Human Zombie -chi è il vero mostro

di kiki96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 1. L'inizio ***
Capitolo 3: *** 2. La caccia ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Human Zombie
-chi è il vero mostro?-




Prologo

 
«La notizia si è sparsa in fretta, così come la “malattia”. Qualche mese fa dicevano che uno strano virus stava infettando le mandrie di tutto il mondo, non sappiamo come curarlo e da cosa è provocato, non dava però nessun segno visibile, almeno nel bestiame. Molti scienziati sono partiti con i capi bovini verso il sud America, forse in un’area segreta, e hanno iniziato a studiare la mutazione. Di questo almeno sono sicuri: si tratta una strana mutazione genetica. Ovviamente sono stati sterminate tutte le bestie contaminate ed è qui che è entrato in gioco il virus.
Tutti i telegiornali del mondo hanno diffuso la notizia: i bovini non sono morti. Con le pistole, con i coltelli, ma quelle bestie ogni volta si rialzavano e ogni volta venivano trucidate di nuovo. Non sappiamo ancora come fermarle ma c’è di peggio.
É successo di nuovo: le carni contaminate sono state ritirate dal mercato ma non in tutti i paesi. È così che è iniziato tutto: prima singole persone, poi famiglie intere e infine paesi su paesi. Nemmeno sugli esseri umani si nota qualche segno visibile dell’infezione ma basta che, chi è colpito, venga ucciso per vedere gli effetti innaturali. La malattia o mutazione si è diffusa e adesso quei mostri loro stanno girando a piede libero.
Il problema principale è che non sappiamo come ucciderli del tutto, non abbiamo idea a che cosa stiamo andando incontro.
Quelli che conoscevamo ieri non ci sono più, ora sono diversi per una cosa fondamentale: non muoiono.
Ho sbarrato le finestre e le porte, ho messo recinsioni elettrificate ma so che è inutile. Non sentono dolore e dubito che sentono qualcos’altro oltre alla fame. I mostri creati dall’immaginazione anni e anni fa, adesso sono realtà.
Però non sono sicuro del loro comportamento, dovrebbero essere più… Passi. Dei tonfi sulla porta. Devo scappare.
 
Anonimo»

Nda: dopo secoli e secoli sono tornata! *la folla applaude* questa è una storia che ha partecipato al contest di #WTFISZOMBIE che è in corso tutt'ora poichè il creatore non si è dato la briga di leggere tre testi messi in fila e di dare una valutazione... vi sembro alterata? lo sono.
Ma lasciamo stare.
Non scrivevo da molto tempo e... mi sento felice che finalmente abbia superato il blocco delleo scrittore...?
Godetevi la storia :)
PS: il ragazzo Luke è stato preso da un personaggio già esistente creato da Son of  preacher man, la storia in questione è "il fioraio"

K.

 

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Capitolo 2
*** 1. L'inizio ***


  1. L’inizio
 
 
Aprii l’anta dell’armadio e con un gesto spostai gli abiti appesi per prendere i pantaloni ammucchiati nell’angolo. Erano pantaloni militari, un po’ sciupati e logorati dal tempo ma, come sempre, immancabili in quel momento.
Quando li sollevai sentii i muscoli della spalla flettersi per lo sforzo. Mi stavano un po’ larghi, così presi la consueta cintura di cuoio nero e la strinsi bene alla vita. Sopra mi misi una canottiera bianca e un giacchetto di pelle.
Era sempre così, quando dovevo andare a caccia con papà. Mi aveva allenato da quando ero piccola e, finalmente, quando ebbi quattordici anni mi portò con lui. Ero emozionatissima, mi sentivo ingombrante ma era un onore per me indossare quei vestiti dall’apparenza così normali.
I pantaloni erano provvisti di tante tasche tutte piene di armi come coltelli, pistole e fili di ferro. Inoltre avevano parastinchi e una corazza incorporata capace di flettersi con i miei movimenti, stessa cosa valeva per la giacca.
Mio padre diceva sempre: «La cosa importante, Emily, è divertirsi con cautela»
Sapendo a cosa si riferiva, mi trovavo d’accordo con ogni sua parola pronunciata. E mio padre era uno tra i primi a divertirsi: come rideva quando vedeva cosa facevano le sue armi, quando incontrava i loro occhi imploranti… e così facevo anche io. Ogni volta, in piena caccia, mi sentivo l’adrenalina scorrere nelle vene, ogni mio movimento era calcolato nei minimi dettagli per colpire il bersaglio. E non sbagliavo mai.
Scesi le scale di mogano lucidato –prima o poi mi ci sarei sicuramente rotta l’osso del collo- e sorrisi vedendo la faccia di mio padre: era un uomo alto, le spalle larghe, il viso spigoloso con barba, gli occhi grigi impenetrabili. Sorrise.
«Buongiorno Emy» la sua voce era roca e potente. Non mi aspettavo altro da lui che un saluto educato, in fondo era a capo di molte agenzie e aziende.
«Buongiorno padre»
Mi avvicinai al tavolo chiaro e intagliato che sostava al centro dell’ampia cucina, il muro di cemento armato era bianco, pochi quadri raffiguranti la natura attaccati alla parete. I piani della cucina erano di marmo nero levigato e lucido come le scale, gli armadietti erano chiari e davano luminosità alla stanza insieme ai tappeti di mille colori originari direttamente dalla Persia. Il lampadario di cristallo se ne stava immobile illuminato dai raggi di sole che filtravano dalle vetrate superiori. Le finestre non erano posizionate a meno di cinque metri da terra, nonostante tutte le misure precauzionali che Edgar, mio padre, aveva preso. Non si sapeva mai cosa poteva accadere.
L’uomo mi fissò notando la mia assenza e disse leggendomi nel pensiero: «Meglio prevenire che curare»
«Lo so, padre. Stavo solo ammirando i raggi del sole» presi una mela dalla fruttiera di vimini e iniziai a mangiarla, poi notai gli indumenti troppo raffinati dell’uomo «Padre! E quei vestiti?» chiesi indicandolo con un certo turbamento.
«Oh! Te ne sei accorta» abbassò la testa e smise di sorridere: «Non posso venire a caccia oggi»
«Cosa? Ma me lo avevate promesso!» lasciai la mela sul tavolo e mi avvicinai infuriata: «Non potete lasciarmi così! Io voglio andarci!»
Edgar alzò gli occhi al cielo e indicò la porta: «Bob! Vieni qui, mia figlia vuole conoscerti»
Bob? E chi è? Ma soprattutto chi ha mai detto di volerlo conoscere?” pensai infuriata “Non me ne frega un emerito-
Entrò nella cucina un uomo grassoccio, gli occhiali a specchio, i capelli bianchi e scompigliati, i denti gialli che stringevano una sigaretta quasi finita, le mani erano arrossate e massicce.
«Salve bellezza. Sono Bob. Per gli amici Bob» sorrise con fare divertito, poi vedendo la mia faccia scura smise di sorridere: «Tuo padre mi ha detto dell’inseguimento…»
«Caccia» lo corressi.
«Quello che è» aspirò dalla sigaretta e poi continuò a parlare espirando fumo «Oggi ti ci porto io, come ordinato da tuo padre rischierò la vita per salvare la tua, eccetera eccetera. Bene, andiamo»
«Cosa? Padre!» mi voltai di scatto verso di lui e mi avvicinai inviperita bisbigliando: «Perché mi lasciate con questo qui? Non mi fido, non ci voglio andare con quello là!» girai la testa verso Bob che mi fece un cenno, come se avesse capito ogni singola parola.
Continuai imperterrita: «Non mi sembra uno affidabile! E…»
Dalla porta comparve un ragazzo biondo, i suoi occhi celesti mi colpirono all’istante. Aveva un viso spigoloso ma allo stesso tempo morbido, le labbra erano un po’ screpolate, il torace era ampio, le braccia asciutte e muscolose e le punta delle dita viravano sul violaceo. Sulla testa indossava un semplice cappello di paglia da dove spuntavano vari ciuffi di capelli biondi, aveva una canottiera celeste stinta e i pantaloncini corti.
Il particolare più strano erano i suoi piedi, difatti girava scalzo. Ma non fu solo quello a farmi diffidare all’istante dal ragazzo, ero sicura che si trattasse di uno di loro. Non capivo come mai mio padre aveva permesso a uno di quegli orribili esseri di entrare nella nostra villa.
«Buongiorno» il “ragazzo” si inchinò. Notai la sua pelle bianchissima, più bianca del latte, quasi grigia.
«Ecco, siamo giunti alle presentazioni. Luke, questo è Edgar Monsiersly e quella è sua figlia, Emiliana»
«Emily» dissi a denti stretti: «Il mio nome è Emily»
«Si, quello che è. Bene, caro Edgar e… »Bob guardò dalla mia parte con un sorrisetto di scherno «…Emily, questo è Luke. È il mio servo personale»
«Piacere» sorrise mio padre, poi si voltò verso di me «Emily cara, divertiti»

Nda: Allora, ho voluto aggiungere il primo capitolo lo stesso giorno poichè il prologo è cortissimo e come storia è... il classico inizio. Perciò ecco a voi il primo e vero capitolo... Buona lettura :)

K.

 

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Capitolo 3
*** 2. La caccia ***


2. La caccia 
 
Non posso crederci! Non posso davvero cederci” rimproverai me stessa col pensiero “Ma perché diavolo sono andata con questo pazzoide?
Guardai fuori dal finestrino il paesaggio cercando di ignorare il puzzo di sigarette e formaggio andato a male della jeep. Fuori passavano alberi altissimi, le liane verdi si legavano ai rami formando mille e più ragnatele nel cielo azzurro, l’erba era alta almeno fino agli specchietti dell’auto. A malapena passavano i raggi del sole tra quella fitta rete naturale.
«Mi dispiace deluderti dolcezza, ma qui si fa come dico io» proclamò Bob.
«Non mi sembri uno che non faccia a modo suo» commentai sarcastica.
Lui si voltò e mi sorrise con quei denti storti e gialli: «Esatto. Vedo che impari in fretta, principessa»
«Bobby caro» mi protesi verso di lui e sorrisi sardonica «Se mi chiami ancora principessa giuro che ti stacco la testa, come faccio con loro, e poi ci gioco a calcio»
«Sei un amore. Credo che tu abbia terrorizzato a morte Luke» buttò la sigaretta dal finestrino e ne accese subito un’altra.
“Spero crepi di cancro ai polmoni” pensai mentre mi voltavo verso il ragazzo più giovane.
Luke era seduto dietro di me e teneva le gambe aperte perché erano troppo lunghe e non ci entravano nel sedile posteriore. Il solo averlo dietro mi fece rabbrividire.
Lo odiavo.
Quando i nostri occhi si incontrarono lui li abbassò subito. Forse lo avevo davvero spaventato, in fondo il ragazzo era uno di quelli lì.
Ecco bravo, non osare guardarmi e tieniti al tuo posto” pensai con disgusto.
«Sai» iniziò Bob «Io penso che gli uomini come te e tuo padre meritano qualcosa di speciale…»
«Cosa intendi dire?» feci uno scatto all’improvviso con la testa per guardare meglio quell’uomo puzzolente.
«Bhè, gente della vostra…risma, ha un destino giusto» mi guardò attraverso gli occhiali a specchio e poi rise.
«Non sono sicura che sia un complimento ma, in ogni caso, ti ringrazio»
«É un piacere» ispirò il fumo e poi espirò creando dei cerchi «Non sai quanto… Oh! Siamo arrivati»
L’uomo frenò all’improvviso e scese dalla macchina fangosa per andare nel retro per prendere i fucili.
Scesi con calma e aspettai che Bob mi desse le pistole che mi aveva sequestrato prima di farmi salire sull’auto dicendomi: «Nel mio veicolo non si viaggia armati»
Ben per lui, aveva evitato che gli sparassi facendogli saltare il cervello, sempre se ne possedeva uno, cosa di cui dubitavo.
«Tieni mocciosa» mi diede le armi mentre chiudeva il bagagliaio.
«Avventato da parte tua, vecchio»
L’uomo sorrise divertito e poi gridò: «Luke! Fa il tuo dovere e togliti dalle palle»
Il ragazzo mi diede un’ultima occhiata prima di andarsene e poi corse via. Rimasi raggelata sul posto.
«Che c’è?» domandò l’uomo.
«E-ecco… niente» mi ripresi e dissi «Andiamo»
Chiesi: «Qual è il compito di quel coso?»
«Quel coso ha un nome: Luke. Deve attirarli qui» rispose secco Bob.
«Bene»
Mi incamminai nel sentiero davanti a me, l’erba mi accarezzò i pantaloni senza che sentissi niente, gli scarponi affondarono nel fango mentre ripensavo al volto del ragazzo. Quanto avrà avuto? La mia età, sui diciassette forse diciotto anni. Mi domandavo come si potesse avere quell’espressione così sofferente e arrabbiata… come se odiasse tutto. A dire il vero avrei dovuto avere io quell’espressione.
Decisi che non m’importava, in fondo lui non era nemmeno umano, cosa poteva saperne di emozioni? Niente, come sempre. Più niente da quando c’era stata l’epidemia…
 

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