Io e te

di Kveykva
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo Capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo Capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo Capitolo ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo Capitolo ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo Capitolo ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


-Mio Dio, ancora non ci credo che siamo qui!- trilló Andrea, scendendo dall'auto.
-È incredibile, davvero.- replicai io con scarso entusiasmo.
-Ehi, Emma.- disse diventando subito seria, sfiorandomi il braccio.- Siamo arrivate. Siamo lontane da tutto.- 
Io sospirai, e annuii.
-Certo, hai ragione, scusami De. Forza prendiamo i bagagli.- le sorrisi un po' tirata, ma sinceramente contenta.
Lei sembró non accorgersene e mi rivolse uno dei suoi sorrisi a 8282 denti, quelli super eccitati e felici.
Svuotammo il bagagliaio: io avevo due valigie, una grande per i vestiti e tutto e l'altra più piccolina.
Andrea invece aveva due borse che avrebbero contenuto noi due assieme più altre tre persone.
'La solita' pensai.
Salimmo le scale del nostro appartamento: era un piccolo monolocale, al primo piano di un condominio , nel centro  di Gainesville, la città della Florida dove si trovava la nostra università.
-A lei, oh grande Emma Bennet, le chiavi della nostra reggia.- scherzó Andrea, facendo un inchino e porgendomi il mazzo di chiavi.
Non potei trattenere una risata.
-Quanto sei scema.- sospirai, e aprii la porta verde.
Sentii Andrea lasciarsi sfuggire un gemito.
Era tutto fatto interamente di legno: una piccola cucina all'angolo destro, poi il soggiorno dove c'era un grande divano blu, che occupava praticamente metá stanza, davanti ad una piccola tv e un corridoio corto che terminava con una stanzina, che sarebbe stata la nostra camera da letto.
Il bagno era all'estremo opposto del corridoio.
-Ma è carinissima!- strilló.
-È splendida!- affermai, e l'abbracciai stritolandola.
Lei si buttó subito sul divano, atterrando come una valanga.
-Qui ci vuole una gran bella sbronza per festeggiare.- annunció, scuotendo i capelli rossicci e ondulati.
-Sei proprio un maschiaccio.- decretai, buttandomi sul divano accanto a lei.
-E...?- aggiunse speranzosa.
-E ci sto, ci puoi scommettere che ci sto.- risposi ridendo.
Rise anche lei e cominciammo a mettere a posto le nostre cose.
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-Sei uno schianto, De.- decretai guardando Andrea sfilarmi davanti, fasciata in un paio di pantaloni aderenti che le mettevano in risalto le belle gambe.
-Sono solo un paio di jeans. Non ho nemmeno i tacchi.- si difese, anche se si vedeva che era contenta del complimento.
-Forza, andiamo.- dissi, presi borsa e cellulare, e uscimmo di casa.
-Emma...sei sicura che non vuoi..ehm...cambiarti?- chiese lei, un po' in imbarazzo guardandomi. 
Io mi fissai i pantaloni della tutta, la maglietta larga e le mie adidas più grigie che bianche.
Alzai le mani.
-Beviamo solo una birra e torniamo, De. Domani abbiamo lezione, non staremo fuori molto quindi non ho intenzione di conciarmi bene per un'oretta fuori.- difesi me e il mio outfit terrificante, se associato ai miei capelli e alle mie occhiaie.
-Almeno sei bella.- sospiró saltando in macchina.
-E tu sei scema.- replicai, uscendo dal parcheggio e dirigendomi verso il centro di Gainesville. 
A quell'ora di domenica, non c'era molta gente fuori. Era principalmente una città di studenti, e scommettevo che erano tutti in casa a ripassare per il giorno seguente.
Era ormai ottobre, e noi eravamo probabilmente le uniche ad arrivare in quel momento, ma non avevamo scelta o meglio, io non avevo avuto scelta perchè...
-Frena, Emma, è rosso!- strilló Andrea, premendosi contro il suo sedile.
Inchiodai di colpo, beccandomi un clacson da quello dietro, ma almeno non avevo passato l'incrocio.
-Ma sei impazzita?- urló un'altra volta, togliendosi una ciocca rossa dall'occhio.
-Mi ero solo distratta, De. Scusami.- dissi, ancora incredula di aver quasi rischiato di passare col rosso. 
Lei sbuffó.
-Certo, scusami un paio di palle.- poi continuó a borbottare altre cose molto simpatiche nei miei confronti e quando arrivammo davanti ad il primo bar smise di insultarmi e scese.
Si sistemó i jeans, e i capelli e fece un respiro profondo.
-Finiscila, Andrea, stai benissimo.- tagliai corto.
-Certo, certo.- 
Appena entrammo ci accorgemmo di aver scelto probabilmente l'unico bar della città che accoglieva gli studenti dell'università.
I tavolini centrali erano stati tutti ammucchiati vicini, e una decina di ragazzi erano seduti lì, bevendo e scherzando rumorosamente assieme a delle ragazze in abiti che arrivavano al massimo sotto il sedere, con ampie scollature, le quali continuavano sedersi sopra qualcuno, mostrare ancora di più il seno, e a ridere come oche.
Almeno fino a quando non eravamo entrate noi.
Il locale era piombato nel silenzio, e avevamo addosso gli sguardi di tutti.
Dopo qualche secondo, partirono le risatine.
Le ragazze incominciarono a starnazzare, una bionda in fondo disse:
"Ma come si è vestita?", seguita da altre frasi simili.
Io mi stufai, sbuffai e andai diritta al bancone.
-Una birra, perfavore.- 
-Certo, signorina.- 
Il rumore era ripartito, probabilmente superato il nostro 'effetto sorpresa'.
Cominciai a bere, tirai giù un sorso degno di un vecchio unbriacone di settant'anni, e guardai Andrea seduta accanto a me.
-Non so tu, ma quello lì non è niente male.- mi sorrise, indicando con lo sguardo un ragazzo biondo che non centrava con quelli dei tavolini al centro, ma era comunque uno studente universitario, vista l'età.
La vidi sfoderare il suo sorriso seducente, e si incamminó, lasciandomi sola con la mia birra e la mia tuta.
-Ehi.- sentii alla mia destra.
Vidi con la coda dell'occhio che uno di quei ragazzi dei tavolini, si era seduto accanto a me al bancone.
Non mi girai nemmeno.
-Ehi, Dave: da quando ci provi con una settantenne?- gli urló dietro un amico, e partirono grasse risate.
'Che ridere' pensai, buttando giù un'altro sorso.
-Ma che simpatico, Luke!- gli rispose il ragazzo in parte a me, il quale capii si chiamava Dave.
Dopo tre secondi, lo sentii soffocare una risata.
-Cos'è, sono diventato invisibile?- 
Girai la testa, pronta per sfoderare una delle mie frasi cattive, pronta a rispondergli pungente anche se non aveva fatto niente, ma non ci riuscii. 
In un secondo avevo perso tutta la mia determinazione, nell'attimo in cui avevo visto quegli occhi verdi e marroni. 
Come quelli di Nate.
Non ce la feci più, buttai una banconota sul bancone e uscii di scatto, sbattendo la porta.
Saltai in macchina e cercai di calmarmi.
Cercai di eliminare tutta la serie di immagini che si stavano susseguendo nella mia testa, ma non ci riuscii.
Vidi me stessa con un occhio nero, poi con un livido verde sulla guancia, mi vidi guardare le lancette dell'orologio della mia vecchia casa mentre maledicevo il fatto che la sera si stava avvicinando. Che lui si stava avvicinando.
Sentii Andrea salire in macchina e prendermi per le spalle.
-Oh mio Dio, Emma. Emma, guardami. Cos'è successo?- 
Io non riuscivo a risponderle.
-Maledizione, Emma dimmi cos'è successo!-strilló un'altra volta.
Io respirai una volta, due e fermai i singhiozzi. 
-Aveva i suoi occhi.- riuscii a sussurrare.
-Gli stessi..aveva..uguali a Nate. Dello stesso colore.- mormorai. 
Lei mi lasció andare le spalle e mi abbracció.
-Merda, Emma. Siamo capitate nell'unico bar dove potevi trovare un bastardo del genere.-
Adoravo Andrea. Non a caso era la mia migliore amica dal liceo: il fatto che insultasse quel povero ragazzo che mi aveva avvicinato, ignaro di tutto quello che avevo per la testa mi faceva sentire meglio.
Come se facendo così insultasse Nate.
-Ce ne andiamo a casa, hai capito? Andiamo a casa e ci guardiamo un gran bel film, e poi dormiamo. E domani mattina sarà tutti finito.
Forza, fammi guidare.- disse.
-Ce la faccio.- protestai.
-No che non ce la fai.- replicó lei.
Cercammo di scambiarci i posti senza uscire dalla macchina, e ridemmo quando la sua giacca si impiglió nella mia maglietta e rimanemmo incastrate in una posizione non esattamente comoda.
Alla fine riuscimmo a scambiarci e lei partì, e cercai di dimenticare quegli occhi, che si erano impressi a fuoco nella mia mente.
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Angolo:
Ciao a tutti! Spero di avervi incuriosito con questo primo capitolo: vi ho un po' presentato la protagonista, la sua migliore amica e abbiamo fatto un incontro con un personaggio importante...
Fatemi sapere cosa ne pensate, un bacio!



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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***


Uscii dal bagno e mi precipitai in camera. 
-Siamo in ritardo, Emma!- mi gridó Andrea dalla cucina.
-Ma va?- le risposi io.
La vita era diventata completamente caotica da quando io e Andrea ci eravamo trasferite, o meglio fuggite, dal ...
La' era stato tutto così semplice, o almeno per i primi anni del liceo. Se vivi nell'ombra non devi preoccuparti di cosa fai o di cosa dici, perchè comunque nessuno se ne interessa.
Dal terzo anno le cose erano andate a rotoli.
Nate era il figlio del capo di mio padre: a cena, quando invitavamo Tim, Nate veniva sempre.
Era nata così per casola relazione fra me e Nate, ma nessuno si sarebbe mai aspettato un finale del genere.
Anzi, il finale non c'era proprio: se la mia vita fosse stata un libro, eravamo ancora in pieno svolgimento. Perchè il 'cattivo' non era ancora morto, non era ancora stato abbattuto dai buoni. 
E chi erano, poi, i buoni? Io? Una figlia che scappa dai genitori? Per necessità, certo. O almeno era quello che mi ripeteva Andrea. 
Un biglietto di scuse sul tavolo della cucina, e una camera vuota. Era questo che avevo lasciato a mio padre e a mia madre quattro giorni prima.
Sentivo ancora le loro voci al telefono, quando erano tornati a casa e avevano visto che la loro unica figlia li aveva lasciati così.
'Ci manchi' dicevano.
Ma la partenza mia e della mia migliore amica non era stata istantanea, o decisa all'ultimo. Era stata programmata, settimane, mesi prima. Il tempo di spedire il nostro curriculum alla Gators. Il tempo di nascondere tutto ai miei genitori.
Ad ogni livido in più sul mio viso, c'era un oggetto in più nella valigia.
Ritornai al presente con una rapida vista all'orologio.
Aprii l'armadio e vidi un paio di jeans a sigaretta e una maglietta grigia aderente, con lo scollo a barchetta.
Me li infilai di fretta e furia, e feci lo stesso con le sneakers e corsi in cucina per colazione mentre Andrea faceva tutto quello che avevo appena fatto io.
Cinque minuti più tardi era pronta, presi la mia grande borsa nera e uscimmo, precipitandoci alla macchina.
Grazie a Dio non c'era traffico, e arrivammo appena in tempo per la campanella.
-Tu cos'hai?- le chiese in preda al panico, vedendo tutti gli alunni entrare.
-Fisica. Tu?- disse guardando il foglio dell'orario stropicciato che aveva in mano.
-Mate. Ci vediamo dopo.- risposi consultando il mio, altrettanto messo male.
-Buona fortuna.-
-Anche a te!- 
Mi incamminai, più correndo che camminando, e raggiunsi l'aula tre secondi prima dell'ingresso dell'insegnante.
Buttai la mia roba sul primo banco che vidi e notai la bionda che aveva fatto un commento su di me la sera prima.
Stava già ridendo con le sue compagne.
Aspettai che l'insegnante facesse l'appello, e 
quando arrivó il mio nome alzai la mano.
-Ah bene, tu devi essere la ragazza nuova. La signorina Bennet, giusto?- 
Sorrisi e feci cenno di sì.
Lui cominció a fare lezione normalmente, e io continuai a prendere appunti.
Quasi non mi accorsi che due ore dopo suonó la campanella e si alzarono tutti per andare in mensa.
Uscii anche io e mandai un messaggio ad Andrea.
Dove sei?
Sono in mensa!
Sto arrivando.
Ok, muoviti. 
Appena arrivai notai che Andrea era seduta con un paio di ragazzi ed una ragazza, ad un tavolo esterno verso destra.
La raggiunsi.
-Ciao Emma.-
-Eii.- le risposi dandole un bacio.
-Emma, questi sono Robin e la sua ragazza, Linsday, poi Jay, e Mike.-
-Ciao ragazzi, sono Emma.- risposi sorridendo, e loro sorrisero di rimando.
-Siete nel corso con Andrea?- indagai.
-Sì.- mi rispose Mike, un moretto tutto riccioli.
-E tu, Emma? Hai conosciuto qualcuno?- mi chiese Andrea.
Anche se non lo disse con cattiveria, quasi subito mi vergognai: lei, in due ore scarse aveva già degli amici. Io se mi avessero chiesto chi fosse il mio compagno di banco non avrei saputo rispondere.
Le amicizie non erano decisamente il mio forte.
-Oh be', non importa.- mi sorrise Linsday, che era una ragazza dai lineamenti molto dolci coi capelli biondo cenere.
Cominciammo a parlare del più e del meno, e risi fortissimo quando Robin imitó il mio insegnante di mate alla perfezione.
Guardai cos'avevo preso nel vassoio e inorridii.
-E questa cos'è?- domandai indicando la zuppa verde vomito che avevo davanti.
-Oh, sei arrivata proprio il giorno giusto.- disse Lindsday.
-Emma, questa è la Verdona. - cominció Robin -Lei ti terrà compagnia ogni lunedì e ogni giovedì a pranzo, e sarà meglio che abitui il tuo stomaco alla Verdona perchè se la rivomiti sembra ancora di più...-
-Okay, okay, ho capito, pausa!- esclamai.
Gli altri risero, e lo feci anche io.
-Facciamo che mangeró la mela.- dissi prendendo in mano quel cumulo di buccia giallognola raggrinzita.
-Oh be', di certo è meglio. Ma sapete che un ragazzo del terzo anno, qualche mese fa ha trovato dentro due vermi! Ma ci pensate! Due! Uno non andava bene, si vede.- continuó Mike.
-Mike sei ributtante. Davvero. Vomitevole.- commentai.
-Solo per te dolcezza.- disse, e sentii subito le orecchie in fiamme.
Speravo scherzasse. Speravo ardentemente che scherzasse.
In quel momento, suonó la campana.
-Merda, ma quanto dura il pranzo?- si lamentó Andrea e Jay, un ragazzo dai capelli corti e neri, e la pelle altrettanto scura le rispose:
-Benvenuta nel duro mondo della Gators.- e poi scappó ridendo a lezione.
-Io ho chimica. È l'ultima ora quindi ci vediamo direttamente fuori. Se finisci prima aspettami in macchina.- dissi ad Andrea.
-Anche io ho chimica. Vengo con te.- mi disse Lindsday, e fui contentissima di avere almeno qualcuno che conoscevo.
Uscendo dalla mensa, vidi di sfuggita Dave, il ragazzo del bar.
-Gran bel figo Dave Hudson.- mi disse lei.
-Cosa?-
Lei rise.
-Ho detto che è un gran figo Hudson, quello lì. Lo conosci?- mi chiese.
Il giorno prima non mi ero concentrata molto sul viso anzi, mi ricordavo solo gli occhi ma ora che lo guardavo da lontano potevo solo essere d'accordo con Lindsday.
Era alto, ma non troppo, e sotto la pelle abbronzata c'erano muscoli tonici e forti, ma non eccessivi.
Aveva i capelli castano scuro scuro corti, e la mascella pronunciata, scolpita.
Sì, era decisamente bello, ma aveva qualcosa che lo faceva risultare...triste.
Assolutamente triste. 
Ma era bravo a fingere, così bravo che solo una persona con la stessa aria avrebbe potuto accorgersene. E Emma era una di quelle persone.
Io borbottai qualcosa, un no e lei fece spallucce.
-A scuola sappiamo tutti che sta in uno strano giro, di notte..- mi confidó, sporgendosi verso di me per bisbigliarmi nell'orecchio.
-Strano giro?- 
-Si dice che la sera esca con della gente non molto a posto, sai. Ma facciamo tutti finta di niente.-
-Be, e a chi dovreste dirlo poi?- le domandai, certa che gli studenti della Gators non avrebbero mai fatto da spia.
-Una volta una ragazza lo aveva detto a suo padre, che faceva il poliziotto e non abbiamo più rivisto Hudson per un mese. Ma il fatto è che non abbiamo idea di cosa combini la notte.- 
Mi chiesi cosa potesse mai fare in una città come quella: era stato in prigione suppongo, quando quel poliziotto l'aveva scoperto.
Ma in che giro era? 
Quando avevo guardato quegli occhi verdi, screziati di marrone peró, avevo visto anche tristezza. Una grande tristezza. E la cosa che più mi spaventata era che sapevo che quella tristezza c'era in egual misura nei miei di occhi. 
-Sai, non esce mai con nessuna. O almeno, nessuna della Gators. Ma non c'è un sola persona vivente che lo abbia mai visto in compagnia di una ragazza.- 
-Ma se gli stanno dietro tutte!- immaginai, visto il tipo di ragazzo.
-Già.- disse lei.
Misi da parte questi pensieri e mi diressi verso chimica.
La lezione passó in un attimo, e quando suonó Lindsday mi disse che doveva scappare da Robin, perchè avevano in progetto un pomeriggio romantico.
La salutai e misi la mia roba dentro la mia borsa, ma si vede che lo feci molto lentamente visto che quando alzai lo sguardo non c'era più nessuno, ne' in classe, ne' nei corridoi.
Uscii guardando lo schermo del cellulare e fu per quello che non vide il ragazzo contro cui sbatte.'
La borsa mi cadde.
-Oddio..- mormorai e mi chinai per prenderla.
Mi rialzai e rimasi di sasso. Quegli occhi verdi erano di nuovo lì.
-Ciao.- mi disse Dave. 
Aveva il cappuccio della felpa della Gators sulla testa, e mi stava sorridendo.
Finsi un sorriso sforzato e lo superai.
-Ehi,scusami!- lo sentii dire dietro di me, e sentii anche i suoi passi rimbombare mentre mi veniva incontro.
-Va tutto bene? Ogni volta che ti incontro rimani così e...volevo chiederti cos'è successo ieri al bar perchè io non..-
-Non preoccuparti davvero. Non centri tu. Sono io. Scusami ma sono in ritardo.- dissi.
-Aspetta, aspetta ti prego. Dimmi il tuo nome.- mi chiese.
Mi aspettavo di vedere arroganza o presunzione nel suo sguardo, ma l'unica cosa che vidi fu sincera curiosità.
Fu quello che mi spinse a dirglielo.
-Sono Emma.- dissi stringendogli la mano, cercando di non guardarlo negli occhi.
-Emma..- ripetè lui. -Io sono...-
-Dave.- conclusi io.
All'inizio sembró sorpreso ma poi fece un mezzo sorriso, conscio che la fama lo precedeva.
-È stato un piacere.- mi disse.
Mi accorsi che avevo ancora la mano nella sua.
-Sì..- risposi io incerta -Si, anche per me.- e me ne andai.
Mentre uscivo dalla porta sentii il suo sguardo trafiggermi da dietro, e i suoi occhi trafiggermi la mente.
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-E davvero ti ha detto così? 'È stato un piacere'? Cavolo, Em. Ti sei beccata Hudson già il primo giorno.- mi disse Andrea.
-Io non mi sono beccata proprio nessuno, se vuoi saperlo.- le risposi.
-Si si, certo. Contaci.- 
-Ha i suoi occhi, Andrea. Ogni volta che lo guardo vedo Nate.-mormorai.
Andrea mi fissó.
-Emma, lui non sa dove siamo. Non ne ha idea. Non ci troverà mai stando qui.- mi disse prendendomi la mano.
-È già riuscito a trovarmi una volta De. Non ci metterà molto a scoprire che sono qui.- sussurrai rassegnata.
-Ma a te piace? Dave intendo.- mi chiese.
-No. Assolutamente no. Non riesco nemmeno a guardarlo, mi vengono i brividi. E poi non sai cosa mi ha detto oggi Lindsday.- e mi lanciai in un discorso dettagliato.
Cercammo di indovinare cosa facesse Dave, ogni notte ma alla fine ci ritrovammo al punto di partenza. 
-Potresti scoprirlo. Alla fine ha mostrato un interesse per te e..-
-Lui non ha mostrato proprio un bel cavolo. E nemmeno io. Quindi lui procede con la sua vita, e io con la mia.- 
-Ma...-
-No, De. Non sono scappata da un ragazzo per trovarne un altro uguale.- le dissi inflessibile.
-Hai ragione, hai ragione. Comunque stasera vedo il ragazzo di ieri, quello del bar.- 
-Ma va!-
-Ti giuro. Si chiama Chase, e mi ha chiesto di portare anche te, visto che viene anche un suo amico.- 
-Andrea, io ho chiuso con i ragazzi.- le feci notare.
-Lo so, Emma ma ascolta. Non c'è bisogno che te lo sposi, ne' che ci tu esca insieme. Basta che vieni. -
La guardai diffidente.
-Io ti odio.- le dissi.
-Oh, ti prego ti prego ti prego...- disse mettendosi in ginocchio davanti a me.
-E va bene! Quando hai l'appuntamento?- cedetti.
-Ehm...- disse lei diventando rossa.
-Andrea Johnson quando hai l'appuntamento con Chase?- le dissi severa.
-Dieci minuti...- sussurró pronta ad una mia sfuriata.
-Cosa? Dieci minuti? Mi lasci dieci minuti per prepararmi?-
-Beh, non sapevo se dirtelo oggi oppure..-
-E tu sei pure già vestita! Sei una stronza Johnson, me ne ricorderó!- dissi chiudendomi in bagno.
Mi lavai i denti, e mi feci una doccia di un minuto senza lavare i capelli, che si sarebbero asciugati in tre ore minimo.
Mi buttai addosso un abitino blu fino alle ginocchia e mi venne un dubbio.
-Dove si va stasera?- le urlai.
-Al Twenty Seconds! Mettiti i tacchi!- strilló di rimando.
Misi dei tacchi blu scuro, in tinta con il vestito, e mi misi un minimo di mascara, per rendermi vagamente presentabile.
Scendemmo e salimmo in macchina.
Arrivammo in un quarto d'ora al locale, un posto chic ed esclusivo. Ogni cliente aveva per se' un tavolo separato dagli altri da una tendina.
-Come primo appuntamento ti porta al Twenty Seconds?- le chiesi scettica.
Lei scrolló le spalle.
Ci accolse una bionda impeccabile, con le labbra rosso fuoco.
-Buonasera. Siete attese?- ci chiese con vocina stridula.
-A nome Young.- rispose Andrea.
-Seconda tenda in fondo.- ci spiegó lei con un sorriso.
Arrivammo al tavolo e aprii la tenda e non riuscii a procedere oltre.
L'amico di Chase era Dave.
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Lei sorrise a Chase e si giró verso di me. Senza muovere la bocca, ma tenendo il sorriso a 32 denti aperto mi disse:
-Puoi crocefiggermi  dopo. Giuro non lo sapevo.- e poi si incamminó raggiungendo Chase.
Io le lanciai uno sguardo da 'non temere, sto pensando ad una morte lenta ed atroce' ma lei manco se ne accorse.
Dave mi guardava, un mezzo sorriso in volto,  curioso del fatto che non mi fossi ancora seduta.
Mi avvicinai con passo lento al tavolo.
-Buonasera, Em.- mi disse lui, rivolgendomi un sorriso sincero. 
-Ciao.- dissi io, molto sbrigativa.
-Emma, lui è Chase.- lo presentó Andrea.
Era un ragazzotto biondo, carino a modo suo, con una chiostra di denti, drittissimi bianchi e perfetti.
Gli strinsi la mano.
-È un piacere conoscerti.- gli dissi e lui fece lo stesso.
Andrea era su di giri.
-Ordiniamo da bere?- chiese.
Dave rispose:
-Certo. Tu cosa prendi Em?- mi chiese.
Io lo guardai.
-Da quando in qua mi chiami Em?- gli domandai, più sgarbata di quanto avessi voluto essere.
Gli altri si fermarono e mi fissarono.
-Da quando mi piace.- rispose lui semplicemente, con una scrollata di spalle
Ma a me poi cosa importava? Se gli piaceva Em, che mi chiamasse Em.
-Io prendo una birra.- risposi.
Gli altri presero il mio stesso.
-Mi scusi?- chiamó Dave.
La stessa ragazza bionda che aveva accolto me e Andrea arrivó in fretta e furia e appena vide Dave, si sistemó la camicetta più in basso in modo da far vedere un pezzo di reggiseno di pizzo nero.
Dave non lo notó neppure.
-4 birre per favore.- ordinó lui.
-Certo.- starnazzó lei e tornó da dove era venuta.
Soffocai una risata: mio Dio, cosa erano disposte a fare per i ragazzi.
-Allora...come trovate la Gators?- ci chiese Chase, interrompendo i miei pensieri.
Andrea rispose, ovviamente, per prima.
-Oh, fantastica. Oggi avevo fisica e il professor White non smetteva di fare quello strano tic agli occhi..mi dava i brividi.- disse lei sorridendo.
Chase scoppió in una sonora risata:
-Oh, ce l'ho anche io il professor White. È completamente scemo.- e rise di nuovo, seguito da Andrea.
-E tu che mi dici, Emma? Com'è stato il primo giorno?- si rivolse a me.
-Normale, direi. Sì, andava tutto bene finchè non sono andata in mensa.-
-Il casino?-
-Il cibo!- esclamai esasperata, e risero tutti.
-Non dico che dovrebbero preparare chissàcosa ma quella specie di zuppa/minestra con quei cosi e...bleah.- rabbrividii al solo pensiero. 
-Ah, la Verdona sì..terribile.- commentó Dave.
Arrivarono le birre, e presi un gran sorso della mia.
-Dove siete, come appartamento?- ci chiese Chase.
Non sapevo se era esattamente il caso di dirglielo, ma quando Andrea cominciava non si fermava più e raccontó tutto quello che era successo da quando eravamo arrivate.
-Vado un attimo fuori a fumare, se volete aspettarmi torno fra..-
-Vuoi che venga con te?- chiese Andrea, con gli occhioni scuri spalancati.
Che stronza. Voleva davvero lasciarmi li da sola con quello? 
Dì di no, Dì di no, Dì di no, Dì di no.
-Certo.- le sorrise Chase.
"Merda"
Sospirai, quando uscirono entrambi.
-Sei stanca Em?- mi chiese Dave.
Non so perchè ma ogni volta che diceva Em sentivo un brivido freddo corrermi lungo la schiena. Non so se fosse una buona o cattiva cosa. Optai per la cattiva.
-Abbastanza. Andrea mi ha tirato fuori di casa a calci.- spiegai.
Lui sorrise.
-Non volevi vedermi?- 
-Non volevo uscire, è diverso.- differenziai.
Lui fece un sorriso malizioso.
-Quindi ammetti che volevi vedermi.- disse.
Io lo guardai, e poggiai i gomiti sul tavolo.
-I tuoi giochini non attaccano, Dave.- gli dissi con un sorriso altezzoso.
-Non so di cosa stai parlando.- rispose, sorridendo ancora di più.
Alzai gli occhi al cielo, e bevvi un altro sorso di birra.
Lui fece lo stesso, e stemmo in silenzio per un po'.  
-Tu non sei della California, giusto?- mi chiese lui d'un tratto, e io sobbalzai.
-Come lo sai?- sibilai sospettosa.
Lui mi squadró a lungo e sospettai che pensasse di più di quello che disse, ma si limitó a replicare:
-L'accento.- e ricominció a bere.
-Tranquillo, non staró qui per molto.- dissi con un tono amaro, abbassando gli occhi.
Lui mi guardó spalancando gli occhi.
-Perc..-
-Non ci credo, Emma Bennet al Twenty Seconds!- sentii una voce dietro il nostro tavolo.
La faccia di Mike spuntava dalla tendina di velluto blu, e mi guardava con sguardo curioso. Quando notó Dave andó nella confusione più assoluta.
-Oh. Io non volevo..- balbettó.
-Figurati Mike, stiamo aspettando Chase e Andrea che sono usciti. Mi sono trovata qui per caso!- ammisi, anche se non era la completa verità.
Dave mi guardó in cagnesco, ma io feci finta di niente.
Mike si illuminó subito, sapendo che non era un appuntamento.
-Come stai, Emmy?- mi chiese.
-Emmy?- ripetè ridendo Dave. 
Mike diventó bordeux e io mi girai guardando furiosa Dave.
-Ti dispiace chiudere la bocca?- gli intimai.
Lui sorrise, e alzó le mani in segno di resa.
Mi rigirai verso Mike, mortificata dal comportamento di Dave.
-Abbastanza bene, anche se avrei voluto restare a casa stasera.- risposi con un sorriso.
Sbam. L'espressione di Dave era da fotografare.
-Oh bene. Io e un mio amico stiamo andando al Lime, vuoi fare un salto?- mi chiese.
Non era male come idea, ma non volevo andarci da sola, e soprattutto non volevo andarci con Mike. Sì, insomma, era simpatico ma lo conoscevo appena, e poi, anche se non mi era esattamente simpatico, non potevo lasciare Dave come terzo incomodo, il quale mi stava guardando aspettando la mia risposta.
-Mi piacerebbe tanto Mike, ma domani ho una lezione importante e devo ancora ripassare.- feci con un sorriso di scuse mentre quello di Mike si spegneva in fretta. 
-Oh, certo, capisco. Be', buona serata allora. Ci vediamo domani!- mi disse.
-Certamente.- e lo vidi scomparire.
Mi girai verso Dave, che stava sorridendo contento.
-Che hai tanto da sorridere?- gli chiesi sgarbata.
-La birra è buona.- rispose lui.
-Sì, come no.- 
In quel momento rientró Andrea, seguita da Chase che le fissava il sedere.
Dave scoppió a ridere, e anche io.
-Che c'è di tanto divertente?- chiese lei.
-Oh, nulla.- rispondemmo nello stesso istante io e Dave e stavolta furono loro a ridere.
-Be' Andrea, io direi che è il momento di andare.- decretai e mi alzai dal tavolo.
-Cosa? Stai scherzando? Siamo appena arrivate!- protestó lei, mettendo il broncio.
-Domani hai lezione di matematica e sai meno di zero.- replicai.
Non volevo guastarle la serata, ma avevo davvero bisogno di andare. Stavo per addormentarmi, e poi non volevo stare ancora vicino a Dave. Non volevo rivedere i suoi occhi per un po'.
-Senti, tu vai e ci penso io a riaccompagnare Andrea.- disse Chase.
Lei si giró sorpresa e lo guardó.
-Che carino...grazie.- disse lei.
Io alzai gli occhi al cielo e dissi:
-Va bene. Chase, non farla ubriacare. Ho promesso a sua madre che mi sarei presa cura di lei.- sorrisi e lui scoppió ancora nella sua poderosa risata. 
-Certo, Emma. Non preoccuparti.-  
Mi girai per andarmene quando sentii la voce di Dave.
-Ti accompagno.- 
-So guidare.- replicai stizzita.
-Fino alla macchina.- negozió. 
Alzai le spalle, come se il fatto non mi toccasse ma mi toccava eccome: quel ragazzo doveva uscire dalla mia vita. E così non mi aiutava affatto.
Rimanemmo in silenzio fino all'auto, presi le chiavi e prima che potessi aprire la portiera, lo fece lui al posto mio.
-Grazie.- dissi sbrigativa mentre saltavo su in macchina.
Lui si appoggió con i gomiti sul finestrino abbassato, e io non volli guardarlo negli occhi. Non ce la facevo proprio.
-Ci vediamo domani.- mi disse.
Io annuii, pur sapendo che lo avrei evitato come la peste.
Infilai le chiavi e sentii il motore accedersi.
-Tu mi nascondi qualcosa, Emma Bennet.- 
Lo guardai solamente perchè dovevo.
-Vogliamo parlare di dove vai di notte, tu?- gli chiesi.
Serró la mascella e lo sguardo diventó di ghiaccio.
-Tu non mi conosci.- rispose, coi denti stretti.
-Nemmeno tu.- replicai.
-Ma lo scopriró. Fare la stronza non ti aiuterà- sussurró.
Io mi girai, e guardai davanti a me.
-Buona fortuna, bastardo.- e partii, sentendolo ridere da lontano.
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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***


Alla bellezza delle quattro e mezza di notte, Andrea fu riaccompagnata a casa da Chase.
Sentii la voce della mia amica, e una maschile, che entravano sferragliando le chiavi in soggiorno.
Io era da mezzanotte che ero già bella che andata e non avevo molta voglia di essere risvegliata nel bel mezzo del mio sonno: insomma, avevo pure il diritto di riposare?
Ma figuriamoci se importava ad Andrea.
-Aah, che carini gli unicorni. - cominció con un tono di voce di un'ottava più alta del solito. -Mia madre mi diceva sempre che me ne avrebbe comprato uno per il mio compleanno.- concluse così triste che anche senza vederla Emma capii che stava facendo il broncio.
Era inconfutabilmente ubriaca, e lì per lì me la presi con Chase: insomma, l'avevo pregato di non farla bere troppo e cosa mi ritrovavo?
Un' Andrea sbronza che diceva di amare dei cavalli fatati a quattro ore dalla sveglia.
Ecco cosa succedeva a lasciarla sola e, per di più, con un ragazzo.
Decisi di alzarmi, nella mia tenuta da notte che avrebbe spaventato chiunque: un paio di pantaloni enormi grigi della tuta, e una maglietta degli Yankees logora.  
Uscii dalla camera da letto e mi diressi verso il salotto, ma quello che pensavo fosse essere Chase non lo era affatto.
-Dave?- esclamai stupida e assonnata, ancora mezza persa nel mondo dei sogni.
-Vuoi aiutarmi o no?- mi chiese lui.
Non era di buon umore.
Stava tenendo Andrea con un braccio, la quale continuava a cercare di a dare verso la finestra per raggiungere 'Peggy L'unicorno Arcobaleno'.
-Okay, okay, Andrea? Guardami. Adesso andiamo a letto, capito?- le chiesi con calma mentre mi avvicinavo e la sfilavo dalla stretta forte e sicura di Dave.
-Ma Peggy...- cominció lei davvero dispiaciuta.
-Peggy sarà qui domani mattina ad aspettarti.- continuai io.
Riuscii finalmente a sbattere Andrea sul letto, le tolsi la giacca e le tirai su le coperte. In trenta secondi era già addormentata.
Tornai in salotto senza sapere davvero cosa aggiungere, quando mi accorsi di essere infuriata con Chase e Dave, e mi ricordai anche della discussione che avevo avuto con lui.
Lui mi stava fissando con una strana espressione in volto, e mi scrutó attentamente dall'alto in basso.
Non potei che sentirmi in imbarazzo: già dovevo avere una faccia terrificante,essendomi svegliata nel cuore della notte, se poi ci si metteva anche lui col mio outfit...
-Yankees?- chiese semplicemente dopo l'accurato esame, alzando un sopracciglio.
Alzai le spalle.
-Mio padre era del Bronx.- mi giustificai.
-Capisco.- disse e seguì un silenzio imbarazzato, dove io mi guardavo i piedi per non dover fissarlo in viso.
-Grazie per ehm...aver riportato qui Andrea.- dissi infine, con tono incerto, non riuscendo più a sopportare l'atmosfera che si era creata.
-Figurati.- mi disse, ma non accennó ad un sorriso e non cambio nemmeno il tono di voce: rimase infessibile, con gli occhi ancora puntati su di me.
Sembrava completamente un'altra persona da quando lo avevo salutato al bar, andandomene con la sua risata nella mente.
Capii che non era molto loquace, e sinceramente non lo biasimai: si era fatto tutta la strada dal Twenty al nostro appartamento con Andrea andata sul sedile di dietro.
Ma allora...
-Chase?- chiesi, dando voce ai miei pensieri.
-Ubriaco peggio di Lily. Sono andato via per un paio di ore e quando sono tornata li ho trovati così.- aggiunse, con un'enorme nota di disappunto, ma non fu quello la cosa che mi rimase impressa nella mente.
'Sono andato via per un paio d'ore'.
Ecco, ora l'aveva detto apertamente e forse non se ne era nemmeno accorto, ma io sì.
Dove andava Dave Hudson, il ragazzo più desiderato e invidiato della Gators di notte?
Avrei benissimo potuto rifargli la domanda che gli avevo posto davanti al locale, mente ero in auto ma ricordavo ancora l'espressione con cui mi aveva guardato.
E non volevo rivederla.
-Va tutto bene? Posso offrirti qualcosa da bere?- chiesi più che per gentilezza che per altro, perchè non sapevo cosa fare alla vista di Dave così spento nel mio salotto.
-No.- rispose secco -devo andare. Non c'è tempo.- 
Nessun grazie, nessun 'non ti preoccupare'.
A quel punto il mio obiettivo di non ritornare a sfidarlo si fece in frantumi.
-Vedo che anche la tua educazione 'non c'è'.- replicai secca.
Stavolta ci fu uno scintillio divertito nei suoi occhi.
-Ci vediamo, Yankee.- mi salutó, stavolta con un sorriso triste mentre usciva dalla porta, lasciandomi in salotto con la mia maglietta consunta e un migliaio di domande.
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-Buongiorno signorina Bennet, come sta andando la sua giornata oggi?- mi chiese Mike appena arrivai in  mensa, e mi sedetti con il mio vassoio al tavolo.
C'erano Lindsday e Robin, Andrea e Mike.
-Tutto bene, per ora. Solo perchè non ho ancora assaggiato cosa ci sia qui dentro!- scherzai, esaminando la mia ciotola con dentro una purea marroncina/beige.
-Voi, come va?- chiesi, mentre cercavo di mandar giù una brioche salata.
-A posto. White oggi era abbastanza normale.- rispose Andrea masticando.
Mi venne in mente che Lindsday mi aveva accennato ad un esame, quel giorno quindi le domandai:
-Lindsday! Il tuo esame?- 
Lei si illuminó di un sorriso, poi subito mascherato da un'espressione modesta.
-Abbastanza bene, grazie.- rispose lei con gli occhi sul suo vassoio.
Quasi Andrea si strozzó.
-Abbastanza bene?! Ha consegnato un quarto d'ora prima e c'era scritto tutto!- esclamó.
Lindsday era così: modesta da far spavento.
-E il tuo Andrea? Eri con lei a lezione quindi.- disse Robin.
-Niente test. "La nuova arrivata a bisogno di ambientarsi"- disse imitando il professor White nell'ultima frase.
Scoppiai a ridere, e mi concentrai sul cibo, se si poteva lontanamente chiamare così e passarono diversi minuti in silenzio, mentre Lindsday ripeteva con Robin a bassa voce, per la lezione di medicina.
-Buongiorno, Yankee.- disse una voce dietro di me, e sentii un capellino con la visiera calarmi in testa.
Mi girai e fissai Dave sotto gli sguardi attoniti del mio tavolo. Mi guardai intorno: scherzavo, di tutta la mensa.
-Vedo che sei di buon umore, oggi.- replicai, togliendomi il cappellino e rimettendoglielo in testa al contrario, lasciando la visiera dietro.
Ero frastornata dal suo cambio d'umore: otto ore prima mi aveva squadrato e risposto male nel mio salotto, ora sembrava un altro ragazzo.
-Come sempre.- rispose, e si sedette in un posto vuoto alla destra di Andrea. 
Gli altri lo fissavano a disagio, come a chiedersi perchè Dave Hudson si era messo vicino a loro.
Tutti tranne Andrea, la quale sia lo conosceva e sia si stava riprendendo dai postumi della sbornia, quindi il fatto che Dave fosse arrivato così all'improvviso non la turbava più di tanto.
-Ehm..ragazzi lui è Dave.- lo presentai, pur sapendo che ognuno dei presenti sapeva la sua vita morte e miracoli.
Lindsday e Robin furono i primi a riprendersi, mentre Mike se ne stava lì a bocca aperta.
Gli tirai una gomitata nelle costole, e alla fine ebbe l'ottima idea di chiuderla.
 Dave sembrava a proprio agio, e non riuscii a cogliere la parte di tristezza e amarezza che occupavano sempre i suoi occhi.
Anche se non dovrei dirlo, ne rimasi un po' delusa.
Non che mi facesse piacere vederlo soffrire, anzi, ma quando vedevo il dolore nei suoi occhi lo sentivo più uguale a me, più simile.
-Be', noi dobbiamo proprio andare. È stato bello conoscerti, Dave.- disse Lindsday, gentile, tirando su Robin dal suo posto.
-Ci vediamo Emma.- mi salutarono, uscendo.
Mentre Dave piluccava del cibo dal suo vassoio, Andrea gli chiese:
-Hai visto Chase, Dave?- 
Lui era come se si fosse risvegliato da un sogno, e la guardó a lungo sgranando gli occhi prima di risponderle.
-Oh, certo, Chase. Sì, mi pare sia in aula informatica ma doveva uscire un paio di minuti fa.- le rispose velocemente.
Lei annuì.
-Allora io vado. Ci vediamo dopo.- disse allontanandosi. 
Quando vide che Mike non si schiodava dal suo posto, si fermó fissandolo.
-Mike.- lo chiamó.
Lui ci fissava con gli occhi sgranati.
-Mike!- esplose una seconda volta, tirandolo per la maglietta.
-Ei, ei cosa c'è?! Cos'ho fatto?- si dimenó, ma Andrea era piuttosto forte e riuscì a trascinarlo fuori dalla mensa.
Prima di sparire dietro l'angolo, agitó una mano nella mia direzione e urló:
-Ci vediamo dopo, allora, Emmy?- ma non potei rispondergli, visto che Andrea andava come un razzo.
Dave scoppió in una breve risata.
-Tipo strano.- affermó.
-Direi di sì.- confermai.
-Che ha un debole per te.- disse lui, sempre col sorriso, anche se non era un sorriso che veniva dall'anima.
-Assolutamente no!- esclamai subito stizzita, anche se poi mi accorsi di quanto sembrasse stupida la mia protesta.
-Si, come no.- replicó lui, sollevando un angolo della bocca.
Mi ritrovai subito scocciata: insomma, che diritto aveva Dave di venire al MIO tavolo, mandare via i MIEI amici, e farmi sentire sempre così arrabbiata con lui nei dintorni.
Okay, forse non era esattamente colpa sua se se n'erano andati gli altri, ma fatto sta che non c'erano più e la cosa non mi andava giù completamente.
Raccattai le mie cose, e mi girai.
-Be', goditi il tuo pranzo.- gli dissi. 
Lui mi afferró per un polso, e sentii una scossa propagarsi fino all'inizio del braccio.
Era la seconda volta che succedeva.
-Tu non stai qui?- chiese con gli occhi sgranati.
'Non guardare, non guardare', ma puntualmente mi ritrovai a soffocare dentro quel verde e marrone.
-Ho lezione.- mentii.
-Non è vero, te ne vai perchè non vuoi stare qui con me.- sentenzió.
Io diventai bordeux mentre la rabbia saliva sempre più.
-Si, come no.- ripetei la sua stessa frase, mettendoci così tanto veleno che mi lasció andare e io proseguii verso la mia aula senza voltarmi nemmeno una volta.
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-Emmaa, è finita la pasta- mi gridó Andrea dalla cucina, mentre io ero sotto la doccia.
-Valla a comprare!- le urlai di rimando.
-Non ho voglia.- mi rispose secca.
Sbuffai. Quella ragazza sapeva solo dormire e ubriacarsi.
Risciacquai i capelli dal balsamo e me li asciugai in fretta, cercando di domare le onde color miele che puntualmente erano un groviglio di nodi.
Dovevo ammettere che peró si erano allungati: adesso arrivavano ben oltre il seno.
Avrei proprio dovuto tagliarli.
-Cibooo.- si lagnó Andrea.
Uscii come una furia, mettendo su un paio di jeans.
-Sei una rompipalle Andrea, hai capito? Sono le undici e mezza e mi fai andare al supermercato?- le chiesi scettica mentre afferravo la mia immancabile borsa nera di pelle.
-Ti preego.- disse lei, mettendo le mani insieme come a pregare.
-Si si, ci vado! Ma la prossima volta vai tu.- le ordinai guardandola severa.
-Promesso!- disse lei, e riprese a guardare la televisione.
Alzai gli occhi al cielo e uscii sbattendo la porta. 
Quasi mi spaventai dal buio che c'era:  mi vennero i brividi dal freddo, ma era effettivamente tardi, e pregai che quel maledetto supermercato fosse ancora aperto.
Saltai su in macchina come una furia, ripromettendomi di fare alla svelta, ma il minuscolo supermarket non era molto distante da casa nostra. 
Svoltai a destra lungo la St.Andrew, e girai alla rotonda: non era distante, era vero, ma era in una zona pessima, distanziata da qualsiasi altra struttura.
Si trovava al confine con una vecchia caserma, che aveva un prato enorme davanti, un prato ormai dalle altissime spighe giallognole incolte.
Rabbrividii ancora uscendo dalla macchina, e mi diressi verso l'entrata quando due mani mi spinsero indietro fino a farmi sbattere contro l'auto.
Un dolore acuto mi pervasela schiena.
Cercai di scrutare il mio aggressore, ma l'unica cosa che vedevo era il buio. 
Sentivo solo un forte odore, che impregnava l'aria: alcol.
Cercai di divincolarmi ma quella stretta era forte.
-Non cercare di scappare, bambolina.- disse l'uomo che mi stava trattenendo, inondando l'aria dell'acre odore di liquore.
Dalla voce non era una persona anziana che parlava, ma anzi: piano piano, abituandomi al buio, riuscivo a scorgere i tratti del suo viso.
Non aveva più di venticinque anni.
-Lasciami andare.- sibilai, cercando ancora una volta di staccarmi da lui.
-Ehi, John.- disse un'altra voce, altrettanto giovane.
-Chi hai beccato, eh? Buona zona questa.- continuó.
Repressi una sensazione di disgusto. 
Continuare così non avrebbe portato a nulla anzi, sentivo il complice avvicinarsi, ma c'era una parte che l'uomo non mi aveva immobilizzato. Le gambe.
Tirai con quanta più forza avevo un calcio all'inguine dell'uomo, che si piegó su se' stesso imprecando, ma lasciandomi finalmente libera.
Continuai a correre, inciampando sui miei stessi piedi, finchè due mani non mi trovarono ancora. 
'No.' pensai quasi piangendo 'basta'.
-Dove credi di andare eh? Adesso sei qui con noi.- disse il complice, e cominció a cercare di spogliarmi con forza e velocità, e ringrazia la buona stella che mi aveva fatto propendere per i pantaloni.
Sentivo l'uomo che mi aveva aggredita prima avvicinarsi ancora.
Stavo tremando.
Gridare. Dovevo gridare. È quello che ti insegnano fin da quando sei piccolo. Grida e arriverà aiuto. Ma quale aiuto poteva mai arrivarmi? Ero sola, in un posto sperduto.
E poi non ero mai stata brava a gridare. Avrei dovuto gridare alla prima sberla di Nate. Eppure non l'avevo fatto. Avrei dovuto gridare alla prima cicatrice. Avrei dovuto.
Ma non l'avevo mai fatto.
Sentivo quelle mani corrermi sul corpo, e volevo fuggire, scappare: avevo ancora addosso i jeans almeno.
-Aiuto! Aiutatemi!- gridai, in preda al panico, cercando di tirar fuori che avevo.
Niente. Nessuno rispose.
Era finita.
-Emma?- 
Quella voce mi arrivó da lontano, come fossi in un sogno.
-Emma?!!- 
Da lì non capii più nulla: mi trovai improvvisamente libera, anche se continuavo a sentire quelle mani su di me, quelle parole nella mia testa. 
"Buona zona questa".
Il primo che mi aveva aggredita cadde a terra, dopo che un pugno l'aveva steso.
"Non cercare di scappare."
Un calcio mise in difficoltà anche l'altro ragazzo ma quello non mollava. 
"Bambolina"
Non vedevo bene chi fosse il mio salvatore ma se anche gli occhi non capivano, la testa diceva tutt'altro.
-Dave.- mi sfuggì in un sussurro.
Il ragazzo tentó di scappare, ma Dave lo riafferró per la maglietta e gli tiró una gomitata, poi con un calcio lo spinse a due metri di distanza.
Quello prese per la maglietta John, il ragazzo che mi aveva spinto contro l'auto, e cominció a tirarlo finchè non si riprese dal pugno.
Scapparono velocemente dal posto, e in dieci secondi non si vedevano già più.
-Em, dio mio, Emma.- disse Dave avvicinandosi.
Ora riuscivo a vederlo bene in volto: la mascella scolpita, il contorno del viso, gli occhi.. Due occhi sconvolti dal terrore e da una preoccupazione folle.
Mi lanciai nelle sue braccia, senza neanche pensare a cosa stessi facendo, affondando il viso nella sua clavicola, il punto più alto dove potevo arrivare.
Lui mi strinse forte, così forte da sentire ogni singolo nervo e ogni singolo muscolo tendersi sotto la sua pelle.
In quel momento era lì che volevo stare.
Era lì che mi sentivo al sicuro.
Sentivo onde di calore propagarsi in tutto il corpo, come se solo toccare la sua pelle bollente mi avesse fatto dimenticare il freddo glaciale che c'era quella sera.
Un attimo dopo mi domandai cosa stavo facendo: ero fra le braccia di un ragazzo che conoscevo appena.
Mi tirai indietro.
-M-mi dispiace.- balbettai.
Lui mi guardó con un'espressione cupa.
-Stai bene?- mi chiese soltanto.
Fece di sì con la testa, anche se il resto faceva pensare al contrario.
Strinse la mascella.
-Dimmi che non ti hanno fatto niente, Emma. Ti prego.- disse, con gli occhi che mandavano lampi.
Faceva quasi paura.
-N-no, ma..quasi.- risposi, non riuscendo a trovare parole migliori.
Digrignó i denti, e si irrigì, ergendosi ancora di più nella sua statura già alta.
-Giuro che li ammazzo. Io li ammazzo.- disse, scandendo ogni lettera piano.
Fece per girarsi, ma io mi lanciai verso di lui.
-No, ti prego Dave. Resta.- lo pregai.
Lui mi guardó, e ancora mi spaventai da quel mare verde in tempesta.
-Non ce la faccio, Em. Devo prenderli.- rispose a denti stretti.
Capii che l'unica carta che potevo giocarmi era quella della paura: non dico che non ne avevo neanche un po', ma ero una tipa che sapeva badare a se' stessa; eppure se quello era il solo modo per non farlo andare via, non mi sarei trattenuta.
-Dave,non voglio stare qui da sola. Per favore. Ho paura.- lo supplicai, pregando di risultare convincente.
Quando i suoi occhi addolcirsi capii di avere fatto centro.
Mi abbracció ancora a lungo, e poi mi lasció andare. 
Passato lo shock iniziale, cominciai a pormi le domande: cosa ci faceva lì Dave? Era un caso? Oppure una delle sue uscite notturne?
Appena stavo per dar voce a una di quelle domande, sentimmo una voce provenire dalla parte opposta della strada.
Erano in cinque.
-Ma guarda chi c'è!- disse uno.
-Dave Hudson in persona.- lo schernì un altro.
-Vieni qui, Hudson, Budd vuol vederti.- ordinó un terzo.
Mi girai e lo vidi irrigidirsi, il volto adombrarsi e lo sguardo farsi distante.
-Scappa.- sussurró.
Io riuscii solo a rimanere immobile.
Quei cinque ragazzi stavano ora attraversando la strada: non avevo idea di chi fosse Budd, del perchè quei ragazzi volessero prenderlo e sono sicura, non per fare una passeggiatina insieme.
Ma una cosa la sapevo: non lo avrei mai lasciato lì. Mai.
-Scappa, Emma, maledizione.- ripetè alzando il tono di voce, prendendomi per mano e portandomi dietro ad un'auto.
-Che fai scappi? Coniglio!- gli gridó uno di quei ragazzi, e mi spaventai da quanto la voce fosse vicina.
-Non ti lascio qui da solo con quelli.- 
affermai decisa.
Lui scosse il capo.
-So badare a me stesso.- replicó trafiggendomi.
-Non m'importa. Non me ne vado senza di te.- aggiunsi, più decisa che mai.
Lui si guardó intorno, senza sapere cosa fare: alla fine il suo sguardo si posó su di me, e mi prese per un braccio.
Si fece strada dietro la fila di auto parcheggiate, fermandosi ogni volta che c'era uno spazio vuoto fra due.
Arrivammo all'inizio della rete che delimitava il campo militare in disuso.
Non ho idea di come facesse a saperlo, ma trovammo un buco in quella spessa recinzione.
-Entra, veloce.- mi intimó, e io mi ritrovai a correre dentro quel campo con Dave dietro, mentre i cinque alzavano la voce, cercando di capire dove fossimo.
Finimmo dietro ad un albero, abbastanza grande perchè il tronco nascondesse entrambi: io mi misi con la schiena appoggiata alla corteccia, mentre Dave era davanti a me, con le braccia appoggiate ai lati della mia faccia.
Eravamo così vicini che sentivo il suo cuore battere.
Sentivo le voci di quei ragazzi, che continuavano a chiamarlo, e lo sentivo irrigidirsi ogni volta che il suo nome veniva associato a 'vigliacco' o 'coniglio'.
Alla fine le voci si spensero, e io feci un lungo respiro, imitata da Dave.
Alzai lo sguardo; lui mi fissava.
-Un giorno dovrai spiegarmi.- gli dissi, muovendo appena le labbra.
Ero ancora sconvolta: l'aggressione davanti al supermercato, il suo arrivo, quello dei cinque uomini.
Morivo dalla voglia di sapere cosa ci faceva li, in quel momento, e ringraziai il cielo che lui fosse stato in quel posto, in quel momento.
-Cosa ci facevi lì da sola?- mi chiese, staccandosi dall'albero, con la voce così severa che quasi mi sentii in colpa.
-Stavo andando a comprare...- 
-E ti sembrava il caso? Ti sembrava una cosa ragionevole andare in un posto nascosto come questo a mezzanotte?- quasi mi gridó contro.
-Stai scherzando?- esclamai -Avevamo finito tutto a casa, non posso neanche andare a fare la spesa adesso?- 
-Non in un posto del genere, non a quest'ora- mi rispose lui, gelido.
-Va bene, dato che stiamo giudicando tutto quello che faccio, vogliamo parlare di cosa ci stavi facendo tu lì?- sbottai, infuriata.
-Sono affari miei.- si mise sulla difensiva.
-Oh certo, mi sembra giusto: io non posso uscire per comprare una maledettissima confezione di pasta che devo renderne conto al mondo, e tu non mi dici cosa stavi facendo?- 
Lui si limitó a fissarmi, e non rispose.
-Non ho parole.- e me ne andai. 
Riuscii ad arrivare alla mia macchina prima che la sua mano si chiudesse sul mio polso.
-Mollami Dave. Voglio andare a casa.- sibilai furiosa.
-Non ti lascio andare da sola.- mi rispose, ancorando i suoi occhi ai miei.
-Io faccio quello che mi pare, almeno finchè tu non mi dirai cosa stavi facendo, e perchè stavi passando di lì.- mi difesi, e con uno strattone entrai in auto.
Accesi il motore.
-Sei troppo scossa per guidare. Fammi salire.- mi ordinó, aprendo la portiera e mettendosi al mio posto, facendomi slittare sull'altro sedile.
Ero così arrabbiata che non sarei riuscita a formulare una frase pungente nemmeno a volerlo, quindi mi affidai al caro e vecchio:
-Vaffanculo, Dave. Vaf-fan-cu-lo.- e incrociai le braccia al petto.
Lui non disse nulla, ma fece retromarcia e si guardó intorno a lungo prima di uscire dal parcheggio: alla fine partì.
Io guardai fuori dal finestro, troppo furiosa per parlare: solo quando alla rotonda uscì a destra lo fermai.
-Casa mia è di là.- lo informai seccamente.
-Stiamo andando a casa mia.- ribatte' tranquillissimo.
-Stai scherzando? Devo andare a casa, Dave. C'è Andrea che mi aspetta e...-
-Non mi interessa, in queste condizioni tu non guidi.- ripete' ancora e a quel punto mollai la spugna. Non avrebbe cambiato idea per nulla al mondo, quindi era inutile insistere. 
Ecco, il Dave scontroso era tornato.
Arrivammo davanti ad un piccolo appartamento al secondo piano, in una zona non molto distante da quel supermercato.
Scesi senza dire una parola, e lasciai che mi mostrasse dove andare.
Salimmo le scale in silenzio, e poi tiró fuori un mazzo di chiavi dalla tasca e con quella aprì la porta: casa sua era molto più grande della nostra, avrà avuto almeno il doppio dello spazio.
Sentii il telefono vibrare nella mia borsa ma quando riuscii ad afferrarlo la chiamata era già finita. Come mi aspettavo, era di Andrea.
-Vuoi qualcosa da bere?- mi chiese con voce monocorde.
La cosa che mi serviva dopo una nottata del genere era una sola: alcol.
-Una birra?- 
Lui sorrise leggermente, ma era ancora un sorriso teso, e ne tiró fuori due ghiacciate dal frigorifero.
-Siediti.- mi ordinó.
-Sto bene in piedi.- replicai.
Lui mi guardó con disapprovazione:
-Emma, potresti per favore essere una persona cordiale e gentile per cinque minuti?
Strabuzzai gli occhi.
-Mi hai appena impedito di andare a casa mia, vuoi forse un ringraziamento con sigillo?- 
Gli brillarono gli occhi, e si sedette.
Bevemmo in silenzio, e alla fine mi accomodai sul divano, più per la stanchezza che per altro.
Lui continuava a fissarmi.
-Cosa c'è?- sbottai.
Lui alzó le spalle.
-Mi chiedo come fai ad essere così tranquilla.- rispose.
-Tu non hai idea di cosa ho passato.- dissi semplicemente, sentendo subito irrigidirmi.
Alla fine lo guardai: probabilmente gli dovevo una spiegazione in più ma non volevo dirgli nulla di troppo specifico sulla mia vita in Arizona.
-Sto cercando di scappare dal mio passato.-
-Io lo sto cercando invece.- mi disse lui.
Quella sua confessione mi sorprese: stava cominciando a dire qualcosa su di lui.
-Pensa se non ci fossi stato. Pensa se non fossi passato di lì in quel momento. Cosa faresti adesso? Cosa saresti adesso?- mi chiese con voce tremante, e vidi il suo sguardo ardere.
Scossi il capo.
-Non lo so, Dave.- e in quel momento mi resi conto che da quando mi aveva salvato non avevo fatto altro che sbraitargli contro.
Ma se lui non fosse intervenuto non so cosa sarebbe potuto succedere. Quell'eventualità mi fece aprire gli occhi, e mi fece vedere quanto stupida e ingrata fossi stata.
-Ti devo ringraziare, Dave. I-io non ho parole, davvero non so come dirtelo, mi hai salvata.-  articolai.
Il suo sguardo si addolcì.
-Solo...- si interruppe e lasció andare un respiro tremante, come fosse così teso da non sapere proseguire la frase.
-Non riesco a concepire che ti succeda qualcosa. Non chiedermi perchè ma è così. È come una sensazione.- mi spiegó, e sentii una stretta al cuore con quelle parole.
Allungai una braccio, e gli sfiorai la mano: non fui stupita quando sentii il solito tremolio ogni volta che ci toccavamo.
Lui alzó i suoi grandi occhi verdi su di me, spalancati e stupiti da quel gesto.
Tutt'un tratto mi ricordai della chiamata di Andrea, e ritirai la mano, cercando il cellulare.
-Torno subito.- dissi alzandomi.
-Dove vai?- chiese subito lui.
Sbuffai, un po' divertita.
-Sulle scale Dave, non sto scappando.- 
Lui annuì e io trattenni una risata.
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-Già fatto?- mi chiese mentre rientrai in casa, col cellulare in mano.
Rimasi un attimo interdetta alla vista: c'era Dave senza nulla addosso, coi capelli e pelle bagnati, tranne che un asciugamano bianco legato in vita.
Ebbi l'idea deficiente di contare i cubi accennati della sua tartaruga, ma non scolpitissimi, e ancora adesso non mi spiego il perchè.
Probabilmente ero rimasta a fissarlo più del dovuto, e mi schiarii la voce in imbarazzo.
-Si si, l'ho chiamata. Le ho detto che ti ho incontrato casualmente e che ora siamo ancora in un bar della città.- 
Lui annuì e notai che aveva un labbro spaccato sicuramente provocato da uno dei miei aggressori.
Mi avvicinai, e ancor prima di sapere cosa stessi facendo, allungai una mano e gli toccai la ferita, un taglio rosso sul labbro.
-Ti hanno fatto male.- constatai. 
Lui mi prese la mano e la strinse fra le sue.
-Sei gelida.- disse cambiando argomento.
Alzai gli occhi al cielo.
-Dave hai un labbro rotto: ti vado a prendere del ghiaccio.- dissi.
Lui mi fermó, guardandomi negli occhi.
-Ci credi se ti dico che non è niente? Fidati di me, passerà presto.- 
Lo guardai storto, disapprovando, ma lasciai perdere; una cosa l'avevo sicuramente imparata: impossibile far cambiare idea a Dave. Qualsiasi cosa tu possa dire, lui farà di testa sua.
-Sei un testardo.- gli dissi, spingendolo via scherzando.
-Devi farti la doccia?- mi chiese, sorridendo.
-No, Dave.- dissi, con lo stesso tono con cui si spiega ad un bambino cosa si fa e non si fa. -Adesso vado a casa e non puoi trattenermi: c'è Andrea che mi aspetta e ho tutta la roba per lezione domani.- 
Lui fece per ribattere, ma io lo fermai in anticipo.
-Ci vediamo domani, e vedi di non farti ammazzare.- gli intimai, prendendo la borsa.
Lui sbuffó in risposta, mentre io arrivavo alla porta e la aprivo.
-Anche tu: cerca di restare in casa fino a domattina.- 
-Lo faró.- replicai.
-Si, come no.- disse lui con un sorriso complice.
Sembrava essere diventata la nostra frase di rito: 'sì, come no'.
Ormai era quasi fuori da casa sua, quando  in un attimo il suo sorriso si spense e sul suo viso comparve un'aria seria e tormentata, ma sincera.
-Sai Emma, starei lontano dai guai soltanto per poterti salvare ancora.
Per poter essere il 'principe azzurro' che viene in tuo aiuto- 
-Chi ti dice che non lo sei?- 
Quelle parole erano completamente uscite da sole. Non ricordo l'istante in cui le avevo pensate, e men che meno quello dove avevo deciso di dirle, ma fatto sta che l'avevo fatto.
Lui scosse la testa.
-Appena scoprirai cosa sono non rimarrai un minuto di più.- 
-Non mi conosci.-ribattei, indignata. 
-E io ti auguro di non conoscere me.- 
Non era una frase cattiva, era un avvertimento.
Ma lo sapevo, era un avvertimento che non avrei rispettato.
Un'altra regola che avrei rotto.
A quelle parole non seppi ribattere, riuscii solo a guardare quegli occhi del mare e ad uscire da lì.
________________________________________





Angolo:
Questo capitolo è piuttosto lunghetto, e accadono 1239 cose, ma volevo che ci fosse un po' di 'azione', se possiamo chiamarla così.
Non si sa ancora nulla sul passato di Dave, anche se con la sua 'io sto cercando il mio passato' possiamo comunque immaginare qualcosa.
Abbiamo visto diverse facce di Dave, diversi comportamenti, quasi diverse persone, che scombussolano Emma.
Due persone con un passato da trovare e da scordare. 
Cosa faranno insieme, due persone così?
Al prossimo capitolo, ditemi cosa ne pensate.
Un bacione grande,
Kveykva

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***


~Dave~

Quando la vidi rivolgermi uno sguardo tormentato e andare via, mi diedi del deficiente da solo.
Ecco, ce l'avevo fatta a spaventarla: sarebbe stata solo questione di tempo.
Tirai un calcio alla porta, nella quale si formó un lieve solco, e imprecai.
Il peggio era che ancora non aveva scoperto il mio segreto, i miei segreti.
Le avevo dato soltanto un avvertimento, ma era una ragazza intelligente: le era bastato.
Controllai l'orario: l'una e dieci. 
Ero in ritardo: mi buttai addosso la prima maglietta che vidi e uscii di casa, mentre ancora pensavo ad Emma.
La cosa si stava evolvendo, e non andava assolutamente bene. 
Era per questo che non uscivo mai con le ragazze, non mi fidanzavo mai, non ci tenevo neppure a conoscerle. Perchè ero il ragazzo sbagliato, per tutte. Quello che facevo, o meglio che ero obbligato a fare, mi avrebbe divorato ed era già sulla buona strada per farlo. Avrei trascinato giù anche lei con me, e io non potevo permetterlo.
Sembrava una ragazza indifesa, che stava sempre sulle sue, ma a guardarla negli occhi ci si accorgeva di tutt'altro: era esattamente come me.
Era divisa in due: la combattente, e la parte rotta. La parte ferita, stracciata, buttata via.
Era questo che vedevo la maggior parte delle volte in lei. Ed era questo che mi aveva portato ad interessarmi a lei molto più del dovuto. Avrei voluto sapere il suo passato, cosa l'aveva resa tanto simile a me. Cosa l'aveva rotta. Ma anche cosa l'aveva accesa.
Stavo guidando come un pazzo per cercare si arrivare in tempo, ma oramai ero già fuori orario di parecchi minuti: sembra un ritardo da poco, ma sapevo che Lerry me l'avrebbe fatta pesare. Lo faceva sempre.
Quando arrivai dove volevo, ovvero davanti al piccolo negozio di souvenir sulla settima, frenai di colpo e accostai con un parcheggio terribile a lato della strada.
Quasi mi investirono quando attraversai correndo, ma non avevo altri minuti da sprecare.
Entrai come una furia, facendo sbattere i campanellini appesi alla porta come se fosse appena passato un tornado.
La voce di Sam, il proprietario di quel buco lurido, cominció ad urlare. 
Era un uomo con pochi capelli in testa, tenuti insieme da gel e brillantina, sulla quarantina, in sovrappeso, tanto che la sedia su cui stava seduto giorno e notte faticava a tenerlo su.
C'era di mezzo uno scaffale pieno di miniature della Gators, che per non so quale ragione i turisti compravano, e quindi non riusciva ancora a vedermi.
-È chiuso! Ei, mi scusi, ma il negozio ora è...-
Appena superai quello scaffale e Sam mi vide in faccia, sgranó gli occhi ma si ricompose subito.
-Oh..Dave, non sapevo fossi tu, scusa tanto ma..-
-Da quanto sono lì?- tagliai corto, appoggiando le mani al bancone.
Lui si mangiucchió le unghie nervosamente, e strizzó l'occhio un centinaio di volte, come un tic.
Sam era in debito con Lerry per non so che cosa e non so da quanti anni, ma fatto sta che non aveva potuto risarcire il favore.
Per salvarsi la pelle aveva dovuto prestare il retro del suo schifo di negozio a Lerry per le riunioni, che erano una, o due volte a settimana.
-Sette minuti.- rispose sottovoce, guardandomi impaurito, aspettando la mia reazione.
-Merda.- imprecai, e mi staccai dal bancone con una spinta.
Entrai nella porta di servizio, sulla quale c'era un cartello con scritto 'accessibile solo al personale', e mi preparai all'inferno.
________________________________________


Appena la porta si richiuse alle mie spalle, gli occhi di tutti si posarono su 
di me. Io non abbassai lo sguardo, e fissai solo Lerry, che mi stava scrutando 
anche lui, in piedi all'altro capo del tavolo. 
-Ti sei degnato di venire fra noi Dave. Me ne compiaccio.- disse con un tono 
così basso e calmo da farmi venire la pelle d'oca.
-Ho avuto un contrattempo.- articolai, cercando di non far trasparire la mia 
ansia.
Lui mi guardò con un'espressione curiosa e truce allo stesso tempo.
Lerry era un uomo di altezza media e corporatura media, capelli cortissimi e 
neri e due occhi azzurri così chiari da sembrare bianchi. Poteva essere anche 
un uomo attraente visto da fuori, senza conoscerlo, senza sapere la sua 
'occupazione'.
-Lo so, Dave. Lo so.- disse.
Lo sapeva? Cosa voleva dire? Mi aveva messo qualcuno alle calcagna per essere 
sicuro che non l'avrei tradito?
Era meglio non chiedere nulla, non ero nella posizione per farlo. Ma il 
pensiero di Emma in pericolo mi attraversò subito la mente. Mi irrigidii.
-Siediti, Dave. Ho delle notizie per te.- mi disse.
Presi una sedia, e mi misi accanto ad un uomo sulla cinquantina che non avevo 
mai visto alle riunioni. Gli altri li conoscevo praticamente tutti.
-Stanotte, alle tre abbiamo un incontro. Un tizio a cui ho dato la roba qualche giorno fa non mi ha ancora pagato interamente.- esordì Lerry.
Io lo guardai impassibile, aspettando che proseguisse.
-Mi serve che tu vada lì.- disse.
Non ebbi bisogno di altre spiegazioni: quando Lerry diceva così, significava che dovevo andare a menare il diretto interessato. Praticamente tutte le volte ne ero uscito senza un graffio. 
-Chi è?- gli domandai.
Lo vidi esitare e quel piccolo particolare mi incuriosì.
-Stan Wheel.- rispose guardandomi intensamente, scrutandomi in cerca di una reazione.
Mi imposi di rimanere immobile.
Stan Wheel? Aveva davvero detto quel nome? Quell'uomo era probabilmente il peggior drogato di tutta la Florida. Lo si conosceva da tutte le parti: era uno alto quasi due metri, pronto a spazzar via chiunque gli sbarrasse la strada.
Non l'avevo mai incontrato dal vivo, ma i racconti mi bastavano. 
Non avevo paura ma non ero stupido: non avrei mai battuto uno come Wheel. 
Lerry era impazzito se pensava di mandare me e prendersi i soldi mancanti.
Eppure era un test: lo vedevo da come mi guardava Lerry, come aspettandosi il momento in cui gli avrei detto che era pazzo, il momento in cui mi sarei tradito.
Ma non avevo fatto tanta strada per tornare indietro così di botto: ero lì per mio padre.
E se per trovarlo dovevo eseguire gli ordini di Lerry, allora l'avrei fatto.
Io e lui avevamo un accordo: e doveva mantenerlo.
-Dove.- dissi, senza neanche fare la domanda.
Vidi uni scintillio divertito e ammirato negli occhi di Lerry: un angolo della sua bocca si piegó in su.
-Sulla nona, al 4 di Trays Street.- mi spiegó.
Annuì deciso.
-Ci saró.- affermai.
Mi disse che Wheel usciva ogni notte alle tre in punto per incontrarsi con un altro spacciatore. 
Non chiesi come facesse a saperlo, ma sembró leggermi nel pensiero.
-Lo tengo d'occhio da un po', Dave.- disse, alzando fiero il mento con superiorità.
-Non lo metto in dubbio.- ribattei impassibile, senza mostrare nessuna espressione.
Lo avevo imparato a mie spese a tenere la bocca chiusa e la lingua a posto.
-Mi deve almeno cinquemila dollari per pagare l'intera somma, ragazzo.- mi avvertì alzando una mano.
In quel momento mi sentii ancora più determinato.
-Quindi è così: io lo stendo e vi chiamo, così lo ripulite?- chiesi io, sentendo un moto di disgusto salirmi pensando alle parole che avevo appena detto.
-Esatto, ragazzo. Esatto.- mi disse annuendo compiaciuto.
E fu in quel momento che, non so come, mi venne in mente Emma: non riuscii a spiegarmi il perchè di quel pensiero, eppure vidi il suo sguardo prima di chiudersi la porta di casa mia alle spalle. 
Il giorno dopo l'avrei cercata, le avrei parlato: ma dovevo arrivarci al giorno dopo.
E fu con l'immagine di Emma stampata per bene in testa che uscii senza una parola, e saltai in macchina.
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La strada che mi portò da Stan fu troppo corta: rischiai quasi di passare col 
rosso due volte perchè i pensieri che mi turbinavano in mente si stavano 
mettendo a gridare.
Era una prova, quella di Lerry, ci avrei scommesso. Lui sapeva benissimo dove 
fosse mio padre, in che zona si trovasse e in che giro fosse. Ma gli faceva 
comodo avere un uomo alle proprie dipendenze da non pagare e quindi non mi 
avrebbe mai rivelato subito e apertamente dove avrei potuto trovarlo.
Il nostro accordo era molto semplice: ogni volta che dovevo svolgere qualche 
lavoro, lui, se trovava che lo meritassi, mi diceva qualcosa in più su mio 
padre. 
Solo che, la maggior parte delle volte, non mi diceva nulla: la tirava per le 
lunghe e più volte ero stato tentato di andarmene.
Ma poi? Dopo tutto, ero arrivato fin lì e da lì sarei andato avanti.
Era un puzzle, e piano piano stavo mettendo assieme i pezzi: ma avevo paura 
che quel puzzle fosse troppo grande per me.
Per ora avevo solamente avuto due indizi: il primo era che mio padre era 
ancora vivo, e il secondo era che stava a Gainesville.
Questo non doveva per forza dire che era ancora uno spacciatore: no, non 
doveva. Non poteva.
Parcheggiai almeno ad un miglio di distanza dal luogo dove avrei trovato 
Wheel.
Mii misi a ridere quando ripensai che quella mattina avrei avuto un 
importantissimo test di biologia. Quanto sembrava stupida la scuola, in quel 
momento.
Mentre camminavo, cercai di ripensare a cosa mi aveva detto Lerry: Wheel non 
era protetto durante la settimana, ma soltanto nel week-end perchè non poteva 
permettersi delle guardie anche nei giorni normali. Era sicuramente in crisi 
economica, e quindi non mi stupiva che non fosse riuscito a pagare Lerry. Mi 
ritrovai disgustato, come miliardi di volte prima, di cosa ero arrivato a fare 
e con che persone mi ero trovato costretto a frequentare. 
Solo per ritrovare una persona che mi aveva lasciato quando avevo poco più di 
sette anni, lasciandomi crescere con una madre che riusciva a malapena a fare 
il suo lavoro, figuriamoci prendersi cura di un figlio. Era per quello che ero 
cresciuto da solo e che ero finito, troppe volte, per strada a fare a botte. E 
da lì avevo continuato.  
________________________________________

Arrivai davanti al 4 di Trays Street: era un condominio piuttosto brutto, con 
l'intonaco e la pittura dei muri che si scrostava sempre più. 
Mi appostai dietro ad un albero e rimasi lì fermo, col cellulare in tasca già programmato col numero di Lerry.
'Le tre' pensai. 'Devo aspettare le tre' . Mancavano dieci minuti. Cinque.
Esattamente alle 02:58 uscì Wheel e devo dire che, per la prima volta in tutta la serata, ebbi paura. 
Era enorme, penso fosse alto almeno due metri e largo altrettanti, ma di 
muscoli. I miei messi a confronto impallidivano.
Grazie alla fioca luce dei lampioni riuscivo a scorgere i lunghi capelli neri 
e unti, e le braccia coperte di tatuaggi sopra la pelle abbronzatissima. 
Stavolta non ne sarei uscito indenne.
Aspettai che passasse nel piccolo parco davanti a casa, dove ero nascosto io, 
al riparo grazie alla corteccia scura dell'albero.
Appena fu davanti a me mi ci lanciai addosso, sfruttando l'effetto sorpresa: 
lo presi da dietro, cominciando a tempestargli la testa di pugni.
Lui, appena si accorse di essere stato attaccato, cercò di scrollarmi di dosso 
ma io tenevo duro. Schivai una gomitata e gli rifilai un pugno sull'orecchio 
destro.  Lo sentii grugnire.
-Brutto figlio di...- e mi buttò a terra. Mi diede almeno una decina di calci 
sulle costole e il dolore era completamente assordante.
Appena mi premette uno stivale sullo zigomo, mi sentii gelare il sangue: il 
mio viso gridava dal dolore.
Con  tutta la forza che ancora avevo, mi tolsi dalla faccia l'anfibio e lo 
feci cadere: una gomitata, e lo vidi traballare. 
Lui non si arrese e mi assestò altri cazzoti, spaccandomi un labbro e 
provocandomi diversi lividi sulla mascella e sotto l'occhio. Già li sentivo 
diventare violetti e neri.
Ad un certo punto seppi che se fosse andata avanti a lungo non ce l'avrei mai 
fatta a resistere: le gambe già mi cedevano. Decisi di giocare il tutto per 
tutto.
Corsi verso l'albero dove prima mi ero nascosto e aspettai che quella bestia 
venisse per rifilarmi il colpo di grazia.
Vidi il suo viso deformarsi in una smorfia disgustosa, sorridendo.
-Ti è andata male, stecchetto.- e mi si buttò addosso.
All'ultimo io scartai di lato e lo confusi: a quel punto gli presi la testa 
fra le mani e la spinsi con tutta la forza che ancora avevo in corpo sulla 
corteccia solidissima e dura della quercia.
A quel punto cadde a terra, privo di sensi.
Avevo vinto, ma sapevo che la sua incoscienza non sarebbe durata molto: 
cliccai il numero di Lerry sul cellulare.
-Ho fatto. Venite a prenderlo- riuscii a dire, prendendo fiato tra una parola 
e l'altra.
Dall'altro capo del telefono sentii la voce profonda di Lerry dare ordini,e il 
motore di un'automobile partire. 
-Siamo quasi lì. Puoi andare, Dave, ben fatto.- mi liquidò.
-Penso di meritarmi delle risposte.- ringhiai.
lui fece silenzio.
-Non ora, ti contatto io. Ora levati da lì.- e mise giù.
La rabbia che mi aveva invaso poco prima scemò, e riuscii a tranquillizzarmi. 
Se c'era una cosa che sapevo su Lerry era che era un uomo di parola, da sempre.
Ora dovevo tornare a casa, e cercare di far sparire quei lividi dalla faccia. 
E magai riposare un po': le mie costole chiedevano pietà. 
Alzai di poco la maglietta e vidi, oltre alla sagoma dello stivale di Wheel, 
un enorme livido, che per ora era solamente rosso/violetto, che mi copriva 
praticamente tutto il torace.
Lanciai un'ultima occhiata a Wheel, steso su un braccio, e sentii le gomme di 
un'auto stridere: a quel punto me ne andai che si erano fatte le tre e mezza.
In fondo, avevo un test di biologia da affrontare .
________________________________________






Angolo:
Ecco qui il quarto capitolo, stavolta, interamente scritto dal pensiero e dai ragionamenti di Dave, in prima persona.
Direi che adesso vi ho lasciato molti indizi sul passato di Dave, quindi facilmente intuibile.
Nel prossimo ci saranno mooolti più momenti fra Emma e Dave.
Scrivetemi una recensione e fatemi sapere perchè le vostre opinioni sono importanti e vorrei sapere se qualcosa non va, magari nella stesura, solo per migliorarmi.
Un bacio,
Kveykva.

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Capitolo 5
*** Quinto Capitolo ***


Mi sembró che la mattinata seguente non passasse più. 
L'ora di storia sembrava infinita, anche se non sapevo spiegarmi perchè: le informazioni e i dati che ci snocciolava alla cattedra non sostavano più di dieci secondi nella mia mente.
Fu un sollievo lo scoccare dell'ora e volai in mensa in tre minuti esatti.
Quando entrai non c'era ancora nessuno al nostro tavolo, e quindi mi sedetti da sola, col mio piatto.
Piano piano la mensa si stava riempiendo fino a che non diventó caotica e chiassosa come sempre.
-Emma.- dissero salutandomi Lindsday e Robin. Quei due erano sempre in coppia, qualsiasi cosa facessero e dicessero.
Erano carini, senza essere stucchevoli.
-Avete visto Andrea?- chiesi.
Robin scosse il capo.
-No, ma arriveranno fra poco. So che aveva il corso con Jay e Mike.- 
Piluccai un po' di cibo, anche se il mio appetito sembrava essere sparito finchè  arrivó Andrea saltellando, seguita dai due ragazzi, e mi salutó con un bacio.
-Allora Emma...come va con Dave?- mi chiese dandomi una gomitata, Robin.
Strabuzzai gli occhi, e quasi il pezzo di pane mi andó di traverso.
Vidi Mike rabbuiarsi
-Cosa?- farfugliai.
Robin mi fece l'occhiolino, e Lindsday lo riprese.
-Smettila di fare il cretino.- gli disse dandogli uno schiafferò sulla mano.
-Signori e signore, avete appena assistito alla prima parolaccia di Lindsday Lewman.- disse Mike.
Gli altri risero, e Lindsday diventó paonazza.
-E comunque non c'è niente di niente...figuriamoci!- risposi, mettendoci tutto l'impegno possibile. Alla fine, era proprio così.
-Certo...- disse Robin con ancora l'ombra di un sorriso sulle labbra.
Passó un minuto senza che nessuno proferisse parola, e mangiammo normalmente.
-Oh mio Dio.- sussurró Andrea.
La risata di Mike si strozzó a metà perchè sulla mensa era sceso un silenzio di tomba.
Alzai la testa, cercai di vedere cosa avesse causato tutto quel silenzio e tutti quei bisbiglii e seguii la direzione delle centinaia di teste, girate tutte dalla stessa parte.
Restai di sasso quando vidi Dave: aveva una felpa grigia con un cappuccio tirato su, e un capellino verde scuro calato sul viso, probabilmente cercando di nascondere tutti quei lividi e quei tagli che gli rovinavano il viso.
-Per la miseria.-
Senza nemmeno pensare, mi alzai e camminai verso di lui.
-Ei, Yankee.- mi salutó con un sorriso forzato, cercando di rimanere indifferente alle occhiate di tutta la mensa verso di noi.
Grazie a Dio, Andrea cominció a parlare a voce altissima con Mike, e così fecero Robin e Lindsday e a poco a poco le chiacchere, seppur a livello minimo rispetto a prima, ritornarono.
-Mi vuoi spiegare cosa ti è successo?- chiesi ancora sotto schock.
Continuavo a fissargli il labbro rotto e un enorme livido bluastro sulla mascella.
Era ridotto assolutamente male.
-Non è niente.- mi disse con un'alzata di spalle, facendo per superarmi.
-Stai scherzando? Dave dimmi cosa diamine hai fatto.- gli ordinai, trattenendolo per un braccio.
Gli comparve un sorrisetto.
-Sei proprio curiosa, Yankee.- 
-Sì, e smettila di chiamarmi così.- 
-Così come, Yankee?- chiese stupito, strabuzzando gli occhi.
-Sì, quello.- risposi annuendo decisa.
-Perchè?- 
-Perchè non ha senso e non stai rispondendo alla mia domanda.- gli dissi.
Scoppió in una breve risata.
Si chinó verso di me, e mi spostó una ciocca di capelli dietro l'orecchio: accostó la bocca e, mentre un fremito mi percorreva da cima a fondo, sussurró:
-Non qui, non ora.- 
Quando mi riguardó in faccia aveva un sorriso soddisfatto e vagamente consapevole sul volto.
Io incrociai le mani al petto:
-Va bene: oggi pomeriggio.-decretai, sperando che non si accorgesse delle mie guance diventare improvvisamente rosse.
Lui mi soppesó con lo sguardo.
-Non avrai risposte da me, Emma.- disse, stavolta completamente serio.
Mi sentii la rabbia prendere possesso del mio corpo pian piano.
-Grazie mille, per la fiducia.- dissi disgustata e lo superai con una spallata. 
Sentii che mi chiamava da dietro diverse volte, ma non mi voltai: ero furiosa.
Lui voleva avere il controllo su di me, sapere cosa facevo, quando e perchè ma quando lui arrivava con la faccia viola non si potevano fare domande.
Uscii dando una spinta alla porta.
-Emma.- sentii la sua voce.
-Per piacere Dave, va' via.- 
Incrociai il suo sguardo ferito e mi sentii un po' in colpa.
-Non è che non voglio dirtelo. È che non posso, Em, davvero.- mi pregó, prendendomi le mani.
Io le guardai ma lo lasciai fare.
Sospirai.
-Qualsiasi cosa sia non ti fidi abbastanza di me.- replicai.
-Io mi fido di te.- replicó lui con fermezza.
-No, non è vero.- dissi io ancora più dura.
Lui lasció andare le mie mani, e i suoi occhi divennero distanti.
Si calcó il cappello in testa ancora di più.
-Mi dispiace che tu non capisca.- ed entró in mensa, senza guardarmi più.
 In un modo o nell'altro finivamo sempre per litigare.
Quel ragazzo era impossibile.
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-Emma domani è il compleanno di Chase.- mi disse Andrea, vestita di tutto punto sull'uscio della porta.
-Si...?- replicai, aspettando che proseguisse.
-Volevo prendergli un regalo, ma lo sai che ho bisogno di te.- mi disse, mangiucchiandosi le unghie.
Se c'era una cosa che Andrea non sapeva fare era comprare i regalo di compleanno: sembrerà pure una cosa da niente, ma non aveva mai la più pallida idea di cosa comprare e a chi.
Era da anni che, per ogni data importante, la accompagnavo dappertutto.
-Non glielo hai ancora preso?!- le domandai scioccata.
Rise nervosa e tornó a mangiarsi le unghie.
-No..- 
Lasciai andare un respiro.
-Andrea, è tardi. Sono tutti chiusi i negozi ora.- le risposi, rigirandomi verso la televisione.
-Sono solo le sette, e qui siamo a Gainesville: sono apertissimi!- replicó raggiungendomi e tirandomi per una manica.
-Ma insomma, non ci puoi andare domani?- le chiesi furibonda mentre mi trascinava.
-Non posso! Voglio darglielo domani mattina!- protestó.
-Okey.- dichiarai con voce tombale.
L'unica che riusciva a piegare leggermente il mio carattere di ferro era Andrea.
Io l'adoravo, e forse era per questo che l'accontentavo in tutto e per tutto.
-Grazie!- trilló lei, buttandomi le braccia al collo e scoccandomi un bacio sulla guancia. 
Uscimmo velocemente e saltammo in macchina. 
Solo ad un certo punto, quando svoltammo sulla sesta, mi accorsi che non stavamo assolutamente andando verso il centro.
Io conoscevo quella strada. 
-Andrea. Fammi scendere.- le intimai, parlando lentamente, gelida.
Le sue guance si colorarono di un rosso acceso. Nel suo sguardo, appena lo incontrai, vidi un lampo di rimorso.
-Mi dispiace, Emma.- disse, con fare colpevole, tormentandosi il labbro inferiore coi denti.
Mi impuntai e mi girai verso di lei.
-Non me ne frega un accidenti delle tue scuse, fammi-scendere-da-qui!- urlai.
Lo sguardo di Andrea si indurì.
-Non posso.- rispose, digrignando i denti.
-Come sarebbe a dire non puoi?- strillai ancora.
Giró il volante e sterzó a sinistra.
-Tu non vuoi ammettere cosa provi per lui. Ti sto solo aiutando.- mi rispose, fissandomi dura, ma sentii la voce cederle alla fine della frase, come presa dalla non verità delle sue parole.
-Io non provo niente per Dave. Nulla.- dissi, e ci credevo davvero.
-No.- disse lei, guardando davanti a se'.
In quel momento mi resi conto che eravamo sotto casa di Dave.
-Non ci voglio entrare!- tentai all'ultimo, sperando che potesse provare un residuo di pietà per me e decidere di risparmiarmi.
Non proferì parola, ma accostó, e spense il motore.
A quel punto rinunciai e misi le braccia incrociate.
-Smettila di far la bambina, Emma. Esci da questa cazzo di auto.- mi disse esasperata venendomi ad aprire la portiera.
Rimasi impassibile.
-Fai come vuoi Emma. Sono la tua migliore amica, ti conosco.- ritentò.
Ancora una volta, non la degnai di uno sguardo; la sentii sospirare.
-Io vado su, c'è anche Chase. Puoi passare qui la serata.- mi disse, e chiuse la portiera.
La guardai finchè non la vidi entrare nella porta di Dave: fino a quel momento non avevo creduto che ci fosse davvero Chase, ma quando si affacció alla porta e la trascinó dentro ne fui sicura.
Ma non m'importava: avrei aspettato in macchina fino alla fine della serata.
Rilassai i muscoli, trattenuti fino a quel momento, e chiusi gli occhi, cercando di rievocare tutti i bei momenti passati con Andrea per impedirmi di ammazzarla.
Lo sapevo che non l'aveva fatto con cattiveria, eppure non potevo che sentirmi furiosa verso di lei.
Mi sentivo tradita.
-Pensi di startene qui a invecchiare?- 
Quella voce mi fece sobbalzare.
Guardai fuori dal finestrino con la bocca spalancata.
-Vattene, Dave.- gli intimai, è ripresi la posizione di prima.
-Sì, come no.- disse, e aprì la portiera.
Mi irrigidii appena sentii il suo profumo arrivare: era tremendamente buono.
Vacillai.
-Preferisco stare qui, grazie.- gli dissi, cercando di tenere un tono controllato.
Faticavo a tenere chiusi gli occhi: da una parte volevo incontrare quel verde spaventoso nello sguardo di Dave, dall'altra non volevo annegarci dentro.
Quasi persi un colpo quando sentii la sua voce nel mio orecchio,'il suo respiro sulla mia pelle.
-Non credo proprio.- sussurrò. 
Dio, com'era sexy. Non dovevo vedere.
Dovevo rimuoverlo dalla mente, o lui avrebbe capito l'effetto che mi faceva. 
Fu un tormento non poter aprire gli occhi.
-Ritornatene a casa.- replicai divertita, con un mezzo sorriso sulle labbra.
In un attimo, fui sbalzata dal sedile, presa sotto le ginocchia è caricata sulle spalle di Dave.
Mi si mozzó il respiro.
-Ma che diavolo stai facendo? Mettimi giù! - gli intimai, ma rideva così forte che dopo dieci secondi ridevo anche io.
Avere le sue mani addosso, sentire i muscoli della sua schiena rendersi...non avrei mai pensato potesse avere un tale significato per me.
Salimmo scale, e vidi la porta socchiusa.
Solo in quel momento, mi lasció andare e ritornai sulle mie gambe.
Mi asciugai le lacrime che mi erano scese dal ridere, e lo guardai: aveva un sorriso sereno sulle labbra.
-Sei tutta spettinata.- disse, ancora sorridendo, guardandomi.
Sembrava in adorazione.
Cercai di togliere i modo ai miei capelli, ma quando capii che sarebbe stato inutile mi fermai e lo guardai frustrata.
-Sono terribile.- dissi con il broncio.
Mi prese il mento fra le dita.
-Sei bellissima.- replicó.
Prima che potessimo arrivare troppo vicini dissi:
-Sì, come no.- ed entrai.
Stavolta, la nostra parola, aveva salvato me e non lui.
Appena incrociai lo sguardo di Andrea, che stava già bevendo un cocktail con Chase, mi ricordai che in verità ero furiosa.
Con lei soprattutto, ma avevo intuito che non era stata una sua idea portarmi fin lì.
Dietro, ci scommettevo, c'era lo zampino di Dave.
Lei peró, invece di rispondere al mio sguardo truce, mi guardó soddisfatta.
-Noi andiamo.- disse con tono morbido, guardando Chase.
Lui le sorrise mostrando 20372 denti.
-A che ora torni?- chiesi a lei.
-Tardi Em. Non aspettarmi.- disse sorridendo sincera. Le volevo troppo bene per potermi arrabbiare.
-Certo. Divertitevi.- le dissi con voce stanca e mi appoggiai al divano con gli avambracci.
La porta di casa si chiuse con un tonfo sordo, e solo in quel momento mi resi conto che ero a casa con Dave da sola. 
Quella era una cosa che NON doveva succedere. Ero già arrabbiata con lui per la scenata di quel pomeriggio e non avevo voglia di ripeterla, visto che ogni volta che ci trovavamo assieme litigavamo come se non ci fosse un domani.
Anzi, io non dovevo assolutamente trovarmi lì, dovevo andare a casa, ripassare, fare la doccia, stirare. Di certo non avevo tempo di stare lì con lui.
Mi girai intenzionata ad andarmene ma incontrai i suoi occhi, con accesa dentro una speranza quasi assurda.
Mi rivolse un sorriso timido, il primo che gli avessi mai visto fare, e capii che probabilmente, ero caduta in un vortice dal quale non potevo più uscire se non continuare a farmi trascinare a fondo.

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Angolo:
Ciao a tutte! 
Spero di non aver aggiornato tardissimo ma la scuola è così pesante che mi sta uccidendo.
Passiamo al capitolo: non giudicate male Andrea, voleva solamente aiutare Emma a capire i suoi sentimenti contrastanti, confusi, e non ancora identificati per Dave.
Ringrazio in anticipo chi leggerà la storia, e se avete qualche minuto di tempo, recensite il capitolo, perchè la vostra opinione di lettori è importantissima sia al fine di migliorare me e la storia, quindi se poteste lasciatemi un commentino.
Spero che la storia vi piaccia, e vi anticipo già che nel prossimo capitolo co saranno...sorprese.
Un bacione, 
Kveykva.






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Capitolo 6
*** Sesto Capitolo ***



-Vuoi guardare un film?- mi chiese con troppo entusiasmo.
Non era quello che mi aspettavo da lui, non era quello che avrei pensato di trovarmi davanti: era davvero Dave quello? 
Oppure quello che faceva sempre pensare di essere, all'esterno, relazionandosi con le altre persone, era solo la sua scatola in cui si rifugiava? 
Gli cadde una cicca di capelli in un occhio e la spostó distrattamente.
Volevo restare eppure sapevo che quello non era il mio posto.
Mi posai una mano sul fianco e tentai di pronunciare in modo tranquillo la frase che uscì subito dopo.
-Voglio andare a casa, Dave.- gli dissi con con tono calmo, aspettando la sua reazione.
Non avrei dovuto stupirmi eppure lo feci di nuovo, ancora una volta quando quasi riuscii a vedere lo strato di gelo che copriva qualsiasi emozione nei suoi occhi.
Era distante anni luce ormai.
-Certo.- annuì rigidamente, parlando duro, guardando verso la porta.
Dovevo andarmene? Be', stava guardando da mezz'ora verso la porta, forse era il suo modo per dirmi 'levati dai piedi, cara'
Ma volevo andarmene? 
Ma quanto ero da ricovero da uno a dieci? Gli avevo appena detto che non volevo restare, e appena potevo sgattaiolare via mi venivano quei dubbi.
Il mio sguardo guizzó ai suoi muscoli delle braccia, e ricordai per un attimo com'era stato bello sentirli contrarsi quando mi aveva abbracciato, contro l'albero quella notte.
Feci un cenno leggero con la testa, senza salutarlo veramente perchè non mi fidavo della mia voce.
Sentii addosso il suo sguardo tutto il tempo che impiegai per trovare la borsa e quando finalmente raccattai la mia roba esclamai:
-ODDIO!- 
In meno di un secondo lui fu al mio fianco, e vidi solo un fantasma del gelo che c'era stato poco prima nei suoi occhi.
Mi sorresse per un fianco, quasi si aspettasse di vedermi cadere da un momento all'altro.
Ora c'era solo preoccupazione e ansia.
-Cosa c'è Emma?- mi chiese turbato e nervoso, mentre sentivo che la sua stretta al fianco aumentava.
Mi girai per poterlo guardare perfettamente: ero ancora con la bocca semi-spalancata.
-Emma, Gesù, mi stai facendo preoccupare.- continuó sempre più preoccupato.
-Andrea ha preso le chiavi di casa!!- strillai fissandolo ad occhi spalancati.
Tutto mi sarei aspettata, tutto tranne vederlo scoppiare in una poderosa risata.
-Ti sembra divertente?- gli chiesi scettica, alzando un sopracciglio e mettendomi una mano al fianco.
Cosa lo faceva tanto ridere?
Al massimo, se trovavo le chiavi dell'auto, avrei potuto stare in un hotel.
Cercai disperatamente quelle cavolo di chiavi con sopra un orsacchiotto ma la mia borsa era vuota.
Pure le chiavi dell'auto si era presa, quella scellerata della mia migliore amica? 
Perchè dovevo sempre cacciarmi in situazioni del genere?! 
-Stai scherzando?- mi chiese, improvvisamente serio.
Ma come faceva a cambiare umore così velocemente?
Quando non risposi si avvicinó di un altro passo e io ne feci uno indietro.
-Pensavo stessi per svenirmi qui o che fosse successo qualcosa di urgente e tu mi dici che non hai le chiavi di casa! Mio Dio, sei incredibile.- soffió con uno scoppio controllato di risa.
Io ero sempre più arrabbiata.
-Dispiaciuta di averti deluso.- esclamai senza felicità, sedendomi con un tonfo sul divano.
Lui rimase lì impalato a fissarmi quasi non capisse.
-Ma è ovvio no? Rimani qui.- disse, come se non ci fosse cosa più normale al mondo.
-Ma ti droghi per caso?- gli chiesi.
Invece che rispondere scherzando, il suo sguardo si rabbuió così tanto che pensai di aver toccato qualche tasto dolente.
Dio Santissimo, quasi non l'avevo mai visto così...offeso? Indignato? Una valeva l'altra. 
-Assolutamente no.- rispose calcando l'ultima parola.
-Cosa te lo fa credere, scusa?- si mise dubito sulla difensiva, spostando il peso da una gamba all'altra.
-Cielo, Dave, mi stavi chiedendo di dormire a casa tua ti rendi conto?- gli schioccai due dita di fronte alla faccia, come a sottolineare l'assurdità della cosa.
-E allora?- chiese alzando le spalle.
Stavolta fui io a dire:
-Sei incredibile.- senza ironia.
-Sai una cosa? Me la faccio a piedi.- decisi, alzandomi con slancio.
Rise velocemente, quasi mi trovasse pazza e tornó subito serio.
-Non se ne parla.- dichiaró.
Strabuzzai gli occhi.
-Non se ne parla? E chi sei tu? La mia coscienza?- 
-Sì, quindi mettiti seduta.- 
Sentii montare la rabbia: pensava di dirmi lui cosa fare? Era lui che mi comandava? Neanche per sogno.
Mi diressi alla porta per la seconda volta in una sera, e lui mi fu subito davanti.
-Levati di mezzo.- gli intimai.
-No.- rispose, contraendo la mascella.
Merda. Non avrei mai spostato un metro e ottantacinque di muscoli.
-Non sei tu a dirmi cosa devo fare o non fare.- gli ricordai.
-Non ti lascio andare da sola a casa.- ribattè lui, ritornando ad essere protettivo e ossessivo fino allo sfinimento.
Avrei potuto ribattere con le solite frasi del tipo 'non mi comandi, non sei il mio capo' ma quel poco di ironia che avevo sempre trattenuto dentro di me mi fu utile.
-Posso sempre chiamare Mike, non trovi?- gli dissi sorridendo.
La sua espressione stupita e con la bocca aperta mi ripagó di tutta la rabbia che mi aveva fatto provare.
'Prendi e porta a casa, Dave. Prendi e porta a casa.' pensai vittoriosa nella mia mente.
-Non provare a chiamare quel buffone o giuro che ti tolgo il cellulare di mano.- mi minacció.
-Okey, ora stai passando il segno. Non ti permettere di comandarmi. Io non prendo ordini da nessuno.- gli sibiliai rabbiosa, spingendolo via con le mani sul suo petto, con tutta la forza possibile.
Senza preavviso, mi incatenó le braccia alle sue mani e mi spinse verso il muro.
-Perchè devi rendere le cose sempre così difficili?- chiese con un'espressione stanca.
-Hai parlato!- esclamai con una risata senza allegria.
-Tu non mi odi.- strinse i denti, avvicinandosi ancora al mio viso.
Lo odiavo? Sì, probabilmente. Lo odiavo quando faceva i suoi commenti inappropriati, quando si chiudeva a riccio, quando non mi parlava, quando si teneva tutto dentro se', quando cambiava umore da un momento all'altro..e chi più ne ha più ne metta.
Eppure erano anche le cose che mi piacevano di lui: erano le cose che mi avevano attratta dall'inizio.
-Hai preso un granchio, bello, mi spiace.- gli dissi con un sorrisetto compiaciuto.
Aumentó la stretta sui miei polsi: quando sembrava che fosse così vicino da scoppiare si ritrasse, lasciandomi libera.
Mi guardó come se tutta quella scenetta non fosse successa, e con indifferenza mi disse:
-Balle.- e si allontanó in cucina a prendersi da bere.
Sembravo ridicola, ma rimasi con la bocca spalancata: QUANTI, e ripeto, QUANTI problemi aveva quel ragazzo? Troppi, sicuramente. Era matto.
Solo quando rallentó la sua pazza corsa mi accorsi che il mio cuore aveva galoppato per tutti i secondi che Dave mi aveva tenuta al muro in quel modo: ehi caro cuore, ho solo diciannove anni, non merito un infarto a quest'età.
Arrivai alla porta di soppiatto, mentre ancora lo sentivo trafficare in cucina, e la aprii sperando che quella non facesse rumore.
Un rumoroso e prolungato cigolio mi smascheró: di bene in meglio!
La sua testa fece capolino dal l'angolo della porta.
-Vai?- mi chiese, con nessuna inflessione nella voce.
Bene, io mi ritiravo: se qualcuno capiva cosa passasse nella testa a quello, vinceva il premio nobel della scienza. No, della pazzia forse. 
DUE DANNATISSIMI minuti prima mi aveva inchiodata al muro e adesso mi chiedeva 'VAI'? 
-Che c'è?- mi chiese, facendo schioccare la lingua.
Scossi la testa.
-Tu hai qualcosa che funziona male lì dentro.- conclusi e spalancai la porta, mettendo un piede fuori.
-Ah, Yankee, aspetta!- esclamó con tono urgente.
Lo vidi prendere qualcosa dalla tasca e venirmi incontro: aveva un ghigno indefinibile sul volto.
Sogghignó e sfoderó un sorriso da infarto: ehi, ma non avevo detto niente infarti?
Guardai cos'aveva in mano: no. Non ci potevo credere.
-Ecco le tue chiavi dell'auto e di casa, Em: mi sa che ti servono per tornare.- 
Era ufficiale: aveva appena firmato il suo contratto di morte.
________________________________________


Se l'odio avesse avuto un nome sarebbe sicuramente stato 'Emma'.
Ero completamente fatta d'odio: ero a casa da ormai cinque minuti e mi stavo togliendo maglietta e reggiseno.
Ripensavo ancora alla scena di prima e mi veniva da prendere a pugni il muro: tutta quella sceneggiata e aveva sempre avuto lui le chiavi! E si ed pure permesso di guardarmi in borsa! Roba da non credere.
Mi ficcai sotto il gettó d'acqua calda, lasciando che mi lavasse via tutto quel nervosismo che avevo addosso da..da quando? 
Da quando ero entrata in casa di Dave: comprensibile, era stata una giornata sfiancante e avevo studiato molto.
Non c'era da stupirsi se ero suscettibile e irritabile.
Almeno il mio orgoglio aveva esultato quando avevo sbattuto in faccia la porta a Dave, uscendo da casa sua: sì, era stato assolutamente appagante.
Mi passai le mani tra i capelli densi di balsamo, districandoli e rendendoli più o meno lisci.
Dopo averlo sciacquati accuratamente, li racchiusi in un turbante con un asciugamano e mi asciugai.
Mi struccai e mi detersi la faccia, togliendo il turbante e cotonando i miei boccoli finchè non furono un poco più asciutti.
Esattamente appena avevo finito di infilarmi gli slip e una maglietta che arrivava a malapena a coprirli bussarono alla porta.
Controllai l'orario: era l'una e dieci; era Andrea.
Non mi presi nemmeno la briga di vestirmi un po' di più, visto che se fosse stata con Chase avrei sentito le loro voci mentre era completamente silenzioso.
Trafficai con le chiavi e infine aprii la porta.
-Dave?!- strillai.
Cosa diamine ci faceva lì? 
Era appoggiato con un braccio allo stipite della porta: oddio, era una visione.
Ma cosa stavo pensando? 
Concentrati Emma: ti ha nascosto le chiavi quando erano l'unica cosa che cercavi per mezza serata.
Vidi il suo sguardo vagare su come ero (s)vestita e soffermassi sulle mie gambe scoperte dalla maglietta che si fermava ad inizio slip o poco più.
Mi sentii le guance andare a fuoco.
-Che vuoi?- sbottai.
-Posso entrare?- mi chiese guardandomi.
Certo che puoi.
-No.- risposi seccamente, mandando al diavolo la mia vocina.
Non si stupì veramente: sospiró e disse:
-Me lo immaginavo. Emma, sono stato un cretino a farti rimanere nascondendoti le chiavi. Sono stato un bambino.- si scusó, se quelle potevano essere chiamate scuse.
-Cavolo, ma allora hai veramente qualcosa lì dentro!- esclamai guardandolo seccata, ma lui accennó ad un sorriso.
Il suo sguardo poi si fermó sulla mia maglietta e solo in quel momento mi ricordai che non avevo messo il reggiseno. 
O MIO DIO. 
-Non hai il reggiseno.- constató con una tranquillità disarmante, alzando un sopracciglio.
Avvampai.
-Be', scusami se è l'una e stavo andando a letto!- mi misi subito a farneticare sulla difensiva.
-Non ho detto che mi dispiaccia.- 
Stavolta rimasi io a bocca aperta. Non ci credevo che l'aveva detto.
Non sapevo cosa ribattere ma grazie a Dio ritrovó il suo solito contegno e mi domandó sbuffando:
-Posso entrare o devo star qui tutta notte?- 
Lo fissai per diversi seconi e poi sospirai.
-Entra.- lo invitai con tono seccato, facendomi da parte per farlo entrare.
Lui indossó il suo solito sorrisetto e fece un passo avanti, superandomi: poi mi guardó e mi fece l'occhiolino:
-E brava Yankee.- 
Alzai gli occhi al cielo: quasi rimpiangevo il solito e scontroso Dave.
-Ho sonno e sono stanca, e non penso di essere di molta compagnia.- lo avvisai, sperando che questo bastasse per farlo uscire da casa mia.
Qualcosa cambió nel suo sguardo.
-Vuoi dormire?- mi domandó.
'No, ti ho appena detto che sono stanca morta ma pensavo di andare a fare un party sotto casa'.
-Non posso, visto che ci sei tu.- ribattei facendogli notare l'ovvietà della cosa.
-Va bene allora io vado..- disse, eppure notai un velo di amarezza in quel 'vado'.
-Ma allora cosa sei venuto a...-
-C'è un bagno?- mi interruppe.
Aspettai qualche secondo ma poi gli risposi, quasi meccanicamente.
-All'inizio del corridoio, a sinistra.-
-Me ne vado prima di non riuscire più a farlo.- disse, fissandomi con uno sguardo intenso.
Avevo l'irrefrenabile desiderio di stringerlo e di abbracciarlo ma qualcosa mi disse che non sarebbe stato saggio e rimasi lì, rigida come un tronco.
Mi resi conto dopo un minuto di essere rimasta in salotto da sola, in piedi, nella stessa posizione in cui mi aveva lasciato.
Mi decisi per andare in camera e mettermi a letto: sarebbe uscito comunque.
Spensi tutte le luci e mi rifugiai nel caldo delle mie lenzuola, rabbrividendo per i brividi che mi percorrevano le gambe. Freddo, probabilmente: sì, le lenzuola erano decisamente troppo leggere.
Mi era difficile rilassarmi quando sapevo di avere Dave a qualche metro di distanza: sentivo i muscoli rigidissimi e a poco a poco mi imposi di scioglierli.
La mente ormai stava vagando, non la controllavo nemmeno più: come mai era venuto dopo venti minuti da quando gli avevo sbattuto la porta in faccia? 
Sembrava che fosse venuto per..usare il bagno.
L'idea mi fece quasi ridere da sola, ma la repressi in una risatina sommessa.
Piano piano le palpebre diventarono pesanti, ma nel momento in cui stavo per chiuderle sentii la porta del bagno aprirsi e mi irrigidii all'istante. Soprattutto quando lo sentii venire verso la mia stanza e socchiudere leggermente la porta.
Chiusi immediatamente gli occhi e feci finta di regolarizzare il respiro, come se stessi dormendo.
La cosa diventó difficile quando entró in punta di piedi e si sedette sul letto in parte a me.
Non mi mossi e grazie a Dio, pensai di averlo convinto che stessi dormendo.
Sentii le sue mani farmi una carezza sul viso, così dolce da farmi star male.
-Buonanotte Yankee.- e se ne andó.
La porta di casa sbattè.
Perchè era così dolce quando sapeva che non avrei mai potuto saperlo?
Perchè riuscivamo solo a litigare quando eravamo insieme? 
Perchè era tutto così difficile? Perchè? 

________________________________________









Angolo:
Ciao a tuttii!
Ho cercato di aggiornare presto e spero di non averci messo troppo tempo.
In questo capitolo approfondiamo un po' il loro rapporto, o almeno cosa succede quando sono assieme.
Lui, alla fine, riesce a lasciarsi andare solo quando pensa che lei sia addormentata.
Cosa lo blocca a tal punto? E lei? Cambierà qualcosa per lei?
Ringrazio in anticipo chi leggerà la storia, e se avete qualche minuto di tempo, recensite il capitolo, perchè la vostra opinione di lettori è importantissima sia al fine di migliorare me e la storia, quindi se poteste lasciatemi un commentino.
Un bacione,
Kveykva.

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Capitolo 7
*** Settimo Capitolo ***


Dave: 
Probabilmente era stata la cazzata più grande della mia vita ma ormai il danno era fatto. Cosa mi era saltato in mente quando ero balzato in macchina dopo dieci minuti che se ne era andata? Non riuscivo nemmeno io a capirlo. Forse volevo risentire la sua voce ancora una volta prima di andare al 'lavoro', prima di affrontare quella catastrofica cosa chiamata vita. Volevo vederla ancora una volta, per darmi la forza di far passare un'altra notte. Ma se fossi 
stato davvero furbo, non sarei mai andato a bussare alla sua porta, come ancor prima non avrei chiesto ad Andrea di portarla a casa mia. Ero stato un coglione egoista, le avevo fatte litigare, e per cosa poi? Per averla lì così poco tempo. Avrei dovuto lasciarla andare e dimenticarla, perchè andando avanti così il momento in cui avrebbe scoperto tutti i miei segreti si avvicinava correndo. 
Eppure era qusi doloroso starle lontano. 
Quel giorno in università non l'avevo vista nemmeno di sfuggita e la cosa mi aveva fatto impzzire: non era venuta a scuola perchè stava male? Non voleva 
vedermi? Ero così in ansia che il professore mi aveva richiamato almeno sei volte. 
Ritornai al presente quando cambiai canale ancora una volta e capirai su una radio rock.
Il telecomando stava quasi impazzendo da quanto velocemente cambiavo canale, ma dovevo pur far qualcosa, chiuso in casa e solo alle sette e mezza di sera. 
Al quarantesimo canale cambiato in poco più di dieci secondi sentii dei rumori giù nelle scale: il cuore mi balzò nel petto così forte che quasi dovetti spingermelo dentro a forza. Era Emma? Magari era venuta a salutarmi, con Andrea: eppure la voce profond e maschile che sentivo rimbombare fuori dalla porta non era sicuramente la sua. 
Suonarono il campanello così forte e così a lungo da farmi innervosire già da subito. 
-Sto arrivando!- esclamai mentre mi dirigevo verso la porta: Chase e una ragazza, molto probabilmente ubriaca fradicia mi si pararono davanti. 
Lei continuava a sghignazzare, e a far volare i suoi capelli bruni cotonatissimi in faccia al mio amico. Ma che diavolo...? 
-Ehi, amico!- mi salutò Chase entrando senza tanti complimenti. 
-Che cazzo stai facendo?- gli ringhiai addosso, senza un minimo di ritegno. 
La moretta sgranò gli occhi e arricciò le labbra in un broncio fintissimo e poi ricominciò a ridacchiare. 
-E questo che vuole?- chiese tra una risatina e l'altra. 
-Calmati Dave.- cercò di parlarmi Chase, ma ero incazzato nero. 
-Chi è questa?- sbottai senza tanti complimenti. 
-Lei è Destiny. Destiny questo è..ehi, piantala scemina. Fra poco saremo da 
soli, tigrotta te lo prometto.- le disse lui, visto che la ragazza aveva incominciato a baciarlo dappertutto. 
-Perchè la tua 'tigrotta' non aspetta fuori mentre noi parliamo?-proposi calcando sulla parola 'tigrotta' per fargli capire quanto fosse deficiente quel nomignolo.
Lui mi guardó come a sondare se potesse o meno farmi incazzare di più, e poi, fortunatamente per lui, decise di no.
-Tesoro, esci un attimo lì fuori. Si brava, così. Arrivo subito. Certo.- le cantilenó mentre l'accompagnava alla porta e la chiudeva, dopo averla messa fuori quasi fosse un cane.
-Ascolta Dave, non è come pensi...- cominció lui ma lo interruppi subito.
-Non sono affari miei quello che fai e non fai con le ragazze. Ma spiegami perchè devi portarle a casa mia.- 
-Senti amico, lo sai che è un periodo difficile per me...mi hanno cacciato ieri sera dal campus ma non era stato poi così grave...-
-Fare una festa nella tua stanza del campus invitando tutti quello del tue corso e le matricole a pulire lo schifo che avevate lasciato? No, certo che no, non era così grave.- gli rinfacciai. 
Lo vidi abbassare gli occhi.
-E comunque non sapevo dove altro andare.- si giustificó.
Mi salì la rabbia.
-Ah giusto, non sapevi dove poterti scopare la prima zoccola ubriaca che trovavi al pub?- 
Stavolta i suoi occhi s'infiammarono di rabbia e di risentimento.
-Ma che cazzo hai stasera? Non parlare di lei così!-.
-Ma fammi il piacere! Come se il tuo intento non sia di portartela a letto e lasciarla la mattina dopo!- 
-E Andrea dove la metti? Non mi avevi detto che era 'la ragazza giusta'?- gli ricordai, mimando con le virgolette le ultime parole.
-Non sono un tipo da storie serie.- riprese, sempre guardandomi ma abbassando la voce.
-Allora forse non dovevi iniziarne una!- 
Scoppió in una risata senza allegria.
-E tu che ne sai di storie serie, eh? Cosa pensi di fare con quella Bennet lì? Cosa farai quando scoprirà cosa sei realmente?- mi beffeggió.
A quel punto non ci vidi più: a tirare in causa Emma mi saltavano i nervi. E sentirmi rinfacciare i miei stessi timori era anche peggio.
Tirai un pugno, sperando quasi di non colpirlo, come infatti successe: Chase scartó a destra così velocemente che l'unica cosa che il mio pugno colpì fu l'aria.
-Non dirlo ad Andrea. Ti prego.- mi scongiuró lui.
Lo fissai per un lungo istante: pur essendo Andrea mia amica, lo era di più Chase. Avrei tenuto la bocca chiusa, anche se non mi piaceva affatto.
-Va bene.- sospirai, ma ancora teso.
Lui invece si rilassó visibilmente, e mi diede una pacca sulla spalla che avrei piacevolmente evitato.
-Grazie amico. Ci vediamo.- mi salutó, ed uscì dalla porta così velocemente da non darmi nemmeno il tempo di cambiare idea.
Probabilmente aveva capito che il mio umore era alquanto ballerino in quel periodo.
Ritornai sul divano, ma la mia precedente attività di zapping non mi distraeva come prima.
Continuavo a pensare di aver sbagliato a giurare a Chase che avrei tenuto la bocca chiusa: in fondo non volevo che nascessero problemi tra lui e Andrea, ma questo discorso era già ampiamente superato.
Oggi le avevo parlato, a pranzo: sarebbe partita alle quattro per tornare dai suoi, per non so quale necessità.
Sembrava decisamente nervosa e agitata: non doveva essere felice di tornare dalla sua famiglia, a casa sua?
A quanto pare no, e mi aveva anche chiesto di non ribadirlo ad Emma: era una questione delicata per lei.
Ed io, come un cretino, le avevo detto di stare tranquilla. Ma in quanti casini mi stavo immischiando? Quanti giuramenti avrei dovuto mantenere? 
Be', Andrea aveva detto di non 'ribadirlo' ad Emma, quindi significava che lei già lo sapevo: nascondere qualcosa a lei mi sarebbe pesato già di più, lo sapevo.
Quindi per Emma era un argomento particolare, la casa, e la sua famiglia: forse avrei potuto capire un po' di più per lei.
Che non si trovasse bene, nella sua città?
Questo spiegherebbe il cambiamento a metà semestre nella nostra università.
Eppure c'erano troppi interrogativi su di lei: anche su di me,ovviamente.
Eravamo tutti così impauriti o orgogliosi per ammettere le proprie debolezze, il proprio passato all'altro?
Controllai l'orario, e mi accorsi che si erano fatte le otto: avrei dovuto alzarmi, uscire, magari per mangiare un boccone, perchè effettivamente era ora di cena.
Eppure sapevo che se mi fossi messo in macchina avrei guidato senza pensarci da una parte: e forse era quello che dovevo fare.
Dovevo andare da lei, e spiegarle che quello che stavano facendo era una pazzia.
Dovevo dirglielo: dovevo farle capire che tutto quello che sapevano fare era tormentarci l'un l'altro. 
Per quanto sentissi un vuoto nel petto quando lo pensavo, dovevamo chiudere.
________________________________________

Emma: 
Mi facevo senso da sola: ero davanti alla televisione, a far girare i canali uno dopo l'altro senza accorgermi minimamente di quello che vedevo, mentre mangiavo una squisita coppa di gelato al cioccolato.
Tanto per prendere su chili, ovvio.
Sentii un deciso bussare alla porta: Andrea? Impossibile. Avevo ancora rabbia da smaltire quando si parlava di lei, oltre al tradimento della sera prima. Eppure non potevo non capirla: ero io che l'avevo trascinata via con me dalla Georgia o meglio lei si era sentita in dovere di venire, ma fatto sta che aveva dovuto abbandonare la sua famiglia nello stesso modo in cui l'avevo fatto io: doveva tornare a salutarli, era giusto così. Eppure era partita solo quella mattina e mi aveva detto che sarebbe rimasta almeno una notte, quindi era fuori discussione che fosse lei.
Aprii la porta.
-Ehi dolcezzaaaa!- 
Ok, non era decisamente Andrea. Ne' Dave. Ne' qualsiasi altra persona avrei voluto vedere in quel momento.
-Mike? Cosa ci fai qui?- 
Lui mi guardó strabuzzando gli occhi, ma continuando a sorridere.
-Vita notturna, baby, si fa festa qui a Gainesville. Vieni a farti una birra: giù ci sono Jay e gli altri.- mi invitó.
Forse non si era accorto che:
1) ero in pigiama (quello con gli orsacchiotti oltretutto) 
2) stringevo un cucchiaio pieno di gelato al cioccolato dalla maggior quantità calorica
3) non avevo per nulla la faccia di una persona che aveva voglia di uscire.
-Ehm..grazie mille, Mike, ma forse non è il momento migliore..-
-Oh, sciocchezze, sei bellissima come sempre.- mi disse e sentii una strana sensazione dentro di me.
Non era come quando Dave mi guardava, e mi diceva che ero bella: quando lo faceva, sentivo lo stomaco ribaltarsi e lo sguardo appannarsi.
Adesso provavo una strana sensazione di disgusto e fame.
Ok, la fame perchè mi avevano interrotto nel bel mezzo del mio gelato quotidiano.
-Davvero io sono stanchissima: stavo per andare a dormire- tentai ancora una volta.
-Ti prego, Emmy.- cominció con quel vezzeggiativo che mi dava sui nervi.
-Passi troppo tempo con quell'Hudson, lì!- 
-Cosa? Non è assolutamente vero! No..io, figuriamoci. Non lo vedo da...-
-Ieri sera.- 
La voce scura e profonda di Dave invase la mia testa e ci mancava poco che cadevo stecchita. 
Dietro un Mike palesemente terrorizzato, era apparso Dave che lo sovrastava col suo metro e ottantacinque e lo fissava truce.
E cosa più importante io ero in pigiama. Di nuovo.
-Ciao Dave.- lo salutai, in imbarazzo anche per Mike.
-Ho interrotto qualcosa?- 
Sembrava scocciato ma non ne vedevo il motivo: c'era un mio amico a casa, non chissà che cosa! 
-No.- risposi secca.
Da quanto era arrivato? Tre minuti? Ecco che già sentivo l'ansia e il nervosismo salire.
-Allora posso parlarti?- 
Il suo tono di possesso fece scattare qualcosa nel mio cervello.
Dovevo forse essere sempre pronta e scattante per lui? No, signori.
-In effetti no: stavo giusto dicendo al mio amico Mike che mi andavo a preparare per uscire. Con lui.- dissi, prendendo a braccetto Mike, che invece era rigido e a disagio.
Dave alzó un sopracciglio con aria di sufficienza e poi sbuffó divertito, ma non fino in fondo.
-In pigiama? Ma per piacere.- 
Stesi le labbra in una linea sottile.
-Mi stavo giusto preparando, quindi se vuoi scusarci...- dissi mentre trascinavo dentro Mike per una mano, lasciando fuori Dave.
Feci per chiudere la porta ma il suo piede fu di mezzo.
-Levati.- intimai. 
-Cosa stai facendo? Lo so benissimo che non lo sopporti.- mi disse.
Diventai bordeux. 
-Eh? Ma cosa stai blaterando?- cercai di riparare, sapendo benissimo che avevo Mike dietro. 
-Mike perchè non ti accomodi sul divano, guardi la tele...devo fare un discorsetto a Hudson.- dissi sorridendo forzatamente a Mike.
-Già Mike, perchè non ti accomodi?- ripetè velenoso Dave.
Uscii e sbattei la porta dietro di me.
-Si puó sapere che ti prende?- sibilai furiosa puntandogli un dito sul petto.
-Volevo venire a trovarti ma vedo che hai già compagnia...- fu la sua risposta.
-È arrivato cinque minuti fa! Come vedi- e gli indicai il mio outfit -non era una visita programmata.- 
Fece scorrere lo sguardo sui mini pantaloncini e la ridicola maglietta che indossavo: magari si auto convinceva di quanto fossi penosa.
Annuì piano, ma la mia rabbia, anzichè diminuire, crebbe.
-Ti comporti come un bambino in questo periodo.- gli feci notare.
I suoi occhi si infiammarono.
-Non è assolutamente vero.- si difese, stringendo i denti.
Alzai gli occhi al cielo.
-No, certo che no. Hai chiesto ad Andrea di portarmi da te mentendo, ieri sera vieni qua senza preavviso, e adesso ti presenti come se dovessi sempre essere pronta per te.- 
Strinse i pugni: c'era qualcosa che non andava con Dave, quel giorno.
Era nervoso, o preoccupato: per quanto fosse particolare, non avrebbe mai mancato così tanto di rispetto a Mike, nonostante non gli stesse così simpatico.
-Devo parlarti.- aggiunse piano.
Esitai un momento, forse qualcuno di troppo.
-Sì.- risposi io.
Guardava in basso, il suo sguardo non si alzava mai verso il mio: se ne stava lì, tutto rigido.
Alla fine alzó la testa e quasi come un sospiró cominció:
-Emma io non posso più...- ma venne interrotto dalla voce di Mike.
-Ehm..Emma.- 
La sua faccia comparve dalla porta ora aperta.
-Ti sta squillando il telefono: è Lindsday.- mi avvertì e si ritiró indietro il più in fretta possibile, forse per sfuggire all'ira di Dave.
Tirai un forte sospiro e annunciai:
-Devo andare.- ma lui mi afferró per un polso.
-Non ho finito di parlarti.- 
-E io non ti ho chiesto di incominciare a farlo.- ribattei.
'Anche se in verità lo voglio.' pensai, ma non lo dissi.
Eravamo ad un centimetro di distanza l'uno dall'altro e ritornó la solita e costante elettricità fra noi.
O lo baciavo o gli tiravo un cazzotto.
-Domani. A cena.- negozió lui.
-Non posso, devo...fare la pasta.- mi inventai sul momento, la balla peggiore che potessi mai tirare fuori.
Fare la pasta?! Avevo davvero detto 'fare la pasta?' Mio dio, ero senza speranza.
Ehi, cervellino, potevi farti venire in mente idee un po' più convincenti.
-Emma, davvero. Fra due giorni, ti passo a prendere io.- insistè.
Come facevo a dirgli di no? Sentivo il suo profumo di sapone arrivarmi leggero e delicato e dovetti ricordarmi di respirare.
Dalla porta socchiusa mi arrivó il suono del cellulare che ancora squillava e mi riportó bruscamente alla realtà.
-Si si, va bene!- esclamai sul momento e solo allora mi lasció andare. 
-Ora fuori da casa mia.- 
-Certo, Yankee.- ribattè con un sorrisetto.
Ed ecco a voi il centesimo cambio di umore della serata.
Entrai come una furia e riuscii a rispondere al telefono.
-Pronto?- dissi affannata.
-Muoviti Emma! Siamo qua sotto da tre ore!- sentii la voce di Robin.
-Si ehm..si, arrivo.- e misi giù.
Mi girai verso Mike, pronta a chiedergli scusa per il comportamento assurdo di Dave ma mi precedette.
-Non fa niente, Emmy, davvero.- 
Io riuscii a fargli un sorriso tirato e, chiedendo scusa, mi chiusi in camera a cambiarmi.
A quel punto la mia serata di gelato e televisione era sfumata, ma forse mi avrebbe fatto bene stare un po' con i miei amici, con persone NORMALI, e senza DISTURBI di personalità sconcertanti.
Ovvio, non mi stavo riferendo a nessuno in particolare.
Sì, come no.
________________________________________







Angolo:
Ciao a tutti, spero di non aver aggiornato tardi!
Questo capitolo non è molto ricco di eventi, ma se leggete attentamente già da degli indizi sullo svolgimento dei prossimi capitoli...
Avete qualche idea? 
Ringrazio in anticipo chi leggerà la storia, e se avete qualche minuto di tempo, recensite il capitolo, perchè la vostra opinione di lettori è importantissima sia al fine di migliorare me e la storia, quindi se poteste lasciatemi un commentino.
Un bacio,
Kveykva.

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Capitolo 8
*** Ottavo Capitolo ***



-Per due, se è possibile.- dissi io al signore pelato sulla quarantina che ci trovammo davanti.
-Fuori o dentro?- ci chiese con voce nasale.
Scambiai una sguardo con Dave, ma lui scrolló le spalle.
-Fuori.- decisi io.
-Seguitemi, prego.- continuó il signore, e ci condusse nella piccola oasi, uno spiazzo circondato da bamboo e piante verdissime.
Ci sedemmo ad un tavolino bianco e lucido verso l'estremità destra.
-Ancora non so perchè sono qui.- borbottai appena il proprietario se ne fu andato.
Il giorno prima avevo dovuto per forza dire di sì a Dave, e avevo accettato il suo invito.
All'inizio non mi ero nemmeno resa conto di cos'avevo fatto, poi mi ero incazzata con me stessa e poi ero diventata felice/nervosa.
Un'abbinata decisamente disastrosa.
Dave mi squadró:
-Perchè te l'ho chiesto io.- rispose semplicemente.
-Gran risposta.- replicai io, stizzita.
-Smettila, Yankee.- e si lasció andare ad una risata contenuta.
- So che hai accettato solo perché non volevi offendermi.-
-Oh sì, è stato proprio per quello!- 
Fece un gesto con la mano, come a dire 'non è importante' , sorridendo.
- Volevo soltanto essere sicuro che avresti mangiato.- si difese.
Quasi risi anche io.
-Perchè io non mangio di solito? Ma smettila.- lo ripresi con il sorriso, aprendo il menù. 
-A proposito...i biscotti al cioccolato erano pieni l'altro giorno...- insinuó lui guardandomi sospettoso.
-Non guardare me!- strillai ridendo, seguita da lui.
-Sono sempre stata in salotto quella sera.- gli ricordai -E poi non ci vivo io in quella casa.- protestai a bassa voce, ritornando a leggere il menù.
Lui mi guardó così a lungo che mi sentii avvampare.
-Vorrei che ci vivessi.- rispose lui, a voce ancora più bassa, con gli occhi fossi su di me.
-Dave.- lo ripresi piano ma dura.
-Ricordati la linea.- gli ricordai.
-Non mi piacciono le linee.-
-Be', la stai oltrepassando.-
-Perchè tu l'hai tracciata.- replicó e non seppi più cosa dire.
Sospirai, e lo fissai in cagnesco:
-Possiamo non litigare almeno al ristorante?- 
Scrolló le spalle, come se non gli importasse nulla. Stavo per prendere e andarmene.
Com'era possibile che un minuto prima stessimo scherzando e ridendo e adesso ci trovavamo nella stessa situazione di quando stavamo assieme troppo a lungo? 
Scossi la testa, sperando che quella prima parte della nostra serata fosse solo un brutto inizio, e che poi tutto si sarebbe risistemato.
-I signori hanno deciso?- 
La voce ancora più nasale di prima mi riscosse dai miei pensieri.
Dissi velocemente le mie ordinazioni e così fece Dave.
-Stasera devi...lavorare?- 
La domanda che avrei voluto fargli da tutta la sera, da quando mi era passato a prendere sotto casa uscì velocemente, prima che potessi rimangiarmela.
-No. Stasera no.- disse scuotendo la testa.
Sperai che aggiungesse qualcosa: insomma, speravo che quella cena avesse avuto un significato. Magari voleva raccontarmi di se', cosa faceva...eppure non parlava.
Tentai.
-Ma solitamente, dove vai?- 
Sapevo di star tirando un po' troppo la corda, prima che si spezzasse.
 Non sapevo quanto potevo farlo con Dave.
Ci fu un silenzio così lungo e imbarazzato che pensai non mi avrebbe più risposto.
Alla fine si mosse nervoso sulla sedia: lo vedevo, era in imbarazzo. Una delle prime volte che lo vedevo così.
-Non c'è un posto preciso. Dove mi mandano, vado.-
-Quindi hai dei capi che ti comandano?- quella domanda uscì così di getto, prima che potessi anche solo cercare di controllarla.
Stavolta seppi che non avrebbe risposto: il suo sguardo si posó su di me, ma era una sguardo per niente rivelatore. Non mi avrebbe svelato nulla. 
Avvampai, convinta di aver fatto la figura della stupida: che scema che ero stata, a pensare che mi avrebbe risposto in tutto e per tutto.
Eppure qualcosa mi aveva detto, qualcosa con cui avrei iniziato a costruire le mie ipotesi, le mie indagini.
Ancora troppo poco, ma era un inizio.
-Parlami di te.- 
-Cosa?- 
-Parlami di te.- 
Oh. Cosa si aspettava che gli dicessi adesso? La mia vera storia? Non se ne parlava. Quella parte della mia vita, seppur così vicina a me, la volevo dimenticare: volevo strapparmela dalla testa e dal corpo e seppellirla lontano da qualche parte.
La sua domanda mi spiazzó in un modo che non ritenevo possibile: conoscevamo così tanto l'uno dell'altro ma soltanto nei modo di comportarsi, gli atteggiamenti, i silenzi, le domande. Eppure non conoscevamo nulla del passato dell'altro. Era quasi comica come cosa.
-Sono della Georgia, e..-
-Lo so.- 
Alzai un sopracciglio alla sua interruzione.
-Cosa 'lo sai'?- 
-Che vieni dalla Georgia.- spiegó lui alzando le spalle.
Prima che potessi replicare mi disse:
-Vai avanti.- 
-La prossima volta che mi interrompi giuro che...-
-Va bene, va bene, sto zitto.- alzó le mani in segno di resa, ridendo.
Io peró non risi assieme a lui: e adesso? Non volevo raccontare nemmeno dei miei genitori, era una piaga ancora troppo scoperta. Era una ferita non rimarginata sulla mia pelle: bruciava ancora. Ad un certo punto mi colpì la disarmante consapevolezza che non avevo parti del mio passato da salvare: non c'era niente che avrei voluto raccontare. O che avrei potuto. O almeno negli ultimi anni. Avrei inventato: magari dipingere un passato felice mi avrebbe fatto credere di averlo davvero vissuto. Anche se mentire a Dave era quanto di più spaventoso potessi fare. 
-Mio padre e mia madre lavoravano per un'azienda pubblicitaria. Eravamo tutti felici.- 
Che bugiarda: dovevano darmi il Nobel.
-E allora perchè te ne sei andata?-
Scrollai le spalle, sperando che il dolore nei miei occhi non lo convincesse che stessi mentendo.
-Voglia di cambiare.- pronunciai. 
Grazie a Dio non indagó oltre, ció significava che l'avevo convinto: avrebbe continuato a far domande se no. Di certo Dave non era uno che si faceva scrupoli.
-Oggi il signor White ha spiegato una cosa di scienze...micro qualcosa...suppongo.- cambiai argomento, sperando di rallegrare un po' l'atmosfera.
-Hahaha, te la spiego io.- si offrì.
-Attento che ci conto.- lo avvertii, ridacchiando a mia volta.
-Certo certo.- rispose.
-Sai dov'è Chase stasera?- chiesi a Dave.
Ero rimasta al campus tutti il pomeriggio in biblioteca a studiare, e quando ero tornata per cinque secondi a casa, Andrea mi aveva avvertita sul telefono di casa che sarebbe tornata verso l'ora di cena. Sembrava preoccupata, ma aveva cercato di nasconderlo e io non avevo insistito: sapevo che sarebbe stato un duro colpo tornare a casa.
Mi aveva chiesto se avevo notizie di Chase, visto che voleva vederlo appena tornata, ma sinceramente non ne avevo idea.
Scosse la testa, non guardandomi negli occhi.
-Non importa: prima o poi le risponderà.- alzai le spalle.
Arrivarono i primi piatti, e fu la cena migliore della mia vita: quello sì che era cibo! 
E io stavo sopravvivendo grazie a Mc Donalds e pizze quindi mangiare quel filetto di carne era quasi un toccasana per me.
Cominciammo a parlare come non avevamo mai fatto: di norma avremmo già dovuto urlare e scannarci almeno cinquecento volte dall'inizio della serata, e invece non ci fu nemmeno un litigio.
Eppure, sapevo bene che quella sera non era così, a caso: era stata organizzata per dirmi 'una cosa' a quanto pareva importante da Dave.
E io ero terrorizzata. Ricordavo ancora il modo in cui non mi aveva guardato meglio occhi. Lo faceva sempre quando mentiva.
-Direi che possiamo andare.- proclamó dopo che è finimmo il dolce, un tortino al cioccolato squisito.
-Va bene.- acconsentii.
-Pago.-
-No, pago io.- 
-Emma, non ci provare.- 
Lo fissai in cagnesco.
-Quasi mi mancava il tuo fissarmi male.- ammiccó.
-Ah ah, divertente.- 
Alzó gli occhi al cielo e si diresse verso la cassa: io andai semplicemente verso la sua auto e aspettai un paio di minuti. 
Anche se non era lì davanti a me, continuavo a vedere il suo volto, impresso a fuoco nella mia mente: quella sera aveva indossato una semplice camicia bianca. Su di lui, peró, sembrava essere il miglior prodotto vestiario mai esistito. Avevo dovuto sbattere gli occhi un paio di volte prima di aprire bocca e parlargli. 
Solo quando sentii una fitta alle mani, scoprii che me le stavo torcendo e torturando da parecchi minuti.
Ero così ansiosa, preouccpata: come sarebbe tornato Dave? Felicie, spensierato come era stato per tutta la cena o chiuso in se' stesso come la maggior parte del tempo?
Forse era per quello che ero terrorizzata: non avrei saputo come prenderlo.
Dopo circa cinque minuti, che a me sembrarono mooolti di più, tornó.
-Fatto. Andiamo?- mi chiese entrando in macchina.
Aveva lo stesso tono e la stessa espressione di prima, per nulla cupa o silenziosa: grazie al Cielo, e a Dio e a tutti i Santi.
-Certo, ricordati che hanno chiusa la sesta quindi devi fare il giro largo per arrivare a casa mia.- gli ricordai con voce flebile tanto che non seppi da dove mi fu uscita così debole.
Sbuffó e alzó gli occhi al cielo.
-Che c'è?- gli chiesi divertita mentre già sfrecciavamo in strada.
-Sei esasperante.- ridacchió.
Ritornai subito seria, offesa.
-Grazie tante.- e con la sua risata, arrivammo in pochi minuti a casa.
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Scesi dalla macchina con calma, quasi a voler trattenere i resti di quella serata, quasi perfetta, con me. Quasi a voler tenere lui con me.
Nessuno proferì parola finchè non arrivammo davanti alla porta di casa. Trafficai nella borsa, cercando di raggiungere le chiavi, ma quella maledetta ed enorme borsa sembrava averle risucchiate nei suoi fondali.
Sotto lo sguardo divertito di Dave, le trovai dopo qualche minuto e anche quando le ebbi in mano, cominciai a tremare.
Cosa dovevo dirgli? Grazie della serata? E lui mi avrebbe baciata? Doveva farlo? No, certo che no. Lui non l'avrebbe mai fatto.
Quel mazzo sembrava avere fin troppe chiavi e alla sesta volta che cercai di afferrare quella giusta senza successo, lui me le prese di mano.
Quando mi sfioró inavvertitamente il dorso della mano sentii mille brividi freddi.
Forse per umiliarmi o farmi sentire ancora più scema, trovó la chiave giusta in più o meno dieci secondi.
-Grazie.- borbottai quando me le porse, e le infilai nella toppa. 
Appena si aprì mi voltai verso Dave.
-Non mi hai detto la cosa importante che dovevi dirmi.- gli ricordai.
Avevo preso una decisione: sia che fosse brutta, sia che fosse bella avrei voluto sapere la notizia che doveva darmi. Insomma, ci avevo rimuginato su tutta la sera.
Lui esitó troppi secondi: sembrava combattuto.
-Dave: dimmelo.- 
Lui scosse il capo.
-Non è niente davvero.- si giustificó.
-Quindi non mi hai invitata a cena per questo...- 
-Mi sembra che tu ti sia divertita peró.- 
Ecco, aveva sviato la domanda: sapevo che non avrebbe mai risposto davvero.
Lasciai cadere il discorso.
-Vuoi..entrare?- gli chiesi, e appena lo dissi arrossii. Maledette guance!
-Sicura?- 
Sembrava ancora esitante.
-Be', certo se non vuoi puoi andare.- gli feci notare.
-No no, entro volentieri.- disse annuendo.
Quando mai lo feci entrare!
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-Sono un minuto in bagno, mi aspetti qui?- chiesi, appena lui si fu stravaccato sul divano.
-Penso che ti ruberó una birra dal frigo.-
-Ma hai appena bevuto! Non voglio che torni a casa ubriaco.- protestai, e mi sentii un po' scema appena finii di pronunciare quella frase.
Mi guardó con evidente sufficienza:
-Yankee, io reggo molto più di te.- 
-E questo chi lo ha stabilito, di grazia?- chiesi mettendomi una mano sul fianco.
Lui sogghignó.
-Io.- 
-Ah, hai ragione. Come contestare la parola di Hudson.- replicai alzando gli occhi al cielo e andando in corridoio.
Arrivata in bagno quasi svenni: ORRORE!
Il mascara si era leggermente sbavato, il lucidalabbra sparito e..ero tutta rossa e accaldata.
Santo Dio. E dire che non mi ero nemmeno truccata molto: non ne vedevo veramente il motivo.
Dave mi vedeva quasi ogni mattina struccata e in tuta.
Mi spruzzai un po' d'acqua in viso e mi tolsi l'inutile velo di cipria ormai volatilizzato dalle mie guance.
'Contegno, Emma: c'è solo il ragazzo più ambito e più sexy della città nel tuo salotto, nulla di che preoccuparsi"
Certo.
Ritornai in salotto facendo respiri profondi: non mi ero accorta dell'effetto che mi faceva Dave se non quando non era più con me.
Lui era appoggiato allo stipite della cucina con un fianco, e nella mano destra un birra gelata: non avevo mai visto niente di più bello.
Ma cosa stavo pensando? Cielo, aiutami.
-Ehm...vuoi guardare qualcosa alla televisione? Sapevo che facevano un bel film poliziesco...-  mormorai per nulla convinta.
Sorrise dolcemente, e sentii qualcosa sciogliersi dentro di me. 
-Mi piacerebbe molto.-
Okay, qui si era ai livelli della pazzia: DOVE, e dico, DOVE era il normale Dave? 
Quello che per ogni frase o movimento aveva da ridire, e che mi faceva esasperare in dieci secondi netti? Boom. Sparito.
Eppure, mi piaceva ( nel senso di apprezzare, sia chiaro) anche questo suo lato del carattere, a meno che non stesse fingendo, ma ne dubitai fortemente. 
Non ne aveva motivo.
Quando mi sdraiai sul divano capii subito che qualcosa sarebbe andato storto: eravamo troppo vicini. 
Io me ne stavo lì, con la schiena ritta e le gambe rigide sul lato sinistro del divano schiacciando pulsanti a caso pregando che uno di loro accendesse la televisone.
Nom riuscivo a decifrare i piccoli bottoni: avevo la vista un pochino affuscata.
Non so per quale miracolo, riuscii ad accendere il televisore e anche a trovare il canale giusto dove era iniziato da poco il film.
Adoravo i polizieschi.
Lanciai uno sguardo di sbieco e Dave, che si portó alle labbra la bottiglia, e bevve un sorso.
-Non mordo, Yankee.- mormoró guardando fissó verso la TV.
Annuii e mi misi leggermente più comoda, ma ero ancora rigida e cercavo di evitare il più possibile di toccargli il braccio, pericolosamente vicino al mio.
-Emma, sul serio.- insistette.
A quel punto le mie buone intenzione caddero come tanti birilli: poggiai la testa sul braccio steso di Dave, e mi accoccolai vicino a lui, ma non troppo.
Ancora non ce la facevo a stargli troppo vicino: sarà stato lui, saranno state le ferite che ancora mi distruggevano dentro ma non riuscivo a lasciarmi andare.
Se avete mai provato una sensazione del genere, peró, lo stare fra le braccia di una persona così..speciale, in un certo senso, sapete di cosa parlo.
Se no, è molto difficile spiegarlo, ma tenterò lo stesso: era come un calore improvviso, un fuoco acceso repentinamente nell'anima.
Sentii formarsi la pelle d'oca ovunque appena appoggiai il capo vicino all'incavo del collo, sulla spalla. 
Era bello: troppo bello. Non dovevo lasciarmi andare, non dovevo e basta. 
Eppure il suo profumo,il suo respiro: mio malgrado sentii una forza, una pressione anche lì sotto...
Cercai di concentrarmi sul film: quasi senza pensarci, mi prese moltissimo.
Certo, ero consapevole di ogni minuscolo centimetro di pelle che era a contatto con la sua, e registravo qualsiasi piccolo movimento, metà del mio cervello era rivolto verso il giallo.
Dave, al contrario, non sembrava molto preso: sbadigliava circa nove volte al minuto.
Dopo un'oretta, esattamente mentre si stava per scoprire se il tenente Jackson aveva ragione e l'assassino era Paul Rest, Dave mi prese il telecomando dalle mani.
-Questo film è terribile: cambiamo ca..-
-Non provarci nemmeno, Dave Hudson! Voglio sapere chi è l'assassino!- strillai saltando sull'attenti.
Scoppió a ridere e, mentre io cercavo di afferrare il telecomando, lui lo portava sempre più in alto e sempre più lontano e sia chiaro: le mie braccia erano un quarto delle sue.
Quando finalmente riuscii ad agguantarlo mi accorsi che ero finita a cavalcioni su di lui.
'Oh oh.'
Forse anche lui l'aveva capito, perchè il suo sguardo cambió: il sorriso si spense lasciando il posto ad un espressione intensa e profonda.
Con un pollice mi sfiorò le labbra. Oddio. Ero esattamente sopra di lui, e riuscivo a sentire cosa c'era SOTTO di me...ecco quanto mi desiderasse. O forse era solo una reazione involontaria: qualsiasi donna che gli fosse capitata così lo avrebbe fatto reagire così.
-Dave...- sussurrai, ma il mio fu un debolissimo sussurró.
Non mi accorsi che lo spazio fra noi si era notevolmente ridotto.
Sentii il suo respiro alla menta sulle labbra: era inebriante.
Ma feci l'errore di guardarlo negli occhi: e in quegli occhi non vidi più Dave ma il suo viso si trasformò, i lineamenti cambiarono.
Nate.
A quel punto scattai indietro.
Ma cosa stavo facendo? Cosa cavolo mi era passato per la testa? 
Scesi dal divano come una furia, presi la mia borsa e mi diressi verso la porta a passo velocissimo. 
-Em. Em!- mi chiamó Dave.
Aprii la porta ma lui mi prese per un braccio e mi costrinse a girarmi.
Mi liberai con uno strattone.
-Cosa stai facendo?- mi domandó con le guance arrossate.
-Me ne sto andando.- gli risposi, cercando di non fare intonazione alle mie parole. Come se fosse una cosa da niente. Ci riuscii.
-E perchè te ne stai andando, maledizione!?- gridó lui sconvolto, con gli occhi che vacillavano.
Oltre al fatto che me ne stavo andando da casa mia: aveva qualche senso? 
Non avevo una vera risposta da dargli. Sapevo solo che quello che era quasi successo non sarebbe dovuto succedere mai più. Io non ero lì per rivivere il mio passato.
Ero lì per lasciarlo andare.
Lui mi fissó, e mi sorpresi ancora una volta di quanto fosse bello, anche da arrabbiato com'era.
-Non capisco cosa ho fatto per meritarmi una cosa del genere!- esclamó, con una risata amara.
-Non sei tu, Dave, ma...-
-Vuoi sapere una cosa, Emma Bennet? - mi interruppe. Ora nel suo sguardo c'era una freddezza incalcolabile.
-Sei una maledetta stronza.- 
Aprii la bocca e rimasi così, scioccata. 
L'aveva detto davvero? Forse era solo la mia immaginazione. 
Ma no, era solamente tornato  il buon vecchio e stronzo Dave. Era stato via troppo tempo, si vede.
Sapevo che una parte di lui aveva ragione: andarmene, così di punto in bianco non sarebbe stato il massimo ma ora non riuscivo più nemmeno a farmi toccare.
Nessuno doveva toccarmi. 
Le dita di Nate sui miei polsi c'erano ancora.
-Tu hai bisogno di me.- mi disse, contraendo la mascella. 
Riuscii solo a fissarlo.
-Sai che è vero.- 
Non seppi dire nulla, mi limitai a stringere i pugni tanto che si sbiancarono le nocche.
Se c'era una cosa che mi mandava in bestia era dare ragione a Dave. 
E purtroppo, anche se ancora non ne ero completamente consapevole, quella volta aveva ragione.
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Capitolo 9
*** Nono Capitolo ***


La voglia di sbattergli la porta in faccia era così forte che non so come mi trattenni: forse perchè se no sarei rimasta chiusa fuori da casa mia, con Dave dentro. Il che NON era una cosa normale.
-Come diavolo ti permetti?- gli strillai dietro, furiosa.
-Scusa, principessina! Sei alquanto irritabile- mugugnó lui.
Principessina? Se prima i miei ormoni stavano per offrirsi a Dave su un piatto d'argento, ora si stavano infilando un'armatura, impugnando le forche.
-Ma cos'hai nel cervello? La segatura?- 
Nonostante lo sguardo di fuoco che mi mandó non pensai nemmeno per un istante di mettere fine ai miei insulti: ormai ero partita.
-Se avessi un minimo di rispetto...-
-Rispetto? Mi parli davvero di rispetto? Tu?- esclamó strabuzzando gli occhi.
Lo fissai stringendo gli occhi a fessura, spostai il peso su un piede e incrociai le braccia.
Una bambina dell' asilo, ecco cosa sembravo.
-Perchè sarei irrispettosa? Ma sei scemo sì o sì?- 
-Divertente, Emma. Peccato che tu non veda o che tu faccia apposta a non vedere, la realtà.- rispose con voce calma e dura, io è fu ancora peggio.
-Cosa dovrei vedere scusa?- chiesi 
Lui sbuffó, ma capii che non riusciva a darmi una vera risposta quando ci mise troppo tempo per parlare di nuovo.
-E pensare che dicono che sono i maschi, quelli ottusi. Mi stai facendo impazzire.-
-cosa vorrebbe dire, scusa? Io ti sto facendo impazzire?-
-Di sicuro, se continui a strillare così. -
Sapevo che non era la risposta giusta. 
Dovevo aspettarmelo che avrebbe rigirato la domanda senza rispondere. Dio, che nervi! 
E ora come dovevo interpretare la sua frase? Saró stata anche brillante come mente, ma di certo non potevo leggere in quella degli altri!
-Se ti do tanto fastidio, la porta è da quella parte.- gli indicai con un sorriso acida.
Com'è che ero ancora via con tutto quel veleno in corpo? 
-Veramente sono stanco morto, ho un mal di testa terribile, sono sicuro che c'entrino le tue urla, e vorrei solo cacciare la testa sotto un cuscino.-
-Bene, e vedi di soffocarci dentro.- 
-Avanti, Emma. Sei tu che hai creato tutto questo casino!-
-Io...- cominciai.
-Ok, va bene, ho esagerato scusa. Anche se con te è una battaglia persa.- ripetè, alzando le mani.
Sgranai gli occhi.
Si stava scusando? Quel cretino si stava scusando? Di quel passo, il giorno dopo pioveva verde.
-Non me ne frega niente se impazzisci per cose così, Dave. Il fatto è che in casa mia non mi parli in quel modo.- ribattei acida.
-Mi sembra di essermi già scusato.-
-E a me sembra di aver già detto che non mi importa.-
-Sei impossibile!- esclamó facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.
-E tu sei un deficiente!- 
-Puó darsi.- mormoró , con la voce bassa e roca.
Oddio. No, doveva chiudere la bocca e stare zitto.
Perchè era così sexy? Non bastava che fosse soltanto bello da svenire? 
Indietreggiai involontariamente finchè aderii completamente alla porta.
-Ammettilo.- 
-Cosa?- 
-Che sei attratta da me.- 
A quel punto le mie guance diventarono di un colore insostenibile. Non ero una persona molto timida, ma per qualunque frase velata andavo a fuoco.
-Nei tuoi sogni.- ribattei, e quasi mi applaudii da sola per la fermezza con cui lo dissi. Sembrava quasi vero.
-Oh, in quelli sicuramente.- 
ODDIO. 
Si avvicinó e mi spostó un boccolo dalla spalla, toccandomi (in)volontariamente la pelle nuda della spalla. 
Respirai un po' più difficilmente.
-Se davvero...- e fece aderire il suo corpo al mio,
-non provi nulla...- fece scorrere il palmo della sua mano sul mio collo, e poi sulla mia guancia
-perchè reagisci così?- finì, passandomi una mano tra i capelli, e prendendomi l'altra con la sua, portandola in alto, attaccata alla porta.
-Perchè...io...- farneticavo, ma ormai non rispondevo più delle mie azioni. Il mio respiro era corto e accelerato e il cuore mi stava letteralmente uscendo dal petto.
Cosa mi stava facendo Dave? 
Non so come, quando, o perchè lo decisi: forse ero stanca di essere sottomessa così, anche perchè alla fin fine aveva ragione lui.
E io odiavo dargli ragione.
Mi girai di scatto, prendendolo per la maglietta e invertendo le posizoni: ora era lui attaccato al legno scuro della porta di casa.
I suoi occhi si spalancarono, ma io non li guardai: non volevo che succedesse quello che era accaduto prima, non ora che stavo avendo la mia rivincita.
Mi avvicinai, inspirando il suo profumo così inebriante, costringendomi a rimanere lucida: feci scorrere la punta del mio naso dal suo collo alla sua guancia e arrivai ad una distanza infinitesimale dalla sua bocca.
-Sai, non dovresti provocarmi così..- cominciai, cercando di sembrare sensuale.
Lo avevo stupito: mi guardava, con le pupille dilatate e lo sguardo eccitato.
-Perchè potrei reagire.- finii, facendo accidentalmente passare la mia mano vicinissima alla sua erezione.
Il suo respiro ora era veloce, e sentivo il suo petto andare su e giù.
A quel punto mi staccai, andando indietro e lasciandolo lì: tremendamente bello, coi capelli spettinati e con un'espressione così stupita che avrei dovuto fotografarlo.
Dentro di me, esultavo come una cretina: allora non ero solo io a morire ogni volta che mi si avvicinava. 
-Buonanotte Dave.- dissi con tono civettuolo, girandomi e incamminandomi verso il corridoio. 
Lui aspettó un paio di secondi prima di rispondere e riuscii solo a compiacermene.
'Ben ti sta.' pensai.
-Buonanotte un cavolo.- ruggì. 
Partì alla carica, e venne dritto verso di me con in faccia un'espressione determinata.
-Non ci provare!- strillai, mentre cercava di prendermi.
L'unica cosa che riuscii a fare fu di infilarmi in corridoio il piu in fretta possibile, ridacchiando nervosamente come una scema: mi sembrava di essere tornata all'asilo, quando devi correre per non farti prendere dal lupo. E mi stupii di essere ancora capace a ridere sul serio: dopo tutto quello che era successo in quei mesi, ogni risata, che non era con Andrea, mi sembrava strana.
Sentivo il cuore esplodere, e diedi la colpa alla corsa. Le luci in corridoio erano spente, solamente la luce del salotto giungeva ma non si riusciva a distinguere nulla: era tutto immerso nel buio.
Un secondo prima di raggiungere la porta della camera da letto, sentii delle mani calde, delle mani che conoscevo afferrarmi per i fianchi, e in pochi secondi mi ritrovai con le spalle al muro.
Non riuscivo a vedere nulla, ma a giudicare da quando vicina mi giunse la sue voce, eravamo a cinque centimetri di distanza.
La risata mi si strozzó in gola quando si avvicinó ancora di più, tanto che sentii il suo respiro battermi sulle labbra, e sentii un disperato bisogno di farle aderire con le sue.
-Ti ho presa.- sussurró, ansimando.
Era ufficiale, voleva vedermi morta.
Cercai una risposta piccata e acida dal mio vasto repertorio, ma non riuscii a fare uscire una singola parola dalla mia bocca.
Lentamente, in una lentezza straziante colmó lo spazio fra noi: le sue labbra si appoggiarono delicatamente sul l'angolo delle mie, e già a quel punto pensai che sarei svenuta.
Da quanto tempo immaginavo come sarebbe stato sentirne il sapore, saggiarne la  consistenza, così morbida.
Troppo preso le staccó.
Stava giocando con me, era ovvio: mi stava facendo impazzire, forse per vendicarsi di prima.
Grazie a Dio, la luce era spenta, e i suoi occhi non mi avrebbero tormentata. Così, eravamo solo io e Dave. 
Piano, socchiuse le labbra, e il suo respiro alla menta mi investì facendomi vacillare.
A quel punto i miei buoni propositi era felicemente andati a quel paese.
Come mi chiamavo? Emma? Siamo sicuri? Perchè il mio cervello stava dando forfait.
Con una mano mi strinse i fianchi, e io inarcai involontariamente il bacino verso di lui.
Sentii che gemette qualcosa e questo non fece altro che aggiungere buoni motivi per scollegare quell'apparecchio guasto chiamato cervello.
-Oddio...- sussurró.
-EMMA! SEI QUI? DORMI?-
Una doccia gelata: Andrea sbraitava dal salotto, urlando così forte che se anche avessi dormito adesso sarei stata sveglissima.
Dave si staccó repentinamente e maledissi Andrea con quanti più insulti riuscivo a formulare.
Presi un respiro profondo, e guardai Dave: stava cercando di riprendere il controllo.
Appena il suo sguardo incontró il mio, era tornato l'inverno: il caldo sconfinato di prima si era ormai esaurito.
Mormorai un 'scusa' e sgattaiolai in salotto.
-Emma! Finalmente, non rispondevi più. Ma come sei conciata? - cominció Andrea ma si bloccó con la bocca aperta che i sarebbe entrata una piazza alla vista di Dave che usciva in quell'istante dal corridoio.
Probabilmente fece due più due, e notai che sia i miei capelli sia quelli di Dave erano un disastro, e per quanto fosse bravo a fingere aveva ancora il respiro corto.
Non volevo sapere in che condizioni ero io.
-Oh. Cioè, volevo dire..ciao Dave. Perché eri nel mio corridoio?-
Volevo ammazzarla.
-Ora vado, infatti. Buona serata Andrea. Ciao Yankee, passo domani per le lezioni di chimica.- 
Si giró e mi rivolse uno sguardo così lungo che arrossii leggermente e sembró voler aggiungere qualcosa ma scosse la testa, si giró e se ne andó.
-Ok, ora voglio sapere TUTTO.- strilló Andrea appena la porta si fu chiusa.
-Zitta! Ti sente di sicuro!- la rimproverai.
-Sai quanto me ne importa...- bofonchió alzando le spalle. -Allora? Cosa ci facevate nel corridoio, con le luci spente? Avevi una faccia, sembrava quasi che avessi appena fatto il migliore sesso della tua..-
-Va bene, puó bastare!- la interruppi sentendomi ancora andare a fuoco.
Ci sedemmo sul divano, stravaccandoci: io presi un cuscino e lo strinsi forte al petto.
-Davvero, Emma, a parte gli scherzi..- cominciò seria -sono felice che tu..be', insomma, abbia trovato qualcuno.- concluse, e vedevo che era imbarazzata.
In un modo o nell'altro avremmo toccato l'argomento Nate.
-Non lo so, De: quando sono con lui sono..diversa. Cioè mi fa infuriare nove volte su dieci, ma sto bene con lui.-
-È normale, tesoro.- mi disse -Certo, che ha un bel caratterino.- 
-Già.-
-Ma...vi siete baciati?- chiese titubante.
Sapevo che si stava trattenendo solo per via del mio passato, se no mi avrebbe tranquillamente assalita. 
-Sì.- ammisi a bassa voce.
-ODDIO! COM'È STATO?- 
Avevo sottovalutato la voce spacca timpani di Andrea, e le dovetti tirare il cuscino che avevo in mano.
-Oh, piantala!- 
-Non la pianto neanche morta. Come bacia?
-Non ne hai idea.- risposi e lei fece un gridolino.
-È bello sapere che comunque, anche dopo Nate, sei capace di..be' di questo.- disse.
Ci pensai su.
-Non ho paura, e mai ne ho avuta, dei baci e dell'intimità in generale, lo sai bene De. Non è quello che mi ha tolto Nate.-
Ed era vero: avevo sempre conservato la mi vena leggermente aggressiva e sensuale. Lui non me l'aveva tolta. Lui mi faceva del male fisico, ma io ero molto più forte di quanto pensasse. O almeno, mentalmente. Ma non avrei sopportato un giorno di più accanto a lui. 
-Lo so, lo so. Be', è una bella notizia comunque.- disse lei.
-Già -concordai.
Solo allora mi ricordai che Andrea era stata a casa nostra, in Arizona.
-Oddio, De, me ne ero dimenticata! Sei tornata a casa?- le chiesi, cercando di scusarmi.
Lei pace imbarazzata e annuì .
- i miei erano felici di vedermi e..-
Già sapevo cosa stava per dire.
-I tuoi vorrebbero vederti.- concluse.
-No.- misi subito in chiaro, inflessibile.
-Lo so, gliel'ho spiegato anche io. Rispettano la tua decisione anche se non la capiscono.- 
-Non potevo dirgli quello che mi faceva Nate.- dissi amara.
-Dovresti.- 
-Non ricominciare Andrea . Un giorno..glielo diró.-
-O lo scopriranno.- ipotizzó Andrea.
-In qualunque caso lo sapranno. Ma tu non...-
-No! No, assolutamente no. Non l'ho visto nemmeno di sfuggita.- 
Un grosso peso mi scivoló via dal petto e riuscii quasi a distendere il viso in un piccolo sorriso.
-Faccio una doccia.- annunció Andrea.
-Ti voglio bene, De.- le dissi.
Lei mi guardó con uno sguardo amorevole e mi scompiglió i capelli.
-Anche io tesoro..anche io.- 
________________________________________





Angolo:
Ciao a tuttii!
Eccoci qui, con un nuovo aggiornamento e possiamo dire...FINALMENTE!
C'è un bacio, e non vedevo l'ora di scriverlo ma si sa..con Emma e Dave si deve andare con calma.
Tengo tantissimo a questo capitolo, si incominciano a conoscere più profondamente, e ci sono molte più scene..piccanti.
Ringrazio in anticipo chi leggerà la storia, e se avete qualche minuto di tempo, recensite il capitolo, perchè la vostra opinione di lettori è importantissima sia al fine di migliorare me e la storia, quindi se poteste lasciatemi un commentino.
Un bacio,
Kveykva.

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Capitolo 10
*** Decimo Capitolo ***


-Muoviti, Emma!- strilló Andrea, indicandomi qualcosa con il dito.
-Che c'è?- le chiesi di rimando, mentre mi scostavo per lasciare passare un paio di studenti che correvano tutti di fretta.
Andrea si spostó di lato e riuscii a vedere il foglio bianco attaccato sul muro.

'RIUNIONE EXTRA IN AULA MAGNA H.9:00
Sono invitati a partecipare tutti gli studenti dell'Università per informazioni e progetti per il corso di studi.'

-Cosa?! In aula magna?- divenni nervosa anche io.
-Io non ho idea di dove sia.- disse Andrea.
-Non mi sembra difficile trovarla..- e con un gesto della testa le indicai tutti gli studenti che sciamavano lungo una direzione, appena entrati.
-Scommetto che stanno andando lì.- dissi.
Lei annuì.
-Certo che avrebbero anche potuto dirlo prima! Uno arriva e si trova una cosa del genere, ma io non lo so...- cominció a blaterare Andrea, andando avanti per mille anni coi suoi insulti.
Sbagliammo strada un paio di volte, ma riuscimmo sempre a ritrovare la massa e alla fine arrivammo nell'aula magna. Si trovava nel piano sottoterra, dove infatti non eravamo mai state.
-È enorme.- commentó.
-'Aula Magna', cosa ti aspettavi?- disse una voce, raggiungendoci.
-Ehi, Mike!- lo salutó Andrea.
Lo salutai con la mano, ma lui mi venne accanto e mi diede un bacio sulla guancia.
Rimasi un po' interdetta e stupita tanto che nemmeno lo rifiutai.
-Buongiorno, Emmy.- 
Sorrisi forzatamente, sperando che fosse abbastanza.
Prendemmo posto in fondo, e ci raggiunsero anche Jay, Robin e tutti gli altri.
Salì sul palco il professor White, che incominció a parlare di novità generiche per le classi e la scuola in generale, e quasi mi addormentai.
-E ora, vorremmo comunicarvi la notizia più importante: in seguito a richieste da parte degli studenti, e anche da proposte dei docenti, si finanzierà una visita al Science Museum di Londra.- 
Quando l'ultima parola uscì dalla bocca del professore, ci fu un scroscio di applausi e di esclamazioni di approvazione.
-Ovviamente, rimarremo lì solamente tre giorni, non pensate che perderete due mesi di scuola a far niente!- frenó l'entusiasmo subito il professore.
-Bene, quindi, chi fosse interessato, e sarà meglio perché i miei alunni ci andranno anche forzatamente, si rivolga alla professore Marble, grazie.-
-Cosa? Io non ho voglia di andarci!- brontoló Andrea.
-Ci tocca: White è anche il nostro professore.- precisai con uno sbuffo, mentre mi girai verso Lindsday.
-Voi venite?- chiesi.
Lei alzó le spalle, mentre camminavano in fila verso l'uscita.
-Dobbiamo.- rispose.
Non potei fare a meno di pensare se Dave ci sarebbe andato: forse avrei dovuto chiederglielo. O forse no.
-A questo punto diamo il nome, e vediamo dove ci collocano. Avremo tutti lo stesso hotel no?- mi chiese Andrea.
-Non so, De. Vai a chiedere, io ti aspetto in mensa che sono già le dodici.-
-Va bene, tesoro, ti raggiungo lì.- e mi lanció un bacio, incamminandosi con gli altri verso il bancone delle informazioni.
Io seguii il resto della gente che confluiva verso l'uscita, e quidi verso la mensa.
Tre giorni lontana da lì avrebbero sicuramente fatto bene. Magari mi avrebbero aiutato a staccare definitivamente, come una boccata d'aria fresca, ma sapevo che probabilmente sarebbe stato solo per tre giorni.
Poi sarebbe ritornato tutto come prima.
-Hai già dato il nome?- 
Ebbi un sussulto quando sentii la sua voce e mi girai.
-Tu vai?- gli chiesi.
Dave annuì e mi sorrise.
-Hanno detto che l'albergo sarà unico per tutti gli studenti.- 
Annuii anche io, ma non capivo bene perchè me lo stesse dicendo.
Cambiai argomento.
-Sai quando si parte?- chiesi.
-Sabato.- 
-Sabato? Ma è fra quattro giorni!- esclamai scioccata.
-Avanti Yankee...- disse in tono conciliante e poi si avvicinó e mi scostó una ciocca di capelli.
-..sarà divertente.- 
Mi rivolse un ultimo sguardo e se ne andó, accennando ad un sorriso.
Be', alla fine l'idea di tre giorni via non era affatto male, ma proprio affatto.
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Dave:
In quei pochi giorni in cui rimanemmo a Gainesville, vidi Emma molte volte.
Il più delle volte la sorprendevo a casa, ovviamente in pigiama, e entravo con la scusa di farle lezioni di chimica.
Ma la verità era che lei chimica l'aveva capita benissimo, ma ne' io ne' lei lo ammettevamo.
In alcuni momenti dove non parlava nessuno, ed eravamo seduti sul suo letto, lei mi fissava.
Non diceva niente.
Stava lì e mi guardava per secondi interi coi suoi occhi color del miele.
E in quei momenti avevo davvero paura di innamorarmi di lei.
Perchè era così bella, era così intelligente, e così speciale. Ma non potevo. Non avrei mai potuto anche solo lasciarmi andare con lei, ma era la cosa più difficile al mondo.
-Ce l'hai: devi solo ripassare il primo capitolo, poi è tutto a posto.- le dissi, chiudendo il libro.
Lei mi sorrise leggermente e annuì.
Era seduta a gambe incrociate sul letto, con un cuscino fra le braccia.
-Okay.- 
Ci fu un momento di silenzio in cui lei si guardava le mani e io guardavo lei.
-Scommetto che non vedi l'ora di andare a Londra...- dissi.
Lei si tiró una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-Mm... Anche tu non vedi l'ora di lasciare questo posto?- 
-Puoi dirlo davvero.- 
Vidi la sua espressione stupita quando capì che ero serio.
-Già.- mormoró arrossendo un poco.
Dio, quando era sensuale quando le sue guance si tingevano di quel delicato rosso.
Mi veniva voglia di...
-Devo andare.- annunciai prima che la mia mente divagasse.
-No!!- urló.
-Cioè..no, volevo dire.- si corresse abbassando la voce.
-Domani si parte prestissimo, Yankee ed già mezzanotte. Vedi di riposare.- le dissi con tono dolce, una voce che non pensavo sarebbe mai uscita dalla mia bocca.
-Resta ancora un po'. Ti prego.-
Un conto era impormi di allontanarmi, ma un altro era se lei mi chiedeva di restare con lei.
La cosa che avrei voluto fare? Restare, assolutamente. Restare per tutto il tempo che voleva, aiutarla e starle vicino in tutti i modo possibili.
La cosa che avrei dovuto fare? Andarmene.
Mi alzai dal letto, mentre lei mi fissava con gli occhi spalancati: le andai vicinissimo al viso.
-A domani- e le lasciai una carezza su una guancia.
Un lampo di tristezza le passó negli occhi, ma poi scosse la testa.
Si alzó decisa, e mi guardó con una rinnovata decisione.
Non capivo mai realmente i suoi cambi d'umore, mi sembravano così strani e difficili...irragionevoli e inaspettati.
Ma mai provare ad entrare nel cervello di una donna, per carità.
Mise le dita nei passanti dei jeans e facendo un piccolo salto, se li tiró su, facendoli aderire perfettamente con la sua pelle.
Poi mi guardó, sorrise consapevole, e mi passó davanti, lasciandomi ovviamente ammirare il panorama. 
Tutta la fermezza che avevo avuto pochi secondi prima sembrava essersi volatilizzata.
Ero cauto, sì, ma ero pur sempre un uomo.
E quella che avevo davanti non era solamente una 'ragazza', ma era Emma...
La seguii con il cuore in gola, e il solo fatto che quella ragazza riuscisse a mandarmi in palla solo camminandomi davanti mi faceva andare in bestia.
Litigavamo, sì, almeno nove volte su dieci, ma provavo qualcosa di strano per lei. 
Passavano da un desiderio incondizionato a una consapevolezza di non capirla mai davvero. Era strano starle vicino: riusciva a cambiare da un momento all'altro, qualcosa scattava nel suo cervello e o si chiudeva a riccio, oppure giocava col fuoco.
E in quel momento, stava pericolosamente giocando vicino alle fiamme.
La seguii fino alla porta, incerto su cosa avrei fatto, finchè non si giró e mi guardó, mordicchiandosi il labbro.
Non esisteva persona più sexy sulla terra, nessuno più sensuale di lei, non in quel momento. 
-Be', allora ci vediamo all'aeroporto.- disse con la voce bassa. 
-Forse potrei restare qui ancora un po'...- mi azzardai, sapendo che, o mi avrebbe mandato a diavolo, o avrebbe ceduto.
Non fece nessuna delle due cose. 
-Hai già cambiato idea?- chiese con voce quasi speranzosa, e in quel momento pensai di averla convinta.
-Sì..- sussurrai facendo un passo avanti.
Lei sembró avvicinarsi ma all'ultimo mi prese per la maglia e mi mise letteralmente fuori dalla porta, come un cane.
-Be', io no.- sorrise facendomi l'occhiolino e la chiuse definitivamente.
La mia testa sarebbe completamente esplosa.
E chi le capiva le donne? 
Erano esseri fuori dalla mia portata.
Ma se c'era una cosa di cui ero sicuro, era che quel weekend a Londra sarebbe stato molto interessante.

________________________________________



Angolo:
Scusate il ritardo ma sono state settimane terribili per me! 
Questo capitolo è raccontato da Dave, volevo farvi capire un po' il suo punto di vista ma non ce ne saranno molti altri in prima persona sua.
Ma ditemi, come vi sembrano? Suggerimenti? Se non vi piacciono, continueró normalmente con Emma ma pensavo fosse interessante farlo vedere anche da un'altra prospettiva.
Per quanto riguarda il resto del capitolo...sorpresa! Un week-end a Londra, chissà cosa succederà? 
Un bacio.

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Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo ***


La sveglia mi riscosse dal mio meraviglioso sonno ristoratore.
Mi girai di schiena per vedere se Andrea era già sveglia, ma dormiva ancora beata.
Mi alzai di malavoglia, e mi feci una doccia: l'acqua gelata di prima mattina mi sveglió completamente. Era il gran giorno: appena finii di svegliare Andrea, feci colazione.
Ero così..eccitata? Agitata? Spaventata a morte? Felice? 
Non avrei saputo dare una vera definizione a ció che avevo dentro, ma sentivo nelle vene una forza, un'energia nuova.
-Sei pronta?- gridai mettendo nel lavandino le nostre tazze della colazione.
-Pronta!- fu la risposta di Andrea e sentii i suoi passi rimbombare in corridoio,quasi avesse le scarpe coi tacchi, fino a trovarmela davanti.
-Ma sei impazzita?- strillai.
-Che c'è?- replicó spazientita.
-Ma ti sei vista allo specchio? Sembri appena uscita da 'Playboy'.- risposi ancora sotto shock, non sapendo se ridere o piangere.
Lei si fissó la minigonna a quadretti corta e poi sotto le scarpe con un tacco a spillo medio, laccate di nero come se le vedesse per la prima volta.
-Secondo vanno benissimo.- sentenzió.
-Cielo, come farai in aeroporto con quei trampoli.- alzai gli occhi al cielo, ma affari suoi. Lasciai correre.
Saltai in macchina trascinando la valigia, o meglio le valige visto che Andrea se ne era portata due, e sfrecciammo verso l'aeroporto.
-Allora..- cominció quando mi fermai ad un semaforo rosso -..scommetto che non vedi l'ora di vedere Hudson.- 
Roteai gli occhi e mi scappó un sorriso.
-No, Andrea, non vengo solo per Dave.- risposi come si spiega una cosa ad una bambino di cinque anni.
-Certo certo, intanto vi ho beccati a fare cose sconce in corridoio..e non negarlo!- esclamó vedendomi cercare di dire di no.
Arrossii visibilmente.
-Non stavamo assolutamente facendo cose sconce: te l'ho raccontato benissimo.- dissi mettendo il broncio.
Pigiai sull'acceleratore un po' troppo bruscamente e la macchina scattó in avanti.
-Gesù, Emma..quel ragazzo ti rende nervosa anche a chilometri di distanza.- 
Sbarró gli occhi quando mi lasciai andare ad una risata.
-Oh..e non hai idea di quando è presente.- 
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-Eccoli! Sono lì!- strilló Andrea indicando i nostri amici, davanti ad una delle porte scorrevoli dell'aeroporto.
Per essere nel bel mezzo di ottobre faceva un caldo terribile, e quasi invidiai Andrea e la sua minigonna inguinale.
Salutai con una mano, per quanto mi fosse possibile con le valigie, e li raggiunsi.
Linsday e Robin erano abbracciati: figuriamoci se si staccavano mai! 
Mentre Jay era impegnato con qualche problema col suo cellulare 'troppo vecchio perfino per sua nonna', Mike ci venne incontro.
-C'è l'avete fatta! Aspettavamo solo voi!- esclamó.
-Scusate...i miei scongiuri per far togliere ad Andrea quei tacchi sono durati più del previsto.- borbottai.
Linsday ridacchió sommessamente sulla spalla di Robin. 
-Rimango dell'opinione che 'vestirsi bene è una forma di buone maniere'- si giustificó lei, alzando il capo, contrariata
-In effetti sei proprio una bomba sexy, Andrea.- commentó Jay, il quale non si che idea si fosse messo in testa quel giorno su Andrea.
-Peccato che sia la MIA bomba sexy.- rivendicó una voce scura, prima che una mano si stringesse attorno ai fianchi di Andrea e vidi Chase sorriderle, dopo aver scoccato un'occhiataccia a Jay.
Andrea e Chase cominciarono a pomiciare come due liceali, cosa che mise imbarazzo metà delle persone presenti.
A proposito..se era arrivato Chase, doveva anche essere arrivato...
-Dave.- lo salutó con un cenno Robin. 
Mi girai verso lo splendore di quel ragazzo: indossava una semplice maglietta scura con scollo circolare ma era più che bello. E non di una bellezza scontata. Anche Chase e Robin, e molto altri dell'università erano dei bei ragazzi ma lui..era di tutt'un altro pianeta. Forse era sia l'aspetto fisico, ma anche il modo in cui metteva soggezione negli altri, il modo in cui fissava. Il modo in cui mi fissava.
-Emma?- mi chiamó con fare interrogativo ed ebbi paura di essere rimasta a fissarlo troppo tempo. Rabbrividii sentendolo pronunciare il mio nome con quella voce profonda.
-Si..?- risposi, cercando di metterlo a fuoco meglio.
-Hai sentito quello che ho detto?- 
-Certo.-
-E sei d'accordo?-
-Ehm..su cosa?-
-Visto che non ascolti!- rise.
Non pensavo fossi di così buon umore: a dir la verità non sapevo a chi mi sarei trovata davanti quella mattina ma ero felice di non dover sopportare 'Mr. bello e stronzo da morire'.
-Ho detto che è meglio se entriamo, visto che fa caldo e dentro ci saranno probabilmente gli altri. O forse preferisci restare qui a squagliarti.- aggiunse sogghignando.
-Non cominciare, Dave.- borbottai sorpassandolo, e facendo aprire le porte scorrevoli.
-Nervosetta eh?- mi derise, e dal modo in cui lo disse capii che stava sorridendo.
Sorrisi anche io.
-Colpa tua. Dov'è il check in?- domandai a nessuno in particolare, girandomi.
-Laggiù. Noi l'abbiamo già fatto online, comunque non ci vorrà molto, non vedo tanta gente.- mi rispose Lindsday.
-Non c'è mai gente qui.- aggiunse Jay.
-Be', chi è che vuole venire in questa città del cavolo?- mugugnó Mike.
-Il check in serve per le partenze, Mike. Come sei intelligente.- roteó gli occhi al cielo Jay.
-Lo so, grazie.- 
-Va beeene, vado a fare il check in, aspettatemi qui.- annunciai cerando di interrompere quella strana conversazione. 
-Ti accompagno.- disse Dave.
Da una parte stavo per cacciarlo a calci ma poi mi arresi ricordandomi che a dire la verità non sapevo neanche farlo, il check in. 
Non avevo viaggiato molto in diciotto anni, e avevo ancora qualchè difficoltà ad orientarmi negli aeroporto, anche se quello era piuttosto piccolo. 
Scrollai le spalle, come se la sua decisione non mi toccasse eccessivamente.
Mentre camminavo verso la direzione che mi aveva indicato Lindsday, sentii gli occhi verdi di Dave perforarmi da dietro. Era una sensazione, quasi una certezza. Mentre passammo davanti ad una porta, entrarono delle ragazze che avranno avuto circa la mia età, e che scommisi fossero lì per il nostro stesso motivo.
Appena videro Dave prima si bloccarono e poi cominciarono a ridacchiare, a passarsi le mani fra i capelli. Vedevo come lo guardavano.
Ed era impossibile non guardarlo: se Dave era in una stanza, in un luogo era la prima cosa che notavi e l'ultima dalla quale avresti distolto lo sguardo. Alto com'era, con quegli occhi, quei capelli scuri era fatto per essere ammirato. Sospirai.
-Dormito bene, vedo..- cominció.
-Cosa, scusa?- 
-Ti trovo leggermente provata e sono solo le nove di mattina.- fece un mezzo sorriso.
-Ho dormito benissimo, invece. E comunque non sono affari miei.- 
-'Non sono affari miei?'- ripetè la mia stessa frase.
-Tuoi: volevo dire non sono affari tuoi. Non so perchè ho detto..oh che cavolo.-
-Penso che tu passi troppo tempo con Tasten.- 
-Chi Mike? Oh ma piantala..è un bravo ragazzo. Credo.- 
Lo sentii ridacchiare e quando mi girai a guardarlo roteó gli occhi al cielo.
-Sicuro: con due neuroni e mezzo in testa.-
-Hai finito?- sbottai.
-Dio, Yankee, non stare sempre sulla difensiva.- 
Pensai di negare ancora ma avrei mentito, e lo sapevo, e mentire a Dave mi risultava particolarmente difficile. Sia perchè non volevo e sia perchè capiva subito quando dicevo una bugia. 
-Meglio sulla difensiva che fare come tutte quelle oche che ti vengono dietro.-
Oddio. L'avevo detto sul serio? Ma cos'avevo nel cervello? Mi avrebbe presa per un'idiota, e sinceramente non l'avrei nemmeno potuto biasimare.
Lo stavo accusando di una cosa che innanzitutto non aveva commesso lui, e poi..perchè ero così isterica già di mattina presto?
-Non rispondere.- dissi velocemente alzando una mano.
Con la coda dell'occhio lo seguii e vidi che mi guardava come fossi un alieno, e poi scosse le spalle. Meraviglioso.
-Sei proprio strana, Yankee. Forse è per quello che mi piaci.- disse come se fosse la cosa più normale, senza tentennare neanche un po'. Ma come ci riusciva? Come faceva a dire le cose con la sua solita, imbarazzante mancanza di tatto? 
Io probabilmente ci avrei pensato per nove settimane se dire o non dire una frase del genere, e se avessi mai deciso di dirla mi sarei interrotta come minimo dieci volte. A parola.
-Tutto bene?- mi si avvicinó, scrutandomi. 
Non mi ero accorta di essermi praticamente impiantata ferma, con la valigia appresso.
Il suo viso a poca distanza dal mio mi riscosse.
Scossi la testa, e ricominciai a camminare.
-Perchè sorridi?- mi chiese, accennando anche lui ad un sorriso confuso.
Stavo sorridendo? Non me ne ero nemmeno resa conto.
E proprio per quello il mio sorriso divenne ancora più largo.
-Gesù, sei davvero strana allora.- se ne uscì con una mezza risata, e forse pensai che quella giornata non era nemmeno iniziata così male.
________________________________________


-Ehi, tesoro..stiamo atterrando.- mi sveglió Andrea. Subito mi rizzai veloce sul seggiolino, e non mi resi subito conto di dove fossi.
Solo dopo capii che ero sull'aereo verso Londra, altrimenti sarei stata ancora nel mio letto, che mi mancava da morire in quel momento.
Mi stiracchiai le braccia, facendo strani gemiti, e sbadigliai guardando fuori dal finestrino.
-Ma è tutto nero!- 
Andrea rise.
-È tutto nero, sì!- 
Lindsday e Robin ci stavano dietro, mentre Mike e Jay davanti.
Chase e Dave si erano beccati i biglietti più in fondo possibile, e, ovviamente, più lontani da noi. 
Vidi i riccioli di Mike muoversi velocemente, e dopo un paio di secondi la sua faccia comparve schiacciata fra il suo sedile e quello di Jay. Sembrava voler far ridurre al minimo la sua testa, comprimendo il cervello.
Non che dovesse sforzarsi più di tanto.
Oddio, quello era decisamente un pensiero da Dave. Quel ragazzo era ossessionante pure nei pensieri.
-Mi trovi bello, Emmy, eh? Sono bello?- chiese con la bocca tutta accartocciata che fece uscire un suono ancora più abominevole.
-Dacci un taglio, Mike.- risposi più aspra del necessario, ma quel ragazzo si era davvero fermato all'età di tredici anni. 
-Stasera si beveee, iuhuuu.- cominció a  strillare Mike, tanto che pensai che l'hostess sarebbe arrivata a dirgli qualcosa. E sinceramente non l'avrei nemmeno fermata.
Grazie a Dio, in quel momento sentii tutte le cinture di sicurezza scattare e slacciai anche la mia in tutta fretta, contenta di potermi allontanare anche se per poco, da Mike.
-Grazie di aver volato con la nostra compagnia, e grazie.- ci salutó l'hostess bionda ,coi capelli raccolti in uno chignon, che sembrava avesse una paralisi facciale.
Scendemmo velocemente, e non ci ritrovammo finchè non uscimmo anche dall'autobus che ci aveva portati all'aeroporto di Londra.
-Sto morendo di sonno. Ti prego, andiamo subito in albergo.- sbadigliai, mentre parlavo con Andrea.
-Va bene, pigrona. Vado ad avvisare il professor White, mi sa che era in fondo con Chase e Dave.- 
Annuii distrattamente e mi appoggiai con un fianco e con un braccio alla valigia.
-Alle nove ci ritroviamo nella hall dell'albergo: l'ho visto su internet e hanno un servizio di alcolici stra figo!- si entusiasmó Mike, ma le sue parole entravano da una parte e uscivano dall'altra.
-Sì sì- biascicai.
Finalmente, dopo quella che mi era parsa un'eternità, Andrea tornó, e la vidi rabbrividire in quella sua gonna terribilmente corta.
-Freddo ora?- le chiesi divertita.
Alzó una mano.
-Non dirmelo ti prego. Sto cominciando a odiare Londra e siamo solo all'aeroporto.- 
Risi, e la presi a braccetto:
-Andiamo. C'è un taxi fuori?- 
-Sì. Ci porta direttamente all'albergo.-
-È solamente per noi due?- domandai sbalordita -Con tutta la gente che c'è potrebbe starci anche..-
-E se ti becchi Mike? Immaginati il tragitto di un'ora e un quarto con lui che ti blatera accanto.-
L'immagine bastó a darmi i brividi.
-Stavolta passo, grazie.-
Arrivammo al taxi, superato l'aeroporto dove avevamo recuperato le nostre valigie, e io Andrea salutammo gli altri.
Sinceramente, non ricordavo nulla della città: gli edifici mi scorrevano davanti senza che niente mi rimanesse impresso nella mente.
Sentivo gli occhi pesanti, dopo una giornata passata da un aeroporto all'altro: ma guardando Andrea, che continuava a parlare e sembrava per nulla stanca, capii che forse era solo il fatto di aver viaggiato molto molto poco al contrario della mia migliore amica.
La famiglia di Andrea era forse la più ricca della città da dove provenivamo: aveva visitato quasi tutto il mondo, e per quello l'avevo sempre invidiata. 
Nonostante quello, mi invitava ogni volta ad andare nella residenza dei suoi zii.
E residenza era dire niente: era un vero e proprio castello, con un giardino così grande da non vederne neppure la fine. E io, ogni volta che potevo allontanarmi, lo facevo.
-Tutto a posto, Em?- sentii la sua voce chiamarmi.
-Certo.- feci un sorriso forzato. -Siamo arrivati no?- chiesi.
Lei mi lanció un'occhiata diffidente, e capii che aveva probabilmente intuito che stavo pensando a casa.
Lei annuì. 
-Nel tornare ad avvisare il professore Chase e Dave stavano discutendo, sai? Non ho capito di cosa ma quando sono arrivata si sono zittiti. E Dave se ne è andato.- mi confidó Andrea, e vidi che le tremavano le mani.
Gliene presi una.
-Non angosciarti, De: si saranno chiariti e qualunque fosse il motivo della loro discussione, non eri di certo tu.- 
Lei sembró pensarci su.
-Ma il modo in cui si sono interrotti..e poi dovevi vedere lo sguardo che gli ha lanciato Dave. Mi ha fatto venire voglia di nascondermi.- 
-Probabilmente non volevano che tu assistessi ad un loro piccolo litigio.- 
Dissi 'piccolo' cercando di tranquillizzarla, ma appena pronuncia quella parola alzó un sopracciglio anche se non disse niente.
-Ma sì, chissene frega, poi? Alla fine Chase non era arrabbiato con me, anzi.- disse Andrea, ma vidi che lo stava dicendo più per convincere se stessa piuttosto che me.
Annuii con forza e lei mi sorrise e in quel momento il taxi si fermó. 
Il taxista ci aiutó a prendere le valigie dal bagagliaio, e poi partì lasciandoci davanti al nostro albergo.
Non era nulla di imponente o maestoso, ma era piuttosto grande e moderno, carino.
Eravamo le prime arrivate, probabilmente, perchè in parte a noi non si vedeva nessuno.
-Pronta per questi tre giorni?- mi domandó lei, con eccitazione nella voce.
Presi un respiro profondo, pensando a quante cose avrebbero potuto andare storte: io e Dave, e il fatto che fossimo così vicini per troppo tempo. Chissà cosa sarebbe successo.
E poi perchè Dave era venuto? Non aveva i suoi 'misteriosi lavori notturni' da fare? Si era preso una pausa? Chissà.
Perlomeno dovevo godermi i momenti in cui lui era di buon umore, come alla mattina, e sperai che lo fosse anche quella sera e ripromettendomi di non incominciare a litigare. Mm, la vedevo difficile. Ma alla fine sì, ero..
-Pronta.- risposi in un soffio.
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Capitolo 12
*** Dodicesimo Capitolo ***


Fissavo il soffitto della stanza con gli occhi spalancati e vigili, dopo i due caffè macchiati che ci eravamo fatte portare in camera io e 
Andrea.
-Rosso o blu?- chiese la mia migliore amica.
-Mmm..- risposi io, mugugnando.
Alzai la testa e vidi che Andrea aveva in mano due abiti che si faceva aderire al corpo davanti allo specchio per vedere quale le stava meglio.
Ricaddi sul letto con un tonfo: qualunque cosa si fosse messa sarebbe stata uno schianto.
-Hai ragione, rosso.- sentenzió, anche se non avevo detto nulla.
E poi ero io quella strana. 
Presi un respiro e mi misi diritta sul letto, stropicciandomi gli occhi.
-Mi infilo un paio di jeans intanto.- annunciai alzandomi per raggiungere il bagno ma..
-Non ci provare!!- strilló Andrea, girandosi verso di me e facendomi ricadere sul letto per la seconda volta.
-A fare cosa?- chiesi non sapendo se essere confusa o ridacchiare.
-Stasera ti vesto io. E non protestare.- alzó una mano quando stavo per replicare e si giró nuovamente verso lo specchio.
-Ti renderó così bella che Dave non ti toglierà gli occhi di dosso per nemmeno un istante.- 
Strabuzzai gli occhi pronta a replicare ma qualcosa mi fermó.
Non seppi esattamente cosa ma forse, per una volta, Andrea poteva non avere tutti i torti.
Una sola sera, eravamo a Londra, stavamo per uscire tutti assieme..
-Va bene.- risposi.
Questa volta fu Andrea che quasi si infiló lo scovolino del mascara in un occhio.
-Coooosa? Non ti stai lamentando, ne' mi stai dicendo che sono pazza o fissata? Cara mia, Londra ha un'influenza decisamente positiva su di te.- concluse con un sorrisetto di chi la sa lunga.
-Fa' svelta prima che cambi idea.- ridacchiai.
Lei sbuffó, chiaramente infastidita mentre apriva la mia valigia e tirava fuori qualsiasi cosa contenesse.
-Dio, ma cos'hai qui dentro? Hai più maglioni di mia nonna!-
-Ehi!- protestai ma ormai aveva preso il via.
-E cosa sono questi? Pantaloni? E quello da che parte si guarda?- 
Feci un lamento, e mi pentii di essermi offerta per quella tortura. 
Mai, e ripeto mai, chiedere aiuto ad Andrea Johnson in fatto di vestiti. Potrebbe decidere di buttarti l'intero guardaroba da qualche parte.
-Cambio di programma. Ti tocca.- sospiró e si diresse verso il suo armadio nella stanza, dove aveva già inserito tutti i suoi vestiti.
"Oh no..no no no." pensai.
Per trenta, terrificanti secondi l'unico rumore fu quello delle grucce e degli appendiabiti spostati, che emettevano una specie di sibilo.
Al trentesimo mi fece voglia di prendere a pugni una delle pareti.
Alla fine, Andrea emise un gridolino e si giró saltellando.
Le vidi in mano un abito così così corto da farmi venire voglia di sotterrarmi.
Era di un colore stupefacente, verso l'acquamarina: aveva uno scollo non troppo profondo, probabilmente per compensare la sua lunghezza, e dai fianchi si allargava leggermente facendo delle piccole onde.
Battè le mani, e mi guardó con un sorrisino.
-Cominciamo!- 
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Dopo quella che mi parve un'eternità, qualcuno bussó alla porta, mentre io me ne stavo ferma immobile lasciando che quella pazza furiosa di Andrea mi truccasse.
-Chi è?- domandó lei, senza muoversi e senza staccare gli occhi da me.
Fuori dalla porta, si sentivano delle voci fra le quali quella di Mike, e Robin.
-Siamo noi.- ci arrivó la voce dolce e morbida di Lindsday.
-Siete pronte?- chiese Robin.
Stavo per replicare di sì, ma Andrea esclamó:
-Assolutamente no!- e io alzai gli occhi al cielo.
-Come no?!- fece Mike.
Andrea sbuffó e mi lasció andare, dirigendosi verso la porta e socchiudendola, in modo che si vedesse solo la sua faccia.
Probabilmente ero ancora troppo struccata per essere vista da altre persone.
-Quanto vi manca?- chiese impaziente Mike.
-Moolto tempo.- replicó Andrea.
-Gesù, siete lì dentro da tre ore!- esclamó.
-Non si mette fretta all'arte.- 
-Comunque arriviamo fra pochissimo. Lind, entra con noi!- la invitó Andrea.
Poi sentii che parlottava ancora un po' con Robin e Mike e alla fine ritornó, e con lei c'era Lindsday.
Appena mi vide sorrise.
-Sei bellissima, Em.- disse sinceramente.
Le sorrisi e mi alzai per abbracciarla ma Andrea mi fissó con due occhi che lanciavano lampi.
-Non.ti.muovere.da.lì.- sillabó.
Ritornai seduta come un cane.
Alla fine, mi opposi al fondotinta e a tutto ció che Andrea voleva mettermi in faccia, e mi arresi solamente al mascara, all'eye-liner e a poco lucidalabbra.
Mi alzai, instabile sui tacchi, e guardai le mie due amiche.
-Fai una piroetta!- rise Lindsday.
-Non ci penso nemmeno, come minimo cadrei in un attimo!- 
Prendemmo su dei giubbini e li cacciamo alla bell'e  meglio nelle borse.
Dopo essere scese con l'ascensore, girammo a sinistra lungo il corridoio, e ci trovammo nell'atrio. Erano già tutti lì. E c'era anche Dave.
Appena i suoi occhi si posarono su di me, sbarró gli occhi e io arrossii: ecco, ero riuscita a far la figura della scema. 
Lindsday e Andrea corsero dai rispettivi fidanzati, lasciandomi lì in piedi da sola.
Dave si incamminó verso di me.
Oddio.
Quando mi arrivó davanti si chinó sul mio viso, spostandomi una ciocca di capelli e sussurró al mio orecchio:
-Non penso di aver mai visto qualcuno di più bello e sexy di te, stasera.- 
Le mie guance andarono in fiamme.
Lo fissai e mi ritrovai a pensare al bacio rubato in corridoio, qualche giorno prima.
-Non è vero..- mormorai.
Lui si rigiró il cappellino in testa, spostando la visiera dietra la testa: avevo proprio un debole per i ragazzi con i capellini.
-Te lo giuro.- disse piano.
-Anche tu non sei male.- scrollai le spalle. Dire che 'non era male' era un eufemismo. Era la cosa più bella in quella stanza. In quella città. In tutta l'America! 
-Sì, come no.- sorrise.
-Vieni.- fece un cenno col capo, e quando ci passai in parte, mi prese e mi mise un braccio attorno alle spalle mentre teneva l'altra mano in tasca.
Non riuscii a non sorridere e a non rabbrividire. La punta delle sue dita mi sfiorava la pelle, involontariamente.
Quando Andrea si giró e ci vide così le spunto un sorriso che le andava da un orecchio all'altro.
Alzai gli occhi al cielo, ma dentro di me stavo  esultando come una bambina davanti al suo regalo di Natale nonostante sapessi che dovevo vivere alla giornata. Anzi, all'ora conoscendo Dave.
Mike mi stava fissando da troppo tempo: mi faceva scorrere febbrilmente il suo sguardo dalla testa ai piedi e sentii Dave irrigidirsi al mio fianco.
-Se ti guarda un'altra volta le gambe giuro che lo prendo a cazzotti.- irridigì la mascella Dave.
Gli diedi una gomitata nelle costole.
-Piantala.- 
-Appena lo fa anche lui.- replicó ancora teso.
Dio, era possessivo in un modo assurdo. 
Eppure cos'ero io per lui? Nulla. Semplicemente era geloso verso le cose che gli interessavano momentaneamente.
Non verso le sue cose. Perchè io non ero sua. Ma non ero intenzionata a rimuginare su quei pensieri per quella serata, quando finalmente Dave era così..COSÌ.
Piano piano, mi accorsi che anche gli altri ragazzi del college che erano partiti con noi erano arrivati nella sala.
Mi sentivo gli occhi di cento persone addosso.
-Ehi ragazzi,non siete un po' troppo...- cominció Mike, ma Robin troncó il suo commento sul nascere.
-Perchè non vai a prendere qualcosa da bere, Mike?- 
Ringraziai Robin nella mia testa: aveva appena evitato che la faccia di Mike non assomigliasse più nemmeno lontanamente ad una faccia.
Lui sembró quasi che fosse sul punto di rifiutare, ma poi annuì lentamente e si diresse verso il bar.
Solo in quel momento rilassai le spalle: non mi ero nemmeno accorta di essere così in tensione. 
-Dio, se mi dà i nervi quel ragazzo.- disse stringendo i denti.
-Anche tu mi dai sui nervi ma non ti prendo a pugni ogni volta.- replicai e lui sogghignó.
-Anzi, qualche volta mi viene davvero voglia.- aggiunsi.
Lui mi fissó.
-Davvero? E di cos'altro ti viene voglia?- 
Sbarrai gli occhi e rimasi completamente immobile. 
In quel momento arrivó Andrea con un drink in mano, accompagnata da Chase.
-Allora, cosa ci fate ancora qui? Sono tutti di la'.- esclamó.
I miei occhi non avevano lasciato Dave nemmeno un momento, e nemmeno i suoi. 
Presi un respiro profondo.
-Arriviamo.- e mi girai, camminando dietro di loro.
Sentii che Dave mi seguiva.
-Finalmente! Pensavamo ti fossi persa.- esclamó Mike, mettendomi un braccio sulle spalle appena arrivai.
Mi immobilizzai: non era come era successo con Dave.
Prima rabbrividivo ogni singola volta che mi sfiorava o toccava inavvertitamente: ora riuscivo solamente a pensare ad andarmene da quelle braccia che non si adattavano a me.
Lo sguardo di fuoco che Dave lanció a Mike mi fece voglia di rintanarmi sotto qualsiasi tavolo, ma lui non se ne accorse e continuó a tenermi stretta. 
Mi divincolai: lui mi guardó stranito e poi fece un'espressione da perfetto deficiente.
-Eeehi, perchè te ne sei andata? Non ti piace la mia nuova 'acqua di colonia'?- 
-Sei un idiota, Mike.- alzai gli occhi al cielo.
-Mm..mi piaci così aggressiva.-
Quasi non credevo alle mie orecchie.
"Adesso lo ammazza" pensai guardando Dave, ma prima che potesse fare alcunchè la voce di Jay mi raggiunse, quasi da lontano.
-Perchè non la lasci un po' in pace, eh Mike? - chiese.
Lui scrolló le spalle e io mi girai a guardare Dave.
"Perfavore" sillabai. 
Lui era ancora rigido ma rilassó leggermente le spalle.
Sapevo che quella situazione non avrebbe retto a lungo: Mike stava già dando troppi problemi e non eravamo nemmeno a metà serata.
Fino a quel momento c'erano sempre stati Jay, oppure Robin che avevano fermato per un pelo una rissa.
Ma sarebbe arrivato il momento in cui non ci sarebbe stato nessuno a parare quel culo fortunato di Mike, e per allora prevedevo parecchi guai.
Accettai di buon grado il drink che mi stava offrendo Jay, sperando che ci fosse qualcosa di forte dentro.
Buttai giù un sorso degno di un ubriacone in crisi di astinenza.
-Peró..- disse Dave, con un espressione colpita.
-Non pensavo ti avrei mai potuto veder bere così.- sogghignó.
-Così come?- chiesi alzando un sopracciglio, e portandomi il bicchiere alle labbra.
-Sembra quasi che tu non tocchi alcol da anni.- replicò.
-Hai ragione...be', se non l'alcol, qualcosa devo aver pur toccato in questi anni.- dissi.
Oh signore del Cielo. Erano veramente uscite quelle parole dalla mia bocca? 
Forse in quel drink c'era davvero tanto alcol quanto avevo sperato.
La sua espressione stupita, e con gli occhi che quasi gli cadevano dalle orbite, mi fece esultare.
'Ora siamo pari, tesoro' pensai.
Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere perchè, sempre tenendomi il drink in mano lo sorpassai.
-Andrea! Andiamo a ballare!- urlai in direzione della mia migliore amica.
Quella sera avevo proprio intenzione di divertirmi e se la mia intenzione era quella di far impazzire Dave, ci sarei riuscita. 
Dall'altra parte del cervello, i miei neuroni mi stavamo gridando che ero una pazza furiosa ma in quanto ad auto convincimento non mi poteva battere nessuno.
Misi a tacere quelle vocine.
Andrea colse la palla al ballo.
-Siiii!- squittì.
Avvisammo tutti e ci dirigemmo verso l'unico locale che ci era stato consigliato anche perchè era esattamente davanti al nostro hotel.
-Ma cosa stai facendo?- mi chiese Andrea, prendendomi per un braccio, quando stavamo per entrare nel locale e gli altri erano rimasti indietro. 
-Cosa?- ripetei io.
Fece un'espressione spazientita.
-Avanti! L'hai visto come ti guarda Dave? Sembra che si stia trattenendo dal saltarti addosso il prima possibile!-
Avrei voluto crederci ma sapevo bene che Andrea rendeva a esagerare le cose solo un pochino, giusto poco poco.
-Ma ti prego!-
-Ma ti prego lo dico io! Numero uno stai sorridendo quindi non veniamoci a raccontare balle. Secondo, Gesù, ti fissa da quando sei scesa! E forse non te ne sei accorta ma ti tiene sempre d'occhio. E di sicuro tiene d'occhio Mike. Penso si stia trattenendo, perchè l'avrebbe voluto uccidere già una decina di volte.-
-È tutta nella tua testa. E comunque non è quello che volevi tu? Prima hai detto che 'mi avresti resa così bella da..'-
-Sì sì, lo so e sono veramente orgogliosa. Di me, sia chiaro. I miei piani funzionano sempre a meraviglia.-
Scoppiamo a ridere.
-Sei completamente pazza.- ridacchiai.
-Cosa ci fate ancora qui, al freddo? Dai, entrate!- esclamó la voce di Jay, e in quel momento capii che io e Andrea non eravamo più sole.
-Ne parliamo dopo.- mi sussurró Andrea, ed entrammo nel locale.
Era piuttosto grande, aveva le vetrate scure, la sala piena di gente e un grande bar con una lastra di marmo sulla quale venivano serviti i cocktail.
La musica era altissima: io e Andrea ci guardammo incredule quando partì la canzone che ballavamo sempre assieme a casa in Georgia, le volte in cui ci trovavamo da sole a casa.
'A little party never killed nobody..." cominció il ritornello, e a quel punto ci buttammo in pista dimenticando che c'erano anche gli altri.
Andrea agguantó Lindsday strappandola da Robin, e la portó con noi al centro del locale dove cominciammo a ballare e a cantare la canzone come pazze.
I ragazzi si sedettero al bancone, rivolto verso la pista e cominciarono a parlare e a guardarci con i drink in mano.
In quel momento, sinceramente, non me ne fregava NIENTE di Dave.
Okey, forse un pochino ma il ritmo e la danza trascinante mi fecero dimenticare tutte le preoccupazioni che avevo sulle spalle.
Poi la musica sfumó, divenne bassa e vibrante ma più lenta, non come quella elettrica di prima.
Noi tre ragazze cambiammo modo di ballare: presi la mano di Lindsday e appoggiai il palmo su quella di Andrea e ballammo così, muovendo piano i fianchi.
Le altre persone ballavano allo stesso modo, vedevo capelli che si muovevano, coppie che ballavano strette.
Esattamente dopo qualche minuto, Lindsday ci fu rubata da Robin che probabilmente già sentiva l'assenza della fidanzata e andarono verso un angolo della pista più marginale  a ballare.
Rimanemmo io ed Andrea: ci girammo verso il bancone e notammo che gli occhi di Chase  e di Dave erano accessi e brillanti.
Non ci perdevano d'occhio nemmeno un secondo.
Si alzarono. 
-Ommioddio.- balbettai.
-Stai tranquilla.- disse fermamente Andrea girandosi e prendendomi pere braccia.
-Stendilo.- mi diede un bacio sulla guancia e corse incontro a Chase.
Dave si avvicinó.
-Ora che arrivo, smetti di ballare?- mi chiese alzando un sopracciglio.
-Bisogna avere la compagnia giusta per ballare, sai?- lo canzonai, sollevando un angolo della bocca.
-Ma scommetto..- cominció tirandomi vicino a lui per un braccio -che con me ti divertiresti molto di più.- mi sussurró, vicinissimo per sovrastare la musica.
-Dipende da che tipo di divertimento intendi.- buttai altra carne sul fuoco.
-Quello dipende tutto da te.- 
Cominciammo a muoverci e, cavolo se sapeva ballare! 
Mi teneva stretta, sentivo le sue braccia e i suoi muscoli tendersi mentre ballavamo lentamente, uno contro l'altro.
Dopo poco portó la testa vicino al mio orecchio.
-Non penso di poter andare avanti così.- 
-Così, come?- mi girai scettica guardandolo negli occhi, e aspettandomi il peggio.
-Se continui a ballare in questo modo e così vicino a me non so se ci conviene stare in pubblico.- 
Stavo quasi per ridere sguaiatamente ma la sua frase mi colpì dritta al petto, facendomi barcollare.
-Forse dovresti imparare a contenerti.-
-Forse dovresti imparare a non provocarmi.-
-Oh, ma io non ti provoco.- replicai angelicamente.
Lui mi fissó, sollevando un angolo della bocca.
-Buona questa.- replicó.
-Penso sia ora di tornare, sono già le due.- urló Jay sopra la musica.
-Le due? Cosa?!- strilló Andrea avvicinandosi, e io maledissi trenta volta tutti quanti per averci interrotto: per quanto mi riguardava potevano essere anche le sei di mattina.
-Va bene, rientriamo. Se no White ci fa un culo così.- annunció Chase con la sua voce profonda.
Annuii e in meno di trenta secondi ci ritrovammo nuovamente nel gelo della strada, per poi ritornare subito ad una hall dell'hotel praticamente desertica.
-Ci vediamo domattina ragazzi, buona notte.- ci salutarono Robin e Lindsday, salendo per le scale diretti verso la loro stanza.
Avevano dovuto faticare non poco per ottenere il permesso della camera assieme ma alla fine l'avevano scampata.
Jay e Mike se ne andarono con dei compagni di confraternita che avevano incontrato lì nella hall.
C'erano anche quelli della confraternita di Chase e Dave, con i quali condividevano la stanza.
Chase accompagnó su per le scale Andrea.
-Dove stai andando?- mi chiese turbato Dave bloccando le porte una volta che fui nell'ascensore.
-Nella mia stanza a dormire, forse?- ribattei sarcastica.
-Scommetto che la vostra stanza non è come la mia.- replicó.
-Oh sicuro, con altri dieci ragazzi mezzo nudi dentro, no grazie!- esclamai cercando di farlo togliere da lì, in modo da chiudere le porte dell'ascensore.
-Ti faró cambiare idea, in questi giorni.-
-Contaci.- alzai gli occhi al cielo.
Improvvisamente si chinó su di me, e fu così veloce che nemmeno me ne accorsi: mi posó un bacio all'angolo delle labbra, che mi fece ricordare della straordinaria delicatezza di cui era capace.
-Buonanotte, Yankee.- 
Rimasi immobile: era riuscito a cambiare la direzione del discorso in meno di un secondo.
-'Notte.- riuscii a mormorare prima che le cose si chiudessero, e l'ultima cosa che vidi fu il verde brillante degli occhi di Dave, che mi rimandó indietro di tanto tempo, facendomi pensare.
In cosa mi stavo cacciando?

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Angolo:
Ciao a tuttii,
Ho deciso di aggiornare piuttosto presto perchè ero impaziente di farvi leggere un altro pezzettino della storia.
In questo capitolo Dave e Emma si ritrovano spesso e volentieri molto molto vicini (Mike permettendo!) 
Vi è piaciuto? 
Fatemelo sapere, e tutti i consigli sono ben accetti!
Un bacione grande,
Kveykva.

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Capitolo 13
*** Tredicesimo Capitolo ***


-E questo, invece, è stato ritrovato dopo quel periodo, e sappiamo di per certo che l'atmosfera e il cambiamento del clima hanno svolto una notevole, se non necessaria parte nella conservazione di questa specie marina. Qui possiamo trovare un altr...cosa? È già l'una? Okay, riprendiamo dopo, pausa pranzo!!- 
Tirai un respiro, e mi massaggiai le tempie: se White avesse parlato ancora un po' sarei definitivamente morta.
-Per Dio! Dove siamo finite?- esclamó Andrea appoggiando la testa sulla mia spalla.
-In una gabbia di matti. L'hai vista la guida? Secondo me diventerà il migliore amico di White.- risposi.
-Rabbrividisco.- disse e mi misi a ridere.
-Oltre al fatto che a noi, che non frequentiamo chimica e biologia come prime materie, non serve tutta questa..."roba".- continuai, guardando risentita la ricerca che mi aveva fatto fare White.
-Già. Ma almeno è un po' un modo per staccare.- rispose lei, e sentii che il suo tono era più serio.
Riuscii ad annuire, mentre prendevo fra le dita una ciocca di capelli e la rigiravo.
-Ieri sera ero distrutta, ti giuro che non avrei voluto alzarmi mai più.-
-Sì, me lo ricordo grazie, ci ho messo dieci minuti e quattordici cuscinate per resuscitarti.-
Feci una smorfia.
-Simpatica.- 
In quel momento sentii la fastidiosa suoneria del mio cellulare.
-Mi vibra il sedere.- 
Andrea scoppió a ridere.
-Dio, se sei stupida. Rispondi!- esclamó.
-Un attimo, non riesco a tirarlo fuori!- risposi io, saltellando come una scema, cercando di tirare fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans.
-Non è che ti sono un po' stretti quei pantaloni? Forse tutto quel Mc Donalds..-  
Le mostrai il dito medio, mentre riuscivo finalmente a vincere la battaglia con quella maledetta tasca ed estraevo il telefono.
-Di già acida? Siamo solo al primo giorno.- 
-Sparisci Mike.- borbottai, e Andrea alzó gli occhi al cielo.
Non guardai nemmeno da chi arrivasse la chiamata, e mi allontanai di qualche passo.
-Pronto?- 
Dall'altra parte della chiamata arrivó solo silenzio. 
-Pronto?- ripetei.
-Amore, sei tu?- 
Quella voce calda arrivó prima al cuore, che alla testa: sentii di nuovo il sapore dell'inverno e della cioccolata calda, degli abbracci e delle coperte quando fuori pioveva.
Quando combinavo qualche guaio, oppure quando, invece, ne facevo una giusta.
Mi ritrovai, involontariamente, a osservare nella mia mente un sorriso che conoscevo perfettamente.
-Mamma?- 
Quel che uscì della mia, di voce, era più che un sussurro, rotto dall'emozione.
-Emma, tesoro, pensavamo non avresti risposto!- 
Solo in quel momento tutto quello arrivó alla mia mente.
Erano i miei genitori, il plurale che stava usando mia madre non mi era sfuggito.
Mi stavano chiamando i miei genitori.
Non avrei dovuto sentirli, mi ero ripromessa di non farlo quando ero salita su quell'aereo. 
Così sarebbe stato più facile andarmene e staccare col passato.
Ma non avevo pensato che solo a risentire una voce sarei diventata così debole.
-Come stai?- continuó, visto che da me non giungeva più alcun suono.
-St-sto bene, sì.-
-Io e tuo padre siamo preoccupati come non ti immagini, Emma. Cosa ti è saltato in mente?- 
-Ti prego, mamma, non ricomin..-
-Dovresti vedere come torna a casa da lavoro, la sera. Non l'ho mai visto così.- 
-Ho fatto quel che dovevo. Non riesco a pentirmi di quello che ho fatto.- 
-Ma perchè, perchè l'hai fatto? Dio solo sa cos'hai in testa Emma, sei scappata da noi. Da noi.-
Il coltello cominció lentamente a ruotare nella ferita ancora ben aperta. 
Capivo il dolore di mia madre, ma stava riuscendo solamente a far male più a me in quel momento. 
-Io...- 
Mi interruppi, perchè le lacrime che cominciarono ad accumularsi nei miei occhi mi impedivano di parlare.
-Mi dispiace. Mi dispiace di avervi fatto soffrire, ma dovevo farlo voi non capite.-
-Capiamo benissimo invece. Anche Nate è distrutto, Emma.-
Quando finì di pronunciare quella frase, il mio corpo sembrava essersi pietrificato. Non un muscolo, non un dito che si muoveva. Niente.
Nate, distrutto? Certo, stava recitando. Al cento per cento. 
Come faceva ogni volta che finiva di picchiarmi. 
"È caduta stamattina, è inciampata per strada." 
Come no. E io annuivo. Una stupida, ecco cos'ero.
-Ti sembrava il caso di lasciare il ragazzo che ti amava da anni?- 
Anni? Amare? Per Dio, mia madre non aveva idea di cosa stesse dicendo. 
-Viene qui ogni sera, sai? Spera che tu abbia chiamato o che noi ti abbiamo sentito. Niente.-
Ora la ferita nel petto sanguinava. Aveva ricominciato.
Sentii un rumore nella connessione fra me e mia madre: una porta sbattuta. Delle voci.
-Eccolo, è tornato.- annunció mia madre.
Pensai a mio padre: era l'una, forse era ritornato per il pranzo.
Con lui ero disposta a parlare: mi mancava più di quanto potessi essere disposta ad ammettere.
Ma sentii la voce: la sua voce.
-Emma?- 
A quel punto caddi per terra, non seppi neanche io come feci, ma mi ritrovai con le gambe che non funzionavano più.
Chiusi di scatto il cellulare.
Era lui. Era lì. Mi stava cercando.
E in quel momento sentivo bruciare e pulsare tutti i lividi che mi aveva mai procurato sul corpo, e sul cuore.
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-Ehi Emma sei caduta per sbaglio?- 
La voce tranquilla e scherzosa di Robin mi fece sobbalzare.
Strizzai gli occhi, cercando di simulare un sorriso. Probabilmente si accorse che qualcosa non andava.
-Va tutto bene?- mi chiese, di colpo serio mentre mi aiutava a rialzarmi con una mano, e con l'altra raccattava i fogli sparsi della ricerca.
Annuii, continuamente ma poco convinta, accettando i fogli che mi porgeva.
-Sì, sì certo. Abbiamo finito qui?- cercai di cambiare argomento.
Lui mi fissó ancora qualche istante, e seppi che aveva capito che non gliela stavo raccontando giusta.
-Per ora sì. Ci spostiamo verso l'ala est del museo, ma penso sia slittato per le tre quindi ora torniamo io e Lind in albergo.- 
Feci di sì con la testa, perchè avevo paura di parlare di nuovo, paura perchè sapevo che la voce avrebbe potuto giocarmi un brutto scherzo.
-Sicura che vada tutto bene?- chiese ancora.
-Sì.- dissi cercando di sembrare risoluta, e non so per quale grazia divina non fece più domande. 
-Emma! Hai visto Chase? Non lo trovo più da almeno quindici minuti, e tu sai quanti sono quindici minuti per...ehi, tesoro, cosa succede?- 
Vidi Andrea arrivare come un razzo e parlare con altrettanta velocità: possibile che fosse così evidente a tutti che mi era appena accaduto qualcosa? Che nervi. 
-Niente.- negai.
Eppure lei aveva il diritto di sapere. Era la prima a cui avrei dovuto dirlo: aveva lasciato tutto, o quasi tutto per me, ma il panico che ancora mi serrava la gola da quando avevo risentito la sua voce mi impediva di parlare.
La guardai negli occhi: grosso errore.
Mi stava già fissando coi suoi occhi obliqui, gli stessi di quando sapevo che stavo dicendo una bugia: mi conosceva troppo bene per poterle mentire come avevo fatto con Robin.
-Stasera, stasera te ne parleró. Ma non è niente davvero.- 
Si rilassó impercettibilmente e aspettó ancora qualche secondo.
-Va bene.- disse infine, ma non era convinta.
Mi trattenni quel che bastava per non lasciare andare un respiro che avrebbe tradito la mia ansia.
-Cos'è che mi dicevi su Chase?- cambiai argomento.
Mi scoccó un'occhiataccia perchè aveva capito che stavo sviando la sua attenzione, ma continuó lo stesso.
-È da un po' che l'ho perso. Gli ho parlato per l'ultima volta un quarto d'ora fa e da allora non lo trovo.-
-Sarà fuori a mangiare, De. Abbiamo un'ora libera, potrebbe anche essere tornato in albergo.- tentai.
Sembró pensarci su, e intanto si tolse con un gesto infastidito una ciocca rossa da un occhio.
-Avrebbe potuto dirmelo.- commentó acida.
Non replicai.
-Posso chiedere a Dave, se proprio.- 
Non so da dove mi fosse uscita l'idea, anche perchè in quel momento avrei soltanto voluto cacciare la testa sotto un cuscino e starmene lì come uno struzzoper il resto della mia vita: oltre al fatto che Dave mi avrebbe destabilizzata ancora di più col suo modo di fare, e insomma..grazie, ma no grazie.
Eppure per Andrea avrei sempre fatto di tutto, e vedevo com'era agitata: mio Dio, solo per un quarto d'ora!
Gli occhi le si illuminarono e mi strinse un braccio, saltellando: 
-Grazie, grazie, grazie!- squittì.
Riuscii a fare un sorriso.
Girai la testa in tutte le direzioni, e lo individuai facilmente: spiccava fra tutti, come al solito, e non solo per l'altezza.
Mi avvicinai.
Quando gli arrivai vicina notai che stava parlando con un suo compagno di corso, un tipetto bassino coi capelli a spazzola.
Dave era girato di schiena.
Gli occhi del ragazzo si fissarono su di me e lui lo notó, perchè si giró verso di me.
-Ehi.- esordii, con una voce da deficiente.
Lui mi fissó senza battere ciglio.
-Mi scusi un attimo, Frank?- 
Il suo compagno annuì velocemente, e si dileguó.
-L'evoluzione del polipo?- chiese con voce monotona.
Se non avessi ricevuto quella telefonata probabilmente avrei già cominciato a ridere: il polipo? Ma che cavolo..
Il suo sguardo si spostó su ció che avevo in mano.
Merda. I fogli. 
-Oh..sì, una ricerca per White.- mi giustificai.
Gesù, perchè finivo sempre a scusarmi o giustificarmi? 
-Lo vedo.-
-Già..senti - cercai di arrivare dritta al sodo -Andrea sta cercando da un po' Chase. L'hai visto?- 
Sgranó gli occhi, quasi avessi detto chissà cosa. 
Si ricompose subito, schiarendosi la gola.
-No. Non so dove sia. Forse è andato a mangiare fuori.- 
-È quel che ho detto io ad Andrea. Va bene, scusami il distur..-
-Ah Emma.- mi interruppe alzando lo sguardo.
-Sì?- risposi sorpresa.
-Devo parlarti.- 
Un colpo al cuore: piano, ma deciso. Forte.
Di cosa doveva parlarmi? Non bastava già la telefonata per una giornata? Doveva mettercisi anche lui? Mi avrebbe detto che non voleva più vedermi, e che le cose non andavano bene. Ne ero sicura. Aveva lo sguardo gelido e distaccato. 
-Ora?- balbettai mio malgrado.
Mi guardó come se fossi una specie rara di ornitorinco.
-È importante?- 
Ma cosa...?
-Scusami?- replicai piccata.
Alzó gli occhi al cielo, e seppi che per me era il momento di andarmene.
Mi girai.
-Aspetta Emma, santo Dio..- cominció ma venne interrotto da un urlo.
Mi bloccai. Veniva dal bagno.
Mi voltai per guardarlo e anche lui era sorpreso e confuso.
Vidi che anche altra gente si era interrota, e il vociare era diminuito fino a scomparire.
Corremmo verso il bagno più veloce possibile, passando in mezzo alla stanza.
Spalancai la porta e rimasi senza fiato.
C'era Andrea che singhiozzava, con una mano a coprirle il viso e Chase.
Con un'altra ragazza.
_________________________________
 
 
 
 
 
 
Angolo:
Ciao a tutti, e scusate per l'assenza ma essendoci le vacanze sono stata in ballo per un po', ma ho trovato un po' di tempo per scrivere.
Innanzitutto c'è la chiamata da casa, che avrà sicuramente delle ripercussioni nei prossimi capitoli nei quali ci saranno molti colpi di scena.
E poi, ovviamente, la faccenda Chase-Andrea: se vi ricordate, qualche capitolo fa, c'era stata una parte dedicata a questo 'tradimento', ma solo ora Andrea lo scopre.
Spero di riuscire a far arrivare presto il prossimo capitolo, nel frattempo fatemi sapere se vi è piaciuto!
Un bacione,
Kveykva.

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo Capitolo ***


-Sei un figlio di puttana. Sei un figlio di puttana, cazzo!- cominció a urlare Andrea.
Aveva gli occhi pieni di lacrime: dovetti trattenerla perchè sarebbe andata sicuramente a prendere per i capelli sia lui che lei.
Non l'avevo mai vista così fuori di se', e dire che la conosceva da quando eravamo piccolissime. 
I capelli rossastri le fluttuavano attorno al viso come impazziti, il suo viso era una smorfia di dolore e rabbia.
-Sei un coglione!! Vaffanculo!- 
-Andrea calmati, mio Dio.- cercavo di dirle, anche se in verità aveva tutte le ragione per essere così incazzata.
Chase era ancora pietrificato: la ragazza era così spaventata, che si defiló riuscendo ad aggirare le braccia della mia migliore amica.
Dave non diceva una parola: stava fermo, a metà strada tra Andrea e Chase.
-Perchè l'hai fatto, stronzo! Io mi fidavo di te, io pensavo...pensavo..- cominció a singhiozzare, e le lacrime le uscirono copiose dagli occhi.
A quel punto sentii una stretta al cuore così forte da farmi male: nessuna doveva e poteva trattare così Andrea. 
Chase era uno stronzo, della peggiore specie: se solo pensavo a tutti i momenti che avevamo passato assieme io Andrea e lui con Dave mi veniva da vomitare.
L'avevo anche descritto 'un bravo ragazzo'.
-Amore...io non..- cominció a balbettare Chase ma ormai poteva anche pregare tutti i Santi del paradiso che un aiuto non sarebbe arrivato in nessun caso.
Intanto, girando la testa verso l'uscita, vidi la gente che era presente prima nel museo che guardava curiosa e intimorita la scena.
Merda. Proprio quando stavo per gridare di tornarsene a farsi gli affari loro vidi la testa bionda di Lindsday spuntare.
La chiamai a gran voce e poi mi girai, visto che trattenere Andrea era già di per se' un'impresa abbastanza ardua.
-Prendila e portala il più lontano possibile.- ordinai secca sapendo che  lei avrebbe capito. 
Annuì impercettibilmente e non disse una parola: riuscì a condurla fuori, fra le sue grida.
Presi un respiro: invece che calmarmi la rabbia mi montó dentro come mai.
Feci un passo verso Chase e vidi Dave irrigidirsi leggermente, come se ancora potesse proteggere il suo amico.
-Spostati da lì Dave, o giuro che non mi vedrai mai più.- 
Mi fissó negli occhi, ancora immobile, con il viso impassibile, ma stavolta non ero lì per cedere.
-Ora.- parlai con voce ferma.
Lui abbassó gli occhi e mi guardó un'ultima volta prima di andarmettersi in un angolo del bagno.
Chase era una statua: la faccina innocente di chi pensa di poterla ancora scampare.
Col cazzo.
-Prima che tu incominci elencarmi le tue scuse di merda, ti dico che sinceramente non me ne frega un cazzo di quello che hai da dire. Niente: quindi fossi in te risparmierei il fiato. 
Mai, mai lei riuscirà a perdonarti e figurati se lo faró io.-
Mi avvicinai ancora un passo, lentamente, fino a trovarmelo ad un metro da me.
La mia voce era così calma da sembrare innaturale.
-Mi fai schifo, Chase: e io non ho mai detto ad una persona una cosa del genere. Ma tu mi fai schifo come nessun altro. Andare avanti a tradirla, perché sono sicura che la scenetta con quella puttanella non fosse la prima, e far finta di niente è la cosa più brutta che si possa fare. 
Spero di non doverti mai più parlare Chase, e spero con tutto il cuore che tu non trovi mai più una come lei, perchè non la meritavi prima, non la meriti di certo adesso, e non la meriterai in futuro.
Addio Chase, e vaffanculo.- 
Uscii come una fuori: non ero di sicuro stata la finezza in persona a dire quelle cose, ma sai quanto potesse fregarmene. La furia ceca che aveva in corpo si era attenuata dopo il mio discorso, ma la sentivo ancora scorrere nelle vene. Non riuscivo quasi ad immaginare come potesse sentirsi invece Andrea.
Scossi la testa: brutta storia.
Non ci voleva, cavolo, non in gita!
La trovai con un braccio di Lind attorno alle spalle, che erano curve e tremavano: piangeva.
L'unica che cosa che riuscii a fare fu abbracciarla a lungo, così a lungo da non sapere nemmeno più che ore fossero e da quanto fossimo lì così.
Quando ci staccamo aveva gli occhi asciutti, e di un colore così opaco che mi diede i brividi.
-Io vado in albergo.- annunció, tentando di raddrizzare la voce tremante. 
-Andrea mancano un paio di ore e ce ne andiamo tutti.- le ricordai, dopo aver dato una breve occhiata al cellulare.
Scosse il capo.
-Non ce la faccio.- 
-Vuoi che venga anche io?- 
-No. Penso di dover stare un po' da sola, per ora.- mi rispose con fermezza.
-Va bene.- acconsentii, ancora riluttante.
-Prometti di chiamarmi per qualsiasi cosa? Qualsiasi, Andrea, ti prego.- 
Lei annuì, quasi impercettibilmente e scomparve in pochi secondi.
Già avevo voglia anche io di volatizzarmi da lì in quell'istante ma dovetti rimanere ancora quei trenta minuti scarsi con gli altri per sentire il continuo della spiegazione.
-È andata?- mi chiese Lindsday a bassa voce, mentre osservavamo non so che specie di pesce.
Annuii e lei scosse la testa: imprecó.
-Signorina Bennet, come mai non vedo la sua compagna?- 
Dio, ora gli tiro un pugno a White.
Fermami Signore, perchè non so se mi trattengo.
-La mia 'compagna'- dissi enfatizzando la parola -si è sentita male ed è tornata in albergo.- 
Lui mi guardó con aria di sufficienza e annuì.
-Mah, va bene.- e si giró.
Pericolo scampato (per lui.) 
-D'accordo ragazzi, per oggi finiamo qui, anzi abbiamo anche sforato con l'orario. Sono già le cinque e mezza. Non fatemi pazzie stasera.- 
Tirai un sospiro enorme, attirando l'attenzione dei ragazzi.
-Tutto bene, Emma?- mi chiese Jay.
Annuii.
-Si, non sono io il problema ma Andrea...quel pezzo di merda è riuscito a rovinare tutto.- concluso a denti stretti.
-Giuro che stasera, se fa un passo verso di lei lo prendo a pugni.- 
Lo guardai.
-Io non ti fermerei, di certo.-
Seguì un silenzio triste, pieno di cose da dire che non si potevano e non si volevano dire.
-Noi andiamo, ragazzi. Voi che fate?- chiese Robin mentre cercava la mano della sua ragazza.
-Veniamo.- disse Jay.
Poi guardarono tutti me.
-Io arrivo fra un attimo, ormai so la strada.- 
Decisero di non farmi troppe domande e dopo un saluto frettoloso se ne andarono tutti.
Mi girai. Era lì che mi fissava, appoggiato al muro: sentivo i sui occhi verdi scavarmi dentro.
Non pensai nemmeno a cosa era appena successo, non pensai a nulla, e la prima cosa che riuscii a fare fu abbracciarlo.
Mi buttai letteralmente nelle sue braccia.
Nonostante fosse Andrea la persona più distrutta, io ero la sua migliore amica: il suo dolore era il mio, sempre.
All'inizio rimase irrigidito, tanto che pensai di aver commesso uno sbaglio, ma poi il suo corpo tonico aderì al mio. 
Scoprii che ormai sapevo come si allacciavano perfettamente i nostri due corpi.
-Vieni.- mi sussurró nell'orecchio.
Mi portó in una stanzina che doveva essere quella dei fumatori, ma visto che quel giorno il museo chiudeva entro mezz'ora, era deserta.
Ci buttammo sul divanetto presente, e ritornammo come eravamo prima: sentivo la sua mano accarezzarmi i capelli.
-È incredibile. Io non so spiegarmelo. Pensavo fosse quello giusto per Andrea.-
Lui non disse niente. Mi staccai sale sue braccia per poterlo guardare in viso.
-So che è il tuo migliore amico, Dave. E mi dispiace che...anzi a me non dispiace proprio un cazzo, l'unica cosa che mi disturba è che tu abbia quel pezzo di merda come amico.- 
Lui tentó di dire qualcosa, magari di difenderlo, perchè, alla fine, era pur sempre un suo caro amico.
-Ti prego non difenderlo. Stavolta non puoi.-
-Lo so che ti puó sembrare un coglione...e in questo caso lo è stato, senza se e senza ma. Peró te lo posso giurare, lui è davvero un bravo ragazzo. Quello che è successo...non è nel suo stile.-
-Vuoi sapere quanto me ne frega cosa è nel suo stile o meno?- ribattei, piuttosto acida.
-Possiamo almeno non scannarci io e te visto che Andrea e Chase l'hanno fatto abbastanza per dieci anni?- 
I suoi occhi mi incatenarono. Annuii.
Dovevo fargli una domanda: la domanda che mi ponevo da quando tutta quella storia era cominciata.
-Tu non sapevi niente, vero?- 
Mi fissó abbastanza a lungo per sapere che non stava mentendo.
-No.- rispose con voce ferma.
Mi sciolsi di nuovo nel suo abbraccio.
-Dobbiamo andare in albergo,Emma.- 
-Mmm...- mugolai contro la sua scapola, visto che non avevo la minima intenzione di spostarmi.
-Emma!- ridacchió lui.
-E va bene!- esclamai, alzandomi di malavoglia.
Feci un passo verso la porta e mi stiracchiai.
-Meglio muoversi che qui fra poco chiudono.- aggiunse.
Presi la maniglia e la tirai. Non successe niente. 
No. No no no. NO.
Riprovai. Nulla. Quella maledetta porta rimaneva esattamente com'era. Chiusa.
-Ehm..- dissi mentre mi giravo verso di lui.
-Penso l'abbiano già fatto.- 
_________________________________
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo:
Ciao a tuttiii!
Ecco il nuovo capitolo, ovviamente un po' più 'sad' degli altri, perchè non potevano di certo fare i salti di gioia.
Che ne pensate? Di certo Andrea non ha reagito troppo bene, ma ho provato a vedermi in lei, col carattere forte che ha, e l'unica reazione che mi veniva in mente è stata proprio quella.
C'è un po' di tenerezza fra Dave ed Emma, e...colpo di scena!
Avrete capito che sono rimasti chiusi dentro, eh eh..
Nel prossimo capitolo ci sarà anche il punto di vista di Dave, tanto per alternare un po'.
Volevo dirvi, se vi va, di passare a leggere questa mia nuova storia, se vi interessa.
 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2985142&i=1
 
Aspetto le vostre recensioni, un bacio.

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Capitolo 15
*** Quindicesimo Capitolo ***


~Dave~
 
-Scusami?- chiesi.
Lei si giró a guardarmi.
-Ci hanno chiusi dentro Dave.- ripetè.
La fissai ancora qualche istante e poi andai a provare anche io la porta: era chiusa. 
-Merda.- imprecai. -Aspettiamo.- 
-Cosa? Sono le sei di pomeriggio, e riapriranno domani mattina: vuoi rimanere qua tutto questo tempo?- mi guardó lei come fossi impazzito.
-Hai un'idea migliore?- 
I suoi occhi si mossero velocemente, tremando un poco.
Non rispose.
-Non hai qui il cellulare?- 
-Ci ho già pensato. È nella borsa, di là.- 
Cazzo. Io lo avevo lasciato direttamente in albergo.
-Allora restiamo qui, aspettiamo domani mattina.- 
Mi avvicinai al divano e mi ci buttai sopra di peso, mentre Emma mi guardava.
-Ma che fai?- 
-Mi rilasso?- 
-Come fai a rilassarti? Siamo chiusi dentro!- squittì lei.
-Dio mio, calmati Yankee. Non riusciresti ad aprire quella porta in nessun caso.- 
-Potrei usare la tua testa come ariete.
Si spalancherebbe in un attimo.- 
-Lo sai che mi stai dicendo che ho un cervello enorme?-
-Pensavo più al fatto che hai la testa dura ma puó andare anche quello.- 
Mi lasciai scappare un sorriso: quelle frecciatine erano all'ordine del giorno fra noi.
Noi. 
Cos'eravamo noi, in verità? Non riuscivo a rispondermi, e soprattutto non gliel'avrei mai chiesto visto che anche io ero confuso quanto lei.
Mi voltai per guardarla: era così bella che ripensando a cosa volevo dirle quella mattina mi sentii morire.
Aveva raccolto i capelli in una coda disordinata, e si stringeva nella sua felpa nera quasi fosse un'azione vitale.
Avrei voluto dirle che non potevamo più vederci, perchè io le stavo nascondendo tutto, e anche lei.
Per iniziare qualcosa, qualunque cosa, ci sarebbe stato bisogno di molta fiducia, soprattutto con due tipi come noi. Ma se neanche io ero pronto a confessarmi, come potevo pretendere che lo facesse lei?
-Hai intenzione di occupare il divano ancora per molto?- mi arrivó la sua voce da lontano.
-Che intendi?- 
Fece una faccia spazientita e se non fosse per il fatto di essere chiusi dentro un museo, avrei ridacchiato.
-Sono stanca anche io!- 
Roteai gli occhi al cielo.
-Secondo me c'è spazio per tutti e due.- ammiccai, guardandola.
Arrossì, come suo solito.
-Non penso.- replicó con voce timida.
Gesù, quella ragazza era così audace certi momenti e in altri sembrava aver paura anche solo di parlare!
-Io sì, e grazie al mio 'enorme cervello'..-
-..testa dura..- mi corresse lei con un sorriso
-..so di per certo che ci staremmo tutti e due.- conclusi, accorgendomi di avere anche io un sorriso stampato sulle labbra.
Stavolta fu lei ad alzare gli occhi al cielo e mi si avvicinó, e quando mi si accoccolò vicina sentii il cuore uscire dal petto. 
Era ancora troppo lontana.
Le misi un braccio attorno alle spalle, che in quel momento erano l'unica cosa che vedevo, e la sentii rabbridividire.
Sorrisi.
-Lo sai che è scortesia dare le spalle alle persone?- 
Sospiró leggermente e si giró lentamente.
Non avevo calcolato, stavolta, che i nostri visi sarebbero stati così vicini l'uno dall'altro. Probabilmente non ci passava nemmeno un dito.
Sentii l'enorme impulso di lanciarmi sulle sua labbra da tanto era bella.
-È scortesia anche cominciare un discorso e poi non finirlo.- disse lei in soffio veloce, il suo respiro che sapeva di menta.
Inarcai un sopracciglio. 
-Cosa?- 
Scosse piano la testa, poi mi fissó di nuovo, incatenandomi letteralmente coi suoi occhi color miele.
-Prima mi hai fermata e mi hai detto che dovevi parlarmi ma per la serie di...eventi- fece una smorfia disgustata ripensando a ció che era appena successo quel pomeriggio -non mi hai più detto nulla.- 
Merda. Se lo ricordava.
-Non era niente.- replicai, con poca convinzione.
-Sì, invece, era qualcosa.- replicó duramente.
Riuscii solo a fissarla: lei non sbattè nemmeno le palpebre.
Sospirai, sentendomi d'un tratto stanco.
-Era una cazzata, Yankee: una cazzata che, pensandoci ora, non ho per nulla voglia di ripetere. Per piacere, fai che non abbia mai cominciato nulla.-
Per un attimo pensai che avrebbe insistito ancora, ma alzó le spalle e chiuse gli occhi.
-Non voglio dover sempre tirare a indovinare con te, Dave.-
-Non dovresti farlo.- 
-Ma lo faccio!-
Sembrava spazientita e stanca.
-Ogni volta che ti parlo non so mai davvero con chi sto avendo una conversazione...io..non penso di poter andare avanti così, Dave.- 
-No, no, che cazzo stai dicendo Yankee? No.-
-Davvero Dave, io..-
-Senti, lo so che siamo incasinati. Io non so mai come prenderti, sembra che tu mi voglia prendere a calci un momento sì e uno no ma non voglio che tu mi lasci. Per piacere.-
Quelle parole furono così difficili da dire: nessuno, nessuno mi aveva mai costretto a supplicare.
Lei mi aveva messo in ginocchio.
-Come faccio a lasciarti se non stiamo insieme?- chiese lei abbassando la voce, spiattellando mi la verità mostruosamente chiara.
-Proviamoci, d'accordo?- 
-A fare cosa?- 
-Proviamoci e basta.- 
In un attimo, non pensai neanche a cosa fare, la presi per la nuca e le lasciai un bacio sulle labbra.
Appena mi allontanai temetti che adesso si sarebbe alzata e avrebbe cominciato a urlarmi contro.
Aveva gli occhi spalancati, la bocca schiusa in una 'o' perfetta.
-Non ti baciavo da troppo tempo.- soffiai.
Lei mi fissó senza dire nulla: ora mi ammazza.
Si slanció, premendo la bocca sulla mia, giocando con i miei capelli.
Dato che già eravamo stretti su quel divanetto minuscolo, la sollevai di peso, cosa che non mi riuscì difficile visto i muscoli allenati, e si mise cavalcioni su di me.
In tutto quel tempo non avevo mai staccato le labbra dalle sue.
Mi sembrava un sogno, immaginavo quella scena da non sapevo quanto e quel bacio rubato in corridoio non era niente rispetto a quello.
Esattamente mentre mi stava sfilando la maglietta sentimmo delle voci, fuori.
Riconobbi quella di Mike e di Robin, è un altra voce maschile che non conoscevo, profonda e adulta.
-Li stiamo cercando da almeno tre ore, in albergo non ci sono, al cellulare non rispondono e questo cazzo di museo è enorme!- sentii esclamare Jay.
Emma sbattè le palpebre.
-Stanno cercando noi!- trilló, e non sapevo se essere dispiaciuto o contento.
Io e lei non riuscivamo mai ad arrivare a nulla senza essere interrotti.
-Robin!- esclamó Emma.
Le voci di là si interruppero.
-Mike?- ripetè lei.
-Emma?!-
-Oh santo Dio, siamo qui dentro!- gridó, sgusciandomi via e mi trattenni dal riprenderla per i fianchi e tenerla stretta.
-Ma che caz..-
Scattó la serratura e lo vedemmo tutti lì fuori, assieme ad un uomo che immaginai forse il custode.
-Gesù, ma siete impazziti?- 
-Vi cerchiamo da tre ore!- 
Robin, Mike e Jay entrarono nella stanza.
-Volete spiegarci cosa stavate facendo?- 
-Ehm..- cominció Emma.
-Eravamo venuti qui a parlare e non ci siamo accorti che ci avevano chiusi dentro. Tutto qui.- spiegai con un alzata di spalle, sistemandomi la maglietta meglio sulle spalle.
-Va bene.- disse Robin -Torniamo in albergo.- 
-Sì.- rispose un po' scombussolata Emma.
Io le passai accanto, e quando mi fu vicina dissi tranquillamente:
-Non finisce qui.- 
Pensai di averla stesa finchè non indossó il suo sorriso più impertinente che aveva.
-Questo è certo.- rispose con tono cantilenante, passandomi davanti.
_________________________________
 
 
 
 
 
 
Angolo:
Capitolo breve ma intenso!
Non sono riuscita a scrivere molto, anche perchè ho aggiornato l'altra storia, ma spero comunque di avervi mostrato un altro lato della storia, sempre da parte di Dave.
Aaaaanyway, sono così stanca che potrei addormentarmi in questo istante quindi chiudo prima di farlo davvero.
Un abbraccio

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Capitolo 16
*** Sedicesimo Capitolo ***


-Penso che potrei ammazzarmi.- mugugnó Jay mentre mandava giù un boccone di carne.
-Che succede?- chiedemmo io e Lind.
Lui guardó giù verso la sua forchetta, dove era inforcata una patata arrosto.
Se la rigiró un attimo fra le mani e poi se la cacció in bocca.  
-Doveva essere una bella gita, tutti assieme. Guarda com'è diventata.- 
Annuimmo, in imbarazzo, e la mia mente corse subito ad Andrea, che con ogni probabilità era su nella nostra camera a piangere.
Non aveva voluto scendere, nemmeno per mangiare: Dio Mio, che situazione di merda.
-Già.- 
Nonostante fossi a pezzi per Andrea, l'altra parte di me era felice da far schifo: Dave mi aveva detto che sarebbe venuto a salutarmi quella sera.
Supponevo che non dovesse venire in camera, visto che con ogni probabilità Andrea lo avrebbe ricoperto di insulti come se non ci fosse un domani, anche se non era ovviamente colpa sua.
Tentai di masticare una foglia di insalata ma non so se per l'impazienza o per qualcos'altro non riuscii a mandarla giù.
Dio, ero una fascio di nervi.
-Tutto bene, Emmy?- 
Rivolsi un sorriso educato a Mike: cosa potevo dirgli? Sono a terra per la mia migliore amica ma Dave passa in camera mia stasera? 
-Scusate, non sono di molta compagnia. Vado su a vedere come sta Andrea.- dissi, alzandomi.
Gli altri annuirono, tutti con le facce chine sui propri piatti.
Andai fino all'ascensore, ma era ferma all'ultimo piano quindi mi decisi per le scale; ero decisamente fuori allenamento visto che dopo due piani avevo già il fiatone. Che vecchia carriola.
Tirai fuori le chiavi dalla tasca e aprii piano la camera, sperando di non fare rumore se Andrea avesse dovuto dormire.
La luce era spenta, ma nel letto non c'era nessuno: la stanza era vuota.
Ma che cavolo..? E Andrea dove si era cacciata?
La paura mi prese allo stomaco con una morsa atroce: dovevo scoprire dov'era. Signore, pregai che non le fosse successo nulla di male. Forse era solo andata a mangiare da qualche parte, cosa probabile visto che era ora di cena.
Sbattei la porta dietro di me, e corsi di nuovo giù al ristorante.
Arrivai col fiatone.
-Ehi che succede?- Robin alzó il capo allarmato.
Anche gli altri si fecero subito sorpresi, e dedussi fosse per la mia faccia sconvolta.
-Emma?- 
-Andrea non è in camera.- sputai tutto d'un fiato.
-Cosa?- fece Lind.
Scossi la testa.
-Sarà a mangiare da qualche altra parte.- mi disse Jay, già più tranquillo.
Ma non capiva? Forse lui non l'aveva vista quella mattina: non sembrava nemmeno lei. 
-Ci ho pensato anche io ma..non penso fosse in grado di uscire. Era..distrutta.- mormorai.
-Hai provato a chiamarla?- suggerì Lindsday.
Mi sbattei una mano sulla fronte: che deficiente! Non c'avevo nemmeno pensato.
Estrassi il cellulare a velocità supersonica dalla tasca posteriore dei jeans: mi ricordavo come quella stessa mattina Andrea mi avesse preso in giro.
Sembravano passati decenni.
Composi il suo numero: mi morsi un labbro nell'attesa che rispondesse.
Il telefono squilló a vuoto: mi passai una mano nei capelli, nervosa, aspettando ancora un minuto senza che peró nessuna voce giungesse dall'altro capo del cellulare.
-Non risponde.- annunciai ricacciandomi quell'aggeggio in tasca con forza.
Mike mi guardó leggermente esasperato e mise giù la forchetta.
-Io mi calmerei, Emmy, e comunque non penso proprio che le possa essere successo qualcosa.- 
Sbuffai, perchè così non mi aiutava. 
-Ripercorri tutti i suoi spostamenti da quando l'hai vista l'ultima volta: magari riusciremo a capire un po' di più.- mi spronó gentile Lindsday.
-È sempre stata in camera, tutto il giorno, quando sono tornata dal museo lei era addormentata quindi sono scesa a cena. Dopo il litigio con Chase...oddio.- 
-Cosa c'è?- gli occhi di Lindsday si adombrarono di colpo.
-Io lo so dov'è, Cristo, è da Chase!- quasi strillai in mezzo al ristorante.
Guardando le facce degli altri ne ebbi la conferma: mi girai correndo verso le prime rampe di scale che vidi e corsi su, al piano dove alloggiava Chase con alcuni della sua confraternita.
L'avrei uccisa con le mie mani se avesse fatto pace con quello schifoso: l'aveva tradita. Santo Dio, non l'avevo mai vista ridotta in quel modo per un ragazzo. Lei era quella spigliata, se con uno non andava sicuramente avrebbe potuto trovarne altri dieci il giorno stesso.
Camera 634. Bussai forte.
Sentii delle voci dentro, mentre cercavo di regolarizzare il respiro e magari togliermi quel l'aria da pazza che avevo sicuramente stampata in faccia.
Purtroppo non mi aprì né Andrea, né Chase ma un ragazzo piuttosto alto, capelli riccioli scuri e due occhiali da sole addosso. Ma era sera o giorno?
-Sì?- mi guardó in attesa che parlassi.
-Cerco Andrea Johnson, piccoletta e rossa.- spiegai, cercando di dare la miglior definizione della mia migliore amica: va bene, forse non era il massimo come descrizione ma in quel momento era l'unica cosa decente che mi uscì dalla bocca.
Il tizio alzó un sopracciglio, e sollevó leggermente l'angolo desto della bocca: mi trovava divertente. 
-E tu chi saresti, scusa?- chiese appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta, togliendosi gli occhiali e appoggiandoseli in testa.
-Potresti solo dirmi se l'hai vista?- insistetti io. Signore, che nervi.
Lui mi guardó con sufficienza ancora qualche istante e poi scrolló le spalle.
-Piccola e rossa hai detto?- 
-Sei sordo, per caso?- replicai.
-Ehi, che caratterino.- commentó con una risatina.
Io lo guardai senza ombra di divertimento, incrociando le braccia al petto.
Lui si fece subito serio.
-Mi sembra fosse qui qualche minuto fa. È uscita con..-
-Chase?- lo interruppi con voce nervosa.
Lui annuì.
-Cazzo.- imprecai.
Lui rimane fermo sulla soglia. 
-Quanti minuti fa hai detto?- gli chiesi.
Lui mi guardó, allargando di poc gli occhi.
-Ti sembro un orologio umano?- 
-Ti sembro una che ha tempo da perdere?- 
Questo lo zittì: spostó il peso del corpo sull'altro piede e aspettó ancora qualche secondo.
Non sapevo esattamente neanche io perché fossi ancora lì ad aspettare che quell'idiota mi dicesse dove si era cacciata Andrea, ma fatto sta che stavo per andarmene. Magari dopo aver tirato un calcio a quel tipo.
-Io lo so chi sei.- disse invece, squadrandomi.
Oh, no. Cambio di direzione? E questa da dove saltava fuori?
-Davvero? Sono contenta. Ora mi serve che tu mi dica quando hai visto la mia amica per l'ultima volta e se hanno accennato a dove stavano andando.- 
Sentii del rumore da dentro la stanza, e poi una voce.
-Ehi, Cam, ma con chi stai parlando tutto questo tempo?-
-È Babbo Natale?- chiese un altra.
Dentro ci fu un coro di risate.
Cameron, adesso conoscevo il nome dell'esasperante ragazzo che mi stava davanti, alzó gli occhi al cielo.
-Tu sei la ragazza di Hudson vero? Cattive acque, vedo.- 
Stavo per mollare tutto e andare via ma quel nome mi inchiodó alla porta: diamine, quel ragazzo riusciva a rendermi inquieta anche se non era presente.
Volsi lentamente lo sguardo a Cameron, e vidi che aveva un'espressione compiaciuta, probabilmente sapendo di aver appena trovato il mio punto debole.
L'aveva definito come 'cattive acque'. Cosa intendeva? Avrei dovuto andarmene e cercare Andrea per conto mio, ma sentivo che se fossi rimasta avrei scoperto di più su Dave.
Cosa dovevo fare? 
-Magari pensavi anche che fosse un bravo ragazzo.- ghignó lui.
Io lo fissai di sbieco.
-Quello che penso non è affar tuo, mi sembra.- ribattei.
-Come pensavo. Tu non hai idea di cosa faccia la notte, Hudson.- 
Alzai di scatto lo sguardo, fissandolo.
Ecco. Ecco cosa volevo sapere. O almeno, una parte di ció che mi sarebbe servito per capire meglio Dave, eppure non potevo essere così esplicita con Cameron. Dovevo giocare coperto.
-Perchè tu lo sai?- chiesi alzando un sopracciglio, sperando che cadesse nella mia trappola.
Lui rise come se stesse parlando con una scema.
-Certo che lo so. La gente per cui lavora da venire i brividi solo a sentirli parlare.-
-Gente?-
-Non li conosco, li ho solo visto qualche volta...Gesù, come fai a non sapere in che giro è immischiato Hudson?- 
-Come fai a non sapere quando chiudere la bocca, Degley?- 
Una mano mi toccó un fianco, attirandomi verso un corpo che capii in un attimo di chi fosse.
La sua voce profonda fece rabbrividire per un attimo Cameron.
-Dave.- lo salutó bofonchiando quello.
Mi girai a fissare il ragazzo dietro di me: la linea della mascella scolpita, le labbra strette in una riga severa e gli occhi socchiusi. Oh oh, era arrabbiato.
-Ti stavo cercando.- riuscii a sussurrare.
Lui volse il suo sguardo su di me, dopo averlo tenuto a lungo su Cameron, il quale, saggiamente, rientró in camera, lasciando peró la porta aperta.
-Come mai?- chiese, ora il tono un po' più dolce mentre mi giravo completamente verso di lui e le sue mani si intrecciavano fra loro dietro la mia schiena, tenendomi stretta.
Solo in quel momento ricordai per quale ragione ero effettivamente andata alla 634, scossa com'era per le rivelazione su Dave che avei ancora dovuto analizzare.
-Andrea. Non è in camera e al cellulare non risponde.- 
Il suo sguardo si scurì.
-Pensi che sia con Chase.- disse più come affermazione che come domanda.
Io annuii.
-Cameron ha detto che li ha visti uscire un po' di tempo fa.- spiegai.
-Non ti ha detto se Chase aveva accennato a dove stavano andando?
-Gliel'ho chiesto anche io.- dissi -Mi ha mandato a quel paese in poche parole.- aggiunsi con una smorfia.
Lui alzó un sopracciglio.
-È una testa di cazzo Degley, non so neanche perchè sia nella nostra confraternita.- mi disse.
-Lui..- mi bloccai -mi ha detto delle cose.- trovai il coraggio di dire, ma me ne pentii subito.
Stupida! Avrei dovuto aspettare, ragionare, farmi una mia idea e poi dirglielo ma no, Emma Bennet, la dea della deficienza! 
-Quali cose?- domandó subito di fretta, e la sua stretta attorno a me divenne più rigida. 
Oh merda.
-Io..-
Un rumore di passi accanto a noi ci interruppe.
-Emma?- 
Girai di scatto la testa: Andrea era lì.
Vicino a lei c'era Chase ma mi imposi di non guardarlo, mentre osservai la mia migliore amica: aveva i capelli rossi completamente crespi e gli occhi pesanti e stanchi.
Le corsi incontro, abbracciandola fortissimo.
Lei sembró stupita sulle prime, ma poi si adattó un po' passivamente al mio abbraccio.
Quando mi staccai, la presi per le spalle.
-Dove eri, Dio Santo, ho perso dieci anni di vita!- strillai.
Le mi fissó con gli occhi sgranati e la bocca mezza aperta, probabilmente senza parole.
-No, va bene, me lo dirai in camera. Magari quando non ci sarà questo coglione in parte a me.- dissi.
Non osservai nemmeno la reazione di Chase, non me ne fregava NULLA.
Lei abbassó gli occhi.
-Andiamo in camera.- dissi piano, prendendola per mano. 
Mi girai verso i due ragazzi che ora ci stavano fissando. 
Dave mimó con le labbra un "dopo" ed io annuii impercettibilmente.
Guidai Andrea verso camera nostra, senza dire una parola ed entrammo.
Lei si sedette pesantemente sul letto, e si mise le mani sul viso. Respiró.
Chiusi la porta a chiave e mi inginocchiai davanti a lei, mettendo le mani sulle sue ginocchia.
-De.- la chiamai.
Lei non rispose, rimase così.
-De, raccontami.- 
Lei alzó lo sguardo, uno sguardo pieno di agonia: Dio Mio, non l'avevo mai vista così.
-Io lo amo, Emma.- disse singhiozzando.
-No, Andrea. Non puoi amare una persona del genere.- 
-Ma lo faccio! L'ho fatto e continuo a farlo.-
-Okay, okay un passo alla volta. Dove siete andati e cosa vi siete detti.-
Lei prese un respiro e sciolse le spalle.
-Un'ora fa è venuto a bussare qui. All'inizio non volevo neppure guardarlo ma..lo sai come vanno queste cose. Gli ho aperto e lui..Emma mi si è inginocchiato davanti a chiedermi scusa! Sembrava distrutto, te lo giuro, non l'avevo mai visto così.-
Io annuii, non ancora convinta.
-Stavamo dando spettacolo, la gente passava e ci vedeva quindi siamo passati per camera sua e poi siamo usciti dall'hotel e abbiamo parlato. Lui mi ama ancora, Emma. Dice che è stato un coglione ma vuole riprovarci.-
-Ti prego, Andrea. Devi ripensarci: guarda come ti ha trattato.-
-Gli ho già detto di sì, Emma.- disse lei con tono grave, leggermente colpevole. 
Strabuzzai gli occhi. In circostante normali mi sarei arrabbiata così tanto da non parlare per giorni: l'aveva tradita con una zoccola qualunque! Ma visto com'era ridotta non riuscii a sgridarla. Riuscii solo ad abbracciarla più forte che potei.
-Io voglio solo che tu sia felice.- le sussurrai.
-Anche io.- 
Quando ci staccammo le asciugai una lacrima che le era scappata e le sorrisi.
-Sei la migliore Emma.- 
-Anche tu.- 
In quel momento la porta tremó sotto due colpi.
-Ehi, chi è BigFoot?- ridacchiai, facendo ridere anche Andrea, cercando di alleggerire l'atmosfera.
Mi alzai e andai ad aprire.
-Oh, Dave.- 
Avrei voluto darmi una botta in testa: mi aveva detto che sarebbe venuto!
Lui piegó la testa di lato, guardandomi. Era illegale essere così belli, sul serio: non si poteva.
Avrei usato l'aggettivo 'perfetto' per un attore, o una star ma lui era di un altro pianeta.
-Ci sei?- disse solo. 
Annuii, e mi girai in fretta verso Andrea che fece di sì con la testa, regalandomi un piccolo sorriso.
Presi su il giubbino marrone corto e me lo infilai: prima di uscire dalla porta lanciai un bacio alla mia migliore amica.
Solo quando sentii il 'click' della porta che si chiudeva, realizzai che mi trovavo sul serio da sola con Dave. 
Oddio.
Mi girai a guardarlo e notai che mi stava fissando.
-Vieni.- disse, e mi prese per mano.
Cosa, cosa, COSA? Il solo contatto con la sua mano mi stava mandando fuori di testa. Mi corsero dei brividi lungo la schiena, che cercai di ignorare mentre mi guidava fuori dall'entrata dell'albergo fino a sedersi su due panchine in un giardinetto vicino.
O meglio, io mi sedetti, mentre lui rimase in piedi davanti a me e dire che mi sovrastava era poco.
-Suppongo che tu voglia sapere qualcosa.- esordì.
Cavolo, dritti al punto.
Annuii.
-È per quello che ti ha detto Degley?- 
-Anche.- 
Lui sospiró.
-Che cosa vuoi che ti dica?- domandò, anche leggermente esasperato.
-Voglio che tu ti fidi di me.-
-Mi fido di te.-
-Non è vero.-
-Sì, invece.-
-No invece, perché io sono nella situazione che anche un tuo compagno  di confraternita ne sa più di me.- 
Lui stette silenzioso, guardandosi le scarpe.
-Dave.- 
Non rispose.
-Hai detto che volevi cominciare qualcosa. Hai detto 'proviamoci e basta', ma cosa stiamo provando davvero? A dirci bugie?- 
-Non ti ho mai detto bugie, Emma.- ma il tono con cui lo disse non mi convinse.
Alzai un sopracciglio.
-Ma mi nascondi le cose.- continuai.
-Fidati che non vorresti più vedermi se ti dicessi davvero tutto.- replicó con un tono ferito e gelido allo stesso tempo.
Mi alzai, e lottando contro la paura, gli presi il viso fra le mani. 
Lui spalancó gli occhi, con un'aria sorpresa da quel contatto.
-Io non scapperó da te, Dave, qualsiasi cosa tu possa dirmi. Non lo faró. Ficcatelo in quella testa.- 
Dave mi incatenó con un sguardo così intenso da farmi vacillare, ma io non abbassai lo sguardo. Stavo facendo sul serio e volevo che lui lo capisse.
Dopo un interminabile minuto, annuì impercettibilmente.
Feci un passo indietro, e mi risedetti con le gambe che tremavano un po'.
-Cameron ha detto che giri in cattive acque. Cosa vuol dire?-  
-Non posso dirti tutto, Emma. Neanche se volessi.- 
-Non puoi?- domandai scettica.
-Non posso.- replicó lui duramente, alzando il mento.
-Allora dimmi quello che puoi.- 
-Io..- si passó una mano fra i capelli frustrato. 
-Lavoro per un tipo, un certo Lerry, lui è a capo di un'...organizzazione.-
Dio, sembrava così teso e a disagio.
-Quale organizzazione?- chiesi più dolcemente.
Lui mi guardó con calma, le labbra serrate in una linea.
-Se sanno che te l'ho detto, mi ammazzano.- disse sottovoce, stringendo le mani in due pugni stretti.
-Come faranno a saperlo? Siamo in un altro paese e a chi vuoi che lo dica io?-
-È solo che non voglio metterti in pericolo.- 
-Smettila, Dave.- dissi con un tono comunque comprensivo.
-Che organizzazione è?- domandai ancora, stavolta intenzionata ad avere una risposta.
Lui aspettó un altro minuto.
-Droga.- disse semplicemente. 
Un colpo al cuore. Droga? Cosa? No, Dave non poteva essere in quel giro. Non poteva e basta.
Lo guardai, sperando che si mettesse a ridere o che dicesse 'sto scherzando Yankee' ma tutto quello che trovai furono due occhi verdi che mi fissavano, muti.
-T-tu..- balbettai -vendi..- non riuscii a finire la frase.
-No, no assolutamente.- si affrettó a dire lui, e fece un passo verso di me.
-Io devo solamente..mettere ko le persone che non sono più gradite.- spiegó lui, forzando la mascella come se ogni parola gli costasse uno sforzo enorme.
-Mettere ko?- chiesi incredula.
Lui sospiró.
-Ti stai spaventando. Te l'avevo detto che l'avresti fatto.- disse lui, e fece per voltarsi.
-No.- replicai. -Non me ne sto andando. Solo che..io non voglio che tu lo faccia, Dave. Potresti..-
-Farmi male?- ghignó lui amaramente.
-Si.- dissi in un sussurro e in quel momento mille immagini e frasi mi si affollarono nel cervello.
Dave in mensa, con il viso coperto di lividi, quella sera al supermercato dove mi aveva salvata e quei ragazzi che lo chiamavano, tutte le volte che doveva 'andare via' di notte.
Ecco dove andava. Andava a mettere 'ko' le persone.
-Perchè lo fai?- 
Quella domanda riassumeva tutto: perchè essere costantemente in pericolo, rischiare la vita quasi ogni sera? 
Lui mi fissó, e sapevo che stava per dirmelo. Lo sapevo da come i suoi occhi tremarono leggermente.
-Sto cercando mio padre.- 
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Capitolo 17
*** Diciassettesimo Capitolo ***


-Cosa vuol dire?- 
-Esattamente quello che ho detto.-
Un muscolo si contrasse sulla sua mascella.
-Dave.- lo richiamai, ma il mio tono era leggero. Finalmente mi stava dicendo qualcosa di sè, finalmente si stava confidando e si era aperto.
Non era il momento di fare la stronza o di metterci a litigare; no, non era assolutamente il momento.
Lo fissai finchè non fu lui ad abbassare lo sguardo: fece un passo in avanti e con un sospiro si lasció cadere vicino a me.
Mi girai con un gamba sulla panchina è uno giù a penzoloni, per poterlo guardare meglio, e mi avvicinai leggermente.
Lui teneva gli occhi bassi, si guardava le mani che intanto stava torcendo.
Attesi, in un silenzio religioso.
-Mio padre spacciava fin da quando ero piccolo. Me lo ricordo ancora, anche se sono passati, quanti? Più di dodici anni?- rise amaramente.
-Poi, un giorno, è sparito. Nel nulla. Senza una parola, un saluto, un addio. Un qualcosa che mi facesse capire che mi aveva amato sul serio, in quei pochi anni. Nulla. Se ne era andato.- 
Strinse le mani a pugno, e io mi irrigidii istintivamente: lo odiavo. Odiavo suo padre e nemmeno lo avevo conosciuto. Nessuno dovrebbe fare una cosa del genere ad un bambino.
Santo Cielo, spacciava quando suo figlio aveva si e no tre anni! 
Feci una smorfia disgustata e lui rise ancora, ma non era quella la voce che mi ero abituata a sentire. 
La voce per la quale andavo a fuoco dappertutto. Era la voce di una persona sconfitta, e in quel momento mi ricordai che anche la mia, di voce, era stata così per un periodo.
-Bella merda vero, Emma?- sorrise ancora, ma di un sorriso triste e si strinse nelle spalle.
-Io e mia madre ci eravamo arresi: era morto, per forza, in qualche cazzo di rissa fra drogati e spacciatori. Non so perchè mia madre stesse ancora con lui: non la trattava male, anzi. Non era mai stato violento, né con me nè con lei. Lui...lui ci voleva bene.- 
-Dave..tu..-
-No, fammi finire. Ti prego.- mi supplicó sia con le parole, sia con gli occhi.
Annuii, quasi sorprendendomi di non sentire le lacrime scendere sulle mie guance fissando nei suoi occhi un dolore così vivo e presente.
-Sono arrivato al college, due anni fa: vita da sogno, certo, finalmente libero..ma da cosa, veramente? Da una madre che non sapeva crescere un figlio? O da un padre inesistente?- 
Scosse la testa, fermandosi per dieci secondi.
-Io mi ero sempre rifiutato di credere che fosse morto. Non poteva esserlo. Non poteva. Quindi cominciai a cercarlo, qui, dappertutto, volevo ritrovarlo, volevo sapere se ancora un minimo ci teneva a noi. E dove vuoi che abbia cominciato le ricerche, se non nel giro?- 
Lo fermai con una mano. Ormai avevo già capito tutto e aggiungere parole non mi serviva. 
-Non devi farlo per forza, Dave. Arrivare a scuola con la faccia viola per trovare un padre che..-
Non finii la frase.
-Che probabilmente è morto?- 
-No, non volevo dire questo.- misi in chiaro.
-Per un padre che ha lasciato la sua famiglia, con un bambino di sette anni e una madre che doveva svolgere il ruolo di due genitori assieme. Io..non voglio che tu ti faccia male. Non lo sopporto.- lo pregai, con le lacrime agli occhi. 
Lui si avvicinó, guardandomi impassibile.
Mi asciugai una lacrima che mi era sfuggita.
-Scusami, non sono io che dovrei piangere.- dissi con voce che tremava.
-Non voglio che tu stia male per me.- disse lui.
-Ma è inevitabile, Dave!- esclamai.
-Non è così brutto come credi, Emma te lo giuro. Io non sono veramente in quel gruppo. Te l'ho detto devo solo..-
-..menare la gente?- finii io.
-Già.- sospiró. 
Gli presi la testa tra le mani.
-Se devi farlo, va bene, posso capire. Ma non metterti mai in pericolo troppo serio.- 
-È sempre troppo serio Emma.- 
-Hai capito cosa voglio dire.- replicai.
Lui vacilló un attimo e poi annuì.
Mi sporsi in avanti e lo baciai. E questa volta lo baciai veramente, di un bacio che probabilmente non era niente al confronto degli altri.
Era un bacio pieno, intenso, immerso nelle lacrime mie o sue, ormai non faceva più differenza. Eravamo una cosa sola.
Cercai di imprimere dentro a quel bacio tutto ció che provavo per lui, e per Dio, mi ci sarebbe voluto un libro per scriverlo tutto. 
Mise una mano sul mio fianco destro, e con l'altra mi prese la guancia.
Mi staccai leggermente, fino a che riuscii a guardarlo negli occhi. 
-Stai con me, Emma.- sussurró lui.
Non so perché: forse per il momento, forse perchè finalmente mi aveva raccontato tutto, forse perchè erano parole che avevo sognato quasi ogni notte, inconsciamente, da quando lo conoscevo.
Lo fissai per un minuto, ad un centimetro di distanza l'uno dall'altra.
-Sì.- mormorai di rimando.
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-Torniamo in albergo?- mi chiese carezzandomi la mano, Dave.
Mi girai a guardarlo e annuii.
-Tutto bene?- domandó, mentre mi avvicinava a se' con una mano.
Gli feci un gran sorriso.
Eravamo rimasti nel parco a parlare, per ore probabilmente, e mi aveva raccontato tutto: aveva rivissuto tutti i momenti che ricordava con suo padre, belli e brutti, di vivere con gente che spacciava in casa e le sue ricerche al college.
Mi aveva detto tutto, e anche solo a guardarlo negli occhi riuscivo a vedere come si fosse liberato di un peso enorme. Sembrava leggero.
Ma c'era una parte amara nella vicenda: io non avevo detto nulla.
Non aveva forse il diritto di sapere cosa mi era successo? Perchè ero ad un college dall'altra parte rispetto a casa mia? 
Certo che ce l'aveva, ma le parole non riuscivano proprio ad uscirmi.
Ma in quel momento, volevo solo godermi l'attimo.
Stavo con Dave. Mio Dio. Era mio.
Da quanto lo desideravo? Anche inconsciamente, probabilmente.
-Sì.- risposi -E tu?- 
Mi sorrise di rimando e mi innamorai d'accapo.
-Ora sì.- 
-Che ore sono?- 
-Le due.- replicó lui calmo.
-Le due?!- strillai facendo un balzo indietro. 
-Le due.- confermó lui ridacchiando.
-Non so se lo sapevi ma abbiamo un aereo fra sei ore!- 
-E allora?- 
-E allora?- ripetei -Oh signore, tu sei pazzo. Io devo dormire.- 
Lui sollevò un angolo della bocca, e mi guardó con aria divertita
-Non posso dire che mi mancasse la Emma isterica, ma in effetti era da un po' che non si riproponeva.- 
Gli scoccia un'occhiataccia e mi girai camminando velocemente verso l'hotel.
-Ma dove scappi?- mi chiese afferrandomi per i fianchi.
-Ma che fai? Siamo in strada, cretino!- esclamai io, divertita e scocciata allo stesso tempo.
-Vedi qualcuno in giro?- mi chiese, accostando la bocca al mio orecchio.
-Non userai le tue doti di avvenenza per farmi rimanere alle due di notte in un parco.- 
-Doti di avvenenza?- ghignó lui.
-Non ti montare la testa.- sorrisi, camminando.
Finalmente arrivammo all'entrata che, grazie a Dio, era aperta a tutte le ore. 
Solo quando dovetti lasciare la mano di Dave per aprire la porta mi accorsi che gliel'avevo tenuta per tutto quel tempo. Arrossii.
Salimmo silenziosamente le scale fino a che non arrivammo alla mia porta.
Oh oh. Solo allora mi accorsi dove veramente eravamo arrivati e mi bloccai.
Lo invito ad entrare? O forse non vuole. Oh, al diavolo ma se stavamo insieme non c'era nulla di male? Oddio stavamo insieme.
-Vuoi restare sulla porta per qualche altra ora o mi inviti ad entrare?- 
Anche se in modo decisamente irritante, mi aveva risolto il problema. 
Gli feci una smorfia, e mi girai per tirare fuori la chiave e infilarla nella serratura.
La trovai un'azione parecchio difficile e direi anche impossibile visto come mi tremavano le mani: ecco, ecco cosa succedeva a stare vicino a Dave! 
Il tempo di accorgermene e sentii il corpo di Dave aderire completamente al mio, tanto che ebbi le vertigini.
Ma non era quello il suo scopo.
Si chinò in avanti, prendendomi dalle mani le chiavi e la infiló senza esitazioni nella serratura, girandola.
-Era davvero complicato.- osservó, dopo che io fui entrata.
-Vuoi restare lì per qualche altra ora o entri?- gli rigirai le sue stesse parole.
Un angolo della sua bocca si sollevó.
-Penso che entreró.- decise con un sospiro, e fece come aveva detto.
Come avevo pensato Andrea non c'era: ne ero sicura che alla fine avrebbe passato la serata con Chase.
La cosa mi faceva infuriare, tanto che per quasi un secondo fui tentata di uscire da quella maledetta stanza e andarla a riprendere ovunque fosse (ovvero nella stanza di Chase, al 99% dei casi) ma mi trattenni.
Ero lì con Dave. Mi girai a guardarlo: sembrava così strano lui,'lì nella mia stanza. Forse perchè era come mettere un David in una stanza qualunque. Sembrava fuori luogo, eppure ancora più bello. 
Mi avvicinai e gli sussurrai.
-Ottima scelta.- 
-Di essere entrato?- 
Annuii.
Sentivo un'elettricità così potente che solo toccandola avrei davvero preso la scossa.
Lui alzó una mano e mi spostó con un gesto lentissimo una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-Sei bellissima.- sussurró.
Non arrossii come al solito, e sostenni il suo sguardo.
-Potevi avere tutte ma hai scelto me. Non ha senso.- 
-Quello che hai detto non ha senso.- ribattè lui, quasi colto di sorpresa dalla mia frase.
-Ce l'ha.- dissi io.
-No, che non ce l'ha. L'hai detto come se fosse una cosa assurda che io abbia scelto te, ma non lo è.- 
Stavolta guardai il pavimento, e mi mordicchiai il labbro.
-Io..-
-Non farti venire strane idee in testa, Yankee. Mi hai capito?- disse duramente, ma con una sfumature comunque dolce.
-Sì.- sussurrai. 
-Bene.- mormoró lui di rimando e dopo un secondo, così, senza preavviso, mi prese per i fianchi e mi tiró a se' baciandomi.
Dio, quanto mi faceva impazzire.
Sentivo le sue mani calde, sembravano essere dappertutto mentre in verità erano ferme sul mio ventre. Se si fossero mosse avrei davvero perso il contollo.
Senza rendercene conto barcollammo indietro e crollammo sul letto. 
Solo a quel punto mosse le mani, ma soltanto per sfilarmi i vestiti: lo feci anche io, con lui. 
Rimasi senza fiato quando riuscii a liberarlo della maglietta che aveva indosso: oh mio Dio. 
Lo so lo so, lo avevo giá visto senza maglietta ma..insomma, era sempre una cosa assurda da rivedere.
I perfetti addominali, i muscoli delle braccia, era tutto..perfetto. Lui era perfetto.
Mi ci buttai addosso e lo baciai con foga, rispondendo ad ogni suo colpo di lingua, mi sembrava di sognare.
Rimasi in mutandine e reggiseno, mentre lui era in boxer.
Lo volevo, dio Santo, lo volevo da impazzire. 
Lui mi fissó, con gli occhi più sinceri che avessi mai visto, e giuro che non vidi Nate: vidi Dave. Vidi noi due. Vidi cosa potevamo essere insieme.
-Sì.- risposi sussurrando ad una domanda inespressa.
E quel che successe non l'avrei scordato mai e poi mai: ero diventata sua. In tutto e per tutto.
Ma forse, lo era già dal primo momento in cui l'avevo visto.
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Angolo:
Ciao a tutti, e lo so che continuo a scusarmi per ritardi vari praticamente in ogni capitolo, Peró davvero ho così tante cose da fare che non ho nemmeno trovato il tempo per entrare su EFP. 
Cooomunque, cosa ne pensate? 
Finalmente Dave ed Emma stanno insieme, non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo già da quando iniziai a scrivere la storia.
Dave si è svelato, strano che l'abbia fatto prima lui di lei, no? 
Sembrava sempre così reticente e riservato, eppure è il primo a confidarsi mentre Emma..be', Emma si tiene tutto dentro.
Questo creerà problemi in futuro? Voi cosa ne dite? 
Un bacio, e alla prossima.
 
Kveykva 

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