Giorni virtuali

di Lo Magno Scrittore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era un caldo torrido nella cucina di Denise. Suo figlio, Nicolas, stava disegnando sopra un vecchio foglio di giornale quando una goccia di sudore cadde dalla sua fronte, facendo sbiadire i colori. Denise doveva fare qualcosa per lui. Non poteva tenerlo tutto il giorno in quella stanza dalle tende rosse e arancioni: sembrava un inferno. Cominciò a pensare, e si ricordò di un vecchio amico che nella sua casa di periferia aveva una piscina. Le aveva detto che sarebbe stata la benvenuta in ogni momento.

“Sarà di sicuro contento se passo a fargli un saluto”
Così interruppe il figlio e lo fece preparare per un bel bagno rinfrescante. Nicolas tornò con in mano il suo vecchio freshcloak, un cappello dal quale partivano lembi di tessuto che andavano a ricoprire l’intero corpo. Negli ultimi anni avevano avuto gran successo, data la loro capacità di rilasciare particelle di aria fredda verso il corpo: i freshcloak venivano attivati se esternamente colpiti dai raggi solari. Inoltre, il tessuto era particolarmente resistente, difficile da rovinare o strappare, quindi il freshcloak di un adulto poteva anche durare a vita. Il problema, purtroppo, era l’elevato costo, e il freshcloak di Nicolas era troppo piccolo per essere indossato. Denise gli disse di lasciarlo a casa.
«Ma mamma, fa troppo caldo fuori. Se poi mi sento male?»
«Non preoccuparti tesoro, non succederà. La mamma te ne compra uno nuovo appena trova un lavoro»
Ma la ventata infuocata che entrò non appena aprì la porta le fece cambiare idea. Anche se il freshcloak non lo avesse coperto interamente, almeno un pochino lo avrebbe rinfrescato.

La gente per strada infastidiva Denise. Tutti alle prese con le ultime maschere virtuali, concentrati a navigarci su internet spostando il solo sguardo. Nessuno guardava più la strada, c’era la maschera a dire quando svoltare o fermarsi ad un incrocio. Tra freshcloak e maschere, sembrava di dover fare lo slalom fra un’orda di robot. Quei pochi che le usavano solo per ascoltare musica, riuscivano a vedere abbastanza per ridere del freshcloak di Nicolas. Non era riuscito ad allacciare due lembi all’altezza della vita e ora, per via delle sue gambine corte, gli penzolavano alle spalle strisciando in terra. Forse era il caso di mettere a dieta suo figlio: avrebbe usato la solita scusa del lavoro. Denise si pentì alla svelta di quel pensiero: no, suo figlio avrebbe avuto tutto il cibo che desiderava, almeno in questo poteva riuscire ad accontentarlo!
Per fortuna in pochi minuti arrivarono alla stazione dei vagoni. Nicolas era sempre felice di viaggiare in questa maniera. La rete di collegamento passava tra i grattacieli e le pareti in vetro della cabina erano abbastanza larghe per far godere il panorama. Era facile arrivare ai vagoni: la stazione era un insieme di scale mobili che si attivavano al passaggio delle persone. Ogni scala mobile conduceva ad un tipo diverso di cabina, distinto per ampiezza e comodità, e terminavano direttamente all'ingresso di queste. Una volta riempito il vagone, la scala mobile si femava per non permettere ad altre persone di salire fino alle rotaie, sollevate a molti metri di altezza. La scala poteva essere riattivata solo dopo che un'altra cabina, proveniente dal deposito, avesse raggiunto la giusta postazione. La cosa solitamente non richiedeva più di qualche secondo.
Denise optò per un due posti economico. Arrivata in cima, fece un passo per scendere dalle scale mobili e si trovò immediatamente dentro al vagone. Pronunciò il nome della destinazione: lo schermo di fronte a lei si illuminò di verde e Nicolas fece appena in tempo ad entrare prima che le porte si chiudessero e la cabina cominciasse velocemente a muoversi.
Fu un attimo.
Nessuno si accorse che i lembi slegati del freshcloak si erano incastrati a fondo nel punto in cui il rullo delle scale mobili viene misteriosamente inghiottito per poter girare e tornare alla base. Nicolas non partì con l’intera cabina: sfondando il sottile vetro si ritrovò a penzoloni dalle rotaie. Terrorizzato, cominciò a dimenarsi, ma non riuscì a risalire verso la scala. Quando un nuovo vagoncino arrivò in postazione, tagliando i lembi che dalle scale mobili poggiavano sulle rotaie, e facendolo precipitare sull’asfalto, la cabina frantumata di Denise era già lontana.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Denise corse attraverso le scale mobili. Urtò molte persone, che sorprese e arrabbiate le rispondevano in malo modo. Ma lei non si accorgeva di tutto ciò: aveva il caos nella mente, la vista annebbiata, l’adrenalina al massimo. Corse in preda al panico finché non trovò l’entrata per le corsie preferenziali di emergenza. In quei giorni di caldo la rete sotterranea che portava direttamente ad ospedali e centri di assistenza era particolarmente intasata, ma nel giro di pochi minuti riuscì a prendere una cabina che la portò al luogo dell’incidente. Lì un gruppo di curiosi, riuniti intorno ad una pozza di sangue, le comunicò che il ragazzo era appena stato portato via dall’ambulanza. Denise riprese di corsa la cabina sotterranea, e al segnale del monitor di fronte a lei disse ad alta voce il nome del figlio. Il monitor fece una breve scansione all’interno del suo database, il quale conteneva tutti i recenti spostamenti in ambulanza di persone gravi. I nomi venivano inseriti tramite l’analisi immediata di un campione di DNA, prelevato da un operatore soccorritore. Le porte della cabina si chiusero e nel giro di un minuto Denise si trovò di fronte al St. James Hospital, alla periferia nord della città. Dopo essersi identificata all’ingresso, venne indirizzata verso la sala in cui si trovava il figlio. Corse accecata dalla paura, continuando ad urtare persone, e infine arrivò. Fuori dalla porta vi erano un gruppo di tre medici ad aspettarla, con in mano dei fogli azzurri. Denise sapeva cosa significava. Scoppiò in lacrime e grida di disperazione. Uno dei tre prese in mano la situazione: «Signora la prego, si calmi. Dovrà prendere una decisione molto difficile. Stiamo stabilizzando suo figlio, se la caverà, ma le sue condizioni post intervento potrebbero rimanere permanenti. Le proponiamo tre scelte: lasciarlo nella degenza classica, con il rischio di un risveglio tra molti anni. In questo caso sa meglio di me che dovrà ricominciare la sua vita da capo, perdendo preziosi anni. Può invece optare per il programma di vita virtuale, base o avanzato. Viste le condizioni in cui è arrivato il ragazzo, le consigliamo uno di questi due. Abbiamo controllato il reddito da lei fornitoci nell’assicurazione annuale: a meno che non abbia un parente o amico molto generoso, crediamo che la scelta più appropriata sia quella del programma virtuale base.» Denise li guardo con faccia inebetita. Era stordita, chiedergli di essere lucida in quel momento era impossibile, ma dovette sforzarsi al massimo. Dopo cinque minuti che li fissava, la sua bocca si aprì per rispondere.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Nicolas aprì gli occhi. Era disteso su un prato e il sole lo stava accecando. Nonostante fosse nel pieno dell’estate, e sotto i raggi di luce, non sentiva caldo. Stava bene. Si guardò intorno: il vicinato sembrava leggermente diverso. Le case, gli alberi, il cielo: tutto sembrava più luminoso rispetto al normale. Non ricordava esattamente perché si trovasse disteso nel prato, ma ricordava benissimo che sua madre gli ripeteva in continuazione di non fermarsi sotto il sole, perché gli avrebbe fatto male. Decise di rientrare in casa. Ad accoglierlo all’ingresso c’era lei, con un gran sorriso: «Dove sei stato finora tesoro? ». Lei continuò a parlargli ma la voce arrivava a Nicolas come ovattata. Decise di dirglielo. Venne rimproverato per essere stato troppo tempo sotto il sole: «Lo sai che potresti avere danni permanenti! Perché vuoi rovinarti così, stando sotto il sole? Promettimi che ci starai più attento, sai di essere cagionevole.»

—– o —–

Denise stava leggendo il manuale del programma virtuale base. I medici le avevano spiegato il funzionamento nei dettagli, ma fornivano comunque una copia a famiglia che poteva servire da consultazione. Denise, che aveva un grado di shock inferiore al giorno prima, lo rileggeva con calma, per essere sicura di non sbagliare nulla. Nicolas era stato posizionato nella propria stanza, con una flebo attaccata al braccio e molti sensori posizionati sulla testa. Dei macchinari a fianco al letto trasmettevano onde elettromagnetiche che avrebbero stimolato il cervello del bambino. Questi sensori avevano la funzione di creare un mondo onirico-virtuale all’interno della sua mente. Prevedeva tutto: un’istruzione di base, relazioni di amicizia e amore, 5 sport tra i più diffusi,  l’insegnamento di mestieri base per sopravvivere nella vera società e l’impianto di idee base comuni all’umanità, come la giustizia, l’onestà, la lealtà. Purtroppo, essendo la versione usata per sperimentare il programma avanzato, non permetteva altre esperienze senza rischio di danni collaterali. Denise, fiduciosa che il suo bambino avrebbe avuto molto tempo in futuro per sperimentare la vita vera, non voleva togliergli la sensazione di provare le più belle esperienze sulla pelle, piuttosto che nella sua mente. Aveva rifiutato il pacchetto sperimentale di esperienze extra.

—– o —–

Primo giorno di scuola: era idea comune sentirsi inizialmente tristi e spaesati in quel luogo così affollato. Nicolas, invece, non provava particolari sensazioni al riguardo. Si sentiva curioso e stimolato a voler apprendere. Le orde di ragazzi entusiasti di rivedere i propri amici gli passavano a fianco senza che lui vi prestasse troppa attenzione. Scelse il banco in prima fila.

A ricreazione un ragazzo gli si avvicinò.

«Ciao, vuoi essere mio amico?»

—– o —–

 “Chissà come starà andando il suo primo giorno..”

Domanda inutile, sapeva già che sarebbe andato tutto bene. Non doveva avere nessuna preoccupazione. Avrebbe avuto molti amici, avrebbe appreso molto più che se avesse frequentato la normale scuola, sarebbe diventato più curioso e intelligente che nella realtà. Peccato non poter condividere tutto questo con lui.

—– o —–

Correva palleggiando. Non sapeva bene perché si trovasse li. Era risaputo che lo sport, in particolare quello di squadra, faceva bene. E allora lui lo praticava. Era abbastanza abile nello scartare tutti e puntare dritto al canestro. E allora lui correva, senza mai stancarsi, e segnava il punto vincente. Lo scintillio di luci del podio era così accecante da fargli socchiudere gli occhi. Tutti applaudivano, le decine di voci ovattate gli riempivano le orecchie. Lui credeva di essere felice e soddisfatto di sé.

Sua madre lo accoglieva ogni volta con un bell’abbraccio, soprattutto quando perdevano. Poi gli preparava a casa la cioccolata calda. Ogni volta se la ricordava più calda di quello che era. Meglio così, non si sarebbe bruciato la lingua.

—– o —–

Era l’ora dei farmaci. A Denise non piaceva imbottirlo di tutta quella roba, ma senza, il programma avrebbe perso di efficacia. Purtroppo, oltre a regolare la funzionalità ormonale, di modo che il ragazzo fosse più ubbidiente alla storia per lui impostata, i farmaci regolavano pure la percettività ai sensori. Inoltre stimolavano la ricrescita neuronale.

Oggi dose doppia, era un gran giorno: avrebbe incontrato la ragazza a lui vicina per i prossimi anni, anche se Denise sperava solo per i prossimi mesi. Quando i medici erano venuti ad installare l’ultimo aggiornamento, gli avevano spiegato che quella era una delle fasi più delicate: non erano mai riusciti a mettere a punto un programma che selezionasse la giusta personalità. Soprattutto per il programma base, le affinità erano impostate per sommi capi, e la doppia dose di farmaci avrebbe piegato di più la volontà del ragazzo. Denise non era contenta di intervenire così crudamente nelle esperienze del ragazzo, ma l’amore era una cosa troppo grande per essere esclusa. Al suo risveglio non voleva avere tra le mani un freddo robot.

—– o —–

E poi la vide, distesa su un prato, che parlava con le sue amiche. Non si spiegava come avesse attirato la sua attenzione tra il mare sfocato di persone che vedeva continuamente intorno. Lei era li, sorrideva, emanava una luce angelica. Com’era possibile che una persona emanasse luce? Nessuno mai glielo aveva spiegato, ma si sapeva che quando si incontra la persona giusta, per qualche motivo si sa che è lei. Nei mesi precedenti gli era capitato di leggere dei libri sull’argomento. Brividi lungo la schiena, paura, ansia, vuoto allo stomaco. Lui non sentiva nulla di tutto ciò, ma incuriosito dalla luce decise di avvicinarsi. Percepiva gli sguardi delle amiche su di lui, ma la concentrazione che aveva gli impediva di vederle. La salutò, lei sorrise e rispose. In quel momento come una scarica elettrica passò per tutto il suo corpo, una scarica non dolorosa, quasi piacevole. Che fosse quella la sensazione di cui aveva letto? Decise di continuare la conversazione.

—– o —–

A dodici anni dall’incidente, quando il macchinario entrava in standby durante la notte, Denise continuava tutte le sere ad accendere il lettore musicale. Ne aveva comprato uno vecchio, di quelli che vanno a cd e non proiettano l’ologramma del gruppo che suona. Era convinta che stimoli esterni potessero solo far bene al suo ragazzo, pensava lo avrebbero avvicinato al risveglio. Così, tra una serata di classica e una di rock, andava avanti con questa speranza. Quella sera però non scelse il cd. Sapeva che il ronzio del macchinario non si sarebbe fermato. Così, dopo averlo lavato e sistemato, dopo la fisioterapia per le gambe, spense la luce e chiuse delicatamente la porta. Per quello che era possibile, voleva lasciargli tutta la privacy di cui era capace. Già le sembrava abbastanza sapere che sarebbe successo, e soprattutto che erano stati altri a deciderne il quando. Quella sera si addormentò più inquieta del solito.

—– o —–

Pioveva a dirotto. I due ragazzi rientrarono in casa completamente fradici. Nicolas accese il fuoco e ci mise i vestiti zuppi ad asciugare davanti. Poi preparò una cioccolata calda e si sistemo sotto il plaid insieme alla ragazza, che aveva già caricato il film da vedere sullo schermo. Poteva dirsi contento di non avere la madre tra i piedi quando invitava Elèna a vedere un film. La madre era infatti partita per un viaggio di lavoro un paio di giorni prima. La ragazza si accoccolò tra le sue braccia. Nicolas si sentiva strano: una leggera scarica elettrica gli stava percorrendo tutto il corpo. Probabilmente sarebbe successo qualcosa, era così ogni volta che avveniva un grande cambiamento. Alla fine del film sapeva che Elèna avrebbe avuto bisogno di un po’ di coccole, la serietà della storia la rendeva triste. Lei cominciò a baciarlo, ma c’era qualcosa di diverso nei suoi movimenti. Le si mise sopra a cavalcioni e infilò le mani sotto la maglia. Accarezzava il suo corpo, la sua pancia. Poi continuò a scendere. Le sue mani cominciarono a muoversi sicure sotto i pantaloni. Nicolas non capiva bene il perché di tutto ciò. Il tocco sembrava essere più piacevole di una carezza, quindi lasciò fare. Cominciò a spogliarlo. Ormai Nicolas gli aveva affidato il controllo della situazione. Non fece domande, si limitò a fissare i suoi gesti, i suoi movimenti lineari. Sentì i due corpi fondersi e dopo qualche minuto di movimento sentì una nuova scarica elettrica, questa volta nel ventre. Non era la solita scarica, era più che altro un brivido... un brivido piacevole che se ne stava andando da lui, stava uscendo. Elèna si accasciò su di lui. Sembrava il classico momento che si diceva essere perfetto.

—– o —–

Denise stava piangendo. Suo figlio era oramai un uomo, aveva ricevuto un’istruzione, aveva provato il dolore di un incidente, aveva provato cos’era l’amore, cos’era l’amicizia, cosa sono le delusioni. Aveva addirittura trovato un buon lavoro. Era diventato capitano di squadra in più sport e aveva vinto tante di quelle medaglie da aver probabilmente riempito la sua camera virtuale, ma non aveva mai fatto realmente quelle cose. Denise non aveva mai potuto gioire con lui dei suoi successi, non aveva mai potuto abbracciarlo, preoccupandosi dei suoi problemi. Poteva solo piangere per la vita che stava veramente facendo. In realtà Denise, a 15 anni dall’incidente, aveva ormai perso tutte le speranze.

—– o —–

Quel giorno stavano succedendo cose strane. Il cielo era molto più luminoso del solito, i colori erano più vividi e splendenti che mai. Le voci dei suoi clienti erano così ovattate da poterle a mala pena comprendere. Stava scrivendo un appunto su un foglio quando, improvvisamente, questo svanì da sotto le sue mani. Strinse forte le palpebre dei suoi occhi, fece un profondo respiro e le riaprì, non trovando comunque il foglio. Non poteva crederci, stava realmente impazzendo. Questo lavoro lo stressava troppo, sua madre glielo ripeteva sempre. Decise di prendersi una pausa e liberare la mente, anche se il turno era cominciato da solo un’ora.

Stava bevendo un bicchiere d’acqua quando, fissando il pavimento, si accorse che una mattonella mancava. Sì avvicinò per guardare meglio: sembrava esserci un profondo cratere nero al di sotto. “Impossibile”, pensò “Sono al settimo piano, al massimo dovrei vedere il piano inferiore”.

Si guardò meglio intorno e si accorse che le mattonelle mancanti erano ora più di una. Poi successe anche al muro: grandi fori neri. Cominciò lentamente tutto a dissolversi.
L’ultimo suo pensiero fu che aveva da poco letto un libro in cui si parlava di svenimenti: che stesse accadendo proprio questo?

Una voce lo circondò, ma da dove proveniva?
«Che cazzo, una di quelle sonde si è rotta. Con tutto quello che vi pago potreste darmi almeno un apparecchio decente! Se non siete qui entro dieci minuti non immaginate il putiferio che scateno! »

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Un leggero suono era emesso a scatti da un punto indefinito. Era strano, non era un suono come quelli ai quali era abituato, che aleggiano ovattati nell’aria ma si sa esattamente da dove proviene. Questo entrava gentilmente nelle orecchie e arrivava alla mente, preciso e limpido. Era così chiaro, una dolce lama che entrava precisa nell’orecchio. Non capiva cosa stesse succedendo, era ancora tutto nero. Forse si stava riprendendo dallo svenimento, o forse i danni che il sole gli aveva procurato da bambino, mentre passava le ore sdraiato nel giardino di casa a fissare il cielo, si stavano riparando. Poi un altro suono, meno acuto, lo raggiunse: sembrava la voce di un uomo.

«Mi dispiace signora, non so come aiutarla. Il lavoro della macchina è finito, se suo figlio non si è ancora svegliato, probabilmente sarà un problema di dosaggio sbagliato dei farmaci».

La voce dell’uomo aveva un tono dispiaciuto e disorientato. Macchinario, farmaci, quella voce disorientata stava parlando come se lui non fosse lì.
Una seconda voce, vagamente familiare, si intromise nel discorso, una voce molto più acuta e adirata:

«Ma come si permette? Cosa ne sa lei? Tutto questo tempo, tutti i soldi che mi avete fatto spendere... e poi quest’apparecchio neanche funziona. Non lo sapete neanche voi che schifezze avete fatto iniettare a mio figlio e… la prego, faccia smettere questa sirena infernale, non ne posso più! »

Rumore di passi che si avvicinarono, cominciava a sentire tutto più chiaro. Sentì la camminata interrompersi, sentì il suono di un soffio. No, forse era l’uomo che respirava. Non ricordava di aver mai fatto caso a quel tipo di suono: era ritmico, primitivo, inquietante. Come poteva non aver mai sentito quel suono così pesante e vitale? Sentì, su una parte indefinita, ma allo stesso tempo ben precisa, del proprio corpo, il caldo venticello di quei respiri così concreti, poi sentì i soffi aumentare di frequenza.
Una serie di rumori metallici, e all’improvviso il suono scattante di sottofondo si fermò.

«Ma cosa diavolo fa? Assassino! Lo vuole uccidere del tutto? Così creerà il caos nel mondo virtuale, lo farà impazzire... riaccen...»

La voce di donna si interruppe bruscamente. Nicolas non stava capendo più nulla: caos, mondo virtuale… Perché nessuno si preoccupava della sua presenza? Forse stava sognando, o forse era semplicemente morto. Chi erano quelle persone che aveva intorno? Voleva vedere cosa stava accadendo, non capiva perché non poteva. Non era mai successo, di solito quando si svegliava il mondo era lì, limpido e lucente per essere guardato.
Improvvisamente un oggetto freddo toccò il posto in cui doveva essere il suo occhio sinistro e si spostò velocemente verso l’alto. Il buio venne subito sostituito da qualcosa di così luminoso che sembrava di avere il sole a pochi metri di distanza. Sentì la faccia contrarsi. L’oggetto freddo stava facendo resistenza al buio che voleva tornare. Poi l’oggetto freddo si staccò dalla sua palpebra, e fu di nuovo buio.

«Cosa sta succedendo? » la voce della donna era ancora più stridula e incrinata.

Basta, voleva vedere. Pensò di doversi concentrare sul luogo in cui l’oggetto freddo l’aveva toccato. Aveva paura della luce accecante che lo aveva appena colpito, ma si sforzò e piano piano qualcosa si mosse.
No, la luce accecante non c’era più.
Cominciarono a delinearsi alcune figure.
L’occhio si stava aprendo, stava mettendo a fuoco lentamente: una parete bianca, un armadio beige, mobilia impersonale che non gli forniva alcuna informazione sul dove si trovasse. Provò a muovere lo sguardo: si girò verso destra e vide uno sconosciuto con dei pantaloni blu, un camice e una maglietta di un bianco così opaco che non ricordava di aver mai visto prima. In mano, l’uomo teneva una piccola torcia e un oggetto poligonale, dalla punta arrotondata e dal color argenteo. Nicolas ruotò ancora di più lo sguardo: dietro lo sconosciuto c’era la donna, alla quale probabilmente apparteneva la seconda voce. I suoi occhi erano rossastri e una lacrima stava scendendo dall’occhio sinistro. Aveva qualcosa di familiare.
La riconobbe.
Era sua madre: cos’era successo? Perché sembrava così vecchia?

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Erano passati quattro mesi dal suo risveglio e ancora si sentiva stordito. Lentamente, e grazie ai dottori, era riuscito a rimettersi in piedi, a ricominciare a parlare ed essere in parte autonomo. Si sentiva spesso spaesato: c’erano momenti in cui la mente si annebbiava e uno strano vuoto partiva dall’altezza dello stomaco, si irradiava a tutto il corpo, facendolo sentire debole e triste. Era qualcosa di forte, mai provato prima. In quei momenti non desiderava altro che tutto finisse, non vedeva via di scampo. Pensava a Elèna, pensava ai suoi amici, alla sua finta madre, molto più serena e rassicurante della reale, alla sua finta vita. Lì era tutto lucente, qui era solo ombra. Sua madre gli aveva spiegato tutto: gli avvenimenti preimpostati, le scelte obbligate, le relazioni non vere…
Ma lei era speranzosa, era felice che lui fosse lì e che finalmente potesse cominciare con una vera vita. Per lei, Nicolas era ancora giovane, non era tardi per un nuovo inizio. Qualche giorno addietro gli aveva fissato un appuntamento in quei centri di “riabilitazione alla realtà” di cui spesso parlava, così in quel momento si stava dirigendo là. Nel cammino aveva avuto tutto il tempo per ammirare la città: non aveva ancora acquisito una buona resistenza e doveva camminare lentamente, sedendosi su tutte le panchine che incontrava lungo la strada.
Si era abituato a vedere le figure ben delineate e i suoni scanditi, quello cui non riusciva ad abituarsi era l’oscurità della città e la moltitudine di persone che ci vivevano. Ora li vedeva tutti, non erano più un ammasso sfumato ai lati dei suoi occhi. Li osservava e vedeva solamente figure meschine, immerse nel loro particolare mondo virtuale: non vi erano costretti da problemi medici, sceglievano volontariamente di imprigionarsi e passare il loro tempo rinchiusi nei loro mantelli, con la faccia coperta dalle maschere elettroniche. Sembravano dei fantasmi, dei fantasmi indifferenti verso la vita. Come facevano a dare così tanta importanza a quelle cose? Nicolas non capiva il senso del passare tutto quel tempo collegati a un congegno elettronico, perdendosi ciò che avevano intorno. Capiva in parte perché la città era così oscura: nessuno la guardava, nessuno la curava. Si chiedeva come tutto ciò non li infastidisse.
Non passava giorno in cui Nicolas non si sentisse scoppiare di rabbia nel pensare al tempo che aveva perso.

Arrivò al centro di recupero e si mise a sedere su una saletta piena di altre persone. Queste parlavano tutte tra di loro.
Attese.
Si aspettava da un momento all’altro che qualcuno lo avvicinasse e si sedesse per fare conversazione, come sempre avveniva nel mondo virtuale.
Dopo circa mezz’ora non era ancora accaduto nulla.
Nicolas non capiva, era la prima volta che veniva così ignorato all’interno di una sala ghermita di persone. Con espressione dubbiosa e il respiro leggermente aumentato dall’ansia cominciò a guardarsi attorno più velocemente. Qual era il problema? Stava sbagliando qualcosa? Un lieve panico lo prese, poi si decise a fare un respiro profondo e ad analizzare la situazione. Se nel mondo virtuale tutto era preimpostato, magari era normale che la gente andasse da lui. Ora, forse, avrebbe dovuto prenderla lui l’iniziativa… ma cosa avrebbe detto? Ci pensò un po’, chiedendosi perché doveva essere così difficile relazionarsi, quando agli altri sembrava venir così bene. Mentre stava cercando le forze per farsi coraggio, arrivò una ragazza che divise le persone della sala in due gruppi. Sua madre gli aveva già spiegato che alcuni traumatizzati potevano permettersi un programma virtuale avanzato. Questi, al loro risveglio, avevano una riabilitazione distaccata dagli altri, più complessa e fornita rispetto al programma base. Nicolas pensava che fosse ingiusto, ma d'altronde la loro istruzione e le loro esperienze nel programma virtuale erano state più complete, per questo erano maggiormente pronti ad affrontare la vita reale. Nicolas era rattristato dal fatto che probabilmente non avrebbe mai potuto raggiungere le aspettative sociali di quelle persone, si sarebbe dovuto accontentare, ma al momento questo era il minore dei suoi problemi.
Per un breve momento, prima di seguire la ragazza che aveva chiamato il suo gruppo, sentì un dolore allo stomaco, come un pugno, al pensiero di quanto sua madre si disperasse per non avergli potuto offrire di meglio.

La ragazza che li aveva chiamati li condusse in una stanzetta con sedie e banchi. Restò fermo sull’uscio, spaesato, a guardare gli altri che prendevano posto. Poi, quando quasi tutti si erano già seduti, si avviò verso i posti rimanenti. Si sedette di fianco ad una donna dai capelli mori e lunghi. I suoi occhi color castagna erano profondi, tristi. La guardò meglio e si accorse che era una ragazzina più o meno della sua età.
Con un brivido lungo le braccia, si fece coraggio e decise che era giunto il momento di cominciare a parlare:

«Ciao, come ti chiami?».

Non riuscì a sostenere lo sguardo meravigliato che si girò e lo scrutò. Abbassò la testa a guardarsi le mani appoggiate sul banco, il respiro aumentato e l’ansia crescente. Poi sentì un suono che era quasi un sospiro:

«Mi chiamo Alice…»

Senza che se ne accorgesse, gli angoli della sua bocca si contrassero verso le guance: Nicolas stava sorridendo.

Ce l’aveva fatta.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Nicolas si trovava tra gli scaffali della libreria. Il lavoro scarseggiava e i funzionari del centro riabilitazioni non avevano trovato di meglio. C’era di buono che conosceva la maggior parte dei testi, quindi quando un cliente gli faceva una domanda o lo guardava speranzoso per un consiglio, sapeva esattamente cosa rispondere, senza avere l’ansia di dover deludere il prossimo. Nicolas apprezzava molto il fatto che fosse un luogo poco frequentato: gli amanti dei libri cartacei erano rimasti in pochi ormai. Molti li consideravano antiquariato. Così, un giorno come un altro, quando trovò Alice a curiosare tra gli scaffali, rimase sorpreso. Lei sorrise. Nicolas, agitato, dopo aver deglutito, le si avvicinò.
«Ehi, hai voglia prendere un gelato quando stacchi?»
Aveva paura. Alice era l’unica persona che non fosse un dottore o un datore di lavoro con la quale era riuscito ad instaurare un collegamento. Parlavano da ormai qualche mese, ma non capiva perché non si sentiva al sicuro. Accettò l’invito, non aveva buone scuse per rifiutare.
 
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«Non preoccuparti, significa che ti piace. E’ così per tutti e ti accorgerai che è bellissimo. Oh, come sono contenta che ti sia capitato dopo così poco tempo! »
Sua madre la faceva sempre così facile. A lui la cosa non sembra poi così bella, stava male ogni volta. Non riusciva bene a comprendere come gli altri potessero sostenere il peso di tutte quelle emozioni. Forse era lui ad essere debole, forse col tempo ci avrebbe fatto l’abitudine. Non riusciva ancora a sostenere lo sguardo degli altri: gli diceva troppe cose, lo caricava di troppe responsabilità, gli ricordava che stava vivendo. Era disorientato.
 
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Aveva fatto tutto Alice. Lui si sentiva molto impacciato e raramente prendeva iniziativa. Si era però reso conto da poco che qualcosa era cambiato, ora aveva cominciato a desiderare un contatto fisico. Non aveva mai agito, avendo paura di ciò che lei pensava. Così toccò fare tutto ad Alice: le uscite, il primo bacio, il fidanzamento. Ora erano una coppia come tante altre: se fosse restato tutto così, forse si sarebbe sentito normale prima o poi, e magari avrebbe ritrovato la serenità che aveva nel mondo virtuale.
 
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Pioveva. Nicolas e Alice stavano guardando un film nello schermo a parete. Erano soli a casa di lei. Nicolas sapeva cosa sarebbe successo, stava vivendo un déjà-vu, ed era molto agitato. Non sapeva se avrebbe retto la situazione: era tutto così diverso dalla sua prima volta. Con Elèna non aveva neanche capito cosa fosse successo precisamente, aveva solo avuto l’intuizione di una sensazione. Finito il film, Alice si girò verso di lui e appoggiò le morbide labbra sulle sue: la sensazione di calore era sempre così piacevole. Ebbe un fremito e l’impulso di prenderla con violenza. Lei rispose assalendolo e quasi strappandogli la camicia. Nicolas non pensava più, stava agendo d’impulso, con la mente annebbiata. Percepiva ogni singola sensazione al massimo, incredulo di cosa stava accadendo. Aveva perso il controllo, si era abbandonato al desiderio. Alice lo spinse sul letto e gli saltò sopra. Nicolas le tolse il vestito poi la sollevo, la girò e la spinse sul letto. L’aveva bloccata. E ora? Alice si liberò, poi gli tolse il resto dei vestiti. Nicolas vide il suo membro come mai l’aveva visto prima, ma cosa diavolo stava succedendo? Alice lo toccò e lui sentì il piacere più forte che mai. Le emozioni stavano crescendo troppo e troppo alla svelta. Si sentiva ogni momento sempre più al limite della sopportazione, poi si accorgeva che quel limite poteva essere superato. Alice smise di toccarlo, avanzo cavalcioni di qualche centimetro e riprese il pene in mano. Poi abbassò il ventre e Nicolas sentì il proprio corpo entrare in quello della ragazza. Pensò di impazzire. Alice cominciò a muoversi e, ad ogni ripetizione di movimento, Nicolas sentiva scariche di piacere. Ormai era solo sensazione, non sentiva più il suo corpo, non riusciva più a ragionare. Andò avanti ancora, e ancora, finché non la sentì contrarsi a spasmi. In quel momento raggiunse l’apice. La sensazione fu talmente forte che non riuscì più a restare nella realtà, il cervello mandò il corpo in tilt e improvvisamente il buio restrinse la sua visuale.
Alice si accasciò sul letto accanto a Nicolas. Dopo qualche secondo si girò per guardarlo. Sembrava in pace. Poi provò a dirgli qualcosa ma lui non rispose. Si preoccupò. Provò a scuoterlo ma niente. Il respiro sembrava normale, il battito leggermente accelerato. Nicolas era svenuto.
 
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Le cose non stavano andando bene tra loro due. Dopo quella prima volta, quattro mesi fa, lui non era più riuscito a riprendersi del tutto. Si sentiva in colpa, era timoroso persino dello sguardo di lei. Da parte sua, Alice pensava fosse una reazione normale, essendo lui uscito dal programma virtuale da così poco tempo. Così era stata gentile e paziente per i primi due, tre mesi. Poi aveva cominciato a stancarsi. Nicolas si sentiva mortificato. Invidiava il modo in cui Alice si stava adattando alla realtà, di come riuscisse a metabolizzare le sensazioni. Avevano passato diverse serate sul divano a parlare di come lei riteneva normale questa differenza. In fondo, il suo risveglio era avvenuto un paio di mesi prima di Nicolas, e lei aveva avuto la possibilità di adattarsi con più lentezza alle emozioni. Ultimamente invece, Alice si dimostrava molto meno paziente, quasi insofferente. L’ultima cosa che le aveva sentito dire era “Datti una svegliata bello!” e poi l’aveva vista uscire da casa sua. Non si sentivano da qualche giorno. Sentiva una grande agitazione ogni volta che ci pensava.
Quando non pensava a lei le cose non andavano meglio. Sua madre lo angosciava continuamente, ripetendogli che le dispiaceva di non potergli offrire qualcosa di meglio. Inizialmente Nicolas si sentiva male e la supportava, ma ora era sempre impaziente che quei momenti terminassero, e tagliava corto il discorso. Sua madre si indispettiva e gli rinfacciava di avergli dedicato la sua intera vita. Nicolas non sapeva come agire.
Quel giorno era a lavoro. Non riusciva a concentrarsi su ciò che gli chiedevano i clienti. Così li guardava, sorrideva, ad alcuni faceva fare giri inutili per gli scaffali e mostrava libri che per la maggior parte andavano contro gli interessi di quello che avevano chiesto. Così lo guardavano chiedendosi se fosse normale, lo ringraziavano per gentilezza e se ne andavano. Poco dopo li vedeva parlare con un collega e allora restava lì a guardarli inebetito, senza neanche sapere cosa pensare. In quei momenti c’era il vuoto.
Alla fine del turno ricevette un messaggio da parte di Alice: chiedeva di vedersi. Era felice, lei gli stava dando una possibilità. Pensò un attimo a cosa avrebbe detto e si rese conto che doveva fare qualcosa per lei, doveva prendere l’iniziativa, come tanto Alice desiderava. Decise che gli avrebbe portato un piccolo pensiero. Sì, un mazzo di rose. Sperava di non risultare patetico o vecchio stile. Era da molto che non si usava più regalare fiori veri, soprattutto perché erano diventati così introvabili da essere troppo costosi. E poi, quelli elettronici con emanatore di profumo incorporato, duravano molto di più. Uscì dal negozio leggermente sollevato.
 
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«Mi dispiace ma ci ho pensato, non credo possa funzionare finché le cose stanno così. Magari più avanti, quando ti sarai riabituato alle sensazioni e avrai capito qual è la tua strada, ci potremo risentire. Penso ti farà solo bene prenderla con calma. Fino a quel momento direi di vivere ognuno la propria vita»
Nicolas rimase con il braccio che teneva le rose alzato. Leggeva il dispiacere negli occhi di lei, ma non riusciva bene a capire oltre. Dentro la sua mente c’era solo caos, non riusciva a mettere in fila i pensieri necessari a rispondere. Si fissarono per qualche minuto senza dire nulla. Poi, un momento prima che lei si muovesse, una frase venne in mente a Nicolas, nitida: “Mi sta abbandonando, se ne sta andando per sempre. Ed è seria.” Alice gli venne incontro, gli diede un bacio sulla guancia e disse «Ciao». Poi si voltò e si incamminò lungo il viale, avvolta dal suo nuovo freshcloak azzurro.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Da quando Alice se ne era andata, cinque mesi prima, la vita di Nicolas era crollata in pezzi. Più pezzi di quanti ne avesse prima. Il rapporto con sua madre era diventato sempre più pesante, il lavoro insostenibile, il dolore insopportabile. Nicolas aveva provato a rifugiarsi in qualche hobby, ma tutto ciò che prevedeva la presenza di estranei lo metteva in crisi. Non trovava il senso di alcuna attività fatta per se stesso: aveva perso l’interesse nell’apprendere nuove cose, nel praticare sport e gettarsi in attività nelle quali doveva produrre qualcosa.

Quel giorno stava passeggiando per andare a lavoro.
Tra i tanti fantasmi ricoperti di nero e grigio ne trovò uno azzurro che gli stava venendo in contro. Una scarica di adrenalina gli fece aumentare il respiro. Sorrise, non poteva crede alla fortuna che stava avendo quel giorno.
Poi un passante di fronte a lei cambiò direzione e la visuale alla sinistra di Nicolas si liberò del tutto. La ragazza dal freashclock azzurro aveva al suo fianco un uomo, si stavano tenendo per mano. Un fuoco si accese nella sua testa: Nicolas accelerò il passo, deciso a fargli una scenata.  Li aveva quasi raggiunti quando, a pochi metri da lui, l’uomo alzò il braccio sinistro e lo strinse attorno alla spalla di lei, avvicinandosela al corpo. Vide il volto di Alice, sempre scoperto dalle maschere che i fantasmi portavano, fare un sorriso. Allora si bloccò, immobile nel posto in cui si trovava, inebetito. Il volto della ragazza esprimeva una serenità e una dolcezza che Nicolas non aveva mai visto in tutti i mesi nei quali erano stati insieme. Era felice, e quell'uomo aveva saputo farla sorridere con un gesto così spontaneo che Nicolas stentava a crede di non essere mai riuscito a fare. La furia di qualche istante prima si era trasformata in un dolore talmente acuto che lo aveva paralizzato anche mentalmente. Una persona dietro di lui lo urto e proseguì senza neanche chiedere scusa.
Alice si stava avvicinando, era a un metro di distanza. Alzò il viso e incrociò il suo sguardo. I muscoli attorno agli occhi di lei si contrassero leggermente, il sorriso si spense un po’. Mantennero il contatto visivo finché Nicolas non venne superato.
Lui si voltò, lei non lo fece.
Nicolas rimase immobile sul posto anche dopo che la coppia ebbe girato l’angolo.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Nicolas stava ridendo tra se e se. Non capiva perché non avesse ancora pensato a quella soluzione così semplice e immediata. Al diavolo la madre, al diavolo Alice e tutte le maledettissime sensazioni che non riusciva più a controllare. Sarebbe tornato in un posto felice, senza troppe preoccupazioni e ansie. Con un po’ di fortuna avrebbe pure rincontrato Elèna.
Aprì la finestra e salì sul davanzale.

Guardò in basso e sentì la testa che cominciava a girargli. E se fosse morto nell’impatto?

La risata si spense leggermente a quel pensiero. Guardò alle sue spalle la stanza disordinata, poi girò di nuovo la testa verso il vuoto.

Ricominciò a ridere.
 

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino in fondo! Giorni virtuali è stata la mia prima storia, scritta diversi anni fa. Pur vedendone tutti i difetti e le parti più macchinose le sono comunque molto affezionato, soprattutto perché da questa sono nate molte altre storie, le quali lentamente mi stanno facendo crescere sia per le ricerche che mi spingono a fare, sia per le nuove tecniche di scrittura che sto imparando. Spero vi sia piaciuta, ringrazio chi mi ha già dato un parere e chi me lo darà, aiutandomi a migliorare!

Ossequi dallo Magno Scrittore.

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