Estate, arrivederci

di atticus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Assolo di chitarra ***
Capitolo 2: *** Di aquiloni variopinti ed emissari d'amore ***
Capitolo 3: *** Fissando un ragazzo perfetto al 100% in una domenica di novembre ***



Capitolo 1
*** Assolo di chitarra ***


Estate,arrivederci

di Atticus


Capitolo primo: Assolo di chitarra

Il sole estivo irradiava i loro visi e scaldava le loro teste mentre giocavano a palla nel campo di pallacanestro vicino al liceo. Jongin palleggiava a perdifiato il pallone arancione e sorrideva beffardo all'amico dinanzi a lui,Chen,che si muoveva goffo nei movimenti. 
Jongin tentennò un momento,prendendosi gioco di lui,e con un balzo lanciò la palla dritto dritto nell'anello di metallo. Il pallone entrò interamente nel canestro e ciò provocò il fischio di approvazione di Lu Han.
-Bel tiro- disse debole Chen,poggiando le mani sulle cosce e riprendendo fiato -Ehi,Lu Han! Gioca tu con Jongin,io sono sfinito.-
Lu Han obbedì e chiuse il grosso libro che stava contemplando. Ciclo infinito di esami per i giovani universitari del terzo anno.
-Cos'è che ti ha sfiancato oggi,Chen? Non è da te lasciarmi vincere!- disse perplesso Jongin,bevendo un sorso dalla sua bottiglietta d'acqua.
-Ho litigato con Minseok,oggi.- soffiò quello,dirigendosi verso la panca più vicina. Lu Han allora si alzò e lasciò il posto all'amico.
-E chi è?- domandò Jongin. Chen si sistemò sulla panchina in posizione fetale,usando il libro di Lu Han come appoggio per la testa.
-Come chi è? Te l'ho detto tante volte! Il mio ragazzo!- 
-I-il tuo ragazzo?! Ma...Hyung!! Quand'è che saresti diventato gay,scusa?!- disse sconvolto Jongin. 
Dalle labbra di Chen fuoriuscì uno sbuffo. 
-Adesso non scassare il cazzo,avresti dovuto ascoltarmi le altre volte. Ora non ti spiego proprio nulla.- rispose stizzito Chen,portandosi una mano sulla fronte. 
Uno stormo di uccelli si sollevò in cielo e in lontananza si poté ascoltare il canto di un usignolo. Chen si sollevò sui gomiti e incrociò gli occhi di Jongin. 
-E comunque non è che da un momento all'altro sia diventato gay. Non è una malattia,né una scelta l'omosessualità. Perché scusa, chi è che sceglierebbe di diventare gay? Chi deciderebbe di vivere una vita piena di difficoltà? E sai una cosa? Ci sono momenti in cui non sai quanto vorrei essere nato etero,non essere nato diverso.- disse con voce dura.
Jongin smise di palleggiare il pallone e tacque. La parola "diverso" riecheggiò ancora nella sua mente,quando passò il pallone a Lu Han che lo guardava severo. Maledetta la mia imprudenza,pensò sospirando. 
Se non ci fosse Lu Han a scrutarmi così tanto in profondità,ti direi,hyung,che anch'io preferisco il panfullo alla passera. Lo so benissimo che non si diventa gay,ma ci si nasce! Davvero,non mi ricordo il momento in cui l'abbia deciso. Perché non ho mai fatto una decisione del genere!! E non guardarmi così,santodio! Non dirmi che ci sei rimasto male per una cosa del genere! Forse te la sei presa perché non ti calcolo molto,quando mi parli...
Non sapevo neanche che fossi fidanzato,non ti ho seguito molto in questi ultimi giorni. 
Scusa se non ti presto molto ascolto...è che certe volte sei davvero barboso...e soprattutto pesante! 
Ma hai ragione! Lo sai che sono un cazzone e che ho una lingua lunga lunga,no? E non fare quella faccia da cagnolino,che mi fai sentire una merda! Inoltre,sei in condizioni migliori delle mie. Tu ce l'hai un ragazzo,io no. Già,perché quello svergognato di Jungsu non me l'ha mai voluto dare.  In realtà non gliel'ho mai chiesto direttamente,ma suppongo che sia etero fino al midollo...
Ma certo che lo è! Proprio l'altro giorno l'ho beccato mentre sbavava dietro alla nuova saesangnim. Purtroppo non tutti i ballerini sono gay,come dicono...Ragazzi,ma che diavolo sto pensando? E il buffo della situazione è che sono ancora vergine!
Mentre il subconscio della sua mente blaterava parole sconclusionate,Jongin cercò di formulare una frase con almeno un minimo di senso e di non provocare di nuovo la rabbia di Chen.
-Io non ho alcun problema se hai un ragazzo,Chen. Qualunque cosa accada,saremo sempre amici.- lo rassicurò per placare la tensione. A Jongin non piacevano le discussioni. Chen inspirò e chiuse gli occhi. 
Jongin ebbe ancora un cosa da dire: -Sei solo leggermente più sfigato di noi. Insomma,oggi hai giocato davvero da schifo!- la risata leggera di Chen risuonò nell'aria. 
Il solito Jongin rompiscatole!
-Non cresci mai,eh?- ridacchiò Chen. 

Mentre Chen attendeva con ansia che lo schermo del cellulare s'illuminasse del nome 'Kim Minseok',Jongin continuò a giocare a basket con Lu Han. 
Lo osservò di sottecchi. Palleggiando più volte il pallone,Jongin prese il tempo di squadrare interamente l'amico,che con il corpo gli stava inutilmente addosso per rubargli la palla da un bel po' di tempo.
Gli occhi arrivarono al suo pomo d'Adamo,alla bocca semi aperta che espirava affannosamente,ai capelli biondi imperlati di sudore e agli occhi di Lu Han che non guardavano nella stessa direzione. Lu Han aveva gli occhi posati sul suo unico obiettivo: il pallone da basket.
Si era innamorato di quegli occhi,quando era ancora un quindicenne ingenuo,e ancora ora li stregavano,nonostante non provasse più alcun sentimento verso il caro amico. 
Erano particolari gli occhi di Lu Han,sembrava che avessero una luce propria. Bastavano quelli a illuminare una giornata buia di Jongin. Quando Jongin si ostinava a non raccontargli la verità,che avesse qualcosa che non andava,che di nuovo quei segni rossi sulle braccia non se li era procurati cadendo,a Lu Han bastava prendergli il viso tra le mani e puntargli gli occhi addosso. Allora gli chiedeva di nuovo,se stesse davvero bene.
Qualche anno prima Jongin avrebbe scansato l'amico perché il rossore sulle guance non avrebbe accennato a sparire,borbottato 's-sto bene!' e sperato di non avergli fatto tanto male. Poiché non lo convinceva abbastanza (Jongin non era mai stato un buon attore),Lu Han scavava in basso,dentro la tana del suo subconscio e ne rinveniva tutte le sue preoccupazioni. Non falliva mai.
Un giorno Jongin gli aveva chiesto,tra le lacrime,come facesse a intuire le sue emozioni. 
Lu Han gli aveva risposto che Jongin era come l'acqua. Era trasparente e quindi lasciava che gli altri guardassero dentro di lui.
"E' perché non riesci a tenerti tutto dentro. Lo si vede subito,se hai qualcosa che non va. Solitamente sei tutto un cazzone saputello e mi ronzi intorno tutto il tempo,prendendomi in giro. Oggi,invece,sei grigio e scuro (...anche se,effettivamente,la tua carnagione è più scura della mia) e non hai detto nulla tutto il tempo e non mi hai interrotto mentre ti raccontavo della mia giornata con Yi Fan. Certo,preferirei fossi più rispettoso nei miei confronti,visto che sono un tuo hyung...Adesso sorridi pure,facendo lo stronzo!  Va bene,almeno questo sorriso malizioso te lo concedo,visto che sei depresso. Non ti sei sfuggito nemmeno un commento sarcastico,il che è strano... Smettila di fare il morto,adesso il tuo bellissimo e carismatico hyung (da ora in poi,puoi chiamarmi anche Lu Han-ge) ti comprerà un gelato!"
Quel giorno Lu Han riuscì a sollevare l'umore di Jongin,offrendogli un mega gelato e acquistandone uno più piccolo per sè,e camminando per le vie di Seoul. 
Lu Han gli aveva descritto,ridendo a crepapelle,l'amico Wu Yi Fan che aveva conosciuto al primo anno di università:
"All'apparenza può sembrare freddo e distaccato ma appena apre bocca,ti ritrovi con gli addominali doloranti e le lacrime agli occhi! Dovresti conoscerlo il mio compagno d'università,è davvero esilarante!  Se non lo sapessi,è cinese ed è stato cresciuto in Canada; per questo mi si è presentato come 'Kris Wu Yifan'. Sa parlare ben quattro lingue,ma non di questo si vanta. 
Si considera un artista e un genio dell'arte moderna. Sai come si fa chiamare? 'Kris-casso'!
Anche se non so se fa sul serio,perché i suoi disegni sembrano appartenere a un bambino di nove anni ahahah! Ha detto che gli piace disegnare uova sin da piccolo e che è difficile disegnarle perfettamente rotonde. Che è per questo che i suoi disegni incominciano sempre con due uova. 'Serve impegno!!',ha sostenuto. Pertanto,il suo segreto d'artista è di usare la forma delle uova per disegnare qualsiasi cosa hahaha!"
Jongin pensò che doveva essere proprio bizzarro,questo nuovo amico di Lu Han che lo faceva sempre ridere fino alle lacrime.
Pensò anche che Lu Han fosse più bello,mentre rideva.
Si trattava di una cotta passeggera,quella che aveva Jongin per Lu Han ai tempi delle medie e ai primi anni delle superiori. Jongin la definiva semplicemente un'attrazione estetica,sì. Mi piace solamente il suo viso...e i suoi capelli...la sua voce...e poi anche i suoi occhi da cerbiatto. Sì,soprattutto quelli...
Spesso quando alla memoria riaffioravano i ricordi delle medie,Jongin rideva fino alle lacrime come un matto. Si ricordava delle paranoie che si faceva,quando Lu Han gli sfiorava un braccio per caso,o quando gli sorrideva amabilmente (come un buon hyung dovrebbe "teoricamente" fare,no? A-assolutamente no!,avrebbe risposto un Jongin paranoico e con gli ormoni a mille) e se la spassava un sacco,raccontando i fatti suoi ai quattro venti. Che erano i lettori del suo blog. 
Non avrebbe avuto il coraggio di condividerli con Lu Han stesso,o con Chen...o con i suoi genitori. 
Coraggio. Lo avrebbe trovato solo quando sarebbe stato abbastanza ubriaco,per questo non beveva mai. Perché le conseguenze sarebbero state a dir poco ciclopiche. Se lo immaginava: lui e i suoi si sarebbero ubriacati insieme (cosa poco probabile perché sua madre lo avrebbe fucilato sul posto) e Jongin sarebbe stato così ciucco che avrebbe spiattellato tutti i suoi segreti ai genitori. E il giorno dopo non si sarebbe ricordato un bel niente,il nulla più totale. Avrebbe ricevuto una chiamata da Lu Han,quest'ultimo gli avrebbe detto "Dobbiamo parlare". Si sarebbero incontrati al parco,avrebbero chiacchierato e scherzato come sempre,e Lu Han sarebbe pian piano arrivato al dunque. 
Gli avrebbe chiesto: "Quindi...sarei stato io,il primo,ad averti sbocciato il tulipano?" e sarebbe stata la fine del mondo. Almeno,per quello di Jongin. 
Le persone lo avrebbero deriso,la gente intorno a lui avrebbe bisbigliato al vicino:"Te l'avevo detto che tutti i ballerini di danza classica sono frociah!" oppure una cozza gli si sarebbe avvicinata e gli avrebbe chiesto di fare shopping insieme (eccerto,però a me fa letteralmente cagare lo shopping e sono "frociah" lo stesso!) perché secondo la mentalità di molte ragazze disagiate sarebbero poi diventati "best friends forevah and evah". 
Il "forever and ever" sarebbe durato non più di una settimana. Perché avrebbero "bisticciato" per un ragazzo esteticamente attraente (in gergo giovanile "figo". Da notare il fatto che sia "figo" che il suo femminile,"figa",sono molto utilizzati dalla comunità d'ultima generazione) e si sarebbero appellati a vicenda con i cortesi nomignoli "troia","checca",e non mi dilungo troppo. 
Grazie,infatti non c'è bisogno che continui. 
Se i suoi genitori fossero venuti a sapere che il loro figlio diciottenne,unico maschio in famiglia (escludendo il padre),appartenesse da sempre al mondo gaio,dove si sosteneva vivessero gli unicorni rosa e dugonghi arcobaleno,sarebbe stata una "tragedia". Lo avrebbero cacciato di casa,non solo perché avrebbero voluto avere un figlio "normale",ma anche perché la famiglia Kim avrebbe terminato la sua "lunga" dinastia...
Cosa poco probabile perché le sue noonas si sarebbero sposate con altri Kim (ce ne sono ovunque) e la discendenza avrebbe continuato comunque. 
Ciò nonostante,temeva la loro reazione e non era pronto ad alcuna confessione.
Quindi raccontava, spesso aggiungendo note di sarcasmo,i fatti suoi all'immenso mondo virtuale. Lunga vita a internet! Naturalmente il "nickname" non corrispondeva al suo nome vero. Nessuno avrebbe immaginato che l'autore del blog fosse Kim Jongin.
Rimaneva in incognito e firmava i suoi post con un nome palesemente falso.

Il respiro di Lu Han si fece più pesante,il sole più cocente. Gli stava dando del filo da torcere. Superò le braccia e il corpo di Lu Han e lanciò la palla in direzione del canestro,ma questi non lo attraversò. 
Rotolando,il pallone si avvicinò a un paio di scarpe rosse. Il silenzio calò e l'attenzione fu rivolta verso il misterioso ragazzo dalle scarpe rosse che raccolse il loro pallone e palleggiò due volte.
-Kyungsoo-ah!- esclamò sorpreso Lu Han. Kyungsoo sorrise e ridiede il pallone a Jongin che prese al volo. Ogni forma di stanchezza svanì in Lu Han,che tornò a sorridere raggiante e corse verso il ragazzo e lo salutò con un grande abbraccio. 
Chen,sorridendo,si alzò dalla panchina e andò a salutare Kyungsoo,dandogli una pacca sulla spalla. I due amici iniziarono a chiacchierare animatamente con il ragazzo. Si scambiarono informazioni generali: sull'università e sulla scuola,su quanti esami mancassero a Lu Han,sulla salute,sulla famiglia...
Chen incontrò gli occhi di Jongin che era rimasto immobile nella stessa posizione tutto il tempo. 
Lui e Lu Han erano così presi dall'amico che non vedevano da mesi! Chen prese per un braccio Kyungsoo e lo portò vicino a Jongin. 
-Adesso passiamo alle introduzioni: Jongin,lui è Kyungsoo-hyung,è più grande di noi (anche se non sembra esserlo); hyung,lui è Jongin,un mio compagno di classe.- disse Chen.
La prima cosa che Jongin notò di Kyungsoo,furono le sue labbra.  Aveva labbra tumide e rossissime e dalla forma curiosa. Ogni volta che sorrideva,perché Lu Han gli aveva richiamato alla memoria un ricordo del passato o per una presa in giro fatta da Chen,le sue labbra assumevano l'aspetto di un cuore. La carnagione candida e lattea risaltava parecchio il rosso acceso delle labbra,e più rievocava a Jongin la sagoma di un cuore. Erano soffici,le labbra di Kyungsoo.
Chissà come sarebbero state morbide le sue labbra,se qualcuno le avesse baciate. Avrebbe incontrato la consistenza di un cuscino,forse avrebbero avuto un sapore dolciastro.
Ma come poteva saperlo lui,che non aveva mai dato un bacio a nessuno? Poteva immaginarlo,l'aveva visto tante volte fare in televisione nei momenti di noia. Le persone si avvicinavano,come attratte da calamite e reciprocamente si rubavano un frammento di anima ad ogni bacio. Le vedeva,le persone,vinte dalla forza dell'amore,consumarsi e struggersi a un solo sorriso, o a una carezza.
Aveva sentito dire che nel bacio,c'è tutto quello che deve esserci. 
Poteva l'amore,in tutta la sua interezza,essere espresso nel calore di un bacio? Era abituato ad amare le persone in silenzio perché sapeva che sarebbe stato un altro amore non corrisposto. Aveva amato Lu Han,si era fermato più a lungo degli altri,a contemplare un paesaggio spettacolare,ascoltato ininterrottamente una canzone che gli piaceva tanto,riletto continuatamente un libro che lo rappresentava,per ritrovare se stesso. Jongin amava in silenzio e lasciava che la cotta per Lu Han si dissolvesse. 
Che i suoi occhi osservassero il paesaggio da qualunque prospettiva e assorbissero tutta la magia del panorama,rimanendo poi impassibile al prossimo sguardo.
Che le sue orecchie percepissero ogni nota e strofa della canzone e la rendessero sempre più ripetitiva e monotona. 
Che le sue mani sfogliassero più velocemente le pagine di un libro,perché ormai le aveva già lette
Jongin aveva un amore passeggero e solitariolo sviluppava,ma lo condivideva solo con se stesso e presto se ne dimenticava. 
Gli occhi di Jongin incrociarono per caso quelli di Kyungsoo,che gli sorrise. Il viso di Jongin divenne improvvisamente paonazzo e distolse immediatamente lo sguardo.
Si chiese che caspita stesse facendo,perché si fosse atteggiato in quel modo.
Si sentì uno stupido perché solo guardando le labbra dell'amico di Chen e Lu Han,era arrivato fino a riflettere sull'amore. Finse di avere un grande interesse nel guardarsi le scarpe da ginnastica,ma le mani tremanti lo tradirono.
-Jongin-ah?- lo richiamò interrogativa la voce di Lu Han.
-Eee?- rispose Jongin,sollevando il capo ed evitando di incontrare gli occhi di Kyungsoo. 
-Non è che hai giocato troppo oggi?- gli chiese preoccupato e squadrandolo da capo a piedi.
-Huh? P-perché?- gli uscì un'insolita voce quando pronunciò l'ultima parola.
-Hai il fiato corto ancora adesso,come se ti mancasse l'aria e sei tutto rosso in viso-

Eccola. La figura di merda. E adesso,Kim Jongin,come credi che riparerai il danno ormai fatto? Davvero,non me l'aspettavo da te! Arrossire per un tizio sicuramente etero! Persino quel ragazzo minuto è più attivo di te! E' bastato un semplice sorriso e sei collassato! Pensavo ti piacessero gli omaccioni possenti,pensavo fossi più "attivo"! Se mi permettessi di prendere controllo del tuo corpo,non solo mentre balli,ti eviterei tutte queste figuracce! Sai quante ragazze,sai quanti ragazzi ai tuoi piedi...Ai piedi di Kai,oserei dire. 
Nel corso degli anni,Jongin aveva sviluppato un lato oscuro dentro di sè. Poteva definirlo un "secondo subconscio" o definirsi semplicemente "bipolare". Si era battezzato da solo,questo secondo Jongin: Kai. Prendeva possesso del suo corpo,quando ballava. Assumeva un sorriso sadico ed era deciso nei movimenti. 
Kai trasformava Kim Jongin in un ragazzo presuntuoso,smorfioso,e attraente. Proprio il modello di ragazzo perfetto per la maggior parte delle ragazze.
Certo che era davvero bizzarro il genere femminile...
Quindi Kim Jongin era Kai quando ballava e poiché era ammirato da tutte le ballerine,i ragazzi lo schivavano,quasi disprezzandolo.
 Kai stuzzicava la sua mente e Jongin riusciva a schiacciarlo via la maggior parte delle volte,tranne quando ballava. 
 
-Non sarà la gran "tettona" di cui mi parlavi?- chiese Chen,sorridendo maliziosamente.
-Chi?- 
Che sta dicendo?
-Han Chan Ra,la tua partner di ballo! Stai pensando al suo davanzale che sei tutto eccitato!-
-......- 
Eh?
Jongin s'immobilizzò sul posto.
-Senti questa,hyung! Lo sapevi che Jongin è così figo mentre balla che tutte le ragazze abboccano al suo amo?-
Jongin spalancò gli occhi e il sangue arrestò il proprio corso nella sua materia grigia.
Signore onnipotente,ma perché...
-Peccato che non sappia ballare,allora!- esclamò ridendo Kyungsoo. 
Risero entrambi,mentre Jongin e Lu Han rimasero in silenzio.
Adesso Kyungsoo pensava fosse un pervertito. Soprattutto etero. Che non stesse a sentire i loro dialoghi perché era troppo occupato a immaginare le tette di quell'oca di Han Chan...com'è che già si chiamava..?
Prima impressione andata a puttane
Chen si era vendicato per averlo fatto incazzare. Non pensava che fosse un ragazzo portatore di rancore! 
Non si possono mai conoscere le persone a fondo.
-Non è solo per quello che sei single!- replicò Chen.
-Lo vuoi sapere il segreto del perché sono ancora single?- chiese piano Kyungsoo.
-Qual è?- disse sorridente Chen.
Kyungsoo gli fece cenno di avvicinarsi e così fece.
-Allo...AAH!- mugolò Chen,tenendosi la pancia dolorante. 
Chen si era avvicinato a Kyungsoo e aveva teso l'orecchio in direzione delle sue labbra,per ascoltare la ragione per cui fosse ancora single.
Allora Kyungsoo gli aveva circondato un braccio intorno alle spalle,per avvicinarlo di più a sè.
Chen stava per mormorare un 'allora?',quando Kyungsoo lo aveva colpito nello stomaco e fatto inginocchiare per il dolore.
-Str.....si trattano così i vecchi amici?!- piagnucolò Chen.
-Pensavo fossi ormai abituato! Così la smetterai di essere così stronzo ogni volta!-
Lu Han scoppiò a ridere e disse con tono allegro:-Aaah,è così bello rivederti,Kyungie!-
Si riparò dai piccoli colpi che stava per affibiargli Kyungsoo per il nomignolo.
Jongin rise,assistendo come spettatore alla scena e incrociò lo sguardo di Kyungsoo,che gli sorrise un'altra volta.
Ricambiò,rivolgendo un sorriso di gratitudine e mimando la parola 'grazie'.
Kyungsoo pensò che lo ringraziasse perché a Jongin piaceva Han Chan Ra,e pensando a lei era arrossito,e non c'era nulla di sbagliato in tutto questo. 
Il colore del viso era ancora scarlatto,mentre Jongin sorrideva. Poteva una ragazza essere così carina da fare arrossire un ragazzo in quel modo? Se Chen avesse continuato a dire sciocchezze,Jongin avrebbe preso fuoco. Quindi l'aveva fatto tacere. Conoscendo tutti i suoi punti deboli,sapeva dove colpirlo.
Quando il dolore alla pancia passò totalmente,Chen chiese a Kyungsoo come fosse andato l'esame di maturità.
-Sono uscito con 90 su 100. I miei compagni sono usciti con un misero 60 e anche con un calcio in culo. Non si studia più seriamente come una volta.- soffiò quello.
-E in cosa hai peccato per quei dieci punti? - chiese perplesso Lu Han.
-Storia. Sono sicuro di avere scritto tutto giusto nel compito scritto,ma ho "peccato" nell'interrogazione. Penso che quella di storia mi detesti perché pensa che la odi. Effettivamente non ha tutti i torti,ma poteva risparmiarsele tutte quelle domandine idiote.-rispose strabuzzando gli occhi.
-Male,hyung,davvero male! Sei sempre così impeccabile con i voti,hai fallito questa volta!- canticchiò infantile Chen.
-Sinceramente non me ne frega un cazzo- disse con noncuranza Kyungsoo.
Chen rispose con un verso e Kyungsoo ritornò a suonargliele.
Lu Han e Jongin risero divertiti alle urla di Chen che chiedevano aiuto.
Jongin pensò a quanto fosse particolare il ragazzo che puniva i suoi amici che si lasciavano picchiare. Aveva fatto tacere Chen per fargli un favore,nonostante si fossero appena conosciuti. 
Chen aveva scambiato il suo rossore per eccitazione e lo aveva preso in giro,mentre Kyungsoo aveva pensato che fosse cotto di una ragazza e lo aveva protetto.
Kyungsoo non pensava e non lo avrebbe mai pensato,che Jongin fosse arrossito per lui e non per una ragazza.


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Angolo autrice:

Saluti a tutti voi! Mi sembra quasi un sogno scrivere per la prima volta nell'angolo autrice! Ne ho letti così tanti che non mi sarei mai aspettata di essere io,a scriverne uno ahahah! 
Faccio ufficialmente il mio "debutto" come autrice su EFP e spero di fare una figura migliore da autrice che lettrice (non recensisco mai per timidezza,e mi sento sempre in colpa)!
Scrivere questo capitolo è stato un parto,o forse è il fatto che legga molto e scriva troppo poco (questa frase ha bisogno di una revisione,perché non so se sia brutto che scriva troppo poco xD Lo scoprirò dopo avere pubblicato questo capitolo di questa mia primissima storia su effepì),diciamo che sono abbastanza soddisfatta di averlo scritto :-D
Se avete trovato incomprensioni,ditemi pure! Per chi non lo avesse notato,ho "cambiato" l'età di Chen. Sappiamo tutti che Chen e Jongin si portano due anni di differenza,ma ho voluto far sì che se ne portassero solo uno (Jongin chiama comunque Chen "hyung"),Chen ha ripetuto un anno e si sono ritrovati in classe assieme c: Kyungsoo e Chen hanno quindi la stessa età,nonostante Chen chiami l'altro "hyung" per un motivo che spiegherò poi nei prossimi capitoli.
Vi fornisco alcune informazioni: è estate,verso la fine di giugno; Lu Han è al terzo anno di università con tutti i suoi esami estivi; Chen e Jongin si ritroveranno a settembre che inizieranno il quinto anno di superiori;Kyungsoo è al quinto anno e ha fatto la maturità.
So che la scuola coreana ha sistemi differenti,è diversa e di questo mi scuso...Sono piuttosto pigra e non ho voluto informarmi sulla scuola coreana e adattarla alla storia ;_; 
E' una songfic,ed è nata dalle note della mia canzone preferita "Goodbye Summer" (https://www.youtube.com/watch?v=gHrxZR3OAig) delle f(x) (lo sapevate che hanno fatto il comeback e sono tutte bellissimissime? Amber,la tua bellezza omg SMETTILAH) e di Kyungsoo. 
Dalla regia mi stanno informando che i miei cantanti preferiti si sono arrabbiati. Va bene,va bene! Una delle preferite! 
Confesso che originariamente non avevo intenzione di scrivere questa fanfiction,perché l'avevo scritta per un compito inglese (ovviamente moooooolto riassunta). 
Se volete leggere il testo inglese (e se siete persone sadomasochiste come me che amano spoilerarsi il mondo e nutrirsi di storie angst) dovete cliccare questo link: http://sorcio56.blogspot.it/2014/04/a-songfic-goodbye-summer.html che vi porterà anche al mio blog che vi sconsiglio leggere ahahah
Adesso capisco perché una mia amica mi ha detto che parlo sempre tanto! Ho scritto un angolo autrice lungo quanto un papiro! Tedicofermate!
Alla prossima! (sempre se ho ispirazione e se non mi sento troppo in colpa per i compiti che devo iniziare)
P.S. Grazie per aver letto fin qui! Tanti cuoricini e biscottini per voi! 
 Atticus

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Capitolo 2
*** Di aquiloni variopinti ed emissari d'amore ***



L'amore è sempre stato di bocca buona riguardo ai suoi primi alimenti. Le prime conversazioni d'amore assomigliano agli omogeneizzati dei bambini. Non importano gli ingredienti, tanto è d'altro che si parla. L'amore sfida le leggi della dietetica, si nutre di tutto e nulla lo nutre. Si son viste autentiche passioni nascere da conversazioni così povere di proteine da reggersi a stento in piedi. A questo assistiamo, a questo becchettio amoroso tra Clara e Clèment. Né l'uno né l'altra sanno davvero di cosa stiano parlando, ma la mamma capisce benissimo che tutto ciò che sboccia dalle labbra di Clèment – verso chiunque sia rivolta – vola in realtà verso Clara, aquiloni variopinti, piccoli emissari d'amore che Clara afferra al volo senza batter ciglio. (Signor MalaussèneDaniel Pennac)





Capitolo due: Di aquiloni variopinti ed emissari d'amore




 Ricordo quando venivamo rimproverati perché parlavamo nei corridoi
Non so perché fosse così divertente,anche quando venivamo puniti
Dopo quel giorno (yeah,yeah) 
Tu e io (yeah,yeah)
Sempre uniti come gli Astri gemelli,
tu eri me,e io ero te ♪* 


La tazza fumante emanava un calore piacevole e solleticava il viso. 
Odorava di buon latte fresco. Lo aveva acquistato la sera prima,quando il frigo non raffreddava altro che il nulla,e non vedeva da giorni alimenti da conservare. 
Kyungsoo non aveva avuto tempo di riempire il frigo. Per l'intera settimana gli impegni lo avevano sopraffatto e lo vedevano fare avanti e indietro da un tavolo all'altro,con il vassoio colmo di tazze fumanti di cioccolata bollente e altre prelibatezze zuccherose e diabetiche. Emanavano un dolce profumo,quando le sue narici erano abbastanza vicine da percepirlo,e gli sarebbe piaciuto gustarsele un giorno. Dovevano essere proprio deliziose le leccornie che offriva il Cassandra,da come vedeva i clienti leccarsi contenti i baffi macchiati di cioccolata. 
Non lavorava da molto tempo al Cassandra,ma aveva già trasportato pesanti vassoi di metallo con quintali di calorie e grassi che avrebbe assunto chiunque li avesse ordinati. Non era un vero amante dei dolci,o dei cibi in generale,ma pensava spesso che ciò che portava ai tavoli doveva essere davvero invitante.
Sembrava che il titolare del café lo avesse preso in simpatia,perché quella sera lo aveva riempito di complimenti e gli aveva permesso di terminare il suo turno in anticipo. Il titolare sembrava davvero giovane (e ricco) per la sua età,per gestire una bottega così ampia e lussuosa. 
Kyungsoo poteva considerarsi davvero fortunato per aver ottenuto un lavoro in una caffetteria di alto rango,oppure aveva la vaga impressione che il titolare gli facesse il filo.
Aveva notato la differenza che emergeva quando parlava con lui. 
Kim Joonmyun sorrideva euforico e gli toccava spesso il braccio,quasi preso da una strana complicità. Non che ripudiasse il contatto fisico,lo "skinship",ma quel Joonmyun lo toccava più del dovuto.  
Tornato a casa,si era avventato sul frigo in cerca di qualcosa che placasse il continuo brontolio dello stomaco che chiedeva pietà. Aveva spalancato lo sportello del frigo,trovando solamente una mela verde e delle uova dentro. 
Quand'era stata l'ultima volta che aveva fatto la spesa? Il suo stomaco ora strillava e i suoi occhi si posarono sull'orologio appeso al muro di fronte. Le lancette dell'orologio segnavano le otto. Il supermercato non chiudeva entro le nove e mezza e il suo stomaco non si sarebbe accontentato di una mela e di una frittata. 
Entrò nel supermercato con l'intenzione di acquistare il necessario per non eccedere con le spese,ma fu attirato dagli infiniti prodotti esposti in offerta e non seppe resistere. Tornò a casa con due sacchetti colmi di cibo e delle patatine della sua marca preferita. Non poteva farne a meno.
Andò a dormire sereno e con lo stomaco pieno. Cucinare gli aveva trasmesso una grande calma e sicurezza. 
Kyungsoo seguì con il tocco dei polpastrelli il profilo del manico e incontrò la consistenza dura e liscia della tazza. Così dura,eppure così fragile a una caduta.  
Il pensiero di essere proprio come quella tazza gli balenò in mente e lo scacciò subito via come un moscerino. Anche se non era un pensiero totalmente fuori contesto.
La tazza era dura e resistente al calore del microonde ma se qualcuno non ne avesse fatto buon uso,scappandosela di mano,l'avrebbe fatta cadere. E la tazza si sarebbe frantumata in mille pezzi,in un solo gesto.
L'impatto con il pavimento era il suo punto debole e se qualcuno l'avesse tastato,si sarebbe rotta. 
E così era Kyungsoo,in un certo modo. Poteva sembrare freddo e distaccato,ma lo era perché cercava di celare il suo punto debole: paura di essere ferito. 
Non avrebbe mai voluto che gli altri lo vedessero come un debole. Kyungsoo era forte come quella tazza,ma talvolta si spezzava. Era come se ogni ferita fosse una delle crepe presenti in una tazza rovinata. L'aveva conservata bene.
Era uno dei pochi oggetti che aveva deciso di portarsi nella nuova casa. Il trasloco aveva lasciato i muscoli indolenziti e molte ore di sonno da recuperare a Kyungsoo,ma anche una svolta nella sua vita. 
Era uscito di casa,la casa in cui aveva trascorso la sua adolescenza. Dentro le mura della vecchia casa risuonavano ancora i riverberi dei suoi singhiozzi e le urla delle litigate con i familiari. Si era lasciato alle spalle il passato e non avrebbe più messo piede in quella casa,dove suo fratello oziava nella ricchezza. Troppi spiacevoli ricordi lo avrebbero aggredito.
Era riuscito,con il lavoro,ad accumulare una discreta somma per guadagnarsi un monolocale non molto distante dal centro. In gran parte lo aiutava anche sua madre,che era attanagliata dai sensi di colpa e che cercava di rimediare il danno,rendendogli la vita più semplice fuori casa.
Era buffo e quasi irreale pensare che Sungyoung,al secondo tentativo,fosse diventata una madre così diligente e coscienziosa.
Quante cose arrivano al momento sbagliato nella vita.
Avrebbe impiegato minor tempo a raggiungere la biblioteca locale. Era lì che era diretto,questa mattina.
Doveva farsi le idee più chiare riguardo il suo futuro e lì,tra gli scaffali della biblioteca,avrebbe trovato la risposta. Aveva spesso notato reparti interamente dedicati all'orientamento della scelta universitaria e liceale,ma non aveva prestato loro molta attenzione. Si era affezionato,invece,al reparto Narrativa,accusato e ricercato per tentato omicidio intellettuale della sua giovane mente di lettore innocente.
Finalmente avrebbe deciso da sè. Non aveva più quattordici anni e i suoi famigliari non avevano più alcun potere su di lui. Non avrebbe lasciato loro il diritto di decidere quale facoltà avesse intrapreso. 
Non era più un adolescente e a gennaio avrebbe compiuto vent'anni.
-Il tempo vola...- mormorò a bassa voce,ripensando alla sua adolescenza.
Da piccolo sognava di avere un lavoro professionale: essere un medico o un avvocato di successo. Aveva smesso di pensarci a partire dai quindici anni.
Per il momento i soldi messi da parte non bastavano a coprire le tasse dell'Università. Pazienza se avesse cominciato più tardi; finché lavorava al Cassandra e stava con i suoi amici,tutto sarebbe andato per il meglio. Era già un traguardo trovare un piccolo appartamento vicino al posto in cui lavorava,anche perché avrebbe risparmiato soldi per i trasporti e soprattutto non era collocato in periferia.
Dapprima non aveva intenzione di acquistarlo,viste le condizioni del monolocale. Kyungsoo riuscì lo stesso a riportarlo a un aspetto accettabile,persino quasi accogliente,grazie alle doti casalinghe ereditate da sua madre e anche grazie alla mano di qualche amico.
Aveva fatto in modo che all'entrata lo sguardo si posasse subito sul tavolo ligneo a destra,incastonato da due sedie. Molti oggetti della casa erano vecchi mobili custoditi in buono stato nella soffitta della casa precedente. 
La "sala da pranzo" era affiancata dal cucinino,nel quale Kyungsoo consumava ora la sua colazione.
Kyungsoo dormiva in un grande letto matrimoniale. Era l'unico oggetto meno umile della casa. Aveva sempre dormito in un letto matrimoniale,perché sarebbe sicuramente caduto da un letto singolo (si muoveva e si rigirava molto nel sonno!). 
Il bagno non era molto ampio,ma era tappezzato di lucenti piastrelle celesti come il cielo ed era fornito del necessario: una doccia,un gabinetto,due lavabi e uno specchio.   
Lo sguardo del ragazzo cadde sulla catasta di libri sul pavimento. 
-Tra non molto devo restituirli...- pensò,gonfiando le guance rosee. 
Decise di portarseli con sè e andò a infilarli all'interno della borsa marrone. Lesse i titoli dei libri che aveva divorato e si ricordò delle sensazioni che ciascuno di essi gli avevano provocato. Pensò di tenerseli ancora per un po',come un ladro. 
Respinse l'idea,scuotendo la testa. Spesso la sua mente di avido lettore partoriva questi strani pensieri e sempre instaurava un legame morboso con ciò che leggeva. 
La lista dei libri che aveva intenzione di leggere non aveva un fine (...come,d'altronde,i rotoloni Regina) e accadeva sempre che ogni libro che prendeva in mano diventasse uno dei tanti preferiti.
Conosceva uno scrittore alla volta,senza averlo incontrato di persona. Conosceva più persone di quanto immaginasse. I libri erano stati i suoi più grandi maestri. Gli avevano insegnato a come stare da soli,ma anche con le persone intorno.
-Potrai rileggerli quando vuoi!- disse per convincere se stesso e infilò gli ultimi libri nella borsa. Adesso però la borsa pesava un po' troppo...
Avrebbe sopportato! La strada verso la biblioteca non era lunga,ce l'avrebbe fatta se avesse alternato spalla di tanto in tanto.
Pensò anche di dare un'occhiata alle opere di Daniel Pennac,se rileggersi qualche suo libro. Pennac trasmetteva sulle sue opere il potere di sconvolgere il prossimo. E questo faceva di Kyungsoo un sadomasochista,se così si può dire,perché adorava i suoi libri.
Spalla destra.
Il calore lugliasco si avventò su di lui,uscito dal portone di casa,e gli fece allungare il passo. Nella biblioteca avrebbe trovato riparo dal sole e avrebbe goduto dell'aria condizionata.
Non seppe se infilarsi le cuffie nelle orecchie. Aveva in testa una melodia piacevole e non aveva intenzione di farsela scappare.
Yixing,il pianista pieno di talento,l'avrebbe composta. Era un pianista carismatico,che non conosceva la posizione delle note sulla tastiera,ma le riconosceva dal suono. Era in grado di suonare altri strumenti (dei quali,la chitarra) ma quando poggiava le dita sulla tastiera del pianoforte,componeva la musica di Dio.
Gli avrebbe intonato la melodia e Yixing lo avrebbe aiutato. Avrebbe finalmente conosciuto le note della melodia. 
Spalla sinistra.
La melodia aveva cominciato a comporre le prime note nella sua materia grigia,quando aveva incontrato Lu Han e Chen, e aveva stretto la mano a quello strano ragazzo: Jongin.
Non sembrava un cattivo ragazzo,ma non avrebbe dovuto abbassare la guardia comunque. 
Aveva notato che aveva la carnagione più scura rispetto agli altri,labbra carnose e piene e occhi scuri che diventavano due adorabili fessure circondate da minuscole pieghe quando rideva. Le labbra si aprivano in una grande,calda e avvolgente risata,serrando i denti e scoprendone gran parte. Era una risata profonda e contagiosa,e piacevole da sentire. Quando rideva, Jongin aveva anche bisogno di dare ripetute manate su una spalla o su un'intera persona. E quanto rideva,ancora! 
Ecco cosa sentiva nella sua testa: risuonava l'eco della risata di Jongin. Era piacevole la sensazione di avere ancora nelle orecchie la risata di quel ragazzo. 
-Chissà che note musicali avrà!- ridacchiò.
Spalla destra.
Imboccò un viale e passò davanti a mura tappezzate di numerosi manifesti politici. Arrestò il passo e finse un vago interessi nel leggerli.
Ancora non sapeva chi votare. Ogni anno la professoressa Park lo intimava a farlo,ma lui davvero non aveva la benché minima idea di chi votare. 
Promettevano e assicuravano tutti in cambio del loro voto cose molto belle: dai miglioramenti della città agli stipendi generosi,dalle diminuzioni delle tasse ai maggiori posti di lavoro...insomma,chi più ne inventava,più ne metteva. Perché finiva sempre che non sollevassero un dito e che godessero di un nauseante sfarzo.
La facciata della biblioteca locale si stagliava imponente agli occhi di Kyungsoo. Gli imbianchini l'avevano riverniciata di un rosso vermiglio e dall'esterno la biblioteca sembrava un rettangolo rosso con le finestre,immerso nel verde del giardino. Diversamente dalle altre biblioteche,quella centrale aveva una struttura moderna e ricordava vagamente un'opera di Malevič,padre del Suprematismo.
Kyungsoo entrò nel giardino curato della biblioteca e camminò lungo una basolata di ciottoli e pietre. Si guardò intorno e fantasticò un incontro con personaggi fantastici.
Dove il giardiniere scavava una buca,il ragazzo immaginava di tuffarsi e precipitare nel mondo delle meraviglie. 
Dove cresceva la grande quercia,immaginò l'albero saggio tendere l'orecchio e ascoltare la grande musica che i libri intonavano. Immaginava una dolce principessa dai capelli ramati,poggiare la schiena sul tronco legnoso e cantare una canzone dolcissima.
Lungo la basolata che percorreva,osservava piccoli demonietti uscire dalla loro tana e spostare ciottoli,scoprendo aperture di lava e fuochi incandescenti. 
Il giardino che fioriva attorno la biblioteca,aveva costituito una fonte di ispirazione per le favole che Kyungsoo scriveva.
Quella mattina il giardino era giallo,illuminato dai raggi dorati del sole. Invisibili particelle si sollevavano in aria e danzavano intorno a lui e a Kyungsoo venne solo voglia di rotolarsi nell'erba,se solo non ci fossero state le due persone sedute su una panchina.
Spinse il portone (quante volte aveva sbagliato,tirando invece di spingere!) e vide un'anziana signora che aveva intenzione di uscire. Le tenne la porta.
-Grazie,figliolo- lo ringraziò,inarcando le labbra in un sorriso. Lui le rivolse un sorriso di circostanza.
La bibliotecaria sollevò il capo,intercettata dal rumore di passi proveniente dall'entrata e sorrise. Kyungsoo le rispose con un cenno della mano.
La bibliotecaria era una bella donna dal viso paffuto e il corpo prosperoso. Le visite di Kyungsoo alla biblioteca erano frequenti e a lei piaceva vedere il ragazzo immergersi nella lettura. Per i primi due anni lei conosceva solo il suo nome,Do Kyungsoo,e la data di nascita indicati sulla tessera bibliotecaria. 
Poi aveva cominciato a scambiare qualche parola con lui,commentando un libro da restituire o che Kyungsoo aveva intenzione di prendere in prestito.
Lo avrebbe adottato all'istante,se avesse potuto! 
La signora Jung era molto più simpatica degli altri colleghi che le sedevano vicino,dietro la scrivania. Non era come l'altra bibliotecaria dai capelli argentati e gli occhi severi,che ti fulminava con lo sguardo se facevi rovesciare una pila di libri,provocando una reazione a catena.
Ma Kyungsoo non aveva diritto di giudicarla. Affermava,infatti,l'avvocato Atticus Finch ne Il buio oltre la siepe che quasi tutti son simpatici quando finalmente si riescono a capire
Lo conoscevano ormai tutti in biblioteca. E lui conosceva alla perfezione la biblioteca.
Inspirò un odore buonissimo che ricordava quello della farmacia e della cartoleria. Quest'ultimi,però,non eguagliavano quello della biblioteca. Qui respirava vite vissute,anime immortali,libri che invecchiano ma che dispongono ancora della stessa intensità di quando sono stati scritti la prima volta.
Inoltre,per quanto la copertina e le pagine di un libro possano essere morbide e lisce al tocco,le sue parole sono taglienti come una lama.
In biblioteca non c'era mai il silenzio perché era sempre colmato dai libri. I libri sussurravano,cantavano,parlavano,gridavano e creavano un gran chiasso e Kyungsoo avrebbe voluto unirsi a loro.
Salì le scale che portavano ai reparti di orientamento alla scelta dell'Università,così come recitava la scritta sottostante a una grossa freccia.


* * * * * * *


Si incontrarono una seconda volta nella biblioteca centrale.
Jongin pensava di essere l'unico "sfigato" a Seoul che trascorresse uno dei suoi pomeriggi estivi (e non dimentichiamoci che fossero dannatamente liberi) alla biblioteca del centro. 
Aveva discusso con sua madre. No,non poteva considerarsi una semplice discussione quella che aveva avuto con la madre. Come poteva spiegare,Jongin,che sua madre fosse leggermente arrabbiata? 
Avrebbe potuto ricomporre il poema omerico,riadattandolo alla figura di sua madre. 
L'ira di mia madre,altro che ira di Achille! La signora Kim aveva mosso la guerra di Troia contro il figlio e francamente aveva vinto! 
Ma perché ira di mia madre? Cos'era che l'aveva fatta leggermente arrabbiare?
Che fosse leggermente arrabbiata? Dovevate vederla,che era 'leggermente' arrabbiata!! 
Aveva il naso (che Dio ha creato a immagine e somiglianza del mio...o viceversa? Viene prima l'uovo o la gallina?) rosso che sembrava bruciare!  Il viso era ricoperto di chiazze scarlatte e in testa aveva la acconciatura disordinata di chi si sveglia al mattino. Dovevate vederla! Oggi aveva una capigliatura di serpi!
All'alba del nuovo giorno,la rabbia ha avuto il grande onore di impadronirsi di mia madre,e si è sfogata sull'unico individuo e malcapitato presente in casa: io,ovviamente. 
Strepitando e urlando parole in dialetto della propria città natale,ha inveito contro di me. 
Inutile dire che fossi impaurito dal furore funesto che fremeva dagli occhi (divenuti per un momento rossi) della signora che mi ha concepito, sono 'mammofobo' di nascita,come si suol dire. 
Questa fobia nasce dal terrore e la paura di vedere la faccia della madre avvampare e contrarsi in un'orrenda smorfia. Ne seguono eventuali sberle brucianti e rumorose e altri rimproveri.  La grande paura si manifesta soprattutto se si ha una madre dalla voce particolarmente alta,pettegola,chiacchierona,sparlatrice,dalla lingua lunga (ecco da chi ho preso),isterica,avara,bipolare. Se vostra madre rientra in questi aggettivi,vi compatisco. 
Siccome sono diretto alla biblioteca,andrò a consultare i libri sulla fobia per approfondire questo argomento. Nonostante pensi di esserne molto informato.
Sono molto esperto in fatto di minacce. La loro gravità varia da quanto vostra madre sia meticolosa e puntigliosa nelle parole e nelle decisioni. Affermo di conoscere tutte le minacce pronunciate dalle sue labbra (alla lettera,a puntino,in dettaglio,meticolosamente,pari pari,per filo e per segno e a memoria) come le tabelline.
Ragazzi. Si può MAI inveire contro il proprio figlio perché non sa si ricorda l'anno di inizio e di fine della seconda guerra mondiale?!
Scandiva,urlando,le date e io,trepidante,ripetevo.
"MILLE. NOVECENTO. TRENTA. NOVE."
"Millenovecentotrentanove..Ma mam-"
"MILLE! NOVECENTO! QUARANTA! CINQUE!"
"Millenovecentoquarantacinque..."
Ed è per questo che mi sto dirigendo verso il luogo più tacito e noioso dall'alba dei tempi. 
Perché devo 'informarmi',ha detto. Lei pensa che la mia "grande ignoranza" non sia dovuta alla scarsa dedizione dei miei saesangnims nell'insegnamento,ma al fatto che io "probabilmente" dorma e non presti attenzione. 
E chi non ha mai dormito a scuola? Chi ha resistito e non si è abbandonato a un sonno perenne,allietato dalla voce barbosa del professore?
Ma',sai cos'ha detto la preside riguardo lo studio? "Un buono studio occorre almeno otto ore di sonno."
Così se ho passato la notte precedente davanti ai videogiochi,crollo sul banco e recupero le ore di sonno a scuola e vedi che ti porto voti impeccabili!
Non dormo per arrecare dispetto agli insegnanti. Non hai mai affrontato i loro sguardi inquisitori e sadici? Quelli ti gonfiano le mani a furia di colpirtele con la loro bacchetta lunga e sottile! 
E io ho sempre avuto il terrore di rivelartelo,a te e agli altri. Lu Han è l'unico a saperlo,dopo che mi ha asfissiato di domande tutti questi anni. Non credeva che questi segni me li fossi procurati cadendo.
Lu Han ha detto che se fossi stato un attore,in una vita parallela,avrei avuto successo in film scadenti e privi di alcuna professionalità. 
Che simpatico il mio hyung!! Ma il sottoscritto non dà importanza a nessuna di queste pesanti (e inutili) critiche. Lo sa perfettamente che la recitazione non fa per me. 
Non riesco a mantenere un'espressione seria sul volto,che scoppio a ridere. 
Ecco che la brutta facciata della biblioteca fa la sua comparsa,finalmente. Chi me l'ha fatta fare tutta questa strada? 
Aish,detesto l'estate. 
Non ho nulla di cui discolparmi di questa "orrida" dichiarazione. 
Fa incredibilmente caldo,ragazzi. Osservate il mio sudore,plebei!  
Non mi sono mai spostato di qui con la famiglia e la scuola di danza è chiusa per le vacanze estive. 
Ed è in questo periodo che gli amici ti abbandonano. Chenchen non risponde ai messaggi e alle chiamate,si è smaterializzato dal nulla!
...Ma se la memoria non m'inganna,deve avermi parlato di un viaggio all'estero,nelle poche volte in cui l'ho ascoltato. Non ditemi che mi ha abbandonato,il dinosauro!
Lu Han è interamente concentrato con la sua sessione estiva e non lo vedo da giorni. 
Udite,udite. Kim Jongin si è portato dietro i compiti delle vacanze! 
E ancora: nell'angolo più basso e profondo della mia borsa a tracolla,si cela un tesoro dal valore inestimabile: il nuovissimo numero di One Piece. 
Ecco che Jongin pensava di essere l'unico "sfigato" a Seoul che trascorresse uno dei suoi pomeriggi estivi dannatamente liberi alla biblioteca centrale.
Jongin poggiò il piede destro sul pavimento liscio e bianco della biblioteca e l'aria condizionata soffiò sui capelli bruni. Sorrise compiaciuto e non si pentì di essere giunto nella biblioteca.
Aveva un odore che gli ricordava le giornate in cartoleria,ma era più vissuto.
Inspirò,godendo della sensazione paradisiaca che il condizionatore gli trasmetteva.
Ebbe l'impressione di essere osservato e si voltò,incrociando gli occhi languidi e protetti da spesse lenti della bibliotecaria. Lei arrestò il contatto visivo e tornò a sfogliare il libro che stava leggendo.
Probabilmente era sorpresa che qualcuno mettesse piede nella biblioteca. Guardandosi intorno,infatti,Jongin si accorse che al pianoterra non c'era ancora nessuno. 
Per lui non fu difficile orientarsi e non ebbe il bisogno di chiedere informazioni alla bibliotecaria. Inoltre,non era la prima volta che metteva piede in quella biblioteca. Ci era stato un paio di anni prima,perché doveva accompagnare la madre a consultare e a prendere in prestito qualche libro. 
Erano saliti riluttanti verso il primo piano,perché lì si trovavano i reparti desiderati,e Jongin l'aveva aspettata sedendosi in un tavolo circolare,circondato da quattro sedie. Accanto vi era una parete sporgente,sulla quale era fissato un estintore e vi erano tappezzati vari cartelli indicanti l'uscita d'emergenza.
Se lo ricordava ancora perché erano rimasti più di un'ora lì dentro. 
Si sarebbe seduto lì,godendo del tepore del condizionatore. E avrebbe letto e accarezzato,macchiandosi di inchiostro nero i polpastrelli,le pagine del nuovo volume che aveva acquistato. 
Il rumore dei suoi passi contro i gradini fu l'unico suono percettibile nella biblioteca. 

Trovava che il primo piano non fosse cambiato dall'ultima volta che vi aveva messo piede. La biblioteca non invecchiava mai. 
Notò che anche al primo piano non c'era anima viva. Avrebbe fatto tranquillamente festa,perché nessuno se ne sarebbe accorto. 
Le finestre erano chiuse ma lasciavano entrare comunque la luce e il calore del sole. Jongin osservò le persone che camminavano di albero in albero nel giardino che cingeva l'edificio .
Si passò una mano sui capelli e cercò il tavolo in cui si sarebbe seduto e avrebbe divorato il suo manga.
Quindi Kim Jongin,ragazzo coreano platonicamente innamorato della danza e dei fumetti giapponesi,si ritrovava a pensare di essere un imbecille,il più di tutti,a perdersi una giornata così soleggiata in un posto chiuso come la biblioteca. 
Per questo la bocca gli si spalancò un poco,gli occhi gli si ingrandirono enormemente quando vide qualcuno occupare il suo posto. Era un ragazzo con la testa abbassata e la fronte aggrottata,che sfogliava con la mano sinistra le pagine di un volume dalle dimensioni ciclopiche.
Aveva l'altra mano adagiata sul tavolo,le dita che tamburellavano sulla superficie liscia e legnosa,creando un ritmo silenzioso e regolare.
Uno. Due. Tre.
Anulare. Medio. Indice.
Uno. Due. Tre.
Avvertì una punta di stizza all'altezza del petto e maledì mentalmente il tizio che gli aveva soffiato il posto.
Perché proprio lì doveva sedersi,quel tipo? Non aveva notato l'enorme quantità di posti liberi? Doveva andarsi a sedere proprio al suo posto?! 
Il "tizio",come se avesse sentito le imprecazioni di Jongin e gli avesse letto nel pensiero,sollevò il capo e lo guardò.
La memoria visiva riconobbe nel ragazzo i tratti delicati di un volto già visto,le labbra rosse,la carnagione bianca e nivea e i capelli ben pettinati.
Aveva innanzi a sè Kyungsoo. L'amico dei suoi amici,il ragazzo dal corpo magrolino e dalla forza sovrumana lo fissava ora con due occhi sbarrati e la bocca semi aperta. 
Uno studiava l'altro guardandolo negli occhi,nei quali compariva il riflesso della propria immagine e la propria anima.


E ora è chiaro come questa promessa
Che stiamo creando due riflessi in uno
Perché è come se tu fossi il mio specchio
Lo specchio che a sua volta mi guarda
(**)


Kyungsoo concluse quel gioco di specchi,richiudendo leggermente gli occhi sgranati e si alzò, schiarendosi la voce.
-Ciao.- disse in un sussurro. 
Avrebbe potuto urlare,salutarlo normalmente,perché nessuno in quella biblioteca ora avrebbe potuto origliare alla loro conversazione.
Jongin realizzò di non aver salutato a sua volta perché Kyungsoo proseguì,in assenza di risposta.
-Non mi aspettavo di incontrare qualcuno che conoscevo in un posto come la biblioteca.- disse. E sorrise.
Labbra a cuore.
Jongin si esibì in uno sfoggio di formalità pesante e imbarazzante per la piccola differenza di età che si portavano:
-E i-io non mi aspettavo di incontrare Kyungsoo-hyung...-
Kyungsoo rise divertito e Jongin stava per prendersi la testa tra le mani,quando lo rassicurò con un sorriso.
-Non c'è bisogno di tutta questa formalità con me. Sono solo un anno più grande di te!-
Jongin annuì imbarazzato,passandosi una mano sulla nuca e Kyungsoo lo invitò a sedersi accanto a lui. 
Sono più alto di lui,pensò Jongin mentre si sedeva.
Mentre sfilava fuori dalla borsa i compiti e stava attento a non far vedere il fumetto,Jongin domandò a Kyungsoo perché fosse lì.
-Se posso chiedere...Perché sei qui?-
Kyungsoo attese qualche secondo prima di rispondere,come se stesse scegliendo le parole giuste per la risposta.
-Diciamo che questa sia la mia seconda casa e che tanto vale la pena viverci nel tempo libero. Vengo spesso qui,per leggere o scrivere in santa pace o anche solo per ammirare il giardino là fuori.- rispose Kyungsoo,indicando le finestre.
-L'ho notato prima,quando cercavo l'entrata. Effettivamente è molto bello e sembra...non so come dirlo...magico? Sembra possedere di una luce e magia propria!-
A Kyungsoo piacque l'osservazione di Jongin e concordò,sorridendo soddisfatto. 
Era vero. Il giardino produceva sempre questo effetto a chiunque lo avesse visto. Era un giardino magico e segreto. Era un bosco,una foresta,un rifugio per i personaggi delle sue fiabe e delle sue favole.
-Quindi leggi cose,tipo quelle?- domandò Jongin,alludendo alla pila di libri su cui Kyungsoo posò lo sguardo.
-Ah no,no! Questi non sono libri di lettura. Mi aiutano a scegliere quale università fare,quale facoltà intraprendere,diciamo. In base a quali interessi ho,e verso dove più la mia mente si orienta,questi libri mi consigliano l'università che più fa per me.- spiegò.
-Davvero esistono libri del genere? Non ci sarebbero già delle attività di orientamento in...gruppo?-
-A quanto pare sì,esistono. Eccoli qua,in tutta la loro grandezza!- rispose,scandendo l'ultima parola e aggiunse che quei libri lo annoiavano. -Gli "spostamenti" in gruppo ci sarebbero,ma sono in giorni che non coincidono con quelli miei liberi. Quindi ho pensato di venire qui,perché avevo notato un reparto tutto dedicato all'orientamento della scelta universitaria. E questi provengono dallo scaffale laggiù- Jongin seguì la direzione del dito di Kyungsoo e vide una grossa libreria in legno scuro. 
Notò anche che il suo tavolo fosse quello più vicino al reparto e capì perché Kyungsoo si fosse seduto lì.
-E tu,invece?- lo appellò la voce chiara di Kyungsoo. Jongin si voltò e incontrò i grandi occhi del ragazzo.
-Cosa?-
-Perché un ragazzo come te,che ha tutta l'estate davanti per spassarsela e divertirsi,è in biblioteca?- 
Già,già.
Jongin non seppe cosa rispondere. Non gli andava di condividere con lui il ricordo degli occhi rossi e il furore di sua madre,perché l'avrebbe messa in cattiva luce. Non sarebbe stata una buona idea.
Kyungsoo attendeva la sua risposta e i suoi occhi mostravano un minestrone di emozioni. Aveva uno sguardo innocente che pareva celare una nota di impertinenza e un'ingenua curiosità di bambino. 
-Posso dire che mia madre mi abbia mandato qui a calci?- snocciolò.
Per un attimo,si pentì di essergli rivolto con tanta confidenza ma vide che Kyungsoo non ne fu turbato o sorpreso. 
Kyungsoo inarcò un sopracciglio e improvvisamente avvicinò il viso al suo,come volesse sentire meglio,confondendo il cuore (già confuso) di Jongin che aveva perso un battito.
-E perché tua madre ti avrebbe mandato qui a calci?- gli fece eco Kyungsoo,rivelando una nota di insistenza.
Era così vicino che avrebbe potuto contargli le lunghe ciglia che sbattevano come ventagli.
-Perché non sto mai zitto.
Vide gli angoli della bocca di Kyungsoo sollevati verso l'alto,che replicò:
-E invece di stare zitto come si deve,perché sei venuto fin qui e ti sei portato i compiti delle vacanze,con l'intenzione di leggere "One Piece"?- 
Jongin rimase interdetto e la sua mente si preparò ad annunciare un'altra,quotidiana e inevitabile,figura di merda. 
Allora,l'aveva visto! Che bella figura da intellettuale,idiota!!
Per caso,lo aveva rimproverato? Era stato ammonito? Non aveva riconosciuto un tono da rimprovero e l'espressione di Kyungsoo non era stizzita.
-Davvero,pensavo che qui non ci fosse nessuno e...- farfugliò disordinatamente Jongin.
-Tranquillo,ahahah! Anch'io portavo i compiti da svolgere in biblioteca,quando l'unica cosa che completavo era un fumetto o una decina di capitoli di un libro. Non sono uno che fa prediche o è moralista,quindi puoi leggerlo in santa pace.- ammiccò divertito Kyungsoo.
Jongin ringraziò ridendo e ritardò lo svolgimento dei compiti a più tardi (nel duemilaecredici,precisamente,pensò),tirando fuori dalla borsa il manga.
Però Jongin voleva che Kyungsoo parlasse ancora,perché gli piaceva osservarlo e ascoltarlo mentre parlava.
Hyung,preferisco parlare con te.
Una matassa di capelli argentati riuniti in una crocchia compariva tra gli scaffali e Kyungsoo riconobbe la severa bibliotecaria a cui aveva dedicato un pensiero. 
Intanto,le persone andavano a occupare i posti a sedere e prendevano dalle loro borse libri di lettura,aggeggi tecnologici grandi e lunghi quanto fiumi amazzonici,quadernetti con le varie annotazioni,orologi da polso,un'eventuale bottiglia d'acqua,dei biscotti da sgranocchiare...
Il tutto contenuto in una borsa e poggiato sulla superficie legnosa del tavolo di fronte. 
Kyungsoo ritornò a sfogliare le pagine del volume che stava leggendo e Jongin lo osservò mentre assumeva un'espressione concentrata e assorta nella lettura.
-Hai trovato qualcosa?- chiese Jongin.
Kyungsoo annuì distrattamente e con le pagine tornò leggermente indietro,arrivando a una pagina che aveva segnato con la X.
-Leggi qui- mormorò Kyungsoo,mostrandogli un paragrafo sottolineato in matita -Vogliono che faccia Scienze della Formazione...- 
-"La Facoltà di Scienze della Formazione propone un’offerta formativa rivolta principalmente a coloro che aspirano a diventare insegnanti delle scuole dell’infanzia e primaria, formatori o educatori."- lesse a voce alta Jongin.
Che fu richiamato da un sonoro SSSHHH! sibilato dai denti della bibliotecaria. Jongin si morse un labbro e Kyungsoo rise sotto i baffi. 
Quando tutte le teste curiose (e irritate) tornarono a contemplare i propri tavoli,Kyungsoo assunse un tono più basso:
-Non che odi i bambini,sul serio. Ma un maestro che delira,educando e pulendo il muco a dei poppanti è l'ultima cosa a cui avrei mai pensato di diventare.- 
-Cosa dovrei dire io?! Mia madre mi ha imposto come dovere e diritto di nascita proseguire gli studi all'Università. Vuole che diventi un intellettuale (e anche che dica meno sciocchezze) per questo mi ha spedito qui,oggi.- lo sentì lamentarsi.
Kyungsoo si lasciò sfuggire una risata che fece voltare un ragazzo arrivato lì da pochi minuti.
-Non sei abbastanza colto?- 
-Semplicemente mi sfugge qualche data storica e vedo le cose diversamente!-
-Tipo?-
-Tipo penso che il lavoro di maestro possa essere spassoso,se consideri lo spazio libero nelle menti dei bambini. I bambini adorano fare domande ed è bello osservare l'effetto delle spiegazioni sui loro visi. I pupi si nutrono di tutto ciò che dici e se è vero il detto,che tu sei quello che mangi,loro diventeranno identici a te! Cloni di lattanti che mano nella mano,come una setta,seguono Kyungsoo-hyung! -
-Non li conosci i bambini di oggi. Strillano con tutto il fiato che hanno in bocca che vogliono il latte,questo,l'altro...E non vorrei essere il responsabile di questa strage di personalità!- 
-...A parte gli scherzi e tutt'altro,penso che tarderò di qualche anno a iniziare l'Università. La miseria che guadagno al Cassandra non basta a coprirne le tasse...- mormorò distrattamente.
Si rese conto solo allora di aver raccontato un frammento della sua vita quotidiana a un conoscente. Quello che era seguito scavalcava la barriera che Kyungsoo aveva ostinatamente costruito intorno a sè. Aveva commesso lo sbaglio di dire una cosa di troppo,perché non aveva pensato,lui che aveva sempre tutto sotto controllo. 
Non gli piaceva e pensava non fosse necessario confidarsi con gli altri sui fatti personali.
Si erano punzecchiati a vicenda con battute sarcastiche e idiote e Kyungsoo aveva lasciato parlare i propri pensieri involontariamente. Semplicemente non ci aveva pensato,non si era accorto che il discorso che aveva riservato esclusivamente per sè,era uscito come un soffio dalle labbra di Kyungsoo. 
Però a Kyungsoo,Jongin piaceva.
Non si trattava di un'attrazione amorosa. Qualcosa gli suggeriva di abbattere la barriera che aveva imposto con le persone;di lasciare stare la timidezza e il timore di entrare troppo in confidenza,perché quel ragazzo non poteva ferirlo,come gli altri.
Qualcosa lo attraeva a quel ragazzo e più lo scrutava,più si dava dell'idiota perché esitava nell'uso delle parole giuste,nel non essere completamente se stesso.
Quando Kyungsoo era nervoso o agitato,non riusciva a tenere tutto sotto controllo. Lo ingannavano lo sguardo smarrito,le mani tremanti e la testa altrove. Ma quello che più lo ingannavano erano gli occhi. Erano più grandi e tradivano il suo temperamento calmo e tranquillo. 
A Kyungsoo sarebbe piaciuto blaterare a ruota libera come faceva ora Jongin. Parlare di qualsiasi cosa,essere per una volta loquace. Perché aveva tante cose da dire e pochi orecchi che lo ascoltavano. Lui era l'orecchio di tutti e ascoltava le persone.
Jongin aveva la risata confortante e lo divertiva. Era bello,mentre rideva. 
E pensò che chi avesse una bella voce e un bel sorriso,male non poteva fare perché ora Jongin era soffice nel modo in cui rideva e gli sorrideva.
Jongin si ammutolì di colpo e affondò il capo tra le braccia,arrossendo di vergogna sulle guance.
Poteva un ragazzo avere così tanti argomenti di cui conversare? Kyungsoo avrebbe mai potuto essere così logorroico da venire rimproverato una seconda volta?
La voce irritata dell'uomo che aveva gridato "Oh,la finiamo di là?!" aveva richiamato Jongin dai suoi soliti discorsi senza un senso unico e gli aveva ricordato di essere in una biblioteca.
Kyungsoo iniziò a ridere sommessamente perché Jongin era davvero un tipo buffo e interessante. 
Jongin gli diede un buffetto sulla guancia e rise anche lui. E ora ridevano perché non smettevano più di parlare. Ridevano forte e non capivano perché fosse così divertente,anche quando venivano sgridati e gli occhi delle persone erano tutti puntati su loro due.
Essi sono ciò che non può essere spiegato a parole. Qualunque parola,risata,sorriso che sfugge dalle labbra di entrambi è pane per i denti dell'amore che inizia a fiorire tra i due.
Sanno perfettamente che ciò che stanno facendo è una cosa stupida,perché in biblioteca non si parla. E Kyungsoo ride perché sta davvero facendo una cosa stupida con Jongin e non pensava di avere infranto,nell'arco di sei anni,la regola principale di cui era sempre stato esigente e che aveva sempre rispettato.
Jongin lo aveva contagiato della sua risata e senza accorgersene,aveva fatto infuriare la bibliotecaria e fatto voltare qualche testa. Si sentiva quasi uno stupido,ma era un'allegra stupidità quella che provava. 
Non aveva mai permesso a nessuno di strapparlo al suo mondo silenzioso e tranquillo,ma Jongin con la sua risata e il suo sorriso,la sua voglia di parlare tanto,lo aveva dolcemente strattonato a sè e gli aveva trasmesso una strana allegria. 
Jongin era entrato nel suo mondo,ridendo. 
-Siamo proprio dei pazzoidi.- affermò Jongin,usciti dalla biblioteca. 
Kyungsoo concordò,anche se non l'avrebbe mai detto.
-Anche se è tutta colpa mia! Non la smettevo più di parlare e mi ero dimenticato che ci fosse gente. Scusa per prima...- 
Si era assunto la responsabilità per entrambi,quando la colpa era anche sua. Scosse la testa e rispose:
-Se io non fossi scoppiato a ridere,tu non avresti riso e gli altri non ci avrebbero cacciati via. Quindi la colpa è anche mia e non mi è dispiaciuto molto questo episodio...Diciamo che hai mosso un po' di allegria a quelli lì.- 
Io,infatti,sono più allegro.
Quel giorno Kyungsoo non aveva trovato quello che cercava e Jongin non aveva neanche aperto il fumetto che aveva portato.
Si salutarono perché Kyungsoo aveva il suo turno pomeridiano e non voleva tardare a lavoro. Non si dissero nulla riguardo a un nuovo incontro,ma entrambi sperarono di ritrovarsi di nuovo alla biblioteca.
























(*) Traduzione libera dei primi versi di Goodbye Summer
(**) Traduzione libera di alcuni versi di Mirrors di Justin Timberlake



Angolo autrice:
Scrivere questo capitolo è stato come partorirne due,ma mi ero promessa di scrivere il più lungo possibile,per abituarmi alla scrittura. Avrei voluto aggiornare più presto,ma per un periodo di tempo mi sono sfuggiti di mano i Kaisoo e sono entrata nel panico!
Diversamente dalla maggior parte delle persone,detesto scrivere dialoghi. O forse è perché sono incapace a scriverli D: 
Mi piace descrivere i personaggi,le situazioni...ma i dialoghi no. Davvero,è assurdo. E' difficile per me scrivere dialoghi! 
Aggiungo di aver scritto Jongin ispirandomi alla "Pennacchioni",termine con cui indico lo stile di scrittura di Pennac. Se non lo conoscete,vi consiglio di leggere i suoi libri perché è un piccolo Dio nella scrittura.
 Ringrazio infinitivamente per aver letto fin qui e per aver dedicato un po' di tempo nella lettura di questo capitolo <3 data-blogger-escaped-span="">
Confesso che inizialmente per "Estate,arrivederci" avevo intenzione di non pubblicarla,di tenerla gelosamente in segreto e solo per me. Ma quello che provavo è perfettamente descritto con le parole di Daniel Pennac (di cui mi sono platonicamente innamorata,già già):

Scriviamo per farla finita con noi stessi, ma con il desiderio di essere letti, non c'è modo di sfuggire a questa contraddizione. È come se annegassimo urlando: "Guarda, mamma, so nuotare!". Quelli che gridano più forte all'autenticità si gettano dal quindicesimo piano, facendo il tuffo d'angelo: "Vedete, sono soltanto io!". Quanto a sostenere di scrivere senza voler essere letti (tenere un diario, per esempio), significa spingere fino al ridicolo il sogno di essere contemporaneamente l'autore e il lettore.
 Quindi l'ho pubblicata e sapere che c'erano alcuni lettori che leggevano la mia storia mi ha fatto piacere (in contraddizione a quello che avevo intenzione di fare: riservarla solo a me lol).
Mi piacerebbe molto interagire con i miei lettori e vi chiedo cosa ne pensiate finora della storia! E cosa vi abbia spinto a premere l'adorato pulsante "Segui" C:
(...forse scrivendolo in una recensione xD)
Grazie ancora per aver letto fin qui! Tanti Kaisoo feels per voi! (?) <3 data-blogger-escaped-span="">
P.S. (piccolo spoilerino) il prossimo capitolo dovrebbe essere incentrato sui XiuChen. I miei amori. ^-^

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Capitolo 3
*** Fissando un ragazzo perfetto al 100% in una domenica di novembre ***



Non molto tempo fa ricordo di aver letto un racconto d'amore. Niente baci,carezze o sesso, scaturiva solamente la certezza in due ragazzi, che fossero perfetti al 100% l'uno per l'altro. Come se un computer ne avesse calcolato l'affinità di coppia. Immagino, tuttavia, che nel 1986 (l'anno in cui il racconto fu trasferito su carta) la tecnologia non fosse arrivata sino a questi livelli, e che a quei tempi Haruki Murakami non avesse previsto roba simile. Succede che dopo numerose ricerche, i due giovani si ritrovino faccia a faccia e, su una panchina del parco, si mettano a parlare, parlano, senza stufarsi mai. Ora, il mio encefalo partoriva parecchie aspettative, quali mettere in moto la macchina in destinazione di un hotel o la casa della ragazza. Mi aspettavo che facessero l'amore; è quello che fa spesso la gente quando capisce che si è innamorati. Ciononostante i due ragazzi nutrono un piccolissimo dubbio: in questo momento, ora è tutto ancora troppo diretto, rischioso.
«Senti, facciamo un'altra prova. Se siamo veramente perfetti al 100% l'uno per l'altra , di sicuro un giorno ci incontreremo di nuovo da qualche parte. E quando ci rincontreremo, se ci troveremo ancora perfetti al 100%, ci sposeremo, lì sul posto. Sei d'accordo?»
Così i due si separano. Una brutta influenza li fa camminare per molte settimane su un filo, in bilico tra la vita e la morte, e al risveglio dimenticano completamente il proprio passato. Dopo tanti anni, si incrociano a metà di una strada di Harajuku e per un attimo, i vecchi ricordi illuminano i loro cuori. Eppure si passano accanto senza rivolgersi la parola e scompaiono tra le folle in direzioni opposte.
Non pensa che sia una storia molto triste? 

(*)





Capitolo tre: Fissando un ragazzo perfetto al 100% in una domenica di novembre

La nonna aveva sempre riconosciuto due distinte categorie di bambini.
Jongdae rientrava nella categoria dei bambini buoni, essendosi comportato sempre nel modo giusto, perciò veniva spesso premiato e fatto di lui un modello da seguire.
Non faceva arrabbiare la nonna e non la disturbava mai quando aveva bisogno di schiacciare un sonnellino nella sua grande camera matrimoniale. Ma anche se fosse stato un bambino disobbediente e cattivo,non avrebbe mai avuto il coraggio di varcare le soglie della sua stanza. 
Non una seconda volta. La sua mente era offuscata quando sfogliava le frangi della propria memoria, rinvenendo pochi ricordi dell'infanzia. In quelli più vividi, inspirava profondamente il ricordo della nonna.
La prima volta che gli era capitato di entrare indisturbato nella sua stanza, la nonna viveva con loro da cinque mesi. La nonna lo aveva sempre messo in guardia e ammonito di non mettere piede nella sua camera, per paura che il piccolo rompesse qualcosa di prezioso, come i gioielli della bisnonna e il bastone del nonno. 
Jongdae stava giocando sul pavimento del salotto e le ruote gommose della macchinina rossa guidata dalla sua mano, percorrevano gli angoli più angusti della casa. Era subentrato nella stanza proibita senza accorgersene, e realizzato di avere disobbedito alla nonna quando sollevò il capo e si ritrovò in un luogo sconosciuto e poco illuminato,che odorava pesantemente di farmaci,piante medicinali e di nonna.
Le persiane non erano completamente abbassate e lasciavano passare pochi spiragli di luce che a stento irradiavano la stanza buia. Avvertiva in quella camera una densa presenza della nonna nonostante non ci fosse, perché era andata con la mamma ad approfittare dei saldi invernali. 
Aveva scostato la mano dal giocattolo per sollevarsi in punta di piedi e guardare gli oggetti posti sulla cassettiera e le pareti incorniciate di fotografie monocromatiche, raffiguranti i due nonni insieme, sorridenti e abbracciati, qualche decennio prima.
Non si era mai sentito così dentro alla nonna. In quei cinque mesi trascorsi assieme, non l'aveva mai avvertita così vicina a lui.
Guardava con attenzione, e senza toccare, gli oggetti che le erano appartenuti da giovane e che erano stati conservati con cura. Percepiva la forza del legame che univa la nonna ai suoi oggetti e comprendeva il suo terrore che ci fosse lui a romperli. 
Danneggiare le sue cose avrebbe significato rubarle un pezzo di vita, della sua anima.
Poi la nonna era rincasata insieme alla mamma e Jongdae aveva riconosciuto il suono della chiave che girava nella serratura, e il cuore che gli scoppiava nel petto.
La stanza lo intimoriva ora e sembrava che la nonna avesse voluto rincasare in quell'esatto momento, appositamente per sgridarlo. 
Sgattaiolò velocemente dalla stanza (quella della nonna si trovava a due o a tre stanze prima del portone di casa) e corse a giocare con la sua piccola macchina fiammante sul pavimento, assumendo l'espressione più impassibile che conosceva. Dentro, al contrario, era terrorizzato nel caso avesse lasciato tracce e aspettava in silenzio il momento in cui la nonna avrebbe scoperto la violazione dei patti.
Da allora Jongdae si era promesso di comportarsi bene, perché credeva di aver tradito in qualche modo la fiducia della nonna e aveva iniziato a bere molto latte, come i bambini buoni ed educati, perché voleva diventare alto.
I bambini buoni davano il meglio di sé stessi per studiare e rendevano orgogliosi i genitori, portando a casa il massimo dei voti. Sorridevano sempre,perché a nessun genitore sarebbe piaciuto avere tra i piedi un bambino frignone e cupo.
Per questo non si lamentavano mai e sapevano quand'era il caso di stare zitti. Non chiedevano mai 'perché?' per non riempire i genitori di domande insignificanti a cui bisognava rispondere e soprattutto non frignavano. Trattenevano le lacrime dietro gli occhi,come una diga blocca lo scorrere di un fiume.
Quando la madre si ammalava, la facevano coricare sul divano e le portavano un bicchiere d'acqua; oppure andavano incontro al padre che ritornava spossato da una sfiancante giornata di lavoro e gli prendevano la borsa, il cappotto e il cappello, cosicché potesse subito cenare senza compiere altre azioni. 
Non bisbigliavano nell'orecchio dell'altro ed erano sempre pronti a dire la verità, perché era molto importante essere onesti l'uno con l'altro.
Erano ubbidienti e giocavano senza arrecare fastidio e creare alcun brusio. Non ciarlavano troppo e non facevano troppe domande, frenando la loro curiosità che cresceva con il passare degli anni. 
Poi c'erano quelli irrequieti, divenuti tali in seguito a un tentativo fallito di educarli e un relativo abbandono nel completare la parziale educazione spartana.
Quelli erano i bambini cattivi.
Erano tremendamente incontentabili e insoddisfatti di ciò che avevano. Tormentavano per settimane le orecchie della madre con la loro vocina infantile e supplichevole, gli occhi sognanti e la voce squillante perché volevano un certo giocattolo di ultima generazione, con le luci e tutto, intravisto nella vetrina di un negozio; e si tappavano le orecchie quando la mamma respingeva le richieste perché loro quel gioco lo volevano subito.
La tormentavano finché non dava segni di arrendevolezza e si decidesse a comprare il dannato gioco. Allora, per i primi due giorni tacevano e non disturbavano più la povera madre ed erano tutti concentrati nell'acquisto del nuovo giocattolo che emetteva luci, produceva suoni, muoveva le braccia e vattelapesca.
Capitava, allora, che il giorno dopo si stufassero del nuovo giocattolo perché avevano concentrato la loro attenzione sul nuovo (più nuovo dell'altro) giocattolo in vetrina. E pretendevano ancora. Ancora...Ancora...
Avevano anche uno sguardo perfido e facevano dei parco giochi una proprietà privata, allontanando gli altri piccoli con un minaccioso "Non hai il nostro permesso di giocare qui".
I bambini cattivi imprecavano e dicevano parolacce perché era probabile che le avessero imparate dalla bocca di qualcun altro; si infilavano le dita nel naso e avevano sempre le unghie nere,come smaltate dalla sporcizia. 
Indicavano le persone e le osservavano, puntando gli occhi su di loro, come se volessero consumare la loro immagine.
"Ricordati,Jongdae,di non fissare troppo le persone. Hanno la sensazione di essere scrutati fin nel profondo e a loro non piace essere guardati come sono veramente."
Jongdae ricordava bene le parole della nonna, il tono calmo che usava per spiegargli come funzionavano certe cose e quello apprensivo che lo consolava quando si faceva male.
Chissà quale tono di voce avrebbe usato quando avrebbe scoperto che Jongdae stava fissando un ragazzo da una mezz'oretta. 
Jongdae aveva immediatamente puntato gli occhi castani sulla figura del ragazzo che preparava le bevande dietro il bancone del café, e nonostante fosse terribilmente spaventato che lo avrebbe notato, continuava ad osservarlo come un maniaco.
La voce della nonna sarebbe salita di un'ottava e lo avrebbe rimproverato. 
E Jongdae avrebbe annuito da una parte divertito e dall'altra un po' dispiaciuto di avere disobbedito alla nonna. 
-Sì, sì, nonna. Ho capito, mi dispiace!- scoppiando in una risata cristallina e riuscendo a strapparle un sorriso. 
Sollevando il capo, avrebbe visto l'espressione corrugata della nonna cambiare in un sorriso appena accennato. La nonna non era mai stata molto brava a manifestare affettuosità, per via del suo carattere un po' misantropo e solitario, ma le voleva un mondo di bene lo stesso.
Le voleva bene e lei ne voleva a lui e questo bastava a renderlo felice. 
Ma la voce della nonna non sarebbe riuscita a raggiungere le sue orecchie perché era mancata anni prima, inalando l'ultimo respiro nel letto matrimoniale.
Jongdae era una di quelle persone che con le altre, di pazienza ne possedeva davvero poca.
Non era un ragazzo che si faceva prendere facilmente dalla collera, ma quando accadeva che ne fosse vinto, sentiva che tutte le cose dovessero rompersi. Lanciava spesso oggetti quando era molto arrabbiato. 
Il suono dei bicchieri che si frantumavano serviva a placare il cuore che batteva furiosamente nello sterno. Non sentiva i suoni esterni al rumore del cuore che impazziva, e tutto procedeva al rallentatore. 
Vedeva il cristallo arrivare al suolo e perdere i suoi pezzi, come un puzzle. Si smontava, l'oggetto che cadeva per terra. 
Urlava anche. La sua voce si spezzava insieme al bicchiere. E tutto si calmava immediatamente. 
Immediato.
Raccoglieva i vetri rotti con la scopa e la paletta e li buttava nell'immondizia,traendo un lungo sospiro.
Con molta calma. 
Ritrovata.
E ritornava poi ad essere il solito Chen. Un po' scherzoso,un po' cattivello,un po' giocherellone,un po' gentile,un po' di tutto.
Quando non voleva che gli altri lo vedessero in quello stato, Jongdae si rifugiava dalla mamma di sua madre. 
Perché pensava di avere un aspetto un po' intimidatorio, tipico dei pazzi maniaci assassini. Si era guardato allo specchio che aveva il respiro pesante e gli occhi spalancati. 
Avrebbe spaccato anche quello.
Un sorriso, anche uno solo, riusciva sempre ad aggiustare le cose.
Come un bicchiere di latte caldo o un abbraccio rassicurante dalla mamma.
Però passava subito. Perdeva la pazienza facilmente,ma non era veramente arrabbiato e tutto si risistemava. 
Secondo Jongdae,nei rapporti delle persone era necessario discutere. Per confermare l'autenticità del rapporto e ricordare che ci si vuole bene,anche dopo aver litigato.
Non era un tipo da mettere il muso per più di cinque minuti.
Tutto ciò di cui Jongdae aveva bisogno, era calore. 
In qualunque forma fosse.
Anteponeva l'estate all'inverno, la pesante trapunta a motivi colorati alle fredde piastrelle bianche del pavimento, i gesti alle parole, le serate con gli amici invece del sabato sera passato a fare zapping per un'ora davanti alla televisione. 
A Jongdae piaceva il calore confortevole che trasmettevano le cose, come quello che adesso aleggiava in aria,nella caffetteria in cui sorseggiava un cappuccino.
Il locale parlava attraverso il chiacchiericcio vivace che giungeva alle sue orecchie come la melodia di una vecchia canzone,una di quelle il cui disco veniva fatto ascoltare in un giradischi.
Tutte le persone erano particolarmente allegre,come se tutte le loro angosce fossero svanite insieme al soffio che si liberava quando si spalancava la porta del café.
Le persone sedute ai tavoli chiacchieravano animatamente e velocemente, come se il tempo non fosse sufficiente per avere una pausa dalla vita; e fossero venuti qui, per respirare e prendere un caffè con gli amici. Sentivano la felicità del mondo,o almeno quel poco che c'era. 
Anche lui, Jongdae, si sentiva stranamente più tranquillo da quando aveva oltrepassato la soglia della caffetteria.
Faceva particolarmente freddo per una giornata di novembre e Jongdae non aveva avuto abbastanza impegni che lo tenessero occupato la domenica tra le fredde mura di casa sua. Fredde perché non erano ancora state riscaldate dal tepore dei termosifoni.
Mesi prima si era sentito con un amico al telefono che lo aveva informato dell'esistenza di una buona caffetteria aperta la domenica dei mesi freddi.
Da allora lo aveva frequentato qualche volta, e non spesso.
La scuola procedeva piuttosto bene. Nonostante il drastico trasferimento a una scuola totalmente nuova, e compagni del tutto estranei, era già entrato in confidenza con qualche compagno. Come Kim Jongin.
I ragazzi della nuova classe in cui si era ritrovato erano per lui dei dongsaengs, nonostante non presentassero lineamenti più giovani e fossero alti quanto Jongdae. I nuovi professori lo avrebbero scambiato per un coetaneo della loro stessa età, senza farsi troppi problemi. 
Chiuso il portone di casa alle spalle, rabbrividì nel suo giaccone e ripetendosi a mente le indicazioni,le strade e vie da prendere, raggiunse il café.
Lo aveva trovato con i vetri lucidati e le luci accese e aveva spinto la porta in vetro con il peso del proprio corpo, perché aveva le mani occupate a levarsi le cuffie dalle orecchie e ad attorcigliarle attorno al cellulare.
Un odore pungente di caffè e uno dolcissimo di pasticcini penetrò nelle narici, mentre il calore del locale lo avvolse nella sua giacca a vento.
Era un posto parecchio luminoso e caldo. 
Le sedie,i tavolini,il bancone e tutto ciò che arredava il café avevano un taglio rustico, e per un momento davano l'impressione di essere magicamente sbarcati in Italia, il paese dall'altra parte del mondo. 
Poi, lo aveva visto.
Sembrava che lo stesse aspettando da anni,dietro quel bancone in legno che li separava. Stava consumando una bevanda calda,probabilmente preparata per proprio conto, mentre con l'unghia dell'altra mano grattava annoiato il retro dell'orecchio. Aveva istintivamente voltato il capo in direzione dello acchiappa-sogni che annunciava un nuovo cliente, e lentamente abbassò la tazza, squadrandolo da capo a fondo.
Le ciglia sbatterono e la sua espressione cambiò. 
Gli stava sorridendo.
Definirlo "carino" avrebbe sparpagliato via le ultime misere convinzioni di essere eterosessuale, perché affibbiare un aggettivo del genere a un ragazzo sarebbe stato troppo "gay" per Jongdae.
Ma fu la prima parola che gli balenò in mente,quando il ragazzo gli sorrise.
E la voce che soffiò fuori dalle sue labbra,quando lo accolse con un sorriso professionale che ancora gli aleggiava agli angoli della bocca, suonò adorabile e calzò a pennello con il suo viso. Perché era davvero carino.
-Ciao! Benvenuto al Cassandra!- fece il barista da dietro il bancone. 
Jongdae gli sorrise titubante di rimando e a serpentina gli occhi cercarono tra le persone sedute un tavolino libero.
Arretrò di un passo, stringendosi dentro il suo giaccone, quando il barista aveva deciso personalmente di uscire dal bancone e di accompagnarlo a sedere.
-Allora, tavolo per una persona?- chiese con voce leggermente nasale.
-Sì...-
Semplicemente lo seguì mentre percorrevano il café in cerca di un tavolo libero in cui sedersi. Ce n'erano parecchi.
Arrestò il proprio passo quando la schiena del barista si piegò per posare il menù su un tavolino vicino a una vetrata della caffetteria. Il ragazzo lo congedò con un prego e Jongdae lo osservò mentre spariva dietro il bancone. 
E da questo preciso momento partorì tutti questi pensieri, semplicemente guardando con la coda dell'occhio il ragazzo impiegato a preparare le bevande. 
Era terrorizzato di venire scoperto mentre lo guardava abusivamente. Temeva che il barista avesse un'espressione guardinga sul volto e si voltasse per confermare i suoi sospetti. Allora avrebbe incontrato i suoi occhi circospetti e non avrebbe saputo come reagire dopo.
Nonostante la presa di terrore che lo attanagliava al cuore, era ipnotizzato dal modo in cui si muoveva. Continuava a fissarlo mentre armeggiava con il macina-caffè, aggiungeva cucchiaiate di panna a tazze fumanti, disegnava con il latte su cappuccini in fase di preparazione, o mentre scambiava due chiacchiere con un tizio troppo giovane per essere il titolare del locale. 
I movimenti erano morbidi, come una danza flessuosa e silenziosa, ma al contempo avevano un ordine preciso. 
Non lo aveva mai visto prima. Non era un cliente abituale del Cassandra, ma aveva la netta sensazione di avere un'estraneità con il barista. 
Aveva ricavato qualche informazione semplicemente studiandolo.
Era alto e aveva i capelli rossicci come il pelo di un criceto, portati a ritroso dalla lacca. Gli occhi erano piccoli e dalla forma ovale e allungata, e Jongdae pensò una seconda volta che assomigliasse a un tenero criceto. 
Il pomo d'Adamo sporgeva appoggiandosi al colletto della camicia bianca panna, le cui maniche erano ripiegate fino all'orlo dei gomiti, e dalle quali ne spuntavano due braccia muscolose e dalla carnagione molto chiara. Sul polso sinistro si chiudeva un orologio digitale. 
I pantaloni grigi accordavano con la camicia inamidata ed erano sostenuti sopra la vita da due bretelle a strisce nere e bianche,che si agganciavano tramite delle fibbie e passavano sopra le sue spalle. 
Aveva notato poi il cartellino bianco, spillato in vicinanza del cuore, che presentava un insieme di caratteri e lettere dalla calligrafia disordinata e imprecisa. Sembrava che qualcuno ci avesse scritto sopra in fretta e furia, o semplicemente non aveva una delle calligrafie migliori. Riuscì a decifrare gli strani "hangŭl" solo quando il barista rivolse il torace nella sua direzione, e poté concentrarsi nel leggere il nome. 
-...Min...Seok.- mormorò a voce bassa, per non farsi sentire.
Dunque si chiamava "Minseok". Voleva forse insinuargli che avrebbe potuto chiamarlo direttamente per nome, invece di sussurrare un scusi?, sollevando il braccio? Era questo che gli suggeriva? Perché questi pensieri lo turbavano così tanto?
Per Chen era sempre stato facile socializzare con qualcuno ed entrare in confidenza in poco tempo. Era quel ragazzo a strapparlo dal suo benessere e a trasmettergli una strana insicurezza e paura.
Perché se lo avesse incastrato mentre lo guardava, a Chen sarebbe bastato distogliere lo sguardo e puntarlo distrattamente da qualche altra parte. Tuttavia il barista era un ragazzo perfettamente normale,come le persone sedute ai tavoli. Non c'era nulla di particolare per cui differisse dagli altri. 
Forse erano la voce leggermente più nasale, i capelli tinti di un rosso rame, le braccia lievemente più muscolose delle sue.
Lo aveva stregato con la sua semplicità.
O forse era proprio per il fatto che si chiamasse Minseok.
Quel ragazzo lo metteva in soggezione. Da quando aveva messo piede in quel posto, non riusciva a comportarsi normalmente. Sparare qualche battuta scema, canzonare gli amici con ironia e un pizzico di cattiveria,bere fino a star male. 
Era ciò che adorava fare: condurre una bella vita di risate e birre a volontà.
Pertanto,era giunto a pensare fino al ricordo della nonna, e ora sprofondava tra le viscere della vergogna. Gli sembrava ridicolo che avesse trascorso gli ultimi anni così,senza aver fruttato alcuna utilità e progresso per se stesso e il mondo. 
La nonna si sarebbe infuriata.
Non gli piaceva osservare a lungo la gente, e a lui non piaceva affatto essere osservato. E soprattutto, non avrebbe gradito che qualcuno lo scrutasse in profondità,come stava facendo Jongdae. 
Lo avrebbe detestato.
Quel ragazzo, che ora sapeva si chiamasse Minseok, sin dal momento in cui lo scacciapensieri aveva trillato il suo ingresso, lo faceva sentire disorientato e confuso.
In fin dei conti, stava pensando. Non accadeva da molto.
Jongdae evita di pensare. Pensare è un'operazione complessa. 
(**)
E non gli piaceva la sensazione che provava. La sua coscienza aveva ripreso postazione nella sua materia grigia, e aveva trovato molta confusione. Che aveva soffocato con l'alcool.
Jongdae pensò che gli fosse venuto un gran mal di testa.
-Vuole ordinare?-
Jongdae sobbalzò sul posto perché non si era accorto della ragazza materializzatasi dal nulla di fronte a lui. Sperò con tutto se stesso di non averla offesa. 
Sembrava rappresentare lo stereotipo dell'impiegata annoiata e con la puzza sotto il naso. E ironicamente dicendo, era davvero felice di prendere le sue ordinazioni! Una persona non gli aveva mai parlato con un muso così lungo e le sopracciglia tanto aggrottate.
Se era obbligata a lavorare anche la domenica, la colpa non era affatto sua e non aveva il diritto di guardarlo in cagnesco. Ignorò la sua scortesia e si concentrò sul menù. 
-Un cappuccino, grazie.- 
La ragazza annuì con fare annoiato e scribacchiò l'ordinazione sul taccuino che stringeva in mano.
-Basta così?-
-Basta così.-
-Come decorazione?- disse lei, senza staccare gli occhi dal blocchetto. 
-Come, scusi?-
-Che disegno vuole che ci sia sopra il cappuccino?-ripeté lei,un po' spazientita.
-Oh. Un...un cuore.-
La cameriera annuì di nuovo e Jongdae le restituì il menù,che lei rimise a posto insieme agli altri. 
Notò che la cameriera avesse sospirato due o tre volte,mentre prendeva la sua ordinazione.
I talloni della ragazza sbattevano violenti quando lei andò a schiaffare il foglietto dell'ordinazione sul bancone.
Minseok alzò di scatto il capo dalla cioccolata che stava preparando.
-Prepara un cappuccino al tavolo 11.- gli ordinò la ragazza.
Un cappuccino al ragazzo con gli occhiali, ricevuto.
-Con o senza disegno?-
-Fagli un cuore.- 

* * * *

La ragazzina sbuffò rumorosamente un'altra volta, alzando gli occhi al cielo.
-Ho detto che non lo faccio.- sibilò.
-Cosa ti costa?! Ascolta Stephanie, io ho ventun'anni e sono in grado di gestire un locale che va avanti da secoli. Tu non puoi sostituire Seulgi questo mercoledì? E' solo per questa volta, poi non te lo chiederò più!-
-Lasciami dire una cosa,cugino. Prima di tutto: non ho deciso io di lavorare qui. Se le mie amiche mi vedono conciata in questo modo, con questo brutto gilet e il cappellino ridicolo in testa non mi rivolgeranno più la parola! Sai quanto possa influire sulla reputazione di una ragazza popolare? Pensi che io possa ancora continuare con sta messa in scena? Sto dietro ad un bancone ad accogliere la gente che viene qui e che ha bisogno di una come me, solo per scegliersi un tavolo da soli! E mi rendo ridicola di fronte a tutta sta gente che mi chiama e mi ferma anche solo per un bicchiere d'acqua!!-
-Smettila di introfulare sempre 'sta storia! Ormai lavorerai qui per un po', per aiutare tuo padre che ha un debito con il mio. Quindi, anche se sei mia cugina, dovrai aiutare anche tu al café.- le intimò Joonmyun.
-Che non significa fare il lavoro per gli altri! E non è colpa mia se quell'incapace di Seulgi si è ammalata. Quando ritorna dovrebbe recuperare il triplo, se non il doppio, del lavoro che le spetta.-
-Piantala Stephanie. Seulgi sta davvero male e merita qualche giorno per guarire. Inoltre,che lavori il triplo o il doppio, non sono affari tuoi perché sono io a occuparmi di queste cose.-
-Sei proprio un cugino rompipalle, Joonmyun, non te l'ha mai detto nessuno? Sei sempre a far la predica a tutti,ma fatti i cazzi tuoi!!- sbottò Stephanie.
Stephanie gli voltò le spalle e batté furiosamente i tacchi in direzione della porta.
-Dove stai andando?!- urlò lui, dalla scrivania.
-Ooh,ma vaffanculo.-
-Stephanie!!!-
Stephanie uscì dall'ufficio del cugino,richiudendosi la porta alle spalle e tirò l'ennesimo sospiro del giorno. Il turno non era ancora terminato, ma ne aveva già le palle piene per oggi.  Lavorare in quel locale le faceva schifo, come le persone che vi entravano per mangiare tantissimo e ingrassare come maiali. O forse era l'idea stessa del lavoro che la ripugnava. 
Perché a differenza delle sue amiche doveva lavorare in un posto così scadente? Queste guadagnavano soldi posando per riviste e vendendo le loro snelle figure femminili, mentre lei era costretta a lavorare come cameriera. L'avevano colpita nell'orgoglio. 
Non avrebbe mai accettato di lavorare un giorno in più, solamente perché una cameriera si era ammalata. Joonmyun sembrava non cedere con le sue intenzioni, e le avrebbe girato intorno continuatamente finché non si sarebbe arresa. 
Incrociò le braccia al petto e si guardò in giro. 
Minseok cercò di riportare la concentrazione sul proprio lavoro e di prendere le distanze dalla ragazzina che sbuffava come un toro furioso, per non venire contagiato del suo malumore.
Giustappunto, una ragazzina. E lui definiva "ragazzini" i bamboccioni immaturi con le tasche piene di soldi e la testa vuota. 
Per chi non conoscesse la ragazza che serviva le vivande con la felicità paragonabile a quella di un piede, Stephanie era la cugina di Joonmyun, il suo capo.
La famiglia di Joonmyun faceva un sacco di soldi, essendo proprietaria di prestigiose aziende, catene di ristoranti e caffetterie famose, e Minseok non si sorprendeva se il suo capo iniziava a blaterare dei suoi viaggi oltremare in paesi come gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone. 
Poi era tornata la cugina da una vacanza negli Stati Uniti, insieme al padre che nonostante avesse non pochi debiti, continuava a viziare la figlia. 
Il padre di Joonmyun aveva proposto allora a quello di Stephanie di farla lavorare part-time al suo café, perché nella caffetteria serviva una mano in più. 
Era entrata nel locale come un fulmine a ciel sereno e ogni giorno costituiva l'origine del malumore di Minseok.
-Oppaa!-
E la detestava con tutto se stesso quando lo appellava in quel modo. Quando lo chiamava 'oppa'. 
Lui non era il suo oppa, e lei non era la sua dongsaeng. Tutta l'ipocrisia della ragazzina era concentrata su quel 'oppa' troppo squillante e acuto.
-Stephanie.- disse, sforzando un sorriso.
-Ho bisogno del tuo aiuto,oppa.-
Ecco. 
Non un "come stai,oppa? Mah,adesso che mi parli,male...perché me lo chiedi? No, perché voglio approfittarmi della tua natura gentile che non sa rifiutare nulla...",era stata diretta.
Più schietta di così non poteva essere!
-Oppa, hai sentito anche tu mio cugino ed io litigare prima,vero?-
Persino i delfini dell'Oceano Pacifico erano in grado di percepire le tue urla,pensò Minseok.
Lui annuì.
-Per favore,oppa, io non posso lavorare questo mercoledì perché sono molto impegnata! Lui lo sa che ho molti impegni, ma si ostina a rendermi la vita difficile! Non puoi lavorare tu, al posto di Seulgi?-
Se avessero inventato il premio della persona più irritante esistente al mondo, Stephanie lo avrebbe vinto almeno 40 volte di seguito. 
-Aspetta, lasciami controllare solo la mia agenda.- mormorò, nascondendo la stizza che gli mozzava il fiato.
Estrasse l'agenda tascabile dalla tasca del grembiule che gli cingeva i fianchi, e sfogliò le pagine fino al giorno "mercoledì 12 febbraio", sperando che sulla pagina inerente ci fosse scritto qualcosa. 
Era una piccola agenda con la consunta copertina nera, alla quale era collegata tramite un cavo nero a spirale (di quelli che ricordavano il cavo della cornetta del telefono) una penna minuta del medesimo colore, sempre a portata di mano.
"Pranzo con i parenti (balza,balza,balza!!)" era previsto per il 12 febbraio, e lo aveva scritto con una penna di inchiostro rosso. Non scriveva quasi mai sull'agenda con l'inchiostro rosso, perché utilizzava la penna rossa esclusivamente per ricevimenti cui non voleva partecipare, a cui avrebbe mancato con noncuranza e senza avere bisogno di fornire spiegazioni.
Non vi avrebbe partecipato. E se lo avessero telefonato (ma dubitava che i suoi genitori lo avessero fatto), avrebbe risposto che un imprevisto lo aveva fermato al lavoro e che non poteva raggiungerli. 
Semplice.
Sapeva che dopo aver confessato la propria omosessualità i membri della famiglia non lo consideravano neanche più un parente. Cercavano in tutti modi di nascondere la vergogna di avere un cugino,un nipote,un figlio frocio. Non sopportavano di condividere lo stesso sangue con una persona malata.
E continuavano a fargli sentire lo schifo dentro, invitandolo ancora ai pranzi di famiglia. Dove lo schernivano con i loro sguardi cattivi, pentendosi di avere invitato, di essere seduti insieme a una persona malata.
Avrebbe fatto un favore a entrambe le schiere se non si fosse presentato. Minseok non li avrebbe rivisti e loro avrebbero pranzato tranquillamente, senza storcere il naso per la sua presenza "contronatura" e "immorale".
Lavorare al Cassandra gli piaceva, e non lo affaticava molto: preparava bevande e sorrideva ai clienti. E lo ammaliava l'odore del caffè macinato, il chiacchierare vivace dei clienti e il profumo delicato dei dolci. 
-Non ho niente da fare mercoledì.- snocciolò.
-Fantastico!! Questo vuol dire che mi aiuterai, oppa??- trillò lei raggiante.
Davvero una ragazzina irritante. 
Non lo faccio mica per te, pensò.
-Sssì.-
-Oppa,grazie! Sei il migliore! Jjang!-
Minseok sforzò un sorriso e quando Stephanie corse a dirlo a Joonmyun, sospirò rumorosamente.

Come accadeva abitualmente, al Cassandra fecero il proprio ingresso persone di ogni genere e di ogni tipo. Turisti del lontano Occidente curiosi e intenzionati a vuotare le tasche per oggetti privi di alcuna utilità (come d'altronde maggior parte dei souvenir esistenti); persone solitarie desiderose di caffè e cioccolata per colazione; allegre comitive di giovani ragazzi; donne in dolce attesa e con un'insaziabile fame, vecchiette rimpatriate in piccoli clan.
Ma per ogni individuo che entrava nel locale, il pensiero che Chen, quel giorno, non fosse ancora venuto balenava silenziosamente in mente a Minseok. 
E senza volerlo, ne rimaneva deluso ogni volta che alla soglia dell'entrata compariva qualunque persona che non fosse lui. 
Chen aveva cominciato a presentarsi al Cassandra nel bel mezzo di una giornata di novembre, quando dicembre rammendava i primi indumenti invernali e cominciava a dissigillare le porte ai giorni rigidi, e continuava a venire puntalmente quasi tutti i giorni, dopo una giornata di scuola.
Lo guardava di sbieco, quando gli capitava di sollevare il capo, e raccoglieva un'informazione in più a un nuovo sguardo veloce. 
Gli occhiali che gli restituivano un'immagine buffa e impacciata non venivano necessariamente indossati sempre. Infatti Chen, così Minseok aveva dedotto, ci vedeva benissimo eccome. Sia da lontano che da vicino.
Era strano che Chen indossasse quegli strani occhiali dalla montatura spessa e quadra, perché aveva la vista sana e non strizzava gli occhi per focalizzare le cose intorno o per leggere i cartelli incollati alle pareti del Cassandra.
Aveva sentito che fosse costume tra i giovani indossare grossi occhiali (di quelli per cui venivano presi di mira i "nerd" e i "quattrocchi" ), sprovvisti di vere lenti e con due spazi tra le montature. Le mode non smettevano mai di sbalordirlo.
Chen, però, non sembrava avere molti anni in meno rispetto a lui. Era lui, Minseok, che dimostrava la metà degli anni che portava!
Chen era adorabile. Era forse la persona con il viso più tenero che avesse mai conosciuto. Ma non era una tenerezza femminile. 
Chen era delicato e morbido, come il viso dei giovani soggetti dei dipinti di Caravaggio. Era terribilmente uomo e allo stesso tempo soffice. 
I lineamenti un po' spigolosi del viso rivelavano chiaramente un aspetto di uomo,  ma i sorrisi accennati dalle labbra rosate e gli occhi che roteavano di qua e di là, quando si ritrovava a spiccicare qualche parola mugolata con Minseok, restituivano un'immagine tenera e adorabile. 
Quando Chen socchiudeva le palpebre e schiudeva le labbra attorno la tazza, gli occhi sembravano scomparire, come se al posto degli occhi rimanessero solamente due fessure ammantate da ciglia lunghe e rade, e Minseok concentrava l'attenzione sulle altre parti del corpo, come il naso allungato, la bocca piccola, le sopracciglia sottili, il viso troppo magro e le dita affusolate.
E lo contemplava di sfuggita, ponendo il lavoro prima di tutti. L'unica minima distrazione che concedeva a se stesso, durante il lavoro, era guardare Chen. E dopo non poco tempo che lo osservava, era venuto a galla che non fosse l'unico a scambiare occhiate. 
La prima volta che i loro sguardi si incrociarono contemporaneamente, Minseok gli aveva sorriso con fare professionale. 
Regola number one del Cassandra: sorridi sempre al cliente.
Più tardi, sentiva gli sguardi furtivi del ragazzo addosso e di questo si compiaceva. Faceva finta di non notarli, e quando lo scopriva mentre lo fissava, gonfiava le guance in un sorriso che faceva diventare rosso Chen. 
Dapprima Minseok pensava che fosse un ragazzo più che taciturno, timido. Che avesse un mare di cose da dire, anche battute stupide che facevano ridere, ma che se le tenesse per sè come se temesse di sbagliare qualcosa.
Aveva provato a chiacchierarci insieme, per fargli fuoriuscire dalle labbra la voce flebile che non sentiva quasi mai chiaramente, iniziando a prendere personalmente le sue ordinazioni, presentarsi alla cassa quando doveva pagare e salutandolo per primo quando era all'entrata.
Avrebbe voluto scuoterlo, artigliando salde le mani intorno i suoi avambracci, e fargli dire tutto ciò che sembrava trasmettere con le sue occhiate segrete.
E toccarlo. Sui polsi che uscivano dalle maniche che velavano le braccia, erano verdi le vene che proseguivano il loro percorso sul palmo. Avrebbe voluto toccarlo proprio lì, a metà strada tra l'avambraccio e il palmo, per sentire le pulsazioni del cuore. 
E poi portarsi le dita sulla labbra, per assaporare il sapore della sua pelle. 
Voleva conoscerlo più a fondo, sapere tutto di lui. Era un bisogno che lo tormentava.
Chen lo tormentava anche a distanza, perché quel giorno non era ancora venuto.
Chen era tutta una necessità. Necessità che Minseok andasse ad accoglierlo per primo, che prendesse le sue ordinazioni, che gli facesse un cappuccino, che gli facesse lo scontrino e gli desse il resto.
Perché aveva la netta sensazione che gli occhi scrutatori di Chen fossero in grado di guardargli dentro l'anima, e non lo sopportava.
E non capiva perché glielo lasciava fare. Era solo curioso di sapere, perché proprio per lui, Minseok, Chen avesse la fissa di osservare.
Aveva ottenuto il nome, il quale lo lasciava sbigottito. Chen era senza dubbio un nome cinese. 
E il giorno di novembre in cui lo aveva visto, Minseok aveva pensato che Chen fosse un ragazzo cinese. Chen poi gli si era rivolto con un perfetto accento coreano e Minseok non aveva più avuto dubbi circa la sua nazionalità. 
Ritornando al mondo reale e al suo lavoro, Minseok ascoltava le signore con la testa dispersa tra i villi delle pellicce che lo benedivano e lo giudicavano un perfetto genero per le loro figliole. 
Peccato, però, che non lo sarebbe stato, anche se avesse voluto. A Minseok piacevano i maschi. 
E per dirla franca, gli piaceva il cazzo. Come alle ragazze eterosessuali, a lui piacevano i maschi.
E non lo pensava perché fosse un ninfomane. Non faceva sesso da mesi.
Da quando il pugno di Mitsuo lo aveva raggiunto sullo zigomo e si era ritrovato a terra con il viso dolorante, non era più stato con nessuno. 
Era a conoscenza della suscettibilità di Mitsuo, del suo temperamento sempre nervoso e del suo carattere di merda, ma era rimasto ugualmente con quello stronzo finché lo aveva preso a pugni. 
Aveva solo avuto paura di rimanere da solo, quando stava solamente aspettando il momento in cui gli avesse fatto del male. 
Le signore si sarebbero scandalizzate se avessero saputo che a Minseok piaceva il cazzo. Non per essere volgare, ma le persone pensavano che essere gay fosse diventato una moda.
Io sono gay, e lo sono veramente perché sono attratto dagli uomini. Se lo avesse detto francamente, non avrebbero più fiatato.
Perché non era un "malato" inconsapevole delle proprie azioni, che se ne usciva di avere attrazione per i maschi. 
La gente non accettava la realtà che esistessero al mondo persone come lui, che preferivano le braccia di un uomo, invece di quelle di una donna, che lo chiudessero in un abbraccio.
Da sempre le persone hanno il vizio di giudicare. Non possono farne a meno. Rovinando la vita delle altre persone, continuano a trasmettere i loro stereotipi e concetti sbagliati alle generazioni future. 
E a non farsi mai i cazzi propri, sospirò.
***


-Minseok-hyung, io stacco ora, tu vieni?- una matassa di capelli bruni si materializzò, trasferendo il movimento anche alle punte che ondeggiarono, e sbucò nel suo campo visivo.
-Ah, Channie! No grazie, devo ancora sistemare questi ultimi scatoloni nella dispensa.- 
-Ti aiuto?- domandò Chanyeol, e Minseok non fece che notare la profondità della sua voce.
-Ti ringrazio, ma non voglio farti mandare all'aria il tuo appuntamento con Sora- ammiccò Minseok, strizzando l'occhio.
-Ho capito, ahahah! Allora a venerdì?- 
-Mercoledì, per essere precisi. Indovina chi è stato fregato dalla cuginetta?-
-E' meglio che tu sia cauto con le parole, hyung. Quella lì può aver messo in giro delle telecamere e se ti sentisse, può tranquillamente comprarti e rivenderti!- lo ammonì Chanyeol.
-Non mi meraviglio. Ma mi piace lavorare qui e può anche essere che mi diano un aumento...-
-Lo spero per te, hyung. Ora è meglio che vada. Vorrà dire che ci terremo compagnia a vicenda!- disse Chanyeol, sfoggiando un sorriso con tutti i denti.
-Va',va'! Hai lavorato tanto oggi. E vedi di combinare qualcosa di buono!- gli augurò Minseok.
Minseok lo seguì con la coda dell'occhio mentre chiudeva nervosamente la cerniera lampo del giaccone che aderiva alle spalle, e nascondeva le orecchie dietro le ciocche di capelli mori che spuntavano da un cappello nero.
Non aveva un aspetto molto differente da quello in divisa, Chanyeol appariva più umano e giovane in quelle vesti normali. Faceva comunque un grande effetto.
Chanyeol si sistemò per l'ennesima volta lo zainetto sulle spalle e sospirò con un tremolio nelle braccia.
-Hey, aspetta!- lo richiamò a gran voce Minseok.
-Eh? Cosa?- sobbalzò il più giovane e si voltò con aria interrogativa.
Minseok lo raggiunse sulla soglia della porta, rimboccandosi le maniche, e allungò le mani verso Chanyeol, che era più alto di parecchi centimetri.
Gli tastò ripetutamente le guance con i palmi aperti, mentre gli occhi del ragazzo s'ingrandivano per lo stupore, e spostò le ciocche dietro le orecchie. 
-Carino! Ora sei a posto!-
Così Minseok riponeva gli ultimi scatoloni nella dispensa del locale, accessibile per mezzo di una porta retro il bancone, mentre canticchiava alcuni versi di una canzone trot.
-Salgo collina, dopo collina, ma ne resta sempre un'altra. E' una salita interminabile...-
Minseok allungava le braccia verso le scatole di cartone e le trasportava in dispensa, sollevando un manto di polvere al suo passaggio. 
Vivere in questo mondo, vivere questa vita è più piccante del peperoncino.-
Gli scatoloni erano verticalmente allineati, sovrapposti l'uno sull'altro, e creavano una palazzina di cartone in miniatura. Trasportarle non richiedeva un grande sforzo per il giovane, perché aveva i muscoli nelle braccia e usciva sempre vincitore in "braccio di ferro".
L'ultimo scatolone rimasto era il più pesante di tutti. Sollevando con le mani la parte sottostante del solido, Minseok mosse qualche passo verso il magazzino. Alla cieca, con gli occhi che non riuscivano a vedere dove andasse, poiché lo scatolone occupava interamente il suo campo visivo, finendo poi col cozzare contro un muro.
Dal tintinnio acuto che emisero gli oggetti interni alla scatola, il ragazzo dedusse che lo scatolone contenesse bicchieri e tazze di ceramica. Posizionò lo scatolone contro il muro, per chiudere gli occhi e riprendere fiato. Era uno di quei momenti in cui la vista gli mancava per qualche secondo, e tutto si colorava di nero pece. Però passava dopo qualche secondo, ormai ci era abituato. 
Dicevano che fosse dovuto ad un calo di pressione, e che avveniva spesso se ci si alzava dal letto troppo in fretta.
-Tutto apposto?- sentì mormorare alle spalle una voce maschile. Minseok riaprì lentamente gli occhi, ma non si scostò dal muro e non si mosse.
Riconobbe in lontananza un rumore di passi veloci avvicinarsi e dopo qualche secondo, sentì una pressione sulle mani che alleggerì il peso della scatola. La scatola scese piano, estendendo le dimensioni del suo campo visivo, e scorse un ragazzo dall'espressione preoccupata. Minseok si chiese se visioni del genere fossero allucinazioni dovute, appunto, al calo di pressione.
Le nocche e le dita di Minseok avvertivano la pelle di Chen come una morbida carezza. Le mani di Chen erano fredde, come se avesse dimenticato i guanti a casa, ma erano morbide e lisce al tocco. Le dita erano lunghe e affusolate, con le unghie corte che affondavano nella sua pelle ma non riuscivano a fargli male, i palmi premevano sui dorsi di Minseok, caricandosi metà del peso dello scatolone.
Sul mento e sopra le labbra spuntava una leggera peluria (molto probabilmente si era fatto la barba la mattina dello stesso giorno), Chen teneva la bocca socchiusa e guardava vago Minseok, come se stesse elaborando le parole da dire, quando roteò inibito gli occhi in basso.
-Ehm...Dove lo mettiamo?- disse Chen, abbassando gli occhi in un movimento impacciato.
In questo momento Minseok sorrideva, non con le labbra, ma con il cuore e le pulsazioni erano risolini compiaciuti che Chen non era in grado di udire. 
Sei venuto, alla fine. 
-Lì dentro,- rispose, con la testa piegata di lato -insieme agli altri scatoloni.- imprimendo bene nelle orecchie il suono della sua voce.
Minseok camminò avanti, coincidendo l'andamento dei passi con quelli di Chen, che andava a passi indietro ed entrava nella dispensa, sollevando insieme a lui lo scatolone.
Chen e Minseok riposero insieme l'ultimo scatolone che era rimasto e Minseok si pulì le mani, spolverandole sul grembiule.
-Grazie.- disse Minseok sorridendogli, quando ebbero finito. 
-No, figurati...- rispose Chen, tornando a fissarsi le scarpe. Erano con la punta consunta e i lacci aggrovigliati, colori che ostentavano la loro vivacità.
-Senti, per ringraziarti ti va se ti offro qualcosa?- propose Minseok con confidenza.
-Ma no, non disturbarti!...- protestò l'altro.
-Non mi disturbo affatto, anzi mi fa piacere!- replicò bonario, -E' l'unico modo in cui posso sdebitarmi, sappilo. Perché a casa mia non potrei offrirti nulla!- spiegò con una buffa smorfia.
Stranamente Chen rise, una risata leggera che non aveva mai sentito risuonò nell'aria, e Minseok osservò bene il mutamento nel viso del ragazzo. Gli occhi si erano fatti più piccoli, formando delle piccole rughe circostanti, le guance erano piene e acquistavano un colore più roseo e brillante, la bocca si apriva e scopriva tutti i denti bianchi. Aveva anche la risata tenera, pensò.
Chen ritornò ad essere cupo, come se temesse di essersi lasciato troppo andare. 
-Lo dovrò offrire qualcosa alla persona che mi ha, diciamo, impedito di restare accovacciato contro il muro, con una scatola quasi tra le gambe, per una giornata intera...no?- insisté divertito.
Chen annuì stupidamente, non avendo azioni alternative in mente se non annuire come uno scemo.
Quando furono fuori dal magazzino, la mano di Minseok corse dentro i calzoni e Chen poté udire un tintinnio insolito nella tasca dei pantaloni, dalla quale vide tirare fuori un mazzo di chiavi. Minseok prese tra le dita le chiavi una ad una, e quando trovò quella giusta, la inserì nel chiavistello e girò, producendo un rumore sordo.
-Allora,cosa vuoi che ti preparo?- chiese iniziando ad armeggiare con il macina-caffè, -Solito cappuccino?- 
-Sì, un cappuccino va benissimo.- disse Chen con una certa ebollizione nella voce e a Minseok non sfuggì il bagliore che trapassò i suoi occhi. 
Minseok voltò le spalle al più giovane per raggiungere lo scaffale dei bricchi e le tazzine, ignaro del fatto che Chen avesse da dire qualcosa.
Chen cercò di portare lo sguardo da qualche altra parte (e non sulle natiche di Minseok), tentando di ignorare il tarlo, la curiosità e il bisogno di sapere una cosa, che gli divorava l'anima. Lo sguardo, tuttavia, ritornava sempre sul sedere del ragazzo più anziano e la sua disinvoltura andava a puttane. Era una sensazione insopportabile e non gli piaceva.
-Posso guardarti mentre prepari il cappuccino?- azzardò titubante. Minseok girò il capo nella sua direzione e lo guardò con un bricco di metallo tra le mani, sorpreso per l'approccio che non aveva previsto dal ragazzo. 
Chen interpretò quell'occhiata come segno di perplessità e si affrettò a spiegare:
-Intendo dire, ecco...E' da un po' di tempo che vorrei sapere come lo si prepara.-
-Certo, avvicinati pure.-
Le spalle di Minseok si trovavano a pochi centimetri da quelle di Chen, e pensò che se si fosse avvicinato un poco, si sarebbero toccati. Come prima.
-Vedi, innanzitutto si prende del latte freddo e lo si versa in un bricco, la cui grandezza e misura dipende da quanti cappuccini si preparano.- iniziò a spiegare.
Chen annuiva come ipnotizzato alle indicazioni che pronunciavano le labbra di Minseok, benché non avesse ascoltato che qualche frase. Ce l'aveva troppo vicino.
-Versi poi il latte nell'espresso, tenendo in questo modo il bricco con una mano e la tazza dall'altra.- le mani di Minseok avvolsero quelle di Chen, -Così,ecco. La schiuma. Quando disegni un cuore, occorre versare il latte in centro finché vedi che la tazza è piena per tre quarti. Lo versi da una giusta distanza, altezza adeguata, della tazza. Quindi, man mano che lo versi, la schiuma sale più velocemente. Adesso, vedi, basta che agiti il bricco, lo sollevi purché il disegno assuma forma e gli passi attraverso.-
Un cuore latteo comparve sull'espresso dalle mani di Chen guidate da quelle di Minseok.
-Basta aggiungere un po' di cacao e il cappuccino è perfetto.- concluse infine, tendendo una delle due tazze verso Chen.
-Kamsahamnida,- ringraziò quando ebbe la tazza tra le mani -Grazie.-
Entrambi avvicinarono alle labbra il cappuccino, bevvero qualche sorso, senza dire nulla. 
Il fianco destro di Minseok era rannicchiato contro la superficie legnosa del bancone e concentrava tutto il peso del corpo lì, come se volesse riposare. Quando il silenzio iniziò ad essere opprimente e noioso, la voce di Minseok lo spezzò.
-Ti ho aspettato.- ammise dopo tre sorsi.
-Come?- gli occhi di Chen erano due pozzi scuri, sgranati per l'incredulità.
-Ti ho aspettato,- ripeté, questa volta guardandolo negli occhi - Vieni qui quasi tutti i giorni e mi chiedevo se fosse successo qualcosa. Ho memorizzato persino il tavolino in cui siedi e cosa prendi di solito. -
-Ah- Minseok lo aveva preso alla sprovvista. -No...non è successo niente. E' che ho ripetuto un anno, mi sono trasferito in città e mia madre mi ha iscritto a dei corsi pomeridiani. Oggi si sono prolungati più del solito e ho cercato di venire fin qui, sperando che non aveste già chiuso.- dichiarò.
Minseok lo guardò prima con un'occhiata attenta e dopo con curiosità, sorvolando oltre l'argomento "perché hai ripetuto un anno".
-E in quale scuola sei ora?-
-Al liceo Seung Ri.-
Gli occhi di Minseok s'illuminarono e gli angoli della bocca saettarono verso l'alto.
-Ma è la mia scuola!- disse con una mezza risata. -Beh, diciamo che lo è stata. E' lì che mi sono diplomato. E se mi ci fai pensare, l'ultima volta che l'ho visitata è stato tre anni fa, alla consegna dei diplomi. Chissà se è cambiata, dopo che me ne sono andato. C'era anche un mio professore di materie scientifiche, il più simpatico e bravo di tutti, che aveva una certa età. Quanto mi piacerebbe rincontrarlo ancora! E...come si chiamava già? Il professore...Kwon....Kwon Man...- Minseok ripeteva il nome con viso arcigno, cercando di rievocare i ricordi del liceo e il nome completo del caro professore, biologo e scrittore.
-Man Woo?-
-Sì, Man Woo! Proprio lui!- esclamò Minseok, alzando involontariamente la voce - Che bella cosa. E tu di che cosa ce l'hai? Biologia o mate?- domandò a Chen.
- Di entrambi - soffiò Chen.
-Anch'io ce l'avevo di entrambe le materie. Era davvero un bravo professore. Fa ancora le battute sui suoi capelli?- disse ridendo.
 -Sì, qualche volta accenna qualcosa di strano sui suoi capelli. Che tipo ne aveva tantissimi prima e lunghi, ma negli ultimi dieci anni gli son caduti quasi tutti...-
-Il solito professore Han! Sai, è un professore con molto sarcasmo e prende le cose alla leggera, ma è una brava persona. Dovrei invitarlo a prendere qualcosa qui, glielo offro io. Così mi faccio due risate in compagnia del vecchio Han Man Woo.-
Parlarono del più e del meno, e Minseok raccontò episodi divertenti accaduti a scuola, durante le ore del professore che conoscevano entrambi. Venne a galla anche il fatto che avessero avuto altri due insegnanti in comune, che entrambi giudicarono incapaci e svogliati. 
Parlarono tanto, e quando il tempo passò, non si sentirono più soli. 
Chen si sentiva strano. Aveva un gran caldo, nonostante fosse una gelida giornata di febbraio, e il lupetto del maglione lo pressava come due salde mani intorno al suo collo. Si era ritrovato con la gola secca, per quanto aveva parlato, e tracannò un sorso del cappuccino ormai tiepido. Si chiese se anche Minseok avesse la gola secca.
La sorpresa era comunque rimasta. Era sorpreso che Minseok avesse camminato per gli stessi corridoi che percorreva lui ogni giorno. La curiosità lo riempiva mentalmente di domande. 
Andava bene a scuola? Era abile nello studio, quanto nella preparazione delle bevande? I suoi voti erano alti o a stento raggiungevano la sufficienza? 
I ragazzi lo notavano per i corridoi? Sapevano che tra la folla ci fosse un ragazzo di nome Minseok? Era stato popolare, a tal punto che tutti sapevano chi era, o era un ragazzo calmo che passava inosservato? 
Aveva avuto la ragazza? Si era mai innamorato? 
A tutte le domande Chen si rispose che se Minseok era così buono e gentile, sarebbe passato inosservato, non gli sarebbe piaciuto farsi vedere. E pensò che una ragazza non meritasse di stare con un ragazzo così buono, non fosse abbastanza per lui. Minseok meritava di più. 
Minseok continuava a parlare, e Chen non si accorse che Minseok aveva lasciato a mezz'aria una frase e che ora lo guardava. Minseok se ne era accorto eccome.
Allungò una mano verso Chen, e quando questi alzò il capo sorpreso, espose il palmo.
-La tazza vuota.- spiegò con il palmo aperto.
Chen comprese e mugugnò qualcosa di incomprensibile, restituendo la tazzina che Minseok depose nel lavello insieme alla sua. L'avrebbe lavata con calma al prossimo turno, la sera stessa, aspettando che il locale venisse riempito.
Quando tornò a guardare Chen, con una mano sul fianco, questo lo guardava con un'aria smarrita e Minseok pensò che in una tacita preghiera, forse desiderava un abbraccio.
Notò che sulla bocca piccoli residui del cappuccino incorniciavano il labbro superiore e mormorò:
-Hai...qualcosa sul labbro.- Chen umettò le labbra con un gesto quasi infantile.
-No, qui - 
Minseok allungò inconsapevolmente una mano sul viso di Chen e con le dita gli pulì il labbro, mentre Chen sgranava gli occhi per il gesto improvviso.
Minseok realizzò allora una cosa importante, che aveva ignorato perché il pensiero lo imbarazzava troppo.
Che per tutta la giornata, aveva pensato alle labbra di Chen. Aveva desiderato baciarle, sin dal primo momento in cui lo aveva visto entrare dalla porta del Cassandra, quella domenica troppo fredda per essere novembrina. Per ogni parola che veniva mugolata da un Chen impacciato, per ogni occhiata che scopriva essere destinata a lui, per ciascun cuore latteo che nasceva sulla schiuma di un cappuccino, l'immagine sfocata che si era fatto in mente marcava i suoi contorni e ne veniva fuori un'immagine diversa.
Non erano più delle labbra maschili che baciava Minseok, era Minseok che baciava Chen.
Quando si era ritrovato a pochi centimetri dalle sue labbra, aveva sentito Chen respirare. 
Trarre un lieve respiro che Minseok avvertì caldo e avvolgente sul collo. 
Allora lo aveva baciato. Aveva raggiunto la sua bocca spingendo in avanti il busto e fondendo le labbra con le sue, con un movimento veloce da sorprenderlo. 
Il gesto istintivo di Chen fu quello di schiudere le labbra e di chiudere gli occhi, mentre Minseok lo coccolava di piccoli baci umidi e riprendeva fiato ad ogni bacio. 
Il cuore batteva per le sensazioni che stava provando, per la scia di baci umidi che gli lasciò Minseok sulla bocca, uno rapido e tenero sulla guancia; le labbra di Minseok ritornarono subito su quelle di Chen che ebbero un fremito. Chen cominciò a muovere le labbra, perché oltre ad essere baciato desiderava a sua volta baciare Minseok, cominciò a premerle contro e ad affondare nella bocca dell'altro. 
Una mano calda lo raggiunse sulla guancia. L'altra arrivò un momento più tardi, avvolgente e morbida. Lo stava divorando con i suoi baci, con il viso tra le sue mani e le labbra che si toccavano e s'incontravano.
Sembrava che il destino avesse da sempre stabilito che quell'occasione li avrebbe portati a baciarsi così, con le mani di Minseok sulle guance lisce di Chen e le braccia tremanti di quest'ultimo abbandonate lungo i fianchi. Minseok sembrava non avere intenzione di fermare i suoi baci, malgrado Chen potesse udire il cuore suo e quello di Minseok che battevano nello sterno frenetici e all'impazzata. 
Chen sentiva via via il fiato mancare di più e circondò dolcemente i palmi intorno ai polsi del ragazzo che riaprì gli occhi e allontanò piano il viso, con aria interrogativa e sorpresa. 
Chen sentiva il viso avvampare di calore e imbarazzo, e guardò Minseok che aveva il fiato corto e le guance e le labbra arrossate. 
Chen stava per ritornare sulla bocca di Minseok, quando una voce li fece sobbalzare e scostare i propri corpi vicini. 
-Perché la luce è ancora accesa?...- sentì pronunciare da una voce maschile cui stentava di ricordarne il proprietario.
Chen e Minseok si erano scostati l'uno dall'altro in modo brusco, e ora erano parecchio distanti i loro corpi e lontane le labbra inumidite dai baci, che iniziavano a disperdere calore e a sentirsi infreddoliti; quando Joonmyun fece capolino con una mano tra i capelli e gli occhi socchiusi.
-Minseok? Perché sei ancora qui?- domandò sinceramente sorpreso, e quando si accorse della presenza di Chen, che aveva le mani congiunte e girava letteralmente i pollici, salutò cortese -Ciao! Sei un nostro cliente?-
Chen rispose che lo era e Joonmyun gli rivolse un sorriso fraterno, mentre si avviava verso il bancone. Poggiò gli avambracci sulla superficie legnosa e liscia, trovandosi faccia a faccia con Minseok.
-Minseok, non c'è bisogno che lavori fino a quest'ora, lo sai. Se c'era ancora un cliente, potevi chiamarmi e lasciarmi chiudere il locale! E sono indignato che tu sia il solo rimasto qui. Non mi dire che Chanyeol ti ha lasciato qui da solo e se n'è andato per i fatti suoi!!- lo rimproverò.
-Non preoccuparti, Joonmyun. Nessuno mi ha lasciato solo e quel povero ragazzo non c'entra niente. Mancavano comunque degli scatoloni da sistemare in magazzino e l'ho lasciato andare perché aveva un appuntamento con una ragazza, ed è arrivato lui che mi ha aiutato. Così gli ho offerto un cappuccino.-
E ci siamo anche baciati.
Chen spalancò gli occhi a quel pensiero e le guance si tinsero nuovamente di rosso. Si chiese come potesse Minseok parlare con quella naturalezza, incurante del fatto che avessero smesso di baciarsi un minuto fa. Forse con quella naturalezza cercava di nascondere il loro segreto. Il suo cuore batteva ancora furiosamente.
Ebbe il desiderio di scappare da quel posto, aveva caldo, era imbarazzato e non aveva il coraggio di incontrare gli occhi di Minseok. 
-Io...devo andare - mormorò in segno di scusa e mosse velocemente alcuni passi verso l'uscita, che quando Minseok lo bloccò lo stava quasi strattonando.
-Aspetta...- lo sentì dire con una leggera esasperazione nel tono. Minseok estrasse dalla tasca del grembiule marrone un'agenda nera e consunta ai lati, con una penna collegata ad un cavo a elica, e ne strappò una pagina, scribacchiando velocemente qualcosa. 
Chen riconobbe una serie di numeri sul foglietto lacero che gli porse la mano di Minseok e impiegò pochi secondi per capire che fosse il suo numero di cellulare.
-Questo è il mio numero - sussurrò in un soffio caldo.
Quando Chen metteva entrambi i piedi fuori dal locale e ormai si trovava alla fermata dell'autobus, Minseok realizzò che forse aveva fatto una cazzata. Non riusciva però a spiegarsi la sensazione di felicità che lo scuoteva tutto, dalla testa ai piedi. Era euforico.
Si umettò le labbra.
Sapevano di cappuccino.

(*) Il racconto di cui ho parlato nell'introduzione è chiamato "Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella domenica d'aprile" ed è stato uno delle tante cose che hanno ispirato questo capitolo, tra le quali il titolo.
(**) La citazione è presa dal libro Ecco la storia di Daniel Pennac
(***) La canzone che canticchia Minseok  nel ripostiglio è chiamata Peperoncino nella traduzione italiana e Red Pepper come titolo internazionale. Potete ascoltarla cliccando su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=d58GoGxe3ok

Angolo autrice: 
Ho aggiornato, finalmente. 
Con questo incipit penso che inizierò tutti gli angoli autrice che scriverò. E' sempre un piacere scriverli, perché è appunto l'angolo in cui posso blaterare in santa pace! Ho un sacco di cose da dire generalmente, ma con il tempo e la quantità di giorni e settimane che mi ci son volute per aggiornare, ne ho dimenticate un sacco! ...con vostra fortuna xD
Minseok e Chen mi hanno torturata con le loro parole la notte. Mi dicevano scrivi questo e l'altro! e io mi stupivo di quanto fossero pervertiti! No! Non vi faccio ancora andare a letto insieme, depravati!
Riguardo al capitolo, confesso che la prima parte mi piace meno della seconda.
E' un capitolo flashback, che racconta come si sono messi assieme i XiuChen, quindi niente canzone per questo capitolo xD 
La storia al presente, cioè Estate,arrivederci, antepone questo capitolo di 4 mesi. A fine giugno si incontrano i Kaisoo! :3 Penso di continuare con i loro flashback in un altro capitolo, perché vorrei "approfondire" la loro relazione e the first time lievemente e senza andare oltre il rating arancione.
Il capitolo prossimo potrebbe ritornare sui Kaisoo o introdurre la mia nuova coppia in cui è presente Lu Han :) 
Anyway! Il nostro Chen ha adottato questo soprannome quando si presenta con gli altri, perché il nome Jongdae non gli piace e gli ricorda troppe cose. L'introduzione è un'improvvisazione mia, perché non riuscivo a trovare una giusta citazione a cui ispirarmi. Ho letto un po' di libri, tra cui gli scrittori Murakami (uno scrittore che ho appena conosciuto e che vi consiglio absolutely), again Pennac xD, riletto Il buio oltre la siepe, abbandonato La Certosa di Parma perché non ce la faccio, riletto again Il giardino dei segreti... Generalizzando, la mia estate 2014 è stata un andirivieni di libri, tentativi nulli di farmi venire l'ispirazione e scrivere questo capitolo, scleri per le versioni greche e latine non venute, pianti di depressione e maratone di yaoi e kpop. Molto interessante.
L'introduzione è stata l'arma con cui difendermi dalla mancanza dei quattro mesi che sono passati dall'incontro dei XiuChen al loro bacio. I poveri ragazzi del racconto di Murakami erano perfetti per loro, ma hanno esitato. Ed è finita com'è finita, non provano più sentimenti per l'altro, e come domanda Murakami: Non pensa che sia una storia molto triste?
In questo ultimo periodo sono depressa. Sono susseguiti episodi poco piacevoli, uno dopo l'altro, ed è stato come ricevere improvvisamente una doccia gelata. Sono scombussolata e mi viene da chiedere: "Ma che c***o sta succedendo?"
Inoltre la situazione,ironicamente, è la migliore perché inizia pure scuola, o è già iniziata per alcuni più sfortunati. Spero di non essere l'unica che detesta a morire i propri compagni!
Sono in fase depressione pre-scuola e non so quando aggiornerò il prossimo capitolo! :c Cercherò di organizzarmi i giorni in cui rinchiudermi in casa per, non studiare, ma scrivere. 
Intanto, vi mando un grosso bacio e vi auguro un buon inizio scuola per chi inizia lunedì o per chi ha già iniziato. E se siete universitari vi compatisco e vi mando anche un abbraccio forte. E se non siete anche questo ve li mando lo stesso, davvero. 
Vi ringrazio perché mi leggete e mi rendete felice con la vostra lettura dei miei scritti, che cerco di migliorare leggendo tanto tanto.
Se volete, ditemi che cosa ne pensate del capitolo in una recensione o messaggio privato! E grazie per aver letto!
Atticus

P.s. Chanyeol è forse uno dei pochi etero in questa storia. Pensavo di metterlo con Baekhyun ma dimenticavo che sta assieme a Taeyeon! Quindi, non trovando altra gente adatta, l'ho messo con una tizia a caso. Spero che tra alcunedi voi sia il vostro bias e che vi abbia fatto piacere la sua comparsa! Ah, dato che io Sora non l'ho mai immaginata, potete fingere che al posto del suo nome ci sia il vostro xD

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