ricordi nei sogni

di aury gene mars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eyes like stars ***
Capitolo 2: *** 2. Can I see Sophia? ***
Capitolo 3: *** your face, my face. Little thing to remember ***
Capitolo 4: *** Honey, Stay with me. Because you are all I need ***
Capitolo 5: *** 5. The sound of your eyes ***



Capitolo 1
*** Eyes like stars ***


Nessuna ricchezza potrà essere tanto grande quanto amare e essere amati.”
 
-Vera Santoro
 

Capitolo 1: Eyes like stars 


Los Angeles, la città più bella che abbia mai visto. E poi, vista dalla scritta Hollywood durante la notte è ancora più bella.
Sembra che le luminose stelle del cielo siano proiettate sulla città.
Le luci dei palazzi, i bar, i pub, i ristoranti, le case, le macchine. Ogni cosa, vista da sola sembra niente, ma la luce che emana ha reso la città un cielo stellato.
E da qua su, il rumore della città, si sente a malapena. Lasciando spazio ai grilli e il vento estivo.
Tutta questa calma ci serviva, dovevo rilassarmi i nervi dopo la settimana che ho passato, anzi abbiamo.
Chissà, il nostro appartamento, questa settimana non farà parte delle stelle. Ci hanno staccato la corrente, e domani andrò a vendere un vecchio braccialetto che mi ha regalato mia madre, per pagare la bolletta. E poi si vedrà con gli altri debiti.
Per fortuna che la persona che vive insieme a me riesce sempre a vedere il lato positivo, riesce a trovare sempre la bellezza e non l'imperfezione. E lei è la perfezione.
Preparava un panino per il nostro pic-nic, per liberare la mente, e andare via di casa. Cercando di salvare qualche candela, e salvando un altro mobile dalla cera sciolta.
Presi posto vicino a lei, aveva una treccia appoggiata sulla spalla sinistra. Lei non si piace così, ma secondo me è ancora più bella.
Addosso portava la mia giacca, gli diedi un piccolo bacio sulla guancia, facendola sorridere. Con le sue fossette.
I suoi occhi verdi erano ancora più luminosi sotto quella luce.
Mi porse il pane, con le sue piccole mani, le unghie nere (come sempre) e l’anello che gli avevo regalato. Che non toglie mai.
Sophia appoggiò la sua schiena contro il mio petto, io intanto la strinsi a me.
Mentre il nostro cane correva verso di noi, una piccola palla di pelo nero, un dolce rottweiler di nome Geronimo.
Appoggiai la testa, la fronte, sulla spalla della ragazza che stavo stringendo, del mio amore. Mentre lei accarezzava il cane.
“Ehi, cos’hai?” Disse girando la testa, Geronimo abbaiò, e corse vicino a me.
Non riesco a mentire a Sophia, così guardai in basso e mi grattai il collo. “Mi dispiace, tu non meriti una vita piena di debiti. Dove bisogna fare sacrifici, non so neanche come faremo ad andare avanti i prossimi mesi.”
Gli dissi la verità, mi alzò il mento con le dita. Incontrai i suoi occhi, così verdi, così belli. Sorrideva, un piccolo sorriso sincero. Non so come, ma mi sentii già meglio.
“Non lo so, ma sai una cosa.” Qualcosa nei suoi occhi si illuminò. “Io so che amo te, e non ti devi scusare per questo. Ma è stupendo stare qui insieme a te, mi stai migliorando la vita.” Poi mi baciò, portando le sue braccia intorno al mio collo.
Si inginocchiò, la strinsi a me portandole le braccia intorno ai suoi fianchi.
Tra i nostri baci, che dimostravano il nostro amore, Geronimo iniziò ad abbaiare a un gatto randagio.
Ci misimo entrambi a ridere, ancora con gli occhi chiusi, sentivo il sorriso a trentadue denti sul mio e l’assaporai dandole un bacio a stampo.
“Geronimo, torna indietro.” Urlai contro quel cane, che si arrotolava nell’erba. Mimetizzandosi nell’ oscurità.
“Meglio andare a casa.” Disse quella splendida ragazza. Entrambi ci alzammo, presi il cestino e lei Geronimo.
Camminammo, con le mani intrecciate, giù per la collina. Scambiandoci baci e sorrisi.
Stavamo insieme da ormai sei anni emmezzo, da quando io ne avevo diciassette e lei quindici, ma il nostro periodo ‘luna di miele’ non finisce.

 Passammo un incrocio, ed Sophia mi chiamò. La guardai, spostando la mia mano dalla marcia sulla sua gamba.
“Questo è il primo posto che ho visto di Los Angeles, dopo che mi hai tirato via quella stupida benda.”
Risi, aveva ragione. Quando avevo diciotto anni sono venuto qui per intraprendere la mia carriera di cantante, e una volta al mese l’andavo a trovare. Poi quando Sophia diventò maggiorenne, proprio il giorno del suo compleanno. Fece le valige, parlò con i suoi genitori e partimmo verso questa magica città. Io la bendai da quando partimmo e rimase con quella benda per qualche ora.

Mancava una decina di minuti per arrivare al nostro appartamento, Sophia si slacciò la cintura e guardò nei sedili dietro.
“Geronimo dorme.” Disse sbadigliando. Poi mi baciò, dicendomi che mi ama.
Mi fermai allo stop, e risposi al bacio.
Poi una spinta, il mio corpo fu spinto con pressione contro il volante, e poi solo nero.

 

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Capitolo 2
*** 2. Can I see Sophia? ***


2. Can I see Sophia?

 

 “I momenti d'impatto, lampi di elevata intensità che cambiano la nostra vita completamente.” 

-La memoria del cuore.

 

Capitolo due

Aprì piano gli occhi, sbattendoli per la forte luce. La testa mi pulsava. Mi portai una mano alla fronte, avevo un ago nel braccio, collegato ad un piccolo tubo.
Mi alzai a sedere in fretta, tanto che la testa iniziò a girarmi. Così mi ributtai nel cuscino.
Girai la testa, c’era un telo sul azzurro a destra e sinistra. Il tubo, a quanto pare, è la flebo. Ero in un ospedale.
“Oh, ci siamo svegliati.” Disse una voce femminile, guardai davanti al lettino.
Una donna, con i capelli scuri e legati, portava un camice bianco e teneva una cartellina stretta al petto.
“Cos’è successo?” Chiesi con un filo di voce.
“Un camion ha tamponato la vostra macchina, siete andati a sbattere. Come si sente?” Cercai di ricordare, macchina, incrocio, Geronimo che dorme, Sophia che mi bacia e lo stop.
Sophia, lei era anche senza cintura. Cazzo.
“Come sta Sophia?” Chiesi subito, i miei occhi diventarono lucidi.
“Ha preso una bella botta, è molto fortunata, non morirà.” Sospirai, tirai fuori tutta l’agitazione che avevo in corpo. “Ma non si sa quando si sveglierà.”
Volevo vederla, così cercai di alzarmi. Portai le gambe da una parte del lettino, avevo un camice da ospedale addosso.
La dottoressa venne davanti a me, e mi fece di nuovo distendere.
“Voglio vedere la mia ragazza” Gli dissi con voce.
“Dopo le visite, ora deve stare a letto.” Disse la dottoressa andandosene. Sospirai, portandomi entrambe le mani al viso, per poi portarle dietro il collo, facendole scivolare lungo la mia faccia.
Non so se sia stata la preoccupazione, o il dolore che avevo in corpo, ma iniziai a piangere. Senza accorgermene. Mi copri gli occhi con una mano, mandai giù la saliva per bloccare, almeno un po, la pioggia dei miei occhi.
I dottori arrivarono per le visite, poi cercai di dormire.

Ero steso a letto, con le lenzuola che mi coprivano solo i boxer, ero disteso a pancia in su.
La porta cigolò nel aprirsi, ed entrò una ragazza con i capelli sciolti con un vassoio in mano.
Sophia.
Sembrava più giovane, portava una mia maglia bianca che gli arrivava qualche centimetro più su del ginocchio.
Aveva un sorriso bellissimo, e gli occhiali con la montatura nera.
Si sedette sul letto, e appoggiò il vassoio.
“Ti ho preparato la colazione a letto, per ringraziarti di avermi portata qui.” Mi disse guardando il bicchiere contenente il caffè.
La baciai, ma non l’avevo voluto. Io ero dentro di me, ma mi muovevo senza rendermene conto.
Mi sembrava di aver già vissuto tutto.
Alla fine mi sono sdraiato sopra di lei, non staccando mai le mie labbra dalle sue.
Un tonfò.
Il vassoio cadde giù dal letto, rompendo la tazza, e il piatto.
“Merda.” Dissi guardando quel disastro nel pavimento in legno, ormai andato.
Poi una piccola pressione sulle labbra, guardai il volto della ragazza su qui ero sdraiato.
Sorrideva, e mi diede un altro piccolo bacio a stampo. Rincollai le mie labbra sulle sue, per passare al collo, e l’orecchio. Sussurandole ‘Ti amo piccola’.

 Mi svegliai di colpo, era un sogno bellissimo. Un ricordo. La mattina in cui iniziò la nostra convivenza, in questa città.
Non riuscivo a stare con il pensiero di quella ragazza, stesa su un letto come questo. Avevo paura. Così chiamai un infermiera per chiedergli se potevo andare da Sophia, e mandò la dottoressa di prima. Che disse che apparte un paio di costole rotte stavo bene.
“Posso vedere Sophia ora?” Chiesi con gli occhi lucidi, la signora mi guardò e fece una smorfia.
“è un familiare?” Chiese, con la faccia seria.
“Sono il suo ragazzo e vive insieme a me.” Dissi, cercando di convincerla.
“Non potresti finchè non abbiamo fatto le visite.” Disse cercando di andarsene.
Io mi alzai di fretta dal lettino, e la segui, sopportando i giramenti di testa e il dolore al petto.
“La prego, sono il suo futuro marito se può andare bene.” Gli dissi arrivandole vicino.
Lei si fermò, era alta come me. Nella faccia aveva una piccola smorfia, come quella di prima.
“Perfavore, io amo quella donna, per me è tutto, non ha nessun’altro oltre a me.” Dissi, cercai di trattenermi, ma non riuscì, una lacrima percorse tutto il tragitto dal occhio al mento. Credo che questo la fece impietosire, tanto che mi disse di cambiarmi e raggiungerla in una stanza. Quella di Sophia.
Così feci, mi infilai i vestiti in un bagno orrendo e corsi da lei. Avevo la maglia bianca di ieri e i jeans chiari.
La dottoressa era in piedi vicino al letto, Sophia era sveglia.
“Si è appena svegliata.” Disse la donna, io mi avvicinai a Sophia, ma lei aveva una faccia strana. Anche la dottoressa lo notò.
“Signorina, ci riconosce?” Disse la dottoressa.
“Si.” Disse con un tono di voce basso. “Lei è l’infermiera e lui il dottore.”

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Capitolo 3
*** your face, my face. Little thing to remember ***


3. Your face, my face. Little thing to remember
Io non mi dimentico dei sogni irrangiugibili, degli attimi lunghissimi a superare il vento.
Io non ti dimentico perciò non farlo neanche tu. 
Ricordati dovunque sei, ricordami. Ricordati di noi.” 
-Valerio Scanu

Capitolo 3

“Signorina, ci riconosce?” Disse la dottoressa.
“Si.” Rispose Sophia, con un tono di voce basso. “Lei è l’infermiera e lui il dottore.”
Perchè mi avrebbe scambiato per il dottore? Non mi riconosceva? Guardai la dottoressa con un espressione preoccupata e lei ricambio lo sguardo.
Mi sedetti sulla sedia vicino il letto.
“Sophia, sono il tuo ragazzo, e futuro marito.” Lei mi guardo in un modo strano, quasi spaventata.
“Non è possibile.” Rispose, con un tono che non avevo mai sentito. Era impaurita, gli si vedeva da gli occhi. Potevo capirla.
Sono uscito, la dottoressa è rimasta dentro. Sono andato in un bar al piano terra.
Tirai fuori il mio telefono, vidi lo sfondo, Sophia era distesa a letto con Geronimo sopra.
Lei lo teneva sulla pancia, un po alzato. Le sue zampe erano a penzoloni, sopra il volto di Sophia, lei mimava un bacio e Geronimo aveva il volto abbassato con la lingua fuori.
Ricordo ancora quando l’ho scattata.

Dei latrati venivano dalla porta, insieme a dei rumori di graffi sul quel legno.
Sophia era sdraiata di lato, ed io avevo il braccio intorno al suo fianco.
Fuori c'era un forte temporale.

Ossignore, Bruno fallo smettere.” Mi disse Sophia, mentre si sdraiava a pancia in giù. Io mi sdraiai a pancia in su, e mi portai le mani al viso. Guardai Sophia che ricambio lo sguardo.
Alla fine mi alzai, ed apri la porta.
Avevamo Geronimo da poco, lui mi guardo con i suoi grandi occhi, mi inginocchiai.

Basta ora, è solo un temporale.” Dissi accarezzandolo.
Dopo andai in bagno. Quando tornai, quel cane era disteso sopra Sophia.
Lei era a pancia in su, mentre lo accarezzava.
Mi appoggiai allo stipite della porta, a braccia conserte, il cane e la donna si girarono a guardarmi.
Ed entrambi fecero la faccia da cucciolo. “Può dormire con noi?” Disse Sophia con una voce dolce, che usa solo per chiedermi favori.
Sbuffai, e mi andai a buttare nel letto. E Geronimo mi salto adosso.

Siete i più teneri.” Disse Sophia accarezzando, prima il cane, poi baciando me.
Il mio telefono inizio a suonare, era Phil. Io mi alzai, mentre Sophia prese Geronimo.
Andai vicino la finestra. “Pronto.” Dissi al telefono, non staccando gli occhi dal letto.

Urbana voleva sapere se va tutto bene, sai vedendo dove vievete e il tempo che ce fuori.” Disse il mio nuovo amico che avevo conosciuto, che mi dava una mano nella mia cariera. Dopo che con la vecchia casa discografica sono calato a picco.
Stiamo bene, vero amore?” Dissi contro Sophia. “Tutto bene.” Urlò la ragazza, “Saluta Geronimo.” Il cane abbaiò. Poi Sophia aprì la mano e Geronimo ci appoggiò su la zampa, come a battere il cinque.
Risi a quella scena, poi continuai a parlare un po con Phil. Alla fine attacai.

Tu sei più tenero di Bruno, lo sai.” Disse Sophia, tenendo il cane con le zampe a penzoloni sopra il suo volto.
Geronimo iniziò a leccare il volto a Sophia, lei rise. Io iniziai a scattarli alcune foto, e lei non se ne accorse. Poi Sophia gli diede un paio di baci.
Poi si accorse delle foto, per lei erano tutte brutte. Secondo me, erano la cosa più tenera al mondo.
Alla fine Sophia buttò il suo cuscino per terra, Geronimo si addormentò sopra esso. Lei si appoggiò al mio petto. E ci addormentammo tutti e tre, accompagnati dal rumore del vento.

“Signor Hernandez.” Disse una voce femminile. Alzai lo sguardo, era la dottoressa. “Può raggiungermi nel mio ufficio.” La dottoressa partì, io mi infilai il telefono in tasca e la segui.
Avevo le mani nelle tasche dei jeans e la testa bassa.
In testa avevo solo l'immagine dello sguardo di Sophia, così strano, così sconosciuto.
Uno sguardo, per me, nuovo. Per aver visto un viso, a quanto pare a lei, nuovo.
Percorsi le scale e lunghi corridoi insieme alla dottoressa.
Arrivammo, a quanto pare, al suo ufficio. Diplomi, foto di bambini, erano appese alla parete, una scrivania in centro e dei mobili con i cassetti negli angoli in fondo.E una finestra in alto, a lato.
Mi sedetti su una sedia bianca davanti alla scrivania, mentre la donna sfogliava un fascicolo.
“Due cose.” Disse portandosi gli occhiali sulla fronte e chiudendo il fascicolo. “Uno lei come si sente?” Mi chiese incrociando le braccia sopra la scrivania di vetro.
“Mentalmente consufo. Fisicamente, apparte alcuni giramenti di testa e il male al torace, tutto ok.” Dissi fissandola, ed appoggiandomi con la schiena allo schienale morbido.
“Bene, faremo un paio di visite poi la dimetteremo.” disse scuotendo la testa, quasi annuendo.
“Secondo, la ragazza.” Poi sospirò, questo mi fece un po preoccupare. “Il cervello è una cosa strana, la ragazza ha preso una brutta botta alla testa.” Continuò la donna davanti a me, e si bloccò. Quei pochi secondi che rimase zitta, mi parvero anni.
Poi mi guardò negli occhi. “Ha una forte amnesia, non si ricorda niente degli ultimi sette anni. Pensa di essere ancora al primo anno di liceo e di avere quattordici anni. Gli ho raccontato tutto ora, la terremo qui per qualche giorno ancora.” Disse tutto d'un fiato. Io annui, la ringraziai e ritornai nel letto dove ero alcune ore fa.
L'ospedale sembrava un labirinto, non capivo più niente.
La persona che amo con tutta l'anima, non mi riconosce. Non si ricorda di niente. Ha cancellato tutte le cose che abbiamo fatto assieme, dalle più belle alle più brutte.
Andai in quel letto, uguale a prima. Non era cambiato niente, gente andava avanti e indietro per i corridoi. Non c'era un attimo di calma.
Nel comodino trovai il telefono di Sophia, lo presi in mano. Come foto dello sfondo c'eravamo io e lei. Lei mi dava un bacio sulla guancia, e io sorridevo.
Andai in rubbrica, trovai il nome che cercavo e schiacciai il verde.
Mi portai il telefono all'orecchio, e i bip iniziaorono. L'attesa era tanta, dovevo farlo.
“Pronto.” Rispose una voce femminile. Intimidità e felice allo stesso tempo.
“Salve, signora Grigori, sono Peter Hernandez.” Dissi ancora non molto convinto.

Hey c: Vi ringrazio per la lettura della storia :3 Questa non è la prima storia con Bruno che scrivo, ma è la prima che ha raggiunto un livello più alto di lettori in meno tempo. Il primo capitolo in meno di un giorno l'hanno letta trenta persone, grazie mille :* Vi chiedo di lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate (:
Grazie mille (:

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Capitolo 4
*** Honey, Stay with me. Because you are all I need ***


Darling, stay with me. Because you are all I need

Ci vorranno un sacco di cure per realizzare quello che avevamo, 

che adesso non c'è più.”

-Bruno Mars

Capitolo quattro

“Pronto.” Rispose una voce femminile.
“Salve, signora Grigori, sono Peter Hernandez.” Dissi ancora non molto convinto.
“Oh.” Rispose con un tono basso la donna “Come mai questa chiamata?” Continuò.
Io sospirai. “Io e Sophia, abbiamo avuto un incidente.” Il dottore arrivò da me.
“Oddio, state bene?” Chiese molto preoccupata. Senti una voce bassa, quasi un brusio, probabilmente era un uomo.
“Più o meno, ora devo andare. Credo voglia vedervi.” Continuai, riattaccò per prima la donna.
Feci le visite, e dopo un paio d'ore mi lasciarono aspettare i risultati.
Ero disteso nel letto, guardavo il soffitto. Cercavo di dormire, ma i pensieri mi proibirono questa grazia.
Chiusi gli occhi, la mia testa iniziò a saltare indietro nel tempo.

Il grande orologio, dei vicini di Sophia, scoccò le due. Il suono si sentiva fino alla strada vuota e fredda. Popolata solo dalle foglie spostate dal vento, foglie marroni e secche rotolavano davanti ai miei piedi.
Una camera si illuminò, corsi verso il muro di quel grande palazzo. La finestra si aprì lentamente, io iniziai ad arrampicarmi per le scale di emmergena, di quella che sembrava, una fortezza intonacata di panna.
Arrivai alla finestra, feci gli ultimi sforzi. Ed entrai nella camera.
Mi girai, la ragazza davanti a me aveva un enorme sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi.
I suoi genitori l'avevano rimessa in punizione, non so neanche per cosa ora.
Non l'ho potuta vedere per una settimana. Ed era la prima volta che mi intrufolavo dalla finestra a notte fonda.
Ci abbracciamo forte, lei aveva le braccia intorno al mio collo, io intorno ai suoi fianchi. Facevamo a gara per chi stringeva più forte, la sollevai e inclinai un po al indietro la schiena.
Mi persi nel suo profumo di crema e balsamo per capelli. Gli diedi un bacio sul collo.
La rimisi giù, lei si asciugò una lacrima. Portai le miei mani sulle sue guancie, incorniciandole il viso. E incollai le nostre labbra, un bacio così non c'è lo siamo mai dati.

Ti amo Bruno.” Mi sussurrò. “Anche io piccola.” Entrambi sorrisimo, insieme ai nostri occhi.
Non ero mai stato così felice per aver rivisto una persona. Era struccata, e i capelli raccolti in una coda. Con dei ciuffi fuori posto. Aveva il pigiama, e gli occhi assonnati.
Parlammo molto poco, per non rischiare di essere scoperti.
Eravamo stesi nel letto, lei aveva la faccia sulla mia spalla. Io un braccio sul suo fianco, e l'altra mano, intrecciata alla sua che era vicino il mio volto.
Sophia si addormentò quasi subito, io rimasi a fissarla. La camera era illuminata dalla finestra.
Quando dormiva era ancora più bella, passavo le mie dita tra i capelli raccolti nella coda.

“Bruno.” I miei pensieri furono bloccati da una voce, mi misi a sedere e vidi Phil e Urbana. Avevano una faccia preoccupata, Phil era stranamente senza cappello.
Urbana mi abbracciò. “Cos'è successo Bruno?” Chiese Phil, molto lentamente. Non gli avevo mai visti così. Oggi tutti hanno messo una maschera nuova, ai miei occhi.
Aspettai un po prima di rispondere, non so neanche io perchè lo feci. Mi serviva tempo per rimettere tutte le idee insieme, forse.
“Siamo andati sulla scritta Hollywood, stavamo tornando a casa.” Gli occhi diventarono lucidi. “Sophia si slacciò la cintura per controllare Geronimo, io mi fermai allo stop.” Le lacrime iniziarono a scendere dai miei occhi, una dietro all'altra. Si rincorrevano nelle mie guancie per arrivare alle labbra o la coperta bianca del letto.
“Mi baciò dicendomi che mi ama.” Mi ribbloccai, le parole uscivamo a malapena. Urbana si sedette vicino a me, io appoggiai il mio volto sulle mie mani. Lei mi accarezzò la schiena e mi diede un leggero bacio sulla guancia.
“Ci sono venuti addosso, e poi mi sono ritrovato qua. Io ho un paio di costole rotte, nulla di grave.” Mi fermai, ancora, non riuscivo a continuare. Non ci credevo ancora, il dolore al cuore era più forte di quello al petto.
“Sophia ha preso una brutta botta. E non si ricorda più di me. Ne degli ultimi sette anni. Non sa neanche chi sono.” Alzai gli occhi, entrambi avevano una faccia sorpresa.
Ad Urbana vennero gli occhi lucidi, entrambi rimasero in silenzio.
“Geronimo almeno sta bene?” Chiesi, non sapendo più che dire.
Phil fece una piccola risata. “è a casa nostra, sta bene. Non vede l'ora di vederti.”
Urbana si asciugò la lacrima, e si girò verso di me. “Come fai a sopportare quel cane? Non sta un attimo fermo.”
Risi anchio, conoscendo il carattere di quella palla di pelo nera.

I due se ne andarono, i dottori mi lasciarono andare a casa. Andai da Sophia.
Vidi i suoi genitori parlare con lei, tutti e tre mi fissarono. Entrai dentro, feci un piccolo sorriso.
“Ciao” Dissi con un filo di voce.
“Ciao.” Rispose Sophia, accennandomi un sorriso.
I genitori di Sophia mi guardarono, e rimasero in silenzio. Sua madre mi ringraziò per la chiamata.
“Scusate, potrei rimanere da solo con Sophia?” Dissi, a bassa voce andando vicino a loro.
I due mi guardarono, e poi si fissarono. Rimasi li in piedi, e mi girai un attimo verso di lei, ci stava guardando incuriosita.
La coppia acconsenti e uscì dalla camera.
Mi avvicinai al letto. Lei si mise a sedere, aveva un po di timore negli occhi.
“Sophia, veramente non ti ricordi proprio niente, niente di me?” Chiesi.
Lei fece no con la te e abbassò lo sguardo. “Mi dispiace, prima mi hai detto che sei mio, marito. Giusto?” Disse lentamente 'marito'.
Io sorrisi. “Futuro marito.” Mi fermai, le mimò un 'okay' con le labbra. “Comunque, sono Peter Hernandez, ma tutti mi chiamano Bruno.” Gli porsi la mano sorridendo, lei mi fissò sorpresa. E mi porse la mano per stringermela. Io la presi e gli baciai la mano.
Lei arrossì.
“Perchè ti chiamano Bruno?” Disse con poca voce.
Aprì la bocca per rispondere, ma la dottoressa entrò e ci interruppe.
Entrò insieme ai genitori di lei.
“Ehi Sophia come stai?” Chiese con una voce allegra la donna che mi aveva visitato prima.
Si morse il labbro inferiore, inspirò tirando su le spalle ed fece uscire l'aria dal naso abbassandole.
“Confusa.” disse con una sotto specie di risata.
“Allora domani probabilmente ti dimetteremo, perchè fisicamente stai bene. Per far tornare la memoria, non ho proprio idea di che cosa tu possa fare. Dovresti tornare alla tua vita di tutti i giorni.” Disse la dottoressa, guardando me e i suoi.
“Quindi dovresti venire a casa con me.” Dissi verso Sophia.
“No, dovrebbe venire da noi. Prima del incidente era a casa sua. Con la sua famiglia.” Disse subito il padre.
Iniziammo a litigare per decidere da chi va a vivere Sophia. La dottoressa uscì.
“Basta!” Urlò Sophia, ci fermammo tutti a fissarla. “La dottoressa ha detto che devo tornare alla mia vecchia vita, no? Quindi credo che devo andare con Peter.” Disse per poi fissarmi.

Continuo a una recensione (:

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Capitolo 5
*** 5. The sound of your eyes ***


5. The sound of your eyes
“Racchiude il silenzio quel senso d'infinito che cerca l'anima,
che delizia la mente.” 

-Melina Licita

Capitolo 5


Prima di andare a casa andai da Urbana e Phil per riprendermi il cane.
Quando Geronimo mi vide iniziò ad abbaiare e saltare. Mi sedetti per terra. E il cane mi corse adosso.

Poi tornai a casa, era silenziosa. Uno di quei silenzi strani. Che vorresti fossero riempiti da una voce amata. Era come se l'appartamento sapesse quello che è sucesso ed esprime il suo stato d'animo con il silenzio. Uno strano silenzio.
È difficile definire “strano” il silenzio. Ma questo non era il solito niente.
Non era quel rumore che c'era quando abitavo qui da solo, o quello che ti stringe quando sei giù.
Questo era cupo, come se avesse subito anche lui l'incidente. Un silenzio triste. Un assenza di rumori difficile da riempire. Assomigliava alla calma prima della tempesta.
Mi buttai nella poltrona del soggiorno. Soggiorno per modo di dire, era solo una stanza centrale attacata alla cucina che portava a altre due stanze. Una sorta di entrata-corridoio-cucina ampliata.
Accesi la televisione, ma solo dopo mi riccordai che non avevamo la corrente. Se doveva tornare Sophia era meglio che l'andavo a pagare.
Ma non sapevo con che soldi. Così presi quelli che risparmiavamo per pagarci un matrimonio per bene.
Non era la prima volta che ho preso soldi da quel barattolo, ma sono stati entrambi casi estremi.

Alla sera andai in ospedale per trovare Sophia. Bussai la porta della stanza, poi l'aprì lentamente.
Non c'era nessuno, solo lei. Sdraiata di lato in quel letto, un gran silenzio.
Stava dormendo.
Così mi sedetti su una sedia e aspettai che si svegliasse.


Era sucesso di nuovo.
Era di nuovo seduta sotto quel albero, con lo sguardo rivolto al cielo.
Aveva di nuovo litigato con un amica.
Ne aveva persa un'altra.
Aveva di nuovo litigato con i suoi.
Mi sedetti vicino a lei.
Nessuno parlava.
La luce del sole sbucava dalle foglie, ancora verdi, di quella vecchio sequoia.
Sophia sospirò, la fissai per lunghi secondi.
Passai un braccio intorno alle sue spalle. Così lei appoggiò la sua testa nella mia spalla, e io gli diedi un piccolo bacio nei capelli.
Alzò gli occhi verso di me, erano lucidi, gonfi e rossi.
Passai l'altro braccio sul suo fianco e la strinsi a me.
Lei appoggiò la fontre vicino il mio collo e iniziò a singhiozzare. La strinsi ancora più forte.

Ti prego, almeno tu resta.” Disse tra le lacrime.
Ti giurò che io per te ci sarò sempre, finchè non morirò. Te lo giuro.” Gli sussurrai vicino al orecchio.

Senti qualcosa muoversi, Sophia si era girata. Ora aveva il volto rivolto verso la mia parte.
Mi avicinai cercando di non fare rumore. Mi sedetti nel letto, spostai una ciocca dei suoi capelli morbidi dietro l'orecchio. Gli diedi un leggero bacio sulla guancia.
Non ci credevo neancora. Sophia era li, distesa in quel semplice letto. Sembrava lei, ma non lo era.
Non avrei potuto stringere la sua anima nera mentre era sola.
Non potevo salvarla dalla sua guerra. Un soldato che lotta contro se stesso, troppo preso per essere fermato.
Non sarebbe più venuta da me quando non vede altro che nubi scure.
Dei piccoli gemiti vennero da Sophia, si stava svegliando. Corsi verso le sedie, presi un giornale a caso e lo apri.
“Buongiorno.” Dissi verso Sophia che si stava stiracchiando. Sorrise grattandosi la testa.
“Leggi sempre riviste per donne?” Mi disse indicando il giornale tra le mie mani.
Io guardai l'articolo che mostrava la pagina, in grande e giallo.
“Non sempre” dissi ridendo “Sto solo leggendo questo articolo su 'addio cellulite in cinque mosse'.” Dissi leggendo il titolo rosso. Entrambi ci misimo a ridere.
Mi alzai e ritornai a sedermi su quel letto, Sophia era seduta.
“Come ti senti?” Le chiesi con calma.
“Bene.” Disse sottovoce, guardando in basso. Accennò a un sorriso, ma io la conscevo troppo bene per credere a quella curva che sembrava una smorfia ai miei occhi.
Allungai una mano per accarezzarle il viso. Lei la notò e la fissò con lo stesso sguardo sconosciuto di prima.
Così la mano rimase nel vuoto, ad accarezzare l'aria che fuoriusciva dai condizionatori.
Il palmo rimase sospeso, a pochi centimetri dal viso di quella donna con un'anima diversa.
La mano cadde, mentre sguardi sconosciuti nascevano nei nostri occhi. Si studiavano a vicenda.
“Allora.” Disse cercando di rompere lo specchio di imbarazzo che ci separava. “Non mi ha detto come mai ti chiamano Bruno.”
Risi. “Ecco, ero un bambino un po in carne e mio papà diceva che assomigliavo al pugile Bruno Sammartino. E da così è nato questo soprannome che è rimasto con il tempo.” Lei sorrideva, ed aveva un luccichio famigliare negli occhi.
Se rimanevo a fissare solo i suoi dolci occhi verdi, in quel momento, potevo dimenticare tutto. Avevo la tentazzione di avvicinarmi e baciarla, perchè i suoi occhi erano gli stessi, uguali a prima.

Spero che questo capitolo vi piaccia c: Continuo a una recensione (:

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