Out Of Control

di __Fire__
(/viewuser.php?uid=715943)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Betrayal ***
Capitolo 2: *** Rob ***
Capitolo 3: *** ...Until the end of time ***
Capitolo 4: *** Death ***



Capitolo 1
*** Betrayal ***


Avevo diciassette anni quando un debole impulso mi fece alzare dal letto e salutare la mia famiglia per unirmi al IX plotone nella Prima Guerra del Nuovo Mondo. Ero uscita di casa piena di paura e di indecisione. Non seguire quell'impulso e restare a casa avrebbe significato controlli e accertamenti da parte del Governo, seguirlo poteva significare semplicemente la morte e io avevo vissuto troppo poco per morire, non avevo ne sofferto ne amato, non avevo quasi neanche vissuto. Per anni ero stata nascosta alla società a causa di una “malformazione” del microchip dentro il mio cervello, ma quando avevo compiuto quindici anni il Governo si accorse di me e per più di un anno mi era stato alle calcagna cercando un qualsiasi pretesto per mettermi in gabbia o farmi direttamente fuori. E fu proprio grazie a loro che diventai furba, scaltra e svelta, adulta per certi versi. Avevo cominciato ad ascoltare quelle lieve scosse, quei bassi impulsi e avevo imparato a decifrarli per sopravvivenza.

 

La Prima Guerra del Nuovo Mondo è iniziata proprio a causa di quel piccolo pezzo di metallo che ormai noi tutti abbiamo nel cervello.

Inizialmente le motivazioni erano nobili; noi essere umani non siamo capaci a vivere in pace tra di noi e con la natura che ci circonda e così abbiamo prima iniziato a distruggere ciò che avevamo intorno e poi, insaziabili, abbiamo cominciato con guerre, fraticidi e genocidi che ci hanno reso più bestie che uomini. Fu per questo motivo che trecentocinquantasette anni fa i potenti della Terra hanno preso alcuni innocenti, bambini e neonati con solo pochi adulti, e li hanno nascosti dentro un bunker scavato nelle profondità della Terra prima di sganciare un'arma che distrusse l'intera popolazione umana terrestre. Nessuno al di fuori del bunker sopravvisse. Quando uscirono dal bunker le persone non trovarono altro che il nulla. Eppure dal nulla riuscirono a tirare fuori un'unica città, perfetta e costruita sulla fiducia reciproca e, lentamente quella città cominciò a popolarsi e vennero eletti i rappresentanti del Governo, i Primi Uomini.

Loro erano giusto e stilarono poche e semplici regole che non violavano la libertà delle persone, ma sancivano duramente chi provava a creare ancora disordine e discordia tra gli uomini.

I Primi Uomini provarono a non intervenire e a lasciare che gli uomini si controllassero da soli, ma ben presto capirono che la natura umana non era votata alla pace e così svilupparono un microchip estremamente potente. Questo piccolo aggeggio veniva attaccato al cervello dei neonati e mandavi impulsi che inibivano le azioni aggressive e violente, ma non solo quello. I Primi Uomini erano umani e capirono che il potere era la chiave per tutto, il potere era ciò che sempre gli uomini bravano e loro adesso ce lo avevano. Il microchip infatti serviva anche per controllare gli uomini, per renderle macchine senza coscienza e ubbidienti, pronte a svolgere qualsiasi ordine imposto, anche quello di uccidere.

Tutto ciò andò avanti tranquillamente e solo raramente il Governo si avvalse della facoltà di controllare la mente delle persone, ma tre anni fa qualcosa si ruppe.

Un uomo, un singolo uomo non controllato dal microchip riuscì a trovare altri come lui, altri come noi, che si erano da sempre nascosti impauriti da quello che i Primi Uomini avrebbero potuto fargli e presto iniziarono una ribellione. Gli uomini col microchip erano incapaci di proteggersi a causa del microchip e in molti furono uccisi. Così il Governo mandò impulsi a chi aveva un'indole guerriera e mandò sempre più impulsi legati all'aggressività, in modo che quelle persone potessero difendersi e difendere gli altri. Probabilmente in qualche modo si avvalsero anche della facoltà di controllare quelle persone, ne ero sicura, ma non me.

Nessuno sapeva perchè il microchip non funzionava su alcune persone, ma era così, ed io ero una tra queste perciò la mia mente apparteneva solamente a me.

Era stato il governo ad assegnarmi al IX plotone, quello più giovane ed inesperto ed io sono tutt'ora convinta che lo fece per togliermi di mezzo, ma riuscii a sopravvivere e non solo.

Doveva essere una semplice ricognizione per cercare superstiti, feriti, eppure mi ritrovai davanti a Mark, il capo dei ribelli, colui che aveva dato vita a quella guerra senza fine. A quel punto ricordo solamente di aver fatto una lieve pressione sul grilletto e di aver sparato, centrandogli il cuore.

Avevo diciassette anni e avevo ucciso un uomo.

 

 

« Jean muoviti che dobbiamo andare »

urlò Josh da dietro la porta del bagno, bussando due volte. Era straziante condividere un bagno con altre tre persone, ma sarebbe stato peggio tornare a casa dopo la guerra. Ero cambiata tanto, ero cresciuta e maturata, ma sopratutto non ero più la dolce bambina che i miei genitori avevano salutato con le lacrime agli occhi, ero diventata un'assassina. Allacciai la zip del giubbotto di pelle nera e mi diedi una sistemata ai capelli prima di uscire, aprendo la porta con rabbia

« Josh c'è un bagno solo e sono sempre l'ultima! Un attimo di pazienza! -

dissi un poco scocciata, ridendo non appena trovai lo sguardo di Mya e Shae, le mie uniche amiche. Josh a quanto pare era rimasto in mutande e l'unica cosa che in realtà voleva era entrare in bagno per potersi riappropriare dei pantaloni che quelle due scapestrate gli avevano nascosto.

« Quando mai ho accettato di vivere con voi tre »

mormorò entrando in bagno come un uragano per mettersi i pantaloni, prima di uscire imbarazzato e arrabbiato.

Mya, Shae e Josh erano le uniche persone che rimanevano del IX plotone oltre a me, un gruppo di venticinque persone ridotto a quattro. Tutti eravamo cambiati e nessuno aveva voluto tornare a casa, così avevamo deciso di prenderci un appartamento in affitto e di vivere insieme, ma ovviamente per Josh non era facile visto che era l'unico uomo della casa, decisamente poco abituato alle lunghe routine femminili nel vestirsi e acconciarsi.

« Abbiamo cinque minuti per arrivare allo stadio e siamo già in ritardo »

borbottò, guardando l'orologio in continuazione mentre entrava nell'ascensore che ci avrebbe portato al piano terra. Quando era finita la guerra i pochi rimasti dei plotoni erano stati indirizzati verso la Sicurezza e noi stavano costituendo la sesta squadra, quella solitamente con i compiti più noiosi. Eravamo giovani, fin troppo per affidarci la protezione del Governo e delle lussuose case dei Primi Uomini e così ci rifilavano a sorvegliare gli eventi sportivi e i rari concerti musicali.

« Bene guido io allora »

dissi prendendo le chiavi della macchina dalle dita flosce di Josh, creando il suo stupore, ma non si azzardò a riprendersele perchè sapeva che io guidavo in maniera decisamente più veloce, e spericolata, di lui e quando si era in ritardo quello era l'unico motivo e infatti in meno di tre minuti arrivammo allo stadio, sirene spiegate e piede sull'acceleratore perennemente.

« Bene, dobbiamo andare in alto in modo da avere una miglior visuale di tutto lo stadio, come al solito non accadrà niente »

disse Josh sbuffando per poi dirigersi verso l'ascensore che ci avrebbe portato al tetto. Eravamo riconoscibili dalla nostra tenuta di lavoro ben poco originale; giubbotto di pelle nera, maglia sotto nera, pantaloni in pelle nera e poi, per me e le altre ragazze, stivaloni alti quasi fino al ginocchio.

« Josh stai calmo, non siamo in ritardo »

sussurrai guardandolo e alzandogli il viso in modo che distogliesse lo sguardo dall'orologio che continuava incessantemente a guardare. Era il più grande del gruppo con i suoi soli ventitrè anni e aveva una magnifica pelle scura con alcune lentiggini sul naso, occhi nerissimi e capelli rasati, alto e imponente di fisico, resistente alla fatica e al dolore. Lui si era addossato la responsibilità di ventiquattro persone in quanto comandante del IX plotone a soli vent'anni ed era riuscito a tenerne in salvo solo tre e di questo non si era mai rappacificato. Lui si dava la colpa per tutto quello che era successo, anche della morte dei nostri amici e compagni.

Arrivammo sul tetto e, come al solito tutto era calmo, così cominciammo a parlare.

Mya ci stava informando della sua nuova ragazza conosciuta appena due giorni fa in un club. Mya era una ragazza ventiduenne ricca di felicità, solare fino all'inverosimile e molto estroversa, oltre che particolare e facilmente notabile grazie ai suoi capelli una volta biondi e ora tinti di un adorabile rosa shocking, la pelle diafana e due occhi da cerbiatta circondati da fin troppo abbondante trucco

« Come fai a metterti insieme ad una persona che hai conosciuto solo due giorni fa? »

chiese abbastanza sconvolta Shae. Lei aveva la stessa età di Mya, ma era completamente diversa. La pelle era olivastra, gli occhi grandi e scuri e i capelli di un bellissimo castano caldo che teneva sempre racchiusi in una treccia laterale. Era graziosa, così graziosa che mai penseresti potesse essere letale in guerra. Shae aveva anche gusti diversi da Mya, infatti era da tre anni che cercava di avere una sola opportunità con Josh, che però non sembrava neanche accorgersi della sua corte spietata.

« Beh, c'è chi si mette insieme ad un ex traditore e chi si mette insieme ad una ragazza dopo due giorni...e sono sicura che lei è quella giusta »

disse tutta contenta Mya, sorridendo e mostrando il piercing sul labbro inferiore. Vidi Josh roteare gli occhi e sorridere appena, le braccia conserte e la posizione del corpo rigida.

« Come sta Blake? »

chiese Shae dopo qualche secondo di silenzio, guardandomi con un sorriso amabile. Era incredibile come prima mi odiasse mentre adesso andavamo estremamente d'accordo. All'inizio Shae mi odiava perchè mi vedeva come sua rivale d'amore, ma non appena la guerra era finita avevo chiarito con lei che io non provavo niente per Josh, ma per sua sfortuna lui ancora non aveva deciso di aprirsi verso un'altra persona.

« Sta bene, sta facendo una non so che ricerca da qualche parte nella foresta. Non lo vedo da due settimane ormai »

dissi accennando un sorriso, ma abbassai comunque lo sguardo. Mi mancava Blake, il calore del suo abbraccio, la sua voce, le sue odiose battute e il suo profumo avvolgente. Mi mancava tutto di lui, anche perchè dovevo dargli una notizia che sicuramente gli avrebbe fatto piacere. Avevamo quattro anni di differenza, quasi cinque, e molte volte si sentiva. Io ero ancora quasi una bambina con i miei vent'anni appena compiuti, mentre lui, praticamente venticinquenne era un uomo già maturo, eppure ci trovavamo bene insieme.

« é stato perdonato definitivamente vero? Non ha più il braccialetto? »

chiese Mya avvicinandosi a me, cominciando ad intrecciare le dita facendole scrocchiare, suo gesto usuale quando era nervosa o annoiata.

Blake era stato uno degli ultimi ribelli ad essere trovato ed ero stata io durante un'incursione nel Territorio Nero a mettergli le manette ai polsi e consegnarlo alla legge. Nessuno sapeva perchè è stato risparmiato dalla decapitazione, nessuno sapeva cosa aveva raccontato per avere in cambio la salvezza, ma riuscì a scampare alla morte anche se passò almeno un anno in cella e ancora un altro anno con un braccialetto elettronico che monitorava tutti suoi movimenti.

« Sì, ora è libero »

risposi sorridendo stringendo un braccialetto che mi aveva regalato poco prima di andare nella foresta. Ci eravamo innamorati dentro le prigioni. Io ero una dei suoi carcerieri, ma dopo giorni di rispose non date cominciai ad aprirmi a lui, parlavamo e scherzavamo per tutto il tempo della mia sorveglianza e non appena lui fu fuori decidemmo di provare a stare insieme. Inizialmente nessuno aveva approvato. I miei genitori erano andati su tutte le furie e mio padre aveva rischiato di ammazzarlo la prima volta che l'aveva visto...seriamente.

Mi ricordo perfettamente che gli era saltato alla gola cercando di strozzarlo, ma Blake era più forte e muscoloso di mio padre e il suo attacco non aveva sorbito nessun effetto. Mio padre era stato estremo, ma anche Josh non aveva preso bene quella notizia, sia perchè aveva sperato che tra noi potesse nascere qualcosa, sia perchè Blake era un traditore, uno di coloro che aveva ucciso uno dei nostri compagni di plotone, lui era il nemico. Mya e Shae erano state più comprensive e avevano capito. Avevano capito che avevo provato a lungo a resistere a quell'impulso che mi spingeva contro di lui, ma alla fine avevo ceduto ed era stata la cosa più bella che avessi potuto fare.

« Ti manca e si vede »

disse Mya avvicinandosi per darmi una dolce pacca sulla schiena. Sorrisi amaramente. Parlare e ricordarmi di Blake mi rattristava, sopratutto perchè mi manca e anche tantissimo. Stava sempre via troppo a lungo, per troppo tempo e sopratutto non avevo mai sue notizie perchè era impossibile mettersi in contatto all'esterno della Recinzione, una barriera elettromagnetica che ci proteggeva dal mondo esterno. Vidi Josh allontanarsi un poco, prendere un pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbino di pelle e accenderla subito, portandola nervosamente alla bocca.

« Non dovresti fumare, fa male »

dissi andandogli vicino, allontanandomi dalle ragazze che stavano parlando di fondotinta, mascara e rossetti. Josh accennò un sorriso e tirò la sigaretta con rabbia.

« Da che pulpito viene la predica... »

mormorò facendo un altro tiro fino a quasi finire la sigaretta. Fumavo anche io, avevo iniziato quasi per gioco con solo qualche tiro, ma presto e incoscientemente mi ritrovai a fumare in tutti i momenti dove ero nervosa, senza neanche accorgermene tiravo fuori una sigaretta e fumavo

« Josh sono passati due anni, ormai dovrebbe esserti passata e per di più hai una ragazza bellissima e dolcissima che non vede l'ora di avere solamente un'occasione »

dissi guardandolo negli occhi cercando di uscire dalla nuvola del suo fumo, quasi invano. Quell'odore forte e acre mi dava fastidio adesso, pungeva il naso e sembrava seccarmi la gola e impastarmi la bocca

« Non sei una ragazza facile da dimenticare Jean »

aveva sussurrato prima di prendere una ciocca dei miei capelli. Erano rossi come il fuoco vivo con sfumature aranciate, quasi come il sole al tramonto ed erano lunghi e mossi. Nel Nuovo Mondo solamente lo 0.25% di persone avevano i capelli rossi e questo mi aveva reso una presa appetibile e desiderabile. Ero una delle poche, una rarità. Gli presi la mano e lo guardai negli occhi scuri

« Devi farlo...per te. Hai già ventitrè anni e io voglio vederti con in braccio un bambino. Saresti un ottimo padre »

dissi toccandolo ad una spalla dolcemente. La vita si era allungata e le persone riuscivano a vivere fino a centocinquanta anni, ma purtroppo il tempo per riuscire a crearsi una famiglia si era infinitivamente accorciati. A trentacinque anni era impossibile avere figli e a trent'anni era già molto difficile. Josh aveva ventitrè anni e se voleva avere una famiglia doveva sbrigarsi diciamo, perchè già a ventisette anni molte persone diventavano sterili.

Josh sorrise e spense la sigaretta in un posacenere vicino.

« Devo trovare la ragazza adatta prima, ci dovrò vivere fino a cento cinquantanni almeno »

ovviamente era saggio, forse fin troppo per un semplice ragazzo di quell'età. La guerra, la morte, il dolore, la fame, il freddo, la sete...tutte queste cose le avevamo provate sulla nostra pelle quando eravamo troppo giovani per provare tutto quello.

Sorrisi e annuii prima di guardarlo prendere un'ulteriore sigaretta e accenderla in un gesto nervoso e meccanico

« Tu saresti un'ottima mamma. Mi ricordo ancora quando tranquillizzasti quella bambina, durante la guerra. Eravamo rimasti solo noi in quella zona e c'era appena stato un massacro e te l'hai trovata in mezzo alle macerie. Non dormivamo da giorni, non mangiavamo eppure l'hai presa in spalla, l'hai curata e l'hai tranquillizzata, eri stata bravissima »

ricordò Josh facendo per accarezzarmi la guancia, ma io mi spostai appena. Quel gesto mi sembrava fin troppo intimo e non volevo che lui fraintendesse qualcosa.

« Sono più giovane di te... »

gli ricordai senza però sorridere. Sì, io avevo solo vent'anni, ma Blake ne aveva quasi due in più di Josh, il tempo si stava accorciando e ogni anno mi sembrava quasi di dover affrettare le cose, mi sembrava di non avere più opportunità, occasioni. Cinque anni mancavano alla soglia dei trent'anni per Blake, ma comunque ogni anno che passava si sarebbe rivelato sempre più complicato.

« Ma Blake ne fa venticinque tra qualche giorno. Lo sai che non è più come nel Vecchio Mondo, sia le donne che gli uomini diventano sterili presto »

mormorò lui avvicinandosi. Sapevo quello che stava dicendo, sapevo cosa stava dicendo ed era quasi una frecciatina nei miei confronti perchè mi stava dicendo che potevo avere di meglio, qualcuno di più giovane che mi avrebbe potuto dare quello che più volevo; una famiglia.

« Josh non incominciare... »

dissi roteando gli occhi. Sapevo dove voleva andare a parare, sapevo che lui mai avrebbe smesso di provarci e sopratutto di sperarci in qualcosa tra noi. Qualcosa di impossibile, qualcosa che sapeva non sarebbe mai accaduto, eppure non demordeva

« Io ho già una famiglia, siete voi e Blake »

ero decisa, guardavo gli occhi scuri di Josh e non avrei voluto più toccare quell'argomento. Non volevo più scegliere tra i miei amici e la persona che amavo, non volevo discutere e continuare a dimostrare le cose

« Non quel tipo di famiglia Jean...Quello che tu veramente vuoi è una famiglia tua composta da un padre, te e dei bambini a cui dare tutto l'amore che hai e ne hai tantissimo Jean...e Blake ha sempre detto che non si sente pronto, che non sa se vuole diventare padre...dammi un'opportunità, una sola e sarò il compagno più fedele, affidabile e affettuoso che potrai mai desiderare, costruiremo una famiglia numerosa e... »

Josh era convinto, mi teneva le mani strette nelle sue, gli occhi spalancati e le parole che uscivano come acqua di fiume dalla sua bocca

« Sono incinta Josh.... »

sussurrai, la sua figura indefinita, acquosa e traballante. Le lacrime presto cominciarono a scendere sulle guance fino ad inumidirmi le labbra. Il giovane si zittì subito e mi guardò sconvolto, lo sguardo che vagava dal mio viso alla pancia velocemente. Non era certo questo il modo con cui avrei voluto dirglielo, ma sentirlo parlare di creare una famiglia insieme e farsi altri castelli in aria proprio non ce l'ho fatta a rimanere in silenzio.

« Cinque mesi fa Blake mi ha detto che ha capito che il tempo a nostra disposizione era ormai poco e che si sentiva pronto ad essere padre. Sono quasi quattro mesi che sono incinta »

dissi tra le lacrime, le mani che si posarono sulla pancia solo leggermente arrotondata. Ancora non si vedeva niente, solo un lieve arrotondamento quasi impercettibile dagli altri, anche se a me sembrava evidente.

« Perchè...perchè hai aspettato così tanto a dircelo? »

chiese Josh mentre piangeva silenziosamente. Sapevo che doveva essere stato un duro colpo per lui, ma quello era l'unico modo per fargli capire che ormai non c'era più nessuna speranza per un eventuale noi e che doveva mettersi l'anima in pace.

« Io lo amo Josh...lo amo più di ogni altra cosa al mondo e darei la vita per lui e so che per lui è lo stesso. Tu sei il mio migliore amico, il fratello maggiore che non ho mai avuto, ma ti ho sempre detto che tra noi non poteva esserci niente più di questo e mi dispiace che tu abbia continuato a sperarci »

mormorai asciugandomi le lacrime con il dorso della mano con rabbia. Se lui avesse smesso di credere in un noi tutto questo non sarebbe successo, lui non avrebbe sofferto e neanche io.

Vidi Josh aprire e chiudere la bocca un paio di volte prima fissare un punto dietro di me

« Scappa »

 

 

Avevo cominciato a correre a più non posso, il fiato che sembrava mancare. Nello Stadio in pochi secondi era scoppiato il caos, la gente aveva cominciato ad alzarsi e urlare, qualcuno era riverso a terra senza vita. Non avevo la minima idea di cosa stava succedendo e Josh non mi aveva dato neanche il tempo di capire se potevo dare una mano, se potevo rendermi utile. Mi aveva preso il polso con forza e mi aveva gettato sulle scale di emergenza prima di prendere la pistola dalla fondina e guardarsi intorno, sparando a qualcuno che non riuscivo a vedere. Shae e Mya? Loro? Erano vive, stavano bene, erano ferite? Non ne avevo idea e avrei voluto tornare su, cambiare senso di marcia e tornare alla cima per aiutare eppure le mie gambe continuavano a scendere le scale in metallo velocemente. Dovevo andare a chiamare aiuto, rinforzi, era questo che pensavo, ma la verità era che scappavo perchè avevo paura di rimanere ferita e perdere il bambino che portavo in grembo. Per una volta avevo scelto di essere codarda e scappare, avevo scelto di essere egoista. Arrivai alla fine delle scale e un rumore di sparo mi fece bloccare, seguito poi da un dolore lancinante alla spalla. La vista si annebbiò per qualche secondo, ma riuscii a rimanere in piedi e a vedere davanti a me quella figura nemica. Era un uomo, i capelli bianchi e la pistola in mano che tremava. Tirai fuori la pistola dalla fondina e lo centrai in pieno petto, facendo accasciare il corpo senza vita in pochi secondi. Tenni la pistola a portata di mano e lasciai il braccio destro senza vita, il sangue che usciva dalla ferita a fiotti inzuppando il giubbino di pelle nera fino a renderlo lucido. Passai lentamente davanti al cadavere. Non conoscevo quella persona, ma sicuramente non era stata in guerra altrimenti non avrebbe mancato il colpo. Doveva avere quasi settanta anni e sul petto aveva dipinto un simbolo in rosso, ma non riuscii a capire di che cosa si trattava perchè dei passi frettolosi mi fecero scappare verso uno sgabuzzino in ombra. Era minuscolo, basso, stretto, buio e umido, ma purtroppo non troppo nascosto come pensavo. Le persone che stavano scendendo le scale sicuramente ci sarebbero passate davanti e, vedendo il corpo, avrebbero potuto decidere se controllare e allora non avrei avuto via di scampo. Mi sdraiai a pancia insù e su una specie di scaffale e tirai una tendina ingiallita che mi coprì fino al collo, lasciando fuori la testa. Se avrebbero guardato dentro sicuramente mi avrebbero visto. Cercai di trattenere il respiro e di non pensare alla spalla che stava creando una pozza di sangue sotto di me

« Una è scappata...Eravate in quattro poco prima dell'attacco »

era una voce maschile che stava parlando, calma e pacata come se niente fosse successo, come se tutto fosse normale. Non avevo idea di chi fosse, non mi sembrava di aver già sentito quella voce

« é Jean, la Fenice. Non appena ha sentito gli spari è scappata per chiedere rinforzi, non è pericolosa, è giovane e avventata »

Non appena sentii quelle parole le lacrime cominciarono a rigare il mio viso e per poco non singhiozzai. Speravo di aver sentito male, speravo che fosse solamente un'allucinazione o tutto quello fosse un incubo, ma purtroppo il dolore alla spalla era troppo reale

« Avevi il compito di tenere tutte e tre le donne, una ti è scappata e non è una a caso. Non ti conviene tradirmi »

la prima voce risuonava minacciosa e i passi si stavano lentamente avvicinando. Mi tappai la bocca con la mano sinistra e guardai due ragazzi fermarsi davanti allo sgabuzzino. Uno aveva i capelli biondo cenere, era alto e muscoloso e portava una canotta nera che lasciava intravedere un simbolo e una cicatrice lunga dalla spalla fino al gomito, sottile e ancora rossa, ma non era su di lui che i miei occhi erano puntati, ma su Josh, dritto al suo fianco che stava guardando verso di me, gli occhi scuri che sembravano implorare perdono.

« Ecco cosa ha fatto quell'unica donna che tu ti sei fatto scappare »

urlò l'altro ragazzo andando probabilmente verso il cadavere. Josh stava continuando a guardare nella mia direzione e io non potevo fare altro che guardarlo e chiedermi perchè aveva fatto una cosa del genere, perchè ci aveva vedute, noi che eravamo la sua famiglia.

« é avventata, stupida e giovane, ma ha ucciso uno dei miei uomini! Domani pagherà per questo -

aveva sibilato il primo uomo e vidi Josh camminare verso di lui, deciso. Presi la pistola misi un dito sul grilletto. Non avevo neanche portato un secondo caricatore perchè era da anni che non succedeva niente. Li sentii bisbigliare qualcosa, ma non riuscii a capire niente di quello che si erano detti. Probabilmente Josh gli aveva detto che ero in quello sgabuzzino e adesso stavano venendo ad ammazzarmi. Forse perchè avevo scelto un altro al suo posto?

Mi sembrò un'eternità e per tutto quel tempo smisi quasi di respirare, pronta a sparare e a morire. Il mio ultimo pensiero andò a Blake. Era al sicuro al di fuori della recinzione? Oppure erano anche arrivati fino a la? E sapevo quello che stava succedendo qua dentro? Avrebbe saputo della mia morte? Josh l'avrebbe cercato e ucciso? E sapeva che lo amavo con tutta me stessa? Era questo quello che più mi interessava, era questo quello che volevo lui sapesse. Che io lo amavo e che avrei desiderato si ricostruisse una famiglia, trovato qualcun'altro che lo amasse quanto lo amavo io e continuare la sua vita.

Una figura si presentò davanti allo sgabuzzino e riconobbi subito Josh. Si guardò per qualche secondo in giro prima di entrare e camminare verso di me lentamente, la pistola nella fondina

« Non ti avvicinare »

singhiozzai, le lacrime che scendevano senza tregua e la pistola alzata contro di lui. Non mi interessava se mi avrebbero scoperto e ucciso, doveva pagare. Nonostante la pistola, nonostante la minaccia, lui continuò ad avanzare fino ad arrivare a pochi metri da me e mettersi in ginocchio. Potevo vedere gli occhi lucidi e le mani che tremavano, quasi come tre anni fa in trincea, ma qui non eravamo io e lui contro tutti; eravamo io contro di lui.

« Solo perchè ti amo Jean, sei l'unica che ho mai amato e so che sei l'unica donna che vorrei avere al mio fianco per tutto il resto della mia vita. Ti ho salvato solo per questo. Magari domani potremmo avere un'opportunità, magari domani potrai amarmi anche te »

mormorò Josh portando una mano prima al viso, accarezzandolo dolcemente e poi alla pancia leggermente rigonfia. Non avevo la forza di fare nulla, non avevo neanche la forza di ribattere a quello che aveva detto perchè un pensiero terribile cominciò a riempirmi la testa, facendomi rabbrividire e speravo di non aver ragione. Lo vidi avvicinarsi e poi mi trovai le sue labbra sulle mie, ma non appena capì che non avrei risposto al bacio subito divenne più aggressivo. Una sua mano andò a stringermi i capelli con forza e tirarli e istintivamente aprii le labbra e subito mi ritrovai la sua lingua in bocca, e solo dopo qualche secondo lui si staccò, le labbra rosse e un poco gonfie, il fiato corto.

« Non potrei mai amarti »

dissi vedendolo alzarsi. La sua mano corse alla pistola nella fondina, la prese e la puntò verso di me. Trovai anche la forza di sorridere un poco. Veramente lui pensava che in quel modo avrei cambiato idea? Non ero un giocattolo, non ero un oggetto e avevo la mia coscienza e la mia testa.

« Solo perchè ti amo »

ripetè prima di uscire dallo sgabuzzino, lasciandomi sola.

 

 

Aspettai un tempo assolutamente lunghissimo prima di alzarmi e uscire da quel posto. Tutti se ne erano andati e a terra rimanevano solamente i corpi della gente uccisa. Non guardai nessuno, impaurita di riconoscere qualcuno, e uscii dallo stadio camminando nell'ombra fino ad un appartamento. Per strada non avevo trovato nessuno, nessun passante e nessun soldato di ronda e anche i cani e i gatti sembravano spariti.

Presi la chiave dentro un vaso ed entrai nell'appartamento di Blake. Si trovava a quasi due kilometri di distanza da quello che dividevo con gli altri ed era piccolo, ma funzionale e sopratutto sapeva di casa e di Lui. Corsi subito verso un armadio e trovai tutto l'occorrente per medicarmi. In guerra facevamo da soli e così avevo imparato ad estrarre un proiettile, disinfettare e ricucire quel genere di ferita.

Avevo paura. Avevo paura di quello che sarebbe successo domani, avevo paura di perdere tutto ciò che conoscevo. Andai nella stanza da letto del ragazzo e mi raggomitolai sul letto posando la testa sul suo cuscino lasciandomi cullare dal suo dolce profumo.

Mi addormentai come un sasso dopo pochi secondi e mi svegliai solamente quando sentii un impulso debole alla testa. Mi alzai con le lacrime agli occhi, mi lavai e cercai di rendermi presentabile. Lasciai i capelli sciolti e nascosi la ferita al braccio, indossai gli stivali e lasciai la pistola in un nascondiglio della casa prendendo come armi due pugnali. Erano stati fatti appositamente per me, erano lunghi e sottili e sulle due impugnature c'erano due Fenici. Misi gli stivali, uscii di casa e mi avviai con tutte le altre persone del quartiere, tutti che guardavano davanti a loro, zitti, gli occhi che sembrava fossero spenti, i movimenti meccanici.

Avevo sperato di aver capito male, ma a quanto pare le mie speranze erano state vane.  

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rob ***


Sembravamo un orda di pecore che stavano seguendo un impulso dettato da un capobranco difettoso che si trovava dentro ognuno di noi.

Con lo sguardo cercavo Mya o Shae. Avevo paura che Josh le avesse fatte fuori ieri sera anche se lo ritenevo quasi impossibile.

Quello che mi aveva baciato con rabbia e puntato una pistola alla testa non poteva essere Josh, non poteva essere lui veramente. Lo conoscevo da tre anni ed era sempre stato carino e gentile, odiava la violenza e la guerra e odiava uccidere. Me l'aveva rivelato una sera in trincea dopo un'estenuante giornata passata a uccidere. Aveva pianto anche e ricordavo la sua voce che tremava, gli occhi a guardare i fucili immersi da vari centimetri di fango. Mi era sembrato così sincero, mi era sembrato lacerato da quella guerra e adesso ne voleva creare una nuova? Non ci potevo credere, doveva essere controllato o dovevano avergli detto una bugia.

 

Sembravamo centinaia, migliaia e solo pochissimi erano vestiti con giubbotti e pantaloni di pelle nera. Vidi un dottore in camice, un'infermiera in divisa verde, bambini ancora in pigiama e impiegati in giacca e cravatta che camminavano lungo le vie della città come automi e non potevo che avere il sangue raggelato. Dovevano aver trovato il centro di controllo dei microchip e averne preso il controllo, non volevo credere che il Governo fosse responsabile di tutto questo. Mi guardai intorno in maniera furtiva. Ai lati delle strade c'erano diversi uomini con i fucili in mano, i giubbotti rossi e neri di pelle e un marchio all'altezza del cuore. Non riuscivo a capire bene cosa fosse, ma sembrava un volatile che teneva tra gli artigli qualcosa. Vicino a me una porta si aprì con foga, ma dovevo resistere all'impulso di girarmi a guardare chi era o cosa stava facendo

« Cosa state facendo? Dove state andando? »

una voce di un uomo ancora giovane, preoccupata e assonnata. Lo sentii scendere le scale e poi vidi con la coda degli occhi un uomo di quelli che sembravano fare la guardia partire. Non volevo sapere cosa sarebbe successo, ma senza volerlo la mia vista cominciò a velarsi di una sostanza acquosa.

Bastò quell'unico sparo e quel rumore di tonfo sordo. Non avevo bisogno di vedere il cadavere per capire che quel ragazzo era morto.

Sapevo che sarebbe successo perchè una persona che non si può controllare diventava una persona pericolosa.

Non ci furono altri incidenti come questo durante il tragitto che sembrava portarmi verso lo stadio. Dove tutto era iniziato, ma anche l'unico posto abbastanza grande per riuscire a contenere quasi tutta la popolazione della città. Volevano magari far saltare tutto lo stadio in modo tale da rimanere solamente loro? La vedevo improbabile o meglio non ci trovavo il motivo per fare una cosa del genere. Avevo riconosciuto alcuni dei soldati ai lati della strada, erano ex soldati impiegati durante la guerra e tra di loro c'erano anche qualche ribelle perdonato. Per qualche secondo ebbi paura di trovare tra loro Blake, ma lui era al sicuro al di la della barriera, doveva essere così.

« Guarda chi abbiamo qui...la Fenice »

disse un ragazzo avvicinarsi. Era Mike, forse il primo ragazzo che avevo avuto. Era brutto come me lo ricordavo. La pelle era color grigio topo, i capelli biondo paglia, gli occhi piccoli e porcini e le labbra screpolate e pallide. Si avvicinò con aria beffarda, un sorriso ebete sul viso. Ci eravamo conosciuti alle medie e a lui avevo dato il primo bacio, ma ci eravamo lasciati presto. Avevo scoperto a mie spese che Mike fosse già all'ora un ragazzino subdolo e opportunista, incredibilmente egoista ed egocentrico, cose che odiavo. Ero stata io a lasciarlo e quando lui era diventato potente grazie al padre mi aveva fatto patire le pene dell'inferno finchè non gli avevo salvato il culo durante la guerra.

Mi fermai quando lo trovai a soli pochi centimetri da me, lo sguardo dritto davanti a me cercando di rimanere il più indifferente possibile. Lo vidi sorridere mostrando denti gialli a causa del fumo e storti. Mi chiedevo spesso cosa ci avessi trovato in lui e ogni volta mi rispondevo che probabilmente ero solo stata una stupida che voleva capire cosa volesse dire avere un ragazzo. Doveva essere così, non poteva essere nient'altro.

Lo vidi allungare una mano e le sue dita andarono a chiudersi intorno al mio seno sinistro stringendolo con forza fino a farmi male. Mi provocava disgusto, avrei voluto tirargli un pugno in faccia o anche un calcio all'inguine, ma sapevo che mi avrebbero ucciso se l'avessi fatto.

« Non sei cambiata tanto da allora »

disse con cattiveria continuando a guardarmi il viso. Se solo potessi fare qualcosa, se solo fossi libera...Con rabbia mi prese i capelli alla base della nuca e tirò verso di lui finchè le sue labbra non incontrarono le mie e introdusse a forza la lingua nella mia bocca. Baciai a malapena le sue labbra, l'istinto di morderle con rabbia ogni volta che lui premeva il mio viso contro il suo finchè non si stancò

« Baci ancora come una bambina...e io ho bisogno di una donna al mio fianco non una stupida bambina petulante »

mi sussurrò all'orecchio tornando a palpare il seno con forza cominciando ad avere un respiro affannoso. Poteva dire quello che voleva, ma sentivo chiaramente che si stava eccitando e la cosa non mi faceva stare tranquilla.

« Lasciala stare »

una voce dietro di lui e uno scatto del grilletto. Mark fece un passo indietro lasciando per ultimo il seno dolorante. Dietro di lui non trovai Josh, come mi sarei aspettata, ma trovai l'altro ragazzo che ieri sera parlava con lui. La sua pistola era appoggiata alla testa di Mark e lo sguardo di ghiaccio sembrava fin troppo deciso. Per qualche secondo lui e Mark si guardarono in cagnesco, il primo aveva uno sguardo glaciale che non tralasciava spazio a nessuna emozione mentre il secondo era palesemente scocciato. Alla fine Mark sbuffò e poi si girò per andarsene e avrei giurato che questo nuovo ragazzo gli avrebbe sparato, ma non fu così. Lentamente abbassò la pistola e la rimise nella fondina tornando a guardarmi. Le mani erano chiuse a pugni e le nocche bianche, i denti talmente stretti che potevo giurare di averli sentiti stridere. Lentamente lo vidi avvicinarsi. Mi stava palesemente studiando e continuò a farlo per diversi secondi, girandomi intorno come se fossi una preda.

Mi ricordavo benissimo lo sguardo quasi omicida che aveva avuto nei confronti di Mark e potevo vederlo anche adesso verso di me.

« Allora tu sei la Fenice...una delle poche ormai rimaste »

disse con voce quasi atona tornando davanti a me. Era decisamente più grande di me, forse aveva l'età di Blake e la loro somiglianza era incredibile. Tutte e due avevano lo stesso fisico alto e asciutto, lui era ancora più muscoloso di Blake e le braccia sembravano quasi state gonfiate come palloncini, dalla maglia nera attillata si poteva vedere il segno dei pettorali, il viso era squadrato e dai lineamenti virili e forti, i capelli talmente neri da avere quasi riflessi blu al sole e poi gli occhi, quelli erano la parte più bella dell'intero corpo di entrambe. Blake aveva gli occhi di un colore indefinito, quasi tra il verde e l'azzurro, mentre il ragazzo che era davanti a me aveva gli occhi azzurri come una lastra di ghiaccio, per la sola eccezione di una eterocromia color marrone all'occhio sinistro che lo divideva quasi perfettamente a metà.

La cosa era...affascinante.

« Jean... »

sussurrò il mio nome portando le mani ai fianchi continuando ad osservarmi. Non capivo cosa poteva volere da me, non ne avevo la minima idea perchè da quegli occhi non traspariva assolutamente niente. La somiglianza con Blake era incredibile. Che fossero parenti? No, Blake mi aveva raccontato che tutti i suoi familiari erano morti durante la guerra e non aveva senso che mi avesse mentito.

« Potrei ucciderti e finire qui le mie sofferenze, i miei incubi »

disse e con velocità quasi inumana tirò nuovamente fuori la pistola dalla fondina puntandola alla mia fronte, avvicinandosi lentamente. Sentii chiaramente il freddo della pistola sulla fronte non appena la posò e potei giurare di vedere una lacrima formarsi.

Cosa potevo mai avere fatto a questo ragazzo? Non l'avevo mai visto in vita mia, non sapevo nemmeno il suo nome eppure questo mi voleva uccidere senza motivo.

« Ma se lo facessi non potrei vendicarmi per bene di quel bastardo traditore. Ucciderti adesso certamente mi allevierebbe il sonno, mi renderebbe incredibilmente più felice...ma ucciderti dopo renderebbe felice me e distruggerebbe lui quindi aspetterò »

parlava con se stesso, ma il suo sguardo non si distoglieva dai miei occhi. Lentamente tolse la pistola dalla testa e la rimise nuovamente via, senza distogliere lo sguardo neanche per un secondo. Eravamo rimasti soli, non c'era più nessuno in strada, l'orda ormai era andata avanti e doveva aver raggiunto lo stadio.

Il ragazzo misterioso fece un passo avanti e portò quasi con dolcezza una mano al mio stomaco, accarezzandolo con fare paterno, sentendo a pieno la leggera rotondità che aveva cominciato a formarsi. Il suo sguardo diventò ancora più lucido, ma non per questo si nascose. Non gli interessava che lo vedessi debole, anche perchè in verità io non avrei dovuto vedere e capire niente di tutto ciò che lui diceva.

Lentamente si spostò dalla mia traiettoria e io ripresi il mio cammino meccanico come se niente fosse successo. I miei passi erano talmente silenziosi che potevo tranquillamente sentire i suoi, pesanti e quasi strascicati. Lo stadio era pieno, pullulava di gente e sembrava un formicaio silenzioso, ma operativo. Davanti ad ogni entrata c'erano persone dal simbolo rosso sul petto e quando fui vicino ad una di loro vidi che si trattava veramente di un'aquila rossa in volo che teneva tra le sue zampe da rapace un cuore martoriato e sanguinolento.

« Lei viene con me »

disse il ragazzo dietro di me afferrandomi il polso con una presa salda. Tutti gli uomini mi stavano guardo e di Josh non c'era traccia. Che l'avesse usato per poi ucciderlo? Dopotutto sembrava che gli piacesse tirare fuori quella pistola dalla fondina e puntarla in testa a qualcuno.

« Rob fuori è tutto pronto, cosa facciamo? »

chiese un giovane che cominciò a seguirci su per le ripide scale dello stadio. Riconobbi lo stanzino dove mi ero nascosta la sera prima e la macchia di sangue dove il soldato che avevo ucciso si era accasciato. Rob. Un nome che non mi diceva assolutamente niente.

« Josh ha tutta la scaletta, sa esattamente cosa fare e cosa dire »

rispose senza nemmeno degnare di uno sguardo il giovane che era dietro di lui che annuì e girò i tacchi. Allora Josh era ancora vivo e non solo, era uno delle colonne fondamentali di questa specie di organizzazione. Cosa gli era saltato nella testa? Perchè si era messo in quel pasticcio? Arrivammo in uno degli spogliatoi e Rob mi buttò dentro con rabbia facendomi cadere a terra di un fianco, ma fui subito in piedi. Ero giovane e l'allenamento militare dopo la guerra mi aveva reso veloce di riflessi. Mi rialzai continuando a dare la schiena al ragazzo che chiuse la porta. Eravamo nuovamente soli. Cosa voleva da me? Non capivo, non riuscivo a comprendere cosa volesse da me! Perchè non aveva preso un'altra ragazza? Perchè ero una delle poche Fenici rimaste? Non capivo

« Bene ora puoi tornare ad essere te stessa »

disse, la voce pacata e tranquilla, ma nessun impulso alla testa, nessuna scossa, niente di niente. Che lo sapesse? No, era impossibile, solamente Blake era a conoscenza del fatto che io non rispondessi al microchip e anche il Governo aveva smesso di tenermi sotto controllo e aveva creduto che fosse una Controllata come tutti gli altri

« Non sono stupido, non mi freghi come hai fatto con gli altri, non sono Josh e non sono neanche il Governo. So benissimo che su di te il microchip non ha nessun potere quindi smettila di fingere »

la sua voce era perentoria, quasi un ordine. Tremai appena, ma non mi mossi e rimasi ferma al mio posto finchè lui non arrivò come una furia. Mi prese con rabbia il braccio sinistro e mi fece girare finchè non ci trovammo faccia a faccia e allora mi prese al collo, alzandomi di qualche centimetro, sbattendomi dopo qualche secondo contro il muro provocando fitte lancinanti alla schiena e alla testa. Sotto di me non c'era più la terra e subito portai una mano alla sua fondina e afferrai la pistola. Lui non se ne accorse e così la girai in mano e con il calcio lo colpii alla testa con forza.

Subito fui liberai e così cominciai a correre verso l'uscita senza nemmeno guardarmi indietro. Ero riuscita a mettere la mano sul pomello della porta quando sentii una fitta di dolore alla gamba e subito mi accasciai a terra. Non era stata una pallottola, non era stato un pugnale, ma qualcosa di sconosciuto e molto più doloroso.

Caddi a terra urlando lasciando la presa sulla pistola e mi presi la gamba con forza, continuando ad urlare.

« Hai una buona resistenza al veleno...probabilmente è il tuo sangue di Fenice che ti permette di essere ancora viva e questo, devo ammettere è un'ottima notizia »

Rob stava quasi ridendo, si era alzato e stava camminando lentamente verso di me.

Il dolore era lancinante, sembrava quasi che mi stessero bruciando lentamente la gamba, sentivo il fuoco avvampare e quasi esplodere dentro di essa

« Fallo smettere... »

supplicai continuando a stringere la gamba, ma non era la sola a dolere.

Rob si abbassò fino alla mia altezza e mi sollevò delicatamente il viso portandolo a pochi centimetri dal suo.

« Mi stai supplicando? »

chiese in maniera quasi sadica continuando a guardarmi negli occhi e tirando fuori lentamente una siringa contenente un liquido dorato. Allungai appena la mano e subito lui ritrasse la siringa lasciandomi soffrire ancora.
Pensavo che tutto questo fosse passato, che il dolore che avevo sentito in guerra fosse quello più forte e acuto, ma mi sbagliavo. Questo era terribile, costante ed esplosivo.

« Ti prego »

sussurrai cominciando a non sopportare più quelle ondate di dolore incessanti ed incredibilmente acute. Fu solamente dopo che pronunciai quelle parole che l'ago della siringo bucò la mia pelle e non appena lui spinse lo stantuffo io cominciai a sentire sollievo. Rob mi lasciò a terra, prese la sua pistola e buttò velocemente la siringa per poi tornare a guardarmi. Finalmente avevo ripreso a respirare, cose che sembrava quasi impossibile quando quel fuoco mi bruciava

« Cosa vuoi da me? Cosa ti ho fatto? »

chiesi non appena trovai abbastanza fiato. Non potevo crederci che il principale motivo di questa sua sadica vendetta fosse che le mie origini di Fenice, certamente non le avevo scelte io e poi non mi dava nessun vantaggio se non quello di rigenerarmi un po' più velocemente e ammalarmi di meno, ma niente di che.

« Cosa mi hai fatto... »

ripetè sorridendo ancora una volta. Avrei voluto strappargli quel sorriso dalle labbra, ma non avevo neanche la forza di alzarmi in piedi perciò sicuramente mi sarei ritrovata a terra non appena lui avesse capito le mie intenzioni

« Tu hai ucciso la mia famiglia »

rivelò dopo qualche secondo, la rabbia che sembrava esplodere dal suo corpo. Rimasi a bocca aperta e riuscii a strisciare fino ad una parete così da riuscire a mettermi per lo meno seduta, la pancia dolorante come non mai

« La guerra ha distrutto tante famiglie, è la guerra! Per questo i Primi Uomini hanno ideato il microchip, per questo...-»

cercai di spiegare, ma a quanto pareva lui non aveva voglia di sentire spiegazioni logiche

« Stai zitta! Tu non sai niente! Il microchip è soltanto una farsa inventata da loro per cercare di tenerci a bada, ma il microchip ci ha tolto la nostra vera natura e ci controlla! Il microchip non è sano, non è normale e non è umano...non dovrebbe stare nei nostri cervelli e controllarci! »

urlò lui, le vene del collo rigonfie e gli occhi rossi. Sembrava quasi impazzito tutto d'un tratto.

« Il Governo non ha il diritto di controllarci, noi ci dovremmo autogovernare, non seguire stupidi impulsi e questo mio fratello l'aveva capito anni fa...ma era pericoloso uscire per le persone non controllate e così aveva aspettato di radunare abbastanza gente per riuscire a rovesciare il Governo e ridarci la meritata libertà, ma una stupida ragazzina l'ha ucciso prima che lui riuscisse a disattivare tutti i microchip »

raccontò quasi con freddezza, il viso contratto e gli occhi che si erano persi nei ricordi. Ogni volta che si parlava di guerra la mia pelle sembrava tornare a bruciare, le cicatrici sembravano sanguinare e le mie orecchie sentire lamenti di persone ferite e morenti o richieste di aiuto che non potevo però accettare.

« Lui non doveva essere la in quel momento...Tu hai ucciso Aron nelle Torri, ma lui non doveva trovarsi lì, ma aveva ascoltato il consiglio di una persona che amava troppo e per questo è morto... Quella persona ha fatto il suo interesse, sapeva che le Torri erano controllate e sapeva che c'era meno possibilità di uscirne vivo e così ha chiesto ad Aron di prendere il suo posto ed andare invece nel Territorio Nero, meno sorvegliato, e così è sopravvissuto... si è ricostruito la vita, ha una donna e sta per avere un bambino...Lui non si merita tutto questo, lui ha vissuto a discapito di mio fratello... »

la sua voce era rabbiosa, le sue nocche erano sbiancate subito e il suo sguardo era accusatorio. Il capo dei ribelli che io avevo ucciso era suo fratello. Voleva vendicarsi di suo fratello, ma io non avevo propriamente colpe. Certo lo avevo ucciso, ma era lui ad aver sbagliato da principio, io avevo fatto quel che avevo fatto per sopravvivenza

« Abbiamo ucciso per sopravvivenza...o noi o lui »

risposi cercando di fargli capire la verità. Non mi piaceva uccidere, non mi piaceva far del male e far soffrire, ma se io non avessi ucciso lui probabilmente lui avrebbe ucciso me, questa era la verità e quando sei là e devi scegliere, ovviamente scegli la tua vita. Eppure ero rimasta sconcertata di quello che aveva fatto Blake. Non volevo crederci che aveva mandato al macello uno dei suoi compagni per salvarsi la vita, ma era anche vero che Blake era cambiato tantissimo da quando era uscito dalle prigioni.

« Non parlare! Voi due l'avete ucciso questa è l'unica cosa che a me importa! E adesso è il momento che anche lui capisca cosa si prova a perdere qualcuno che si ama... »

mormorò avvicinandosi con fare minaccioso. Cercai di schiacciarmi contro il muro e di trovai una via di fuga, ma il dolore era ancora troppo forte per riuscire ad alzarmi. Non aveva in mano nessuna arma, ma avevo ancora paura che potesse usare quel veleno e farmi bruciare, ma invece mi prese per i capelli e mi buttò a terra mettendosi sopra a cavalcioni. Era pesante, troppo per riuscire a scampare. Si abbassò e lo sentii annusare il mio profumo come se fosse un animale mentre la sua mano scendeva lungo il mio corpo accarezzandomi dolcemente il seno e poi il ventre un poco gonfio

« Aron sarebbe stato un padre perfetto e tu gli saresti piaciuta, testarda e fiera come lo era lui »

sussurrò accarezzando il profilo del mio viso con dolcezza passando poi alle labbra che accarezzò col pollice. Era incredibile come passasse velocemente dalla ferocia più assoluta alla dolcezza e la cosa mi frastornava un poco

« Amava gli occhi verdi... »

disse ancora con le lacrime agli occhi. Respirai faticosamente e tossii un paio di volte, il ventre che continuava a dolermi in maniera anomala. Avevo paura che fosse successo qualcosa al bambino, che si fosse fatto del male e non volevo neanche pensare al peggio

« Quasi mi dispiace fare quello che farò... Sei così bella...Quando Josh me l'aveva detto non ci avevo creduto, gli avevo dato del pazzo, ma adesso che ti vedo veramente posso dire che aveva ragione. Sentiremo la tua mancanza... »

continuò lui, facendo passare le mani tra i capelli, tenendo in mano qualche ciocca rossa.

Non capivo bene cosa volesse fare. Voleva uccidermi? E perchè allora raccontarmi tutte quelle storie se dopo qualche minuto mi avrebbe ucciso? Non aveva senso.

« Perchè devi uccidermi? »

chiesi guardandolo negli occhi. Era incredibile come l'occhio con l'eterocromatia fosse così misterioso. Continuavo a guardare quella porzione di cielo avvolta dalle tenebre e mi chiesi, per qualche secondo, se non fosse come la sua anima, confusa e doppia.

« Perchè solo così posso veramente farlo soffrire...Tra poco ti porterò fuori dalla recinzione e ti inietterò il veleno che hai testato poco fa, ovviamente meno forte così da riuscire a raggiungerlo e mandargli il mio messaggio...Gli dovrai dire che Rob lo saluta e che se vuole salvarvi dovrà venire qui e donare la sua vita. Se lui lo farà io darò l'antidoto e tu e il bambino sarete salvi. Tutto dipenderà da lui...si sacrificherà per voi o vi lascerà morire come ha fatto con Aron? »

La sua voce era quasi un sussurro malizioso, basso ed eccitante. La sua voce era piena di felicità nel raccontare il suo pianto, quasi si stesse già immaginando la scena e pregustando la morte di Blake. Da un lato potevo comprendere il dolore che provava, perdere qualcuno di così caro ti sconvolgeva, ma non aveva senso la sua vendetta e non capivo comunque perchè controllare l'intera popolazione. Se voleva avere me e Blake sarebbe bastato attivare i nostri microchip o venirci a cercare. C'era sicuramente qualcos'altro sotto.

Con uno sforzo sovrumano riuscii ad alzare il collo fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo viso. Potevo sentire il profumo forte e vedere tutte le vene gonfie del suo collo

« Non lo farò mai »

dissi a denti stretti guardandolo dritto negli occhi. Vidi il suo sguardo diventare di pietra, velocemente mise una mano intorno al collo e mi spinse la testa contro il pavimento. Era forte. Non potevo fare niente, lui avrebbe vinto

« Soffrirai talmente tanto ad un certo punto che non riuscirai a non chiederglielo e per di più ami già troppo quello che porti dentro di te...lo lasceresti morire per non aver parlato? »

chiese lui, adesso curioso.

Era una persona strana che passava da un'emozione all'altra in un battito di ciglia.

« Se ami veramente una persona fai di tutto pur di proteggerla, pur di salvare Blake mi sacrificherò volentieri. Dovrei capirlo tu...altrimenti non sei tanto diverso da lui »

sibilai facendo pressione con il collo sulla sua mano cercando di alzarmi ancora una volta, ma lui mi teneva ben inchiodata a terra. Il suo sguardo sembrava vacuo, sembrava che stesse pensando intensamente e solamente dopo qualche secondo annuì appena con la testa, sorridendo in maniera viscida.

« Vedremo Jean... »

mormorò scendendo con le labbra baciarmi il collo per poi morderlo fino a farmi urlare. Lo sentii ridere e alzarsi dal mio corpo lasciandomi finalmente respirare a pieni polmoni. Lo vidi uscire con la coda dell'occhio, ma non avevo neanche la forza di alzarmi e di seguirlo cercando di scappare e questo lui doveva saperlo bene.

« Prendetela, tra poco si parte per la recinzione »

disse a delle persone fuori. La vista si stava facendo sfuocata mentre un dolore costante mi stava portando in un luogo a me sconosciuto. Chiusi gli occhi e non ebbi più la forza di riaprirli mentre sentivo quattro mani prendermi e trascinarmi chissà dove.

Che fosse semplicemente finito tutto?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ...Until the end of time ***


Mi svegliai con un forte mal di testa e una sensazione di nausea fortissima. La luce del sole sembrava accecarmi. Alzai un braccio proteggermi dalla luce e cercai di guardarmi intorno.

« Ti sei svegliata »

mi girai di scatto non appena sentii qualcosa toccarmi il braccio. Alzai lo sguardo e notai una figura sfuocata, i capelli scuri come la notte. Ci misi un po' di tempo a mettere a fuoco Rob e dovetti fare uno sforzo sovrumano per riuscire a placare il dolore alla testa che sembrava martellarmi.

« Dove sono? »

domandai portando una mano alla pancia, accarezzandola dolcemente, procurando l'interesse di Rob che subito spostò lo sguardo dal mio viso al ventre. Lo vidi accennare un sorriso alzando appena l'angolo destra della bocca e la cosa mi confondeva. Avevo imparato a capire che non era una persona facile da comprendere, aveva fin troppe sfaccettature e sbalzi d'umore troppo repentini da comprendere

« A quanto sei? »

chiese dopo qualche secondo di silenzio. Sotto di noi il furgone sobbalzò diverse volte facendomi saltare e aumentando il mio senso di nausea. Probabilmente mi stavano portando alla recinzione, al confine, doveva essere così per forza.

« Rispondi ad una domanda con una domanda? »

risposi io guardandolo negli occhi cercando di mettermi seduta, riuscendoci solamente dopo qualche minuto e con l'aiuto di una maniglia nel furgoncino. Ero stanca, la schiena doleva e facendo fatica persino ad alzare le spalle, eppure non mi sembrava di aver fatto niente.
Rob rise e si passò una mano tra i capelli neri facendomi rimanere a bocca aperta. Quel gesto...quel dannato gesto era lo stesso, identico, che faceva anche Blake. Le somiglianze stavano cominciando a farmi insospettire che tra i due ci fosse veramente qualche legame di sangue, forse anche lontano, ma dovevano conoscersi.

« Hai ragione, ma penso che tu abbia ormai capito dove stiamo andando »

disse lui avvicinandosi un poco a me, un sorriso rilassato sempre sul volto.
Che adesso fosse più contento? Dopotutto stava per far fuori la ragazza che aveva ucciso il fratello, avrebbe così spezzato il cuore e la mente di colui che l'aveva praticamente mandato al massacro. Rob sperava che Blake entrasse dentro la città per vendicarsi e così avrebbe avuto finalmente la vendetta che sembrava aspettare da troppo tempo.

« Sono incinta di quattro mesi ormai »

risposi io alla sua domanda con un poco di imbarazzo. Non capivo cosa gli potesse importare, perchè era così attaccato al fatto che io aspettassi un bambino. Sembrava quasi dispiaciuto di porre fine alla vita del piccolo e fin da subito aveva regalato gesti gentili a quella pancia ancora piena di vita

« Mi dispiace, lui non c'entra niente »

disse dopo qualche secondo provocando le mie risa. Erano state incontrollate e veramente sincere. Come poteva essere così ipocrita? Come poteva pensare che riuscisse a sopravvivere? Iniettandomi quel veleno e facendomi percorrere la foresta alla ricerca di Blake l'aveva praticamente condannato perchè anche se Blake avesse deciso di costituirsi sarebbe potuto essere facilmente troppo tardi.

« Ti dispiace, ma non ci stai pensando due volte a ucciderlo »

dissi guardandolo negli occhi e con voce chiara, acuta e colpevole. Dubitavo che avrebbe capito, dubitavo che sarebbe tornato sui suoi passi perchè sembrava fin troppo concentrato sulla sua vendetta per preoccuparsi di una singola piccola vita innocente.

Lo vidi avvicinarsi con sguardo basso e quando fu abbastanza vicino potevo chiaramente sentire il suo respiro affannato e rapido. La sua mano salì dalla coscia fino al collo che strinse un poco facendomi male lì dove prima mi aveva morso.

« Cosa stai facendo? »

chiesi abbastanza impaurita. Si era avvicinato con l'intero corpo e potevo sentire il suo profumo da quanto era vicino, oltre che notare perfettamente quanto fossero ampie le sue spalle e perfetti i suoi pettorali. Le sue braccia nude erano forti e i muscoli sotto sembravano così tesi da poter esplodere sotto il sottile strato di pelle. Nonostante non facesse caldo e la pelle fosse scoperta, sulle braccia non aveva nessun segno di pelle d'oca, quasi fosse riscaldato da un fuoco interno.

Dischiusi appena le labbra e respirai profondamente inalando il suo stesso respiro mentre lui continuava ad accarezzarmi le braccia e il volto con dolcezza.
Un uomo che aveva questi momenti così calmi e dolci come poteva volere la mia morte?

Il suo pollice disegnò il contorno del mio labbro inferiore per poi togliere la lacrima solitaria che era sfuggita al mio controllo, bagnando la guancia. Avevo capito perfettamente quello che aveva in mente di fare, avevo capito che presto si sarebbe avvicinato quel tanto che bastava per posare le sue labbra sulle mie e a quel punto non sarei riuscito ad allontanarlo.

Mi aveva rivelato che mi avrebbe ucciso e mi aveva iniettato un veleno praticamente micidiale, eppure ero attratta da quel ragazzo così misterioso e complicato, un ragazzo che non riuscivo a decifrare, a comprendere e questo non faceva altro che aumentare l'attrazione che provavo per lui.

Successe tutto in un secondo.

La sua mano strinse appena la mia nuca e mi avvicinò a se cominciando a baciarmi con rabbia e passione. Non riuscii a trattenermi di fronte a quell'impeto così prorompente e ricambiai il bacio con altrettanta passione portando le mani al suo petto marmoreo.

Mi dimenticai di Blake, mi dimenticai di quello che mi avrebbe fatto a breve.

Le sue mani scesero alle cosce stringendole con forza mentre continuava a tenermi schiacciata contro un lato del furgoncino. Dovevo allontanarmi da lui, non baciarlo. Dovevo odiarlo, non amarlo.

Cominciai a tornare in possesso del mio corpo quando sentii la sua mano fredda sotto la maglia ad accarezzare il ventre e poi salire alla ricerca del seno.

« No... »

mormorai spingendolo via, passando il dorso della mano sulle labbra a cancellare quel bacio.

Rob rise e si passò l'indice appena sotto il labbro inferiore.

« Vorrei tanto non doverti uccidere »

disse dopo qualche secondo sorridendo e cercando di avvicinarsi ancora una volta, ma l'allontanai subito, il cuore che sembrava voler uscire dal corpo e la percezione di quello che avevo fatto che mi schiacciava. Non potevo credere di averlo baciato e sopratutto in quel modo che riservavo soltando all'uomo che amavo.

« Tradisci Blake...tradiscilo e salva te e il bambino, dimmi che non lo ami e che lo porterai da me in modo che lo uccida e lascerei voi due in vita e poi, se vorrai, potremmo costruire una nuova vita... »

sibilò facendomi venire la pelle d'oca. Girai il volto per non vederlo. Avrei potuto ingannarlo e scappare, dire che gli avrei portato Blake e così essere salva, ma in verità non tornare mai più da lui. Avrei potuto fare tante cose, ma non ebbi la forza di fare niente

« Tu non la tradiresti mai...questo silenzio lo conferma »

confermò dopo qualche secondo, quasi nell'esatto momento che il furgone si fermò. Il suo sguardo sembrava quasi dispiaciuto, sembrava amareggiato.

Le porte del furgone si aprirono e Rob saltò subito giù facendomi segno di seguirlo. Sapevo che se avessi resistito mi avrebbero fatto scendere con molta meno delicatezza di quella che lui mi stava riservando.

Ci trovavamo davanti alla barriera. Non l'avevo mai vista da così vicino, era enorme e lunghissima e non lasciava intravedere niente del mondo esterno.

« Sai quello che devi fare se vuoi rimanere viva...devi solamente tornare con lui e noi ti daremo l'antidoto, l'unico che può salvarti »

disse Rob, in mano una siringa piena di un liquido rosso come il sangue. Tremai alla sola vista e cercai di allontanarmi, ma quattro mai pesanti mi bloccarono, costringendomi a rimanere immobile mentre il ragazzo si avvicinava

« Non farlo... »

sussurrai quando fu abbastanza vicino da sentire. Lo vidi fermarsi per qualche secondo e guardarmi negli occhi. Ancora una volta i nostri visi si trovavano fin troppo vicini e il mio sguardo ricadde sulle sue labbra. Si avvicinò un poco e mi baciò, un bacio lungo e meno passionale del primo, un bacio quasi tenero che si da ad una persona a cui si vuole bene. Mentre le mie labbra erano impegnate sulle sue sentii un ago entrare lentamente nel mio collo. La testa cominciò subito a girare e sentivo le gambe improvvisamente molli

« Salvati, torna con lui... »

bisbigliò Rob prima di lasciarmi andare. Per qualche secondo non capii niente, tutto mi sembrava galleggiare, neanche fossi ubriaca.

Le mani degli altri due ragazzi mi spinsero fino alla porta che dava al mondo esterno. Ci misero pochi secondi ad aprirla e spingermi fuori facendomi finire in ginocchio. Non ebbi neanche il tempo di girarmi e cercare di fermarli che la porta era già chiusa ed io ero fuori.

 

 

Girovagavo per la foresta alla ricerca di qualsiasi traccia di umanità. Non sapevo dove cercare e cosa cercare, ma cominciavo a sentire la sensazione di bruciore scendere verso i polmoni e diventare sempre più forte.

Camminare si stava rivelando un supplizio e più di una volta dovetti appoggiarmi a rami per evitare di cadere a terra.

Non ero mai uscita fuori dalla barriera e mai avrei pensato che la foresta fosse così fitta e quasi impenetrabile. Guardai verso l'altro e a malapena vidi il sole che filtrava attraverso i rami degli alberi. Mi metteva una sorta di ansia non vedere quello che c'era al di sopra di quella cortina e non avevo nessuna arma che mi avrebbe difeso da tutti gli animali o mostri che si trovavano fuori dalla barriera. Non avevo idea di cosa potessi mai aspettarmi...sapevo solo che mi avrebbe ucciso presto probabilmente.

Sentii la testa girare e cominciai a traballare, le gambe non mi reggevano e la vista si stava offuscando.

« Blake...Blake »

lo chiamai guardando il cielo che si era improvvisamente rabbuiato e dopo nemmeno cinque minuti cominciò a piovere a dirotto. Rimasi per qualche secondo con il volto in alto, l'acqua che accarezzava il viso come una carezza, facendomi rabbrividire un poco.

Dovevo continuare a camminare, dovevo trovare Blake per...per cosa? Per dirgli che Rob mi aveva trasmesso un veleno e che solo lui aveva l'antidoto? Per dirgli che avevo baciato un altro ragazzo?Dovevo trovarlo per dirgli cosa? Che l'amavo. Quella era forse l'ultima cosa che avrei voluto dirgli e che aspettavo un figlio suo. No, forse quello era meglio non dirglielo, non volevo farlo soffrire ulteriormente.

Camminai ancora e ancora, la testa che vorticava sempre più velocemente e i polmoni che sembravano surriscaldarsi tanto che pensai potessi cominciare a sputare fuoco.

Cominciai a diventare stanca, le gambe andavano avanti solo per inerzia e ben presto, al primo ostacolo, caddi a terra. Potevo sentire l'odore forte del terriccio umido e delle foglie marce. Strinsi la terra e lasciai che le mani si sporcassero.

Dov'ero e dov'era Blake? Perchè ancora non ero riuscita a trovarlo? Che la foresta fosse così grande? Mi era sembrato di aver camminato per leghe e leghe, eppure ancora non l'avevo trovato e non avevo avuto nessun segno di abitazioni o laboratori per studi.

Mi aggrappai ad un tronco per riuscire ad alzarmi, ma non appena le mie mani toccarono la corteccia ruvida dell'albero sentii un serpente strisciare sul dorso della mia mano. Urlai e la tolsi immediatamente scrollandola, ma nonostante questo il serpente continuò a strisciare lungo il braccio, seguito da un secondo e da un terzo che strisciavano in tutte le parti del corpo, arrotolandosi su una coscia, sul braccio, intorno al collo facendomi urlare dalla paura e dal terrore che potessero mordermi o anche stringere fino a soffocarmi. Cercai di levarmeli di dosso, ma ogni volta che cercavo di farli staccare dalla mia carne questo mordevano. Continuai ad urlare e caddi nuovamente a terra, rotolandomi e cercando di toglierli dal mio corpo, ma ogni volta loro mordevano provocando bruciore diffuso e irresistibile tanto che alla fine decisi di stare ferma e lasciarmi mordere. Rimasi inizialmente immobile lasciando che i polmoni andassero a fuoco, ma poi cominciai a tossire e a contorcermi.

« Jean! Jean! »

una voce lontana, una figura imponente che si abbassava su di me e che mi sollevava dal freddo terriccio, due occhi chiarissimi e una cicatrice sulla parte sinistra di volto e poi il nulla.

 

 

Mi svegliai in un ambiente caldo, ero avvolta da coperte e vicino a me il fuoco scoppiettava ed emanava calore.

« Ti sei svegliata »

Era Blake ed era seduto di fianco a me, mi stringeva una mano con forza. Sorrise nel vedermi e mi passò la mano sulla fronte e non appena sentii che era fresca sospirai di sollievo.

« Blake... »

mormorai sorridendo appena, stringendo la sua mano con quanta più forza potevo. Sentivo ancora adesso i polmoni andare in fiamme e la testa girare.

« I serpenti...i serpenti mi hanno morso... »

mormorai cercando di trovare segni su mani e braccia, ma non trovai niente che graffi. Non capivo, li avevo visti, li avevo sentiti mordermi, ma non c'era nessun segno....

Guardai Blake, lo sguardo preoccupato, i capelli e la barba lunghi che gli conferivano un'aria ancora più misteriosa e poi quella cicatrice, quella che gli avevo fatto io il primo giorno che ci eravamo visti. Iniziava appena sopra la tempia sinistra e percorreva tutta la guancia fino al collo creando una specie di mezzaluna argentea. La somiglianza tra lui e Rob era lampante. Lo stesso viso dai lineamenti forti e virili, lo stesso fisico possente e forte e gli stesso colori...

« Non c'era nessun serpente Amore, era un'allucinazione »

disse lui baciandomi la fronte e portando un'altra coperta per scaldarmi ancora di più. Nonostante il fuoco e le numerose coperte avevo freddo, un freddo che contrastava con il bruciore ai polmoni e alla testa. Blake posò la mano sulla pancia e io sorrisi sperando che potesse intuire qualcosa. Ero ancora indecisa se dirgli che ero incinta. Sapevo che sarebbe comunque stato impossibile salvarlo, era troppo piccolo per sopravvivere e se io morivo, lui sarebbe morto con me. Era questo che faticavo ad accettare, era per questo che continuavo a stringere i denti e resistere alla tentazione di lasciarmi andare e morire.

« Stai male...hai la febbre, sei rovente e hai dei segni sulla pelle strani io...non so che fare Amore per te... »

sussurrò lui accarezzandomi i capelli e la pelle sudata, lo sguardo accigliato e preoccupato. Accennai un sorriso e lo guardai negli occhi stringendo la sua mano con forza. Lui aveva già capito tutto prima ancora che parlassi. Beh dopotutto era una specie di dottore o qualcosa del genere. Non avevo mai capito il suo lavoro, troppi termini scientifici e difficili perchè me lo ricordassi, ma in sintesi era un dottore.

« Non è niente, sto bene, solo un po di stanchezza e la pioggia »

dissi con le lacrime agli occhi cercando di reprimere una smorfia di dolore.

Non ci aveva creduto ovviamente e lo vidi allontanarsi per trafficare con ampolle e boccette. Magari lui sarebbe stato capace di riprodurre l'antidoto, ma non avevo neanche una vaga idea di cosa mi avevano iniettato.

« Questo dovrebbe darti un poco di sollievo »

mormorò lui tornando indietro con una pezzuola imbevuta di qualche sostanza. Con riluttanza mi scoprii e alzai la maglia, scoprendo la pancia rotonda e le macchie che la ricoprivano. Era allora quelli i segni sulla pelle che lui mi diceva. Erano orribili. Sembravano quasi ematomi e vene ingrossate e ormai il ventre aveva preso colori come viola e rosso sangue. Blake sospirò qualche attimo prima di posare la pezzuola sulla pancia ed effettivamente qualche miglioramento ci fu.

« Non posso vederti così »

disse girandosi dandomi così le spalle. Potevo sentire il suo respiro pesante e vedevo le spalle alzarsi a singhiozzi. Era terribile quello che Rob gli aveva fatto, una delle punizioni più cattive che potesse inferirgli. Vedere una persona a cui teneva, una persona che amava, spegnersi e morire lentamente senza poter fare niente. Niente perchè non volevo che si sacrificasse per noi, non volevo che morisse per tenere in vita me e il bambino perchè avrebbe significato avere un'esistenza condannata a pensare a quello che avevo fatto.

« Blake...Blake, vieni qui, stai con me, ti prego »

sussurrai, la voce roca e dolorante. Volevo potergli stare abbracciata per quanto più tempo potevo, volevo imprimere nella mia mente ogni suo ricordo; il profumo, il calore, la sensazione di sicurezza, tutto quello che potevo.

Blake si girò ed entrò lentamente nel letto così riuscii a posare la testa sulla sua spalla e abbracciarlo forte, scaldandomi col suo stesso corpo. Mi mancava dormire con lui, mi mancava sentire il suo respiro vicino all'orecchio e la sua mano che mi accarezzava la schiena con dolcezza

« Perchè sei uscita...perchè non sei in città? »

chiese dopo qualche secondo stringendomi ancora più forte a lui, posando il mento sulla mia testa con dolcezza. Avrei dovuto dirgli qualcosa, avrei dovuto raccontagli qualche spiraglio di verità e metterlo in guardia

« é scoppiata una nuova guerra in città...sono riuscita a scappare per miracolo. A scatenare tutto è un ragazzo che si chiama Rob, ha attivato tutti i microchip e adesso c'è una taglia sulla tua testa »

risposi inventandomi qualche particolare, ma lasciando i dettagli importanti intatti. Blake conosceva Rob. Non appena gli avevo pronunciato il suo nome il suo corpo si era irrigidito e il respiro si era fermato per qualche secondo. Allora avevo ragione, tra loro due doveva esserci qualcosa, si conoscevano come minimo.

« Lo conosci? »

chiesi alzando lo sguardo vero i suoi occhi di quella sfumatura così particolare che sembravano cielo e terra insieme. Blake fissò il muro per diversi secondi, completamente in silenzio tanto che gli unici rumori erano quelli della foresta, lo scoppiettio del fuoco e il rumore della piccola capanna di legno che sembrava quasi muoversi.

« No »

rispose dopo qualche minuto stringendomi forte a lui. Lo faceva spesso quando aveva paura che qualcuno potesse farmi del male. L'avevo fatto due anni fa dopo che aveva scoperto che avevo avuto un aborto spontaneo e l'aveva fatto qualche mese prima quando gli avevo detto che Josh sembrava ancora più depresso di quanto lo fosse prima.

« Riposati Jean, magari domani starai meglio »

ipotizzò il ragazzo stringendomi forte continuando ad accarezzarmi la schiena per cercare di farmi calmare. Sorrisi e annuì, alzando un poco il viso fino ad arrivare alle sue labbra che baciai con foga e disperazione. Non sapevo se sarei arrivata alla mattina. Ogni minuto che passavo sentivo i polmoni bruciare sempre di più e la testa diventare così leggera da rendermi difficile formulare un pensiero e parlare.

« Ti amo Blake, ti amo tantissimo »

mormorai sulle sue labbra accarezzandogli il viso con dolcezza. Lo vidi sorridere e accarezzarmi i capelli, scendere a baciarmi ancora le labbra con urgenza stringendomi forte a lui, accarezzandomi le cosce chiuse dentro i pantaloni attillati di pelle.

« Ti amo tantissimo Jean, non saprei cosa fare senza di te »

sussurrò lui facendomi scendere una lacrima solitaria. Ancora lui non lo sapeva, ma mi avrebbe perso presto e sarebbe stata una mia scelta quella di salvare lui. Perchè lui lo amavo troppo.

 

 

Mi svegliai urlando, una mano allo stomaco e l'altra che copriva il volto, il corpo messo in posizione quasi fetale alla disperata ricerca di una posizione che mi alleviasse il dolore, ma niente poteva far diminuire le fiamme che sembravano divorarmi dall'interno.

« Jean, dimmi cos'hai ti prego! Dimmi cosa posso fare per aiutarti! »

era Blake, in piedi di fianco al letto e con le mani nei capelli neri come la notte, lo sguardo disperato e le prime lacrime che cominciavano a scendere lungo le guance

« Il bambino...salva il bambino ti prego »

dissi ad alta voce prima di urlare nuovamente, rannicchiandomi ancora di più. Alla fine l'avevo detto, non ero riuscita a pensare a niente e quelle erano state le prime parole che mi erano uscite dalle labbra

« Ti prego salva lui...ti prego... »

mormorai a voce sempre più flebile, gli occhi che stavano facendo una fatica immensa per riuscire a rimanere aperti. Potevo vedere lo stupore e la disperazione di Blake, la sua mano corse alla pancia e tolse la pezzuola ormai secca che mi aveva messo solamente poche ore prima e andò a baciarla subito, le lacrime che scendevano ormai senza tregua.

« Perchè non me l'hai detto? »

chiese disperato, le labbra ancora premute sulla pancia ricca di segni ed ematomi. Non riuscivo neanche più a rispondere, la gola sembrava chiusa e bruciava come se ci avessero appena acceso un fuoco dentro.

« Non posso lasciarvi andare...non posso. Ti amo Jean, ti amerò fino alla fine dei miei giorni »

disse e mi prese in braccio. I muscoli non rispondevano più ai miei comandi e così rimasi inerte tra le sue braccia, la testa che ciondolava verso il basso, una mano ancora posata sul ventre e l'altra che cadeva senza vita. No, non doveva farlo, doveva fermarmi, ma non avevo neanche più la forza di parlare, tutto sembrava bruciare e presto persi conoscenza.  

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Death ***


Un rumore costante, lento e fastidioso riempiva la mia testa. Sembrava quasi che mi stessero trapanando il cranio per riuscire a tirare fuori informazioni segrete che però non possedevo.
La gola adesso era fresca, respirare era quasi un piacere.
Aprii lentamente gli occhi e cercai di guardarmi intorno. La vista era sfuocata e la testa sembrava galleggiare nell'acqua ricambiandomi così immagini decisamente poco chiare.
Potevo vedere una parete chiara e sopra la mia testa un ventilatore...lenzuola bianche e un letto alto, con delle barriere come se avessero paura che potessi cadere.
Cercai di muovermi, ma subito rimasi senza fiato. Un dolore atroce si diffuse per tutto il corpo immobilizzandomi all'istante.
« Le infermiere hanno detto che è meglio che tu non ti muova »
disse una voce quasi lontana e bassa. Mi guardai intorno e vidi una figura nera avvicinarsi. Non riuscivo a vedere il volto e l'intera figura era poco più di un'ombra
« Blake? Blake sei tu? »
domandai stringendo gli occhi a fessura per cercare di vederci meglio, invano. La figura si fermò di colpo
« Sì, sono io »
rispose con voce più dura rispetto a prima, tornando ad avvicinarsi. Non vedevo niente e sentivo a malapena, non avevo forza negli arti e mi sembrava di essere in piena convalescenza. La figura scura si avvicinò ancora di più fino ad arrivare di fianco al letto e poi mi prese la mano, stringendola con forza
« Dove siamo? »
chiesi, la voce che sembrava uscire ovattata e le corde vocali che facevano uno sforzo enorme a riprodurre qualsiasi suono. Avevo ricordi sfuocati e quello più vivido era il dolore, sordo e profondo, prolungato ed acuto. Ricordavo la disperazione di Blake, i suoi occhi lucidi e poi basta, il vuoto.
« Siamo in ospedale, non stavi bene e ho rischiato di perderti... »
rispose, la voce che sembrava rattristata e la frase fu seguita da un unico singhiozzo così forte da farmi sussultare. Alzai appena un sopracciglio non capendo quello che voleva dire quel singhiozzo così disperato. La mia mente era confusa, non riuscivo a ricucire i tasselli, non riuscivo a ricordare niente
« Perchè piangi? »
chiesi cominciando ad agitarmi. Non capivo perchè ero dolorante, perchè ero rinchiusa in quella stanza e non avevo la minima idea di come ci fossi arrivata, tutto era confuso, indefinito e fragile.
« Niente amore mio »
mormorò lui e poi sentii le sue labbra sulle mie. Le dischiusi appena e chiusi gli occhi lasciandomi andare in quel bacio che aveva qualcosa di sbagliato. Con tutta la forza che avevo sollevai le braccia e le puntai al suo petto, spingendolo via
« Tu non sei Blake... »
dissi spalancando un poco gli occhi e cercando di allontanare la figura, ma le mie mani non raggiunsero nessun corpo, nessuna stoffa. Nella mia mente lentamente cominciarono a formarsi tasselli nuovi che andavano a combaciare perfettamente con quelli vecchi. I serpenti, la disperazione di Blake, i baci verso suo figlio, il tradimento di Josh e poi...
« Rob »
mormorai alzando gli occhi ciechi verso la figura nera che adesso si era un poco allontanata dal letto. Tutto cominciava ad essere chiaro, tutto aveva un senso adesso. Avevo rivelato a Blake di essere incinta e mi ricordavo di lui che mi sollevava e della foresta, dei suoi passi sicuri nel terriccio e delle sue lacrime che cadevano sul mio viso
« Dov'è Blake? Cosa è successo? Perchè sono in ospedale? »
chiesi cominciando ad andare in affanno. Tralasciai il dolore che si diffondeva in tutto il corpo e cerca di alzami dal letto, le braccia che sembravano aver recuperato forza. Non volevo ascoltare la vocina che mi suggeriva quella che probabilmente era la verità.
« Jean, Jean fermati! »
urlò Rob correndo vicino a me posando le mani sulle mie spalle spingendomi verso il letto con forza e delicatezza allo stesso tempo. Sapevo cosa stava succedendo e avevo la chiara idea di cosa era successo prima che mi svegliassi. Volevo allontanarmi da quell'uomo che mi aveva tolto l'unica persona importante della mia vita, lo odiavo
« Così aggravi la tua salute, devi stare a letto per ancora qualche giorno »
disse spingendomi con forza sul letto, lottando contro le mie mani che cercavano di graffiarlo in viso. Non mi interessava quello che mi diceva, non volevo sentire niente, non volevo neanche ascoltare le sue scuse o le sue parole, io non gli credevo e questo era quello che bastava
« Voglio andare da Blake, voglio vederlo »
urlai continuando ad agitarmi, il respiro corto a causa del dolore che sembrava tagliarmi a metà e in quel momento capii il vero motivo per cui mi trovato in ospedale.
La prima volta che Rob mi aveva iniettato il veleno era bastato darmi l'antidoto per farmi stare meglio. Se questa volta ero in ospedale c'era solo un motivo...
Alzai lo sguardo verso la figura che cominciava ad avere contorni e fattezze umane e lo spintonai via con tutta la forza che avevo, facendolo spostare quel tanto per riuscire a toccare il pavimento con i piedi nudi e mi avviai verso la porta. Qualcuno da dietro mi abbracciò e mi strinse
« Mi dispiace...mi dispiace »
sussurrò e a quelle parole caddi a terra portandomi le mani al viso cominciando a piangere. All'inizio non ricordavo, all'inizio non soffrivo, ma non appena la memoria mi era tornata l'ondata di dolore mi aveva investito come un tornado, buttandomi a terra più volte. Rob continuava a stringermi e la sua guancia era posata sulla mia testa mentre le sue mani continuavano ad accarezzarmi dolcemente la schiena.
« Vattene »
dissi tenendo il viso coperto dalle mani, le lacrime che continuavano a scorrere e la sensazione di essere vuota, di non avere più niente. Mi avevano portato via tutto; i miei amici, la mia casa, il mio ragazzo e adesso mio figlio. Non mi rimaneva più niente, perchè rimanere attaccata ad una vita vuota? Perchè vivere se non avevo più nessuno da amare?
« Mi dispiace, non volevo che il bambino ci rimettesse, avevo fatto l'iniezione al collo per dargli qualche ora in più, ma hai aspettato troppo a tornare e così l'hai condannato »
mormorò Rob spostandosi e mettendosi in ginocchio davanti a me. Senza neanche pensare gli tirai uno schiaffo che gli fece girare il volto. Poteva anche uccidermi, non mi interessava più, niente aveva un senso ormai
« Non dire che ti dispiace, non dire che hai provato a tenerlo in vita perchè tu l'hai ucciso...hai ucciso mio figlio e per questo io non ti perdonerò mai »
sussurrai guardandolo dritto negli occhi, la mano posata sul ventre a proteggere quella figura che adesso non esisteva più. Vidi la guancia rossa di quel capo che dava colpe a tutti tranne che a se stesso, vidi i suoi occhi lucidi e poi il buio più totale.
 
Erano passati diversi giorni, tutti uguali, tutti trascorsi sdraiata sul lettino dell'ospedale girata di schiena verso la porta. Rifiutavo il cibo ed erano tre giorni che non bevevo costringendoli a farmi delle flebo che costantemente strappavo dal mio braccio. Solamente dopo sette giorni di prigionia avevo avuto la forza di alzare la veste e guardare la lunga cicatrice al ventre che segnava la fine della vita che non ero riuscita a proteggere. Avevo solamente cominciato da poco a pensare come una madre, solamente da poco avevo cominciato a pensarmi come madre. E adesso tutto quello era un ricordo doloroso.
« Jean... »
era Josh. Era venuto a farmi visita tre volte e tutte e tre le volte aveva cercato di spiegare perchè ci aveva venduto, perchè aveva lasciato che tutto quello accadesse e quello che diceva suonava solamente come un lungo stridio fastidioso nelle mie orecchie. Come poteva veramente pensare che io capissi quello che lui voleva dire? Come poteva pensare che io volessi anche solo ascoltarlo?
« Blake sta bene...Rob ancora non l'ha ucciso, non so cosa stia aspettando, ma non si vede molto, sembra turbato e...distrutto »
aveva detto una volta, la voce bassa. Non lo guardavo in volto, ero girata dall'altra parte a piangere silenziosamente. Ancora non avevo finito le lacrime.
« Non è in splendida forma, ma è vivo e sta bene...ma non te. Stai diventando uno scheletro, hai solamente pelle attaccata addosso e sei pallida, devi mangiare, devi mangiare e bere, riprenderti un poco »
mormorò lui azzardandosi addirittura a toccarmi la testa e fu allora che scoppiai. Mi girai velocemente e gli presi il polso, girandolo con forza, spezzandoglielo. Sentii le sue urla e Josh cercò di liberarsi dalla mia presa facendo qualche passo indietro, ma così mi diede solamente lo spazio per riuscire a scendere dal letto e avere ancora più forza da torcergli contro.
« Io ti odio »
dissi a denti stretti avvicinandomi ancora di più e torcendogli il polso ormai rotto facendolo urlare ancora di più dal dolore
« Tu hai venduto la tua famiglia, hai lasciato che ci facessero tutto ciò che volevano, hai lasciato che mi portassero via tutto nella speranza di avere un'occasione perchè sei un egoista che vuole solo essere felice a discapito degli altri. Io non ti darò mai quello che vuoi Josh. Tu mi hai perso quando hai deciso di stare dalla parte di Rob, quando non hai alzato un dito per salvarmi »
continuai, una mano raggiunse il suo collo e cominciò a stringere con forza e la sua faccia divenne sempre più livida. L'avrei ucciso, sarebbe stato facile e mi avrebbe tolto sicuramente un peso, sarei stata contenta. Continuai a stringere e potevo quasi vederlo lentamente morire quando qualcuno entrò nella stanza buttando giù la porta e mi si avventò contro. La mano perse la presa sul collo di Josh che cominciò a respirare con forza e due uomini lo trascinarono via mentre uno mi teneva bloccate le mani sopra la testa. Avrei riconosciuto quegli occhi ovunque
« Se fossi in te comincerei a non dormire più tranquillamente...Ve la farò pagare a tutti voi, sarò dannata per l'eternità, ma ciò non mi interessa...io voglio solamente ammazzarvi tutti »
sibilai con rabbia avvicinando il mio viso a quello di Rob, gli occhi rossi e segnati da occhiaie adesso erano spaventati
« Torci un capello ad uno dei miei uomini e ti ucciderò io stesso »
mi ricattò con voce bassa e roca, una forza imponente sui miei polsi e sul mio bacino. Mi salì una strana risata dalla gola che non riuscii a fermare e potei vedere la paura aumentare negli occhi del giovane. Lo guardai con una strana sicurezza
« Tu non hai capito... »
mormorai sorridendo guardando il suo volto. Era scavato e pallido, sembrava provato da qualcosa, ma non riuscivo a capire da cosa potesse esserlo. Lui aveva tutto ciò che voleva adesso; aveva l'uomo che aveva tradito suo fratello e aveva la donna che l'aveva ucciso, il suo piano era stato portato a termine, adesso ci aveva entrambe e poteva fare qualsiasi cosa
« ...tu mi hai già ucciso »

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2828268