Limbo

di S O N I A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In trappola ***
Capitolo 2: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 3: *** La certezza perduta ***
Capitolo 4: *** La rivelazione ***
Capitolo 5: *** La confessione ***
Capitolo 6: *** Ritorno alla vita ***



Capitolo 1
*** In trappola ***


 

In trappola


Cristina aprì gli occhi.

Percorse con lo sguardo tutta la stanza disorientata e, improvvisamente in allerta e sveglia, si alzò di scatto, senza badare al senso di vertigini che quel movimento improvviso le aveva causato.

Devo andarmene da qui pensò.

Si guardò in torno frenetica nella speranza di scorgere una finestra, una porta, una qualunque via di fuga, ma tutto ciò che riuscì a vedere era il bianco.

La stanza in cui si trovava era completamente spoglia di qualsiasi arredamento e/o decorazione e tutte le sue superfici erano verniciate di un candido, perfetto e snervante bianco; perfino il pavimento era privo mattonelle ed era costituito da semplice cemento dipinto di vernice bianca.

Era un colore che avrebbe dovuto aiutarla a calmarsi o a darle un qualche tipo di conforto no?

Non era un colore collegato alla rabbia o alla disperazione, eppure, quel candore le sembrò più agghiacciante di qualsiasi altra cosa...

Cominciò a correre disperata per tutta la stanza esaminando ogni centimetro, a chiedere aiuto il più forte possibile e, alla fine, a battere i pugni contro il muro sperando che qualcuno, chiunque, riuscisse a sentirla e la aiutasse ad andarsene da lì.

Quando, alla fine, la gola le bruciava a tal punto da non poter trattenere quelle lacrime che tanto ostinatamente aveva cercato di non versare, e le gambe le tremavano a causa dello sforzo a cui erano state sottoposte, cadde sulle ginocchia e si lasciò andare ai singhiozzi che era sempre riuscita a ricacciar indietro, anche dopo tutte le cattiverie che aveva subito, anche dopo tutto il dolore e il senso di colpa che l'avevano accompagnata da quando... da quando...

NO scosse la testa.

Maledizione non posso permettermi di perdere il controllo, adesso più che mai.

Se cominciassi a pensare a quello sarebbe la fine, non riuscirei più a pensare e a uscire da questa situazione.

Così, con la poca forza che le era rimasta in quel corpo dalla corporatura minuta, si mise a sedere con la schiena appoggiata ad una parete, e si asciugò le lacrime.

Che cosa ti ha sempre detto Federico? Quando ti trovi in una situazione difficile è importante mantenere la calma, pensare con lucidità.

Ok.

A questo punto la cosa più importante è capire come posso fare per uscire da qui!

Per la milionesima volta Cristina fece scorrete lo sguardo attento su tutto ciò che la circondava.

Sospirò pesantemente.

Tutto era esattamente come prima: si trovava in una stanza che doveva essere grande, più o meno, 4 metri per 6, dove non c'erano né una porta, né delle finestre e neanche una qualche specie di botola sul pavimento.

Appoggiò la testa al muro pensierosa.

Se lei si trovava lì significava che da da qualche parte c'era un'entrata o per lo meno un piccolo passaggio.

Ragionò e rimuginò per quelle che le parvero ore finché non decise di riprendere le forze concedendosi di dormire.

Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che pensò fu:

Sono davvero un'idiota.

Davanti ai suoi occhi, sul soffitto, c'era una botola da cui pendeva una piccola cordicella.

Ma come aveva fatto a non vederla prima?

Si alzò e subito cominciò a saltare più in alto che poteva, provando diverse strategie e aiutandosi con il movimento delle braccia.

Quando, dopo parecchio tempo, riuscì ad afferrare la cordicella e a tirare giù una scaletta di legno che conduceva ad un piano piano superiore, le vennero le lacrime agli occhi per la gioia.

No, si disse, non posso piangere, non è ancora finita.

In effetti era stata talmente concentrata sul trovare una via d'uscita che non aveva pensato al fatto che qualcuno, per ragioni a lei del tutto sconosciute, doveva averla imprigionata in quel luogo e che era più che probabile che lo stesso qualcuno l'avrebbe imprigionata di nuovo una volta che avesse scoperto che aveva trovato il modo di evadere da quella prigione.

Doveva assolutamente pensare a un piano prima di salire la scala che aveva davanti...

doveva trovare qualcosa che potesse fungere da arma nel caso i suoi rapitori avessero tentato di aggredirla.

Si accovacciò e sollevò la scaletta quel tanto che le bastava per prendere in mano la cordicella che aveva tirato poco prima e a staccarla dalla botola.

Non era molto come arma ma era tutto ciò di cui disponeva in quel momento; forse una volta arrivata al piano superiore avrebbe potuto rompere una finestra e armarsi di cocci di vetro, oppure sarebbe stata abbastanza fortunata da riuscire a trovare un coltellino o qualcosa del genere.

<< Cristina...ti prego tesoro torna da me >> Cristina si immobilizzò nel sentire quel tono disperato, ogni nervo del suo corpo teso al punto da farle quasi male << E' doloroso, non hai idea di quanto tutto questo mi faccia soffrire>>.

Quella voce...

la stessa che le aveva raccontato le favole quando era solo una bambina, che l'aveva sgridata e che l'aveva consolata milioni di volte.

Scattò in piedi e con l'adrenalina che le scorreva a fiotti nelle vene cominciò a salire gli scalini; senza più pensare al pericolo che avrebbe corso, senza più pensare all'importanza di trovare un'arma, senza più pensare a nulla...se non a salvarla.

<< MAMMA! >> urlò in preda al panico mentre correva verso l'ignoto.

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Capitolo 2
*** Un incontro inaspettato ***


Un incontro inaspettato
I passi di Cristina riecheggiavano tutt'attorno interrompendo l'inquietante silenzio che permeava da ogni angolo.
Da quando era riuscita a fuggire dalla stanza in bianco quella quiete era stata l'unica cosa che aveva trovato;
non c'era stata traccia di sua madre né dei suoi rapitori, si era ritrovata di nuovo completamente e maledettamente sola.
Quando aveva scoperto che non c'era nessuno pronto ad aggredirla difronte alla botola, aveva fatto l'unica cosa che poteva fare: vedere dove potesse portare quell'androne oscuro, che adesso stava percorrendo.
Così, aveva preso la torcia posta alla parete di fronte a lei, unica fonte di luce, e aveva cominciato a percorrerlo.
Stava camminando da un paio di ore ormai e cominciò a chiedersi se quel passaggio avesse davvero una fine.
Si fermò e si appoggiò contro il muro per riposare qualche minuto e per decidere sul da farsi.
Ho solo due possibilità a questo punto:
  • Tornare indietro e rifugiarmi di nuovo in quella strana stanza.
  • Continuare a camminare nella speranza di trovare un'uscita.
Scosse la testa infastidita dai suoi stessi pensieri; com'era possibile prendere in considerazione di tornare indietro? No, la verità era che l'unica cosa che poteva fare era andare avanti, anche se questo avesse significato camminare per giorni, anche se questo avesse significato morire prima di trovare una via di fuga.
Se non fosse riuscita nel suo intento, sarebbe morta provando.
Forse andando avanti sarebbe riuscita a trovare sua madre, si disse poco convinta.
Si staccò dal muro e ricominciò a camminare.
Non capisco. Com'è possibile che abbia sentito così chiaramente la voce di mia madre, come se fosse a pochi metri da me, per poi scoprire che in realtà di lei non c'era la minima traccia?
Che fosse un'allucinazione dettata dalla disperazione del momento?
È plausibile, e tuttavia sembrava tutto così reale...
Cristina si portò la mano libera intorno al corpo in un improvviso attacco di freddo.
Era strano, in fondo era vestita con abiti relativamente pesanti: un paio di blue jeans, una felpa nera e i suoi stivali preferiti; senza contare che aveva ancora in mano la torcia.
I suoi lunghi capelli corvini cominciarono a ondeggiare dietro la sua schiena quando un'improvvisa ondata d'aria fresca la colpì.
Vento...quello era vento.
Con il cuore colmo di speranza cominciò a correre, e mano a mano che avanzava percepiva sempre più cose: odore di terra e di alberi, la freschezza dell'aria e anche un vago sentore di pioggia.
I passi si fecero sempre più frenetici, il respiro più corto, il battito del cuore sempre più veloce, tanto che pensò che le stesse per uscire dalla gabbia toracica.
Girò una curva particolarmente lunga e poi..
si immobilizzò.
C'era un'enorme apertura dai contorni irregolari nel muro davanti a lei, quasi come se qualcuno avesse buttato giù la parate a furia di martellate.
Cristina, più allerta che mai, si chinò e raccolse uno dei frammenti che erano sparsi per terra e con passo incerto oltrepassò l'apertura.
Si ritrovò in una...foresta?
Era completamente circondata da alberi, cespugli e tantissimi e meravigliosi fiori selvatici ma...
non erano normali, c'era qualcosa di davvero strano in quel posto.
Doveva andarsene da lì...subito.
<< Ciao >> al suono di quella voce infantile Cristina trasalì.
Si girò di scatto brandendo il frammento appuntito, ma quando vide chi aveva davanti, il suo braccio, già pronto ad attaccare un possibile nemico, si abbassò all'improvviso pesante.
« Fede?» disse con una voce che non le parve la sua.
So che questo bambino non può essere lui, eppure...
E' identico a mio fratello.
I suoi occhi si riempirono di lacrime « Federico s-sei davvero tu?» .

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Capitolo 3
*** La certezza perduta ***


La certezza perduta

Un bambino di circa otto anni le stava di fronte e la studiava con i suoi intensi occhi azzurri senza emettere un suono, i suoi capelli biondo cenere ondeggiavano a ritmo con il vento gelido e la sulla sua bocca sottile aleggiava l'ombra di un sorriso.

Cristina non riusciva a distogliere lo sguardo da quella visione, quasi ne fosse rimasta ipnotizzata.

È incredibile quanto gli somigli.

Eppure sono certa che non è lui, l'ultima volta che l'ho visto aveva 15 anni ed era..

era...

« Ciao?»

All'udire di nuovo quella voce Cristina trasalì, senza riuscire ad evitarlo.

All'improvviso si riscosse dal torpore che l'aveva invasa e si rese conto di essere completamente allo scoperto a parlare con uno sconosciuto, certo era un bambino, ma pur sempre uno sconosciuto.

Avrebbe potuto fungere da esca o, ancor peggio, essere una vittima dei suoi rapitori.

Afferrò il bambino per il braccio sinistro e lo trascinò malamente oltre il limitare del bosco cercando di ignorare il terrore che stava nascendo di nuovo dentro di lei e di pensare con lucidità.

Una volta al scuro dietro ad uno strano cespuglio del colore del cielo Cristina si girò verso quello strano ragazzino che, si accorse all'improvviso, non aveva nemmeno emesso un gemito di protesta quando lo aveva afferrato e trascinato fin lì senza dargli alcun preavviso.

«Tu chi sei?» gli chiese quasi temendo la risposta «sei uno di loro? Ti hanno usato per intenerirmi o qualcosa del genere, vero?».

Trattenne il respiro in attesa della risposta.

«No» si limitò a dire il bambino dopo pochi secondi, che a Cristina erano parsi come infiniti.

« Quindi sei stato rapito anche tu ? Sei riuscito a scappare come me?» la voce della ragazza tradiva la preoccupazione che provava.

«Rapito?» il bambino cominciò a ridere di gusto per una battuta che Cristina neanche sapeva di aver fatto.

«Ehi smettila, non c'è proprio nulla da ridere!» disse, cercando inutilmente di farlo smettere.

Normalmente non si sarebbe sentita così irritata se un bambino l'avesse presa in giro, ma dopo tutta la paura e l'angoscia che aveva passato, dopo l'ultimo anno che aveva passato, completamente in solitudine e tormentata dai sensi di colpa lei...

lei non ce la faceva più, non riusciva a stare allo scherzo.

Ora come ora aveva solo voglia di piangere, ma lei era forte, o almeno avrebbe provato con tutte le sue forze a diventarlo; non avrebbe pianto solo per quello stupido.

«Ho detto di smetterla! Mi vuoi dire chi diavolo sei allora?» quasi urlò alzandosi e cominciando a immergersi nella foresta «anzi, no, non dirmelo. Non mi interessa chi sei. Addio ».

Sentì dei leggeri passi agitati che la seguivano «aspetta! Scusa, scusa» le urlò quella voce sottile.

Lei si fermò riluttante e si girò.

«scusa, davvero. So che è stato davvero un brutto periodo per te e che l'ultima cosa di cui hai bisogno è un'irritante bambino, però... mi è sembrato così strana l'idea che qualcuno potesse rapirmi che...» aveva parlato velocissimo e all'inizio Cristina aveva fatto fatica a capire quello che le stava dicendo, ma quell'ultima frase l'aveva recepita alla perfezione « ti fa ridere l'idea di poter essere rapito? Ah! Sai anche io la pensavo come te fino a quando non mi sono svegliata completamente sola in una stanza senza porta né finestre».

«Lo so, so quello che hai passato ma per me è diverso io...» io suoi occhi tradivano insicurezza, come se non fosse sicuro di quello che era meglio rivelare e di quello che avrebbe fatto meglio a tenere per sé.

« E' diverso per me...io sono solo qui e nessuno potrebbe tradirmi, sei la prima persona che vedo da molto molto tempo e» sospirò « mi dispiace se ti ho fatta arrabbiare ».

Maledizione, come è possibile rimanere in collera con questo bambino?

Intenerirebbe anche un orco pensò tra l'infastidito e il divertito.

«Ok, io non sono arrabbiata ma mi vorresti dire cosa diavolo significa che sei da solo qui?» disse riprendendo a camminare «I miei rapitori di sicuro saranno qua in giro, e anche se questo posto fosse completamente deserto mi vuoi spiegare che cosa ci fai qui tu? Ti sei perso?» mentre camminava Cristina spostava lo sguardo su tutto ciò che la circondava, sempre più stupefatta

«Non c'è alcun rapitore, ancora non lo hai capito?» disse finalmente con un tono di voce che tradiva un'emozione molto forte, qualcosa che però sfuggì a Cristina...

Affetto?

Dolcezza?

« Ma cosa stai...» venne bruscamente interrotta da quello strano ragazzino «Non hai notato quanto è stato facile uscire da quella stanza una volta che lo hai voluto davvero? Non hai trovato strano sentire la voce dei tuoi cari ma poi non trovarli? E il fatto che nessuno ha ancora nemmeno tentato di prenderti e rinchiuderti come me lo spieghi? Oppure come hai giustificato il fatto che sono due giorni che non mangi e non bevi ma non sei per niente disidratata e non hai nemmeno un piccolo languorino?» prese fiato e fissò lo sguardo negli occhi blu di una Cristina del tutto destabilizzata.

Durante la sfilza di domande che quel bimbo le aveva rifilato aveva cominciato a rallentare sempre di più, fino a fermarsi. Ora si trovava di fronte al suo interlocutore, incapace di parlare, di muoversi, di pensare.

Pena, il tono della sua voce indica che prova pena per me pensò in balia della confusione più totale.

Ovviamente Cristina aveva già notato che qualcosa non quadrava, che le cose erano andate troppo lisce e che non aveva ancora avvertito né la fame né la sete da quando si era svegliata, tuttavia aveva continuato a respingere i suoi sospetti in un angolino buio della mente, cercando di fuggire la realtà.

Ma dalla realtà, soprattutto quella più brutale e dolorosa, lei lo sapeva bene, non si poteva fuggire.

« Ok » disse con voce roca «Allora spiegami come stanno le cose, spiegami che cosa sta succedendo» emise un respiro tremante «Ti prego».

« Mi dispiace Cris ma non sei ancora pronta, so che tutto questo ti potrà sembrare strano ma ti devi fidare di me. Ti basti sapere che io sono qui per proteggerti e per guidarti nel tuo viaggio; per quanto riguarda la tua domanda sulla particolarità di questo luogo...bé temo che anche per questo dovrai aspettare ancora un po' di tempo» ricominciò ad immergersi nel bosco, subito seguito dalla ragazza «Ok» disse lei di nuovo infastidita « almeno potrei sapere come ti chiami? O anche per quello temi che dovrò aspettare un altro po' di tempo? » gli disse con tono di sfida.

Un sorriso divertito apparve sul bel viso del bambino « Io mi chiamo Federico ».

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Capitolo 4
*** La rivelazione ***


La rivelazione

«Questi maledetti rami! Questo non è un bosco, è una giungla» Cristina e Federico stavano camminando da giorni e la natura che li circondava era diventata sempre più selvaggia man mano che procedevano.

Avevano dovuto combattere contro giganteschi aghi, il quale unico scopo sembrava essere infilzarsi nei vestiti, con delle sabbie mobili del colore dell'acciaio e adesso avevano a che fare con dei rami che sembravano animarsi appena vi si passava di fianco.

L'unica cosa che non avevano trovato erano...animali.

Cristina, anche se molto turbata inizialmente, stava iniziando ad abituarsi alle insidie della foresta ma non credeva che sarebbe mai riuscita a farsi una ragione di quell'inquietante silenzio.

Aveva provato a chiedere al suo piccolo compagno di viaggio delle spiegazioni riguardo a dove si trovava o a dove stessero andando, e aveva riprovato giorno dopo giorno a ripetergli le domande che più la tormentavano:

Cos'è questo posto?

Perché mi trovo qui?

Come ci sono arrivata?


Tu chi sei?

Dove sono i miei genitori?


Ma lui si era limitato a scuotere la testa e a proseguire, oppure a sviare la conversazione o, più semplicemente a ignorarla.

Questi suoi atteggiamenti non avevano fatto che accrescere la curiosità della ragazza e, di certo, non erano riusciti a far acquietare la sua mente che la tormentava con le teorie più svariate.

In un momento poco precisato nei giorni precedenti aveva addirittura pensato di essere morta; aveva subito accantonato quel macabro pensiero dopo averlo formulato, rimproverando se stessa per essere stata così stupida, ma ora quella era una teoria che non le sembrava così improbabile.

Insomma, in quale strano posto sulla terra esistevano dei cespugli di tutte le tonalità dell'azzurro? E per quale strano motivo lei non era ancora morta, senza mangiare e senza bere per più di una settimana?

«Sono morta?» chiese all'improvviso al bambino che la stava precedendo.

«No» si limitò a dire Federico.

Cristina aveva notato che non era un tipo particolarmente loquace; rispondeva alle sue domande per lo più a monosillabi e non iniziava mai una conversazione spontaneamente.

Che fosse seccato per i suoi continui interrogativi?

Non sembrava; non parlava spesso ma tutte le volte che lo faceva il suo tono era gentile, e comunque, anche se fosse stato infastidito dalla sua curiosità lei non avrebbe potuto, e nemmeno voluto, sopprimerla.

Dopo aver schivato un ramo particolarmente veloce Cristina si ritrovò d'avanti ad uno spiazzo completamente ricoperto da margherite.

Chissà perché quei fiori erano gli unici ad aver conservato le loro normali fattezze; forse perché qualcosa di così semplice, puro e allo stesso tempo meraviglioso non poteva essere cambiato in nessun modo senza che si rischiasse di danneggiarne la bellezza.

«Ti piacciono molto le margherite vero?» le chiese Federico.

Cristina si voltò nella sua direzione e notò che lui si era seduto a gambe incrociate su quella distesa candida e che la fissava con uno sguardo quasi malinconico;

« Che cosa te lo fa pensare?» chiese, infastidita dal fatto che fosse così facile da decifrare;

Federico alzò le spalle.

Cristina si sedette difronte al bambino riportando la sua attenzione sul panorama.

«Mi hai chiesto molte volte perché tutte le cose che sono in questo luogo sono così diverse da quelle che sei abituata a vedere» la ragazza si girò di scatto con l'animo che traboccava di speranza.

Vuole finalmente spiegarmi tutto?

Un sorriso raggiante le si disegnò sul volto mentre annuiva attendendo che Federico continuasse ciò che aveva iniziato.

«Tu che idea ti sei fatta? Davvero non c'è nulla di famigliare nelle fattezze dei cespugli, degli alberi...» due occhi di un blu molto intenso la stavano fissando, come se riuscissero a guardarle dentro e come se tutte le risposte fossero custodite dentro di lei.

Il sorriso era scomparso dal viso della ragazza nel momento in cui aveva capito che Federico non le avrebbe concesso alcuna risposta.

In realtà tutto quello che le aveva dato erano state domande...

«In realtà...si, insomma qualcosa di famigliare in tutta questa eccentricità c'è. Sembra quasi la fantasia di un bambino. Sai, quando ero piccola, io e mio fratello facevamo spesso un gioco, si chiamava sogna un luogo. Consisteva nell'immaginare un luogo normalissimo a cui piano piano si aggiungevano delle caratteristiche molto strane, quasi magiche. Vinceva chi aveva immaginato il luogo più bizzarro ma io venivo sempre battuta; c'era sempre un particolare che mi rifiutavo di cambiare e...e...» un gelido dito invisibile le percorse tutta la colonna vertebrale trasmettendo dei brividi orribili per tutto il corpo « le margherite. È così? Stai cercando di dirmi che questo luogo non è altro che una mia invenzione?» scosse la testa cercando di schiarirsi le idee.

Se quel posto era davvero frutto della sua mente allora, allora anche Federico lo era .

Questo avrebbe sicuramente spiegato la sua somiglianza con suo fratello.

«Guardami Cris» la sottile voce del bambino la distrasse dai suoi frenetici pensieri.

Cristina alzò uno sguardo pieno di paura sul viso del suo interlocutore e aspettò che fosse lui a parlare per primo, che fosse lui a smentire tutte le sue assurde supposizioni;

«Questo luogo è un frutto della tua mente; inizialmente era un rifugio che tu stessa ti sei creata per sfuggire ad una realtà troppo difficile da affrontare, ma ora si è trasformato in una prigione da cui è sempre più difficile sfuggire».

«Anche tu sei un frutto della mia mente?» Federico allungò una mano e asciugò la lacrima solitaria ora solcava la guancia destra di Cristina.

Non ricordo di aver cominciato a piangere pensò confusa.

«No, io sono reale; sono qui per darti una mano a tornare alla realtà finché ti è possibile».

Avrebbe voluto formulare un'altra domanda, forse quella più importante di tutte ma per qualche ragione non ci riuscì.

Si limitò ad annuire e a sdraiarsi borbottando che aveva sonno e che avrebbero ripreso il cammino il giorno seguente.

Le tante emozioni di quel giorno l'avevano sfinita e qualcosa le diceva che i giorni seguenti non sarebbero stati più facili.

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Capitolo 5
*** La confessione ***


La confessione

«No ti prego, no, no, no resta con me ti prego!» In quel momento nulla contava tranne lui.

Né le luci lampeggianti che si avvicinavano, né la sirena il cui suono le arrivava ovattato e neanche quelle voci indistinte che cercavano di convincerla ad abbandonarlo.

Ma lei non lo avrebbe fatto mai. MAI.


Cristina aprì gli occhi di scatto.

Il suo cuore batteva a mille, aveva il fiatone e l'adrenalina le scorreva a fiotti nelle vene.

Si accorse solo in un secondo momento che Federico era chinato su di lei con la fronte aggrottata per la preoccupazione.

«Era solo un sogno Cris, calmati. Va tutto bene adesso»

La ragazza annuì ancora agitata mentre cercava di rallentare il respiro.

«Si, lo so» disse quando riuscì a riprendere fiato «mi capita spesso».

Si mise a sedere e fissò lo sguardo nel vuoto pensando che, dopo tutto, quella era una punizione fin troppo indulgente per quello che aveva fatto.

«Penso che, si insomma...» la voce di Federico era incerta e quando Cristina si voltò per guardarlo in faccia ritrovò lo stesso timore nei suoi occhi «ecco, penso che dovremmo parlare di quello che hai scoperto ieri».

Inizialmente la ragazza non capì a cosa si stesse riferendo ma poi tutto le tornò in mente.

«Si, si hai ragione» cercò di radunare tutto il coraggio che riusciva a trovare per affrontare quella conversazione e dopo un respiro profondo cominciò ad esporre i suoi dubbi a Federico: « Ieri mi hai detto che sono intrappolata in un luogo che io stessa ho creato. Ma se fosse davvero così non dovrei esserne consapevole? Quando mi sono svegliata nella stanza bianca non ricordavo come ci fossi finita e anche in questo momento, per la verità, non ne ho idea.»

Federico tacque qualche secondo prima di rispondere «Non sono un esperto ma non penso che funzioni così. Credo che sia stato il tuo inconscio a creare questo posto, per proteggerti da una situazione che forse non eri nemmeno consapevole di non riuscire ad affrontare. È stato qualcosa di istintivo».

Cristina si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e in dietro «Ok e allora come faccio a uscire di qui? Come posso fuggire da questo...questo Limbo?».

Federico esitò un instante che a Cristina parve lunghissimo «Devi affrontare i tuoi demoni, perdonare te stessa per gli avvenimenti del tuo passato, e quando ci riuscirai sarai in grado di ricordare come sei arrivata fino a questo punto» il bambino sospirò come se il peso del mondo premesse sulle sue spalle « Credo che il primo passo da fare sia parlare di quello che è accaduto».

Cristina si fermò all'improvviso e dando le spalle alla sua piccola guida cercò di trovare le parole adatte per spiegargli che non poteva parlare di quello che aveva fatto, che ci aveva provato moltissime volte con i suoi genitori, con i suoi vecchi amici e poi con numerosi terapisti a cui non importava niente di lei, ma che era sempre riuscita a raccontare quella storia solo fino ad un certo punto.

Cercò di pensare a come avrebbe potuto fargli capire che dopotutto conservava ancora l'insensata speranza che finché non avesse finito quel racconto esso sarebbe stato meno reale.

Ma tutto quello che disse alla fine fu:«Penso che sia ora di rimetterci in marcia. Si sta facendo tardi».

Non aspettò la risposta di Federico e cominciò a camminare, come se la sua vita dipendesse solo da quello.

Federico la stava seguendo, sentiva i suoi passi leggeri che cercavano di mantenere il passo.

Non si girò, non parlò.

Tutto quello che fece fu rallentare poiché era convinta che se non lo avesse fatto il suo piccolo compagno di viaggio avrebbe perso un piede durante il tragitto.

I giorni seguenti si svolsero in una pace temporanea che a Cristina sembrava fin troppo simile alla cosiddetta quiete prima della tempesta. Nessuno dei due aveva accennato ad aprir bocca. La ragazza si era aspettata di essere tempestata da domande o da parole insistenti, ma Federico aveva fatto qualcosa che nessun altro, nemmeno i suoi genitori, aveva nemmeno mai tentato di fare: le aveva concesso dello spazio, le aveva concesso tempo e aveva rispettato la sua decisione di rimanere in silenzio.

Smise di camminare e quando Federico si girò verso di lei con uno sguardo interrogativo, le parole cominciarono a uscire una ad una dalla sua bocca, finché non fu più in grado di fermarsi.

«La mia...» la sua voce era roca per il poco utilizzo «la mia famiglia non è mai stata perfetta. I miei sono molto stimati sia dai colleghi che dagli amici ma non sono mai stati molto bravi come genitori; sono entrambi dei dottori molto impegnati e spesso non avevano tempo per occuparsi di mio fratello e me, così venivamo affidati alla tata di turno, che spesso si limitava a metterci davanti alla televisione con la cena e poi a spedirci a letto.

Tutto sommato, però quella vita non era male; insomma, non eravamo i bambini più coccolati del mondo ma quando i miei passavano del tempo con noi erano sempre gentili e amorevoli, riuscivano a farsi perdonare per tutte le loro assenze.

Quando cominciammo a crescere le cose diventarono più difficili» Cristina allacciò le mani in grembo cercando di fermare il tremito e, con un profondo respiro, continuò «Ero abituata a cavarmela da sola ma non ero preparata a quelle aspettative, quella pressione; tutto era diventato un test, una prova da superare, un ostacolo che mi separava dal rendere orgogliosi i miei. “se alla prossima verifica prenderò il massimo mia madre mi sorriderà come faceva quando ero piccola” mi ripetevo ogni volta che passavo la notte a studiare “se nella competizione di ginnastica artistica di domani arriverò al primo posto forse mio padre troverà il tempo per stare un po' con me e capirà di volerlo fare più spesso” mi dicevo per consolarmi quando ero costretta a rifiutare l'invito ad uscire delle mie amiche per restare in palestra ad allenarmi fino a tardi. Ho sempre dato il massimo, in ogni cosa, ma tutto quello che ottenevo dai miei era un sorriso mesto e poco sincero, oppure un atteggiamento di indifferenza, come se gli eccellenti risultati che ottenevo fossero del tutto dovuti, qualcosa di ovvio che non comprendeva una ricompensa.

«Mio fratello, Federico, aveva smesso di tentare di compiacere i miei e spesso cercava di convincermi che era tutto inutile e che l'unica che dovevo cercare di rendere felice ero io.

Non gli ho dato retta, ed è stato questo a rovinarci tutti.

«Una serata di gennaio i miei genitori invitarono alcuni amici a cenare a casa nostra e ad un certo punto, non so come, la conversazione si spostò sul figlio dei nostri ospiti. Si cominciò a parlare dei suoi successi a scuola, a nuoto, del suo carattere aperto e sincero che gli rendeva facile farsi degli amici e della sua intraprendenza. Marco, così si chiamava il ragazzo, non si limitava a fare ciò che ci si aspettava da lui, era un tipo molto curioso e aveva fretta di imparare a fare cose che normalmente vengono insegnate più avanti, nel corso degli anni. E fu' così che per la prima volta provai invidia per qualcuno. Marco divenne la mia ossessione, non tanto per il fatto che sembrasse il ragazzo d'oro, qualcuno che non commette errori, che non ha bisogno di sforzarsi per essere ammirato, quanto per lo sguardo che aveva mio padre quando i suoi amici ne stavano parlando.

Nei suoi occhi vidi desiderio.

Lui avrebbe voluto avere un figlio del genere, perfetto.» Federico era di fronte a lei e la stava guardando con dolcezza, non c'era insistenza o impazienza del suo sguardo, ma solo comprensione e tristezza. I suoi occhi sembravano dire: “Io ti sono vicino, e credo in te. Non sarò deluso da te se non riuscirai a finire il racconto, so quanto è difficile e non voglio forzarti”.

Cristina inspirò profondamente e riprese il racconto: « Quella sera decisi che anch'io sarei stata una figlia perfetta; così, una notte andai in camera di mio fratello e lo svegliai pregandolo di aiutarmi. Volevo imparare a guidare la macchina prima del tempo, volevo essere intraprendente.

All'inizio Federico cercò di farmi ragionare dicendo che era notte fonda e che sarebbe stato meglio riprendere il discorso la mattina seguente, ma io non volli ascoltarlo.

Alla fine, dopo aver ascoltato le mie ragioni e avermi fatto promettere che quello sarebbe stato l'ultimo tentativo di rendere orgogliosi i miei, che se non avesse funzionato avrei cominciato a pensare solo alla mia felicità, mio fratello acconsentì ad aiutarmi.

Fu tutto perfetto. Dopo essermi allenata di notte per interi mesi, una mattina, Federico mi disse che ero pronta per mostrare ai nostri genitori ciò di cui ero capace.

Io gli credetti, all'inizio pensai che avesse ragione e che più brava di così non sarei mai diventata, ma prima di sera divenni molto insicura e così, prima che i miei tornassero dal lavoro chiesi a Federico di farmi guidare un'ultima volta.

« La mia insicurezza fu la mia condanna. L'agitazione per quello che mi aspettava quella sera mi impediva di concentrarmi sulla guida.

Federico, seduto come passeggero, cercò più volte di tranquillizzarmi e di aiutarmi a guidare meglio, ma fu tutto inutile.

Cominciammo entrambi ad urlare e io mi distrassi ancora di più...» Cristina si accasciò sull'erba e si coprì il viso con le mani. Non era mai riuscita ad arrivare fino a questo punto della storia ma non aveva ancora terminato di raccontare e non poteva certo fermarsi ora che era vicina al traguardo!

Alzò gli occhi appannati dalle lacrime e guardò Federico, che le si era seduto vicino per cercare di confortarla.

« Quella notte ci fu un tragico incidente. Persi il controllo della macchina e andammo contro ad un'altra automobile che stava avanzando. L'ultima cosa che ricordo di quella sera sono i fari gialli di una Picasso che incombono su di me.» Cristina emise un respiro tremante nel tentativo di riprendere il controllo e, con le lacrime che le solcavano le guance, continuò: « Quando mi svegliai in un letto d'ospedale qualche giorno dopo scoprii che mio fratello era morto sul colpo.

Fu mia madre a darmi la notizia, lo fece con le lacrime agli occhi.

Non avevo mai visto mia madre piangere prima d'allora, forse non aveva mai pianto in vita sua.

Le settimane che seguirono l'incidente non proferii parola, non osai aprir bocca per paura di non riuscire a trattenere un urlo isterico, di quelli che non si è più in grado di fermare.

I miei genitori da allora furono sempre con me, non mi lasciavano da sola un momento, forse per la paura che potessi suicidarmi. Ero riuscita a conquistare la loro attenzione, le oro premure nel modo peggiore che esisteva.
Avevo ucciso mio fratello, il mio migliore amico; avevo ucciso con le mie mani l'unica persona che c'era sempre stata per me, l'unico che mi aveva sempre amata incondizionatamente, l'unico a cui avrei affidato senza riflettere la mia vita.»

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Capitolo 6
*** Ritorno alla vita ***


Ritorno alla vita

Era sola.
Non riusciva ancora a capire che cosa fosse successo esattamente, ma di una cosa era sicura al cento per cento: lei era di nuovo completamente sola.
Dopo aver finito il racconto, Cristina era rimasta a piangere seduta sull'erba umida finché le lacrime non si erano esaurite; e quando finalmente si era decisa a sollevare lo sguardo su ciò che la circondava si era resa conto che Federico era sparito.
La ragazza, spaventata, aveva cominciato ad urlare il suo nome e a cercarlo nei dintorni, ma senza alcun risultato.
Inizialmente aveva deciso di non muoversi dal punto in cui aveva raccontato la sua storia, nella speranza che il bambino sarebbe tornato, ma dopo un giorno e una notte aveva capito che la cosa più sensata da fare era quella di continuare il viaggio per cercare una via d'uscita dalla foresta.
Erano almeno cinque giorni che camminava ed era da almeno cinque giorni che si sentiva completamente spaesata, persa.
Non aveva idea di dove stesse andando ma, ormai, la cosa importante era continuare a camminare, indipendentemente dalla direzione. Mettere una gamba davanti all'altra, muoversi, erano le uniche cose che riuscivano a darle un po' di conforto; stare ferma, al contrario, le dava un senso di impotenza insopportabile, fin troppo simile alla sensazione che aveva provato guardando tutta la sua vita scivolarle tra le dita dopo l'incidente.
Fu proprio quando Cristina aveva perso quasi tutte le speranze di uscire dalla selva che intravide in lontananza un edificio antico, con le mura di mattoni scheggiati e scoloriti dal tempo.
Velocizzò progressivamente il passo finché non cominciò a correre come mai aveva fatto, spinta dalla gioia e dal sollievo di essere fuggita da un'altra gabbia, sempre più vicina alla libertà.
Quando, però, giunse a destinazione non si trovò difronte ad un edificio, bensì ad un muro che si estendeva a perdita d'occhio in tutte le direzioni.
L'immensa felicità che aveva provato poco prima svanì per lasciare il posto alla delusione e all'amarezza, sensazioni che ormai conosceva fin troppo bene.
Come diavolo è possibile? Ogni volta che penso di aver fatto un passo avanti scopro di essere ancora al punto di partenza pensò col cuore pieno di rabbia
«Non è giusto maledizione! BASTA, VOGLIO USCIRE DI QUI!» urlò disperata tirando calci e pugni all'immenso muro che le stava difronte, ignorando il dolore che aumentava ad ogni colpo, perché niente, niente poteva essere peggio dell'immenso vuoto che sentiva ingigantirsi ogni ora, minuto, secondo di ogni giorno « AHHH » urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Si formò una piccola crepa, con grande stupore e soddisfazione di Cristina, che cominciò a colpire quel punto con tutta la forza che le era rimasta, e la crepa si ingrandì sempre di più facendo intravedere una coloratissima luce al di là di quella barriera di mattoni.
La ragazza, esaltata e piena d'adrenalina, continuò fin quando venne sera e il foro nel muro fu tanto grande che avrebbe potuto attraversarlo senza problemi.
Con il fiato corto e gli arti tremanti, Cristina si voltò, come richiamata da una forza ignota e se lo ritrovò davanti: Federico.
« Mi dispiace di essermene andato, non avrei voluto» disse il bambino avvicinandosi a lei.
«Cosa vorrebbe dire? Se non volevi andartene perché lo hai fatto? Io...io avevo bisogno di te maledizione!»
«No Criss tu non avevi bisogno di me. Hai trovato da sola il modo di uscire dal tuo limbo personale, con la tua forza di volontà sei riuscita a vincere la lotta più dura che una persona possa combattere: la lotta contro te stessa.» un altro passo avanti «Avrei voluto restare con te, ma il mio compito era terminato e dovevo lasciare che tu scegliessi la tua strada da sola».
«Ma che cosa stai dicendo? C'erano molte strade che potevo prendere nel bosco ma tutte mi avrebbero portato a questo coso» disse Cristina indicando il muro alle sue spalle.
Federico la guardò con una strana espressione...orgoglio? Era difficile capirlo «No, intendevo dire che avresti potuto compiere altre scelte, saresti potuta rimanere nel bosco, nel punto in cui ti avevo lasciata, ma tu hai deciso di continuare ad andare avanti e poi, quando hai cominciato a colpire quel “coso”, come dici tu, hai scelto di tornare alla vita».
«Perciò se attraverso la crepa sarò finalmente libera?» Chiese titubante la ragazza.
Federico annuì « E questo vuol dire che non ti rivedrò mai più?» la domanda era uscita incerta, sussurrata come se non volesse essere pronunciata.
«No, noi non ci rivedremo per molto, moltissimo tempo, ma anche quando non potrai vedermi io ti starò accanto e alla fine, ci rincontreremo...sorellina» a quell'ultima parola Cristina cominciò a singhiozzare, abbandonandosi alle lacrime che aveva trattenuto, e si abbassò ad abbracciare suo fratello, Federico.
«Lo sapevo, lo sapevo che eri tu. Mi sei mancato moltissimo Fede!» disse nel colmo della felicità. Fu suo fratello a staccarsi da lei, e quando lo fece tirò fuori dalla maglietta una catenina d'argento che terminava in un ciondolo a forma di timone, rappresentante di una delle sue tante passioni: le barche.
«Ma questa...è il ciondolo che ti ho regalato per il compleanno qualche anno fa.» i suoi occhi erano fissi sulla collana. Federico le girò in torno e gli e la mise al collo «L'ho conservato come portafortuna e ora voglio che l'abbia tu, sarà qui per ricordarti che non ti ho abbandonata e che sei più forte di quel che pensi.» le tese una mano e quando lei si fu alzata la condusse verso il passaggio «Criss, voglio che tu sappia che io credo in te, e se prenderai delle decisioni che i nostri genitori, o chiunque altro contesteranno, sappi che io sono comunque dalla tua parte come è sempre stato. Ho bisogno di sapere che d'ora in poi farai le tue scelte in base a quello che ti comanda il cuore, come hai fatto in questo posto, così che tu possa essere felice» Cristina prese la piccola mano di Federico e gli assicurò che questa volta lo avrebbe fatto, che questa volta sarebbe stato diverso, perché lei era diversa.
«Ti voglio bene, grazie per avermi fatto vedere quanto sono forte. Ti restituirò la collana quando ci rivedremo» disse Cristina staccandosi dal fratello e camminando verso la vita.
« Anch'io te ne voglio» le aveva risposto Federico, ma lei era troppo lontana per sentirlo.




Cristina aprì gli occhi.
Oddio non di nuovo! Non ne posso più di prigioni bianche pensò inorridita mentre cercava di mettere a fuoco quello che la circondava; i suoi occhi, stanchi per il poco utilizzo, inizialmente riuscirono a vedere soltanto un'enorme distesa di bianco che, piano piano, si trasformò in una stanzetta abbastanza triste se non fosse stato per alcuni quadri colorati alle pareti, un tavolo ricoperto di libri, fiori profumati, a centinaia sul comodino vicino al letto in cui era coricata; tutto quel colore la tranquillizzò ma quando voltò lo sguardo alla sua destra sul suo volto si dipinse un'enorme sorriso.
Due finestre troneggiavano sulla parete e tutto quello che Cristina riuscì a fare per i minuti seguenti fu guardare il piccolo giardino che si trovava di fronte alla sua stanza; Alcune persone avrebbero potuto dire che era triste e abbandonato ma a lei parve bellissimo. Era ricoperto da una candida distesa di margherite.
Un'insistente dolore alla parte bassa del collo la distolse da quella meravigliosa vista; con uno sforzo sovrumano riuscì a sollevare il braccio destro e ad afferrare la causa di quel fastidio.
La collana con il timone.
Non è stato un sogno, era tutto vero...
tutto vero...
E per una volta dopo tanto tempo Cristina si sentì di nuovo completa; certo, la strada per la felicità era ancora lunga e piena di ostacoli, ma lei non l'avrebbe abbandonata, sarebbe avanzata un passo dopo la volta fin quando non fosse giunta a destinazione.
La vita le aveva dato una seconda possibilità, o forse era stata lei a darla alla vita.
Fatto sta che era di nuovo viva, finalmente.

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