I've Been Dreaming Of Things Yet To Come

di Shanya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo; ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno; ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due; ***



Capitolo 1
*** Prologo; ***


Ogni vicolo ha il solito odore, ormai sono tutti uguali: un misto di pesce e uova marce bagnate da settimane.
Le mani stringono il calcio della pistola nel fodero appeso al fianco destro della cintura mentre la schiena si appiattisce contro il muro adiacente al vicolo sulla Terza Strada.
Il rumore di passi nel vicolo affievolisce, segno che l’obbiettivo si sta allontanando. Sempre con la schiena contro il muro Dylan scivola all’interno del vicolo, i passi leggeri attutiti dalla suola degli stivali, le mani strette davanti a sé, la pistola in posizione. Scivola vicino un cassonetto, spostandosi per vedere oltre: l’obbiettivo si gira verso l’imbocco del vicolo, con aria sospettosa.
Un secondo dopo ritorna a camminare e Dylan esce dal nascondiglio, in piedi, la pistola puntata davanti a lei. Prima che l’obbiettivo possa compiere una mossa il proiettile è già nel suo cervello. Un lavoro veloce e pulito. Il corpo cade a terra, privo di vita. Lei si avvicina, il respiro leggermente affannoso nella bandana davanti la bocca, recupera la valigetta stretta nella mano del cadavere e spara un secondo proiettile al cuore della vittima per assicurarsi che sia morto e poi scappa, lasciandosi dietro l’odore di pesce e uova marce, senza prima però accorgersi che nell’ombra, al di là della strada, qualcuno la sta osservando.
 
Il corridoio è vuoto, è ancora mattino presto è nessuno dovrebbe essere sveglio. Ambreth socchiude la porta e vedendo solo le mura bianche esce velocemente, lasciando Anna ancora a dormire. L’essere rinchiusa in quelle mura la fa sentire sola pur vedendo molte persone al giorno. Ogni giorno la stessa monotonia: la pillola del mattino, psicologo, pranzo, pillola del pomeriggio, cena, pillola della sera, un’ora libera e poi a dormire. Il suo fiore preferito sono le violette. Quanto vorrebbe trapassare quel cancello e andarsene di qui. Saltella lungo i corridoi facendo ondeggiare i capelli biondi sulle spalle per entrare nelle cucine a rubacchiare qualcosa. Attraversa la sala principale dove su uno dei divanetti davanti alla televisione intravede una testa mora china su se stessa. Ambreth fa scivolare lentamente l’indice sullo schienale del divano e poi sfiora la testa mora che si alza di scatto guardandola impaurita rivelando un piccolo muffin mangiucchiato tra le mani. A quanto pare non dovrà andare fino alle cucine.
-Amanda! Ma che bello vederti!-
La mora si alza di scatto tenendo il muffin stretto tra le sue mani.
-Ambreth… non dovresti essere qui.- Amanda si guarda intorno sperando non ci sia nessun altro in quella stanza.
-Nemmeno tu, Amanda.-  Ambreth si sofferma ad accentuare il nome dell’altra ragazza in modo minacciatorio mentre cammina lentamente verso di lei, anche se Ambreth è la ragazza più giovane del manicomio di Los Angeles, quasi tutti hanno paura di essere faccia a faccia con lei, tranne una, la sua compagna di stanza Anna.
-Cosa vuoi?- Amanda va oltre il divano cercando una via per scappare ma Ambreth è subito dietro di lei con sul viso uno sguardo deciso e un sorriso divertito sulle labbra.
-Vedo la paura nei tuoi occhi, mia cara Amanda. Credi che voglia chiamare un’infermiera e dirle del tuo piccolo peccato? Potrei, ma se tu mi dai quel piccolo muffin potrei stare zitta.-  Ambreth si guarda le unghie mangiucchiate della mani e alza lo sguardo sugli occhi lucidi di Amanda. Oh, piccola dolce Amanda.
Amanda allunga il braccio verso Ambreth che afferra il muffin sorridendo tra sé e ne stacca un pezzettino, infilandoselo tra le labbra.
-Sai Amanda, sei così carina. Come mai sei qui?- Amanda si guarda per l’ennesima volta intorno. Ambreth sa bene il suo punto debole, mai rivolgersi direttamente e troppo a lungo con lei, mai darle troppe attenzioni.
-Vai via! Sei cattiva!-  Ambreth ride tranquillamente guardandola, mordicchiandosi la carne del pollice e tornandosene verso camera sua continuando a gustare il suo piccolo muffin.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno; ***


Le luci del locale erano soffuse, l’aria rarefatta e un odore insopportabile di sudore aleggiava nella sala principale. Dylan aveva bisogno di fare un po’ di vita mondana prima del prossimo colpo. Sul tavolino del privè poggiava un Bloody Mary, sul divano di fronte una Dylan annoiata passava il pollice sul bordo del bicchiere, per poi estrarre e rinfilare la cannuccia all'interno. La noia presiedeva in lei, era entrata sperando di trovare qualcuno con cui passare la notte senza poi dover rintracciarsi l’un l’altra ma a quanto pare erano tutti troppo impegnati a ballare. Certo, c'era pure il barista, ma quello era fin troppo disponibile per i suoi gusti. Dylan alzò gli occhi dal bicchiere appena la porta rossa si aprì ed un ragazzo entrò.
Shannon varcò la porta, sicuro di trovarla lì. Lei lo guardò. Indossava un paio di pantaloni a cavallo basso e una camicia di jeans con i primi bottoni aperti sul petto, lasciando intravedere i peli. Un capellino col frontino con una stampa illeggibile per colpa del buio portava qualche ciocca di capelli sugli occhi, coperti da uno scuro paio di occhiali da sole, seppure fosse ormai tarda sera.
-Sei sola?- La voce roca colpì Dylan che aveva ancora la cannuccia tra il pollice e l’indice.
“Vedi qualcun altro?” Pensò lei, ironicamente.
-Emh… si.- Dylan drizzò la schiena portando entrambe le mani sulle cosce, vicino l’orlo delle autoreggenti.
Senza dire nulla, con un ghigno nascosto, Shannon andò a sedersi al suo fianco, allungandosi con i gomiti fino a poggiarli sul bordo del tavolino e lanciando uno sguardo veloce alla piccola striscia di pelle tra il bordo del vestitino e le autoreggenti coperta parzialmente dalle mani. Di risposta Dylan provò ad abbassarsi il vestito lungo le cosce rischiando solo di far notare di più il seno abbondante e sodo.
-Aiden, piacere.- Shannon allungò una mano verso di lei con il suo miglior finto sorriso.
Dylan lo guardò a lungo, cercando di capire se fidarsi o meno, ricambiò il sorriso allungando la mano e decise di giocare la sua carta.
-Mary, piacere.-
Non sapeva perché, ma a Dylan Aiden sembrava affidabile ma non sincero. Le sembrava che sapesse fin troppo bene cosa stava facendo, pensava che forse cercava lei, ma le sembrava troppo impossibile, per cui giustificò queste supposizioni con il fatto che fosse un ragazzo sicuro di sé.
Shannon sorrise al nome che lei disse di avere e pensò che fosse davvero astuta. Non si era fidata di lui già dal primo momento in cui lo vide e lui l’ammirò, dimenticandosi per un momento perché era lì, ma poi tornò al suo obbiettivo, rendendosi conto che già dalle prime parole che si erano scambiati sarebbe stato tutto più difficile del previsto, ma lui in fin dei conti, adorava le sfide e sapeva già che si sarebbe divertito con lei.
-Allora Mary, cosa fai qui tutta sola?-
-Cerco un po’ di vita mondana, tu?-
-Pure.- Shannon le sorrise, indicando il bicchiere e Dylan alzò le mani in segno di via libera, così lui agguantò il bicchiere e iniziò a bere, succhiando dalla cannuccia rosa.
Dylan lo trovò divertente. Insomma, avrebbe potuto infilare qualche veleno nel drink e lui senza dire nulla l'avrebbe pure bevuto. Ma in fin dei conti a lei iniziava a piacere il suo modo di fare. Era schietto e diretto e a lei piacevano quelle persone.
Senza che nessuno disse nulla, altri due Bloody Mary erano già sul tavolo, serviti da un cameriere che lanciò una fugace occhiata a Shannon, che annuì leggermente, stando attendo che Dylan non stesse guardando.
Shannon alzò il suo bicchiere e lo inclinò leggermente verso Dylan che rimase un po’ interdetta, ma afferrò anche lei il suo bicchiere, facendoli tintinnare.
-Alla vita mondana.- Shannon sorrise sghembo guardandola, sfilandosi con l’altra mano gli occhiali da sole e poggiandoli sul tavolo davanti a loro.
Dylan aprì la bocca per rispondere ma rimase incantata. Il buio li circondava ma quegli occhi sembravano brillare nell'ombra. Mai aveva visto occhi così belli, così strani, così unici. Quel color verde-nocciola con striature dorate l’aveva stregata e dovette distaccare lo sguardo per riprendere il controllo di se stessa.
-E alle cannucce rosa.- Dylan osservava il liquido che scendeva di livello ad ogni sorsata, ignorando la bassa risata che fece Shannon prima di iniziare a bere.
 
Due, tre e così via.
Dylan non ricordava quanti drink avessero bevuto e a quanto pare nemmeno Shannon lo sapeva, ma si poteva benissimo vedere che lui era più lucido di lei, seppure il bicchiere in più e il fatto che Dylan sapeva di non reggere l’alcol.
-Mary, credo sia ora di tornare a casa.- Shannon nel corso della serata la vide sempre di più assente alle conversazioni che provava a creare e sempre più intenta a bere dal bicchiere anche se era già vuoto da un pezzo. Ma d’altra parte non credeva sarebbe stato così semplice farla ubriacare, dato l’inizio difficile, ma forse aveva davvero bisogno di lasciarsi andare, pensò.
-Umh, ok.- Dylan si alzò in piedi reggendosi con una mano allo schienale del divanetto mentre con l’altra teneva ben saldo l’ennesimo bicchiere vuoto tra le dita.
Shannon corse in suo soccorso appena la vide barcollare una volta in piedi senza appoggio, togliendole il bicchiere di mano e facendo in modo che lei si appoggiasse a lui. Portò una mano sul suo fianco avvolgendole la vita con un braccio e la sentì irrigidirsi.
Dylan non è mai stata praticamente toccata, nemmeno dal suo ragazzo quando era adolescente. Non sa ancora ora perché, ma non ha mai voluto che nessuno la toccasse, nemmeno i suoi genitori, o sua sorella.
Aveva già da piccola l’ideale di non farsi toccare da nessuno, fidato o meno. Quel corpo per lei era un limite assoluto, nemmeno lei si tastava la pelle per vedere se fosse ingrassata o meno. Non si è mai interessata della cura del corpo per i primi vent’anni della sua vita, mentre dopo provò ad impegnarsi.
Non che non sopportasse il suo corpo, anzi, le piaceva. Era minuta e con molte curve. Anche se aveva un seno abbastanza abbondante e diciamo ingombrante era sempre riuscita ad infilarsi nei posti meno immaginabili dato il suo lavoro.
Ma le mani di un uomo sul suo corpo. A quello non era per niente abituata. Per i primi secondi si sentì rigida e terrorizzata, ma capì che lui voleva solo aiutarla e cercò di sciogliersi, o almeno, fargli pensare che sia a suo agio a contatto con la sua pelle.
Usciti dal locale Dylan provò a liberarsi dalle braccia di Shannon ma lui la teneva saldamente al suo fianco, non voleva che le scappasse.
-Devo… andare a… a casa.- Bofonchiò Dylan appoggiandosi completamente a Shannon, sentendo un'ondata di sonno avvolgerla.
-Come sei arrivata qui?- In realtà a lui non importava, ma cercava di esserle amico, date le condizioni della ragazza.
-A piedi.- Dylan ormai ignorava il vestito che le saliva le cosce ad ogni passo e per Shannon era davvero difficile riuscire a distogliere lo sguardo. Doveva ammettere che aveva davvero un bel corpo, e un culo che parla, pensò tra sé.
-Vieni, ti porto a casa.- Shannon la trascinò fino al parcheggio sul retro del locale e la fece salire sulla sua auto.
Appena Dylan toccò con il capo il sedile si addormentò e Shannon partì verso casa sua.
Il fatto che Shannon sapesse dove abitava avrebbe dovuto insospettirla e non poco, ma era troppo ubriaca per fare uno dei suoi discorsi mentali e si lasciò cullare dal rombo del SUV.
Arrivati sotto il condominio Shannon portò Dylan in braccio fino al suo appartamento, di cui a quanto pare sapeva pure il numero, e lasciò che Dylan, che si era svegliata quando risentì le mani sul suo corpo, aprì la porta.
-Dovresti andare.- Dylan non vedeva l’ora di toglierselo dai piedi. Era ubriaca, sola in una casa disordinata e ci mancava solo una specie di sconosciuto dietro di lei.
-Non vorrei che ti succedesse qualcosa, dato il tuo stato.-
Dylan lo ignorò ed entrò in casa, stando in piedi su una gamba per togliersi lo stivale, ma cadde rovinosamente a terra, provocandosi un forte dolore al fondo schiena.
-Vedi. Ecco cosa intendevo.- Shannon però rimase sulla porta, come per mostrarle che aveva ragione.
-Ok… entra.- Dylan tolse gli stivali da seduta e si rialzò andando verso il bagno reggendosi ai muri per sciacquarsi un po’ in quanto si sentiva leggermente accaldata.
Shannon approfittò della sua temporanea assenza per rovistare sopra i mobili, trovando solo carte di bollette e conti bancari, cosa che era inutile per il suo scopo. Davanti il divano posto nella sala dopo la cucina delle foto erano poste orizzontalmente sul tavolino da caffè, come se qualcuno le avesse prese in mano di recente. Shannon si sedette sul bracciolo del piccolo divano a due posti e prese una cornice tra le mani. La foto ritraeva lei e una ragazza molti anni prima. I lunghi capelli biondi di Dylan scontravano con quelli castani della ragazza, che Shannon riconobbe fosse sua sorella, quella finita in manicomio.
Mentre stava contemplando la foto e la bellezza delle due sorelle non si rese nemmeno conto che Dylan lo aveva affiancato con la testa all'indietro e gli occhi chiusi.
-Domani… dovrei andare a trovare mia sorella. Non la vedo da molto. Mi… manca. È la mia sorellina.-
Shannon si stupì del fatto che parlò apertamente con lui della sorella, ma era sicuro che in realtà erano tutti i drink della serata a parlare.
Lui non era lì solo per passare una serata in compagnia. Lui era stato mandato a scoprire cose che non erano scritte sulle carte. E vedere lei, in quel momento, innocua, indifesa, debole e sola, lo fece sentire male.
 
L’aveva abbandonata ancora vestita e addormentata sul divano ed era sgattaiolato fuori velocemente, senza fare rumore come suo solito.
-Allora, scoperto qualcosa?-
Teneva il telefono appoggiato all'orecchio con una mano mentre prendeva le chiavi dell'auto dalla tasca.
Si, voleva dire. Voleva dirgli come era sola e triste in quel buco di appartamento. Avrebbe voluto dire che dovevano mandare qualcun altro a svolgere lavoro sporco con quella povera ragazza. Ma piuttosto di mandare qualcuno troppo spietato decise che avrebbe dovuto occuparsi lui di lei.
-No, abbiamo bevuto un po' e l'ho riportata a casa. Sarà più difficile del previsto, ma posso farcela.-
Non voleva dirgli che gli aveva parlato della sorella come se fossero vecchi e buoni amici. Non voleva dirgli che quella Mary che in realtà sapeva si chiamasse Dylan stava iniziando a piarcergli, e molto.
Aveva letto i file su di lei e aveva troppi segreti da nascondere.
E Shannon sentì che avrebbe voluto conoscerli tutti.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due; ***


-Lasciatemi! Ora!-
Quattro mani provavano a trascinare Ambreth lungo il corridoio bianco e senza vita verso la sua piccola e insignificante stanza. Scalciava e urlava con tutte le forze, insulti e parolacce riecheggiavano per tutto l’edificio.
-Lo sai che non puoi uscire in cortile senza permesso dopo le sei di sera.- L’infermiere che le teneva un braccio le parlò con troppa calma, cercando di non stringerla troppo.
-Voglio uscire di qui! Lasciatemi!-
Un terzo dottore si avvicina, ma non per afferrarla.
-Ambreth, hai visite.-
-Fatemi uscire!- Ambreth lo ignorò, ma appena vide i platini capelli di sua sorella riuscì a sfuggire dalle prese e corse verso di lei e dovette resistere dall’abbracciarla, sapendo che sua sorella aveva una specie di allergia al contatto fisico.
-Dylan! Cosa ci fai qui? Che ne dici di uscire a parlare?- Era furba, sapeva che con un ospite sarebbe potuta uscire e in quel momento desiderava solo uscire ed osservare il paesaggio.
-Certo, andiamo.- Dylan non vedeva Ambreth sorridere così da un po’ di tempo, ma vedendo le facce contrariate dietro di lei capì che uscire era quello che provava a fare e che lei era un’ottima scusa per avere ciò che voleva.
Si sedettero su una panchina tra due grandi alberi, le foglie del tipico colore caldo dell’autunno cadevano ogni tanto, come una pioggia di petali.
I piccoli lampioni lungo i sentieri non facevano un granché di luce, ma era abbastanza per poter osservare il piccolo parco dell’edificio.
Ambreth osservava tranquilla i vari piccoli fiori che cospargevano il parco, sentendo una sensazioni di calma finalmente dentro di sé. Adorava uscire in quel piccolo parco, anche se rinchiuso da mura come tutto il resto, ma almeno lì riusciva a crearsi la sua piccola aurea di pace.
-Come vanno le cose qui, sorellina?-
Ambreth fece un segno veloce nell’aria, come per scacciare una cosa, tutto forse.
-Solite cose.- Mise le gambe sulla panchina e le incrociò, girandosi verso la sorella. -A te invece?-
Dylan sorrise, verso un punto impreciso. Aveva i ricordi della notte scorsa che le tornavano in mente a macchie, come se non ricordasse tutto quello che era successo. Aveva bevuto e ne era consapevole, ma era stata comunque una serata piacevole, in compagnia di una specie di sconosciuto che si rivelò un’ottima persona.
-Ieri ho deciso di uscire, sono andata in un locale e…- Ambreth batté le mani di colpo.
-Un ragazzo? Dyl, è fantastico! Com’era? Che avete fatto? Ti ha corteggiato? Gli spezzo tutte le dita e anche qualcos’altro se osa farti del male.-
Dylan rise, conosceva troppo bene sua sorella, i suoi sbalzi d’umore, gli attacchi di panico, ma anche la esagerata euforia in certi momenti. Le voleva un bene dell’anima. Avrebbe fatto di tutto per lei. Si giocava la vita per la sua salute.
-Calmati, Breth, abbiamo bevuto un po’ e mi ha riaccompagnata a casa, tutto qui. Era davvero gentile e disponibile, ma non esageratamente. E si, è carino, molto.- Dylan abbassò la testa, imbarazzata tutto d’un tratto, rossa in viso.
-Oddio, ti sei innamorata! Sono così felice! Voglio conoscerlo.- Ambreth saltò in piedi sulla panchina iniziando una specie di ballo.
-Ma che stai dicendo? Lo conosco appena! E vuoi scendere, per favore? Non vorrei succedesse qualcosa.- Dylan voleva sotterrarsi.
No che non era innamorata, affatto. Lo conosce da a malapena un giorno e non l’ha più sentito dopo la sera prima. Era circa infatuata, quello sì. Era interessata a lui. Ma non voleva dire che era innamorata. E poi non l’avrebbe più rivisto, anche se la cosa le dispiaceva un po’.
-Forse non te ne sei resa conto, conoscendolo appena. Ma ci scommetto, quando lo conoscerai meglio verrai da me e mi dirai “avevi ragione, sono innamorata”. Non vedo l’ora che accada.- Ambreth scese dalla panchina, in piedi davanti alla sorella e l’abbracciò.
-Breth, non ne sarei così sicura.-
La sorella minore si allontanò, guardando Dylan con la testa inclinata, le sopracciglia aggrottate.
-Ma ti sei vista, per caso? Sei una gnocca pazzesca! Quel ragazzo non ha scampo. Oh, non mi hai ancora detto come si chiama.-
Mentre Dylan era sul punto di aprire bocca, un dottore si avvicinò alle due sorelle.
-Signorina Dylan, devo chiederle di andare.-
Ambreth si ritrovò triste tutto d’un tratto. Non voleva che la sorella andasse via, era rimasta con lei troppo poco tempo. Voleva ancora parlare con lei, sapere di quel ragazzo, come stava lei e come se la cavava a casa. Voleva ancora il contatto famigliare che aveva con lei.
Dylan sorrise, cortese, ma vide subito un’ombra di tristezza comparire sul viso della sorellina.
-Breth, la prossima volta ti dirò tutto. E ricorda, non esistono addii.- Si avvicinò velocemente ad Ambreth e la abbracciò forte. Quanto si sentiva sola da quando lei era lì non sapeva nemmeno descriverlo. Le mancava.
 
 
 
Il corpo senza vita atterra con un tonfo attutito dai sacchi neri nel piccolo cassonetto.
-Pure il lavoro ancora più sporco mi tocca fare.- Borbotta Dylan togliendosi i guanti e infilandoli nella tasca della giacca del corpo. Ci penseranno loro al resto. S’incammina verso casa, stringendo tra le braccia la piccola valigia argentata. Una volta arrivata lascia la valigetta sul banco della cucina e si sfila la giacchetta di pelle, notando con orrore le macchie di sangue sparse su tutti e due gli oggetti.
Dopo una lunga seduta di intensa pulizia, lascia la giacca ad asciugare mentre ripone la valigetta sulla scrivania piena di scartoffie e disegni di sua sorella in camera.
Dylan si lascia andare sul divano, stanca e sudata. Non aveva sensi di colpa e ne era felice. Non si sentiva molto fiera del suo lavoro, no, ma quando era in servizio non era in lei, quindi le andava bene. E poi, era una cosa di famiglia, lei li avrebbe vendicati. Avrebbe vendicato i suoi genitori, fosse l’ultima cosa che farà.
Si spinge in avanti fino ai bordi del divano, chinata verso il tavolino davanti a lei. Poggia la bustina davanti a sé e i suoi occhi cadono sulla cornice ancora distesa. Pensò che lei era troppo piccola, non avrebbe dovuto essere lì, quella notte. Doveva starsene al sicuro. E ora era in un manicomio, la più piccola delle ragazze, impazzita per un trauma infantile. Prese il pezzo di plastica trasparente che usava in quelle occasioni e apre la bustina, lasciando cadere un po’ di polvere bianca creando una piccola striscia.
Si era promessa di usarla solo prima dei servizi, ma il bisogno aumentava sempre di più. Non aveva mai pensato che ne fosse diventata dipendente, ma da quando faceva quel lavoro non poteva più farne a meno.
Arrotola lentamente la banconota da un dollaro che era nella bustina e con un gesto veloce inspira tutta la polvere bianca col naso.
Si ricordava bene l’ultima sera in cui non si era fatta. La sera in cui aveva incontrato Aiden. Non sapeva perché, ma in sua presenza non aveva bisogno di nulla. Forse perché sapeva che era come lei. O forse l’alcol aveva preso il posto della droga, quella sera. Aveva la strana sensazione che poteva fidarsi lui, senza un vero motivo.
Il fatto che avesse mentito sul suo nome la faceva sentire leggermente male, ma non poteva rischiare l’ignoto con una persona che non conosce.
La sua mente inizia già ad annebbiarsi, si lascia andare indietro poggiando la testo sullo schienale, osservando il soffitto e respirando lentamente.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Lentamente, senza pensieri.
Il suono assordante del campanello la fa bruscamente tornare alla realtà per quel che riesce.
Barcollando riesce a nascondere il sacchettino sul fondo del cassetto del comodino, di fianco il letto matrimoniale.
Quando apre la porta, non ha abbastanza volontà da imporsi di trattenere un’espressione stupita. Pensava che dopo quella sera non lo avrebbe più visto.
-Buona sera, Mary.- Dylan dovette appoggiarsi allo stipite della porta per non cadere. La giacca di jeans lo fasciava perfettamente mentre i pantaloni da ginnastica gli stavano larghi dandogli un aspetto trasandato.
-Co… cosa ci fai qui?- Dylan riuscì a sussurrare guardandolo in quegli occhi così strani che l’attraevano come una calamita.
Era attratta da lui, decisamente. Quel pensiero la toccava dalla prima volta che lo vide, ma non lo aveva ascoltato fino a quel momento, dove la sua mente era libera.
-Passavo di qui e ho pensato di salutarti. Vedo che stai… molto bene.-
Dylan rise, senza motivo. Dentro di lei voleva che lui non la vedesse in quelle condizioni, ma ormai era troppo tardi. Al contrario, di scatto si avvicinò e afferrò il bavero della giacca di Aiden e se lo tirò a sé.
-Sto decisamente bene.- Lui deglutì, preso alla sprovvista da quel gesto, anche se forse avrebbe dovuto aspettarselo.
-Posso entrare?- Soffiò sulle labbra di Dylan e lei non poté non leccarsi le sue, assaporando quel fresco gusto di menta e cannella.
Dylan non lo mollò, anzi, camminò all’indietro trascinandoselo con se dentro il piccolo appartamento e lui si chiuse la porta alle spalle con un gesto veloce della mano.
La voleva, da quando entrò in quel piccolo privé. Sapeva che non era una ragazza con cui scherzare su quelle cose. Sapeva che era fragile, piena di segreti. E sapeva che doveva aspettare. Ma lei sembrava fregarsene di tutto in quel momento.
Dylan sorrise e Shannon pensò che aveva davvero un bel sorriso. Dolce, timido, ma sotto nascondeva un lato malizioso e intrigante.
Lui non si aspettava decisamente che la serata avrebbe preso quella piega. Voleva davvero passare solo per un saluto, magari per parlare un po’, conoscersi meglio. Ma come stavano le cose in quel momento non gli dispiacevano affatto.
-Perché non resti qui stanotte?- Shannon si finse scioccato. Sapeva anche cosa aveva fatto prima che lui suonasse al suo campanello. Sapeva che ne faceva uso.
Dylan si sentiva fuori di se. Non si era mai comportata con un ragazzo in quel modo. Ma a quanto pare era a suo agio, e non si sarebbe fermata lì.
-Non credo sia il caso, Mary.- Dylan si staccò di colpo, un’espressione indecifrabile in viso.
-Perché? Sono così brutta? Così tanto che non mi vuoi? Non sono attraente? Perché nessuno mi vuole? Ho sempre provato a farmi accettare, ma nulla! Nessuno mi vuole! Nessuno! Che ho fatto di male, eh, Aiden? Tu, nemmeno sapendo tutto quello che mi porto dietro dici già di non volermi. Sono davvero orribile, allora. Ma che poi, cosa ne parlo a te? Sei solamente uno sconosciuto e io ti ho pure invitato a stare qui una notte. Forse è meglio che tu vada.-
Era fuori di sé, completamente. Aiden non avrebbe dovuto essere lì, davanti a lei, vederla così, non avrebbe dovuto. Dylan scoppiò a piangere. Lui non la voleva e glielo aveva detto chiaro e tondo. Si sentiva così stupida. Si diresse verso la cucina e da un mobile estrasse una bottiglia di vodka.
Shannon non aveva proferito parola. Era sconcertato. Non aveva idea che avesse reagito così. È colpa della droga, pensò. Ed era sicuro di aver ragione. Appena vide la ragazza stappare la bottiglia corse verso di lei e gliela strappò dalle mani. Non poteva lasciare che bevesse pure.
-Ridammela! Che stai facendo?- Shannon ripose la bottiglia nel punto più alto, dove Dylan non l’avrebbe mai raggiunto.
-Non avrai intenzione di bere vero? Probabilmente, a giudicare da come sei messa, domani nemmeno ti ricorderai che sta succedendo ora. Non ti lascerò bere in queste condizioni.-
Dylan lo guardò attentamente, con le lacrime agli occhi.
-Che ne sai tu di quello che ho fatto?-
Shannon le si avvicinò con cautela, non sapendo che avrebbe potuto fare. Le portò una mano sui capelli, scostandoli indietro, oltre la sua fronte.
-Si vede, Mary. Non riesci a nasconderlo. Non a me.-
Le lacrime ripresero a scorrere lungo le guance della ragazza. Si sentiva scoperta, violata, senza difese.
-Perché con te mi sento così inutile, indifesa, eh, Aiden? Mi sento senza veli. Che mi stai facendo? Perché ti sto dicendo così tante cose su di me senza nemmeno sapere chi sei tu? Cosa mi porta a fidarmi di te?-
Dylan affondò il viso sul petto di Aiden, stringendo tra le sue piccole mani la camicia nera che indossava sotto la giacca di jeans.
Shannon rimase di sasso. Non avrebbe mai pensato che gli si sarebbe fiondata tra le sue braccia così, senza un vero motivo. La vedeva confusa, come se non aveva risposte a tutte le sue stesse domande.
Lui avrebbe voluto dargliele, almeno quelle a cui poteva dare un risposta. Anche se sembrava lei stessa in conflitto dentro di sé.
La strinse al suo corpo, provando a darle conforto, per quel che poteva. Non poteva darle risposte affrettate, non la conosceva ancora davvero.
-Mary?- Lei strinse ancora di più le dita intorno al tessuto, trattenendo a stento i singhiozzi che riempivano l’appartamento vuoto.
-Cosa?-
-Rimango qui sta notte, con te.- Portò una mano sulla sua testa bionda, infilando le calde dita tra i capelli, portando dei brividi lungo la schiena della ragazza.
-Faccio così pietà, vero?- Farfuglia contro il suo petto mentre Aiden le accarezza lentamente la testa.
-No… Affatto.- Aveva paura a lasciarla sola, una volta uscito. La vedeva debole in quel momento e voleva tenerla sotto controllo.

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