La strada della felicità

di Diemmeci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***
Capitolo 5: *** Quattro ***
Capitolo 6: *** Cinque ***
Capitolo 7: *** Sei ***
Capitolo 8: *** Sette ***
Capitolo 9: *** Otto ***
Capitolo 10: *** Nove ***
Capitolo 11: *** Dieci ***
Capitolo 12: *** Undici ***
Capitolo 13: *** Dodici ***
Capitolo 14: *** Tredici ***
Capitolo 15: *** Quattordici ***
Capitolo 16: *** Quindici ***
Capitolo 17: *** Sedici ***
Capitolo 18: *** Diciassette ***
Capitolo 19: *** Diciotto ***
Capitolo 20: *** Diciannove ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


La pioggia scendeva lenta, sbattendo contro il vetro della finestra della mia camera. Il leggero picchiettio mi trasmetteva la tranquillità di cui avevo bisogno, quindi mi lasciai avvolgere completamente dalla serenità del momento. Scacciai qualsiasi pensiero negativo e i muscoli, tesi per la tensione che avvertivo negli ultimi giorni, si rilassarono.
La calma però non durò a lungo. Jennifer, l’amica di sempre nonché mia coinquilina, fece irruzione nella mia stanza. I lunghi capelli lisci erano scompigliati e le incorniciavano il viso spigoloso, segnato dalla stanchezza e dallo stress causati dal continuo studiare per l’esame finale. Gli occhi verdi, per cui avrei pagato oro ma che lei detestava, erano illuminati da una strana luce. «Rose» disse «non indovinerai mai chi mi ha telefonato poco fa».   
Inarcai un sopracciglio, non proferendo parola. Se non potevo indovinare, che senso avrebbe avuto tentare di farlo?
«Michael Cox» proseguì con una punta di eccitazione.
Non riuscii a non sorridere per la sua esagerata reazione. «Questo nome non mi dice nulla» dissi dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte sua. «Mi dispiace deluderti».
«Davvero non lo ricordi?» chiese.
Scossi il capo.
«Cosa ti fanno ricordare il terzo superiore e la gita di due giorni e una notte a Manchester?» incrociò le braccia al petto, sfoggiando un’espressione seria.
Tornai indietro nel tempo e mi venne in mente la famosa notte in cui Jennifer, completamente sbronza e priva di ogni buon senso, perse la verginità con Michael Cox. Il mio viso si illuminò e scoppiai a ridere. «Perché ha chiamato?»
«Rimarrà a Londra per un paio di settimane in compagnia del fratello e ha pensato di invitarci a cena fuori questa sera» mi informò con eccessiva allegria.
Morsi il labbro inferiore. «Io non…»
«Alt!» Jennifer mi interruppe bruscamente. «Non hai nessuna via di scampo, ho già accettato per tutte e due».
Mi lamentai. «Non avevi nessun diritto di approvare anche da parte mia, Jen».
«Invece sì» annuì. «Mancano soltanto due ore, quindi fatti bella e fai scomparire quel broncio dal tuo viso» disse con tono autoritario, lasciandomi poi sola ma non prima di avermi sorriso. 

 
* * * 
Ammetto di essere un po' nervosa e il motivo è che non ho mai pubblicato qualcosa di originale, quindi ho paura che sia una delusione totale per voi. Questo è quindi il primo tentativo di qualcosa di completamente mio, allora spero con tutto il cuore che non faccia schifo. Accetto le critiche, ovviamente, e mi piacerebbe ricevere delle recensioni in cui mi fate sapere che cosa pensate del prologo (so perfettamente che è corto, ma i prossimi capitoli saranno più lunghi).
Premetto che non aggiornerò con regolarità, dal momento che a breve la scuola inzierà e mi dispiace già doverlo scrivere, ma è per essere corretta. 
A ogni modo, grazie per chi è arrivato fin qui. 
A presto :)

Diemmeci
 




 

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Capitolo 2
*** Uno ***


Uno


«Come hai detto che si chiama il ristorante in cui ceneremo?» chiesi a Jennifer prima di volgere lo sguardo fuori dal finestrino. Trattenni un conato di vomito per lo schifoso odore che il taxi emanava: una combinazione di fumo, mentine e profumatori per ambienti andati a male.
«The Narrow» Jennifer abbozzò un sorriso e poi tornò seria. «Rose, capisco che per te stasera sarà un po’ difficile ma, ti prego, prova a vedere questa cena come un’occasione per conoscere altre persone e divertirti. Non chiuderti nel tuo guscio fatto di paure e insicurezze».
«Non ho paura e tantomeno sono insicura» dissi, sentendomi un po’ offesa dalle sue accuse. «Sono semplicemente stanca per il continuo studio e avrei preferito rimanere a casa e guardare un bel film invece di uscire».
«Lo so, lo so» Jennifer fece un gesto teatrale con la mano, sventolandomela quasi in faccia. Apprezzai il suo tentativo di mettere in risalto i lati positivi della serata e alla fine le sorrisi. «Solo, provaci. Okay?»
«Okay» annuii. In lontananza scorsi il Tamigi, il che significava che mancava poco e sarei potuta scendere finalmente dal taxi.
«Michael mi ha appena inviato un messaggio in cui dice che sono arrivati» il tono di voce di Jennifer si alzò improvvisamente, facendomi ridacchiare. «Cosa c’è di tanto divertente?»
«Niente» scossi il capo, ancora divertita.
E così, dieci minuti più tardi arrivammo a destinazione. Ero più che felice di scendere dal veicolo, quindi mi fiondai fuori il più velocemente possibile e quasi inciampai perché non avevo visto il marciapiede. Risi di me stessa come una stupida e poi tornai composta quando notai due ragazzi venirci incontro, entrambi vestiti eleganti e con un sorriso stampato sulle labbra.
«Tutto bene?» mi domandò quello che riconobbi come Michael, rivolgendomi un sorriso amichevole. «Pensavo che avresti fatto una brutta fine».
«Sì, sì, sto bene» borbottai per niente divertita dalla sua battuta. «Be’, Michael, non sei cambiato per niente».
«Perché mi sembra che tu lo abbia detto con un tono negativo?» finse di essersi offeso e rise, stringendomi poi in un abbraccio veloce. «A quanto pare anche tu sei sempre la stessa, Rose» proseguì senza smettere di sorridere.
Mi strinsi nelle spalle senza aggiungere altro. Non ci conoscevamo bene, ma ricordavo perfettamente che Michael era il simpaticone del gruppo, quello che strappava un sorriso a tutti.
Jennifer fece un passo avanti, gli occhi illuminati e un sorriso che andava da un orecchio all’altro, e si buttò letteralmente tra le braccia di Michael. «Da quanto tempo, èh?» fece notare.
Lui annuì. «Troppo tempo, Evans» le fece l’occhiolino e capii che tra quei due sarebbe successo qualcosa. Forse non stasera, ma presto.
Il fratello di Michael, che fino a quel momento era rimasto in disparte, avanzò verso di noi. Era affascinante, inutile ammettere il contrario, e decisamente più riservato rispetto al fratello. L’ombra di un sorriso gli sfiorò le labbra quando si rese conto che lo stavo fissando. Mi diedi della stupida mentalmente. «Sono James» si presentò, la voce profonda, porgendo la mano prima a Jennifer e poi a me.
«Piacere, Jennifer» canticchiò la mia amica, sorridendo apertamente.
Tentai di alzare gli angoli delle labbra, ma inutilmente. Mi sentivo in imbarazzo e avrei scommesso di essere tutta rossa. «Rosalie».
Scambiammo altri commenti e poi ci incamminammo all’interno del ristorante. Era un ambiente alquanto accogliente, ben illuminato e già colmo di persone sedute ai propri tavoli. Un cameriere ci scortò sul terrazzo esterno, che si affacciava direttamente sul Tamigi, e ci indicò velocemente il nostro tavolo.
«Buonasera» disse sempre lo stesso cameriere, circa dieci minuti più tardi. «Sono Edwin e questa sera sarò io a servirvi. Volete iniziare a ordinare qualcosa da bere?»
«Che cosa ci consiglia?» James si sporse in avanti, poggiando il mento sulle mani intrecciate. Aveva gli occhi leggermente socchiusi e mi sembrò impaziente di ricevere una risposta. Avrei osato dire che fosse scocciato di essere lì, proprio come me. Trattenni una risata.
Edwin parve essere a disagio a causa dello sguardo insistente di James. «Qui abbiamo un’ottima varietà di vini, scelti personalmente dallo chef Gordon Ramsay».
«Ci porti un buon vino bianco, allora» ordinò James dopo qualche istante.
Il cameriere si congedò dopo aver borbottato qualcosa.
«Stasera si mangerà il pesce, a quanto pare» Michael ruppe l’imbarazzante silenzio.
Aggrottai le sopracciglia. «E se io volessi una bistecca?»
«Il vino bianco accompagna sempre un buon piatto di pesce, Rosalie» si intromise James, alzando l’angolo della bocca. «Non è consigliato berlo e mangiare della carne rossa. Poi ovviamente la scelta è tua».
Il tono fermo con cui parlò mi sorprese: non assomigliava per niente al fratello, neanche di una virgola. «Non lo sapevo» mi giustificai.
«Ora lo sai» ribatté lui.
Jennifer si lasciò scappare una risata divertita e capii al volo cosa stava per dire. «Rose si è tenuta alla larga dal vino dopo essersi ubriacata qualche tempo fa».
Una risata generale si sollevò e io mi strinsi nelle spalle. «Colpevole».
Qualche istante più tardi tornò Edwin con una bottiglia di vino bianco, dichiarando che fosse uno dei più buoni che avevano.  Mi fidai e lo assaggiai, constatando che non era per niente male.
«Allora, che cosa ci fate a Londra?» chiese la mia amica ai due, curiosa.
James e Michael si scambiarono un’occhiata d’intesa, che non mi parve per niente una cosa positiva, ma cercai di non farci tanto caso. Magari ero solo io ad essere prevenuta. Entrambi però sembravano avere qualcosa da nascondere ma, non avendo nessun diritto di dubitare di loro, tentai di scacciare quel pensiero dalla mia mente.
«Abbiamo deciso di passare una quindicina di giorni nella nostra vecchia casa, giusto per staccare un po’ dalla vita reale» spiegò infine Michael, un po’ evasivo. «Fortunatamente ho pensato a te» si rivolse a Jennifer «almeno staremo assieme per recuperare il tempo perso».
Io e James ci scambiammo un’occhiata divertita e alla fine smettemmo di ascoltare la conversazione tra Michael e Jennifer, che stava iniziando a girare intorno ai vecchi tempi. Ora, dopo essere venuta a conoscenza del motivo per cui erano qui, altri interrogativi invasero la mia mente. Li scacciai di nuovo.  
«James» dissi, attirando la sua attenzione. Alzò di scatto lo sguardo e mi sorpresi nell’accorgermi che aveva gli occhi di un ghiaccio intenso. Erano decisamente i più belli che io avessi mai visto prima d’ora. «Studi ancora o lavori?» chiesi, risvegliandomi dai miei pensieri.
«Gestisco l’azienda di famiglia insieme a Michael e nostro padre» si limitò a dire, apparentemente scocciato.
«E di cosa vi occupate?» tentai di mantenere un tono controllato. Il fatto che dovessi tirargli le parole di bocca iniziava ad irritarmi.
«In poche parole forniamo ai nostri clienti i ricambi per le auto d’epoca» mi spiegò brevemente.
«Adoro le macchine d’epoca» dissi, abbozzando un sorriso.
James parve sorpreso, infatti inarcò un sopracciglio ma alla fine sorrise. Sembrava che stesse iniziando a lasciarsi andare. «E tu, invece?» si sporse di nuovo avanti.
«Io studio giornalismo assieme a Jennifer, alla City University».
Lui annuì. «Interessante».
Prima di poter dire qualcosa, Edwin ci raggiunse di nuovo e, sorridendo, disse: «Pronti per ordinare?»

«Grazie per averci offerto la cena» Jennifer parlò a nome di entrambe, rivolta a Michael con il solito sorriso. «Era tutto delizioso».
James incrociò le braccia al petto. «Soprattutto il pesce».
«Soprattutto quello» dissi, dandogli ragione.
Era stata una cena buona e soddisfacente, pensai mentre mi infilavo la giacca per il freddo pungente di gennaio. Non avevo dialogato granché, al contrario della mia amica e Michael, ma di tanto in tanto avevo scambiato dei commenti riguardo al cibo con James. Gran parte mentre mangiavamo il pesce, riflettei trattenendomi dal ridere. Per il resto, era stata una serata piacevole ed ero pronta per tornare a casa.
«Ci si vede in giro, allora» mi strinsi nelle spalle, abbozzando un sorriso.
«Fermi tutti!» Michael alzò una mano, serio. «Sono ancora le undici, volete davvero finire la serata adesso?»
Io annuii. Ero abbastanza stanca e non avevo molta voglia di andare in giro. Avevo passato le ultime settimane sui libri, a studiare per l’ultimo esame dell’anno, e avrei preferito di gran lunga trovarmi nel mio letto in questo momento.
«Ovviamente la risposta è no» proseguì lui «quindi propongo di andare a fare una passeggiata».
«O meglio» si intromise James «io direi di andare sulla ruota panoramica a goderci la vista di Londra».
Scossi il capo, contraria.
Jennifer invece annuì, visibilmente entusiasta all’idea di James. «Dai, sarà divertente. Ci sto».
E quindi venti minuti più tardi eravamo sul London Eye, ad osservare Londra. Nonostante ci fossi stata parecchie volte, era sempre una delle più belle viste che avessi mai visto. Ero follemente innamorata di questa città.
«Non è così male, no?» James si sedette al mio fianco, sorridendo. «Non posso evitare di venire qui ogni qualvolta che mi trovo a Londra, è come una specie di tradizione».
«Lo è quasi per tutti» constatai.
«Probabilmente hai ragione» lui annuì.
«Già». Sbadigliai, sentendomi stanca. «Una volta ho pagato il conducente per fare tre giri consecutivi» diedi parola ai miei pensieri, ridacchiando. Parlando avrei evitato di addormentarmi proprio lì, sul punto più altro della ruota panoramica. «Avevo sedici anni».
«Hai speso quasi cinquanta sterline» si lasciò scappare una risata, scuotendo il capo. «E perché lo avresti fatto?»
«Mia madre me lo proibiva sempre da bambina, quindi mi sono voluta vendicare» ammisi, stringendomi nelle spalle.
James rise.
Spostai lo sguardo sul panorama di Londra, sospirando pesantemente. Avvertivo la stanchezza avvolgermi lentamente ed ero più che sicura che nel giro di un’ora mi avrebbe rapita completamente. Mi riscossi, notando uno strano movimento con la coda dell’occhio, così mi voltai e mi resi conto che era Michael che fotografava la vista con grande entusiasmo. Risi piano.
«Ogni volta riempie la memoria del cellulare per fare delle foto, che sono sempre uguali». James lo indicò, esasperato e divertito allo stesso tempo.
Michael gli lanciò un’occhiataccia. «Fatti gli affari tuoi, J».
«Dov’è casa vostra?» Jennifer quasi inciampò per fare due passi verso di noi. Mi resi conto che era un po’ brilla, aveva esagerato con il vino e non me ne ero nemmeno accorta. La osservai per bene, notando due chiazze rosse che le coloravano gli zigomi e gli occhi lucidi. Sì, aveva decisamente bevuto un bicchiere di troppo.
«Notting Hill». Fu James a rispondere.
Il volto della mia amica si illuminò improvvisamente e compresi il perché ancora prima che aprisse bocca. «Hugh Grant e Julia Roberts hanno girato un film a Notting Hill» disse senza smettere un attimo di sorridere. «Io adoro Hugh Grant, ho visto ogni suo film e molto spesso costringo Rosalie a fare una maratona con i suoi film».
Risi piano, ricevendo un’occhiata perplessa da parte dei fratelli. «Hugh Grant è un bravo attore, dai».
«Comunque» Michael prese parola «un giorno siete invitate da noi».
«Passo» mi limitai a dire, ottenendo di nuovo un’occhiata strana ma stavolta anche da Jennifer. «Non fraintendetemi, questa è stata una bella serata ma sono qui solo perché Jennifer ha accettato anche per me. La prossima volta, magari, tu» indicai Michael «e la mia amica fareste meglio a stare soli e non avere me e James in mezzo ai piedi».
«Ne riparliamo un’altra volta» decretò allora Michael, sorridendo come se non avesse ascoltato le mie parole. E forse era proprio così. «Oh, il giro è quasi finito. Che ne dite di farne un altro?» chiese, guardandomi e facendomi l’occhiolino.



 
* * *
Buonasera a tutti.
Sono felice di essere riuscita ad aggiornare e sono anche soddisfatta del capitolo.
Spero che anche a voi piaccia. Non ho niente da dire, solo grazie per le recensioni al prologo e chi legge da dietro le quinte.
A presto :)


Diemmeci

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Capitolo 3
*** Due ***


Due


Dopo la cena di martedì tornai alla normalità, alternandomi tra lo studio e la televisione per il resto della settimana. L’ultimo esame, quello che mi avrebbe permesso di chiudere il secondo anno di università in bellezza, era uno dei più ardui e mi spaventava la sola idea di doverlo affrontare a solo due settimane di distanza. Essendo una persona ansiosa, la tensione che avvertivo non stava facendo altro che farmi snervare il più possibile.
Domenica pomeriggio mi sdrai sul divano dopo aver terminato di studiare, certa che non ce l’avrei fatta a proseguire oltre. Scoraggiata, afferrai il telecomando e cambiai canale in continuazione, senza trovare nulla di interessante da guardare per passare il tempo. «Dannazione» borbottai tra me e me.
«Sento delle lamentele» canticchiò Jennifer, affacciandosi dalla piccola cucina. Mi raggiunse, sedendosi sull’unica poltrona. «Rose, hai delle occhiaie che fanno paura. Capisco che tieni molto alla tua condotta, ma devi prendere una pausa prima di avere una crisi».
«Lo so» sospirai.
«Per oggi basta con lo studio» affermò dopo qualche istante di silenzio, prendendo il telecomando dalle mie mani per spegnere la televisione. «Hai bisogno di svagarti, di uscire un po’ da questa casa e io so dove dobbiamo andare».
Rimani in silenzio, in attesa.
«Milkshake City!» esclamò sorridendo. «Un ottimo Milkshake è la giusta soluzione per affogare i nostri dispiaceri».
Immaginai la mia vita senza Jennifer, senza l’amica che avrebbe fatto anche i salti mortali per vedermi sorridere in momenti critici come questo. Mi alzai per abbracciarla, grata di averla al mio fianco. «Non so cosa farei senza di te».
«Non voglio nemmeno immaginarlo» scherzò, ricambiando l’abbraccio con affetto. «Forza, tra quindici minuti ti voglio pronta per uscire!» dichiarò poi, dandomi una lieve spinta con fare giocoso.
«Okay» annuii ridacchiando, raggiungendo la mia camera.
Non badai all’abbigliamento, succedeva raramente che mi importasse davvero cosa indossavo per uscire, quindi afferrai dei semplici jeans – sbiaditi, precisiamo – e una felpa piuttosto pesante. Infilai le mie fidate All Star e mi precipitai in bagno per coprire con del correttore le occhiaie fin troppo marcate e visibili.
«Pronta» annunciai guardandomi allo specchio, storcendo poi le labbra alla vista dei capelli: mossi anche se sarebbero dovuti rimanere lisci e piatti sopra. Optai per una coda di cavallo. Decisamente meglio, affermai dandomi un’ultima occhiata prima di raggiungere Jennifer in soggiorno.
Il Milkshake City era il luogo in cui andavamo spesso, specialmente quando una delle due era giù di morale. Era il posto che preferivamo in assoluto. Lo frequentavamo regolarmente, perciò i gestori conoscevano i gusti che preferivavamo. Adoravo quel posto.
«Hai sentito i tuoi genitori ultimamente?» le chiesi dopo essere uscite dal negozio, entrambe con il proprio Milkshake in mano – io alla cioccolata e lei alla vaniglia.
Scosse il capo. «Ho lasciato solo un messaggio in segreteria per ringraziarli dei soldi che mi hanno spedito la scorsa settimana. Sai, quelli per pagare l’affitto e il minimo indispensabile» mormorò.
«Capisco» annuii. «Prima o poi dovrai ricominciare a parlarci, lo sai vero?»
«Lo so» la mia amica sospirò, sedendosi sulla panchina che distava poco dal negozio. «Vorrei solo che accettassero la mia decisione, Rose».
«Per loro è difficile».
«Su questo ti do ragione, anche per me è difficile. A volte mi sembra quasi di non riuscire a respirare per il dolore che provo, ma purtroppo mio fratello non c’è più e io l’ho accettato e voglio andare avanti con la mia vita».
Non dissi nulla, mi limitai ad abbracciare forte Jennifer. Sapevo quanto le dispiaceva non avere il supporto dei propri genitori, ma loro avrebbero preferito che fosse rimasta ad Ennis, in Irlanda, invece di venire a Londra per proseguire con lo studio universitario. La morte del figlio maggiore li aveva segnati profondamente – forse Jennifer, nonostante non lo ammettesse, era quella che soffriva di più – e li aveva spinti anche ad essere contrari in questa scelta perché erano convinti che in questo modo sarebbe rimasta con loro, ma invece avevano ottenuto l’effetto contrario e si era allontanata ancora di più.   
«Comunque» esordì dopo qualche minuto passato in silenzio, tornando a sorridere «vorrei dirti una cosa».
Le sorrisi di rimando, non sorprendendomi se si comportava come se non avessimo parlato di un argomento delicato. Lei era così: camuffava il dolore con altri discorsi, fingendo che andasse tutto bene. «Dimmi».
«Non rispondere con fretta» premise. «Michael e James ci hanno invitate a casa loro per una cena, stasera. Non ho dato loro una risposta perché volevo sapere la tua risposta prima».
Mi trattenni dallo sbuffare e rivolsi un lungo sguardo contrariato alla mia amica ma, tenendo in considerazione il fatto che ci tenesse parecchio, cedetti ancora prima di ribattere e alla fine essere convinta da lei. «Va bene» decretai infine. «Ti interessa Michael?» le domandai poi.
«Mi sembra presto per dirlo».
«Presto?» aggrottai le sopracciglia. «Vi conoscete dal primo superiore, mi sembra abbastanza tempo per stabilire se ti interessa o meno».
«Più che altro non conosco le sue intenzioni, quindi non so che pensare» ammise, dando parola ai suoi pensieri.
«Dovresti parlarci stasera» le consigliai «in modo da vedere come comportarti nei suoi confronti. Ma io credo di sapere come andrà a finire».
«E come?» mi guardò, alzando l’angolo della bocca.
La afferrai per il braccio, facendola alzare dalla panchina, e risi. «Lo sai bene, cretina».

Notting Hill era uno dei quartieri più famosi e amati di Londra.
 Ed io, non facendo alcuna eccezione, provavo sempre un pizzico di eccitazione quando ci andavo. Anche adesso, mentre aspettavamo che qualcuno venisse ad aprire alla porta d’ingresso di casa Cox, mi sentii invadere da quella familiare sensazione. E c’era dell’altro. Era qualcosa che conoscevo bene e che rifiutavo ogni volta che si presentava a me. Tentai di reprimerlo, invano.
«Buonasera donzelle» Michael si precipitò ad aprire, sorridendo amichevolmente. Aveva indosso un grembiule da cucina sporco di sugo, il che mi fece ridere. Se ne accorse e puntò le mani sui fianchi, fingendosi offeso. «Hai qualcosa contro il mio grembiule?» domandò.
Alzai le mani in segno di resa, superandolo poi per entrare in casa. «Nessuna accusa, per ora».
Qualche minuto più tardi Michael ci aveva mostrato l’intera casa e dovetti ammettere che era ben arredata e ordinata nonostante fosse abitata da due maschi. Era composta da una sala abbastanza grande e la cucina era collegata ad essa: un unico ambiente areato. Un solo bagno, ma sufficiente per due persone, e due camere da letto. Mi piacque subito.
«James dovrebbe arrivare a momenti, è uscito un attimo per comprare un dolce» ci informò Michael mentre lo seguivamo in cucina. Mi ero offerta di aiutarlo con la cena, ma era stato irremovibile: doveva cucinarla da solo. «Mi sorprende che abbiate accettato l’invito» aggiunse prima di assaggiare il sugo, aggiungendo poi un pizzico di sale.
Jennifer si morse il labbro. «Anche io sono sorpresa».
Roteai gli occhi.
«Sbaglio o l’altra volta avevi pronunciato un no secco?» mi chiese lui, sollevando un sopracciglio.
«Ho cambiato idea».
«E cosa ti ha spinto a farlo?»
Sbuffai, irritata. «Smettila con queste domande, potrei metterci un attimo a decidere di andarmene».
Michael ridacchiò. «Colpito e affondato».
Sentimmo la porta di casa aprirsi per poi chiudersi dopo qualche istante. James apparve sulla soglia della cucina con in mano un dolce confezionato, un sorriso appena visibile sulle labbra e i capelli spettinati. «Ciao ragazze».
Feci un cenno col capo, abbozzando un sorriso.
«Ehi» disse Jennifer.
Mangiammo una cena squisita, infatti mi congratulai persino con Michael e lui – pompando il petto di soddisfazione – mi aveva sorriso.
Chiacchierammo a lungo, forse io fui quella che aprì di meno bocca, ma mi ritrovai molto spesso a dialogare e me ne sorpresi con piacere.
«Noi ci congediamo per qualche minuto» mormorò Jennifer, lanciandomi poi un’occhiata che mi fece intendere di cosa stesse per parlare con Michael.
Io e James annuimmo, rimando soli.
Eravamo sul divano, estremamente morbido e sul quale si affondava, in silenzio. Sembrava che stesse mantenendo le distanze da me, come se potesse accadere qualcosa se avessimo scambiato due parole.
«Quindi fai giornalismo» riprese il discorso della volta precedente, sorprendendomi che se ne ricordasse. «Di solito a quest’ora si prepara l’esame finale, giusto?»
«Lo sto preparando, infatti» annuii, muovendomi a disagio sul divano per trovare una posizione comoda.
«Frequenti il secondo anno di università come Jennifer, suppongo».
Mi limitai ad annuire di nuovo, osservandolo di sottecchi. I muscoli del corpo erano tesi, segno che era a disagio come me e lo si notava anche per il modo in cui parlava. «Posso confessarti una cosa?» domandai pentendomene l’istante dopo.
James aggrottò la fronte ma fece un cenno affermativo col capo.
Tentai di trovare le parole giuste, pentendomi di ciò che stavo per dirgli ogni istante di più. Lo conoscevo da neanche una settimana e stavo per dirgli una cosa che avrebbe potuto tranquillamente scatenare una reazione negativa da parte sua. Non erano affari miei, ma non riuscii comunque a trattenermi. «Non mi ha convinta il motivo per cui vi trovate a Londra, con tutta sincerità».
Le mie parole suscitarono in lui una risata, che camuffò subito dopo. Aveva un bel sorriso, dovetti ammetterlo a me stessa. «E perché?»
Mi strinsi nelle spalle. «Mi è sembrato strano. Siete due uomini adulti, non potete semplicemente prendere una vacanza dalle vostre vite perché ne avete voglia. Deve esserci per forza qualcosa di più».
Lo vidi aprire e chiudere la bocca. Si passò una mano tra i capelli e sospirò, lanciandomi un’occhiata che non seppi decifrare. «E se invece non ci fosse niente sotto?» ribatté, voltandosi completamente verso di me.
«Non credo» scossi il capo, dicendo come la pensavo. «Potrei anche sbagliarmi, ma nel vostro caso mi siete sembrati titubanti quando Jennifer ve lo ha domandato e quindi sento che c’è qualcosa sotto».
«Be’…» James si interruppe. Aggrottò le sopracciglia e compresi che non sapeva cosa dire a riguardo, probabilmente aveva esaurito le risposte pronte.
«Questa è solo una mia considerazione personale» mi precipitai a dire per porre fine alla conversazione, passandomi una mano tra i capelli arruffati.
Lui annuì. Sembrava essere a suo agio ora. «Mi piace quando le persone dicono ciò che pensano, è così che tutti dovrebbero fare».
«Sono sempre stata abituata a dire la mia» ammisi. «Questo mi ha aiutata molto in passato. Non mi sono mai fatta mettere i piedi in testa da qualcuno, mai».
«Hai un carattere forte» disse, serio.
Scrollai le spalle. «Non saprei, ho anche molti lati deboli. Forse fin troppi ma va bene così, non sarei umana altrimenti».
Sorrise. «Non lo saresti, no».

A mezzanotte io e Jennifer rientrammo a casa accompagnate dai fratelli Cox. Ci infilammo velocemente il pigiama e ci fiondammo sul divano, io con la voglia di sapere che cosa si erano detti la mia amica e Michael, e lei con quella di raccontarmelo.
«Che tu ci creda o no, ha ammesso che gli piaccio» dichiarò Jennifer senza che le avessi domandato nulla. Era rivolta nella mai direzione, un sorriso stampato sulle labbra e l’eccitazione palpabile. «Ora la questione è una: vedere come va a finire».
«Non so se crederci o meno» esternai la mia incertezza, storcendo le labbra. «Sappiamo entrambe com’è andata in terzo superiore».
«Ci andrò piano» promise lei, mordendo con forza il labbro inferiore. «Senti, Rose, questa settimana io e Michael ci siamo visti tutti i giorni e mi sembra essere cambiato. Il tempo cambia le persone».
Sollevai le sopracciglia. «Grazie per avermelo detto prima» dissi sarcastica.
Jennifer sbuffò. «Sapevo che avresti disapprovato e ho evitato di dirtelo, tutto qui. Adesso lo sai. E sai anche che non mi monterò la testa».
Annuii.
«Voglio vedere come va e poi giudicare» concluse con il sorriso sulle labbra. «Propongo di vedere un film» disse poi.
«Quale?»
«Il diario di Bridget Jones è perfetto» sorrise. «Hugh Grant è d’obbligo».
Risi piano. «Come sempre».

 
* * *
Buona domenica :)
Mi vergogno per l'enorme ritardo con il quale ho aggiornato, ma lo studio e la palestra mi rubano molto tempo.
Mi rammarica doverlo dire, ma sarà quasi sempre così per quanto riguardo l'aggiornamento della storia.
Ho davvero poco tempo per scrivere e mi scuso tantissimo.
A ogni modo, spero che questo capitolo piaccia a voi quanto piace  a me. 
Stranamente, nell'ultimo periodo apprezzo di più i miei scritti.
Grazie per le recensioni e chi legge senza commentare.

A presto,
Diemmeci


 

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Capitolo 4
*** Tre ***


Tre


Quando la lezione del lunedì mattina giunse al termine, decisi all’ultimo minuto di andare a trovare i miei genitori. Non gli facevo visita da quasi due settimane – purtroppo lo studio mi aveva portato via gran parte del tempo – e sapevo quanto poteva dispiacergli non vedermi.
«Rosalie, che sorpresa». Fu mia madre ad aprire la porta di casa.
Mi lasciai avvolgere in un abbraccio. «Ciao, Jenna».
Borbottò qualcosa di incomprensibile prima di farmi cenno di accomodarmi. «Non mi chiamerai mai mamma, non è vero?» avvertii una leggera disperazione nel suo tono che mi fece ridacchiare. Ogni volta la stessa domanda e la stessa risposta.
«Conosci la mia risposta» ribattei.
Ci sedemmo sul divano di sempre – era rimasto lo stesso da quando ero bambina – e chiacchierammo allegramente delle ultime novità. Ci raggiunse anche mio padre dopo qualche minuto; anche lui mi strinse forte a sé, come se non mi vedesse da mesi.
«Pensavo di non rivederti più» disse lui.
Roteai gli occhi. «Sapete che mi sto preparando per l’esame finale».
Con la coda dell’occhio vidi Jenna trattenere il respiro. Il rapporto tra me e mia madre era particolare, decisamente fuori dal normale, e a volte mi pesava questo fatto. La maggior parte delle nostre litigate erano dovute all’argomento studio: lei pretendeva il meglio da parte mia e mi pressava nell’impegnarmi sempre con maggiore impegno. «Sono argomenti complicati?» domandò dopo qualche istante.
Annuii. «Abbastanza, ma sto studiando duramente e spero di prendere un buon voto».
«Devi ambire il voto migliore, tesoro» disse Jenna.
«Lo so».
Non riuscii a decifrare la sua espressione. «Lo spero».
Avvertii la solita tensione che si creava in situazioni del genere. Mio padre cambiò subito argomento – lo ringraziai mentalmente – e tornò un’atmosfera piacevole. Desideravo spesso di non avere il fiato sul collo da parte di mia madre, ma sapevo che era impossibile e, ogni qualvolta che avevo tentato di parlarle per risolvere questo problema, avevamo finito per litigare. Era un circolo vizioso, ecco.
«Dobbiamo dirti una cosa» annunciò all’improvviso Jenna una mezz’ora più tardi. L’espressione accigliata, che assumeva quando si parlava dello studio, era sparita e aveva lasciato il posto ad un sorriso sincero. Era lunatica, decisamente.
«Volevamo dirtelo tra qualche giorno, giusto il tempo di finire i preparativi, ma non vogliamo più tenerti all’oscuro» aggiunse Robert, anche lui con un sorriso stampato sul viso.
Non riuscii a non sorridere nel vedere il loro entusiasmo. Doveva essere qualcosa di importante. «Cosa?» chiesi, passandomi una mano tra i capelli per ravvivarli.
«Domenica festeggiamo il venticinquesimo anno di matrimonio e abbiamo organizzato una cerimonia in chiesa e anche un pranzo» disse tutto d’un fiato mia madre, la felicità palpabile e gli occhi illuminati.
«Ti andrebbe di accompagnarmi all’altare?» Robert mi sorrise.
Elaborai le loro parole e subito dopo avvertii gli occhi inumidirsi. Senza dire una parola li abbracciai; ero molto legata alla mia famiglia e, nonostante i tanti contrasti che segnavano il nostro rapporto, sapevo di poter contare sui miei genitori in ogni situazione. «Ma è fantastico!» esclamai. «E sì, Robert, ti accompagnerò all’altare» aggiunsi rivolta a mio padre.
«Speravo in questa risposta» disse lui.
«Non potrei mai rifiutarmi» abbozzai un sorriso. «Avete invitato tutti i parenti o sarà un pranzo più intimo?» gli domandai poi.
«Tutti i parenti» rispose Jenna. «Avevamo iniziato con l’idea di invitare solo te e magari qualche parente più stretto, ma alla fine abbiamo optato per l’altra scelta. È un giorno importante per noi, non vogliamo badare a spese».
«Sono felice» dissi con sincerità senza smettere un attimo di sorridere. Era stata una notizia inaspettata ma del tutto gradevole. «Posso invitare Jennifer?»
«L’avevamo già inserita tra gli invitati» Jenna ridacchiò. «Ormai è una di famiglia».
Risi. «Già».
Mi congedai dalla casa dei miei genitori dopo aver pranzato. Avevano entrambi insistito molto, quindi alla fine avevo ceduto. Mi aveva fatto piacere passare del tempo con la mia famiglia, non ero abituata a vederli con costanza ma stavolta mi era parsa un’eternità ed ero davvero felice.
Il cellulare vibrò e, quando controllai, notai di avere un messaggio da parte di Jennifer.

Sto andando a casa di Lucy, farò tardi.
Non aspettarmi in piedi.
J.


Sospirai e risposi velocemente. Lucy era un’amica di Jennifer, si vedevano raramente ma quelle poche volte erano davvero memorabili. Non ero interessata a passarci io stesso del tempo perché non era la classica persona con cui mi avrebbe fatto piacere fare una chiacchierata.

Divertitevi :)
R.

Continuai a camminare con passo svelto mentre mi dirigevo alla metro. Il freddo pungente mi stava facendo battere i denti ed ero più che sicura, anche non vedendomi, che avevo le guance arrossate e le labbra viola. Detestavo l’inverno.
Senza rendermene conto, mi ritrovai a terra. Alzai lo sguardo e compresi di essere andata a sbattere contro qualcuno. Questo accadeva quando ero immersa nei miei pensieri: finivo sempre per combinare qualche casino. «Scusi» mormorai mentre cercavo di rialzarmi un po’ goffamente.
Due mani mi afferrarono e mi issarono da terra, quindi incrociai lo sguardo della persona che mi aveva aiutata e rimasi a bocca aperta. Era James. «Chi si rivede» esclamò sorridendo.


 
* * *
Sì, sono viva. 
Sono riuscita a pubblicare questo terzo capitolo e spero vi piaccia.
So che è corto, ma vi prometto che il prossimo sarà più lungo.
Grazie mille per le bellissime recensioni e per chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite. Siete fantastici.
Be', a presto (spero).


Diemmeci
 

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Capitolo 5
*** Quattro ***


Quattro


Rimasi in silenzio ad osservare il mio soccorritore, che nel frattempo continuava a sorridere con fare divertito. Mi sentivo un’imbranata totale: non solo avevo fatto una figuraccia cadendo a terra, ma era successo perché ero andata a sbattere contro James. Insomma, quante possibilità c’erano di poterlo incontrare in circostanze come questa? Poche, pochissime direi, ma come sempre la sfortuna mi era stata accanto.
«Hai perso l’uso della parola?» chiese prima di lasciarsi andare in una risata.
Finsi un colpo di tosse. «Ovviamente no» mi ricomposi velocemente. «Scusa se ti sono venuta addosso, sono abbastanza distratta ultimamente».
«L’ho notato» disse.
Morsi il labbro inferiore, non sapendo cosa rispondere.
«Stai tremando» notò dopo qualche istante, aggrottando le sopracciglia. Sembrava preoccupato. «Hai bisogno di riscaldarti, hai le labbra viola».
«Stavo giusto tornando a casa».
«Hai molto tragitto da fare» si passò una mano tra i capelli «mentre a un isolato da qui c’è un locale dove potresti riscaldarti un po’».
Alzai un sopracciglio. «Lo terrò presente per la prossima volta».
James rise. «Adesso» disse «adesso dobbiamo andarci, è questo che intendevo farti capire. Non voglio una risposta negativa».
Sospirai, comprendendo che avrei fatto prima a dargli corda. «Okay, andiamo».
E così pochi minuti più tardi ci trovavamo all’interno di un piccolo locale. James aveva ordinato per me una cioccolata calda, che inizialmente avevo rifiutato, ma alla fine avevo ceduto perché altrimenti avrebbe continuato ad insistere.
«È carino qui» mormorai per interrompere il silenzio che ci aveva avvolti. «Non ci ero mai venuta prima».
«Non è molto conosciuto» James sospirò. «Io lo trovo accogliente e ci vengo spesso quando mi trovo a Londra».
«Uhm» sorrisi «e adesso dove abiti?»
«Leeds» rispose. Dal suo tono capii che non voleva parlarne e non compresi il perché. Era forse legato al motivo, il vero motivo, per cui erano qui? «E tu sei proprio di Londra?» cambiò il soggetto del discorso.
«No, no» scossi il capo. «Sono di Preston, ma sono venuta ad abitare qui assieme ai miei genitori quando avevo otto anni».
Lui annuì. Si ravvivò i capelli, scuotendo vivacemente il capo. Delle piccole rughe di preoccupazione contornavano i suoi occhi, insieme a delle occhiaie. Un lieve sorriso gli increspò le labbra. «Mi stai fissando» disse. «Ho qualcosa che non va?» domandò.
Spostai lo sguardo sulle mie mani. «Assolutamente no».
«Uhm».
«È solo che…» tentai, ma mi bloccai. Morsi il labbro inferiore, indecisa su cosa dirgli e alla fine optai per la verità. «Mi dai l’impressione di essere preoccupato costantemente. Sembra che ci sia qualcosa che ti frena tutto il tempo. Non so perché». Esternai tutto ciò che pensavo e mi maledii ancora di più: avevo forse fatto male?
«Ah, sì?» sembrava divertito da ciò che gli aveva appena detto. «Interessante».
Mi infastidì il fatto che trovasse spassoso quello che pensavo sul suo conto, quindi sbuffai sonoramente e non dissi altro. Lasciai calare il silenzio e non cercai di porgli fine neanche una volta.
Fu lui a parlare dopo quella che mi sembrò un’eternità. «Mi dispiace per aver riso» disse serio. «Non ho niente da nascondere per cui potrei essere preoccupato, te lo assicuro».
Nonostante non gli credessi, annuii. «Va bene».
Eravamo appena conoscenti, neanche potevamo definirci amici, e mi sembrava ridicolo che provassi fastidio per dei dettagli del genere. Non era da me e cercai di reprimere la voglia di scoprire cosa ci fosse realmente sotto.
Un cameriere si avvicinò al nostro tavolo e poggiò una tazza di cioccolata fumante davanti a me. James pagò, non dandomi neanche il tempo per prendere il portafoglio, e lo ringraziai prima di iniziare a sorseggiare il liquido caldo. Mi riscaldai velocemente, sentendomi subito meglio. Ormai avevo smesso di tremare.
«Come mai ti trovavi in questa zona, comunque?» gli chiesi con curiosità.
«Facevo una passeggiata» rispose velocemente. «E tu invece?»
Cercai di accontentarmi della sua risposta. «Ero andata a trovare i miei genitori, abitano qui vicino».
«Sono convinto che sia successo qualcosa di particolarmente bello» parlò dopo qualche secondo. «O sbaglio?»
«Come fai a saperlo?» rimasi sbalordita.
«Sei più solare oggi, hai gli occhi illuminati da una strana luce» spiegò. «Sono molto bravo nel leggere le persone, tutto qui».
«Wow» mi limitai a dire.
James finse un colpo di tosse. «Non lasciarmi sulle spine, che cosa è successo?»
«I miei genitori festeggeranno questa domenica le nozze d’argento e faranno una cerimonia in chiesa e anche un pranzo» riassunsi brevemente. «Non me l’aspettavo questa notizia, mi ha sorpresa molto e ne sono felicissima».
«Direi che è una notizia fantastica» James annuì.
«Lo è» gli diedi ragione, continuando a bere la cioccolata. Non ero solita berla, ma quando capitava mi faceva sempre piacere ed ora la stavo gustando in pieno.
«Già» mormorò visibilmente sovrappensiero. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, sicuramente stava rimuginando su qualcosa che lo tormentava. Mi sentivo sempre più curiosa sul venire a conoscenza del motivo che tanto gli dava da pensare, ma la parte razionale di me continuava a ripetermi che non erano affari miei. «Già» disse di nuovo.
«Qualcosa non va?» tentai.
James tornò a guardarmi e scosse il capo, alzando l’angolo della bocca. «Niente».
I suoi occhi, di un ghiaccio così intenso che non avevo mai visto prima, mi mettevano in soggezione. Abbassai quindi lo sguardo. «Okay» mi limitai a dire, non sapendo cos’altro aggiungere. Aveva tutto il diritto di non parlarmi dei propri problemi.
«Dove hai lasciato Jennifer?» mi chiese per alleggerire l’atmosfera, sfoggiando un vero e proprio sorriso.
«Sta passando del tempo con un’altra sua amica» risposi sospirando. «Farà tardi stasera, quindi sarò da sola anche a casa».
James annuì.
«Michael, invece?»
«Mi ha detto che aveva da fare alcune cose» disse. «Non chiedermi cosa perché non ne ho la più pallida idea».
Risi, giungendo ad una conclusione più che ovvia. «Jennifer e Michael ci hanno mentito per stare insieme senza avere interruzioni» diedi voce ai miei pensieri.
«Be’» James rise «è proprio da Michael».
«È tipico anche della mia amica».

Uscimmo dal locale una mezz’ora più tardi.
«Dovrei proprio tornare a casa ora» dissi rivolta a James, che intanto si stava passando una mano tra i capelli per ravvivarli. Avevo notato che lo faceva molto spesso. «Sono già le cinque e devo ancora mettermi sui libri».
Lui sbuffò e mi guardò. «Non passi mai una giornata lontana dallo studio?» mi domandò con una punta di rimprovero.
«Raramente» ammisi.
«Ti propongo una cosa» parlò dopo aver sbuffato di nuovo, accennando poi un sorriso. «Prima di dirmi di no, però, lasciarmi finire».
«Okay».
«Mio padre è un grande appassionato di macchine d’epoca, perciò ne abbiamo qualcuna nel garage della casa in campagna» iniziò. «Visto che avevi detto di adorale, che ne dici di venire con me a vederle? Ti ci porto anche a fare un giro».
Mi sorprese il fatto che si ricordasse cosa gli avevo detto al nostro primo incontro. Rimasi un po’ in silenzio per elaborare la sua proposta, che mi parve fantastica, ma poi mi ricomposi. «Non saprei» dissi però.
«Devi vivere, Rosalie, non puoi solo studiare nella tua vita» mi disse.
Sorrisi. «Va bene» mi arresi immediatamente, completamente curiosa di vedere le macchine d’epoca.

La casa in campagna dei Cox era immersa nel verde, nella serenità e, soprattutto, era lontana dal solito caos di Londra.
«Wow» dissi quando scesi dalla Volvo di James, ipnotizzata dalla bellissima vista che avevo di fronte ai miei occhi. La grande casa, dipinta per la maggior parte di celeste, avrebbe catturato l’attenzione di chiunque per quanto era bella. «Wow» ripetei.
«Lo hai già detto» James rise.
«Scusa» mormorai «ma la casa è pazzesca».
James sorrise, non aggiungendo altro. Si incamminò invece verso il garage ed io tornai a sorridere come un’ebete per la curiosità di vedere le auto.
«Sei pronta?» mi chiese.
«Sì».
Quando la porta del garage fu spalancata, notai sei auto d’epoca disposte una accanto all’altra, tutta tirate a lucido e fantastiche. Mi ritrovai a girovagare nello spazio circostante con gli occhi spalancanti, completamente ammaliata.
«Mi porti a fare un giro su questa?» gli chiesi indicando la macchina che mi aveva colpita maggiormente.
«Certo» annuì, prendendo la chiave. «La Giulietta Spider è una delle mie preferite» ammise quando fu salito. «Che fai, rimani lì o sali a bordo?»
«La guida è a sinistra» notai. «Sei sicuro di essere in grado di guidarla?»
James sembrò offeso. «Non ti fidi?»
Sospirai. «Mi fido» decretai infine.
Non riuscivo a smettere di sorridere mentre girovagavamo per la campagna inglese. Sin da bambina mi avevano affascinata le auto d’epoca, ma non avevo mai avuto la possibilità di farci un giro prima di adesso. Era incredibile, praticamente un piccolo sogno che si avverava.
«Non ti ho ringraziato per oggi» dissi per interrompere il silenzio.
«Non devi, infatti».
«Invece sì» ribattei. «Sei stato molto gentile e poi adesso mi hai portata a fare un giro su una macchina degli anni sessanta su cui non ero mai salita che, diciamocela tutta, non si vede tutti i giorni. Un grazie è d’obbligo».
James si strinse nelle spalle. «Figurati».
Accennai un sorriso prima di rivolgere lo sguardo al panorama di fronte a noi. Il caos di Londra a volte poteva essere opprimente, quindi per me questo momento era il disegno perfetto della tranquillità.

Alle otto James mi riaccompagnò a casa. Lo ringraziai svariate volte prima di chiudermi la porta alle spalle, ma era il minimo che potessi fare dopo quello che aveva fatto per me. Feci una doccia veloce e indossai il pigiama, poi mi buttai sul divano per lasciarmi avvolgere dal relax più totale. Purtroppo il mio cellulare iniziò a squillare e fui costretta a rispondere.
«Pronto?»
«Rose, sono Jenna».
La riconobbi all’istante, la solita voce squillante. «Ehi» dissi prima di sbadigliare.
«Scusa il disturbo, tesoro, ma volevo solo chiederti se domani mattina sei libera per accompagnarmi a fare l’ultima prova dell’abito che indosserò domenica» parlò velocemente.
Ci pensai su. «Uhm, sì, domani ho lezione il pomeriggio».
«Perfetto» decretò. «Hai già pensato cosa metterai tu?»
Morsi il labbro, trattenendomi dallo sbadigliare per la secondo volta in  meno di un minuto. «No, ancora no».
«Domani potresti iniziare a cercare qualcosa» propose. «Non sono ammessi i jeans, solo vestiti eleganti».
Roteai gli occhi. «Farò questo sacrificio».
Jenna rise. «Passo a prenderti alle dieci, ciao tesoro».
«Ciao» dissi prima di riattaccare.

Alle otto del mattino ero già in piedi intenta a preparare il caffè per iniziare la giornata nel migliore dei modi.
Mi aspettava una mattinata in compagnia di mia madre e non mi dispiaceva ovviamente, ma avrei preferito passare quelle ore ovunque ad eccezione dei negozi. Non ero una grande amante dello shopping, specialmente non ero a favore dei vestiti, e il fatto che stavo per andare alla ricerca di un abito da indossare io stessa mi preoccupava. 
«Buongiorno» Jennifer irruppe in cucina, un sorriso smagliante sulle labbra. «Come mai già sveglia?»
«Ehi» dissi prima di bere un sorso di caffè amaro, in assoluto il migliore. «Alle dieci mi vedo con Jenna» risposi velocemente, ma poi una lampadina si accese nel mio cervello. «Ieri alla fine non ci siamo più viste, ho una cosa da dirti».
«Sono tutta orecchie».
«I miei genitori festeggeranno il venticinquesimo anno di matrimonio questa domenica e sei invitata».
Jen sorrise. «Sono già venticinque?»
«Già» annuii abbozzando un sorriso. «Mi sto per vedere con Jenna proprio per accompagnarla all’ultima prova dell’abito e, in più, devo cercare qualcosa per me».
La mia amica spalancò gli occhi. «Mi stai dicendo che indosserai un vestito?» chiese, la sorpresa palpabile nel tono della sua voce.
Risi. «Purtroppo sì».
«Sarà un momento epico, decisamente».
Sbuffai prima di sorridere. «Suppongo di sì.»

 
* * *
Ehi ehi.
Sì, ho pubblicato davvero a distanza di una settimana, questo perché ho finito questo capitolo velocemente. Non so, l'ispirazione sembra essere tornata alle grande e ne sono così felice! 
A ogni modo, spero che vi piaccia perché ne sono soddisfatta. 
James e Rosalie sembrano avvicinarsi adesso... che cosa ne pensate? Spero cose positive :)
Approfitto di questa occasione per augurarvi un buon Halloween, divertitevi e fate tanti scherzi.
Be', spero a presto :)

Diemmeci

 

 

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Capitolo 6
*** Cinque ***


Cinque


Passare una mattinata assieme a Jenna mi fece piacere. Avevamo recuperato il tempo che mi era stato sottratto dall’intenso studio delle ultime due settimane. Mancava poco all’esame finale ed ero sempre più ansiosa all’idea di doverlo affrontare, ma nel profondo ero consapevole che, se avessi continuato ad impegnarmi come stavo facendo, avrei concluso l’anno senza alcun tipo di problema. Era tutto ciò che mi importava in questo momento.
«Il vestito che hai scelto ti sta d’incanto!» Esclamò Jenna, intromettendosi tra me e il flusso dei pensieri che scorrevano nella mia mente.
«Mi piace» affermai sorridendo.
«Ho notato che sei dimagrita notevolmente» disse dopo qualche istante di silenzio, una nota di rimprovero nella voce. «Stai mangiando come si deve?»
«Più o meno» ammisi stringendomi nelle spalle. 
Con la coda dell’occhio vidi Jenna tirare un sospiro di disapprovazione. «Ti porterei a pranzo fuori oggi, ma purtroppo sono piena di impegni fino al collo e non posso».
Apprezzai il pensiero. «Non preoccuparti».
Sospirò di nuovo. «Sono tua madre, mi preoccuperò sempre di te».
Sorrisi lievemente nel sentire quelle parole provenire dalla bocca di mia madre. Lo scambio di frasi del genere non erano frequenti nel nostro particolare rapporto, quindi era bello ascoltare di tanto in tanto. «Lo so».
Jenna mi riaccompagnò a casa, quindi la salutai velocemente prima di raggiungere l’appartamento quasi correndo. Ero esausta e affamata, avevo bisogno di rilassarmi prima di tornare a rivolgere tutta la mia attenzione allo studio.
«Sono a casa!» Urlai chiudendo il portone, lasciando la busta che conteneva il vestito sul divano.
Jennifer uscì velocemente dalla propria camera, i capelli scompigliati e il fiatone. «Ehi».
«Sembra che tu abbia corso una maratona» dissi ridendo, andando in cucina per preparare un panino da poter mangiare velocemente. «Ho trovato il vestito, a proposito» la informai.
«Ma è fantastico» mormorò, guardandosi intorno come se avesse visto un fantasma. Iniziava a preoccuparmi.
«Che succede?» le chiesi con curiosità.
Jennifer lanciò un’occhiata verso la camera e poco dopo la porta si spalancò, quindi una figura maschile apparve sulla soglia. Michael. «Succede che pensavo rimanessi a mangiare fuori» borbottò tra sé e sé.
Mi lasciai scappare una risata, rendendomi conto di aver interrotto un momento alquanto intimo tra i due. «Avresti potuto avvertirmi, sarei rimasta in giro ancora per un po’» le dissi ricomponendomi. «Ciao Michael» lo salutai, facendo un cenno col capo.
Michael alzò una mano e mormorò qualcosa che assomigliava ad un saluto, anche lui notevolmente imbarazzato.
«Mi dispiace di aver interrotto qualunque cosa stavate facendo» parlai dopo qualche istante, tentando disperatamente di reprimere una risata.
«Non c’è problema» Michael si strinse nelle spalle, ottenendo un’occhiataccia da parte della mia migliore amica.
«Be’, io vado in camera» mi congedai, tenendo il panino in una mano e la mia adorata Coca Cola nell’altra.

Dopo aver avuto abbastanza dello studio, uscii dalla mia camera e notai solo allora che erano le otto di sera. Avevo davvero passato tutto il pomeriggio sui libri, senza interruzioni?
«Sei viva!» Esclamò Jennifer, affacciandosi dalla cucina.
Prima di risponderle, un lungo sbadiglio lasciò la mia bocca. «Già».
«Michael se ne è andato poco fa, ti saluta» mi informò con un sorriso.
 «Okay» dissi, chiaramente poco interessata.
«Sto preparando la cena» proseguì la mia amica, alzando il tono della voce per farsi sentire. Sembrava più allegra del solito ed ero certa di conoscere il motivo.
Mi sdrai sul divano e sospirai, rispondendo velocemente che stavo morendo di fame. Chiusi gli occhi, pregando mentalmente che il mal di testa che mi stava tormentando si placasse. Odiavo questa sensazione.
«Rose, la cena è pronta» disse Jennifer, scuotendomi leggermente per costringermi ad aprire gli occhi. «Prima di dormire dovresti mangiare qualcosa, ha ragione tua madre nel dire che sei dimagrita. Non ti ho vista toccare molto cibo nell’ultimo periodo».
Roteai gli occhi, tirandomi a sedere. «Jenna ti ha chiamata, non è vero?»
Jen annuì, un’espressione seria dipinta sul volto. «Sì, mi ha chiesto gentilmente di tenerti d’occhio ed è quello che farò».
«Fai come vuoi» sospirai, raggiungendo la cucina per poi sedermi subito al solito posto.
Mangiammo nel silenzio più totale, ero stremata e avevo solo voglia di infilarmi sotto le coperte e dormire. Jennifer era persa nei propri pensieri, che comprendevano sicuramente Michael e il pomeriggio passato insieme a lui.
Quando finii di mangiare, poggiai i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani incrociate. «Allora?» esordii. «Mi dirai mai perché sei più allegra del solito?»
Jennifer non esitò nel rispondere. «Gli ho detto che mi piace» parlò di getto. «Non ho tentennato per la prima volta di fronte ad un ragazzo. È fantastico».
«E lui?»
«Lui ricambia».
Fui contagiata dall’eccessiva felicità di Jennifer e sorrisi istintivamente, sentendomi felice per la mia amica e Michael. «Mi fa piacere» ammisi, stringendole una mano.
«Spero di non sembrare scontata, ma non ho mai provato niente di simile per qualcuno» soggiunse dopo un attimo di esitazione.
«L’amore!» Dissi, ridendo.
Jennifer fu contagiata dalla mia risata. «Forse è la volta buona, chissà».
I miei pensieri si posarono su James e sui tanti dubbi che nutrivo nei suoi confronti. Chissà.

Quella del mercoledì mattina fu l’ultima lezione prima dell’esame finale. Io e Jennifer lasciammo l’edificio più felici del solito, forse era il pensiero che a breve saremmo state libere a renderci così. Niente studio, niente di niente. Solo relax.
«Dovrebbe esserci Michael» parlò Jennifer, chiudendo la cerniera del cappotto.
Annuii. «Che programmi avete?»
«Ha detto che è una sorpresa» rispose eccitata, saltellando sul posto come una bambina di cinque anni.
Risi piano. «Capito».
Qualche minuto più tardi Michael si fermò con la macchina di fronte all’entrata dell’università, il solito sorriso divertito sulle labbra. Scorsi un’altra figura al posto del passeggero e, quando mi accorsi che era James, mi sentii improvvisamente in imbarazzo. Non ne avevo motivo, ma successe comunque.
«Ti ho detto che avevo una sorpresa per te» Michael parlò rivolto a Jennifer, sporgendosi con la testa fuori dal finestrino «ed è ancora così, solo con qualche variazione».
«E sarebbe?» domandai io al posto della mia amica, disorientata.
«Adesso la sorpresa è anche per te» aggiunse James al posto del fratello, accennando un sorriso appena visibile. «Vi portiamo per un paio di giorni nella casa in campagna».
«Avete una casa in campagna? Dove?» chiese Jennifer, curiosa.
«A Londra» risposi senza pensarci due volte, notando poi James che mi guardava allarmato. «Suppongo, almeno» dissi velocemente per riparare al danno. Jennifer e Michael non potevano sapere che avevamo passato il lunedì pomeriggio assieme?
«Esatto» Michael rise. «Che ne dite?»
«Io ci sto» la mia amica approvò all’istante.
Morsi il labbro inferiore, avvertendo tre paia di occhi che mi guardavano in attesa di una mia risposta. Stavo per rispondere negativamente, quando una lampadina si accese nel mio cervello e mi fece cambiare idea. Volevo dimostrare di essere in grado di staccare dallo studio e  divertirmi. Non volevo fare la parte della solita guastafeste, la quale ero. «Ci sto anche io» dissi quindi, sorprendendomi di me stessa.
«Chi lo avrebbe mai detto!» Esclamò James, guardandomi intensamente negli occhi.
Alzai un sopracciglio. «E con questo cosa vorresti supporre?»
Lui scosse il capo. «Niente, credevo solo che avresti rifiutato per via della vicinanza dell’ultimo esame».
Avvertii una morsa alla bocca dello stomaco, sentendomi in colpa perché avrei dovuto mettere da parte lo studio per quarantotto ore. Tentai di reprimere la sensazione. «Ti sbagliavi».
«A quanto pare sì».
E così ci avviammo verso l’appartamento mio e di Jennifer per poter recuperare le cose indispensabili per un paio di giorni. Presi il minimo necessario, ero sempre stata abituata a farlo dato che avevo fatto gli Scout fino all’età di sedici anni.
«Non osare portare un paio di tacchi» risi mentre riprendevo Jennifer, che intanto mi guardava con un’espressione nervosa sul viso. «Okay, che hai?» le domandai abbassando il tono della voce, per evitare di essere sentita dai Cox che si trovavano nel nostro soggiorno.
«Sono nervosa» disse.
«Questo lo avevo capito».
Lei sbuffò. «Ieri pomeriggio siamo quasi finiti a letto insieme» iniziò alludendo a lei e Michael. «Il tuo rientro ci ha ostacolati, ovviamente, e non riesco a smettere di pensare che magari ha organizzato questa cosa solo per portarmi a letto».
«Jennifer!» Esclamai in tono di rimprovero. «Perché devi sempre pensare al peggio? Non puoi semplicemente goderti questi momenti con Michael senza immaginarti cose che non sono vere?»
Lei morse il labbro inferiore, ridendo. «Hai ragione, non ho niente di cui preoccuparmi. Lui sta facendo sul serio come me».
Annuii. «Possiamo andare, adesso?»
«Andiamo» mi fece l’occhiolino prima di uscire dalla camera.
Prima di seguirla per raggiungerla insieme agli altri, mi fermai sul posto per pensare al motivo per cui stavamo andando anche io e James. Michael non avrebbe fatto prima ad invitare solamente la mia amica per evitare di coinvolgere anche me e suo fratello?


 
* * *
Buona domenica :)
Ho appena finito di scrivere il capitolo e ho deciso di pubblicarlo per evitare che passasse troppo tempo dall'ultimo aggiornamento.

Sono abbastanza soddisfatta del capitolo, ma non del tutto. Non mi convince ma l'ho scritto per tre volte quindi adesso sta a voi giudicare. Mi fido. 
Spero vi piaccia, ovviamente.
A presto :)


Diemmeci

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Capitolo 7
*** Sei ***


Sei


Rimasi senza fiato alla vista della bellissima casa, proprio come la prima volta. Ero rimasta profondamente affascinata dall’intera struttura ed ero curiosa di vederne l’interno, che purtroppo lunedì non avevo potuto ammirare perché James si era limito a mostrarmi le auto d’epoca e ad accennarmi qualcosa riguardo un lago che si trovava nelle vicinanze.
Mi voltai verso la mia amica, notando che aveva avuto la mia stessa reazione. «Bella, non è vero?» Le chiesi sorridendo.
Lei annuì. «Bella è dir poco» affermò. «Se non erro, è in stile vittoriano, giusto?» domandò prima di rivolgersi a James.
«Esatto» rispose lui, visibilmente colpito. «È stato nostro nonno ad avviare il progetto di costruzione, prima non c’era nulla qui».
«Era solo un terreno vuoto che aspettava di essere completato dalla casa qui presente» concluse Michael, ridendo.
Mi lasciai scappare anch’io una risata per il suo commento inopportuno.
«Venite, vi mostro la vostra camera» parlò di nuovo James, afferrando la mia borsa a mano prima che potessi farlo io, dirigendosi verso l’entrata.
L’interno della casa era incantevole. Chiunque l’avesse arredata aveva sicuramente un senso dello stile che superava ogni livello, affermai guardandomi intorno completamente rapita. Delle maestose scale a chiocciola conducevano al piano superiore, dove James ci guidò per poi fermarsi alla prima camera sulla destra di un lungo corridoio. Dedussi che la famiglia Cox se la passasse piuttosto bene.
«Potete stare entrambe qui» disse James, riscuotendomi dai pensieri che avevano affollato la mia mente. «Se dovesse esserci qualcosa che non va, fatemelo sapere. Non veniamo a stare in questa casa da parecchio ormai».
Annuii.
«Non c’è assolutamente nulla che non va qui» Jennifer quasi urlò per l’entusiasmo.
Risi piano. «Concordo».
James alzò un angolo della bocca e mi porse la borsa a mano. «Sistematevi pure, io e Michael vi aspettiamo di sotto».
Annuimmo prima di chiuderci la porta alle spalle. Non riuscivo a smettere di sorridere, ma una piccola parte di me continuava a ripetermi che era sbagliato prendersi una vacanza, specialmente a pochi giorni dall’esame finale. Tentai di sovrastare quella vocina ragionevole con la felicità del momento, che mi stava pian piano travolgendo.
«Non credi che sarebbe stato il caso di rifiutare e rimandare a dopo l’esame?» le chiesi comunque, sedendomi alla fine del letto.
Jennifer sbuffò sonoramente. «Diamine no».
Mi torturai le mani, mordendo il labbro inferiore. «Dovrei chiamare Jenna per dirle dei nostri piani, potrebbe poter avere bisogno di me con i preparativi per domenica» diedi voce ad un altro pensiero, sperando di non averlo fatto quando notai l’espressione seria sul volto della mia amica. La sfoggiava solo in rare occasioni.
«Invece no, Rosalie» dichiarò, sbottando. «Insomma, hai quindici anni?»
«Certo che…»
Mi interruppe bruscamente. «Hai quasi ventidue anni, puoi fare tutto ciò che vuoi senza l’autorizzazione di tua madre».
«Lo so, mi preoccupo solo» dissi.
«Ti stai arrampicando sugli specchi» scosse il capo. «Ascoltami» si sedette al mio fianco, concentrata nel trovare le parole giuste. «Sappiamo entrambe che vuoi sentirti dire che non ci sono problemi se stacchi per un paio di giorni dallo studio» iniziò. «E sappiamo altrettanto bene che Jenna non sarà d’accordo nel saperti qui e tu finirai nel tornare in città per poter di nuovo studiare. Tutto questo per rendere felice tua madre. Ma dimmi la verità, non pensi che sia ora che pensi un po’ di più alla tua, di felicità?»
Ogni parola pronunciata da Jennifer era vera. Sospirai, frustrata. «Non sarà questa breve vacanza a rendermi felice» dissi invece, pentendomene subito. Perché dovevo sempre dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato?
«Qui sbagli» Jennifer scosse di nuovo il capo. «Sono i piccoli momenti a formare la vera felicità, le piccole cose che si ricorderanno sempre».
Mi strinsi nelle spalle, senza sapere cosa dire. Mi sentivo una bambina che faceva i capricci.
«Penso che tu debba goderti questi momenti, perché non torneranno mai più. Non puoi vivere di rimpianti» concluse prima di accennare un lieve sorridere.
Invece era proprio quello che facevo. Da sempre. «Okay» dissi solo, annuendo.

Una mezz’ora più tardi, dopo essere rimasta da sola in camera per riflettere sulle cose che mi aveva detto Jennifer, decisi di scendere per raggiungere gli altri. Trovai solo James in cucina, totalmente assorto a cucinare.
«Che profumino» dissi catturando la sua attenzione. Diedi una veloce occhiata all’orologio appeso al muro, constatando che era l’una passata. Iniziavo ad avere fame e i brontolii che provenivano dalla mia pancia ne erano la prova.
James alzò l’angolo della bocca. «Sto preparando salsicce e purè di patate» mi informò mentre schiacciava una patata, la lingua all’angolo della bocca e i soliti ricci sparsi sulla fronte.
Poggiai i gomiti sul davanzale, che si trovava al centro dell’immensa cucina. «Spero non mancherà il brodo di carne e verdure».
«Ovviamente no» mi rassicurò, illuminandosi in volto l’istante dopo.
Sorrisi. «A proposito, Jennifer e Michael?»
«Sono andati a fare una passeggiata» rispose frettolosamente, versando nel padellino con le patate del latte, iniziando poi a mescolare.
«Capito» conclusi. «Hai bisogno di una mano? Potrei finire di preparare il purè, non sono poi così male».
James scosse il capo. «Assolutamente no. Non si lascia mai cucinare l’ospite» disse. «O perlomeno oggi» aggiunse.
Risi piano. «Insisto, mi annoio con le mani in mano».
Mi lanciò un’occhiata di sottecchi, comprendendo che non avrei mollato e quindi alla fine mi lasciò aiutare. Mentre mescolavo le patate e aggiungevo il latte, il silenzio calò di nuovo nella cucina, facendomi sentire a disagio. «Odio il silenzio» dissi.
James si lasciò scappare una risata. «Io lo trovo rilassante».
«Non capisco come tu possa trovarlo rilassante. Dai, è terribile».
Si strinse nelle spalle. «Non saprei dirti perché, so solo che è così».
Mi passai la lingua tra le labbra secche, lanciando un’occhiata al purè ormai pronto. Spensi il fuoco del fornello e coprii il pentolino con un coperchio, quindi mi sedetti su uno sgabello. Lasciai che il silenzio ci avvolgesse di nuovo, trovandolo ancora una volta irritante. Osservai di sottecchi James mentre cucinava, era attento anche al minimo dettaglio e concentrato al massimo. «Cucini spesso?» gli domandai.
«Non così spesso» ammise. «Solo in occasioni speciali».
«Questa è una di quelle?» Alzai le sopracciglia.
James ridacchiò. «Be’, tecnicamente sto cucinando perché ho una fame da lupi. Se non avessi preso l’iniziativa io, non avremmo mangiato».
Risi di sottecchi. «Uhm, hai ragione».
Mentre lo osservavo in silenzio, notai che aveva un fisico abbastanza scolpito ma asciutto, non eccessivamente gonfio. Si passò una mano tra i capelli e desiderai di essere io a farlo. Scossi il capo, rendendomi conto di pensare cose che non avrei mai potuto fare e che in fondo non volevo fare. Lo conoscevo appena.
«Posso apparecchiare?» Chiesi per distrarmi dai miei stessi pensieri.
«Già fatto» rispose.
«Fantastico» borbottai, alzando gli occhi al cielo.
Lo sentii ridere mentre raggiungevo il portico.
Mi sedetti sul dondolo - ormai parecchio vecchio - e mi lasciai avvolgere dalla tranquillità che questo posto emanava. Avrei dato qualsiasi cosa per vivere in una casa come questa, completamente immersa nella natura e lontana dal caos di Londra.
«Rose!» La voce squillante di Jennifer attirò la mia attenzione.
Quando la raggiunsi con lo sguardo, notai che Michael l’aveva presa per mano e sorrideva con una sincerità disarmante. Era così facile da leggere, Michael. «Eccovi» dissi, sorridendo. «James ha quasi finito di preparare il pranzo, direi che possiamo iniziare a metterci seduti a tavola».
«Ovviamente» Michael mi rivolse un sorriso, porgendomi una mano che afferrai per alzarmi dal dondolo. «Si mangia!» Esclamò facendomi ridere.

«A venti minuti di macchina da qui c’è un lago dove si possono affittare delle barchette» disse Michael mentre eravamo tutti intenti nel mangiare.
«Quindi?» lo invogliai nel proseguire.
«Quindi» riprese, ridendo «che ne dite se appena abbiamo finito di mangiare ci andiamo?»
Non serve dire che Jennifer annuì, entusiasta. «Mi piacerebbe molto».
«Per me è okay» dichiarò James.
E quindi decisero di andarci. Non mi opposi, nonostante l’idea non mi entusiasmasse granché, perché ero più che consapevole di quanto ci tenesse Jennifer. Mi ritrovai a pensare se un’altra amica avrebbe fatto tutto questo.
«Ho trovato alcune vecchie foto del liceo» annunciò dopo pranzo Michael, raggiungendo me e Jennifer in sala. Eravamo distese sul divano a chiacchierare – o è meglio spettegolare? – e si sedette fra di noi per mostrarci le  foto. «Le avevo lasciato nella casa di Londra, credevo fossero andate perdute».
Ne presi una e la osservai attentamente. «Avevo un taglio di capelli orrendo» mormorai schifata, notando il mio cambiamento nel tempo.
«Guarda le mie sopracciglia, allora» Jennifer esclamò, ridendo dopo aver indicato il suo viso. Le sue sopracciglia erano inguardabili, era da ammetterlo.
«Erano bei tempi» Michael rise.
«Già» dicemmo all’unisono io e Jennifer, un po’ nostalgiche.
Nonostante tutto, gli anni del liceo erano stati belli e li avremmo portati sempre nel cuore. Era bello essersi ritrovati con Michael – non so se sarei mai riuscita ad ammetterlo – e mi faceva piacere passarci del tempo insieme.
«Andiamo?» James sbucò dal nulla, facendomi sobbalzare.
Si era cambiato: adesso indossava una tuta nera, una felpa grigia e un capello del medesimo colore. «Sì» risposi io, alzandomi dal divano per poi infilare la giacca.
Il viaggio in macchina fu breve. La guida spericolata di Michael ci permise di arrivare in quindici minuti e, quando finalmente potemmo scendere dalla macchina, tornai ad avere un battito regolare. Mi aveva fatta morire di paura.
«Ma chi ti ha permesso di prendere la patente?» gli chiesi.
«Ammettilo che è stato divertente» Michael rise.
«Soprattutto quando siamo andati quasi a sbattere contro un albero, sì» Jennifer annuì, la voce piena di sarcasmo.
«Col tempo ci si abitua» parlò James.
«Non so se riuscirò mai a farlo» ribattei, stringendomi forte nella giacca. La temperatura doveva essere scesa notevolmente e presto avrebbe anche nevicato, ne ero sicura.
Ci avvicinammo al lago di cui avevamo parlato per tutto il tragitto in macchina. Molte persone erano lì, la maggior parte già sulle barche, ed ebbi l’improvvisa voglia di farci un giro anche io. Ultimamente cambiavo idea molto facilmente: fino a qualche istante fa non avrei voluto essere qui, mentre adesso morivo dalla voglia di essere su una barca.
«Dobbiamo dividerci, purtroppo» Jennifer marcò l’ultima parola, lanciandomi un’occhiata che non riuscii a decifrare.
«Già» Michael annuì. «Sulle barche possono esserci solo due persone alla volta».
Convinta che sarei stata in coppia con la mia amica, le andai vicino e le rivolsi un sorriso sincero. Questa idea mi piaceva sempre di più. «Oh, no» mormorò. «Tu andrai con James, ho già promesso a Michael che sarei andata con lui».
Rimangiai tutto quello che avevo pensato di positivo su questa idea. «Bene» mi allontanai da Jennifer.
«Sarà divertente» mi rassicurò James, facendomi l’occhiolino per poi prendermi sotto braccio.
Ci avviamo verso le barche e, dopo aver pagato e aver ricevuto delle raccomandazioni, saltammo su una barca da cui era appena scesa una coppia di fidanzatini.
«Non è pericoloso?» gli domandai.
«Che potrà mai succedere?» James rise, afferrando i remi prima di iniziare a remare verso l’interno del lago. Delle ciocche di capelli gli ricaddero sulla fronte e quasi allungai la mano per toccarle, ma dovetti trattenermi per non fare la figura dell’idiota. «Hai ancora paura?» mi risvegliò dai miei pensieri, fermandosi improvvisamente.
«No» scossi il capo, guardandomi intorno a disagio. Non dovevo pensare quelle cose. «Perché non remi più?» Cambiai discorso.
Non rispose, si limitò ad osservarmi in silenzio con l’ombra di un sorriso sulle labbra.
«Che c’è?»
«Rosalie, ti metto in imbarazzo in qualche modo?» mi chiese, sorprendendomi. Non accennava ad interrompere il contatto visivo e questa cosa iniziava a mettermi in una posizione alquanto scomoda. Il suo sguardo mi metteva in soggezione.
Dopo qualche istante riuscii finalmente a parlare. «No».
«Mi sembra di sì» continuò ad esprimere le proprie perplessità. «Quando sei insieme a me ti contieni, sembra che ogni tua mossa sia calcolata e che non venga spontanea. Mi dispiace dirtelo, è solo che voglio che ti senti libera di comportarti come vuoi con me».
«Sono io» mormorai semplicemente.
«Che intendi dire?»
«Calcolo tutto nella mia vita, non mi lascio mai andare completamente» risposi. «Un’esperienza che ho vissuto mi ha insegnato a non fidarmi di nessuno, di non mostrare completamente il proprio essere ed è quello che ormai faccio».
James rimase in silenzio e alla fine mi strinse una mano. «Non potresti provare a lasciarti andare, con me?»
Mi passai la lingua tra le labbra secche. Non mi aspettavo una simile conversazione tra noi due, ci conoscevamo appena e in più non comprendevo il suo interessa nei miei confronti. Prima che potessi aprire bocca, scorsi con la coda dell’occhio la barca di Michael e Jennifer venirci incontro, e un istante dopo eravamo tutti e quattro in acqua. 


 
* * *
Buona domenica :)
Sono soddisfatta del capitolo, ditemi voi cosa ne pensate però.
Vi ringrazio per le bellissime recensioni, siete sempre fantastici.
A presto!


Diemmeci

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Capitolo 8
*** Sette ***


Sette


«Non ci credo!» Esclamò Jennifer l’istante dopo essere tornata a galla, un sorriso divertito sulle labbra.
Sorpresa dall’accaduto, mi guardai intorno per notare che James stava lanciando occhiatacce alla mia amica e al fratello, che nel frattempo ridevano per ciò che era appena successo. «Siete impazziti?» Parlai io.
«Non abbiamo mai detto di essere normali» ribatté Michael, schizzandomi l’acqua prima di farmi la linguaccia.
Sembrava un bambino e questo mi fece ridere, ma l’attimo seguente tentai di tornare seria. Ero totalmente bagnata e stavo gelando, non c’era sicuramente nulla di divertente in tutto questo. «Okay» borbottai prima di cominciare a nuotare nella direzione della riva. Ci avrei messo poco a raggiungerla, ci eravamo allontanati di appena qualche metro perché James si era fermato quasi subìto.
James…
La breve conversazione che avevamo avuto mi aveva totalmente sconvolta. Mai e poi mai avrei pensato che quelle parole sarebbe uscite dalla sua bocca, specialmente non adesso che ci conoscevamo a stento.
Non potresti provare a lasciarti andare, con me?
Scossi il capo mentre quella frase rimbombava nella mia testa, uscendo finalmente dall’acqua per poi iniziare a strizzare i capelli e i panni che indossavo. Erano diventati pensanti, quindi fui costretta a togliere la giacca.
«Vuoi fare uno spogliarello?» La voce di Michael mi riscosse dai miei pensieri.
Risi. «Sta’ zitto».
«Bagneremo tutta la macchina» Michael parlò di nuovo, stavolta più con se stesso e sfoggiò un’espressione di puro terrore. «James mi ucciderà stavolta».
«Stai certo che lo farò» James lo rassicurò, serio.
Stavolta guidò James che, fortunatamente, aveva una guida decisamente meno spericolata di quella del fratello. Il viaggio fu silenzioso, nessuno osò parlare ma, nonostante ciò, sentii delle risate provenire da Michael e Jennifer.
Appena arrivammo a casa, ognuno raggiunse la propria stanza.
«Ho bisogno di una doccia» annunciai, recuperando dal bagaglio a mano l’intimo e un cambio.
Jennifer annuì. «Va’ pure, io la faccio dopo di te».
Annuii, recandomi in bagno per potermi lavare. Fu una doccia veloce, ma ebbi altro tempo per rimuginare su quello che era successo con James. Lui aspettava una risposta da parte mia ed io non avevo idea di cosa dirgli in questo momento. Ero così confusa.
Dannazione.
«Ecco fatto» dissi rientrando in camera, sedendomi sul letto.
Jennifer abbozzò un sorriso. «Ho dimenticato di portare il phon» mi informò mordendosi il labbro.
Istintivamente, mi toccai i capelli bagnati. «Ed ora come faccio?» mi lamentai.
«Vai a chiedere a Michael, deve sicuramente averne uno qui» aggiunse velocemente prima di uscire dalla stanza, per evitare sicuramente altre occhiatacce da parte mia.
Roteai gli occhi e, anche se avrei preferito farne a meno, scesi al piano inferiore. C’era un altro lungo corridoio, ma non avevo idea quale fosse la camera di Michael. Bussai alla prima porta ma invano, quindi tentai nuovamente con la seconda e stavolta qualcuno aprì.
James aggrottò le sopracciglia quando mi vide. «Hai bisogno di qualcosa?» Chiese con uno strano tono, quasi come se volesse alludere a qualcos’altro. Forse era così, ma misi da parte questo pensiero.
Di tutte le stanze della casa proprio quella doveva essere la sua? «In realtà, sì» risposi frettolosamente, lasciando così trasparire la mia agitazione. «Avete per caso un phon? Io e Jennifer lo abbiamo dimenticato».
Un sorriso si formò sulle sue labbra. «Sì, ce l’abbiamo».
Annuii lentamente, pressando le labbra per evitare di lanciare un urlo di frustrazione. Non accennava un movimento, si limitava ad osservarmi. «Che c’è?» La mia voce uscì più dura di quanto volessi.
«Si trova nel bagno in fondo al corridoio» disse senza rispondere alla mia domanda. «C’è altro?»  Domandò, visibilmente intenzionato nel chiudere la porta.
Scossi il capo. «No, grazie».

Mi diedi un’ultima occhiata allo specchio e annuii con approvazione: avevo i capelli raccolti in uno chignon trasandato, una semplice tuta e una felpa di almeno tre taglie più grande. Scesi velocemente le scale e un intenso profumo invase le mie narici, quindi mi recai automaticamente in cucina.
«Stai davvero cucinando tu?» Ridendo, mi sedetti su uno sgabello per poi tornare a guardare Jennifer.
Roteò gli occhi. «Questa è la prima e ultima volta, sai quanto odio farlo».
«Lo so».
Borbottò qualcosa di incomprensibile, ma non ci diedi peso.
Michael entrò in cucina e si accomodò al mio fianco, stavolta senza accennare un sorriso come era solito fare. «Che cosa prepari di buono?» Domandò rivolto alla mia amica.
Quando lei si voltò per guardarlo, lo sguardo di Michael si addolcì. «Fish and Chips» rispose con fierezza.
«È di gran lunga la cosa che preferisce mangiare» aggiunsi ridendo.
Michael sorrise, ma qualcosa lo tradì. Forse erano gli occhi, stasera non brillavano e sicuramente qualcosa bolliva in pentola. «Me lo ha detto tante volte».
«Già» mormorai, lasciando la cucina per tornare in camera. Mi sentivo di troppo e preferivo rimanere un attimo da sola.
Non appena misi piede nella stanza, il cellulare iniziò a squillare. Lessi il nome sul display e mi lasciai prendere per qualche secondo dal panico. «Pronto?» La mia voce uscì incerta.
«Rosalie, ti ho chiamato prima ma non hai risposto» Jenna parlò velocemente.
Cercai di riprendere il controllo della situazione, quindi presi un bel respiro prima di aprire bocca. «Scusa, ero insieme a Jennifer» mi giustificai. «Mi hai chiamata per qualcosa in particolare?»
La sentii ridere dall’altro capo del telefono. «Una madre deve avere un motivo preciso per poter chiamare la propria figlia?»
Scossi il capo, nonostante sapessi che non potesse vedermi. «Ovvio che no».
«In realtà» riprese «avrei una cosa da domandarti».
Attesi che continuasse, pietrificata.
«Vuoi unirti a me domani per pranzo?» Mi chiese.
Morsi il labbro inferiore, indecisa se dirle dov’ero o meno. Mentire avrebbe solo peggiorato la situazione, però, quindi optai per la prima scelta. «Sono fuori città al momento» la informai con tono fermo. «Due amici hanno invitato me e Jennifer in campagna per un paio di giorni, torniamo domani sera».
«E come ti sei organizzata con lo studio?»
Se avessi continuato a torturarmi il labbro in questo modo, avrei iniziato a sanguinare. Presi un altro lungo respiro. «Ho bisogno di un paio di giorni di relax, Jenna. Questa è l’occasione perfetta per allontanarsi un po’ dai libri».
«Tra meno di due settimane  avrai l’esame più importante dell’anno» iniziò, la voce seria e contraria «e tu pensi di avere il beneficio di allontanarti dai libri?» Quasi urlò, utilizzando le parole che avevo pronunciato contro di me.
Chiusi gli occhi, sospirando. Sapevo che sarebbe andata così, avrei fatto meglio a mentirle. «Sono soltanto due giorni».
Jenna sospirò, proprio come me. «Sono delusa da questo tuo atteggiamento. In fondo dovresti solamente sforzarti per altre due settimane, non mi sembra tanto».
Sentivo gli occhi pizzicare, le lacrime minacciavano di uscire. Non capiva. «Devo andare adesso, ci vediamo domenica» mantenni il tono fermo, sorprendendomi di me stessa. Ero stufa di questa reazione negativa che aveva ogni volta, di tanto in tanto mi avrebbe fatto piacere avere il suo supporto.
«Dovresti tornare a casa e studiare» si limitò a dire, attaccando.
Non riuscii a trattenere l’urlo di frustrazione che fino a poco fa tentavo di tenere dentro di me. Le lacrime bagnavano il mio viso e le parole di mia madre iniziarono a perseguitarmi. Proprio come succedeva ogni volta.
Sono delusa da questo tuo atteggiamento.
Dovresti tornare a casa e studiare.

No, stavolta non avrei fatto come voleva lei, ma sarei rimasta qui per dimostrarle che avevo iniziato a fare di testa mia. Avevo quasi ventidue anni, non ne avevo più quindici. Jennifer aveva ragione quando mi ripeteva di ribellarmi, di alzare la voce per farmi ascoltare. Così avrei fatto.
«Rosalie, la cena è pronta» James irruppe nella camera, fermandosi sul posto quando notò che stavo piangendo.
Cercai di asciugare velocemente la lacrime, ma ormai era inutile: avevo sicuramente gli occhi arrossati. «Non è niente» dissi prima che potesse fare domande. «Piccola discussione con mia madre, le solite cose».
Si avvicinò in silenzio e prese il mio viso tra le mani, puntando lo sguardo nel mio. Mi asciugò le guance ancora bagnate con i pollici e alla fine sorrise. «Così stai meglio».
Chi avevo di fronte a me? E perché mi faceva questo effetto? Ci conoscevamo appena eppure scatenava in me emozioni che avevo tentato di mettere da parte per molto tempo. «Grazie» mormorai tirando su col naso. Quello che era accaduto l’istante prima era scomparso, come se lo avessi dimenticato. Solo grazie ad un suo sguardo. «Hai detto che è pronta la cena?» Mi riscossi dai miei pensieri, rivolgendogli un sorriso pieno di gratitudine.
Annuì. «Sì».
Mi passai una mano tra i capelli, facendomi un passo indietro.
«Sei sicura che è tutto apposto?»
«Più o meno» mi strinsi nelle spalle, dando voce ai miei pensieri. «Ti dispiacerebbe non fare parola di questo, per piacere?»
«Rimarrà il nostro segreto» mi rassicurò.
Sorrisi ancora una volta prima di seguirlo fuori dalla camera.

Dopo l’ottima cena preparata da Jennifer, raggiunsi il portico per farmi avvolgere dalla tranquillità della campagna inglese. Era quello di cui avevo bisogno al momento, dato che avevo la mente affollata di pensieri che mi tartassavano. Non feci persino caso al silenzio, che in altre circostanze mi avrebbe infastidita.
«Disturbo?» La voce di James mi fece sobbalzare.
Stropicciai gli occhi e scossi il capo.
Si sedette al mio fianco. «Non hai freddo?» Mi domandò con una punta di incertezza, come se stesse soppesando le parole da pronunciare. Mi lasciai scappare una risata e indicai la coperta che avvolgeva il mio corpo. «Giusto» aggiunse, scuotendo il capo.
Sospirai varie volte, tentando disperatamente di riempire l’assenza di rumore che ci aveva circondati. Mi soffermai nell’osservare la veranda per passare il tempo: mi resi conto che era la tonalità rossa regnava, lo stesso per il dondolo e persino il pavimento. Non ci avevo fatto caso, neanche la prima volta in cui ero stata qui.
«Perché il rosso?» Chiesi rinunciando una volta per tutte al gioco del silenzio.
James si guardò intorno: era palese che non ci facesse più caso. «Era il colore preferito di mia nonna» rispose senza pensarci due volte. «Mio nonno fece scegliere i colori a lei, quindi ecco il risultato».
«Wow».
James accennò un sorriso appena visibile, stringendosi nelle spalle, e alla fine si voltò a guardarmi. «Stai bene?» La sua domanda mi sorprese. Tanto.
«Sono abituata».
«Non è una giustificazione valida» ribatté. «Puoi ammettere di non stare bene, questo non ti farà apparire una pappamolle».
«Suppongo che tu abbia ragione» sospirai.
«Hai intenzione di dirmi che cosa è successo con tua madre?» Mi chiese.
Ancora una volta mi sorprese: era davvero interessato a ciò che mi dava il tormento. Soffocai un sorriso. «Abbiamo discusso per l’argomento studio» mentre pronunciavo l’ultima volta, feci il segno delle virgolette e sfoggiai un’espressione scocciata. Lo ero davvero. «Lei pretende da me il meglio, lo ha sempre fatto, ma nell’ultimo periodo è diventata opprimente e alla fine sono scoppiata».
«Si è arrabbiata perché sei qui, perché pensa che due giorni lontana dallo studio nuoceranno all’esame» tentò.
Annuii. «Esatto».
«Le hai cercato di far capire che hai bisogno di una stacco?» Non smetteva un attimo di guardarmi ed io non abbassavo lo sguardo, come ero solita fare.
«Certo, ci provo ogni volta» sospirai.
«Penso che tua madre sia molto apprensiva nei tuoi confronti e che quindi non agisca con nessun tipo di cattiveria, semplicemente si preoccupa più di quanto dovrebbe» disse.
«Forse anche troppo» borbottai. «Non fraintendermi, le voglio bene e tengo molto al suo parere, ma a volte preferirei che non si intromettesse nei miei affari. Sono abbastanza grande ormai, forse questo ancora deve capirlo».
«Proprio perché tieni al suo parere ci rimani male».
«Già».
Lui annuì e non aggiunse altro. Parlarne mi aveva aiutata, avrei dovuto farlo più spesso per evitare di scoppiare. Lasciarsi tutto dentro non faceva altro che male ed era proprio quello che facevo io. Era diventata un’abitudine, una strana abitudine.
«Quanti anni hai, James?» Gli chiesi, rendendomi conto di non sapere nulla sul suo conto. In più, dovevo cambiare il soggetto del discorso, non mi piaceva particolarmente stare al centro dell’attenzione.
«Ventisette» rispose, passandosi una mano tra i capelli.
«Io quasi ventidue».
James mi sorrise e come ogni volta il mio cuore fece una capriola. Dannazione, non era così che doveva andare. «Lo so».
«Come fai a saperlo?» Inarcai un sopracciglio.
Si lasciò scappare una risata. «Jennifer parla molto di te, tutto qui».
Morsi di nuovo il labbro ed annuii.
«Quand’è il tuo compleanno, allora?» Si voltò completamente nella mia direzione e lo stesso feci io, senza provare il minimo imbarazzo.
«Manca parecchio» ridacchiai, pensandoci. «Il nove marzo» soggiunsi.
Lui annuì, ancora una volta senza abbassare lo sguardo o volgerlo altrove. Era tornato serio e, come aveva fatto lo stesso pomeriggio, poggiò una mano sulla mia. «Mi devi una risposta» rammentò, alludendo alla domanda che mi perseguitava da ore.
Deglutii silenziosamente. «Ti conosco appena, come puoi pretendere che io mi apra con te?» Diedi voce ad un mio dubbio.
«Non sto pretendendo niente» premise, facendo poi intrecciare le nostre dita. «In te c’è qualcosa che mi fa uno strano effetto, voglio essere sincero, e vorrei conoscerti meglio prima di tornare a Preston. Ti ho chiesto di aprirti con me così velocemente perché non abbiamo molto tempo a disposizione, in altre circostanze avrei aspettato di più».
La sua spiegazione perdeva acqua da tutte le parti ed ero certa che ci fosse qualcos’altro sotto, perché la possibilità di conoscerci nonostante la lontananza c’era. Aggrottai le sopracciglia, tornando con la mente al motivo per cui erano davvero a Londra. Era tutto un grandissimo punto di domanda ma, nonostante ciò, aumentai la stretta della mia mano intorno alla sua e annuii. Volevo fidarmi, non aprivo i miei sentimenti a qualcuno da troppo tempo e avrei rischiato di scoppiare ancora se non avessi tentato, se non mi fossi buttata a capofitto in questa cosa. «Mi aprirò con te» esordii «a patto che tu faccia lo stesso con me».


 
* * *
Ehilà :)
Ho trovato un buco per poter aggiornare ed ecco qui, sempre con la speranza che sia di vostro gradimento.
Sono abbastanza soddisfatta del capitolo, ma attendo con ansia i vostri pareri. Sono importanti e vi
ringrazio di cuore per tutte le bellissime parole che ogni volta mi scrivete. Questo mi sprona sempre a continuare  e ve ne sono infinitivamente grata.
Be', detto questo mi congedo.
A presto :)


Diemmeci

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Capitolo 9
*** Otto ***


Otto


Il mattino successivo fui svegliata da un raggio di sole che penetrava dalle persiane. Mi stropicciai gli occhi e mi tirai pigramente a sedere, notando di trovarmi nella stanza degli ospiti senza ricordare come ci fossi arrivata. Volsi lo sguardo verso Jennifer, che dormiva beatamente, così cercai di fare meno rumore possibile per raggiungere la porta.
Mi diedi un’occhiata all’enorme specchio attaccato alla parete del corridoio, constatando di essere vestita come la sera precedente: mi ero addormentata e James mi aveva portata qui, questa era l’unica spiegazione. Sorrisi al pensiero, sentendomi di nuovo un’adolescente alle prese con la prima cotta.
«Buongiorno» esordii entrando in cucina.
C’era solo Michael, che mi fece un cenno col capo. «Dormito bene?»
Annuii. «Benissimo».
Mi porse una tazza con del caffè fumante. «Jennifer sta ancora dormendo?»
Bevvi un sorso del liquido caldo. «Sì, dorme come un ghiro. Avete per caso fatto le ore piccole?»
Michael sorrise, ma non c’era traccia di divertimento nel suo gesto. «Proprio come te e James».
Mi aveva appena lanciato una frecciatina. Che cosa stava succedendo? Michael era strano dalla sera precedente, era possibile che fossi stata l’unica ad averlo notato? O forse solo con me si comportava in modo diverso? «Abbiamo chiacchierato in veranda, tutto qui» mi giustificai per destare qualsiasi sospetto.
Stava rimuginando su qualcosa e fu sul punto di parlare, ma esitò e alla fine tacque. Ebbi l’improvvisa voglia di domandargli cosa c’era che non andasse, ma l’entrata di James mi fece morire le parole in gola. «Ehilà» disse sorridendo, versando del caffè in una tazza.
Mi limitai a ricambiare il sorriso mentre Michael gli diede una pacca sulla spalla prima di congedarsi.
Continuai a sorseggiare in silenzio il mio caffè, che ormai aveva fatto effetto e mi aveva svegliata completamente. Rispetto gli altri giorni mi sentivo più riposata ed era una bella sensazione. Non avevo pensieri per la mente, niente che mi desse fastidio. Aver preso uno stacco dallo studio si stava rivelando un’ottima decisione.
James poggiò i gomiti sul bancone della cucina, serio in volto. I suoi improvvisi cambiamenti d’espressione non mi sorprendevano più di tanto adesso. «Ho una cosa proporti» parlò.
«Sono tutta orecchie».
«Lasciamo questo posto prima del previsto e andiamo ad una degustazione di vini» mentre diede voce ai propri pensieri il suo sorriso crebbe maggiormente. L’attimo prima era serio e l’attimo dopo sembrava la persona più felice del mondo. A volte non lo capivo.
Esaminai la sua proposta e sorrisi, era inevitabile non farlo. «Sembra una bella idea».
James rise di gusto.
«Cosa c’è di tanto divertente?» Inarcai un sopracciglio, sentendomi presa in giro.
«Scommetto che non sei mai stata ad una degustazione di vini» spiegò il motivo della sua risata.
Sapevo di essere arrossita nonostante non potessi vedermi. Mi passai freneticamente una mano tra i capelli prima di ricompormi. «E allora?» La mia voce uscì decisa. «Non ne ho mai avuta l’occasione».
«Già, lo pensavo» mormorò più a se stesso che a me. «Potresti non farne parole con Jennifer e Michael? Non vorrei che se la prendano perché ce ne andiamo prima, dato che avevo sentito che gli avrebbe fatto piacere fare un barbecue».
«Ovviamente».
Sorrise. «Diremo loro che siamo entrambi stanchi e che preferiamo tornare prima».
Annuii e terminai il caffè prima di poggiare la tazza nel lavello.
«Come va, comunque?» Chiese, eseguendo la mia stessa azione.
Lo guardai senza capire, ma la telefonata con mia madre del giorno precedente inondò la mia mente. Compresi il motivo della sua domanda e mi strinsi nelle spalle. «Come ieri, credo».
Come la sera precedente si limitò ad annuire. Non era il tipo di persona che parlava quando non ce n’era bisogno, questo lo avevo notato. Alle parole preferiva il silenzio, uno sguardo o un semplice contatto.
Mi risvegliai dai miei pensieri. «Dove si terrà la degustazione di vini?» Gli domandai, incuriosita.
«In una cantina, in centro».
«Oh, okay» annuii, incerta ma curiosa allo stesso tempo.

Dopo pranzo mi congedai per rimanere un po’ da sola.
Avevo la mente affollata di pensieri riguardanti James. Che cosa stavamo facendo?
Ero consapevole del fatto che non fosse accaduto ancora nulla di eclatante, c’erano state solo parole e piccoli gesti, ma era bastato questo a scatenare in me qualcosa. Qualcosa di intenso e dal quale avevo sempre cercato di tenermi alla larga. I sentimenti che reprimevo da tempo stavano tornando a galla pian piano, ogni volta che passavo del tempo insieme a James avvertivo il cambiamento.
Questo era il chiaro segno che mi diceva di prendere le distanze prima di farmi del male, ma stavolta era diverso. C’era qualcosa in lui che mi spingeva a continuare questa conoscenza.
Oh, James…
Mi trovavo distesa sul letto, perciò mi tirai a sedere e sbuffai.
Non mi piaceva trovarmi in queste situazioni. Non mi piaceva che il mio umore dipendesse da qualcuno che non ero io. Era per questo che mi allontanavo ogni qualvolta che iniziavo a provare dei sentimenti.
Avevo fatto bene a buttarmi in questa esperienza prima di ragionarvi su?
Scossi il capo, priva di risposta.
Sospirai, completamente frustrata, e mi alzai dal letto per prendere il cellulare che si trovava sul comodino accanto al letto di Jennifer. Non avevo la minima idea di come ci fosse finito lì e non ci badai molto. Controllai i messaggi, sperando che ce ne fosse uno di mia madre.
Niente, zero messaggi da parte sua.
Una piccola parte di me sperava che prima di domenica questa faccenda si risolvesse, ma adesso non ne ero più così sicura. Jenna avrebbe dovuto fare il primo passo, era lei che si trovava dalla parte del torto. Io le avevo semplicemente detto di aver bisogno di un paio di giorni di relax e lei mi aveva attaccata. Come sempre, d’altronde.
In una sola settimana il mio mondo si era stravolto: l’arrivo di James in primis e poi la litigata con Jenna a soli pochi giorni dall’esame finale, il più importante dell’anno.
Ero confusa, come non lo ero da molto tempo.
 E odiavo esserlo, perché non mi piaceva non avere in mano la situazione.

Ancora completamente persa nel mio flusso di pensieri, Jennifer irruppe in camera a passo veloce, facendomi prendere uno spavento.
«Jennifer!» Esclamai, poggiando una mano sul petto prima di scoppiare a ridere. «Avresti potuto bussare prima di entrare in questo modo. Mi hai fatto prendere un colpo».
Abbozzò un sorriso dispiaciuto. «Avrei dovuto, sì».
La vidi cambiare espressione in una frazione di secondo prima di sedersi accanto a me sul letto. Era seria, quindi doveva dirmi qualcosa di importante. «Cosa c’è che non va?» Le domandai immediatamente.
«Ho parlato con James» iniziò, facendomi gelare il sangue. Le aveva detto quello che stava accadendo tra di noi? «Mi ha raccontato che cosa è successo con tua madre e mi ha praticamente costretta a venire a parlarti».
Gli avevo espressamente chiesto di non fare parola dell’accaduto e lui invece, anche dopo avermelo promesso, lo aveva riferito a Jennifer. Morsi il labbro inferiore, avvertendo il fastidio crescere dentro di me.
«Non te la prendere con lui, ha aggiunto subito dopo che gli avevi chiesto di non dire nulla e che si sentiva in colpa a farti questo» si precipitò a dire Jen. «Me lo ha rivelato solo perché ti ha vista parecchio giù, è stato un gesto gentile da parte sua».
Presi un lungo respiro, senza rispondere.
«Era fermamente convinto che avessi bisogno di me».
«Davvero?» Finalmente riuscii a parlare.
«Sì, pensa che tu abbia bisogno di sfogarti su questa faccenda, che avresti peggiorato la situazione se avessi tenuto tutto dentro».
Oh…
«Ha ragione?»
Le parole uscirono di getto dalle mie labbra. «Jen, io sono stanca di tutta questa faccenda. Ho provato a farle capire la situazione dal mio punto di vista, ci ho provato tante di quelle volte che ormai ho perso il conto, ma a lei non sembra importarle. Continua a ripetermi di studiare, di studiare e di studiare!»
Lei annuì, concentrata su ciò che le stavo dicendo.
«Sembra che lo studio sia l’unica cosa che le interessi veramente, ma so che in fondo non è così ed è questo che mi fa arrabbiare maggiormente. Lei non fa il minimo sforzo per provarmi il contrario o magari a volte ci prova, ma poi torna tutto com’era l’attimo prima».
Jennifer mi circondò le spalle con un braccio. «Forse dovresti spronarla tu nel dimostrarti che sotto in realtà c’è dell’altro, non credi?»
«Ci ho provato» dissi. «Non mi hai ascoltata? Ci ho provato più volte di quanto tu possa immaginare».
«Devi tentare un’ultima volta, non perdere la speranza proprio adesso» Jen sospirò. «Domenica prendila in disparte e parlarle, tira fuori tutto ciò che ti turba una volta per tutte. Mi hai capito?»
Annuii. «E se dovesse avere la solita reazione? Poi cosa dovrei fare?»
«Questo non so dirtelo, ma adesso non pensarci. Cerca di avere solo pensieri positivi riguardo questa questione».
«Ci proverò» le promisi.
Mi strinse in un veloce abbraccio e sospirò di nuovo, alimentando i miei sospetti. Avevo notato che c’era qualcosa che stava tenendo per sé, me ne ero accorta non appena aveva messo piede in camera.
«Devo dirti una cosa» parlò prima che avessi la possibilità di farlo io.
Repressi un sorriso: la conoscevo bene. «Lo sospettavo».
Accennò appena un sorriso. «Nell’ultimo periodo è diventato ancora più difficile stare lontana dai miei genitori» iniziò «e questo mi ha dato molto da pensare. Voglio riprendere i contatti con loro, vederli quando è possibile. Mi mancano così tanto, non puoi nemmeno immaginare».
«Invece posso» le strinsi una mano. «Hai preso la giusta decisione».
«Dopo l’esame vorrei andare a Ennis per poterci parlare e chiarire una volta per tutte. Abbiamo tutti e tre perso qualcuno che amavamo e sarebbe l’ora di affrontarlo insieme».
«Certo».
«Ovviamente dovranno accettare la mia decisione di rimanere a Londra» aggiunse ridendo, asciugandosi le lacrime che le avevano bagnato il viso.
Risi anche io. «Ovviamente».
Nonostante non fossi una grande patita degli abbracci, avvolsi Jennifer tra le mie braccia per trasmetterle il bene che le volevo. Mi era sempre dispiaciuto per la sua situazione con la famiglia – che era nettamente più grave della  mia – e, adesso che aveva preso questa decisione, mi sentivo più sollevata.
Quando i suoi genitori avevano deciso anni prima di tornare ad Ennis, Jennifer frequentava il secondo anno di superiori e, ancora scossa per la morte del fratello, si era opposta con tutte le proprie forze e alla fine li avevi convinti a rimanere almeno fino alla fine del liceo. Decise solo allora che le sarebbe piaciuto proseguire gli studi qui, a Londra, ed era chiaro che ai genitori non piaceva l’idea.
Se non avessi proposto io di affittare un appartamento insieme, probabilmente a quest’ora si troverebbe in Irlanda. Il solo pensiero di averla lontana mi fece venire un nodo allo stomaco, ero abituata alla sua presenza costatante.
«Stai piangendo?» La voce della mia amica mi fece tornare al presente.
Mi allontanai, cercando di ricompormi. «Commuoversi è forse un reato?» Incrociai le braccia al petto dopo aver asciugato le lacrime.
«Certo che no» Jennifer rise, contagiandomi velocemente. «Adesso basta con queste storie strappalacrime, pensiamo invece al fatto che ti sei già messa d’accordo con James per andartene tra un paio d’ore».
Roteai gli occhi. «Almeno tu e Michael avrete un po’ di tempo da passare insieme, senza alcuna interruzione stavolta».
Lei rise di nuovo. «Forse hai ragione» si alzò e, prima di uscire dalla stanza, mi fece l’occhiolino.

«Ci vediamo stasera» Jennifer mi sorrise, porgendomi la borsa a mano che buttai su sedili posteriori della macchina di James.
Annuii. «Divertitevi voi due».
«Puoi contarci» rise piano.
Roteai gli occhi. Era possibile che alludesse sempre al sesso quando parlavamo di Michael? «Jen, per favore» la supplicai di smettere, infatti capì al volo e tornò seria.
«Sto scherzando» incrociò le braccia al petto. «Ci divertiremo di sicuro, abbiamo in programma di guardare un film e stare sul divano, nient’altro».
«Va bene» abbozzai un sorriso, aprendo poi la portiera della macchina per poi salire. Abbassai il finestrino e rivolsi uno sguardo d’intenso alla mia amica. «Mi raccomando».
Mi fece la linguaccia, allontanandosi velocemente prima di chiudersi la porta di casa alle spalle.
Sospirai, guardando di sottecchi James. «Non partiamo?» Chiesi, l’impazienza nella mia voce era tangibile.
Senza rispondere, mise in moto la macchina e si inserì nella strada. Aveva dovuto attendere più del previsto, perché Jennifer mi aveva trattenuta a lungo cercando di convincermi a rimanere fino alla sera. «Sembri nervosa» finalmente parlò, interrompendo il silenzio che era calato nell’abitacolo.
«Non lo sono» mi limitai a dire, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino. Il sole era calato da parecchio e la campagna inglese era illuminata dalle luci che provenivano dalle case. Era un paesaggio mozzafiato, che mi affascinava sempre senza un perché. Mi piaceva e basta. «Forse un po’» ammisi qualche secondo dopo, torturandomi il labbro inferiore.
James si lasciò scappare una risata. «Non devi essere nervosa con me» mi tranquillizzò subito dopo.
«Non so come comportarmi» tirai fuori la mia incertezza più grande, quella che mi condizionava quando mi trovavo con lui. Mi vergognai immediatamente nell’averglielo rivelato, ma ormai non potevo tornare più indietro. Avevo promesso che mi sarei aperta con lui e così avrei fatto.
Si passò una mano tra i capelli e l’ombra di un sorriso gli sfiorò le labbra. «Sii solo te stessa».


 
* * *
Ciao a tutti :)
Sono in ritardo, perdonatemi. Non ho molto tempo da dedicare alla scrittura, ma spero che durante le vacanze natalizie riuscirò ad andare avanti più velocemente. Lo spero vivamente.
Be', passando al capitolo... Che cosa  ve ne sembra? A me piace parecchio, spero che sia lo stesso per voi.

Le vostre opinioni sono importantissime.
E niente, aspettando un vostro parere.
Ci tengo a ringraziare chi legge anche senza commentare, perciò grazie mille.
A presto :)


Diemmeci

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Capitolo 10
*** Nove ***


Nove


«È davvero una cantina!» Urlai con sorpresa, coprendomi la bocca con le mani l’istante dopo.
Mi guardai intorno, rendendomi conto di essere il centro dell’attenzione della maggior parte della persone presenti nella stanza. Guardai James, che rideva sommessamente. «Pensavo scherzassi quando lo hai detto» mi giustificai, lanciandogli un’occhiataccia che, invece di intimorirlo, alimentò il suo divertimento.
«Non scherzavo, no» scosse il capo, ridendo.
Morsi il labbro inferiore, sollevata che nessuno mi stesse più guardando. Dovevo sempre farmi riconoscere. «Allora, mi fai assaggiare qualcosa?» Gli chiesi per cambiare argomento, sfoggiando un sorriso sincero.
Ci incamminammo verso un angolo dell’enorme stanza, dove era posizionato un tavolino sul quale erano esposte varie bottiglie di vino e dei calici. «Ho dimenticato di dirti un dettaglio importante» mormorò.
«Cosa?»
«Sono esclusivamente vini italiani» rispose prontamente. «Mi piacciono particolarmente ed ho pensato che ti avrebbe fatto piacere assaggiarne qualcuno».
Annuii. «È così, infatti».
Un’espressione di sollievo si disegnò sul suo volto. «Bianco o rosso?» Domandò, afferrando un calice.
«Rosso» optai per la seconda scelta.
James annuì ed iniziò a scrutare i vini esposti sul tavolino, le sopracciglia aggrottate e l’espressione concentrata. Alla fine afferrò una bottiglia e versò il liquido nel calice che teneva con l’altra mano, porgendomelo con aria soddisfatta. «Questo è il Brunello di Montalcino» disse. «Lo preferisco a tutti gli altri».
La sua pronuncia italiana mi sorprese, ma misi questo pensiero da parte per ora. Bevvi un sorso del vino e constatai che fosse di gran lunga uno dei migliori che avessi mai avuto il piacere di assaggiare. «Mi piace» sorrisi in segno di approvazione. «Hai un buon gusto in fatto di vini, devo concedertelo».
James si lasciò scappare una risata. «Be’, ti ringrazio».
Terminai con un altro paio di sorsi il vino nel calice. «Tu non bevi?» Gli domandai, rendendomi conto solo ora che non aveva assaggiato neanche una lacrima di vino.
Scosse il capo. «Devo guidare, quindi per questa sera solo tu potrai godere di questi buonissimi vini».
«Oh, giusto».
Sorrise, accarezzandomi velocemente la guancia prima di volgere lo sguardo sui vini. Fu un contatto veloce, ma che scatenò dentro di me delle emozioni che non provavo da tempo. Sorrisi spontaneamente.
«Ne vuoi assaggiare un altro rosso?» Mi risvegliò dai miei pensieri.
Mi limitai ad annuire.
«Il Chianti Classico anche è uno dei miei preferiti» annunciò, porgendomi di nuovo il calice.
«Anche se il Brunello di Montalcino è a capo della lista, giusto?» Risi, assaggiando anche quest’altro vino. Un’altra esplosione di piacere per le mie papille gustative, decisamente.
James rise.
«Avrei dovuto partecipare ad una degustazione di vini tempo fa» dissi. «Sono uno più buono dell’altro, dannazione» imprecai, finendo velocemente il liquido.
«Avresti dovuto, sì» James si passò una mano tra i capelli e sospirò, senza smettere di guardarmi negli occhi. «Hai le guance rosse, penso che tu non regga facilmente l’alcol».
«No, lo reggo» ribattei subito dopo.
«Te ne faccio assaggiare solo un altro» disse con un tono che non ammetteva repliche. «Stavolta bianco» soggiunse.
Tornai con la mente al nostro primo incontro, senza riuscire a non sorridere. La decisione del vino da scegliere per la cena era stato il primo argomento di cui avevamo parlato. Spostai lo sguardo su James, che mi rivolse un sorriso radioso.
«Montepulciano d’Abruzzo» disse, alludendo al vino.
Gli sorrisi, assaggiando anche questo. «Non ti smentisci mai» dichiarai, approvando come avevo fatto con gli altri due.

La cantina calda ed accogliente fu solo un lontano ricordo quando mettemmo piede fuori dal locale. Una boccata d’aria fresca mi colpì in pieno volto, costringendomi così a stringermi maggiormente nella giacca.
«Quindi» James prese parola prima ancora di iniziare ad incamminarsi «ti è piaciuta la tua prima degustazione?»
«Molto» ammisi con sincerità, annuendo.
Abbozzò un sorriso prima di tornare a guardare di fronte a sé.
Una familiare sensazione si fece spazio dentro di me a quel gesto. Era possibile provare qualcosa di così intenso per una persona che si conosceva a malapena? Scossi il capo per scacciare quel pensiero, non era il momento adatto per perdersi nella propria mente.
«A cosa stai pensando?» La sua voce mi riscosse.
«A nulla» dissi frettolosamente.
James rise piano prima di tornare serio. «Ti sei pentita, non è vero?»
Mi bloccai sul posto, incrociando le braccia al petto. «Perché pensi questo?» Risposi con un’altra domanda, indignata.
Aprì le labbra e le richiuse, visibilmente sorpreso dalla mia reazione. Lo ero anche io, ma non lo diedi a vedere.
«Allora?» Lo incitai a parlare.
Si passò una mano sul mento per poi infilare le mani nelle tasche dei jeans. «Non riesci ad essere sincera con me, sembra che tu non voglia aprirti. Ecco perché lo penso».
Non mi aspettavo una risposta del genere, infatti rimasi senza parole. Aveva ragione, non riuscivo ad essere completamente onesta con lui e il motivo per cui ciò accadeva era chiaro nella mia mente.
«Non ho dimenticato ciò che mi hai raccontato al lago» proseguì, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «L’esperienza che hai vissuto ti sta frenando in qualche modo. Non so come, ma lo sta facendo».
«Lo so» riuscii a mormorare.
«Rosalie» riprese «io voglio conoscerti per come sei realmente. Voglio abbattere il muro che hai davanti, quello che sta nascondendo la tua vera indole».
Continuai a guardarlo negli occhi, stavolta senza provare vergogna.
«Forse hai solo bisogno di raccontarmi questa esperienza per andare avanti» terminò il proprio discorso, passandosi una mano tra i capelli prima di rivolgere lo sguardo altrove.
Pressai le labbra, ripensando a ciò che mi aveva appena detto.
James sembrava sincero, sapevo di potermi fidare di lui nel profondo. Se avessi deciso di parlargli di ciò che mi stava frenando, mi sarei sbloccata e sarei riuscita a superarlo. 
«Te lo devo» finalmente trovai le parole.
«Non sei obbligata a farlo adesso».
«Invece sì» ribattei prontamente. «Voglio che tu sappia perché mi comporto in questo modo, quindi ti parlerò di questa esperienza che ho vissuto tanti anni fa. Probabilmente penserai che è da stupidi farsi condizionare da qualcosa del genere, ma penso che raccontartela mi aiuterà davvero ad andare oltre».
Scorsi l’ombra di un sorriso sulle labbra di James, che si limitò ad annuire prima di proporre di parlare davanti ad una tazza di cioccolata calda. Ci dirigemmo al bar più vicino, sedendoci comodamente al caldo. Più passavano i minuti e più ero convinta che mi avrebbe fatto sentire meglio aprirmi con James.
Era la giusta decisione.
«Di che tipo di esperienza parliamo?» Mi chiese.
«In linea generale è una delusione d’amore» dissi, evitando il suo sguardo mentre pronunciavo quelle parole. «Sembra una stupidaggine, ma ha influito particolarmente sul mio modo di essere oggi».
«In che modo?» James poggiò i gomiti sul tavolino, senza distogliere lo sguardo da me.
«Mi ha resa insicura, tanto»
«Raccontami tutta la storia» disse, tornando a poggiarsi allo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto.
Non avendo mai parlato di questa storia, cercai di ricapitolarla nella mia mente per capire da dove iniziare.
«Be’» esordii, schiarendomi la gola un po’ esitante «okay».
James annuì, facendomi capire che stava aspettando.
«Conobbi Caleb durante l’ultimo anno di liceo» iniziai. «Cercai da subito di farlo sentire a proprio agio, dato che si era appena trasferito a Londra, e gli presentai i miei amici. Così iniziò ad uscire con noi ed una sera, mentre mi stava riaccompagnando a casa, mi invitò ad un appuntamento».
Bevvi un sorso di cioccolata prima di proseguire.
«Fui titubante all’inizio, non credevo di interessarli in quel senso e per di più io stessa non ero interessata ai ragazzi ai quei tempi, ma accettai comunque. Mi sembrò un ragazzo a posto, quindi decisi di dargli una possibilità, insomma».
Feci una pausa, constatando quanto mi fossi sbagliata nel giudicarlo.
«Iniziammo a frequentarci e, dopo parecchio tempo durante il quale avevo avuto l’occasione di conoscerlo realmente, mi convinsi che non era la persona giusta per me. Caleb era un ragazzo fuori dalle righe, devi credermi. Non era per niente come mi era parso inizialmente».
Sospirai pesantemente.
«Il problema fu che me resi conto troppo tardi».
James aggrottò la fronte alle mie parole, quindi provai a spiegarmi meglio.
«Mi innamorai di lui, James, ed iniziai a non rendermi conto di molte cose» dissi. «Mi resi conto troppo tardi che, con le sue continue critiche sul mio modo di essere, mi aveva fatto pensare che fossi inutile e stupida. E sai la parte più brutta qual è stata?»
Lui scosse il capo, la fronte ancora aggrottata.
«Iniziai davvero a sentirmi così, con la costante paura di dire o fare qualcosa di sbagliato».
«Quindi hai smesso di lasciarti andare per paura di vivere di nuovo qualcosa del genere» James pensò ad alta voce, quasi non badando a me. «E tutto questo per colpa di un coglione che non ti meritava affatto» terminò, guardandomi di nuovo negli occhi.
Mi fece ridere il modo in cui aveva chiamato Caleb. «Proprio così» annuii. «Mi rendo perfettamente conto di quanto possa sembrare stupido come motivo, ma ero facilmente influenzabile a quei tempi».
«E adesso come sei, Rosalie?»
«Ottima domanda» dissi, passandomi una mano tra i capelli per poi bere un altro sorso di cioccolata, che ormai si era raffreddata. «Ho imparato ad essere più sicura di me stessa sotto alcuni punti di vista, ma per quanto riguarda le questioni che includono dei sentimenti sono ancora al punto di partenza».
«Stasera sei stata onesta con me, direi che il punto di partenza sia stato superato» James abbozzò un sorriso.
«Mi sento più leggera» ammisi.
«Rosalie, quando sei insieme a me non pensare troppo prima di parlare, di’ tutto ciò che ti passa per la testa e non aver paura di sbagliare» mormorò tutto d’un fiato. «Quello che sto cercando di dirti è che mi piaci così come sei».
Sapevo di essere arrossita, ma non ci badai. «Mi piaci anche tu, James».

«Sono stato bene stasera» James mi sorrise di nuovo, accostando con la macchina di fronte il mio palazzo.
«Anche io» dissi, voltandomi verso di lui. «Mi sono tolta un peso e non immagini quanto io te ne sia grata».
Si strinse nelle spalle. «Hai davvero bisogno di qualcuno che ti faccia battere di nuovo il cuore, Rosalie» mormorò, avvicinandosi pericolosamente.
«Ah, sì?» Dissi in un sussurro, deglutendo per l’agitazione.
Chiusi gli occhi quando mi resi conto che si stava avvicinando ancora di più e venni travolta da un’ondata di emozioni al solo pensiero di baciarlo. Riuscivo a sentire il suo respiro sulla mia pelle e, un attimo prima di sentire finalmente le sue labbra sulle mie, qualcuno bussò al mio finestrino, facendomi prendere uno spavento.
Michael e Jennifer ci stavano guardando con un’espressione sorpresa sul volto.
«Cazzo» sentii mormorare James.


 
* * * 
Ciao a tutti :)
Ho aggiornato oggi perché nei prossimi giorni non sono sicura di poterlo fare e almeno colgo l'occasione di augurarvi
BUONE FESTE!
Il capitolo mi convince e non mi convince allo stesso tempo, devo essere sincera, ma l'ho scritto tante volte e non credo di poter fare meglio di così. Spero che non sia una schifezza, anche se lo dubito con tutta sincerità.
Io mi affido a voi come sempre.
Vi abbraccio forte, alla prossima :)

Diemmeci

 

 

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Capitolo 11
*** Dieci ***


Dieci


James si allontanò da me immediatamente.
Gli attimi che seguirono l’inaspettata apparizione di Jennifer e Michael furono silenziosi, carichi di tensione e imbarazzo. Cercai lo sguardo di James, ma sembrava distante. Mi arresi e scesi dall’automobile, avvertendo subito la strana atmosfera che ci avvolgeva tutti.
«Siete già di ritorno?» Chiesi, nascondendo dietro un sorriso il disagio che stavo provando.
«Non mi sento bene, quindi mi sono fatta riaccompagnare prima» rispose Jennifer, rivolgendomi un’occhiata sorpresa quanto arrabbiata.
Mi resi conto che avrei dovuto dirle che cosa stava succedendo con James, ma il pensiero di farlo non mi aveva mai sfiorato. Morsi il labbro inferiore, rimanendo in silenzio.
«E voi invece?» Michael sputò.
James finalmente uscì dalla macchina, fermandosi al mio fianco.
«Noi siamo andati a fare un giro» risposi frettolosamente, notando di nuovo lo strano comportamento che aveva Michael nei miei confronti.
«Non sapevo che foste diventati amici» parlò Jennifer, incrociando le braccia al petto.
Roteai gli occhi al cielo, improvvisamente spazientita per come si stavano comportando la mia amica e Michael. «C’è qualcosa fra noi, sì» dissi, dando una risposta alla domanda che entrambi avrebbero voluto fare.
James  si irrigidì alle mie parole, al che mi sembrò di aver detto la cosa sbagliata. Cercai di non pensarci più di tanto e proseguii.
«Avremmo dovuto dirvelo…»
«Sì, avreste dovuto» mi interruppe Jennifer.
«… Ma non abbiamo quattordici anni, ragazzi, vi avremmo messo a conoscenza di tutto quando ci saremmo sentiti pronti. Non potete farcene una colpa, se abbiamo voluto tenerlo per noi».
Michael sospirò pesantemente, rivolgendo uno strano sguardo al fratello. «Va bene».
Morsi il labbro per reprimere un sorriso. Pensavo che avrei assistito ad una sbraitata da parte di Michael e Jennifer, invece entrambi sembravano d’accordo con ciò che avevo detto. Venni travolta da una sensazione di sollievo.
«Volete salire?» Jennifer prese parola, guardando i due fratelli.
Scossero il capo insieme. «È meglio tornare a casa» disse Michael, stampandole un bacio a fior di labbra prima di fare un cenno col capo nella mia direzione ed entrare in macchina.
James, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, mi rivolse un sorriso mentre si avvicinava. «Direi che sia andata bene» disse.
«Meglio del previsto» annuii, sorridendo.
«Stavi per dimenticarti questa» mi porse la borsa a mano, sorridendo.
«Oh» la afferrai, arrossendo.
«Grazie per aver accettato di uscire con me, Rosalie Mills» mormorò, spostando una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio. Si sporse in avanti e mi lasciò un baciò sulla guancia, che quasi bruciò a quel contatto. «Buonanotte».
Non dissi nulla, mi limitai a sorridere mentre lo vedevo allontanarsi con la propria macchina.

«Quindi… Tu e James» Jennifer aprì bocca non appena la porta di casa si chiuse alle mie spalle. Mi rivolse uno sguardo malizioso, che mi fece ridere. «Voglio sapere tutto, Rosalie. Non pensare di tenermi all’oscuro ancora».
«Non c’è molto da sapere» scrollai le spalle, buttandomi di peso sulla solita poltrona – in assoluto la mia preferita.
«Non riesco a crederti» Jennifer rise.
Roteai gli occhi, trattenendomi anche io dal  ridere.
«Oggi non avete deciso di fare un giro sul momento, non è vero?» Chiese, ma in realtà senza volere una risposta dato che continuò a parlare. . «Oh, certo che no. Era un appuntamento».
«Sì» annuii. «Era un semplice appuntamento, non facciamolo diventare un affare di stato adesso».
«Non tenermi sulle spine» mi supplicò.
Mi lasciai scappare una risata prima di iniziare a parlare. Le raccontai un po’ tutto: dall’incontro inaspettato dopo essere stata a casa dei miei genitori, della visita nella casa in campagna, di quello che mi aveva detto in barca, dell’appuntamento. Jennifer rimase in silenzio, concentrata su ciò che le stavo dicendo, ed ogni tanto sorrideva.
«Ti stai davvero lasciando andare» mormorò quando terminai di parlare.
«Ci sto provando» mi strinsi nelle spalle.
«Ci stai riuscendo, da come parli di James».
Sorrisi.
«Non ti biasimo per non avermelo detto» soggiunse dopo qualche istante di silenzio. «Dopotutto è il primo ragazzo con cui ti stai aprendo dopo Caleb».
«Già, è vero» annuii.
«Meriti di essere felice, Rose».
Le rivolsi un altro sorriso sincero.
«Adesso basta parlare di ragazzi» esclamò improvvisamente, alzandosi dal divano con uno scatto che mi fece prendere uno spavento. «Propongo di vedere un film e stappare una bottiglia di vino».
Non ci pensai un attimo prima di accettare. «Ci sto».

Il mattino successivo mi svegliai con il mal di testa e la nausea, ancora con indosso i vestiti del giorno precedente.
«Buongiorno» sussurrai appena entrando in cucina, riempiendo una tazza con del caffè bollente.
Jennifer abbozzò un sorriso. «Ieri sera abbiamo esagerato con il vino».
Mi lasciai scappare una risata, annuendo. «Come ai vecchi tempi».
«Non impareremo mai» scosse il capo, sedendosi su una sedia per poi sospirare. «Tra poco mi vedo con Michael, ha detto di dovermi parlare di qualcosa e sono in ansia».
«Non giungere a conclusioni affrettate» le dissi.
«Non lo sto facendo».
«Sono sicura del contrario».
Roteò gli occhi. «Okay, è vero» ammise. «Sto cercando di pensare a cosa potrebbe mai dirmi, ma non mi viene in mente niente».
«Presto lo scoprirai».
Annuì. «Inizio ad andare, non vorrei arrivare in ritardo».
«Ci vediamo dopo» le feci l’occhiolino prima di uscire dalla cucina ed andare in camera.
Presi un’aspirina ed attesi che facesse effetto prima di infilarmi nella doccia e rimanerci per una mezz’ora abbondante. Rimuginai a lungo sul giorno precedente, a tutto quello che ci eravamo detti con James e, inevitabilmente, sorrisi al pensiero del quasi bacio.
Fui interrotta dal suono del campanello.
Imprecando, infilai l’accappatoio e mi recai velocemente alla porta d’ingresso. La aprii e mi trovai di fronte mia madre, che mi guardava con un’espressione colpevole in volto.
«Ciao» dissi sorpresa.
«Ciao Rosalie».
«Entra» la feci accomodare. «Dammi cinque minuti per vestirmi, siediti pure sul divano».
Non aspettai la sua risposta, mi fiondai in camera mia ed indossai le prime cose che trovai. Che cosa ci faceva qui mia madre? Non era mai accaduto che venisse da me dopo una litigata, soprattutto se l’oggetto della lite era lo studio.
«Eccomi» esordii tornando in salone.
Jenna aveva uno sguardo assente, diverso dal solito. «Mi dispiace essere venuta senza preavviso».
Scrollai le spalle. «C’è qualcosa di cui devi parlarmi?»
«Sì, Rosalie» annuì, tornando a guardarmi. «In effetti c’è qualcosa per cui vorrei scusarmi con te».
Spalancai gli occhi. Stava davvero accadendo o era tutto frutto della mia immaginazione? «Cosa?» Esclamai.
«Hai capito bene» una risata amara uscì dalle sue labbra. «Ho avuto il piacere di parlare con Jennifer, mi ha detto delle cose che mi hanno fatto riflettere molto».
«Ferma» esclamai nuovamente. «Jennifer? Hai parlato con Jennifer?»
«Abbiamo parlato ieri mattina» annuì. «Volevo sapere come stavi, ma sapevo che non mi avresti risposto e quindi ho chiamato Jennifer».
«Oh».
«Come ti stavo dicendo» riprese «voglio scusarmi con te. Non mi sono resa conto di aver superato il limite finché Jennifer non mi ha chiaramente detto come ti sentivi. Come ti senti tutt’ora». Sospirò pesantemente, cercando le parole adatte. «Credimi se ti dico che ho fatto quel che ho fatto in buonafede, ma a quanto pare mi sono sbagliata. Sono diventata opprimente sull’argomento studio e mi scuso profondamente per questo».
Non era frutto della mia immaginazione. Stava succedendo davvero. «Non me lo aspettavo» dissi con sincerità, non sapendo cos’altro dire.
«Lo so».
Abbassai lo sguardo e sospirai, assimilando tutto ciò che Jenna aveva detto. Non l’avevo mai sentita scusarsi prima, era sicuramente una nuova situazione ed ero felice che avesse fatto questo passo nei miei confronti. «Accetto le tue scuse» dissi infine, tornando a guardarla.
Vidi una scintilla di sollievo nei suoi occhi. «Oh, tesoro».
Mi alzai e la raggiunsi sul divano, stringendola in un abbraccio. Accadeva raramente che ci fossero dimostrazioni d’affetto tra noi, ma di tanto in tanto persino io sentivo la necessità di sentire mia madre vicino.
«Com’è andata questi giorni?» Domandò dopo aver sciolto l’abbraccio.
«Bene» dissi, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ci voleva uno stacco dalla vita reale».
«Immagino».
«Già».
«Purtroppo devo andare, ho delle ultime commissioni da fare per domenica» esclamò dopo aver guardato l’ora, alzandosi.
«Va bene» annuii.
«Ah, quando dimenticavo» disse. «Jennifer mi ha parlato di James e Michael e mi farebbe piacere se venissero domenica».
Strabuzzai gli occhi. «Glielo dirò» fu tutto ciò che riuscii a dire.
Jenna mi strinse nuovamente a sé, stavolta per un tempo maggiore prima di lasciarmi andare. «Ti voglio bene».
«Anche io te ne voglio» le rivolsi un sorriso sincero prima di vederla uscire da casa.

«Rosalie, sono a casa» Jennifer irruppe in camera mia urlando, con il solito sorriso sulle labbra.
Risi piano. «Quando arrivi si sente, non serve l’annuncio».
Mi fece la linguaccia. «Stavi studiando?»
«Ho appena finito, a dire il vero» sospirai. «Ho ufficialmente terminato tutto e adesso non devo fare altro che ripassare di tanto in tanto fino all’esame».
«Finalmente».
«È un tale sollievo» dissi prima di chiudere il libro di fronte a me. «Com’è andata con Michael? A giudicare dal tuo sorriso direi alla grande».
«Oh, niente di che» mi liquidò con un gesto della mano. «Saprai tutto a tempo debito».
Inarcai un sopracciglio. «Se continui a parlare in questo modo inizierai a spaventarmi» risi alzandomi dalla sedia per dirigermi in cucina. «Sono le otto passate, ho una fame pazzesca».
«Proprio per questo motivo ho comprato del cibo cinese» esclamò poggiando delle buste sul tavolo. «Serviti pure».
«Sei la migliore» dichiarai con un sorriso.


 
* * *
So che ve lo stavate chiedendo e vi rispondo subito: SONO VIVA.
Vi chiedo immensamente scusa per il mio ritardo, ma purtroppo il tempo per scrivere è poco e nell'ultimo periodo ho avuto difficoltà a concentrarmi. Pensavo che durante le vacanze Natalizie sarei riuscito ad avantaggiarmi, invece non ho concluso nulla. 
Ma adesso sono tornata e spero di riuscire ad aggiornare con maggior regolarità.
Vi ringrazio per bellissime recensioni che ogni volta mi lasciate, le apprezzo molto.

A presto,

Diemmeci

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Capitolo 12
*** Undici ***


Undici


«È permesso?»
Entrai nella camera dei miei genitori, in cui c’era mia madre intenta nel prepararsi per la cerimonia.
Jenna mi guardò da sotto le lunghe ciglia per un istante prima di tornare a rivolgere l’attenzione al proprio riflesso nello specchio. Girò varie volte su se stessa, aggrottando la fronte e storcendo le labbra come suo solito. «Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo di venticinque anni» disse.
«Sei agitata?» Mi sedetti alla fine del letto.
Dopo un attimo di esitazione, annuì. «Eppure ho già sposato quell’uomo, non dovrei essere così ansiosa» rise incrociando le braccia al petto.
Mi scappò una risata. «Se può consolarti, sei bellissima».
«Grazie tesoro».
Abbozzai un sorriso, soffermandomi per qualche istante ad osservare Jenna. Era sempre stata una bella donna, ma oggi lo era in particolar modo. Probabilmente perché era più radiosa del solito.
«I due fratelli verranno direttamente in chiesa?» Domandò.
«In verità» dissi «tra poco io e Jennifer usciamo per andare a casa loro. Dubitiamo che altrimenti farebbe in tempo per l’inizio della cerimonia».
Jenna sorrise.
«Hai bisogno di una mano per qualcosa?»
Scosse il capo vivacemente. «Fortunatamente è tutto pronto».
«Okay».
Mi rivolse un altro sorriso prima di volgere nuovamente la propria attenzione al riflesso nello specchio.

«Potremmo cercare un altro appartamento, magari in questa zona» disse Jennifer. Si guardava intorno con la solita espressione assorta che sfoggiava ogni qualvolta che venivamo a Notting Hill. «Che cosa ne pensi?»
Roteai gli occhi prima di suonare al campanello di casa Cox. «No, Jennifer, l’appartamento in cui viviamo va benissimo» borbottai per la terza volta nell’arco di quindici minuti.
«Non potresti veramente prendere in considerazione quest’idea?» Mi supplicò.
«No» replicai seccamente.
Sulla soglia della porta comparve Michael. «Signore» disse a mo’ di saluto. «Pensavo che sareste arrivate più tardi» proseguì, probabilmente per scusarsi in modo implicito del fatto che indossasse ancora il pigiama.
Risi piano.
Jennifer gli rivolse un sorriso. «Possiamo entrare?»
Michael annuì, spalancando del tutto la porta per farci passare. Presi un attimo per rivolgere l’attenzione alla casa, trovandola ancora una volta accogliente e ben arredata. Presi in considerazione l’idea di vivere in una casa del genere, a Notting Hill, ma la scacciai quasi subito dalla mia mente prima di poterlo riferire a Jennifer. Non avrebbe fatto altro che alimentare la sua speranza. Non era il momento per un trasloco.
«Posso offrirvi qualcosa?» Michael parlò.
Scossi il capo, seguita da Jennifer.
«Michael» la voce di James riecheggiò nella casa avvolta nel silenzio, accompagnata dal suono di alcuni passi pesanti. «Non so se mettere…» Si interruppe quando notò me e la mia amica. «Oh, ciao» disse passandosi una mano tra i capelli, visibilmente sorpreso di vederci.
«Ciao» dicemmo all’unisono io e Jennifer.
«Siete in anticipo» diede voce ai propri pensieri.
«Già» annuii, trattenendo una risata quando notai che anche lui portava il pigiama. «Volevamo assicurarci che foste pronti in tempo».
«Questa è una mancanza di fiducia nei nostri confronti» scherzò Michael.
Jennifer rise prima di sussurrargli qualcosa all’orecchio, al che si congedarono insieme borbottando qualche scusa.
James alzò lo sguardo, rivolgendomi un sorriso che mi fece quasi mancare il fiato. «Oggi sei più bella del solito» disse senza distogliere lo sguardo.
«Grazie» fu tutto quello che riuscii a dire.
«È una fortuna che tu sia qui, ho bisogno di un consiglio» cambiò discorso, probabilmente perché aveva notato il mio imbarazzo.
«Sono a tua completa disposizione» sorrisi.
«Vieni» mi fece cenno di seguirlo.
La camera di James era immersa nel buio e, quando aprì le persiane, rimasi piacevolmente sorpresa nel notare una fila di bottiglie di vino, ancora sigillate, su una mensola e una collezione di macchine d’epoca su un’altra. «Sì, è proprio la tua stanza» mormorai meravigliata.
«Già» James rise. «Se vuoi scusarmi, vado in bagno a vestirmi e torno».
«Va’ pure» dissi.
Nell’istante in cui si chiuse in bagno – che tra l’altro era in camera – iniziai a guardarmi intorno con curiosità. Una serie di foto attaccate al muro attirò in particolar modo la mia attenzione: ritraevano tutte un gruppo di amici e notai che, in ognuna, James era affiancato sempre dalla stessa ragazza. Alcune dovevano essere state fatte di recente, perché in una James indossava la stessa felpa che aveva messo quando ci trovavano nella casa in campagna.
Probabilmente era dei grandi amici…
«Ecco fatto».
Sobbalzai. «Stavo dando un’occhiata alle foto» dissi, colta in flagrante.
«Lo avevo notato» James rise.
Abbozzai un sorriso, stupita dal fatto di vedere James vestito in modo estremamente elegante. L’abito grigio gli calzava a pennello, mancava solamente la cravatta per essere perfetto. «Di che consiglio hai bisogno?» Gli chiesi, risvegliandomi dai miei pensieri.
«La cravatta».
Trattenni una risata. «Hai quale idea?»
«Pensavo sempre grigia, solo di qualche tonalità più chiara, o nera».
Entrambi i colori sarebbero stati bene con l’abito grigio, constatai. «Le scarpe che indosserai sono queste nere?» Domandai.
Lui annuì.
«Cravatta nera, allora» decretai infine, sorridendo.
James prese la cravatta, facendola girare intorno al collo. «Come stai?» Mi chiese guardandomi, sorprendendomi.
Morsi il labbro inferiore, indecisa se dirgli o meno che aveva messo male la cravatta per la fretta. «Posso?» Chiesi alla fine, allungando le mani in attesa del suo permesso.
Si limitò ad annuire.
Iniziai a maneggiare la cravatta, stando attenta a non alzare lo sguardo sulle sue labbra. «Sto bene, comunque» ripresi il discorso. «Mia madre si è scusata per il suo comportamento».
«Mi fa piacere».
«Anche a me» dissi sinceramente, facendo un passo indietro. «Così dovrebbe andare» constatai con soddisfazione.
«Dove hai imparato?» James sembrava sorpreso mentre si guardava allo specchio.
«Lo facevo sempre a mio padre» mi strinsi nelle spalle, ricambiando il suo sguardo dallo specchio.
«Be’, Rosalie Mills» sorrise «sei una continua sorpresa».

La cerimonia, come aveva ribadito Jenna varie volte che sarebbe stata, fu breve ma piacevole.
Non ero solita emozionarmi, ma fu inevitabile mentre guardavo i miei genitori giurarsi nuovamente amore dopo tutti questi anni.
Venticinque anni d’amore incondizionato.
«Oh, ma allora hai dei sentimenti» Michael mi diede una spinta giocosa, ridendo.
Roteai gli occhi, senza però reprimere un sorriso. «Proprio così».
Mi guardai intorno, scorgendo in lontananza i miei genitori che chiacchieravano con alcuni parenti. «Ehi» dissi loro.
«Ciao cara» Robert, mio padre, mi rivolse un caloroso sorriso prima di avvolgermi in un abbraccio. «Questo abito ti sta d’incanto» si complimentò.
«Grazie» abbozzai un sorriso, evitando di aggiungere che indossarlo mi stava costando tanto. Non ero il tipo da vestiti, proprio no, ma per un giorno avevo ceduto per la contentezza di mia madre.
«Rosalie, come ti è sembrata la cerimonia?» Jenna chiese, ansiosa.
«Perfetta» dissi con sincerità.
«Temevo che non ti fosse piaciuta» ammise.
«Ti sei sbagliata».
«A quanto pare, sì».
Jennifer ci raggiunse, seguita da Michael e James, il quale mi rivolse un sorriso che, senza neanche accorgermene, mi fece arrossire. 
«Voi dovete essere i fratelli Cox» esordì mio padre, stringendo ad entrambi le mani.
«Sì, signore» Michael annuì. «Io sono Michael, lui è James» lo indicò.
Per qualche strana ragione, mi sentii a disagio nel trovarmi in questa situazione. «Iniziamo ad andare al ristorante, che ne dite?» Chiesi infatti.
«Allora, ragazzi» Robert proseguì, come se non avesse ascoltato la mia domanda. «Qual è il motivo per cui vi trovate a Londra momentaneamente?» Gli domandò con serietà, accennando subito dopo un sorriso.
«Per lavoro» rispose James, sorprendendomi.
«Bene» mio padre annuì. «Di cosa vi occupate?»
«Forniamo pezzi di ricambio per le macchine d’epoca» stavolta fu Michael a parlare.
Robert annuì di nuovo, finendo per sorridere. «Be’, è affascinante. Rosalie ha sempre avuto una passione per le auto d’epoca, non è vero?» Mi guardò con orgoglio.
«Sì» borbottai, ravvivando con una mano i capelli.
James si lasciò scappare una risata, al che gli lanciai un’occhiataccia. Aveva mentito sul motivo per cui erano venuti a Londra, questa era l’unica cosa alla quale riuscivo a pensare. Perché aveva dovuto mentire?
«Possiamo iniziare ad avviarci verso il ristornate» annunciò a gran voce Robert per attirare l’attenzione degli invitati.
«Vieni con me» disse James, prendendomi per mano prima che potessi obiettare.
Nonostante fossi arrabbiata con lui per avermi mentito, quel semplice contatto che c’era tra noi riuscì a farmi perdere la ragione. «Dove stiamo andando?» Gli chiesi, cercando di riacquistare lucidità.
«Alla macchina» rispose semplicemente, senza lasciare la presa, che adesso si era fatta ancora più salda.
Camminammo per qualche minuto in silenzio, non riuscivo a pensare con chiarezza e preferivo non parlare. Quando però notammo la macchina in lontananza, James affrettò il passo per poi bloccarsi di colpo.
«C’è qualcosa che non va?» Gli domandai, preoccupata per il suo cambio improvviso di umore.
Mi guardò da sotto le lunghe ciglia, serio in volto.
«James, cosa…»
Prima che potessi finire di parlare posò le labbra sulle mie, sorprendendomi completamente. Rimasi ferma per alcuni istanti, esitante, ma alla fine gli circondai il collo con le braccia e lo attirai maggiormente a me, facendo aderire i nostri corpi. Avevo il bisogno di sentirlo vicino a me.
«Non immagini da quanto desiderassi farlo» mormorò, mordendosi il labbro inferiore.
Lo baciai di nuovo, stavolta senza l’urgente di alcuni attimi prima. Fu un bacio dolce, intenso, che scatenò in me una tempesta.
«Non aspettavo altro» ammisi quando mi allontanai di poco per poterlo guardare negli occhi. «Sono felice che tu l’abbia fatto».
«Anche io».
Sospirai, facendo un altro passo indietro quando mi tornò in mente la ragione per cui ero arrabbiata con lui fino ad alcuni minuti prima. «Mi hai mentito» dissi semplicemente, incupendomi.
«Veramente, no» ribatté prontamente, alzando l’angolo delle labbra con fare divertito.
«No?» Inarcai un sopracciglio, innervosita dal suo atteggiamento.
«No» affermò. «Io e Michael siamo venuti qui per uno stacco dalla realtà, ma ieri abbiamo trovato un altro cliente e quindi ho ritenuto opportuno dare questa spiegazione».
«Uhm, non ha alcun senso».
«Mettiamola così» James rise «non avremmo fatto una pessima figura a dire a tuo padre che siamo qui per una vacanza a poche settimane dal Natale?»
«Be’» ci pensai su, senza riuscire a trattenere un sorriso. «Un po’».
James annuì, sorridendo. «Esatto».
Sospirai, rubandogli un altro bacio prima di salire in macchina. Il viaggio fu rapido, dato che il ristorante distava a soli dieci minuti dal luogo in cui ci trovavamo. Ero stata io a consigliare a Jenna di andare a mangiare lì, ci ero stata qualche anno prima ed ero rimasta piacevolmente soddisfatta.
«Eccovi» Jennifer disse mentre ci veniva incontro con Michael, una volta giunti a destinazione.
«Ci avete messo tanto» Michael rise, rivolgendo uno sguardo complice al fratello. «Guidi sempre come una femminuccia».
Ripresi a respirare quando capii che non stava alludendo a me e James, ma semplicemente alla sua guida. «Non è vero» lo difesi. «Comunque, che ne dite di entrare?» Cambiai velocemente discorso.
Jennifer annuì.
Ci dirigemmo all’entrata del ristorante, trovando la maggior parte degli invitati che attendeva un segnale per entrare. Dissi loro di accomodarsi e felicemente acconsentirono. Nessuno era contento di stare all’aperto, il freddo di gennaio era pungente oggi.
«So perché avete fatto ritardo» Jennifer sussurrò al mio orecchio, stando attenta a non farsi sentire dai fratelli Cox. «Tra voi è successo qualcosa, ne sono certa».
«Cosa ti rende così sicura?» Ridacchiai.
«I tuoi occhi» mormorò «brillano».
«Ah» rimasi sorpresa dalla sua risposta. «Ci siamo baciati» le dissi in un sussurro, mordendo il labbro inferiore.
«Lo sapevo!» Esclamò.
«Di cosa parlate?» Michael circondò le spalle della mia amica con un braccio, sorridendo.
«Di niente che ti riguardi» disse lei.
Risi piano, lanciando uno sguardo a James, che mi sorrise raggiante.


 
* * *
Ce l'ho fatta, ce l'ho fatta, ce l'ho fatta... Tiriamo tutti un bel sospiro di sollievo!
So di aver scritto che avrei aggiornato con più regolarità, ma devo rimangiarmi la parola perché di tempo materiale non ce n'è per me, al momento.
Ringrazio con tutto il cuore chi segue la mia storia, anche chi non recensisce :)
Vi abbraccio forte, alla prossima.


Diemmeci

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Capitolo 13
*** Dodici ***


Dodici


«Fa freddo» dissi dopo essermi stretta nella mia giacca. «Sarebbe meglio entrare».
Tutti annuirono, quindi entrammo nel ristorante. La gran parte degli invitati aveva già preso posto, perciò andammo anche noi alla ricerca del nostro tavolo. Jenna aveva insistito tanto sui posti a sedere assegnati e, nonostante Robert fosse contrario, lei l’aveva avuta vinta comunque.
«Rosalie» James si avvicinò a me con l’ombra di un sorriso sulle labbra. «Jennifer ha trovato il nostro tavolo».
«Oh» dissi, rendendomi conto che ci eravamo passati accanto due volte senza essercene resi conto. «Finalmente» tirai un sospiro di sollievo prima di togliere velocemente la giacca e sedermi.
James si accomodò al posto di fronte al mio. «Mi piace questo posto» approvò dopo essersi passato una mano tra i capelli. «Devo ammettere che, a dispetto delle svariate volte in cui sono stato a Londra, non sono mai stato in un ristorante così accogliente ed intimo. Gli altri sono troppo affollati» rifletté ad alta voce ricevendo l’appoggio di Michael, che confermò le sue parole.
«Si mangia anche bene» aggiunse Jennifer con un sorriso.
«Già» dissi.
Scorsi un movimento con la coda dell’occhio e, quando mi voltai, mi resi conto che i miei genitori erano arrivati. Mi rivolsero un sorriso prima di accomodarsi anche loro.
«Terra chiama Rosalie» Jennifer sventolò una mano di fronte al mio viso.
Risi. «Stavo guardando i miei genitori» le dissi. «Sembrano così felici».
«Lo sono» la mia amica sorrise.
Annuii.
«Martedì c’è l’ultimo esame» Michael parlò improvvisamente, cogliendomi di sorpresa. «Come vi sentite?»
«Agitata» ammisi.
«Super eccitata» Jennifer alzò di qualche tono la voce. «Insomma, dopo l’esame avrò molto più tempo libero e potrò venire a Leeds spesso» spiegò la motivazione della sua risposta, facendomi catapultare nuovamente nella realtà, nella quale prima o poi James sarebbe tornato nella propria città ed io sarei rimasta qui.
«Sembra bello» sussurrai senza rendermene conto, ricevendo un’occhiata strana da parte di James. «Io vorrei cercare un lavoro per impiegare il mio tempo nel migliore dei modi, non avrò granché da fare altrimenti».
«Forse dovrei farlo anche io» borbottò Jennifer con una smorfia.
Mi limitai ad annuire prima di congedarmi con una banale scusa e raggiungere il retro del ristorante. Mi accorsi di alcune altalene poco distanti da me, quindi le raggiunsi e mi sedetti su una, iniziando a dondolare.
Di nuovo, il mio mondo era stato travolto in un brevissimo lasso di tempo. L’improvviso, ed inaspettato, bacio con James era riuscito finalmente a farmi battere ancora una volta il cuore. Ma la cruda realtà era riuscita a stravolgere tutto, rovinando il mio umore.
«Non dovresti stare qui fuori» una voce maschile mi risvegliò dai miei pensieri.
Alzai lo sguardo per incontrare quello di James,  che aveva gli occhi contornati da rughe di preoccupazione. «Volevo rimanere un po’ da sola» dissi semplicemente.
James sospirò ma non obiettò, si sedette invece sull’altalena di fianco la mia. «Non mi piace vederti così».
«Così, come?»
«Sembri triste» spiegò. «Non voglio essere la causa della tua tristezza, voglio essere tutt’altro. Non credo però di esserne in grado ora».
«Non sottovalutarti» scossi il capo. «Abbiamo passato poco tempo insieme, ma sono sempre stata bene e soprattutto me stessa. Adesso sono un po’ giù perché sto realizzano che te ne andrai e non so se ti rivedrò, ho uno strano presentimento».
James si irrigidì.
«Vorrei capire perché a volte ti comporti in modo strano, estremamente evasivo, mentre altre volte sembri essere tutt’altra persona» diedi voce ai miei pensieri. «Vorrei conoscerti meglio, mi rendo conto che non conosco niente su di te o la tua vita, ma non c’è tempo e ho l’impressione che scomparirai».
«Oh, Rosalie» si passò una mano sul viso segnato dalla preoccupazione. «La mia vita è un casino adesso e la consapevolezza che tu saresti solo che del bene per me è un problema».
Spalancai gli occhi nel sentire le sue parole, non comprendendone a pieno il significato. Mi stava confondendo maggiormente, rendendo il mio umore ancora più pessimo. «Non ti capisco» ammisi.
«Sta succedendo tutto così in fretta» mormorò tra sé e sé, alzandosi di nuovo in piedi. «Sono in una situazione estremamente delicata al momento e non so come agire, ho bisogno di tempo per riflettere».
«Forse se me ne parlassi potrei aiutarti» tentai.
«No» James rise amaramente, scuotendo il capo. «Posso fare affidamento solo su me stesso, purtroppo».
«Va bene» decretai alzandomi a mia volta, sospirando. «Quindi adesso che succede?» Gli chiesi senza distogliere lo sguardo.
«Ehi» una lontana voce, appartenente a Jennifer, richiamò la nostra attenzione. «Sta arrivando l’antipasto, sarà meglio che rientriate» urlò prima di tornare all’interno del ristorante.
Sbuffai, tornando a guardare James.
«Per adesso mangiamo l’antipasto» disse semplicemente, superandomi per rientrare.

Il pranzo passò velocemente tra chiacchiere e risate, molte delle quali erano forzate per nascondere quello che stavo provando realmente. Ero malinconica e arrabbiata allo stesso tempo per come il mio mondo era stato sconvolto in così poco tempo e, soprattutto, per il fatto di non poter gestire la situazione. Cercai di nascondere tutto ciò dietro un sorriso, non era il momento per mostrare le mie debolezze.
«È il momento di un discorso» disse a gran voce mio zio Ethan, il fratello di mio padre, alzandosi in piedi in modo tale da catturare l’attenzione di tutti gli ospiti. La sala calò nel silenzio più assoluto. «Ma prima, vorrei proporre io stesso un brindisi per Jenna e Robert» continuò sorridendo. «Siete due splendide persone, vi auguro come sempre tutto il bene di questo modo» alzò in alto il bicchiere, seguito dal resto delle persone presenti. «A Jenna e Robert».
«A Jenna e Robert» urlò in coro la famiglia.
Ethan sfoggiò un altro sorriso, voltandosi nella mia direzione lanciandomi uno sguardo d’intesa. Colsi subito le sue intenzioni. «Rosalie, vorresti farci l’onore di dire qualcosa?» Chiese infatti, facendomi l’occhiolino prima di tornare al proprio posto.
Io, d’altra parte, fui costretta ad alzarmi. «Sai sempre come mettermi in imbarazzo, zio Ethan, ti ringrazio» dissi sarcasticamente, suscitando una risata generale.
«Vai, Rose!» Esclamò a bassa voce Jennifer.
Roteai gli occhi ma non repressi un accenno di sorriso. «Guardandovi capisco perché dicono che l’amore è il sentimento che fa andare avanti il mondo» esordii, rivolgendo uno sguardo ai miei genitori. «Oggi è un giorno importante per voi» dissi «perché vi siete promessi di nuovo amore eterno, dopo moltissimi anni di matrimonio, ed io non potrei essere più felice per questo. Vi auguro anche io ogni bene, ve lo meritate, perché siete delle persone e dei genitori fantastici» passai una mano tra i capelli, aggiungendo infine: «Anche se litighiamo spesso».
Jenna e Robert sorrisero e mi vennero incontro per stringermi forte in un abbraccio.
«Oh, tesoro» Jenna asciugò le lacrime che le bagnavano il viso. «Spero che non litigheremo più d’ora in avanti».
«Ne dubito» ammisi con sincerità. «Ma proveremo a far funzionare il nostro rapporto, okay?»
Lei annuì, sorridendo.
Robert mi guardò di nuovo con orgoglio e mi prese sottobraccio per poi iniziare a camminare verso la pista da ballo. Un lento partì e, sorpresa, lo guardai interrogativa. «Avevo bisogno di qualche attimo con mia figlia, è forse un reato?» Chiese.
Sorrisi. «No, affatto».
Mio padre era una delle poche persone nella mia vita a cui potevo confidare ogni cosa, senza mai avere la paura di essere giudicata e, nonostante negli ultimi anni mi ero un po’ distaccata, il bene che provavo per lui si era solo fatto più grande.
«Mi è piaciuto quello che hai detto» disse. «Anche io per te ho sempre sperato ogni bene e penso che tu debba dare una chance a quel ragazzo».
Trattenni il respiro, sorpresa da ciò che aveva appena detto. «Cosa?»
«Rose, ho visto il modo in cui vi guardate, non sono uno stupido» mi sorrise. «C’è qualcosa tra di voi, qualcosa di vero e intenso che non dovresti lasciar andare».
Sospirai. «Non è così facile».
«Non lo metto in dubbio» ribatté prontamente. «Penso solo che, se entrambi volete stare insieme tanto quanto i vostri occhi danno a vedere, allora riuscirete a superare qualsiasi ostacolo».
«Già».
«Meriti di essere felice, Rosalie».
«Grazie, Robert» dissi, abbracciandolo forte come mai avevo fatto prima d’ora.

«Ti ho vista in pista» esclamò Jennifer quando tornai al tavolo.
Abbozzai un sorriso. «Spero di non aver fatto una pessima figura, sai che non so muovermi benissimo».
Jen rise. «Nessuna pessima figura, posso assicurartelo».
«Meno male».
«Ho parlato con Michael» continuò Jennifer «e mi ha detto che partiranno domani sera. Lo hanno deciso giusto poco fa, teoricamente se ne sarebbero dovuti andare domani mattina».
«Oh» dissi, annuendo.
«Qualcosa non va?» Domandò, sporgendosi in avanti.
Scossi il capo. «Ho mal di testa, tutto qui» mentii. «Vado a prendere una boccata d’aria» le dissi prima di alzarmi.
«Ti accompagno».
«No» dissi di getto, forse in modo troppo brusco. «No, va bene così, non preoccuparti» aggiunsi con un tono di voce più morbido.
Lei annuì, visibilmente poco convinta, ma non disse altro.
Il retro del ristorante era avvolto dal silenzio e, per la prima volta, non mi infastidì come accadeva di solito. Lo trovai invece rilassante e consolatorio.
Penso solo che, se entrambi volete stare insieme tanto quanto i vostri occhi danno a vedere, allora riuscirete a superare qualsiasi ostacolo.
Le parole di Robert riecheggiarono nella mia mente, dandomi da pensare.
Aveva ragione, ma la realtà era più difficile e il pensiero di avere un futuro insieme sembrava irraggiungibile ora come ora.
Dannazione!
Trattenni un urlo per non attirare l’attenzione, mi limitai a stringere i denti. Era frustrante la situazione, perché conoscevo a malapena James e provare tutto questo mi sembrava inverosimile.
«Mi chiedevo che fine avessi fatto» una voce familiare mi distrasse dai miei pensieri. «Iniziavo a preoccuparmi».
Sbuffai, incrociando lo sguardo con quello di James. «Mi hai trovata, adesso che farai?»
«Non essere arrabbiata con me, ti prego».
«Non sono arrabbiata» ribattei. «Sono furiosa».
James sembrò stranito dal mio atteggiamento, manifestò infatti un’espressione confusa, ma nel giro di qualche secondo tornò serio. «Non ho una risposta alla tua domanda» disse.
«Quale domanda?» Chiesi, non capendo a cosa alludesse.
«Quella che mi hai fatto stamattina» mi rinfrescò la memoria, passandosi la solita mano tra i capelli. Era impassibile, fastidiosamente controllato.
Quindi adesso che succede?
Mi tornò in mente, al che spalancai la bocca ma non dissi nulla.
«Non ho idea di cosa succederà, Rosalie» proseguì lui, comprendendo che dalle mie labbra non sarebbe uscita una sola parola. «Non voglio fare promesse che so perfettamente di non poter mantenere, non voglio illuderti o illudere me stesso. Quello che so è che voglio passare più tempo possibile con te fino a domani sera, se me lo permetterai».
Morsi il labbro inferiore e guardai in basso, avvertendo il suo sguardo su di me. Sospirai pesantemente.
«Per favore».
Tornai a guardarlo. «Questo era scontato» dissi, lasciandomi scappare una risata per alleggerire l’atmosfera che si era creata. «Abbiamo un po’ di tempo da sfruttare per conoscerci meglio» soggiunsi poi.
«Già» James annuì, sorridendo con sincerità.
Rimanemmo a guardarci negli occhi per alcuni secondi, che a me sembrarono minuti, fin quando non posai lo sguardo sulle sue labbra e le catturai in un bacio. Mi strinse a sé immediatamente, percependo allora il suo bisogno di avermi vicina a lui. Lo stesso bisogno che avevo io in questo momento e lo stesso che avevo avuto sin dal nostro primo incontro.
«Dobbiamo aspettare ancora prima di potercene andare da qui?» Mi chiese, continuando a stringermi.
Risi piano, poggiando la testa sul suo petto. «Sì».
«Mi piace sentirti ridere» sussurrò.
Sorrisi spontaneamente. «Fino a cinque minuti fa ero arrabbiata con te» borbottai, scuotendo il capo prima di fare un passo indietro per poterlo guardare negli occhi.
«Sei lunatica» James rise.
«Non lo sono per niente» ammisi. «Sei tu che riesci a farmi cambiare umore in poco tempo».
«Ed è una brutta cosa?» Chiese.
Mi strinsi nelle spalle. «Ci sto ancora riflettendo».

Decidemmo di tornare all’interno del ristorante, trovando Jennifer e Michael che ballavano insieme a molti degli invitati. Risi di gusto nel guardarli fare strane mosse o espressioni facciali, fino a quando non decisero di unirsi nuovamente a noi.
«Tu balli?» Domandai con curiosità a James.
Scosse vivacemente il capo.
«James che balla è uno spettacolo esilarante» disse Michael, ridendo. «Non riesce ad andare a tempo e riesce a rendersi facilmente ridicolo».
Jennifer sorrise. «Il fatto di non riuscire ad andare a tempo credo che sia una cosa di famiglia».
«Mi offendi profondamente» Michael si posò una mano sul petto, fingendosi dispiaciuto per ciò che aveva detto la mia amica.
«Ti passerà» lei gli fece l’occhiolino prima di bere del vino. «Il mal di testa è passato?» Mi chiese dopo.
«Sì, avevo solo bisogno di prendere una boccata d’aria fresca» le dissi mentendole di nuovo. Le avrei raccontato che cosa era successo, ma questo non era il momento e il luogo adatto per farlo.
«Meno male».
Abbozzai un sorriso.
«Tesoro, posso parlarti un attimo?» Jenna mi venne incontro quasi correndo e, per evitare di scivolare a causa dell’eccessiva altezza dei tacchi, si poggiò alla mia sedia.
«Certo» le dissi alzandomi, in modo tale da poterci allontanare dal resto del gruppo. «Cosa c’è?» Domandai poi, incrociando le braccia al petto.
«Tuo padre mi ha detto che hai contribuito al regalo» mi informò sorridendo con gioia, alludendo al viaggio che Robert, dietro mio suggerimento, aveva regalato a Jenna. «Grazie mille, tesoro, ho sempre desiderato andare a Parigi».
Mi strinsi nelle spalle. «Sapevo che ti avrebbe fatto piacere».
«Molto» annuì.
«Se non erro» dissi  «il volo c’è alle sette di domani mattina, giusto?»
«Giusto» annuì nuovamente, senza smettere di sorridere. «A ogni modo, sono già le sei passate e penso che sia ora di fare la torta, che ne dici?»
«Sì, sarebbe il caso» approvai.
Jenna mi rivolse un altro sorriso prima di allontanarsi, quindi tornai di nuovo al tavolo. Scambiai qualche commento con Jennifer riguardo ciò che mi ero detta con mia madre e lei,  da inguaribile romantica, sospirò con aria sognante quando le riferii la meta del viaggio dei miei genitori.
«Anche io andrò a Parigi, un giorno» disse infatti.
«Non sperarci troppo» Michael le fece l’occhiolino prendendola in giro, ricevendo in cambio una pacca dietro la testa.
Rivolsi l’attenzione altrove, incontrando lo sguardo penetrante di James. Sorrisi prima di bere un sorso d’acqua, sentendomi osservata.
«Dopo la torta possiamo andarcene, esatto?» Mi chiese, avvicinandosi.
«Sì».
L’ombra di un sorriso gli solleticò le labbra. «Bene».


 
* * *
Buona domenica :)
Ho pubblicato prima del solito e ne sono felice, anche perché sono soddisfatta del capitolo. Strano, ma vero.
Spero di pubblicare nuovamente prima di partire per Praga, il 21 marzo
, anche se ne dubito. Io ci proverò però, ve lo prometto.
Grazie per le bellissime recensioni, siete gentilissimi, e grazie anche a chi legge soltanto.

A presto,

Diemmeci

 

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Capitolo 14
*** Tredici ***


Tredici


Non passò molto tempo prima che io e James ci congedassimo per allontanarci da tutti, entrambi impazienti di rimanere da soli per poter sfruttare al massimo il poco tempo che avevamo a disposizione da passare insieme.
«Prendiamo la mia macchina» mi avvisò dopo aver lasciato il ristorante, svoltando a destra senza attendere una mia risposta.
Sorrisi ed annuii, pienamente consapevole di non avere la sua attenzione.
Tornai improvvisamente indietro con la mente e ripensai ai grandi passi che avevo compiuto nei confronti di James. Non mi pentivo di nulla, anzi, avevo fatto tutto con il cuore e di questo andavo fiera. Stavo pian piano ritrovando la voglia di amare ed essere amata, nonostante la nostra situazione non garantisse nulla di sicuro. Non sapevamo cosa ci aspettasse.
Accelerai la mia camminata per raggiungerlo, avvolgendo un suo braccio con le mie mani e sorridendogli raggiante. «Dove andiamo?» Gli domandai per evitare di essere rapita dai miei stessi pensieri.
«Credevo che ci avessi pensato tu a questo» rispose ridendo, lasciando un leggere bacio tra i miei capelli.
«Mi dispiace deluderti» mi strinsi nelle spalle.
James sospirò. «Potremmo semplicemente spostarci con la macchina fino a quando non troviamo un posto che ci piace» propose dopo alcuni attimi passati a meditare.
Approvai con grandissimo piacere, quindi durante la mezz’ora successiva viaggiamo senza avere una meta. Passammo il tempo ridendo e scherzando, rubandoci baci di tanto in tanto.
Finalmente scorsi alla mia sinistra un parco, che alle sette di sera era deserto, e decidemmo di fermarci. James portò, per mia grandissima fortuna, un grande telo da stendere sull’erba. Avevo indosso ancora il vestito e macchiarlo sarebbe stato un casino.
«Mi rendo conto solo adesso che sappiamo poco o niente l’uno dell’altra» diedi voce ai miei pensieri, passandomi una mano tra i capelli per ravvivarli.
James si sedette al mio fianco. «Dobbiamo rimediare, allora».
Annuii.
«Qual è la tua canzone preferita?» Mi chiese, guardandomi.
«Vuoi fare il gioco delle domande?» Risi, rendendomi conto però che  James faceva sul serio. Mi ricomposi velocemente. «Eye of the tiger, decisamente».
«Io penso che la canzone preferita da qualcuno lo rispecchi in qualche modo» James alzò l’angolo della bocca.
«Ah, sì?»
«Sì» annuì con convinzione. «Sei una ragazza determinata e forte e cedi facilmente, perciò direi proprio di sì».
Sorrisi per le belle parole che aveva speso sul mio conto. «Film preferito?» Gli domandai poi io, mantenendo il sorriso sulle labbra.
Lui rimase in silenzio, visibilmente intento a pensare. «Non ne ho uno» parlò, sorpreso dalla propria risposta. «Me ne piacciono molti».
«Dimmene uno».
«Il Signore degli Anelli» citò subito dopo, annuendo con approvazione. «È una saga pazzesca».
«Lo penso anche io» dissi. «Ho sentito dire che anche i libri siano ben scritti, però non ho ancora avuto l’occasione di leggerli. A pensarci bene, nell’ultimo periodo non ho potuto leggere nulla».
James sorrise. «Come sta andando lo studio?» Cambiò discorso, afferrandomi per farmi avvicinare a lui.
Mi ritrovai seduta di fronte  a lui, le gambe intrecciate intorno al suo bacino. «Procede bene, mi sento pronta ma sono comunque piuttosto tesa».
«Andrai benissimo».
«Lo spero» sospirai, stampandogli un bacio sulle labbra prima di sorridere di nuovo.
James annuì prima di iniziare a lasciarmi baci sparsi sul viso, evitando accuratamente le labbra. Mi lasciai scappare una risata, infilando le mani tra i suoi capelli per stringerli appena, sperando che decidesse a baciarmi per bene.
«Rilassati» mormorò al mio orecchio.
Chiusi gli occhi e gli circondai il collo con le mie mani prima di buttare la testa all’indietro. Tentai di svuotare la mente e concentrarmi su questo momento, su me e James. C’eravamo solo noi, il resto non aveva importanza.
«Brava ragazza» sussurrò, lasciandomi dei leggeri baci sul collo in modo lento.
Era una piacevole tortura, quella di avere le sue labbra su di me. Averlo così vicino mi fece rilassare, infatti mi lasciai uscire dalla bocca un sospiro di piacere.
«Sei così bella» disse prima di catturare le mie labbra in un bacio.
Con una mossa mi fece salire sulla sue gambe, cogliendomi di sorpresa, infatti sorrisi sulle sue labbra per poi tornare a baciarlo. Fu un bacio diverso, pieno di passione e desiderio da parte di entrambi. Lo avvicinai il più possibile a me, volevo sentirlo vicino come non mai.
«Wow» finalmente parlai quando mi allontanai per riprendere fiato, rivolgendogli uno sguardo stupito.
«La tua vicinanza manda la mia lucidità a puttane» disse.
Risi di nuovo, scuotendo il capo. Sentirlo parlare in questo modo lo rendeva ancora più sexy di quanto non fosse già, era divertente ed eccitante. «Dovrei scusarmi?»
«Assolutamente no» rispose sorridendo.
Presi un attimo per soffermarmi a guardarlo. Ogni piccolo dettaglio del suo viso, le braccia, le spalli possenti, le mani che fino a qualche attimo prima mi stringevano come per paura di lasciarmi andare, di perdermi se avessero mai allentato la presa.
«Sei così bello» dissi in sovrappensiero, rendendomi conto troppo tardi di aver dato voce a ciò che stavo pensando.
James si lasciò scappare una risata divertita ed afferrò entrambi le mie mani per non farmi coprire il viso con esse – il che era proprio sto che stavo per fare, tra parentesi. «Grazie» rispose di rimando, abbozzando un sorriso compiaciuto.

Lasciammo il parco un’ora più tardi con l’intento di andare a casa di James, che raggiungemmo soltanto alle nove per il traffico che avevamo trovato tornando. Non ci fu un attimo di silenzio, passammo tutto il tempo a parlare delle nostre vite per conoscere nuovi aspetti l’uno dell’altra. Non potevo essere più felice, non potevo desiderare qualcosa di migliore.
«Hai fame?» James aprì bocca non appena entrammo in casa.
«Sbaglio o cucini soltanto in occasioni speciali?»
«Questa è una di quelle, non pensi?»
Ridacchiai. «Assolutamente sì».
«”Sì, ho fame” o “sì, è un occasione speciale”?»
Finsi di pensarci su, mantenendo un’espressione pensierosa. «Entrambi, suppongo».
James scosse il capo, sorridendo. «Prima sarebbe meglio cambiarsi, però» disse camminando verso la propria stanza. «Hai qualcos’altro da mettere?»
Mi sedetti alla fine del letto e feci cenno di no con la testa.
Iniziò a cercare all’interno della valigia, imprecando di tanto in tanto contro il disordine che lui stesso aveva causato, e alla fine trovò una felpa da prestarmi. «Questa dovrebbe andare bene».
Approfittai per togliermi il vestito e le calze mentre James era voltato di spalle per sbottonare la camicia ed indossai velocemente la felpa. Era piuttosto grande per me, infatti arrivava fino a metà coscia, ma era calda e comoda.
«Stai bene così» la voce di James mi fece tornare alla realtà, quindi alzai gli occhi per incontrare il suo sguardo.
«Peccato che manchi un pantalone e dei calzini per completare l’outfit» mi strinsi nelle spalle, tirando ancora più la felpa, sentendomi improvvisamente a disagio di fronte a lui.
Rise piano, interrompendo il contatto visivo per sfilarsi la camicia e rimanere a petto nudo. Tornò immediatamente  a guardarmi ed iniziò ad avvicinarsi lentamente, cogliendomi nuovamente di sorpresa quando mi tirò su con uno scatto e mi fece stringere le gambe intorno alla sua vita. Le mani stringevano saldamente le mie cosce per non lasciarmi cadere. «Sei così bella» ripeté  le mie parole, continuando a sorridere.
«Grazie» tentai di imitare la sua voce, invano.
«Ci hai provato» mi prese in giro, sedendosi alla fine del letto.
Risi, mantenendo il suo sguardo fino a quando non cedetti all’impulso di baciarlo. Avvertii la stessa sensazione di prima, di volerlo ancora più vicino a me, sempre. Una sua mano finì sotto la felpa e mi strinse un fianco, mentre l’altra rimase sulla coscia. «Non riuscirò a fermarmi tra qualche istante» mormorò contro la mia bocca, parlando apertamente.
Non volevo che si fermasse, lo desideravo, ma non era il momento giusto per concedermi completamente a lui; dovevano essere chiarite tante cose prima che questo accadesse. Lo guardai negli occhi, decisa ad uscire da questa situazione. «Sto morendo di fame, credo che sia il caso che inizi a cucinare» dissi alzandomi. «Cerco qualcos’altro da mettere nel frattempo».
James annuì, visibilmente sorpreso dalla facilità con cui avevo ribaltato questo momento, e mi lasciò un bacio a fior di labbra prima di andare in cucina. Cercai velocemente qualcosa da indossare, trovando finalmente un sotto della tuta e ovviamente dei calzini.
Lanciai uno sguardo al mio riflesso nello specchio, sospirando. Avevo le gote arrossate e le labbra gonfie, i capelli scompigliati e il trucco sbavato sotto agli occhi. Storsi le labbra e mi diedi una sistemata, raccogliendo i capelli in una coda di cavallo. Andava decisamente meglio così.
«Cosa stai preparando?» Raggiunsi la cucina, sedendomi sulla penisola posizionata al centro della stanza.
«Non c’è nulla, dovrai accontentarti di un panino e una birra» James rise.
«Non chiedo niente di meglio» dichiarai.

«Smettila di ridere» James mi diede una spinta con fare scherzoso, tentando di mantenere un’espressione seria. Invano, ovviamente.
«Non riesco» scossi vivacemente il capo, dando un’altra occhiata alla foto che stava suscitando in me tanto divertimento: ritraeva un piccolo James, all’età di sei anni, pronto per il primo giorno di scuola. L’aspetto che scatenò da parte mia un’altra risata furono i suoi capelli a scodella, proprio come poco prima.
«Non ti mostrerò mai più i miei album fotografici» disse fingendosi offeso, strappandomi di mano la foto per poi infilarla all’interno del raccoglitore di foto e chiuderlo. «Mai più» sottolineò.
Mi alzai dal letto – dopo aver mangiato avevamo deciso di rifugiarsi in camera sua – e puntai una mano sul fianco. «Ci sono molte foto attaccate al muro, quindi sono libera di guardarle senza permesso. Ricordi?»
Lui rise. «Sono perlopiù foto recenti, non avrai granché per cui ridere» mi avvisò.
«Staremo a vedere».
Girovagai per la camera, osservando attentamente ogni foto per cercare un particolare per il quale prendere in giro James, senza però riuscire nel mio intento. Al contrario, il mio sorriso scemò pian piano quando mi soffermai a guardare delle foto che la mattina stessa avevano suscitato in me degli interrogativi. James che era sempre accanto alla stessa ragazza, in alcune la stringeva a sé in modo poco amichevole, e poi notai una cosa che confermò il fatto che fossero le più recenti. La felpa che indossava James era quella che avevo indosso io adesso e che aveva messo anche quando eravamo nella casa in campagna.
L’atmosfera nella camera era cambiata, lo percepii immediatamente quando mi voltai per guardare James che sembrava aver capito cosa stavo pensando. Non disse nulla però, si limitò a fissarmi con aria colpevole.
«È lei la ragione per cui hai bisogno del tempo?» Mi decidi a formulare la domanda che aveva ronzato nella mia testa per tutta la giornata.
Attesi secondi, minuti, per una sua risposta che non arrivò. Fu il suo silenzio a rispondermi.
Scossi il capo, afferrando il vestito e le scarpe per poi andare nel bagno e cambiarmi velocemente. Lasciai la casa senza guardarmi indietro, delusa dall’atteggiamento che James aveva assunto invece di darmi spiegazioni.
Ora sapevo cosa ci aspettava, decisamente, e non era un futuro insieme.


 
* * *
Ehilà!
Vi chiedo umilmente scusa per questo ritardo, ma non ho avuto il computer per quasi due mesi e ho potuto scrivere tre volte contate. In più, questo capitolo era praticamente pronto ma è andato perso e l'ho scritto di nuovo tra eri e oggi, quindi spero vi piaccia perché l'ho appena finito.
Come avete notato siamo arrivati ad un punto di svolta. Non si torna più indietro.
Spero con tutto il cuore di non deludere le vostre aspettative. 
Vi mando un bacio, alla prossima. 


Diemmeci

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Capitolo 15
*** Quattordici ***


Quattordici


È incredibile la velocità con cui le cose possano cambiare in modo radicale, quasi impossibile, ma era appena accaduto e non si poteva tornare indietro per sistemare ciò che non si poteva sistemare.
Fermai un taxi e riferii la destinazione al conducente, tornando poi preda dei miei stessi pensieri. Ero in conflitto con me stessa per tutto ciò era accaduto con James, sin dal nostro primo incontro. Avrei dovuto mantenere un comportamento distaccato, indifferente, ma avevo permesso ai sentimenti di tornare a galla e prendere in mano la situazione. La parte razionale era stata nascosta in un angolo della mia mente fino a questo momento e mi stava ripetendo che avrei dovuto darle ascolto.
Quanto avrei voluto farlo.
Mi resi conto di essere arrivata a casa, quindi pagai velocemente e mi rifugiai all’interno dell’abitazione sbattendo forte la porta, colta da un’improvvisa rabbia nei miei confronti. Era colpa mia se adesso mi sentivo così, perché se non avessi lasciato entrare James nella mia vita sarebbe stato tutto diverso.
«Rosalie?» Jennifer comparve sulla soglia della cucina un istante dopo, visibilmente sorpresa per il mio rientro.
Michael le apparve dietro, inclinando appena il capo in modo confuso.
«Me ne vado in camera mia, non ho intenzione di rovinare i vostri piani» dissi in modo secco e coinciso, raggiungendo la mia stanza e buttandomi di peso sul letto.
Il silenziò che mi aveva circondato durò poco, perché Jennifer bussò alla porta con insistenza e alla fine entrò senza che le dicessi nulla. Si sedette semplicemente alla fine del letto e mi rivolse una delle sue rare espressioni, quelle che mi facevano comprendere che era lì per me, sempre.
«Io e James abbiamo avuto modo di parlare prima, al ristorante, e mi ha detto di essere confuso e di aver bisogno di tempo» le dissi «ed ho appena scoperto che c’è un’altra ragazza nella sua vita, che è sicuramente il motivo della sua confusione».
Jennifer sbarrò gli occhi.
«Non me lo ha detto direttamente» ripresi «ma ho collegato delle cose, ho fatto due più due, e alla fine ci sono arrivata. Gli ho chiesto spiegazioni ovviamente, ma è rimasto in silenzio e mi è bastato per confermare le mie ipotesi».
Avevo sperato fino all’ultimo che mi dicesse che in realtà mi stavo sbagliando, che avevo frainteso, ma non era accaduto. Sospirai pesantemente, ricevendo uno sguardo consolatorio da parte della mia amica.
«Non avrei mai immaginato che James potesse fare una cosa del genere, prima illuderti e poi lasciarti andare come se non fosse successo nulla tra voi due» Jennifer finalmente parlò, usando un tono pieno di disprezzo dei confronti di James.
«Neanche io».
«Il minimo sarebbe stato darti delle spiegazioni» disse, scuotendo il capo. «Te lo doveva».
«La colpa è mia» diedi voci ai miei pensieri. «Se non mi fossi lasciata andare con lui adesso non mi troverei in questa situazione, dovevo comportarmi come sempre ed evitare un rapporto del genere».
«Assolutamente no» Jen alzò il tono della voce. «Non incolpare te stessa, hai semplicemente agito con il cuore e non con la testa come hai sempre fatto. Non è una cosa negativa vivere a pieno una persona, specialmente se pensavi che ne valesse la pena».
Aggrottai le sopracciglia, non capendo al cento per cento ciò che voleva dirmi Jennifer.
«Quello che voglio farti capire» riprese infatti «è che hai fatto bene ad aprire il tuo cuore, perché anche le emozioni che stai provando adesso ti aiuteranno in futuro. Certo, non approvo il fatto che James ti abbia tenuta all’oscuro da tutto, ma togliendo questo, e rispondi sinceramente, non ne è valsa la pena?» Mi domandò. «Non ti sei sentita viva veramente dopo tanti anni?» Chiese ancora, stringendomi una mano con la propria.
Annuii in modo quasi impercettibile.
«E allora cerca di trarre delle cose positive da questa vicenda, come il fatto che tu finalmente ti sia aperta di nuovo ai sentimenti. E promettimi, per piacere, di non chiuderti mai più in te stessa».
Le parole di Jennifer mi strapparono un sorriso sincero. «Ci proverò».
Mi lasciai avvolgere in un abbraccio, che era proprio ciò di cui avevo bisogno in questo momento, decisamente più serena rispetto a quando avevo messo piede in casa. Evitai di pensare alla realtà della situazione almeno per alcuni attimi, completamente rapita dalle parole che la mia amica aveva appena pronunciato, sorridendo grata di averla sempre al mio fianco.
«Posso?» Michael apparve sulla soglia della mia camera, le mani in tasca e la stessa espressione colpevole che aveva sfoggiato James prima che lasciassi la casa.
Gli feci cenno di entrare.
«Avrei dovuto dirtelo» disse in un sospiro.
«Lo sapevi e non hai detto niente?» Jennifer mi precedette, alzando la voce.
«Capisco perché tu non l’abbia fatto, è comprensibile» mi strinsi nelle spalle, incrociai le gambe. «James è tuo fratello, riferirmi qualcosa del genere sarebbe risultato come un torto da parte tua. Non ti biasimo minimante, Michael».
Lui annuì, sollevato per la mia risposta.
«Be’, se adesso volete scusarmi» mi alzai dal letto «ho bisogno di una doccia e di un lungo sonno».

Passai il lunedì mattina immersa tra i libri e gli appunti, ripetendo varie volte gli argomenti più complessi che avrei presentato all’esame finale. Mi resi conto ben presto di essere pronta ad affrontare quest’ultima prova per terminare il secondo anno e, dopo pranzo, mi distesi sul divano in cerca di qualcosa di interessante da guardare.
«Sei davvero distesa sul divano il giorno prima di un esame?» Jennifer sgranò gli occhi quando raggiunse la sala.
«Ho studiato abbastanza, non potrei essere più pronta di così».
«Questo lo so bene».
Tornai a cambiare canale per i successivi dieci minuti e alla fine decisi di spegnere la televisione, non trasmettevano nulla che attirasse particolarmente la mia attenzione. Sospirai, chiudendo gli occhi.
«Come stai?» La voce di Jennifer interruppe la mia tranquillità.
Rivolsi lo sguardo nella sua direzione. «Sto bene, smettila di chiedermelo».
«Continuerò a farlo finché non ammetterai il contrario».
«E poi cosa succederà?» Inarcai un sopracciglio. «Inizierò a piangermi addosso e magari a mangiare per consolazione? Mi dispiace, ma non accadrà niente di tutto ciò».
Jennifer sospirò. «Almeno ammettilo a te stessa».
“Solo perché non lo esterno non significa che non lo abbia già fatto” avrei voluto risponderle, ma mi limitai ad annuire senza lasciar trasparire la minima esitazione.
Stavo tentando disperatamente di tenere James lontano dai miei pensieri e Jennifer non mi era da aiuto, ma capivo che insisteva semplicemente per il mio bene.
«Tu invece sei pronta per domani?» Le domandai per cambiare il soggetto della discussione.
«Sì, spero vada bene».
«Sono sicura che andrai alla grande» annuii.
Mi sorrise, distendendosi sul divano. «Ho una novità».
Mi sporsi in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Sono tutta orecchie».
«Domani sera partirò per Ennis» annunciò immediatamente, gli occhi illuminati dalla contentezza di rivedere i propri genitori. «Ne ho già parlato con mia madre, verrà a prendermi all’aereo porto».
«È fantastico» dichiarai.
«Spero di riuscire a convincerli una volta per tutte della mia scelta di studiare a Londra» Jennifer sospirò, un po’ incerta delle proprie parole. «Sono due anni che non torniamo sull’argomento, credo sia giunta l’ora di farlo».
«Sì» approvai. «E per quanto tempo rimarrai lì?»
«Una settimana».
La prospettiva di rimanere una settimana da sola mi spaventò, ma non lo diedi a vedere perché sapevo che altrimenti Jennifer mi avrebbe proposto di unirmi a lei, come già aveva fatto quasi un anno fa quando li aveva raggiunti per un weekend. Non volevo intromettermi, era il momento di sistemare alcune cose con la propria famiglia ed io sarei stata solo d’intralcio.
«La casa sarà silenziosa» dissi facendo una smorfia, suscitando una risata da parte della mia amica.
«Potrebbe iniziare a piacerti il silenzio, chissà».
«Ne dubito» mi strinsi nelle spalle, volgendo lo sguardo verso la lunga fila di DVD. «Propongo di guardare un film di Hugh Grant. Ci stai?»
Jen sorrise. «Non mi tiro mai indietro quando si tratta di lui, lo sai.»

«Rosalie, tesoro, sei in vivavoce» La voce di Jenna parve più squillante del solito quando rispose.
Sorrisi tra me e me. «Come sta andando a Parigi?» Domandai loro immediatamente senza troppi giri di parole, curiosa di sapere come stava procedendo il viaggio.
«Alla grande» esclamò Robert.
«Già» approvò poi Jenna e la immaginai annuire nonostante non potessi vederla con i miei occhi. «Domani è il grande giorno» mi ricordò, stavolta con un tono di voce più pacato.
«Sì».
«Sei agitata?» Domandò Robert.
«Non più di tanto» ammisi con sincerità.
«Vuol dire che sei pronta ad affrontare l’esame, tesoro, è una cosa buona» proseguì mio padre, il tono della voce comprensivo come sempre. «Facci sapere com’è andata, poi».
«Ovviamente» dissi. «Vi lascio adesso, ci sentiamo domani».
«Un bacio, tesoro» Jenna concluse prima di interrompere la chiamata.
Buttai il cellulare sulla poltrona vicino a me, allungando i piedi sul tavolino di fronte. Avevamo appena finito di guardare Scrivimi una canzone, che avevamo visto parecchie volte ma non stancava mai. Jennifer mi raggiunse dopo alcuni minuti, in una mano una ciotola di pop corn appena preparati e in un’altra un vassoio su cui c’erano due tazze di cioccolata.
«Dolce e salato insieme» mi leccai le labbra in approvazione.
«Proprio come ai vecchi tempi».
«Già» dissi, tornando indietro con la mente nel periodo del liceo. Un po’ mi mancava la spensieratezza di quegli anni, il continuo divertirsi, uscire la sera e rincasare all’alba dopo aver ballato tutta la notte. «Proprio come ai vecchi tempi».
Jennifer mi sorrise. «Cosa dicono i tuoi genitori?»
«Robert ha semplicemente dichiarato che sta andando tutto alla grande» la informai. «Sono sempre evasivi, sai come sono fatti».
«Lo so, lo so».
Presi una manciata di pop corn ed iniziai a mangiarne uno alla volta, ripensando ancora una volta al passato. Era tutto più facile, ma non meno burrascoso a causa dei continui litigi avuti con mia madre. Quelli non mancavano mai.
«Chissà se riuscirò mai ad andare a Parigi» pensò ad alta voce la mia amica, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Certo che ci andrai» le dissi, annuendo.
«È una città così bella».
Sorrisi. «Ne sei sempre stata innamorata» constatai.
«Tu invece non smettevi un attimo di parlare di New York» mi ricordò Jen, lasciandosi scappare una risata prima di bere un sorso della cioccolata.
«Quest’estate dovremmo partire» dissi.
«Potremmo andare a Parigi e New York, hai ragione» Jennifer annuì. «Solo io e te».
«Sarebbe fantastico» approvai.

Rimanemmo fino alle sei del pomeriggio nella nostra bolla di tranquillità, evitando accuratamente l’argomento che più volevo tenere alla larga al momento, entrambe con nessuna voglia di fare qualsiasi altra cosa se non parlare e magari – perché no? – spettegolare.
Fui costretta a muovermi  dal divano soltanto quando qualcuno suonò al campanello, al che scattai in piedi e mi diressi verso la porta d’ingresso. «Chi è?» Urlai per farmi sentire dall’altra parte.
«James».
Spalancai gli occhi per la sorpresa, lasciando la mano che teneva stretta la maniglia immobile. In cuor mio speravo che si sarebbe presentato per parlare, ma non pensavo che sarebbe accaduto così presto. Non oggi, non il giorno successivo al disastro che lui stesso aveva causato.
Non avevo alcuna intenzione di parlare con lui, non avevo la forza mentale per affrontare una discussione.
«Rosalie, fammi entrare» il suo tono arrivò alle mie orecchie come un’imposizione, il che mi fece scappare una risata che non aveva la minima traccia di divertimento. «Per favore» soggiunse dopo alcuni istanti.
Meditai ancora prima di fare un passo indietro, voltandomi poi verso Jennifer e chiedendole aiuto con un semplice sguardo. Rimasi chiusa nel mio silenzio a lungo, senza accennare il minimo movimento, quindi la mia amica si alzò e raggiunse la porta di casa pe poi aprirla. Rivolse un cenno di saluto a James prima di congedarsi nella propria stanza.
«Lascia che ti dica ciò che ho da dirti, poi me ne andrò» disse James, facendo risultare le sue parole come una supplica.
«Perché dovrei ascoltarti?» Finalmente parlai. «Hai avuto l’occasione di parlare ieri, ma sei rimasto in silenzio e hai agito come un vigliacco».
«Me ne sono pentito immediatamente».
«Ma sei venuto qui soltanto adesso» constatai con amarezza. «Non riesco a crederti, James».
Lui sospirò.
«Non voglio ascoltare ciò che vuoi dirmi».
«Rosalie…»
Scossi il capo, decisa sul da farsi. «Ho detto che non voglio sentire altro, puoi anche andare adesso. Fai buon rientro a Leeds, mi raccomando».


 
* * *
Buon pomeriggio :)
Ecco qui il quattordicesimo capitolo, spero vi piaccia e che non vi abbia delusi. Questa è la mia preoccupazione maggiore.
Aspetto di sapere cosa ne pensate, intanto vi mando un bacio.

A presto,

Diemmeci

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Capitolo 16
*** Quindici ***


Quindici


Il martedì mattina mi svegliai con serenità perché ero consapevole, in cuor mio, che l’esame sarebbe andato bene. Ero pronta, avevo studiato duramente per affrontare quest’ultima prova.
«Buongiorno» dissi, facendo il mio ingresso in cucina.
Jennifer fece un cenno col capo. «Buongiorno a te».
Mi sedetti alla solita sedia ed iniziai a sorseggiare il mio amato caffè, elencando velocemente nella mia mente gli argomenti che avrei presentato due ore più tardi, come era mio solito fare. Era diventata un’abitudine ormai e Jennifer lo sapeva bene, infatti rimase in silenzio finché non notò la mia espressione rilassarsi.
«Non ti ho mai vista così tranquilla prima di un esame» parlò, guardandomi come se fossi un’aliena.
Mi strinsi nelle spalle. «Te l’ho detto, mi sento pronta» abbozzai un sorriso. «Com’è andata ieri sera con Michael, a proposito?»
«Bene» rispose. «Mi manca già, ma ha promesso di tornare a trovarmi al più presto e ovviamente farò un salto a Leeds anche io non appena sarò tornata da Ennis».
«Ottimo».
Lei annuì, informandomi che saremmo dovute uscire di casa mezz’ora più tardi.
E così un’ora prima dell’imminente esame ci trovavamo all’interno della biblioteca dell’università, circondate da persone che, proprio come noi, erano intente a ripassare il proprio materiale.
«Il tuo cellulare sta vibrando» mi avvertì Jennifer. «Non capisco come tu non possa sentirlo».
Risi piano, perché le sue parole erano vere: mi accorgevo raramente se il mio cellulare vibrava. Lo tirai fuori dalla tasca posteriore dei jeans, sbloccandolo per poi selezionare la casella dei messaggi. Sbarrai gli occhi quando lessi il mittente del messaggio, sconcertata.
Fu inevitabile tornare con la mente al giorno precedente, nel preciso istante in cui avevo chiuso la porta in faccia a James, decisa ad non ascoltare le sue parole. Pensavo che non avrei avuto più contatti con lui, ma ecco qui un messaggio da parte sua.
Mi decisi a leggerlo soltanto dieci minuti più tardi.

Buona fortuna per l’esame.
Non ho dubbi che lo supererai in bellezza.
J.


Lo lessi altre tre volte, scuotendo il capo di tanto in tanto. Non aveva alcun senso scrivermi qualcosa del genere, non dopo aver rifiutato insistentemente di ascoltare ciò per cui era venuto ieri a casa mia. Non dopo quello che aveva fatto, vale a dire illudermi e mentirmi spudoratamente.
Avvertii un nodo alla bocca dello stomaco.
«Tutto bene?» Mi chiese Jennifer, che aveva notato il mio improvviso cambio d’umore.
«Sì, non preoccuparti».
«Rose, conosco quello sguardo» la mia amica insistette. «Chi era al telefono?»
«James» dissi in un sussurro. «Mi ha augurato buona fortuna per l’esame».
Jennifer alzò un sopracciglio, sorpresa quanto me. «Hai intenzione di rispondere?»
«No» risposi di getto. «Cioè, non lo so. Dovrei, secondo te?»
Lei si morse un labbro, improvvisamente colta da un pensiero.
«Cosa c’è?»
«Posso essere sincera?»
Annuii.
«Secondo me la questione non è se rispondere o meno al suo messaggio» disse «ma piuttosto ascoltare ciò che ha da dire».
Sospirai, scuotendo il capo. «Non cambierebbe nulla».
«Forse no, forse sì »Jen si strinse nelle spalle. «Quello che so per certo è che te ne pentirai fra qualche tempo, se continuerai ad evitare il discorso».
«Non lo so» ammisi. «Mi da il voltastomaco il pensiero che mi abbia usata per sostituire un’altra ragazza».
«Questo non puoi saperlo».
«Non posso sapere neanche il contrario» ribattei.
«Continuando ad evitarlo non conoscerai mai la verità» Jennifer chiuse il discorso, scuotendo il capo in modo contrariato prima di tornare a concentrarsi sui propri appunti.
Sospirai, poggiando la schiena alla sedia.
Non puoi vivere di rimpianti.
Mi tornarono in mente le parole di Jennifer, che pronunciava spesso ormai, e pensai alle varie scelte che avrei potuto prendere. La prima, quella più scontata ed ovvia per me, era quella di lasciar passare del tempo e dimenticare quello che c’era stato. La seconda, che non avevo mai preso in considerazione per nessuno, era quella di incontrare James, facendo quindi un passo avanti invece che dieci indietro, ed affrontare la questione una volta per tutte.
Feci un lungo respiro, decisa sul da farsi.
O quasi.

«Non riesco a crederci» Jennifer mi abbracciò per la terza volta nell’arco di un minuto, sfoggiando un sorriso smagliante. «Ce l’abbiamo fatta».
Non riuscivo a smettere di sorridere, ero profondamente orgogliosa di me stessa e della mia migliore amica. Eravamo riuscite a concludere il secondo anno di università meglio di quanto avessimo mai potuto sperare ed era un’enorme soddisfazione per entrambe.
«Dobbiamo assolutamente festeggiare» dichiarai.
Jennifer sbuffò. «Dobbiamo rimandare».
Ricordai solo allora che sarebbe partita, quindi avremmo dovuto rimandare i festeggiamenti al suo rientro. «Lo avevo dimenticato».
Lei rise.
«Saranno sette lunghi giorni» borbottai.
«Vedrai che passeranno in fretta».
Roteai gli occhi, suscitando un’altra risata da parte di Jennifer. «Uhm, lo spero».
Tornammo a casa poco dopo, parlando continuamente dell’esame appena affrontato e anche dell’intero e lungo intenso anno di università. Mi sembrava irreale il fatto di avere finalmente a disposizione del tempo per rilassarmi, senza avere il pensiero fisso di dover studiare per prepararmi per un esame. Ma era così adesso e non potevo essere più sollevata.

L’esame è andato benissimo.
R.


Inviai un messaggio a mia madre, che avrebbe fatto leggere anche a mio padre, per informarla dell’esito finale.
Non dovetti attendere molto prima di ricevere una risposta.

Sapevamo che saresti andata alla grande.
Siamo fieri di te, tesoro.
J&R.


Risi quando mi resi conto della firma lasciata alla fine del messaggio, scuotendo il capo, dopodiché buttai il cellulare sul letto per raggiungere Jennifer in camera sua.
«Stai infilando nella valigia tutto il tuo guardaroba» constatai, notando la marea di vestiti che aveva intenzione di portare ad Ennis.
Jen si sedette alla fine del letto, evitando di guardarmi negli occhi. Sospirò pesantemente.
«Ehi» mi sistemai al suo fianco. «Qualcosa non va?»
«Ho una paura folle di affrontare i miei genitori» ammise dopo alcuni istanti, rivolgendo finalmente lo sguardo nella mia direzione. «Da una parte credo che sia inutile tornare sul discorso e tentare di fargli comprendere le mie ragioni riguardo la scelta di studiare a Londra, perché conosco perfettamente il loro pensiero».
Non diedi a vedere la mia tristezza, che in quel momento si stava impadronendo di me, nel vedere la mia migliore amica così scossa e dubbiosa. «Non è inutile» dissi subito. «Tu devi parlargli perché dopo due anni è ora che accettino la tua scelta».
«Non lo faranno».
«Forse sì, invece» dissi. «Affrontali, confrontatevi, soprattutto, e tenta di fargli comprendere tue motivazioni».
«Ci ho provato tante di quelle volte che ho perso il conto, Rose» mormorò, sconsolata.
«Continua ad insistere».
«Ci proverò».
Avvolsi le sue spalle con un braccio. «Non arrenderti, prima o poi capiranno».
Lei annuì, facendo finalmente comparire un sorriso. Nell’arco di un minuto si riprese, infatti cominciò a parlare allegramente dei vestiti che pensava di portare con sé.
Jennifer era sempre stata così: mostrava raramente le proprie debolezze e, anche dopo averlo fatto, riusciva a tornare la solita ragazza, quella che da fuori appariva forte e senza insicurezze.
«Mi stai ascoltando?» Mi sventolò una mano di fronte al viso.
«Uhm, sì» mentii.
Si lasciò scappare una risata. «So che non mi hai ascoltata» disse.
Abbozzai un sorriso colpevole.
«Non so cosa portare di vestiti» riassunse  brevemente, sbuffando scocciata. «In fin dei conti sono soltanto sette giorni, che passerò esclusivamente in compagnia della famiglia, perciò potrei anche evitare di portare abiti eleganti».
«Porta qualcosa di elegante, non si sa mai» le suggerii.
«Uhm» lei annuì «hai ragione».
«Per il resto direi che possano bastare dei semplici capi che indossi ogni giorno» dissi.
«Sì, direi proprio di sì» Jennifer sorrise e stavolta fu lei a circondarmi le spalle con un braccio, rivolgendomi uno sguardo carico d’intensità. «Cosa farei senza di te, Rosalie Mills?»

Tornai a casa dopo aver accompagnato Jennifer all’aereo porto – in taxi, ovviamente – e sbuffai immediatamente per il noioso silenzio che mi circondava.
Mi ero preparata mentalmente all’assenza della mia amica, ma supposi che sarebbe stato più difficile di quanto avessi immaginato. Erano passati soltanto alcuni minuti e già avrei preferito non trovarmi lì.
Da sola.
Accessi la televisione e alzai il volume in modo da riempire l’ambiente circostante, sentendomi un po’ più sollevata, per poi buttarmi di peso sul divano. Afferrai il cellulare dalla tasca dei jeans ed inviai un messaggio a Jennifer, informandola di quanto già sentissi la sua mancanza.
Prima però di chiudere la casella dei messaggi, la mia attenzione ricadde su un nome: James.
Roteai gli occhi, leggendo ciò che mi aveva scritto la mattina e il messaggio che avevo lasciato in sospeso io. Avevo paura di inviarlo, non sapevo se fosse la giusta decisione.
Decidi di dare retta al mio istinto e cliccai su invio.

Dobbiamo parlare.
R.


 
* * *
Buonasera :)
Il capitolo è abbastanza corto, lo so, ma vorrei solo dire che in fin dei conti la lunghezza dei capitoli non è poi così rilevante. Il contenuto lo è, a parer mio, e spero che anche voi la vediate come me.
A ogni modo, Rosalie e Jennifer hanno affrontato l’ultimo esame e sono finalmente libere. E i nostri ragazzi, James e Michael, hanno fatto rientro a Leeds. Spero di non deludere le vostre aspettative su ciò che avverrà, sapete che la vostra opinione è importantissima :)
Aspetto di conoscere i vostri pareri.
A presto, spero.


Diemmeci
 

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Capitolo 17
*** Sedici ***


Sedici


La settimana successiva sembrò passare in un battito di ciglia e me ne resi conto solo quando mi sedetti su una panchina fuori all’aereo porto, in attesa che Jennifer recuperasse il proprio bagaglio e mi raggiungesse.
«Ehi, tu» la sua voce squillante arrivò alle mie orecchie, costringendomi ad alzare lo sguardo.
Sorrisi, felice di avere di nuovo la mia migliore amica qui. «Ehi» ricambiai il saluto, alzandomi per avvolgerla con le braccia in un abbraccio caloroso.
«Stai aspettando da tanto?»
«Un quarto d’ora» risposi, stringendomi nelle spalle. «Com’è andato il viaggio?»
«Sicuramente meglio dell’andata» disse, ridendo.
«Dovrei sapere il perché?» Chiesi, ridendo a mia volta. La risata di Jennifer era decisamente contagiosa, specialmente dopo esserle stata lontana per sette giorni e non aver riso a parte quando avevo parlato al telefono con lei e i miei genitori.
«Un vecchio signore ha dormito durante tutto il viaggio di andata» spiegò «con la testa poggiata sulla mia spalla».
Risi fragorosamente, buttando la testa all’indietro.
«La parte peggiore è stata quando mi sono resa conto che aveva sbavato sulla mia maglia» proseguì parlandomi ancora dell’episodio, alimentando il mio divertimento. Ero sul punto di piangere dal ridere.
«Wow» mi limitai a dire, cercando di ricompormi quando mi resi conto di aver attirato l’attenzione di parecchie persone.
«Sei incredibile» Jennifer cercò di sfoggiare un’espressione indignata, invano. «Ti ho raccontato una mia disgrazia e ridi a crepapelle».
Abbozzai un sorriso di scuse, dopodiché entrammo in un taxi per poter tornare a casa.
«Mi dispiace se ci siamo sentite poco, ma ho rivisto la mia intera famiglia e mi hanno lasciato a malapena il tempo per respirare» Jennifer pose fine al silenzio.
«Lo immaginavo» dissi.
«E tu cosa hai fatto durante la mia assenza?» Chiese. «Non avrai passato sette giorni in casa, non è vero?»
«Sono uscita spesso in zona per scoprire se c’è qualche negozio che stia cercando qualcuno da assumere, in effetti» la informai.
«Hai avuto fortuna?»
«No» risposi. «Però ho intenzione di continuare a cercare, altrimenti finirò per passare tutte le mie giornate sul divano».
Jen sorrise. «Sarà anche la mia fine».
«Domani allora andiamo insieme alla ricerca di un lavoro» proposi «ti va?»
Lei annuì. «Certo».
Passammo il resto del viaggio chiacchierando del soggiorno di Jennifer ad Ennis, circondate dalla felicità di essere di nuovo insieme.
Non ci eravamo mai separate da quando avevamo deciso di vivere insieme, quindi avevo avvertito la sua mancanza come mai prima d’ora. Forse anche perché stavo vivendo io stessa un periodo in cui la solitudine mi costringeva a rimuginare.
E se pensavo…
«Siamo arrivati» annunciò il conducente, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Recuperammo la valigia di Jennifer e raggiungemmo il nostro appartamento, entrambe impazienti di rincasare.
«Casa dolce casa» Jennifer buttò la valigia a mano per terra, raggiungendo velocemente il divano prima di lanciarvisi sopra.
Lasciai la valigia all’entrata e mi sedetti sulla solita poltrona, sorridendo alla mia migliore amica.
«Allora» esordì lei dopo alcuni istanti di silenzio, rivolgendomi uno sguardo serio che mi fece capire immediatamente dove volesse andare a parare. «Ci sono novità?»
Mi passai una mano fra i capelli. «Sì» le dissi, annuendo in modo flebile.
Jennifer sgranò gli occhi, sorpresa dalla mia risposta. «Va’ avanti».
«La sera in cui sei partita mi sono ritrovata a pensare parecchio» ammisi «e ho risposto al messaggio di James».
«Cosa gli hai scritto?»
«Soltanto che dovevamo parlare» sospirai, incrociando le gambe.
«E lui?» Jennifer sembrava sempre più impaziente di scoprire altri dettagli della mia novità.
«Mi ha risposto il giorno dopo».
Lei annuì, incitandomi con lo sguardo nel proseguire.
«Mi ha scritto di prendermi tutto il tempo che voglio prima di parlare, che può aspettare, quindi di cercarlo quando veramente avrò la voglia di ascoltarlo» conclusi, pronunciando quella frase tutta d’un fiato.
Jennifer annuì, analizzando le mie parole. «Dopodiché non gli hai più risposto?»
«No» scossi il capo. «Ho paura di sentire ciò che ha da dirmi» le rivelai subito dopo, dando finalmente voce al pensiero che mi aveva tormentata per una settimana. Non avevo avuto l’occasione di parlare di quest’argomento con Jennifer, perciò avevo tenuto dentro di me questo brutto presentimento. «Potrebbe dirmi qualsiasi cosa e questo mi spaventa».
«Questo è vero».
«Già».
«Ma è anche vero che non sai cosa deve dirti, quindi cerca di non farti strane idee nella tua mente» disse. «Hai intenzione di cercarlo? Ormai è passata una settimana».
«Da una parte sì».
«Da l’altra hai paura».
«Esatto».
«Scrivigli» Jennifer esclamò improvvisamente. «Scrivigli ora che sei pronta e che vuoi ascoltare ciò che ha da dire».
Morsi il labbro inferiore.
«Non pensare troppo per una volta nella tua vita» disse lei, recuperando il mio cellulare che si trovava sul tavolino di fronte. «Non hai bisogno di pianificare anche questo, Rose».
Rimasi a guardare il cellulare fra le mie mani, indecisa.
«Ti prego» la mia amica mi supplicò.
Aprii la cartella dei messaggi e sospirai, digitando velocemente sulla tastiera.

Voglio ascoltarti.
R.


«Premi invio» mi incitò Jennifer.
Feci come mi disse, sperando di aver preso la giusta decisione.

Il mattino seguente volò in un battibaleno.
Uscimmo di casa soltanto alle nove, entrambe decise nel trovare un lavoro per occupare parte delle nostre giornate ormai libere dallo studio. Iniziammo cercando nelle zone vicine al nostro appartamento, in modo tale da poter raggiungerle a piedi senza avere il bisogno di prendere il taxi o la metro.
«Sarebbe ora di prendere la patente» aveva detto Jennifer mentre camminavamo «per entrambe».
Avevo riso sul momento, ma in realtà avevo già preso in considerazione questa idea e ben presto sarei andata ad iscrivermi in un autoscuola. A quanto pareva, avrei avuto compagnia.
Giunta l’ora di pranzo, decidemmo di andare a mangiare qualcosa fuori invece di tornare a casa ed optammo per un ristorante rustico.
Ordinammo immediatamente, dopodiché durante l’attesa decisi di parlare con Jennifer di un argomento importante che l’aveva spinta principalmente ad andare ad Ennis.
«Alla fine com’è andata con i tuoi genitori?» Le domandai dopo aver bevuto un sorso d’acqua.
Lo sguardo di Jennifer saettò su di me in una frazione di secondo  e pensai di aver fatto male a farle quella domanda. «I primi due giorni ho evitato il discorso in tutti i modi, in realtà» ammise dopo alcuni attimi. «Ma poi mi sono fatta forza e li ho affrontati».
«Bene».
«Inizialmente hanno cercato di cambiare discorso» continuò lei «ma io ero decisa e volevo davvero parlarne con loro. Ci è voluto un po’ per farmi ascoltare ma ci sono riuscita».
Annuii, facendole capire che ero interessata. E lo ero davvero, specialmente perché questa storia andava avanti da troppo tempo ormai e sapevo quanto pesasse alla mia amica.
«Gli ho detto tutto, Rose» disse, sorridendo fiera. «Sono riuscita a fargli capire il perché della mia decisione e alla fine hanno compreso le mie ragioni. Si sono persino scusati per non averlo fatto prima».
«Questa è un’ottima notizia» decretai sorridendo. «Sapevo che prima o poi avrebbe capito».
«Un peso in meno» Jennifer rise.
«Già» affermai. «Con Michael come sta andando, invece?»
I suoi occhi si illuminarono nel sentirlo nominare, al che ridacchiai. «Sembra bene, ci sentiamo ogni giorno» disse prima di passarsi una mano tra i capelli lisci, che tra l’altro le avevo sempre invidiato. «Mi ha chiesto di raggiungerlo a Leeds per un weekend».
«Oh» quella notizia mi sorprese. «Questo fine settimana?»
«Sì, mi piacerebbe rivederlo il prima possibile sinceramente» rispose.
Jennifer continuò a sorridere, non smise un istante mentre parlava di Michael, e riuscii a leggere la felicità nei suoi occhi. Non avrei mai scommesso all’inizio sul fatto che lui facesse sul serio, ma col passare del tempo mi ero ricreduta e potevo affermare che la rendesse realmente felice. Non era una storiella passeggera, a quanto pareva.
Ad interrompere i miei pensieri fu la suoneria del mio cellulare che mi avvisava dell’arrivo di un messaggio. Lo aprii e mi mancò il respiro per un attimo quando lessi il nome James.

Sono felice che tu abbia preso questa decisione.
Non posso muovermi da Leeds però, quindi potresti venire tu.
J.


Lo lessi ad alta voce e Jennifer sembrò avere un’idea. «Vieni con me questo weekend, semplice» propose.
«Non lo so».
«Ti ha esplicitamente detto di raggiungerlo a Leeds» mi fece notare lei «e si da il caso che io debba andarci e che per te sarebbe meglio avermi vicina, soprattutto in questo genere di momenti. Non credi?»
«Sì, hai ragione, ma…»
«Niente ma» mi interruppe bruscamente. «Rispondi al messaggio e digli che devi pensarci, lo sorprenderai in questo modo».
«Ferma, ferma, ferma» mi passai la lingua tra le labbra secche, perplessa. «Mi stai suggerendo di andare a Leeds senza dirgli nulla?»
«Esattamente» confermò. «E sai perché sarebbe la cosa migliore da fare?»
«No».
«In questo modo non avrà il tempo di inventare eventuali scuse o qualcos’altro» tentò di spiegarmi, cercando le parole giuste. «Sarà messo alle strette e saprai la verità».
«Ma ha già detto di volermi dire la verità, non avrebbe alcun senso».
«Tu dammi retta» Jennifer sorrise «non si sa mai».

Decisi di andare a casa dei miei genitori dopo pranzo, mentre Jennifer tornò a casa.
Non avevo pensato di avvertirli, ma mi diedi della stupida per non averlo fatto quando suonai per la quarta volta il campanello senza che nessuno venisse ad aprirmi.
«Dannazione» bofonchiai, voltandomi per andarmene.
«Rosalie» la voce squillante di mia madre giunse alle mie orecchie quando stavo per lasciare il vialetto di casa. «Eravamo in giardino, non ti abbiamo proprio sentita».
Percorsi nuovamente il breve tratto ed abbracciai Jenna.
«Entra, stavo giusto per preparare il tè» mi fece accomodare, sorridendo dolcemente.
Raggiunsi il giardino sul retro della casa mentre mia madre andava in cucina, quindi abbracciai calorosamente anche mio padre prima di sedermi.
«Tu e Jenna sembrate più felici» dissi, sorridendo.
«Credo che il viaggio ci abbia fatto bene».
«Lo credo anche io» dissi. «Com’è Parigi?»
«Parigi è Parigi» affermò Robert, facendo un gesto teatrale con una mano. «È esattamente come te la aspetteresti».
«Sono felice di averti aiutato a scegliere la giusta meta, allora».
«Dovresti andarci anche tu, sai?» Parlò dopo qualche secondo, rivolgendomi uno strano sguardo che non riuscii a decifrare.
«Già» risi, divertita dalla sua espressione.
«Magari con James» soggiunse.
Ecco di cosa voleva parlare in realtà, di James.
Morsi il labbro inferiore prima di abbozzare un sorriso, sperando di non lasciar trasparire la mia agitazione. «Si vedrà» dissi infatti.
«Non ci sono sviluppi nel vostro rapporto?»
«Uhm, sì» mormorai, nervosa. «Ma non c’è nulla di certo per il momento».
Robert annuì, alzando entrambe le mani. «Non ne vuoi parlare, ho ricevuto il messaggio» disse prima di sorridere.
Ricambiai il sorriso e gli fui riconoscente per non aver insistito sulla questione.
Continuammo a chiacchierare di Parigi finché anche Jenna non ci raggiunse con un vassoio sul quale, oltre tre tazze di tè, c’erano anche i biscotti fatti in casa.
«Li ho preparati subito, non appena siamo tornati» Jenna sorrise, bevendo poi un sorso di tè. «Oggi c’è bel tempo» notò, visibilmente felice per ciò.
Guardai i miei genitori scherzare e ridere come mai prima d’ora e questo mi riempì il cuore di una gioia immensa. Ero fortunata ad avere due persone così fantastiche al mio fianco, sempre pronte a difendermi da qualsiasi cosa.
I miei pensieri tornarono inevitabilmente a James, mentre osservavo l’amore che i miei genitori nutrivano l’uno nei confronti dell’altra, e mi resi conto di provare qualcosa di grande, qualcosa che forse non avevo provato neanche per Caleb.
In quel momento realizzai di dover scoprire la verità e, mentre stavo tornando a casa un’ora più tardi, risposi al messaggio di James.

Devo pensarci, ti farò sapere.
R.


 
* * *
Ehilà :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia delusi. 
Aspetto con ansia di conoscere i vostri pareri, come sempre, e ringrazio anche chi legge solamente.
Vi abbraccio forte.
A presto, spero :)

Diemmeci

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Capitolo 18
*** Diciassette ***


Diciassette


«Dove hai detto che vai?» Mi chiese Jenna, forse per la quinta volta nell’arco di dieci minuti.
Roteai gli occhi e posizionai meglio il cellulare tra l’orecchio e la spalla, mentre cercavo di sistemare i pochi indumenti che avrei portato per il fine settimana. «Leeds» riposi, trattenendo uno sbuffo.
«Ci sono stata parecchie volte» disse lei, il tono allegro e sicuramente un sorriso stampato sulle labbra.
«Lo so, Jenna, me lo hai detto».
Sghignazzò. «E cosa andate a fare a Leeds, tu e Jennifer?»
Spremetti le meningi per farmi venire in mente una scusa plausibile, ma non riuscii ad elaborare nulla di credibile. «Ci hanno invitate Michael e James» dissi quindi, informandola parzialmente della verità.
«Capisco» decretò e la immaginai annuire. «Starete soltanto fino a domenica sera, quindi».
«Sì».
«E quando avete il treno?»
«Venerdì alle cinque del pomeriggio, vale a dire domani» risposi dopo aver gettato un’occhiata al biglietto del treno, che Jennifer aveva stampato poco prima.
Mi sedetti alla fine del letto e sospirai, passandosi una mano tra i capelli arruffati. Avrei voluto dire a mia madre la verità, avrei voluto informarla dell’accaduto ma per ora preferivo che rimanesse una questione isolata dai pareri altrui. Se avesse saputo ciò che era successo, avrebbe iniziato sicuramente a darmi dei consigli mentre io ero determinata a fare di testa mia.
Non volevo essere condizionata e decisi che le avrei riferito tutto dopo aver messo un punto alla faccenda.
«Non sembri entusiasta di partire» Jenna interruppe il silenzio.
«Lo sono» ribattei velocemente, cercando di apparire credibile. «Ora sono un po’ stanca, quindi ci risentiamo».
«Okay, ciao tesoro» Jenna riattaccò ed io, sfinita, mi distesi sul letto e finii per addormentarmi.

Mi svegliai due ore più tardi e mi recai immediatamente in cucina per bere un caffè. Mi ripresi velocemente e decisi di dare una sistemata alla casa, che ultimamente sia io sia Jennifer avevamo trascurato, e così occupai il mio tempo a pulire fino all’ora di cena.
«Ho trovato un lavoro per entrambe» Jennifer annunciò non appena rientrata a casa, sedendosi di fronte a me ma non prima di aver dato un morso al panino che le avevo preparato.
«Davvero?»
«Sì» lei annuì, sorridente. «Non è un granché, ma la paga è buona e sicuramente a te piacerà».
«Di che lavoro si tratta?» Domandai, curiosa.
«In libreria».
Anche non potendo vedermi, avrei scommesso che i miei si fossero illuminati a quella notizia. «Ma è fantastico» affermai sorridendo.
«Non è una libreria lontana da qui» mi informò dopo aver mangiato un altro morso del panino. «Possiamo raggiungerla a piedi».
Annuii. «Mi sembra fantastico» ripetei, ammaliata al solo pensiero di lavorare in una libreria, immersa nei libri, il mio mondo. «Grazie» aggiunsi poco dopo.
«Mi sembra il minimo» Jennifer scrollò le spalle. «Iniziamo lunedì, comunque».
Terminammo la cena velocemente ed entrambe ci congedammo nelle proprie stanze per un po’; probabilmente Jennifer doveva chiamare Michael, io invece mi ero distesa sul letto ed avevo accesso il computer per passare del tempo.
Tornai in salotto, raggiunta qualche minuto più tardi dalla mia amica, e decidemmo di vedere un film.
«Sei agitata per domani?» Mi domandò.
«Adesso come adesso no» ammisi.
Lei annuì. «Io lo sono un po’, rivedere finalmente Michael mi rende nervosa» parlò dopo alcuni attimi, ma subito dopo soggiunse: «In senso buono, ovviamente».
Risi. «Lo avevo capito».
La mia attenzione fu catturata per l’ora e mezza successiva dal film, di cui con tutta onestà non avevo capito il titolo. Trattava di una storia d’amore – non era per niente l’ideale, ma non mi andava di lamentarmi con Jennifer proprio quando sembrava aver allentato la presa nei miei confronti – ed era stato piacevole da vedere. Dopotutto.
«Ricordi che avevamo detto di partire questa estate?» Jennifer prese parola dopo aver spento la televisione e aver fatto cadere il telecomando – non era mancata un’imprecazione, ovviamente.
«Sì».
«Che ne dici di farlo sul serio?»
«Mi piacerebbe» approvai la sua idea, annuendo.
Sulle sue labbra comparve un sorriso. «Pensavo che potremmo visitare Parigi per prima e poi New York, per iniziare».
«Per iniziare?» Mi lasciai scappare una risata.
«Esatto» confermò le proprie parole, annuendo con vigore.
«E sentiamo» dissi «dove altro vorresti andare?»
«Ovunque» rispose prontamente.
«Non credo sia possibile in soli tre mesi» la destai dal proprio sogno, sorridendo. «Penso che dovrai farti bastare Parigi e New York, almeno per questa estate».
Lei annuì dopo aver storto le labbra. «Vedrò di abituarmi all’idea».

Sentii qualcuno picchiettarmi sulla spalla ripetutamente, al che fui costretta ad aprire gli occhi per rendermi conto che quel qualcuno era Jennifer. Sorrideva in modo raggiante e capii il perché quando volsi lo sguardo fuori e lessi la scritta bianca LEEDS su un cartello blu.
«Dai, alzati» Jennifer mi incitò, continuando a mantenere il sorriso sulle labbra.
«Mi sono addormentata» dissi dopo aver recuperato il bagaglio a mano.
«Non dovevamo fare tardi stanotte» borbottò la mia amica. «Abbiamo dormito due ore, massimo. Se non di meno».
Borbottai qualcosa di incomprensibile persino per me e seguii Jennifer all’esterno del treno. La stazione brulicava di persone ed era immersa in un mormorio formato dalle tante voci che si sovrapponevano l’una sull’altra.
Sospirai, colta improvvisamente dal motivo per cui mi trovavo lì. La consapevolezza di aver preso una decisione stupida mi colpì e mi fece venire un nodo alla bocca dello stomaco. Avrei dovuto avvertire James, non agire in questo modo.
«Sei più pallida del solito» Jennifer posò una mano sulla mia spalla. «Sei sicura di sentirti bene?»
Annuii in modo distratto, passandomi una mano tra i capelli. «Sto bene» accennai un sorriso forzato per tranquillizzarla.
«Uhm, okay» non sembrava convinta, ma non insistette. Fortunatamente. «Michael mi ha scritto che è fuori dalla stazione, andiamo».
Nonostante la stazione fosse più piccola di quella di Londra, riuscimmo a trovare l’uscita soltanto dopo quindici minuti di ricerca. Nessuna delle due aveva avuto la brillante idea di chiedere a qualcuno, infatti mi diedi mentalmente della stupida.
«EHI!» Una voce lontana attirò l’attenzione della maggior parte delle persone presenti, compresa la mia, al che mi voltai e notai Michael venirci incontro.
Jennifer gli andò incontro e lo baciò, senza allentare la presa di un centimetro. Rimasero stretti per almeno i due minuti successivi ed io iniziai a sentirmi di troppo, infatti l’idea di girare i tacchi ed andarmene mi sfiorò.
«Non sapevo che saresti venuta anche tu» Michael disse dopo aver sciolto l’abbraccio con Jennifer, salutandomi subito dopo con fare amichevole. «E neanche James, a quanto mi risulta».
«Non lo sa, infatti» mi precipitai.
«Ah». Sembrava confuso.
«Ho deciso di non dirglielo perché non inventasse scuse premeditate quando ci saremmo visti» gli spiegai, storcendo le labbra. «Solo adesso mi rendo conto di quanto sia stupida come cosa, forse dovrei tornare a Londra».
«Ormai sei qui» Michael scrollò le spalle. «E sì, è una cosa stupida».
«Lo so» morsi il labbro inferiore, rivolgendo un’occhiata alla mia amica. «Adesso cosa dovrei fare? Chiamarlo e dirgli che sono a Leeds?»
«Proprio così» Michael precedette Jennifer, che fu d’accordo con lui. «Andiamo intanto a casa mia, lì potrai chiamarlo».
Assentii, quindi entrammo in macchina.
Il viaggio durò poco più di mezz’ora e, quando giungemmo a destinazione, rimasi piacevolmente sorpresa dalla zona in cui Michael viveva. Era un quartiere accogliente e piuttosto signorile e mi piacque immediatamente.
«Rimarrai qui a dormire?» Mi domandò Michael.
«Penso di sì, cioè non so» ammisi.
Lui annuì, comprendendo che non era il momento per pensarci. La mia priorità al momento era parlare con James ed affrontare la questione.
«Avete fame?» Michael chiese. «Sono le otto passate».
Jennifer annuì. «Potrei cucinare io» propose, al che pensai che stesse scherzando dato che ero a conoscenza dell’avversione della mia amica nei confronti della cucina, ma era seria.
«Se ne hai voglia, fa’ pure» Michael accettò, stampandole un bacio sulle labbra.
«Avete preferenze?» Domandò quindi, raccogliendo i lunghi capelli biondi in una coda di cavallo.
«No» dissi io. «Prepara quello che preferisci».
«Ho già in mente qualcosa» disse «spero solo che ci siano gli ingredienti».
Dopo che Michael le mostrò la cucina, mi raggiunse in sala e si sedette al mio fianco. Aveva un’espressione indecifrabile sul volto.
«Qualcosa non va?» Domandai infatti.
«Stavo pensando alla tua situazione con James» prese parola dopo alcuni istanti. «Me ne ha parlato anche lui qualche giorno fa, è davvero dispiaciuto per come è andata a finire con te».
«Lo sono anche io».
«Avresti dovuto dirgli che saresti venuta» disse, scuotendo il capo.
«Lo so, me ne sono pentita di non averlo fatto» sospirai. «Non so cosa mi sia preso. Ho pensato veramente che sarebbe stato meglio tenerlo all’oscuro, ma mi sono resa conto di aver agito come una stupida».
«Non sei stupida, Rosalie» Michael intrecciò le braccia al petto. «Hai sbagliato, è vero, ma può succedere a tutti».
Rimasi in silenzio.
«Ora dovresti chiamarlo e dirgli che sei a casa mia».
«E se andassi direttamente a casa sua?»
Si strinse nelle spalle. «Questo dipende da te».

Decidi quasi subito di chiamare James, prendendo alla lettera le parole di Michael, quindi uscii di casa e mi sedetti sugli scalini. Sospirai varie volte prima di digitare il suo numero e portare il cellulare all’orecchio.
«Rosalie?» La voce di James era sorpresa.
«Ciao» dissi in sussurro.
«Pensavo che non ti saresti fatta più sentire» ammise e lo immaginai passarsi una mano tra i capelli, come era solito fare.
«Anche io» dissi, lasciandomi scappare una risata colma di nervosismo. «Devo dirti una cosa ed è anche abbastanza ridicola».
«Sono tutto orecchie».
«Sono a Leeds in questo momento» riuscii a dire dopo alcuni attimi. «A casa di tuo fratello».
«Perché non mi hai detto che saresti venuta?» Chiese.
«Be’» mi schiarii la voce «non te l’ho detto perché mi è venuto il dubbio che magari avresti inventato qualche scusa da dirmi».
James non disse nulla.
«Lo so, è stupido e mi dispiace».
«Non ha alcun senso» finalmente parlò «ma non sono nella posizione di dirti che non avresti dovuto farlo e che ti saresti dovuta fidare di me, quindi va bene così».
«Vuoi ancora dirmi la verità?»
«Sì» rispose con prontezza. «Pensi che le cose potranno tornare come prima?»
«Non lo so» scossi il capo, consapevole che non mi potesse vedere. «Un rapporto sano deve basarsi sulla fiducia reciproca e adesso io non ho fiducia nei tuoi confronti, James».
«Lo so».
«Forse» riprese «dopo averti detto tutto ci penserà il tempo a mettere le cose al proprio posto. Non credi?»
«Forse».
«Vediamoci adesso» disse improvvisamente James, interrompendo il silenzio che era calato dopo la mia risposta.
«E dove?»
«Passo a prenderti a casa di Michael e poi decidiamo dove andare» propose senza indugiare un istante. «Ti va?»
Fremevo dalla voglia di vederlo, nonostante il mio tono di voce implicasse il contrario, e ormai era decisa nel voler ascoltare la sua storia. «Sì» dissi semplicemente, terminando la chiamata.


 
* * *
Salve :)
Ho aggiornato prima del solito perché ormai ho più tempo per dedicarmi alla scrittura, fortunatamente. Spero ne siate felici come lo sono io.

Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto... siete curiosi di scoprire il segreto di James?
Un bacio, a presto spero!


Diemmeci

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Capitolo 19
*** Diciotto ***


Diciotto


Tornai in casa, sedendomi sul soffice divano. Sospirai.
«Hai parlato con James?» Jennifer si sedette accanto a me non appena Michael si congedò per andare a farsi una doccia.
«Sì» risposi. «Sta venendo a prendermi».
«L’idea di non dirgli che saresti venuta è stata veramente stupida» disse, ridendo. «Mi dispiace di avertela consigliata».
«Non preoccuparti, James non se l’è presa».
Lei annuì.
Chiacchierammo allegramente finché non mi arrivò un messaggio di James, in cui c’era scritto che era arrivato.
Feci dei lunghi respiri, cercando di dominare l’ansia e l’agitazione crescenti. Rimasi in piedi di fronte alla porta d’ingresso per alcuni minuti, che sembrarono ore, per prepararmi psicologicamente. Non sapevo come comportarmi e questo mi stava mandando fuori di testa.
«Non vorrai farlo aspettare ancora» mi incoraggiò Jennifer.
Scossi il capo, ma non mossi un muscolo.
«Rosalie, apri questa maledetta porta e vai. Ora».
Feci un altro lungo respiro prima di ruotare il pomello d’oro ed aprire finalmente la porta. Percorsi il vialetto lentamente e, quando giunsi alla fine, mi trovai di fronte ad un James con il solito sorriso smagliante stampato sulle labbra, ma stavolta non coinvolse anche gli occhi. Si stava sforzando, riuscivo a percepire quanto fosse teso in realtà.
«Ciao» dissi, alzando una mano in cenno di saluto. Stavo cercando di apparire calma e sperai che qualche parola o atteggiamento non mi tradissero.
«Ciao» ribatté lui, aprendo la portiera della macchina. «Hai già cenato?»
Scossi il capo prima di salire al posto del passeggiero, raggiunta dopo qualche secondo da James. Incrociai le braccia al petto e lo guardai.
«Veramente Jennifer stava preparando qualcosa ma sei venuto tu…»
Annuì. «Non ho mangiato neanche io» sorrise, continuando a sforzarsi. «Che ne dici di passare al Mc Drive e poi di mangiare in un parco? A quest’ora non c’è nessuno e l’aria non è così fredda».
«Hai sempre il telo?»
Entrambi sorridemmo in modo spontaneo, tornando indietro nel tempo ad uno degli ultimi momenti che avevamo passato insieme prima che tutto precipitasse.
«È sempre in macchina».
«Okay, allora vada per il McDonald».
Passammo a prendere il cibo e venti minuti più tardi eravamo seduti su un soffice prato; mi ero calmata finalmente e avevo ripreso il controllo delle mie emozioni, nonostante ci fosse voluto un bel po’ e lo stesso sembrava valere per James.
Mangiammo quasi completamente nel silenzio – per la prima volta nella mia vita non ne fui infastidita, provai invece molto piacere mentre ci scambiavamo sguardi che, se avessero potuto, avrebbero parlato – e ci limitammo quindi a chiacchierare sulla mia decisione improvvisa di venire a Leeds.
«Sono giunta alla conclusione che me ne sarei pentita, se non fossi venuta» gli dissi quando finimmo di mangiare.
«Ah, sì?»
«Sì» confermai con sicurezza. «Ho passato tutta la vita a vivere di rimpianti, non volevo che accadesse anche stavolta».
«Sono felice che tu sia qui».
Lo sono anch’io, avrei voluto dire, ma abbozzai un semplice sorriso. Improvvisamente tornai con i piedi per terra, ripensai al vero motivo per cui eravamo insieme. Dovevamo parlare. Lui doveva parlare.
«Non possiamo evitare il discorso per tutta la serata, giusto?» Dissi, prendendo coraggio.
James sembrò inizialmente sorpreso dalle mie parole ma poi sembrò capire a cosa mi riferissi. Anche lui, forse, aveva dimenticato momentaneamente la reale situazione in cui ci trovavamo.
«Mi sono allontanato da Leeds perché avevo bisogno di riflettere, proprio come ti ho detto» James iniziò a parlare, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. «Avevo bisogno di capire se volevo veramente continuare o meno la mia relazione con Regan».
«La ragazza delle foto» dedussi, colta da una punta di gelosia.
«Proprio lei» confermò. «Quando Michael mi ha proposto di andare a Londra per due settimane, non ci ho pensato un secondo prima di accettare. Era l’occasione perfetta per evadere dalla realtà, per pensare e capire, soprattutto» proseguì. «Ovviamente ho litigato con Regan, ma un litigo in più o in meno non faceva più molta differenza. Non facevamo altro che attaccarci nell’ultimo periodo, anche per la minima sciocchezza».
Annuii, facendogli capire che lo stavo ascoltando. Si fece più pallido mentre parlava di questa storia, sembrava essere sul punto di vomitare.
«Non è sempre stato così, ovviamente. Io e Regan abbiamo vissuto un’esperienza che ci ha segnati profondamente un anno  e mezzo fa ed è questo che ci ha portati alla rottura definita» disse, facendo un lungo respiro. «Eravamo felici, progettavamo persino di sposarci, e quando lei scoprì di essere incinta la voglia di fare il grande passo era aumentata».
Respinsi l’impulso di tendere una mano per stringere la sua e attesi che continuasse. In cuor mio credevo di sapere come proseguisse la storia.
«Poi è accaduto quello che nessuno si aspettava» lo sussurrò appena. «Lei ebbe un aborto spontaneo ed il nostro rapporto è cambiato. Lei è cambiata».
«Oh, mio Dio, James» sussurrai, stavolta senza trattenermi per cui gli strinsi una mano. La sua stretta mi fece sussultare e, quando lo guardai negli occhi, scorsi il grande dolore per la perdita di un figlio che non aveva mai potuto vedere.
«Quando sono arrivato a Londra non sapevo che avrei incontrato te, non sapevo che mi avresti incasinato ancora di più le idee ma allo stesso tempo che mi avresti aiutato a capire».
Morsi il labbro inferiore. «Cosa?»
«Ho capito che con Regan è finita nel momento in cui abbiamo perso nostro figlio, che abbiamo continuato a stare insieme solo per paura di rimanere da soli e soffrire da soli. Ho capito che non provavo nulla nei suoi confronti, se non del bene, e ho capito di volere te».
James parlò così velocemente che mi ci volle qualche secondo per assimilare le sue parole e il loro significato. Quando finalmente compresi, alzai lo sguardo per incontrare due occhi color ghiaccio che attendevano una risposta.
«Ne hai parlato con Regan?» Chiesi.
«Non appena sono tornato da Londra» rispose prontamente. «Le ho raccontato tutto, di te, di noi e di come fossi convinto di volerla finire con lei».
«Oh».
Lui attese.
«Non so cosa dire».
«Non credo che serva dire nulla in questi casi».
Lo guardai per quella che mi parve un’eternità prima di avvicinarmi a lui e stringerlo forte in un abbraccio. «Mi dispiace di non avertelo detto prima» sussurrò nel mio orecchio.
Mi allontanai di qualche centimetro per poterlo guardare negli occhi. «Credo sia comprensibile, James».
«E se ti baciassi ora?»
Gli rivolsi un sorriso imbarazzato prima di ridere fragorosamente per poi catturare le sua labbra in un bacio. Mi sentii veramente bene dopo settimane, in qualche modo completa, e sperai che quel momento non finisse più.
Avevo desiderato James dal primo istante in cui i nostri occhi si erano incrociati, ma lo avevo capito soltanto quando lui aveva preso l’iniziativa e mi aveva proposto di aprirmi con lui. Sorrisi sulle sue labbra a quel ricordo, che sembrava così lontano ora mentre in realtà era passata soltanto qualche settimana.
«A cosa stai pensando?» Mi chiese, come se mi avesse letto nel pensiero.
«A nulla» mentii spudoratamente.
«So che non è vero, ma fingerò di crederti».
Sorrisi, tornando a sedermi di fronte a James. Ero salita sulle sue gambe senza rendermene conto.
«Che ore sono?»
Lui diede un’occhiata all’orologio. «Quasi le undici» disse. «Ti va di venire a casa mia? Puoi fermarti a dormire lì».
«Certo» accettai senza esitazione, perché realizzai soltanto dopo alcuni istanti che mi aveva proposto di rimanere a dormire a casa sua. Morsi il labbro inferiore e cercai di non mostrare la mia titubanza mentre camminavamo per raggiungere la macchina.

La casa di James non distava molto dal parco in cui ci eravamo rifugiati, quindi un quarto d’ora dopo eravamo seduti sul divano a chiacchierare. Avevo fatto un giro veloce dell’appartamento e lo avevo trovato grazioso, ben arredato.
«Sei proprio sicura di non volere nulla da mangiare?» Mi chiese James, forse per la quarta volta.
Afferrai un cuscino – uno dei tanti – e glielo lanciai, colpendolo in faccia. Risi fragorosamente. «Ti ho detto di no».
Lui anche rise, buttando il capo all’indietro. «Okay, okay».
«Abiti qui da molto tempo?»
«No» scosse il capo e qualsiasi traccia di divertimento scomparve dal suo viso. «Questa sarebbe stata la casa in cui ci saremmo trasferiti io e Regan con il bambino» spiegò infatti, evitando di guardarmi.
«Il solo pensiero sembra farti stare male» mormorai. «Forse avresti dovuto venderla e comprarne un’altra».
«Ci ho pensato, ma in fin dei conti qui dentro non è mai entrato nessun bambino».
Mi avvicinai a James, accoccolandomi al suo petto. Mi lasciai avvolgere dal suo possente braccio e gli lasciai un leggere bacio sulla pelle lasciata scoperta dalla maglia. «Non posso comprendere fino in fondo il tuo dolore, è vero, ma sappi che posso aiutarti».
«Mi aiuti già».
Volsi lo sguardo verso l’altro, incontrando il suo.
«La tua presenza accanto a me è già abbastanza, fai tanto per me senza accorgertene».
Sorrisi. «Hai fatto tanto anche tu per me».
«Non credo».
«Mi hai fatta aprire dopo moltissimo tempo» dissi. «È tanto».
«Be’» sorrise «hai ragione».
Ridacchiai, nascondendo il viso nell’incavo nel suo collo. Lasciammo che il silenzio ci avvolgesse completamente, tornai quindi con la testa sul petto di James. Riuscivo a sentire il suo cuore battere e ritenni che fosse il suono più bello che avessi mai sentito in tutta la mia vita.
«Quando devi tornare a Londra?» James mi fece tornare con i piedi per terra.
«Domenica».
«Non puoi restare di più?»
«No» dissi. «Lunedì inizio a lavorare e così Jennifer».
James annuì, un po’ avvilito. «Di che lavoro si tratta?»
«Abbiamo trovato un posto in libreria, non dista nemmeno molto da casa nostra perciò possiamo raggiungerla a piedi».
«Mi piace» lui annuì di nuovo, sorridendo. «Rosalie, quando hai intenzione di prendere la patente?»
Risi, coprendomi il viso per la vergogna. «Presto, molto presto».
«Perché non l’hai ancora presa?» Rise anche lui.
«Non so, non ne ho mai avuto la necessità. Soltanto adesso mi rendo conto che sarebbe più comodo guidare».
James rise sommessamente ed io mi resi conto – per l’ennesima volta – di quanto fosse bello. Avrei passato ore a guardarlo.
Gli passai una mano tra i capelli e lo baciai, senza provare la minima vergogna quando gli salii sulla gambe. Mi strinse a sé, con una mano posata sulla mia schiena ed una che mi sfiorava il collo. Avvertii di nuovo la sensazione di desiderio da parte di entrambi, proprio come era successo qualche settimana prima quando ci trovavamo al parco.
Velocemente, gli sfilai la maglia e gli rivolsi un sorriso innocente.
«Sei sicura?»
Gli rubai un altro bacio ed annuii, convinta. «Sicurissima».


 
* * *
Buona domenica :)
Finalmente avete scoperto cosa nascondeva James... che cosa ne pensate? Fatemi sapere, sono curiosa.
Vorrei informarvi del fatto che, dopo questo capitolo, ne manca soltanto un altro e in fine l'epilogo. Mi dispiace veramente molto che stiamo per giungere alla fine, non potete immaginare quanto. Ormai mi sono affezzionata ai miei personaggi come se fossero miei amici e sarà dura separarmene.
Detto questo, spero che io non vi abbia delusi. 
Aspetto le vostre recensioni :)

Diemmeci

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Capitolo 20
*** Diciannove ***


Diciannove


Passammo la maggior parte della mattinata di sabato sdraiati sul letto – non avevo idea di come ci fossimo finiti dal divano, con tutta onestà.
«Non voglio che te ne vai domani» James sussurrò. Aveva la schiena poggiata allo schienale del letto ed io avevo la testa sul suo petto.
«Io non voglio andarmene».
«Ma devi».
Risi piano. «Devo».
Ruotai su me stessa, issandomi sui gomiti, e rivolsi un sorriso a James.
«Abbiamo tutta la giornata di fronte a noi» dichiarò. «Che cosa hai voglia di fare?»
«Non saprei» dissi. «Tu cosa proponi?»
«Potremmo intanto andare a casa di Michael, rimanere lì per pranzo e poi magari andare a fare giro».
Ricordai solo in quel momento che c’era anche Jennifer; ero stata talmente presa da James da dimenticare tutto il resto. «Sì, va bene» annuii, alzandomi in piedi con il lenzuolo bianco avvolto intorno al corpo nudo. «Ho bisogno di una doccia, prima».
James inclinò il capo e mi osservò, rimanendo in silenzio.
«Che c’è?»
«Sei bellissima, Rosalie».
Arrossivo raramente, ma ero certa che in quell’istante fossi rossa. Avvertivo persino le orecchie bruciare. «Grazie» dissi.
«Adoro farti imbarazzare» James rise, alzandosi a sua volta senza però preoccuparsi minimamente di non aver nessun indumento addosso. «Ho bisogno di una doccia anch’io».
Mi alzai sulle punte e gli diedi un bacio a fior di labbra. «Aspetta il tuo turno» dissi prima di scomparire in bagno, ridendo per l’espressione sconcertata che gli era apparsa sul volto.

Durante il viaggio in macchina recuperai il cellulare dal fondo della borsa e sospirai, notando di avere tre messaggi da parte di Jennifer.

Hey, come procede?

Rose… rispondi!

Rosalie Mills, quando ci vediamo voglio sapere tutti i particolari. Buon divertimento!

Risi leggendo l’ultimo messaggio, ovviamente alludeva a ciò che io e James avevamo fatto stanotte. Ripensandoci arrossii violentemente, ero stata io a prendere in mano la situazione e a fargli capire che lo volevo con tutta me stessa. Con Caleb non era mai accaduto, era sempre lui a prendere l’iniziativa mentre con James era stato diverso. Mi era venuto naturale, spontaneo, ed era stato magico.
«Cosa c’è di tanto divertente?» James interruppe i miei pensieri.
«Niente» minimizzai, sorridendogli mentre gettavo distrattamente il cellulare nella borsa. «Era soltanto Jennifer».
Lui annuì, tornando a posare lo sguardo sulla strada. Mi persi ad osservarlo nuovamente –era successo anche stanotte mentre dormiva – e non potei fare a meno di sorridere. Amavo ogni piccolo particolare di lui, avrei passato ore a guardarlo senza stancarmi mai.
«Credo di amarti» mormorai sovrappensiero, rendendomi conto troppo tardi di quello che avevo detto.
Sgranai gli occhi. Come avevo potuto?
Guardai James, che si limitò a sorridere tra sé e sé senza guardarmi.
Forse era stato meglio così. Forse se avesse parlato avrebbe detto di non amarmi, che era tropo presto, e probabilmente ci sarei rimasta male. Ma sì, era sicuramente per quello.
«Siamo arrivati» disse, fermandosi di fronte la casa di Michael.
Annuii, scendendo dalla macchina. Mi sentivo a disagio per ciò che avevo detto poco prima, ma lui sembrava tranquillo, composto come sempre.
Suonai al campanello di casa ed attendemmo che qualcuno venisse ad aprire.
«Ehi» la voce di Michael mi risvegliò dal mio monologo interiore.
James gli diede una pacca sulla spalla prima di entrare  mentre io mi limitai ad un cenno del capo. Non riuscivo ancora a credere di aver detto una cosa del genere a James… eppure era uscita in modo così spontaneo.
«Eccoti» Jennifer comparve accanto a Michael, sorridendomi. Notò soltanto dopo alcuni istanti la presenza di James, al che lo salutò allegramente.
Ci sedemmo sul divano ed occupammo il tempo parlando e scherzando – stavo cercando di non pensare alla pessima figura che avevo fatto in macchina –  finché James e Michael non si congedarono per raggiungere la cucina e preparare qualcosa da mangiare per pranzo.
«Allora» esordì Jennifer non appena rimanemmo da sole.
«Allora» ripetei io, sorridendo divertita per il comportamento della mia migliore amica.
«Ho saputo il vero motivo per cui James è venuto a Londra» disse, diventando improvvisamente seria ed abbassando il tono della voce. «Non credevo che sotto ci fosse qualcosa di così serio».
«Nemmeno io» ammisi. «Era molto provato mentre ne parlava, avresti dovuto vederlo. Perdere un figlio deve essere terribile».
«Già».
«Sono comunque felice che mi abbia detto tutto» dissi. «Mi sono pentita di non averlo ascoltato prima ed aver fatto passare tutto questo tempo».
Lei annuì, facendo comparire sul suo viso un’espressione che trasudava curiosità. Voleva che le raccontassi ciò che era successo con James, riuscii a capirlo soltanto con un’occhiata.
«Sì» risposi alla sua domanda implicita. «Lo abbiamo fatto».
Jennifer sorrise finalmente, ammiccando. «Com’è stato?»
Risi, buttando la testa all’indietro. «Ma abbiamo quindici anni, Jen?»
Sbuffò, volgendo lo sguardo altrove fingendosi offesa.
«Bello, è stato bello» la accontentai, scuotendo il capo con divertimento. Arrossii violentemente al solo pensiero, di nuovo.
Jennifer sorrise. «Okay» decretò, non aggiungendo altro.
Sorrisi a mia volta, dopodiché apparecchiammo velocemente la tavola e ci sedemmo ad aspettare che i due fratelli servissero il cibo. Improvvisamente mi tornò in mente ciò che avevo mormorato in macchina a James – inconsciamente – e spalancai gli occhi.
«Devo dirti un’altra cosa» le dissi.
«Cosa?»
Proprio nell’istante in cui stavo per parlare, James e Michael arrivarono con due vassoi. Li posarono sulla tavola – facendo rigirare qualche bicchiere per la poca attenzione – e sorrisero soddisfatti. Diedi un’occhiata alle pietanze, notando che in un vassoio c’erano quattro panini e nell’altro quattro piccoli piatti che contenevano a loro volta delle patatine fritte.
«Un pranzo coi fiocchi» dissi io, approvando.
«L’idea è stata mia» Michael sorrise con soddisfazione, sedendosi accanto a Jennifer, che gli sorrise.
«Ma ho preparato io» concluse James, accomodandosi al posto vuoto di fianco al mio. «Spero vada bene, il frigo era praticamente vuoto».
«Va più che bene» Jen annuì.
Annuii anche io. Allungai una mano per afferrare un panino – non mi preoccupai di sapere con cosa fosse stato farcito, sapevo però che mi sarebbe piaciuto perché era stato James a prepararlo – e poi presi una porzione di patatine.
Lo stesso fecero gli altri.
«Avevate in  mente di fare qualcosa oggi?» Chiese Michael, rivolto a me e James.
«Pensavamo di farci un giro» risposi io.
«Potremmo uscire tutti insieme, no?» Propose Jennifer dopo alcuni attimi, mangiando subito dopo una patatine fritta.
«Sì» approvai la sua idea.
«Va bene» disse Michael.
James si limitò a fare un cenno positivo col capo.
Terminammo il pranzo dieci minuti più tardi, quindi io e Jennifer decidemmo di sparecchiare velocemente la tavola. In cucina, riprendemmo il discorso lasciato in sospeso.
«Cos’altro stavi per dirmi, prima?» Jennifer era curiosa.
«Ho detto a James che credo di amarlo» lo sussurrai, temendo magari di poter essere ascoltata. «Non ho idea del perché io l’abbia pronunciato a voce alta, credimi».
«Ed è vero?»
«Cosa?»
«È vero che lo ami?»
Mi soffermai a pensare per alcuni secondi. «Io…» Sospirai pesantemente. «Penso di sì, dannazione, ma è possibile innamorarsi di qualcuno in così poco tempo?»
«Io credo di sì» Jennifer accennò un sorriso, facendomi intendere che in fondo anche lei stava iniziando a provare qualcosa di profondo per Michael. «Senti, Rose, non allarmarti adesso. Non serve nulla stare qui e disperarsi».
«Hai ragione».
«Lui ti ha risposto?»
«Ha soltanto sorriso».
Lei annuì. «Non è un cattivo segno».
Mi strinsi nelle spalle. «Non saprei».
Jennifer mi abbracciò dolcemente, trasmettendomi tutto l’amore che poteva. «Tempo al tempo».

Nel tardo pomeriggio decidemmo di uscire per fare una passeggiata.
Ringraziai mentalmente James che mi aveva consigliato di portare un giacchetto pesante – io avevo insistito nell’indossare la giacca di pelle – perché il freddo era pungente in quella giornata di febbraio.
«Mi piace Leeds» dissi a James quando mi circondò con un braccio e mi attirò più vicina a lui.
«Ah, sì?» Lui sorrise.
«Sì» annuii. «Adesso che noi…» Lasciai la frase a metà, non sapendo in che modo completarla. Stavamo insieme, magari? «Adesso che abbiamo chiarito» ripresi «penso che ne approfitterò per visitare di tanto in tanto la città».
«Quindi ammetti di usarmi per un secondo fine?» Si finse offeso, facendomi ridere.
Gli diedi uno schiaffo scherzoso sul braccio prima di stampargli un bacio sulla guancia. «Non potrei mai».
Lui sorrise, visibilmente felice.
Michael ci richiamò e, quando entrambi ci voltammo, notammo che erano rimasti indietro. Li aspettammo, prendendoli in giro per la loro lentezza.
«Dovevamo fare una passeggiata» Jennifer ci schioccò un’occhiataccia «non una maratona».
Io e James ridemmo.
«Già» borbottò Michael, allontanandosi di poco con James per poter parlare. Sembrava che non volessero essere ascoltati, ma non ci badai.
«Ricordi quando eravamo piccole dicevamo sempre che ci saremmo fidanzate con due fratelli, in modo da non separarci mai?» Jennifer rise.
Mi passai una mano tra i capelli, annuendo. «A quanto pare siamo state fortunate».
«Lo credo anche io» disse lei, sorridendo.
La presi sotto braccio e riprendemmo a camminare, stavolta più lentamente. «Dobbiamo per forza andarcene domani?» Chiesi.
«Sì, Rosalie» Jennifer annuì. «Non vorrai mica assentarti il primo giorno di lavoro, non è vero?»
L’idea mi aveva sfiorata, ma non lo ammisi. «Il primo giorno? Neanche per sogno».
«Bene».
Sorrisi, guardando il lontananza James. Non mi sembrava reale la situazione che stavo vivendo, non ancora almeno. Fino a qualche ora fa ero convinta che niente mi avrebbe fatto cambiare idea sulla decisione di prendere le distanze da lui, ma adesso quella convinzione sembrava lontana.
Come se non ci fosse mai stata, ecco.
«Abbiamo il treno alle tre, quindi in pratica abbiamo a disposizione gran parte della giornata di domani» Jennifer parlò, ponendo fine al silenzio.
«Uhm, sì».
Un turbine di pensieri invase nuovamente la mia mente, ma soltanto uno mi preoccupava davvero. Avevo detto a James di amarlo. E se, così facendo, lo avessi inevitabilmente allontanato da me? Se lo avessi spaventato?
Non ero mai stata una persona impulsiva, ma quelle parole erano uscite dalle mie labbra prima ancora di poterle pensare.
Lo amavo e non avevo potuto fare a meno di dirglielo.
Sorrisi spontaneamente.
«Sei pensierosa» disse Jennifer, rivolgendomi uno strano sguardo. «A cosa stai pensando?»
«A niente» scrollai le spalle.
«Sì, certo!» Esclamò lei in modo sarcastico.
«Ragazze» la voce di Michael attirò la nostra attenzione «vi va di andare a cena in un posto speciale?»
Io e Jennifer annuimmo, ma prima ci lanciammo uno sguardo perplesso. Li raggiungemmo a passo lesto, chiedendo ovviamente che posto fosse. Nessuno dei due ci rispose, quindi non insistemmo.
«La cucina è ottima» disse James.
Michael annuì. «Lo è veramente».

Una mezz’ora più tardi i ragazzi si fermarono di fronte un’abitazione e si scambiarono uno sguardo complice, d’intesa. Aprirono il cancelletto e percorsero il vialetto – sempre con me e Jennifer dietro di loro – e suonarono al campanello.
Non facemmo domande, ormai avevamo capito che posto fosse.
Quando la porta si aprì, sulla soglia di casa apparvero un signore ed una signora, entrambi con il sorriso stampato sulle labbra. Lo stesso sorriso di James. E lo stesso sorriso di Michael.
«I miei ragazzi!» Esclamò la donna, abbracciandoli entrambi alzandosi sulle punte dei piedi. A quanto pareva, non ero l’unica a doverlo fare. «Entrate, forza».
«Loro sono Jennifer e Rosalie» James ci presentò. «E loro sono i nostri genitori, Beverly e Daniel».
«Oh, è un piacere conoscervi» Daniel ci abbracciò calorosamente.
Lo stesso fece Beverly, che non aveva smesso un istante di sorridere da quando era stata aperta la porta.
Ci accomodammo in sala – non persi ovviamente l’occasione di dare un’occhiata in giro, constatando lo stile moderno con cui la casa era stata arredata. Ne rimani piacevolmente sorpresa.
«Non credevo che Michael avrebbe mai portato una ragazza a casa» disse Beverly, suscitando una risata generale. «Ci avevo perso le speranze».
«Ti sbagliavi» Michael le fece l’occhiolino.
L’atmosfera si fece sempre più piacevole e l’imbarazzo iniziale divenne un lontano ricordo. Mantenni un sorriso sulle labbra per la maggior parte del tempo – è inevitabile non sorridere quando si è circondati da persone così gentili e deliziose – e mentre chiacchieravamo mi resi conto di alcune somiglianze tra James e Beverly.
«Lasciamo le signore chiacchierare» Daniel disse, alzandosi. «Per questa sera ci pensiamo noi alla cena».
Jennifer sorrise. «Hanno preparato anche il pranzo oggi, in realtà».
«E pensare che quando erano ragazzi non facevano nulla!» Esclamò Beverly, scuotendo il capo con aria divertita. «Sono fiera di voi, ragazzi».
Risi piano, lanciando un’occhiata a James che ricambiò immediatamente. Sembrava veramente felice, non lo avevo mai visto così allegro e solare e questo mi riempì il cuore di gioia.
«A più tardi» Michael ci liquidò, ridendo fragorosamente mentre scompariva insieme agli altri dietro la porta. 


 
* * *
Ehilà :)
Mi rendo conto che sia mezzanotte passata, ma il sonno fa il difficile stasera e non vuole venire a me. E quindi un altro capitolo è stato pubblicato, yay (Sara, è colpa tua).
Il prossimo aggiornamento sarà l'epilogo e mi rattrista il pensiero, ma comunque sono felice di aver terminato (quasi!) questa storia. Ho adorato scrverla, davvero. 
Spero quindi che questo capitolo vi piaccia, a presto.


Diemmeci

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Epilogo


Una settimana dopo aver lasciato Leeds mi resi conto che stare lontana da James era difficile – più difficile di quanto avessi immaginato.
Lo realizzai mentre stavo rincasando dopo una giornata di lavoro alla libreria e trovai Jennifer chiacchierare al cellulare con Michael. Forse fu la consapevolezza di non poterlo vedere ogni qualvolta che desiderassi a rattristarmi un po’. O almeno credevo.
«Ehi» Jennifer sventolò una mano davanti al mio viso, richiamando la mia attenzione. Aveva appena terminato la chiamata e notai un po’ di malinconia nei suoi occhi; non doveva essere facile neanche per lei stare lontana da Michael, ma cercava comunque di non farlo trasparire. «Hai fame?»
«Sì».
«Preparo qualcosa, allora».
Annuii, tentando di scacciare la sensazione di tristezza e andai in camera mia. Poggiai la borsa sul letto e feci una doccia veloce.
«Hai bisogno di una mano?» Tornai in cucina.
Jennifer scosse il capo. «No, sto preparando la pasta col sugo. Qualcosa di semplice, insomma».
«Nell’ultimo periodo hai cucinato più spesso del solito» notai.
Lei si strinse nelle spalle. «Sta iniziando a piacermi».
Ridacchiai, raccogliendo i capelli in una coda di cavallo. «Ottimo».
Chiacchierammo allegramente della lunga giornata di lavoro appena giunta al termine – per me, purtroppo Jennifer aveva turni diversi – finché il mio cellulare non iniziò a squillare. Andai in camera e risposi senza leggere chi fosse il mittente della chiamata.
«Pronto?» Risposi, buttandomi di peso sul letto, supina.
«Ehi» la voce di James risuonò più squillante del solito. «Ti disturbo?»
«No, ovviamente no» dissi in modo frettoloso, tirandomi a sedere in modo automatico. «A cosa devo questa chiamata?»
Lo sentii ridere. «Deve esserci un motivo in particolare per chiamarti?»
«No».
«In effetti c’è un motivo, oggi» aggiunse.  
Sorrisi. «Sono impaziente di scoprire di cosa si tratta».
«C’è una cosa che devo dirti».
«Cosa?»
«Ci vediamo tra un’ora al The Narrow» disse frettolosamente, terminando la chiamata ancora prima che potessi rispondere.

Mi alzai di fretta dal letto e mi resi conto che erano le sette ed avevo solo un’ora – se non di meno – per prepararmi.
Sorrisi al pensiero di rivedere James e raggiunsi nuovamente Jennifer in cucina. «Mi vedo con James al The Narrow» la informai senza smettere di sorridere. «Ha detto di dovermi dire qualcosa e penso che sia importante».
La mia amica sgranò gli occhi. «Non ti ha dato neanche un indizio?»
«No».
«James sa essere molto misterioso» constatò lei, al che annuii. Aveva ragione. «Be’, vorrà dire che gusterò da sola la cena».
«Scusami».
«Stavo scherzando, Rose» Jen ridacchiò. «Che cosa hai intenzione di indossare?»
«Non ne ho idea».
Jennifer si alzò dal letto e mi sorrise. «Ci sono qui io, non preoccuparti».
Tu ci sei sempre, pensai tra me e me, sorridendole raggiante.

Quando arrivai al The Narrow, il cameriere che ci aveva serviti la prima volta – Edwin! –  mi scortò allo stesso tavolo che avevamo occupato la sera in cui Jennifer aveva deciso anche per me di uscire con due perfetti sconosciuti (conoscevo già Michael, sì, ma non averlo visto e sentito per tanti anni lo aveva reso tale per me).
Mi sedetti allo stesso posto, impaziente, e mi guardai intorno alla ricerca di James.
Niente. Di lui non c’erano tracce.
Edwin si avvicinò e mi rivolse un sorriso radioso prima di porgermi una bustina bianca. «Da parte del signor Cox».
«Grazie» mormorai, girando e rigirando la bustina tra le mie mani.
«Ha detto che può aprirla immediatamente» soggiunse Edwin prima di voltarsi ed allontanarsi.
Presi un lungo respiro, lanciai di nuovo un’occhiata intorno a me e, non vedendo James, decisi di aprire la bustina. Estrassi il foglietto e trattenni il respiro quando lessi ciò che c’era scritto.

 
Credo di amarti anche io

Sorrisi istintivamente, sentendomi come una bambina durante il mattino di Natale, e avvertii il mio cuore che iniziava ad accelerare. Alzai lo sguardo e stavolta lo incrociai con gli occhi color ghiaccio che mi avevano stregata sin da subito.
James mi sorrise ed iniziò a venirmi incontro e, senza esitazioni, abbandonai la sedia su cui ero seduta e lo stesso feci io. 


 
* * *
Ed eccoci qui, siamo arrivati al capolinea. Non riesco ancora a crederci, con tutta onestà, e credo che non realizzerò presto di aver terminato la mia prima originale. Per me è una soddisfazione enorme e sono felicissima di aver condiviso questa avventura con voi.
Ringrazio tutti i lettori che mi hanno supportato durante tutta la durata della storia, siete stati sempre gentilissimi e mi avete fatta sentire fiera di ogni capitolo che ho scritto. Non solo a chi ha recensito, anche chi ha letto la storia da dietro le quinte.
Grazie

Mi rendo conto che sia un finale un po' fiabesco, ecco, ma credo di aver sfogato la mia vena romantica in questa storia al massimo (nella vita reale non sono così però) e quindi ho voluto finire in questo modo. Mi piaceva come idea, ho sorriso per tutto il tempo mentre scrivevo l'epilogo, e spero che sia piaciuta anche a voi. 

Be', spero che continuerete a seguirmi e spero di tornare il prima possibile con altre originali. 
Vi abbraccio forte, vi voglio bene.


Diemmeci

 

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