Il Fiore della Gloria

di Clitemnestra
(/viewuser.php?uid=655372)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


PRIMA PARTE
CAPITOLO 1

Mi guardo allo specchio. Il mio corpo ,avvolto nel lenzuolo di lino, appare più gonfio di quanto me ne ricordassi. Dischiudo il lenzuolo.
Un grosso bubbone violaceo ricopre il mio ombelico.
Me lo sfioro. Lo sento pulsare, mi sembra vivo.
Caccio un urlo. Cosa diavolo mi è successo?
Solo ieri il mio addome era normale . Si certo aveva qualche piccola bollicina qua e là (chi è con ce l’ha ) e un po’ di soffice  pancetta  , ma era normalissimo.
Prendo il telefono e digito il numero di Anna.
Tu..tu … tu
“Cristo, Anna, rispondimi! “ urlo mentalmente.
-Pronto?- mormora dall’altro capo della linea la sua voce assonnata.
- Anna, sono io!- ringhio –Senti è successa una cosa orribile, devi venire a casa mia! Subito!-
-Dio, Clia, sono le sette di mattina! Sai che significa?! Che non ho nessuna voglia di alzare il culo e venire da te per sentire le tue cazzate! E poi ci vediamo a scuola! – attacca.
-Fanculo !- le urlo, anche se so che è non mi sente.
Mi fisso di nuovo disgustata allo specchio. Il bubbone è ancora li pulsante.
La sua vista mi provoca un conato di vomito che mi costringe a prendere il cestino dei rifiuti.
Sento la mente che mi scoppia, le dita tremanti non riescono a tenere fermi i bordi del gesto.
Prima che un’ altra ondata di bile mi possa risalire su per la gola mi precipito in bagno.
Apro l’acqua corrente del rubinetto de bagno e mi sciacquo la bocca.
L’acqua fredda a contatto con le miei labbra seccate dal disgusto mi dà sollievo.
Già che ci sono nel bagno, mi accuccio sulla tazza del gabinetto.
Sono fortunata ad avere il bagno in camera, altrimenti avrei dovuto correre per tutta la casa e passare davanti alla porta aperta di mia madre.  Non l’avrei mai fatto in questo stato.
Contraggo gli addominali, il bubbone mi sfiora una coscia.
Serro gli occhi per evitare di abbassare gli occhi, ho paura che se lo faccio sarei costretta a vomitare di nuovo.
Tiro lo scarico ed esco dal bagno.
Evito di passare davanti allo specchio posizionato dietro la porta del bagno e vado decisa di fronte al mio guardaroba.
Tiro fuori una vecchia  felpa e dei pantaloni sformati che uso per pulire casa. Di solito  preferisco mettere jeans stretti e camicette ma con questo problema che mi ritrovo spiaccicato sull’addome preferisco non far vedere la forma del mio corpo.
Li indosso, l’odore familiare mi tranquillizza.
Faccio un bel respiro, afferro lo zaino poi esco da camera mia.
La stanza di mia madre si trova in fondo al corridoio.  Come sempre ,di prima mattina , la porta è chiusa a chiave. Evidentemente ieri ha passato tutta la serata a bere ed ora soffre dei postumi della sbronza.
Sorrido, immaginandola accucciata sopra il water mentre tenta di espellere tutto l’alcool bevuto. Le sta bene. Dovrebbe imparare a non ubriacarsi.
Prima di uscire passo dalla cucina,  prendo dal frigorifero un panino  preconfezionato (mia madre non si metterebbe mai a fare i panini) , una bibita  energetica  e li infilo dentro la tasca esterna del mio zaino.
Nel frattempo Ughar, il mio gatto si è arrampicato su per il mobiletto, dove teniamo i piatti. E’ il gatto più strano che io abbia mai visto.  Ha il pelo fulvo su tutto il collo, ad eccezione di qualche  ciuffetto bianco intorno agli occhi di un giallo accesso e intenso. Paffuto sul muso e scheletrico sul corpo pare che la testa sia stata separata dal corpo e poi riattaccata. Ricordo che quando lo portai a casa mia madre urlò. Stava cucinando e appena mi vide arrivare con quell’ ammasso di peli tra le braccia lanciò uno strillo acuto poi brandendo il coltello , con cui stava affettando le zucchine, mi intimò di non portarlo in casa.
Io silenziosamente le ubbidii, ma ai miei occhi di bambina non si poteva abbandonare un animale così gli portavo  gli avanzi da mangiare di nascosto, quando mia madre non guardava oppure era troppo impegnata a bere.
Alla fine, mia madre se lo trovò davanti mentre usciva di casa. Strano a dirsi si affezionò a quel gatto e l’animale iniziò a contraccambiare. Non so che abbia fatto per convincerlo e ancora non vuole dirmelo.
Accarezzo il manto del gatto  che mi ringrazia regalandomi delle fusa esclusive per me.
Gli lancio un bacio uscendo e mentre chiudo la porta sento il suo miagolio di arrivederci.
La brezza mattutina mi solletica il viso, lasciandomi odorare per qualche secondo l’odore del pesce appena pescato.
Ma la mia mente mi ricorda costantemente l’immagine del bubbone violaceo sull’ombelico e non mi fa assaporare quel momento.
Chi sa cosa può averlo causato? Forse qualcosa che ho mangiato? Vediamo ho mangiato il pollo … Ma il pollo aveva un sapore strano. Si è stato il pollo!
-Problema risolto!- bofonchio tra me stessa soddisfatta.
Inizio a camminare, dondolando le braccia intorno al corpo. Una volta vidi un film dove la protagonista faceva i miei stessi movimenti e da allora lo faccio sempre.
Di solito vado verso casa di Anna, ma dopo la sfuriata di stamattina ,non ho  voglia di fare quei dieci metri in più che mi separano da lei. Preferisco continuare ad andare avanti verso scuola.
Prendo una scorciatoia, preferisco non incontrare le vecchie comari che ridono con le loro gengive spoglie, o parlano a bassa voce, ogni volta che passo loro davanti perché sono la figlia dell’ubriaca.  “Si sono la figlia dell’ubriacona pazza e allora?! “ vorrei gridare ogni volta che le vedo.
Ma so che non faranno  altro che sghignazzare  e continueranno a parlare più forte di prima. Anna dice che il miglior rimedio è non dargli peso, alzare la testa altezzosa. Ma io non ci riesco . Una volta, ritornando da scuola, ne agguantai una per il collo perché aveva osato tirare fuori la “vecchia storia “ di mio padre.
Quella aveva preso a strillare come una pazza finchè le Sentinelle non erano state costrette a dividerci.
Avevo ricevuto una bella ramanzina, ma che grazie all’intervento di Anna non si era tramutata in un multa.
La stradina che ho scelto è piccola , in alcuni punti s’interrompe a causa degli alberi caduti, che sono costretta a scavalcare.
Se non mi sbaglio dovrebbe essere una delle poche strade rimaste prima del Conflitto .
Sbadiglio e stropiccio gli occhi. Rimpiango di non aver dormito di più questa mattina.
La strada comincia a farsi in salita . Faccio un bel respiro poi comincio a correre.
I muscoli addormentati delle gambe mi supplicano di fermarmi, ma l’immagine della signorina Turh intenta a chiamare mia madre per l’ennesimo ritardo mi dà la forza per proseguire.
Finalmente riesco a scorgere la cupola bianca della mia scuola. Anticamente era una chiesa, al suo eterno presenta ancora l’altare e i vecchi candelabri d’ottone perché quelli d’argento sono stati rubati. La nostra aula è quella più piccola, la più puzzolente e la più sporca. La odio. Non ci sono finestre e i muri sono bassi e grigi. Mi ricorda una prigione.
Sono arrivata.
Sullo spiazzo davanti alla scuola, i ragazzi e le ragazza delle varie classi si sono già ammucchiati agli angoli.
Con la coda dell’occhio riesco a cogliere lo sfavillante rosso dello zaino di Anna.
Intercetto David. E’ seduto per terra, le spalle ossute schiacciate contro il muro, lo zaino appoggiato al piede e un libro aperto sulle ginocchia.
Merda. Oggi c’è la verifica di storia.
Me ne sono dimenticata completamente.
Mi avvicino a David e mi siedo accanto a lui.
Lo saluto schioccandogli un bacio sulla guancia.
-Ah sei tu!- trasalisce aggiustandosi gli occhiali –Cristo , Clia, mi hai fatto prendere uno spavento!-
Scoppio a ridere, mi piace quando mi guarda in quel modo.
-Hai studiato per la verifica?- mi chiede quando smetto di ridere indicandomi il libro aperto sulle ginocchia.
Scuoto la testa.
Annuisce, m mi conosce bene da sapere che nove volte su dieci non ho studiato per le verifiche.
Ritorna a guardare il libro mentre io lo cerco di sbirciare i concetti fondamentali.
-Bah … non ci capisco niente!- mormoro .
David solleva la testa irritato  -Non ci devi capire niente, tanto poi ti suggerisco io!-
–Oh , ma quanto sei gentile- ribatto . Odio quando mi fa sentire stupida.
Scrolla le spalle –Ora lasciami studiare, dato che devo imparare per due!-
Gli do una spintarella che lo fa scivolare. Lui mi soffia contro come i gatti.
Ci guardiamo e iniziamo a ridere come sempre.
Io e lui siamo amici da sempre. Ci siamo conosciuti quando eravamo piccoli.
Un gruppo di bulletti alti e grossi stavano prendendo in giro un bambino mingherlino, occhialuto e dai capelli untuosi. Io ero corsa ad aiutarlo, avevo spintonato i bulli finché non li avevo fatti scappare. Poi mi ero girata verso il bambinetto che mi diede il suo succo come ringraziamento.
Quando raccontai a mio padre cosa era accaduto, lui mi rispose che dovevo tenermelo stretto quel bambino perché avrei avuto sempre un amico riconoscente vicino a me. E così è stato.
-Cosa diavolo ci fate voi ancora qui?!- la voce aspra della bidella ci interrompe bruscamente –non dovreste essere in classe?!-
A forza di ridere non ci siamo accorti che lo spiazzo si è sgomberato ad eccezione di qualche ragazzetto rimasto a finire la propria sigaretta
-Ci scusi, signora … - mormora David alzandosi
-Oh, ma di che tesoro, non ti devi preoccupare.- è chiaro che la bidella nutre un rude affetto verso David         
  –Lei, invece, si dovrebbe preoccupare!- il suo dito grassoccio mi indica.
Scrollo le spalle –Mi scusi! Ma … -
David mi tira a sé prima che possa aggiungere altri problemi alla posizione.
-Ci scusi, ma stavamo studiando storia insieme, sa Clia non è tanto brava …-   dice
-Oh , ma che bravo ragazzo!- esclama la donna –Aiuta anche i più deboli!-
-Già, proprio così!- aggiungo io –Sa con tutti i problemi di mia madre è solo grazie a David se non mi bocceranno!-
-O ma questo è tutto da vedere, cara mia!- mormora quella con una punta di cattiveria – Puah, come si dice tale madre, tale figlia.-
Sto per saltarle al collo, i muscoli tesi pronti a scattare e la testa che inizia a girarmi.
Ma David ha capito tutto, mi prende per mano delicatamente dicendo –Ora noi andiamo, altrimenti … - infila il libro nello zaino.
La bidella ci lascia passare non prima però di lanciarmi un'altra occhiataccia.
Una volta dentro la scuola, lascio andare la mano di David.
Mimo un grazie con le labbra e lui mi risponde con un prego poi scendiamo le scale diretti verso l’aula.
Stranamente c’è un silenzio di tomba, di solito qualche ragazzo o ragazza passeggia rumorosamente per i corridoi.
Passiamo davanti alla bacheca degli annunci e capisco, oggi è il trenta di aprile e come ogni anno, domani cinquanta ragazzi andranno a combattere contro gli Hankara. Oggi è il giorno degli addii.
Guardo David, lui rientrerebbe nella fascia d’età, ma non lo farebbe mai.  Lo immagino, seduto tra il filo spinato, con l’elmetto che gli ricade sugli occhi, mentre legge un libro di duecento anni fa. Decisamente è una visione buffa.
Entriamo in classe, per fortuna la signorina Turh non è ancora arrivata.  E’ lei che ci insegna tutta le materie e come dice mia madre è un’ emerita stupida (forse questa definizione l’ha data quando la mia professoressa le ha consigliato di smettere di bere).
Ci sediamo vicini così è più facile per copiare.
Con lo sguardo cerco Anna. E’ seduta in prima fila e parla animatamente con un una sua amica.
Cerco di attirare la sua attenzione ma lei non guarda mai nella mia direzione.
Lancio un sospiro sconfitto e David mormora –Ancora non hai iniziato è già sei ridotta così?-
Sorrido scuotendo la testa – Non mi vedi? Sono carica al cento per cento!-
All’improvviso entra la signorina Turh e la classe si zittisce.
Gli occhi color del vetro  ci scrutano silenziosi. Sarebbe anche una bella donna, se non fosse per quegli occhi nascosti dagli occhiali grossi e spessi.
-Bene , ragazzi!- esclama, la sua voce squillante rimbalza su tutte le pareti –Pronti per la verifica?-
Ma che domande, certo che no! Le sembriamo pronti per quattro ore di scervella mento totale? Boh non so cosa pensano.
Ci distribuisce i fogli: in totale sono quattro. Questo vuol dire un ora per foglio. Dai non è male come tempo. Poi mi accorgo delle domande. Sono venti per ogni foglio, scritte talmente piccole che per decifrarle ci vorrebbe la lente d’ingrandimento.
Mi lascio sfuggire un mormorio poi comincio a fare il compito.
Domanda numero uno
Come si chiama, e quali sono le fazioni che ne hanno fatto parte, la guerra scatenatasi del ventunesimo secolo?
Umani e Hankara, Grande Conflitto o Guerra angelica
Domanda numero due
Cosa sono gli Hankara?
Gli Hankara sono creature molto simili a noi, ad eccezione di due grandi ali sulla schiena (Butto giù anche uno schizzetto di un Hankara molto stilizzato)
Domanda numero tre
Parla della guerra
La guerra si scatenò nel ventunesimo secolo quando un gruppo di Hankara sbucò da un condotto delle fogne. Da quel giorno si tentò un esistenza pacifica ma a causa di un omicidio di un umano per mano di un Hankara si scatenò una rivolta degli Umani contro queste creature finchè non degenerò (esiste come parola?) in una guerra che continua ancora oggi.
Domanda numero quattro
Che tu sappia, ci sono stati Hankara che si sono mescolati tra gli Umani? Se si che cosa hanno fatto?

Si,  due uomini Mandela e Gandhi (penso che si scrivano così) ed hanno creato solo caos e disordine, incitando la popolazione a ribellarsi.
Riesco a rispondere solo a quattro domande, il resto lo ricopio da David.
Finisco proprio quando la campanella suona quattro rintocchi.
 David è il primo  a consegnare e ad andarsene .
Io invece mi massaggio le dita sporche d’inchiostro ed aspetto che la classe si svuoti.
Chiudo gli occhi, l’odore della muffa mi riempie le narici, ma dopo anni non mi dà più fastidio.
 Anche alcuni vestiti di mio padre avevano quello stesso odore, ricordo che lui ci spruzzava sopra una rara acqua di colonia ,che trovava solo al Mercato, e quando lo faceva mia madre storceva il naso e si lamentava sempre dell’odore troppo forte ….
-Ironty!- la voce della Turh mi fa aprire di colpo gli occhi. E’ davanti a me, gli occhiali abbassati sulla punta del naso lasciano che gli occhi mi trafiggano . -Ironity, per favore puoi consegnare il tuo compito ?!- ripete duramente, sbattendo una pila di compiti sul banco .
Le rivolgo uno sguardo spaesato, mi guardo intorno: sono rimasta l’unica in quella classe.
Prendo il mio foglio e lo lascio scivolare  sugli altri compiti .
Le rivolgo un cenno di saluto e faccio per andarmene quando la voce della Tuhr mi ferma –Ironty ti vorrei parlare.-
Merda. E’ sempre un brutto segno quando un adulto ti vuole parlare. Mi giro lentamente.
-Sai, ho notato che non hai bella grafia …- comincia indicando il mio foglio
-Ehm … allora? Mi vuole parlare della mia grafia? Senta venga subito ai fatti!- la interrompo io.
Mi rivolge uno sguardo glaciale che mi fa scorrere un brivido sulla schiena –Vorrei che tu facessi dei test … no, non mi interrompere … per capire se sei diversa dagli altri.-
-Diversa in che senso?- domando io perplessa.
-Nel senso che il tuo cervello funziona in modo diverso, nel senso che sei diversa!-
-Prof , di cosa sta parlando?- continuo a non capirci nulla
La Turh  prende fiato (o mio Dio, deve essere qualcosa di veramente importante!!!!) –Potresti essere dislessica-
Dislessica. L’ho già sentita questa parola ma non mi ricordo dove.
-Non vuol dire stupida … vuol dire che il tuo cervello ragiona in modo diverso ma è ugualmente intelligente- dice
Ecco dove l’ho vista: David mi mostrò il foglio dell’iscrizione alla scuola militare, e a caratteri cubitali c’era scritto :IL SOGGETTO NON DEVE AVERE I SINTOMI DELLA DISLESSIA.
Ma quando gli chiesi cosa significasse, lui mi rispose ridendo che voleva dire essere scemo.
-Hai difficoltà a leggere? Hai problemi con i numeri, non ti vengono i calcoli? – continua la  Turh.
Annuisco , come diavolo fa a sapere tutte queste cose?
-Bene, allora se tu ci stai, potresti venire domani qui davanti a scuola.- propone.
-Prof domani c’è la Partenza, dobbiamo essere tutti in piazza, se lo ricorda?- dico stupita, domani è un giorno che non si può dimenticare.
Fa una smorfia –Ah si giusto, me ne ero dimenticata … allora quando vuoi venire?-
-Non lo so …- poi aggiungo –Sarebbe meglio che non venissi proprio.-
-Come mai? – chiede
-Mia madre … lei è … ehm … malata- tento di spiegarmi .
-Ah- assume un ‘ espressione addolorata –Tranquilla, so la storia … Comunque potrei parlarle io?-
Meglio di no, vorrei dirle, mia madre pensa che lei sia un’ emerita stupida  ma le mia labbra sussurrano un   -Si- molto supplichevole.
La prof batte le mani contenta –Ne sono felice!- esclama.
Le rivolgo un mezzo sorriso poi faccio per andarmene quando sorprendentemente mi infila una ciocca dietro l’orecchio e mi sussurra –Tranquilla,  Cliantha, non c’è niente di male nell’ essere diversi.-
La guardo stupita poi salutandola con un mangiucchiato –Arrivederci- mi metto a correre .
Ma quanto è strana quella?! Tutta pazza.
Vado in sala mensa e ,come al solito, quando apro la porta , l’odore del bollito e delle patate mi accoglie.
Faccio per prendere il mio panino quando ma mi accorgo di aver lasciato lo zaino in classe.
Dio, che stupida! Mi batto una mano sulla fronte. Cretina! Deficiente! Dislessica!
La parola dislessica continua a rimbalzarmi nella mente. Perché mi fa questo effetto? Forse  perché lo sono davvero? No ma che stupidaggine … saranno solo i deliri di un insegnante.
Comunque non voglio tornare in aula a prendere lo zaino.
Prendo un vassoio e mi metto in fila, non c’è tanta gente per fortuna.
Arrivo davanti a la cuoca che mi rivolge un sorriso tirato.
-Cosa c’è di nuovo oggi?- chiedo ironicamente.
-Bollito e patate.- mi risponde quella scocciata, versandomi un cucchiaiata sul piatto di una poltiglia di patate e carne.
Ringrazio a denti stretti poi afferro  il piatto e mi allontano.
Cerco con gli occhi David. Lo trovo, è seduto in uno degli ultimi tavoli, da solo, chino su dei fogli.
Mi avvicino.
Appena avverte la mia presenza, fa sparire velocemente i fogli sul tavolo, li appallottola e li ficca nelle tasche della giacca.
-Ciao.- mi saluta voltandosi –Ce l’hai fatta a finire?!-
-Ma stai zitto che la Turh mi ha tenuto dentro altri dieci minuti in più per parlarmi!- borbotto scivolando accanto a lui.
- E cosa voleva sapere?- chiede ingoiando una cucchiaiata di bollito e patate.
Deglutisco –Niente.- mento –Solite chiacchiere da insegnante.- Non voglio dirgli quello che la Turh mi ha confessato, sono sicura che scoppierebbe a ridere.
Annuisce poi dopo aver ingoiato un altro po’ del pranzo mi indica un ragazzo in piedi –Vedi quello … è Malcolm Smith, del quarto anno, domani partirà.-
In quel momento lo riconosco : è il capitano della nostra squadra di pallacanestro.
 Alto e muscoloso, rispecchia molto bene i standard dell’esercito.
-E allora ?- chiedo disinteressata.
-Nulla, era per parlare.- ammette David scrollando le spalle.
Non so perché ma ho l’impressione di averlo offeso. Devo farmi perdonare!
Sfioro la sua mano –Scusa David, solo che non voglio parlare di domani … - mi scuso.
Mi rivolge un sorriso –Tranquilla, Clia, è tutto a posto- mi rassicura.
Lo abbraccio. Il suo odore così familiare mi tranquillizza.
-Ti voglio bene.- gli sussurro all’orecchio e subito lui mi risponde prontamente –Anche io-
Gli scocco un bacio sulla guancia poi mi alzo.
-Non lo mangi?- mi chiede David indicando il mio vassoio.
-No, è tutto tuo!- gli sorrido –Io devo andare a casa-
Annuisce poi si fionda sul mio piatto mentre io vado verso la porta d’uscita.
Esco, il vento che soffia da nord mi investe freddo e pungente come la lama di una spada.
Mi stringo nella felpa, nonostante siamo in primavera inoltrata, ci sono ancora residui di freddo nella temperatura.
Comincio a camminare, sento i muscoli delle gambe riscaldarsi.
Arrivo a casa in poco tempo, ho preso la strada più breve, quella che passa davanti casa di Anna.
Apro la porta ed entro.
Stranamente mia madre è uscita dalla sua stanza ed ora è stesa sul divano mentre guarda la televisione spenta.
Mi sente entrare, ma non fa un segno di voler parlare con me quindi vado in camera mia.
Mi spoglio e mi guardo allo specchio.
Il bubbone violaceo padroneggia ancora sul mio ombelico, ma rispetto a stamattina ha una sfumatura meno intensa.
Mi infilo un maglia lunga abbastanza da potermi coprire quella parte di corpo poi vado in cucina.
Mi preparo un tisana rilassante e lancio un occhiata a mia madre sempre rannicchiata sul divano.
Prendo la tazza quando la voce fredda e distaccata della mia genitrice dice –Hanno fatto un servizio su i traditori della patria.-
La guardo stupita. Come tutti gli anni hanno fatto vedere in televisione un filmato con le uccisioni dei traditori. Di solito sono sempre stata capace di non farglielo vedere, ma quest’anno non ci sono riuscita. E mia madre ha rivisto suo marito morire un'altra volta
-Mamma …- mormoro avvicinandomi.
-No.- mi interrompe alzandosi –Non voglio sentire le tue scuse … era inevitabile.- lacrime trasparenti le rigano le guancie.
-Mi dispiace tanto mamma.- sussurro io abbracciandola.
Il suo corpo è troppo magro, ne riesco ad accarezzare le scapole sporgenti e le costole in rilievo mi accarezzano il petto.
-Sai a tuo padre piaceva tanto quest’aggeggio qua- si stacca da me e indica la televisione –Così mi convinse a comprarlo, diceva che il futuro era dentro quella scatola.-
Sorrido –Forse aveva ragione-
-Già forse.- dice –Ma chi lo capiva tuo padre? Era una persona così maledettamente strana.-
-Perché dici così?- domando sbalordita.
-Perché solo una persona maledettamente strana poteva essere una spia!- esclama risoluta, poi si lascia cadere sul divano.
-Una spia?- domando sorpresa.
Annuisce.
Nessuno mi aveva mai spiegato perché mio padre fosse stato portato davanti ad un plotone d’esecuzione. Fino a quel momento avevo sempre pensato a un errore giudiziario.
Ma ora quella rivelazione mi sconvolge e mi turba.
Indietreggio, mi sento schiacciata dal peso delle parole di mia madre. Nelle viscere il senso di vergogna si inizia a contorcere.
Ecco il perché delle occhiatacce! Ecco il perché delle prese in giro! Tutto spiegato in una sola parola: spia.
Così disgustosa nel sentirla dire o peggio nel riferirla . Cliantha Ironty , la figlia della spia.
Mi precipito in camera mia , senza voltarmi.
La foto di me e mio padre che occupa il comodino viene scagliata dalle mie mani sul pavimento. Piccole schegge di vetro si riversano ai miei piedi.
Mi inchino e poso le mani su quei frammenti affilati. Il dolore tarda ad arrivare. Ogni cosa dentro me reagisce lentamente.
Quando le alzo, le mie mani, sono bagnate da rivoli rossi.
Mi precipito in bagno e le ficco sotto l’acqua corrente del lavandino.
L’acqua fredda scivola via dalle ferite, senza medicarle. Anche lei si prende gioco di me.
Mi allungo e apro il mobiletto sopra il lavandino.
Dentro c’è mezza scorta di alcool di mia madre. Gliel’ ho presa perché lei incominciasse a smettere ma senza riuscirci, non ha mai smesso di consolarsi nel bere.
Ma ora ho bisogno io del suo Gin.
Prendo la bottiglia e la apro usando le forbici.
Mi attacco al collo, il sapore amaro dell’alcool mi inonda la gola. Tossisco ma continuo a bere.
La testa comincia a scoppiarmi, tutti i miei sensi sono meno vigili e le figure intorno a me mi appaiono sfocate.
Accarezzo il legno bianco della porta e casco malamente.
Scoppio a ridere stupidamente, il pavimento mi sembra meno freddo ora.
Mi trascino fino al letto . Mi arrampico su una zampa e finalmente arrivo al materasso. Mi stendo supina. Il mondo ha smesso di vorticare. Sorrido a me stessa. Poi chiudo gli occhi .

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2 

Il mio corpo comincia a scaldarsi. Mi tasto la fronte : scotto paurosamente.
Cerco di aprire gli occhi, ma non ci riesco. Me li tocco, ma ritiro quasi subito la mano disgustata.
Le ciglia sono scomparse, le palpebre si sono unite agli zigomi formando uno strato di pelle molle. Inizio a urlare ma dalle mie labbra esce solo un flebile mormorio.
Mi alzo dal letto, a tentoni riesco a riconoscere il legno della mia cassettiera. Tiro un sospiro di sollievo. Improvvisamente il legno inizia a muoversi inizia a farsi rugoso.
Allontano le mani alla svelta.
E in quel momento il mobile inizia a sibilare ! Serpenti!
Urlo, urlo spaventata.
 Sento i serpenti attorcigliarsi intorno alle caviglie e alle braccia. Mi divincolo, ma mi tengono ferma. Sento la loro pelle viscida strisciare sulla pancia.
Poi un dolore lancinante,sotto l’ombelico, dove quell’orribile bubbone mi è spuntato.
Non riesco ad urlare, ho la gola piena di vomito. 
Il dolore continua,lo  sento lacerarmi le carni.
I serpenti nel frattempo continuano a scivolarmi sul corpo, sibilando e mi accarezzano la pelle con le loro lingue.
Vomito, sento il liquido caldo bagnarmi dalle labbra e finalmente riesco ad urlare.
Mi sveglio di soprassalto.
Le mie mani si toccano istintivamente gli occhi e constatano che sono sempre loro. 
Mi alzo la maglietta, il bubbone è ancora là, violaceo come ieri mattina.
Sbuffo e mi sposto una ciocca di capelli che mi ricadeva sugli occhi.
Mi ributto sul letto, la testa mi fa ancora male per la sbronza di ieri sera. Non mi sono mai ubriacata, ho sempre avuto paura di finire come mia madre, e poi ora ho scoperto che non mi piace.
Mi alzo, la fotografia di me e mio padre è ancora per terra, dove l’ho lanciata, e piccoli frammenti di vetro insanguinati la circondano.
Guardo l’orologio. Merda sono già le undici! Tra mezz’ora ci sarà il raduno in piazza per vedere i nostri giovani volontari.
Prendo dall’armadio un vestito che ho preso da mia madre qualche anno fa e che non le ho più ridato.
Mi faccio una semplice coda per tenere fermi i miei capelli un po’ ribelli. Un ricciolo mi sfugge e mi ricade sulla fronte , sfiorando il sopracciglio.
Mi guardo un attimo allo specchio. Ho un aspetto orribile. Ho due grossi cerchi neri intorno agli occhi, le labbra screpolate e le guancie mezze spellate.
Ma non il tempo nella voglia di curarmi del mio aspetto, così scendo le scale.
Nemmeno nelle miei migliori fantasie avrei potuto immaginare la scena che vedo davanti a me.
Mia madre con indosso un insolito vestito a fiori, uno di quelli che portava solo la domenica al mercato  e il viso truccata alla perfezione senza una sbavatura, mi aspetta nel salone con le braccia incrociate sul petto.
-Signorina, ti pare questa l’ora di scendere?- mi domanda borbottando 
Io sono troppo stupita per risponderle.
-E poi guarda, come ti sei conciata? Mio Dio, ma hai fatto a pugni stanotte?- continua indicando la mia faccia 
Io alzo le spalle –Se vuoi vado a cambiarmi … -
-No, non c’è tempo!- strilla –Vuoi che facciamo tardi? Già non siamo viste di buon occhio , più arriviamo in ritardo … -
Tu sei quella mal vista mamma, non io. Io sono solo la povera tua sfigata figlia. Eccola la mia sventura.
Non posso dirle ciò che penso perché so che si offenderebbe e forse ritornerebbe in depressione, perciò mi limito ad annuire.
Usciamo di casa, tenendoci per mano.
 La città è vuota, buia: nonostante sia mattina una fitta coltre di nubi copre il pallido sole invernale rendendola quasi spettrale. 
Non c’è nessuno, tutti quanti si sono già sbrigati per prendere i posti migliori davanti al palco.
Durante il nostro tragitto, indico a mia madre i vari negozi che sono cambiati nel corso degli anni e le elenco i nomi dei vari nuovi commercianti che sono entrati a far parte nella cerchia più stretta dei venditori.
Lei annuisce ogni tanto  e quando ho finito mi domanda –La guerra?-
Faccio una smorfia poi inizio a farle il resoconto degli ultimi due anni. Le dico le battaglie, le nostre vittorie e quelle degli Hankara, i luoghi dove si sono svolte e il  numero delle morti.
Il suo sguardo si rabbuia, evidentemente non si aspettava che fosse successo molto durante il suo periodo di assenza dal mondo .
Arriviamo, e come mi aspettavo la piazza è gremita di gente. Sgomito un po’ per avere una buona visione del palco , senza riuscirci, sono troppo piccola. Mia madre mi viene dietro, gli occhi bassi e le mani incrociate sul petto.
Riesco a vedere a malapena il sipario rosso e il pavimento in legno.
Cerco tra la folla Anna , ma inutilmente, ci sono troppe teste bionde e non saprei qual è quella giusta.
I tamburi cominciano a rullare, per fortuna siamo arrivate in tempo, altrimenti ci avrebbero fatto cinquanta soldi di multa, e data la nostra situazione economica, non è il caso.
Il sindaco sale sul palco: è un omino piccolo, la gobba che gli spunta dalle scapole lo fa apparire ancora più gracile di quanto non lo sia in realtà, la pelle giallognola risalta sotto la luce artificiale delle lampade mentre i capelli neri, impomatati per l’occasione scintillano di bagliori argentei.
-Buongiorno a tutti!- la sua voce nasale amplificata al microfono mi rimbalza nelle orecchie – Com’ è andata la nottata? Avete dormito? Ma certo che no! Sarete tutti eccitati per oggi! – si sfrega le mani –Bene allora cominciamo!- 
Improvvisamente diventa serio, si batte tre volte la mano destra sul cuore poi comincia a cantare l’inno. Tutti noi lo imitiamo, solo mia madre non lo fa. Se siamo fortunati nessuno la vedrà.
Mentre le ultime note della musica si propagano nell’aria, un corteo di prigionieri, accompagnati dalle guardie si avvicina. Sono gli Hankara e le spie catturate.  Sei anni fa tra loro sfilava anche mio padre.
Camminano in mezzo alla folla, gli occhi spenti e smorti, le ferite sul viso ancora aperte. Una bambina solleva la testa, ha gli occhi color del mare in inverno, freddi e glaciali, frugano tra la folla come alla ricerca di qualcuno poi mi trovano. Il suo sguardo mi colpisce come uno schiaffo. E’ così carico di odio e di paura che mi fa venire voglia di urlare.
-Che diritto avete voi? Che cavolo di diritto avete voi per privarmi della libertà? Io sono nato libero e come tale devo morire!-  
Le parole di mio padre urlate mentre lo arrestavano mi rimbombano nella testa. Sono le stesse parole che urlano gli occhi della bambina. Improvvisamente ritorno indietro nel tempo, sono nascosta nella bassa siepe che circonda le prigioni.  Mi sono appostata vicino alla cella di mio padre così da poter sentire il suo respiro.
Ma invece sento le sue urla e il rumore delle sue carni che vengono lacerate e le sue ossa che vengono rotte. Voci concitate di uomini gli ordinano di parlare, ma lui continua a gridare solamente. Comincio a strillare pure io, urletti acuti, niente in confronto ai suoi. 
La scena cambia, rivedo il mio genitore, mentre sfilava fiero davanti a loro, il mento alzato e gli occhi sprezzanti. Mia madre che gli si getta addosso implorandolo di dichiararsi innocente e che viene respinta con forza  dalla guardia, mentre io stringo MR Buggy, il mio orsacchiotto di peluche.
Risento gli spari ,le urla di mia madre e la folla che urla soddisfatta. Lascio cadere MR Buggy nel fango. Non lo riprenderò mai più.
Sbatto le ciglia intontita , come se mi avessero svegliata in malo modo. La bambina è scomparsa, si è mischiata agli altri prigionieri ammassati ai lati del palco.
La gente intorno a noi urla, vomita bestemmie di tutti i tipi, qualcuno lancia anche dei pomodori andati a male. 
Ma un cenno imperioso del sindaco fa tornare il silenzio. Quando tutti, anche i più infervorati, si sono calmati allarga le braccia indicando tutti gli Hankara presenti.
 -Vedete questi? Questi essere immondi che si trovano qua accanto a noi? Sono loro il cancro del mondo, il seme velenoso della terra, la maledizione del popolo! Queste creature con queste ridicole ali!- Si avvicina ad una Hankara donna con le ali aperte e strappa una piuma. Lei urla, ma il bastone di una guardia la colpisce sul mento facendola azzittire.  Il primo cittadine ,dalle tasche del panciotto, tira fuori un accendino e gli da fuoco. La piuma inizia ad accartocciarsi su se stessa e a scurirsi. La puzza è talmente nauseante che sono costretta a tapparmi il naso con una manica del vestito. La piuma diventa polvere e si disperde nell’aria
-Ed è per sconfiggere queste creature che cinquanta dei nostri più valenti giovani devono abbandonare le loro famiglie, la loro casa e i loro affetti, per andare a combattere contro questi esseri!- continua il sindaco.
Una donna vestita con un fiammeggiante abito rosso tira una cordicella e il sipario si apre.
Cinquanta ragazzi dai  quattordici ai diciotto anni , stretti nei loro abiti eleganti e dal viso tirato, siedono su  poltroncine di velluto blu. Sfoderano i loro migliori sorrisi ma tutti sanno che sono solo una montatura per nascondere la paura di non tornare.
Li scruto uno ad uno, finchè non arrivo all’ultimo. Il più mingherlino, con meno muscoli degli altri.
Il mio mondo mi crolla addosso.
L’ultimo ragazzo è David.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
Mi tremano le mani.
Il mondo intorno a me prende a vorticare ferocemente.
Cerco di aggrapparmi, ma le mie dita abbracciano l’aria.  Lancio un urlo di frustrazione, ma nessuno se ne accorge; sono tutti impegnati a guardare gli Hankara ammassarsi sul palco per essere fucilati.
Ho bisogno d’ aria: ho la gola chiusa dalla bile.
Sgomito tra la folla, ma la gente è troppo accalcata e non riesco a passare.
Sento qualcosa di caldo rigarmi una guancia. Sto piangendo.
Mi asciugo frettolosamente gli occhi con la mano: se qualcuno mi vedesse piangere potrei essere scambiata per una traditrice.
Nel frattempo i soldati hanno sparato agli Hankara  e il loro corpi sono riversati sul palco mentre il sangue gocciola dalle ferite. I più vicini all’impalcatura tendono le mani per “ringraziare” il legno marcio ghignando, ma le guardie glielo impediscono. Che fanatici.
Mia madre mi supera e si mescola alla folla. Non ho voglia di andarla a cercare, ritornerà a casa da sola.
Faccio per andarmene quando una mano mi ferma.   Mi giro: è David.
Le labbra piene schiuse in un sorriso e gli occhi felici sembrano bramare un mio commento sulla sua decisione.
Ma dentro di me sento montarmi la rabbia feroce, distruttiva come il fuoco. La mia mano si alza gli tiro uno schiaffo. Sento la sua mascella pulsare al mio tocco e quando ritiro la mano riesco a distinguere la forma di cinque dita sul viso.
-Figlio di puttana!- urlo. Molte teste si girano nella nostra direzione –Quando cazzo avevi intenzione di dirmelo!?-
David si massaggia la mascella dolorante –Mi dispiace Clia io…-
-Tu cosa?!-
-Dovevo dirtelo…- ammette sconsolato, poi mi strattona –Vieni ti devo parlare in privato- aggiunge.
Passiamo in mezzo alla folla , inosservati. Tutti sono troppo impegnati a lanciare verdura contro i corpi degli Hankara che sono stati fucilati. Tra poco però quell’ammasso di cadaveri scomparirà avvolto da fiamme azzurrognole. Così funziona per gli Hankara, quando i loro corpi diventano freddi scompaiono. Anche io vorrei che succedesse così al mio corpo, ma io sono Umana.
Io e David ci fermiamo, siamo arrivati in un parco ai margini della piazza. E’ un posto abbastanza piccolo occupato gran parte da un laghetto dove sguazzano le anatre. Lo chiamiamo il Posto degli Amanti perché si dice che proprio sulle sponde del lago s’incontravano due amanti che vennero poi uccisi dai rispettivi padri quando scoprirono il loro segreto.
-Mi dispiace , Clia, avrei dovuto dirtelo…- la voce di David mi risveglia dai miei pensieri.
-Si avresti dovuto.- lo interrompo io acida.
-Si, -distoglie lo sguardo – solo che io sono stufo di essere preso in giro da tutti, sono stufo della mia vita …-
-David ti rendi conto che non vai a fare una gita! Vai in guerra, dove la gente muore in continuazione, dove rischierai la vita! Te ne rendi conto!-
Abbasso lo sguardo.
-Hai pensato come staranno i tuoi se non torni?! Come faranno?! – due lacrime iniziano a solcarmi le guancie –Hai pensato come starei io?!-
-Mi dispiace- sussurra, mi prende il viso tra le mani –Mi dispiace.- poi  mi bacia.  No, non era questo ciò che volevo. David si scosta un poco e mi baciò di nuovo. Il tocco delle sue labbra era morbido. Sporgo appena le labbra e le rilasso in un’ eco fievole del bacio ricevuto. David incoraggiato, mi posa ancorale labbra sulle labbra e sento sul viso il tepore dell’alito. Socchiude la bocca e io mi scosto in fretta Mi stacco.
-Faceva così schifo?- sembrava un po’ offeso.
In verità non è stato male, anzi non pensavo fosse un abile baciatore. Scuoto la testa . Quel bacio era un piacere condiviso.
Le labbra di David si schiudono: percepisco il tocco della punta della lingua e mi irrigidisco. Mi solletica le labbra fin quando non mi sente rilassarmi e mi succhia il labbra inferiore. Mi sento cogliere da una leggera vertigine.
-Ti amo. - mi sussurra
-Ma sono ancora arrabbiata con te.-
Sorride –Lo so.-
La sua bocca cerca la mia. Apro le labbra, esito poi la sua lingua s’insinua tra i miei denti. E in quel momento uno strano tepore s’impossessa di me. Ho l’impulso di toccargli la pelle, i capelli, sentire i suoi muscoli e le sue ossa. Quando le lingue s’incontrano invece di sentirmi imbarazzata provo un fremito di piacere.
Interrompe il bacio e cerca di riprendere fiato.
Mi indica il riverbero dei un raggio di sole –Lo vedi quel raggio di sole che colpisce l’acqua del lago?-
Annuisco.
-Be … quello è il mio regalo d’addio.-
Lo stringo a me, sento il suo cuore battere forte contro lo sterno –Ti prego non andartene, resta con me- mormoro.
-Devo farlo, Clia, lo sai anche tu: una volta data la propria parola … –
-E allora scappiamo. Andremo a Gueta nessuno saprà di noi, cominceremo una nuova vita. Io e te e basta.-
Sorride appena –Non posso,- poi torna serio- l’onore e la patria prima.- si batte un mano sul petto tre volte.
-Fanculo te, l’onore e la patria. Se  muori sai cosa gliene frega alla patria e il tuo onore è andato a farsi fottere.-
Scuote la testa –Mi dispiace Clia, ma devo andare.-  Si stacca da me –Tra poco partirà il treno e non voglio perderlo.-
Annuisco –Cerca di tornare va bene? –
-Certo. Ucciderò qualche Hankara anche per te!- esclama.
Poi si volta e inizia a correre. Non ho voglia di seguirlo.
Appena la sua sagoma scompare dalla mia vista scoppio a piangere.
Mi accuccio tra l’erba. Sono di nuovo sola, abbandonata.
Piango , piango . Il raggio di sole sull’acqua grigiastra del lago non scompare.
Sulle labbra ho ancora  il suo sapore.
Sento una mano posarsi sulla mia spalla, alzo il viso arrossato.
Occhi gelidi coperti da occhiali spessi mi guardano con dolcezza. Sembrava che avesse i capelli in fiamma. E’ la signorina Turh.
-Coraggio- mormora –Vedrai che tornerà.-
Scuoto la testa –Le statistiche dicono che due su quei cinquanta ragazzi ce la fanno- dico amareggiata.
-E lui sarà il terzo vedrai.-  
Mi aiuta ad alzarmi .
-io dovrei andare a casa- mormoro .
-Bene, dovevo giusto parlare con tua madre.-  si batte una mano sulla coscia –Vedi che coincidenza!-
Ma tutte e due sappiamo benissimo che lei mi è venuta a cercare proprio per quello!
-Oh si giusto.-
Iniziamo a camminare.
Passiamo davanti alla piazza, che ora si è svuotata del tutto ad eccezione di quattro spazzini che puliscono il palco.
-Com’è stato il resto? – chiedo indicando la piazza.
La vedo rabbuiarsi –Sai come al solito, lo stesso discorso del sindaco su quanto sia importante vincere e bla bla bla le solite cose.-
Continuiamo a camminare e arriviamo davanti a casa mia.
La porta è aperta, segno che mia madre ce l’ha fatta a trovare la strada.
Facciamo per entrare quando chiedo –Ma prof lei come faceva a sapere che ero lì?-
La sua espressione assume un’aria nostalgica –Una volta ci andavo anche io , con un mio amico.- Senza aggiungere altro entra mentre io la guardo stupita.
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2827885