrone, ha preso a respirare ritmicamente.
Tra i suoi bambini, Leonardo era quello che più di tutti cercava di imitarlo, e
quello che sembrava necessitasse continuamente della sua approvazione.
La piccola tartaruga ha sbirciato con un occhio ma, accortasi di
essere osservata, l’ha richiuso subito.
Splinter sapeva che il bambino era troppo giovane per queste
cose; dopo neanche un minuto, infatti, il piccolo mutante ha aperto gli occhi e
si è alzato in piedi, evidentemente già soddisfatto dell’esperienza.
“Sono bravo, papà?”
“Sei stato bravissimo, Leonardo.”
Il bambino si è illuminato di un grande sorriso. Poi,
continuando a guardare in viso Splinter, ha inclinato dubbioso la testolina di
lato.
“Perché io non ho i peli, papà?”
Splinter ha sospirato di nuovo; era ricominciato il momento
dei perché. Negli ultimi tempi i figli avevano preso a bombardarlo di domande.
Lui si era sentito più volte in difficoltà, non sapendo bene cosa e quanto dire
ai bambini, che già avevano iniziato a voler conoscere il mondo intorno a loro.
Donatello era sicuramente il più curioso. Chiedeva
informazioni su tutto, in continuazione. Splinter aveva capito nei mesi scorsi
che il piccolo mutante aveva un’intelligenza molto più acuta dei bambini della
sua età. E pensare che solo un anno prima a volte aveva temuto che fosse un po’
più lento dei fratelli, poiché tendeva ad isolarsi ed a perdersi chiuso in sé
stesso. Invece, adesso aveva capito che era una piccola mente molto speciale.
Aveva già imparato a leggere. Nei mesi scorsi aveva chiesto
al padre il suono di ogni lettera e di ogni ideogramma che trovava scritto o
stampato, e l’aveva memorizzato in maniera sorprendente. Adesso, ad appena due
anni dalla sua mutazione, all’apparente età di un bambino umano di tre anni,
leggeva perfettamente l’inglese ed il giapponese. E le domande che rivolgeva al
padre erano a volte molto tecniche e specifiche.
Comunque, dopo Donatello, Leonardo era quello che gli
rivolgeva più domande. Ed ora, si profilava il momento di un altro piccolo
discorso delicato.
Splinter ha allargato le braccia; al segnale, il piccolo si è
fiondato da lui, e si è raggomitolato sul suo grembo, tra le gambe incrociate.
“Vuoi sapere perché io ho la pelliccia e tu no?”
Piccoli occhi blu hanno annuito.
“Ricordi quando hai visto l’immagine del bambino umano sulla
scatola ed io ti ho spiegato che tu ed i tuoi fratelli siete speciali?”
Ancora un sì.
“Bene, anch’io sono speciale, ma in modo diverso da voi, e
diverso anche dal bambino sulla scatola.”
“Perché?”
“Perché… Perché la vita si manifesta in tante bellissime
forme diverse tra loro, figlio mio.”
Leonardo ha arricciato un po’ la bocca, pensando dubbioso.
“Ma io e Raph e Donnie e Mikey siamo uguali…”
“Perché voi siete delle tartarughe speciali, ed io un topo
speciale.”
“Ma perché tu non sei una tartaruga speciale?”
Splinter ha capito che era meglio deviare la conversazione,
per il momento.
“Hai fame, Leonardo?”
Il piccolo ha mormorato di sì, ma poco convinto. Splinter si
è alzato, tenendolo in braccio.
“Bene, allora andiamo a preparare un po’ di latte.”
Leonardo gli si è accucciato contro la spalla: Splinter ha
notato un filino di muco sul viso. Il raffreddore aveva irritato i fori di
respirazione di due dei suoi piccoli mutanti, in quei giorni. Ha tirato fuori
un fazzoletto dal suo kimono.
“Soffia” ha chiesto al figlio poggiando il fazzoletto sul
suo piccolo volto. Ha annotato mentalmente di procurarsi delle vitamine per
Leonardo e Michelangelo.
Fatti pochi passi per recarsi dalla zona centrale in cucina,
ha notato subito che anche Raffaello si era svegliato e gli stava andando
incontro, barcollando leggermente e stropicciandosi un occhio con il pugno
chiuso. Si è chinato ed ha preso in braccio anche lui, poiché aveva capito da tempo
che prendere in braccio Leonardo senza prendere pure Raffaello voleva dire
provocare malcelate lacrime di gelosia nei suoi occhi verdi. Raffaello era il
più geloso dei suoi ragazzi, se il padre faceva qualcosa con gli altri suoi
figli, voleva essere coinvolto anche lui. Ed era particolarmente geloso di
Leonardo.
Ha fatto sedere i bambini sugli sgabelli ed ha aperto la
dispensa, per prendere la confezione del latte in polvere. Aperta la scatolina
di latta, si è lasciato sfuggire un sospiro nervoso: in fondo al contenitore
era rimasta solo una piccola quantità della preziosa polvere bianca, che era
riuscito a procurarsi con non poche difficoltà.
Più i mesi passavano, e più difficoltà incontrava a gestire
il poco denaro che gli era rimasto. I distributori automatici delle farmacie si
erano rilevati molto utili, ma i prodotti per i bambini erano abbastanza cari;
inoltre, si trovavano in zone della città troppo esposte, anche la notte: pure
con la coda avvolta intorno al corpo, ed il cappuccio ben calato in testa, non
poteva correre il rischio di farsi vedere dagli umani o, peggio ancora, di
farsi riprendere da una delle telecamere che erano disseminate in ogni angolo
della città. Le cisterne di acqua piovana, ricche di vermi ed alghe, ed i
cassonetti nei vicoli buoi, erano diventati ormai le risorse principali per
tirare su i suoi ragazzi.
Ha rimescolato con un cucchiaio la polvere sul fondo della
lattina: sarebbe bastata a malapena per quattro bevande alquanto annacquate.
Stanotte sarebbe uscito a cercare di procurarsene altro. E questo latte non
l’aveva comprato, né l’aveva trovato. Ma per i suoi figli era arrivato a fare
ciò che la sua coscienza gli rinfacciava crudelmente: tra la vergogna per le
azioni non onorevoli, che lo rendevano indegno dei suoi rispettabili Antenati,
ed il benessere dei suoi figli, aveva scelto quest’ultimo.
Al suono di altri due paia di piedini che sbattevano sul
pavimento della cucina, Splinter si è girato. Donatello e Michelangelo si sono
avvicinati tenendosi per mano, ancora storditi dal sonno; Donatello sbadigliava
e Michelangelo si è staccato dal fratello per avanzare con le braccia aperte
verso il maturo mutante: il più piccolo dei fratelli era anche quello che più
di tutti cercava il contatto fisico. Splinter lo ha preso in braccio e dopo
averlo baciato sulla fronte lo ha messo a sedere su un altro sgabello, e poi ha
aiutato a sedersi anche Donatello.
Raffaello e Leonardo stavano parlottando su qualcosa
riguardo ai peli, o meglio Leonardo parlava a Raffaello indicando il padre e
Raffaello rispondeva svogliato, più interessato a giocare a prendere a calci
con i suoi piedi quelli del fratello maggiore che pendevano come i suoi dallo
sgabello.
“Vi sto preparando un po’ di latte.” Splinter era
tornato a riscaldare l’acqua.
“Io no latte...”
“Tu sì, Donatello.”
Il piccolo mutante più magro non sembrava convinto, ma era
ancora troppo assonnato per opporsi. Leonardo ha cercato di coinvolgere anche
lui nella questione riguardante i peli che ormai lo divertiva.
“Donnie, papà ha i peli, noi no.” Ha indicato il padre che
di spalle stava prendendo quattro tazze dallo scolapiatti.
Donatello ha annuito sbadigliando. “Perché lui non è il
nostro papà” ha detto distratto.
Splinter si è girato di scatto. Adesso gli altri bambini
stavano guardando Donatello, con espressioni stupite: tre paia di piccoli occhi
si sono spostate velocemente da Donatello al padre e poi ancora a Donatello,
che accortosi di aver detto qualcosa d’importante ha ribadito, adesso più
convinto e completamente sveglio:
“Lui non è il nostro vero papà."
Piccole luci blu, verdi, azzurre adesso fissavano Splinter,
interrogative, stupite, spaventate; le luci d’ambra purpurea si sono accodate,
un po’ vergognose. Tutte, anche quest’ultime, cercavano una negazione.
Splinter aveva sempre temuto questo momento, ma non aveva
mai pensato che sarebbe arrivato così presto; non aveva tenuto presente la
precocità del suo terzo ragazzo.
“Perché dici questo, Donatello?”
“Io… sui libri, sui giornali… gli umani hanno figli umani. E
poi quando abbiamo visto la gatta con i gattini, e poi c’era quell’immagine dei
cani… e poi abbiamo visto i topolini nella fogna e poi…”
“Va bene, figliolo, ho capito.”
“Cioè, i figli sono uguali ai genitori, e noi…” Donatello ha
abbassato lo sguardo a fissare il suo piedino. Verde, con tre sole dita. Così
diverso dai piedi artigliati di Splinter.
Splinter ha visto gli occhi dei figli riempirsi di
spaventata realizzazione. I bambini non avevano l’esperienza e la conoscenza, ma
non erano stupidi. Leonardo e Raffaello si sono guardati l’un l’altro, con gli
occhi che iniziavano a farsi lucidi, e il piccolo mento di Michelangelo ha preso
a tremare.
Hamato Yoshi ha avuto un momento di dubbio. Che fare? Cosa
raccontare? Aveva capito da tempo che essere padre era tutt’altro che facile,
ma ogni giorno una nuova sfida gli ricordava che essere un buon padre era ancora più difficile.
Ha deciso. I bambini erano ancora troppo piccoli.
Ha simulato una piccola risata, come se avesse sentito una
grande sciocchezza.“Certo che sono vostro padre!”
È stato
tangibile il sollievo dei quattro piccoli mutanti alle parole tranquille e
sicure di Splinter.
“Alcuni padri assomigliano ai figli, altri no. Quando sarete
un po’ più grandi, vi spiegherò il perché.” Si è rivolto verso Donatello, e gli
ha messo una mano sulla testa, poi si è nuovamente girato a sciogliere la
polvere lattea nell’acqua calda. “Adesso bevete svelti il vostro latte e poi
faremo un nuovo gioco.”
“Che gioco papà, che gioco?” Michelangelo era già eccitato.
“Tra poco vedrete. Prima bevete tutto il latte.” Forse con quel vecchio pneumatico potrei
costruire una specie di altalena...
Splinter li ha guardati bere dalle ciotole il latte, commosso
dall’innocenza dei bambini, i cui piccoli cuori credevano sempre, ancora, alle
sue parole.
Sapeva che sarebbe venuto presto il momento di raccontare
una storia, fatta di piccole tartarughe acquistate in un negozio di animali e
di liquidi verdi capaci di cambiar forma alla vita, la storia di un uomo che
aveva perduto tutto a cui il destino aveva voluto concedere quattro piccoli
miracoli; ma non era quello, ancora, il momento.
N/A Ahh no. Ah mi
sentiranno, eccome se mi sentiranno. I miei avvocati stanno lavorando. Il mio
ufficio stampa sta fremendo. Il dondolo! Il dondoloooo!!! Le mie fedeli Cartoonkeeper8 e Ser Barbs mi hanno avvertito subito. Quelli della Nickelodeon non hanno
capito che basta che faccia un fischio e mi trovo intorno uno stuolo di tarta-amiche
armate di bazooka…
Comunque, tornando a Virus, ringrazio ancora Shika98 che mi ha fatto correggere uno strafalcione nel capitolo
precedente. E baci (nel senso di camionate di Baci Perugina) anche alle care Lisabelle99, Piwy, CatWarrior, Hellenbach, _Bara no Yami_ e Gru.
Scusate
ancora il ritardo, sono giorni assassini, ma dopo questo intermezzo
baby (non resisto! E' più forte di me!) arriverrano presto i
capitoli tosti.
Un abbraccio grande come il Vesuvio :*
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Capitolo 28 *** Corsa ***
Cap 28
“Ready or not, come what may
The bets are going down for judgement day”
Oasis, Put Your Money Where Yer Mouth Is
Raffaello ha deciso che era tempo di andare. Erano ormai
passati cinque minuti e potevano essere scoperti da un momento all’altro.
“Mi senti adesso, Mikey?”
Il fratello l’ha guardato con un’espressione interrogativa.
“Non fa niente, andiamo.”
Gli ha fatto segno con la testa e si è trascinato fuori dal
tubo; Michelangelo l’ha seguito.
Appena uscito allo scoperto, Raffaello ha scorto due soldati
proprio nel cortile dove si erano nascosti; si è tenuto abbassato, indicando
con gli occhi a Michelangelo i due uomini, che ad una ventina di piedi di
distanza stavano ispezionando lo spazio tra dei vecchi veicoli abbandonati.
Raffaello si è avvicinato per prenderli alle spalle ma, fatti appena pochi passi,
uno dei due mercenari si è girato.
“Ma cos…”
Raffaello gli è corso contro, sferrandogli un pugno, ma il
compagno che si era allarmato ha fatto in tempo a schiacciare un tasto sulla ricetrasmittente
prima di essere atterrato da Michelangelo con un colpo di nunchaku.
“Via!”
Ha indicato al fratello minore il vicolo da dove erano
venuti ed ha iniziato a correre; ma appena arrivati allo sbocco si sono visti davanti
una dozzina di uomini, scesi da due vetture. I due fratelli si sono trovati
accerchiati, si sono guardati un attimo, si sono messi guscio contro guscio, e
poi hanno iniziato.
Nella lotta, loro due erano stranamente simili sotto molti
aspetti. Non era un segreto per nessuno che mentre Leonardo e Donatello erano
gli strateghi, i riflessivi, le menti delle operazioni, Raffaello e
Michelangelo fossero gli istintivi, gli spericolati, quelli per cui l’azione
vinceva sulla riflessione. Sicuramente Raffaello era più forte e più abile,
anche se Michelangelo era più veloce. Ma un occhio esperto avrebbe potuto notare
che i loro stili avevano molto in comune.
Primo, entrambi attaccavano subito.
Si sono lanciati verso gli uomini più vicini con le armi in
pugno, buttandone giù un paio con la forza dello slancio.
Secondo, tendevano ad essere abbastanza… rumorosi.
Alle risate gutturali, a bocca chiusa, del più giovane che
turbinando i nunchaku ha disarmato due soldati in nero dai loro manganelli, rispondevano
i grugniti del mutante dagli occhi verdi che ha rotto un lungo pugnale tra le tsuba
dei sai mentre assestava un calcio al ginocchio del proprietario.
Terzo, piuttosto che eseguire perfette mosse da manuale,
preferivano improvvisare, confondendo gli avversari con finte e bruschi cambi
di direzione.
Raffaello ha schivato un colpo di sfollagente al viso ed ha
assestato una potente percossa alle costole dell’avversario con il manico del
sai; Michelangelo si è buttato a terra scivolando di guscio ed arrivando con i
piedi contro le povere tibie di altri due soldati.
Quarto, avevano una propensione per le mosse spettacolari.
Michelangelo si è lanciato con una mano a terra mentre con
l’altra ha continuato a ruotare un nunchaku, ha fatto una ruota ed ha calciato
due avversari dritti in faccia; appena drizzato si è abbassato nuovamente
quando ha intuito la mossa del fratello, il quale ha agganciato il gomito con
il suo e ruotandogli di sopra, guscio contro guscio, ha voluto stendere a calci
sul naso gli ultimi due avversari pure lui.
Quinto, avevano lo stesso modo di guardare i nemici per
terra tutt’intorno a loro, inclinando la testa leggermente di lato con aria soddisfatta.
“Da questa parte, ho visto un tombino non molto lontano da
qui venendo al porto.” Raffaello ha fatto nuovamente segno a Michelangelo ed i
due hanno ripreso a muoversi; dopo pochi minuti di corsa, svoltando l’angolo, il
mutante con i sai ha indicato il tombino proprio alla fine della strada.
Se non che, quando erano quasi arrivati, per quella strada
ha svoltato un Hummer, passando con le ruote proprio sul tombino prima di
sfrecciargli incontro.
I due fratelli si sono bloccati un attimo e poi voltandosi
hanno ripreso a correre verso la direzione da dove erano appena giunti, non
senza un buon numero di bestemmie da parte di Raffaello.
“Fratello, guarda che inizio a sentire nuovamente!”
“Muoviti Mikey, dannazio…”
Ma anche da quella parte, adesso altre due luci hanno
svoltato l’angolo.
Erano presi in mezzo.
Si sono fermati nuovamente, poi si sono guardati, incerti
sul da farsi.
Quest’ultima automobile sembrava diversa dalle altre. Fatti
poche decine di piedi nella loro direzione, si è fermata. Non era un veicolo
militare, ma una vecchia berlina, alquanto malridotta. Anche sotto la luce dei
lampioni, si poteva vedere bene che la carrozzeria era un collage di pezzi dai
diversi colori, ed era una sinfonia di graffi ed ammaccature.
A bordo, vi era una persona sola, che ha aperto lo
sportello, è scesa ed ha lanciato qualcosa nella direzione dei due fratelli.
Anzi, ha lanciato qualcosa oltre i due fratelli, a centrare
in pieno l’Hummer che li aveva quasi raggiunti. All’impatto, una palla di fuoco
ha avvolto la carrozzeria del veicolo militare, che ha sterzato bruscamente
andando a sbattere contro il muro del capannone al lato della strada.
Dietro altri due veicoli si stavano avvicinando.
“Muovetevi voi due!”
“Casey!” Le due tartarughe hanno gridato all’unisono verso
l’umano che gli faceva freneticamente cenno con la mano di avvicinarsi.
“Cosa ci fai qui?” ha chiesto Raffaello salendo a bordo nel
sedile accanto al guidatore, mentre Michelangelo si posizionava dietro.
“Tu che dici? Vi salvo il guscio!” Il ragazzo si è riseduto
al volante ed ha chiuso la portiera.
“Ma come…”
“T-phone, tracciamento, ti dice niente?” Casey Jones ha
fatto velocemente manovra ed è tornato indietro da dove era venuto, sfrecciando
a tutta velocità nei i vicoli tra i capannoni di quella zona del porto,
dirigendosi verso la città.
Michelangelo si è girato a guardare oltre il lunotto.
“Ci seguono. Ne abbiamo due dietro!”
Altri Hummer si sono inseriti da un strada laterale.
“Rettifico. Ne abbiamo sei! No sette!”
“Li vediamo anche noi, testa di guscio! Casey non puoi
accelerare con questo bidone della spazzatura?”
“Bidone della spazzatura?” L’umano ha accarezzato il volante
con una mano. “La mia macchina è un gioiellino.”
“Sì, che era fuori produzione da anni quando io sono uscito
dall’uovo! Accelera!”
“Sono al massimo, Raph! Mikey dietro per terra c’è una
scatola con delle bottiglie. Passane una avanti.”
“Ma…” Michelangelo ha guardato stupito le bottiglie ai suoi
piedi. Bottiglie di birra con uno strano tappo di stoffa. “Ma ti sembra il
momento?”
“Mikey! Raph, nello sportellino del cruscotto c’è un
accendino.”
Raffaello ha allargato gli occhi quando ha preso tra le mani
la bottiglia che gli ha passato Michelangelo.
“Molotov, Casey? A volte mi fai paura, giuro.”
L’adolescente ha mostrato i denti rotti in un sorriso
compiaciuto.
“Grazie, amico. Ehm, Raph, cosa è successo alle vostre
maschere?”
Raffaello ha incrociato per un secondo gli occhi per mettere
a fuoco il tessuto intorno alla visuale, mentre accendeva la stoffa che usciva
dal collo della bottiglia piena di benzina. Vero, aveva ancora addosso la
maschera di Michelangelo, non ci aveva fatto caso.
“Lunga storia. Adesso pensa a non farti raggiungere.”
Si è sporto con entrambe le spalle e metà guscio fuori dal
finestrino, mentre la macchina continuava a correre, ed ha lanciato una
bottiglia verso gli inseguitori che si avvicinavano sempre di più.
La bottiglia si è infranta contro la parte inferiore del
parafango di uno degli Hummer, ma le fiamme hanno ricoperto solo parzialmente
il parafango e la vettura ha continuato la sua corsa.
“Dannazione!” Raffaello ha sbattuto un pugno contro il
cruscotto. “Mikey, passamene un’altra.”
“Uh, Raph, passami tu l’accendino.”
Raffaello si è girato verso il fratello fulminandolo con lo
sguardo ma Michelangelo gli ha sorriso sornione e con l’espressione di chi la
sa lunga. Raffaello stranamente ha ceduto.
La tartaruga più giovane ha acceso la miccia, poi si è
sporto a sua volta ed ha lanciato la bottiglia.
Stavolta l’esplosione di fuoco ha preso in pieno il
parabrezza dell’Hummer, e si è diffusa sul cofano e sul tetto. L’auto ha
sbandato andando a centrare quella che sfrecciava accanto a lei, ed entrambe
sono finite fuori strada.
“Wow!” Casey sembrava divertirsi ad una festa.”Mikey sei
fenomenale!”
“Anni di pratica nel lancio dei palloncini d’acqua. Questo è
il trucco, ragazzi.”
Le due tartarughe e l’umano hanno abbassato istintivamente
la testa quando il primo colpo è esploso dietro di loro.
Casey Jones ha guardato nello specchietto retrovisore:
diverse pistole stavano spuntando dai finestrini delle auto che li inseguivano.
L’adolescente ha corrugato la fronte sotto la bandana nera, improvvisamente
molto meno divertito.
“Ragazzi, ci sparano!”
Altri colpi sono risuonati. Un paio di veicoli li hanno
incrociati: gli automobilisti spaventati si sono tolti dalla strada.
“Sparano alle gomme, Casey. Dirigiti verso sud, è più
isolato. Qui inizia ad esserci troppa gente in giro.” Raffaello si è girato a
guardare Michelangelo che mandava un altro colpo a segno. Adesso le auto alle
loro spalle erano solo quattro.
Le macchine sfrecciavano tra i semafori lampeggianti e le
poche insegne della zona degradata. Un paio di barboni davanti ad un falò di
rifiuti in un bidone si sono voltati a guardare lo strano spettacolo. Uno di
loro avrebbe giurato che sulla prima macchina c’erano due ragazzi verdi. Poi
entrambi si sono buttati a terra quando hanno sentito gli spari.
Dentro l’abitacolo si è avvertito il perforare del metallo.
“Dannazione! Mi stanno bucando la carrozzeria! Mi costerà un
botto farla riparare.”
“Lasciala così, tanto colpo in più colpo in meno…”
“Non prendo lezioni di stile da chi viaggia dentro un
vecchio vagone della metro, amico. Tenetevi. Goongalaaa!”
Tutt’ad un tratto, la berlina ha fatto una brusca deviazione
a gomito, per inserirsi in uno strettissimo vicolo laterale. Gli specchietti
sono saltati e le fiancate hanno fatto scintille contro i muri.
Casey Jones ha riso soddisfatto guardando nel retrovisore.
“Eh eh! Guardate! Loro non ci passano! L’ho visto in un
film…”
Usciti dall’altra parte del vicolo, hanno guardato le auto
degli inseguitori spuntare dalla strada perpendicolare a quella nella quale si
erano appena immessi.
“Sì, Casey, ma nella realtà mentre noi lasciavamo le
fiancate contro i muri, loro hanno avuto tutto il tempo di girare l’isolato! A
volte mi chiedo chi è più cretino tra te e Mikey!”
“Ehi!” Il mutante più giovane si è imbronciato mentre
accendeva due bottiglie insieme; poi si è proteso ancora una volta dal
finestrino ed ha lanciato le due molotov in fiamme contro gli inseguitori.
Altri due veicoli sono stati avvolti dal fuoco.
“Ragazzi” ha iniziato Michelangelo rientrando nell’abitacolo.
“La buona notizia è che ne sono rimasti solo due. La cattiva che abbiamo finito
le bottiglie.”
Altri colpi di pistola sono risuonati.
La macchina ha scartato di lato.
“E la cattivissima notizia è che ci hanno colpito ad una
ruota!” ha gridato l’umano.
La berlina ha rallentato notevolmente l’andatura, mentre il
ragazzo cercava di farla procedere in linea retta; ma l’auto ondeggiava ed il
cerchione ha iniziato a proiettare una scia di scintille. Gli inseguitori erano
ormai a pochi piedi di distanza.
Un Hummer si è affiancato per sorpassarli, mentre l’altro
era ormai attaccato dietro.
Raffaello ha stretto gli occhi con rabbia quando nello specchietto
interno dell’abitacolo ha scrutato chi lo guardava dalla macchina che li seguiva.
Due occhi grigi. Un ghigno crudele.
“Adesso vi mostro io una cosa vista in un film” ha
praticamente ringhiato il mutante con i sai, iniziando a sporgersi dal
finestrino.
“Cosa hai intenzione di fare?” gli ha chiesto allarmato
Michelangelo, quando ha visto che il fratello si stava issando sul tetto
dell’auto in corsa.
“Amico, sei pazzo? Torna dentro!” Casey ha gridato allibito.
All’interno dell’abitacolo sono sbucate le punte dei sai che Raffaello ha usato
per agganciarsi sul tetto.
“Raph!” Michelangelo ha afferrato il sedile anteriore,
sgomento. “Casey, si ammazzerà!”
“Cosa diavolo crede di fare?” Kurtis, dal sedile passeggero
dell’Hummer che era ormai praticamente attaccato al bagagliaio della berlina, ha
visto la tartaruga salire sul tetto; il mutante si è messo un attimo piegato
sulle gambe, reggendosi dai sai per evitare di essere sbalzato dalla velocità,
e poi con un potente scatto ha sganciato le armi e si è proiettato verso l’auto
degli inseguitori.
La strada era deserta. Se ci fosse stato qualcuno, in quella
zona sporca e degradata, illuminata dai lampioni gialli, avrebbe potuto vedere
lo spettacolo di una tartaruga mutante che balzava come una fiera, ed avrebbe
potuto ascoltarne il grido rabbioso, mentre atterrava sul tetto
dell’Hummer, affondando le sue armi nella carrozzeria, poi perdeva la presa con
un braccio e si teneva per un attimo con una mano sola, rischiando di essere scagliato
fuori, prima di riafferrare anche con l’altra mano il sai conficcato, con un
mirabile atto di forza.
Raffaello ha tirato fuori dalla lamiera uno dei
sai e l’ha piantato nel parabrezza, proprio davanti al guidatore,
producendo una
ragnatela di crepe nel vetro; poi ancora, usando le sue armi come
piccoli
arpioni da scalatore, si è spostato sul tetto, restando
sdraiato, mentre l’auto
sbandava lateralmente per cercare di buttarlo giù, e si è
avvicinato verso il
finestrino dell’autista.
“Raphhh!” Michelangelo girato verso dietro guardava con i
grandi occhi azzurri spalancati dall’ansia la scena che si svolgeva a pochi
piedi da lui nell’altra vettura, e non ha potuto fare a meno di gridare
spaventato quando Raffaello è stato quasi scaraventato sulla strada; Casey
Jones non gli ha prestato attenzione: era impegnato a cercare di non farsi
speronare dall’auto, molto più grande della sua, che lo aveva affiancato.
L’Hummer ha tentato un paio di colpi sterzando violentemente contro la piccola
berlina; al terzo colpo, più forte, l’auto di Casey ha ceduto, è stata
sbalzata sul marciapiede ed è andata a sbattere duramente contro una saracinesca
chiusa.
Sull’altro Hummer, il finestrino dalla parte del guidatore era
aperto; ogni caso, Raffaello l’avrebbe rotto con il pugno potentissimo che ha
assestato per spingersi dentro l’abitacolo; ha preso in pieno in guidatore, che
si è accasciato sul volante. L’auto ha scartato di lato ed ha divelto l’estintore
sul ciglio della strada, e per l’inclinazione del colpo e la velocità ha
iniziato a sollevarsi, fino a ribaltarsi.
Raffaello all’impatto è stato balzato via.
Se avesse avuto tempo di riflettere, avrebbe capito quanto
stupida e avventata fosse stata la sua azione, e che accecato dalla rabbia non
aveva valutato le pericolose conseguenze del suo gesto. Ma nella frazione di
secondo mentre volava inesorabilmente per schiantarsi contro l’asfalto, ha
fatto in tempo solo a sperare di uscirne vivo.
N/A Eccomi! In
vibrante attesa per “Buried Secrets” e soprattutto, nelle prossime puntate, per
Mikey/… ok, non spoilerizzo per chi non lo sa, ma io già non vedo l’ora di scrivere
once di ff su Mikey innamorato ^_^
Un trasporto speciale di GRAZIE alla Ladyzaphira
ed alla sua Mayra, a _Bara no Yami_
ed alla sua fisica, a Hellenbach e alla
stitcciana Cartoonkeeper8 (mi ha
fatto piacere che avete “giustificato” il mio Splinter costretto a rubare, sono
stata un po’ titubante a proposito ma effettivamente non riuscivo a spiegarmi
come abbia fatto altrimenti a tirare su 4 pargoli!), a Lisabelle99 portatrice di letale calza al burro, a Shika98 (per me conti TANTISSIMO! Se
osi dirlo di nuovo ti faccio stare una tartaruga due minuti in apnea XD ), a Piwy confronto alla quale Raph è Buddha,
a Gru che lotta col sonno peggio di
me, ed a LauraMomiji con la quale un
giorno ci contenderemo Splinter a singolar tenzone.
Un abbraccio grande quanto la bellezza della citazione da
Lilo e Stitch della mia amica Cartoonkeeper.
“Questa è la mia famiglia. L'ho trovata per conto mio. È piccola, e disastrata,
ma bella... Sì, molto bella.”
|
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Capitolo 29 *** Rosso ***
Cap 29
“Wake me up inside
Call my name and save me from the dark”
Evanescence, Bring Me
to Life
Il guscio di una tartaruga mutante è relativamente
resistente.
Non può, naturalmente, fermare le pallottole o i colpi di
lama ben assestati. Come un osso umano, si rompe quando il colpo ricevuto è
forte e preciso.
Ma quando l’impatto si scarica uniformemente, la robustezza
elastica del reticolato di scuti riesce a salvare la colonna vertebrale da
pericolose lesioni.
Raffaello ed i suoi fratelli avevano sperimentato spesso,
loro malgrado, colpi che li avevano portati a sbattere violentemente di guscio:
a volte fragili muri si erano addirittura crepati e rotti ed i mutanti si erano
alzati per riprendere il combattimento dopo incidenti che sarebbe risultati
letali per la maggior parte degli umani. Sì, avere un guscio, se si è un ninja,
può risultare utile in molte occasioni.
Una caduta rovinosa contro l’asfalto, sbalzati violentemente
dal tetto di un veicolo, rientra in questa casistica.
Raffaello ha sentito il guscio scricchiolare quando ha
sbattuto contro il terreno, e poi ha continuato a scivolare. Prima di smorzare
la velocità dell’impatto, è rotolato su sé stesso più e più volte. Quando alla
fine si è fermato ed ha fatto per alzarsi in piedi era stordito, dolorante, ma
vivo.
Le parti della braccia e delle gambe non coperte dalle
protezioni che avevano strisciato contro l’asfalto hanno iniziato a sanguinare
e sicuramente facevano abbastanza male, ma Raffaello non ci ha fatto caso.
Tutta la sua attenzione era rivolta ad altro. Tutto il suo interesse,
i suoi sensi, il suo cervello, erano focalizzati sulla figura che era uscita
fuori, insieme ad altri tre uomini, dall’auto capovolta sulla strada.
Kurtis ha piegato il collo da una parte e dall’altra. Ha
abbassato un attimo gli occhi grigi, poi li ha puntati sul mutante. Ha increspato
un angolo della bocca in qualcosa a metà strada tra un sorriso ed un’espressione
di fastidio. Ha alzato leggermente entrambe le mani, con gli indici protesi: al
comando, i suoi uomini sono partiti all’attacco.
Raffaello ha avvertito il tempo dilatarsi nell’eccitazione
dell’adrenalina. Il suo corpo era pronto alla battaglia, tutto il suo essere
era proiettato verso un unico compito.
Sei più uomo o più
animale.
Leonardo. Lui aveva
ucciso Leonardo.
Niente aveva più importanza. Il sangue caldo sulla sua pelle
verde. Il pulsare sordo dei suoi battiti nel petto. I lampioni gialli, la
sporca New York.
Il suo unico intento era quello di annullare quel sorriso
osceno, di arrivare a estirpare fuori la vita da quegli occhi grigi.
Le istruzioni del suo allenamento ninja arrivavano ai suoi
sensi in automatico, senza che se ne rendesse conto. Armi. Un ninja ha le sue
armi. Ha cercato i suoi sai. Uno era miracolosamente ancora stretto nella sua
mano; l’altro giaceva sull’asfalto, a pochi piedi di distanza.
Uno per adesso sarebbe bastato.
I tre uomini correvano verso di lui.
Un sai era anche troppo. L’ha lanciato contro il primo uomo.
La punta è affondata appena sotto la clavicola destra.
Ferita grave ma non letale. Non ha ucciso, non ancora. Non perché non lo
volesse: a questo punto per lui non aveva importanza. Semplicemente, la forza
dell’abitudine.
Ha caricato ed ha saltato, facendosi forza sulle gambe. Era
il balzo di una bestia feroce.
E mentre atterrava sugli altri due uomini, della bestia si udiva il ruggito.
…
Michelangelo ha girato la testa, a guardare, lì, in
lontananza, a parecchie decine di piedi da lui, suo fratello Raffaello che si
avventava contro due soldati. È rabbrividito quando l’ha sentito ringhiare la
sua furia: quasi non sembrava lui.
Non ha potuto però prestarvi che meno di un secondo
d’attenzione, poiché un altro uomo gli si è lanciato contro, brandendo un
tubo telescopico di metallo nero. Michelangelo, continuando a girare con la
mano sinistra il suo nunchaku, l’ha scansato e poi l’ha colpito alle spalle.
Ha avvertito un'altra figura dietro il suo guscio e si è
girato per colpire ancora, ma ha fermato il braccio quando ha visto che si
trattava di Casey. L’amico umano stava deviando con la sua mazza da hockey i
colpi di macete di un uomo di colore molto più alto e grosso di lui. Ancora tre
soldati in piedi.
Ma Michelangelo non poteva usare una mano, aveva dolore nel
piegare una gamba, e la città girava intorno al lui come se fosse su una
giostra.
Quando l’auto di Casey era andata a sbattere contro la
saracinesca di ferro, l’impatto era stato violento. L’adolescente umano se
l’era cavata abbastanza bene, grazie all’air bang sul volante ed alla cintura di
sicurezza. Era sceso subito ad affrontare i cinque uomini che gli venivano
incontro dall’Hummer che li aveva speronati.
Ma per la giovane tartaruga mutante con le lentiggini le
cose erano andate peggio. Nel sedile posteriore, senza cintura di sicurezza,
all’impatto era stato sbattuto con violenza contro l’interno dell’abitacolo. La
mano ed il ginocchio destro avevano assorbito la maggior parte del colpo, ma
aveva anche picchiato abbastanza seriamente la testa contro il montante. Era
rimasto intontito per qualche secondo, confuso, nauseato e con la visione nera
ai bordi. Aveva percepito, nell’ordine, l’abitacolo fatiscente della macchina
di Casey, la luce del lampione che illuminava la strada, il gusto del sangue in
bocca, un dolore pulsante che si irradiava dal ginocchio ed uno più forte dal
polso, una fitta lancinante alla testa, e Casey Jones fuori dall’auto che
tentava di tenere lontani, a colpi di bastone da hockey, sei uomini che lo
avevano circondato.
A fatica, aveva aperto lo sportello ed era sceso dall’auto,
crollando sull’asfalto. Ginocchia e mani a terra, aveva preso dei profondi
respiri che si erano affondati come lame
nella sua testa. Il nero nella sua visione si era ridotto sempre più ai bordi
mentre piccole scintille luminose si erano inseguite tra il brecciolino e il
bitume sotto ai suoi occhi. Si era imposto di alzarsi in piedi. Aveva fatto un
veloce check-up.
Il pad di protezione gli aveva probabilmente salvato il
ginocchio destro, ma muoverlo gli provocava dolore: al minimo, una bella contusione.
Non poteva utilizzare la mano dello stesso lato del corpo, per il forte dolore
al polso: visto che però riusciva a spostare un poco le dita, aveva valutato che
fosse più probabilmente una brutta slogatura che una frattura. Ma per quanto ne
capisse poco di medicina, aveva subito individuato il danno più grave: aveva un
trauma cranico. Non riusciva a mettere a fuoco la visione ed era stordito.
Questo non gli aveva impedito di lanciarsi ad aiutare Casey
Jones.
Adesso, si trovava guscio contro spalla con l’amico umano.
Casey ha continuato a parare i colpi di lama del nemico, colpendo veloce con la
sua mazza: adesso era l’uomo che ha iniziato ad indietreggiare contro i
rapidissimi e precisi colpi del ragazzo. Michelangelo si è trovato a
fronteggiare da solo gli altri due mercenari.
Uno, un asiatico con due lunghi coltelli, spostava
velocemente il peso del corpo da un piede all’altro; il suo compagno, un
caucasico calvo e massiccio, ruotava due bastoni che assomigliavano sia a dei tonfa che a degli sfollagente.
Michelangelo si è premuto un attimo sulla tempia il pugno
con i due manici del nunchaku. Sembrava che la testa gli si volesse aprire a
metà.
“Ragazzi, ho mal di testa, e non voglio farvi male. Per
favore, andate a casa” ha detto stancamente. Aveva solo voglia di un’intera
confezione di aspirine. Si è messo in posizione d’attacco, ma ha barcollato
leggermente.
“Ah ah! Ma guardalo! Non si regge in piedi.” L’uomo
caucasico ha riso facendo un cenno al suo compagno; i due hanno attaccato
insieme.
Meno di dieci secondi dopo, erano entrambi a terra, contusi
e tramortiti.
Michelangelo ha fatto spallucce, sovrastandoli. Glielo aveva
pure detto, no?
Ha guardato Casey. Anche l’umano aveva avuto la meglio sul
suo aggressore, che giaceva a terra. Ha quindi buttato lo sguardo in giro a
cercare Raffaello. Eccolo, non molto distante.
Fermo, si fronteggiava con Kurtis.
…
Raffaello aveva colpito a pugni i due uomini, veloce e
preciso. Come una furia, li aveva buttati giù pur essendo disarmato. Uno di
loro lo aveva ferito di striscio ad una spalla con un pugnale, ma non aveva
fatto in tempo a ritirare il braccio dopo l’affondo che Raffaello glielo aveva
slogato con un pugno sul gomito. L’altro era stato meno fortunato, poiché la
tartaruga aveva avuto il tempo di colpirlo più volte prima che l’uomo cadesse a
terra col volto tumefatto ed insanguinato.
Il mutante non li aveva degnati di uno sguardo, una volta
caduti giù. Era tornato a recuperare il sai dalla spalla del primo soldato che
giaceva a terra gemendo. L’uomo aveva gridato, ma Raffaello era ormai una furia
di fuoco e di ghiaccio.
I suoi occhi verdi erano gelide promesse di morte. Nelle sue
vene ardeva, pulsante, la brama di vendetta.
Kurtis era lì, da solo, fermo a pochi passi da lui.
Una folata di vento freddo ha turbinato le carte sporche sui
bordi della strada.
Kurtis ha sfiorato con la mano la fondina nella sua cintura.
Un cipiglio si è poggiato sul viso per un attimo: la pistola non c’era, doveva
averla perduta in macchina durante l’incidente.
Con calma, ha tirato allora fuori i suoi due sfollagente
neri. In fondo, non aveva bisogno di armi da fuoco. Con questi suoi due fedeli
compagni aveva portato la morte più volte di quanto riuscisse a ricordare. Ore
di allenamento giornaliero lo avevano reso negli anni più veloce di un cobra ed
altrettanto letale. Solo una volta era stato battuto in un combattimento corpo
a corpo. Proprio da un mutante come quello che aveva di fronte.
Si è inumidito le labbra.
“Dimmi, sono curioso: tuo fratello è già morto o lotta
ancora per non soffocare nel suo stesso sangue?”
Le sue risate crudeli erano schegge di vetro contro la
carne.
“Non osare nominare mio fratello, bastardo.”
La voce di Raffaello è risuonata bassa e cupa tra i rantoli
rabbiosi. Sotto la luce dorata del lampione, il suo fiato si condensava in
alabastrini fumi.
Con un urlo, il mutante ha attaccato.
Puntando in avanti l’unico sai, ha tentato di distrarre
l’avversario con una finta, per colpirlo con un pugno dell’altra mano. Ma
Kurtis non si è fatto ingannare, si è scansato prima da una parte e poi
dall’altra ed ha assestato un colpo di sfollagente sull’avambraccio della tartaruga
mutante.
Il colpo non è bastato a rompere le ossa, ma è stato
abbastanza potente da fare molto male. Raffaello è indietreggiato, ritirando
verso il corpo il braccio colpito. L’uomo era velocissimo, e molto forte. Aveva
fatto l’errore di sottovalutarlo: non sarebbe capitato una seconda volta.
L’uomo dagli occhi grigi ha iniziato a mulinare gli
sfollagente. Due cerchi neri che fischiavano nell’aria.
Raffaello si è messo in posizione di difesa. Adesso, iniziava
a sentire i richiami del suo corpo. Il braccio sinistro, dove aveva ricevuto il
colpo, già dolorante per le escoriazioni, adesso pulsava dal dolore. Il destro
dove stringeva il sai era leggermente rallentato nei movimenti dal profondo
taglio proprio sull’articolazione della spalla, che lo stava lentamente
tingendo di rosso. Ha capito improvvisamente di essere in posizione
svantaggiata.
Ha deciso che gli sarebbe tornato utile l’altro sai. Ha
aspettato che il suo avversario iniziasse ad attaccare, e poi si è scostato
velocemente, si è girato ed ha iniziato a correre verso la sua arma, situata per
terra ad una dozzina di piedi di distanza, girando le spalle al suo avversario.
L’aveva quasi raggiunta quando un dolore è esploso nella
parte posteriore della coscia sinistra. Freddo e acuto, a straziare la calda
carne del muscolo. Raffaello è caduto giù, con un grido.
“Raph!” Michelangelo, a cui adesso la testa girava talmente
tanto da non riuscire a camminare dritto, si stava avvicinando, sorretto da
Casey, quando ha visto l’uomo prendere un pugnale dalla custodia sulla gamba e
lanciarlo contro Raffaello. Ha mollato Casey per correre dal fratello, solo per
crollare dopo un passo.
“Maledizione, Mikey!” Il giovane umano si è inginocchiato
per terra accanto a lui, spaventato.
Raffaello, per terra, si è girato giusto in tempo per
deviare con il sai un forte colpo di sfollagente. Kurtis, che lo sovrastava,
gli ha allora assestato un calcio proprio nella coscia trafitta dalla lama.
“Ahh!” Raffaello ha sentito le lacrime salirgli agli occhi
mentre il dolore si irradiava crudelmente nei nervi della gamba. Si è
raggomitolato, a proteggere la ferita.
Il rumore dell’elicottero è passato sopra le loro teste,
mentre il faro ha illuminato la strada. Kurtis ha alzato per un attimo lo
sguardo, poi è tornato a rivolgersi al mutante.
“È finita. Gli altri miei uomini saranno qui a breve.
Arrenditi subito o vi faremo a pezzi.” Ha indicato con la mano Mikey e Casey.
“Perché?”Raffaello ha sibilato tra i denti, gli occhi chiusi
a due fessure, mentre con dolore si rialzava lentamente da terra. “Perché ce
l’hai con la mia famiglia?”
“Perché?” Kurtis ha sorriso. “Soldi, naturalmente. Per il
vostro amico Shredder e per gli scienziati del governo voi mostri avete un
certo valore, a quanto pare.”
Raffaello ha preso un profondo respiro.
Per soldi.
Tutta la sua angoscia, la sua ansia. La paura di Mikey. La
sofferenza di Donnie. L’amarezza di suo padre.
Tutto quello che avevano passato, da quel maledetto
messaggio. Sangue e rabbia.
Leo.
La malattia di suo fratello, i suoi gemiti di dolore, i suoi
occhi blu che accettavano la morte.
Tutto… per niente.
Qualcosa si è spento dentro Raffaello.
All’improvviso, non era più il mutante furioso, non era più
neanche l’animale. Poiché niente aveva un senso, neanche lui aveva un senso.
Era come se la rabbia dentro di lui fosse arrivata ad un punto tale da
annientare ogni cosa, anche sé stessa. Come se tutto si fosse bloccato nel momento
di candida distruzione e terribile splendore di un’esplosione. Niente, non
c’era più niente. Non c’era più alcun sentimento, non c’era dolore, non c’era
Hamato Raffaello.
Kurtis ha alzato il braccio, ed ha sferrato un colpo con lo
sfollagente prima che il mutante si fosse completamente rialzato. Ma questi,
talmente veloce da rendere impossibile seguire con gli occhi il suo gesto, ha
bloccato con il sai lo sfollagente in aria, senza alzare la testa. Rimesso
completamente in piedi, con l’altra mano ha sfilato il pugnale dalla parte
posteriore della sua coscia, senza un gemito, né un tremore. Ha alzato allora
lo sguardo all’umano. Ed il suo sguardo era vuoto.
Prima che Kurtis avesse capito cosa stesse succedendo, si è
trovato a cercare di parare con gli sfollagente una gragnola di colpi di sai e
pugnale. Veloci, troppo veloci, mostruosamente veloci, talmente potenti da
essere imparabili. Il legno frenava una lama, ed una punta arrivata una
frazione di secondo dopo; bloccava la punta, ma la lama era già arrivata. Così,
in un turbine senza soluzione di continuità, incurante se il legno degli
sfollagente neri batteva le ossa della mano verde che in quel momento non era
una mano. Una nuvola indistinta di movimenti, tra Kurtis ed i due occhi mutanti
privi di ogni emozione.
L’umano si è trovato a lasciare cadere le sue armi, poiché
si è accorto sgomento di avere gli avambracci completamente dilaniati da tagli
e ferite.
Spaventato, ha cercato di indietreggiare, ma i colpi
continuavano ad arrivare, rapidi, indistinguibili; ha tentato di parare il viso
ed il corpo con gli avambracci e le mani che erano ormai un pasticcio di rosso.
Il mutante si è abbassato rapido, ed ha affondato le armi nelle ginocchia
dell’uomo, che è crollato sul marciapiede. Poi la tartaruga ha lasciato cadere
le mani lungo i fianchi e gocce rosse sono piovute dalle armi sull’asfalto.
Kurtis si è spinto indietro con i talloni, ma adesso non riusciva a muovere
bene le gambe dal dolore lancinante alle ginocchia, incapace di distogliere lo
sguardo da quel mostro che lo stava sovrastando, mentre lui era inerte, le
braccia inutilizzabili, adesso terrorizzato, come quando era piccolo, e lì,
sopra di lui, suo padre lo picchiava, ancora, tutto si ripeteva, ancora,
ancora…
Il mutante l’ha afferrato dal colletto, e l’ha tirato su, in
ginocchio; Kurtis ha tentato invano di divincolarsi. La tartaruga ha teso
entrambe le braccia e l’ha inchiodato per le spalle; l’uomo ha urlato di dolore,
ha cercato di scappare, ma il mutante ha tirato fuori il pugnale dalla spalla dell’uomo
ed ha ripreso a colpirlo, nella parte alta delle braccia e nelle spalle, una,
due, tre volte: il sangue fluiva, l’uomo gridava e si dimenava, lacerandosi
ancor di più la spalla immobilizzata crudelmente dal sai, tentando ancora di
fermare i colpi con le mani straziate; il mutante adesso ringhiava piano,
ansimando, sempre con lo stesso sguardo fisso, spento, folle.
“Basta!” Un urlo disperato si è alzato vicino a loro.“Basta
Raph, smettila!”
Kurtis ormai sfinito si è girato lentamente a guardare chi
aveva parlato: a pochi passi di distanza vi era l’altra tartaruga mutante,
quella più piccola, con la maschera rossa, sorretta dall’umano.
Raffaello è sembrato bloccarsi un attimo, poi ha ripreso ad
affondare l’arma, ancora, ed ancora, stavolta nella parte alta del torace
dell’uomo.
“RAPH! Ti prego, BASTA!” ha gridato ancora Michelangelo, che
si è messo a piangere inorridito.
Tutto era rosso. Tutto era rabbia e dolore. Non vi era
niente, nell’universo, oltre a questo.
Non vi è che morte.
Tutto era rosso.
Per quanto Raffaello cercasse di guardarsi intorno, non
riusciva a distinguere nulla.
Dove sono? Chi sono?
Niente ha importanza.
Padre! Aiuto! Dove
sono?
Tutto era rosso.
Leo! Donnie! Mikey! Aiuto!
Niente ha importanza.
“Basta, Raph.”
Mikey?
“Basta fratello,
fermati.”
Raffaello si è fermato. Si è voltato, piano.
Gli occhi azzurri di Michelangelo gridavano.
Il mutante ha abbassato lo sguardo. Le sue mani, rosse. Una
mano stringeva un sai che inchiodava la spalla dell’uomo, l’altra teneva un pugnale
che gocciolava. Sangue dappertutto. L’uomo aveva gli occhi chiusi, una linea scarlatta
scorreva dalla bocca.
Ha ritirato il sai, l’uomo si è accasciato al suolo.
Raffaello l’ha guardato a lungo, stordito. L’umano era contorto ed immobile
come una bambola rotta.
Si è guardato la mano che stringeva il pugnale. Il caldo
liquido tingeva le fasce del polso di strisce vermiglie; striava appiccicoso
l’avambraccio. Ha aperto entrambe le mani.
Le armi hanno tintinnato cadendo sull’asfalto.
Raffaello ha guardato nuovamente Michelangelo.
Occhi azzurri che erano il cielo, infanzia e saggezza,
pulito coraggio.
Gli occhi azzurri l’hanno tirato fuori.
N/A Ci siamo.
Quello che doveva succedere è successo. Cappy sanguinolento, spero non tanto da
disturbare (va beh che in confronto agli episodi attira incubi che sta
sciorinando la Nickelodeon questo non è niente). Piwy e Cartoonkeeper8 si
erano gentilmente offerte ma alla fine Raph ha fatto da solo… Cara Cartoonkeeper8 riesco ad avere le
notizie in anteprima perché lavoro per la Nick… ^.^’ ok ok, spulcio impudicamente
forum ma a volte mi faccio prendere per il naso, come riguardo all’ultima
puntata, per la quale ho aspettato invano un momento Splinter/Karai. Tornando
all’amabile Kurtis, spero di aver reso decentemente lo scontro (grazie ancora
cara Shika98 per l’apprezzamento dei
“combattimenti stile LaraPink”, ho gongolato al solito come un’ebete XD) e di
aver fatto “provare feels” (_Bara no
Yami_) almeno un po’. In caso contrario ditemelo se perdo colpi, e mi
ritiro a piangere in un angolino buio. Draghetta cara, bellezza di ieri oggi e
domani, Ser Barbs, tienimi il quinto
posto; LisaBelle99 la battuta del
più cretino me l’hanno (quasi) copiata nell’ultima puntata, ma per me Casey
batte tutti, comunque stai attenta che studiare troppo fa male, è approvato
anche dai medici dentisti italiani. Cara HellenBach
ho visto che hai già sfornato il seguito, corro a leggere dell’uovo Hugo ;)
Felicissima che sia tornata a pieno regime la mia carissima imoto NightWatcher96 (senza di te questo fandom
non è lo stesso! Ti capisco per il lavoro, è una brutta bestia ^^’). Piccola
neko CatWarrior, non lo diciamo a nessuno,
ma io amo alla follia Semir che è pure bruttarello, ma niente fa impazzire una
ragazza più di un bell’inseguimento di auto… Ti spoilerizzo, se non lo sai già,
che è in arrivo Renet in TMNT 2K12: lei… cof cof…Mikey… Ok, alla fine l’ho
spoilerizzato a tutti :P Bien, ce lo vedo, come vedo April sempre e solo con
Donnie, come la mia minacciatrice preferita, Gru.
Ultimo, perché ha dato cavallerescamente il posto alle signore, ToraStrife: boh, se pappano la pizza,
il latte non gli farà male XD. Cmq ho inviato l’idea delle BMNT a Raidue, ma
facevano doppiare Splinter da Roberto Giacobbo ed ho detto di lasciar perdere.
Ah ragazzi… Scrivessi
altri mille capitoli non mi stancherò mai di ringraziarvi, dudes and dudettes, recensori
e lettori. Perdete il vostro tempo a leggere le mie storie, buhhhh *piange
commossa ed inonda EFPFanfiction*
Un abbraccio grande quanto la paura che mi ha fatto la scena di Leo
che inciampa sulla scala e viene raggiunto dall’alieno-Donnie-tentacolare.
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Capitolo 30 *** Lavare ***
Cap 30
“No hope, just desperation
So sit and wait for death
And pray it takes you soon”
Bullet For My Valentine, The Last Fight (Piano
Version)
Nel vecchio tratto abbandonato della metropolitana si
sentiva sempre il rimbombo lontano dei treni che da qualche parte sfrecciavano
sulla linea attiva. L’aria era fredda e stantia, pesante e polverosa, e spirava
sibilando nelle tubature abbandonate. Tre figure sono passate davanti alla luce
che si irradiava da una vecchia plafoniera di plastica rotta, tingendosi per un
attimo dei suoi riflessi arancioni.
La strada verso casa non gli era mai sembrata così lunga.
Casey non era certo il più grande e grosso dei ragazzi, ma si stava veramente
facendo in quattro per sorreggerlo, anzi, forse la parola giusta era trascinarlo. Michelangelo, d’altra
parte, più di così non poteva proprio fare: ogni passo che riusciva a gettare
avanti gli costava la stessa fatica che correre tre volte la maratona di New
York. Su un piede solo.
Non poteva neanche sperare nell’aiuto di Raffaello: al
momento, suo fratello era già abbastanza malconcio, e nonostante Casey gli
avesse stretto la propria bandana intorno alla coscia per fermare l’emorragia,
aveva perso un bel po’ di sangue. Così, procedeva anche lui stanco e curvo, zoppicante,
con lo sguardo spento di uno zombie.
Al paragone, Michelangelo è rabbrividito. Non avrebbe più
letto fumetti sugli zombie per un bel po’. Aveva visto abbastanza sangue e
violenza da bastargli per i prossimi sei mesi, non voleva più vederne neanche per
finzione nei fumetti né nei film.
Quando Casey ha spinto la sbarra del tornello all’ingresso e
l’ha accompagnato dentro, Michelangelo ha pensato che comunque sarebbe stato bello
vivere in un film. Se la vita fosse un film, si è detto, allora adesso tornando
a casa loro sarebbero stati accolti da Donnie, Sensei ed April, che, raggianti,
gli avrebbero detto che Leo si stava riprendendo alla grande, anzi che si era
già ripreso ed adesso era in cucina a mangiarsi una pizza, e che aspettava lui
per fargli assaggiare la nuova pizza speciale che con un solo morso poteva
allontanare i mal di testa atroci.
Ma poiché quella era la realtà, ad aspettarli c’erano solo
penombra e silenzio.
Donatello dormiva sdraiato sui gradini nella zona centrale,
con la testa in grembo ad April. La ragazza, anch’ella addormentata, col capo
reclinato su un cuscino sul gradino superiore, teneva una mano sulla testa
dell’amico, che a sua volta nel sonno le stringeva l’altra mano nella sua sul
proprio piastrone.
Michelangelo ha trovato la scena molto tenera.
Raffaello, più prosaico, ha svegliato la coppia di
dormienti. Avevano bisogno del loro aiuto.
“Donnie…” ha bisbigliato posando una mano sul piastrone del
fratello.
Gli occhi nocciola della tartaruga e quelli azzurri della
ragazza si sono aperti piano, poi hanno sbattuto più volte.
“Ragazzi!” ha esclamato April.
Donatello si è alzato a sedere con un gemito, mentre April è
balzata in piedi, squadrando gli amici, sporchi e malconci, con occhi allarmati.
“Figli miei!”
Tutti si sono girati verso Splinter, in piedi davanti alla
porta del laboratorio. L’uomo topo era a dir poco sgomento, mentre con gli occhi
passava da Raffaello a Michelangelo.
“Cosa vi è successo?”
I due mutanti si sono guardati, poi Raffaello ha rivolto
verso il padre gli occhi spenti e tremanti, persi e disperati. Ha abbassato lo
sguardo, con aria colpevole.
“È tutta colpa mia, Sensei. Michelangelo ha bisogno di cure,
ha sbattuto forte la testa.”
Donatello si è avvicinato al fratello minore, gli ha esaminato
gli occhi con fare clinico, poi ha chiesto accigliato a Casey di portarlo in
laboratorio, mentre lui ha fatto strada zoppicando.
“Sto bene Donnie, niente di grave” ha detto la tartaruga
entrando in laboratorio appoggiata a Casey. ”Come sta Leo?”
La tartaruga più alta per tutta risposta ha rivolto lo
sguardo a Splinter, ancora in piedi sulla porta.
“Non ci sono novità” ha mormorato il maturo mutante con voce
atona.
Raffaello si è chiesto perché anche questa frase gli avesse
spezzato ancora una volta il cuore. Si aspettava forse qualcosa di diverso? Ha
stretto per un attimo gli occhi, ha preso un profondo respiro, poi ha guardato
il viso severo del suo sensei.
“April, potresti
gentilmente prendere delle bende pulite e del disinfettante e portarmeli in
bagno? Mi serviranno anche ago e filo per sutura.” Splinter ha chiesto alla
ragazza, continuando a fissare il figlio. April ha accennato un inchino e si è
diretta in infermeria.
Splinter ha poi fatto a Raffaello un cenno con la mano nella
direzione del bagno.
“Non c’è bisogno, Sensei, io…” La frase gli è morta in gola per
lo sguardo del padre; ha chinato la testa e si è diretto verso il bagno,
zoppicando vistosamente per il forte dolore alla coscia.
Splinter l’ha raggiunto, l’ha sorretto per un braccio;
Raffaello si è irrigidito, ma non si è opposto.
Non avrebbe voluto che suo padre lo toccasse.
Non avrebbe voluto che suo padre si sporcasse.
Era sporco.
In bagno, fermo davanti alla vasca, Raffaello ha allargato
leggermente le braccia, teso ed imbarazzato, mentre Splinter gli scioglieva la
bandana dalla coscia, poi sfilava con delicatezza i pad di protezione e le
fasce dalle gambe e dalle braccia. Non ha potuto evitare di sussultare
leggermente dal dolore quando il maestro ha rimosso il tessuto che si era
attaccato sulle ferite.
Sempre immobile, con le braccia tese, la giovane tartaruga
mutante ha iniziato a tremare leggermente, e non ne capiva il perché.
Sicuramente, non aveva paura di suo padre. Anzi, non era sicuro che stesse
tremando né di paura, né di freddo. Tremava e basta.
Splinter comunque ha fatto finta di non accorgersene.
Riposti i pad di protezione per terra, ha iniziato a slacciargli la maschera.
Raffaello ha stretto un attimo gli occhi, poi ha visto il drappo arancione
nella mani di suo padre.
“Sensei…”
Il maturo mutante ha scosso la testa. Nessuna spiegazione.
Non adesso.
“Sensei?” April ha bussato alla porta.
“Entra nella vasca” ha ordinato al figlio, mentre di
avvicinava alla porta.
Raffaello ha obbedito.
Perché il padre era lì con lui, e non gli aveva
semplicemente ordinato di lavarsi?
Ha preso a tremare ancora più vistosamente.
Splinter ha richiuso la porta dietro di sé, ha poggiato su
uno sgabello le forniture. Si è avvicinato alla vasca, ha aperto l’acqua,
regolato la temperatura della doccetta, e con una spugna ha iniziato a lavare
il sangue dal corpo del figlio. L’acqua si è tinta violentemente di rosso
quando ha pulito le ferite alla coscia e alla spalla. Raffaello ha stretto i
denti. Splinter ha deterso le abrasioni sulle gambe e sulle braccia.
Poi, sempre con delicatezza, ha pulito il sangue dalle mani
gonfie e violacee, dagli avambracci, dal collo e dal piastrone del figlio;
sangue che chiaramente non era suo.
Raffaello non riusciva a smettere di tremare.
Con il capo chino, guardava l’acqua rosastra serpeggiare sul
fondo della vasca verso lo scarico.
Ha dovuto lottare per ricacciare dentro le lacrime. Un senso
di angoscia infinito l’ha stretto tra le sue spire. Ha desiderato sciogliersi come
fango e scivolare via nell’acqua.
Ha desiderato non sentire più niente.
Ha capito, d’un tratto, perché il padre fosse lì. Ma il suo
cuore adesso non riusciva a fare spazio neanche alla gratitudine.
Lui, adesso, era solo disperazione.
…
“Hai un lieve trauma cranico.”
“Grazie, l’avevo capito.”
“C’è poco da scherzare. Come è successo?”
“Ho sbattuto la testa.”
“Mikey!”
“Senti Donnie, la testa mi sta esplodendo. Non potresti
darmi subito una ventina di pastiglie e finire di tormentarmi? Fatti raccontare
tutto da Casey.”
“Ti faccio parlare per indagare l’entità del danno. Ti senti
molto confuso?”
“Ho molto mal di testa. Dammi le mie pillole!”
“Hai perso conoscenza?”
“No. Sì? No, no.”
“Mikey!”
“No, sono quasi sicuro di no.”
“Hai vomitato?”
“No.”
“Ti sei urinato addosso?”
“Cosa?”
“Allora?”
“No.”
“Hai problemi di vista o di udito?”
“Ho visto doppio per un po’, ma adesso va meglio. E mi
fischiano le orecchie, ma a causa della granata stordente.”
“Granata stordente?”
“Ti prego Donnie, i dettagli dopo. Non credo che bastino le
aspirine, dammi qualcosa di più forte.”
“Hai fatto sforzi dopo il colpo in testa?”
“Picchiare un paio di cattivoni conta? Donnie, pillole…”
“Hai avuto allucinazioni di qualche tipo?”
“Uh, allora, vediamo… Ho visto mio fratello Raph, quello con
cui gioco da una vita, massacrare a morte un uomo inerme. Aspetta, no, quella
era la realtà!”
Michelangelo ha praticamente gridato, con voce acuta e quasi
isterica.
April e Casey dall’altra parte del laboratorio si sono
bloccati, mentre la ragazza disinfettava una piccola ferita sulla mano del
ragazzo. Donatello ha aperto la bocca, per parlare, poi l’ha richiusa, ed ha
guardato Casey.
Il ragazzo ha abbassato la testa.
Per qualche secondo è sceso il silenzio, rotto solo dal
rumore delle macchine a cui era attaccato Leonardo.
“C’era… c’era un sacco di sangue.” La voce di Michelangelo si
è abbassata a diventare un bisbiglio. “E non sono svenuto.”
“Gli attacchi di panico non sono determinabili, Mikey.”
“Uh…”
“Eh, Mikey?”
“Sì?”
“Perché indossavi la maschera di Raph?”
Michelangelo si è girato a guardare sul tavolino la maschera
che Donnie gli aveva tolto poco prima.
La maschera rossa.
Rosso.
Michelangelo non è riuscito a trattenersi, si è piegato in avanti
ed ha vomitato sul pavimento dell’infermeria.
“Cof… Cosa mi chiedevi riguardo al vomito?” Ha tentato di
scherzare asciugandosi la bocca. Poi, si è fatto serio. “Allora, adesso me le
dai queste maledette pillole?”
Donatello si è diretto all’armadietto, ha tirato fuori un
barattolo bianco di compresse, è tornato al lettino e ne ha messe quattro nel
palmo della mano del fratello; poi ha versato un po’ d’acqua in un bicchiere e
glielo ha porto.
Michelangelo ha fatto per ficcarsi in bocca le pillole, poi
si è fermato.
“Mi faranno anche dormire?”
“Certo, ma non ti preoccupare, non è vero che non si deve
dormire dopo un trauma cranico.”
“Non è per quello.” Michelangelo ha restituito due pillole a
suo fratello, e ha ingoiato le altre due. “Io non voglio dormire. Devo restare
con Leo.”
N/A Seee, pensavate
che la facessi facile? Che i fratelli avrebbero risolto magicamente i loro
problemi? Che tolto di mezzo lo “schifo per terra” sul quale stava inciampando Cartoonkeeper, “fatto a fette” il
serpente (_Bara
no Yami_), tutto si sarebbe risolto? No, so che non lo pensavate ^_^ Perché
a noi le Turtles ci piace farle soffrire, tormentare, angustiare, angosciare
etc etc (giusto, imoto NightWatcher96?).
Oltre alle citate, container di baci anche alle carissime HellenBach, Piwi, LauraMomiji (la Nick salterà per più di
una settimana, sigh!), Shika98, Gru (Seneca? Wow!) ed alla mia
sorellina Lisabelle99 (non ho molto
da spoilerizzare, eh eh, no, non lavoro per la Nickelodeon, dai, scherzavo!
Magari! XD XD XD Però faccio un lavoro che mi piace tanto tanto tanto… Sono… il
tuo peggior nemico! Indovina, discipula!!!)
Un abbraccio grande quanto l’amore di Dante per Beatrice (Shika98 docet).
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Capitolo 31 *** Attesa ***
Cap 31
“The sun said nothing
About my demise
My fall to the floor”
Editors, Nothing
Era ormai l’alba.
Splinter e Raffaello sono ritornati in laboratorio, dopo che
il giovane mutante è stato medicato in bagno dal padre.
Michelangelo sedeva accanto al lettino di Leonardo, con il
polso ed una gamba fasciati. Con i gomiti appoggiati sulle cosce e la testa
sorretta dalle mani, gli occhi azzurri assonnati guardavano nel vuoto.
Donatello, April e Casey erano seduti poco distanti, intorno
ad una delle scrivanie del laboratorio, in silenzio, ognuno perso nei propri
pensieri.
Il mutante più alto ha alzato lo sguardo verso Raffaello,
che si è avvicinato zoppicando, sorretto da Splinter. Anche la tartaruga dagli
occhi verdi adesso portava della piccole fasciature. Bende stringevano la
spalla, la gamba, le mani; nessuna maschera a coprire le profonde occhiaie. Sul
volto, anche una vistosa ecchimosi. Donatello si è chiesto se quella fosse stata
causata dai colpi ricevuti ore prima da Splinter.
Il maturo mutante ha accompagnato il figlio verso una sedia,
e si è rivolto ai ragazzi umani. Ha detto loro che era grato per l’aiuto ed il
supporto che avevano portato ancora una volta ai suoi figli, li ha ringraziati
con un leggero inchino, e li ha invitati a tornare alle rispettive famiglie,
con la promessa di comunicargli tempestivamente ogni cambiamento nello stato di
salute di Leonardo.
I due ragazzi, seppur a malincuore, hanno accettato il
consiglio. D’altronde, al momento la situazione di Leonardo sembrava abbastanza
stabile: le sue condizioni, dopo essersi costantemente aggravate il giorno
precedente, attualmente restavano invariate, seppur molto critiche.
A quel punto, non vi era nient’altro da fare.
E così, la strana famiglia che viveva nascosta sotto i piedi
di milioni di persone, che ignare si affaccendavano nel brulicante mondo della
superficie, ha iniziato ad aspettare.
In silenzio, tutti insieme, per un ora, poi due, poi per l’intera
giornata.
A turni, la notte successiva.
Ed il giorno dopo.
E la notte dopo ancora.
Michelangelo ha portato una tazza di tè a Splinter, che l’ha
ringraziato con un piccolo sorriso, e poi si è seduto nell’altra sedia a fianco
del lettino. L’arancione ha guardato l’orologio, che segnava le quattro del
mattino. Se fosse stato un giorno normale, di lì a tre ore al massimo Leonardo
si sarebbe alzato, per praticare un po’ in solitario o per meditare con
Splinter. Leonardo si alzava sempre prima dei fratelli.
Ma quello non era un giorno normale. Leonardo non si sarebbe
alzato né per praticare né per meditare. Sarebbe già stata una gran cosa se
Leonardo avesse continuato a vivere. Michelangelo ha sospirato.
Ha pensato che fosse strano quanto valore avessero in quel
momento i piccoli segni. Quanto fosse confortante il bip della macchina che
indicava che il cuore di suo fratello batteva ancora. Dopo lo stato di costante
ansia e paura che aveva passato nei giorni scorsi, Michelangelo ha riflettuto
sul fatto che ormai, piano piano, si fosse quasi… abituato e vedere il fratello in quello stato, abituato al
silenzio, all’attesa, e che per lui l’unica cosa che importasse al momento
fosse quel piccolo, meccanico, fastidioso, bellissimo, bip.
Il primo giorno di attesa, dopo quella notte da incubo, era
stato il più duro. Michelangelo ricordava la fatica che aveva fatto a lottare
contro il sonno, la stanchezza estrema ed il mal di testa lancinante. Ma
soprattutto ricordava la paura pressoché costante che da un momento all’altro
Leonardo potesse lasciarli. Una paura talmente intensa da essere quasi fisica,
concreta, corporea, seduta tra lui ed il fratello come uno yōkai dagli occhi di fuoco, che poggiava sul letto del malato le
sue dita artigliate.
Aveva passato la giornata più lunga della sua vita,
spostando a volte lo sguardo da Leonardo a Donatello, cartina di tornasole per
i segni che, lo sapeva, lui avrebbe colto prima di tutti. Ma Donatello era rimasto
relativamente tranquillo, controllo dopo controllo, ad ogni lettura dei valori.
Triste, ma tranquillo.
Beh, per quanto tranquillo potesse essere un adolescente che
invece di essere a riposo per i gravi infortuni si trovava costretto a
monitorare costantemente la salute di tre fratelli. Michelangelo ha sorriso
grato al ricordo. Donatello per tutta la prima giornata aveva tenuto d’occhio
anche lui, preoccupato per le conseguenze del lieve trauma cranico, ed ogni
tanto aveva buttato un occhio a Raffaello, impensierito dalla sua espressione
spenta.
…
“Entra, Raffaello.”
Il mutante dalla maschera rossa si è fatto avanti,
titubante.
Quando il padre l’aveva chiamato dal laboratorio, poco
prima, e l’aveva convocato da solo nel dojo, stava aiutando Donnie a detergere
Leo; il fratello era ormai in coma da cinque giorni.
Era giunto il momento tanto temuto. Era ora di raccontare,
di confessare la propria colpa, di accettare la propria punizione.
La luce del tramonto filtrava dalla grata sopra il grande
albero. Accarezzava tenue i tappeti della sala con le sue tinte rosate,
regalava delicate sfumature d’oro alle armi appese nella rastrelliera.
Il sensei era seduto a gambe incrociate sotto l’albero, con
gli occhi chiusi; Raffaello si è inginocchiato davanti a lui, si è seduto in
posizione seiza ed ha abbassato lo
sguardo, aspettando che gli ordinasse di parlare. I punti della ferita alla
coscia tiravano e dolevano in quella posizione, ma lui ha stretto i denti ed ha
cercato di ignorare il dolore.
Splinter ha aperto gli occhi e si è alzato in piedi, poi ha fatto
segno con una mano a Raffaello.
“Alzati, o sarò costretto a metterti nuovamente i punti.”
Raffaello si è alzato in piedi, combattuto tra i sentimenti
di gratitudine e mortificazione: il suo maestro lo considerava forse talmente
debole da non poter sopportare il dolore?
“Racconta.”
Il giovane mutante ha deglutito. La bocca è diventata
improvvisamente secca e ruvida come carta vetrata. Si è chiesto quello che
provava Leonardo quando doveva fare relazione a Splinter per l’operato della
squadra.
Si è fatto forza, e cercando di mantenere la voce più ferma
possibile, ha raccontato al suo sensei gli eventi di quella notte. Da quando si
è risvegliato sull’edificio con la maschera di Michelangelo, a quando ha usato
la granata stordente, dalla fuga in macchina fino al loro ritorno alla tana.
Non ha tralasciato nulla, ha cercato di essere obiettivo. Ha visto le sue colpe
enormi come se fossero sotto la lente di un microscopio.
Per tutto il racconto ha guardato in basso; quando ha
finito, si è stupito di avere il batticuore.
Poi, ha atteso.
Splinter è rimasto in silenzio per quasi un minuto, con gli
occhi chiusi.
“È morto?”
“Non… non lo so, Sensei.” La voce si è spenta in un
sussurro.
“Non lo sai?” Splinter ha tuonato.
Raffaello ha sussultato, poi ha chinato ancor più la testa.
“No, Sensei, non lo so. Io… credo di sì. Ma non ne sono
sicuro… Ero fuori di me. Dovresti chiedere a Michelangelo.”
“Mi stai dicendo che non sai se hai deliberatamente tolto la
vita ad un avversario che ormai avevi reso inoffensivo, e che non lo sai perché
durante un combattimento hai perso il controllo?”
“S… sì, Sensei.”
“Ti rendi conto della gravità di questo comportamento?”
“Sì, Sensei.”
“E ti rendi conto che non stiamo parlando solo del fatto, di
per sé gravissimo, di aver portato via una vita umana, ma anche del fatto che
non posso permettere che uno dei miei allievi possa perdere il controllo di sé
stesso durante un combattimento, rischiando di mettere in pericolo tutta la
squadra?”
Raffaello ha fatto involontariamente un passo indietro
davanti allo spettacolo, raro e terrificante, di suo padre che gridava. I pugni
stretti hanno iniziato a tremare, ed una lacrima suo malgrado è caduta sul
tappeto del dojo.
“Sì, Sensei.”
“Cosa faceva Michelangelo, nel frattempo?”
Quando Raffaello ormai pensava di essere ormai al punto più
basso del baratro della sua colpa, e che nessun peso potesse essere più gravoso
di quello che ormai lo stava schiacciando, ha capito con orrore di essersi
sbagliato. C’era ancora qualcosa di peggio. Nella realizzazione di quello che
gli stava facendo comprendere il suo maestro, ha spalancato gli occhi,
impossibilitato per qualche secondo a prendere aria nei polmoni.
Lui, lui non lo sapeva!
“Stava… stava combattendo… credo…” ha balbettato sconvolto.
“Credi? Non sai dove si trovasse Michelangelo?”
Oh dio mio, no…
“N…no.”
“NO, COSA?”
“No, non so dove si trovava Michelangelo.”
Raffaello non ha riconosciuto la sua voce, quanto suonava
lontana ed estranea. Lo strazio del suo senso di colpa era insopportabile. Lui
si era sempre autoproclamato con sé stesso il difensore dei suoi fratelli.
Aveva giurato alla sua coscienza che niente sarebbe successo loro, soprattutto
ai suoi fratelli minori, finché ci fosse stato lui. Ed invece non solo li aveva
messi in pericolo, ma addirittura non si era curato di Mikey. Suo fratello
aveva rischiato più volte la vita a causa sua, e lui accecato dalla rabbia non
aveva nemmeno prestato attenzione per vedere se stesse bene! Per quanto ne
sapeva, poteva essere morto, e lui avrebbe continuato a combattere!
I pugni stretti sono imbiancati. Faticava a respirare bene.
Lacrime di rabbia gli hanno rigato le guance. Fosse vissuto cent’anni, una vita
non sarebbe bastata a lavare la sua colpa. Qualcosa in lui è morto in quel
momento.
Splinter ha ripreso a parlare, adesso con voce calma, ma
fredda.
“Le tue colpe sono gravi. Hai messo in pericolo
Michelangelo, che si è quasi sacrificato per impedirti di compiere un’azione stupida
e deplorevole. Sei andato contro tutto ciò che ti è stato insegnato sull’onore
ed il senso di responsabilità. Hai lasciato che i tuoi sentimenti di rabbia ed
odio prevalessero sui tuoi impegni verso la famiglia. Hai perso il controllo
delle tue azioni.”
Si è fermato, ed ha guardato le armi nella rastrelliera. I sai
di Raffaello erano stati riposti lì da quella sera. Splinter aveva notato
subito che il figlio non li aveva portati nella sua cintura. Erano stati
portati a casa da Casey Jones.
“Da questo momento, e fino a che non ti dirò diversamente, ti
vieto di praticare il ninjutsu e ogni forma di arte marziale. Ti vieto di
toccare qualsiasi arma. Non potrai lasciare il covo. Se vorrai praticare
qualche tipo di allenamento fisico o semplicemente entrare nel dojo dovrai
prima chiedere il permesso a me o a Donatello.”
Raffaello ha stretto forte gli occhi, e si è inchinato, in
rispettoso assenso.
Si aspettava una punizione. Sapeva che era giusto. In un
certo senso, voleva essere punito. Ci
aveva pensato a lungo, nelle tristi ore dell’attesa, quando stordito dal dolore
e dall’ansia si era prefigurato scenari anche peggiori. Il suo maestro che gli
avrebbe dato una dura punizione fisica. O l’avrebbe addirittura scacciato di
casa, disgustato. Invece, scopriva adesso che la punizione era solo minore,
quasi simbolica, ma faceva talmente male da togliere il fiato. Tutto ciò che
aveva senso nella sua vita veniva a crollare come un castello di carta. Lui non
era mai stato altro che un ninja, un guerriero. Adesso, non era più niente, se
non il mutante che aveva deluso la persona che stimava di più al mondo, il
figlio degenero che aveva deluso suo padre.
Ha alzato la mano, tremante, a toccare la maschera.
“Devo…”La sua voce è stato un sussurro, il lamento di un postulante.
Splinter ha alzato il sopracciglio, ci ha pensato solo una
paio di secondi, ma a Raffaello sono sembrati mille anni.
“No. Quella puoi tenerla.”
“È tutto, Sensei?” Ha tentato di tenere la voce ferma, anche
se dentro si sentiva morire. Il senso di colpa e l’umiliazione gli bruciavano
nel petto come fuochi. Voleva correre il più velocemente possibile fuori di lì.
“No.”
Il rosso ha alzato un po’ la testa.
Splinter ha distolto lo sguardo. Ha preso a fissare le
mensola che sorreggeva i ricordi della sua vecchia vita, la foto della sua
vecchia famiglia. Quando ha ripreso a parlare, la durezza aveva ceduto il posto
alla tristezza.
“Non osare mai più dire che io desideri che tu sia al posto
di Leonardo su quel letto.”
Raffaello ha sbattuto gli occhi, confuso.
“Mi hai profondamente deluso, e ferito. Come maestro, sono
molto scontento di te. Il tuo comportamento è stato un mio fallimento, e la tua
vergogna è la mia vergogna.” Splinter si è guardato le mani, ha aperto e chiuso
un pugno . La sua voce si è addolcita. “Ma come padre, l’unica cosa che conta è
che tu, Donatello e Michelangelo adesso siate a casa e stiate bene, e non ho
altro pensiero al momento che la salute di Leonardo.”
Splinter ha fatto un passo verso il figlio, gli ha preso con
delicatezza il mento e l’ha costretto a guardarlo negli occhi.
“Voi quattro siete i miei figli, non vi è niente che valga
più di voi. Credevo di essere riuscito, con gli anni, ad essere più forte, a
saper gestire il dolore. Invece, mi accorgo che vedere Leonardo agonizzante su
quel lettino mi sta distruggendo. Davvero credi che se ci fossi tu al suo posto
per me cambierebbe niente?”
Raffaello ho abbassato gli occhi.
“Non ho mai preferito lui, o nessun altro dei miei figli, a
te, Raffaello. Non ho mai fatto preferenze, tra nessuno di voi. E l’amore che
provo per te non potrà mai essere sminuito da qualsiasi cosa tu faccia. Sono
tuo padre, non dimenticarlo mai.”
A questo punto Splinter ha fatto una cosa che ha
letteralmente shoccato la giovane tartaruga.
Si è staccato da lui, ha fatto un paio di passi indietro, si
è inginocchiato. Poi è sceso con il busto e le braccia, fino a toccare il
pavimento con la fronte.
“Mi scuso per averti colpito, Hamato Raffaello. È stato un
gesto vile, dettato dalla rabbia e della stanchezza. Ti chiedo di perdonarmi,
figlio mio.”
Detto questo, Splinter si è rialzato, con la grazia che lo
contraddistingue. Poi si è nuovamente avvicinato a Raffaello, si è fermato un
attimo, si è passato le mani sul kimono. Ha teso il corpo, come se fosse in fremente
attesa di fare qualcosa, poi si è rilassato, ha abbassato lo sguardo, in un’espressione
titubante, infine si è nuovamente teso.
L’ha abbracciato. Gli ha avvolto strettamente le braccia
intorno al guscio, quasi con troppo vigore, quasi che avesse lui stesso paura,
che avesse bisogno di sentirlo lì; ha chinato la testa su quella di suo figlio,
ha stretto gli occhi, ha rilasciato un profondo respiro.
Raffaello è rimasto per un secondo irrigidito. L’imbarazzo
che aveva frenato per un attimo il padre adesso era perfettamente speculare in
lui. Come Splinter, non era tipo da abbracci. Ma la sensazione di stranezza si
è dissolta velocemente, sciogliendosi nel calore del gesto. Ha ricambiato
l’abbraccio, con forza. Ne aveva bisogno, come niente altro.
Ha affondato il volto nel kimono del padre, respirando pesantemente.
Lenti e grandi respiri, rumorosi, echeggianti in gola, risonanti come
singhiozzi, duri come imprecazioni; la bocca aperta soffocata sul tessuto. Si è
perso in quel momento. Era caldo, e morbido, e lottava contro il male, si
scontrava col dolore, sapeva della gioia dell’infanzia, di giochi dimenticati,
di solletico contro il piastrone, di risate bambine. Vibrava della forza della
fiducia, splendeva della difesa contro le tenebre, placava il fuoco, leniva il
tormento, accarezzava le sicurezze, cullava il perdono, gridava l’amore.
L’amore di un padre.
Neppure questo amore, però, seppur più brillante del sole,
poteva questa volta rischiarare del tutto il baratro nero che aveva nell’animo.
N/A Giuro, non so
da dove iniziare per prima. Mi avete scritto tante cose che ancora una volta le
recensioni battono il capitolo 1 a 0. Partiamo dalla fine. Tora Strife riesce a farmi leggere le sue parole almeno dieci
volte. Mi invita impunemente al download di classici heavy metal, mi stuzzica
la fantasia contorta con dialoghi da Figures in Action, e mi porta ad analizzare
le mie storie scoprendo il noto con occhio inedito. Inoltre mi carica della
responsabilità di riuscire a scrivere capitoli buoni almeno la metà delle sue
recensioni. Troppo, anche per le mie nove code. Ok, sintetizzo questo mio
sproloquio: grazie. Eh no, non sono medico, e sono anche un po’ iatrofobica.
Sono il peggior incubo di tanti qui intorno, come Lisabelle99: faccio l’insegnante ^_^ *nove lettori su dieci mollano per terra lo
smartphone, alcuni lo bruciano ed altri lo portano a farlo benedire*, ma tranquilla,
sorellina, non sono la tua. Forse. Uhahahah… a meno che oltre a vestirsi di
nero non sia anche incredibilmente intelligente e simpatica e figa e fantastica
e brillante e modesta *trollface*. Va bene, la finisco di sparare cavolate e torno
al mio posto nell’angolino buio. Ed al solito felicissima che stiamo
continuando a divertirci un po’ insieme, ringrazio di cuore anche Hellenbach (fantastica sei tu!), Shika98 (ti amooo! ho chiesto una
fornitura di magliette Lara Optima XD. Torno nuovamente nell’angolino ^^’), NightWatcher96 (son morta anch’io! Non
voglio aspettare!!!), Piwy
(perfettamente d’accordo con te! E sei stata un po’ profetica, vedrai!), Gru (devi essere davvero una persona fantastica,
hai la rara dote della “forza della gentilezza”! Cmq a me “sbudellati” piaceva!
XD), _Bara no Yami_ (sì, qualcosina
ancora succederà, spero che ti piaccia ^_^), Cartoonkeeper (ematomi curati a buste di piselli? Adesso ti
immagino come una Casey Jones femmina @.@), LauraMomiji (AHHHH! Sono sul tuo e-book! Sono sul tuo e-book! Dio
dio dio *iperventila* Ragazza, così mi fai secca. Allora dovrò decidermi a
correggere Buio, che è scritto troppo di botto e lascia un po’ a desiderare; ti
chiedo scusa se non l’ho ancora fatto), Ladyzaphira
(era proprio quello che volevo dire! Il “lavare” non riguardava solo lo sporco
fisico. Sono contentissima che sono riuscita a rendere l’idea ^_^) e la mia
neko CatWarrior che sono sicura
leggerà presto :)
Un abbraccio grande un parsec :*
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Capitolo 32 *** Peso ***
Cap 32
“Let down and hanging around
Crushed like a bug in the ground”
Radiohead, Let Down
“Donnie, le sue dita… non so, le vedo strane.”
Al settimo giorno di coma, ancora una volta erano tutti da
Leonardo. Splinter e Michelangelo seduti ai lati del lettino, Donatello su uno
sgabello dall’altra parte del laboratorio, che sistemava la macchina per le ecografie
che aveva potuto usare qualche ora prima, e Raffaello in piedi che adesso
teneva una mano di Leonardo tra le sue.
Donatello si è alzato. L’occhio si era sgonfiato ed adesso
era aperto quasi normalmente, ma era contornato di viola e giallo. Cerchi scuri,
regalo dello stress di quei giorni, segnavano anche l’altra orbita.
“L’avevo notato, Raph. Ha gli arti leggermente gonfi.” L’adolescente
mutante più alto, che adesso riusciva a camminare meglio, si è avvicinato, e si
è appoggiato col guscio contro il tavolino a lato del letto. Ha incrociato il
braccio sano sull’ingessatura, e si è rivolto a tutta la famiglia.
“Il virus non è più presente nel suo organismo, ormai è
sicuro, non l’ho trovato neanche oggi al microscopio. Ma il sangue è pieno di
tossine. Anche il gonfiore è dato dal danno ai reni; il danno è grave, ma a
questo punto credo che stiano funzionando ancora, seppure male. Inoltre, poiché
adesso sappiamo che non ha avuto emorragie celebrali, direi che potremmo
smettere di somministrargli i farmaci per il coma, e vedere quello che
succede.”
“Vedere quello che succede?”
“Sì, maestro. Le funzioni vitali sono ormai costanti da
giorni. Se i suoi organi ce la fanno a riprendere gradualmente una funzionalità
normale, potrebbe svegliarsi. La mia paura è che aumentando la pressione
sanguigna qualche organo eventualmente compromesso possa cedere. Ma credo che a
questo punto dobbiamo rischiare. Altrimenti non farà altro che spegnersi lentamente.”
“Quindi, fammi capire. Se lo svegliamo rischiamo di
ucciderlo, ma se continua a dormire morirà piano piano?”
“Più o meno sì, Raph. Abbiamo visto che i danni ci sono
stati, e sono gravi. Ma adesso solo riportando il suo metabolismo e livelli
normali potremmo vedere se… se sono stati letali. In ogni caso, è probabile che
anche smettendo di somministrargli i farmaci per il coma il suo corpo non ce la
faccia a risvegliarsi. Non ho la possibilità di monitorare le sue funzioni
cerebrali… Insomma, lui…”
Donatello ha chiuso un attimo gli occhi, si è passato una
mano sulla fronte, nervoso, poi ha guardato Michelangelo. Gli occhi azzurri del
fratello erano spalancati in ansiosa attesa; come gli altri, pendeva dalle sue
labbra. Donatello sapeva quanto il fratello minore avesse dormito poco, in
questi giorni: si è chiesto se sotto la maschera arancione avesse le occhiaie
anche lui.
Ha spostato lo sguardo a Splinter.
“Sensei, posso parlarti in privato?”
Michelangelo è balzato su dalla sedia.
“Cosa? No! Voglio sentire!” ha esclamato, con la voce resa
più acuta dall’improvvisa rabbia. “Dobbiamo sapere tutti! Vero, Raph?”
Il fratello mascherato in rosso guardava a terra. Non ha
risposto. L’ha fatto Splinter.
“Michelangelo ha ragione. Dicci, Donatello.”
Donatello ha annuito. Ha poggiato una mano sul braccio di
Leonardo. Il viso del fratello era pallidissimo. L’espressione rilassata era resa
inquietante da quel tubo in bocca e dai sondini nasali.
“Quando sei giorni fa le sue funzioni vitali sono crollate, non
credevo che potesse vivere tanto a lungo.” La voce del mutante con gli occhi
nocciola tremava. “In fondo, la nostra fisionomia è più diversa da quella degli
umani di quanto pensassi… Forse è stato questo, o forse il coma farmacologico
che gli ha permesso di continuare a vivere… Ma… non sono sicuro se sia esatto
dire ‘vivere’...”
Si è fermato un attimo, in difficoltà. Raffaello ha stretto
più forte le dita fredde e gonfie del fratello in coma.
“Ripeto, non ho gli strumenti per monitorare le sue funzioni
cerebrali. Leonardo potrebbe essere, ebbene lui…” Donatello ha preso un
profondo respiro. “Potrebbe essere già... morto.”
Michelangelo ha sussultato, ha iniziato a respirare
rumorosamente.
“Come? Ma lui… il suo cuore batte…”
“Morte corticale. Il cuore continua a battere. Potrebbe
anche riprendere a respirare senza respiratore. Ma sarebbe in stato vegetativo.
Tecnicamente, sarebbe morto.” La sua voce si è abbassata ad un sussurro rotto.
“Scusate, io… è giusto che lo sappiate.”
Raffaello ha girato la testa contro la parete, stringendo
gli occhi; Michelangelo ha soffocato un singhiozzo, gli occhi azzurri adesso
lucidi e tremolanti.
“Che probabilità ci sono che invece si svegli normalmente?”
ha chiesto Splinter, con un filo di voce.
“Non lo so. Non molte, credo. Ma io penso che non possiamo
aspettare ancora. Dobbiamo riportare il suo metabolismo a livelli più alti.
L’interruzione dei farmaci dovrà avvenire gradualmente. Ci vorranno circa
ventiquattro ore.”
Splinter si è alzato in piedi.
“Ci affidiamo a te, Donatello, come sempre.”
L’adolescente è rabbrividito. Fino a quando avrebbe potuto
sopportare questo peso?
…
(il giorno prima)
Donatello ha passato un foglio a Splinter.
“Sono i pezzi per il macchinario che ti ho mostrato in
laboratorio. Ti ho fatto uno schema per promemoria.”
Seduto di fronte al figlio sotto l’albero nel dojo, il
maturo mutante ha dato un’occhiata al foglietto, ha annuito, e lo ha infilato
in tasca.
“Sono componenti abbastanza comuni. Si trovano in ogni
clinica e in tutti i negozi di forniture mediche. Con quei pezzi, dovrei
riuscire a mettere a posto la macchina che avevo costruito per l’ecografia
transcranica entro domani mattina. Non sarà chiara come una tac, ma dovrebbe
rilevare eventuali emorragie. L’avevo sperimentata quando Leo è caduto tempo
fa.”
“Potremmo anche utilizzarla per vedere come va il tuo
braccio?”
Donatello si è guardato il braccio che presentava la leggera
ingessatura.
“Beh, sì, non ci avevo pensato…”
“Oggi riesci a muovere le dita?”
Donatello ha cercato di spostare le dita, gonfie e violacee,
che fuoriuscivano dall’ingessatura, solo per ricevere una fitta di dolore per
tutta la lunghezza del braccio.
“No… Ma non ha importanza…”
“Certo che ne ha!”
Il giovane ha spalancato gli occhi spaventato dal tono del
padre.
“Ricorda che adesso sei il leader della squadra, Donatello.
Devi curare nel miglior modo possibile la tua ripresa fisica. Devi essere forte
ed in salute per guidare i tuoi fratelli. Voi tre non potrete restare qua sotto
per sempre.”
Voi tre?
I due mutanti hanno lasciato cadere il lapsus. Donatello non
aveva dubbi riguardo al fatto che suo padre avesse capito la gravità della
situazione. Forse, come lui, stava già iniziando a tenere in considerazione il
peggiore degli scenari possibili. Quando quella mattina Donatello aveva prestato
attenzione al numero di asciugamani in bagno, si era dovuto sedere un attimo
sullo sgabello. Erano quattro, non cinque, come sarebbero dovuti essere.
Sarebbero tornati ad essere cinque o sarebbero rimasti per sempre quattro? Ha deglutito,
relegando ancora una volta il pensiero in fondo alla sua mente. Era l’unico
modo per riuscire a tirare avanti.
“Padre, forse non sono il più adatto a guidare la squadra.
Il mio braccio potrebbe non guarire più. Lo so che ha sbagliato, ma Raph è…”
“Basta. Non voglio tornare sull’argomento. Questi sono i
miei ordini.”
“Hai,
Sensei.”Donatello ha chinato il capo.
Splinter si è alzato in piedi. Ha messo una mano sulla testa
del figlio.
“Se il tuo braccio non dovesse guarire, ti insegnerò a
combattere con un’altra arma.”
Detto questo, Splinter è uscito dal dojo. Si è calato il
cappuccio sul volto mentre agile è balzato fuori dai tornelli, lasciando la
tana.
Donatello è rimasto qualche minuto inginocchiato sotto
l’albero. Con la mano destra ha spazzolato il tappeto sotto di sé, poi ha
iniziato a ricalcare con un dito un arabesco che decorava la fitta tessitura
rossa.
“Posso entrare?”
Ha alzato la testa di scatto. Preso nei suoi pensieri, la
voce l’ha fatto spaventare. Raffaello lo guardava dalla porta, fuori dal dojo.
Donatello si è ricordato delle indicazioni del padre: il
fratello gli stava chiedendo il permesso.
Ha annuito. La situazione lo imbarazzava.
Raffaello gli si è avvicinato. Le escoriazioni sulle braccia
e sulle gambe erano ormai croste scure, e due grandi cerotti avevano sostituito
le bende alla spalla e alla coscia. L’ematoma sul viso era quasi del tutto scomparso,
relegato ad un ombra giallastra sulla pelle verde foglia, ai lati della
mandibola squadrata del mutante.
“È arrivata April. Adesso è con Mikey da Leo. Ha portato del
cibo cinese, è in cucina.”
“Uh? Va bene, grazie…”
“Vieni a mangiare con me?”
“Grazie Raph, ma non ho fame.”
Raffaello si è seduto di fronte a lui, a gambe incrociate.
“Non hai mangiato niente da stamattina, Donnie.”
Donatello ha guardato il fratello storcendo il viso.
“Adesso controlli quando mangio, Raph?”
Il rosso si è rialzato di colpo.
“Fai come diavolo credi. Non sono fatti miei.” Ha fatto due
passi verso l’uscita, poi si è girato, ed ha sbuffato. “Posso… posso utilizzare
i pesi?”
Il viso gli è diventato scuro dalla vergogna.
Donatello si è alzato in piedi anche lui, e gli si è avvicinato.
“Ma non stavi andando a mangiare?”
“Mi è passata la fame. Posso utilizzare quei maledetti
pesi?” ha ringhiato.
“No Raph, non puoi. Ti salterebbero i punti nella spalla.
Comunque… non devi chiedermi il permesso, quando Splinter non c’è.”
“Certo che devo. Sono i suoi ordini. E tu come leader non
dovresti metterli in discussione.”
Donatello ha distolto lo sguardo.
“Senti, Raph, io… Insomma, mi dispiace, per tutto questo.
Credo che Sensei abbia esagerato. Tu…” È
tornato a guardarlo negli occhi. Le pupille marroni tendevano al cremisi,
sotto la morbida luce del dojo, quelle verdi assumevano riflessi dorati nelle
minuscole pagliuzze che si irradiavano dall’iride. “Ebbene, credo… credo che in
fondo fosse la cosa giusta da fare.”
Raffaello ha corrugato la fronte, con un cipiglio. La sua
voce è venuta fuori flebile e un po’ roca.
“Quale, la cosa giusta da fare? Mettere in pericolo Mikey?
Non aver pensato a lui dopo che si è schiantato dentro una macchina? O aver
colpito un uomo fino a ridurgli le braccia in poltiglia?” Ha abbassato lo
sguardo. “Sono un animale, Donnie, e Sensei ha ragione, potrei essere un
pericolo per tutti voi. Leo… Leo lo ha sempre capito. Ecco perché mi stava col
fiato sul collo. Lui aveva ragione. L’ha sempre avuta. Lui è sempre stato
migliore di me. Ed adesso che non c’è…” La voce gli si è rotta in gola. “È
tutto un casino. Io non ce la faccio senza di lui, Donnie.”
Donatello ha alzato un po’ la mano, per posargliela sulla
spalla, ma poi l’ha lasciata nuovamente cadere lungo il fianco.
“Nessuno ce la fa senza di lui, Raph. Anche Sensei sta
crollando. Mikey è sempre sull’orlo di una crisi di pianto. Leo era… è il pilastro
di questa famiglia…” Lo sguardo lucido si è perso un attimo, a guardare avanti
senza vedere niente. Poi, di nuovo a cercare gli occhi verdi di fronte a lui,
appena un po’ più in basso. “Hai sbagliato a non curarti di Mikey. Questa è la
colpa più grave. Ma riguardo a quell’uomo… quell’uomo era un demonio… Quello
che ha fatto a Leo è imperdonabile. Per non parlare del rischio di provocare
un’epidemia mortale negli Stati Uniti. Era un assassino, un maniaco…” La mano è
andata involontariamente a stringere la fasciatura. “Trovava piacere
nell’infliggere dolore. Era troppo pericoloso. Non so quale organo governativo
lo spalleggiasse, ma non sarebbe mai stato arrestato, nonostante i suoi
crimini. Insomma, forse la soluzione migliore era impedirgli definitivamente di
fare altro male. Meritava di morire… Sì, in fondo credo che sia stato giusto
così.”
Raffaello non poteva credere che queste parole uscissero proprio
dalla bocca di Donatello.
Suo fratello Donnie, il pacifista che evitava gli scontri,
che aveva sempre odiato la violenza, che arrivava a mettere in salvo gli
insetti da lui. Forse, tutto stava cambiando. Forse, Leo non era ancora morto,
ma già il loro mondo stava crollando. Forse, niente è come sembra, e nessun
anima è troppo luminosa per non poter entrare all’inferno.
Oppure, forse, Donnie stava solo cercando di farlo sentire
meglio, di lenire un po’ del senso di colpa che lo stava dilaniando.
Di togliere una manciata di terra dalla montagna che lo
stava schiacciando.
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Capitolo 33 *** Coltello ***
Cap 33
“Fear is how I fall
Confusing what is real”
Linkin Park, Crawling
“Non si sveglia, Donnie…”
Donatello ha stretto gli occhi. Doveva mantenere la calma.
La stanchezza rendeva Mikey petulante come un bambino. Il fratello minore non
aveva voluto né dormire né allontanarsi dal laboratorio da quando era iniziata
la procedura per tentare di far uscire Leonardo dal coma indotto. E nell’arco
di quelle venti ore, mentre Donatello diminuiva via via le dosi dei farmaci, e
monitorava costantemente i macchinari, Michelangelo era rimasto lì,
visibilmente sempre più spossato ed irrequieto.
Raffaello e Splinter, che adesso si trovavano anche loro in
laboratorio, erano gli unici che avessero riposato, a turno, qualche ora. Anche
Donatello, quindi , era molto stanco. Per evitare di addormentarsi in piedi,
aveva saltato diverse dosi della blanda terapia del dolore che seguiva per la
sua frattura. Quindi era sfiancato, dolorante, sotto pressione e poco propenso
a continuare a sentire Michelangelo che si lamentava del fatto che il loro
fratello maggiore non avesse ancora aperto gli occhi.
Se da una parte la determinata speranza della tartaruga in
arancione serviva ad infondere un po’ di coraggio in tutti loro, dall’altra
Donatello iniziava a chiedersi se Michelangelo avesse compreso davvero l’effettivo
stato di Leonardo.
Si è alzato dalla scrivania, lasciando la cartelletta dove
stava appuntando tutti dati relativi alle osservazioni dei valori di suo
fratello in coma, si è avvicinato a Michelangelo, e gli ha poggiato una mano
sul guscio.
“Perché non vai a preparare qualcosa per cena, Mikey? Non
abbiamo mangiato che dei crackers da ieri e penso che una zuppa calda farebbe
bene a tutti.”
Michelangelo ha guardato Donatello piegando un po’ la testa.
Poi si è girato verso Splinter, seduto per terra a gambe incrociate e con gli
occhi chiusi, ed infine verso Raph, seduto all’incontrario nella sedia accanto
alla sua con le braccia incrociate sulla spalliera. Non voleva che la sua
famiglia saltasse un altro pasto, ma non voleva neanche lasciare Leo...
Raffaello l’ha tirato fuori dall’indecisione.
“Vieni, ti aiuto” ha detto alzandosi e facendogli un cenno
con la testa.
L’arancione gli ha annuito con un piccolo sorriso e si è
diretto fuori dal laboratorio, precedendolo.
In cucina, ha iniziato a tirare fuori delle verdure dal
frigo, mentre Raffaello si è seduto su uno sgabello, aspettando indicazioni. La
cucina era il regno indiscusso di Michelangelo. Solo il fatto di essere lì lo
aiutava a sentirsi un poco meglio. Cucinare lo rilassava.
Ha preso una pentola dal mobiletto ed ha cominciato a preparare
gli ingredienti, poggiandoli sul ripiano accanto al fornello. Avrebbe fatto una
veloce zuppa di verdure. Ha lavato accuratamente le carote sotto il
getto di acqua fredda del lavandino, le ha avvolte in uno strofinaccio e le ha passate
a Raffaello, poggiandole sul tavolo accanto a lui, con l’implicita indicazione
di tagliarle. Si è girato, ha preso un tagliere e si è rigirato per porgerlo al
fratello mascherato in rosso.
Raffaello, che aveva già preso un coltello dal ceppo lì
accanto, e lo teneva in mano, ha teso l’altra mano per ricevere il tagliere.
Solo che il tagliere è caduto dalle mani di Michelangelo
quando lui ha fatto istintivamente un balzo all’indietro.
Il rosso ha fissato il fratello, sbattendo gli occhi
stupito, poi si è guardato intorno, ha guardato il coltello nella propria mano…
Ha capito.
“No, Mikey…”
Ha lasciato cadere il coltello, scuotendo piano la testa, con
gli occhi spalancati, incredulo, poi è corso fuori dalla cucina.
Michelangelo ha portato una mano alla bocca, realizzando shoccato
quello che aveva appena fatto. Era stato un gesto istintivo, non riusciva a
capirne il perché! Aveva visto Raph con il coltello in mano, e lui… Oddio, il
cuore ancora gli batteva forte…
Si è scosso, ed è corso dietro il fratello. Raffaello,nella
zona centrale, camminava velocemente, con le mani sulle tempie.
“Raph! Raph, mi dispiace, io… Non so cosa mi è preso, RAPH!”
Ha afferrato il fratello per il braccio; Raffaello si è
divincolato.
“Lasciami!”
“Raph, non so cosa mi è successo, scusa!”
“Hai avuto paura! Cristo, Mikey, hai avuto paura di me!”ha
urlato, girandosi verso di lui, prima di tornare a camminare, sbattendo i piedi
furioso, per poi piegarsi in avanti e fare un suono con la gola, un ringhio di
rabbia repressa, sempre con le mani alla testa. Era sconvolto.
“Raph…”
“Hai avuto paura di me! Di me! Ahh!”ha scandito le ultime
parole urlando, poi si è premuto i pugni sugli occhi. Era allibito, stravolto,
furioso.
Michelangelo si è lasciato cadere a sedere sui gradini, la
bocca socchiusa e lo sguardo perso in un’espressione dolorosamente stupita. Era
vero? Aveva avuto paura di suo fratello? No, non poteva essere vero. Non era
possibile. Raph era sempre stato il suo protettore. Accanto a lui, si era
sempre sentito al sicuro. Raph non gli avrebbe mai fatto del male… Eppure… Si è
tastato il polso. Era ancora agitato. Ha chiuso gli occhi.
Un’immagine l’ha assalito. Sempre la stessa visione, che lo
tormentava da qualche giorno quando chiudeva gli occhi per dormire un po’ in un
sonno agitato.
Sangue. Un coltello tinto di rosso.
Ed una mano verde a tre dita che lo stringe.
Michelangelo sapeva che non doveva farci caso. Sapeva che
erano solo incubi, provocati dall’ansia costante per lo stato di Leo. Sapeva
che nella realtà non avrebbe mai avuto niente da temere. Però, adesso Raffaello
era lì, che camminava avanti e indietro furente, ferito dal suo gesto. Si è
sentito tremendamente in colpa. Come se non avessero tutti ben altri problemi a
cui pensare…
“No! Aspetta!”
Nel silenzio che era sceso nella zona centrale, si è sentito
chiaramente l’ordine urlato da Donatello in laboratorio. Raffaello e
Michelangelo si sono guardati, e sono tornati correndo in laboratorio, ogni
altra questione rimandata a dopo.
…
(poco prima)
Appena Michelangelo e Raffaello hanno lasciato il
laboratorio, Donatello si è rivolto al padre.
“Sensei, puoi venire, per favore?”
Splinter si è alzato in piedi ed ha raggiunto il figlio più
alto che teneva una mano sulla spalla di Leonardo.
“Padre, la frequenza cardiaca è aumentata un poco. Vorrei
provare a togliere il tubo per la respirazione artificiale, e vedere se riesce
a respirare da solo.” Ha guardato verso la porta da dove erano appena usciti i
fratelli. “Preferisco provare adesso che siamo soli.”
Splinter ha annuito, serio. Ha abbassato lo sguardo per
l’ennesima volta al figlio che dormiva un sonno innaturale, il cui pallore era
puntinato dai lievi ematomi di piccoli capillari rotti intorno alla bocca, agli
occhi, ai fori di respirazione. La sua pelle una volta di un sano verde
smeraldo, lucido e virgulto come la foglia di un quercia, adesso appariva
macchiata e spenta.
“Cosa devo fare?”
“Aiutami a tirare fuori il tubo quando te lo dico io.”
Donatello ha iniziato a togliere piano il piccolo supporto
di plastica del tubo endotracheale dai lati della bocca. Il supporto si era
leggermente attaccato alla pelle, provocando delle minuscole piaghe: Donatello
ha cercato di essere il più delicato possibile, ma il fatto di dover lavorare
con una mano sola, per di più con la destra, ha reso l’operazione lunga e
difficoltosa. Ad un suo segnale con la testa, Splinter ha iniziato a tirare
fuori il tubo.
“Piano, Sensei, piano…”
Donatello era un fascio di nervi. L’operazione era delicata.
E probabilmente il tentativo sarebbe stato inutile. Ma doveva provare.
Lentamente, il tubo è stato tirato fuori dalla bocca,
filante di muco rosato.
I due mutanti in piedi hanno osservato il piastrone.
Niente.
La giovane tartaruga restava immobile. Non respirava.
Splinter ha alzato gli occhi a Donatello. Il figlio gli ha
ricambiato uno sguardo ansioso, esitante, poi ha messo una mano sul collo del
fratello inconscio. L’attenzione è poi corsa al monitor del battito cardiaco,
che ha accelerato leggermente il suo ritmo.
“Niente, non respira…” ha mormorato piano, più a sé stesso
che al padre. Ha sentito il cuore iniziare a battere forte anche nel suo petto.
Quanto doveva aspettare prima di reinserire il tubo?
Ha voluto fare un altro tentativo. Ha fatto il giro del
lettino, mettendosi alla destra di Leonardo; Splinter gli ha fatto spazio
velocemente. Ha coperto con la mano destra i fori di respirazione, si è piegato
sul fratello ed ha iniziato ad insufflargli aria nella bocca. Ha ripetuto
l’operazione un paio di volte. Niente.
La frequenza cardiaca è aumentata ancora.
Da fuori il laboratorio, ha sentito Raph gridare qualcosa a
Mikey. Ma adesso non poteva farci caso.
“Rimettiamo il tubo, svelto” ha detto concitato a Splinter.
Il maturo mutante ha velocemente reinserito il tubo in
bocca.
“Piano, maestro, fai piano.” Splinter lo stava inserendo
troppo velocemente, graffiando il palato.
Il tubo era quasi in trachea quando Donatello ha fermato la
mano del padre.
“No! Aspetta!” ha gridato un po’ più forte del voluto.
Aveva visto bene? Sotto la pelle verde della gola, gli è
sembrato di notare un sussulto.
Ha tirato lui stesso il tubo nuovamente fuori.
“Che succede?”ha chiesto Raffaello entrando come una furia,
seguito da Michelangelo. Il mutante mascherato in rosso ha visto Donatello e
Splinter reggere il tubo e guardare in basso, verso il piastrone; ha seguito i
loro sguardi.
Il piastrone si alzava e si abbassava.
Il viola ha alzato gli occhi al rosso. “Respira.”
Michelangelo ha scavalcato Raffaello e si è messo accanto a
Leonardo. L’espressione gli si è illuminata di gioia.
“Respira? Respira! Leo respira!”
Donatello ha dato un sorriso triste, annuendo. Inutile
ricordare al fratellino che forse non voleva dire niente. Che la respirazione è
un atto meccanico che può avvenire anche in casi di morte corticale.
Per adesso, ha voluto concedere a Michelangelo questo
momento di speranza. In fondo, ne avevano bisogno tutti. A cominciare da lui
stesso.
Ha voluto mettere per un po’ da parte tutte le sue paure e
le sue conoscenze mediche. Non poteva sapere se il cervello di Leonardo funzionasse
ancora, ed ha voluto in questo momento credere di sì.
Leonardo era ancora vivo. In coma, con seri danni
all’organismo, ma vivo.
E per lui, per loro tutti, questa era la cosa più importante
al mondo.
N/A Pfuhh, che
fatica *si deterge il sudore dalla fronte*, sto scolpendo nel marmo uno statua
per CatWarrior, Hellenbach, Ladizaphira,
Piwy, NightWatcher96, Lisabelle99, Shika98, Bara no Yami, Cartoonkeeper, Gru e
per il caro Lettore Anonimo. Ma non basta, ahimè, non basta!
Come sempre ho letto e riletto le vostre parole, le ho messe tutte in un
piccolo scrigno tra un ventricolo e l’altro… Poiché non si può raddoppiare l’infinito,
non so come ringraziare anche chi ha letto ed apprezzato i miei piccoli
drabbles. Scusate se stasera non vi esprimo gratitudine come dovrei (o meglio “come
potrei” perché meritereste tutti molto di più delle mie quattro stupide parole),
ma faccio appena in tempo a pubblicare prima che mi ghermisca Morfeo. Solo una
menzione particolare a Shika perché guarisca dalla febbre (ok, adesso qui nel
fandom l’avete presa quasi tutti! ^^’)
Un abbraccio grande quanto Carrara :*
|
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Capitolo 34 *** Parole ***
Cap 34
(rumore bianco)
“Leo, avresti dovuto vedere come guidava Casey. Ricordiamoci
di non fargli mai, e poi mai, guidare lo Shellraiser! Ma nonostante la sua
guida, il sottoscritto si è rivelato un maestro nel lancio di quelle bottiglie
con la benzina! Le mola… le molon…”
“Molotov.”
“Molotov, giusto. Grazie Sensei. Quindi, ti stavo dicendo…”
“Michelangelo, perché non vai, adesso? Resto io un po’ con
Leonardo.”
“Uh… sì, Sensei. A dopo Leo.”
“… Figlio mio, mi senti? Non so se puoi sentirmi, ma io voglio
continuare a parlarti. Donatello dice che non è scientificamente provato che ascoltare
le parole di una persona cara possa aiutarti, ma io credo che la scienza non
può spiegare tutto. Mi piace pensare che in qualche modo puoi sentirmi…
Ieri, quando Donatello ha messo in funzione la macchina per
l’elettroencefalogramma che ha costruito ed abbiamo visto che tu ci sei ancora,
è stato come se tutti noi fossimo tornati a vivere. La gioia dei tuoi fratelli
è stata incontenibile… Donatello ha lavorato su quella macchina notte e giorno
per una quasi una settimana, da quando ti abbiamo staccato dalla respirazione
artificiale. Dovevamo sapere se eri ancora con noi. E tu ci sei figlio mio, ci
sei. Donatello non ci ha dato la certezza, ma ci ha dato una speranza. Ha
trovato tracce di attività cerebrale. A noi basta. A me basta. Voglio sperare
che tu possa svegliarti.
Svegliati, Leonardo.”
…
“Apri gli occhi ed alza il guscio da questo lettino,
Senzapaura. Dormi ormai da tre settimane. Donnie dice che più passa il tempo,
meno speranze ci sono che tu ti svegli. Quindi apri quei benedetti occhi.
Noi… Le cose non vanno molto bene. Ci manchi, fratello.
Sensei non parla quasi mai, tranne che quando è qui al tuo fianco. Donatello è
l’ombra di sé stesso, dorme poco e va avanti a caffè. Sensei l’ha costretto
ieri a restare qualche ora in camera sua a riposare, ma quando è andato a
controllare se stesse dormendo, l’ha trovato ancora su internet a studiare
articoli medici. Non ti dico il casino, beh, lo puoi immaginare: i soliti
discorsi sul senso di responsabilità, sulla leadership, bla bla, sul fatto che anche
la sua salute è importante, che se si ammala lui qui siamo tutti fregati,
eccetera. Gli ha ordinato anche di seguire un piccolo programma di
riabilitazione: riesce a muovere un poco la mano, ma ancora non sappiamo se il
braccio tornerà a posto. Splinter ha detto che deve riprendere ad esercitarsi
con la destra, ma il bo non è gestibile con un braccio solo. Per adesso sta
utilizzando solamente dei pesi, ma gli ha detto che nei prossimi giorni
vorrebbe fargli provare qualche altra arma, forse il tonfa. Mikey invece ha ripreso l’allenamento con i nunchaku, ormai
il suo polso è quasi guarito; ieri si è esercitato contro Sensei. Comunque
Mikey… Mikey non mi guarda più negli occhi. Cerca di tirarci su, sembra
tranquillo e sorridente. Cucina. Adesso sta preparando una delle sue pizze
dagli accostamenti strani. Ma non mi guarda negli occhi, Leo…
A me sembra di impazzire, non posso neanche prendere a pugni
il manichino! Non posso fare niente di niente! Non ce la faccio più, Leo.
Svegliati, maledizione.”
…
“Vediamo… Abbiamo la pressione un po’ più alza oggi… La
temperatura è ok… Osserviamo questi occhi... bene. Le emorragie si sono quasi
completamente assorbite. Mettiamo due gocce, così… Secchezza corneale… beh è
naturale, non li apri da quanto… quattro settimane? Sì, oggi è mercoledì…
Quindi per l’esattezza ventinove giorni.
Ventinove giorni…”
…
“Ciao Leo. Leo? Ancora niente, eh amico? Perché non ti
svegli? Leo?”
“È inutile che urli, Casey.”
“Mhm, hai ragione April, scusa Leo… Volevo solo dirti che se
tu aprissi gli occhi adesso sarebbe una gran cosa, ecco… Sei in coma da più di
un mese, e non va bene amico. Dai, svegliati.”
…
“Passagli le braccia sotto le sue, così… Aspetta… ok, alza
ora.”
“Così?”
“Tienilo più alto.”
“L’acqua non è troppo calda, Donnie? Vedo il vapore.”
“No Mikey, è alla giusta temperatura.”
“Hai passato la spugna qui?”
“Sì. Ce la fai a tenerlo più alto?”
“Certo. Non pesa niente… Donnie, è dimagrito troppo…”
“È normale, Mikey. Tienilo più in alto.”
…
“Continuo a fare quel brutto sogno, Leo. Non so, forse
dovrei dire a Donnie di darmi una pillola per dormire senza fare sogni… Che tu
sappia esiste qualcosa del genere? Tu stai facendo sogni, fratello? Se sì,
spero che siano belli. Magari stai sognando di saltare tra i tetti… A me manca,
sai? Le corse che facevamo lassù, wow, mi sentivo così bene… Quell’istante in
cui sei per aria, quando sotto di te non c’è niente. Ti sembra di volare! E poi
guardare la luna... E le insegne, e le macchine, e le persone che passano…
basta nascondersi veloci quando guardano per su. Ricordi quando mi hai
rimproverato perché il ragazzo della pizza poteva avermi visto? Ma no, non mi
aveva visto, ero un’ombra tra le ombre, eh!
Che bello, essere là fuori. Non salgo in superficie da più
di un mese… Sensei mi ha detto che è meglio non uscire da soli senza un motivo,
è che quindi devo aspettare che Donnie si riprenda; lui ancora non riesce a
muovere bene il braccio. Dice che se tutto va bene ci vorranno almeno un paio
di mesi. Quindi mi sa che mi verrà la barba bianca nell’attesa. Ti immagini,
una tartaruga con la barba, eh eh… Se almeno revocasse la punizione a Raph…
Anche se forse non mi andrebbe di uscire in superficie con
lui. Sai, è strano, con Raph non è più la stessa cosa… Ieri gli sono passato
vicino mentre guardava il wrestling in tv, lui mi ha chiamato e mi ha chiesto
se volevo fargli compagnia, ma io ho inventato una scusa.
Non so, Leo, non so cos’è che non va con lui... Credo sia
colpa mia. Sì, sicuramente è colpa mia. Forse è a causa di quei brutti sogni,
ma non riesco a sentirmi a mio agio quando c’è lui. So che ci resta male, ma è
più forte di me… È come… è come se mi sentissi in colpa, ed è come se lo
vedessi diverso. Non so, è tutto sbagliato come… come una pizza sottosopra, mi
capisci? Neanche io mi capisco… Sono… sono così confuso, Leo… Voglio solo che
tutto torni come ai vecchi tempi, fratello, ti prego Leo… svegliati…
Grande, adesso piango pure… che frignone che… sono…
Leo svegliati… ti prego …”
…
“Puoi posarlo, Raph, il lenzuolo è a posto.”
“Ecco. Donnie, qua, la sua pelle…”
“Uhm… sì, vedo. È perché sta sempre sdraiato. Mettiamolo un
po’ girato, così…”
“…”
“…”
“Donnie, ti prego, dimmi che si potrà ancora svegliare. Perché
io non posso più vederlo così. Questo non è Leo… Maledizione, non è Leo!”
“Raph, calmati.”
“Come faccio! Come faccio a calmarmi! Non ce la faccio più!
Oggi sono cinquanta giorni! Cinquanta maledetti giorni! Lo vedo qui, immobile,
non posso fare niente per aiutarlo! Non è giusto Donnie, non è giusto! Ahh!”
“Raph!”
“S… scusa Donnie. Io, non volevo…”
“Dai qua. Fai vedere questa mano. Mhm… Volevi rompertela,
Raph? Guarda come te la sei ridotta. Aspetta che prendo delle bende.”
“Donnie, io…”
“È tutto a posto, Raph. Non è successo niente. Non è
successo niente…”
…
“Ciao Leo. Eccomi qui. Vedo che indossi nuovamente la tua
maschera blu. Bene, mi sembra… mi sembra giusto così. Scusa se è da tempo che
non venivo, ma due settimane fa ho avuto la febbre, e Donnie mi ha detto di
restare lontana da te per un po’: non voleva correre il rischio che ti passassi
il raffreddore. Oggi, quando sono tornata da voi dopo tutti questi giorni, la
tana mi è sembrata ancora più strana. Sarà questo silenzio… È incredibile
pensare a quanta confusione c’era qui una volta. Le chiacchiere di Mikey, i
suoi scherzi con Raph. Donnie che non stava mai fermo un attimo, sempre ad
inventare, a sperimentare. Voi quattro insieme eravate un tornado! Adesso, qui
è tutto così tranquillo…
Ho ripreso gli allenamenti con Splinter. Lui è gentile, ma è
così distante… A dire il vero, nessuno qui parla più molto con me, nemmeno
Donnie. Sono stanchi, li vedo. Anche Mikey, non scherza più. È veramente strano
vederlo così, tutto serio. Passa ore davanti alla tv, ma non guarda niente.
Quando gli porto la pizza cerca di mostrarsi grato, ma si vede che non gli
interessa affatto. Poi deve aver qualcosa con Raph. Tra di loro c’è tensione,
non so cosa sia successo. È perfino raro vederli nella stessa stanza. Insomma,
Leo, se non ti svegli presto, temo che qui vada tutto a rotoli.
Ormai vi considero la mia famiglia. Siete i fratelli che ho
sempre desiderato. Vorrei aiutarvi, vorrei ricambiare un po’ di tutto quello
che avete fatto per me. Ma non so che fare. Hanno bisogno di te, Leo. Torna
presto.
Oddio, inizio a sentirmi stupida a parlare così. Donnie ci
ha detto di smetterla, perché non puoi sentirci.
In questa casa, Leo, sembra che le uniche parole, ormai,
siano quelle dette a te che non puoi ascoltarle."
N/A Il narratore
si è eclissato, ma LaraPink continua a chiacchierare XD
Un piccolo capitolo silenzioso e particolare, al quale ne seguirà un altro altrettanto
cortino (sorry ^^’) e poi gli ultimi cinque un po’ più corposi e l’epilogo…
Siamo quasi agli sgoccioli, ragazzi… Buhh!!! *solite fontanelle dagli occhi*
La vostra genuflessa e riconoscente e grata e trullallero ringrazia di <3
anche questa volta l’unica ed inimitabile Piwy,
la stupenda LaraMomiji (infatti ieri
sera ero sfatta e ho dormito ^_^ Ma ti pare giusto che mi fanno fare le
relazioni di classe quando devo aggiornare? XD), la bellissima Gru (lo so perché ti vedo in cam! No NIENTE
PANICO, scherzo XD, lo sento col mio superpotere!), la grintosa istigatrice
allo Shreddericidio HellenBach (:’( ancora piango per il piccolo Hugo), la mia
sorellina (che spaventava la sua sorellina! @.@ Porella!!!) Lisabelle99, la poetica Shika98 che mi ha svelato i miei poteri
di guaritrice (LaraPink taumaturgica! Forte! Per qualsiasi altro malanno io son
qui! XD), la pescatrice di feels Bara no
Yami con sua sorella angstcida (ti servono i miei poteri di guaritrice per
il dolorino al fianco? :*), la mia adorata sorcina Cartoonpeeker (intendevi in quanto dispensatrice di emozioni o che
ti devo ammazzare qualcuno? XD) ed al solito tutti gli altri amici.
Un abbraccio piccolo… XD XD XD Ok, ok, superato il limite
giornaliero concesso di cavolate. Un abbraccio ENORME! :*
|
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Capitolo 35 *** Demoni ***
“The water's clear and innocent”
Radiohead, Codex
Raffaello si è sfilato le protezioni, si è tolto la maschera
ed ha spento la luce.
Si sentiva stanco, anzi stanchissimo. Aveva praticamente trascorso
tutto il pomeriggio e buona parte della serata ad allenarsi con i pesi. Ormai,
era diventata una prassi: quando non era il suo turno di stare con Leonardo,
passava il suo tempo a lavorare sul suo corpo. Dopo aver chiesto il permesso a
Donatello, naturalmente. Ma anche questa, alla fine, era diventata
un’abitudine; non ci faceva quasi più caso. Non poteva eseguire kata ed usare
le armi, ma poteva fare tutto l’esercizio fisico che voleva. Ed ultimamente, ne
faceva tantissimo. Era l’unica cosa che gli impediva di scoppiare; quando
sfiancava il suo corpo, riusciva a liberare la sua mente. In quest’ultimo mese
la sua massa muscolare era notevolmente aumentata. Lui era sempre stato quello
che aveva allenato di più i muscoli, tra i suoi fratelli. Ma adesso, il suo
corpo era vigoroso e tonico come non mai.
E la notte, quando non era in laboratorio, al fianco di
Leonardo, praticamente crollava dalla stanchezza.
Era un buon metodo, per non sentire niente.
Dormiva, e non pensava. Il sonno portava via l’ansia,
l’angoscia, l’amarezza.
Nel sonno, non c’era niente. Neanche sogni, nulla.
Non c’era Leo che deperiva su quel lettino, incapace di
svegliarsi, non c’era Sensei triste e deluso, non c’era Donnie che vagava per
la tana come un fantasma.
Non c’era Mikey che non gli parlava, che non lo guardava.
Che lo temeva e probabilmente lo odiava.
Non c’era nemmeno il sangue sulle sue mani. Sul suo
piastrone. Che si scioglieva in volute rosse con l’acqua della doccetta.
Suo padre aveva ragione, l’aveva sempre avuta. La vendetta
non toglieva il dolore. Lui non si era sentito meglio, dopo. Il dolore era rimasto lì, crudo, tagliente, mentre dal sangue
della sua vittima era nato un demone nero che si era stabilito tra il suo
stomaco ed il cuore.
La tartaruga mutante ha chiuso gli occhi. I muscoli delle
braccia erano ancora in fiamme. Pochi minuti, e tutto finalmente sarebbe
diventato buio.
Un lieve rumore.
Una voce attutita, oltre il muro. Era un… un pianto?
Raffaello si è girato, sbuffando. Non pensarci.
Veniva dalla stanza di Mikey. Probabilmente, suo fratello
stava avendo un altro incubo.
Dormi, non pensarci.
Tanto, non poteva fare niente per aiutarlo.
Erano passati adesso quasi due mesi da quella notte, ed
ormai qualcosa tra lui ed il suo fratellino si era rotto. Aveva cercato in
tutti i modi, nelle scorse settimane, di riavvicinarsi a Mikey. Gli parlava, e
Mikey si allontanava con un pretesto. Entrava in una stanza, e Mikey usciva.
Una notte era andato nella sua camera, e Mikey si era alzato con la scusa di
dover andare in bagno, poi si era messo a guardare la tv dicendo che gli era
passato il sonno.
Quando si incontravano, per il cambio da Leo, entrando ed
uscendo da una stanza, o in cucina per i pasti consumati ormai in maniera
frettolosa e raramente in compagnia, gli occhi azzurri avevano sempre
qualcos’altro da guardare. Si trattasse dei nunchaku alla cintura,
improvvisamente bisognosi di un ulteriore controllo agli agganci, o di qualche
mobilio della casa che, dannazione, era sempre stato lì, e non sarebbe mai
andato da nessuna parte, e non sarebbe scomparso se lui non gli avesse
incollato addosso quei benedetti occhi!
Ovunque, vagavano ovunque. Vuoti del sorriso che quando si
formava sulla bocca arrivava appena ormai alle gote, come se si trattasse di un
atto dovuto e meccanico, della forma effimera e precaria delle riviste
patinate, e non si rifletteva più in quello sguardo che pesante, fugace,
imbarazzato, quasi estraneo errava penosamente su tutto e su tutti, tranne che
su di lui.
Piano piano, suo fratello si era allontanato sempre di più.
Gentile, sorridente, premuroso e forzatamente cordiale. Ma lontano.
E lui, Hamato Raffaello, il mostro, l’animale, l’assassino,
lui non poteva farci niente.
La bianca innocenza provava orrore per la nera pece del
peccato.
Raffaello si è portato le mani sul viso. Aveva capito ormai
da tempo che il mondo l’avrebbe sempre considerato un mostro, e niente più di
questo. Per quanto lo facesse soffrire il pensiero, alla fine se n’era dovuto
fare una ragione. Ma che lo considerassero così anche i suoi fratelli, no, non
lo poteva accettare. Faceva troppo male. Non poteva accettare che Mikey lo
giudicasse tale.
Una volta, quando Mikey aveva gli incubi, sarebbe venuto a
cercare conforto da lui o dagli altri fratelli. Adesso, Donnie stava facendo il
suo turno da Leo. Leo non avrebbe potuto consolare nessuno. E lui… lui
probabilmente era la causa degli incubi.
Un altro gemito, soffocato, dalla stanza vicina. Raffaello
ha sospirato. Si è messo a sedere sul letto e ha acceso la luce. Evidentemente,
questa sera non era abbastanza stanco; un’altra ora di esercizi l’avrebbe
aiutato.
Rindossati maschera e protezioni, si è diretto verso il
laboratorio. Donnie leggeva sulla sedia accanto al lettino di Leo.
“Donnie?” Raffaello ha fatto un cenno col capo.
Donatello ha alzato gli occhi dal libro.
“Uh? Sì, vai.” Si è rimesso a leggere.
Il dojo era quasi al buio. I suoi pesi erano appoggiati
sulla panca in un angolo.
All’improvviso, si è aperta la porta della camera di
Splinter.
“Non dormi, Raffaello?”
“Sensei, ho chiesto a Do…”
“Sì, sì.” Splinter ha alzato la mano per bloccare ogni
spiegazione. “Stavo andando in cucina a preparare un po’ di tè. Mi terresti
compagnia, figlio mio?”
Mentre Hamato Yoshi versava l’acqua calda nella teiera,
Raffaello teneva lo sguardo a terra. Nel silenzio della tana, sotto la luce
della lampadina della cucina, guardava la coda del mutante muoversi sul pavimento.
Era un po’ imbarazzato.
Eppure, non gli dispiaceva essere lì con suo padre.
Splinter si è girato, ed ha seguito lo sguardo della
tartaruga fino alla sua coda. Ha sorriso.
Ha preso lo sgabello e si è seduto accanto a Raffaello,
mentre il tè tingeva l’acqua della teiera.
“Sai cosa mi ha raccontato tuo fratello Leonardo, una delle
ultime volte che abbiamo parlato?”
Gli occhi verdi del giovane mutante si solo alzati.
“Mi ha detto di ricordarsi quando da bambini giocavate ad
‘acchiappa coda’.”
“‘Acchiappa coda’…” Raffaello ci ha pensato un attimo, poi
ha sorriso in realizzazione. “Sì, sì, mi ricordo!”
Gli occhi gli si sono illuminati, alla memoria; lo sguardo
si è perso un po’ sognante. “Eravamo proprio piccoli, eh…” Si è toccato il
dietro della testa.
Splinter ha annuito sorridendo “Sì, e Michelangelo una volta
me l’ha morsa!”
“Cosa? Ah ah! Davvero?”
“Certo. Anche se i morsi erano una tua specialità. Mordevi
tutto, me ed i tuoi fratelli compresi. Mi hai morso pochi giorni dopo che vi
avevo portato qui. Avevi dentini piccoli ed affilati, povero me!” Splinter ha
riso, e Raffaello ha ridacchiato abbassando il viso imbarazzato.
Poi, il silenzio è tornato in cucina, buio e pesante.
“Sei sempre stato il più aggressivo, figlio mio. Sempre in
guerra con il mondo. La rabbia riempiva i tuoi occhi da bambino e riempie il
tuo cuore adesso che sei un adulto. Io non sono riuscito a portare via i tuoi
demoni da te, Raffaello.”
Il giovane mutante ha spalancato gli occhi sorpreso.
“Sensei! Questa… Non puoi incolparti per questo! È solo
colpa mia, sono io che sbaglio!”
“Ogni padre porta un po’ delle colpe dei suoi figli. E nel
tuo caso io sono ancora più responsabile, poiché nella mia vita ho combattuto
la stessa battaglia che stai combattendo tu, e nonostante questo non sono
riuscito a guidarti. Ed ancora, non riesco a gestire completamente neanche me
stesso. Il fatto che io ti abbia colpito, dimostra quanta rabbia vi sia ancora
dentro di me.”
Splinter si è alzato, si è versato il tè in una tazza
giapponese. Sapendo che a Raffaello non piaceva, non gliel’ha offerto.
“La guerra più difficile da affrontare, è quella contro noi
stessi. La rabbia e la paura sono i nemici più temibili che un uomo, o un
mutante, possa mai incontrare. Dovrai faticare duramente, e lottare per tutta
la vita, figlio mio, poiché nei momenti di debolezza questi nemici saranno
sempre pronti a soggiogarti.”
Il maturo mutante si è seduto. Ha soffiato sul tè, poi ha
preso un piccolo sorso. Ha chiuso un attimo gli occhi.
“Ma io ho fiducia in te, Raffaello. Adesso, più che mai,
questa casa ha bisogno della tua forza. Devi proteggere i tuoi fratelli.”
La tartaruga ha abbassato la testa. Non avrebbe voluto
sentire quello che sapeva che suo padre stava per dire.
“Niente potrebbe farci più felici del fatto che Leonardo
tornasse tra noi. Il destino forse ci concederà un miracolo, forse ha voluto
regalarci altri due mesi con lui, o forse è stato crudele ad ingannarci.
Sappiamo entrambi che è difficile che si svegli e torni a guidarvi. E sappiamo
che i nostri nemici sono lì fuori, pronti ad annientarci. Per quanto mi costi
dire questo, io ho altri tre figli ai quali devo cure ed attenzioni. Che Leonardo
si svegli o meno, voi dovete continuare la vostra vita.”
Raffaello ha sentito un nodo stringergli la gola. Per quanto
sapesse che le parole di suo padre erano giuste, e sapesse quanto dolore gli
doveva provocare fare questo discorso, non poteva fare a meno di sentire, come
un gelo che lo invadeva, un senso di tradimento nei confronti di Leonardo.
“La tua punizione è finita. Sei nuovamente libero di
praticare. Voglio che torni ad allenarti con le armi. Ricominceremo insieme gli
allenamenti da domani mattina. Tu e Michelangelo siete ormai perfettamente
guariti, e dovrete tornare presto alle vostre responsabilità in superficie. Solo
il tempo ci dirà se Donatello potrà recuperare dal suo grave infortunio, ma poiché
non riesce ancora a maneggiare bene il bo, reputo che sia più saggio che lui rimanga
al rifugio. Lui resta il leader in carica, ma finché non potrà salire in
superficie, Michelangelo è sotto la tua responsabilità.”
Ha preso un altro sorso di tè.
“A proposito, vorrei sapere che succede tra te e
Michelangelo. Non penserai che non mi sia accorto che lui sta cercando di
evitarti in tutti i modi, Raffaello. Non ho voluto toccare prima la questione
sperando che la situazione si calmasse col tempo, ma adesso va avanti da troppe
settimane. Dovrete appianare i vostri problemi, prima di tornare ad essere una
squadra.”
Raffaello ha sospirato. “Sarà difficile, Sensei. Mikey… lui
ha paura di me.”
Splinter ci ha pensato un po’ su. Ha fissato la tazza tra le
sue mani.
“Tuo fratello non ha paura di te, Raffaello. Tuo fratello ha
paura di ciò che la tua rabbia potrebbe fare a te. La sua paura è la tua
paura.”
“Non so, Sensei. Lui sembra che mi odi…”
Splinter ha sorriso.
“Credi veramente che Michelangelo possa odiarti? Anzi, credi
che tuo fratello possa mai davvero odiare nessuno? ”
Un minuscolo vortice di vapore caldo si diffondeva ancora
dal beccuccio della teiera.
Hamato Yoshi ha posato una mano su quella del figlio. L’ha
guardato nei profondi occhi verdi.
“Continua a cercare tuo fratello. Sii paziente. Nell’animo
di Michelangelo troverai l’arma per sconfiggere i tuoi demoni, ed i suoi.”
N/A Ma davvero,
ragazzi? *guarda il computer con occhi spalancati, si gratta la fronte
perplessa*
Cioè, avete avuto la pazienza e la gentilezza di scrivermi più di 300
recensioni? Ragazzi io… boh. Non so. Davvero, cavolo, non so. Sicuramente siete
più gentili voi di quanto meriti io. Quindi, a costo di ripetermi in modo
stucchevole, GRAZIE.
Sono felicissima che ne vorreste di più, carissime Lisabelle99, Cartoonpeeker8 e Bara no
Yami, sapete, lo vorrei anch’io, mi sto divertendo un sacco con voi.
Pensare che mi sembrava troppo lunga, questa storia, che è più del triplo di
“Aria” e temevo che a lungo andare potesse annoiare. Cara Gru, era proprio quello che avevo in mente, quella fase, dopo la
disperazione, di triste rassegnazione (insomma, sempre cosucce allegre! W
l’ottimismo! XD ) e mi fa piacere, HellenBach, che anche se l’”azione” è
tutta intorno al lettino di un degente, il capitolo sia riuscito abbastanza
decente (a proposito ancora piango per Hugo). No, in verità Leo non è più in
coma a causa dei farmaci, ma il suo corpo ha risentito della gravissima
malattia: spiegherò qualcosa in seguito, ho cercato di “studiarmi” un po’ le
febbri emorragiche, i danni spinali e cerebrali, il coma indotto ecc., e di
essere il più realistica possibile. Se qualche medico leggesse e trovasse
cavolate chiedo venia ^^’ Gentile I Love
Raph, altro che scusarti, ti ringrazio moltissimo per aver letto la mia
storia e spero ti sia piaciuta: certo le recensioni mi fanno molto piacere, ma
l’importante è che tu ti sia divertita almeno un po’.
Ultime parole per LauraMomiji che…
ha scritto una storia! Ben venuta nel club, sorella (qui siamo tutte sorelle!
XD). Volo, mi fiondo, mi precipito a leggerla ^_^ Ed ha scritto sulle Turtles
anche ToraStrife! Che bello gente,
stasera si legge! Un pensiero per Shika98
(OMG! Hai perso l’autobus per leggere la mia storia! Daiii!!! Sei grande! XD XD
XD), per la giornata di ieri:
TANTI AUGURI A TE! TANTI AUGURI A TEEE!!! Un milione di baci!
Saluto coccoloso infine alla mia imoto NightWatcher96
ed alla mia gemella spazio-temporale CatWarrior
per quando leggeranno :*
Un abbraccio grande quanto la pizza che ho appena mangiato
:P
PS Domani parto per una piccola vacanza (troverà LaraPink
anche le Turtles al Lucca Comics?), quindi non potrò aggiornare prima di
lunedì sera. Chiedo scusa e ancora ciao :*
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Capitolo 36 *** Dojo ***
Cap 36
“Love, love is a verb
Love is a doing word
Fearless on my breath
Gentle impulsion”
Massive Attack, Teardrop
Era quasi sera quando April è entrata nella familiare tana
dei suoi amici. Non trovando nessuno nella zona centrale, si è diretta in
laboratorio: lì, ormai da più di due mesi, c’era sempre qualcuno, con Leonardo.
Ancor prima di varcare la soglia, la ragazza ha sentito la giovane
voce di Michelangelo. Evidentemente, era il suo turno.
“Ciao Mikey.”
Il mutante con la maschera arancione si è girato sulla sedia
ed ha rivolto un saluto all’amica, abbozzando un sorriso, poi è tornato a
parlare con il fratello in coma.
April, per l’ennesima volta, si è sentita stringere il
cuore. Era sempre triste vedere il suo amico inconscio accudito da qualche
familiare, ma quando ad assistere Leo vi era Mikey la scena era talmente
commovente da far venire le lacrime agli occhi.
Il mutante più giovane continuava a stare accanto al
fratello, giorno dopo giorno, sempre con la stessa fiducia, con la stessa stoica
determinazione. Era l’unico, tra tutti loro, che non la smetteva di parlare
ininterrottamente con Leonardo, che gli stringeva le mani, lo chiamava. Mentre
gli altri, a mano a mano che il tempo passava, sembrava che dolorosamente
stessero perdendo sempre più le speranze, ed iniziavano a rivolgersi sempre
meno al malato, Michelangelo ogni volta con la stessa energia e con costanza
raccontava, riferiva, leggeva. Lo si poteva ascoltare ridere divertito mentre
rievocava al fratello un aneddoto delle loro avventure passate insieme, o piangere
invocando il suo nome come se questi dovesse svegliarsi solo per consolarlo.
Per Michelangelo quello era suo fratello che dormiva, stop.
Che ancora viveva, che respirava, e che presto si sarebbe svegliato. Il minore
dei fratelli Hamato si aggrappava alla speranza con le unghie e con i denti, e
finché nulla avrebbe dimostrato il contrario, avrebbe continuato a considerare
che il suo fratellone era lì con lui, e che aveva semplicemente avuto una
battuta di arresto.
Certamente, Michelangelo non era stupido. Svampito, ingenuo,
ma non stupido. Aveva compreso benissimo tutti i discorsi di Donnie. Era
consapevole che le probabilità fossero tutte contro di loro. Sapeva che l’ipotesi
più attendibile fosse che in verità lui stesse dedicando le sue giornate ad un
guscio vuoto che del suo amato fratello aveva solo le sembianze. Così come
sapeva che anche se Leonardo si fosse risvegliato, la malattia ed il coma
stesso avrebbero richiesto un prezzo molto salato. Sapeva, insomma, che la
possibilità che suo fratello potesse un giorno tornare a guidarlo tra i tetti
era talmente improbabile da rasentare il miracolo.
Ma aveva deciso di credere in quel miracolo.
April ha lasciato l’infermeria, dirigendosi verso la zona
dove si trovavano il dojo e la cucina.
Entrambi gli ambienti erano illuminati. La ragazza ha
dedotto che nel dojo ci fosse Raph, e si è diretta in cucina: voleva vedere
Donnie. Dopo la sera in cui lui si era rotto in lacrime, loro due non avevano
più parlato molto. Il suo amico era sempre triste e sfuggente. Le mancava.
Ma Donnie non era in cucina. Lì, seduto al tavolo, con la testa
poggiata sulle braccia incrociate sul ripiano, accanto ad una bibita fredda che
aveva gocciolato la sua condensa in una piccola pozza, dormiva Raph.
Il mutante russava, con la bocca leggermente socchiusa.
April ha sospirato piano: ancora una volta l’amico mascherato in rosso si era
talmente spinto oltre nei suoi allenamenti da crollare per la stanchezza. Ha
valutato per qualche secondo se svegliarlo, ma poi ha deciso di trovare prima
Donnie.
Si è quindi recata al dojo, fermandosi sulla porta.
La luce qui era irradiata da alcune file di candele bianche,
poste per terra su dei supporti. Stagliato contro la delicata luminescenza
tremolante, l’adolescente mutante dalla maschera viola si muoveva con grazia.
La pelle sudata brillava del suo delicato verde che ricordava un turgido frutto
tropicale. Con gli occhi chiusi, la tartaruga ansimava leggermente, concentrata,
mentre eseguiva sofisticati kata. Col braccio destro ha ruotato con maestria il
suo bo, l’ha passato sulla sua testa e poi l’ha lanciato in aria mentre ha
fatto una capriola, tra le file fiammeggianti ai suoi piedi. Sempre senza
aprire gli occhi, l’ha riafferrato al volo, ha simulato una serie di colpi ai
suoi fianchi, veloci e leggiadri come nastri, ha colpito di punta un
immaginario avversario di fronte a lui,e poi il suo altrettanto etereo compagno
alle sue spalle; poi l’arma lignea ha ruotato ancora sul braccio destro e come in
un battito d’ali le due braccia si sono infine unite per afferrare insieme il
bastone.
Il legno tra le due mani ha fatto appena un giro, quando
Donatello ha aperto gli occhi con un gemito di dolore. Ha lasciato cadere a
terra la sua arma e si è buttato sulle ginocchia, abbassando il capo,
frustrato, mentre con il braccio destro è salito a cullare il sinistro,
dolorante, ancora avvolto in una fasciatura elastica.
“Donnie!” April è corsa dall’amico.
Donatello ha girato la testa di scatto alla voce della
ragazza. Un leggero rossore ha illuminato le sue guance. Di tutte le persone
alle quali non avrebbe voluto mostrare il suo fallimento, April era sicuramente
quella in cima alla lista.
L’umana si è inginocchiata davanti al lui. Gli ha poggiato
una mano sul braccio.
Lui ha abbassato lo sguardo; lei non ha trovato niente da
dire che non fosse banale o scontato. Sapeva che l’amico non si era ancora ripreso
dall’infortunio, che si stava allenando per cercare di tornare operativo, e che
la sua lesione si aggiungeva alle dosi di dolore e preoccupazione che lo
angustiavano in questo periodo.
Così, non ha detto niente, ma si è limitata a stringere la
sua piccola mano a cinque dita su quella verde di tre. La mano di Donnie era
accaldata, e lei ne ha sentito la pelle spessa del dorso adesso quasi alla
stessa temperatura della sua.
Lui ha alzato gli occhi a guardarla, ed ha sorriso triste.
“Sai cosa è buffo, April? Io sono l’unico tra i fratelli a
combattere con un’arma che deve essere usata con entrambe le mani. L’unico tra
di noi ad avere una sola arma anziché due. Mikey ha due nunchaku. Raph due sai.
Leo…” Ha deglutito “Leo due katana.”
Ha distolto lo sguardo, che è sceso sul suo braccio
fasciato.
“Quando si utilizzano due armi, entrambe le braccia sono
perfettamente allenate a praticare anche individualmente. Se capita un incidente,
si può continuare a combattere abbastanza bene anche con una sola mano.”
Ha sbuffato una piccola risata amara. “Il bo, invece, non
può essere utilizzato con un braccio solo, se non per brevi momenti. È troppo
lungo, troppo pesante, e la maggior parte delle posizioni prevede l’utilizzo di
entrambi gli arti. Io, così, non posso combattere.”
È tornato a guardare April negli occhi. Le iridi azzurre della
ragazza erano limpida comprensione che invitavano il suo cuore ad aprirsi. La
vergogna del mostrarsi debole davanti a lei è stata vinta dal desiderio,
fortissimo, quasi fisico, di affidarle le sue paure. Nessuno, come April,
sapeva farlo stare bene, nessuno tranne lei riusciva a placare un po’ il dolore
e la preoccupazione che provava.
“Sono sempre stato il più debole dei quattro, April. Il meno
dotato nel ninjutsu. Solo il fatto di essermi allenato da quando ero piccolo per
diverse ore al giorno con il bo mi ha reso capace di affiancare i miei fratelli
in battaglia. Adesso, forse dovrò partire da zero con un’altra arma. Sensei mi
sta istruendo all’utilizzo del tonfa.
Ma ci vorranno anni, prima di poterlo padroneggiare come il bo.”
Donatello ha sospirato, scuotendo la testa.
April ha alzato l’altra mano ad accarezzare il viso
dell’amico; due piccole cicatrici tracciavano adesso il suo volto, una su un
lato della bocca e l’altra che spuntava da sotto la maschera verso la fronte, a
ricordare anch’esse il pestaggio subito. Si venivano a sommare alle altre
piccole tracce che già segnavano la pelle del giovane mutante, quasi tutte non
più vecchie di anno: troppi segni per un corpo ancora giovane, doloroso lascito
di una vita già pericolosamente vissuta.
Donatello ha inclinato leggermente la testa verso la mano,
in un gesto spontaneo, in una disperata richiesta di conforto che in quel
momento allontanava anche l’imbarazzo di avere April lì, così vicina a lui, che
gli sfiorava piano la pelle. Se in un’altra occasione solo il tocco della
ragazza lo avrebbe reso un balbettante concentrato di insicurezza e gli avrebbe
portato le palpitazioni del cuore a livelli preoccupanti, adesso, dopo quello che
stava succedendo, ed in quel momento di sconforto, il suo animo era talmente
stanco che avrebbe voluto solo dormire tra le sue braccia e dimenticare tutto
ciò che vi era intorno a lui, relegandolo nell’onirica dimensione di ciò che
non è mai accaduto.
“Io… io ero felice, April. Sono un ibrido umano-tartaruga
cresciuto nelle fogne da un maestro ninja che è un ibrido umano-ratto. Per chi
vive là fuori può sembrare strano, bizzarro, mostruoso, ma per me è la mia
vita, è normale. Mi piace praticare il ninjutsu, studiare, inventare, mangiare
la pizza con i miei fratelli. Amo la mia famiglia. Ero felice, dio mio, ero
felice... Perché ci è successo questo? Perché nel mondo ci sono uomini come
Shredder, come Tucker? Perché ci sono le guerre, perché c’è tanta violenza?
Sarò così intelligente, ma proprio non capisco, April, non capisco… Noi non
abbiamo mai fatto del male a nessuno, anzi utilizzavamo l’insegnamento del
nostro maestro per rendere il mondo un posto più sicuro, un posto migliore. Noi
aiutavamo la gente, April. Lui, lui aiutava la gente. Perché allora è su quel
lettino, inerte? Perché?”
La voce del mutante è scesa ad un sussurro, basso e roco, le
frasi rotte vibranti tra i respiri. April ha sentito girarsi la mano dell’amico
nella propria, mettersi palmo contro palmo, e l’ha stretta più forte. La mano
di lui era molto più grande della sua. La ragazza poteva avvertire i calli che
anni di allenamento avevano lasciato sul forte palmo color oliva.
Il pollice verde ha carezzato delicatamente la pelle bianca
del dorso. Un gesto così normalmente intimo e così intimamente spontaneo. In
altri momenti sarebbe sembrato troppo sensuale, si sarebbe caricato di audaci segni,
avrebbe ammiccato a ciò che lei si aspettava da tempo, a quel livello di
socialmente inaccettabile e di sentimentalmente pericoloso. Perché Donnie, April
l’aveva sempre saputo, era attratto da lei. In barba alla logica, alla morale
comune, alla natura stessa. E lei… lei aveva deciso semplicemente di non
pensarci. Troppi problemi, nella sua vita da adolescente. Una ragazza normale
che da un giorno all’altro si era trovata catapultata dal suo mondo banale
scandito dai compiti per la scuola e dalle passeggiate al centro commerciale ad
una realtà incredibile ed a tratti paurosa fatta di alieni, mutanti e guerre
ninja tra i tetti. Lei aveva rimosso ogni altro pensiero chiudendolo in un
baule in fondo al suo cuore. Le avance impacciate di Casey, gli sguardi timidi
di Donnie… L’umano chiassoso ed il mutante geniale. Il suo cuore forse un
giorno avrebbe scelto, quando tutto questo caos nella sua vita fosse passato.
Per adesso, Donnie era il suo migliore amico. Era colui che l’aveva salvata.
Era la persona che la capiva di più al mondo. Donnie era forte, dolce, e con
qualcosa di ancora teneramente infantile.
E adesso, Donnie stava soffrendo, e lei si sentiva spezzare il cuore. Le
dispiaceva per Leo, che considerava il suo fratello maggiore, non per l’età ma
per il senso di protezione che il suo amico mascherato in blu sapeva irradiare;
ma le dispiaceva anche per tutta la sua “seconda famiglia” che vedeva cadere a
pezzi, a cominciare da Donnie, dal suo
Donnie.
La mano verde si è improvvisamente staccata dalla sua.
Strette entrambe le braccia al piastrone, come se dopo la prorompente apertura
il mutante volesse adesso chiudersi in sé stesso, Donatello ha abbassato la
testa, le sue guance nuovamente rosate. April aveva sempre trovato adorabile il
pudico rossore di lui.
“Scusa, non volevo riversare su di te i miei problemi…”
“Cosa dici, Donnie?” Gli ha posato la mano sulla spalla. “Vorrei
solo poterti aiutare di più.”
Lui ha alzato nuovamente la testa. “Ma tu mi aiuti, April,
tanto! Averti qua vuol dire molto, per me… Con te posso… posso mollare un po’,
ecco. Con i miei fratelli, con Sensei, devo essere forte. Hanno bisogno di me.
Ma io non sono forte come dovrei, io ho paura… I primi giorni, quando sono
tornato dopo… dopo il mio rapimento, ho veramente creduto che Leo stesse per
morire da un secondo all’altro. Lo guardavo, e temevo che appena mi fossi
girato lui non ci sarebbe stato più. É mio fratello, April, è mio fratello…”
Ha stretto un attimo gli occhi, angosciato. “Poi, sì, si è
stabilizzato. Non so come sia successo, era così improbabile. Ma è stato solo
l’inizio di un’attesa che...” Ha preso un profondo respiro, ha dischiuso gli
occhi. Grandi e lucidi, riflettevano le ondeggianti fiammelle. “Sono stanco,
April, stanco di avere costantemente paura, giorno e notte, ora dopo ora. Ho
paura che non si svegli ed ho paura che lui possa svegliarsi e non essere più
lo stesso. Non so se quello lì dentro è ancora Leo …”
Nei pochi secondi di silenzio che si è poggiato su di loro,
la ragazza si è ritrovata a fissare quei piccoli riflessi d’oro sparsi nel lago
nocciola e ciliegia.
“Donnie, è normale avere paura per coloro che amiamo. Tu sei
una delle persone più forti e coraggiose che io conosca, e passerai attraverso
tutto questo. Credo che il tuo braccio abbia solo bisogno di più tempo; ma se
anche non dovesse guarire, sono sicura che riuscirai a cavartela benissimo pure
così.” La mano sulla spalla è scesa ad accarezzargli il braccio. “E Leo è
ancora qui con noi, ed è questo che conta.”
April l’ha sentito sospirare piano, ed ha notato che la
bocca di lui ha iniziato a tremare, appena percettibilmente. La sua bocca che
tante volte aveva visto ridere e scherzare, con la sua curiosa fessura tra i
denti. La sua bocca amabile…
Donatello ha scrutato lo sguardo di lei, così dolce, così
comprensivo. Per un lunghissimo secondo vi si è perso dentro, nuotando in
quegli occhi azzurri. È stata una carezza all’anima. Il suo viso attento,
premuroso, la sua bocca socchiusa in un’espressione di dolente partecipazione.
La sua bocca, così vicina…
Lui ha sentito il suo cuore accelerare i battiti.
Non era né il luogo, né il tempo. Non con quell’angoscia nell’animo.
Un mare di problemi, un oceano di preoccupazioni. Non era logico, non era normale,
non era accettabile.
Sarebbe stato egoistico. Sarebbe stato sbagliato. Sarebbe
stato per consolazione. Sarebbe stato un errore imperdonabile.
Sarebbe stato dolcissimo, sarebbe stato ciò di cui il suo
cuore aveva bisogno in quel momento.
Si è avvicinato. Il tempo sembrava essersi fermato, il
tremolare biondo delle candele bloccato in quell’istante spaventosamente
perfetto. Lei lo guardava fisso. Non si è allontanata. Si è avvicinata?
“Donnie!”
Il grido, acuto e pieno d’urgenza, di Michelangelo
dall’infermeria.
Occhi negli occhi, ghiacciati, per appena una frazione di
secondo.
E poi sono balzati veloci fuori dal dojo, prima ancora di
chiedersi cosa stesse succedendo.
No, niente Turtles al Lucca Comics. Decine di improponibili
Batman ed eserciti di Darth Vader, ma neanche una tartaruga. Inaudito. Ancora
peggio, non ho incontrato nemmeno la cara Laura
Momiji…
Comunque ecco come promesso un altro capitolo Apritello, sperando che sia stato
di vostro gradimento; il grande Garfield-ToraStrike
(fornitore ufficiale di chicche impagabili) ha supposto che qualcuna di voi
avesse apprezzato Raph ancora più muscoloso; io ho voluto tentare l’intentabile
e rendere sensuale anche il tarta-nerd XD
Oltre ai citati, un grandissimo grazie scritto con la cera delle candele sul
dojo alle mitiche Cartoonpeeker8 (sono
in perfetta sintonia sulla tua riflessione sul peccato: ci salviamo che siamo
nate quando è finita la moda di bruciare le simpatiche eretiche come noi), Gru (con un cucchiaino di zucchero di
canna integrale, grazie XD Comunque più leggo le tue recensioni e più ti vorrei
leggere come scrittrice. Pensaci, pensaci, pensaci *messaggi subliminari*), I Love Raph (il rapporto Splinter-Raph
ha più seguaci di quanto mi aspettassi ^_^), Piwy (si cara, è il suo punto di ascolto, che lui li possa sentire
o meno), LisaBelle99 (ed io voglio
venire a vedere il fratello caliente del tuo istruttore!!!), HellenBach (non sarebbe bello tornare a
quei momenti, fugaci ed irripetibili? Mi ci hai fatto riflettere :,)), NightWatcher96 (il lavoro imparerà di
che pasta siamo fatte! Lo faremo fuori XD), Bara no Yami (avevi ragione, troppo folla a Lucca; non è male ma è
più fumo che arrosto ^^’), CatWarrior
(mi fai sempre venire voglia di Nutella, nun se po’ fa’…), Ladyzaphira (allora non è solo una mia impressione che il fandom
stia crescendo! Evviva!!!) e la nuova amica Kittym14.
Un abbraccio grande quanto Lucca :*
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Capitolo 37 *** Risvegli ***
Cap 37
“I survived.
I speak, I breathe,
I'm incomplete”
Queens of the Stone Age, The Vampyre Of Time
And Memory
Donnie si è precipitato nel laboratorio, seguito da April.
Ha fatto appena in tempo a registrare la presenza di Splinter e Raffaello, anche
loro richiamati dal grido, che tutta la sua attenzione si è focalizzata su
Michelangelo.
Il fratello minore, in piedi accanto al lettino, piangeva.
È stata appena una frazione di secondo, quella prima di
girare lo sguardo a Leonardo, ma è bastata per atterrirlo. Poi, ha ascoltato le
parole di Mikey, ma a quel punto aveva già visto.
“Ha aperto gli occhi! Leo ha aperto gli occhi! Donnie! Ha
aperto gli occhi! Leo! Oh Leo!”
Michelangelo stava praticamente urlando, incapace di stare
fermo, l’espressione euforica ed allucinata, quasi sotto shock. “Raph! Sensei!
Ha aperto gli occhi!”
Tutti si sono stretti di corsa accanto al lettino.
“Donnie, si è svegliato, Donnie? Lui…?
“Calmati,
Michelangelo” ha detto Splinter scostando delicatamente il figlio mascherato in
arancione per avvicinarsi di più a Leonardo.
Il mutante aveva la
sua maschera blu. Sotto di essa, le palpebre si erano dischiuse lasciando
intravedere le iridi dello stesso colore. I muscoli del viso erano ancora
rilassati come nel sonno profondo, ma gli occhi erano aperti,anche se non
completamente; le palpebre sbattevano mentre lo sguardo vagava intorno, senza
soffermarsi su niente.
“È… è sveglio?” La voce di Raffaello era bassa, carica di
aspettativa.
“Allontanatevi un po’, per favore.” Donatello ha allargato
le braccia per spostare Splinter e Raffaello al suo fianco, e poi ha fatto un
segno con le mani a April e Michelangelo dall’altra parte del lettino. “Non gli
state tutti sopra.”
Ognuno ha prontamente ubbidito, lasciando adesso solo
Donatello accanto a Leonardo.
“Leo?”
Il viola sentiva un groppo alla gola, le parole uscivano
flebili, esitanti. “Fratello, mi senti?”
Ma Leonardo continuava a muovere gli occhi da un lato
all’altro, piano, senza dare alcun segno di aver percepito quello che vi era
intorno a lui.
“Leo?” ha fatto ancora Donatello.
Dopo un paio di minuti, la situazione non era cambiata.
L’euforia di tutti si era adesso raffreddata in una muta attesa.
“Donatello?” Splinter ha rotto il silenzio.
“Non so, Sensei… Dobbiamo aspettare.”
“Ma è sveglio? Non è vero?”
“Mikey, ricordi i discorsi che ti ho fatto? Non possiamo
saperlo. Dobbiamo aspettare.”
“Maledizione!” Raffaello ha sbuffato fendendo l’aria con i
pugni scagliati giù, ai suoi fianchi; poi si è allontanato, dando un calcio allo
sgabello che ha incontrato per strada, e si è buttato a sedere sulla scrivania,
incrociando le braccia.
Leonardo aveva sì gli occhi aperti, ma sembrava che stesse
continuando a dormire. Tutti sapevano bene che poteva essere un falso allarme,
ma questo cambiamento, dopo due mesi, li aveva messi in uno stato di ansiosa
speranza. Soprattutto Michelangelo sembrava fremere nell’incertezza, ed i suoi
occhi si spostavano in continuazione da Leo agli altri, apprensivi, desiderosi,
eccitati.
Ancora una volta, tutti si sono ritrovati ad attendere in
silenzio in infermeria. Solo che adesso, dopo circa una decina di minuti, un
flebile suono è uscito dalla bocca di Leonardo.
“Mh…”
La tartaruga in blu ha piegato leggermente la testa. La
maschera copriva gli zigomi adesso sporgenti nel volto emaciato.
Donatello ha sentito le lacrime salirgli agli occhi. Era più
forte di lui. Nonostante tutte le sue remore e paure, ha provato una tale gioia
da rimanerne quasi soffocato.
Lo sguardo di Leonardo l’aveva messo a fuoco. Suo fratello
lo stava guardando.
…
“Mikey, ben cotte”
L’atmosfera in cucina quella mattina era serena, quasi
normale, come non lo era stata da molto tempo. Michelangelo era ai fornelli,
Raffaello e Donatello seduti al tavolo. La sera prima, dopo aver aperto gli
occhi ed essersi mosso leggermente, Leonardo si era riaddormentato, lasciando
tutti un po’ delusi, ma ancora elettrizzati. Dopo qualche ora Splinter aveva
invitato April a tornare a casa ed i figli a dormire un po’, mentre lui sarebbe
rimasto da Leonardo. Il loro sensei era ancora lì, mentre i ragazzi, svegliati
da poco, stavano facendo colazione.
“Ma non troppo. Al solito. Insomma, tu sai, come le fai
sempre, sono buonissime…” La voce di Raffaello si è spenta piano. Nel parlare
al fratello mascherato in arancione ci andava con i piedi di piombo.
L’atmosfera, in fondo, era quasi normale.
Ancora tra lui e Michelangelo qualcosa non andava.
“Tranquillo, Raph.” Michelangelo con maestria ha voltato
l’ennesimo pancake.
“Tu sicuro di non volerne, Donnie?”
“Sì, grazie Mikey, mi basta il caffè.”
“Non sia mai detto che tu faccia una vera colazione per
mettere un po’ di muscoli su quelle ossa, secchione!”
“Non sono magro, Raph. Ho un fisico asciutto.” Si è stretto scherzosamente
il bicipite con enfasi. “Muscolatura snella e tonica. Sei tu che sei
tarchiato.”
“Aspetta che finisco qui e poi seguimi nel dojo che ti
faccio vedere cosa ti fa il tarchiato” ha risposto con la bocca piena,
sventolando la forchetta.
Poi, ha abbassato lo sguardo al braccio fasciato di
Donatello, subito pentito della minaccia scherzosa.
Idiota. Sono un
maledetto idiota.
Donatello ha fatto finta di non accorgersi della gaffe. Si
era alzato carico di fiducia e niente avrebbe potuto rovinare questa giornata.
Dopo più di due mesi, suo fratello si era svegliato. Aveva deciso di mettere da
parte tutte le sue paure da medico e di godersi solo le speranze. Leo si
sarebbe alzato presto da quel lettino, come se niente fosse successo. Nessun danno cerebrale, nessuna menomazione
della malattia, nessun trauma irreparabile, niente.
…
“Mhmm…”
“Leonardo?”
Splinter è balzato in piedi. La tartaruga mutante si stava muovendo
di nuovo.
L’odore della colazione arrivava fino al laboratorio, dove Hamato
Yoshi aveva passato ancora una volta lunghe ore scomode su una sedia. Solo che
questa notte era stata diversa. Perché suo figlio si stava svegliando, e non vi
era niente di più bello al mondo.
Gli occhi blu hanno sfarfallato un po’, poi si sono aperti, guardandosi
intorno assonnati.
Splinter ha stretto forte la mano del ragazzo.
“Figlio mio, mi senti?”
Leonardo ha girato piano la testa verso di lui. Dopo un
tempo che è sembrato al maturo mutante incredibilmente lungo, l’adolescente l’ha
guardato negli occhi.
La tartaruga ha dischiuso la bocca, ma non ne è uscito fuori
alcun suono. Ha abbassato un attimo le palpebre, le ha riaperte, più sveglio.
Ha tentato ancora di parlare.
“S… s…”
“È tutto a posto Leonardo. Ti sei svegliato, figlio mio.”
Splinter commosso gli ha messo una mano sul piastrone.
“S… nsei.”
È stato appena
un sussurro, ma è bastato a far balzare il cuore di Hamato Yoshi.
“Sono qui, Leonardo, sono qui, è tutto a posto…”
Ha preso la mano del figlio, leggera, col suo polso adesso
così sottile, e attento a non sfiorare il cerotto con la flebo se l’è portata
delicatamente alla guancia. Al diavolo ogni stoico controllo delle emozioni;
Splinter ha strofinato la mano del suo ragazzo contro la pelliccia del suo viso
e si è sentito sciogliere il gelo nel petto.
Donatello è entrato in laboratorio, tenendo in mano la tazza
del caffè. Appena ha guardato verso l’angolo infermeria, è corso a posare la
tazza su un tavolino e si è avvicinato a Leonardo.
“Leo? Sei sveglio? Puoi sentirmi?”
Gli occhi blu si sono spostati lentamente dal padre al
fratello. Come se quest’operazione gli avesse richiesto una fatica immane, ha
dovuto chiudere le palpebre qualche secondo; adesso anche l’espressione del
viso era più sveglia, ma stanca.
“Puoi sentirmi Leo?” ha ripetuto Donatello.
Leonardo ha guardato fisso il fratello teso su di lui, poi
ha fatto un piccolissimo gesto di assenso con la testa.
Donatello si è sentito invadere da una felicità che non
provava da mesi. Leonardo era sveglio, e stava comunicando!
“Hai dolore?”
Gli occhi blu si sono mossi un po’ avanti e indietro,
confusi, come se non avesse capito o non sapesse rispondere.
“Ok, ok, è presto per questo. Mi riconosci? Sai chi sono?”
Ancora una volta gli occhi hanno perso il fuoco sulla
visuale. Donatello stava iniziando a sentire un brivido corrergli lungo la
colonna vertebrale quando un altro piccolo, ma meno deciso, sì con la testa
l’ha nuovamente tranquillizzato.
Leonardo ha tirato il viso in un faticoso abbozzo di
sorriso, poi si è concentrato e si è sforzato di parlare.
“Mhmm… R…
Mhm… R… Raphh…”
Donatello ha fatto un passo indietro, appoggiandosi
sgraziatamente al tavolino.
La tazza di caffè si è infranta contro il pavimento.
…
“Come sarebbe a dire che non possiamo vederlo?” Raffaello ha
praticamente ruggito a Donatello che, in piedi davanti alla porta del
laboratorio, ne bloccava l’ingresso a lui e a Michelangelo.
“È confuso, e credo che vedervi potrebbe solo farlo
agitare.”
“Diavolo, Donnie! Mi stai dicendo che mio fratello è sveglio
dopo due mesi, ed io non posso vederlo per non farlo agitare? Se si agita me ne
esco, ma io vado!”
Raffaello ha spinto con non molta delicatezza da parte
Donatello, ed è entrato in laboratorio. Niente avrebbe potuto impedirgli di
rivedere Leo. Era sveglio. Era sveglio! Dopo tutto questo tempo, dopo tutta la
paura. Credeva di averlo perso, ed invece eccolo, era lì, con gli occhi aperti…
Si è avvicinato al lettino sentendo una strana debolezza
nelle gambe.
“Leo…”
Leonardo ha girato la testa al suono della voce. Anche
Splinter ha guardato Raffaello.
La tartaruga in rosso ha letto nell’espressione di suo padre
qualcosa che non gli piaceva. Non era contento che Leonardo si fosse svegliato?
Una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa di sbagliato, ha preso a
strisciare dentro di lui.
Leonardo lo stava scrutando. Finalmente, le sue iridi blu erano
fisse su di lui. Quante volte Raffaello aveva pensato, in quelle settimane,
agli occhi di suo fratello. Aveva desiderato uno sguardo da loro. Uno dei loro
sguardi d’intesa durante la battaglia, quando senza parole bastava un movimento
delle orbite per organizzare strategie perfettamente orchestrate. Uno sguardo
divertito, per le buffonate di Mikey, per le impacciate farneticazioni di
Donnie davanti ad April. Anche uno sguardo di disapprovazione, perché come al
solito suo fratello gli rimproverava di essere troppo avventato, troppo
impulsivo, di mettere in pericolo la propria vita, e come al solito aveva
ragione.
Ma lo sguardo che Raffaello stava ricevendo adesso, era…
strano. Leonardo era sveglio, cosciente, lo sguardo era lucido. Ma non lo stava
guardando come un fratello.
Lo guardava come un estraneo.
Raffaello ha capito improvvisamente che Leonardo non lo riconosceva.
“Leo?”
L’ha toccato sul braccio. Leonardo ha allargato gli occhi,
improvvisamente spaventato. Le pupille sono rimbalzate da una parte all’altra,
poi ha cominciato a muovere convulsivamente la testa ed a mugugnare.
“Te l’avevo detto! L’hai fatto spaventare!”
Donatello ha strattonato violentemente Raffaello
all’indietro. Per lo shock della situazione il rosso non ha saputo riacquistare
l’equilibrio ed è caduto per terra.
“Fuori!” Donatello furioso lo sovrastava indicando la porta.
“Ma che diavolo!”
“Esci, idiota!”
Raffaello è balzato in piedi, furente. Ha stretto i pugni,
pronto a sferrare un colpo.
Poi, con la coda dell’occhio, ha visto Michelangelo, fermo
in piedi ancora sulla porta del laboratorio.
Ha aperto i pugni.
“Uscite tutti.”
L’ordine di Splinter è stato appena mormorato ma portava
un’inflessione nella voce che non ammetteva repliche.
Con la testa china, Raffaello ha preceduto Donatello e
Michelangelo fuori dalla stanza.
“E chiudete la porta!” ha fatto ancora Splinter.
I tre fratelli si sono buttati sui gradini della grande
fossa nella zona centrale.
I minuti sono passati lenti. Seduti lontani tra di loro,
ognuno perso nei propri pensieri, i tre giovani mutanti si voltavano ogni tanto
verso la porta chiusa.
Il rumoroso sospiro di Michelangelo ha indotto Raffaello a
guardarlo. Gli occhi azzurri erano persi davanti a sé. Lontani mille miglia dai
suoi pensieri felici che sempre sapevano portare un raggio di sole nelle
giornate più buie. Il mutante mascherato in rosso ha poi rivolto l’attenzione a
Donatello. Il viola si teneva la testa tra le mani.
Raffaello ha pensato di essere un fratello maggiore
terribile. Si sarebbe preso a calci per essersi comportato per l’ennesima volta
come lo stupido che si sentiva.
“Scusa, Donnie.”
Donatello ha tolto le mani, gli occhi nocciola brillavano di
lacrime. Era stato un colpo terribile, per tutti.
Poi ha fatto un sorriso triste.
“Non fa niente Raph. Siamo tutti nervosi.” Ha guardato
Michelangelo, che ancora non prestava attenzione ai fratelli.
“È solo che… Quando finirà questa storia, Donnie? Io
credevo…”
“Ci avevamo sperato tutti. Ci avevo sperato anch’io…” Ha abbassato nuovamente lo sguardo. “Ma solo
nei romanzi chi si sveglia dopo due mesi di coma chiacchiera allegramente come
se niente fosse successo. Nella realtà il risveglio è difficoltoso, e la
ripresa molto lenta.” Quando c’è, la
ripresa.
La porta del laboratorio si è aperta piano, e Splinter si è
avvicinato.
Donatello e Raffaello si sono alzati in piedi. Il viola si è
messo sull’attenti e poi ha fatto un lieve incino.
“Scusa, Sensei.”
Raffaello l’ha guardato ed imitato.
“Sì, scusa maestro.”
Splinter ha alzato un braccio, a scacciare via la questione,
poi si è rivolto a Donatello.
“Si è addormentato nuovamente.”
Donatello ha annuito. “Beh, è normale, credo. Ha detto
qualcos’altro?”
“No, ma mi ha stretto un po’ la mano.”
“Bene!” Donatello si è illuminato, ha sorriso felice, poi ha
ridimensionato un po’ il suo entusiasmo quando ha visto gli sguardi
interrogativi di Raffaello e Splinter puntati su di lui. “Voglio dire, se ti ha
stretto la mano significa che riesce a muovere gli arti superiori. Avevo avuto
l’impressione che avesse la sensibilità alle braccia quando ha Raph l’ha sfiorato,
forse si è spaventato al tocco.”
Le espressioni interrogative si sono accentuate ancora di
più.
“Temevo… insomma c’era il rischio che… La malattia che ha
avuto avrebbe potuto causare anche questo. Se ci sono state emorragie poi
riassorbite, i danni cerebrali avrebbero potuto causare la paralisi… Quando si
sveglia la prossima volta vedremo se anche gli arti inferiori…” Ha guardato verso
la porta, lasciando morire lì la frase.
“Perché non mi ha riconosciuto?”
“È confuso Raph. Prima mi ha scambiato per te. Sembra che
per adesso abbia riconosciuto solo Sensei. Diamogli tempo, e vedremo se è solo
un fatto passeggero.”
“Se?”
“Beh, sì, vedremo nei prossimi giorni. Ci… ci vorrà tempo.
Raffaello ha rivolto ancora lo sguardo a Michelangelo. Non
si era alzato, non aveva parlato, sembrava non accorgersi nemmeno che ci fosse
qualcuno intorno a lui. Fermo e silenzioso come non lo era mai stato, come un
robot a cui fosse improvvisamente venuta a mancare ogni energia.
Il rosso ha poi osservato le proprie mani, notando con
stupore come queste avessero iniziato a tremare un po’.
Danni cerebrali.
Il demone menzionato aleggiava tra di loro.
No, non questo. Non
questo.
Forse vi era qualcosa di ancor peggiore della morte.
N/A Cartoonpeeker
mia, sapevo delle ranocchie antropomorfe
e degli incubi che si materializzano, ma niente riguardo all’episodio del 21…
Devo sapere!!! Dove, quando, come, perché?
Mi sto rosicchiando le unghie e le trovo pure saporite. Confermo, il
latino fa venir fame, lil sis Lisabelle99
XD Mi papperei ora come ora pure i feels di Bara no Yami appostati sotto casa mia. E tranne la loro padrona,
portabandiera del rispettabilissimo Capril, Donnie alla fine ce lo siamo
pappate quasi tutte: allora non sono l’unica perversa del gruppo a trovarlo un
“turgido frutto tropicale”! Sono felicissima che ZaliaTmnT (piacere di conoscerti! ^_^), I Love Raph (che comunque, se ho capito bene, ama Raph! XD XD XD), HellenBach (anche tu quindi Capril?), Piwy, Gru, Laura Momiji
abbiano apprezzato il momento cuoricini cuoricini del mio viola abbacchiato e
depressotto.
Sai che non ho idea di quanto ci abbia messo a scrivere questa storia, Leonida-ToraStrike? Se mi prende la sindrome
compulsiva da scriviqualcosaqualunquecosa vado a Mach2, per esempio la mia
prima tartastoriella, Buio, l’ho buttata giù quasi tutta in una notte (diciamo circa
il 70, 80%), anche se era un terzo di Virus: ma si vede che è figlia
dell’insonnia, scritta di botto e pubblicata di fretta, quindi se non l’hai
ancora letta, per adesso non farlo. Mi ripropongo di correggerla, prima o poi
^^’ Goditi meglio la serie della Nick, che a mio avviso è andata crescendo.
Virus l’ho scritta tra aprile e giugno, portando avanti nello stesso periodo
altre tre brevi storie ancora da completare, ma a volte non l’ho toccata per giorni,
a volte gli dedicavo un’ora a volte una serata, e poi ho riscritto alcune parti
la prima settimana di settembre… insomma, sono utile come un buco di c. sul
gomito, non so proprio quantificare, porca pucca >.< Rileggere un capitolo e pubblicarlo, come sto
facendo in questi giorni, mi prende circa, boh, diciamo da mezz’ora ad un paio
d’ore? Da questa storia uso l’NVU, prima editavo nel sito.
Riguardo al topone (lince!) nostro: l’hanno reso figo. Sarà l’età, ma io
comincio a trovarlo più caliente delle Turtles. In cambio hanno praticamente
reso April attraente quanto un palo di scopa ed altrettanto simpatica.
Ok, adesso mi dissolvo. Sapete già che vi ringrazio tutti in modo che non
potreste neanche immaginare. Un abbraccio grande quanto Sparta :*
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Capitolo 38 *** Esserci ***
Cap 38
Ludovico Einaudi,
Oltremare
Erano passate ventiquattro ore da quando Leonardo aveva
cercato di parlare.
Dopo quell’episodio, che aveva reso tutti vibranti di trepidante
attesa e poi nuovamente tutti stanchi e scoraggiati per l’esito del risveglio,
non era successo più nulla.
Leonardo era semplicemente tornato a dormire.
Come se il suo sonno non fosse durato abbastanza da stremare
i nervi scossi della sua famiglia, il mutante in blu si era limitato a
continuare a tenere gli occhi chiusi su tutto ciò che succedeva intorno.
I suoi fratelli avevano saltato per l’ennesima volta la
formazione, suo padre aveva trascorso un'altra notte al suo fianco.
La colazione questa mattina non aveva lo zuccherino gusto
della speranza che li aveva allietati il giorno precedente. Si respirava nella
tana il timore che, forse, i loro peggiori incubi si fossero avverati, e che il
loro fratello fosse ormai perduto per sempre.
Donatello leggeva il suo sconforto nel fondo, sporco di
caffè, della tazza ancora calda che teneva in mano. La tazza che gli aveva
regalato Leonardo. Accanto a lui, seduto al tavolo, Michelangelo rigirava il
cucchiaio in una ciotola di latte e cereali che molto probabilmente non si
sarebbe dovuto preparare. Raffaello aveva del tutto evitato anche il tentativo
di fare colazione, preferendo come al solito riversare sul fantoccio da
allenamento tutta la sua frustrazione.
Il viola ha sospirato. Ci aveva sperato. Ci aveva sperato
davvero, contro ogni logica, che una grave febbre emorragica e due mesi di coma
non avessero fatto pagare il loro scotto al corpo del fratello. Alla sua mente.
Che ne sarebbe stato di loro, adesso? Doveva iniziare a pianificare un’assistenza
a lungo, lunghissimo termine? Leo fino a che punto si sarebbe ripreso?
Avrebbero avuto a che fare con una lieve disabilità, o avrebbero dovuto per gli
anni a venire assistere un povero invalido a malapena cosciente?
E se non fosse stato mai più capace di badare a sé stesso?
Avrebbe avuto bisogno di cure costanti per il resto della vita. E lui, il vero
lui, il suo forte e fiero fratello, avrebbe voluto vivere così?
Quando la vita smette di essere un evento meraviglioso,
venuto ai fragili esseri nati dall’infinitesimale materia stellare, per
diventare un insopportabile fardello al quale sarebbe più logico, decoroso,
pietoso porre fine?
Non gli piaceva il corso che stavano prendendo i suoi
pensieri. Si è alzato, ed ha messo la tazza nel lavello. Ha aperto l’acqua. In
fondo, Leo si era appena svegliato. Era presto, per pensare al peggio.
Ma l’aveva scambiato per Raph…
Era solo una confusione temporanea? Sì, diamine, doveva
esserlo. Non vi era un minimo di fortuna, per loro, a questo mondo?
Ha insaponato la tazza, l’ha sciacquata, l’ha riposta nello
scolapiatti sul lavello.
Si è voltato, a guardare Michelangelo, che non sembrava aver
intenzione di finire i suoi cereali.
Gli occhi azzurri erano persi a fissare la tazza o il tavolo
o nessuna delle due cose.
“Starà bene, Mikey.”
Ha dovuto dirlo. Per suo fratello e per sé stesso. Suonava
stupido, banale e ridondante, ma ha dovuto dirlo.
Michelangelo ha girato la testa piano, l’ha messo a fuoco. Nelle
lucidi iridi color del cielo, il bagliore di una scheggia di tristezza. Poi ha
sorriso, caldo.
“Sì, starà bene.”Ha annuito sicuro, ma ha allontanato la
ciotola con i cereali.
Donatello si è riseduto al tavolo, davanti al fratello
minore. Ha capito subito che quello che Mikey aveva detto era tutto a suo
beneficio. Si erano, per così dire, ricambiati il favore. Adesso, occhi negli
occhi, in un secondo si sono detti molto di più. Il genio ed il casinista,
l’alfa e l’omega, colui che si fa guidare dalla ragione e quello che vibra di
puro istinto vitale, erano talmente vicini nell’animo come solo due fratelli
possono esserlo.
Ogni remora caduta.
“Gli staremo vicino, Donnie.”
Il viola ha annuito, triste.
“Tutta la vita. Starò con lui se… Io starò con lui. Giorno e
notte, sempre. Lo farò e non mi peserà.”
“Lo so, Mikey.”
“Lui l’avrebbe fatto per noi.”
“Certo.”
“Anche se non mi riconosce, Donnie. È Leo, è sempre Leo.”
“Certo, è Leo…”
Donatello ha sentito pizzicare gli angoli degli occhi. Li ha
abbassati a guardare i cereali che nel latte iniziavano a farsi poltiglia.
Confusione temporanea.
Solo confusione temporanea. Il cervello si sta svegliando. Ci vuole tempo. Solo
un po’ di tempo.
Per qualche minuto, i due fratelli sono rimasti così. Dopo
tutte queste settimane. Dopo l’alternarsi costante di paura e speranze. Dal di
fuori entravano in cucina i grugniti rabbiosi di Raph, i colpi sordi delle nocche
contro il tessuto del manichino.
Donatello era stanco. Si sentiva come se il suo animo fosse
stato tirato a guisa di una corda talmente sottile che ormai viveva col terrore
che potrebbe rompersi. Ha stirato le dita.
Potrebbe rompersi.
Mikey ha lavato le
lenzuola? Devo ricordarmi di ricalcolare la concentrazione proteica in base
all’ultima analisi del sangue. Sono rimaste solo tre siringhe. Il cerotto nella
piaga dietro il polpaccio l’ho poi cambiato? Non ho ancora controllato se quel
segnale poteva essere effettivamente Kraang. Ne dovrò parlare con Raph. Su che
sito era quell’articolo sulla gestione familiare della disabilità?
Raffaello è entrato in cucina. Ha aperto il frigo, preso
l’acqua fredda ed iniziato a bere direttamente dalla bottiglia.
Donatello non gli ha detto nulla. Niente lezioni sull’igiene
né sulla congestione, oggi. L’ha solo guardato, ma un secondo di troppo.
“Allora?” Raffaello ha chiesto sgarbato sbattendo la
bottiglia sul tavolo.
Il viola ha distolto lo sguardo. Suo fratello voleva lo
scontro, ne aveva bisogno. Caricato dall’esercizio fisico, e con la sua stessa
ansia nel cuore, Raffaello sarebbe stato meglio, se lui gli avesse dato anche
il minimo appoggio per sfogarsi. Ma lui era troppo stanco, per darglielo. Potrebbe rompersi.
La tartaruga mascherata in rosso ha allora guardato
Michelangelo. Ha dovuto usare tutto il proprio autocontrollo per non
prendersela anche con lui, per il solo motivo di starsene lì, con quell’aria
stupida, a continuare a non guardarlo negli occhi. Aveva voglia di gridargli in
faccia tutta la sua rabbia. Ma non poteva, non con il clima che c’era tra di
loro. Una volta, Michelangelo sarebbe stato il suo bersaglio ideale, avrebbe potuto
assorbire il suo malumore senza problemi, anzi avrebbe saputo trasformare la
rabbia in fastidio e poi il fastidio si sarebbe addirittura spesso sciolto in
una risata.
Ma oggi no. Non più. Pazienza, doveva avere pazienza. Come
gli aveva detto suo padre. Era riuscito a resistere, nonostante tutto. Non
poteva rovinare ancora una volta ogni cosa. Non poteva perdere per sempre
Mikey. Sperando di non averlo già definitivamente perso.
Raffaello si è asciugato l’acqua intorno alla bocca col
dorso della mano.
In quel momento sono stati raggiunti in cucina anche da
Splinter.
Donatello ha osservato il maturo mutante. Suo padre era
stanco. Aveva sempre pensato a lui come a un essere forte e invincibile.
Adesso, forse per la prima volta, lo vedeva con altri occhi. Suo padre non era
più giovane. Si avvicinava all’età in cui le forze sarebbero iniziate a
declinare.
Aveva sempre calcolato la loro età in termini umani. Loro
erano adolescenti, il suo sensei un uomo maturo ma ancora nel pieno delle
forze. Ma loro non erano umani. Quanto vive un ratto? Quanto una tartaruga?
Dopo l’ennesima notte accanto a quel lettino, suo padre era visibilmente
spossato. Donatello ha scacciato l’ennesimo brutto pensiero.
Michelangelo si è alzato rumorosamente in piedi, strisciando
lo sgabello.
“Posso… posso vederlo, Sensei?”
Hamato Yoshi si è versato dell’acqua in un bicchiere. Ha
annuito.
“Sì, Michelangelo. Anzi, io andrò a riposare qualche ora,
resta tu con Leonardo.” Si è poi rivolto agli altri ragazzi. “Nel frattempo,
voi due potete allenarvi un po’. Donatello, guida tu la sessione, solo kata di
base e gli esercizi col tonfa che ti
ho mostrato nei giorni scorsi.”
“Sensei, pensavo che anche oggi potessimo saltare la
formazione.”
“No, Donatello. Come hai detto tu, per Leonardo ci vorrà
tempo. E voi non potete perdere altre sessioni. I vostri nemici sono sempre là
fuori, con Leonardo al vostro fianco o senza.”
“Hai, Sensei.”
“E, Donatello?”
“Sì?”
“Se faceste poco rumore ve ne sarei molto grato.”
“Hai, Sensei.”
…
I suoni dal dojo si sentivano appena, lì in laboratorio.
Lievi colpi bassi, legno contro legno, quasi le percussioni esotiche di una
danza lontana. Michelangelo, seduto accanto al lettino di Leonardo, si augurava
che Raffaello ci andasse piano, poiché il rosso era molto abile pure con i tonfa, armi che utilizzava bene quasi
quanto i suoi sai. Se li era portati anche nell’assalto alla TCRI. Poi si
chiedeva come Sensei riuscisse a dormire con quel rumore, nonostante la notte
in bianco. Ed infine, rifletteva sul fatto che da quando avevano ripreso gli
allenamenti Splinter non lo avesse mai fatto combattere contro Raph.
Ha sospirato. Suo padre la sapeva lunga, eh.
E lui poi aveva ancora quella sua stupida paura da
combattere.
È un problema che
dovrai risolvere, se vuoi continuare ad essere un ninja.
Sì, ma come? Forse si poteva fare come per i veleni,
abituarsi a… a quello spaventoso liquido rosso un poco alla volta. Ne avrebbe
avuto bisogno un po’, per iniziare a prenderci confidenza piano piano… Ma dove
trovarlo? Solo l’idea di tenere in mano una delle loro sacche di riserva, che
Donnie teneva ben nascoste in un vecchio frigorifero, lo atterriva. E quelle
potevano salvar loro la vita, non era roba da giocarci. Allora dove trovarne solo
qualche goccia?
Si è guardato le mani, ed ha deglutito.
Sì, sono proprio un
codardo.
“Non sono neanche lontanamente coraggioso come te,
fratellone.”
Ha alzato lo sguardo a Leonardo, ed ha sussultato.
“Leo! Ma sei sveglio!”
Il blu aveva la testa girata verso di lui, gli occhi
completamente aperti. Lo stava guardando.
“Che bello rivederti, amico!” Michelangelo, ricordandosi
della reazione di prima, ha resistito alla voglia di abbracciarlo, ma gli ha
stretto forte la mano. Un sorriso di gioia correva sul volto lentigginoso, e
lacrime invadenti hanno cercato di fare capolino.
Leonardo ha sbattuto un paio di volte gli occhi.
“Lo so che non mi riconosci, ma sono contento che sei
sveglio, Leo, mi sei mancato tantissimo, fratellone, vorrei che ti alzassi
subito da lì, ma Donnie mi ha detto che ci vuole tempo, ma io, io sono felice,
ecco, sono davvero felice che ti sei svegliato, e non mi importa niente, quando
starai meglio ci faremo la più grande mangiata di pizza della storia, ragazzi,
una mangiata che ce la ricorderemo-”
“Mhmm…”
“-per anni pizze di tutti i gusti anche la tua preferita
acciughe peperoni e fagioli di gelatina va beh è la mia preferita ed io-”
“M…i…”
“- beh io credo penso che insomma Leo io sono qui con te ed
anche se non mi riconosci non mi importa starò con te e poi-”
“M… Mik…y...”
Leonardo gli ha sorriso.
Michelangelo si è chiesto se si potesse morire di felicità,
perché in tal caso si sentiva fortemente a rischio.
Si è alzato in piedi, piano, quasi temendo che se si fosse
mosso troppo velocemente l’incanto si sarebbe rotto. Il cuore gli batteva
dentro il guscio come un tamburo.
L’aveva chiamato per nome. L’aveva chiamato per nome!
Doveva dirlo agli altri. No, doveva restare con Leo. No,
doveva dirlo agli altri!
È
indietreggiato lentamente.
“Leo, torno subito, non ti muovere…”
Ho detto non ti
muovere? Oddio…
Lo sguardo blu l’ha seguito allontanarsi, e Michelangelo ha
creduto di scorgervi un pizzico di delusione o stupore, ma doveva abbandonarlo
solo per pochi secondi…
Si è girato, è schizzato fuori, ha battuto il record di
velocità sulla distanza laboratorio-dojo, si è fiondato dentro; i due fratelli
si sono voltati subito verso di lui, con i tonfa stretti in pugno e le
posizioni congelate.
“Èsveglioemihariconosciutoèsveglioemihariconosciuto!”
Ha aperto e chiuso freneticamente i pugni ed è corso nuovamente fuori.
Ha decelerato prima di rientrare nuovamente in laboratorio,
per non correre il rischio di spaventare Leo; si è avvicinato alla sedia piano,
si è seduto. Leonardo lo guardava ancora.
Michelangelo ha sentito le voci concitate di Donnie e Raph
fuori dal laboratorio, mentre ha preso nuovamente la mano del fratello nella
sua. Non poteva dire che il blu avesse proprio lo sguardo sveglio che lo
contraddistingueva, ma era senza ombra di dubbio ben vigile. E gli stringeva la
mano.
Adagio, dietro di lui, ha sentito avvicinarsi Raffaello.
Michelangelo ha sorriso. Ne era sicuro. Anche Raph doveva sapere. Anche lui
doveva vedere se Leo lo riconosceva.
L’arancione si è girato un attimo a guardare il rosso, che
stava entrando anche lui passo a passo. La scena sarebbe potuta sembrare buffa.
In un’altra occasione. Adesso Michelangelo non la trovava buffa, aveva il
batticuore e basta. Si è rigirato verso Leonardo. Questi adesso stava seguendo
Raffaello, che è arrivato al fianco del lettino. Ha portato gli occhi blu a
Michelangelo, poi nuovamente a Raffaello.
“Ciao, Leo.” La voce della tartaruga in rosso tremava.
Leonardo ha fatto un piccolo segno con gli occhi.
“Leo sai… sai chi sono?”
Qualche secondo di silenzio, poi il blu ha preso un respiro
ed ha emesso qualche suono roco prima di articolare parola.
“Rhhh… Ra… Raph…”
Raffaello ha rilasciato il fiato che aveva trattenuto; si è
arrischiato ad allungare la sua mano, piano, per sfiorare con una carezza
quella del fratello in blu, stretta ancora a quella di Michelangelo.
Una terza figura si è avvicinata al lettino.
Gli occhi oltremare si sono alzati di nuovo.
Anche Raffaello e Michelangelo hanno guardato Donatello. Ma
il viola per un po’non ha parlato. Ha deglutito, ha ricambiato i loro sguardi,
ha guardato Leo, e poi nuovamente a turno gli altri fratelli, in attesa. Infine,
si è fatto forza, a chiedere nuovamente:
“M… mi riconosci? Come mi chiamo?”
Il braccio ancora fasciato tremava poggiato sul lettino.
Leonardo ha sorriso ancora.
“D… Don…nie.”
Il braccio fasciato ha portato la mano alla bocca a
soffocare un singhiozzo.
N/A Tah tah!
Eccoci! Eccolo! Eccolo? Boh, forse, chissà… Le cose facili? Nahh, niente
colazioni da Mulino Bianco (cit. ToraStrike
magno). Siamo quasi alla fine, dudes and dudettes. E
mentre inizio ad accatastare pile di fazzoletti perché già mi sento stringere
el corazón,
ringrazio ancora una volta, oltre al sopracitato, Cartoonpeeker8 (scusa, è da me non controllare per prima cosa
proprio Turtlepedia, altrimenti non sarei cretina, no? E sì, grazie, mi hai
regalato un altro incubo >.< ), Gru
(thanks darling, spero proprio che la fine alla fine (?) ti piaccia), Piwy (la legge di Murphy applicata alle
Turtles! Con me funziona al 100%), _Bara
no Yami_ (mi mancheranno i tuoi feels. Non è che me ne puoi regalare un
paio?), Ladyzaphira (dopo aver
riconosciuto i fratelli ha Leo ha chiesto di te, giuro! Testualmente: “Dov’è la
mia Lady?” Anche se non si capiva niente), ZaliaTmnT
(è che Mikey ci era rimasto troppo troppo male, piccolo… ), HellenBach (spero di sì, che ti
piaceranno anche gli altri momenti, altrimenti mi inizio a barricare in casa
^^’), I Love Raph (effettivamente
Raph è il più figo ^_^ Boh, io ancora non ho deciso qual è il mio preferito…
Tutti alla pari, dai). E naturalmente
CatWarrior, NightWatcher96, LauraMomiji, Lisabelle99 e tutte le altre
amiche.
Un abbraccio grande quanto il mare :*
|
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Capitolo 39 *** Tagli ***
Cap 39
“'Cause I'm only a crack in this castle of
glass”
Linking Park, Castle Of Glass
Alcuni eventi sono molto veloci. Un fulmine, uno schiaffo,
un battito di ciglia.
Altri necessitano di un po’ più di tempo. Un seme che
spunta, un frutto che matura, il formarsi di una spiaggia in una baia.
Gli eventi lenti richiedono pazienza, per vederne il
risultato. Per vedere se il risultato era quello che ci si aspettava, o se
purtroppo il destino avesse deciso diversamente.
Dopo due settimane dal suo risveglio, Leonardo aveva
raggiunto, pian piano, tanti piccoli risultati.
Era stato un cammino lungo, difficile e non lineare; ogni
due passi in avanti ve ne era uno indietro. Vi sono stati giorni buoni, e
giorni meno buoni. Giorni in cui la ripresa sembrava vicina e tutti si
aspettavano che la vita sarebbe tornata presto come prima, e giorni che invece
mietevano un nero ed amaro dubbio nel cuore.
I primi giorni dopo il risveglio sono stati forse i meno
difficili. Leonardo dormiva ancora quasi sempre. Nei rari momenti di veglia, a
volte sembrava consapevole di ciò che avveniva intorno a lui e riusciva a dire
alcune parole, altre volte i suoi occhi vagavano vuoti, e non sembrava
riconoscere niente e nessuno. Poi, lentamente, i momenti di lucidità hanno
superato quelli di confusione, ed i suoi familiari hanno potuto sempre più
spesso provare la gioia di sentirsi chiamare per nome, e con una voce che era
tornata quasi normale.
Tante piccole cose, semplici e banali, della vita di tutti i
giorni, hanno rappresentato scogli impervi per la famiglia Hamato. Riuscire a
bere dell’acqua, ad inghiottire un po’ di zuppa, a muovere un po’ gli arti, non
è stata una conquista facile. Per non parlare dell’esprimere dolore o disagio o
dell’espletare le necessità fisiologiche.
Adesso, dopo due settimane, la situazione era forse ancora
più difficile. Perché a mano a mano che Leonardo riacquistava sempre più
coscienza di sé, diventava anche più nervoso ed insofferente.
Non riuscire a muoversi bene o ad esprimersi lo spingeva a
volte ad un livello di frustrazione tale da urlare e piangere come un bambino,
rompendo tutto ciò che trovava a portata di mano.
Era per questo che adesso Michelangelo si trovava con un
piatto di minestra rovesciato addosso, mentre Leonardo si stava rannicchiando a
fatica sul letto in camera sua, con la faccia contro il muro ed il guscio al
fratello che ancora teneva il cucchiaio in mano.
“Che succede, qui?” Splinter si è affacciato nella stanza di
Leonardo, constatando con sconforto il piccolo disastro.
“Sensei, non vuole più che lo imbocchi. Non ha mangiato
niente.”
Il maturo mutante è entrato e si è seduto sul letto del figlio.
“Perché non vuoi che tuo fratello ti aiuti, Leonardo?”
“V…via! A… andate…via!”
“Leonardo, devi mangiare. Non c’è niente di male a farsi
aiutare da chi ti vuole bene.” Ha poggiato una mano sulla spalla del figlio. Magro,
pallido e scosso dai singhiozzi, sembrava adesso un bambino. Non era che
l’ombra del guerriero che lo aveva reso così orgoglioso.
“Via, pa…dre, per fav…ore…”
La voce di Leonardo tra le lacrime era un sussurro di una
tristezza infinita. Splinter non sapeva come aiutare il suo ragazzo; col cuore
in frantumi, si è rialzato e si è allontanato dal letto.
“Andiamo, lasciamolo un po’ da solo” ha detto a Michelangelo
che, completamente sporco di minestra, stava raccogliendo con uno straccio
quella caduta a terra.
Quando ha sentito che Splinter e Michelangelo erano usciti
dalla sua stanza, Leonardo ha preso a piangere ancora più forte. Sapeva che era
sbagliato, ricordava che era vergognoso, e poco onorevole, ma non riusciva a
smettere. Si sentiva davvero male, sentiva che niente andava come doveva, ma non
capiva bene il perché. Era così confuso, e stanco di tutto. Provava
costantemente un profondo senso di vergogna. I suoi fratelli… loro non
avrebbero dovuto accudirlo così. Lui avrebbe dovuto prendersi cura di loro,
invece! Lui era… era un ninja! Era un guerriero! Nella sua mente vagavano
immagini confuse. Lotte tra i tetti, allenamenti con le armi… April, i Kraang,
Karai… Comprendeva che qualcosa di profondamente sbagliato gli era successo.
Una malattia, ricordava una malattia. Ma tutto era così confuso, perché, perché?
Adesso, si sentiva pure in colpa per aver trattato male Mikey
e Splinter… Li aveva cacciati via, loro volevano solo aiutare… Era stato
infantile e irriverente. Ma non voleva più essere imboccato. Non era giusto,
non era normale…
Con molta difficoltà, è tornato a girarsi verso la porta. I
muscoli non gli rispondevano. Si sentiva prigioniero dentro uno scafandro di
piombo. Riusciva a muovere solo parzialmente le gambe, ed anche alzare le mani
per afferrare qualcosa gli costava un immenso sforzo. Tutto era sbagliato,
tutto era maledettamente sbagliato…
Ha alzato lo sguardo al bicchiere d’acqua poggiato sul
comodino. Aveva sete. L’acqua era così vicina, eppure così lontana. Chiamando,
qualcuno sarebbe arrivato a dargliela…
No.
Ha appuntato le braccia sul materasso, per alzarsi a sedere.
Ha cercato di fare forza, ma non riusciva ad alzare il suo guscio. Era così
pesante… Si è concentrato, ha respirato forte. Con un gemito, ha messo tutta la
sua forza sulle braccia. I muscoli tremavano per lo sforzo. Ha iniziato ad
ansimare. Le gambe, doveva cercare di aiutarsi con le gambe. Ha tentato con
tutto sé stesso di premere sui talloni.
Piano, con una fatica enorme, è riuscito a tirarsi su. Ha
poggiato la testa contro la testiera del letto, esausto. Ansimava forte e
sentiva il sudore sulla fronte. Ha aspettato un paio di minuti, per
riprendersi. Poi ha alzato il braccio per afferrare il bicchiere. La mano
tremava quando ha sbattuto sul vetro. Un po’ d’acqua si è riversata sul
comodino, ma il bicchiere non è caduto. Leonardo ha chiuso un attimo gli occhi.
Poi ha stretto le sue tre dita intorno al bicchiere. L’ha alzato, e tremolante l’ha
avvicinato alla sua bocca.
Ce l’aveva fatta, ce l’aveva quasi fatta. Stava per bere da
solo, senza essere imboccato come un bambino.
Il vetro ha toccato il bordo della bocca. La mano ha alzato il
bicchiere. Ma tra la sua bocca ed il suo braccio non c’è stato coordinamento.
L’acqua gli si è riversata tutta addosso.
Leonardo ha singhiozzato. Ha stretto il bicchiere ormai
vuoto con forza, tremante, e l’ha buttato con un urlo sul pavimento, frantumandolo
in una miriade di schegge.
Poi ha urlato ancora, ed ancora, e si è preso la testa tra
le mani.
Raffaello e Donatello si sono precipitati di corsa verso la
stanza di Leonardo. Ma appena fuori dalla porta, appoggiato contro il muro,
c’era Splinter, che ha alzato una mano per fermarli ed ha fatto loro segno di
silenzio portandosi l’indice davanti alla punta del naso. I due fratelli si
sono guardati smarriti e poi hanno guardato nuovamente Splinter, che si è limitato
a scuotere la testa, chiudendo tristemente gli occhi.
…
Donatello è entrato in bagno; Michelangelo era sotto la
doccia.
“Fai un’altra doccia, Mikey?”
“Uh?” La giovane tartaruga ha tolto la testa da sotto il
getto dell’acqua.
Non ho chiuso la
porta!
“Sì, Leo ha pensato che un vestito di minestra mi stesse
bene.”
“Non ha mangiato?”
“No. Si è arrabbiato. Sembrava Raph.” Michelangelo si è
insaponato il piastrone.
“Capisco.” Donatello ha sospirato, scuotendo piano la testa.
Ha poi abbassato lo sguardo ed ha visto la cintura, le protezioni e le fasce
buttate in un mucchio a terra, sporche di minestra.
“Come mai non ti sei chiuso a chiave, oggi? Passata la tua
piccola mania di non farti vedere ‘nudo’?” ha ironizzato riguardo all’ultima
stravaganza del fratellino, che negli ultimi giorni si chiudeva in bagno a
chiave quando faceva la doccia. Tra di loro non avevano mai avuto questa
accortezza, per ovvie ragioni. Erano tutti maschi, ed erano sempre nudi!
Qualcosa nelle fasce di Mikey ha attirato la sua attenzione,
e si è accosciato a guardarle. Le piccole strisce bianche che il fratello usava
sulle mani e quelle più scure che usava sui polsi erano… sporche? Sì, erano
segnate da piccole macchie marroni. Donatello ha srotolato tra le mani la
fascia bianca. Il marrone era quasi rosso in alcuni punti. Era… sangue?
Ha aggrottato la fronte. Ha guardato il fratellino che si
strofinava sotto l’acqua e poi ancora le fasce, incredulo.
Si è alzato nuovamente in piedi, si è passato una mano sulla
testa, cercando di fare mente locale.
Poteva essere? No, non era possibile…
Michelangelo ha chiuso il getto d’acqua ed è uscito dalla
doccia, afferrando l’asciugamano dal supporto.
“Ancora qui, guardone?” ha scherzato iniziando ad asciugarsi,
ma il sorriso gli è morto sulla faccia quando ha notato l’espressione tetra e
seria di Donatello. “D., cosa…”
Ha scorto una delle sue fasce in mano al fratello.
Oh, no…
Veloce ha nascosto le mani dietro la schiena.
Donatello ha parlato gelido.
“Fammi vedere le mani.”
Il fratello minore ha abbassato il volto. L’acqua gocciolava
dal suo corpo al pavimento, lui ha fatto istintivamente un piccolo passo
indietro. Non sapeva come uscire da quella situazione.
“Le mani!”
“No, Donnie, io…”
“Fammi vedere le mani, o chiamo Sensei in questo preciso
istante.”
Michelangelo ha incurvato le spalle, vinto. Ha portato
lentamente le braccia bagnate in avanti. Donatello ha afferrato una mano ed ha
iniziato ad ispezionarla.
I cuori dei due fratelli battevano ambedue come tamburi
impazziti. Entrambi sono arrossiti, uno di rabbia, e l’altro di vergogna.
Sulla mano che Donatello stringeva tra le sue, piccole
ferite, appena dei taglietti, segnavano la pelle verde; alcune erano già quasi
completamente guarite, altre avevano delle croste ancora fresche. Sui polsi i
tagli erano appena più profondi, ma niente che non potesse guarire in un paio
di giorni. Tutti i taglietti erano posizionati in posti solitamente nascosti
dalle fasce di protezione.
Tutti erano chiaramente auto-inflitti.
Donatello ha lasciato andare la mano; le sue adesso si sono
strette a pugno. Ha alzato gli occhi a cercare quelli di suo fratello, ma
questi aveva lo sguardo a terra.
“Mikey…” ha bisbigliato sgomento, non sapendo che dire.
“Donnie, non è importante…”
Il viola ha preso un profondo respiro. Non poteva credere
che suo fratello facesse questo.
“Mikey, io… tu… come hai potuto… Non è questa la soluzione…”
Michelangelo ha rialzato lentamente la testa. Gli occhi di
Donatello erano addolorati e turbati.
“Lo so che non è facile quello che abbiamo passato, è stato
un periodo tremendo per tutti, ma questo…” La voce del mutante più alto vibrava,
amara. “Questo non ti farà stare meglio.”
Michelangelo ha spalancato gli occhi, in realizzazione.
“No, Donnie, non è quello che pensi!” Ha alzato la voce,
adesso iniziando ad arrabbiarsi lui. “Io… ma come puoi pensare questo?”
Si è sbattuto i pugni sulle cosce, furioso. “Come puoi
pensare che io mi faccia male per… Oddio! Mi credi talmente stupido!”
Ha iniziato a strofinarsi addosso l’asciugamano con forza,
per asciugarsi, borbottando ancora infuriato ed umiliato.
Donatello è rimasto ancora più perplesso. A parte il fatto
che vedere Mikey arrabbiato era uno spettacolo tanto raro quanto bizzarro,
adesso iniziava a non capirci più niente.
“Ma allora, perché?”
I due grandi occhi azzurri l’hanno guardato mentre si
cingevano della maschera arancione.
“Sto cercando di abituarmi al… beh, insomma, non è che
potessi prenderlo da qualche altra parte, ed ho pensato che così, vedendone un
po’ ogni giorno, potessi vincere la mia ecto… emos… insomma la mia paura del
sangue, ecco.”
“E questo ti sembra un metodo intelligente? Insomma, ti
tagli per vedere il tuo sangue? È un’idea assurda!”
“Ne hai qualcun’altra da suggerirmi?” ha chiesto
raccogliendo le sue fasce e protezioni in una bacinella di plastica.
“Beh, non so, ma potremmo cercare insieme… tutto fuorché
questo! È inutile! Hai avuto a che fare col sangue altre volte, e non ti è mai
successo niente. Quante volte ne abbiamo visto un po’ in battaglia? E non mi
risulta che tu abbia mai avuto una crisi. Non è così che funziona, Mikey. Le
fobie non si possono curare con l’abitudine. La mente è complessa…”
“Eh eh, Raph avrebbe una bella battuta adesso riguardo alla
complessità della mia mente” ha scherzato versando del sapone da bucato nella
bacinella con le sue protezioni. Poi ha guardato Donatello con aria spaventata.
“Non lo dirai a lui, o a Sensei, vero?”
“No. Resterà un segreto tra noi due. Ma la devi smettere.
Ok?”
“Croce sul cuore, da brava tartaruga.” Ha annuito sorridendo
facendosi un segno con una mano sul piastrone. Poi, nuovamente serio. “ Ma
Sensei ha detto che dovrò risolvere il problema se voglio ancora essere un
ninja.”
“Beh, credo che intendesse che devi imparare a non farti sopraffare
dalla situazione. Non puoi vincere la fobia ma puoi imparare a gestire le crisi
di panico. La meditazione e gli esercizi di respirazione possono aiutarti.”
“Meditazione? Uh… preferivo continuare con i tagli.”
“Mikey!”
“Dai, scherzavo!” Ha girato la testa verso di lui e tirato
fuori la lingua, mentre agitava il bucato nella bacinella, sotto il gettito
d’acqua del lavabo, provocando una soffice schiuma che gli ha ricoperto gli
avambracci. Di colpo ha tirato fuori le mani dall’acqua saponata. “Ah, pizzica!”
“Ben ti sta, scemo!” Donatello gli ha strofinato una mano
sulla testa. “Solo un’altra cosa.”
“Uh?”
Gli ha poggiato la mano dietro il collo. Mikey era tornato a
girargli parzialmente le spalle occupandosi del bucato.
“Perché non sei venuto da me?”
Michelangelo ha risposto in un soffio, sempre senza
guardarlo.
“Non volevo darti altri pensieri. Già stai lavorando tanto
con Leo.”
Donatello l’ha abbracciato da dietro posando la sua testa su
quella del fratellino. “Mikey, stupida testa di legno…”
“Sai Donnie? Mi mancavano proprio un bel po’ di insulti.
Adesso che Raph non me ne fa più ero in crisi d’astinenza…”
“Non sapevo ti mancassero i miei insulti, guscio senza
cervello.”
Entrambi si sono girati verso la porta aperta, dove Raph
stava appoggiato, con le braccia incrociate, e lo sguardo strafottente. Solo
gli occhi mostravano che in verità era un po’ meno divertito di quanto volesse
dare a vedere, e che stava cercando di riavvicinarsi a Michelangelo tentando
anche la strada dell’ironia scherzosa. Negli ultimi due mesi e mezzo le aveva
tentate tutte, e se dopo il risveglio di Leonardo la situazione con
Michelangelo era un po’ migliorata, ancora il loro rapporto non era tornato
quello di un tempo.
Il fratellino non scappava più davanti a lui ed a volte gli
rivolgeva la parola, tentando di fare come se niente fosse, ma si poteva
sentire ancora una freddezza glaciale tra di loro. Raffaello da parte sua stava
scoprendo una pazienza che non sapeva di avere.
“Che vi fate, le coccole al bucato? Mah.” Ha messo su una
finta faccia disgustata. “Quando avete finito, da Leo servono qualche straccio
asciutto e lenzuola pulite, teneroni. Io raccolgo il vetro.”
Ha girato le spalle ed è uscito, un po’ geloso.
Voleva indietro il suo fratellino rompiscatole. E voleva
indietro suo fratello maggiore. Insomma, voleva indietro la sua vecchia vita.
Era forse chiedere troppo?
N/A Ciao! Che
bello, è domenica, un po’ di tartarelax. Bello, leggere le vostre parole. Mi
sciolgo e la pioggia mi dilava. Avete capito che non sarebbe stato facile, avete
predetto la cavolata di Mikey. Avete fatto il tifo per il mio “patatoso” Leo (ciao
Helen91, grazie a te per averla
letta e per la stupenda recensione; piacere di conoscerti e grazie mille anche te,
Fantasy Heart). Oltre a loro, un
caldo abbraccio alla Olaf alle mitiche LauraMomiji
(grazie a livelli epici ^_^), Piwy (giusto,
mai rilassarsi! Hai sempre capito la mia storia ;)), I Love Raph (adesso non posso togliermi dalla testa Raph con lo “sguardo
che conquista” stile Flynn di Rapunzel! XD ), HellenBach (hai recensito tutti i cappy… OMG ti stritolerei di
coccole, GRAZIE!), NightWatcher96 (come
conosci Mikey tu non lo conosce nessuno! Lo sguardo del nostro arancione alle
sue mani era proprio un indizio microscopico), _Bara no Yami_(grazie per i feels! Li terrò accanto al peluche di
Donnie! Sì, l’episodio è uscito venerdì, ma questo mi ha un po’ delusa. Beh,
non possono essere tutti eccezionali, no?), Cartonpeeker8 (grazie *lacrimuccia e Scottex pronto*, delle mie Turtles
quello che pensa il razionalista Donnie solitamente è il mio di pensiero, che poi
se ti conosco un po’ è spaventosamente simile al tuo, cummari) e Gru (tesoro, stai parlando con una
maestra delle frasi sconnesse! Ti svegli alle sei? Non mi lamenterò mai più per
le mie 6:30 >.< )
A domani, dudes and dudettes. Un abbraccio grande quanto l’Italia :*
|
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Capitolo 40 *** Fratelli ***
Cap 40
“You came and saved me
You saved me from myself”
Skunk Anansie, You
Saved Me
Uscire in superficie dopo tanto tempo era stato più che
piacevole. Splinter gli aveva accordato il permesso di andare con Casey, e lui
non se lo era fatto ripetere due volte.
Non che avessero fatto niente di che, la serata era stata
tranquilla, come se i balordi di New York avessero deciso di prendersi una
pausa tutti quella notte. Avevano solo gironzolato un po’ tra i tetti, e poi si
erano fermati a chiacchierare sotto la cappa scura dell’inquinato cielo della
città.
Inoltre, non l’avrebbe mai pensato qualche mese fa, non gli
era dispiaciuto non incontrare nessuno.
Non era ancora sicuro di quale sarebbe stata la sua reazione
ad affrontare un uomo, dopo quella terribile notte.
Raffaello è rabbrividito ancora una volta, al ricordo, e si
è girato nel letto. Chissà quanto tempo sarebbe dovuto passare per dimenticare
tutto, chissà quanto per tornare ad essere quello che era una volta.
Anzi, no. In cuor suo sapeva che non sarebbe mai tornato
quello di una volta. Quel Raffaello era morto e sepolto. Il ragazzino irruento
ed aggressivo aveva paura di non sapersi fermare in tempo prima del ciglio del
burrone; lui adesso era già caduto all’inferno. Dietro le sue palpebre chiuse
poteva ancora vedere i lampi rossi del sangue, fiamme stridenti contro i cieli
limpidi degli occhi di suo fratello che aveva guardato, che aveva giudicato,
che si era ritirato lontano da lui, disgustato.
Ha sbuffato, e si è girato ancora. Con stizza, ha
sprimacciato il cuscino.
Niente brutti pensieri, questa notte, per favore. Era appena
tornato dalla sua prima uscita dopo mesi, ed inoltre era stata una buona
giornata.
Leonardo era stato bene, aveva mangiato da solo, avevano
riso un po’. Dopo le urla della scorsa settimana, dopo i suoi gesti
insofferenti, i suoi capricci infantili, finalmente negli ultimi giorni era
stato tranquillo e sereno. Forse le cose si sarebbero sistemate prima di quanto
sperassero. La paura, anzi il vero e proprio terrore dei mesi scorsi era un
ricordo ancora vivo e pungente, ma ormai lui era quasi sicuro che il suo
fratellone si stesse rimettendo in carreggiata, che tutto si sarebbe finalmente
risolto, e quest’incubo sarebbe finito.
Sperava solo che Leonardo potesse anche tornare a guidarli.
Una cosa era guarire, un’altra ritornare il perfetto guerriero in grado di
sconfiggere micidiali nemici. Si chiedeva se suo fratello avrebbe potuto ancora
essere un ninja.
Lui, proprio il migliore tra di loro. Sarebbe stata una
beffa del destino. Ma dopo averlo quasi perso, beh, Raffaello era per adesso
troppo felice per pensare a queste cose. Averlo ancora lì, con lui, diamine,
era qualcosa che al momento rendeva un po’ più sopportabile tutti gli altri
problemi. I dubbi per il futuro, il fardello nel suo petto, gli occhi ancora
sfuggenti di Mikey…
I suoi pensieri sono stati interrotti da un lieve bussare, seguito
dal rumore della porta che si apriva.
Raffaello si è chiesto cosa volesse Donatello, a quell’ora
della notte. Ormai, con Leonardo che non poteva ancora muoversi da solo e
Michelangelo che non lo cercava più, solamente il viola avrebbe potuto bussare
alla sua porta.
Ma la voce che l’ha chiamato piano non era quella di
Donatello.
“Raph?”
Mikey! È Mikey!
“Dormi?” ha mormorato, avvicinandosi.
“Sì? No, no, voglio dire non dormo, certo, vieni.” Raffaello
si è impappinato, la voce è uscita stridula e concitata, e si è mentalmente
dato dello stupido. Si è messo a sedere sul letto, poi si è spostato, infine si
è sdraiato nuovamente ma lasciando uno spazio al suo fianco.
Michelangelo si è bloccato un attimo, al teatrino del fratello,
poi si è seduto sul letto.
Per qualche secondo il silenzio ha ingombrato la stanza del
suo imbarazzo.
Poi, i due fratelli hanno cominciato insieme.
“Cosa-”
“Raph-”
Qualche altro secondo, poi il sorriso sotto gli occhi
azzurri senza maschera ha riempito la stanza del suo calore.
È stato impossibile per Raffaello non farsi contagiare. Si è
rilassato, ed ha sbattuto piano la mano nel posto lasciato libero, in un tacito
invito.
Michelangelo si è sdraiato, e Raffaello l’ha cinto con il
suo braccio.
Ecco, sarebbe bastato questo. Improvvisamente, era tutto più
giusto, più normale. Raffaello si è sentito bene. Maledettamente bene. Quasi
tre mesi Due mesi e mezzo di
lontananza, freddezza, passati in un attimo come acqua in un fiume, spazzati
via da un semplice abbraccio. Così, senza parole, Mikey era tornato il suo
fratellino, il suo pestifero, rompiscatole, indispensabile fratellino.
È passato
qualche minuto, prima che Michelangelo iniziasse a parlare.
“Non sei più arrabbiato con me, vero, Raph?”
Raffaello è rimasto basito, poi si è girato a guardare il mutante
con le lentiggini, che però giocherellava con le dita delle mani.
“Arrabbiato con te?”
“Sì, sai, per la storia del coltello…”
Il fratello maggiore per qualche secondo è rimasto senza
parole, si è passato la mano piano sulla testa.
“Cioè tu mi stai chiedendo se io… io sono arrabbiato con te?
Io ti ho spaventato, shoccato, messo in pericolo, ricoperto di accuse assurde,
e tu mi stai chiedendo se io sono
arrabbiato con te?”
Per ironia della sorte, adesso Raffaello si stava
arrabbiando.
“Sì, cioè no, insomma, non è stata colpa tua, è stata colpa
mia, non dovevo spaventarmi in quel modo. Ma io non ho paura di te, Raph. È che…
è stato un periodo così assurdo, ma adesso è ok, credo…” Ha finito di
tormentarsi le mani ed ha guardato Raffaello con i suoi grandi occhi da
cucciolo, forse induriti in quei mesi appena un po’. “È ok?”
“Sì, Mikey. Sarà ok.”
“Ho avuto paura, per Leo. Tanta, Raph.”
“Leo starà bene. Senzapaura non lo butta giù niente.”
“Ed ho avuto paura per te.”
“Per me?”
“Tu… non eri tu…”
Raffaello ha sospirato, ed è rimasto in silenzio per un po’.
“Lo sai che non ti farei mai del male, vero?”
“Sì, lo so.” La sua espressione è tornata quella di sempre,
giocosa ed infantile. “Schiaffi in testa esclusi.”
Raffaello ha sorriso divertito e gli ha strofinato una mano
sulla testa “Ah! Certo, quelli esclusi!”
Poi è tornato improvvisamente serio.
“Non pensavo quello che ti ho detto. Sono stato un idiota.
Avevo paura anch’io e la mia bocca ha sparato un sacco di cazzate. A te ed a
Sensei. Penso che in verità sei in gamba, ecco” ha ammesso di un soffio,
imbarazzato.
“Il miglior ninja di sempre?” ha continuato a scherzare
Michelangelo, cantilenando un po’ la voce.
“Dai, cavolo Mikey! Stavo parlando seriamente!”
Il più giovane si è incupito.
“Beh, in fondo avevi ragione. Non sono il miglior ninja di
sempre, anzi sono un ninja così così…Se non mi fossi perso nella foresta…”
“No no no!” Raffaello si è tirato su a sedere contro la
testiera, togliendo il braccio da sotto la testa del fratello. “Non lo pensare
neanche per un secondo. Non è vero, Mikey! Ti prego, non dirlo più. Hai
affrontato un esercito, hai salvato Donnie. Era la cosa giusta da fare. Quel
pazzo lo stava facendo a pezzi, Dio! E te lo sei trascinato per miglia. Quanti
soldati hai abbattuto da solo? Donnie dice almeno una trentina. Per non parlare
di quelli che ho trovato io disseminati per il porto! Sei stato eccezionale,
Mikey.”
“Lo credi davvero?” Gli occhi azzurri sono diventati un po’
bambini.
“Davvero!” Poi è stato Raffaello a scherzare, puntandogli
minacciosamente un dito contro. “Naturalmente questa conversazione non è mai
avvenuta!”
Michelangelo ha annuito ridacchiando.
Raffaello si è rimesso giù, ed è tornato a cingere il
fratello col suo braccio.
“Grazie per quello che hai fatto, mi hai salvato il guscio.
Ma non rifarlo mai più, non mettere più la tua vita in pericolo per me, promesso?”
Ed adesso invece gli occhi cielo son tornati adulti.
“Sai che non posso promettertelo, Raph.”
Sì, lo sapeva.
Erano fratelli. La vita di un fratello vale più della
propria. Quello che lui sentiva per loro, loro sentivano per lui.
Ha messo l’altra mano sotto la sua testa, a guardare il
soffitto. Per un po’ sono stati così, finalmente in pace. Un sorriso correva
dopo tanto tempo sul volto del mutante con gli occhi verdi. Era davvero tanto,
troppo tempo, che non si sentiva così bene. Il suo demone nero continuava ad
aggrovigliarsi nello stomaco, ma sembrava avesse perso un po’ della sua
ferocia.
Si sentiva fiero di suo fratello, e gli era grato. Certo, a
volte non lo sopportava. Per la sua invadenza, per la sua propensione a dire
sempre la cosa sbagliata al momento sbagliatissimo. Per il suo essere rumoroso,
petulante, infantile. Per la sua costante vitalità, la sua voglia di giocare
con tutto e con tutti. La sua dannata capacità di vedere il bicchiere mezzo
pieno, di sperare fino alla fine, l’abilità nel riuscire a tirar fuori ciò che
la gente pensava. Ciò che lui pensava. La sua ingenua purezza che continuava a
brillare nonostante il marcio che incontravano. Cosa sarebbe stata la sua vita
senza questa piccola peste?
Senza preavviso gli ha assestato uno schiaffo sulla
testa.
“Ahi!”
“Non mi addormentare più col cloroformio!”
Michelangelo si è strofinato dove aveva ricevuto lo
scappellotto. “E tu non stordirmi più con le granate!”
“E non toccare più la mia maschera!”
“Lavala ogni tanto, che fa schifo!”
“Senti chi parla! La tua aveva macchie di cui preferisco
ignorare la provenienza!”
“E fatti più spesso la doccia, puzzi!” Michelangelo si è
girato verso l’ascella del fratello ed ha fatto una faccia disgustata.
Altro schiaffo in testa.
“Testa di legno.”
“Bullo.”
“Idiota.”
“Cretino.”
Donatello stava passando davanti alla porta della stanza di
Raffaello, portando una bottiglia d’acqua e dei bicchieri. Si è fermato, ha
teso la testa ad ascoltare, ed ha sorriso.
Poi è rientrato nella stanza di Leonardo. Stasera toccava a
lui dormire dal convalescente, nella brandina che avevano allestito
appositamente dall’altra parte della stanza. Comunque, Donatello ha pensato che
ormai non ci sarebbe stato più bisogno di fare i turni, e probabilmente quella
sarebbe stata l’ultima notte. Domani l’avrebbe detto a Splinter.
“Grazie, Don…nie.”
Leonardo ha afferrato il bicchiere che il fratello gli stava
porgendo ed ha bevuto l’acqua, con la mano appena un po’ tremante. Poi ha
tornato il bicchiere al fratello. “Mi… dispiace… che ti sei alzato.”
“Te l’ho detto, non mi alzavo per te, avevo sete anch’io.”
Naturalmente non era vero, e Leonardo lo sapeva.
Donatello ha fatto per coricarsi nuovamente sulla brandina.
“Donnie?”
“Uh?” Gli occhi nocciola hanno risposto premurosi.
Leonardo gli ha sorriso, un po’ imbarazzato, poi si è
stretto nel letto contro la parete, ed ha fatto cenno al fratello per il posto
lasciato libero accanto a sé.
Il mutante più alto ha annuito, inizialmente stupito, poi si
è sentito stranamente commosso. Si è sdraiato accanto a Leonardo, che l’ha avvolto
con un braccio.
“Grazie…Donnie.”
Non parlava più dell’acqua.
“Credo che… Ecco che qual… qualcuno dorma in camera mia… non
c’è bisogno…”
“Sì, Leo, lo pensavo anch’io. Domani toglieremo la brandina.”
Dopo qualche secondo di silenzio, Leonardo ha
aggiunto: “Così la finite di svegl… svegliarmi col
vostro russare, anche tu...”
“Io non russo!” Il fratello minore ha alzato la testa, punto,
accorgendosi come al solito con un secondo di ritardo che era una presa in
giro. Al sorriso sfacciato del maggiore ha risposto scuotendo il capo con finta
rassegnazione, ed è tornato giù, a stringersi a lui.
Donatello ha chiuso gli occhi. Dopo tante
settimane, si è
sentito nuovamente felice e sicuro; la corda del suo animo, che da
giorni
tirava di meno, si è allentata ancora un po’. Suo fratello
l'ha stretto a sé, contro il suo fianco, per dare conforto, per
rassicurare. Per proteggere.
Suo fratello Leonardo era tornato.
…
“Dai, un altro passo, così…”
Donatello ha incitato Leonardo aiutandolo a sorreggersi
dalle sbarre della rudimentale struttura per la riabilitazione motoria che
aveva costruito; Raffaello lo teneva dall’altro braccio.
Il blu ansimava, stremato dalla fatica. Era accaldato e
sudato, da più di un’ora si sforzava di compiere piccoli passi malfermi. Ma
ogni passo aveva il sapore di una conquista, per lui e per i suoi fratelli. I
suoi muscoli sfiancati volevano fermarsi, ma il suo cuore orgoglioso non vedeva
l’ora di tornare a camminare. Trovava umiliante e fastidioso farsi accompagnare
al tavolo o, peggio ancora, in bagno dai suoi fratelli, ma aveva capito che
arrabbiarsi non sarebbe servito a niente. Inoltre, si vergognava degli scatti
d’ira con i quali aveva dato spettacolo nelle scorse settimane: solo il ricordo
gli tingeva di rosso le guance.
Poi oggi si sentiva fiducioso: solo quindici giorni prima
non riusciva ancora a bere un bicchiere d’acqua, ed adesso invece eccolo lì, a
camminare…
O quasi.
Un ginocchio ha ceduto sotto il suo peso e Leonardo è piombato
in avanti, le braccia troppo stanche per tenersi dai supporti, e sarebbe caduto
a terra se i suoi fratelli non l’avessero sorretto.
“Direi che per oggi può bastare, Leo.”
“No… Donnie… ancora…”
“Ma non vedi che non ce la fai più, Senzapaura? Perché vuoi
sempre strafare?”
“Raph… vaffa…”
Michelangelo ha staccato una sbarra di supporto dalla
pedana, consentendo a Raffaello di prendere quasi di peso Leonardo per farlo
sedere sulla rudimentale sedia a rotelle, anche essa costruita da Donatello:
Leonardo appena l’aveva vista, qualche giorno prima, si era rifiutato di
sedercisi, ma poi aveva suo malgrado considerato che era sempre meglio che
farsi portare in giro in braccio per la tana; aveva anche capito perché queste
vecchie stazioni della metro erano state abbandonate: erano dannatamente piene
di gradini, e del tutto prive di rampe.
Sulla sedia, ancora ansimante per lo sforzo, si è guardato
intorno: come al solito, tutti e tre i suoi fratelli lo attorniavano, squadrandolo
come se dovesse infrangersi da un momento all’altro. La situazione gli dava
fastidio, e nello stesso tempo si sentiva grato nei loro confronti. Ormai, era
sempre più concentrato, più tranquillo; i ricordi stavano via via riaffiorando
nella sua mente ancora un po’ stanca, ricordava il perché della sua condizione,
e praticamente tutto della sua vita. Solo ogni tanto, ancora, gli sfuggiva il
nome di qualcosa; non faticava quasi più a mettere insieme le parole di una
frase.
“Non… avete niente da fare, voi tre?” ha detto con la voce
dura ma soffocando un sorriso.
“No, ci piace stare qui a guardare il tuo guscio” ha fatto
il mutante mascherato in rosso porgendogli una bottiglietta d’acqua.
Leonardo ha bevuto avidamente e poi si è asciugato la fronte
con il dorso della mano.
“Allora, perché non mi raccontate… perché Donnie aveva il
braccio fascia… fasciato fino a qualche giorno fa” ha chiesto guardando il
viola negli occhi. “E perché tu hai questa cicatrice.” Ha girato lo sguardo a
Raffaello indicando la sua spalla. “E questa.” Adesso ha additato la parte
posteriore della sua coscia.
“Ehi! Ed io? Da me non si vede ma ho avuto un trauma
cranico! E mi hanno sparato, di nuovo!” Michelangelo ha indicato un’appena visibile
cicatrice sul polpaccio. “Ti ho raccontato la storia un milione di volte quando
eri in coma!”
I due fratelli mediani l’hanno incenerito con lo sguardo;
Michelangelo ha incrociato le mani dietro la testa ed ha fischiettato,
imbarazzato.
“Non ti sfugge niente, eh, Leo?” ha fatto ironico il mutante
mascherato in rosso, che si è poi rivolto a Donatello “E tu che temevi che
avesse danni cerebrali!”
“Danni… cerebrali?” Leonardo è impallidito, ed è stato
Raffaello adesso ad essere oggetto di un’altra occhiataccia del viola.
“Tranquillo Leo, ormai posso sicuramente affermare che sei a
posto, ed in via di guarigione.”
“Sì, Senzapaura, e quanto prima ci romperai nuovamente le
scatole in pattuglia.” Raffaello gli ha poggiato una mano sulla spalla, pentito
della sua uscita infelice di prima. “Non ce la faccio più ad andare con questi
due, e Donnie come leader mi fa rimpiangere te, ed ho detto tutto.”
“Ed in ogni caso non si vive tanto male con il cervello incasinato.”
Michelangelo ha rotato un dito intorno alla tempia, ma mentre la sua battuta ha
fatto sorridere Donatello e Raffaello, ha intristito ancor di più Leonardo.
“Ehi, Leo, scherzavo!” L’arancione gli si è inginocchiato
davanti, guardandolo con i suoi grandi occhi limpidi. Leonardo ha fatto un
mezzo sorriso, e Michelangelo l’ha abbracciato.
Quando si è staccato, il blu ha nuovamente guardato a turno
tutti e tre i fratelli.
“Allora?” Non aveva intenzione di far cadere la questione.
Voleva sapere cosa si era perso durante la sua malattia.
I suoi fratelli si sono scambiati sguardi titubanti. Poi, dal
mutante in rosso, un lievissimo cenno, a cui gli altri hanno risposto, seri.
Donatello si è seduto per terra, a gambe incrociate, seguito
dagli altri due fratelli.
Qualche secondo di silenzio, poi il racconto è iniziato.
“La notte successiva a quella in cui abbiamo ricevuto il messaggio,
io e Raph siamo andati in un magazzino farmaceutico…”
Fuori dal laboratorio, Splinter si è fermato. No, era meglio
non entrare, per adesso. Ha dato ai suoi ragazzi il loro spazio. Questo era un
momento tra i fratelli, ed un buon padre deve sapere quando mettersi da parte. Si
è seduto anche lui per terra, appena fuori la porta, ha chiuso gli occhi, ed ha
ascoltato le loro giovani voci che, a turno, dipanavano le fila di una
disavventura che tutti avrebbero voluto dimenticare al più presto.
Poteva solo immaginare il dolore negli occhi nocciola del
suo terzogenito al ricordo delle violenze subite, la paura nelle luci azzurre
del suo figlio più piccolo nel descrivere la fuga nella foresta e l’infiammarsi
delle pupille verdi del suo secondo ragazzo quando raccontava, con la voce
rauca ed esitante, la sua terribile lotta.
E poteva immaginare gli occhi del suo primogenito che
seguivano attenti e partecipi, addolorati e stupiti.
Gli occhi blu di Leonardo, di suo figlio, finalmente aperti, svegli, vivi.
N/A Ma quanto
fluff in questo capitolo! Beh, dopo tutto quello che hanno passato ne avevano
davvero bisogno. Sapete, ogni volta che nelle recensioni mi suggerivate un
possibile sviluppo, mi venivano in mente tanti finali diversi. Non sarebbe male
l’idea di una fanfiction interattiva (numble numble… ingranaggi in movimento). Approfitto,
anche in risposta al alcune amiche, per dire a tutti che se qualcuno avesse
voglia di giocare con la mia storia, modificandola, parodizzandola, fumettandola,
fanartizzandola, ecc., ha la mia benedizione anzi ne sarei onorata. Mi faccio
due gargarismi per prepararmi a gridare i quasi ultimi ringraziamenti (*urla ed
al vecchio vicino prende un infarto*) alla mia lil sis Lisabelle99 (mi genufletto io duecento volte per ringraziarti), alla
mia imoto NightWatcher96 (infatti,
nella versione 2k12 Leuccio non si fa tanti problemi, diciamo che è un leader
che tira a campà XD ), alla domatrice di feels _Bara no Yami_ (profonda invidia per tuo cugino ^^’ Gliel’hai
fregato poi un Leo? XD Sei davvero troppo gentile, non ti preoccupare,
l’importante è che la storia ti sia piaciuta ;) ), a Fantasy Heart (ok, quindi Leo è tuo… Mi sa che te lo dovrai
contendere con tanta gente qui nel fandom!), I Love Raph (lo stesso dicasi per il tuo Raph! XD), HellenBach (yesss… qualcosa hai
azzeccato! E concordo, un film stupendo), ToraStrife
(sempre meglio di casa Vianello. Turtles sul wc quanto prima), Piwy (vero. La caratteristica di quelle
persone che noi “diamo per scontato” sta proprio nel fatto che, come per la
luce, ti accorgi di loro solo quanto mancano. Mi hai trasmesso un bel pensiero
^_^), Gru (OMG!!! Hai scritto una ff!
Allora i miei messaggi subliminari funzionano! Corro a provare col padrone di
casa… In bocca al lupo, la leggo subito!), Cartoonkeeper8(ho
preso il mio peluche di Donnie e cullandolo gli ho cantato il
“per fortuna
che Donnie c’è” – la cosa triste è che
l’ho fatto davvero ^^’ – : lui si è
impiccato), ed ultima ma mai ultima la mia gemella spazio-temporale CatWarrior (mi fai sempre venire gli
occhioni brillanti e vibranti stile manga. Ma come ha fatto la tua mamma a
farti così adorabile? Formula segreta, eh?).
Permettetemi l’angolo iperglicemico. Cosa sarebbe Raph senza
Mikey, o Donnie, o Leo? La stessa cosa di LaraPink senza Ale o Simo. I love you
so much, bros <3
Ci leggiamo domani per l’epilogo, gente. Un abbraccio grande
quanto quello di un fratello :*
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Capitolo 41 *** Epilogo ***
Cap 41
“The mad circus says good night”
Fanfarlo, I'm A Pilot
Volute d’incenso serpeggiavano nella penombra.
Il loro profumo rilassava i sensi, portava l’animo in mondi
lontani.
E pizzicava i fori di respirazione.
Non mi devo grattare.
Non mi devo grattare. Non mi devo grattare.
Mi gratto!
“Michelangelo! Concentrati!”
Il richiamo di Splinter è stato più che altro una cantilena
sconfortata. Non che avesse sperato molto che il figlio minore riuscisse a
meditare sul serio, ma nell’ultima mezz’ora l’aveva già ripreso tre volte. Non
c’era niente da fare: per quanto si sforzasse, non poteva fermare l’argento
vivo.
“Scusa maestro! Ma non riesco a concentrarmi con questo
rumore!”
Leonardo ha aperto un occhio, non riuscendo a trattenersi
dall’intervenire.
“Ieri non c’era alcun rumore e non è che tu ti sia
concentrato molto” ha osservato con uno storto sorriso ironico stile Raph.
Michelangelo ha tirato fuori tanto di lingua.
“Non tutti sono come te, super Leo! Tu devi usare qualche
trucco. A me dopo dieci minuti fa male pure il fondo del guscio.” Ha incrociato
le braccia ed ha messo su un broncio infantile. Poi un altro rumore secco si è
chiaramente avvertito dal di fuori della stanza. “Senti?” ha chiesto indicando la
porta di carta con l’espressione di chi aveva inequivocabilmente ragione.
Splinter ha sospirato.
“Va bene, per oggi basta” ha detto alzandosi da terra.
Come se non aspettasse altro, Michelangelo è balzato su, si
è avvicinato alla porta di carta e l’ha aperta. La luce del dojo si è riversata
nella camera da letto di Splinter dove i tre avevano meditato, o almeno cercato
di meditare, su delle stuoie di bambù.
Michelangelo si è rigirato verso la stanza, dove Leonardo
stava ancora alzandosi in piedi con l’ausilio di una delle due stampelle che
aveva accanto a sé. L’arancione istintivamente stava per tornare indietro a sorreggerlo,
poi si è ricordato della minaccia di qualche giorno prima, quando aveva aiutato
il fratello nella stessa situazione.
“Fallo di nuovo e ti
mordo un braccio.” Sicuramente Leo scherzava, ma era meglio non correre
rischi.
Nel dojo, Raffaello e Donatello si stavano allenando.
L’uno di fronte all’altro, sudati e leggermente ansimanti,
stringevano nelle mani ognuno un paio di tonfa.
Hanno percorso un semicerchio, fronteggiandosi concentrati, poi Raffaello è
partito all’attacco.
Splinter e Michelangelo si sono seduti per terra, sotto
l’albero, ad osservare i due contendenti; Leonardo li ha raggiunti camminando
lentamente, aiutandosi con le stampelle, e poi si è seduto anche lui, con una
certa fatica.
Lo scontro era godibilissimo: i due fratelli erano i più
esperti nell’utilizzo di quell’arma. Lo stoccare di legno contro legno riecheggiava
nella sala. Donatello ha parato un assalto con maestria, si è chinato ed ha
sferrato un colpo basso. Raffaello ha saltato, poi è tornato ad attaccare.
“Cosa credi di fare, nerd?”
“Non so… Batterti?”
“Non farmi ridere!”
Altri colpi di piatto da Raffaello, parati con i legni
incrociati davanti al volto da Donatello, che poi ha ruotato leggermente gli
avambracci per colpire con le punte che sporgevano oltre i gomiti. Anche
Raffaello ha parato.
Il mutante mascherato in rosso ha fatto un passo indietro,
ha preso due profondi respiri, e con lo sguardo divertito ha buttato le armi a
terra.
“Ok, basta con questi giocattoli. Adesso facciamo sul serio”
ha detto sfoderando i suoi sai.
Donatello ha sorriso di rimando, allettato, ha voltato un attimo il
busto per gettare i tonfa accanto
alla parete, ed ha tirato fuori il suo bo dalla custodia sul guscio, iniziando
a ruotarlo con entrambe le braccia, con la sua solita scioltezza e grazia.
Raffaello ha attaccato, Donatello si è scansato; il primo ha
fatto un salto per evitare il colpo di bastone del secondo. L’uno ha caricato
basso con i suoi sai, l’altro ha ruotato il bo per deviarli. Girando in
circolo, l’uno di fronte all’altro, nella solita danza guerriera raffinata nel
corso degli anni, nelle stesse mosse ripetute fin da bambini. Raffaello più
aggressivo, Donatello più sciolto. Nulla era cambiato.
Neppure il fatto che alla fine, inevitabilmente, Raffaello
vincesse.
Mentre il rosso sovrastava il viola, incrociando le braccia
soddisfatto, Michelangelo si è alzato in piedi e si è lanciato scherzosamente
all’attacco. Non essendo una sessione d’addestramento guidata da Splinter, poteva
prendersi questa libertà; ha afferrato Raffaello, si è buttato giù insieme a
lui, e si è rialzato dopo una capriola.
“Lascia stare mio fratello, bruto!”
Raffaello è stato al gioco, si è a sua volta rialzato, ha
messo su una finta aria truce ed ha tirato fuori i sai appena riposti.
“Altrimenti?”
“Altrimenti dovrai vedertela con me!”
L’arancione ha caricato, nunchaku alla mano e sorriso
furfante sulle labbra.
“Ragazzi? Dove siete? È arrivata la pizza!”La voce femminile è risuonata fuori dal
dojo.
“April!” Donatello si è illuminato, ancora seduto per terra.
“Ehilà, gente?”
“E Casey.” Il sorriso di Donatello è decresciuto come il
tono della sua voce. Ha fatto appena percettibilmente spallucce e si è alzato,
per uscire fuori dal dojo, da dove erano appena schizzati Raffaello e
Michelangelo, abbandonando il combattimento, ancor prima della seconda zeta
della parola pizza.
Con un movimento fluido, anche Splinter si è alzato in
piedi, per raggiungere i giovani umani.
I suoi figli non avrebbero potuto trovare amici migliori.
Leali, coraggiosi. Con un mare di guai, anche loro, nonostante la giovane età.
In fondo, forse tra umani e mutanti ci poteva essere rispetto e affetto. Magari
un giorno il mondo avrebbe accettato i suoi ragazzi. Per lui, non aveva più
importanza. Per lui, il mondo erano loro.
Ha portato gli occhi giù verso Leonardo, ancora seduto per
terra. Ha colto l’adolescente con lo sguardo mesto, perso nel vuoto. Splinter
ha abbassato appena un po’ le orecchie; quando Leonardo l’ha guardato gli ha
fatto un piccolo cenno del capo, invitandolo ad alzarsi.
Il blu ha afferrato le stampelle, le ha drizzate, poi si è
fatto leva su di esse per alzarsi in piedi. Le gambe ancora tremavano
nell’operazione; ancora il corpo vacillava un po’ per tenersi in equilibrio. Ma
i risultati della riabilitazione nelle ultime settimane erano stati più che
soddisfacenti.
Credendo di interpretare correttamente l’espressione del
giovane, Splinter ha parlato, con voce calma e dolce.
“Non essere triste, figlio mio. Hai sentito Donatello. Vi
sono buone possibilità che tu ti rimetta completamente. Io sono fiducioso.
Credo che quanto prima potrai tornare ad allenarti con i tuoi fratelli. Stai
guarendo in fretta.”
Il mutante mascherato in blu ha annuito ed ha fatto qualche
passo.
“Grazie Sensei, ma non pensavo a quello.”
“Cosa ti turba, allora?”
“Pensavo…” La giovane tartaruga ha abbassato lo sguardo.
“Beh, ecco, mi vergogno per quello che ho fatto il mese scorso.”
“Il mese scorso?” Splinter si è accigliato, non riuscendo a
seguire i pensieri del ragazzo.
“Sì… le prime settimane dopo che mi sono svegliato… Il mio
comportamento è stato infantile e poco onorevole. Ti chiedo scusa, Sensei.”
Splinter ha posato le mani sulle spalle del figlio. Aveva
letto da giorni nei suoi occhi orgogliosi questo disagio, ed era felice che si
fosse finalmente deciso a parlarne.
“Quando la finirai di voler essere perfetto, Leonardo?”
L’adolescente mutante ha alzato la testa, attento.
Splinter ha stretto la presa.
“Ti sei comportato in modo assolutamente normale, date le
tue condizioni. Finiscila di voler cercare sempre la colpa nelle tue azioni, o
questo a lungo andare ti schiaccerà. Tutti facciamo degli errori. Tutti abbiamo
le nostre debolezze. Come ho spiegato l’altro giorno a Michelangelo,
l’importante è cercare di non farsi dominare da esse, ma imparare a gestirle.
Nessuno è perfetto, figlio mio. I tuoi fratelli non lo sono, io non lo sono, tu
non lo sei. Accettare questo è il primo passo per diventare un leader ancora
più forte, un ninja ancora più grande.”
Leonardo ha annuito di nuovo, stringendo gli occhi
determinato.
Splinter gli si è messo a fianco, cingendogli bonariamente
le spalle con un braccio, e guidandolo fuori dal dojo, verso la caotica
riunione dei suoi figli con gli amici umani. Donatello era già seduto accanto ad
April, Michelangelo aveva già una fetta di pizza in ogni mano e Raffaello si
stava già prendendo scherzosamente a botte con Casey.
Ma prima di arrivare nella zona centrale della tana, Splinter
si è fermato rivolgendosi ancora al giovane mutante.
“Un’ultima cosa. Vorrei farti una domanda.”
Gli occhi blu hanno guardato interrogativi.
“Se Donatello non avesse recuperato dal suo infortunio, e
non potesse più essere un ninja, o se non lo fosse mai diventato, magari per
inettitudine o semplicemente perché non si sentiva portato, tu gli vorresti
meno bene?”
Leonardo ha allargato gli occhi stupito.
“Cosa? No! Non m’importerebbe niente! O meglio, sono
contento che sia un ninja e sono orgoglioso di lui, ma gli vorrei sempre bene
allo stesso modo. É mio fratello!”
“E pensi forse che l’amore di un padre non sia forte come
quello di un fratello?”
Le guance sono arrossite quando Leonardo ha realizzato
commosso a cosa alludesse Splinter.
“Tu per me non sei una tartaruga, né un mutante, né un
ninja: tu sei mio figlio, hai capito?”
Il giovane mutante ha sorriso, felice.
“Sì, padre.”
Splinter gli ha poggiato nuovamente un braccio sulle spalle,
stringendolo questa volta un poco a sé, poi ha lasciato andare il ragazzo a
raggiungere gli altri. Leonardo ha zoppicato fino alla confusione di risate e
pizza, ed ha iniziato a contendersi una fetta ben condita con Michelangelo,
tenendo lontano con una stampella Raffaello e Donatello che si stavano gettando
anche loro all’assalto.
A pochi passi di distanza, Hamato Yoshi si è appoggiato con
entrambe le mani sul suo bastone verde, e li ha guardati.
Le quattro tartarughe. Leonardo, Raffaello, Donatello e
Michelangelo.
Li aveva presi tra le braccia, in quel vicolo, e portati con
sé.
Li aveva cresciuti, addestrati. Amati.
No, non è facile essere un padre. Vuol dire condurre delle
giovani vite a scoprire il mondo e sé stesse. Vuol dire imparare a dominare le
proprie paure per insegnargli a vincere le loro. Vuol dire essere abbastanza
forte da continuare ad aiutarli fino al giorno, ormai non molto lontano, in cui
non avrebbero più avuto bisogno di lui. Ma quel momento non era ancora
arrivato. E lui doveva aiutare Michelangelo a dominare la sua fobia, Donatello
a superare lo stress accumulato, Raffaello a fare pace con la sua coscienza e
Leonardo a riacquistare le proprie capacità. Avrebbe continuato a guidarli sulla
loro strada che, lo sapeva, era difficile e tortuosa. Li avrebbe accompagnati
verso il loro destino che, a quanto pare, aveva in mente per loro grandi cose. Allenati
per difendersi, avevano iniziato a difendere chi ne aveva bisogno. Nascosti al
mondo, difensori del mondo. Appena adolescenti, ma già forti e valorosi
guerrieri.
Giovani tartarughe mutanti ninja. Eroi.
I suoi figli.
Splinter ha sorriso e si è unito a loro.
FINE
Scena extra 1
“E questo sarebbe materiale genetico?”L’uomo con gli
occhiali scuri si è rigirato la fialetta di vetro tra le mani.
“Sissignore. Sono schegge di legno intrise di sangue e
tessuto epiteliale che era rimasto sotto le mie unghie, signore” ha risposto il
soldato con la divisa nera.
L’uomo con gli occhiali ha guardato la fialetta con un
guizzo negli occhi corvini, che si intravedevano anche dietro le lenti grigie.
Ma la sua espressione è rimasta impassibile.
Il soldato ha sentito un brivido scorrergli lungo la
schiena, come se nell’ufficio governativo dove era stato ricevuto fosse
improvvisamente sceso un freddo glaciale. L’uomo che aveva di fronte indossava
una camicia bianca, cravatta, pantaloni ed un lungo soprabito neri; i
lineamenti affilati, la fronte alta e stempiata ed il naso aquilino gli davano
un’espressione beffarda e crudele che incuteva nell’interlocutore un certo
disagio.
Il soldato ha deglutito. L’uomo per cui lavorava prima era uno
spietato assassino. Ma questo davanti a lui, ebbene, quest’uomo era il diavolo.
Scena extra 2
April ha sbadigliato mentre Casey metteva a posto il tombino
dal quale erano appena risaliti. Era stata una bella serata, adesso che
Leonardo stava meglio finalmente a casa dei suoi amici sembrava essere tornata
la serenità. Avevano mangiato la pizza, riso e scherzato, come ai vecchi tempi.
Mikey aveva tirato uno scherzo piuttosto pesante a Raph che
come al solito l’aveva inseguito per tutta la tana. Leo e Casey erano
praticamente caduti dal gradino dove erano seduti, sbellicandosi dalle risate,
indicando tra le lacrime il luccicante cuore rosa che decorava il guscio di Raph.
E Donnie… beh, Donnie come al solito l’aveva tenuta d’occhio
tutta la sera, per poi distogliere lo sguardo come se niente fosse quando lei
se ne accorgeva. April non aveva smesso di chiedersi, nelle ultime settimane,
cosa stesse succedendo quella volta, nel dojo: la memoria rivangava,
analizzava, confondeva; lei cercava di non pensarci, ma il pensiero tornava lì,
di prepotenza, soprattutto la sera. Lui si era avvicinato per baciarla? Non era
stata una sua impressione, no, non lo era? E lei, cosa stava facendo, lei? E
cosa sarebbe stato di loro se…? Beh, comunque, per ora preferiva continuare a
mantenere la questione solo
sul piano delle supposizioni.
Sì, una bella serata. La notte era ormai inoltrata ed adesso
lei aveva decisamente sonno; tra qualche ora la sveglia per la scuola sarebbe
stata implacabile e… April ha sussultato quando ha visto una forma immobile
distesa in fondo al vicolo scuro dove erano sbucati.
Un uomo giaceva tra i rifiuti, coperto da fogli di giornale.
Sporco e logoro, aveva una brizzolata barba incolta sul viso ed i capelli
lunghi e sudici.
“Casey! C’è qualcuno!” ha bisbigliato la ragazza
all’orecchio dell’amico.
Il teenager con la bandana ha dato un’occhiata, poi ha
annuito.
“É un barbone, lo vedo spesso. Da qualche tempo bazzica in
questa zona. É innocuo, Rossa”ha risposto anche lui a voce bassa.
“Pensi che ci abbia visto uscire dal tombino?”
“Nah, dorme, non vedi? Dalla puzza di alcol deve essere
ubriaco fracido, poveraccio. E poi siamo a New York, baby, qui la gente non si
stupisce più di niente. Andiamo.”
La ragazza ha dato un’ultima occhiata all’uomo, impietosita,
prima di allontanarsi insieme all’amico.
Un occhio grigio si è aperto.
N/A Avete
presente quella sensazione di piacevole malinconia che si prova quando finisce
una festicciola tra amici e si chiude il portone, voltandosi a guardare i
bicchieri sul tavolino e qualche piattino qua e là? Ebbene, è quello che provo
al momento. Un piccolo lungo viaggio di due mesi insieme a vecchi e nuovi
amici, divertendosi insieme, scherzando su passioni comuni, giocando, ridendo,
raccontando. Grazie di cuore, a tutti voi, a chi mi ha letto, a chi ha recensito,
ha chi si è intrattenuto un po’ insieme a me. Cos’è la vita se non ci si
diverte almeno un pochino tutti i giorni? E noi lo facciamo anche così,
scribacchiando e leggendo. Spero di risentirvi tutti presto. Adesso mollerò un
po’, ma ogni tanto farò capolino a leggere le tante ff di questo tartamondo in
crescita. Poi, tra la scuola (mentre pubblicavo "Virus" sono diventata
un’insegnante di ruolo, ovvero a tempo indeterminato: mi avete portato bene,
gente!), alcune collaborazioni seriose in rete e le bevute con amici (ultime ma
più importanti XD), tormenterò ancora le nostre amate Turtles e forse mi
ritroverete presto. Ho tanto sul mio HD di quasi completo, da rileggere e
pubblicare. Un seguito, dai toni leggeri, di “Una vita normale”, un breve multi
capitolo Leo/Karai ed uno su due fratelli intrappolati da un crollo, momenti
Splinter/Mikey, una storia yaoi Raph/Casey, una deathfic ed alcune
pagine di situazioni post fidanzamento Donnie/April che forse convoglierò nella
storia di Raph. Inoltre nuota già nella mia testolina il seguito di Virus, tempo
di buttarlo giù e sono da voi ^_^
Intanto grazie ancora, fino all’ultimo. Grazie a Alej_and_Mizu, Bara no Yami, Cartoonpeeker8, CatWarrior, Gru, HellenBach, I Love Raph, Kittym14, Ladyzaphira, Laura Momiji, Lisabelle99,
NightWatcher96, Piwy, Puffola88, ToraStrike,
Ser Barbs, Shika98, ZaliaTmnT (vedete che geniaccio che sono? Conosco pure
l’alfabeto) ed a tutte le persone fantastiche che hanno perso un po’ del loro
tempo per leggere questa storiella ed entrare nella tana delle Tartarughe
insieme a me.
Io… io… buhhh *ancora la solita fontana manga di lacrime. Allerta della
Protezione Civile allegamenti in tutta la Lombardia*
Un abbraccio grande esattamente 181 cm, che è l’estensione
massima delle mie braccia (non che io misuri tutte le parti del mio corpo, erano
i calcoli di Donnie per “Aria” ^^’). Più grande di così non si può. A presto,
gente.
LaraPink
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