Stavolta sarebbe per sempre

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte - Prologo - Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** ​Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Seconda Parte - Prologo - Capitolo 1 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 19 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prima Parte - Prologo - Capitolo 1 ***



STAVOLTA SAREBBE PER SEMPRE
 
 
Prologo


Nicolas la fissava con le labbra increspate in un sorrisino all'insù, la spalla sinistra poggiata allo stipite della porta, le braccia conserte e le gambe incrociate.
Teddy aveva il volto coperto dalle mani, rideva come una pazza, mentre Alex apriva i bottoni della sua camicia bianca, uno dopo l'altro, lentamente, scoprendo un addome muscoloso e glabro, dai colori caldi.
Qualcuno batteva le mani accompagnando il ritmo di quella musica latina, la quale avvolgeva in una bolgia assordante l'ampia sala che, gentilmente, era stata messa a loro disposizione dal direttore dell'albergo.
Le due amiche di Teddy erano alle spalle di quest'ultima, sorreggendosi l'una all'altra, ridendo e asciugandosi le lacrime, un po' brille e del tutto esaltate.
Nicolas le conosceva entrambe. Con Teddy formavano un trio che tirava avanti dai tempi delle scuole e nonostante gli anni, i cambiamenti, le delusioni, le bugie, i tradimenti e i fidanzati, erano ancora lì, insieme e indissolubili. E lui non poteva che esserne felice: sapeva che quelle due pazze scatenate si sarebbero sempre prese cura di Teddy, anche adesso che non c'era più lui a farlo. Soprattutto adesso, probabilmente.
Una voce lagnosa e maschile urlò qualcosa e Nicolas si ridestò dai suoi pensieri, tornando con l’attenzione su Alex, il quale aveva preso una mano di Teddy nella sua, ma questa continuava a nascondersi il viso con quella libera, scuotendo il capo. Rideva e il sorriso di Nicolas si allargò. Una delle due ragazze alle sue spalle le parlò all'orecchio, sorridente, prese poi a spingerla con insistenza.
Qualcuno della Federación de Chile fischiò, qualcun altro gridò «Vamos! Vamos!».
Alex prese entrambe le mani di Teddy nelle sue e, senza smettere di muovere il bacino sensualmente a tempo di musica, la portò con sé, facendole abbandonare la sedia sulla quale stava accomodata, evidentemente restia a lasciarla.
La camicia bianca di Alex era completamente aperta adesso, mentre le passava una mano dietro la schiena e la stringeva a sé, guidandola in un ballo approssimativo. Teddy rideva, aveva le guance rosse e, imbarazzata, affondò il viso nell'incavo del collo del pallavolista sudamericano.
Si parlavano in maniera sommessa, rilassata e Nicolas non riusciva a distogliere lo sguardo da quei due. Erano stati grandi amici, un tempo, Alex e Teddy. Una di quelle amicizie vere, profonde, avevano condiviso un sentimento che non era riuscito a legare, d'altro canto, lui e Teddy, troppo coinvolti fin dal primo sguardo, dal primo tocco. Dal primo bacio.
 Mai nessuna aveva rapito la sua attenzione come fece lei quella mattina, quando davanti ai cancelli di scuola un compagno di classe gli aveva presentato, distrattamente, la sua vicina di casa: una sedicenne con lunghi capelli castani, occhi scuri incorniciati da ciglia folte, e un fisico alquanto immaturo per la sua età.
Portava sulle spalle uno zaino grosso il doppio di lei e un libro di letteratura in braccio, di circa mille pagine, lo stesso libro che lui teneva ancora avvolto nel cellofan, segretamente custodito nel cassetto del suo armadio.
La prima cosa che pensò vedendola fu che una tipa come lei non avrebbe concesso mezza chance ad un tipo come lui: orecchini, collana spessa, felpa e jeans stracciati. Pettinatura sbarazzina e irriverente.
La loro storia d'amore durò per ben quattro anni …
Morena gli andò incontro, tenendo due calici in mano e, quando fu a pochi centimetri da lui, gli sorrise porgendogliene uno. Nicolas sciolse le braccia e prese il bicchiere che gli veniva offerto. Lei si voltò all'indietro, facendo un cenno verso il centro della stanza, dove Alex e la sua amica Teddy ballavano, mantenendo il fulcro dell'attenzione su di loro. Guardò di nuovo Nicolas, senza smettere di sorridere:
«Vederli insieme ti fa sembrare che il tempo si sia fermato...»
Il numero 8 della Federación sapeva benissimo dove sarebbe finito quel discorso se le avesse dato corda e, per questo, non lo fece. Morena era sempre stata una persona schietta, in quel metro e sessanta di altezza racchiudeva una personalità tosta e caparbia, capace di far capitolare le certezze di un individuo con una sola parola. Da che ricordava, era sempre stata molto formosa, con un seno prosperoso e il bacino largo. Nicolas la guardò dall'alto, abbozzando un sorriso sarcastico di cui lei avrebbe di sicuro intuito il recondito significato “non ne voglio parlare”:
«Questa roba è alcolica?» chiese poi, scrutando la bevanda rossastra all'interno del calice. Morena si ravvivò i capelli scuri all'indietro, mossi e lunghi, poi rispose che no, non era alcolica:
«Nessuno vi vuole ubriachi per l'amichevole contro la Colombia di martedì» concluse.
Si sorrisero e ognuno bevve un sorso dal proprio bicchiere.
 
Quando Teddy le disse che si era innamorata di Nicolas Antonio Romero, Morena quasi l'aveva uccisa.
Più volte aveva voluto la conferma che fosse proprio quel Nicolas: il tipo punk, con gli orecchini e i jeans stracciati, quello che giocava a pallavolo nella squadra della città, quell'emerito impedito a scuola e dopo che Teddy le aveva confermato che sì, era proprio lui, quasi le erano fumate le orecchie per la rabbia.
Teddy si era fatta piccola piccola sulla sua seggiola, in quel bar al centro, mentre fuori imperversava una tempesta. La ragazza mora era scattata in piedi, battendo le mani sul tavolo, allorché qualche cliente si era voltato a guardare nella loro direzione, ma a Morena non era importato e aveva cominciato a sbraitare contro la sua compagna, mentre l'altro membro del gruppo, Grimilde, la invitava a riprendere posto sulla sedia, aggrappandosi al suo braccio destro e tirandola verso il basso.
Quello era stato il primo litigio che aveva tenuto lontano Teddy e Morena per diversi giorni.
 
Nuovi fischi, ululati e battiti di mani riempirono l'atmosfera. Morena si voltò a guardare verso l'allegra comitiva alle sue spalle, senza dimenticarsi di lanciare uno sguardo furtivo a  Nicolas, il quale sembrava completamente attratto dalla situazione che si stava svolgendo a pochi metri da loro.
Alex aveva accompagnato la reginetta della serata verso la poltroncina sulla quale stava accomodata prima che la prendesse a ballare con lui. Grimilde batteva le mani e sbraitava qualcosa, Teddy le diede un leggero colpetto sul ventre, risero insieme, abbracciandosi.
Alex indietreggiò di qualche passo, senza smettere di fissare Teddy negli occhi, sforzandosi di assumere un'espressione sensuale, ma quel sorriso divertito non accennava a scomparire. Con un gesto scaltro si liberò della camicia, sfoggiando un torso dai muscoli perfettamente delineati, tutto intorno i fischi si fecero più acuti.
Grimilde saltò un paio di volte, portandosi le mani a coppa sulla bocca quando lo vide armeggiare con la cintura, continuando a tenere il ritmo della musica. Da sempre Alexander Martinez era un ottimo ballerino.
Il viso di Teddy era tutto rosso, si asciugava le lacrime ai lati degli occhi che sgorgavano per via del troppo riso. E anche la cintura capitolò, atterrando accanto alla camicia bianca che, inerme, giaceva sul pavimento. Il giocatore cileno slacciò il primo bottone dei jeans e la ragazza che gli era di fronte di nuovo si portò le mani sul volto. Grimilde si girò verso Morena e le fece cenno di raggiungerla, era euforica e tanto, tanto brilla.
Morena guardò all'insù il viso di Nicolas che ancora teneva gli occhi puntati su Teddy e sullo spogliarello messo in scena dal suo compagno e amico Alex:
«Tu non vieni?» gli chiese
«A vedere Alex che si spoglia?» sorrise e Morena si rese conto che il tempo non aveva potuto nulla contro quel sorriso che aveva rapito, anni or sono, il cuore della sua migliore amica Teddy «No, grazie».
La ragazza fece spallucce e trottò verso Grimilde che, praticamente, le saltò al collo e Morena notò subito i suoi occhi chiari che brillavano, un po' per l'alcool in circolo nel suo corpo mingherlino, ma anche per la visione di Martinez mezzo nudo:
«Morena...» la chiamò senza voltarsi a guardarla
«Dimmi Grimilde...»
«Quando deciderò di sposarmi, esigo un addio al nubilato come questo!»
Morena sorrise, prospettava tempi duri per lei. 
 


CAPITOLO 1

 
 
Quando Grimilde le aveva esposto la sua idea per l'addio al nubilato della loro amica Teddy, Morena non era stata molto convinta. Non c'era stato un motivo valido che potesse spiegare quella sensazione di pessimismo che le aveva attraversato il cuore, eppure non aveva potuto ignorarla. Ma Grimilde è una di quelle persone che quando si mettono una cosa in testa non trovano pace, né te la fanno trovare, fin quando non raggiungono il proprio obiettivo. Morena aveva abbassato lo sguardo sul depliant di quel resort immerso nella natura che Grimilde le aveva proposto come luogo per trascorrere insieme un week end all'insegna del relax e in memoria dei tempi andati.
E allora come cavolo si erano ritrovate in quella situazione? Con Alexander Martinez che ballava mezzo nudo davanti ai loro occhi e Nicolas Antonio Romero che non aveva smesso per un attimo di fissare la sua ex fidanzata Teddy?
 Grimilde si strinse a lei e, accostando la bocca al suo orecchio, le sussurrò:
«Se si toglie i pantaloni, giuro che gli salto addosso!»
Morena si voltò a guardarla alzando un sopracciglio e la vide morsicarsi il labbro inferiore, scosse il capo scoppiando a ridere, rendendosi conto che la sua amica non si era neppure accorta di quello che aveva appena esclamato, intenta com'era a mangiare con gli occhi il fisico scolpito di Alex.
Grimilde era una pazza scatenata, alta quanto lei, se non qualche centimetro in meno, ma magra la metà. Da sempre portava i suoi lunghi e lisci capelli biondi con la frangia piatta sulla fronte, che le incorniciava un viso piccolo e dalla carnagione candida, proprio come quella di sua madre, di chiare origini europee, irlandesi per la precisione. Spesso il carattere esuberante e amichevole (a volte troppo) di Grimilde le avevano cucito addosso un'etichetta non proprio pudica e, nonostante avesse avuto diversi ragazzi, sia Morena che Teddy sapevano benissimo che la loro amica dai capelli chiari non era affatto una persona superficiale come si diceva in giro. Semplicemente le piaceva la vita mondana, i bei ragazzi e le emozioni forti, ma era migliore, buona ed autentica, di tanti altri che, invece, la criticavano. Dopo l'affermazione di Grimilde, Morena lanciò, ancora una volta, uno sguardo furtivo in direzione di Nicolas. La bevanda che gli aveva offerto poco prima era ancora tutta lì, nel bicchiere, ma la sua attenzione, come sempre, era rivolta su Teddy. Morena si chiese a cosa pensasse la sua mente intanto che la osservava.
 
Al loro primo bacio.
A questo stava pensando la mente di Nicolas, frattanto che il suo sguardo le era posato addosso.
Era accaduto al falò di fine anno, quando tutti gli studenti si riunivano sulla spiaggia che costeggiava Santiago per salutare i maturandi che andavano via e, in contemporanea, dare il benvenuto a quelli che sarebbero arrivati per il nuovo anno scolastico.
Sia per Nicolas, sia per Teddy, quella era stata l'estate del sedicesimo anno di età.
L'aveva osservata per tutta la sera, intimorito dal suo fascino, dalla sua bellezza genuina, da quei lunghi capelli castani che le ondeggiavano lungo la schiena, assecondando i suoi movimenti, come un velo.
Quasi ogni giorno la incontrava per i corridoi della scuola, dove si scambiavano un semplice saluto di circostanza, spesso era stato tentato di dirle qualcosa che andava oltre il ciao, ma Teddy era una studentessa modello sempre molto impegnata negli eventi scolastici ed extrascolastici e trafficava in quei corridoi con una particolare urgenza. Nicolas non poteva sapere che quell'urgenza, in realtà, era dovuta alla sua presenza, era sicuro che una ragazza così impegnata culturalmente non si sarebbe mai potuta innamorare di un tipo scapestrato come lui, eppure quella notte gli era apparsa come una sedicenne normale: una ragazza a cui avrebbe potuto far piacere sapere che lui, Nicolas Romero, la trovava attraente.
La sua amica, quella bassina e tondetta, le era sempre affianco, l'altra invece, l'irlandese, si era allontanata con un ragazzo. Col tempo Nicolas avrebbe imparato a conoscere anche loro, ma in quel momento l'unica persona che voleva conoscere era Teddy e quando la vide incamminarsi verso il mare, completamente sola, non aveva esitato a seguirla.
 L'odore del mare era intenso e la brezza che soffiava da ovest le aveva smosso i capelli. Teddy se li era intrecciati su di un lato accendendosi una sigaretta. Il fumo si librò nell'aria e lei lo aveva guardato distrattamente allontanarsi. Il cuore le batteva forte nel petto, sentiva lo stomaco sotto sopra e tutto per colpa di quegli occhi scuri e profondi che non avevano smesso per un solo istante di fissarla. Si sentiva maledettamente stupida ad innamorarsi di quel ragazzo che vedeva tutti i giorni a scuola scambiandosi un puerile saluto di sfuggita. Nicolas non era il tipo di ragazzo che veniva attratto da quelle semplici come lei e lo sapeva benissimo. Era sempre stata molto razionale nell'analizzare gli altri e i suoi sentimenti e questa parte del suo carattere era riuscita a tenerla, finora, lontano dai guai e dagli amori che avrebbero potuto spezzarle il cuore, ma il sorriso che le concedeva quotidianamente era diventato, in pochissimo tempo, la sua medicina, la sua droga, la sua felicità.
Aveva tirato un'altra boccata di fumo togliendosi i sandali per bagnare i piedi nel mare. Le onde le avevano solleticato le caviglie e il tepore dell'acqua pervaso il corpo. Era proprio vero, il mare di notte è caldo e tremendamente inquietante. Eppure non era bastato a distogliere i suoi pensieri da lui, da quel sorriso accecante.
«Allora anche tu hai un difetto!»
Teddy si voltò di scatto e, come per magia, quel sorriso si era materializzato davanti ai suoi occhi. Dannatamente bello.
«Oh, sono piena di difetti» gli aveva risposto «E ti garantisco che fumare è l'ultimo di questi» avrebbe voluto aggiungere che il primo, almeno in quel periodo, era il fatto che si stesse innamorando di lui.
La reazione di Morena, qualche giorno prima al bar, era stata la testimonianza concreta che si stava cacciando in una brutta situazione e, in quel momento, le parole pronunciate dall'amica le tornarono in mente, con prepotenza: «Quel Nicolas Antonio Romero? Ti rendi conto che siete distanti anni luce? Vivete su due pianeti differenti!
La sua amica aveva ragione, ma poteva davvero contrastare quell'emozione che provava quando le sorrideva o puntava il suo sguardo addosso?
Le onde tornarono a bagnarle i piedi e nel reflusso si portarono via quelle parole.
Teddy aveva allora raccolto le sue scarpe dalla sabbia e lo aveva oltrepassato, intenta a ritornare intorno al fuoco e al sicuro, al canto di Morena, ma Nicolas le aveva chiesto se volesse tenergli un po' compagnia. Non aveva saputo dir di no a quella proposta.
Lo aveva osservato mentre prendeva posto sulla sabbia e, porgendole il palmo, l'aveva aiutata a sedersi al suo fianco. Il contatto fra le loro mani aveva fatto tremare entrambi.
Teddy aveva inspirato un'altra lunga boccata di fumo, poi aveva spento la sigaretta nella sabbia e quasi aveva perso i sensi guardando Nicolas che le sorrideva ad una spanna di distanza.
 L'aveva osservato rapita distendersi sulla sabbia, sorreggendosi sui gomiti, mentre voltava lo sguardo al cielo cosparso di puntini luccicanti:
«Teddy...» sentirgli pronunciare il suo nome per la prima volta le aveva procurato una felicità inaspettata «Secondo te siamo troppo diversi?»
Lei lo aveva guardato interdetta, chiedendosi se per caso non avesse il dono di leggere nella mente altrui, chiedendosi se anche lui provasse i suoi stessi sentimenti, le sue stesse ansie.
«Cosa intendi?» gli aveva chiesto con uno sforzo immenso e lui, continuando a fissare il cielo che all'orizzonte si fondeva con il buio dell'oceano, le aveva risposto:
«Credi che noi due possiamo mai stare insieme?»
Teddy aveva sorriso al suo errore grammaticale, provando una profonda tenerezza per quel ragazzo disteso al suo fianco e, per la prima volta, sentì di essere sul suo stesso pianeta:
«Sì, siamo totalmente diversi e..»
Nicolas era allora scattato a sedere, posando una mano sulla sua guancia, sentendo la pelle morbida e levigata al tatto, scorgendo un bagliore fulmineo in quei due occhi grandi e castani, percependo appieno la sua agitazione:
«Ho voglia di baciarti» le aveva sussurrato avvicinando lentamente la bocca a quella di Teddy, pietrificata.
 Da lontano la voce di Grimilde che intonava il suo nome con una certa apprensione l’aveva ridestata completamente da quello stato di trance. Aveva guardato quegli occhi scurissimi come il cielo sopra di loro e per un attimo le erano sembrati delusi, poi di nuovo la voce della sua amica risuonò nell'aria e Teddy si alzò, scrollandosi la sabbia di dosso:
«Ah, sei qui! Ti abb...» Grimilde e Morena erano a pochi metri, lesse distintamente l'irritazione nello sguardo di quest'ultima e l'imbarazzo nella voce balbettante della ragazza bionda «Ehm, noi a-andiamo via, ma tu-tu rimani.»
«No, vengo con voi...» si era chinata a raccogliere i sandali abbandonati sulla sabbia e aveva così notato il sorriso sarcastico di Nicolas, mentre guardava il mare.
Le aveva parlato senza voltarsi a guardarla, dicendole che sì, erano diversi, ma l'unica differenza fra i due era la sua codardia, la sua paura di affrontare la realtà, di affrontare lui:
«Non è vero, io non ho paura!» solo allora l'aveva guardata, senza smettere quel suo sorriso spavaldo:
«Allora rimani qui, con me»
 Di qualsiasi natura fossero le sfide che le venivano avanzate, Teddy aveva sempre avuto un debole, amava l'adrenalina che la competizione le trasmetteva, la faceva sentire forte e padrona del suo destino. Aveva ricambiato lo sguardo, senza abbassarlo, poi si era rimessa in piedi e si era rivolta alle due ragazze alle sue spalle, Nicolas si era voltato indietro a guardare le sue amiche:
«Voi andate...» aveva affermato «Io resto ancora un po'»
L'espressione di Morena si era incupita ancor di più e l'aveva vista scuotere il capo lentamente, mentre il viso di Grimilde si era illuminato in un gran sorriso, da buon intenditrice, le aveva fatto il segno dell'ok con le dita, trascinando via con sé l'imbronciata Morena.
«Quella biondina è una tipa...»
«Grimilde è una bravissima ragazza e un'ottima amica, quindi non dire nulla di sconveniente su di lei» lo aveva fissato con occhi duri e Nicolas aveva mostrato i palmi in segno di resa, trattenendo un sorrisino.
Adagio aveva ripreso posto al suo fianco, lasciando le scarpe sulla sabbia dove le aveva trovate. Aveva intenzione di dirgli che quello che stava accadendo fra di loro, prima che arrivassero le sue amiche, era alquanto avventato e irresponsabile:
«Nicolas, ascolta, io...»
La mano di lui si era insinuata sotto i suoi capelli, chiudendosi intorno alla nuca, aveva sentito la sua presa salda e il calore del suo palmo stranamente l'aveva rilassata.
Posando con delicatezza le labbra su quelle di Teddy, così invitanti, così morbide, si era poi allontanato di qualche millimetro, sollevando appena le palpebre aveva notato che le sue erano abbassate e la bocca dischiusa:
«Hai mai baciato?» le aveva chiesto.
Lei non aveva aperto gli occhi, li tenne serrati, impaurita da tutte le sensazioni che la stavano attanagliando, aveva scosso lentamente il capo, sussurrando un flebile no, non aveva mai baciato nessuno prima di lui.
L'aveva sentito esclamare un debole occhei e di nuovo le loro bocche si erano toccate, questa volta schiacciandosi un po' di più l'una all'altra, poi la sua lingua aveva oltrepassato le labbra, muovendosi lenta contro la propria.
Una miriade di emozioni contrastanti le avevano percorso tutto il corpo, dai muscoli alla pelle, dal cuore allo stomaco. Avrebbe voluto farlo smettere immediatamente di fare quello che stava facendo, ma desiderava anche che quel momento durasse in eterno.
Aveva lasciato che Nicolas la sdraiasse sulla schiena, senza smettere di baciarla, e se dapprima il peso del suo corpo su quello proprio le aveva procurato una sensazione di soffocamento, ben presto fu sostituito da una sensazione di protezione e calore.
 
Alex aveva slacciato tutti e tre i bottoni del jeans, voltandosi di spalle, fra le grida e gli incitamenti generali dei suoi compagni di squadra, si abbassò i pantaloni scoprendo i suoi boxer neri, sculettando verso Teddy.
Grimilde sussurrò qualcosa del tipo “gli salto addosso” o forse era stato “lo voglio addosso”, Morena non poteva dirlo con certezza, poi vide Teddy balzare in piedi:
«Va bene, Alexander Martinez! Ti ringraziamo dal profondo del cuore per lo spettacolo concessoci» rise e gli tirò su i jeans.
Alex si voltò, sorridente, abbracciandola. Teddy ricambiò il sorriso e l'abbraccio e fu stando stretta al suo ex amico Martinez che incontrò lo sguardo serio di Nicolas.
Dopo tutti quegli anni, i suoi occhi erano sempre neri e profondi, il suo sguardo come il fondo invisibile di un pozzo che muore nell'oscurità.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Capitolo 2
 

 
«Uuuaaahhh!!!» Grimilde si era sporta dai seggiolini dietro, indicando con l'indice la maestosa struttura che si perdeva a vista d'occhio sul finire del sentiero alberato « È quello! È quello l'albergo!» aveva abbracciato prima Teddy alla guida, stampandole un bacio sulla guancia, poi Morena seduta accanto al seggiolino dell'autista, quindi era ripiombata al suo posto, saltellando e battendo le mani come una bambina.
Non stava più nella pelle!
Teddy e Morena si erano lanciate uno sguardo divertito, ridacchiando.
Grimilde poteva pur avere ventisei anni, ma spesso e volentieri ne dimostrava dieci e tante volte, nel corso degli anni, Teddy aveva dovuto fare da ambasciatore di pace tra lei e Morena, praticamente il suo opposto.
Avevano parcheggiato all'ingresso dell'imponente struttura bianca e subito dei ragazzi in abito scuro avevano dato loro il benvenuto, chiedendo gentilmente le chiavi dell'automobile, sottolineando che avrebbero trovato le valigie all'interno della suite che avevano prenotato.
Teddy aveva osservato il fuoristrada marcato BMW allontanarsi con un po' di apprensione: se Marcelo avesse saputo che aveva lasciato la sua macchina in balia di estranei, probabilmente sarebbe andato su tutte le furie.
«Allora, sei contenta sposina?» Grimilde le era saltata addosso e per poco non erano cascate entrambe sulla strada fatta di ciottoli:
«Avrete speso un patrimonio. A me bastava stare con voi...»
«Si, ma stare insieme in un luogo di lusso è meglio che in un locale qualsiasi, no?»
Teddy aveva allora visto Morena scuotere il capo, sapeva benissimo che detestava quel lato materiale di Grimilde, ma infondo la loro amica bionda era divertente anche per quello. Dava quel tocco di superficialità che, altrimenti, sarebbe mancato al loro ineguagliabile trio.
«Dai, entriamo, entriamo» Grimilde si era avviata su per le scale e sia Teddy che Morena l'avevano seguita a ruota:
«Quarantotto ore ininterrotte con lei e poi dovrai ricoverarmi» la voce di Morena era stata tutt'altro che scherzosa e Teddy aveva riso, circondando con un braccio le sue spalle, stringendola a sé. Le sarebbero mancate tanto quelle due dopo il matrimonio con Marcelo.
Una volta dentro entrambe erano rimaste incantate dalla fontana al centro dell’ hall, avevano guardato l'acqua scorrere e assumere sempre colori diversi, poi la voce acuta di Grimilde le aveva riportate sulla terra ferma.
Quest'ultima aveva sorriso ammiccante al ragazzo dietro la reception, poi si era voltata verso le sue amiche e aveva mostrato loro le chiavi della camera, come si farebbe con un trofeo, aveva quindi lanciato un occhiolino al ragazzo e, ondeggiando il suo bacino stretto, fasciato da un paio di shorts striminziti, gli aveva infine mandato un bacio.
Teddy aveva visto Morena sbuffare e non aveva potuto fare a meno di ridere, poi l'avevano raggiunta all'ascensore.
Qualche ora dopo fra Morena e Grimilde era già in corso il primo battibecco.
La ragazza mora stava bussando per l'ennesima volta sulla porta del bagno, intimando alla biondina di muoversi, erano già le otto passate e non voleva arrivare tardi alla cena servita in albergo, detestava non essere puntuale.
Grimilde aveva gridato qualcosa oltre la porta e Morena le aveva risposto che era la millesima volta che lo diceva, ma che ancora non era uscita da quel maledetto bagno.
Teddy aveva sghignazzato, mentre si passava l'ultima pennellata di lucido sulle labbra, specchiandosi nell'immensa cornice affissa alla parete:
«Dai, lasciala stare, lo sai com'è fatta!»
Morena si era allora seduta sul letto:
«Lo so e mi chiedo quando diventerà un po' più responsabile»
«Ehi, è la mia festa di addio al nubilato, non voglio passare il tempo a mettere pace fra di voi come se foste due piccioncini»
«E cosa ti aspettavi? Spogliarelli e ragazzi sexy?» Morena le aveva sorriso, mentre la porta del bagno si apriva:
«E perché no! Si potrebbe far..»
«Grimilde, santo cielo! Sei ancora in accappatoio!» l'ira di Morena era crescente, ma la sua amica parve non sentirla nemmeno, farfugliando, davanti ai suoi vestiti sparsi sul letto, che era indecisa su cosa indossare.
Teddy aveva allora capito che se non fosse intervenuta, Morena l'avrebbe presa a morsi e trascinata in sala da pranzo in accappatoio. Con tutta la pazienza e la dolcezza del mondo aveva colto Morena sotto braccio, annunciando che si sarebbero avviate a cena:
«Così tu avrai il tempo di decidere con calma»
Il viso di Grimilde si era rabbuiato appena, non le piaceva l'idea di restare da sola, ma forse questa volta aveva davvero esagerato e annuì, mogia.
Fu quando si avvicinò allo specchio, per un ultimissimo sguardo alla sua immagine riflessa, accertandosi che tutto fosse in ordine, che Grimilde adocchiò di sfuggita una cosa che la incuriosì. Si era allora avvicinata alla finestra e il pavimento le era venuto a mancare sotto i piedi: quello che stava vedendo era il bus della Federación de Chile.
Aveva afferrato la sua pochette luccicante al volo ed era uscita di corsa, avviandosi a grandi falcate (nonostante i tacchi alti) verso l'ascensore, ma quando aveva visto quest'ultimo salire fino al suo piano e aveva udito distintamente voci maschili provenire dal suo interno, l'istinto l'aveva portata a salire velocemente la rampa di scale alla sua sinistra, dove si era appollaiata con il cuore impazzito. Aveva avuto perfino paura di respirare, temendo che potessero scoprirla. Ma c'era ancora una speranza, si illuse, la speranza che lui, Nicolas Antonio Romero, non fosse stato convocato nella Federación.
Aveva intrecciato le mani sul petto e guardato il soffitto:
«Ti prego, Dio, ti prego! Fa che lui non ci sia, ti prego!»
Ma Dio non l'aveva ascoltata e la voce allegra di Nicolas l'aveva riconosciuta all'istante, nonostante fossero trascorsi diversi anni. Si sporse appena, per avere la conferma dei suoi timori e lui era proprio lì, davanti l'ascensore, con un borsone ai piedi a ridere e scherzare con un suoi compagni di squadra.
Lo aveva guardato a lungo, accorgendosi che il suo sorriso non era cambiato per niente, ma aveva di sicuro perso quell'aria da ragazzino che aveva avuto a quei tempi, adesso il suo era un fascino da uomo adulto, però il sorriso era rimasto quello spensierato e un po' infantile di sempre.
Ricordò quella volta che Teddy aveva annunciato a lei e a Morena di essersi innamorata di lui. Morena era andata su tutte le furie, affermando che non erano fatti per stare insieme. Anche Grimilde pensava che Nicolas fosse lontano anni luce dalla sua Teddy, così delicata e intelligente, ma una cosa l'aveva trattenuta dal dirglielo schiettamente: i suoi occhi, quelli di Teddy, si erano illuminati quando aveva pronunciato il nome del ragazzo. Quando aveva comunicato alle sue migliori amiche di essersi innamorata di Romero, doveva esserlo già da un pezzo e lo sguardo diceva che era stracotta di lui.
In quel lontanissimo pomeriggio aveva solo pregato che la sua amica non ne avrebbe sofferto e, rannicchiata su quelle scale, aveva rinnovato la sua preghiera al Signore.
Il tempo trascorso sui gradini le era apparso interminabile, poi quando era stata sicura che tutti i pallavolisti della Federación de Chile fossero nelle proprie stanze, aveva fatto le scale a due a due per raggiungere quanto prima la sala da pranzo.
Teddy e Morena erano balzate dalla sedia quando Grimilde aveva picchiato le mani sul tavolo, mentre respirava affannosamente:
«Grimi, che succede?» la voce di Teddy era stata colma di paura, una paura che si era accentuata quando la sua amica l'aveva guardata con quei suoi occhi azzurri, prendendo le mani nelle sue:
«T-Teddy, i-io non lo sa-sapevo...»
«Sapere cosa, Grimilde? Ci stai spaventando!» il cuore di Morena aveva improvvisamente accelerato i battiti, poi avevano udito un mormorio di voci giungere da lontano.
Le tre ragazze e i pochi presenti si erano voltati in direzione della porta e, in gruppi di due,  tre o quattro, i giocatori cileni avevano fatto il loro ingresso:
«Oddio, no!» aveva lagnato Grimilde vedendoli.
Per un attimo Teddy era stata sicura di accasciarsi sul pavimento, sicura che le gambe non l'avrebbero sorretta. Invece lo fecero e fu anche peggio.
Nicolas si era fermato a qualche metro da lei, i ragazzi che passavano fra loro oscuravano la vista dell'uno all'altra, ma poi riapparivano come d'incanto, ad intervalli quasi regolari.
Era così diverso adesso, con i capelli corti e il pizzetto, senza quel taglio sbarazzino e il viso liscio, privo di barba, inconsciamente si chiese se fosse cambiato anche caratterialmente.
Come una stupida si ritrovò a sperare di no.
Non udì la sua voce, troppo bassa, ma lesse distintamente sulle labbra il suo nome «Teddy».
Avrebbe voluto scappare.
«Oh mio Dio, Teddy! Sei davvero tu!» la voce allegra di Alexander Martinez risvegliò tutti dallo stato di semi coscienza in cui erano sprofondati:
«In carne ed ossa» aveva risposto lei, sforzandosi di sorridere al suo vecchio buon amico Alex, il quale le era andato incontro a braccia aperte:
«Guarda qui come sei cresciuta...» aveva continuato ironico e, stringendola a sé, aveva potuto avvertire il suo nervosismo.
Morena, che fino a quel momento era stata destabilizzata quasi quanto Teddy per la sorpresa, si mosse in direzione di Nicolas e, seppur in maniera ovattata, sentì Grimilde chiederle dove stesse andando. Gli aveva sorriso porgendogli la mano e si era sentita sollevata quando lui l'aveva stretta nella propria, sorridendo di rimando:
«Signorina Pardo»
«Romero»
Avevano allargato i loro risi e si erano abbracciati.
Il rapporto con Morena non era stato molto idilliaco all'inizio della sua storia con Teddy, ma con il tempo avevano imparato a convivere e ad accettarsi a vicenda, per il bene profondo che entrambi provavano nei confronti di Teddy.
Sciogliendo il loro abbraccio avevano guardato Alex scherzare con Teddy e Grimilde e Morena non si stupì di notare che quest'ultima si era già ripresa dallo shock iniziale. A volte invidiava la sua perfetta capacità di adattamento alle situazioni più difficili e imbarazzanti.
Nicolas si era avvicinato alla biondina, scompigliandole i capelli, una cosa che, ricordava, odiava a morte e, proprio come si era aspettato, questa lo aveva guardato male, prima di sorridergli e saltargli addosso, in un abbraccio esuberante, che rispecchiava appieno la sua personalità:
«Ciao leone! Ce l'hai fatta, eh!?»
Già, ce l'aveva fatta a realizzare il suo sogno di diventare un pallavolista famoso in tutto il mondo, ma a quale prezzo?
A quel punto aveva guardato Teddy e aveva fatto la prima cosa che gli era passata per la mente: si era chinato a baciarle una guancia, un bacio lungo e delicato, incurante degli occhi delle sue amiche e di quelli di Alex che li fissavano.
Incurante dell'espressione esterrefatta e un po' spaventata di Teddy.
 
Martinez si allontanò dalla sua vecchia amica, accingendosi a raccogliere la camicia e la cintura dal pavimento.
Infondo si era divertito tantissimo a mettere in scena quello spogliarello, non a caso aveva accettato immediatamente la proposta che Grimilde gli aveva avanzato subito dopo cena. Quella ragazza non era cambiata di una virgola da quando era poco più che un'adolescente, a differenza di Teddy che, invece, nel corso degli anni sembrava aver incrementato le sue doti coscienziose e razionali.
Cercò con gli occhi Nicolas e un po' si stupì di trovarlo ancora sull'uscio della porta, con la spalla contro lo stipite, a braccia conserte, non riuscì tuttavia a decifrare la sua espressione, sembrava distratto dai pensieri che, probabilmente, si annidavano nella mente. Per l'ennesima volta si chiese quali emozioni avesse provato rincontrando Teddy, dopo ben sei anni dal loro addio forzato.
La musichetta allegra di un cellulare lo riportò con l'attenzione al presente, vide la futura sposa rispondere con un «ciao amore» e, mentre si avviava fuori dalla sala, gli inviò un sorriso, lui rispose con un occhiolino, poi prese a rivestirsi.
 Con la coda dell'occhio Morena rivolse lo sguardo verso la porta, dove Nicolas aveva preso posto dall'inizio di quella...buffonata. Si, perché l'idea dello spogliarello era stata, ovviamente, di Grimilde, la stessa che in quel momento la tirò per un braccio, tenendo gli occhi fissi su Alex:
«Accidenti, si riveste di già!» Morena si liberò con uno strattone da quella presa, infastidita, ma la sua amica non parve accorgersi della sua indignazione e seguitò «Mmm non sai quello che gli farei...»
«Oddio Grimilde, sei...sei...irrecuperabile!» a quel punto la biondina si era voltata a guardarla, con lo sguardo malizioso:
«Non dirmi che non ti piacerebbero le sue mani su di te..» aveva preso ad accarezzarle la pelle nuda di un braccio con un dito e Morena si era allontanata all'istante:
«Smettila! Quando fai così mi sembri...mi sembri... »
Poi la risata spontanea di Martinez attirò l'attenzione di entrambe - per la felicità di Grimilde – ma infondo anche per quella di Morena, la camicia bianca indossata da quest'ultimo era ancora sbottonata, ma fu solo quando lui parlò che la bionda alzò gli occhi sul suo viso:
«Ma possibile che voi due litigate sempre!» il sorriso dell'atleta cileno disarmò Grimilde
«Già, le faccio ancora da babysitter, sai?» sia Morena che Alex risero e la ragazza dagli occhi azzurri saltò addosso alla sua amica, schioccandole un bacio sulla guancia:
«Litighiamo perché ci vogliamo taaaanto bene!»
Morena scosse il capo, sorridente. Era vero, le voleva un bene dell'anima, nonostante tutto, ma qualcosa ben presto attirò la sua attenzione e quella di Alex.
 
Marcelo le stava raccontando della sua giornata lavorativa e della vittoria ottenuta in tribunale per quella causa che gli stava tanto a cuore, ma la mente di Teddy non riuscì a comprendere una parola di quello che le stava dicendo.
Nicolas Romero era a pochi passi da lei e non accennava a spostarsi dalla porta per permetterle di lasciare la sala e chiacchierare, finalmente in santa pace, con il suo fidanzato.
Perché, dannazione, perché non si faceva da parte?
Quegli occhi scuri la fissavano come se avessero potuto fulminarla da un momento all'altro e lei si ritrovò a sentire quelle vibrazioni di disagio che a volte provava da ragazzina, quando la osservava con insistenza, anche dopo il loro primo bacio.
Il suo primo bacio...
Lo oltrepassò  di traverso, evitando di urtarlo con la spalla, anche solo di sfiorarlo, a testa china, ma la sensazione di quello sguardo penetrante su di lei rimase e, con esso, anche tutte le emozioni allegate.
Non lo guardò in faccia, nemmeno per un istante, non lo sfiorò, neppure accidentalmente. Teddy era fatta così: era stata una ragazza orgogliosa a quei tempi, figuriamoci adesso che era cresciuta. La seguì con lo sguardo mentre camminava lungo il corridoio dell'hotel. Sentì l'improvvisa necessità di parlarle. Lanciò un'ultima occhiata ai suoi amici e incontrò gli occhi seri di Morena e quelli preoccupati di Alex, poi la seguì.
 
 
 

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Capitolo 3
*** ​Capitolo 3 ***



Capitolo 3
 
 
Teddy rimase positivamente meravigliata di ritrovarsi in una giardino stile inglese che sorgeva ad est della struttura alberghiera. Ai suoi piedi si srotolava un sentiero liscio che s'inoltrava a perdita d'occhio al fresco di una radura, costeggiato da cespugli di fiori gialli perfettamente curati, di cui, tuttavia, ignorava i nomi. Senza volerlo avanzò di qualche passo, guardando le grandi montagne a est e il bosco che aveva attraversato con la macchina per giungere in quel paradiso terrestre a ovest. Entrambe le mani erano intrecciate sul seno, trattenendo il cellulare come un Rosario. Continuò il suo cammino, rapita dalla flora che la circondava. Qualcosa attraversò velocemente davanti ai suoi piedi, da una parte all'altra dello stretto sentiero, scomparendo in un cespuglio. Teddy emanò un gridolino, più di stupore che di spavento, notando che si trattava di uno scoiattolo. Sorrise e proseguì.
Un ampio terrazzo, cosparso di tavoli, sedie e dondoli, tutti rigorosamente bianco latte, affacciava a strapiombo. Teddy si avvicinò alla ringhiera di ferro battuto e vi poggiò sopra le mani, mentre una folata di vento le scompigliava i capelli che trattenne all'indietro sul capo, per evitare che le finissero negli occhi. Respirò a pieni polmoni quell'aria che si incontrava a metà strada fra il mare ai suoi piedi e le montagne alle sue spalle.
Una sfera arancione stava sprofondando all'orizzonte e, nonostante il crepuscolo, poteva ancora bearsi del cinguettio degli uccelli.
Sentì gli occhi pungerle e li chiuse.
Era un luogo senza tempo, senza sofferenze, senza rinunce, senza compromessi.
Senza memoria.
Era il suo luogo perfetto, quello che non avrebbe voluto lasciare mai più.
Riaprì gli occhi e la luce infuocata del sole la ferì lievemente, ma si trattenne dal riabbassare le palpebre: non si ha la fortuna di assistere a certi spettacoli tutti i giorni.
Sentì un groppo attanagliarle la gola. Rimaneva la solita stupida, si disse, emozionarsi fino alle lacrime per un bel panorama.
Scosse il capo e sorrise dolcemente alla natura, accendendosi una sigaretta. Aspirò la prima boccata di fumo e la gettò fuori, godendosi il caratteristico sapore acre.
Grimilde sarebbe stata entusiasta di quel posto e sarebbe di sicuro piaciuto anche a Morena. Non voleva, ma inevitabilmente il pensiero delle sue amiche la ricondusse al suo incontro con Nicolas.
Quanti anni erano trascorsi dall'ultima volta che si erano visti?
Da quell'ultima volta …
Cinque o forse sei anni?
Tantissimi.
Era cambiato molto, il suo look era più egocentrico, più aggressivo, eppure quelli erano gli stessi occhi scuri e profondi e tanto dolci di quando stavano insieme. L'aveva osservato sorridere con Grimilde e, doveva ammetterlo, anche il sorriso era lo stesso di sempre.
Quegli occhi e quel sorriso, in un tempo oramai lontano, erano stati il suo pane quotidiano.
Tirò ancora dalla sigaretta che, a furia di rimuginare sul passato, si stava consumando in balia della brezza.
Morena era andata su tutte le furie quando, con il viso paonazzo, aveva raccontato a lei e a Grimilde del loro primo bacio. La biondina aveva battuto le mani e le era saltata al collo, chiedendole di continuo «Sei contenta, eh? Sei contenta? E adesso? E adesso? State insieme? Siete fidanzati?» a quella parola il volto di Teddy era diventato ancor più rosso, se mai fosse stato possibile aumentare la tonalità di rossore.
Morena invece era rimasta a fissarla con uno sguardo torvo e lei aveva provato a spiegarle che lo sapeva, forse stava facendo un errore, ma per il momento era quello che si sentiva di fare:
«Non mi piace quel tipo. Soprattutto non mi piace che stia con te
«Lo so, può sembrare un tipo strafottente, ma ti assicuro che è dolcissimo e rispettoso e...»
«Hai pensato a cosa diranno i tuoi quando sapranno che sua figlia frequenta il primogenito dei Romero?»
Teddy si era rabbuiata. No, a quello non aveva ancora pensato, non ne aveva avuto il tempo, troppo occupata a riempire la mente delle immagini di Nicolas e delle vibrazioni che gli trasmetteva ogni suo sguardo, ogni suo sorriso, ogni sua ingenua carezza.
«Morena smettila! La stai facendo diventare triste!» era allora intervenuta la piccola Grimilde che a sedici anni ne dimostrava quattordici «Adesso lei è felice e se Nicolas dovesse farla soffrire, prima lo picchieremo con qualcosa di moooolto grosso, tipo un furgone, poi consoleremo Teddy, perché siamo le sue migliori amiche ed è questo che fanno le migliori amiche!»
Morena l'aveva fissata per un tempo apparentemente interminabile, poi aveva risposto con un sospiro e un semplice occhei.
 Teddy inspirò ancora e lasciò uscire il fumo da bocca, sorridendo a quel ricordo, ma il suo sorriso era colmo di malinconia e anche tristezza.
L'odore penetrante dell'espresso si insinuò su per le narici e le solleticò il naso. Adorava il caffè e se ne inebriò. Chinò leggermente lo sguardo su un bicchierino monouso e fumante, quindi lo alzò e il sorriso, che una volta le toglieva il respiro anche solo al pensiero, le si parò davanti, a circa 10 cm di distanza dal suo viso.
Bellissimo, seppur incorniciato da un pizzetto curato minuziosamente e che, nei suoi ricordi di adolescente, non c'era.
«Espresso lungo con due cucchiaini di zucchero. Due e mezzo se è particolarmente amaro» Nicolas allargò il sorriso e lo sguardo si addolcì.
Ricordava perfettamente tutto di lei, i suoi vizi, i sui capricci, le sue fisse, le sue manie.
Teddy tornò a guardare davanti a sé il panorama mozzafiato e si meravigliò di vedere ancora il sole schiacciato contro il cielo, a fondersi con l'oceano.
«Ti ringrazio, ma non mi va»
Il sorriso del ragazzo scemò, soppiantato da un'espressione di stupore:
«Davvero non lo vuoi? Ricordo che dopo cena lo bevevi sempre»
Ma quale cena, pensò Teddy che non era riuscita a mangiare nulla dopo il suo casto bacio sulla guancia, ma l'odore del caffè era penetrante e le venne l'acquolina in bocca. Senza spiccicar parola prese il bicchiere dalle sue mani e lo bevve in due sorsi, leccandosi il labbro superiore con la punta della lingua.
Era zuccherato al punto giusto.
Lo guardò e lo vide sorridere compiaciuto (conosceva bene quel sorriso):
«Com'era?» le chiese
«Accettabile» rispose lei facendo spallucce, poi riportò gli occhi castani sullo strapiombo, tirando l'ultimo tiro di sigaretta, quindi la spense sul fondo del bicchierino, dove stagnava una goccia di caffè. Si udì lo sfrigolio della cicca che moriva nel liquido nerastro.
 Nicolas Antonio Romero al contrario non smise di osservarla. I suoi lineamenti erano leggermente più marcati di quando aveva venti anni, ma era normale, il suo sguardo era più fiero di come, a volte, lo rievocava nei suoi ricordi, più da … donna. Si soffermò sui capelli, quei capelli che erano stati lunghi e ondeggianti contro la schiena di una ragazzina acerba, ammaliandolo.
Senza rendersene conto glieli sfiorò con le dita e Teddy trasalì:
«Li hai tagliati. Mi piacevano tanto i tuoi capelli...»
Lei gli rivolse uno sguardo stralunato, sconcertata dal tocco leggero delle sue dita, ma che aveva avuto l'impatto di un uragano dentro di sé. Quante volte le aveva accarezzato quella chioma color nocciola di cui andava tanto fiera, nei loro piccoli e grandi momenti d'intimità, trasmettendole sempre quella sensazione di benessere e spensieratezza, la sensazione che nulla avrebbe mai potuto intaccare il loro rapporto.
Nulla, se non sé stessa e, si sa, a volte il più forte dei nemici da sconfiggere risiede in noi.  
Teddy sapeva quanto Nicolas adorasse i suoi lunghi capelli ed era stato questo il motivo che l'aveva spinta, dopo la sua partenza, a tagliarli di netto, appena sopra le spalle, intenta a non farli crescere più.
«Teddy» la sua voce era un sussurro, ma tanto bastò per distoglierla dai pensieri che le turbinavano nella mente «Cosa hai fatto in tutti questi anni senza di me?» lei scosse il capo, lentamente, senza riuscire a voltare lo sguardo altrove, incantata dai suoi occhi buoni seppur neri come la pece, mentre i lampioni che costeggiavano la ringhiera si accendevano, emanando una fioca luce giallastra. Gli occhi di Nicolas presero a splendere di quel riverbero, somigliando agli occhi di un gatto «Parlami di te...» aggiunse alla fine, posando il palmo contro la guancia di Teddy che indietreggiò di qualche passo, spaventata dai sentimenti che stava provando in quel momento:
«S-scusa» balbettò «Le ragazze saranno in pensiero, è meglio che le raggiunga» rimase qualche altro secondo ancora a godersi l'emozione dei loro sguardi fusi, sapendo che forse quella era la sua ultimissima occasione di farlo, poi chinò il capo e si allontanò da lui, ripercorrendo a ritroso il sentiero che l'aveva condotta al terrazzo.
 
Morena aveva la testa che le brulicava di pensieri incoerenti e contrastanti fra loro, senza riuscire ad afferrarne almeno uno che avesse potuto risollevarle il morale.
I primi tempi non aveva di certo reso la vita facile a quei due, Teddy e Nicolas, sempre meno convinta della loro relazione, poi un giorno era successo qualcosa di improbabile. Lui l'aveva affrontata a viso aperto, a quattrocchi, cosa che Morena aveva trovato molto interessante: erano pochi infatti quelli che avevano il coraggio di farlo, ma forse le motivazioni che lo spinsero a quel gesto, per lei estremo, dovevano essere state molto forti.
«Oramai è chiaro che non ti sono simpatico» aveva esordito senza preamboli, guardandola fissa negli occhi, con il volto serio, sovrastandola di diversi centimetri nonostante lui non fosse particolarmente alto «E in realtà neanche io stravedo per te. Ma Teddy ti vuole bene e quando litiga con te è spesso di pessimo umore e ne va del nostro rapporto...»
«Romero stringi!» l'aveva interrotto prima che il suo discorso si mettesse a fare voli pindarici:
«Cerchiamo di andare d'accordo, per il bene che entrambi vogliamo a Teddy, ok? Per il quieto vivere di tutti» le aveva allora teso la mano, come a voler siglare con una stretta il loro tacito accordo.
Morena aveva guardato per un po' la sua mano, sconfitta. Nicolas Romero si era dimostrato molto più maturo di lei, sicuramente meno orgoglioso e, probabilmente, più preoccupato di non ferire i sentimenti di Teddy di quanto avesse fatto lei in tutti quei mesi. Aveva alzato su di lui occhietti castani e duri e aveva accettato di chiudere quel patto prendendo la sua mano nella propria. Non c'erano stati sorrisi fra loro, solo un lungo e durevole sguardo truce e serio. Quello che Morena non sapeva, e che non avrebbe mai saputo, è il fatto che Nicolas aveva avuto un'ansia smisurata nel doverla fronteggiare così sfacciatamente, ma alla fine ne era valsa la pena.
Per la quarta volta passò la scheda magnetica nella serratura elettronica, per accedere alla suite che Grimilde aveva prenotato, ma Morena non era mai stata molto simpatica alla tecnologia, né lei stravedeva per quest’ultima. Riemerse lentamente dai suoi ricordi e provò di nuovo, ruotando la tessera che aveva in mano, ma niente.
«Stupida porta! Apriti!» esclamò, battendo un palmo contro la porta e, per il contraccolpo, la tazzina che aveva nell’altra mano vibrò sul suo piattino. Morena prontamente la fermò, tirando un sospiro di sollievo per aver evitato che si rovesciasse il caffè sulla moquette. Fissò il congegno elettronico come se potesse incenerirlo con gli occhi, quindi riprovò, ma ancora una volta questi invio segnali negativi.
«Hai bisogno di aiuto con quella?»
Morena trasalì e a bocca aperta fissò la persona da cui era provenuta quella voce profonda. Il ragazzo le stava sorridendo divertito:
«S-si» balbettò, lui le prese la scheda e la fece scivolare nella serratura.
Morena lo osservò dal basso, di sottecchi, aveva i capelli castani spettinati e una folta barba curata, poi la sua attenzione si posò sulla tuta della Federación che aveva addosso. Il tic meccanico della porta che, finalmente, veniva sbloccata la ridestò:
«Ecco fatto!» le parole del giocatore le arrivarono sommesse e come in sogno si vide a riprendersi la tessera:
«Gra-grazie.»
Le capitava praticamente sempre: ogni volta che si trovava di fronte ad un ragazzo che avrebbe potuto suscitare il suo interesse, Morena andava in panne. Il balbettio era il primo sintomo del nervosismo, seguito dal sudore alle mani e, infine, dal fruscio alle orecchie. Lei non era mai stata come Teddy o, peggio ancora, come Grimilde, sempre schiette e aperte al prossimo, così estroverse e gentili. Lei non aveva mai avuto un amico maschio (Teddy, un tempo, aveva avuto Alex e Grimilde … beh, per Grimilde erano tutti amici), l’unico che era stato in grado di oltrepassare appena quel muro di difesa, la infastidiva ammetterlo, era stato Nicolas.
«Tu sei una delle amiche di Martinez e Romero, giusto?»
Morena sbatté le palpebre un paio di volte:
«Diciamo di sì …» si guardarono per un tempo che a lei parve lunghissimo e lui sembrava aspettare qualcosa «Tu-tu sei un loro compagno di squadra?» la sua risata cristallina echeggiò forte nel corridoio, passandosi una mano fra i capelli umidi:
«Tu non segui molto il volley, vero?» Morena arrossì. In realtà lo seguiva, ma di lui non si ricordava. Le porse la mano e lei gliela strinse, guardandolo negli occhi, occhi vivaci color nocciola «Io sono Diego»
 
Alex entrò nella sala bar e si guardò intorno, in cerca di qualche suo compagno con cui scambiare due chiacchiere. In verità sperava di incontrare Nicolas, aveva un paio di cose da chiedergli. L’ultima volta che si erano visti era stato alla fine della sua performance come sex smbol, si erano scambiati un’occhiata ambigua, poi lui aveva seguito Teddy chissà dove. Ora che ci pensava, anche Teddy era scomparsa e un certo timore gli attanagliò lo stomaco. Sperò vivamente che quei due non combinassero un casino, non aveva voglia di raccogliere i cocci di entrambi come era accaduto già una volta.
Nicolas quel pomeriggio gli aveva telefonato alla fine degli allenamenti e da subito il suo timbro tremolante non gli era piaciuto:
«È finita Alex. È tutto finito» era sull’orlo delle lacrime e questa cosa lo aveva spaventato non poco:
«Cosa Romero? Cosa è finito?» dall’altro lato della conversazione vi era stato silenzio «Così però mi metti paura, Nicolas»
«Teddy. Con Teddy è finita. Ha detto che non può seguirmi »
Questa volta era toccato a lui restare senza parole. Come era possibile che l’emblema stesso dell’amore fosse … finito?
Loro, che facevano invidia ad ogni coppia del paese; loro che avevano affrontato l’ira funesta della famiglia di Teddy rimanendo insieme; loro che contro ogni scommessa, erano risultati perfetti l’uno per l’altra, come due pezzi di un puzzle che si incastrano alla perfezione.
 «Maartiineez!»
Quest’ultimo si guardò attorno, confuso per esser stato afferrato così repentinamente dal ricordo di quel momento lontano. Vide Grimilde salutarlo con la mano e la raggiunse al bancone del bar, sedendosi sullo sgabello di vimini accanto al suo. Gli sorrideva e Alex si chiese come avesse fatto ad arrestare la corsa del tempo su di lei.
Il cameriere le porse una tazza fumante e la ragazza vi immerse una bustina che sembrava tè. Lentamente il liquido si scurì e Grimilde non poté fare a meno di notare l’espressione incuriosita di Martinez:
«É la mia pozione di bellezza» scherzò sorridendogli e lui contraccambiò, divertito:
«Adesso capisco. Sei una specie di strega …»
Lei rise e lo guardò con quei suoi occhi azzurro cielo, scuotendo il capo.
Aveva sempre avuto una cotta per quel ragazzo dai colori caldi e il sorriso che gli illuminava il volto, con quegli occhietti furbi che sembravano prendersi gioco di tutto e tutti. Il suo sguardo corse lungo l’addome che spiccava contro il candore della camicia, allacciata solo per due bottoni nel mezzo. Era così invitante …
Le porte scorrevoli che davano sul giardino si aprirono con uno sbuffo e Teddy fu invasa dalla frescura dell’aria condizionata, anche se le temperature non erano particolarmente alte, sentiva il viso in fiamme e la testa le doleva per i mille pensieri che vi frullavano dentro. Adocchiò Grimilde e Alex seduti al bar e li raggiunse, senza molta convinzione:
«Teddy» la sua amica bionda sembrò meravigliata di vederla «Io e Morena pensavamo che fossi salita in camera. Morena ti ha anche portato il caffè» Teddy si chiese se fosse zuccherato al punto giusto proprio come quello che le aveva offerto Nicolas «Ehi, tutto bene?» Grimilde le strofinò il braccio, le occhiaie che aveva sotto agli occhi prima non c’erano, era pronta a giurarlo.
Teddy si toccò il viso:
«Sono solo un po’ stanca. Raggiungo Morena in camera» fece un sorriso sforzato a Martinez lì vicino «Mi ha fatto piacere rivederti, Alex»
Ma non rivedere Romero, vero Teddy? Pensò il pallavolista, sorridendo a sua volta. Si alzò e l’abbracciò forte, avrebbe voluto dirgli tante, tante cose, ma alla fine decise di rimanere in silenzio, sapendo che le parole potevano solo peggiorare la situazione.
Dopo poco che Teddy era uscita dalla sala, Nicolas invece vi entrò, dalle stesse porte scorrevoli da cui era giunta lei poco prima. Grimilde e Alex si lanciarono un’occhiata interdetta quando lo videro e, anche se non se lo dissero, intuirono che doveva esser successo qualcosa fra quei due, lo si leggeva in faccia ad entrambi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 
Nicolas aveva seguito con lo sguardo un aereo librarsi in volo, emettendo un rombo di motori non indifferente, al di là del vetro, all’aeroporto di Santiago, con le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri. Intorno a lui c’era un gran vociare di gente, ogni volta che il campanello annunciava l’intervento dell’ hostess, il suo cuore perdeva un battito. Sapeva che prima o poi sarebbe stato annunciato il volo, sperava solo che accadesse il più tardi possibile. I suoi fratelli più piccoli gli si strinsero attorno, euforici: il loro fratellone partiva per la Germania, dove avrebbe studiato in uno degli istituti più importanti del Vecchio Continente, nonché una delle scuole di volley che poteva vantare una vita secolare. Nicolas sorrise, triste, ricordandosi che lo faceva anche per loro, per assicurare loro un futuro migliore, migliore di quello che avrebbe potuto regalare alla sua famiglia se fosse rimasto in Cile. Nervosamente si guardò attorno, vide sua mamma chiacchierare con so marito, parenti vari, qualche compagno della sua (oramai) ex squadra scherzare fra loro, ma non vide Alex, né Grimilde né Morena, soprattutto non vide Teddy. Non sarebbe andata a salutarlo, la conosceva fin troppo bene, non l’avrebbe mai vista corrergli incontro, piangendo come una bambina, mentre gli si buttava addosso, magari dicendogli che aveva cambiato idea, che lo amava troppo e voleva restare con lui. No, non era per niente da Teddy, proprio per niente. Alzò lo sguardo sul cartello delle partenze, fra meno di mezz’ora avrebbero chiamato il suo volo, oramai mancava poco. Alle sue spalle un altro aereo partì alla volta di paesi lontani, levandosi verso un cielo azzurro, privo di nuvole. I suoi fratelli tenevano il muso schiacciato contro i vetri, incantanti da ciò che stavano vedendo per la prima volta nella loro vita. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e lentamente si voltò. Martinez era dietro di lui, sorridente. Si erano abbracciati, entrambi senza dire nulla, come se avessero potuto sentire i pensieri e la gratitudine che provavano l’uno nei confronti dell’altro. Quando si furono allontanati, Nicolas aveva visto Grimilde, piccola piccola, a pochi passi da Alex. Nella luce del sole che penetrava dalle vetrate, gli era sembrata ancor più pallida e minuta, la testa bassa a fissare il pavimento, mentre i capelli così biondi che quasi sembravano argentati, le ricadevano davanti, le mani strette a pugno. Nicolas aveva lanciato un’occhiata a Martinez e quando quest’ultimo aveva scosso il capo aveva avuto la conferma dei suoi timori: Teddy non sarebbe andata a dirgli addio. A quel punto era tornato a guardare la ragazza bionda, l’aveva stretta forte, posandole un bacio sul capo. Grimilde aveva ricambiato l’abbraccio, iniziando a singhiozzare, confabulando scuse su scuse, affermando di non essere una buona amica, poiché non era riuscita a convincere Teddy di passare a salutarlo.
«Tu sei un’ottima amica» le aveva allora risposto Nicolas Romero «E so che continuerai a prenderti cura di lei dopo che sarò partito» Grimilde aveva annuito con un cenno animato del capo, scostandosi dal suo abbraccio, mentre si asciugava le lacrime con il dorso della mano:
«Ci mancherai tanto …» le labbra di Grimilde erano state tutto un tremolio, ma era riuscita a non piangere, almeno fin quando non era stato annunciato il volo che lo avrebbe portato via.
 
La visione di Martinez e Grimilde insieme lo scaraventò dal passato al presente in un lampo. Nicolas Antonio Romero si avvicinò a loro, richiamando a raccolta le ultime forze che gli erano rimaste per sorridere e sembrare il più naturale possibile. Salutò Alexander stringendogli il pugno, come erano soliti fare, mentre Grimilde alla sua destra lo fissava con i suoi occhietti chiari, sorseggiando una bevanda dall’insolito colore olivastro e inodore. Dallo sguardo che teneva puntato su di sé, Nicolas capì che centinaia, se non migliaia di domande stavano frullando nella testa bionda della ragazza. Le posò un palmo sui capelli, ma lei non smise di fissarlo:
«Tu e Teddy eravate insieme, lì fuori?»
Martinez sembrò sussultare a quella domanda come se fosse stato il diretto interlocutore, spostò immediatamente l’attenzione sul suo compagno di squadra e quando lo vide più o meno tranquillo, ne fu sollevato. Nicolas in verità non si arrabbiava quasi mai, l’unica delle tre che riusciva a farlo alterare era Morena, ma questo accadeva quando avevano venti anni e tanti sogni nel cassetto. Tornò a guardare Grimilde, la cara, dolce, piccola Grimilde. Arrabbiarsi con lei, per la sua infantilità, sarebbe stato come prendersela con una bambina, ma la sua curiosità, pensò Alex in quel momento, prima o poi, l’avrebbe cacciata nei guai.
«Sì» Nicolas non cercò neanche di raggirare la domanda «Abbiamo parlato un po’»
Grimilde continuò a fissarlo con intensità, come se volesse riuscire a penetragli nella mente e leggere i suoi pensieri. Scosse la testa in avanti un paio di volte, ma non aggiunse altro.
Alex scese lentamente dal suo sgabello, annunciando che sarebbe salito in camera a riposare, diede un colpo alla spalla di Romero e sorrise a Grimilde, sfiorandole la punta del naso con l’indice, augurandole buona notte. Seppur quel tocco era stato ingenuo e molto fraterno, la spina dorsale di Grimilde era stata percorsa da un brivido, poi l’aveva seguito con gli occhi scomparire oltre le porte della sala.
«Grimi, che stai facendo?» la voce divertita di Nicolas l’aveva come afferrata per le caviglie e sbattuta sulla terra ferma:
«I-io? Ni-niente» ma aveva sentito le guance in fiamme e mentalmente aveva desiderato avere la loro carnagione scura, perché quella chiara mostra troppo apertamente i sentimenti che si provano. Nicolas prese posto sullo sgabello al suo fianco, dove pochi minuti prima vi era accomodato Martinez, chiedendo un digestivo al cameriere. Prese a mischiare il liquido gassoso nel bicchiere con un cucchiaino, tenendo uno strano sorrisetto dipinto sulle labbra, posò il piccolo mestolo e sorseggiò la sua bevanda, prima di voltarsi a guardarla:
«Cambierai mai?» le chiese e lei sembrò mettere il broncio, sempre rossa in viso:
«Ti ho detto che non stavo facendo niente!» il suo tono era petulante, come quello di una ragazzina viziata e lui rise:
«Certo, certo»
La sentì poi sbuffare e bere quella sua brodaglia, ancora fumante. Dal canto suo Nicolas bevve tutto d’un sorso quello che rimaneva della sua bibita fresca e briosa, la guardò di soppiatto, combattendo contro la voglia di farle tutte le domande che gli passavano per la mente sul conto di Teddy e, dall’altra parte, contro quella che, invece, lo ammoniva a stare zitto. Alla fine cedette:
«Grimilde …» lei lo guardò, sapendo benissimo cosa stava per chiederle e il suo cuore prese a battere un po’ più veloce «Teddy dopo che … cioè, quando io sono partito, lei è ...»
«É stata male da far paura» Nicolas si voltò a guardarla di scatto, non si aspettava una risposta del genere, ma si accorse che lei non lo stava guardando, fissava le sue mani che intanto giocherellavano nervosamente con la bustina immersa nella tazza:
«Per me e Morena è stata molto dura starle vicino. Non voleva vedere nessuno di noi due, forse perché indirettamente gli ricordavamo te, o comunque quello che eravamo stati tutti insieme» prese fiato, poi aggiunse «Non l’abbiamo mai vista piangere»
«Si, Teddy è stata sempre molto orgogliosa delle sue lacrime»
«Poi una notte, dopo che erano passati diversi mesi, Morena mi chiamò e mi disse che Teddy aveva bisogno di noi. Quando arrivammo al suo appartamento, alla casa dello studente, le ragazze che condividevano la casa con lei ci vennero incontro preoccupate. Erano state loro ad avvertire Morena. Ci dissero che era da più di un’ora che andava avanti così. Entrammo nella sua stanza e, credimi, è stata la cosa più triste e straziante che abbia mai visto.»
Nicolas Antonio deglutì, non era più tanto sicuro di voler continuare ad ascoltare, di voler sapere, ma qualcosa dentro di lui lo trattenne dal chiederle di fermarsi e Grimilde proseguì con il suo racconto.
«In tv c’eri tu, con la maglia della Federacion del Chile, non ricordo alla fine di quale incontro. E lei era in ginocchio davanti alla tv, piangeva e singhiozzava, era come in trance, e …» si fermò, guardandolo in un modo che mai Romero si sarebbe aspettato da lei, da Morena forse, anche da Teddy, ma non da Grimilde «… e invocava il tuo nome»
Questa volta fu Nicolas a distogliere lo sguardo da quegli occhi di ghiaccio e si maledisse per averla spinta a raccontargli quella storia:
«Io avrei voluto portarla con me, in Germania o in qualsiasi altra parte del Mondo mi sarei trasferito» Grimilde gli posò una mano sulla spalla, accennando un sorriso dolcissimo:
«Lo so, Nicolas, lo so»
«E … se ho ben capito, siete qui per il suo addio al nubilato. Ciò significa che si sposa?»
«Sì, fra quindici giorni. L’idea di trascorrere un week end noi tre da sole mi era sembrata ottima» lei sospirò, scuotendo il capo
«Noi siamo stati un incidente di percorso»
«Credo che Teddy sia stata molto felice di vederti. Sono passati così tanti anni, prima o poi si devono affrontare i demoni del passato, no?»
«Da quando sei diventata così saggia?» risero entrambi, più per alleggerire l’atmosfera che per la pura voglia di farlo «Lui, insomma, il suo fidanzato, com’è?»
«Vuoi sapere se è più bello di te?» altri sorrisi, questa volta un po’ più sinceri «Si chiama Marcelo. È una brava persona. Fa l’avvocato, è in gamba»
Nicolas provò un certo fastidio recondito a sentir parlare di lui, ma non lo diede a vedere e continuò con le sue domande, era entrato in una specie di circolo vizioso dal quale non riusciva più a trovare l’uscita:
«Lei è felice con lui?» la risposta di Grimilde però non lo soddisfò:
«Non lo so» fece spallucce «Questo dovresti chiederlo a lei» di nuovo gli sorrise con una dolcezza smisurata. Altre domande balenarono nella mente del ragazzo, ma per quella sera poteva bastare così, aveva saputo abbastanza. Non aveva avuto sue notizie per sei lunghi anni, non era necessario scoprire tutte le carte in una notte soltanto. Vide Grimilde scendere dallo sgabello con un salto felino e si accorse che non aveva bevuto la sua tisana (o qualsiasi cosa fosse stata):
«Non la bevi?» le chiese e lei aveva scosso il capo, facendo ondeggiare i capelli
«La bevo solo perché dicono che rendi la pelle più luminosa, ma il sapore è orrendo» sghignazzò e Nicolas con lei «Rincontrarvi è stato come fare un salto nel passato. Forse l’ultimo, ma meglio di niente, no?» aspettò una sua risposta che però non arrivò, gli batté la mano sulla spalla un paio di volte e gli augurò la buona notte
«Anche a te, Grimi»
Quest’ultima sorrise. Era stato lui il primo a coniare quel diminutivo e da allora lo avevano iniziato ad usare anche Teddy e Morena. Nicolas Antonio era stato un po’ il fratello che non aveva mai avuto. Quando raggiunse le sue amiche in camera, Morena era ancora sveglia, appollaiata su una poltrona davanti la tv, Teddy al contrario sembrava dormire già da un pezzo, ma se si fosse affacciata per guardarla in viso avrebbe visto due occhi più che svegli. Sveglissimi. 
 
Contrariamente da quanto si aspettava, Teddy alla fine si addormentò poco dopo. Il suo fu un sonno tranquillo e senza sogni e quando la mattina riaprì gli occhi, l’unico raggio di sole che filtrava attraverso le tende la colpì in pieno volto, ferendole gli occhi, appena aperti. Udì il cinguettio degli uccelli e, con loro, lo scrosciare dell’acqua che si diffondeva dal bagno. Mugugnò e si voltò dall’altro lato, infilando la testa sotto il cuscino.
Tutto quello che aveva vissuto la sera precedente le sembrava un sogno, proprio come quei sogni che l’avevano tartassata, in cui si vedeva ad incontrare Nicolas dopo del tempo, a guardarlo di nuovo negli occhi, a sentire la sua voce, imbambolandosi dinnanzi al suo sorriso.
Quel sorriso …
Si sentì letteralmente strappato via il cuscino dalla faccia e quei pensieri si dissiparono come fumo, sprofondò con il viso nel materasso, emettendo un lamento di dissenso. Il sole la infastidiva manco fosse stata un vampiro:
«Sorgi e splendi signorina!» la voce di Grimilde le sembrò troppo forte ed emise un altro latrato «Teddy, ti vuoi alzare!» la biondina iniziava a perdere la pazienza, tirò via il lenzuolo scoprendo le gambe della sua amica, l’afferrò per le mani e la costrinse a sedersi. Nonostante la sua piccola stazza, Teddy ogni volta si meravigliava di quanta forza avesse in quelle braccia minute.
Grimilde la guardò con le mani sui fianchi, la sua amica aveva i capelli arruffati, la canotta del pigiama storta sul seno e i pantaloncini tirati fino all’inguine. La vide sbadigliare con una certa foga, senza preoccuparsi di coprirsi la bocca:
«Oh, ma sei una dormigliona! Su, su, ci aspetta una di quelle colazioni che abbiamo visto solo nei film, con i croissant e i biscotti, le crostate di marmellata di ogni gusto e il cappuccino all’italiana e …»
«Io non ci voglio venire» la voce di Teddy era più simile ad un capriccio che ad una convinzione «C’è Nicolas e non lo voglio vedere»
Grimilde le si accomodò accanto, passandole un braccio intorno alle spalle curve:
«Lo so, piccola Teddy, lo so» la chiamava sempre “piccola Teddy” quando era triste, senza sapere che la faceva sentire ancor più piccola e vulnerabile di quanto già non fosse «Ma vedi, Morena è già in sala ad aspettarci e io ho una gran fame e …» si fermò, in attesa che Teddy la guardasse negli occhi. Lo fece:
«E …?» chiese, insospettendosi per il luccichio nei suoi occhi azzurri, la vide sorridere sorniona:
«… e poi ho voglia di vedere Alex. Questa notte ho sognato che lo baciavo, con passione, capisci? E poi lui mi spingeva contro il muro e prendeva a leccarmi il collo e con la lingua scendeva fino a. …»
Teddy balzò in piedi, premendosi i palmi sulle orecchie:
«Ok, basta così! Ho capito, mi vado a preparare» rabbrividì «Ho sentito già troppo» Grimilde sghignazzò accavallando le gambe:
«Metti il costume da bagno» le disse
«Perché?» Teddy si voltò a guardarla con fare interrogativo e solo allora notò che la sua amica era vestita con solo un prendisole semitrasparente che lasciava intravedere un bichini e sperò che non volesse davvero scendere mezza nuda a fare colazione, con la Federacion al completo al piano di sotto:
«Perché dopo c’è l’idromassaggio e non solo» le sorrise accattivante e Teddy non poté far altro che allontanarsi da lei. Amava Grimilde, ma certi momenti l’avrebbe strozzata, un po’ per il suo modo di essere, un po’ per sfogarsi e basta. Ecco, quello era uno di quei momenti.
 
Morena si accomodò al tavolo che l’hotel aveva riservato per loro signorine. Vi adagiò sopra il vassoio e lo contemplò dall’alto: un succo all’arancia e carota, qualche biscotto e un cornetto alla crema. Sospirò e si guardò attorno, nervosamente. Qualche tavolo era occupato, ma la maggior parte era ancora vuoto. Soffermò lo sguardo su alcuni giocatori, provando a cogliere Nicolas fra questi, oppure Alex o …
Sospirò ancora e si accomodò, pesantemente sulla sedia dietro di lei. Stava mentendo a sé stessa. Non era Nicolas o Alex la persona che cercava, loro erano solo una scusante più o meno plausibile per adocchiare Diego, il ragazzo che la sera precedente l’aveva aiutata con la tessera magnetica della stanza.
Avrebbe potuto confidarsi con le sue amiche, ma Grimilde l’avrebbe prima presa un po’ in giro, poi avrebbe cominciato a spronarla per farle fare qualcosa di stupido (come avvicinarlo e … tentarlo), Teddy invece era già abbastanza crucciata dai propri pensieri e non voleva infierire con le sue paranoie da quindicenne innamorata.
«Morena?»
Questa sobbalzò, alzando di scatto il viso per vedere proprio quello di Diego sovrastarla. Tutto quello che aveva nella mente si dileguò, fu come se le fosse stata cancellata la memoria. Le sorrise:
«Sei sola?»
«Le m-mie amiche arri-arrivano tra un po’-po’» quel sorrisino canzonatorio si allargò e le mani di Morena presero a sudare freddo:
«Popò?»
«Si, cioè…»
«Buongiorno Morena cara! È bello rivederti a distanza di poche ore!»
La ragazza fece per spostare lo sguardo su quella voce che avrebbe comunque riconosciuto fra mille, mentre una mano le rubava un biscotto dal vassoio. Nicolas le sorrideva mentre sgranocchiava quel biscottino al miele e sembrava piacergli molto:
«Ma sei sola? Posso?» Morena gli avrebbe risposto che no, non poteva, e non perché stavano per arrivare Teddy e Grimilde, ma semplicemente non voleva fare colazione con lui, ma questi la precedette «Oh, Torres! Vuoi sederti con noi?»
Morena avvampò. Con una lentezza da ingranaggio rotto si girò verso Diego, sperando, pregando, affinché rifiutasse l’invito:
«Oh, l’avrei fatto comunque, anche se non me lo chiedevi» sorrise alla ragazza alla sua destra, cominciando a mangiare ciò che aveva scelto dal buffet, lo stesso fece Nicolas Antonio di fronte a lui:
«Quindi vuoi due vi conoscete?»
«Si …» Diego ingoiò e bevve un sorso della sua spremuta «Ieri sera era in difficoltà per aprire la camera e ci siamo presentati»
Morena teneva gli occhi fissi sul croissant che, iniziava a temere, non avrebbe mai assaggiato. Perché diamine stava dicendo quelle cose a Nicolas, l’avrebbe presa in giro proprio come faceva quando le piaceva un ragazzo da adolescente e non aveva il coraggio di dichiararsi.
«Hai aiutato una fanciulla in difficoltà come un vero cavaliere, eh Diego?» la voce di Romero era irriverente e detestabile. Morena lo guardò di sottecchi mentre lui le sorrideva  divertito per la situazione paradossale. Iniziava a detestare il fatto di averlo incontrato quasi quanto Teddy, probabilmente, ammesso che Teddy odiasse quella situazione.
«Morena! Sei sola?»
Lei alzò lo sguardo dalla colazione che aveva sotto il naso e che ancora doveva toccare. Alexander Martinez stava salutando i suoi compagni con una stretta di mano e, senza che nessuno lo invitasse, occupò l’ultima sedia libera intorno al tavolo.
Allungò una mano verso il vassoio di Morena e afferrò uno dei biscotti al miele che già aveva mangiato Nicolas. La ragazza si chiese cosa diavolo stessero facendo le sue amiche e perché diamine non aveva portato il cellulare con sé, almeno avrebbe potuto inviare loro un S.O.S.
 
Da dieci minuti oramai i discorsi al tavolo avevano un unico protagonista: la pallavolo. Morena non smetteva di muovere lo sguardo dalla sua colazione alla porta, in attesa trepidante di veder comparire le due ragazze all’orizzonte, ma per adesso non era accaduto.
Sentì una mano sfiorare la sua e il cuore prese a batterle un po’ più forte, Diego le stava sorridendo con dolcezza e le si era avvicinato per parlarle a bassa voce:
«Non hai fame?»
«Non tanto» perlomeno, questa volta, era riuscita a non balbettare come una deficiente
«Scusaci, a volte noi ragazzi sappiamo essere molto noiosi con questa fissa dello sport»
Fu come vedere il suo volto incorniciato da un cuore, sapeva che se avesse aperto bocca ne sarebbe uscita una frase spezzettata e si limitò a sorridere a sua volta.
Nicolas e Alex si lanciarono un’occhiata intenditrice, soppesando l’idea di intervenire con qualche battuta che avrebbe messo in imbarazzo Morena, ma come se fossero stati due angeli custodi, la voce allegra di Grimilde che annunciava il buongiorno e quella più pacata di Teddy li distolsero da quell’idea malsana.
La biondina abbracciò Morena, poi passò a Nicolas, posandogli un veloce bacio sulla guancia, quindi si avvicinò a Martinez, non senza notare che la guardava con un certo interesse. Avvicinò le labbra al suo orecchio, sussurrandogli che lo aveva sognato:
«Raccontami» anche la voce del pallavolista cileno era un bisbiglio, in modo che gli altri non potessero sentirli:
«Non posso raccontartelo, però potrei dimostrartelo …» Grimilde lasciò la frase in sospeso, sfiorandogli la guancia con le labbra, quindi gli sorrise e andò oltre, porgendo la mano a Diego Torres e presentandosi.
Nicolas liberò il suo posto per Teddy. Lei ringraziò, abbozzando un sorriso.
Le sembrava un po’ meno nervosa della sera precedente, forse la notte le aveva portato consiglio, o semplicemente aveva riposato bene. La osservò mentre si sedeva e prendeva a dialogare con Morena, inevitabilmente gli occhi caddero sulle gambe nude che il vestito corto metteva in mostra. Quante volte aveva accarezzato quelle gambe mentre facevano l’amore, o solo per coccolarla, quelle stesse gambe snelle, sebbene poco slanciate, che in passato lo avevano avvinghiato e trattenuto contro di lei. Dentro di lei.
Si obbligò a distogliere lo sguardo e scacciare quei pensieri, fantasmi di un passato che non sarebbe più tornato.


***
Quante di voi hanno letto la mia FF precedente “Something Stupid”, sappiate che ho dovuto cancellarla poiché ieri sono stata vittima di un plagio su una pagina FB.  La mia storia è stata copiata dalla prima lettera all'ultima, senza chiedermi il permesso o almeno citarmi, ma è stata fatta passare per propria dalla ragazza che l'ha plagiata) quindi mi sono mossa per tutelarmi.
Quando mi scontro con una realtà come quella di ieri non mi sta bene per niente. Quello che faccio io è MIO: io porto rispetto agli altri ed esigo che lo stesso si faccia con me. Poiché questo non accade, ho dato uno sguardo in giro e oltre ad avere la conferma che IL PLAGIO E' PERSEGUIBILE DALLA LEGGE (con o senza copyright sulle opere), ho scovato un sito dove poter pubblicare il mio manoscritto a poco prezzo ed è quello che farò. Per fare questo però, devo cancellare la mia FF dalla pagina. Mi dispiace, non volevo arrivare a tanto, ma devo difendere il mio lavoro, le mie opere, chissà che questa storia non mi apra le porte del successo J
Scusate se mi sono dilungata un po', ma volevo essere chiara fino in fondo, onde evitare fraintendimenti.

Nina







 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Capitolo 5

 
 
Teddy chiuse gli occhi e adagiò il collo contro il bordo immacolato della vasca da bagno, nella quale se ne stava immersa con le sue amiche. Intorno a loro le bollicine dell’idromassaggio si gonfiavano e sgonfiavano in un moto perpetuo, rilasciando un odore dolciastro, alla vaniglia forse, o alle mandorle. O forse tutte e due. Si udiva solo il ronzare dell’idromassaggio che manteneva sempre la medesima cadenza, rilassante e terapeutico.
Tra qualche mese sarebbe stata la moglie di Marcelo, la signora Pinto, ed era stata così felice quando le aveva preso le mani, durante una cena a lume di candela nell’appartamento di lui, in pieno centro cittadino, e le aveva chiesto di sposarlo:
«Sposiamoci, credo che siamo pronti per mettere su famiglia».
Certo, si sarebbe potuto sforzare un pochino e trovare una frase più romantica per dirle che voleva passare la vita con lei, ma Teddy se l’era fatta piacere e dopo i tentennamenti iniziali, Marcelo l’aveva convinta a trasferirsi a casa sua per qualche mese di convivenza, prima delle nozze. L’aveva convinta con le parole, proprio come faceva con i suoi clienti e i giudici, infondo quella era una delle sue migliori qualità.
Quella di Marcelo però non era stata la prima proposta di matrimonio che aveva ricevuto, ce ne era stata un’altra anni addietro, quando aveva solo venti anni e tanta paura di affrontare un cambiamento cruciale come quello che le si stava srotolando davanti, come un tappeto, ma Teddy l’aveva arrotolato ed aveva seguito la sua strada, da sola.
Era china sui libri quando sua madre aveva bussato alla porta, annunciando che Nicolas la cercava. Teddy era rimasta un attimo interdetta, non le aveva detto che sarebbe passato a trovarla e immediatamente una strana sensazione si era attaccata allo stomaco. Aveva sentito vagamente sua madre mugugnare la propria disapprovazione per il suo fidanzato: nonostante fossero passati quattro anni, la sua famiglia ancora non riusciva ad accettarlo.
La famiglia Romero non era delle più facoltose di Santiago del Cile, cosa inaccettabile per quella di Teddy che invece poteva vantare una lunga discendenza di uomini di lettere e politicanti. Ma Teddy era sempre stata una ragazza dall’animo semplice, ed era stata proprio la semplicità che aveva potuto apprezzare in Nicolas Antonio prima e nella sua numerosa famiglia poi a farla innamorare di lui e della sua piccola tribù, come era solita  definirla la mamma del ragazzo.
 
 
Nicolas era oltre il cancelletto, con le mani in tasca e l’attenzione rivolta alla strada. Teddy lo aveva raggiunto, trattenendosi dal correre, ma con il cuore colmo d’apprensione:
«Ehi!» gli aveva battuto una pacca sulla spalla e lui si era voltato a guardarla.
Sorrideva come Teddy forse non lo aveva mai visto, gli occhi scuri brillavano di luce propria, erano magnetici. L’aveva presa in braccio e stretta forte. Teddy ebbe ancora più paura. Romero le aveva preso il viso fra le mani e l’aveva baciata con quanta passione aveva in corpo, con tutta l’adrenalina che scorreva nelle sue vene, poi si era allontanato di qualche centimetro, senza lasciare andare il volto di Teddy. Lei lentamente aveva sollevato le palpebre, intontita per la foga di quel bacio:
«Mio padre ha trovato lavoro Teddy! Un posto a tempo in-de-ter-mi-na-to» aveva scandito l’ultima parola come se fosse la cosa più difficile da pronunciare «Ci trasferiamo a Leverkusen, Teddy, da zio Hugo, ti rendi conto? Un lavoro per sempre!»
A Teddy era crollato il mondo addosso. Leverkusen. Germania. Europa. Nicolas si sarebbe trasferito dall’altra parte dell’oceano. E lei? E loro? Cosa ne sarebbe stato di loro?
«Teddy, hai capito! Un lavoro vero e proprio!»
«È-è meraviglioso Nico, bellissimo!»
«Si, lo è» l’aveva abbracciata e le lacrime di lei avevano iniziato a spingere con veemenza «La Germania e fra tanti hanno scelto lui, hanno scelto noi
Teddy aveva alzato gli occhi al cielo, la prima stella vi stava facendo capolino. Ecco: l’amore della sua vita, fra qualche mese, sarebbe stato lontano quasi quanto quel puntino luminoso lassù in cielo, ed era un dolore che non poteva sopportare. L’avrebbe distrutta.
Nicolas aveva avvertito la rigidità del corpo di Teddy e aveva sciolto l’abbraccio, alzandole il viso con un indice per guardarla negli occhi e quelle lacrime calde l’avevano spaventato:
«Scusami» si era velocemente asciugata le guance e aveva provato a sorridere «Sono davvero tanto felice per te! Anzi, per voi. Così tuo padre non sarà più costretto a fare lavoretti umilianti e per quattro soldi»
«Perché dici che sei felice per me … dovresti esserlo anche per te»
Il sorriso di Teddy era stato triste e malinconico, sapeva cosa stava per dirle e lei sapeva ancora meglio cosa gli avrebbe risposto:
«Tu partirai con me. Non avrai creduto che ti avrei lasciata qui, in Cile, da sola?!» le aveva sorriso, ma quel sorriso aveva tremato.
Lei gli aveva poggiato una mano sul cuore, l’aveva sentito battere forte, quindi l’aveva guardato con una dolcezza infinita:
«Nicolas, tu lo sai che i miei non mi lascerebbero mai partire. Sarebbe fin troppo bello, ma sento che la mia vita è qui, proprio dove sono ora»
Romero aveva scosso il capo, poi qualcosa gli era balenato in mente, Teddy l’aveva intuito dalla luce che d’improvviso aveva visto accendersi nei suoi occhi, come una lampadina. Si era chinato a baciarla quasi distrattamente, più per abitudine, quindi le aveva dato appuntamento a più tardi, dicendole di indossare qualcosa di carino, l’avrebbe portata a cena fuori. Era montato in macchina ed era partito sgommando.
 
Durante la cena Nicolas era sembrato lo stesso di sempre, come se ore prima suo zio Hugo non avesse telefonato a casa Romero per comunicare la notizia che poi avrebbe cambiato per sempre la loro vita e (forse) quella di chi gli stava affianco. Una folata di vento caldo aveva scompigliato i lunghi capelli di Teddy, la quale li aveva intrecciati velocemente sul lato destro. Passeggiare mano nella mano con Nicolas era una delle poche cose che riuscivano sempre a calmare le sue ansie, ma quella sera molto probabilmente nulla avrebbe potuto placare il suo cuore impazzito e agitato.
Era da qualche minuto che lui aveva smesso di parlare. Sotto di loro il mare s’infrangeva contro gli scogli e lungo le mura del lungomare. C’era un forte odore salino nell’aria e abbastanza umidità da rendere le temperature appena sopportabili. Nicolas si era poi fermato, prendendo entrambe le mani di Teddy nelle sue:
«Sei splendida!» si era complimentato studiandola in uno dei suoi vestiti preferiti, lungo appena sotto le ginocchia, senza spalline, di un tessuto morbido e dal colore tenue, un rosa chiaro, quasi bianco. Aveva guardato un altro po’ Teddy negli occhi, poi si era allontanato di qualche passo e lei lo aveva osservato interdetta. In sottofondo il mormorio dell’oceano. Senza smettere di guardarla, aveva infilato la mano nella tasca dei jeans e le aveva preso la mano sinistra per infilarle all’anulare un anello. Teddy aveva assistito impassibile, impietrita, le era sembrato di assistere alla scena come se non stesse accadendo proprio a lei:
«Sposami, Teddy. Sposami e vieni via con me»
Solo un sussurro, ma che aveva avuto la forza di quelle onde che incuranti avevano continuato nel loro moto violento.
«No» era stata la risposta secca e crudele di lei «Vai in Germania, vai dove cazzo vuoi, ma io non verrò con te» si era sfilata l’anello e glielo aveva ridato «La mia vita è qui, a Santiago, vicino alla mia famiglia»
«Perdonami, forse sono stato troppo istintivo. Non intendevo subito, pensaci …»
«Devo finire gli studi e laurearmi e … »
«Dopo la laurea, allora. Prenditi il tempo che ti serve …» Nicolas aveva cercato di stringere le sue braccia, ma Teddy prontamente si era allontanata, scuotendo il capo:
«Non hai capito. Io non ci voglio venire con te. Non voglio lasciare questo posto» aveva allargato le braccia, come a voler abbracciare tutta la capitale cilena. Nicolas non aveva smesso per un attimo di guardarla, a differenza di Teddy che distoglieva in continuazione gli occhi da quelli di lui, oramai non più dolci, ma duri e delusi:
«Quindi finisce qui?»
«Sì. Finisce proprio qui»
Si erano osservati per qualche altro secondo ancora, poi l’aveva vista dargli le spalle e incamminarsi, aumentando repentinamente la distanza fra loro, fino a quando un taxi non l’aveva portata via da lui e dalla sua vita.
Nicolas Antonio Romero aveva fissato l’anello nel palmo della sua mano. L’aveva comprato quel pomeriggio stesso, dopo che era passato da lei ad annunciarle la notizia della nuova assunzione di suo padre. Aveva creduto che sposandola i suoi genitori non avrebbero potuto impedirle di raggiungere con lui, con suo marito, la Germania. Si era illuso. Aveva stretto nel pugno quell’anello e l’aveva lanciato nell’oceano, lasciando che il mare e l’oscurità lo inghiottissero senza pietà.
 
«Teddy? Ehi, Teddy!» quando aprì gli occhi si ritrovò il viso di Morena ad una spanna dal suo. Forse si era appisolata, o forse quel ricordo, ancora così nitido nella sua mente, l’aveva mandata in una specie di trance «Ti senti bene?» le chiese la sua amica castana, con una cuffia di silicone color azzurro in testa, a trattenerle i capelli
«Sì, sì. Stavo solo pensando» Teddy si guardò attorno «Ma Grimilde dov’è?» Morena fece spallucce:
«Ha detto che aveva dimenticato una cosa in camera» dopo un attimo di esitazione, Morena proseguì «Ma ci sta provando con Martinez, per caso?» Teddy rise, affermando che temeva proprio di sì e Morena rise con lei «Vorrei essere come lei» nel frattempo Teddy si era tolta la cuffia, massaggiandosi la fronte dove andava a formarsi un cerchio rosso «Non completamente come lei, ma appena un pochino per …» poi sospirò e sentì la mano della sua compagna poggiarsi su una spalla nuda:
«Tu non hai bisogno di essere come Grimilde per ottenere ciò che vuoi. Sei stupenda per quello che sei» Teddy l’aveva guardata negli occhi, provando a trasmetterle la convinzione delle sue parole, ma alla fine aveva ceduto alla curiosità «C’è qualcuno che ti piace?»
Morena le sorrise, arrossendo leggermente, poi le raccontò di Diego Torres e del loro incontro.
 
Grimilde si raggomitolò dietro alla parete, dalla sua posizione poteva assistere agli allenamenti della Federación senza essere notata. Vide il mister consultare l’orologio e portarsi il fischietto alla bocca, per decretare la fine della seduta mattutina di riscaldamento. Senza fretta i giocatori si diressero agli spogliatoi, qualcuno si avviò direttamente all’albergo.  Grimilde attese diversi minuti e quando fu sicura che tutti fossero andati via, uscì allo scoperto, spolverandosi le gambe nude. A passo spedito si avviò agli spogliatoi, quando la porta si aprì, ritrovandosi faccia a faccia con Nicolas.
Accidenti, non ci voleva, pensò.
Lui la guardò accigliato, chiedendole cosa ci facesse lì :
«Cercavo Alex, devo dirgli una cosa importante, sai dove …?»
«Cosa devi dirgli di così importante?» lo scetticismo di Romero era fin troppo palese e, inoltre, non stava facendo nulla per nasconderlo:
«Non te lo posso dire. Riguardaaa … Teddy»
«Teddy?»
Grimilde annuì con un cenno del capo, le dispiaceva mentirgli, tirando in ballo la sua amica che, sapeva, era il suo tallone d’Achille, ma forse il gioco valeva la candela. Nicolas indicò la porta dietro di sé, dicendole che era dentro, negli spogliatoi:
«Non entrare» l’aveva ammonita poi «Se ti beccano potrebbero anche squalificarlo dalla squadra» in realtà non era vero, ma con Grimilde bisognava andarci giù pesante:
«Agli ordini capo!» la ragazza bionda scherzò mimando il saluto militare, sperando di ingannarlo con uno dei suoi sorrisi migliori, quindi rimase con le spalle contro il muro fin quando il ragazzo non sparì all’orizzonte, attese qualche secondo ancora, poi aprì la porta e sgattaiolò all’interno.
 
L’aria qui era fresca e sapeva di bagnoschiuma dai profumi maschili. Grimilde rimase qualche istante sulla soglia della porta, osservando lunghe panche vuote, di ferro, armadietti con le ante chiuse e i raggi del sole che filtravano attraverso finestre piccole e alte. Non si udivano rumori di alcun genere, solo il verso di pennuti lontani e il frinire dei grilli.
Fece qualche passo in avanti e quando chiamò Alex, la sua voce echeggiò nello spazio circostante, rimbombando contro gli armadietti di ferro. Avanzò ancora, continuando a chiedere se ci fosse qualcuno, se Martinez fosse lì, poi la porta alle sue spalle si spalancò e un’ombra si allungò verso di lei. Grimilde voltò lo sguardo all’indietro, riparandosi gli occhi chiari dal sole che si stagliava dietro quella figura.
 
Morena sprofondò nel divano e sbuffò, mentre Teddy le si accomodava accanto, muovendosi rigidamente, come un automa. Si vergognava tremendamente con indosso quel prendisole che la sua carissima amica Grimilde le aveva gentilmente lasciato nell’anticamera dell’idromassaggio, mentre il suo vestito era scomparso, evidentemente preso in prestito dalla biondina che, oltretutto, non era neanche in camera.
«Oh no, no, no!» esclamò Morena, con la testa china a fissare il pavimento levigato, come se ci fosse qualcosa di interessante su una mattonella in particolare «Non venire qua. Non venire qua …» Teddy fece per chiederle cosa diavolo le prendesse, quando qualcuno la precedette:
«Morena, cercavo proprio te»
Entrambe le ragazze alzarono lo sguardo su Diego Torres a pochi centimetri da loro e subito un sorriso malizioso sbocciò sulle labbra di Teddy, al contrario dell’amica che le sedeva di fianco, diventata improvvisamente troppo piccola:
«Potrei parlarti un momento in privato»
«Ehm … no» l’espressione sul viso di Diego e di Teddy fu più o meno la stessa, di puro stupore «Stiamo aspettando l’altra ragazza, quella bionda, e non possiamo muoverci»
«L’aspetto io» l’intromissione di Teddy proprio non l’aveva calcolata, Morena si sarebbe aspettata un’uscita simile da Grimilde, ma non da Teddy che le fece un leggero cenno con gli occhi di seguirlo:
«Oh, perfetto! Mi concedi cinque minuti allora» il pallavolista cileno l’aveva allora invitata ad alzarsi porgendole una mano che Morena non poté rifiutare, un po’ perché sembrava non avere altra scelta, un po’ perché in verità tutto il suo corpo le gridava di afferrarsi a lui. Lo fece. Lanciò un ultimo sguardo accusatore a Teddy e, insieme, si allontanarono verso il bancone del bar.
Teddy li osservò per un po’, felice per la sua compagna, magari quell’esperienza si sarebbe rivelata positiva, almeno per lei, magari avrebbe acquistato un po’ di sicurezza in sé stessa e nelle sue qualità. Un giovane cameriere vestito in bermuda e T-Shirt con il logo del resort adagiò sul tavolino dinnanzi a lei un vassoio con due caffè e una brocca d’acqua, con i cubetti di ghiaccio che vi galleggiavano. Teddy lo ringraziò e prese a zuccherare il suo espresso:
«Li bevi tutti e due?»
Lei sorrise, riconoscendo il padrone di quella voce:
«Oh, Alex! È bello vederti vestito» risero insieme, poi lui prese il posto che poco prima era stato di Morena, quindi bevve in un solo sorso anche il suo caffè, senza zucchero:
«C’è qualcosa fra quei due?» Martinez indicò Torres e Morena, lei seduta su uno sgabello, lui in piedi con i gomiti sul bancone di marmo.
«Forse …» Teddy bevve dalla sua tazzina un piccolo sorso, quando si accorse che Alex la fissava con insistenza «Che c’è?» gli chiese
«Ma quello non è di Grimilde?» ne era certo, era l‘abitino che la bionda indossava quella mattina, quando si era chinata a confessargli di averlo sognato
«Sì, lo è. Diciamo che ha deciso di fare un piccolo scambio di vestiti, senza chiedere il permesso. A proposito, credevo fosse con te» Teddy finì il suo caffè e riadagiò la tazza sul vassoio, senza smettere di guardare il viso del ragazzo, provando a captare ogni piccola contrazione dei muscoli, ma Martinez aveva sempre quell’aria da furbetto e a volte era davvero difficile capire se faceva sul serio o stava solo scherzando:
«E perché Grimilde sarebbe dovuta stare con me?» ecco, era un suo classico quello di rispondere ad una domanda con un’altra domanda:
«Perché sembra che vi mangiate con gli occhi?!» era un circolo vizioso, domanda su
 domanda e Teddy si chiese se avesse mai ottenuto una risposta da quella conversazione. Molto probabilmente no, dato la risata apparentemente schietta di Alex per deviare il discorso, o comunque chiuderlo lì.
 
Grimilde sentì l’irritazione crescerle dentro, mano a mano, e a passi piccoli ma veloci si avvicinò alla figura che era comparsa sulla soglia degli spogliatoi, spingendola all’indietro, adirata. Nicolas la fissava a braccia conserte, scuotendo il capo, i capelli bagnati si andavano asciugando al sole, assumendo una tonalità di castano più chiaro per effetto della luce:
«Sei incredibile!» disse solo, sarcastico. No, Grimilde non sarebbe cambiata mai ed era un vero peccato, perché così facendo si sarebbe potuta far scappare l’amore della sua vita, proprio come aveva fatto la sua amica Teddy sei anni addietro.
«No, tu sei incredibile! Che motivo avevi per dirmi una bugia così … così stupida» Grimilde non aspettò la sua risposta, prese a camminare seguendo il sentiero di mattoni che l’avrebbe ricondotta all’hotel. Nicolas la seguì:
«Devo dirgli qualcosa d’importante» la schernì imitando un tono di voce più o meno femminile «Immagino cosa avevi di così importante da dirgli» sghignazzò e la ragazza davanti a lui si voltò, puntandogli un indice contro, aveva la frangetta appiccicata sulla fronte per il caldo e le gote rosse per la calura, ma anche per la collera:
«Bada a come parli!» Romero sollevò le mani in segno di resa, senza smettere di beffeggiarla con il suo sorriso, poi le chiese:
«Perché indossi il vestito di Teddy?» a quella domanda Grimilde afferrò la palla al balzo, era stato abbastanza ingenuo a chiederle quella cosa:
«Però, che memoria! Ti è bastato vederglielo addosso una sola volta per ricordartene. I miei complimenti, leone!» quando assumeva quel timbro altezzoso e canzonatorio Nicolas quasi la detestava, ma doveva anche ammettere che era stato davvero stupido a farsi un autogol così:
«Ho un ottima memoria fotografica» ampliò il suo sorriso
«Certo, come no! Memoria fotografica …» Grimilde riprese il suo cammino e lui la pedinò fin dentro l’albergo.
 
Era da un po’ che Morena non faceva che mescolare la sua acqua e menta, evitando categoricamente di incrociare gli occhi di Diego, il quale aveva finito il suo succo da un pezzo. Dopo i saluti di circostanza, dopo i classici «come stai? Tutto bene? Questo è proprio un bel posto. Si, è vero, è molto bello …», adesso era calato un imbarazzante silenzio, ma la ragazza aveva la sensazione che l’unica a sentirsi a disagio era solo lei. Torres sembrava piuttosto sicuro di sé, non aveva smesso un attimo di guardarla e questo suo atteggiamento aveva aumentato i propri timori di sbagliare qualcosa, di dire qualcosa di stupido, di sembrare impacciata. Ecco, era in quei momenti che avrebbe voluto avere anche solo metà delle qualità di Grimilde:
«Hai notato, Alex e la tua amica non smettono di guardarci» Morena si voltò indietro e constatò personalmente quello che Diego le aveva appena affermato. Sospirò:
«Già»
Lui tornò ad osservarla, il suo viso tondo era perfetto in ogni sua curva, le ciglia folte facevano da cornice a due grandi occhi dal taglio leggermente asiatico, dai colori caldi e dallo sguardo buono, da cerbiatta. Discese lungo la curva degli zigomi e si soffermò sulle sue labbra,  schiuse e carnose, appena velate di burro cacao. Sembrava triste:
«Morena, ascolta» e lei lo fece, si sforzò di guardarlo, continuare a tenere la testa china sulla sua bevanda verde che, aveva oramai dedotto, non avrebbe mai bevuto, le sembrava da scostumati «Se la mia presenza ti infastidisce in qualche modo, puoi dirmelo, davvero, tranquilla, non mi offendo» le sorrise e attese che gli rispondesse, qualsiasi cosa, per adesso gli bastava sentire la sua voce:
«Ti chiedo scusa» esordì lei, riabbassando lo sguardo, di certo Torres non si era aspettato una frase simile come risposta «No-non sono molto brava nel socializzarmi con gli altri e …» e tu mi piaci avrebbe voluto dirgli, ma ovviamente non lo fece, anche perché le prese le mani nelle sue e la invitò a cenare con lui, quella sera stessa.
Morena lo guardò sgranando gli occhi.
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



Capitolo 6

 
 
Morena guardò la sua immagine riflessa nello specchio e un solo aggettivo le venne in mente osservandosi: ridicola.
Si sciolse il fiocco che le teneva i capelli legati e li lasciò liberi di ricadere sulle spalle, dove le conferivano un po’ più di sicurezza, come un senso di protezione. Istintivamente si alzò la scollatura per cercare di occultare il suo decolté prosperoso, eccessivo per i suoi gusti. Aveva sempre desiderato avere un seno più piccolo, al massimo una terza appena accennata, invece di quella quarta abbondante che tendeva a nascondere con ogni mezzo possibile e immaginario.
Grimilde si avvicinò a lei, roteando gli occhi al soffitto:
«Se lo alzi troppo, fa difetto» disse, sistemandole il top, ma Morena la guardò male, provando a nascondere ancora una volta le sue abbondanze:
«Questo top l’avevo portato per andare in piscina, non per uscirci la sera» Grimilde lo risistemò con tanta pazienza:
«Cambio di programma, baby! Hai un appuntamento stasera» le strizzò l’occhio e raccolse la giacca che Teddy le stava porgendo, aiutando Morena ad indossarla, mentre questa sbuffava, fingendo di essere scocciata, quando in realtà voleva solo cacciare fuori tutta l’ansia che teneva dentro.
La ragazza bionda la voltò verso Teddy, comodamente seduta sul letto, con le gambe incrociate e sorridente. Studiò Morena da capo a fondo e la trovò semplicemente bellissima, peccato che lei non riuscisse a comprendere quanto splendida e femminile fosse con un paio di tacchi, un pantalone un po’ più attillato dei suoi soliti standard, una giacca e un filo di trucco più accurato. Poteva leggere tutto il disagio che stava provando sul suo viso, avrebbe voluto dirle qualcosa, ma conosceva fin troppo bene la sua amica per sapere che qualsiasi cosa le avesse detto per rincuorarla, l’avrebbe presa a male. Eppure Morena la stupì, rivolgendole le sue scuse. Teddy scrollò le spalle:
«Morena la devi smettere di scusarti!» fu Grimilde a rispondere con un certo impeto e quando Morena chinò il capo, con l’espressione di un’atleta sconfitta, Teddy le circondò le spalle, parlandole con dolcezza, non senza ammonire la ragazza bionda con lo sguardo:
«Non pensare a nulla stasera, vai con Diego e divertiti. È la tua serata»
«Si, ma è la tua festa. Siamo venute qui per passare insieme questi giorni e io cosa faccio? Me ne vado con un ragazzo che neanche conosco, che …»
«Santo cielo che palle!» Grimilde l’afferrò per le spalle e la guardò dritto negli occhi «Perché non pensi un po’ a te stessa, ogni tanto? Questo Torres ti piace?» Morena abbassò lo sguardo, ma Grimilde non mollò la presa «Ti piace o no?»
«Sì» la risposta della ragazza fu debole e le sue amiche si lanciarono uno sguardo, sorridendo. Morena era sempre stata molto impacciata nelle relazioni con i ragazzi e questo, spesso, li aveva portati ad allontanarsi, scambiando il suo imbarazzo per rifiuto. A ventidue anni si era innamorata di un ragazzo, con il quale aveva trascorso ben due anni di fidanzamento, più o meno serio, peccato che alla fine aveva scoperto che lui aveva un’altra, segretamente custodita al lato opposto della nazione. Da allora Morena si era chiusa ancor di più a riccio nei confronti del sesso maschile. Era per questo motivo che a Teddy si riempiva il cuore di gioia quando, in passato, assisteva ai battibecchi tra Nicolas e Morena, compiacendosi del fatto che lui fosse l’unico con il quale la sua amica si sentiva a proprio agio. Si, Nicolas Antonio Romero era capace anche di questo, di tirare fuori il meglio dalle persone. Scacciò quei ricordi dalla sua mente e sentì la voce di Grimilde che le sussurrava all’orecchio, attenta affinché Morena non la sentisse:
«Andiamo con lei. Voglio essere certa che non si nasconda da qualche parte quando arriverà Torres».
Teddy le fece il segno dell’ok con le dita e la seguì.
 
La maggior parte degli atleti cileni era nella stanza adiacente al bar, intendi a giocare a biliardo, al calcio balilla, a seguire le notizie sportive che passavano in tv. Il bar, invece, era piuttosto vuoto. Le tre amiche si accomodarono sui divanetti e Morena sospirò, alzando lo sguardo sull’orologio appeso al muro. Era in anticipo, ma quella vocina insistente nella sua testa non smetteva di infastidirla, ricordandole che tanto lui non si sarebbe presentato, che le avrebbe dato buca e che lei avrebbe di nuovo pianto lacrime amare, delusa, non da Diego, ma da sé stessa, per quello che era e per come era. Figuriamoci se uno come lui avrebbe potuto trovarla attraente …
«Scusi signorina, potrei avere l’onore di fare la sua conoscenza?»
Morena alzò lo sguardo, i suoi pensieri erano stati interrotti così bruscamente che si sentiva spaesata, ma il sorriso divertito di Romero fu come uno schiaffo. Era l’ultima persona che voleva la vedesse conciata così. Arrossì e deviò il suo sguardo. Forse era la prima volta che non riusciva a mantenere saldi gli occhi dentro i suoi:
«Idiota!» farneticò a denti stretti e udì i risolini di Grimilde e Nicolas, ma anche quello di Teddy che, nonostante la presenza del suo ex ragazzo, le sembrò abbastanza tranquilla e un po’ si sentì meno in colpa per aver accettato l’invito di Diego.
«Morena, ti ho detto un migliaio di volte che ai complimenti dei ragazzi si risponde con un “grazie” e non con un’offesa» la biondina sghignazzò, beccandosi l’ennesima occhiata di traverso da parte di Morena che si accorse solo in quel momento di aver dimenticato il cellulare in camera. Si alzò con un balzo, ma Grimilde l’arrestò tempestiva «Tu rimani qui. Vado a prendertelo io. Non sia mai che decidi di chiuderti in camera» nuovi risolini, nuova occhiataccia, poi continuò, senza preoccuparsi della presenza di Nicolas «Ah Morena, mi raccomando: qualsiasi cosa voglia Diego, tu accontentalo» Morena avvampò «Qualsiasi» sottolineò alla fine la ragazza bionda, facendole l’occhiolino.
«Non darle retta» Teddy prese la mano di Morena e la fece sedere accanto a lei, mentre Grimilde saltellava fuori dalla sala, il cui posto fu occupato da Nicolas «Diego non ti chiederà niente di sconcertante»
«Ho i miei dubbi» entrambe le ragazze guardarono Romero, gambe accavallate, sorriso canzonatorio sul  volto. Di certo quell’esclamazione non aiutava:
«Perché sei ancora qui, tu?» ecco, la Morena di sempre era tornata, la Morena che tutti conoscevano aveva subito soppiantato la ragazza impaurita di poco prima:
«Ma come? Non sei felice di vedermi?»
«No, per niente» e Nicolas rise, compiaciuto di notare che anche Teddy stava sorridendo.
Si chiese se, come per lui, anche lei stava avendo l’impressione di aver fatto un salto indietro nel tempo. Sapeva che l’indomani sarebbero andate via, ciò che chiedeva era solo fare una lunga chiacchierata con lei, nient’altro.
 
Le porte dell’ascensore si aprirono e Grimilde vi entrò dentro, quindi tastò il numero quattro. Le porte automatiche si richiusero e con uno scatto l’ascensore prese a salire, lentamente. La ragazza sbadigliò, senza coprirsi la bocca e rumorosamente. La sua figura si stagliò nelle pareti dell’ascensore fatte di specchi, come sempre i suoi capelli lisci erano sciolti, lunghi  a metà schiena, con la frangia sulla fronte, indossava una salopette corta in cotone, di un azzurro intenso, che richiamava il colore dei suoi occhi, e una T-Shirt bianca, ai piedi scarpe aperte, senza tacco. Si avvicinò allo specchio sulla destra e si pulì quel poco di matita che era colata sotto gli occhi. Un campanello annunciò che era giunta a destinazione e quando le porte si aprirono, dall’altro lato c’era Alex, con le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa della Federación. Si fissarono, quasi increduli di essersi incontrati a quel modo. Grimilde fu la prima a sorridere, ma non era un sorriso come gli altri, questo suo sorriso la diceva lunga su tutti i pensieri che le stavano attraversando la mente. Le porte automatiche fecero per richiudersi, ma prontamente Martinez le bloccò con una mano, le oltrepassò e questa volta lasciò che si chiudessero alle sue spalle:
«Mi cercavi questa mattina?» lui fece un passo in avanti, mentre Grimilde poggiava la schiena contro lo specchio, nel quale si stava osservando fino a qualche secondo prima:
«Forse …» Martinez prese a giocherellare con quei capelli che da sempre gli ricordavano fili d’oro, fili d’angelo:
«Io invece ti ho cercata» la bocca di Grimilde formò una O «Ero curioso di conoscere il tuo sogno» il sorriso di lei si allargò, mentre con le dita percorreva l’addome del ragazzo che sempre più la stava chiudendo schiacciandola contro la parete:
«In questo sogno c’eravamo solo io e te …» Alex chinò appena il viso su quello candido di Grimilde «Io stavo cavalcioni su di te e..» lui le afferrò le gambe in modo che le potesse chiudere intorno al suo bacino:
« … e?» adesso le loro bocche si sfioravano. Grimilde si aggrappò a lui passandogli le braccia intorno al collo, lo desiderava come si desidera l’aria:
« … e poi mi baciavi il collo …» Martinez sorrise e, proprio come lei aveva appena raccontato, scese lungo il collo scoperto, lasciandole scie di baci lenti e sensuali, in risposta la ragazza gettò la testa all’indietro, per lasciargli maggior agevolezza di movimento «… poi …»
«… e poi decido io» Martinez tornò con le labbra a qualche millimetro dalle sue, lasciando fondere i loro respiri caldi, accarezzandole la coscia nuda con la mano destra. Lentamente Grimilde sollevò le palpebre:
«Ma era il mio sogno» si lagnò, non del tutto cosciente
«Io preferisco la realtà ai sogni» entrambi si sorrisero, prima di divorarsi le labbra a vicenda, facendo schioccare le loro lingue, unite e intrecciate fra loro.
 
Morena tornò a guardare l’orologio alle spalle del barista. Mancavano circa dieci minuti allo scoccare della fatidica ora, ma adesso ciò che la preoccupava era Grimilde. Ci stava mettendo un po’ troppo tempo a riportarle il suo cellulare e inoltre starsene seduta con Teddy da una parte che fingeva di sfogliare una rivista e Nicolas Antonio dall’altra che, senza troppi complimenti, fissava la sua ex con insistenza, non la stava rilassando affatto. Quasi sperò che Diego arrivasse il prima possibile per toglierla da quella situazione. Quando scrutò di nuovo l’ora, Teddy scattò in piedi. Sia Morena che Romero la guardarono:
«Vorrei sapere cosa passa nella testa di quella ragazza» guardò Morena «Tu non ti muovere, torno subito» Teddy non aspettò la risposta della sua amica, si avviò verso l’uscita della sala, scomparendo nel corridoio dell’hotel.
Morena notò che Nicolas la stava guardando di sottecchi, tenendo uno strano sorriso sul viso, si acconciò sul divano e lo guardò male:
«Non dire neanche una parola!» Nicolas si sporse in avanti, diventando stranamente serio:
«Come stai, Morena? Intendo come te la passi? Com’è la tua …» il viso di lei si addolcì:
«Abbastanza bene. E tu? Com’è essere famosi?»
Rimasero a chiacchierare come due vecchi, buoni amici, forse perché infondo lo erano davvero, fin quando Diego Torres non la portò via con sé e, prima che lei si allontanasse troppo, Nicolas le sussurrò di stare tranquilla, Diego era un bravo ragazzo. Morena gli sorrise, annuendo con un cenno del capo.
Ritrovatosi da solo, si chiese che fine avessero fatto Teddy e Grimilde e anche Alex. Senza fretta si alzò e raggiunse l’ascensore, intenzionato a tornare in camera, sita al quarto piano della struttura alberghiera.
 
Nei corridoi vi era uno strano silenzio, inquietante per la verità. Teddy si acconciò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, percorrendo a grandi falcate il pavimento di moquette bordeaux. Non si fidava, non si fidava per niente di quell’insolito mutismo, è come se tutto era in attesa di qualcosa, non riusciva ancora a capire bene cosa, ma sicuramente l’atmosfera che si respirava in quel momento era surreale.
Rimase qualche secondo a fissare la porta della camera che le sue amiche avevano fittato per quel week end, con le buone intenzioni di farle una sorpresa e ci erano riuscite, anche se la loro idea di sorpresa doveva esser stata lungi da quella che, alla fine, aveva vissuto.
La porta era chiusa. Ma allora dove era finita Grimilde? Che fosse tornata in sala, magari facendo le scale?
Teddy lo escluse, la sua amica non era una di quelle persone che prediligono le scale quando c’è un ascensore funzionante a qualche metro, almeno ché non sia per una qualche emergenza. Alzò il pugno e lo arrestò a mezz’aria, ascoltando il battito accelerato del suo cuore. Una strana tensione le stava percorrendo tutto il corpo, ma perché?
“Sei una stupida, Teddy!” disse a sé stessa “Proprio una stupida!”
Bussò un paio di volte sulla porta e attese. Nulla. Nessuna risposta. Quando fece per battere di nuovo la mano contro la porta della camera, questa si aprì appena e il viso di Grimilde ne fece capolino. Teddy si sentì momentaneamente sollevata e si portò la mani sui fianchi:
«Ah, ma allora sei viva!» fece per oltrepassare l’uscio della stanza, ma la ragazza bionda le barrò la strada, a coprirla un lenzuolo bianco che le lasciava un lungo strascico ai suoi piedi nudi:
«Non puoi entrare» disse con tutta la naturalezza di questo mondo, Teddy si accigliò:
«Cosa significa “non puoi entrare”?»
«Cheee … non puoi entrare?!» il suo tono era quasi irrisorio, le due ragazze si guardarono per un attimo, poi la biondina aggiunse «Bye bye!» accompagnò il saluto con un gran sorriso e un cenno della mano, quindi le chiuse la porta in faccia.
Teddy quasi sobbalzò al click metallico della serratura, mentre sentiva una certa irritazione montarle dentro, lentamente ma inesorabilmente. Smossa da quella rabbia improvvisa batté entrambi i palmi contro la porta, urlando alla sua amica di aprire immediatamente, o avrebbe chiesto una copia della chiave elettronica alla reception.
Tutto inutile, la porta rimase chiusa.
 
Diego Torres scostò la sedia dal tavolo e sorrise a Morena, evidentemente imbarazzata. Lei avrebbe voluto dirgli che ce la faceva benissimo da sola a spostare la sedia e a sedersi, ma le parole di Grimilde «quando un ragazzo ti fa un complimento si risponde con un grazie» le balenarono nella mente e si sforzò di sorridere, accomodandosi evitando di incespicare nei suoi stessi piedi e, soprattutto, di ringraziare senza balbettare. Ci riuscì e quando lui fece il giro del tavolo per sedersi di fronte a lei, ne approfittò per tirare un lungo sospiro di sollievo.
Diego le sorrise con dolcezza, dal suo sguardo Morena intuì che era perfettamente a proprio agio e si rimproverò mentalmente per tutte quelle paranoie che si susseguivano dentro di sé. Distolse gli occhi da quelli del pallavolista a meno di un metro di distanza, desiderando che le sue amiche fossero lì, magari che ci fossero anche Nicolas e Alex, cosicché tutte le attenzioni di Torres non fossero concentrate su di lei.
Il panorama che si estendeva a perdita d’occhio sotto di loro deviò per un attimo i suoi pensieri ansiosi. Quando Diego l’aveva invitata a cena non pensava che l’avrebbero consumata all’interno del resort stesso e questo un pochino l’aveva rincuorata. Il terrazzo (lo stesso dove Nicolas e Teddy avevano avuto il primo e unico incontro ravvicinato) era riservato per loro, gli altri tavolini erano sgombri, il dondolo alle sue spalle era immobile, come l’aria che respiravano. I lampioni, in stile inglese degli anni ’40, gettavano una fioca luce che creava giochi d’ombra suggestivi. Oltre il parapetto tutta la maestosità della città, con le sue luci e i suoi grattacieli, all’orizzonte l’oceano Pacifico illuminato dal pallore della luna piena.
«Parlami di te.»
Morena tornò a guardarlo, tra di loro la fiamma di una candela. Davvero gli interessava sapere di lei? Ma la sua vita era noiosa, lei era noiosa …
«Parlami delle tue amiche, o di come hai conosciuto Romero e Martinez, ma ti prego, dì qualcosa» e lei sorrise, perché raccontare di Teddy e Grimilde era più facile che parlare della sua vita in modo specifico.
Diego si rilassò contro lo schienale della sedia, ascoltando gli aneddoti che quella ragazza gli sciorinò, in maniera così genuina e con la dolcezza di una persona che darebbe la vita per le sue amiche. Morena non poteva saperlo, ma in quel caso la sua timidezza era, in realtà, una delle sue armi migliori.
 
Teddy batté l’ennesimo colpo contro la porta, sfogando la sua rabbia con la malcapitata, desiderando che Morena non avesse accettato quell’invito, almeno a quest’ora sarebbe stata lì con lei a tenerle compagnia. Quel pensiero la fece adirare ancor di più, che razza di amica era a non voler il meglio per una delle sue compagne più care? L’altra invece se ne stava rinchiusa nella loro stanza, per qualche arcano motivo:
«Accidenti a te, Grimilde! Apri subito!» altri schiaffi alla porta «E meno male che era la mia festa di addio al nubilato! Hai sentito quello che ho detto? Eh? Hai sentito o …» la porta si spalancò e Teddy arrestò tempestivamente i suoi pugni, prima che potessero sbattere contro un addome nudo, maschile. Lentamente lo guardò in viso e tutta la collera che provava le fece ribollire il sangue nelle vene:
«Martinez! Oddio tu e … oddio!» lui le sorrise divertito, coprendo le sue nudità con un cuscino e quando Teddy se ne rese conto arrossì vistosamente, voltandosi immediatamente di spalle «Alex, santo cielo! Sei nudo!» e lo sentì ridacchiare
«Grimilde ha pensato che se ti avessi aperto io, avresti smesso di … rompere. Questo è stato il termine che ha usato. E noi avremmo potuto proseguire con …»
«Per l’amore del cielo non aggiungere altro!»
La risata spontanea e cristallina di Nicolas echeggiò forte in tutto il corridoio. Sia Teddy, sia Martinez lo videro arrivare, oltrepassò la ragazza di qualche centimetro per guardare dritto in faccia il suo amico e riprese a ridere:
«Grimilde è dentro?» chiese fra le risa e Martinez annuì «Complimenti ragazza, alla fine ce l’hai fatta!» urlò mettendosi le mani a coppa intorno alla bocca
«Vai a farti fottere Nicolas!» fu la risposta della biondina dall’interno della camera.
Teddy scosse il capo, farfugliando qualcosa di incomprensibile, poi sentì Nicolas chiedere a Martinez la carta magnetica della loro stanza, senza voltarsi indietro intuì che il giocatore cileno doveva esser scappato a prenderla per darla a Nicolas, poi si rivolse a lei:
«Teddy, questa notte rimango qui, ok?» la ragazza si voltò indietro, incurante del fatto che Alex fosse praticamente nudo, se non per un cuscino sul suo membro:
«E io dove dovrei …»
«Puoi stare nella mia stanza …» la interruppe facendole l’occhiolino e chiuse la porta. Teddy ricominciò a prenderla a pugni.
La sua stanza? Ma non era la stessa di Nicolas Antonio?
Quest’ultimo l’allontanò dalla porta, senza smettere di sorridere divertito:
«Dai vieni, è inutile. Lasciali stare» quando Teddy non arrivò più a colpire la porta con le mani, sferrò un calcio, avvertendo un fastidioso formicolio lungo la coscia destra:
«Io resto qui» disse poi, scivolando con la schiena contro il muro, nel corridoio perpendicolare a quello dove era posizionata la sua – oramai ex – stanza.  
Nicolas la vide prendersi la testa fra le mani e sospirò, il sorriso era scemato dal suo volto.  Muovendosi con circoscrizione si accomodò sul pavimento, di fronte al primo amore della sua vita. Aveva chiesto solo un’opportunità per stare un po’ da solo con lei e, adesso che ce l’aveva, non riusciva più a ricordare cosa aveva avuto bisogno di dirle.
Era proprio vero, bisognava stare attenti a quello che si chiedeva pregando, perché si sarebbe potuto avverare.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Quella brezza proveniente dal mare sapeva di salsedine ed era così tiepida sulla sua pelle, così delicata, come seta, procurandole un dolce brivido che correva lungo la schiena, diramandosi in ogni angolo del suo corpo. O forse erano solo le sue carezze a trasmetterle tutte quelle sensazioni? Percepiva appena il tocco morbido delle dita sul viso, eppure avevano la forza di scuoterla tutta, come lo stelo di un fiore in balia di un timido soffio. Quando Morena si era alzata per ammirare il panorama che si espandeva al di sotto di quel terrazzo, lo aveva fatto per riprendere fiato, per prendersi una pausa dallo sguardo insistente di Diego, ma questi l’aveva seguita silenzioso, come un predatore, togliendole dal viso i capelli che svolazzavano smossi dal venticello marino. Lei lo aveva guardato di soppiatto, pallida, o forse era la luna che aveva lavato via i colori dal suo volto, facendole brillare gli occhi. Poi quelle stesse dita erano scivolate lungo lo zigomo e la voglia di quelle labbra era aumentata, era diventata forte, troppo forte, quasi insistente. La sua mente non faceva che urlargli di farlo, di baciarla, con la luna a fare da testimone. Morena si voltò completamente verso di lui, oramai non sentiva nemmeno più i battiti del suo cuore, credeva che questi avrebbe scalciato nel petto come un ossesso, invece sembrava in trepidante attesa. Torres le scostò i capelli dal volto con entrambe le mani, scrutando il suo viso, i suoi occhi castani scintillanti, la sua bocca schiusa. Si chinò in avanti, per inebriarsi del suo dolce profumo che gli aveva solleticato il naso per tutta la serata e la vide socchiudere le palpebre:
«Romero mi ha minacciato» Morena riaprì gli occhi, non era proprio quello che si era aspettata «Mi ha detto che se ti avessi offesa in qualche modo, mi avrebbe fatto a pezzi. Lui e Martinez …» altro momento di silenzio, poi aggiunse «Quindi adesso ho un po’ di paura a fare quello che sto per fare …» Morena accennò un sorriso e gli accarezzo il viso, pizzicandosi con la sua barbetta ispida, parlandogli a qualche millimetro dalle sue labbra:
«Potrei offendermi se non lo facessi …» sentì quelle labbra distendersi in un sorrisino, poi si adagiarono sulle proprie, così delicate, così dolci.
 
Il motivo per cui Grimilde amava i resort di lusso risiedeva nel fatto che mettevano a disposizione del cliente ogni confort possibile e immaginabile. La vasca da bagno, ad esempio, era uno di questi. Alexander Martinez da un po’ la stringeva a sé, con le braccia chiuse intorno alla vita, mentre le labbra continuavano a lenirle il collo umido e dalla pelle cerea. Grimilde adagiò il capo sulla sua spalla, tenendo gli occhi chiusi, godendosi fino in fondo le attenzioni che il ragazzo le stava riservando, quelle coccole inaspettate insomma, dopo una rovente passione che li aveva travolti e trascinati dall’ascensore alla camera fittata per quel week end. Quando la porta si era chiusa alle loro spalle, Martinez l’aveva presa di peso e messa a sedere sul comò all’entrata, dove un vaso si era rovesciato, spargendo sul pavimento i fiori freschi e l’acqua. Si erano spogliati a vicenda, provando entrambi una piacevole urgenza di possedere l’uno il corpo dell’altra e, per la prima volta, avevano fatto l’amore su quel mobile e quando lui era arrivato all’orgasmo dopo poco, Grimilde non aveva esitato a punzecchiarlo, sentendo ancora il suo respiro caldo contro la pelle del viso:
«Hai già finito?» Martinez aveva sorriso sornione:
«Ti piacerebbe …» era stata la sua risposta, poi l’aveva afferrata per le gambe, serrate intorno al proprio bacino, e insieme si erano distesi sul letto, perdendosi ancora una volta nell’estasi del piacere. Quando Teddy aveva bussato alla porta avevano già deciso di rilassarsi con un bagno terapeutico.
Martinez aumentò di poco la stretta intorno al fisico magrolino di Grimilde, senza paura di poterle far del male. Nonostante il suo aspetto, infatti, lui sapeva benissimo che la sua amica era piuttosto coriacea, nel fisico e nello spirito. Le sfiorò uno dei suoi piccoli seni, occultati dalla spuma bianca e la sentì sussultare. Sorrise e lei lo guardò, abbozzando un sorriso stentato. Alex smise di lambirle il collo e sospirò:
«Qualcosa non va? Ti stai forse pentendo di aver …»
«Solo una pazza si pentirebbe di aver fatto l’amore con te» ed era vero, o almeno lo era nel modo in cui la vedeva e la pensava Grimilde, che forse non aveva mai desiderato un uomo come aveva agognato il fisico di Alexander Martinez, e non perché lui era un atleta con una certa notorietà, Grimilde non badava a queste cose. Aveva un debole per quel ragazzo che adesso la teneva stretta a sé da tempo immemorabile e non era stato un colpo di fulmine con Alex, piuttosto quel feeling era nato nel tempo, poi lui era andato via per seguire la sua enorme passione, la pallavolo, un po’ come era accaduto a Nicolas Antonio.
«Si, ma qualcosa ti turba. È per Teddy?» la voce pacata di Alex la ridestò da quei pensieri e si ritrovò ad annuire «Scambiare due chiacchiere con Romeso non le farà male, chissà, magari potrebbero tornare insieme» Grimilde cacciò fuori tutta l’ansia che provava al pensiero che quei due avrebbero trascorso una notte da soli:
«Teddy sta per sposarsi, non farebbe mai nulla che potrebbe offendere Marcelo. La conosco bene»
«Forse hai ragione tu» rimasero qualche minuto in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri, così tanti, così incoerenti, così incerti. Di una cosa però erano sicuri in quel momento: quella notte era l’unica che il destino stava concedendo loro e sfruttarla fino allo sfinimento era l’unico modo che avevano per ringraziare. Le mani di lui si mossero, risalendo dal ventre fino ai seni, poi di nuovo giù, arrestandosi appena oltre l’ombelico. Grimilde avvertì un brivido correrle lungo la spina dorsale che divampò quando fissò i suoi occhi azzurri in quelli di Alex, scuri e canzonatori, il quale la baciò con ardore. Sorreggendosi a lui, si distese di schiena contro il bordo della vasca, poi Martinez le fu sopra, l’acqua fuoriuscì inzuppando il pavimento. Ancora una volta i loro sguardi si incontrarono, complici, desiderosi, vogliosi. Con una sorta di ghigno che sembrava voler dire «sei mia», Alex la penetrò e, di nuovo, si amarono.
 
“Follia. Pura follia”.
Fu il pensiero che attraversò la mente di Nicolas, adesso conscio del fatto che Teddy non era più la persona che aveva amato, non era più l’adolescente ingenua che sentiva di dover proteggere da tutti e da tutto, dal mondo intero. Era cresciuta, la sua Teddy, era diventata una donna – una bellissima donna – e quel caschetto di capelli lisci, per lui, ne era un po’ la prova concreta. Teddy gli era di fronte, con la schiena contro il muro e le ginocchia strette al petto, la fronte poggiata alle braccia, il viso nascosto. Nicolas Antonio la osservava da un pezzo ormai, non avrebbe saputo dire precisamente quanto tempo era trascorso da quando si erano seduti l’uno dinnanzi all’altro, sapeva solo che lei non aveva più aperto bocca e lui era stato più volte sul punto di intraprendere un argomento, ma alla fine le parole gli si erano bloccate in gola e ci aveva rinunciato. Romero lanciò un’ultima occhiata a Teddy, ma questa era immobile sempre nella stessa posizione, poi sbuffò e si alzò, raggiungendo l’ampia finestra in fondo al corridoio, con le spalle leggermente ricurve e le mani nelle tasche. Il cielo era illuminato da una luna piena solo per tra quarti e le stelle, se c’erano, erano occultate dalle prepotenti luci della città. Con un movimento lento del capo Teddy lo sbirciò con la coda dell’occhio e una grande apprensione nel cuore.
Perché non riusciva a parlargli? Perché non riusciva a guardarlo in viso? Perché aveva dovuto rincontrarlo proprio adesso, a qualche settimana dal suo matrimonio?
Lo osservò alzare gli occhi alla luna e per un attimo lo rivide così come era a sedici anni, senza barbetta, con i capelli scompigliati, senza tatuaggi sulle braccia, ma un ragazzino imberbe dallo sguardo impertinente e un sorriso furbetto. Involontariamente le labbra le si distesero in un sorrisetto malinconico. D’improvviso Nicolas si voltò indietro:
«Ehi, Teddy! Vieni qui, vieni a vedere!» le fece cenno di raggiungerlo con la mano, sorridendo divertito. Lì per lì Teddy rimase imbambolata, poi si issò sulle gambe e con passo crescente lo affiancò, guardando nella direzione indicatale dal ragazzo, il quale le passò un braccio dietro la schiena e l’attirò appena appena a sé, per permetterle una visuale migliore. Quel contatto annebbiò per qualche secondo la mente di Teddy, pur sapendo che quel gesto non significava nulla, che lui l’aveva fatto d’istinto, ma inesorabilmente il suo profumo le cancellò ogni lucidità, ogni ragione. Solo l’immagine di Diego Torres avvinghiato a Morena, impegnati in un bacio passionale, risvegliò Teddy come uno schiaffo. Posò le mani contro i vetri freschi della finestra, sogghignando, felice per la sua amica:
«E brava Morena!» esclamò Nicolas, con una certa malizia nella voce e Teddy gli diede una leggera gomitata:
«Smettila! Sono dolcissimi» replicò lei, continuando a tenere gli occhi puntati su quei due
«Oh, si, dolcissimi! Anche le mani di Torres schiacciate sulle chiappe di Morena per tenerla stretta a lui è dolce?!»
Teddy gli lanciò un’occhiataccia e incontrò il suo sguardo allusivo, poi si sorrisero e lei tornò a guardare oltre la finestra la sua amica e il suo nuovo amichetto, sospirò e disse:
«Non è molto carino continuare a spiarli» Nicolas la osservò di sottecchi, in attesa, poi la vide lasciar scivolare le mani dai vetri lungo il corpo «Forse dovremmo andare a dormire» evitò di voltarsi e incrociare i suoi occhi, lo sentì solo rispondere:
«Già …» Romero lanciò un ultimissimo sguardo a Morena e Diego, quindi s’incamminò lungo il corridoio, percorrendolo a ritroso. Sentì i passi leggeri e incerti di Teddy che lo seguivano, ma non si voltò a guardarla in viso, né lei aggiunse altro, neanche quando lui aprì la porta della camera e la invitò ad entrare, scusandosi in anticipo per il gran disordine. Teddy fece un risolino nervoso e si strinse nel suo stesso abbraccio, sentendo la porta chiudersi alle sue spalle e avvertendo l’imminente bisogno di una sigaretta.
Mai come in quel momento sentiva il bisogno delle sue amiche: di Morena e della sua invidiabile saggezza, di Grimilde e della sua capacità di adattamento alle situazione, anche quelle più terrificanti e, per quello che la riguardava, la situazione in cui si era andata a cacciare era davvero difficile.
La sigaretta si stava consumando senza che lei la fumasse, troppo presa dai suoi pensieri, dai continui tormenti della mente che non smetteva di chiederle quanto potesse valere una notte, una notte soltanto, nel grande schema della vita. Era un po’ come aggiungere una goccia d’acqua all’oceano, o un granellino alla sabbia. Ma, chissà il perché, quelle metafore non la convincevano poi così tanto.
Tirò una lunga boccata di fumo e sentì quel sapore amarognolo invaderle la bocca, mentre un leggero vento spirava dal mare, caldo e paziente. Il cellulare vibrò nella tasca destra dei suoi bermuda e leggendo il nome di Marcelo lampeggiare sul display sospirò, sforzandosi di rispondere con voce allegra e spensierata. Rise alle sue battute, assentì con dolcezza alle sue parole amorevoli, finse ingenuità alle sue frasi ambigue e lo sentì ridere all’altro capo del telefono. Quando si augurarono la buona notte, Teddy rimase ancora un po’ sul balcone a veder spegnere la sigaretta che aveva buttato di sotto, poi si disse che era tempo di tornare dentro.
Qui l’aria era un po’ meno calda che fuori e fu sollevata di appurare che Nicolas Antonio era ancora in bagno, dove l’acqua della doccia scrosciava con forza. Teddy si mosse come una ladra e si sentì stupida per questo. Vagò con lo sguardo  per la stanza, non era come quella in cui aveva dormito con le ragazze, questa era più piccola e sul lato sinistro si apriva, ad arco, un’altra entrata, priva di porta: Nicolas le aveva spiegato che lì era dove dormiva lui. Con il cuore in gola si mosse in quella direzione, le gambe pesanti avanzavano quasi di propria volontà, portandola a varcare la soglia da cui non riusciva a staccare gli occhi.
Il letto era sfatto e alcuni capi d’abbigliamento, per lo più magliette e pantaloni estivi, erano sparsi un po’ dappertutto. La poca luce che vi era penetrava dal balcone con le ante spalancate e Teddy si meravigliò di notare come la luna fosse giusto al centro, illuminando l’ambiente circostante con la sua fioca e fredda luce bianca. Si addentrò maggiormente nella penombra e la sua attenzione fu letteralmente attratta da una foto posata sul comò accanto al letto. Come una preda attirata nella trappola del cacciatore, avanzò ancora e prese quel portafoto fra le mani.
 
La prima volta che avevano fatto l’amore era stato a casa di Teddy, nella sua cameretta immacolata, con le tende color glicine e le pareti dipinte di rosa. Ovunque foto di Teddy: foto di Teddy il primo giorno di asilo; foto di Teddy alla recita di fine anno; foto di Teddy il primo giorno di scuola; foto di Teddy alla prima Comunione; foto di Teddy al suo quattordicesimo compleanno; foto di Teddy a danza. Nicolas l’aveva presa in giro per un buon quarto d’ora, ridendo delle assurde acconciature a cui la mamma la sottoponeva da bambina, ridendo delle gonne a pois, larghe e plissettate, ridendo del suo tutù da ballerina di danza classica. Teddy l’aveva lasciato a sbellicarsi dalle risate davanti a tutte quelle foto sparse qua e là per la sua stanza, ma quando era tornata, con un vassoio ricolmo di biscotti e tè freddo al limone, si era stupita di vederlo scrutare serio alcune foto di quando era bambina. Aveva adagiato il vassoio sulla scrivania, accanto ad una pila di libri, e l’aveva osservato con le braccia conserte, aspettando che fosse lui il primo a parlare e Romero lo aveva fatto. Parlò per primo, spostando gli occhi su di lei e sfiorandole una guancia con il dorso delle dita. Era da più di un anno che stavano insieme, tuttavia ogni volta Teddy si meravigliava della dolcezza di cui era capace, a dispetto della sua apparenza insolente:
«Un giorno anche nostro figlio avrà una stanza con tutte le sue foto.»
Teddy aveva sorriso, mentre un unico pensiero si stava insinuando con violenza dentro la sua testa: erano soli, i suoi genitori erano via per un lutto di famiglia e non sarebbero rientrati di lì a qualche giorno. Gli aveva allora preso il viso fra le mani e l’aveva attirato a sé, baciandolo da subito con ardore, con l’intento di trasmettergli i suoi programmi, le sue voglie, le sue paure. Nicolas Antonio l’aveva sospinta sul letto e, lentamente, si erano fusi in un unico corpo. Per la prima volta Teddy si era concessa ad un uomo e, la sua prima volta, era stata proprio con lui.
 
Totalmente persa in quel ricordo Teddy non avvertì il suo incedere alle spalle e inevitabilmente sobbalzò udendo la sua voce:
«Poteva essere tuo figlio» il suo tono era greve, eppure vi aleggiava una certa malinconia.
Teddy posò velocemente il portafoto dove l’aveva trovato, imbarazzata come una bambina beccata a fare una marachella. Avrebbe voluto tanto smettere di fissare quella cornice, ma non ci riusciva, era come miele per gli orsi, come un pezzetto di formaggio che attirava i topi in trappola, ed era proprio così che si sentiva in quel momento.
Un topo in trappola, senza via di fuga.
Avrebbe pagato oro pur di smettere di guardare quella foto che ritraeva una giovane donna bionda, con un bambino di qualche anno fra le braccia, e solo un cieco non avrebbe notato la spudorata somiglianza con il pallavolista al suo fianco.
Vuota. Ecco come si sentiva adesso. Vuota.
Senza più desideri, senza più ansie, senza più timori e questo, incredibile a dirsi, era anche peggio di provar paura, di provar tutte quelle sensazioni contrastanti che erano riaffiorate quando lo aveva visto, o quando lo aveva avuto vicino.
«Scusa. Se avessi saputo che avresti dormito qui l’avrei nascosta»
«Perché? Credi che io avrei tolto la foto di mio marito con mio figlio per te?» quanta acidità in una domanda, quanto rancore, eppure lui non smetteva di guardarla pacato, ma infondo questo era Nicolas Antonio Romero, incapace a provar risentimento verso il prossimo, anche verso di lei che lo aveva deluso e fatto soffrire:
«Lo ami Teddy?» lei lo fissò senza rispondere, senza sapere di preciso a cosa si riferisse, poi lo vide spostare lo sguardo su quella foto «Ami l’uomo che stai per sposare?»
«E tu? Tu la ami?» gli chiese, indicando la ragazza ritratta nella foto, così sorridente, così solare. Nicolas tornò a guardarla, il suo sguardo era fermo:
«Sì.»
Era la risposta più ovvia, la più logica, la più scontata che avrebbe potuto dare, era pronta, doveva essere pronta, ma probabilmente non si è mai pronti abbastanza per certe cose. Teddy chinò il capo e fece per uscire da quella camera divenuta troppo piccola per lei, troppo stretta, come se le pareti la stessero schiacciando:
«Ti avevo chiesto di venire con me. Ti avevo chiesto di sposarmi, ma tu hai scelto di non farlo» la voce di Nicolas aveva una calma surreale e nonostante desiderasse solo allontanarsi al più presto da lui, le gambe di Teddy si arrestarono appena prima di oltrepassare la soglia ad arco «Io ti amavo Teodorita Gomez, ma forse tu non mi amavi abbastanza».
Teddy accennò un sorrisetto cinico, scrollò le spalle e si chiuse in bagno.
 
Improvvisamente quel silenzio era irritante. Teddy poteva anche esser cambiata fisicamente, con i capelli tagliati e lo sguardo più adulto, ma da quel punto di vista rimaneva sempre la stessa adolescente che preferiva fare una scrollata di spalle e fingere indifferenza di fronte alle situazioni complesse, piuttosto che affrontarle a viso aperto e questa caratteristica del suo essere Romero l’aveva sempre detestata. Avrebbe preferito che si fosse messa ad urlare svegliando tutto il piano dell’albergo, che lo avrebbe preso a schiaffi, che lo avrebbe riempito di insulti o di frasi senza senso, ma che avrebbero affrontato quella conversazione che se ne era stata in incubatrice per sei lunghi anni, irrisolta.
Rimasto solo con la sua rabbia si sedette a bordo del letto, con i pugni uniti sotto il mento a sorreggergli il capo. Mosse gli occhi per guardare la foto alla sua destra, mentre quella brezza calda gli solleticava la nuca e le braccia scoperte.
«Io ti amavo Teodorita Gomez, ma forse tu non mi amavi abbastanza»
E lo pensava davvero e quel pensiero non gli aveva permesso di dormire sonni tranquilli per parecchi mesi. Anche durante quei quattro anni di fidanzamento, a volte aveva avuto quella sensazione, ma ogni qual volta glielo faceva notare Teddy rideva, prendendosi un po’ gioco di lui. Ricordava perfettamente la prima volta che le aveva aperto il suo cuore, sussurrandole le fatidiche due parole, dalle quali non si scappa, dalle quali non si può tornare indietro: ti amo.
Quella sera erano usciti a cena per il loro settimo mese insieme. In macchina aleggiava uno strano mutismo, colmo di pace e tranquillità, sebbene per tutta la serata nella mente di Nicolas quelle due paroline non gli avevano dato tregua. Quando aveva spento il motore della macchina davanti la casa di Teddy, questa le aveva sorriso e augurato la buona notte, chinandosi a lasciargli il consueto bacio di saluto, ma lui aveva trattenuto ancora un po’ le loro bocche vicine, toccandole il viso, fissando i suoi occhi in quelli spauriti di Teddy. Forse immaginava quello che stava per accadere e la cosa la spaventava:
«Te amo Teodorita Gomez» le aveva sussurrato, pronunciando quella frase con tutta la semplicità del mondo.
Teddy era rimasta impalata a fissarlo, poi l’aveva baciato fugacemente ed era fuggita dalla macchina, scomparendo oltre la porta di casa sua. Nicolas Antonio non era rimasto poi tanto male, oramai si era abituato a quelle reazioni inusuali e, come sospettava, il giorno dopo lei finse che non fosse accaduto nulla.
Si sdraiò supino sul letto, con le lenzuola stropicciate gettate a casaccio, portandosi le braccia dietro il collo, fissò il soffitto senza vederlo davvero.
Cosa avrebbe dovuto fare adesso? Cosa avrebbe dovuto dirle?
Aveva due opzioni a sua disposizione: o decideva di lasciar perdere tutto, infondo l’indomani Teddy sarebbe stata di nuovo lontana, oppure affrontava l’argomento con lei, costringendola, legandola ad una sedia se ce ne fosse stato bisogno. Sbuffò, consapevole che le cose che a volte ci vengono presentate come scelte non sono scelte per niente.
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


 
«Io ti amavo Teodorita Gomez, ma forse tu non mi amavi abbastanza»
Sua madre le rimproverava sempre di dover imparare a chiedere perdono, ammettendo i propri sbagli e riconoscendo i suoi limiti, ma per Teddy mettere a nudo le proprie debolezze era un vero sacrificio che non era disposta a fare.
Nel bagno dove si era chiusa - dopo il breve dialogo con Nicolas - aleggiava il vapore dovuto alla doccia calda che il ragazzo aveva fatto poco prima. Teddy sentì l’umidità impregnarle la pelle e i capelli, socchiudendo gli occhi inspirò a fondo quel profumo di bagnoschiuma che gli aveva sentito addosso più di una volta in quelle ultime ore trascorse nello stesso albergo. Era un buon odore, da maschio, ma non eccessivo o fastidioso, come quello che a volte si espandeva nella casa che divideva con Marcelo, quello del suo dopobarba che a Teddy poco piaceva. A dire il vero glielo aveva fatto notare più volte, ma lui le aveva sempre risposto con un sorriso beffardo, affermando che una donna, certe cose da uomini, non le avrebbe mai capite.
Una volta, quando era la fidanzata di Nicolas, questi aveva comprato un profumo che lei trovava terrificante. Non sapeva di preciso che fine avesse fatto quella boccetta di profumo, ma non glielo sentì mai più addosso.
Avvertì le lacrime bruciarle gli occhi e un nodo stringerle la gola, come se due mani la volessero strangolare. Guardò verso l’alto quel fumo bianco che andava diramandosi e rimase a fissarlo fin quando riuscì a fronteggiare la voglia di piangere, poi si chinò sul lavabo per lavarsi il volto con l’acqua fresca. Si fissò nello specchio, ma vide solo un’immagine informe e velata attraverso l’alone di umidità che vi si era posata. Fece un bel respiro profondo e uscì dal bagno, sperando con tutto il cuore che Nicolas si fosse addormentato.
 
Grimilde sollevò piano le palpebre pesanti. Si era appisolata e, in quel momento, non ricordò neppure quando fosse accaduto di esser sprofondata nel mondo dei sogni. Avvertì una leggera pressione intorno al giro vita, mentre le dita della sua mano erano intrecciate a quelle di un’altra. Era due volte più grande della sua, quella mano, e anche nella penombra le loro tonalità di carnagione stridevano come il giorno e la notte, ma c’era il fatto che tenerla stretta sul cuore le conferiva una strana sensazione di protezione, qualcosa che forse non aveva mai provato con nessuno dei precedenti amanti con cui aveva dormito.
Un po’ a malincuore lasciò scivolare le sue dita, sottili e bianche, da quelle di lui, un po’ tozze e olivastre, poi si girò nel suo abbraccio, con delicatezza, attenta a non disturbare il sonno del suo amico.
Il viso di Alex era a pochi centimetri, aveva un’espressione rilassata e serena, gli occhi chiusi e le labbra morbide, rilassate. A Grimilde ricordò un bambino un po’ troppo cresciuto, uno di quei diavoletti di giorno, con un sorrisino ambiguo sempre stampato sul volto, ma che addormentandosi assumono le sembianze di angioletti. E fu proprio questo il primo pensiero di Grimilde osservandolo: sembra un angioletto.
Con la punta dell’indice gli sfiorò la guancia e immediatamente ritrasse la mano per levarsi via dallo zigomo una lacrima che ne aveva fatto capolino. Sconcertata da quell’inesorabile cascata di lacrime che non riusciva a contenere nascose il viso contro il petto di Martinez e pianse lacrime silenti.
 
I capelli di Diego erano crespi, duri al tatto, ma non per questo Morena si lasciò scoraggiare. Continuò a carezzarglieli, mentre lui teneva la testa adagiata sul suo grembo, sdraiato sul dondolo alle spalle del tavolo dove avevano cenato, ancora colmo dei cibi e delle bevande che avevano consumato. La mano sinistra di Morena, quella che non era impegnata a massaggiargli i capelli, rispondeva in automatico agli incitamenti di quella di Diego, stuzzicandosi e giocherellando.
Torres la guardò dal basso, perdendosi in quei due occhioni castani in cui le luci dei lampioni al neon si riflettevano, striando i capelli, mossi dal venticello marino, di venature più chiare, in un particolare gioco di ombre e conferendole un’aurea quasi mitologica. Morena aveva lo sguardo puntato sull’oceano, la sua era una presenza fiera, da donna matura.
Lui si portò la sua mano alle labbra e le posò un bacio sul dorso, lasciando che quel tocco durasse qualche secondo in più. Quando tornò a guardarla vide che gli stava sorridendo con dolcezza:
«A cosa pensi?» le chiese e le vide le guance colorirsi appena, chinando il capo per non incontrare il suo sguardo:
«Pensavo al fatto che … sono stata bene questa sera»
Diego ebbe un guizzò e si mise a sedere, spostando tutto il peso del corpo sul braccio sinistro, poi con la mano destra le carezzò i capelli morbidi e soffici:
«Morena» sussurrò il suo nome, quasi fosse stato portato dal vento, ma la ragazza si ostinò a tenere gli occhi bassi.
Dire che era stata bene quella sera, ma cosa le era passato per la testa? Era impazzita?
«Morena?!» cantilenò Torres, posandole l’indice sotto il mento per invitarla a guardarlo negli occhi «Perché non mi guardi? Hai paura di me?»
«I-io … non ho paura» no, infatti, Morena non aveva paura di lui, piuttosto temeva il giorno dopo e quelli a venire, quando inconsciamente avrebbe cercato ovunque un altro che la facesse star bene come aveva fatto Diego in quelle poche ore.
«Vieni con me …» si fermò un attimo, prima di proseguire «… in Italia »
E allora sì che Morena ebbe paura.
 
Fu più o meno la stessa sensazione di vuoto allo stomaco che provò Teddy quando uscì dal bagno, in punta di piedi, con la luce lunare ad illuminare debolmente i mobili che arredavano la stanza dell’hotel e una figura ricurva, nelle sue stesse spalle, seduta sul letto.
La voce di Nicolas Antonio risuonò in tutto l’ambiente, bassa ma ferma, sicura, e non riuscendo a scorgere il movimento delle sue labbra a Teddy sembrò quasi che stesse comunicando direttamente alla sua mente, come se avesse il potere della telepatia:
«Dobbiamo parlare» uno, due, tre secondi di silenzio «Ora»
Teddy s’irrigidì, incapace di muoversi, incapace di formulare un qualsiasi pensiero coerente o che comunque avesse potuto tirarla fuori da quella situazione, in qualche modo. In preda al panico, come ci si può sentire dinnanzi ad un serpente velenoso, o ad un leone pronto a sbranarti, la sua mente le consigliò il gesto estremo: gettati dal balcone!
Ovviamente Teddy non lo fece, ma rimase immobile come una statua di cera.
Il vento aveva smesso di soffiare e l’aria adesso era anche più calda di prima, la luna si era alzata e di conseguenza la luce nella camera era diminuita, ma i suoi occhi si erano abituati al buio e riusciva a distinguere tranquillamente le ombre dei mobili, quella del letto e la sagoma di Romero seduto su di esso, le spalle curve, le mani intrecciate e penzoloni fra le gambe. Voleva parlare, esigeva di parlare con lei, forse perché era consapevole che quella sarebbe stata l’ultima possibilità che avevano di … parlare.
Teddy strinse i pugni lungo i fianchi e indurì il suo sguardo, anche se lui non poté notarlo, ma i pugni si, quelli li vide. Fece una passo in avanti e le sembro di trascinarsi dietro dei macigni:
«Non ho voglia di parlare adesso» scostò le lenzuola di quello stesso letto su cui era seduto il ragazzo e vi scivolò dentro, nascondendo il volto.
L’atleta cileno sbatté le palpebre un paio di volte, incerto. Aveva immaginato che Teddy non avrebbe accettato di buon grado il suo imperativo, ma addirittura nascondersi sotto le coperte come una bambina. Sentì un forte moto di stizza venire a galla e quando fece per tirare via le lenzuola da Teddy, scoprì che questa le teneva strette, aspettandosi che lui avrebbe cercato di scostarle. Nicolas ci provò di nuovo e di nuovo ancora, senza ottenere alcun risultato:
«Teddy non fare la bambina!» ma lei non rispose, si limitò a raggomitolarsi ancor di più, Romero poteva distinguere nettamente la forma del suo corpo – in posizione fetale – sotto il leggero tessuto del lenzuolo, dove Teddy se ne stava ad occhi aperti, pregando che il ragazzo si arrendesse, ma se aveva conservato un po’ di quella sua cocciutaggine che lo aveva caratterizzato da adolescente (e sapeva benissimo che l’aveva fatto) non avrebbe mai alzato bandiera bianca. Per quanto la riguardava doveva solo resistere il più possibile.
Lo sentì scivolare lungo il materasso e avvertì quella presenza ingombrante a ridosso del suo corpo chiuso a riccio, anche se coperta dal lenzuolo bianco quello sguardo puntato su di lei quasi bruciava. Per un po’ nessuno parlò, fu Nicolas il primo a prendere la parola, provando con delicatezza a scoprirle il viso, ma di nuovo le dita di Teddy si afferrarono al lenzuolo con tanta veemenza da sbiancare le nocche:
«Teddy, per favore. Ti prometto che non litigheremo, non voglio metterti in difficoltà» nessuna risposta «E va bene. Vuol dire che parlerò solo io. Puoi rimanere zitta, ma non puoi impedirti di ascoltare» Teddy si morse il labbro inferiore mentre il cuore prendeva a battere più forte «So che hai sofferto molto dopo la mia partenza, so che non deve essere stato facile ricominciare daccapo, so che …»
«So qua e so là!» Teddy riemerse da sotto le coperte con una furia incontrollata, come se fosse esplosa dopo esser stata trattenuta per troppo tempo. Nicolas Antonio la fissò con gli occhi spalancati e la bocca aperta «Ascolta bene quello che sto per dirti perché non lo ripeterò mai più e questa è probabilmente l’unica occasione che hai di sentirlo …» la rabbia le stava togliendo il respiro e il petto si alzava e abbassava repentino, come se avesse appena smesso di correre «Tu dici di sapere come mi sono sentita, che è stato difficile per me ricominciare, ma dubito che tu mi conosca davvero, o mi abbia mai conosciuta …» Nicolas avrebbe voluto interrompere quello sciame di parole pronunciate con una tale velocità che non riusciva a trovare una crepa in cui infilare il suo disappunto «… “io ti amavo ma forse tu non mi amavi  abbastanza” …» il pallavolista cileno riconobbe la frase affermata pocanzi da lui e scosse il capo, sibilando un non capisco che forse Teddy neanche sentì, oramai era un fiume in piena, con due fessure al posto degli occhi «… che delusione, Nicolas! Dopo tutte le delusioni che mi hai dato involontariamente in questi anni, anche questa …».
Romero la fissò inebetito, di quali delusioni stava parlando? E a quali anni si riferiva se non avevano avuto più contatti da quando lui aveva lasciato Santiago?
Quando parlò la sua voce era stranamente pacata, quasi fece fatica a riconoscerla, mentre quello stesso tono calmo scosse il corpo di Teddy in un brivido, seduta al centro del letto con le dita chiuse intorno al bordo ricamato delle lenzuola:
«Teddy …» Nicolas si piegò sulle sue stesse gambe « … in questi due giorni in cui ho provato a parlarti, senza risultato tra l’altro, ho notato il tuo rancore nei miei confronti» si arrestò, non più tanto sicuro di voler conoscere la verità, ma proseguì comunque, lo doveva a sé stesso «Hai detto che ti ho deluso. Sei arrabbiata con me perché sono andato via?»
Teddy accennò un sorrisetto all’insù, cinico. Le parlava come se fosse una bambina, come se non sapesse che la sua collera non poteva nascere da un motivo tanto evidente quanto banale:
«Sapevo che non eri destinato a rimanere in Cile e sapevo che un giorno le difficoltà a cui la tua famiglia doveva far fronte ti avrebbero portato lontano, con o senza di me. E sapevo anche che io non ti avrei seguito e credo che questo lo sapevi anche tu» Nicolas non rispose «Ma partire per la Germania ti ha portato fortuna, sei diventato un pallavolista abbastanza conosciuto nel Mondo e, credimi, leggere nelle tue interviste, o udirlo direttamente dalla tua voce in tv, che le storie precedenti al tuo matrimonio erano da considerarsi tutte … tutte storielle inutili, mi ha ferito ancor più della tua partenza» Nicolas sgranò gli occhi, sentendo un gran calore arrossargli le guance «Paradossalmente credo che siano state proprio queste tue dichiarazioni a darmi la forza di dimenticarti, di ricominciare a vivere» Teddy si stupì quando lui distolse lo sguardo dal suo e fissò il pavimento:
«Siamo stati insieme per quattro anni e non mi hai mai detto che mi amavi, nonostante io te lo dicessi quasi ogni giorno e quando non lo facevo era perché mi indispettivo che ad aprirti il cuore ero solo io» si fermò per qualche secondo, scrutando l’espressione amareggiata della ragazza «E ti stupisci che io creda che forse non mi amavi abbastanza?» poi Teddy abbassò lo sguardo e strinse ancor di più le mani dalle dita oramai esangui, farfugliando:
«Una volta ti dissi che le cose importanti non le avrei mai confidate a nessuno, che le avrei tenute per me, al sicuro nel mio cuore e nella mia mente»
«Si, ricordo» ed era vero, Romero ricordava perfettamente quelle parole, manco gli fossero state pronunciate il giorno precedente, ma quel ricordo svanì all’istante quando Teddy lo guardò e scoprì due grosse lacrime spuntarle agli angoli degli occhi. Si alzò e si sedette di fronte a lei, quasi preoccupato, erano state così rare le volte che l’aveva vista piangere:
«Era il mio modo di dirti che ti amavo, Nicolas» abbozzò un sorriso triste «È evidente che non hai mai ricevuto il messaggio, né io mi sono preoccupata di accertarmi che tu l’avessi recepito».
L’aveva accusata di non provare sentimenti forti quando invece li teneva tutti dentro, schiacciati come delle sardine. Si sentì improvvisamente in colpa senza sapere quale fosse il motivo reale, o quello predominante. Furono le lacrime di Teddy a destarlo da quei pensieri, istintivamente si gettò in avanti con l’intento di abbracciarla, ma lei lo tenne lontano:
«No» si asciugò con un gesto rapido gli zigomi «Se adesso mi abbracci potrei piangere fino a disidratarmi» si sorrisero, sebbene con uno sforzo, ma era già un passo avanti.
Per qualche minuto il silenzio sembrò più un dono che un momento di imbarazzo, entrambi osservarono il cielo oltre le ante aperte del balcone, non si erano resi conto che il buio nella camera si era infittito. Nicolas Antonio spiò il viso di Teddy di sottecchi, sentì l’impulso di chiederle scusa per quelle cose proferite ai giornali, quando invece lei era stato il primo vero amore della sua vita; di scusarsi per essere andato via a venti anni e di essersi arreso al suo primo rifiuto di sposarlo e di seguirlo in Alemania.
La suoneria del cellulare di lei fece sobbalzare entrambi:
«É Marcelo, il mio fidanzato»  rispose Teddy alla domanda non espressa di Nicolas, ma che lesse nello sguardo, poi lentamente posò i piedi nudi sul pavimento fresco, sospirando «Devo rispondere»
«C-certo certo» solo allora il pallavolista rinvenne e si alzò con uno scatto, quasi imbarazzato, trottando nella stanza adiacente, qui si distese sul letto a pancia in su e le mani intrecciate dietro la nuca.
La sentì rispondere con un flebile saluto, attenta forse a non far trapelare le sue frasi. Comprese ben poco della conversazione di Teddy con il suo fidanzato, se non il fatto che questo era entusiasta per qualcosa, una promozione di lavoro forse, e gli ritornarono in mente le parole di Grimilde: «Si chiama Marcelo. È una brava persona. Fa l’avvocato, è in gamba» e improvvisamente si rabbuiò.
«Ti amo Teddy» la voce di Marcelo si era abbassata nel pronunciare quelle parole e in automatico, come una litania, lei rispose:
«Anche io»  la conversazione finì lì.
Teddy rimase per un po’ a fissare il cellulare, rigirandoselo tra le mani, era come se un ricordo spingesse per riaffiorare e quando lo fece tremò: erano le parole che aveva affermato solo qualche minuto prima: «Una volta ti dissi che le cose importanti non le avrei mai confidate a nessuno, che le avrei tenute per me, al sicuro nel mio cuore e nella mia mente.»
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***



Capitolo 9

 
 
Nicolas Antonio Romero aveva un’espressione rilassata, i muscoli del viso distesi con la testa che pendeva leggermente a destra, sprofondata nel cuscino morbido e bianco. Entrambe le mani erano adagiate sull’addome, una all’altezza del cuore, l’altra a livello dell’ombelico, e seguivano il movimento appena percettibile del respiro. La gamba sinistra era completamente distesa sul materasso, mentre quella destra era piegata a formare una sorta di triangolo, impigliate nel lenzuolo stropicciato e avvolto in districati labirinti di cotone.
Teddy tornò con lo sguardo sul suo volto, dove un raggio di sole vi si posava delicato, attraversando con le sue dita raggianti i capelli all’insù che sembravano mantenere la loro posizione anche mentre dormiva, come bravi soldati addestrati. La ragazza si mosse con discrezione intorno all’ampio letto e afferrò con le mani le tende scure, soffermandosi ad assaporare la frescura dell’alba appena sorta, ammirando le splendide e imponenti montagne sullo sfondo, dove il verde spiccava contro l’azzurro intenso del cielo. Qualche esponente della famiglia dei pennuti intonava il suo canto stridulo e continuo, che tuttavia Teddy non conosceva. Quando avvertì la pelle nuda delle braccia accapponarsi si sbrigò a chiudere le tende e il buio calò su di lei, rimase qualche secondo ancora a fissare il vuoto in attesa che gli occhi si abituassero alla poca luce presente adesso nella stanza. Si girò a guardare di nuovo il suo ex fidanzato, nella medesima posizione di pocanzi, con l’unica differenza che ora quel raggio di sole non lo sfiorava più, Teddy fu tentata di prendere il suo posto e allungò le dita pronta a carezzargli i capelli scuri.
Sapeva benissimo la sensazione che avrebbe provato quando li avrebbe toccati, per tanto tempo si era divertita a passargli una mano fra quei ispidi fili color cioccolato, per niente morbidi, per niente soffici. E lo fece, tastò con l’indice, poi le dita divennero due, poi tre, infine vi passò l’intera mano, trovandoli divertenti e rammaricandosi un pochino: se avesse portato quell’acconciatura a punta quando stavano insieme, si sarebbe potuta divertire un mondo a farlo imbestialire ogni qual volta gliela avrebbe rovinata.
Sotto quel tocco Nicolas mormorò e sollevò le palpebre con una certa riluttanza, immediatamente Teddy ritirò la mano e la strinse a pugno sul cuore:
«Oh, scusa! Non volevo svegliarti» aspettò un po’, osservando l’atleta cileno mettersi a sedere al centro del letto e puntare i suoi occhi scuri e assonnati su di lei. Il suo sguardo sembrava chiedersi cosa ci facesse lei lì «Stavo andando via e …» fece il giro intorno al letto «… volevo salutarti» Romero parve sorpreso:
«Vai via?»
«Sì, io e le ragazze andiamo via questa mattina» ingoiò e sentì la gola secca, ma non poteva fermarsi ora «Ciao Nicolas» mostrò un palmo e ricacciò indietro quel magone che le rendeva difficile anche respirare, eppure, si disse, doveva essere abituata a dirgli addio, allora perché si sentiva così?
Quelle due paroline ebbero l’effetto di un pugno in pieno stomaco per il ragazzo, il quale improvvisamente perse l’espressione tipica, un po’ stupida, di uno che si è appena destato dal mondo dei sogni. Scattò in avanti e afferrò la mano di Teddy nella propria, tenendola stretta contro il petto, la ragazza sussultò, dapprima per il tocco deciso, poi sentendo distintamente i battiti del suo cuore. Abbassò lo sguardo sul pavimento dell’albergo, evitando deliberatamente di incontrare gli occhi color pece di lui, nei quali, sapeva, vi sarebbe sprofondata come nelle sabbie mobili.
«Teddy, io …» non te ne andare, avrebbe voluto dirle, rimani con me. Ma le parole gli morirono in gola, sentendole rimbombare troppo stolte, troppo infantili, nella sua mente. Lei alzò lo sguardo, uno sguardo indecifrabile, triste e malinconico, lo sguardo di una persona che sa di avere un male incurabile e, forse, quel male era il sentimento che ancora provava per lui:
«È meglio che vada » la flebile voce di Teddy spezzò ogni suo pensiero inconscio e quando avvertì la piccola mano di lei scivolare via dalla sua, d’istinto serrò la presa e la trattenne ancora.
«Teddy» ricominciò, non proprio sicuro di quello che avrebbe detto, i pensieri che gli affollavano la mente erano tanti e disordinati «Io …» posò la mano libera sulla sua guancia, i capelli sottili gli solleticarono le dita, con delicatezza voltò il viso di Teddy verso il proprio e lo scrutò a fondo: i capelli corti e castani , il cui colore era falsato dalla penombra, le occhiaie grigie, gli zigomi pronunciati, la bocca schiusa.
Quella bocca …
 Posò la mano su quella di Nicolas e si accorse che era calda, mentre l’altra era ancora serrata contro il petto. Quando parlò la voce le tremò appena, ma non avrebbe pianto, non davanti a lui, né davanti a nessun’altro:
«Davvero. È meglio che vada»
«Ho voglia di baciarti»
Teddy sgranò gli occhi e li puntò dentro i suoi, incredula, non poteva aver pronunciato quelle parole, molto probabilmente era stato uno scherzo della sua immaginazione, non poteva essere altrimenti. Eppure il suo sguardo fermo non mentiva, conosceva fin troppo bene quel luccichio infondo agli occhi.
Nicolas Antonio non smise di guardarla, non lo aveva fatto nemmeno per un momento, in verità, da quando si era svegliato, ma adesso era diverso, adesso era davvero l’ultima opportunità che aveva. Addolcì la sua espressione, sfiorandole le labbra con l’interno del pollice, senza tuttavia allontanare il palmo dal viso di Teddy.
Il cuore dovette mancare qualche battito quando sentì la ruvidità del polpastrello sulla sua bocca, mentre un brivido di eccitazione le attraversava tutta la schiena, fino a farle rizzare i capelli alla base del collo.
Quello sguardo e quelle mani e quel profumo e …
«’Fanculo!» sibilò Teddy a denti stretti, poi afferrò saldamente, con entrambe le mani, la canotta blu notte di Nicolas e lo attirò a sé, schiacciando le loro labbra una contro l’altra.
 Baciare Teddy lo scaraventò indietro nel tempo, come se non fosse mai esistito tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, come se finora avesse fatto un lungo sogno da cui si era destato.
La strinse ancor di più contro sé stesso, arpionandola in una morsa elettrizzante, con una mano premuta al centro della schiena – dove gli parve di sentire la morbidezza fantasma dei suoi lunghi capelli – e un’altra intenta a sorreggerle il collo. Tutto il resto del corpo era concentrato su quel bacio profondo, sulle lingue impazzite, come una bestia rimasta a digiuno per troppo tempo e che adesso si ritrova davanti una preda succulenta.
Lentamente Romero indietreggiò fino a trovare il letto, sul quale si accomodò, lasciando che Teddy gli scivolasse addosso, cavalcioni, mentre le sue mani prendevano ad accarezzarle le cosce nude, senza dimenticarsi di continuare ad allacciare la lingua a quella della sua ex.
L’aria lì dentro si era fatta alquanto afosa e Teddy iniziò a sentire le prime goccioline di sudore scenderle lungo la schiena e imperlare la fronte del ragazzo, ciò nonostante l’eccitazione aumentò offuscandole la mente. Rinvenne appena, sollevando pesantemente le palpebre quando lui scostò la bocca dalla sua il tempo necessario per disfarsi della maglia che gli copriva la parte superiore del corpo e, solo allora, entrambi si accorsero di essere quasi senza fiato.
Sforzandosi di non farsi trasportare completamente dalla foga, Nicolas la distese sul materasso con le lenzuola sfatte, prendendo a morsicarle e lambire il collo scoperto, lentamente, assaporando ogni sensazione che quei baci, insieme ai movimenti delle mani affusolate di Teddy sul suo dorso nudo, gli stavano trasmettendo. Senza fretta cominciò a sbottonare la camicia priva di manica che la ragazza indossava, scoprendo un reggiseno rosa chiaro orlato di pizzo, con la lingua seguì l’incavo della clavicola e attraversò la sporgenza dei seni, soffermandosi poco sopra l’ombelico.
Teddy si morse il labbro inferiore, imprigionando quei gemiti di piacere che spingevano per fuoriuscire. Lo sentiva addosso con tutto il suo dolce peso, percependo i movimenti incondizionati del proprio corpo che si dibatteva sinuoso, la pelle pareva rinfrescarsi e rinascere là, dove la sua lingua passava inesorabile, anche tenendo gli occhi chiusi sapeva che presto le avrebbe slacciato i tre bottoncini dei bermuda che vestiva e, quel pensiero, aumentò la sua impazienza. Mosse il capo sul cuscino e profumò a fondo l’odore di lui, proprio dove aveva dormito, poi con una lentezza esasperata sollevò le palpebre e la vide, la foto e i loro volti sorridenti.
 
Nello stesso momento in cui Teddy mandava a quel paese tutto e tutti, afferrando la maglia di Nicolas e, con una certa veemenza, lo attirava verso di sé, lasciando che le loro labbra si incontrassero a mezz’aria, Morena si svegliava intontita e spaesata.
Diego Torres stava seduto da più di venti minuti ad osservare il corpo della ragazza, celato dal lenzuolo di cotone che vi aveva steso addosso temendo che potesse sentir freddo. Morena era tutta rannicchiata su sé stessa, il pallavolista poteva vedere la lunga e folta massa di capelli castani sparpagliati un po’ sul cuscino, un po’ sul materasso, il movimento lento e cadenzato del respiro lo stava ipnotizzando, mentre il sole nasceva dietro i monti a est.
Quando erano rientrati in hotel, avevano sostato diversi minuti davanti la porta della stanza di Morena, la quale aveva bussato più e più volte in attesa che le sue amiche l’aprissero, ma questo non era accaduto e, mortificata, la ragazza castana gli aveva parlato evitando di guardarlo in viso. Diego adorava quella sua timidezza che la rendeva ancor più bella di quanto già non fosse, colorandole le gote di quel rossore infantile.
«Forse si sono addormentate»
«Più che addormentate, mi sembrano andate in coma» lui aveva sorriso sperando di alleggerire l’imbarazzo, senza troppi risultati, allora le aveva parlato con tono dolce e basso, soppesando parola dopo parola il suo invito a seguirlo nella propria camera d’albergo, spiegandole che fra tutte era la soluzione migliore – non l’avrebbe di certo lasciata da sola nel bel mezzo della notte ad aspettare che magari le sue compagne si svegliassero – sottolineando il fatto che non aveva compagni di squadra con cui divideva la stanza. Morena non aveva risposto né si, né no, si era limitata a seguirlo al piano superiore, salendo i gradini uno dopo l’altro con titubanza, voltandosi indietro a guardare la porta della camera che, tuttavia, era rimasta chiusa.
Si era chiesta se davvero Teddy e Grimilde si fossero addormentate o, conoscendo quella pazzerella bionda, non l’avessero fatto di proposito a non aprirle. No, Teddy non avrebbe mai permesso una cosa del genere, eppure si era ritrovata a seguire Torres fin dentro la camera che gli era stata assegnata in hotel.
A differenza di quella che condivideva con le sue amiche, questa di Diego era grande la metà e decisamente più austera, essenziale. La ragazza si stupì dell’ordine che vigeva nell’ambiente, i pochi indumenti tenuti fuori dall’armadio erano piegati e riposti su una delle due poltroncine che facevano da sentinelle ad un letto con le lenzuola candide e ordinate. La vista del letto però, nonostante fosse a due piazze e quindi bello grande, l’aveva irrigidita, l’atleta accorgendosi del suo stato d’animo si era affrettato a farle sapere che lui avrebbe dormito su una delle poltroncine. Morena si era sentita irrimediabilmente stupida e puerile, provando ad immaginare come si sarebbe comportata Grimilde se si fosse trovata nella sua posizione. Molto probabilmente, pensò, si sarebbe avvicinata a Diego e gli avrebbe chiesto perché non voleva dormire con lei, magari gli avrebbe sfiorato il viso, o l’addome, o qualcos’altro ... A quel pensiero era avvampata, scuotendo il capo come a voler scacciare quelle immagini dalla sua mente, poi aveva balbettato che non vedeva per quale motivo lui avrebbe dovuto dormire sulla poltrona:
«Ad una condizione però» aveva proseguito la ragazza castana, puntando due occhi color nocciola in quelli di Torres che si era meravigliato di quello sguardo sicuro «Ti chiedo di rispettarmi» lui aveva sorriso, quasi sollevato, come se si fosse aspettato una richiesta peggiore «O lo dirò a Romero e anche a Martinez» avevano riso insieme
«Bene, allora vado a farmi una doccia» aveva esitato un secondo, poi aveva sottolineato scherzoso «Fredda» si era tolto la maglia e Morena lo aveva osservato mentre la riponeva nell’armadio piegandola ordinatamente, inevitabilmente i suoi occhi avevano indugiato sul torso nudo e atletico di Diego che, intanto, non aveva smesso il suo sorriso sornione. Le  era passato affianco, sfiorandole i capelli in modo involontario e lei si era vergognata di provare attrazione nei suoi confronti, nei confronti di quel fisico invitante. Quando Torres era uscito dal bagno, con indosso solo i boxer scuri, la ragazza era già sprofondata nel mondo dei sogni.
Morena si svegliò sbattendo un paio di volte le palpebre, mentre i ricordi della sera precedente si andavano schiarendo nella sua mente. Sulla poltroncina, al fianco del letto, gli indumenti che aveva notato quando era entrata nella stanza non c’erano più. Con uno scatto del collo si voltò dall’altro lato, amareggiandosi di trovare il posto vacante e il materasso stropicciato là, dove evidentemente Diego aveva dormito.
«Buongiorno.»
Quella voce calda e profonda la ridestò dai suoi pensieri e, come nebbia, la delusione provata fino ad allora svanì nel nulla. Diego Torres era comodamente seduto nell’altra poltrona, con le gambe accavallate a formare una specie di quattro. Le stava sorridendo e Morena si sentì sciogliere il sangue nelle vene.
 
Più o meno, nello stesso momento, anche Grimilde si risvegliava nel letto che aveva condiviso con Martinez, dopo una lunga e passionale serata con lui, ai limiti del pudore umano. La ragazza bionda si issò a sedere al centro di un letto vuoto, si guardò attorno, la stanza era immersa in uno spaventoso silenzio, rotto solo dal cinguettio ritmico degli uccelli lì fuori, ma lei sembrava sentirli appena. Centinaia di pensieri, immagini e sensazioni formavano un miscuglio vorticoso dentro Grimilde, visibilmente spaventata. Si buttò dal letto, con il cuore in gola:
«Alex?»  chiamò, senza ricevere risposta e la paura crebbe. Si affacciò nel bagno, la vasca dove la sera prima avevano fatto l’amore era ancora piena d’acqua e la schiuma, oramai, si era smontata lasciando solo uno strato melmoso. Tornò indietro:
«Alex?» ma di nuovo a risponderle fu il silenzio.
Ai piedi del mobile all’entrata, dove avevano consumato il primo attacco di lussuria incontrollabile, c’erano ancora i suoi vestiti abbandonati sul pavimento: la salopette, la
T-Shirt bianca, le sue mutandine e il reggiseno dalle coppe minuscole. Ma quelli di Martinez non c’erano più. Si girò a guardare la propria figura riflessa nello specchio, i capelli lisci e chiari erano spettinati e la frangia arruffata sulla fronte, automaticamente se la pettinò con le piccole dita. La sua sembrava quasi la mano di una bambina dalla carnagione troppo delicata per il sole del Sud America, ma Grimilde era nata e cresciuta lì e, nonostante nel corso degli anni era stata spesso vittima di sfottò a causa della sua pelle bianca come il latte e dei suoi capelli biondissimi, non aveva mai smesso di sentire suo quel Paese.
Indugiò ancora un po’ sull’immagine che lo specchio ritraeva, da sotto la canotta azzurra spuntavano due seni appena accennati e una culottes dello stesso colore le copriva la parte inferiore del bacino. Lentamente si chinò a raccogliere i suoi abiti e il ricordo di Alexander che la baciava con ardore, mentre con le mani percorreva il suo esile corpo, la colse subitaneo, lasciandola a fissaro il vuote per qualche secondo. Quando si rianimò (o meglio si impose di farlo) cacciò fuori tutta l’aria che inconsciamente aveva trattenuto.
Trascinando i piedi sul pavimento, lanciò gli abiti ai piedi del letto sopra al quale si lasciò cadere, il cuscino sapeva ancora di lui che se ne era andato senza neanche salutarla. Si chiese cosa pretendeva, era stata l’avventura di una notte, infondo con quelle come lei era sempre l’avventura di una notte e Martinez non si era rivelato diverso dagli altri ragazzi. Ciò nonostante provava una strana sensazione, come se qualcosa la stesse opprimendo e come era già accaduto quella notte, sentì le lacrime bruciare agli angoli degli occhi, ma questa volta le cacciò indietro, mettendosi a sedere con le gambe incrociate e tirando su con il naso.
Udì distintamente il click della carta metallica e la porta della stanza che si apriva, come un gatto Grimilde rizzò le orecchie, ricordandosi solo allora di Morena e della sua cena romantica con Diego Torre e, con maggiore apprensione, di Teddy che doveva aver trascorso la notte in compagnia di Nicolas Antonio e che, molto probabilmente, ce l’aveva a morte con lei.
Dinnanzi ai suoi occhi azzurri, però, non comparve nessuna delle sue amiche, ma Alex in persona, con un enorme vassoio fra le mani. Quando vide che la ragazza era sveglia le sorrise in maniera disarmante:
«Ho pensato che dovessi essere affamata dopo …» e lasciò la frase in sospeso, lasciando chiaramente intendere la loro performance sessuale, quindi la raggiunse sul letto, posandovi sopra il vassoio colmo di cose buone da mangiare.
Grimilde non riusciva a smettere di fissarlo, sebbene una vocina interiore le consigliasse di distogliere lo sguardo gli occhi non volevano guardare altro, se non quel viso sorridente e quello sguardo canzonatorio.
Martinez si chinò a baciarle una guancia, un bacio lungo e delicato che inviò fremiti in tutti i muscoli del corpo della ragazza. Rimasero qualche secondo a scrutarsi, le menti vuote e i respiri che si fondevano per la vicinanza delle loro bocche. Con garbo Grimilde scivolò giù dal letto portando con sé il vassoio della colazione per adagiarlo sul pavimento, a qualche metro di distanza, poi a piccoli passi si avvicinò al ragazzo cileno, la cui espressione era improvvisamente mutata, il sorriso scemato dal suo bel volto. Accolse la ragazza in un abbraccio, mentre le si sistemava cavalcioni su di lui, Grimilde chinò il viso e le loro bocche si toccarono, timidamente, come due animali che si studiano a vicenda, poi la loro razionalità fu di nuovo messa da parte.
 
Nel frattempo che Grimilde e Alex si lasciavano ancora una volta coinvolgere e consumare dalla loro passione, Teddy allontanava Nicolas dal suo corpo, entrambi mezzi nudi e ansimanti.
Senza preoccuparsi di chiudere i bottoni della camicetta che con impeto il ragazzo aveva slacciato, toccò il pavimento fresco con la pianta dei piedi e si coprì il volto con le mani, puntellando i gomiti sulle ginocchia. Sentì Romero sospirare al suo fianco, ma soprattutto sentì le lacrime rigarle il volto, calde e amare.
«Teddy … scusa, è stata colpa mia … io non»   
«Hai una famiglia, cazzo!» la voce stridula di lei non lo tranquillizzò affatto e gli parve che fosse anche incrinata dal pianto, ma non poteva esserne sicuro.
Aprì la bocca per confessargli la verità, non che le avesse mentito, ma aveva omesso un particolare, tuttavia la richiuse quando lei continuò:
«Ed è una bella famiglia e io sto per sposarmi. Marcelo …» non riuscì a proseguire, deglutì e ci riprovò, ma Nicolas ebbe la sensazione che più che parlare con lui, stesse parlando alla sua coscienza « … Marcelo mi ama e mi rispetta»
«Anche tu lo rispetti, Teddy. Ti sei fermata, potevi lasciar correre, ma ti sei fermata per lui» Romero le circondò le spalle con un braccio, parlandole direttamente all’orecchio. Teddy lasciò ricadere le mani sulle cosce e fissò il soffitto, un  sorriso cinico le increspò le labbra in un ghigno:
«Non mi sono fermata per lui, Nicolas» c’era una nota di biasimo nella sua voce, come a dire “non te ne rendi conto?” «Mi sono fermata per loro» posò ancora una volta gli occhi color nocciola, rossi e gonfi per il pianto, sulla fotografia nella cornice e, di nuovo, Romero si morse la lingua ricacciando indietro le parole che invece spingevano per essere pronunciate. Quando Teddy si voltò a guardarlo, questi sentì il cuore perdere qualche battito, il viso di lei era una maschera di vergogna e colma di dolore:
«Sarei potuta esserci io al suo posto, vero? Sarei potuta essere io la madre di tuo figlio»
«Oh, Teddy» quelle parole stavano facendo male a lui e divorando l’anima a lei. Prese a  carezzarle il caschetto di capelli castani:
«Ma adesso è tardi, lo so» abbassò lo sguardo non riuscendo più a sorreggere quello profondo e compassionevole del ragazzo «Ho sbagliato a non seguirti, a non dare ascolto al mio cuore, al mio istinto, e adesso è giusto che paghi le conseguenze delle mie scelte» le lacrime avevano ripreso a scendere copiose lungo le guance, cadendo in goccioline fin sui dorsi delle mani, strette a pugno in grembo.
Nicolas Antonio l’abbracciò forte, senza smettere di carezzarle il capo, mentre la sentiva piangere sommessamente contro la propria spalla:
«Ti meriti tutto il bene di questo mondo, Teodorita Gomez, e l’avrai. Ti giuro che sarai felice, che Marcelo saprà renderti una donna felice» si interruppe per un attimo, poi aggiunse «O dovrà fare i conti con il sottoscritto» sentì il risolino di lei che spezzava, almeno per un secondo, il pianto «E anche con Morena e Grimilde e, personalmente, non vorrei mai averle contro.»
Le lacrime presero a mischiarsi con dei risolini nervosi, si allontanò da lui tenendo i palmi premuti contro il suo petto nudo e non poté fare a meno di notare come il suo fisico fosse cambiato negli anni, trasformandosi in un corpo adulto, scolpito da anni di sport e decorato da diversi tatuaggi, ognuno con la sua storia da raccontare, ognuno con il suo segreto da custodire. Romero le asciugò il volto con i dorsi delle mani, sorridendole con una tale dolcezza che Teddy avrebbe voluto ricominciare a piangere solo per lasciarsi cullare ancora dalle sue braccia forti e protettive, ma sapeva che non poteva, che ricadere nell’oblio di poco prima avrebbe significato non riuscire più ad arrestare gli istinti.
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
Capitolo 10

 
Morena provò un rinnovato senso di sollievo chiudendosi la porta della stanza di Diego Torres alle spalle. Certo, sentiva già la sua mancanza, come se si fosse dovuta trascinare a forza e contro la sua volontà fuori da quella camera che, a tratti, aveva avuto come l’impressione che le pareti si stringessero attorno a lei togliendole il respiro.
Tuttavia, l’unica cosa che davvero le aveva tolto il fiato era stato il bacio che Diego le aveva rubato, appena prima che aprisse la porta per dileguarsi. Una parte di lei aveva sperato che il ragazzo si accontentasse del suo arrivederci e, invece, proprio come aveva temuto, lui l’aveva attirata a sé chiudendole le sue grandi mani forti intorno ai polsi, aveva poi sentito il cuore cominciare ad accelerare, sempre di più. Atterrita non aveva potuto fare altro che osservare quel viso coperto da una barbetta incolta assumere un’espressione ammiccante, aveva quindi chiuso gli occhi e aveva sentito le bocche schiacciarsi l’una contro l’altra e la sua lingua intrecciarsi alla propria. Il suo sapore fresco era stato di menta, di dentifricio, e quei peli ispidi le avevano pizzicato il mento, solleticandola allo stesso tempo. Quando Diego aveva allontanato il viso dal suo, Morena era rimasta qualche secondo ancora con gli occhi socchiusi, cercando di addomesticare quei fremiti che la scuotevano tutta.
Discese i gradini delle scale uno alla volta, senza fretta, con la voce di lui che le frullava in testa «Vieni con me. In Italia». Provò ad immaginare le facce di Grimilde e di Teddy quando avrebbe detto loro cosa gli aveva risposto e allargò le labbra in un sorriso.
Lo stesso svanì quando arrivò a metà dell’ultima rampa di scale, dove si arrestò, interdetta posò un palmo sul corrimano come per sorreggersi. Sulla soglia della suite che condivideva con le sue amiche sostava Alexander Martinez, con la spalla destra contro lo stipite della porta, dinnanzi a lui c’erano Teddy, a braccia conserte, e Nicolas in canotta blu e pantaloncini sportivi.
Mille domande si affollarono nella sua testa: perché Martinez era nella camera? Perché Teddy era nel corridoio con Romero? E Grimilde?
Era evidente che non era l’unica a dover raccontare quali vicende aveva vissuto quella notte, pensò Morena.
«Buongiorno signori, non vi aspettavo così presto» la voce di Alex era ambigua, il suo solito sorrisetto di scherno era ambiguo
«Avete finito? Posso tornare nella mia stanza e recuperare le mie cose?» era stata Teddy a parlare, nel tono Morena vi scorse un certo nervosismo, come se volesse liberarsi al più presto di quella situazione.
Nicolas Antonio si limitava ad osservare, silenzioso, con le mani nelle tasche dei pantaloni sportivi e la spalla adagiata al muro, ma quando alzò gli occhi nella sua direzione, accorgendosi solo allora della ragazza, sorrise come sempre faceva quando si rivolgeva a lei, con quel fare ironico:
«Morena» cominciò, e sia Teddy, sia Alex, la guardarono. Fin da subito non le piacque l’espressione che vagava sul volto della sua cara amica «Birichina! Dove sei stata tutta la notte?» sembrava che Romero soffocasse un risolino.
La ragazza castana fu sul punto di rispondergli a tono, dicendogli che aveva passato un buon quarto d’ora a bussare alla porta della suite, inutilmente, ma vedere Teddy oltrepassare Alexander con un certo sgarbo, lanciandogli un’occhiata di fuoco, la zittì.
L’atleta cileno fece spallucce e passò un braccio intorno alle spalle di Nicolas , senza smettere quel sorrisino sornione, poi si voltò indietro, verso Morena, come se si fosse ricordato solo allora di una cosa importante:
«Morena» la ragazza lo osservò avvicinarsi trascinando con sé Romero, mentre lei li aspettava al centro della rampa «Forse puoi aiutarmi. Mi serve una cosa …»
 
Grimilde uscì dal bagno con solo un asciugamano di lino avvolto intorno al corpo mingherlino, i capelli erano stati arrotolati in un altro asciugamano e i suoi occhi azzurri, senza la frangia, spiccavano ancora di più. Sembrò stupita di trovare Teddy seduta sul bordo del letto, con le gambe accavallate e le braccia incrociate, il suo sguardo parlava da sé.
La ragazza bionda sfoggiò il suo miglior sorriso, aprendo le braccia e lanciandosi contro l’amica:
«Teddy! Mi sei mancata tanto!» Teddy le mostrò il palmo destro, in segno di stop:
«Io e te dobbiamo fare una lunga chiacchierata» Grimilde sbuffò in modo abbastanza plateale, smettendo il suo sorriso a 32 denti, quindi prese a frizionarsi i capelli «Ma sei uscita di senno?» la voce di Teddy fu così alta che la biondina sussultò, manco l’avesse schiaffeggiata, pensando che mai si era rivolta a lei con quel tono adirato.
In quel preciso instante Morena comparve alle loro spalle. Anche se non era a conoscenza dei fatti accaduti, aveva comunque cominciato a farsi un’idea, restava il fatto che Teddy, sempre così mite e comprensiva, sembrava davvero incazzata.
«Ma io …» cominciò Grimilde, poi la ragazza seduta sul letto si alzò, sovrastandola con i suoi centimetri e i suoi chili di più:
«Sei un incosciente e un egoista! Pensi solo a quello che vuoi tu e non ti preoccupi delle conseguenze delle tue azioni!» Teddy era fuori controllo, Grimilde la fissava con gli occhi spiritati, mentre l’asciugamano le cadeva dal capo, liberando lunghi capelli biondi, spettinati e umidi. Morena provò pena per lei.
«Volevi Martinez e l’hai avuto e chi se ne frega se io dovevo passare una notte intera con Nicolas. Di cosa credi che sia fatta io, Grimilde?» quest’ultima scosse il capo, non poteva credere a quello che le stava dicendo e Morena era sempre più sconvolta «Sono fatta di sentimenti e di emozioni, proprio come te, ma non posso fare sempre ciò che voglio, finirei per ferire gli altri» Teddy ripensò alla foto sul comò accanto al letto di Romero, ripensò a lui che la baciava, sfiorandola dappertutto, e alle sensazioni contrastanti che l’avevano portata a finirla là, senza andare oltre, per lui e per la sua famiglia, per Marcelo che l’amava, ma non per sé stessa.
Non per sé stessa.
«Esorcizza questi sentimenti, allora!» la voce di Grimilde la ricondusse con la mente nella suite, la figura di Morena era solo un’ombra per entrambe «Fai quello che vuoi senza pensare agli altri, logora questi sentimenti fino a quando loro non ti lasceranno in pace» ma Grimilde sapeva che certe emozioni non se ne sarebbero mai andate, che sarebbero rimaste indelebili nella sua anima e sulla sua pelle. Rabbrividì.
 
Alexander Martinez non smise per un momento di sorridere al suo amico e compagno Romero, nonostante i suoi pensieri non facessero che ricordargli Grimilde e il fatto che era dovuto andare via di punto in bianco, se avesse temporeggiato ancora Teddy lo avrebbe aggredito, mordendolo e graffiandolo probabilmente. Avrebbe voluto salutare quella ragazza dai capelli color dell’oro, magari dirle di non dimenticarlo, farle sapere che sperava di avere altre occasioni per poter stare insieme, anche solo per un caffè a Santiago del Cile, o dovunque avesse voluto lei. Avrebbe voluto chiederle il suo numero di cellulare, così, per fare due chiacchiere quando l’uno o l’altra ne avrebbero avuto bisogno, ma almeno quello era riuscito a rimediarlo.
Nicolas Antonio si liberò del suo braccio e Alex lo seguì con lo sguardo fin dentro la parte di stanza che aveva scelto di occupare, dove notò il letto sfatto in modo preoccupante, poi, come Teddy ore addietro, gli occhi si concentrarono sulla fotografia.
Osservò per un po’ il ragazzo con l’amico armeggiare nell’armadio dell’hotel, indugiare su una maglia a mezze maniche che, alla fine, gettò con non curanza sul letto alle sue spalle, quindi fece lo stesso con dei pantaloni di tuta. Martinez si passò una mano fra i capelli corti, il sorriso era scemato dal suo volto olivastro:
«Glielo hai detto, Nicolas?» quest’ultimo finse di essere interessato a qualcosa nell’armadio che Alex non poteva vedere
«A chi?»
«A Teddy, intendo. Glielo hai detto?»
«Detto cosa?» il tono di Romero era alquanto irritante e continuava a tenere il viso nascosto dall’anta aperta. Il pallavolista della Federación sospirò rumorosamente, facendo scendere la mano dal capo fin sul volto:
«Non gliel’hai detto»
«Intendi il fatto che sono divorziato, che non ho più una moglie e che sono libero?» Nicolas chiuse l’armadio con una certa enfasi, afferrò gli abiti che aveva gettato sul letto e s’incamminò verso il bagno «No, non gliel’ho detto»
«Avresti dovuto» incalzò Martinez, ma l’amico non si girò neanche a guardarlo, sparì oltre la porta della toilette e lui si lasciò cadere pesantemente sul letto.
 
Morena le osservò guardarsi in cagnesco, ognuna stava pensando a quello che avrebbe voluto dire, aprì la bocca per inserirsi nel discorso, ma la ragazza bionda l’anticipò:
«Se stare con Romero ti ha scosso tanto, forse dovresti soppesare la tua decisione di sposare Marcelo» il viso di Teddy divenne di un rosso preoccupante, poi sembrò trattenere tutta l’aria per esplodere come una bomba e, appena prima che l’irrimediabile sarebbe accaduto, Morena esclamò:
«Vado a vivere con Diego» le sue compagne si voltarono a guardarla, come se si fossero accorte solo allora della sua presenza «In Italia» aggiunse, ma l’espressione delle ragazze non accennava a mutare, tutt’altro «In Sardegna» continuavano a fissarla esterrefatte «A Cagliari»
«Dios mìo …» bisbigliò Grimilde, arricciando le labbra in un sorrisetto, poi gridò qualcosa di poco consono ad una ragazza per bene, si lanciò addosso a Morena, stringendola forte e iniziando a saltellare come se fosse stata morsa da una tarantola, emettendo gorgoglii di felicità. La ragazza castana cercò di liberarsi dalla sua presa, ma l’abbraccio della biondina era troppo saldo e si arrese, sussurrandole di calmarsi. Quando Grimilde si allontanò, prendendo le mani di Morena nelle proprie, le brillavano gli occhi e aveva la voce strozzata:
«Sono così contenta per te» indietreggiò e cercò a tentoni il bordo del letto alle sue spalle, sul quale si accomodò. Sembrava improvvisamente stanca, con i capelli che intanto si andavano asciugando per conto proprio. Morena si chinò davanti a lei, posando una mano sulla sua spalla nuda:
«Ehi, tutto bene?» lanciò un’occhiata di soppiatto a Teddy, in piedi alla loro sinistra, stranamente silenziosa e visibilmente stralunata. Morena pensò che dovevano essere stati due giorni difficili per lei, avrebbe dovuto parlarle più tardi, quando le acque si sarebbero calmate. Sentì Grimilde cominciare a singhiozzare sommessamente e tornò a guardala, preoccupata:
«Te … te ne andrai via» le lacrime solcavano il suo bel viso bianco come il latte «Teddy si sposerà, Alex tornerà in Spagna e io resterò sola»
«Che centra Martinez?» chiese Morena, ma nessuno le rispose, no che non immaginasse quello che era accaduto durante la sua assenza, semplicemente voleva una conferma.
Teddy si mosse, sedendosi al fianco della ragazza bionda e circondandole le spalle con un braccio, la scosse con delicatezza:
«Ma che dici, Grimi? Tu non sarai mai sola» la ragazza bionda si voltò a guardarla e a Teddy si strinse il cuore, aveva un’aria così vulnerabile:
«Non odiarmi Teddy per quello che ho fatto» Grimilde tirò su con il naso come se fosse una bambina
«Qualcuno mi spiega cosa è successo?» Morena lo domandò con garbo
«Grimi, non potrei mai odiarti è solo che …» Teddy sospirò e lasciò la frase in sospesa e Morena si adirò per tutti quei sospiri, tutte quelle frasi apparentemente prive di senso. Afferrò il viso di Grimilde e la costrinse a guardarla in faccia:
«Sei andata a letto con Martinez?» non avrebbe voluto essere così diretta, non le piaceva chiedere certe cose con tanta franchezza, ma le sembrava l’unico modo per avere un po’ di attenzione:
«Si» farfugliò la biondina
«E ti piace?» continuò Morena
«Certo che le piace, altrimenti non ci avrebbe fatto quello che ha fatto» intervenne Teddy beccandosi un’occhiataccia da parte di Morena:
«Non intendevo in quel senso!» esclamò la ragazza castana ancora piegata sulle ginocchia che iniziavano a dolerle «Volevo dire: provi qualcosa per lui?»
«Mi sono resa conto che mi trasmetteva emozioni diverse, speciali, e non solo perché noi … cioè lui …»
«Ok, abbiamo capito!» la interruppe Morena prima che potesse dire qualcosa che era tipico di Grimilde, senza peli sulla lingua
«É ridicolo!» esclamò subitaneo Teddy sorridendo con cinismo. Sia Morena, sia Grimilde la guardarono interdette «Come ci si può innamorare di una persona in una notte?»
«Mi sembrava che tu ti fossi innamorata di Romero dopo un solo bacio» era stata Morena a parlare e Teddy incassò evidentemente il colpo basso.
Si, se ci fosse stata Morena con loro, quella notte, le cose sarebbero andate diversamente:
«A proposito» cominciò Grimilde «É successo qualcosa con lui?» Teddy si irrigidì da capo a piedi e le sue amiche non poterono non notare il rossore che si andava diffondendo sul suo volto, mentre distoglieva lo sguardo da loro:
«Assolutamente nulla» rispose, sperando che le domande sul suo conto finissero lì.
Dopo qualche secondo di silenzio Grimilde tornò a rivolgersi a Morena, infondo il vero scoop del giorno era la notizia della sua partenza per il Bel Paese, ma soprattutto che lei, una come lei, aveva accettato una cosa che lei stessa avrebbe definito “da incosciente”.
«Ci telefoneremo tutti i giorni, vero?» il viso di Morena si addolcì nell’udire quella domanda pronunciata con apprensione dalla biondina:
«Passeremo ore e ore a telefono» Grimilde sorrise, un sorriso malinconico e triste
«Quanto tempo ci rimane da trascorrere insieme qui in Cile, prima che parti per l’Italia?»
«Partirò dopo il matrimonio di Teddy, ovviamente» rispose Morena e spiò Teddy al fianco di Grimilde, le teneva ancora la mano intorno alle spalle, ma era chiaramente persa nei suoi pensieri. No, Morena non credeva alle parole pronunciate pocanzi dalla neosposina riguardo al fatto che non fosse accaduto niente tra lei e il suo ex ragazzo.
 
Quella stessa ragazza, che tra qualche settimana sarebbe partita per la Sardegna, così, su due piedi, le aveva ruggito contro, in quel piovoso pomeriggio estivo, quando aveva confessato che si era innamorata di Nicolas Antonio Romero, quel ragazzo impertinente della loro scuola, con i capelli scuri sempre spettinati, gli orecchini a cerchietto e i jeans larghi e stracciati. Poi era rimasta a tenerle la mano, circa quattro anni dopo, mentre lui saliva a bordo di un aereo che l’avrebbe portato dall’altra parte dell’oceano. Le aveva tenuto la mano e le aveva permesso di poggiarsi alla sua spalla, senza parlare, perché le parole non servivano, ma Teddy  aveva letto tutta la disapprovazione sul suo viso, non gliel’aveva detto esplicitamente, ma sapeva che Morena non era d’accordo sul fatto che avesse lasciato partire Nicolas senza tentare di costruire un futuro insieme. E adesso, a distanza di anni, Morena aveva preso la coraggiosa decisione che avrebbe dovuto fare lei stessa, quando Romero le aveva chiesto di sposarlo.  
Le sue compagne stavano ancora organizzando le telefonate, tenendo presente i diversi fattori, come il fuso orario, per quando Morena sarebbe stata così lontana da sembrar esser volata sulla luna. L’Italia, pensò con mestizia Teddy, poi un secondo e repentino pensiero le attraversò la mente già spossata: ma l’Italia non era anche il paese dove, ora come ora, viveva Nicolas? Le sembrava di sì, di aver letto qualcosa da qualche parte una volta …
Scosse il capo con veemenza e scacciò quel cruccio, poi prese a riordinare le sue cose nella valigia, prima di una lunga doccia rigenerante.
 
Nonostante fossero solo le nove del mattino, il sole scottava dall’alto di un cielo biancastro a causa dell’umidità. Il coach della Federeción concesse dieci minuti di pausa dall’intenso allenamento mattutino. Nicolas si allontanò dal resto del gruppo e si lasciò cadere all’ombra di un albero, poggiando la testa contro il tronco e socchiudendo gli occhi.
Rimase così per diversi secondi, respirando profondamente l’odore di verde che lo circondava. In lontananza poteva sentire il cinguettio degli uccelli, il frinire dei grilli e il canto delle cicale. Avrebbe voluto tanto svuotare la mente dal pensiero e dal ricordo della notte appena trascorsa, di Teddy e della sensazione che aveva provato quando l’aveva sentita imprecare, prima di afferrargli il viso e baciarlo. Gli sembrava di poter sentire ancora la sua pelle calda contro le proprie mani, i loro respiri che si fondevano. Sospirò e si costrinse ad aprire gli occhi, finalmente le immagini di quella notte si dissiparono come fumo nella sua testa.
Qualcuno gli porse una bevanda energetica all’arancia, Romero alzò gli occhi prima di raccoglierla e vide Alex. Aveva l’aria stanca quasi quanto lui. Lo ringraziò bevendo una lunga sorsata rinfrescante, mentre il compagno di squadra si sedeva al suo fianco, incrociando le gambe. Per un po’ nessuno parlò, ognuno immerso nei propri voli mentali, fin quando notarono Diego Torres correre verso di loro:
«Ho chiesto al mister qualche minuto per passare a salutare Morena. Venite?» Sia Nicolas che Alex lo fissarono senza sapere bene cosa rispondere, Torres sembrò meravigliato per quel silenzio «Credevo foste amici e che …»
«Salutale da parte mia» il tono di Nicolas fu categorico, si alzò e gli posò una mano sulla spalla, senza sorridere, quindi lo oltrepassò e tornò all’interno della palestra. No, proprio non ce la faceva a dirle addio una seconda volta, inoltre lei non era andata a salutarlo all’aeroporto, perché mai lui avrebbe dovuto fare il contrario?
Che quella fosse la sua piccola, misera vendetta?
In realtà non gli andava di vederla salire in macchina, per poi osservarla svanire all’orizzonte, ecco tutto, gli dispiaceva non salutare Morena e Grimilde, ma era sicuro che avrebbero capito. Quando aveva visto Teddy nella sala da pranzo dell’albergo, solo due giorni prima, una piccola speranza si era riaccesa in lui, forse era stato il Fato, forse stavolta sarebbe stato per sempre.
Forse …
Alexander Martinez si alzò, tutti i muscoli del suo corpo gridarono pietà, i postumi della notte trascorsa con Grimilde iniziavano a farsi sentire, eccome. Quando posò una mano sulla spalla di Torres, questi stava ancora guardando la figura di Romero che, ingobbita, si allontanava:
«Tu vieni con me?» gli chiese Diego e Martinez scosse il capo
«No, meglio di no» si fermò, incerto se continuare o meno, poi aggiunse «Non dire loro che sia io, sia Nicolas, non passeremo a salutarle. Inventati qualcosa di meno codardo, per favore» gli diede un paio di colpetti sulla spalla e si avviò a testa china, mentre l’allenamento riprendeva.
 
Teddy stava ficcando le valige nel dietro della macchina di Marcelo, Grimilde la stava aiutando con un enorme cappello di paglia poggiato sul capo e un paio di occhiali da sole, dalle lenti color sabbia. Nonostante fosse nata e cresciuta in Cile, i suoi colori caratteristici – dai capelli, agli occhi, alla carnagione – le facevano detestare la luce del sole e la calura.
Morena le osservava con il cuore che le batteva forte, di tanto in tanto lanciava qualche sguardo furtivo intorno a sé, con la paura di non vederlo arrivare.
E se si fosse solo illusa? E se lui l’avesse presa in giro?
Chinò il capo e si guardò i piedi, gli imprechi delle sue amiche per incastrare i trolley nel portabagagli le giungevano ovattate, non poté quindi notare Diego trottare verso di lei, con un gran sorriso dipinto sul volto, sentì solo una mano posarsi sulla testa e speranzosa alzò gli occhi castani che brillarono come stelle.
Teddy e Grimilde assisterono alla scena sghignazzando come due ragazzine, perché infondo certe cose non sarebbero mai cambiate.
Torres la baciò con delicatezza, prendendole il viso fra le mani e, senza lasciarlo andare, le augurò buon viaggio, si raccomandò di chiamarlo non appena fosse arrivata a casa e Morena scherzò dicendo che Teddy era un’ottima pilota. La baciò di nuovo, a stampo, prima di porgere l’attenzione alle due ragazze semi nascoste dal fuoristrada:
«Romero e Martinez mi hanno chiesto di porgervi i loro saluti. Loro, cioè il mister non gli ha concesso di …»
«Certo! Come no!» Teddy chiuse il portabagagli con un tonfo che fece sobbalzare Grimilde lì vicino, quindi girò intorno all’auto e montò al posto dell’autista, sbattendo lo sportello.
Perché si arrabbiava tanto? Se la memoria non la ingannava non era passata a salutarlo all’aeroporto, Nicolas si era solo tolto un piccolo sassolino dalla scarpa e lei era l’ultima persona sulla faccia della Terra che poteva biasimarlo per quello. Sentì Grimilde ringraziare Diego e dirgli di contraccambiare il saluto dei suoi amici, da parte sua e di Teddy, poi salì sui sedili posteriori dell’auto e rimasero in silenzio, in attesa di Morena.
Dopo un ultimo, lungo e passionale bacio, Torres le aprì la portiera della macchina, quella dal lato del passeggero, le stampò un ultimissimo e fuggevole bacio e la richiuse.
 
Ogni canzone che le stazioni radio passavano sembravano decantare le loro pene d’amore: di un addio straziante fra due persone innamorate l’una dell’altra; di un sentimento nato da poco e di tutte le ansie che questo comporta; di una notte di sesso che si era trasformata in qualcosa di più.
Il cellulare di Grimilde l’avvertì di aver ricevuto un messaggio, senza troppo entusiasmo, quasi meccanicamente, lo cercò e lo trovò nella borsa che teneva al suo fianco. Sul display lampeggiava una bustina e un numero a lei sconosciuto. Il cuore prese a batterle un pochino più forte. Lesse nella sua mente le parole che vi erano scritte: «Non ti dimenticare di me. Arrivederci bionda!»
Il viso della ragazza si illuminò tutto, espandendosi in un gran sorriso, mentre stringeva il cellulare fra le mani. “Bionda” era il nomignolo che Alexander usava sempre per rivolgersi a lei quando erano poco più che ragazzini e, evidentemente, non lo aveva dimenticato.
Teddy vide quegli occhi azzurri brillare dallo specchietto retrovisore e le scappò un sorrisino, poi si accorse che Morena la stava osservando e le strizzò l’occhio. Più si allontanava da quel resort, e soprattutto da Nicolas, più sentiva di star riprendendo il pieno controllo delle sue facoltà. In poche parole, più la distanza materiale fra loro cresceva, più si sentiva bene. Aumentò leggermente il volume dello stereo e cominciò a canticchiare sottovoce, battendo il tempo con l’indice sullo sterzo.
 
Epilogo
 
L’aria fresca dell’appartamento l’avvolse come un mantello bianco. Sentì immediatamente il brusio della televisione provenire dal soggiorno. Si chiuse la porta alle spalle e s’incamminò lungo il corridoio, trascinando con sé la valigia che, come un cagnolino al guinzaglio, la seguiva silenziosa.
Non si era sbagliata, Marcelo era stravaccato sul divano, intento a leggere le notizie riportate su un giornale sportivo, mentre in tivù i beniamini di una telenovela stavano litigando per un presunto tradimento. Teddy rabbrividì a quella scena.
Marcelo la vide e lasciò cadere il giornale sul divano, quindi si alzò e l’abbracciò forte:
«Mì amor» la bacio a timbro «Non ti ho sentito entrare»
«Volevo farti una sorpresa» Teddy lasciò andare il trolley per chiudergli le braccia intorno al collo.
Stretta in quell’abbraccio era tranquilla, sentiva che il peggio era passato, che adesso tutto sarebbe tornato al suo posto, come un puzzle che si ricompone pezzo dopo pezzo. Il ricordo di quei due giorni era lontano e aveva assunto l’aspetto idilliaco di un sogno.
«Non sai quanto mi sei mancata» la voce di Marcelo era un bisbiglio languido, prese a baciarle gli zigomi, la punta del naso, le labbra, il collo. Teddy trattene un risolino:
«Posso immaginarlo» lui proseguì con le sue effusioni
«No, non credo» aggiunse, nel frattempo che tastava la pelle di lei appiccicosa e umida e gli piaceva, tanto da brontolare quando Teddy lo allontanò da sé, con garbo, dicendogli di aver bisogno di una doccia, il viaggio era stato lungo e caldo:
«Poi sarò tutta tua …» gli ammiccò e, seppur a malincuore, Marcelo sciolse l’abbraccio sdraiandosi sul divano dove riprese a leggere, mentre Teddy si versava del caffè nella sua tazza preferita. Distrattamente si rivolse a lui:
«Cosa dice di interessante quel giornale? Qualche articolo degno di nota?» il ragazzo, con i folti capelli castani spettinati, alzò le spalle:
«Mah … solite notizie di calcio, di tennis, di Formula 1 …» ci fu attimo di silenzio, poi accadde tutto velocemente: Teddy abbandonò la tazza nel lavabo e fece per uscire dalla stanza, ma le parole di Marcelo l’arrestarono e la destabilizzarono «Mì amor» lei si fermò e rimase in attesa di ascoltare quello che aveva da dirle, come faceva sempre quando la chiamava così «Lo sapevi che il capitano della Federación de Voleibol de Chile, Nicolas Antonio Romero, ha divorziato da sua moglie dopo soli sei mesi di matrimonio. Incredibile, vero? E pensare che hanno un bambino di qualche anno»
Teddy deglutì, senza avere la forza di aggiungere nulla, senza avere la forza di pensare a niente, la sua mente bacata volteggiava come una ballerina, aveva l’impressione che il suo stomaco si fosse rivoltato centinaia di volte, una vocina lontana tuonò come un allarme dentro di lei,  ricordandole che Marcelo non era a conoscenza del suo trascorso con Nicolas, era stata quindi una coincidenza il fatto che le avesse proferito quella notizia di gossip.
Mosse prima la gamba destra, poi quella sinistra, la distanza che la separava dal bagno le sembrava troppo grande, troppo ardua da percorrere, ma lo fece, raggiunse il bagno e fece scattare la chiave nella serratura, cosa che faceva di rado quando in casa era da sola con Marcelo.
Si lasciò scivolare sul pavimento, aggrappandosi alla vasca da bagno, desderando ardentemente di rimaner blindata lì dentro per l’eternità.


FINE PRIMA PARTE
 

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Capitolo 11
*** Seconda Parte - Prologo - Capitolo 1 ***


INIZIO SECONDA PARTE
 
Prologo
 

Morena aveva trascorso così tante notti insonni che oramai aveva perso il conto e quella, l’ennesima, sperò che fosse anche l’ultima.
La tenue luce dell’abat-jour filtrava attraverso la porta semichiusa della camera accanto, estendendosi sul parquet che rivestiva il pavimento del corridoio, fino a sfiorare il battiscopa. Morena poteva scorgerne l’ombra anche con la porta leggermente socchiusa, forse a causa della notte buia e priva di stelle, resa ancor più oscura dal cielo ricoperto di brutte nubi minacciose. Le parve di sentire un suono e rimase così, sospesa, trattenendo il fiato e contando fino a dieci – come era solita fare nelle lunghe notti in cui era stata sveglia a vegliare e a rimuginare – quando fu poi sicura che era stato solo uno scherzo della mente lasciò uscire l’aria che aveva represso, tornando a guardare Diego che dormiva nel letto – il loro letto – coperto fino a metà corpo.
Aveva passato intere notti seduta su quella sedia, alla toeletta che lui le aveva regalato per completare la mobilia della camera da letto dopo che si era trasferita lì in Italia con lui, a guardarlo dormire con l’orecchio perennemente teso per captare ogni minimo spostamento d’aria, mentre la sua mente si riempiva di domande che avrebbe voluto porgli, di dubbi che avrebbe voluto risolvere con lui, di paure che avrebbe voluto confessare alle sue amiche Teddy e Grimilde, senza mai trovare il coraggio di affrontare l’argomento. E, alla fine, aveva fatto una scelta, la più sbrigativa forse, la più semplice in un certo senso, ma non era riuscita a far altro.
Diego Torres aveva un respiro regolare, le palpebre abbassate erano leggermente schiuse, e se questo aveva spaventato Morena nei primi giorni di convivenza perché le sembravano gli occhi di un moribondo, adesso non le facevano più alcun effetto, dopo quasi due anni poteva dire di conoscere il suo compagno quasi quanto conosceva sé stessa. Tuttavia, la verità era diversa, completamente diversa: in quell’ultimo periodo non era neanche più molto sicura di conoscersi personalmente, figuriamoci se poteva essere così arrogante e affermare di conoscere un’altra persona. Pura fantascienza.
Intere notti a star seduta su quella sedia, fino a farsi dolere il fondoschiena, a fissarlo e a tormentarsi le mani, le unghie, mentre miriadi di timori le corrodevano la mente e il cuore, ma quella notte sarebbe stata l’ultima, non avrebbe più trascorso ore e ore senza dormire nell’attesa o nella speranza che la soluzione arrivasse da sola, senza dimenticarsi di tenere sempre un orecchio teso, per qualsiasi evenienza.
Alle sue spalle la sveglia scandiva i secondi, la guardò e si disse che era tempo di muoversi, a breve lui sarebbe arrivato; aveva già passato questa fase un quarto d’ora prima e un altro quarto prima ancora, senza tuttavia trovare la forza di alzarsi e abbandonare la camera, abbandonare la casa, abbandonare Diego. Questa volta, però, era davvero giunto il momento di smuoversi e salutarlo. Quando si alzò rimase ancora qualche secondo nel buio, la fioca luce dal pavimento si rifletteva fin oltre lo spiraglio di porta aperta, si figurava a chinarsi su di lui e posargli un bacio sui capelli, o sulla guancia, o sulla bocca, invece tutto ciò che fece fu voltarsi e lasciare la stanza, richiudendo la porta dietro di sé, con delicatezza.
Nel corridoio la luce era un po’ più forte di quella che traspariva nella camera da letto e rendeva l’ambiente decisamente meno freddo, più accogliente, quelle stesse mura color panna che Morena aveva imparato ad amare e che aveva sentito sue, ma che ora non riconosceva affatto, c’erano stati momenti in cui le aveva sentite stringersi intorno a sé, fino a toglierle il respiro, fino a schiacciarla. Seguì la luce e si affacciò nella stanza adiacente a quella matrimoniale, l’abat-jour con i personaggi della Disney proiettava le ombre di Winnie the Pooh sul soffitto dipinto di azzurro, le tendine di Qui Quo Qua erano chiuse. La ragazza si puntellò contro l’armadio di acero e sospirò, le braccia conserte come a volersi proteggere dall’onda che, inesorabilmente, l’avrebbe travolta.
Quasi urlò di spavento quando il cellulare riposto nella tasca dei jeans prese a vibrare – non si era dimenticata di abbassare a zero il livello della suoneria, aveva pianificato attentamente quella notte e non avrebbe lasciato nulla al caso. Il suo nome lampeggiava sul display e quando rispose era di nuovo nel corridoio, senza uscire dal cono di luce proveniente alle sue spalle:
«Sei qui?» gli chiese con un filo di voce
«Puntuale come uno sposo» scherzò lui e per Morena non fu difficile immaginare il sorriso che gli stava increspando le labbra
«Lo sai che hai un pessimo senso dell’umorismo, vero?!» bisbigliò e lo sentì ridere
«Vuoi che salga per aiutarti con i bagagli o con Martin?»
«No» fu la risposta categorica di lei «Aspettami giù» e la conversazione si chiuse.
Dopo aver alzato di peso il trolley, per evitare di trascinarlo lungo il pavimento e quindi rischiare di svegliare Diego, tornò indietro un’ultima volta a prelevare Martin dalla sua culla, sussurrandogli una ninna nanna per evitare che si destasse e cominciasse a piangere. Un’alta ombra si ergeva nel salone, era l’abete addobbato, con qualche regalo impacchettato sotto i grandi rami, uno di sicuro era per lei, Torres gliel’aveva lasciato intendere chiaramente e Morena si era illusa che un regalo potesse risolvere o almeno attenuare la situazione, purtroppo si era dovuta ricredere.
Lanciò un ultimissimo sguardo alla casa, con un piede dentro e l’altro oramai fuori dalla soglia, la luce dell’abat-jour si espandeva ancora nel corridoio, ma oramai non poteva più tornare indietro a spegnerla, oramai era fuori e lui la stava aspettando.
 
E lui aspettò, con le mani infilate nelle tasche del giubbotto e il naso all’insù, a cercare di scorgere una stella in quell’ammasso informe di nuvole e oscurità. L’umidità nell’aria aveva reso quella notte meno fredda delle altre, in attesa che il cielo riversasse tutta l’acqua di cui era capace, ma tra poco il maltempo sarebbe stata l’ultima delle preoccupazioni, lì molto probabilmente ci sarebbe stato il sole ad accoglierli o comunque temperature estive, lì il problema era decisamente più materiale e … umano.
Il rombo del taxi parcheggiato e in attesa – come lui – rompeva quel silenzio altrimenti naturale a quell’ora della notte. Guardò l’orologio al polso, scostando il polsino di maglia del giubbotto, erano le tre, tra poco più di mezz’ora il loro volo sarebbe decollato.
Il rumore dei passi che echeggiavano alle sue spalle lo indussero a voltarsi e sorrise alla ragazza che gli stava andando incontro, abbracciandola quando fu alla sua portata. Sorrise a Martin beatamente addormentato fra quelle braccia che lo stringevano e, in automatico, lo cullavano. L’autista del taxi, un uomo di mezza età con pochi capelli e molta pancia, salutò Morena con un inchino appena accennato, chiedendole se poteva prendere i bagagli che portava con sé. Lei annuì, ringraziandolo nella sua lingua madre, nonostante avesse imparato l’italiano velocemente, stupendo addirittura sé stessa, ringraziare le persone le veniva ancora difficile, forse a causa della somiglianza di suono fra le due parole: grazie e gracias.
Montò sui sedili posteriori, con Martin fra le braccia e durante i pochi chilometri che la separavano dall’aeroporto, lasciò che il tassista e il ragazzo, che le sedeva accanto, parlassero di sport (e di cos’altro altrimenti?). Ogni tanto lo scorgeva lanciare uno sguardo a Martin e un sorriso a lei, lei che si stava perdendo nelle luci dei lampioni al neon, continuamente tormentata dal senso di colpa, continuamente in lotta con l’istinto che aveva di tornare indietro e sdraiarsi al fianco di Diego, di abbracciarlo e accoccolarsi a lui. Di amarlo ancora, nonostante tutto.  
 

Capitolo 1


 
Il suo abito da sposa era bellissimo.
Il corpetto finemente lavorato le sorreggeva il seno e assottigliava la vita, cadendo morbido e flessuoso, lasciando dietro di sé un lungo strascico che a Teddy aveva sempre ricordato, dal momento in cui lo aveva indossato per la prima volta in quella boutique, la coda di un cigno, bianco e candido, elegante. Le braccia erano nude e lisce, i capelli raccolti sulla testa in uno chignon, decorato da nastri dorati che ricadevano sulle spalle, un velo di trucco le sfiorava le guance e incorniciava gli occhi, le labbra lucide. Teddy fissava quell’immagine eterea, quasi idilliaca, nello specchio a muro, chiedendosi chi fosse quella persona e perché si trovasse lì.
Qualcuno bussò alla porta alle sue spalle e lei non si voltò a guardare chi fosse, rimase immobile a fissare quella figura. La voce di sua madre le giunse come da lontano:
«Vieni» le ordinò calma e Teddy raccolse l’abito per evitare di inciamparvi dentro, oltrepassò la donna che era più alta di lei di una spanna ma magra alla stessa maniera, e si avviò lungo corridoi pochi illuminati.
La Chiesa era gremita. Scivolando sul tappeto blu vide sguardi sconosciuti fissarla e sorriderle, avvertì il tocco di mani raggrinzite dalla vecchiaia toccarle le braccia e congratularsi con lei. Gli occhi di Teddy passarono velocemente in rassegna l’intera parrocchia, con l’ansia di non vederle, temendo che qualcosa fosse andato storto e loro non erano lì, a sostenerla come sempre. Poi le vide, le sue amiche, Morena e Grimilde, in lunghi abiti dorati e setosi che richiamavano i nastri che aveva nei capelli, le vide e fu tentata di correre ad abbracciarle o di alzare una mano in segno di saluto, invece, semplicemente, rivolse loro un sorriso tremolante colmo di speranza, ma queste non ricambiarono, si limitarono a fissarla, prive di espressione, prive di emozioni.
E Marcelo era lì, sull’altare, con la mano protesa verso di lei, affiancato dai compagni che aveva scelto come testimoni di nozze. Le stava sorridendo e Teddy pensò che almeno lui sembrava felice. Quando posò la propria mano nella sua, la sentì fredda e sussultò quando la stretta di Marcelo diventò salda e quasi dolorosa. Le stava ancora sorridendo, ma il suo sorriso era cambiato, adesso somigliava molto più a un ghigno. Guardò di nuovo le due ragazze sulle sinistra, accennando loro un sorriso imbarazzato, ma ancora una volta queste non ricambiarono. Fu poi la voce del parroco a richiamare la sua attenzione, quando lo sentì pronunciare la Manifestazione del consenso al Matrimonio, saltando tutto quello che il rito normalmente prevede. Teddy lo fissò a bocca aperta, non ricordava neanche quando aveva cominciato la litania, se mai l’avesse fatto. Provò ad interromperlo più volte:
«Se dunque vostra intenzione di unirvi in matrimonio» la voce del prete, un lontano parente della famiglia di Marcelo, era pacata e Teddy vide che aveva le mani protese al cielo e gli occhi chiusi, tentò di dire qualcosa ma lui proseguì « … datevi la mano ed esprimete davanti a Dio … » a quella parola lei si allarmò, voltandosi verso Marcelo che fissava il parroco, lo chiamò a bassa voce, lo scrollò per la spalla, ma lui cacciò la sua mano come se fosse stata una mosca fastidiosa « … e alla sua Chiesa il vostro consenso»
Solo allora Marcelo la guardò, il ghigno era tornato sul suo volto, prese entrambe le mani di lei nelle sue e in quel momento a lei venne in mente il bouquet di fiori d’arancio che avrebbe dovuto portare con sé per poi consegnare a Morena a fine cerimonia, come una sorta di passaggio di consegna. E le fedi? Dove cavolo erano finite quelle fedi?
«Lo sposo può baciare la sposa!» il prete aveva caricato decisamente di troppa enfasi quell’esclamazione, ma non era quello il punto.
Il punto era che tutto stava accadendo troppo velocemente, saltando diversi passaggi e lei non aveva neanche proferito il fatidico sì. Il punto era che le sue amiche le avevano voltato le spalle e che non aveva portato con sé il mazzo di fiori che avrebbe dovuto dare a Morena per la sua nuova avventura in Italia; il punto era che non voleva sposarlo.
Ma ogni pensiero svanì nel nulla quando le labbra di Marcelo toccarono le sue, erano morbide e calde e rassicuranti, continuando a tenere le mani intrecciate la tirò verso di sé e le loro bocche aderirono alla perfezione. Teddy si rilassò per la prima volta da quando si era vista con addosso quell’abito bianco, dimentica delle persone che la circondavano, del prete sull’altare a qualche metro di distanza, di Morena e Grimilde alla sue spalle che non le avevano sorriso mentre attraversava la navata della Chiesa, di Marcelo e del suo ghigno.
Quelle labbra e quelle mani erano l’unica cosa che contavano e che la rassicuravano. Ogni dubbio era svanito, ogni sensazione di assurdità per l’intera situazione era scomparso. Lentamente la realtà riprese consistenza, le bocche si allontanarono e le palpebre si risollevarono, ma l’uomo che aveva appena baciato – o che aveva creduto di star baciando – non era più Marcelo. L’uomo che adesso le stava di fronte, con gli occhi scuri e sorridenti, in smoking nero, era Nicolas Antonio Romero.
 
Teddy scattò all’indietro sulla sedia e il gomito urtò il libro aperto alla sua destra, il quale finì sul pavimento, spandendo i tanti foglietti che custodiva fra le pagine. Lei lo guardò come se fosse l’oggetto più strano e alieno che avesse mai visto. Sbatté le ciglia un paio di volte e si strofinò la pelle delle braccia, nonostante le temperature aveva i brividi. Si chinò a raccogliere il libro e i biglietti sparsi qua e là, adesso le ritoccava riordinarli, posizionando ognuno nella pagina di riferimento, come se non lo avesse già fatto altre volte.
Era da settimane che quel sogno la tormentava, credeva di aver passato quella fase, quella durante la quale non riusciva ad addormentarsi per cinque minuti senza sognare il suo abito da sposa macchiato il giorno del suo matrimonio, Marcelo che non si presentava alla cerimonia, quello di sognare Nicolas, dopo aver fatto un lungo respiro ed aver detto a Marcelo di non amarlo.
Già, perché era proprio quello che era accaduto, né più né meno, era uscita dal bagno dentro il quale si era rinchiusa dopo che il suo allora fidanzato le aveva dato la notizia che l’atleta della nazionale di pallavolo cilena aveva divorziato dopo appena sei mesi di matrimonio. Quando Marcelo l’aveva vista sulla soglia della porta, ancora con i vestiti del viaggio addosso, era scattato dal divano come una molla, fraintendendo il suo sguardo serio in qualcosa di buono per lui. L’aveva raggiunta e le aveva passato una mano dietro la schiena per stringerla a sé e sussurrarle a denti stretti:
«Oh, che bimba cattiva che sei» Teddy aveva odiato ogni singolo vezzeggiativo che usava per apostrofarla quando era eccitata, o quando era contenta, oppure arrabbiata. Lui si era sporto in avanti per baciarla ed è stato in quel momento che lei gliel’ha detto:
«Non ti amo, Marcelo» ma a lui evidentemente era sembrato uno scherzo perché aveva abbozzato un sorriso e si era avvicinato ancor di più «Non è un gioco erotico» la stessa Teddy si era meravigliata della sua voce ferma e fredda «Non ti ho mai amato.»
Marcelo allora l’aveva guardata con un gran punto interrogativo sul volto, indietreggiando di qualche passo fino a quando non aveva incontrato il divano a sbarrargli la strada:
«Ma noi dobbiamo sposarci fra pochi giorni»
«Mi dispiace, ma non sposo chi non amo.»
E poi aveva atteso l’arrivo di Morena e Grimilde nel caffè sotto casa, sollevata.
 
Posò il libro sulla scrivania, dove si era appisolata per qualche minuto, e vi diede un’occhiata veloce: i temi che aveva assegnato come compito in classe ai suoi bambini di terza elementare erano ancora lì, di quindici solo un paio erano stati corretti e archiviati con un visto, il resto l’attendeva per passare insieme tutta la notte. Consultando l’ora sospirò, le ventidue erano passate solo da dieci minuti, ma prima di riprendere il lavoro le serviva carburante e una boccata d’aria. Uscì dalla sua stanza e si trascinò in cucina, dove prese ad armeggiare con la macchinetta per il caffè, sbadigliando rumorosamente:
«Cavolo Teddy! Ma che ti è successo?» la vocina allegra di Grimilde la sorprese a metà sbadiglio e sorrise dinnanzi all’espressione grave della ragazza bionda, il cui viso faceva capolino oltre la grossa spalliera del divano:
«Vuoi un caffè?» le chiese di rimando Teddy, provando a scacciare l’impulso di raccontarle il sogno che continuava a tormentarla. La biondina scattò in piedi e si stiracchio, avvicinandosi al tavolo dove Teddy aveva adagiato un vassoio con due tazzine fumanti. Quest’ultima non poté fare a meno di notare come la sua amica, in mutandine e canotta di Hello Kitty, priva di trucco sul viso, somigliasse più ad un’adolescente che non ad una quasi trentenne. Grimilde si sedette dinnanzi a lei, abbandonando il libro che stava leggendo sul tavolo, Teddy si sporse per leggerne il titolo “Cinquanta sfumature di Nero”, sorrise:
«Ancora con questo schifo?!»
«È l’ultimo della trilogia. Tu sapevi che esistono degli aggeggi sferici che se inseriti nel corpo della donna …» Teddy si coprì le orecchie e strizzò le palpebre, tra l’indice e il medio destro aveva una sigaretta
«Grimi per favore!» la ragazza bionda ridacchiò e bevve un po’ del suo caffè, sperando di riuscire a chiudere occhio nonostante la caffeina ingerita a quell’ora. Vide la fiamma dell’accendino avvicinarsi alla sigaretta e Teddy inspirare a fondo, per poi far uscire il fumo attraverso le labbra. Si sorrisero:
«Hai tutti i capelli in disordine» Teddy vi passò le dita per districarli, a volte si meravigliava di sentirli nuovamente lunghi, seguì quindi lo sguardo di Grimilde, attratta dall’albero di Natale, un abete finto che avevano scelto e comprato insieme poco meno di due anni fa, quando avevano deciso di vivere insieme. Gli scatoloni riesumati dalla soffitta, quella mattina stessa, erano ancora sigillati e su ogni lato avevano ciascuno una dicitura in stampatello NATALE – ALBERO; NATALE – CASA. Quello era il secondo Natale che avrebbero trascorso in quella casa, da sole, al massimo con qualche familiare, ma senza Morena.
Dopo aver mandato all’aria il matrimonio con Marcelo, il già fragile rapporto di Teddy con i genitori era andato peggiorando a vista d’occhio, per non parlare del fratello che viveva in Canada da quando aveva compiuto venti anni e che oramai sentiva solo di rado. I genitori di Grimilde, invece, erano divorziati da quando questa aveva circa quindici anni e se il padre era sempre in viaggio per lavoro, come se la figlia – la sua unica figlia – non sapesse che in verità aveva un’altra famiglia in Inghilterra, la madre non si era fatta problemi a dirle che oramai la sua vita era con il nuovo compagno e i due figli maschi che aveva avuto da quest’ultimo.
Teddy e Grimilde erano, dunque, l’una la famiglia dell’altra e Morena vi avrebbe sempre fatto parte, nonostante la distanza.
La cenere cadde silenziosa nel posacenere di pochi pesos che Grimilde aveva regalato a Teddy perché stanca di scopare la polvere delle sue sigarette che il vento talvolta portava dentro casa quando fumava sul terrazzino. Il balcone aveva le ante spalancate e una leggera brezza soffiava contro le tende chiuse, oltre le quali si potevano scorgere le luci della città. Dabbasso si udiva il vociare di giovani ragazzi e lo sghignazzare di giovani donne, il rombo dei motori delle auto, il graffiare di una motocicletta da cross a cui veniva dato gas, in lontananza la sirena di un’ambulanza. Teddy spense il mozzicone nel posacenere, schiacciandolo per bene con il polpastrello per evitare che il fumo si diffondesse nella casa e ne rimanesse impregnato l’odore, fece per dire a Grimilde che aveva ancora una pila intera di temi da leggere e correggere per l’indomani, ma quando ci provò le parole le morirono in gola: il campanello della porta tuonò.
Si scambiarono un’occhiata interdetta, la domanda inespressa era però palese sul viso di entrambe. Grimilde si alzò lentamente, sorreggendosi al tavolo e fissando la porta d’ingresso, quasi aspettandosi di vederla saltare all’aria da un momento all’altro:
«Aspetti visite?» chiese a Teddy
«Alle 10.30 di sera?» fu la risposta sarcastica della ragazza castana, il timore insinuato nella voce, poi il campanello suonò ancora, questa volta con maggiore insistenza e Teddy si mosse:
«Ehi, che fai?» Grimilde le andò dietro
«Apro.»
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



 
Morena si arrestò dinnanzi ad un palazzo di parecchi piani, una costruzione antica ma che veniva continuamente ristrutturata per mantenere intatta la bellezza del viale, dove passato e presente si mescolavano alla perfezione. Alti palazzi in pietra ospitavano centri benessere e boutique di importanti marchi esteri, lounge bar e locali (dove un cocktail avrebbe avuto lo stesso prezzo di una cena nei pub più modesti del Paese) illuminavano con luci soffuse i marciapiedi che assumevano così freddi colori pastello. Ovunque gente sorridente accerchiate da decorazioni natalizie.
Guardò Martin ancora addormentato fra le sue braccia che oramai non le dolevano neanche più, i muscoli si erano atrofizzati e si chiese se, quando l’avrebbe finalmente adagiato su di un letto, sarebbe stata ancora in grado di stendere le braccia. Lui le fu vicino, il suo borsone in spalla, il trolley di lei in una mano e quello per le cose di Martin nell’altra. Per un po’ rimasero così, con gli occhi all’insù, circondati da quel vocio così familiare, così rassicurante.
Erano a casa.
«Sei sicura che sia questo il palazzo?»
«Sicurissima»
Lui la scrutò. Sembrava sempre la stessa Morena, con quell’espressione corrucciata, come se volesse attraversare con raggi infrarossi le mente umana, per scovarne ogni pensiero. Era sempre la stessa Morena che non voleva sentire ragioni, che tutto ciò che faceva o pensava era la cosa giusta, l’unica cosa giusta da fare. La stessa Morena che non ti dava soddisfazioni, che sembrava infastidita anche solo dalla tua presenza, ma se la si guardava più attentamente si poteva notare una ruga all’angolo dell’occhio, lo sguardo un po’ spento e velato di tristezza – o forse era stanchezza? – braccia forti che stringevano Martin e che non lo avevano lasciato neanche per un minuto, eppure continuava ad avere quella fermezza che la caratterizzava, senza mai vacillare.
«Possono davvero permettersi un fitto del genere?»
«Non pagano nulla. Diciamo che è un regalo da parte del padre» lui fischiò, guardandosi attorno con circospezione, quindi ritornò su Morena:
«Pensi che saliremo prima o poi o resteremo in mezzo alla strada a contemplare le armonie architettoniche della costruzione?» Morena lo guardò e accennò un sorriso
«Armonie architettoniche? Dove l’hai sentita questa, Michelangelo!» e lui rise con lei. Questa era la Morena che ricordava e che adorava punzecchiare:
«Tu mi sottovaluti. L’hai sempre fatto» la ragazza gli lanciò un’occhiata di sottecchi, ripensando al loro passato tutt’altro che pacifico. In tutta risposta lui le sorrise, strofinandole la schiena e invitandola a seguirlo, quindi salì i gradini che precedevano il portone il quale, si meravigliò, era solo socchiuso. Lo spalancò con una spalla e lasciò che Morena vi scorresse oltre, poi il portone scivolò sui cardini silenziosamente e si richiuse alle loro spalle, con un tonfo ovattato. L’aria lì dentro era decisamente più fresca che fuori e Morena si curò di coprire meglio Martin, mentre il cuore del ragazzo che la osservava si intenerì a quel gesto materno e naturale.
Qualche altro minuto lo persero a fissare la porta in legno massiccio, dove una targa citava, in un corsivo tutte curve e riccioli, Fernando Lopez. Era senz’altro quella la porta a cui avrebbero dovuto bussare. Lui adagiò le valigie sulle mattonelle, si sgranchì le ossa e fece per suonate il campanello, ma la mano di Morena si chiuse con uno scatto intorno al suo polso, fermandolo. La fissò,  incredulo, notando da subito i suoi occhi lucidi e il fiato corto, non la vedeva in quello stato da quando gli aveva telefonato per chiedergli di raggiungerla, la voce rotta dall’emozione. Con i dottori assiepati intorno a lei, le aveva stretto la mano e sebbene fosse semicosciente a causa dell’anestesia, aveva mosso le dita e gli angoli delle labbra in qualcosa che rasentava un sorriso.
«Sono qui, Morena» le aveva sussurrato «Sono qui»
In quel momento, però, leggeva anche paura nei suoi occhi grandi e castani, paura di quello che non si conosce, paura che qualcosa fosse mutato in tutto quel tempo che era stata lontana, paura di non esser più accettata. Lasciare l’Italia le era sembrata la scelta migliore, ma adesso, probabilmente, iniziava ad avere dei dubbi, proprio lei che non ne aveva mai, o quasi.
«Fai un bel respiro profondo» le disse lui e lei obbedì «Brava» e suonò e a Morena quasi venne un infarto. Lo guardò male, dicendogli che non gli aveva dato ancora il via per bussare, ma lui sorrise e le disse che sarebbe andato tutto bene, ammesso che in casa ci fosse qualcuno. Inizialmente tutto tacque, poi Morena schiacciò il pulsante del campanello con maggiore insistenza e, ancora attaccata a questo, la porta si aprì e il tempo si fermò.
 
Sarebbe potuto essere chiunque, qualche vicino bisognoso d’aiuto, ragazzini che si divertivano a fare scherzi stupidi, un vagabondo in cerca di cibo o di denaro. Invece era Morena, con in braccio un bimbo piccolo di qualche mese. Morena, in camicia nera con le maniche a tre quarti e jeans scuri, con i capelli lunghi perennemente portati sciolti come un velo, con gli occhi grandi e lucidi e ansiosi, in attesa, con un sorriso mesto e quasi imbarazzato sulle labbra:
«Ciao Teddy» disse e quest’ultima si sciolse come neve al sole, come un ghiacciolo. L’abbracciò, senza riuscire a dire niente, sentendo il suo cuore battere forte e un groppo formarsi in gola. Grimilde dietro di loro saltellava chiedendo in continuazione chi fosse, urlando a Teddy di spostarsi per lasciarla vedere e, solo per evitare che le urla di Grimilde attirassero l’intero condominio, Teddy si fece da parte. Il viso della ragazza bionda s’illuminò d’improvviso, mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia. L’asciugò, senza badarci, senza nasconderla, perché non c’era nulla di strano a piangere per un’amica che non vedeva da almeno un anno e mezzo. L’abbraccio di Grimilde fu meno avventato di quello di Teddy, più delicato e breve, poi circondò le spalle di Morena e insieme entrarono in casa, come se nessuno avesse notato il piccolo Martin fra le braccia di lei. O il ragazzo immobile sul pianerottolo.
Teddy seguì con lo sguardo le sue amiche accomodarsi sul divano, senza smettere quel sorriso di felicità genuina che le illuminava il volto, subitaneo si ricordò di Diego Torres, al quale non avevano rivolto neanche un saluto. Belle scostumate erano state, lei e Grimilde, così prese da Morena da dimenticare il suo fidanzato, ma quando il ragazzo che era stato fino ad allora alle spalle di Morena, in penombra, muto e silenzioso, avanzò fino a trovarsi a meno di un metro da lei, Teddy si sentì volteggiare la testa e il sorriso pian piano scemò.
Nicolas Antonio Romero la guardava con il capo chino, gli occhi si alzavano dalle mattonelle di marmo chiaro fino su di lei, poi tornavano bassi, mentre con una mano si carezzava i capelli tagliati a punta sul capo. Era stato uno sciocco: aveva avuto così tanto tempo per pensare a cosa avrebbe potuto dirle quando se la sarebbe trovata dinnanzi, proprio per evitare quell’imbarazzante silenzio che ora li teneva inchiodati uno di fronte all’altro.
L’allegra voce di Grimilde irruppe come una boccata d’ossigeno:
«Teddy, ma che stai facendo?» poi la sua amica raccolse il piccolo borsone del neonato, tutti pupazzetti azzurri e nuvolette bianche, ed entrò in casa. Grimilde sospirò scuotendo il capo, quindi sorrise a Nicolas, abbracciandolo e posandogli un bacio sulla guancia destra:
«Sei sempre il benvenuto» gli disse e lui annuì, scompigliandole i capelli proprio come lei detestava:
«Sei un mutande» le fece notare con un gran sorriso divertito. La biondina, come da copione, gli inviò un’occhiataccia mentre si lisciava i capelli con le dita sottili e bianche:
«Beh, tu avresti potuto avvertire che saresti passato a salutare» gli mostrò la lingua prima di contraccambiare il sorriso.
Sentiva che quel Natale sarebbe stato diverso.
 
Teddy pareva un’estranea in casa sua. Morena si sedette al suo fianco sul divano e le posò una mano sul ginocchio, fasciato da un paio di leggings scuri:
«Romero» come spesso Morena lo chiamava, restia a lasciare le abitudini della scuola «È stato indispensabile per me in questi mesi che sono stata lontana da voi» improvvisamente sentiva la necessità di spiegare la presenza del ragazzo, come se non avesse pensato all’effetto devastante che avrebbe potuto avere su Teddy, eppure aveva continuato a ripetersi, come un mantra, che quella era la cosa giusta da fare.
La biondina ritornò trotterellando in cucina, dopo aver indossato un paio di bermuda di cotone a tinta unita, sembrava al settimo cielo e Teddy, un pochino, provò un sottile fastidio per il suo atteggiamento esuberante. Fino a quindici minuti prima era nella sua camera a correggere temi scritti da bambini di terza elementare, ora si ritrovava seduta sul divano e costretta a fissarsi i piedi, perché se avesse alzato lo sguardo avrebbe incontrato il suo e non era sicura di avere la forza necessaria per sostenerlo. Grimilde saltò sul divano, scalza, e per poco non si rovesciò su Teddy che se la scrollò di dosso con una sorta di spinta,  obbligandola a sedersi sul bracciolo. Era una bambina o cosa quella ragazza?
Poi Morena parlò e l’attenzione fu tutta per lei:
«Sono contenta di vedere che state bene.»
A Teddy quasi si chiuse lo stomaco. Era stata talmente disorientata dalle emozioni che la vista di Nicolas le aveva provocato, e non meno felice di riabbracciare la sua amica,  che non aveva notato in quest’ultima le profonde occhiaie, gli zigomi pronunciati perché magri, il calo di peso, il suo sguardo spento, ma soprattutto quel fagottino che cullava fra le braccia. La ragazza fissò lo sguardo proprio su quest’ultimo, su quel ciuffo di capelli scuri che spiccava sulla testa, le palpebre chiuse, le manine grassocce:
«Morena, chi è questo bambino?» chiese poi.
Grimilde deglutì, il cuore prese a batterle all’impazzata e il silenzio di Morena era tutt’altro che rassicurante. Cosa era accaduto in questi due anni che erano state lontane? E perché Diego non era con lei? Perché mai c’era Nicolas e non il suo fidanzato in questo momento seduto al suo fianco? Una risposta a quelle domande si formò così chiara e nitida e spaventosa nella sua mente che quasi la fece cadere dal divano. No, non poteva essere …
Nicolas Antonio ascoltò senza spiccicar parola, era una questione che avrebbero dovuto risolvere da sole, lui doveva rimanerne assolutamente fuori. Seduto al canto di Morena di tanto in tanto lanciava degli sguardi a Teddy che le sembrava sempre la stessa, solo i capelli, quelli erano ricresciuti, proprio come piacevano a lui, lunghi e leggermente mossi oltre le spalle. Teddy aveva appena chiesto chi fosse quel bambino e Morena, come era auspicabile, indugiava nella risposta, ma quando la ragazza, che era stata anche la sua ex fidanzata, lo guardò, non poté fare altro che distogliere lo sguardo. No, non avrebbe avuto da lui quella risposta.
«Lui è Martin» disse Morena in un sospiro «Mio figlio.»
Grimilde si sporse in avanti, le sue paure stavano prendendo forma:
«Come tuo figlio? Non ci hai mai detto di essere incinta!» sbottò
«Non può essere tuo figlio! Che significa “è Martin, mio figlio?”» la voce di Teddy era un tremolio, si alzò di scatto ma fu costretta a risedersi, forse un capogiro:
«Mi dispiace, avrei voluto dirvelo ma …»
«Ma? Non ci sono “ma”, Morena! Una gravidanza non è una cosa di qualche giorno! Non è un raffreddore o un mal di denti!» Teddy si coprì il volto con le mani. Come aveva potuto tenerle all’oscuro di tutto. Di una gravidanza, di una cosa così bella come quella di diventare mamma. Si erano fatte delle promesse da ragazzine, a volte non verbali, ma infondo chi dice che le promesse debbano per forza essere verbali? Il più delle volte basta uno sguardo d’intesa, una stretta di mano, un abbraccio o un bacio. Si erano promesse che avrebbero condiviso ogni cosa insieme, bella o brutta, e ora, proprio Morena, era venuta meno ai patti.
«Lo so! Lo so! Sono imperdonabile, però credetemi …» la ragazza castana si sporse in avanti, premendosi una mano sul petto, gli occhi erano lucidi ma tutti i presenti in quella casa sapevano che non avrebbe mai permesso a nessuna lacrima di bagnarle il viso in presenza di altri. Istintivamente Romero prelevò Martin dalle sue braccia, si alzò in piedi e prese a passeggiare in tondo, cullandolo e sussurrandogli quella canzoncina sulla primavera che gli piaceva tanto. Teddy e Grimilde lo fissarono esterrefatte e spaventate.
Oramai la voce di Morena era diventata un sottofondo, quando la biondina le rivolse una domanda che raggelò tutti:
«È Nicolas il padre? È per questo che non ce lo hai detto prima?» 

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Capitolo 13
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 
Tutto in quella stanza si arrestò, perfino il mondo lì fuori pareva essersi fermato, perfino lo scorrere del tempo, in attesa. A scandire i secondi solo il ticchettio dell’acqua che gocciolava dal rubinetto della cucina, Teddy aveva detto più volte a Grimilde di preoccuparsi di contattare un idraulico, prima delle feste natalizie, quando sarebbe stato quasi impossibile trovarne uno disponibile, ovviamente la biondina non l’aveva fatto e Teddy sapeva benissimo che sarebbe toccato a lei premurarsi anche di quello, appena avrebbe trovato cinque minuti liberi.
Morena fissava la sua amica bionda a bocca aperta, interrompendo il fiume di parole e di scuse che aveva avviato senza prendere fiato, la mente improvvisamente svuotata; Teddy la guardò per qualche secondo, poi chinò il capo, stringendo così forte le mani da far sbiancare le nocche, in attesa di sentire la risposta («È Nicolas il padre? È per questo che non ce lo hai detto prima?»), una risposta che, inevitabilmente, avrebbe cambiato il modo stesso di concepire la – sua –vita; Romero era di fronte a loro, quelle tre amiche che aveva conosciuto quando era poco più di un adolescente, quelle tre ragazze che nonostante la lontananza e gli anni trascorsi senza avere loro notizie erano ripiombate nella sua vita come cadute dal cielo. E poi c’era lei, Teddy, che si ostinava a non incontrare i suoi occhi, a non rivolgergli la parola, nemmeno per sbaglio, quella stessa ragazzina con lunghi capelli color nocciola e gli occhi spesso intimiditi dai suoi ogni qual volta si posavano su di lei, quella stessa ragazza che aveva amato fin da subito e che aveva imparato a rispettare nel corso degli anni che li aveva visti insieme e (quasi) inseparabili. Grimilde, al contrario, non aveva paura di sfidare lo sguardo di Morena, né tantomeno quello di Nicolas, sapeva di esser stata avventata nel porre quella domanda con Teddy presente, ma la realtà andava affrontata.
Nicolas Antonio spostò lo sguardo su Morena, con Martin ancora fra le braccia, si sorrisero, poi scoppiarono entrambi a ridere. Risero forte, risero fino a piangere, risero così tanto che lui fu costretto a posare Martin fra le braccia di Teddy, la quale lo raccolse più per istinto che per volontà, mentre la sua vicinanza, il suo riso che le aveva sempre fatto tornare il buonumore quando era necessario, le fecero battere un po’ più forte il cuore. Inizialmente, Grimilde li guardò perplessa, poi prese a ridere con loro. Nicolas e Morena: come aveva potuto pensare una cosa simile? Era come aspettarsi una sorta di fusione tra Stati Uniti e Russia.
«Oh cielo, Grimi!» strimpellò Romero senza riuscire a fermarsi, era da tempo che non rideva così «Certo che le spari proprio grosse!» la prima a riprendere il controllo fu Morena:
«No» disse schiarendosi la voce «Certo che no! Il padre è Diego»
«E allora perché non è qui? Con te e con il bambino?» era stata Teddy a parlare, l’unica che non aveva trovato nulla di divertente nella supposizione di Grimilde. Morena tornò improvvisamente seria e, come se anche Grimilde e Nicolas avessero percepito il cambiamento di rotta, si ricomposero.
Morena puntò i suoi occhi in quelli di Teddy.
Ah, quella Teddy che l’aveva fatta dannare per anni e anni, prima con il fatto di essersi innamorata di Nicolas («Stai parlando proprio di quel Nicolas Antonio Romero: il tipo punk, con gli orecchini e i jeans stracciati, quello che gioca a calcio nella squadra della città, quell'emerito impedito a scuola?»); poi il tempo passato a cercare di consolarla dopo che l’aveva lasciato partire per la Germania; poi a cercare di rimettere insieme i pezzi che aveva perso rincontrandolo durante il suo addio al nubilato, dove per poco non ci finiva a letto insieme (mentre lei era impegnata nel suo primissimo appuntamento con Torres), e infine la storia del matrimonio mandato all’aria con Marcelo. Teddy, che per certi aspetti era dannatamente simile a lei, trattenne il fiato, sentiva che era quella la vera risposta da temere, e non la precedente:
«Perché Diego mi tradisce e sono scappata via da lui»
 
Esprimere a voce alta quella sensazione che per mesi l’aveva incatenata a quella casa, a quel Paese a lei estraneo e a quell’uomo che a tratti riconosceva e a tratti no, la fece rabbrividire e insieme si sentì sollevata, come se avesse rivelato di avere un cancro che non avrebbe più dovuto combattere da sola.
Contrariamente a quanto si era aspettata, però, Teddy e Grimilde non avevano ancora aperto bocca, anzi, le labbra della biondina sembravano voler nascondere un sorrisetto.
L’avevano presa per matta, possibile?
Tuttavia, la persona che apparentemente sembrava aver accusato il colpo più delle sue amiche, era Nicolas, ancora in piedi fra il divano a L in pelle chiara:
«Scappata?» ripeté, alzando un sopracciglio. Tutte lo guardarono, ma Teddy si costrinse a distogliere lo sguardo, aveva sempre adorato l’espressione che assumeva quando qualcosa non gli tornava a conto, fra l’adirato e il sarcastico, lo trovava affascinante e si stupì a riprovare quella sensazione dopo tanti anni.
«Si, sono scappata.» Morena sostenne il suo sguardo, la tensione fra i due era tangibile e Grimilde si accostò un po’ di più a Teddy. Si sentiva sempre un pesce fuor d’acqua quando assisteva a una discussione che non la toccava in prima persona, come se stesse osservando qualcosa di tremendamente intimo.
«Scappata! Quindi lui non lo sa che sei … scappata!» il tono di voce di Nicolas aumentava mano a mano
«Credi che mi avrebbe lasciato partire, altrimenti?»
Martin iniziò a divincolarsi fra le braccia di Teddy che prese a cullarlo istintivamente.
«Tu mi hai telefonato sconvolta, chiedendomi, supplicandomi di accompagnarti qui, dalle tue amiche, perché avevi bisogno di tornare in Cile per riabbracciarle!»
«Ed era vero!» lo interruppe Morena, entrambi quasi urlavano e di tanto in tanto anche il piccolo Martin faceva sentire la sua voce.
«Mi hai chiesto di farti da bodyguard perché non sapevi come cazzo prendere un aereo e come fare da sola con Martin! Però non hai mai accennato al fatto che stavi in rottura con Torres, né al fatto che lui è praticamente all’oscuro!»
«Non mi avrebbe lasciato partire!» ricalcò Morena, nessun tremolio nella voce, d’istinto prese nella sua mano quella del bimbo per provare a calmarlo, mentre Grimilde gli faceva delle moine con la speranza di farlo smettere di piangere.
«Gli hai portato via suo figlio, Morena! Sei da denuncia, lo sai?» questa volta nessuno rispose e Nicolas sospirò, sedendosi pesantemente, con la fronte contro le mani e i gomiti sulle ginocchia. Si sentiva tradito, usato, preso in giro.
Teddy approfittò di quel momentaneo silenzio, come se fosse una tregua, e si alzò, senza mai smettere di cullare il piccolo che stringeva fra le braccia, sembrava a disagio:
«Morena, scusami, ma il piccolo piange …»
«Stai calma Teddy, ha solo fame» a parlare era stato ancora lui,  Nicolas
«Io non ho un figlio!» sbottò Teddy, più infastidita di quanto voleva dare a vedere per la sua affermazione «Non me ne intendo, al contrario di te!»
La temperatura lì dentro era calata di parecchio nell’ultimo quarto d’ora. Morena prese il piccolo Martin con sé, la discussione avuta con Romero non sembrava averla turbata; era forte Morena, soprattutto adesso che aveva una piccola vita da proteggere, chiese quindi a Grimilde un pentolino con dell’acqua per mettere a scaldare il biberon.
Nicolas Antonio aveva rialzato lo sguardo e fissò Teddy, soppesando quelle parole appena pronunciate, lottando contro la voglia che aveva di approfondire l’argomento, ma era sfinito e con troppe orecchie intorno a loro ad ascoltare. Chiuse gli occhi e si lasciò cadere contro la spalliera, con la sensazione di aver percorso la tratta Italia – Cile a nuoto, improvvisamente aveva l’aria stanca.
 
La camera da letto di Grimilde era quella padronale e misurava almeno il doppio di metri quadri se paragonata a quella di Teddy. Le tende chiuse e drappeggiate erano costellate di cuoricini rossi stilizzati, su fondo rosa chiaro; il letto, stranamente intatto, era ricoperto di peluche ordinatamente riposti come se ognuno avesse un posto preciso dove stare, la coperta era rossa con ghirigori dorati, di chiaro stile natalizio, ai lati due comodini traboccanti di cianfrusaglie varie: smalti per le unghie, elastici per i capelli, crema snellente notte, crema snellente giorno, bottigliette d’acqua di mezzo litro, una pila di quattro libri, e altro ancora. Le pareti, dipinte di bianco, erano spoglie, solo un quadro raffigurante la Madonna era stato appeso al muro, alle spalle del letto. Un armadio imponente si issava contro la parete opposta al quadro, le ante erano tutte rigorosamente fatte di specchi. Nell’angolo in alto a destra una porta chiusa conduceva al doppio servizio.
Grimilde aveva insistito perché fosse Teddy ad occupare quella stanza, quando due anni fa si trasferirono in quella casa, ma quest’ultima aveva rifiutato categoricamente, e non per il semplice fatto che la ragazza bionda fosse la padrona di casa, ma perché non avrebbe saputo proprio cosa farsene di una camera così grande.
Morena si accomodò sul bordo del letto, acconciandosi Martin fra le braccia, mentre Teddy le passava la bottiglia di latte tiepido. Rimase a guardarli per un po’, mamma e figlio, così simili eppure diversi. No, le labbra erano quelle di Morena, o forse di Diego? Infondo ricordava così poco del fidanzato della sua amica che era l’ultima persona a poter dare un giudizio in merito.
Adesso che era da sola con Teddy, Morena si sentiva irrequieta, nella testa migliaia di pensieri si mischiavano e le parole si confondevano, aveva così tante cose da dirle e da chiederle che non sapeva neanche da dove iniziare.
Si alzò, spostando il bambino in posizione verticale, la bottiglietta era ancora piena per metà, ma per quella sera poteva andare, infondo Martin non era mai stato un gran mangione delle pappate notturne. Doveva dire qualcosa a Teddy o sarebbe scoppiata, la osservò, con le gambe distese sul letto, i peluche messi da parte, mentre sfogliava i libri di Grimilde, poi d’improvviso la vide sorridere:
«Questi libri fanno arrossire anche solo leggendo il titolo o guardando l’immagine sulla copertina!» diede una fugace occhiata alla donna mora, nuda e di spalle, cavalcioni su un aitante uomo dai capelli troppo biondi.
Morena sospirò:
«Mi dispiace di esservi piombata in casa così all’improvviso» Teddy sollevò gli occhi, sembrava più tranquilla ora, senza la presenza di Nicolas:
«Non lo devi neanche pensare! Mi hai capito?»
«Non sapevo dove altro andare. A chi altro rivolgermi. La mia famiglia non ha approvato il mio trasferimento in Italia, figuriamoci se mi fossi presentata a casa … mi vengono i brividi solo a pensarci» Teddy le si avvicinò provando ad abbracciarla come meglio poteva, senza rischiare di soffocare Martin. Ancora non poteva credere che quello fosse il figlio di Morena. La sua Morena.
«Qualsiasi cosa sia successa in questi due anni, la risolveremo insieme, come abbiamo sempre fatto!»
«Però a te devo delle scuse particolari» disse d’un tratto e nonostante Teddy già sapeva dove sarebbe andata a parare, le lasciò finire la frase «So che rivedere Romero per te non è facile. Non lo è mai, in verità, ma …»
«Va bene così» la interruppe Teddy, d’improvviso non aveva più voglia di ascoltare, d’improvviso la consapevolezza che lui era nell’altra stanza la riempì come una bolla d’aria, d’improvviso l’assalì la voglia di vederlo, di poterlo osservare dal vivo, scorgendo quelle minuziosità che solo lei conosceva, o perlomeno le piaceva pensare che fosse così; di poter sentire il tono della sua voce a solo qualche metro di distanza. Avrebbe potuto toccarlo, se solo …
«Va bene?» ripeté Morena e quei pensieri si dissolsero in un batter di ciglia. Le sorrise, doveva andare di là o sarebbe implosa, era come andare sott’acqua e non riuscire più a salire in superficie per respirare:
«Si, va bene. Oramai è acqua passata» guardò il piccolo Martin e questa volta fu sicura: gli occhi erano gli stessi di Morena che, in quel momento, non riusciva a guardare. La conosceva troppo bene, le avrebbe letto dentro e per quella sera c’erano già abbastanza gatte da pelare.
«Forse è meglio che vi lasci da soli. Raggiungici quando Martin si sarà riaddormentato»
Morena annuì, osservando Teddy che le sorrideva come un ebete fin quando non uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
«Hai visto la zia Teddy, tesoro?» chiese a Martin, il quale rispose con un verso «Quel sorriso nascondeva un mondo dietro di sé» di nuovo Martin assentì.
La sua mamma aveva sempre ragione!
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 


È strano come il corpo umano avverta alcune cose e tenti di metterti in guardia, seppur a modo suo. Una notizia, un cambiamento, un pericolo. Il fisico non riesce a distinguere la felicità dalla rabbia, la paura dal coraggio. Si piange per la troppa contentezza, ma si piange anche per il troppo dolore; la paura genera adrenalina, così come il coraggio. Ci sono cose che accadono in un istante preciso, in una data situazione, talvolta si riesce ad inquadrarlo e si è consapevoli che è stato in quel preciso momento che qualcosa è mutato, si è spezzato, irrimediabilmente.
Morena sapeva perfettamente in che occasione Diego era cambiato – o forse era cambiata lei? – lo sapeva come sapeva di essere incinta ancor prima di fare il test di gravidanza, lo sapeva già mentre, notte dopo notte, faceva l’amore con lui.
Erano stati ad una stupida festa di matrimonio, dove era rimasta per quasi tutto il tempo seduta ad una lunga tavolata da sola, circondata da giovani donne per lo più italiane, a fissarsi le mani, mentre il suo fidanzato rideva e chiacchierava con i suoi compagni. Un ammasso di rozzi uomini in smoking, troppo ubriachi per mettere su frasi di senso compiuto, troppo ubriachi per ricordarsi delle loro mogli o fidanzate, troppo ubriachi per astenersi dal guardare le hostess in tailleur blu notte ondeggiare i loro didietro perfetti e sensualmente fasciati dal tessuto morbido e sottile della gonna.
Lo stesso Torres era troppo ubriaco per evitare di complimentarsi con la damigella della sposa ogni qual volta gli passava davanti, avrà avuto circa vent’anni e un fisico mozzafiato.
Le donne intorno a quel tavolo parevano non preoccuparsi affatto degli apprezzamenti che i loro mariti o compagni rivolgevano alle altre ragazze presenti nella sala, evidentemente più giovani e attraenti di loro. O erano abituate, pensò Morena, o se ne fregavano. Ma lei no, non era né abituata, né tantomeno gliene fregava. Ardeva dentro, come un fuoco lento che le bruciava fin nelle vene scorrendo per tutto il corpo. All’inizio aveva provato a distrarsi, seguendo i ragionamenti e le chiacchiere di quelle donne, benché non conoscesse a perfezione la lingua italiana, riusciva a comprendere almeno il senso delle conversazioni. Ma quei discorsi l’annoiavano: i figli, la scuola, l’estetista, il parrucchiere, la rigorosa dieta, la vescica sul tallone, il rossetto abbinato, l’abito firmato e l’abito “made in china”, le scarpe e la gara a chi aveva i tacchi più alti. Dopo un po’ quel vocio era diventato un sottofondo, al pari del piano bar, ma stranamente i complimenti che gli uomini – che Diego – rivolgevano alle ragazze le giungevano forte e chiaro.
Erano le cinque del mattino quando si era messa al volante della cabriolet di Diego, con quest’ultimo completamente rintontito dall’alcool, seduto al posto del passeggero, ammonendolo di continuo perché stesse fermo con quelle mani che invece la toccavano ovunque, mentre procedeva lentamente lungo la statale che li avrebbe ricondotti a casa.
Il vento le buttava i capelli all’indietro e le faceva accapponare la pelle delle braccia, non era riuscita a chiudere il tetto dell’auto e se all’inizio si era indispettita, quella brezza era stato un vero toccasana per il suo fisico e la sua mente.
Il cielo era puntellato di stelle, la strada deserta, ma era soprattutto il mare ad infonderle una nuova forza, il suo rumore, il suo odore, per un momento le sembrò di esser ritornata in Cile, agli anni in cui ripercorreva la strada che dal campus universitario la riportava a casa, da sua madre, da suo padre, dalle sue amiche. Poi i mugolii di Torres e la sua mano che le palpava la coscia la fecero ritornare con la mente alla realtà e, per l’ennesima volta, lo allontanò, gridandogli di stare fermo.
Era il 31 agosto e di lì a qualche mese avrebbe scoperto di essere incinta, ma lei lo sapeva già. Lo sentiva. Come sentiva che dal 31 agosto qualcosa tra lei e Diego Torres era mutato, seppur impercettibilmente, il suo corpo lo avvertiva.
 
Teddy rimase qualche minuto nell’ombra del corridoio che conduceva alla cucina e al salone. Che conduceva a lui.
Proprio a lui, la cui voce le arrivava chiara e limpida, quella voce che avrebbe riconosciuto fra mille. Data la cadenza del tono, probabilmente stava sorridendo, forse chiacchierando di qualcosa in particolare con Grimilde. Infondo era impossibile non sorridere in sua presenza, al contrario di lei e Morena, la ragazza bionda raramente era di cattivo umore e, anche quando lo era, le passava in un nano secondo, le bastava distrarsi, trovare qualcos’altro da fare o a cui pensare. Questa volta Teddy lì senti ridacchiare insieme e si scoprì ad essere incuriosita, di cosa potevano mai parlare di così divertente?
Chissà, forse stavano ridendo ancora del fatto che Grimilde aveva pensato ad un’assurdità come quella di Morena e Nicolas insieme. Si, con il senno di poi, Teddy si rese conto che era davvero improbabile.
Avanzò di qualche passo, arrestandosi di nuovo. Da lì poteva vedere il suo profilo, il sorriso largo, la posizione del corpo leggermente curvata in avanti, le braccia posate sulle cosce, le dita delle mani intrecciate come in preghiera. Come poco prima, quando lo aveva visto sul pianerottolo di casa, o quando le aveva posato Martin fra le braccia per l’improvviso attacco d’ilarità, il cuore di Teddy prese a battere un po’ più forte, accompagnato questa volta da una sensazione di vuoto allo stomaco.
Nicolas, pensò, e come se lui avesse udito il proprio nome si voltò a guardarla, lì in penombra, mentre lo fissava. Il sorriso morì dal suo viso, ma gli occhi si addolcirono, perché lui non era capace di odiare. Se Teddy fosse stata al posto suo si sarebbe odiata per l’eternità.
Grimilde seguì lo sguardo di Romero e saltò a sedere con le ginocchia, rivolta alla sua amica:
«Teddy!» esclamò «Che fai lì? Dai, vieni qui! Ho preparato il caffè!» batté il palmo della mano sul cuscino rigido di pelle e a Teddy non rimase altro da fare che assentire «Morena non viene?»
«Si, certo. Non appena Martin si sarà riaddormentato» teneva gli occhi fissi in quelli azzurri di Grimilde, non osava voltarsi dall’altro lato, dove sapeva che ne avrebbe trovati due scuri e profondi come la notte senza stelle.
«Martin è un gran dormiglione» disse d’improvviso lui, obbligandola a guardarlo, il sorriso era riaffiorato sulle sue labbra, si stiracchiò le braccia e ricadde all’indietro, contro lo schienale «Non ci vorrà molto.»
Sul tavolino basso, al centro del divano, sito su un tappeto di poco prezzo che Teddy aveva comprato al mercato del mercoledì, Grimilde vi aveva adagiato un vassoio con quattro tazze di caffè all’americana e un porta biscotti pieno per tre quarti. La biondina si sporse in avanti e ne prese due in un sol colpo, il primo se lo infilò subito in bocca, era al cioccolato. Stava ancora masticando quando chiese:
«Tu lo conosci proprio bene questo bambino?»
Nicolas Antonio si passò una mano sulla testa, quasi imbarazzato da quella domanda:
«Non così bene …»
«Di sicuro lo conosci meglio di noi. Almeno eri a conoscenza della sua esistenza» Teddy aveva parlato d’impulso, con una leggera vena sarcastica nella voce. Nicolas provò a mettersi nei suoi panni, apprendere che la sua migliore amica aveva avuto un figlio senza mai accennare alla gravidanza doveva esser stato una sorta di shock, o comunque un dispiacere:
«Se avessi saputo che non ne sapevate nulla vi avrei telefonato io»
«E perché avresti dovuto farlo?» questa volta Teddy alzò lo sguardo per guardarlo in faccia «Tu sei un portento nel tenere nascoste le notizie importanti.»
Nicolas Antonio Romero ripassò in rassegna quella frase nella sua mente, qualcosa gli sfuggiva, qualcosa di non detto aleggiava fra quelle parole, avrebbe potuto leggere fra le righe e forse ci sarebbe anche riuscito, se solo fosse stato un po’ più sveglio e meno offuscato dal viaggio e dal fuso orario. Cercò aiuto in Grimilde che però gli sorrise flebilmente facendo spallucce, come a dire “non guardare me, lo sai come è fatta Teddy”, poi osservò proprio quest’ultima allungare la mano sinistra per prendere un dolcetto e, per la prima volta da quando era arrivato in quella casa, notò un particolare essenziale: non portava la fede.
 
La porta della camera da letto di Grimilde si chiuse e i passi di Morena giunsero fino a loro, poi la videro materializzarsi dalla penombra del corridoio, indossava una tuta di cotone a maniche lunghe, con la zip della maglia chiusa fino al collo. Un classico di Morena quello di nascondere quanta più pelle era possibile. Si accomodò al fianco di Grimilde, il viso visibilmente sollevato e riposato, profumava di bagnoschiuma a fragola, quello preferito dalla biondina, la quale le saltò al collo, respirando a fondo il suo odore, non quello dolce e mieloso del bagnoschiuma, ma il profumo di Morena: la sensazione delle sue spalle e delle braccia che si chiudono intorno al proprio fisico mingherlino, quella dei folti capelli castani che le solleticano il naso e la guancia, assaporando quella sensazione di sicurezza che forse non ha mai avuto da una vera mamma.
Grimilde rimase ancora un attimo abbracciata a Morena, poi passò un braccio intorno al collo di Teddy e strinse entrambe, trascinandole con sé contro lo schienale del divano:
«È fantastico! Siamo di nuovo tutte insieme!» esclamò, circondata dalle sue amiche sorridenti. Era vero, era fantastico, nonostante le ragioni che le vedevano insieme non erano delle più allegre era comunque fantastico!
Il classico rumore di uno scatto e il bagliore accecante del flash fu quasi come una tromba, ricordando loro che non erano sole. Nicolas era di fronte a quelle tre ragazze, le braccia allungate in avanti e un i-Phone a coprirgli parte del viso. Il suo sorriso si allargò quando vide la foto che aveva appena scattato sul display:
«Romero!» sbottò Morena, da sempre infastidita dall’obiettivo della macchina fotografica «Cancella subito!» ma Nicolas forse neanche la sentì, abituato com’era alle sue lamentele, o troppo indaffarato ad armeggiare con il touch:
«Voglio vedere! Voglio vedere!» Grimilde al contrario di Morena era sempre stata a proprio agio al centro dell’attenzione, dimentica delle sue amiche balzò in piedi e affiancò il ragazzo, facendo leva sulle punte dei piedi per cercare di vedere la foto «Oddio! Ho la frangia tutta in disordine» concluse, prendendo a lisciarla con le dita
«Romero, elimina quella foto!»
«Che dici? La inviamo a Martinez?» continuò lui e il volto di Grimilde s’illuminò, mentre Nicolas la guardava di sbieco, senza smettere di sorridere:
«Si, si!» esclamò lei, affacciandosi di nuovo sullo schermo del cellulare
«No!» era stata di nuovo Morena a parlare
«Inviata!» Nicolas guardò la madre di Martin e la schernì con una linguaccia, mentre lei metteva il broncio. Quando faceva così lo detestava.
Teddy era rimasta tutto il tempo seduta a fissare quell’allegra combriccola. La sua allegra combriccola. Era rimasta immobile, con le mani strette a pugno, lottando contro la voglia di saltellare dietro la biondina per vedere quella foto: si sarebbe avvicinata a lui, inebriandosi del profumo di Nicolas, quello che usava sempre, quello che metteva da quando era poco più di un quindicenne, quello che non poteva permettersi a quei tempi perché costava troppo e allora entrava nelle profumerie e di nascosto se lo spruzzava dai campioni esposti sugli scaffali, quello che aveva comprato dopo il primo stipendio. Poi magari avrebbe detto a Morena di smetterla di fare tante storie perché era molto più fotogenica di quello che credeva, ma sarebbe stata molto critica con sé stessa – il sorriso da ebete, il viso troppo grande, il fatto che sembrava una persona obesa a causa della postura assunta – solo per sentirsi dire da Nicolas che era perfetta, che era bellissima, lei avrebbe finto di non credere alle sue parole e allora lui, per darle conferma di quello che pensava, le avrebbe dato un bacio a stampo sulle labbra.
Come un uragano fu investita dalle immagini del sogno che l’aveva tormentata solo poco tempo prima – l’abito da sposa, la chiesa, le sue amiche arrabbiate con lei, Marcelo, Nicolas e il suo bacio che aveva fatto sparire ogni paura, ogni dubbio, ogni insicurezza – si ma quanto prima? Ore, minuti, giorni?
Si alzò, sentendo il silenzio calare improvvisamente e gli occhi dei presenti fissarla, ancora una volta aveva rovinato quel bel momento e si sentì in colpa per questo. Si avvicinò al tavolo della cucina e si accese una sigaretta, respirando a fondo il sapore acre del fumo.
Grimilde urtò Nicolas con il gomito, quasi di nascosto, Morena la fissò con fare interrogativo, chiedendosi cosa avesse in mente:
«Ehi! Nicolas!» lui la guardò, avvicinando l’orecchio per sentire cosa aveva da dirgli, aveva un tono di voce molto basso, ma Grimilde non lo alzò, né lo guardò in viso quando gli parlò «Guarda che non si è più sposata»
«Grimilde!» Morena la richiamò, guardandola male, ma l’unica a beccarsi una vera occhiata di fuoco fu proprio quest’ultima, da parte di Romero:
«Grazie per avermi detto anche questo!»
«Non glielo hai detto?» Grimilde era stupita quasi quanto lui
«Tu non me l’hai mai chiesto!» si difese Morena, continuavano a bisbigliare
«Io cosa? Tu, piuttosto …»
«Che succede?» l’interruzione di Teddy fece sobbalzare tutti e tre: Morena drizzò la schiena, Nicolas finse di essere interessato ad una macchia inesistente sulla mascherina dell’i-Phone bianco, Grimilde sorrise con troppa enfasi, porgendole una tazza fumante:
«Caffè?»
 
Fu così che mentre Teddy si gustava il suo ennesimo caffè, Grimilde si affacciava per l’ennesima volta sulla biscottiera, il viso concentrato, poi sorrise e afferrò un altro frollino al cacao.  
Teddy la osservò, invidiava il suo metabolismo veloce e il fatto che sembrava poter ingurgitare quante schifezze desiderava senza ingrassare mai, senza preoccuparsi dei brufoli. Riusciva a mantenere la sua pelle candida come il latte, liscia e luminosa, e dubitava che fosse per le creme che quotidianamente utilizzava, semplicemente era stata fortunata in questo.
La biondina prese un altro biscotto, al burro questa volta, e lo divorò come quello precedente, sul seno piatto e sulla gambe incrociate caddero alcune briciole che tuttavia non si curò di togliere:
«Fammi capire una cosa» disse rivolta a Morena, ingoiando rumorosamente «Tu in realtà credi che Diego ti tradisca»
Nicolas scosse il capo, sorridendo con sarcasmo, era rimasto in silenzio per tutto il tempo, inviando messaggi ai compagni di squadra e di nazionale, fingendosi poco interessato, ma assolutamente attento a quello che gli accadeva intorno.
«No! Io so che lui mi tradisce!»
«Te lo ha detto lui?» le chiese Teddy alle sue spalle, seduta al tavolo della cucina a fumare un’altra sigaretta. Vide le spalle di Morena alzarsi e abbassarsi, come se avesse sospirato con forza, come una persona che si è sentita rivolgere la stessa domanda per decine di volte:
«No» rispose in un sospiro
«Lo hai beccato in qualche modo? Che ne so … hai letto un messaggio sul cellulare, un biglietto …»
«Tanga nelle tasche dei pantaloni» sghignazzò Grimilde e Nicolas la guardò divertito e compiaciuto, cosa che irritò Teddy, la quale si arrabbiò ancor di più per l’indignazione che aveva provato di fronte a quel sorrisino di chi sa il fatto suo:
«Grimilde! Questo è un discorso serio!» sbottò poi, schiacciando il mozzicone nel posacenere. La biondina si voltò a guardarla, interdetta, l’espressione di una bambina sgridata dalla mamma, un altro biscotto a mezz’aria:
«Perché te la prendi con lei?» Romero alzò gli occhi dal display dell’i-Phone e li fissò il quelli di Teddy, il suo tono pacato metteva i brividi «Qui la sola che dovrebbe essere rimproverata è Morena …»
«Tu non sai quello che ho dovuto sopportare!» tentò di schermirsi la ragazza mora, nella mente ancora i lunghi minuti che con una lentezza esasperata si trasformavano in ore, mentre aspettava Diego seduta al tavolo, osservando il giorno che si tramutava in notte, con quel senso di impotenza che la divorava da dentro.
«Morena non è un incosciente!» esclamò Teddy in difesa dell’amica, o forse semplicemente per la voglia che aveva di affrontare Nicolas. Si alzò e si avvicinò al divano «Se ha fatto quel che ha fatto avrà avuto le sue buone motivazioni! E tu non le conosci, quindi non puoi permetterti il lusso di giudicarla!»
«Hai ragione! Non conosco le sue ragioni, ma ti posso assicurare che c’ero io quando ha partorito in ospedale, circondata da medici italiani, di cui a malapena comprendeva le parole!» Teddy sbarrò gli occhi e Morena nascose il volto dietro i palmi «Le ho stretto la mano, l’ho rincuorata, ho preso Martin in braccio prima del padre …» Nicolas sembrò colto da un’improvvisa rivelazione, spostò l’attenzione sulla neo mamma «A proposito, Torres dov’era quel giorno?»
«Non lo so» fu la risposta secca di Morena «Gli telefonai almeno dieci volte nell’arco della mattina per dirgli che i medici mi avrebbero portato in sala operatoria di lì a poco»
La rabbia che aveva invaso Romero parve abbandonarlo e lui la scacciò espirando, l’emicrania cominciava ad attanagliargli la testa:
«Arrivò in clinica solo in serata» dichiarò poi, rammaricandosi giacché quel fatto non aveva destato sospetti in lui a quei tempi.
 
Come era prevedibile, dopo la tempesta, il nulla.
Oramai non giungeva neanche più il mormorio della città, solo una sirena o l’allarme di una macchina in lontananza dava loro la sensazione che al di fuori di quelle mura si estendeva il Mondo. Il rubinetto perdeva ancora, ma nessuno vi badava.
Grimilde fissò il frollino che avrebbe voluto mangiare, ma si scoprì a provare un leggero voltastomaco e lo riadagiò con garbo nel porta biscotti. Provò solo ad immaginare quello che aveva dovuto passare la sua amica: una gravidanza improvvisa, un compagno di vita di cui non si fidava, sola e praticamente sbattuta dall’altra parte dell’oceano. Era fin troppo ovvio pensare che Nicolas Antonio doveva esser stato il suo unico appiglio, il suo unico promemoria di un’altra vita, più felice forse, più facile. Sentì le lacrime bruciare e d’istinto strinse la mano a Morena, seduta al suo fianco, questa le sorrise mesta:
«Cosa farai ora?»
«Innanzitutto chiamerà Torres» intervenne l’unico uomo presente
«Scordatelo!» esclamò Morena, incrociando le braccia e guardando altrove.
La tregua momentanea era già passato. Nicolas si drizzò in piedi:
«Mi aiuti a farla ragionare, per favore!»
A Teddy mancò il respiro. Quegli occhi, quello sguardo, quel tono. Fu come se gli anni che li avevano visti lontani miglia e miglia non fossero mai esistiti, si dice che indietro non si torna, ma in quel momento a Teddy vennero dei dubbi.
Morena era sempre stata molto orgogliosa e testarda, anche più di lei, e farle ammettere uno sbaglio, o farle cambiare idea, non erano mai state imprese facili. Quando Nicolas non ci riusciva da solo, si voltava verso Teddy, allora la sua fidanzata, e con fare esasperato, come chi non sa più che pesci pigliare, invocava il suo intervento, sempre con la medesima frase «Mi aiuti a farla ragionare, per favore!», consapevole che lei era l’unica persona che ci sarebbe potuta riuscire.
Teddy chinò il capo e lentamente si accomodò sul bordo del divano, passando un braccio intorno alle spalle di Morena:
«Te lo chiedo un’ultima volta» disse «Sei proprio sicura che Diego ha un’altra donna?»
«Sicurissima»
«Sicurissima» le fece il verso Nicolas, subendo varie occhiatacce, eccetto da parte di Grimilde che a stento trattenne un risolino «Rimane comunque il padre di tuo figlio! Ha il diritto di sapere dov’è Martin!»
«Chiamalo tu!» sbottò Morena, scrollandosi di dosso la stretta amichevole di Teddy e alzandosi per contrastare Nicolas, era più bassa di lui di almeno dieci centimetri o poco più: «Se hai paura di essere ritenuto mio complice e di avermi aiutata a scappare, telefonagli e digli che non ne sapevi niente!»
«Si, esatto! Brava!» le applaudì davanti alla faccia, cosa che fece imbestialire Morena «Mi hai dato proprio una bella idea! Brava!»
La ragazza con i lunghi e folti capelli castani parve caricare, alla stregua di un toro, Grimilde si sarebbe aspettata di vederle fumare narici e orecchie da un momento all’altro. Preoccupata scattò dal divano, inserendosi fra i due con facilità grazie al suo fisico esile, mentre Teddy tirava verso di sé Morena, prendendola per le spalle, poi una famosa canzone pop inglese echeggiò in tutta la casa.
Morena fissò lo schermo del suo smartphone, stringendolo con forza fino a farsi sbiancare le nocche. La scritta Mì Amor lampeggiava sul display. Teddy le sussurrò che avrebbe dovuto rispondere e spiegargli la situazione.
Trattennero il respiro, poi Morena rifiutò la chiamata e fu come se tutta la fatica del mondo crollasse sulle loro schiene. Nicolas Antonio spalancò le braccia; Grimilde sospirò e ricadde pesantemente sul divano, le spalle ricurve; Teddy si passò una mano sul volto.
«Gli parlerò io, meglio che tu lo sappia» il tono di voce di Romero era tornato pacato, ma nascondeva una rabbia immensa, aspettò una risposta da parte di Morena che tuttavia non giunse «Mi hai deluso, sai? Credevo che fossi una persona più matura»
«E io credevo che tu stessi dalla mia parte»
Nicolas Antonio aprì la bocca ma la richiuse immediatamente, non aveva più argomentazioni. Nessuno, in verità, sembrava averne più, o forse non avevano più la forza di intraprenderne di nuove.
Il rintocco del costoso orologio a cucù, che il padre di Grimilde aveva comprato durante i suoi primi viaggi in Svizzera, segnò la mezzanotte. La ragazza bionda si alzò stiracchiandosi, quindi si rivolse a Nicolas:
«Puoi dormire sul divano» disse «Nel corridoio infondo a sinistra c’è il bagno, ti prendo una coperta nel caso avessi freddo durante la notte» sorrise «Se ti ammali la tua squadra potrebbe anche farmi causa.»
Sorrisero tutti: l’ottimismo di Grimilde era sempre stato contagioso e, nonostante gli anni, questa sua virtù era rimasta immutata. Grazie al cielo!
Teddy fu la prima ad abbandonare la stanza, annunciando di avere del lavoro da finire – quei benedetti quindici temi da leggere e correggere non potevano cascare in una notte peggiore – stampò un bacio sulla guancia di Morena, augurandole la buona notte e bisbigliandole di essere contenta di averla di nuovo a casa.
Anche Morena parve sollevata, dopo tanto tempo avrebbe potuto dormire serena, ma il sorriso svanì quando Nicolas le ricordò ancora una volta che avrebbe telefonato a Diego:
«Fa come ti pare, Romero. Io con lui ho chiuso» quindi seguì Teddy lungo il corridoio.
Nicolas e Grimilde rimasero ancora un po’ a rimuginare, poi la ragazza raccolse il vassoio con le tazze e lo adagiò nel lavabo con delicatezza, posò la biscottiera nello stipetto in alto a sinistra sollevandosi sulle punte dei piedi, infine tornò a rivolgersi al ragazzo, entrambi avevano l’aria di essere molto stanchi:
«Ti serve qualcosa?» gli chiese, ma lui scosse il capo, la ringraziò e si augurarono buona notte a vicenda.
Nicolas Antonio rimase in piedi a fissare il suo cellulare per un tempo indefinito, quindi avviò la chiamata. In Italia dovevano essere circa le otto di sera e quando era oramai sicuro che non avrebbe ottenuto risposta, sentì distintamente la voce di Diego Torres dall’altra parte del telefono.
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


 
Le mattonelle del pavimento, a forma romboidale, erano rosa, le piastrelle vicino al muro erano rosa, la tendina era a fondo bianco con margherite … rosa. Tutto in quel bagno era rigorosamente rosa, fatto che lasciava presagire lo zampino di Grimilde.
Nicolas Antonio entrò nella doccia, sorrise quando poggiò la pianta dei piedi sul tappetino a forma di cuore, ovviamente rosa. Girò la manopola dell’acqua in senso orario e quasi inveì quando gli arrivò addosso un getto bollente e fumante. Immediatamente regolò la temperatura e quando fu sicuro di potersi immergere, lasciò che l’acqua portasse via con sé gran parte della stanchezza e dei pensieri che gli affollavano la mente: il viaggio, Teddy, le rivelazioni di Morena, la sua cocciutaggine, ancora Teddy.
Grimilde gli aveva rivelato che non si era più sposata. Perché?
Si chiese se c’entrasse qualcosa il fatto di essersi rincontrati in quell’albergo, o di esser andati a tanto così da fare l’amore, durante quello che sarebbe dovuto essere il suo addio al nubilato. Avrebbe potuto chiederglielo, avrebbe dovuto chiederglielo.
Sì, d’accordo, ma come aprire l’argomento? Magari avrebbe potuto iniziare dicendo «Ehi, per caso non ti sei più sposata perché ci siamo baciati e hai capito di amarmi ancora? No, perché è quello che è successo a me.» Figuriamoci, si disse, Teddy non avrebbe mai ammesso una cosa simile neanche sotto tortura.
Osservò silenzioso e pensieroso la mensola coi diversi bagnoschiuma alla vaniglia, alla fragola, al cocco, al miele. Era tutto così disgustosamente femminile in quel bagno che fu tentato di tornare in soggiorno, dove aveva lasciato il borsello con il suo bagnoschiuma, ma attraversare la casa con addosso solo un asciugamano a coprire le sue nudità non era per niente una buona idea. Il problema non sarebbero state tanto Morena – la quale sarebbe arrossita e si sarebbe coperta gli occhi – né tantomeno Teddy, che l’aveva visto “come mamma l’ha fatto” in più di un’occasione, ma Grimilde. Quest’ultima avrebbe cominciato con le sue battutine e i suoi sorrisini maliziosi fino a metterlo in imbarazzo di fronte alla sua ex. No, molto meglio sacrificare la sua mascolinità e cospargersi di schiuma profumata al cocco, piuttosto che essere la vittima di quella pazzerella dai capelli biondi.
Si asciugò in fretta, indossò un paio di pantaloni di tuta sopra agli slip e una canotta scura, si acconciò i capelli nello specchio e uscì.
La casa era immersa nel più totale silenzio. Incredibile, ma anche Grimilde doveva esser crollata per la troppa stanchezza e Morena forse era sdraiata al suo fianco, gli occhi spalancati e la mente a zonzo. Martin … beh, guardandolo il suo unico pensiero sembrava essere quello della prossima poppata.
Dallo spiraglio di porta della camera di Teddy, tuttavia, vi penetrava della luce. Proprio come aveva affermato, prima di rinchiudersi lì dentro, aveva del lavoro da sbrigare per l’indomani. Nicolas sostò per qualche secondo davanti alla sua camera, fissando la porta come se vi stesse vedendo attraverso. Tese l’orecchio per captare anche il minimo spostamento d’aria, qualsiasi cosa gli avesse fatto capire se Teddy era ancora sveglia. Non arrivò nulla, chinò il capo e proseguì, sdraiandosi sul divano.
Con la luce spenta  l’unica fonte di illuminazione proveniva dai lampioni in strada appesi tra un palo all’altro della corrente. Scrutò l’ambiente che lo circondava e le ombre che vi si stagliavano dentro: il cucinino con il suo tavolo quadrato per quattro persone, il rubinetto che perdeva, l’enorme frigo con decine e decine di calamite dalle forme più improbabili; due scatoloni nell’angolo in alto a sinistra posizionati sotto un albero finto con ancora i rami chiusi; una TV a schermo piatto bella grande, una biblioteca con diverse enciclopedie, l’orologio a cucù in legno; un tendaggio chiaro e drappeggiato a coprire le ante del balcone, chiuse. Romero si girò su un lato, tirandosi fino a metà corpo la coperta che Grimilde gli aveva promesso – aveva un profumo che non gli era nuovo e che tendeva a formargli nella testa immagini e sensazioni, tuttavia sbiadite – abbassò le palpebre e, contro ogni sua scommessa, si addormentò.
 
“Caro Babbo Natale,
io per Natale vorrebbi un cavallo vero …”
 
Teddy cerchiò di rosso il termine “vorrebbi” correggendolo nella giusta forma verbale. Continuò a leggere e sorrise, a volte quei bambini erano la sua ancora di salvezza, il suo salvagente in mezzo al mare. Tutta quell’ingenuità le lasciavano sperare che qualcosa di buono era rimasto al Mondo, che qualcosa di buono era rimasto anche per lei. A parte l’errore iniziale, non ne aveva trovati altri in quel tema scritto in caratteri corsivi grossolani e quasi illeggibili, se non fosse che lei vi era oramai abituata. Lo firmò con un visto e lo archiviò insieme agli altri. Fissò poi gli ultimi temi, ancora in attesa di essere corretti, erano sette. Sospirò, sentendo le palpebre pesanti e un forte mal di testa che le faceva dolere l’intero cranio. Di fronte a lei il pacchetto di Merit, accanto una piccola sveglia le cui lancette dicevano che tra meno di un quarto d’ora sarebbero state le due del mattino.
Lasciò cadere la penna sulla scrivania e si ravvivò i capelli, legandoli poi sul capo in una sorta di chignon approssimativo. Tornò a guardare le sigarette, la voglia di fumarne una era troppo forte per farla desistere. Si alzò piano per evitare di urtare la sedia e fare rumore.
Infondo aveva sentito i passi di Nicolas almeno un’ora prima – se non di più – quando aveva avuto la sensazione che si fosse arrestato davanti alla porta della sua stanza, ma sicuramente doveva essersi sbagliata. Per quale motivo avrebbe dovuto farlo?
Afferrò il pacchetto bianco e giallo delle Merti, l’accendino con la Torre Eiffel sopra e uscì, aprendo adagio la porta.
La casa era immersa nel buio, aspettò affinché i suoi occhi si abituassero all’oscurità e s’incamminò scalza e in punta di piedi lungo il corridoio, tagliando in obliquo il salone fino a raggiungere il balcone, che aprì. Lanciò un’occhiata alle sue spalle solo per vedere Nicolas addormentato sul divano, il respiro regolare, la coperta che lei stessa gli aveva lasciato sul bracciolo – che come era prevedibile Grimilde aveva dimenticato – tirata fin sotto il collo. Era il plaid a quadri che teneva perennemente piegato nell’armadio, sempre a portata di mano in caso sentisse freddo durante le ore spese alla scrivania o al computer.
Fuori l’aria era più fresca di quello che credeva. Quell’anno l’estate stava tardando ad arrivare e, intenta com’era a non svegliare nessuno, aveva dimenticato un golfino o comunque qualcosa per coprirsi le braccia, pazienza. Accese la cicca e tirò a fondo, gustando fino all’ultimo il gusto amaro e aromatizzato di quelle sigarette.
Il cielo era scuro e tempestato di piccoli puntini luminosi, le strade deserte e rischiarate da una fioca luce che tendeva all’arancio più che al giallo. Un cane rovistava nei cassonetti della spazzatura e un gatto miagolava da qualche parte in lontananza, forse su di un tetto, il suo pianto d’amore.
Teddy pensò agli avvenimenti di quella giornata, o forse sarebbe stato più corretto dire serata? A Morena, alla sua folle fuga da Diego Torres, al fatto che aveva avuto un bambino – ma davvero Morena era diventata mamma? Mamma … - senza confidarsi con lei o con Grimilde, bensì con Nicolas. Inevitabilmente pensò alle parole di quest’ultimo «Le ho stretto la mano, l’ho rincuorata, ho preso Martin in braccio prima del padre.» Inspirò ancora e prese a strofinarsi le braccia con le mani. Pensò ancora a Diego, distante chilometri e chilometri, forse preoccupato per la sua compagna e suo figlio, o forse finalmente libero dalla loro presenza.
«Teddy» la voce assonnata di Romero irruppe nei suoi pensieri facendole perdere qualche battito:
«Ni-Nicolas» si affrettò a tirare due boccate dalla sigaretta prima di gettarla di sotto «Non volevo svegliarti» lo osservò strofinarsi gli occhi con i palmi delle mani, sulla guancia sinistra i segni del cuscino scavati nella pelle, l’aria di una persona che non sa neanche in che giorno sia. Era bellissimo e Teddy si scoprì a non poter fare a meno di fissarlo.
«Non fa niente» sbadigliò «Ho sentito dell’aria fredda sul viso e mi sono alzato per chiudere il balcone»
Teddy si diede dell’imbecille. Aveva dimenticato di chiudere le ante!
«Perché hai buttato la sigaretta?» Nicolas Antonio si affacciò di sotto per vedere il mozzicone ancora acceso «Era consumata solo per metà»
«Va bene così» Teddy tentò di abbozzare un sorriso, si sarebbe intrufolata in casa, se solo lui non le avesse sbarrato la strada, o se avesse avuto il fisico magro magro di Grimilde.
«Ce ne fumiamo una insieme?»
Teddy spalancò gli occhi, esterrefatta. Quando stavano insieme, seppur raramente, Nicolas aveva fatto qualche tiro dalle sue sigarette. Per tenerti compagnia, le diceva, per condividere con te questa tua abitudine, seppur pessima; perché ti amo, concludeva.
Lei guardò l’orizzonte, dove cielo e mare si fondevano, in lontananza le navi e i pescherecci sembravano ridotti in scala, simili ai giocattoli dei bambini che talvolta sequestrava in classe ai maschietti, per poi restituirglieli a fine lezione. Senza dire una parola rovistò nel pacchetto di Merit e se ne portò una alla bocca, l’accese e inspirò, quindi la passò a Romero. Deglutì mentre lui poggiava le labbra dove, solo un attimo prima, vi erano state le proprie, quindi lo vide assottigliare gli occhi, aspirando. Il fumo si diradò davanti al suo viso che la luce artificiale dei lampioni schiariva, le ripassò la sigaretta e lei la prese, attenta a non sfiorare le dita della sua mano. Il filtro era inumidito contro la bocca di Teddy che fu colpita da un imprevisto attacco d’ilarità, come se tutto il nervosismo provato si fosse trasformato in qualcosa di buffo. Cercò di pensare a cose brutte, come faceva quando era una ragazzina e la sua compagna di banco – che di solito, manco a dirlo, era Grimilde – le bisbigliava qualcosa di divertente e/o sconcio all’orecchio.
Nicolas Antonio tossì, il viso contratto in una smorfia di disgusto e allora Teddy rise, non riuscendo più a trattenersi, rise mentre gli dava delle pacche dietro la schiena:
«Non ho mai capito …» ancora tosse «… cosa ci trovate di bello nel fumare» gracchiò, prima di fermarsi e fissare la ragazza asciugarsi gli angoli degli occhi.
Quella era la sua Teddy.
 
«Ehi, per caso non ti sei più sposata perché ci siamo baciati e hai capito di amarmi ancora? No, perché è quello che è successo a me.»
 
Alcune ciocche di capelli erano fuoriuscite dallo chignon, ricadendole sul viso, leggermente ondulate e mosse dalla brezza. Teddy  fece un profondo respiro, trattenendo l’aria prima di farla uscire, le giunse un velato e dolciastro profumo di cocco:
«Ok! Passato!» disse a Nicolas che la fissava fra il divertito e l’offeso, di nuovo fu scossa da un attacco di risa, che tuttavia riuscì a controllare «Giuro! Passato!» ma lui proseguiva a guardarla «Un altro tiro?» gli chiese porgendogli la sigaretta e questa volta scoppiò di nuovo a ridere.
«Sì» avrebbe voluto risponderle lui «Ma solo per sentire quel filtro bagnato …» invece scosse il capo e rifiutò con ironica gentilezza.
Teddy tornò con lo sguardo all’orizzonte, non più scossa da attacchi di risa, né innervosita dal disagio contro cui aveva lottato pocanzi nel soggiorno, quando non era riuscita neanche a posare gli occhi su di lui. Si voltò e lo vide seduto con le spalle al muro e le gambe distese, guardava davanti a sé un punto indefinito. Come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, come se fossero stati due buoni amici – ma erano mai stati amici e basta? – si accomodò al suo fianco, tirando ancora dalla sigaretta:
«Ho parlato con Torres» disse ad un tratto lui, senza voltarsi a guardarla, ma avvertendo la presenza del suo corpo a pochi centimetri, sapeva che Teddy lo stava fissando in attesa che lui continuasse il racconto «Per lui Morena si è inventata tutto»
«Stronzate!» esclamò Teddy, come era prevedibile, sempre in supporto delle sue amiche. Romero chinò il capo:
«Mi ha detto che in realtà era lei quella strana ultimamente. Forse iniziava a sentire la mancanza del suo Paese. Molto più probabilmente di te e Grimilde» si fermò per soppesare le prossime parole «Scherzando mi ha detto che a volte aveva come l’impressione che vi ami più di quanto possa amare lui» Nicolas la guardò di sottecchi
«O ma per favore! Che idiozie!»
«Beh, un pochino è vero. Siete indissolubili»
Teddy inspirò del fumo, poi lo ricacciò fuori formando una nuvoletta grigia. Chi meglio di Nicolas Antonio poteva sapere quanto quelle tre ragazze fossero legate da qualcosa di inconcepibile per chiunque altro? Diego forse se ne era reso conto a suo discapito, ma arrivare a pensare che Morena si fosse inventata tutta quella storia solo per tornare in Cile era inverosimile. Pura fantascienza.
Sentiva gli occhi di lui su di sé, un piccolo vuoto si stava formando pian piano nello stomaco. Avanti, penso Teddy, chiedimelo Nicolas, fallo pure, sono pronta.
«E così …» si schiarì la voce per prendere tempo e trovare il coraggio di proseguire «… non ti sei più sposata»
Oramai lo chignon era una massa informe di capelli adagiati sulla nuca, Teddy tirò l’ultimissimo tiro dal mozzicone e lo gettò di sotto:
«Te lo ha detto Morena?»
«No, Grimi»
Teddy lo guardò stralunata:
«Grimilde? E quando?» nella sua mente si formò l’immagine della biondina che di nascosto gli inviava un messaggio per fargli sapere che lei aveva mandato tutto a quel paese, Marcelo e matrimonio compreso.
«Poco fa.»
La risposta la sconcertò ancor di più. Quella ragazza era fuori controllo, faceva sempre ciò che voleva, in un modo o in un altro.  E Morena? Possibile che non gli avesse spifferato nulla durante le loro chiacchierate in Italia? Che fermezza, una vera tomba, al contrario della biondina a quanto sembrava …
 
«Ehi, per caso non ti sei più sposata perché ci siamo baciati e hai capito di amarmi ancora?»
 
Teddy si alzò, sgranchendosi le ossa delle braccia, mentre Romero la fissava da basso. L’elastico che teneva uniti i capelli si slegò e cadde sulle mattonelle quadrate del balcone, lui lo raccolse e glielo porse. Senza trucco, con i capelli spettinati e con addosso una maglia larga sopra i leggins color jeans sembrava una ragazzina:
«Teddy, ascolta, io …»
«Devo finire di correggere i compiti» lo interruppe lei, acconciandosi i capelli in una coda bassa  «Domani è l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, quindi non posso rimandare la consegna.»
«Ti aiuto» lei lo fissò con un sopracciglio alzato «Sono temi delle elementari, non dovrebbero essere troppo complicati per me e poi il sonno mi è passato» Teddy seguitò a fissarlo e lui sorrise «Il fatto che insegni in una scuola elementare privata me lo ha detto Morena.»
Teddy ricambiò il sorriso e tornarono all’interno della casa, dove la temperatura era decisamente più accogliente:
«Intanto tu fai il caffè» gli disse a bassa voce
«Quanti ne hai presi oggi?»
«Fai il caffè ho detto!» concluse la ragazza, dandogli le spalle per nascondere un sorriso e raggiungere la sua camera da letto, solo per recuperare gli ultimi scritti da correggere.
No, lei, Teodorita Gomez e lui, Nicolas Antonio Romero, non erano mai stati amici e basta, ma chissà che questa volta non sarebbe stata quella buona.

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Capitolo 16
*** Capitolo 7 ***



Capitolo 7

 
 
Grimilde si trascinò a fatica fuori dal letto. Scrutò la stanza,  illuminata da un raggio forte e giallo che le fece strizzare gli occhi azzurri e voltarsi dall’altra parte. Il lettone nel quale aveva dormito era disfatto e … vuoto. Come un fiume in piena gli avvenimenti delle ultime ore la colsero facendola svegliare tutto a un tratto.
Morena e Martin. Teddy e Nicolas.
Contro ogni sua morale uscì di corsa dalla stanza, a piedi nudi, ma soprattutto senza districare i capelli e la frangia arruffata sulla fronte. Giunse nel salone con il fiato corto e si arrestò. Lì dentro c’era un’atmosfera surreale. Fiochi raggi di sole penetravano attraverso la tenda chiusa, il rubinetto gocciolava scandendo il tempo, le lancette dell’orologio rimbombavano nel silenzio. Morena, ancora in tuta e con i capelli legati, era in piedi con il piccolo Martin fra le braccia, attaccato al biberon con le sue manine grassocce e le labbra della mamma posate sul capo. Le sorrise quando la vide sulla soglia della stanza, quindi con un cenno del capo la invitò a guardare davanti a sé.
Grimilde camminò in senso antiorario intorno al divano a forma di L, dove Teddy e Romero dormivano beati, sul tavolino basso diversi fogli protocollo, a righe, erano piegati a metà e sistemati uno dentro l’altro. Teddy era seduta, il capo abbandonato all’indietro, le labbra leggermente schiuse. Nicolas la teneva per la vita, con la testa poggiata sul suo grembo, il resto del corpo celato da una coperta a quadri che Grimilde non tardò a riconoscere: era quella di Teddy.
Morena le si avvicinò di soppiatto:
«Quanto vorrei che questi due fossero felici» bisbigliò «Insieme.»
La ragazza bionda la guardò di sottecchi. Era cambiata. Morena era cambiata. Se avesse assistito a quella scena anni e anni addietro, sarebbe andata su tutte le furie, lamentandosi del fatto che queste cose avrebbero dovute farle nell’intimità. Grimilde non aveva mai concepito il suo pudore esasperato, ma ci aveva riso su, talvolta con Teddy, altre volte rimproverata dalla stessa.
A proposito di Teddy. Grimilde si voltò per consultare l’ora. Tra solo venti minuti la bella maestrina addormentata, con appiccicato addosso il suo principe azzurro, si sarebbe dovuta presentare in classe.
«Oddio!» esclamò facendo piangere Martin «Teddy! Teddy!» la scosse, dandole dei leggeri buffetti sulla guancia «Svegliati! Teddy! È tardissimissimo
Morena indietreggiò di qualche passo, cullando il piccolo Martin, mentre Teddy apriva piano gli occhi, con un lamento, le ossa della schiena indolenzite, fece per muoversi, ma si accorse di essere praticamente immobilizzata.
Nicolas Antonio la teneva stretta in una morsa, la testa adagiata sul suo addome. Le grida di Grimilde, il pianto di Martin e la voce in sottofondo di Morena che cercava di calmarlo, le giungevano ovattate. Per lei c’era solo quel ragazzo con i capelli arruffati e la carnagione ambrata che aveva amato e che, troppo tardi, si era accorta di non aver mai smesso di farlo, incollato a lei in un abbraccio dolce e romantico insieme.
«Teddy! Sono le otto meno un quarto!»
Dapprima guardò la sua amica bionda con i capelli tutti scompigliati e la pelle del viso ancora assonnata, poi spostò l’attenzione sull’orologio a cucù, constatando di persona che in soli quindici minuti si sarebbe dovuta lavare, vestire e percorrere quei pochi chilometri che la separavano dalla scuola in un’apocalisse di sole, clacson e richieste di venditori ambulanti e lavavetri. Provò a scrollarsi di dosso il peso, seppur confortante, di Romero, spingendolo all’indietro per le spalle, ma in tutta risposta la sua presa divenne più salda, lo sentì mugolare quasi infastidito. Teddy spinse con maggior voga:
«Spostatiiii!» quando riuscì a sciogliere quell’abbraccio scattò dal divano come una molla.  Lui ricadde con la schiena contro la spalliera, aprì piano gli occhi, trovandosi di fronte il sorriso ebete di Grimilde.
 
Sentirono la porta del bagno sbattere e Teddy ne uscì dopo qualche minuto, in biancheria intima, i capelli sciolti e pettinati, un velo di trucco sul viso. Questa volta non si curò di chiudere la porta della sua stanza, ove velocemente indossò un paio di pantaloni di cotone scuri, scarpe basse e una camicia beige, i cui ultimi bottoni finì di allacciare in cucina, afferrando con i denti una brioche alla crema che Morena le ficcò in bocca, facendo poi ondulare la manina di Martin nel classico segno del “ciao ciao”:
«Bye bye zia Teddy!» disse mimando una vocina infantile.
Teddy si chinò a baciargli una guancia, fra gli assensi del piccolo bebè, ingoiò in un solo sorso una tazza di latte fresco e macchiato, probabilmente di Morena, quindi si avviò alla porta.
«Teddy!» Nicolas, ancora mezzo addormentato sul divano, le porse i temi che avevano corretto insieme quella notte, fra risa e sfottò, poi dovevano essere crollati dal sonno.
Sì, ma quando?
Inizialmente la vide fissare il resto dei fogli che aveva in mano e trattenuti insieme da una graffetta, quindi battersi il palmo sulla fronte, sorridendo:
«Oh! Grazie! Grazie! Grazie!» Teddy tornò su i suoi passi, prese i temi al volo e, istintivamente, si chinò in avanti, arrestandosi a pochi centimetri dalla bocca di lui. Si fissarono negli occhi per un tempo che a loro parve lunghissimo, ma che in realtà rasentava briciole di secondi.
Cosa diamine gli era passato per la mente?
Un bacio a stampo! Ecco cosa gli era passato per l’anticamera del cervello. Come se lui fosse stato il suo ragazzo, da salutare in fretta e furia prima di correre a lavoro. Indietreggiò senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi, due pupille scure, ancora assonnate e confuse, abbozzò un sorriso tremolante alle sue amiche che la fissavano a bocca aperta e uscì, facendo le scale a due a due.
Nella stanza calò il silenzio, anche Martin aveva l’aria di chi è rimasto sotto shock. Nicolas Antonio si voltò piano in direzione delle due ragazze, accennando un sorriso di circostanza, ma il suo imbarazzo era tangibile. Grimilde si pettinò la frangia sulla fronte, quindi gli sorrise entusiasta, battendo i palmi delle mani:
«Zuppa di latte con biscotti integrali?»
 
La cameriera sparse sul tavolino rotondo tutto quello che lui aveva ordinato: due caffelatte, tre ciambelle ripiene al cioccolato, un succo di frutta dall’intenso color arancio. Nicolas ringraziò e la giovane donna si allontanò con passo svelto.
Martin allungò le mani per afferrare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro sul tavolo e prontamente Morena lo fermò:
«Hai messo paura a quella povera ragazza!» disse poi rivolta a Romero, questi s’imbronciò:
«Non è vero! Ho solo ringraziato!» Martin allungò di nuovo le mani e Morena di nuovo lo arrestò:
«Ma non hai visto che faccia ha fatto, Romero? Poverina!»
«È che sono troppo bello» ridacchiò lui, mordendo una delle tre ciambelle «Faccio questo effetto alle donne!»
Morena roteò gli occhi al cielo, lei non era mai stata debole alla bellezza, al contrario di Grimilde, ora intenta a fissare i dolci che aveva sotto al naso. La vide sospirare:
«Non posso mangiarla. Mi sentirei in colpa»
«Hai visto Martin» iniziò la sua mamma «Siamo a colazione con la zia Grimilde che è una paranoica e con zio Romero che è un buffone narcisista!»
«Zio Nicolas. Ma ci riesci a chiamarmi per nome?»
Morena gli fece uno smorfia e Martin rise, mentre la biondina addentava la sua colazione, quindi si rivolse a Nicolas, la bocca ancora piena e lo zucchero a velo tutto intorno:
«Cosa avete fatto questa notte tu e Teddy?»
Morena spostò l’attenzione da Grimilde a Nicolas, in verità si era meravigliata di come la sua amica fosse riuscita a non porgergli ancora quella domanda. Lui bevve un lungo sorso di succo, prendendo poi a strofinarsi la nuca:
«Ma niente. L’ho aiutata con i temi dei bambini»
«Tu? I temi?» sbottò Morena, un sorrisino malcelato sul volto.
«Ah l’amour!» esclamò Grimilde con un finto accento francese, Martin sembrò apprezzare quell’affermazione e protese le manine verso di lei che prese a giocherellarci «Matty! Matty! Matty!» il bimbo rise di gusto.
«Si chiama Martin!» intervenne Morena, prima di rivolgersi di nuovo a Nicolas Antonio «Ti sei reso conto che questa mattina Teddy stava per baciarti, si?»
«Chi è il bimbo più bello dell’universo? È Matty!»
«Si chiama Martin!»
«E tu ti rendi conto che il padre di Martin è dall’altra parte del mondo?» il tono di Nicolas era cambiato, fissò Morena negli occhi e, come sempre, lei sostenne lo sguardo, mentre Grimilde prendeva il piccolo fra le sue braccia:
«Bubu settete!» lui rise ancora.
«Non ne ho voglia di parlare adesso!» replicò Morena, bevendo un sorso di latte macchiato
«E invece ne parliamo proprio ora!» proruppe Nicolas e questa volta la ragazza castana guardò altrove, la fronte corrugata.
Anche Grimilde e Martin si zittirono, entrambi interdetti dal tono nevrotico del ragazzo:
«Ho chiamato Diego ieri sera, al posto tuo. Ultimamente faccio tutto quello che spetterebbe ad altri: prendo il posto del padre di Martin, prendo il posto di compagna di Torres … » si rendeva conto che quello era un suo sfogo personale e che lo stava portando lontano dal fulcro del discorso, quindi riordinò le idee e proseguì «Mi ha giurato che lui non ha fatto assolutamente niente per farti scappare così …»
«Ovvio! Non poteva mica affermare il contrario!» continuò Morena a denti stretti, come se stesse parlando a sé stessa
« … sono due le cose a questo punto: o stai mentendo tu, o sta mentendo lui!»
«L’unica cosa certa qui è che non devo delle spiegazioni a nessuno, figuriamoci se le devo a te!»
Come sempre, quando Morena alzava la voce, Martin cominciava a piangere. Grimilde provò a fargli tornare il sorriso, ma prima che ci riuscisse la sua mamma lo aveva già preso in custodia, alzandosi dal tavolo.
«Se dovessi sentire di nuovo il tuo amichetto lì in Italia, digli che può darla a bere a tutti voi, ma non a me!» quindi si voltò verso la biondina «Torno a piedi a casa»
«Sei sicura?»
«Assolutamente» Grimilde fece spallucce, sorridendo al piccolo Martin che aveva smesso di piangere, il musetto imbronciato:
«Ciao Matty!»
«Si chiama Martin!» quasi urlò Morena, lanciò un ultimo sguardo truce a Nicolas, quindi si allontanò alacremente.
Lui e la biondina si guardarono e risero. Quando Morena era così arrabbiata rasentava il tragicomico e faceva venire sempre una gran voglia di schernirla per farla incavolare ancor di più. Grimilde notò che la ciambella della sua amica era rimasta intatta nel vassoio, senza rifletterci a lungo decise di mangiarla. Lasciarla lì sarebbe stato uno spreco.
 
La ragazza bionda sembrava a proprio agio immersa nel traffico cittadino, al comando della sua Lancia Y, color sabbia. Tamburellava gli indici sullo sterzo, le dita strette e pallide, le unghie intarsiate di brillantini su fondo rosa shocking. Nicolas abbassò il volume della radio e la voce di J.Lo scemò nell’abitacolo della macchina:
«Farai tardi a lavoro. Lascia stare, prendo un taxi» le disse
«Ho detto che ti accompagno fino a casa, stai tranquillo» gli rispose la ragazza, tornando a girare la manopola del volume, così che la canzone della Lopez riecheggiasse ancora, ma lui questa volta la spense del tutto:
«Dove hai detto che lavori?»
«Come receptionist in un centro solarium»
«In un centro solarium? Davvero?» rise, ovviamente alludendo alla sua carnagione candida e Grimilde lo guardò di sbieco e lui non poté fare altro che scusarsi, sapeva quanto era stata presa in giro da adolescente per quello e quanto ci aveva sofferto, quindi aggiunse «Cosa ne pensi della storia di Morena?»
Grimilde sospirò. Nicolas Antonio Romero era stato sempre l’unico a chiedergli pareri in merito alle situazioni, non che le sue amiche non lo ritenessero importante, ma sovente l’avevano trattata alla stregua di una bambina, dando per scontato ciò che gli passava per la testa.
«Morena sta semplicemente seguendo il suo istinto. Infondo nessuno di noi sa veramente cosa sia accaduto in questi anni di convivenza con Torres»
«Si, ma Martin …»
«É la mamma di Matty, chi meglio di lei può sapere quale sia la cosa giusta per lui?» Nicolas fece per controbattere, quando il suo I-Phone si illuminò. Sorrise:
«É Martinez» annunciò «Dice che entro domani sarà a Santiago»
Il volto di Grimilde s’irradiò di contentezza. Erano mesi che non vedeva Alex e il solo pensiero di poterlo riabbracciare, di poterlo baciare e toccare e …
«Grimi! Mi ascolti?»
«Eh, cosa?» guardò di sfuggita Romero, senza distogliere l’attenzione dalla strada, nonostante l’espressione fosse quella di un pesce lesso, come se fosse caduta dalle nuvole. «Dice che domani notte sarà ospite di una serata al Viva la Vida» Grimilde emise un fischio d’apprezzamento, si trattava di una delle discoteche più rinomate della città «Ha promesso anche la mia presenza» sembrò rifletterci un attimo «Vi va di venire?»
«Sarebbe bello! Ma figurati se ci faranno entrare senza un invito»
«Certo che no! Ed è per questo che sarete nostre ospiti» le strizzò l’occhio e si scambiarono un sorriso di consenso.
 
Teddy salì un gradino per volta. Si sentiva sfiancata dalla giornata lavorativa, e non perché fosse stata particolarmente pesante, ma perché per tutto il tempo aveva lottato contro il pensiero di Nicolas e di quel bacio che stava per schioccargli sulle labbra.
Come le era venuto in mente una cosa simile? Neanche dieci ore prima era stata così orgogliosa di sé stessa, per aver dimostrato di poter essere sua amica, di poter ridere e scherzare ancora con lui. Si era illusa. Questa era l’amara e cruda verità. Aprì adagio la porta d’ingresso, girando la chiave nella serratura. Morena e Grimilde erano entrambe alle prese con le decorazioni natalizie, l’albero era stato ultimato e splendeva di luci colorate nell’angolo sulla destra. Martin giocava con i suoi peluche sul tappeto, al posto del tavolino basso, al centro del divano, diligentemente spostato. Nicolas non c’era, proprio come le aveva detto quella notte, era andato a casa dai suoi genitori che erano tornati in Cile per trascorrere la vecchiaia, dopo gli anni di lavoro in Germania. Grimilde l’accolse come al solito, con un gran sorriso dipinto sul volto, Morena le era di fianco, alcune ghirlande di muschio finto e pungitopo in mano:
«Bentornata zia Teddy!» l’apostrofò.
Questa ricambiò i loro sorrisi, chiuse la porta alle sue spalle e si lasciò cadere sul tappeto, prendendo a giocare con Martin che sembrò molto contento di avere, finalmente, un compagno di giochi.
 
 
«Ahi! Maledetti tacchi de mierda!»
Teddy sollevò la caviglia fino a poterla massaggiare con la mano. Aveva uno stupido batticuore adolescenziale, uno stupido tremolio di gelo quando l’aria era umida e priva di vento, una stupida sudorazione fredda che le faceva temere di poter lasciare qualche alone sulla camicia di seta acquamarina.
In una parola provava terrore puro.
Ma per cosa poi?
Ripensò alle labbra di Nicolas ad un millimetro dalle sue, al filtro bagnato della sigaretta, alla sua stretta sul divano. Il calore aumentò e con lui la rabbia.
Grimilde alzò il naso fin sulla scritta luminosa al neon Viva la Vida che luccicava nel cielo notturno di Santiago, troneggiando sulla costruzione a castello. Non poteva crederci di essere proprio lì, era come un sogno che si avverava. Si guardò intorno, decine e decine di giovani persone si avviavano verso l’entrata maestosa e intarsiata di lucine colorate, a cui si giungeva attraverso un ponte, sotto il quale scorreva il fiume che qualche kilometro più in là sfociava nell’oceano. Si voltò indietro, verso la sua amica e alzò una mano:
«Teddy! Ma che stai facendo? Dai, vieni!»
La ragazza castana, con i capelli appiccicati sulle guance, la fulminò con uno sguardo e vedendola trotterellare verso di lei, con quel fisico tutto spigoli fasciato da un abito corto e fucsia, le fece venir voglia di afferrarla per il polso e tornare a casa, a spaparanzarsi sul divano, a giocare con Martin e a bere un tè con Morena, libera finalmente da quei jeans che le stavano opprimendo il bacino. Poteva sentire il bottone della patta schiacciato nella pancia.
«Ti fa male il piede?» le chiese Grimilde con quell’aria ingenua
«No, non mi fa male il piede!» lasciò andare la caviglia e tornò in posizione eretta, la voce lagnosa «É che ho caldo. E sto sudando» si buttò i capelli all’indietro «E …»
«E sei nervosa perché devi rivedere Nicolas»
Teddy non riuscì a guardare quella ragazza bionda dal viso angelico, in pratica ci aveva azzeccato in pieno. Si lasciò prendere per la mano e docilmente si fece guidare verso l’entrata, fra una ressa di ragazze poco vestite e ragazzi molto abbronzati, ma tutti rigorosamente firmati.
«Almeno i jeans potevi evitarli» ridacchiò Grimilde
«Accontentati del fatto che sia venuta!» rispose Teddy, restituendole un sorriso di sbieco.
 
Saltare la fila chilometrica, essere guardate da tutti – ma soprattutto da tutte – con quel piglio di invidia e ammirazione insieme per aver affermato di essere ospiti di Alexander Martinez e Nicolas Antonio Romero, sarebbe valso a Grimilde l’intera serata, al contrario di Teddy invece che aveva chinato il capo e arrossito vistosamente. Come se non bastasse quello ad attirare su di loro occhiate particolari, la sua amica si era messa anche a fare la civettuola con il buttafuori lì davanti.
Teddy aveva allora alzato gli occhi al cielo e si era trascinata dentro la ragazza bionda, inviando uno sguardo penetrante all’omone di guardia, il quale aveva salutato Grimilde inviandole un bacio e passandosi poi la lingua sulle labbra. Teddy aveva rabbrividito e Grimilde aveva riso.
 
Erano dentro.
Una piscina tutta curve e fontane era illuminata da faretti subacquei chiari, decine e decine di persone vi erano attorno, qualcuno ballava, qualcun altro beveva drink colorati e ornati di ombrellini, bandierine, pezzi di frutta e cannucce lunghe e colorate. Di fronte a loro si ergeva la facciata, tanto imponente quanto fittizia, di un castello, ai piedi del quale c’era la postazione del dj, alla cui destra spuntava il sorriso ironico di Alex, in jeans strappati e maglia grigia aderente che metteva in risalto la sua naturale pelle ambrata, nonché il fisico da sportivo incallito. Sulla sinistra c’era Nicolas, in jeans scuri e camicia color cachi, con le maniche arrotolate fin sui gomiti e i primi bottoni slacciati.
Alle loro spalle, qualcuna davanti e qualcun’altra di fianco, ballerine in bichini succinti che si muovevano a ritmo di musica, cercando volontariamente il contatto con i due ospiti, i quali non sembravano sgradire affatto le mani delle ragazze posate un po’ dappertutto sui loro fisici.
Teddy fu la prima delle due a vederli e, come quella sera sul balcone, scoppiò a ridere. Le succedeva spesso in verità quando era sopraffatta dal nervosismo, una volta si era informata e aveva letto su Google che era un disturbo molto comune. Grimilde la guardò interdetta, chiedendole per quale motivo stesse ridendo e urlando per sovrastare la musica, poi seguì lo sguardo della sua compagna e, diversamente da questa, il sorriso le morì sul volto.
Diciamo che il suo incontro con Martinez lo aveva immaginato diverso, tutto abbracci e baci e sguardi languidi, con quell’emozione che sempre le aveva attanagliato lo stomaco e che le aveva tenuto compagnia quando, a volte, era andata ad aspettarlo in aeroporto, o in attesa di vederlo entrare nel ristorante in cui l’aveva invitata per un appuntamento. Sentire quell’attrazione sessuale, ma vibrante, mentre consumavano ognuno la propria cena, con l’ansia di denudarsi e lasciarsi andare senza inibizioni.
Certo, non si erano mai detti cos’erano l’uno per l’altro e Grimilde era arrivata a convincersi che era solo sesso – quello che infondo era sempre stato anche con gli altri ragazzi. Amici di letto insomma, come il titolo di quel film che aveva visto ultimamente al cinema con Teddy.
La ragazza bionda distolse lo sguardo, sentiva gli occhi pizzicarle, strinse con veemenza la porchette nera e lucida che faceva pendant con le scarpe, la vista di Martinez che stringeva a sé una ragazza seminuda, facendo combaciare perfettamente i loro bacini, mentre si muoveva lento e sinuoso, era troppo anche per lei.
Teddy si ricompose, Nicolas Antonio sembrava quasi imbarazzato dalla presenza di tutte quelle ragazze, forse era indeciso da quale cominciare. Quel pensiero la fece ridere di nuovo, poi vide la sua amica dare le spalle allo show che si stava consumando intorno alla postazione del disc jockey e si costrinse a tornare in sé. Le toccò una spalla:
«Grimi, tutto bene?» la biondina sorrise, ma era un sorriso che metteva i brividi, era un sorriso folle:
«Perché non dovrebbe andare bene? Siamo circondate dalla crema di Santiago, siamo in questo locale che possono permettersi solo i ricconi e senza pagare un pesos. Perché non dovrebbe andare bene?» Teddy incrociò le braccia e con gli occhi nocciola sembrò ordinarle di dire la verità «Non lascerò che due imbecilli ci rovinino la serata perché circondati da sgualdrine col fisico perfetto …»
«Ehi, guarda che nessuna di loro lì è più perfetta e bella di te!»
«Lo so!» Grimilde le fece l’occhiolino, sembrava essere tornata in sé «Ed è per questo motivo che noi stasera ci divertiremo!» l’afferrò per il polso e la trascinò con sé al bar, ove chiese due cocktail molto alcolici:
«Grimi non esagerare!» la rimproverò Teddy a bassa voce e alquanto preoccupata per come si stava mettendo la serata. Era passata dal dannarsi l’anima per Nicolas a dannarsela per la sua amica. Perfetto.
«Oh, tranquilla! Il mio amico qui …» strizzò l’occhio al barista tutto muscoli, tatoo e barba, pronto a mettersi in mostra con il suo shaker « … sa bene come soddisfarci. Giusto?» Teddy roteò gli occhi al cielo, una Grimilde offesa nell’orgoglio era una vettura lanciata a tutta velocità e pericolosa.
Il barman si sporse in avanti, versando i drink in due calici che poi lasciò davanti a loro. L’odore di alcool era fortissimo.
«Per due belle ragazze come voi, due Orgasm per augurarvi un’ottima serata»
Teddy sbarrò gli occhi, prese il suo bicchiere al volo e si allontanò a grandi falcate, Grimilde rimase qualche altro secondo a perdersi in chiacchiere con il bellimbusto dietro il bancone, quindi la raggiunse.
Adesso si sarebbero potute divertire …
 
Altre decine di flash negli occhi, altre decine di sorrisi fittizi e strette di mano e braccia intorno alle spalle. L’ennesima pacca sulla schiena e l’ennesimo complimento per la carriera e fu finalmente libero da quell’opprimente gruppo di fans sfegatati, così da poterla cercare nella folla.
Oramai era tardi, dovevano esser arrivate lì, al Viva la Vida, da un pezzo, eppure non riusciva a togliersi quel peso sullo stomaco che lo stava facendo uscire fuori di senno da quando era tornato. Consultò ancora una volta l’orologio sul display dell’ I-Phone, in verità sperava di non aver avvertito la vibrazione di una – sua – telefonata o di un – suo – messaggio.
Niente.
Altre grida di ammirazione, altro sorriso di circostanza, altra posa classica per la foto, altra stretta di mano, altra pacca sulla spalla, altro ringraziamento.
Proseguì, facendosi largo tra la ressa, scrutando attentamente coloro che lo circondavano, era vero, la persona che cercava era piccola e minuta, ma aveva un particolare che non passava di certo inosservato. E fu proprio la sua carnagione lattea a spiccare in mezzo a tanta pelle abbronzata, come la luna in un cielo buio. Solo che non aveva mai visto la luna vestita di fucsia, con tacchi vertiginosi, capelli biondi e due occhi azzurri.
Un ragazzo, alto e grosso il doppio di lei, l’abbracciava da dietro, tenendo le sue braccia intorno al ventre della ragazza, il suo naso fra i capelli setosi e dorati, il respiro che le finiva sulle clavicole. Insieme si dondolavano piano, in un ritmo tutto loro che, di sicuro, non era quello forsennato della musica. Le palpebre di lei chiuse.
Le si avvicinò, quella sensazione di paura si accentuò fino nelle viscere quando la vide aprire gli occhi, erano velati, non proprio svegli:
«Si?» quella vocina impertinente gli fece salire la rabbia e la passione, si sarebbe dovuta sfregare contro il suo di corpo, non quello degli altri:
«Che stai facendo?» le chiese, impegnandosi per mantenere un tono pacato
«Sto ballando» gli rispose, girandosi nell’abbraccio dello sconosciuto e dandogli le spalle.
«Ma sei da sola? Dove sono le altre?»
«Teddy vuoi dire? Boh, chi può saperlo …» ridacchiò lei, il volto sognante.
Lui sospirò:
«Grimilde»  la chiamò
«Alexander» controbatté la biondina
«Per favore, potresti lasciar perdere il tuo amico qui …» inviò un sorriso al ragazzo arpionato a Grimilde e questi ricambiò, neanche lui sembrava molto sveglio in verità « … e ascoltarmi un attimo?»
«No!»
Questa volta mantenere la calma gli sembrò un gesto quasi eroico. Con le mani sciolse quell’abbraccio e la fece voltare, tenendola per entrambe le braccia l’attirò a sé, ma lei continuò a tenere quell’espressione di superficialità che, in altre situazioni, l’avrebbe fatto impazzire. Cercò di rilassarsi e gli sussurrò:
«Andiamo via di qui, bionda! Ho un’idea che ti piacerà di sicuro.»
Grimilde abbozzò un sorrisino sbieco, mentre con le dita prendeva a risalire lungo il suo addome, come le zampette di un ragno, soffermandosi nei punti in cui sapeva di procurargli dei brividi. Si issò poi sulle punte dei piedi, in modo da far quasi combaciare le loro labbra e Alex sentì distintamente l’odore acuto dell’alcool e un retrogusto dolciastro.
«Perché invece non te ne torni dalle tue ballerine in bichini?!» e proprio quando Alex stava già pregustando il sapore delle sue labbra rosa sulle proprie, Grimilde lo spinse via, afferrando poi il polso del ragazzo, che aveva assistito impassibile alla scena, e corse via mimetizzandosi fra la gente.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 8 ***



Capitolo 8
 
 

Lì sul terrazzino si respirava decisamente meglio.
In mezzo a tutte quelle persone Teddy aveva avuto, per un attimo, l’impressione di poter svenire. Non le erano mai piaciuti i luoghi affollati, soprattutto stracolmi di gente che si dibatteva e non faceva nulla per evitare di finirti addosso, calda e con la pelle appiccicosa per colpa del sudore. Chiuse gli occhi e tirò a fondo l’ultimo tiro di Merit, lasciando poi morire il mozzicone nel calice di vetro sul tavolino rotondo alla sua destra. Nonostante la musica e il vociare di sottofondo, le sembrò di sentire lo sfrigolio della cicca nell’acqua, formatasi dai cubetti di ghiaccio, oramai sciolti. Si lasciò andare contro lo schienale morbido del dondolo, facendosi cullare dal dondolio e dal brusio di voci, mischiate alla musica che veniva dabbasso e dal rumore cantilenante delle onde del mare alle sue spalle che, se si concentrava, riusciva a sentire.
«E così …» lo sentì schiarirsi la voce « … sei una maestra» Teddy aveva completamente dimenticato la presenza del giovane uomo al suo fianco, l’amico di quello che ora doveva essere da qualche parte con Grimilde, tra la folla sperò in cuor suo.
Una Grimilde ferita era una Grimilde pericolosa.
«Si» sospirò lei, senza riaprire le palpebre, sperando solo di stroncare ogni qualsiasi intento di conversazione. Quel ragazzo era noioso, neanche un granché a dire il vero, ma soprattutto noioso. Lo sentì scivolare verso di lei, il dondolo cigolò nei cardini e, a quel punto, fu costretta ad aprire gli occhi e a guardarlo in faccia, da una prospettiva molto più ravvicinata di quello che si era auspicata.  
«Ti ci vedo proprio a fare la maestrina sexy» il suo alito era pestilenziale, il suo tono cantilenante «Con quell’aria da saputella e gli occhiali, mentre mi sgridi per aver fatto male i compiti …» fece per baciarla, ma Teddy prontamente si accartocciò su sé stessa, facendosi
scudo con le mani:
«Aspetta! Ma che fai?» disse, mal celando una risatina ironica e nervosa, pregando così di recuperare qualche secondo prezioso. Il solo pensiero che avrebbe potuto anche solo sfiorarla la sconvolgeva.
«Male, male! Non lo sai che non si baciano le fanciulle se loro non vogliono?»
Sia Teddy, sia il ragazzo che praticamente le stava addosso, si voltarono indietro nella direzione in cui era provenuta quella voce che aveva rianimato lei e destabilizzato lui:
«Alexander Martinez!» esclamò questi, balzando in piedi e correndo ad abbracciarlo «Non ci posso credere! Facciamo una foto insieme?»
«Certo! A patto che dopo smammi» rispose il pallavolista, indicando con il pollice alle sue spalle. Il ragazzotto sembrò comunque contento di accettare quella condizione, purché facesse una foto con il suo idolo.
Altra posa, altro sorriso, altra pacca sulla spalla.
Alex rimase con le braccia sui fianchi a fissare Teddy che, alla fine, gli sorrise e lo strinse in un abbraccio, poi entrambi sprofondarono nel dondolo, rimanendo in silenzio per i primi minuti.
«Ho incontrato Grimilde» disse lui ad un tratto, ma Teddy non si voltò a guardarlo in viso, continuò a dondolarsi e a giocherellare con una ciocca di capelli «É arrabbiata con me» ammise con aria affranta e colpevole «Ed è anche ubriaca!» proseguì, quasi a volerla rimproverare per aver lasciato da sola la sua amica
«Deve solo sfogare la rabbia che ha dentro. Domani le sarà passato tutto»
«Eccetto la sbronza! A proposito, come mai tu non sei ubriaca?» la vide sorridere e fare spallucce:
«Ho bevuto quel che ha bevuto lei, o almeno fin quando siamo state insieme» lo guardò negli occhi e lui non poté fare a meno di notare quel luccichio tipico di chi è leggermente brillo e decise che prendersela con Teddy, per aver lasciato sola Grimilde nonostante sapesse quanto sia pericolosa quella ragazza incavolata – e come se non bastasse su di giri – sarebbe stato davvero un atto meschino. Invece di biasimarla le passò un braccio intorno
alle spalle e l’attirò a sé, posandole un bacio sul capo. Rimasero ancora un po’ in silenzio, a guardare la gente sotto di loro, assiepata intorno alla piscina, a danzare e chiacchierare, a ridere e qualche coppia a litigare, ipnotizzati dalle luci dei faretti che si alternavano in un turbinio di colori fluorescenti, immersi nei propri pensieri, fin quando Martinez avvertì un fruscio di passi nell’erbetta curata del prato. Con la coda dell’occhio intravide la sua figura avanzare lenta: le spalle leggermente ricurve in avanti, le mani infilzate nelle tasche dei jeans, l’ombra di quel ciuffo impertinente. Diede un altro fugace bacio sui capelli a Teddy e si alzò, lei lo seguì con lo stesso sguardo di una bambina abbandonata senza spiegazioni:
«Tranquilla cucciola! Ti lascio in ottime mani!» le fece l’occhiolino «Io vado a cercare quella pazzoide bionda della tua amica e te la riporto, così da potercene andare via tutti insieme. Stasera non mi sembrate molto in grado di guidare voi due.»
Nicolas Antonio fece capolino alle sue spalle, si strinsero i pugni e poi Alex gli lasciò la scena, come una staffetta, come avrebbero fatto a bordo campo durante una sostituzione.
 
Morena starnutì, poi rimase qualche secondo in silenzio, in attesa di sentirlo piangere o lagnarsi per essersi svegliato nel bel mezzo della notte. Tuttavia Martin continuò a dormire beato e lei poté rilassarsi. Senza Teddy e Grimilde, soprattutto senza la biondina, quella casa era praticamente muta. Accarezzò con i palmi la tazza di tisana bollente che si era preparata. Non aveva trovato nulla di indicato per dormire, ma solo bevande dimagranti e, nonostante i diversi cucchiaini di zucchero con cui l’aveva condita, quella roba aveva sempre e comunque un retrogusto amaro. Quella Grimilde: mangiava a sbafo dolciumi per tutto il giorno e poi comperava tisane per dimagrire. Che ragazza!
Bevve un piccolo sorso, contorcendo poi le labbra in una smorfia di disgusto, per lo meno quella brodaglia le stava trasmettendo un po’ di calore, anche se le temperature non erano così rigide come lo sarebbero state in Italia in quel periodo dell’anno. Aveva pensato all’Italia per fare un esempio come tanti, certo! Consultò l’orologio svizzero appeso alla parete di fronte. Erano le 2.30, ciò significava che a Cagliari dovevano essere le 22.30 e sicuramente a quell’ora Diego era ancora sveglio. Si chiese cosa stesse facendo, se era da solo, se magari la stava pensando o se sentiva la sua mancanza come compagna, come casalinga, come amante.
Sospirò.
Lei non si era mai ritenuta attraente o piacente e quando qualcuno le rivolgeva degli apprezzamenti non sapeva mai come comportarsi, cosa rispondere. La imbarazzavano addirittura i complimenti delle sue amiche! E Diego Torres era stata l’ennesima dimostrazione di quello che pensava: alla fine si era stufato di lei e ne aveva preferita un’altra, più bella, più giovane, più in tutto!
Ovviamente non aveva le prove materiali di quello che credeva, ma raramente il suo istinto aveva errato nel giudicare. 
Adesso, però, c’era Martin. 
Per quanto sapeva di aver fatto la cosa giusta tornando in Cile – perché aveva fatto la scelta giusta, vero? – era altrettanto consapevole del fatto che Romero non aveva tutti i torti: Diego era pur sempre il padre di suo figlio e non avrebbe potuto escluderlo ancora a lungo dalla sua vita. Sbuffò rumorosamente, pensare a tutta quella situazione la deprimeva, ma negli ultimi mesi la sua mente sembrava incapace di concentrarsi su qualcos’altro. 
Bevve un altro po’ di brodaglia verdastra e quando sentì il suono del campanello squarciare
quel silenzio assoluto per poco non si strozzò.
 
Intanto che Nicolas Antonio Romero prendeva posto al suo fianco, Teddy si accese velocemente una sigaretta, manco avesse potuto toglierla da quella situazione che, per il momento, sembrava senza via di fuga. Solo due sere prima si era illusa di aver trovato un compromesso con sé stessa, poi quel maledetto lapsus che per poco – e si parla di millimetri – non le aveva rovinato l’esistenza con un solo, piccolo e stupidissimo bacio a stampo, tra l’altro! Neanche uno di quei baci da film romantico, di quelli passionali e totali, di quelli che ti prendono e ti trascinano in un vortice di sensazioni ed emozioni uniche, che …
«Teddy …»
Lei sbatté le palpebre un paio di volte, ritornando con la mente sul pianeta Terra. Si voltò a guardarlo e la cenere le cadde sulla coscia accavallata, prontamente si ripulì, mugugnando fra i denti. Nicolas la osservò in silenzio, ma con un gran sorriso divertito e di scherno stampato in faccia, adorava quel lato timido e impacciato di lei che non l’aveva abbandonata per tutti quegli anni, le donava un’aria ingenua e infantile:
«Morena non è venuta» gli disse e Romero corrugò la fronte, fece per risponderle, ma lei proseguì inspirando a fondo del fumo «Ha detto che con il bambino non era cosa. Io e Grimilde abbiamo insistito tanto, ma pensandoci non aveva tutti i torti. E poi lei non ha mai amato la discoteca» tirò ancora dalla cicca mentre lui si sistemava al meglio sul dondolo, per osservarla e ascoltare la follia che stava scaturendo da quel monologo «Neanche a me è mai piaciuto tanto. Andare a ballare intendo. Grimilde invece ne va matta!»
«Interessante» intervenne lui e Teddy lo guardò accigliata, scrutando il suo viso «No, dico sul serio. Molto interessante» ridacchiò prendendosi gioco di lei, alla quale la cosa evidentemente non piacque:
«Anche quella ballerina tutta culo e tette rifatte, con la pancia piatta, i capelli rosso fuoco e con addosso mutande e reggiseno era interessante, sai?!»
Ma davvero lo aveva detto? Davvero stava facendo una sottospecie di scenata di gelosia? Tanto meglio, l’indomani avrebbe sempre potuto dare la colpa al cocktail che aveva bevuto e fingere di non ricordare nulla. Fece altri due tiri dalla sigaretta e la gettò sul terriccio umido, senza preoccuparsi di spegnerla. Nicolas aveva uno sguardo che andava dall’incredulo al comico.
«Era un costume» precisò poi, aveva tutte le intenzioni di farla uscire di senno perché la cosa lo divertiva troppo
«Rimangono comunque mutande e reggiseno composti da tre triangoli! Il quarto l’aveva scordato chissà dove!» disse Teddy e quando lui scoppiò a riderle in faccia si imbronciò, offesa, improvvisamente le veniva da piangere. Intrecciò le braccia e si voltò dall’altra parte.
«Sei gelosa! E chi l’avrebbe mai detto! Certo, dopo il bacio che stavi per darmi l’altra mattina avrei anche potuto aspettarmelo …» il centrocampista della Federación de Voleibol de Chile contò fino a tre nella sua mente. L’aveva pungolata per benino e Teddy non avrebbe tardato a dare la sua risposta ad effetto, che infatti arrivò nell’immediato:
«Perché dovrei essere gelosa di te? Non sono mica tua moglie … Ah, scusa, volevo dire la tua ex moglie!»
No, quella risposta Romero non se l’aspettava proprio, ma ciò non gli tolse la voglia di sorridere e di proseguire su quella rotta:
«Ok! Quanto hai bevuto per dire una cosa simile?»
«Cos’è? Credi che non lo sapessi?»
«É per questo motivo che non ti sei più sposata?»
Teddy rise, rise forte, ma Nicolas Antonio non si scompose, se credeva di rispondergli semplicemente con una risata isterica si sbagliava di grosso. Con un solo movimento la sovrastò, coprendo la metà superiore del suo corpo con quello proprio, la catenina d’oro che spuntava dal colletto della camicia tintinnò contro i bottoni della camicetta di seta che lei indossava.  Il dondolo smise il suo dolce andirivieni e scattò all’indietro, la sua oscillazione divenne meno delicata, decisamente sfacciata, in perfetta sintonia con lo sguardo del ragazzo. Gli occhi di Teddy, invece, leggermente annebbiati dall’alcool, si spalancarono, lasciando trasparire tutta la sorpresa di trovarselo ad una spanna dal viso.
 
Morena si indispettì!
Suonare il campanello a quell’ora di notte e con un bambino piccolo in casa era proprio da incoscienti. Di sicuro era stata Grimilde a premere l’interruttore. Se la figurava già sul pianerottolo delle scale, tutta euforica nel sui abitino striminzito fucsia e le scarpe alte, così contenta di aver rivisto Alex da non stare più nella pelle. 
Mentre Teddy avrebbe avuto la sua solita aria irritata e afflitta da “ho rivisto Romero e non so come fare per dimenticarlo”.
La biondina avrebbe avuto energie da vendere anche a quell’ora della notte, con l’adrenalina a mille nel sangue e tutte le intenzioni di raccontarle per filo e per segno come era andata la serata. Meglio così, infondo neanche lei aveva molta voglia di dormire. Si alzò, trascinandosi fin sull’uscio con le pantofole ai piedi, attenta a non fare il minimo rumore. Aprì adagio la porta e rimase sbalordita: Diego Torres era proprio lì di fronte a lei, il solito fisico imponente, la solita barbetta ispida, ma negli occhi c’era una luce diversa, tagliente.
Istintivamente Morena fece per richiudere la porta, ma lui la bloccò con una mano soltanto e senza il minimo sforzo:
«Che vuoi?» gli chiese, quando si rese conto che non avrebbe potuto nulla contro la sua naturale prestanza fisica:
«Voglio che ritorni a casa con mio figlio. E se non vorrai farlo, allora ritornerò in Italia da solo con Martin.»
Morena sbarrò gli occhi:
«Con o senza di me?»
«Con o senza di te.»
 
Teddy deglutì.
Era così vicino.
Così dannatamente e inspiegabilmente vicino da poter sentire il suo profumo di sempre, il suo respiro alla menta, scorse attraverso il suo sorriso sbilenco un chewing gum bianco dal quale si rese conto di non poter più distogliere lo sguardo, o avrebbe incontrato i suoi occhietti scuri e si sarebbe persa, di nuovo, come nell’altra epoca, quando si erano scambiati il primo bacio (che poi era stato il suo primo bacio in assoluto) sulla spiaggia, con lo sciabordio delle onde a fare da sottofondo e il vociare delle persone intorno a un falò, mentre il ritmo di una musica diffondeva le sue note latine. In un certo senso era un po’ come adesso: il mare, la gente, le canzoni.
«Allora? Perché non ti sei più sposata?»
La sua voce la portò a guardarlo dritto negli occhi, come una calamita, proprio dove era più vulnerabile e, nonostante tutti i rumori che la circondavano, alcuni addirittura assordanti, la sua voce sembrò il suono più forte che avesse mai udito. E quel sorriso, quello sguardo, la sensazione solida della sua mano che le sorreggeva la schiena e l’altra che spuntava dal nulla, a carezzarle una ciocca di capelli al lato del viso, sfiorandole volutamente la guancia.
Deglutì di nuovo, completamente paralizzata.
Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa avrebbe dovuto dire?
Le dita di Nicolas Antonio discesero dai capelli lungo il collo, fino a risalire sulla bocca serrata e lucida di rossetto, dove lui adagiò i suoi occhi:
«Ho voglia di baciarti» sussurrò e le labbra di Teddy si distesero in un sorrisino:
«Perché stasera avete tutti questa fissa di baciarmi?»
Romero sollevò un sopracciglio, la magia che era riuscito a creare si dissipò come nebbia e la realtà sembrò scuoterlo come uno schiaffo:
«In che senso tutti
Teddy sentì di avere finalmente il coltello dalla parte del manico:
«Ops!» esclamò.
Nicolas Antonio si alzò con uno scatto, lasciando Teddy sul dondolo a oscillare così forte che i perni di metallo cigolarono. Ma soprattutto la lasciò respirare. La ragazza lo osservò in silenzio e confusa, passarsi un palmo sui capelli fin dietro la nuca, poi di nuovo sulla punta del capo, infine tornò a guardarla, la sua espressione era un misto di sarcasmo e ironia:
«E così sei diventata una di quelle che baciano chiunque le capiti a tiro?»
Teddy lo fissò con gli occhietti castani e luccicanti, così irrisori e scherzosi, nascose un risolino posando la mano davanti alla bocca. Sentiva di poter qualsiasi cosa quella sera, sentiva di avere la mente finalmente vuota da ogni pensiero o dubbio che l’aveva assillata per tanto tempo. Si sentiva forte e protetta dall’alibi del drink alcolico.
«Non mi sembra di averti mai detto di aver baciato qualcuno» Nicolas fece per chiederle di spiegarsi meglio, ma lei lo precedette «Ho solo detto che stasera avete questa fissa di baciarmi …» lasciò le parole a mezz’aria e si compiacque di notare come l’espressione di lui mutava a vista d’occhio. Avanzò di un passo, poi un altro ancora, fino a chinarsi su di lei, chiudendola in una sorta di gabbia immaginaria, le cui sbarre erano formate dalle sue braccia scure e tatuate, incastrandola nell’angolo a destra dell’altalena. L’atmosfera magica era calata di nuovo su loro, tornando più prepotente che mai.
Teddy questa volta non evitò il suo sguardo penetrante, alzò il capo per poterlo guardare in viso, scrutare ogni particolare di quel volto che aveva sognato e agognato nelle lunghe notti spese a pensarlo, chiedendosi cosa sarebbe successo se quella volta in hotel avessero fatto l’amore, se lo avesse cercato subito dopo aver saputo del suo divorzio, se se se ….
Ma adesso era di nuovo lì, a tanto così dall’averlo, forse non tutto era perduto, forse il destino le aveva riservato un’altra chance. Abbassò le palpebre, figurandosi le sue labbra calare sulle proprie, le avvertiva così vicine da poter sentire il calore che emanavano. Del mondo che la circondava non riusciva ad udire nulla, se non il battito del cuore nel petto.
Poi delle grida, così forti e terrificanti da sovrastare lo strimpellare della musica. Istintivamente Teddy riaprì gli occhi nello stesso momento in cui Nicolas tornava in posizione eretta e si avvicinava al parapetto che dava sulla piscina. Gli fu accanto in un secondo, la testa le volteggiava un po’e si aggrappò alla ringhiera.
Vide una marea di gente assiepata intorno alla piscina, poi, al suo interno, un’ombra fucsia e un ammasso di capelli biondi fluttuare sul pelo dell’acqua azzurra e le sembrò che il mondo si sbriciolasse sotto ai suoi piedi, inghiottendola nel buio più totale.
 
Alexander si sedette pesantemente su una sedia, ad un tavolino lontano da quella folla urlante e asfissiante. Aveva oramai perso il conto delle persone che l’avevano fermato per una stretta di mano, una foto, un autografo, o solo per rivolgere un elogio alla sua carriera sportiva. L’aveva cercata in lungo e in largo, le aveva telefonato decine di volte, senza ottenere risposta. Anzi, l’ultima volta gli aveva addirittura risposto la segreteria. Ci provò ancora, ma ad aprire la conversazione fu, di nuovo, la voce robotica di una signorina che lo invitava a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico. Maledisse un dio inesistente e si massaggiò la fronte, dove gli si andava formando un’emicrania non indifferente.
Quella piccola peste, pensò, il solo immaginare che poteva essere da qualche parte con quell’invertebrato che le accarezzava la sua pelle candida lo mandava di matto. Fino a quel momento non si era reso conto di quanto in verità la sentiva sua e solo sua. Batté i palmi sul tavolo e si alzò, doveva trovarla, assolutamente! Non sarebbe tornato a casa senza di lei, a costo di portarcela di peso.
Delle strilla richiamarono la sua attenzione, la musica era calata improvvisamente. Lasciò il suo momentaneo nascondiglio e si fermò ad osservare la scena che gli si presentava davanti agli occhi: la piscina era stata praticamente ricoperta da una ressa di persone bisbiglianti, che sembravano attratte da qualcosa in particolare, come le api dal miele.
«ALEX!»
Questi si guardò intorno, se la stanchezza e la rabbia non gli stavano tirando un brutto scherzo, era la voce di Nicolas.
«ALEX! ALEX!»
Finalmente lo vide sbracciarsi a metà della rampa di scale che collegava il piano superiore – con il prato e i dondoli – a quello inferiore, ossia dove si trovava lui. Alzò una mano  per lasciargli intendere che aveva tutta la sua attenzione, vedendo Teddy correre a perdi fiato giù per le scale:
«LA PISCINA!» urlò ancora Nicolas indicandogliela «LA PISCINA!»
E allora Martinez capì.
Si fece largo tra la folla a forza di spintoni e spallate, ma quando giunse a bordo vasca e la vide qualcosa in lui si spezzò.
 
Grimilde era in acqua, il suo corpo rivolto verso il fondo e quasi completamente immerso, i capelli biondissimi ondeggiavano lenti e sinuosi.
Alexander si tuffò d’istinto, raggiungendola a grandi bracciate e afferrandola per le ascelle. Grimilde era sempre stata un peso piuma, ma lì, con l’acqua a sorreggere tutti i suoi pochi chili, sembrava una bambola di ceramica, né più, né meno. Con un solo braccio e con il supporto delle gambe tornò indietro, dove ad aspettarlo c’erano Romero e Teddy. Fu il primo ad issare il corpo di Grimilde, grondante d’acqua, e a distenderlo sul pavimento di cotto, immediatamente portò l’orecchio vicino alla bocca della ragazza bionda.
 
Teddy era immobile, incapace di distogliere lo sguardo dal volto cinereo dell’amica, le labbra e le palpebre violacee, i capelli bagnati formavano una sorta di velo intorno al viso e alle spalle. Aveva la mente vuota, completamente, non sarebbe stata capace di dire neanche il proprio nome se glielo avessero chiesto.
Poi, come in un sogno, come se fosse stata rinchiusa in una bolla d’acqua e quei suoni provenissero da una galassia lontana, vide Nicolas alzare il capo verso il suo compagno di nazionale, mentre affermava:
«Non respira.»
E Teddy urlò il nome di Grimilde.
 
Non respira.
Non respira.
Non respira.
Quelle due parole lo folgorarono con lo stesso effetto di una scossa elettrica.
Alex Martinez si piegò sulle ginocchia, afferrò con una mano le guance della biondina e, premendo le labbra contro le sue, iniziò a cacciarle aria nei polmoni, quindi si allontanò, contando tre dita al di sotto del seno sinistro, ove cominciò a premere, sussurrando:
«Uno … due … tre …» ritornò alla bocca, il petto di Grimilde si gonfiò, poi di nuovo il massaggio cardiaco «Uno … due … tre …» ripeté ancora e ancora la stessa operazione sotto lo sguardo terrorizzato di Teddy, la quale si lanciò in avanti a pugni chiusi, gridandogli che era tutta colpa sua, ma trovò sulla sua strada le braccia di Romero che la trattennero:
«Chiama un’ambulanza!» le ordinò, eppure Teddy si dibatté per liberarsi da quella presa, proseguendo nell’inveire contro Alex che, dal canto suo, sembrava non udire neanche quegli insulti, continuando con le compressioni:
« Uno … due … tre …» aria «Uno … due … tre …» aria
«Teddy! Teddy, mi servi vigile!» Nicolas la scosse per le braccia, puntandole gli occhi dritti nei suoi, sperando così di oscurarle la vista di quello che stava accadendo alle sue spalle «Mi senti? Mi servi vigile! Chiama un’ambulanza!»
«É m-morta, Nicolas? Grimilde è … cioè … guardala … è … è …» lui la scosse di nuovo, questa volta con maggior forza
«Chiama un’ambulanza ho detto!»
«Uno … due … tre … uno … due … tre …»
 
Teddy fece come le era stato ordinato, nonostante la disperazione le aveva oramai ottenebrato la mente, fece un ultimo grande sforzo e richiamò a sé tutte le energie di cui ancora disponeva.
Tanto fra poco si sarebbe svegliata nel suo letto con il suono della sveglia, l’avrebbe spenta con un mugolio, ma felice di essersi destata da quell’incubo che l’aveva tenuta in ostaggio per l’intera nottata. Si sarebbe trascinata in cucina, dove avrebbe trovato il sorriso splendente di Grimilde, con la frangia scompigliata e la sua vocina infantile a darle il buon giorno. Oppure non vi avrebbe trovato nessuno, allora avrebbe preparato la colazione su  un vassoio e gliel’avrebbe portata in camera.
Perché c’erano lei e Grimilde e nessun’altro.
Perché una era la famiglia dell’altra.
Quando il pronto soccorso rispose all’altro capo del telefono, Teddy si meravigliò di sentire la sua voce ferma e sicura, inaspettatamente attenta nel pronunciare ogni parola in modo da spiegare al meglio l’intera situazione. Chiuse la conversazione e fece per tornare indietro, i suoi occhi però si posarono su due persone in particolare, fra tutti quei volti sconosciuti e sconcertati che la circondavano: erano i ragazzi che le avevano avvicinate solo qualche ora prima in pista da ballo. A grandi falcate si posizionò dinnanzi a quello più alto, secondo i suoi calcoli era stato l’ultima persona con cui Grimilde aveva trascorso il suo tempo. Lo spinse con violenza:
«Che cosa le hai fatto?» lui la fissò a bocca aperta «Pezzo de mierda! Che cosa le hai fatto?»
«Ehi, ehi! Teddy!» ad arrestare la sua ira fu, ancora una volta, Nicolas Antonio che la tirò indietro «È lui!» la ragazza castana lo indicò «Grimilde è stata con lui per tutto questo tempo!»  poi una tosse roca attirò la loro attenzione.
 
Con garbo Martinez voltò Grimilde su di un fianco per permetterle di sputare l’acqua che aveva bevuto:
«Piano bionda, fai piano» le sussurrò, quindi con mani tremanti la sorresse per la schiena, baciandole con delicatezza la fronte, la guancia, i capelli bagnati.
Era ghiacciata.
La ragazza tossì ancora un po’, il suo corpo era scosso da fremiti fra le braccia di Alex, tuttavia non riaprì gli occhi, né tantomeno parlò, neanche quando Teddy le fu addosso, incurante degli avvertimenti del ragazzo che l’ammoniva di lasciarla respirare:
«Grimi, sono qua! Mi senti, sono qua!» le sfiorò il volto con le mani, così freddo e pallido «Resta con me, non mi lasciare Grimi. Resta con me» e una sua calda lacrima scivolò lungo la guancia sinistra di Grimilde.
All’arrivo dell’ambulanza le fu subito applicata la mascherina dell’ossigeno e, solo quando il medico si accertò delle sue condizioni più o meno stabili, fu sistemata sulla barella e trasportata di corsa alla vettura:
«Chi viene con lei?» il volto serio del dottore fissò i tre ragazzi, soffermandosi su quello di Teddy che avanzò di un passo, ma Nicolas le afferrò il polso sinistro:
«Sei troppo sconvolta, non puoi andare da sola» disse, lei si voltò a guardare l’amica su quel lettino d’urgenza, circondata da infermieri indaffarati sul suo corpo inerme, quindi si aggrappò alla sua camicia, alzando uno sguardo supplichevole sul suo viso:
«Vai tu allora!» esclamò «Io mi fido solo di te. Ti prego Nicolas, vai tu.»
Romero lanciò uno sguardo a Martinez, cercando la sua approvazione:
«Ce la fai a guidare fino all’ospedale?» gli chiese poi.
Alex si passò una mano sul viso e sui capelli rasati, come Grimilde era completamente bagnato da capo a piedi:
«Credo di si» rispose infine.
Nicolas Antonio guardò Teddy ancora una volta, ma questa non ricambiò, con le mani strette l’una nell’altra sul seno, così forte da farle sbiancare, era del tutto presa dall’avvicendamento sul pronto soccorso. La voce del medico irruppe nei suoi pensieri invitandolo a salire a bordo dell’ambulanza e quando, seduto al fianco della ragazza bionda, tornò a guardare Teddy, si accorse che lei lo stava già facendo.
Si fissarono negli occhi solo per pochi secondi, poi le porte del veicolo furono chiuse e questi partì a sirene spiegate.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9


 
Era tutto così assurdamente silenzioso in quel corridoio, con la vernice azzurrina sbiadita sui muri e il pavimento di linoleum pulito, ma comunque graffiato.
Teddy avrebbe saputo dire per filo e per segno il numero e la lunghezza dei graffi intorno alla porta della camera in cui era stata ricoverata Grimilde. Il medico di guardia quella notte era entrato ed uscito da quella stanza così tante volte che dopo la quarta aveva perso il conto, e ora era di nuovo lì dentro. L’infermiera che era entrata con lui uscì, in tutta fretta, le sue pantofole produssero quel rumore di plastica sfregata contro la plastica e Teddy la guardò sparire dietro le porte dell’ascensore.
Era così stanca e il volto di Grimilde privo di vita non sembrava volerla abbandonare più. Si, perché era proprio quello che era successo: Grimilde era morta, per dieci minuti, ma il suo cuore aveva comunque smesso di battere. Quando il dottore, un uomo sulla cinquantina pelato e privo di barba, si era avvicinato ai tre ragazzi, aveva avuto un’espressione funerea e Teddy era stata sul punto di premersi i palmi sulle orecchie per non sentire quello che aveva da proferire. Invece l’uomo in camice bianco aveva semplicemente chiesto chi di loro avesse eseguito le compressioni e la respirazione bocca a bocca. Nicolas e Teddy avevano guardato Alex, paurosamente pallido e con grandi cerchi neri intorno agli occhi, alzare un dito come se fosse stato a scuola. Il dottore aveva allora allungato la mano nella sua direzione e Martinez, un po’ titubante, gliel’aveva stretta:
«Complimenti!» era stata l’esclamazione del medico «Lei le ha salvato la vita. O meglio, l’ha riportata in vita.»
Teddy era crollata sulla sedia dietro di sé, Alex era sembrato sul punto di piangere.
 
Dopo che l’ambulanza aveva portato via Grimilde e, con lei, Nicolas Antonio, Martinez aveva scrutato uno ad uno i visi sgomenti che lo fissavano, fino a trovare quello che cercava. Il ragazzo che aveva visto solo poco tempo prima ballare appiccicato alla biondina, preso alla sprovvista, non era stato capace di deviare il pugno in faccia che il pallavolista gli aveva mollato, facendolo capitolare sul pavimento. In un attimo intorno a loro si era creato il vuoto, i telefonini avevano preso a fotografare e filmare, ma Alexander non vi aveva badato, mettendosi cavalcioni sul mal capitato e dandogli un altro pugno, prima di afferrarlo per il collo della maglia, incurante del sangue che aveva iniziato a fuoriuscirgli dal naso:
«Cos’è successo?» gli aveva urlato a tanto così dal viso, mentre Teddy provava a tirarlo via, dicendogli di lasciarlo perdere, di lasciarlo stare «Parla cabron! O giuro che t’ammazzo!» Martinez aveva alzato di nuovo il pugno, pronto a sferrargliene un altro, fra le grida di Teddy e quelle disperate del ragazzo sotto di lui, il quale si era portato le braccia sul viso per difendersi, era in lacrime e chiedeva aiuto. Alex l’aveva scosso con violenza:
«Te lo chiedo un’ultima volta, idiota, cos’è successo?»
E alla fine aveva confessato. Le aveva offerto un altro drink e lui, di nascosto, gli aveva buttato dentro una pasticca, solo per farla sballare un po’, per aiutarla a sciogliersi, nessuna droga pesante, aveva tentato di giustificarsi e, a quel punto, Teddy aveva creduto che Alex l’avrebbe ucciso davvero, invece era stato lì ad ascoltarlo, con un pugno sempre e comunque a mezz’aria in caso di necessità.
«Com’è finita in piscina, hijo de puta?» gli aveva chiesto ancora, scuotendo di nuovo il ragazzo che, schiacciato dal suo peso nonostante fosse più alto di lui ma meno muscoloso, aveva risposto, fra lacrime  e sangue, di aver provato a baciarla con insistenza, ma lei si era opposta e, infastidito, l’aveva spinta in piscina, solo per farsi due risate, niente di …
Poi era arrivato il terzo e ultimo pugno a chiudergli definitivamente la bocca. Alexander Martinez l’aveva lasciato a terra e, in silenzio, si era diretto al parcheggio, mentre Teddy lo aveva seguito a ruota, quasi correndo per stare al suo passo. Sempre in silenzio l’aveva visto aprire il cofano posteriore della macchina e cambiarsi velocemente i vestiti fradici con la tuta della federazione. Erano saliti in macchina, una cabriolet grigio scuro, e avevano raggiunto l’ospedale a 120 km orari.
Alex aveva spiegato al medico che Grimilde aveva assunto droghe, sotto lo sguardo sconcertato di Nicolas. Il dottore aveva ascoltato in silenzio, annuendo con il capo, alla fine aveva sospirato e si era rivolto a loro con voce pacata e formale, cosa che aveva fatto irritare Teddy, di stare tranquilli, non appena avrebbe avuto delle informazioni in più sullo stato di salute della paziente, non avrebbe mancato di riferirglielo.
 
La porta della stanza di Grimilde si aprì e lo stesso dottore, con la sua solita aria imperturbabile e seria, si avvicinò:
«Sarò onesto con voi» fu la prima cosa che disse «La vostra amica è fuori pericolo di vita, ma è stata per diversi minuti priva di ossigeno e voi sapete quanto questo sia importante per l’organismo umano. La paziente si risveglierà, anche se questa notte sarà cruciale, ma non possiamo darvi la certezza che avrà funzionalità cerebrale»
«Ciò significa che …» ad intervenire fu Romero e Teddy avrebbe voluto rispondergli che lei sapeva benissimo cosa intendeva dire il dottore, ma rimase muta:
«Significa che potrebbe non essere più in grado di parlare o di muoversi. O di fare entrambe le cose.»
Teddy si alzò, allontanandosi a passo spedito verso le porte d’emergenza che richiuse alle sue spalle con un tonfo, il rumore dei suoi tacchi echeggiò sull’intero piano, deserto se non fosse stato per la presenza dei tre maschi.
Nicolas Antonio guardò Alex e gli batté una mano sulla spalla:
«É di Grimilde che stiamo parlando. Non è capace di rimanere in silenzio e ferma per trenta secondi, figuriamoci una vita intera» Martinez lo ringraziò con un sorriso, nonostante vivessero in città diverse, restava il compagno più caro che aveva e lì, in quel corridoio azzurrino smorto, si ricordò il motivo per cui lo era. Tornò a guardare il medico:
«Posso entrare un attimo a vederla»
«Certo, come no! Prego!» il dottore si fece da parte e li salutò con un «A dopo» prima di sparire dietro la porta con la targhetta UFFICIO DOTTORE.
Romero osservò Martinez entrare di soppiatto nella camera di Grimilde, temendo quasi di svegliarla. Rimasto solo si avviò, mani in tasca e testa alta, in direzione dell’uscita di emergenza.
 
Si era aspettato di trovarla a fumare, invece inizialmente non la vide proprio. Poi scorse la sua ombra ai piedi di una rampa di scale scarna e di ferro, senza dire nulla si accomodò al suo fianco. Teddy teneva la testa fra le braccia e le ginocchia al petto, i capelli ricadendo in avanti avevano nascosto del tutto il viso.
Nicolas fissò il panorama davanti a sé, alti grattacieli illuminati costeggiavano la spiaggia, il cielo andava schiarendosi di minuto in minuto, tra poco sarebbe sorta l’alba e forse quel giorno sarebbe stato migliore di quello appena passato. Posò lo sguardo sulla ragazza rannicchiata al suo fianco:
«Sei riuscita a parlare con Morena?» le chiese e lei scosse il capo «Ha ancora il cellulare spento?» e questa volta fece segno di si con la testa. Con delicatezza le scostò i capelli dal viso, acconciandoli dietro l’orecchio, erano crespi a causa dell’umidità e si andavano arricciando alle punte.
«Grimilde starà bene» le disse a bassa voce.
Teddy sollevò il capo, con riluttanza, aveva gli occhi gonfi e arrossati, le guance bagnate, evitò di guardarlo in faccia, rivolgendo il suo sguardo all’orizzonte, dove cielo e mare si fondevano:
«Come fai a dirlo con certezza? Hai la sfera magica?»
«No, però …»
«Allora stai zitto!» sbottò lei, alzandosi e scendendo quei pochi gradini su cui era salita
«Avevi detto che ti fidavi di me. Solo di me»
Teddy si arrestò di colpo alla base delle scale, strinse i pugni fino a farsi entrare le unghie nella carne, alzando il viso verso il cielo, oramai privo di stelle. Nicolas Antonio le si avvicinò, rimanendo un paio di scalini più sopra:
«O ti fidi di una persona, o non ti fidi. Non puoi credere in me solo quando ti fa comodo.»
Aveva ragione, aveva maledettamente ragione. Su quel dondolo le era sembrato di poter toccare il cielo con un dito, poi, d’improvviso, quel cielo le era piombato addosso trascinando con sé l’intera galassia. Per un attimo, un solo attimo, aveva creduto di poter essere felice, finalmente felice, e la sua felicità era dipesa, in quel momento, dal bacio che non era mai accaduto, che non era mai esistito. E mentre lei non desiderava altro che le proprie labbra si fondessero con quelle del suo ex fidanzato, Grimilde stava morendo e questo era il fardello più grande da trasportare sulla coscienza.
«La vita di Morena sta andando a rotoli» disse con voce tremante «Quella di Grimilde è appesa ad un filo. E io non posso fare niente, mi sento impotente, posso solo star ferma a guardare. Dannazione!» sferrò un pugno sul corrimano di ferro grezzo, mentre la vista si offuscava a causa delle lacrime:
«Non è vero che non puoi fare niente» continuò lui «La tua sola presenza è di conforto a tutte e due e lo sai bene» scese un altro gradino per avvicinarsi ancora «Morena risolverà al meglio la sua situazione; Grimilde starà bene. E anche tu …» Teddy si voltò di scatto, iniziando a singhiozzare contro il suo addome, Nicolas la circondò con le braccia, prendendo a carezzarle i capelli « … anche tu starai bene» ripeté.
 
In quella stanza austera Alex si sentiva a disagio. Aveva avuto una voglia matta di entrare per vederla, ma adesso che ce l’aveva di fronte, distesa in quel letto di ferro con le lenzuola bianche tirate all’altezza delle spalle, non sapeva cosa fare, faceva addirittura fatica a guardarla in faccia per più di qualche secondo. Su di lei torreggiava una flebo che finiva la sua corsa direttamente nel braccio, mentre un liquido incolore colava a gocce lente, lentissime. Una monitor alle sue spalle scandiva il tempo con i suoi bip-bip regolari e Martinez si ritrovò a fissarlo, con la mente completamente vuota.
A guardarla con superficialità dava l’impressione che stesse semplicemente dormendo, ma la pelle del viso era paurosamente bianca, le labbra avevano riacquistato un po’ di colore, ma erano lungi dalla loro naturale tonalità di pesca che le facevano apparire come se fossero sempre imbrattate di rossetto.
Il dottore gli aveva detto che lui l’aveva riportata in vita, una sorta di miracolo insomma, eppure continuava a sentirsi terribilmente in colpa. Se non l’avesse lasciata sola, se le avesse fatto capire quanto fosse importante per lui, se …
Poi la porta alle sue spalle si aprì e lui sussultò. Un’infermiera di mezza età gli sorrise con dolcezza, porgendogli una busta bianca:
«Sono i vestiti che aveva addosso» Alex chinò il capo sul pacco che teneva fra le mani «Mi dispiace, ma abbiamo dovuto tagliarlo per recuperare tempo. Era davvero un bel abito»
«Grazie» fu l’unica cosa che riuscì a biascicare lui, osservando poi la donna avvicinarsi al letto e controllare prima la flebo, quindi il monitor, alla fine scostò la frangia dalla fronte di Grimilde:
«É la sua fidanzata?» chiese rivolta a lui, il quale si rese conto, improvvisamente, di non conoscere la risposta a quella domanda. L’infermiera gli sorrise di nuovo «Dovrebbe. É davvero una bella ragazza, di quelle rare nel nostro paese. Sa, capelli biondi, pelle chiara …» lo guardò di nuovo «Ci ha parlato?»
«Io non … in che senso?»
«Le parli, potrebbe aiutarla. Le faccia sentire che è qui per lei» gli inviò un ultimo sorriso e uscì, chiudendo la porta dietro di sé.
Il ragazzo si avvicinò al letto e tirò una sedia sulla quale si accomodò, alzando e abbassando di continuo lo sguardo dal volto di Grimilde. Lo sapeva benissimo che era bella, non c’era bisogno che quella donna glielo facesse notare, facendolo sentire ancor più un idiota e in colpa per quello che era accaduto al Viva la Vida.
Si schiarì la voce, non che ne avesse bisogno in verità, lo fece più che altro per introdurre una specie di conversazione a senso unico. Con le dita sfiorò quelle della biondina, intrecciando l’indice al suo:
«Sei una stupida!» sussurrò alla stanza vuota, tenendo gli occhi saldi su quelle due dita allegate tra loro «A Teddy è quasi venuto un infarto vedendoti in quelle condizioni e chissà cosa dirà Morena quando lo saprà. Di sicuro ti farà una ramanzina che non scorderai mai più» gli scappò un risolino nervoso, ma Grimilde continuò a tenere le palpebre abbassate e a starsene muta «Mentre io … sei una stupida. Avresti potuto baciarlo, così a morire sarei stato io» altra risata isterica «Lo so, hai ragione! Lo stupido sono io! Non posso darti torto, avrei dovuto seguire il mio istinto e trascinarti via da quell’imbecille» altra risatina «Hai sentito l’infermiera prima? Ha detto che sei una bella ragazza. Adesso non montarti la testa, bionda. Al massimo sei carina …» e il sorriso gli morì sulle labbra quando alzò gli occhi per scrutare il suo viso, chiuse la piccola mano di Grimilde nella sua, grande e scura «Parlami Grimi, ti prego! Ho bisogno di sapere che stai bene, ho bisogno di rivedere i tuoi occhi azzurri. Ti prego …» si portò la sua mano contro la guancia e la baciò.
Proprio in quel momento Teddy e Nicolas fecero capolino oltre la porta.
Romero inviò uno sguardo furtivo a Grimilde, poi sospirò e si accomodò sul divanetto a due posti, sito contro la parete a est, dove un raggio di sole giallo illuminava la stanza posandosi direttamente sul viso della biondina. Teddy prontamente tirò le tende e la penombra inghiottì l’interno della camera:
«Ecco, così il sole non ti infastidisce gli occhi» carezzò il volto dell’amica, trattenendo a stento le lacrime «Lo sai che odia il sole?»
Martinez la guardò stupito, non riusciva a capire a chi si stesse riferendo, ma quando si girò a guardarlo ebbe la conferma che ce l’aveva proprio con lui:
«Allora, lo sai oppure no?»
«N-no. Cioè cosa dovrei … »
«Proprio come pensavo» Teddy sorrise sarcastica «Alex chi è per te Grimilde?» lui fece per rispondere ma lei proseguì «É solo una ragazza con cui ti diverti di tanto in tanto? Magari ne avrai una anche a Barcellona …»
«Le ho salvato la vita e tu mi vieni a rinfacciare che non ero a conoscenza del fatto che odiasse il sole?» Martinez si alzò, sovrastandola di qualche centimetro, Nicolas li osservò con attenzione «Se ti senti in colpa per quello che è successo non prendertela con me, che sono già impegnato a fare i conti con la mia di coscienza. Non ho bisogno anche della tua!»
Teddy chinò il capo e vide la mano del ragazzo avvolta su quella della sua amica. Forse era ingiusta a scaricare su di lui tutta la responsabilità dell’accaduto, ma era così nervosa, così triste, così vulnerabile.
«Ok, siamo tutti stanchi e arrabbiati» intervenne Nicolas scattando in piedi «Quello che è accaduto non è colpa di nessuno. E adesso datevi una calmata. A Grimilde non piacerebbe vedervi litigare in maniera così furiosa»
E, proprio come se la ragazza bionda si fosse sentita tirata in ballo, dal fondo della sua gola emise un gemito. Teddy si piegò sulle ginocchia, prendendo a carezzarle i capelli, Alex strinse ancor di più la sua mano, sporgendosi in avanti:
«Grimi? Grimi, mi senti? Apri gli occhi» le dita di Teddy le sfiorarono le guance pallide, il suo tono era tremolante, mentre le parole del dottore funzionalità cerebrale le rimbombavano nella testa. Piano, molto piano, le palpebre della biondina si sollevarono e si abbassarono un paio di volte, prima di mostrare del tutto i suoi occhi azzurri.
Guardò Teddy con il viso rigato di lacrime e il mascara sciolto, continuare a toccarla con frenesia ora i capelli, ora le gote; vide Nicolas Antonio dietro la sua amica fissarla come un ebete e, infine, sentì un forte calore partire dalla sua mano destra e irradiarsi in tutto il braccio. Era Alex Martinez, con l’aria di un reduce da guerra e l’espressione sconvolta.
«Grimilde, dì qualcosa. Tutto quello che devi fare è dire qualcosa di sensato» lentamente si girò a guardare Teddy «Hai capito, Grimi? Devi dirmi qualcosa. Tipo … come mi chiamo io? Chi sono?» la ragazza che si era appena destata fissò Romero, poi Alex, ma Teddy voltò il viso su di sé «Guardami Grimi! Chi sono io? Io sono …»
«Sei sicura di stare bene?» disse Grimilde con un filo di voce.
Teddy l’abbracciò, riprendendo a piangere sommessamente, senza smettere di ringraziare, ringraziare e ancora ringraziare nessuno in particolare. Nicolas si avvicinò scompigliando i capelli biondi della ragazza nel letto, dandole semplicemente il bentornata. Martinez le baciò il dorso della mano che teneva ancora nella sua, poi lo riadagiò con delicatezza sul materasso e uscì dalla camera.
 
Gli aeroporti sono uno di quei luoghi sempre affollati e svegli, di quelli che non dormono mai, sempre in continuo movimento, con un pullulare di gente e di vita, intrisi di ricordi che le persone lasciano lì, di amori finiti e di altri ricongiunti, con l’aria impregnata di malinconia e di speranza.
Lo sghignazzare allegro di Martin rattristò Morena, la sua mamma, seduta al fianco di Diego, che da quando aveva prelevato il piccolo Martin dalle braccia di Morfeo, teneramente addormentato nel lettone di Grimilde, non aveva smesso per un momento di coccolarlo e fargli fare tutte quelle cose che, sapeva, amava e lo facevano divertire.
Di tanto in tanto Morena li aveva osservati di sottecchi, padre e figlio, così simili nelle espressioni, nella forma del naso e delle labbra, eccetto gli occhi, quelli almeno li aveva ereditati da lei. Ogni qual volta però Torres si era voltato per incontrare il suo sguardo, prontamente Morena aveva volto l’attenzione altrove, fingendo di essere interessata a qualcosa di futile che stava accadendo a qualche metro di distanza.
Morena scrutò il volto del suo compagno, in maniera furtiva, sperando di non essere colta in flagrante anche questa volta. I suoi capelli castani erano come sempre un po’ spettinati, la barbetta irsuta aveva bisogno di un urgente taglio dal barbiere, ma lei si era innamorata di lui fin da subito proprio per questo suo aspetto trasandato, questo suo modo di fare sfacciato che era così lontano dai suoi approcci verso le altre persone, verso la vita in generale. Era stato capace di tirar fuori la parte migliore di lei, ma anche la peggiore, portandola a desiderare e ad adorare cose che altrimenti avrebbe ritenuto immorali per tutta la vita probabilmente, portandola a desiderare di avere un figlio, o meglio, di avere un figlio con lui. Ed era stata felice, davvero felice di condividere i suoi giorni, le sue ore, con Diego, fin quando non erano stati a quel maledetto matrimonio.
Perché lì qualcosa era cambiato, si era incrinato …
Torres smise per un attimo di solleticare il suo bambino, cosa che non piacque molto a Martin, il quale si aggrappò all’indice del papà con entrambe le manine grassocce, portandoselo sulla pancia e incitandolo a continuare. Ma l’attenzione di Diego si era momentaneamente spostata alla sua destra, dove Morena gli era seduta accanto da quando erano arrivati all’aeroporto di Santiago del Cile, senza pronunciare una sola parola. Di nuovo la colse a fissarlo e, di nuovo, lei voltò il capo nel lato opposto. Fra i dissensi di Martin che, all’improvviso, si era visto togliere tutta l’attenzione, Diego alzò una mano fino a sfiorarle i capelli sciolti color nocciola. Morena si irrigidì a quel tocco, soprattutto quando sentì la pelle ruvida del dorso della sua mano carezzarle la guancia. Con le mani infilate nelle tasche del golfino di cotone, strinse in quella sinistra il cellulare, seppur spento.
«Morena …» la chiamò lui, invitandola a guardarlo negli occhi toccandole il mento, ma la ragazza balzò in piedi, balbettando qualcosa sulla toilette e il rinfrescarsi il viso. Torres e Martin la osservarono allontanarsi a passo spedito, seguendola con lo sguardo fin quando scomparve tra la folla. Il bambino mostrò tutto il proprio dissenso per quella situazione nella sua lingua incomprensibile e il papà lo guardò con un sorriso ironico:
«Speriamo solo che tu non sia cocciuto come la tua mamma o sarò in guai seri …» Martin rise, cercando di alzarsi con la sola forza delle sue gambe, ma ovviamente fallì «Sei contento di tornare in Italia? Allora, sei contento?» Diego esaudì il suo desiderio di mettersi in posizione eretta «Ti devo presentare una persona. Vedrai, ti piacerà»
 
Morena si chiuse nel primo bagno disponibile, respirando affannosamente e con una mano premuta sul cuore, che sembrava impazzito. Con la schiena contro le pareti sudice e rinchiusa in tre metri quadri, si asciugò velocemente una lacrima: aveva sempre odiato piangere e non avrebbe cominciato adesso che doveva combattere per lei e per suo figlio. Estrasse dalla tasca il cellulare e lo fissò per un po’, prima di accenderlo e attendere che fosse pronto ed utilizzabile.
 
L’alba era ormai giunta, ma Teddy non ricordava di esser mai stata più sveglia di così, nonostante la notte appena passata, senza dormire per cinque minuti. L’emozione e la contentezza di tornare a sentire la vocina della sua amica era così tanta da tenerla praticamente su di giri. Temeva il crollo psicofisico che sapeva sarebbe arrivato, portandola a dormire per ore e ore, adesso però era tutto perfetto, ci avrebbe pensato a momento debito. Non riusciva più a staccare gli occhi dallo spettacolo alle sue spalle, dove il sole, un enorme sfera infuocata, troneggiava sulle montagne a est.
La porta della camera di Grimilde si aprì, ma ancora una volta ad uscire fu un’infermiera e non il dottore che vi era entrato da venti minuti circa.
«Hai provato a  richiamare Morena?» le chiese Nicolas in piedi di fronte a lei
«Veramente no. Le spiegherò tutto quando tornerò a casa»
«Lo sai che si arrabbierà molto per non essere stata avvisata, vero?» continuò lui e Teddy fece spallucce. Lo sapeva eccome, ma che si arrabbiasse quanto voleva: Grimilde stava bene e questa era l’unica cosa che contava.
Alexander Martinez fece scivolare il suo indice sul display dell’I-Phone, i siti sportivi, i social network e blog vari riportavano la notizia del salvataggio di una vita al Viva la Vida, nonché del successivo pestaggio. Qualcuno lo idolatrava come un eroe che aveva aiutato una ragazza bionda morente, qualcun altro lo etichettava come un ragazzaccio amante della  mondanità che fa a cazzotti con gli altri. Avrebbe dovuto chiamare il suo agente e spiegargli come erano andate le cose, prima che gli venisse un infarto leggendo tutte quelle sciocchezze. Intanto seguì la conversazione fra i suoi amici e, distrattamente, intervenne:
«Ho incontrato Torres all’aeroporto l’altro giorno» Teddy e Nicolas si voltarono a guardalo sbalorditi «Che c’è? Che è successo?»
«Sei sicuro che fosse lui?» gli chiese Teddy e Martinez annuì, un po’ timoroso, osservando i due amici scambiarsi uno sguardo preoccupato, poi lo smartphone di Teddy prese a vibrare e a suonare nella tasca anteriore dei jeans. Lei si alzò per prenderlo in tutta fretta, rischiando di farlo capitolare sul pavimento, e quando vide lampeggiare sullo schermo il nome di Morena rispose con tono ansioso:
«Morena! Ho provato a chiamarti tutta la not …»
«Teddy, ascolta!» la sua voce era stata un sussurro, ma Teddy aveva proseguito
«Morena, Grimilde è…»
«Sto tornando in Italia, con Diego» la interruppe, sempre in un bisbiglio
«Come in Italia?» le fece eco Teddy
«Ha detto che se non l’avessi seguito, si sarebbe preso Martin. Tra poco più di un quarto d’ora annunceranno il nostro volo …» Morena si zittì per un attimo, chiuse gli occhi e aggiunse «Vi prego, venite a prendermi»
«Dove? All’aeroporto?» e Teddy pensò che infondo era una cosa che si poteva fare con la macchina super veloce di Martinez
«No, in Italia» fu la risposta spiazzante di Morena
«In – in Italia? Ma Morena, non …»
«Vi prego, Teddy! Ho bisogno di te e di Grimilde. Romero sa dove abitiamo, c’è stato qualche volta. Adesso devo andare. Non mi tradite anche voi! Ciao Teddy!»
«No, ehi! Morena? Mo …?» la ragazza fissò il suo cellulare, la conversazione era oramai chiusa. Avviò la chiamata, ma ovviamente non c’era linea.
Fissò i visi sgomenti di Nicolas Antonio e di Alex, in attesa di capire meglio la situazione e Teddy la spiegò, o perlomeno tentò di esporla in modo da riordinare anche le sue idee. Quando ebbe finito, Martinez disse una cosa che la disarmò del tutto:
«Ma perché? Morena e Torres sono tornati insieme?»
«Morena e Diego sono sempre stati insieme» controbatté Teddy, tornando a sedersi su una sedia vicino a lui, spaventato seriamente dallo sguardo indagatore di lei «Hanno anche un figlio …»
«Un figlio? Davvero? E io che credevo si fossero lasciati. Qualche mese fa vidi Torres all’aeroporto di Santiago, in atteggiamenti intimi con una ragazza che non era Morena, quindi ho pensato che …»
Teddy balzò dalla sedia, iniziando ad andare avanti e indietro per il corridoio:
«Che significa in atteggiamenti intimi?»
«Secondo te che significa?» le chiese Nicolas con sarcasmo, guardandola come si farebbe con una persona che ha appena detto un’assurdità, e in realtà era proprio così. Teddy gli inviò un’occhiataccia, un piccola gaffe poteva anche concedergliela data l’intera situazione.
«Credevo lo sapeste anche voi» continuò Martinez
«E ovviamente a Grimilde non hai mai fatto parola di questa storia?» domandò ancora Teddy e lui scosse il capo, beccandosi uno sguardo che sapeva di rimprovero
«Che vuoi? Non è che parliamo poi così tanto io e Grimilde quando siamo insieme!»
Teddy roteò gli occhi al soffitto, mentre Romero sorrideva di sbieco, con quell’espressione complice dipinta sul volto suo e di Alex. Quando facevano così Teddy li detestava, stupidi e banali uomini che si gongolavano delle loro conquiste sessuali.
D’un tratto la porta della stanza si aprì, il dottore rivolse a loro un gran sorriso, annunciando che la loro amica era più che sveglia e stava bene. Potevano entrare a salutarla, se volevano. Teddy non se lo fece ripetere due volte, si fiondò nella stanza dove trovò una Grimilde seduta con la schiena contro la spalliera del letto, sorridente e con le braccia protese verso di lei.
Nicolas Antonio si avviò, soffermandosi poi sull’uscio della porta si voltò indietro e vide Martinez ancora seduto, con lo sguardo proiettato oltre le vetrate alle sue spalle:
«Tu non entri?»
«Dopo» fu la risposta sbrigativa del pallavolista cileno, che tuttavia non smise di fissare l’orizzonte. Nonostante il medico si fosse congratulato con lui, affermando che solo grazie al suo intervento Grimilde era ancora viva, una sola domanda gli frullava nella mente senza riuscire a scacciarla: e se fosse morta?
 
 
Qualche giorno dopo …
La ragazza bionda era di fronte a lei, i capelli lisci e sciolti sulle spalle, la frangia pettinata e sistemata, indosso una tuta di cotone con il pantalone a ¾ e una T-shirt abbinata, il suo sorriso racchiudeva in sé un mondo di sensazioni e di parole e domande.
Teddy ripassò con lei gli ultimi accorgimenti su quello che non avrebbe dovuto assolutamente dimenticare: passaporto, denaro, cellulare, e così via. Grimilde la osservò, che fosse nervosa e agitata lo si vedeva da lontano. L’abbracciò in uno slancio di affettuosità, facendola sussultare, ma poi ricambiò la stretta. Ancora una volta la ragazza castana le chiese se fosse sicura, sarebbe bastata una sua parola e sarebbe rimasta lì, insieme a lei. Ma Grimilde si allontanò, accarezzandole i capelli, era di poco più bassa di Teddy, sottolineando, di nuovo, che sarebbe stata bene e che no, non aveva bisogno di alcun parente, stretto o lontano.
Quando aveva raccontato a Grimilde della telefonata veloce di Morena, la ragazza bionda, ancora in ospedale dal quale sarebbe stata dimessa dopo qualche ora, aveva subito dichiarato che doveva andare da lei, in Italia. Teddy si era impuntata: non poteva lasciarla sola dopo quello che le era accaduto in discoteca, ma Grimilde era stata sull’orlo delle lacrime pensando a Morena e a Matty (come oramai aveva ribattezzato il bambino) lontani chilometri e chilometri e magari bisognosi della loro presenza. Morena non era quel tipo di persona che chiede aiuto, aveva aggiunto, se l’aveva fatto doveva avere avuto i suoi motivi e non andavano sottovalutati.
«Tu non sei in grado di affrontare un viaggio del genere e io non sono in grado di andarci da sola» aveva continuato Teddy, sentendosi improvvisamente piccola e incapace.
A quel punto Grimilde si era voltata dal lato opposto, dove Nicolas e Alex se ne stavano seduti sul divanetto, silenziosi e pensierosi. Aveva sorriso al primo dei due, affermando che lui avrebbe potuto fare da accompagnatore e scortare Teddy fino a destinazione. La ragazza castana era arrossita vistosamente, entrando in uno stato di disagio quando aveva sentito la voce di Romero, così tranquilla come se Grimilde gli avesse chiesto di accompagnarla al supermercato, rispondere che per lui non c’erano problemi, che tanto sarebbe dovuto tornare in Italia a controllare cose riguardanti la casa che aveva fittato nella città di Torino.
«Ecco fatto!» aveva esclamato la biondina battendo le mani e sorridendo a Teddy che, dal canto suo, l’aveva fulminata con lo sguardo.
 
Grimilde era tornata a casa nel pomeriggio di quella stessa giornata, offrendosi volontaria di aiutare la sua amica a preparare la valigia. Teddy l’aveva vista andare avanti e indietro, prendendo cose e cianfrusaglie che lei aveva ritenuto inutili, ma era rimasta in silenzio, offenderla dopo esser appena uscita dall’ospedale era un gesto che l’avrebbe fatta star male. Per tutto il tempo la ragazza bionda non aveva fatto altro che ripetere quanto fosse fortunata ad andare in Italia, leggendole tutte le informazioni, più o meno utili, che Wikipedia forniva su quella nazione. Notizie che in ogni caso Teddy aveva trovato frivole.
«É il paese dell’amore!» aveva detto Grimilde, sghignazzando
«No, quello è Parigi!» l’aveva corretta Teddy sorridendo con lei, ma l’espressione divertita si era trasformata in un gran punto interrogativo quando aveva visto la biondina adagiare un batuffolo nero sulla valigia, ancora in fase di preparazione, con quel sorrisino malizioso, tipico di Grimilde.
Teddy l’aveva srotolato, rimanendo a bocca aperta, con in mano un babydoll, tutto veli e tanga. Per la prima volta Teddy si dimenticò che la sua amica era tornata dall’oltretomba e sbottò:
«Cosa diavolo dovrei farmene di questo coso io?»
«É nuovo, tranquilla! Non l’ho mai indossato. Mi va un po’ grande sul seno e non …»
«Non mi interessa se sia nuovo oppure no, perché tanto io non me lo porto appresso!»
«Oh, dovresti tesoro! Dovresti …» aveva continuato la biondina, lasciando la frase in sospeso, ma Teddy l’aveva già ripiegato e abbandonato sul letto, con le guance in fiamme. Inutilmente aveva tentato di scacciare dalla mente gli occhietti scuri e penetranti di Nicolas Antonio che la osservavano con quell’intimo addosso, fantasticando sulla reazione che avrebbe potuto avere se lo avesse messo, quello che avrebbe potuto dire o fare e, ovviamente, quello che ne sarebbe scaturito.  
Grimilde aveva ripreso ad elencarle i pro e i contro della penisola italiana e Teddy l’aveva osservata, nascondendo un sorrisino: certo che quella ragazza sapeva insinuare cose e pensieri – e soprattutto ansie – facendoli sbocciare dal nulla.
 
Il suono del citofono scosse entrambe le ragazze dai loro pensieri. Si sorrisero un’ultima volta, senza dirsi niente. Teddy guardò oltre la sua amica bionda l’albero di Natale che avevano addobbato Grimilde e Morena e sentì le lacrime bruciarle infondo agli occhi. Tra una settimana sarebbe stato il 25 Dicembre e, per la prima volta da tanti anni, si chiese con chi l’avrebbe trascorso e se l’avrebbe trascorso in quella casa.
Aprì la porta d’ingresso e trainò con sé il trolley, conscia del fatto che Martinez era di sotto ad aspettarla e che con lui ci sarebbe stato anche il suo accompagnatore in quell’avventura, se così si poteva definire, ovvero Nicolas.
Si voltò indietro, Grimilde era a braccia conserte sull’uscio di casa:
«Andrà tutto bene, Teddy! Ci vediamo presto!»
La ragazza castana avrebbe voluto chiederle di come andavano le cose tra lei e Alex, poiché sembrava essere l’unica persona sulla quale la biondina potesse fare affidamento ora che lei sarebbe stata dall’altra parte del Mondo. Invece annuì ed entrò nell’ascensore, le cui porte si chiusero, dividendole.
 
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 


Nicolas Antonio Romero tornò con una lattina di tè alla pesca che porse a Teddy. Quest’ultima alzò il capo dallo smartphone e la raccolse, beandosi della frescura che subito le provocò un brivido. Poi guardò il ragazzo, intento a studiare il tabellone degli arrivi e delle partenze, bevendo distrattamente la bibita energetica che aveva comprato per sé, sulla cui etichetta spiccava il suo volto, con il capo coperto da un cappuccio e quell’espressione accattivante. Quando Grimilde, in un sera fredda e piovosa, si era fiondata in camera sua, svegliandola nel bel mezzo del sonno, per mostrarle quella foto che riempiva completamente lo schermo del notebook, a Teddy era mancato il respiro, trovandolo maledettamente sexy. E pensare che un tempo era stato solo suo
«Siamo in netto anticipo» sospirò lui e lei scosse il capo, come per mandar via quei vecchi pensieri, rigirandosi la lattina nelle mani, fino a tirar via la linguetta e dissetandosi con un lungo sorso.
Nicolas si accomodò sulla sedia di plastica bordò al suo fianco, accavallando le gambe e guardandosi attorno, senza troppo interesse: il solito tran-tran di persone e di hostess di volo in tailleur blu e foularino abbinato. La presenza di Teddy, sedutagli vicino, proprio in quel particolare luogo, ovvero l’aeroporto, gli strappò un risolino, attirando l’attenzione interrogativa della ragazza su di sé:
«Non lo trovi divertente?» le chiese, senza smettere di scrutare l’ambiente circostante
«Cosa dovrei trovare divertente?» gli fece eco lei, osservando nella sua stessa direzione, aspettandosi di scorgere una scena buffa o scherzosa.
Romero si girò a guardarla e gli occhi della ragazza furono attratti dai suoi come una calamita:
«Il fatto che siamo qui. Insieme.»
Era vero. Teddy era stata così concentrata e preoccupata per gli avvenimenti che si erano susseguiti in quegli ultimi giorni da accantonare il fatto che lei e Nicolas erano andati a tanto così dal baciarsi non una, ma per ben tre volte!
E ora era in aeroporto, in attesa del loro volo, diretti verso il Bel Paese con l’obiettivo di salvare Morena dalla grinfie del perfido Diego Torres, in compagnia di un Nicolas Romero che attendeva una risposta da lei, dopo averle ricordato che proprio in quel posto sarebbe potuta cominciare la loro nuova vita insieme, se lei avesse scelto di seguirlo, se avesse scelto di sposarlo. Adesso il destino le aveva giocato quello scherzo, facendoli ritrovare lì, uno vicino all’altro, ad attendere lo stesso aereo.
«Dopo circa sette anni stiamo per partire insieme verso l’Europa» aggiunse lui, giocherellando con la bottiglietta di plastica
«Otto» lo corresse «Sono trascorsi otto anni e cinque mesi» poi gli sorrise, per tentare di alleggerire l’atmosfera, ma sentendo il suo cuore pompare come un ossesso e quella sensazione di vuoto allo stomaco farsi sempre più profonda.
«Non smisi per un solo momento di guardarmi attorno e sperare di vederti arrivare, nonostante sapessi che non era nella tua indole cambiare idea e tornare sui tuoi passi. Ma sperai che almeno i sentimenti che provavi per me ti avrebbero spinta a farlo» la guardò abbozzando un sorriso, era passato così tanto tempo che provare rancore lo trovava davvero banale, ma la faccia di lei era una maschera di cera «Lo sai come sono, no? Io reagisco d’istinto, seguo le emozioni …»
Teddy fece per controbattere, senza essere pienamente sicura di quello che avrebbe potuto esprimere, nella sua testa era in corso una specie di tornado fatto di parole e di emozioni, ma due erano i termini che troneggiavano su tutti: vivere in sua presenza e sopravvivere senza. La voce robotica annunciò il loro volo in diverse lingue e, prima che Teddy potesse dire la sua sul discorso che avevano intrapreso, lui si alzò in piedi allungando le braccia per sgranchirsi, quindi guardò oltre le imponenti vetrate sulla sinistra, dove splendeva un sole giallo e rigoroso:
«Tieni a portata di mano il giubbotto» le disse, armeggiando con la sua valigia «Lì farà ..»
«Farà freddo e sarà notte, lo so!» lo precedette Teddy, mettendosi in posizione eretta e afferrando la maniglia del suo trolley, mentre lui la guardava incuriosito da quell’affermazione «Grimilde mi ha fatto una testa così sul clima dell’Italia, sul fuso orario e altre notizie simili» lanciò un’ultima e fugace occhiata al mondo fuori, dalle tinte calde e vivaci, quindi seguì il pallavolista, standogli leggermente dietro:
«Hai salutato l’estate?» le chiese lui, senza voltarsi a guardarla
«Purtroppo si …» rispose e lo sentì ridere
«Ma tu adori il freddo, giusto?» la prese in giro
«No! Io odio il freddo! Mi vengono i brividi al solo pensiero di …» e si fermò di botto, giusto in tempo prima di andare a sbattere contro la schiena di Nicolas.
Oramai avevano quasi raggiunto la fila per il check - in e, perplessa, Teddy gli chiese perché mai si fosse fermato, mettendosi in punta di piedi per guardare oltre la sua spalla. Lui si voltò, puntando fin da subito le sue pupille scure in quelle di lei, quel castano che nelle belle giornate si striava di verde carico. La ragazza non riuscì a decifrare la sua espressione, era solo in parte consapevole delle persone che avanzavano, occupando i posti che nella fila sarebbero dovuti spettare a loro e quando provò a farglielo notare, lui parve non sentirla nemmeno:
«C’è una cosa che ho sempre desiderato fare» iniziò, la voce ferma «Scusami» disse, poi lasciò la presa sulla valigia e con entrambe le mani prese il volto di Teddy, portandosi le labbra sulle proprie.
La ragazza spalancò gli occhi, restando perfettamente immobile, impassibile. Era un bacio fatto di sole labbra, nient’altro che labbra schiuse, ma che nascondeva qualcosa di più profondo e complesso. Lentamente Teddy sentì tutti i nervi sciogliersi, le palpebre si abbassarono e il desiderio che quel semplice tocco andasse oltre crebbe sempre più, aspettandosi che accadesse da un momento all’altro, supplicando che accadesse nell’immediato.
Invece le labbra di Nicolas si allontanarono dalle sue, seppur senza fretta. Come stordita riaprì gli occhi, trovandosi il suo volto vicinissimo, teneva ancora i palmi delle mani sul suo viso, le sorrise e Teddy pensò che quello era anche più disarmante del bacio che c’era appena stato:
«Avremmo dovuto farlo otto anni e cinque mesi fa» le disse e lei non riuscì a rispondere «O avremmo dovuto farlo quella sera sul balcone, o la mattina dopo, o ancora in discoteca» allargò il suo sorriso e adagiò la fronte contro la sua «In Italia non avrebbe avuto più senso.»
Indietreggiò di qualche passo per riprendere il suo cammino, lasciando Teddy così, sopraffatta dalle emozioni, incapace di pensare o di muoversi, fin quando udì la sua voce invocare il proprio nome. Si tirò appresso il trolley, quasi correndo, la lunga fila si era sfoltita di parecchio e quando lo raggiunse lui stava già mostrando i documenti, comportandosi come se non fosse accaduto quel che era accaduto.
 
Alexander Martinez la adagiò delicatamente sul letto, dalla parte che sapeva essere la sua preferita, ossia quella vicino al balcone. Una volta le aveva chiesto perché preferiva quella e non l’altra e lei gli aveva risposto con la sua solita ingenuità, spiegandogli che in questo modo, quando sorgeva il sole, le bastava sporgersi un po’ dal letto per tirare le tende. In verità Alex non ci aveva capito molto da quella spiegazione, tuttavia non si era neanche sforzato di comprenderla, l’aveva baciata e avevano rifatto l’amore, proprio in quella camera. Adesso, però, aveva compreso il motivo per cui preferiva dormire vicino al balcone e tirare le tende al sorgere del sole: i suoi raggi la infastidivano.
Nonostante in quei giorni le temperature si fossero alzate, lui la coprì con le lenzuola rosse, decorate da ghirigori dorati, in perfetto stile natalizio. Fece il giro intorno al letto e si chinò sulle ginocchia, per studiare il suo viso candido, dove qualche lentiggine era spuntata sul naso e sotto agli occhi. Prese a carezzarle la frangia e i capelli, li adorava, erano sempre così setosi, sempre così morbidi, come la sua pelle, dello stesso colore del latte. Poi si alzò, accomodandosi sulla poltrona alle sue spalle, senza smettere di osservarla, senza smettere di osservare soprattutto il suo corpo minuto che sotto le coperte si alzava e si abbassava a ritmo regolare.
Dopo aver accompagnato Nicolas e Teddy all’aeroporto, si era presentato a casa sua con una cena da asporto presa al fast food. Lui non andava matto per tutte quelle cose fritte e poco salutari, ma Grimilde sì. Le aveva telefonato prima di piombarle in casa e quando le aveva detto che stava per raggiungerla, gli era parso che la sua voce avesse assunto un tono sollevato. Dopo il fattaccio non avevano avuto molte occasioni di parlare e, se avesse trovato il coraggio di farlo, avrebbe affrontato l’argomento quella sera stessa.
Ma dopo cena Grimilde era crollata sul divano, davanti alla TV, e ogni buona intenzione che aveva avuto di fare conversazione era scemato.
 
L’hostess di volo passò a controllare le cinture, mentre un'altra – che sembrava la sua gemella sputata – spiegava ai passeggeri le varie nozioni base da conoscere in caso di emergenza. Infine augurarono loro buon volo.
Teddy controllò ancora una volta la cintura di sicurezza allacciata, aveva una così gran paura di volare che iniziava a sudare freddo, con quella morsa nella stomaco e il cuore che batteva forte nel petto. Guardò di sbieco Nicolas Antonio che le sedeva accanto, l’aria tranquilla, lo sguardo perso oltre il finestrino e completamente assorto. Si chiese a cosa potesse pensare da imbambolarlo in quella maniera, poi avvertì il rombo dei motori e d’istinto la sua mano si aggrappò a quella del ragazzo, che scattò verso di lei, trattenendo a stento un risolino vedendola in quelle condizioni, con le palpebre strizzate e le nocche delle mani bianche:
«Non hai mai volato?» le chiese divertito
«No. È la mia prima volta …» lui si avvicinò al suo orecchio
«Tutte le tue prime volte sono con me a quanto pare …» le bisbigliò, e ogni centimetro di pelle di Teddy fu percorso da brividi scaturiti da una miriade di emozioni. Sentì le dita di lui allacciarsi alle proprie e stringere forte per un tempo che parve infinito, poi l’aereo si librò nel cielo e lentamente lei allentò la presa sulla mano di Nicolas e sul bracciolo sinistro, ricomponendosi, rossa in volto. Il ragazzo, tuttavia, non ritornò al suo posto, rimase affacciato su di lei, a respirare l’odore dei suoi capelli che sapevano di estate e di balsamo alla vaniglia, Teddy li tirò su un lato e lo guardò, sostenendo il suo sguardo languido:
«Chi ti dice che tutte le mie prime volte sono state con te?» Romero fece spallucce, sistemandosi sulla sua poltroncina
«Almeno quelle importanti lo sono state di sicuro»  replicò stuzzicandola, ma Teddy non raccolse la sua frecciatina, sapeva che quella sarebbe stata una battaglia persa in partenza, preferì chiudere gli occhi e teletrasportarsi nel suo mondo perfetto, cullata dalle note della sua musica preferita e tormentata dal ricordo delle loro labbra unite.
 
La ragazza bionda si mosse, distraendolo dai suoi pensieri, la vide sorreggersi sulle braccia e guardarsi intorno con fare stralunato, fin quando i loro occhi si incontrarono e allora parve pian piano mettere insieme i pezzi. Si mise a sedere, strofinandosi le palpebre e consultando la sveglia sul comò a forma di stella rosa, con tanto di occhi, naso e bocca. Le lancette dicevano che erano le venti e, dietro di Alex, il sole stava tramontando sul mare, spennellando il cielo di arancio. Sbadigliò, stupendosi di trovare la frangia e i capelli in ordine, forse non dormiva da tanto, o forse non si era girata e rigirata nel letto, come faceva di solito. Come un flash, si ricordò di essersi addormentata sul divano, davanti alla televisione. Guardò Alexander che intanto non aveva smesso di fissarla, la faccia seria:
«Mi hai portato tu qui? Perché io non ricordo di essermi alzata e di esserci arrivata con i miei piedi» fece un risolino forzato, sperando che lui le sorridesse di rimando, ma questo non accadde.
Martinez non era lo stesso di sempre, era cambiato nei suoi confronti. Più volte aveva chiesto a Teddy se per caso non avesse combinato qualcosa di irreparabile o che aveva potuto portarlo a detestarla, ma la sua amica l’aveva sempre rassicurata, raccontandole più volte per filo e per segno la nottata al Viva la Vida. Forse semplicemente si aspettava di essere ringraziato per averle salvato la vita.
«Alex …» iniziò, sentendo la sua voce tremare «Non ti ho mai ringraziato per avermi salvato …»
«Eri morta» disse lui, il tono spento, gli occhi fissi su di lei e imperscrutabili «Fra le mie braccia. Eri morta, non respiravi, non parlavi …» la sua voce ferma d’improvviso s’incrinò e si coprì il viso con le mani « … eri morta, fra le mie braccia, e io pregavo solo di avere un’altra possibilità, solo un’altra»
Grimilde rimase a fissarlo con gli occhi spalancati. Lo aveva visto arrabbiato, triste e sconsolato, ma mai disperato, perché quella era disperazione pura, mista ad una paura viscerale:
«Ma tu mi hai salvato la vita» ripeté lei, scostando le lenzuola dal suo corpo e inginocchiandosi dinnanzi a lui, quindi gli prese una mano e Martinez non poté fare a meno di guardarla – i suoi occhi azzurri erano lucidi e intimoriti – mentre Grimilde si portava il suo palmo sul cuore, per fargli sentire che c’era e che batteva forte nel petto. Molto forte. «Lo senti?» gli chiese, con le lacrime agli occhi «Se batte è solo grazie a te! Se sono qui e ti posso parlare, ti posso toccare …» continuò accarezzandogli una guancia con la mano libera « … è grazie a te!»
Martinez chiuse gli occhi per assaporare al meglio quella carezza tiepida, aveva le mani calde e non ghiacciate come quando l’aveva stretta sul bordo di quella maledetta piscina. Tenendola per i polsi, la guidò a sedersi sulle gambe, quindi prese a sfiorarle con l’indice le gote leggermente arrossate, la punta del naso, le labbra.
«Mi dispiace, è stata colpa mia se tu ...»
Grimilde gli poggiò due dita sulla bocca, arrestando la sua frase a metà:
«Non è stata colpa di nessuno, è successo e basta»
«Ma se io non avessi …»
«Schhhhh» bisbigliò lei, baciandolo con delicatezza.
Si separarono solo per scrutarsi negli occhi qualche secondo, poi Alex le passò una mano sotto i capelli e invase la sua bocca con la propria lingua. Quella ragazza era una droga, una bellissima e paradisiaca droga che non gli faceva mai male.
«Credo di essermi innamorato di te» le disse, senza smettere di unire le loro labbra, fra un morsetto e un altro, ma Grimilde lo allontanò, perplessa:
«Co-come? Che significa?» gli chiese e lui sorrise, prima di riprendere a darsi da fare con la sua bocca
«Nel senso che ti amo, bionda!» di nuovo lei lo tenne lontano, schiacciandogli un palmo sul petto, aveva l’aria divertita
«Oddio! Io non sono sicura di amarti. Sai, magari se ci lavorassi un po’  …»  Alex si alzò, prendendola in braccio a mo’ di principessa e, come poco prima, la sdraiò sul letto, questa volta coprendola con il suo corpo:
«Conosco un paio di metodi che potrebbero convincerti » biascicò tra un bacio sulle labbra e uno sul collo, mentre con la mano destra tirava giù la zip della maglia che lei indossava. Grimilde gli chiuse le braccia intorno alla nuca, pretendendo avidamente che la sua bocca aderisse a quella propria.

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Capitolo 20
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11


 
L’aeroporto di Cagliari non era come quello di Santiago, ma più piccolo e meno caotico.
Teddy si guardò scrupolosamente intorno, osservando ogni minimo particolare di quel nuovo mondo: le persone, che seppur con i capelli scuri, avevano la pelle chiara, non quanto quella di Grimilde, ma nemmeno ambrata come la sua; la loro voce era più profonda e sebbene la cadenza somigliasse terribilmente a quella spagnola, non riusciva a comprendere granché dei loro discorsi. Tutti sembravano di fretta, tutti sembravano arrabbiati, nessuno faceva caso a lei, a parte un uomo sulla quarantina, in giacca e cravatta, intento a parlare all’auricolare che squadrandola da capo a piedi, fino a torcere il collo, le sorrise accattivante, mostrando i suoi denti perfetti. Teddy arrossì e chinò il capo, fissando i piedi. Pensò a Morena, a quanto doveva esser stata dura per lei affrontare tutto quello, a quanto quell’esperienza doveva averla fortificata.
Nicolas Antonio tornò, trascinando dietro di sé entrambe le valigie, scuro in viso.
«Andiamo» si limitò a dire e lei lo seguì a ruota, attraversando lo spazio che li divideva dalle porte scorrevoli
«Tutto bene?» gli chiese, uscendo in strada.
Una folata di vento gelido le scompigliò i capelli, tuoni e fulmini la fecero stringere nel giubbotto e alzare il cappuccio sul capo, mentre una pioggia incessante veniva giù a secchiate. Le strade erano deserte, i lampioni privi di corrente elettrica, probabilmente un guasto. Una macchina bianca, di forma rettangolare, frenò davanti a loro, sulle fiancate la scritta AUTONOLEGGIO – AEROPORTO DI CAGLIARI, ELMAS. Un giovane scese dal veicolo, senza preoccuparsi di spegnere il motore, era ricoperto quasi interamente da un impermeabile giallo:
«Signor Romero?» disse, accostandosi a Nicolas, il quale annuì «Questa è la macchina che ha richiesto» l’uomo si congedò da loro con una stretta di mano, poi rimasero per diversi secondi a fissare l’auto, vibrante a causa del motore acceso. Luì sbuffò e prese a lagnarsi:
«Una Fiat Panda!» disse aprendo le braccia «Ti pare che io possa andare in giro con una Fiat Panda?»
«Ma smettila di fare il vip!» lei uscì allo scoperto, incurante dell’acqua piovana, aprì lo sportello posteriore e caricò sui sedili la sua valigia «Se non sai guidare le macchine di noi terrestri, lo posso sempre fare io»
Nicolas rise scuotendo il capo, issò il suo fardello accanto a quello della ragazza, poi le fece cenno di salire dalla parte del passeggero, mentre lui girava intorno alla macchina e sedeva al posto del guidatore. Nell’abitacolo dell’autoveicolo la temperatura era leggermente più sopportabile, Romero avviò i tergicristalli, i quali iniziarono a scandire i secondi con il loro tradizionale clock-clock, faticando a ripulire il vetro dalla pioggia, quindi si immise nella carreggiata, completamente vuota. Quando la vide, con la coda dell’occhio, abbracciarsi nel suo giubbotto marrone e soffiarsi nelle mani chiuse a coppa sulla bocca, accese il calorifero. Teddy era sempre così freddolosa e arrivare in Italia in quel periodo dell’anno non avrebbe sicuramente giovato all’impressione che il Paese italico le avrebbe fatto. Lo ringraziò con un filo di voce, distrattamente, rapita dalle decorazioni natalizie nel centro della città come una bambina davanti alle giostre del lunapark. Romero sorrise di soppiatto, era una bella sensazione averla lì, in quello spazio angusto e scarno, ma a modo suo accogliente.
 
Ben presto le luci, gli abeti decorati e le vetrine dei negozi addobbate finirono, soppiantate da una distesa infinita e fitta di betulle alte e spoglie da un lato, il panorama delle case e del mare, ottenebrato dal maltempo, da un altro. La strada saliva a serpentina e, nonostante la pioggia avesse diminuito la sua forza, non aveva del tutto smesso di cadere, le saette illuminavano di viola le nubi sopra di loro.
«Tu sei proprio sicuro di ricordare la strada?» gli chiese Teddy, cominciando ad agitarsi, prese una sigaretta e l’accese, abbassando di due centimetri il finestrino
«Ti ho già detto di sì!» sbottò lui seccato, ma la ragazza gli credeva sempre meno.
Consultò il cellulare, le 22 erano passate da un pezzo, inoltre fra quelle montagne non c’era linea. Osservò il buio che trapelava fra quei rami nudi e rabbrividì, in quell’oscurità si sarebbe potuto nascondere qualsiasi cosa, voltò lo sguardo dal lato opposto, dove alte onde si infrangevano in un miscuglio di spuma bianca e lampi all’orizzonte.
Pensò a Grimilde, al fatto che fosse andata a tanto così da non rivederla più, a non poter più sentire la sua risata, la sua voce, che non si sarebbe più potuta confidare con lei, o arrabbiare per la frivolezza che talvolta la contraddistingueva. Rivide il babydoll che le aveva adagiato nella valigia e, sebbene allora si fosse incavolata, adesso non le pareva una cosa tanto grave. Di conseguenza spostò l’attenzione su Nicolas Antonio, completamente assorto nella guida. L’aveva baciata, aveva rimandato così tante volte quel bacio che aveva addirittura dimenticato di averlo desiderato come l’ombra in un giorno d’estate. Le aveva sussurrato che in Italia non avrebbe avuto più senso. Aveva forse voluto intendere che con questo avevano azzerato i conti? Che quel bacio lieve e accennato fosse in realtà il punto conclusivo della loro storia? Quindi l’interesse che apparentemente le aveva dimostrato si manifestava solo in Cile? Perché?
Ha un’altra! Le disse una vocina in fondo alla sua testa. Di sicuro è una bella italiana sfacciata e disinibita, con le tette grosse e le labbra rifatte.
Abbassò il capo di colpo. Quella vocina dentro di lei la spaventò, ma non solo mentalmente, anche fisicamente. Lo stomaco si contrasse, le sembrò di non riuscire più a respirare, mentre la sigaretta si spegneva oramai giunta alla fine della sua corsa. In quel momento, con i fulmini ad illuminare la strada e i rami delle betulle che sembravano tante braccia intende ad acchiapparla per trascinarla con sé, si rese conto della paura che provava di perderlo.
Di perderlo di nuovo.
La macchina frenò bruscamente e Teddy fu scossa dai suoi segretissimi voli pindarici. Un imponente cancello di ferro grezzo, dall’aria antica e malandata, si spalancava di fronte a loro, la carreggiata si stringeva di parecchio, inoltrandosi in una stradina fatta di pietrisco. Alti cipressi proiettavano la loro nera ombra da entrambi i lati. Per quanto i fari illuminassero diversi metro, non si riusciva a vedere il fondo della strada. Teddy si girò a guardare Romero:
«Ti prego! Dimmi che siamo arrivati. Anche se questo posto mette i brividi ed è lugubre, dimmi che Morena abita proprio alla fine di questo sentiero» la sua voce era rotta dall’ansia. Nicolas aveva un’espressione colpevole dipinta sul volto:
«Mi sa che ci siamo persi.»
Un tuono ruppe il silenzio che era calato fra loro. Teddy scosse il capo: adesso aveva davvero paura.
 
Nicolas Antonio Romero si era sorbito tutte le prediche e i mezzi insulti che Teddy gli aveva sbattuto in faccia, ripetendosi più volte che doveva essere davvero terrorizzata, spersa su una montagna con la minaccia costante di una tempesta e , in particolar modo, in un paese a lei estraneo. Anzi, in quel caso era estraneo per entrambi.
Manco a dirlo, in un mondo altamente tecnologico e all’avanguardia che dovrebbe aiutare a superare le difficoltà, tanto lo smartphone di lei, quanto l’I-Phone di lui erano praticamente morti.
«Proseguiamo» esclamò Nicolas dopo un momento di riflessione. Ingranò la prima e la macchina si mosse riluttante. Teddy si girò completamente verso di lui, incurante della sigaretta accesa che spandeva il suo fumo grigio nel piccolo ambiente:
«No! Nicolas Antonio Romero! Ti ordino di tornare indietro all’istante …» Teddy avvertì l’ombra degli alberi di cipresso crollare su di loro e il suo tono si affievolì « … ti scongiuro»
«Ti fidi di me?» continuò lui, mentre aumentava l’andamento dell’auto, Teddy gli rispose senza staccare gli occhi dalla strada fatta di ghiaia:
«Scherza tu! Guarda che quelli del Titanic non hanno fatto una bella fine.»
«Ma lei si salva» aggiunse il ragazzo. Teddy gli scoccò un’occhiata, senza sapere bene cosa rispondere, poi una luce attirò la sua attenzione.
Una costruzione in pietra si stagliava davanti a loro, illuminata da lampioni in stile antico, ma dalla luce ferma. Un alto portone dall’aria massiccia aveva alcune decorazioni natalizie sui vetri, tra cui una splendida ghirlanda. Le finestre erano piccole e se ne contavano cinque per tutti e quattro i piani, alcune erano illuminate, altre buie. Nel parcheggio vi erano diverse macchine.
Nicolas accostò e spense il motore, dicendole di aspettarlo in macchina, se erano fortunati avevano trovato un luogo dove passare la notte e mangiare qualcosa. Prima che lei potesse parlare, era già andato via. Tornò dopo diversi minuti, Teddy intanto era alla sua terza sigaretta in meno di mezzora, le fece cenno di scendere, mentre scaricava le due valige.
«Dormiamo qui?» gli chiese, aspirando del fumo e gettando via la cicca consumata solo per tre quarti, lui annuì con un bisbiglio, cosa che non le piacque.
All’interno l’atmosfera era spudoratamente accogliente. Un camino scoppiettava nell’angolo a sinistra, tavoli in legno per quattro persone erano apparecchiati con tovaglie di Natale a quadri verdi e rossi, un abete riempito di decori di ogni genere emanava la sua luce bianca ad intermittenza. La sala era piena di persone chiassose, di camerieri in smoking nero che facevano avanti e indietro con piatti di pietanze che lasciavano una scia profumata. Lo stomaco di Teddy borbottò per la fame.
«Prego signori! Da questa parte!» un uomo sulla cinquantina, ben vestito e curato, li invitò ad avvicinarsi al bancone della reception. Sorrise in maniera troppo gentile «Ecco a lei!» porse a Nicolas un portachiavi di finta pelle blu «La vostra stanza è la numero 15. Quando siete pronti, potete scendere a cena. La cucina rimane aperta fino alle 24.»
Romero ringraziò e fece per avviarsi, trovandosi il viso paonazzo di Teddy a un centimetro. Non riuscì a decifrare la sua espressione, solo gli sembrò sul punto di esplodere, per rabbia o per imbarazzo questo non sapeva dirlo.
«La smetti di fissarmi?» sbottò lui, intanto che l’ascensore li portava all’ultimo piano, quel coso saliva troppo lentamente «Non è colpa mia se non avevano altre camere libere!» Teddy incrociò le braccia, lo sguardo pungente «Dormo sul pavimento o nella doccia, ma smettila di guardarmi come se fossi un pervertito!»
Teddy si piegò in avanti e scoppiò a ridere, mentre lui mugugnava qualcosa sull’essere preso in giro, come un bambino offeso o sgridato dalla mamma per una malefatta di cui, però, non era stato artefice.
 
«Mi stanno fissando tutti!»
«Non ti sta fissando nessuno!»
Teddy si guardò intorno con circospezione. Sembrava che ognuno fosse concentrato sul piatto che teneva davanti, o sui familiari che sedevano al loro stesso tavolo, o in una conversazione intima con il partner. Né uno dei presenti in verità la stava fissando, eppure lei continuava a sentirsi maledettamente a disagio e osservata.
Il getto caldo della doccia, quasi bollente, sembrava averle lavato via un po’ di quell’ansia che l’aveva accompagnata da quando era salita sull’aereo, in una terra lontana, ora più che mai. Ma adesso era ripiombata in quello stato ansiogeno che la portava a unire i palmi in grembo e sfregarseli, squadrando l’ambiente circostante.
Nicolas l’aveva lasciata da sola in camera, avviandosi al tavolo con il segna posto numero 15, lo stesso della loro stanza. Se ricordava bene, in certe situazioni era meglio lasciarla da sola a sbollire le emozioni, soprattutto se queste erano negative. Tuttavia, quando l’aveva vista affacciarsi nella sala da pranzo, con quell’espressione che andava dall’impaurita all’imbarazzo, gli si era stretto lo stomaco e solo grazie al suo selfcontrol – che aveva imparato a gestire durante i match importanti dove perdere la testa era l’ultima cosa da fare – non si era alzato per abbracciarla e farle sentire che lui c’era, che non aveva nulla da temere, che l’avrebbe protetta anche se avesse avuto paura di un insetto insignificante. Tutto ciò che aveva fatto era stato alzare una mano con nonchalance, fingendo di essere interessato al menù, quando invece non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Un giovane cameriere si avvicinò, poggiando qualcosa sul tavolo e quando Teddy alzò lo sguardo e vide di cosa si trattava, iniziò a muovere freneticamente le mani, ma oramai una fiammella volteggiava davanti al suo volto e il sorriso di Romero, seguito da un grazie, liquidarono il ragazzo vestito di nero.
Lui si voltò a guardarla, un sorriso beffardo gli increspava le labbra:
«Siamo nel Paese dell’amore, cosa ti aspettavi?»
Teddy era completamente rapita da quella candela rossa, le sembrava che emanasse anche un buon profumo di lampone. O era ciliegia?
«Il Paese dell’amore è Parigi» replicò, ricordandosi che aveva dato la stessa risposta a Grimilde, una vita fa!
«Mi spiace contraddirti tesoro …» lui si sporse verso di lei, le cui guance si colorirono «Ma Parigi è solo la città dell’amore. Questa è la nazione»
A quel punto ogni risposta avrebbe potuto inoltrarla in un discorso che non le andava di intraprendere quella sera, con la prospettiva di dividere pochi metri quadri di spazio, per non dire condividere un letto. Si limitò a fare spallucce, ma lui non si stupì, una delle tante abilità di Teddy era quella di dribblare gli argomenti che poco la ispiravano.
 
L’unica cosa che sembrò alleviare le sue ansie, o perlomeno accantonarle momentaneamente, fu il cibo italiano. Squisito. Delizioso.
Si pulì la bocca con il tovagliolo di stoffa e bevve un lungo sorso di vino rosato, che un altro cameriere – non lo stesso della candela – aveva stappato davanti a loro, facendola sussultare tra l’altro, affermando che quello era offerto dalla casa.
«Non bere troppo» l’ammonì lui, masticando un boccone di bistecca
«Perché? Hai paura che possa dire o fare cose imbarazzanti?»
Lui sorrise, prendendo in mano il proprio bicchiere d’acqua frizzante:
«A proposito di cose imbarazzanti, potresti raccontarmi com’è andata con il tuo ex lì …» si fermò, sforzandosi di ricordare il nome «Come si chiamava?»
«Marcelo» disse lei, con calma
«Esatto! Marcelo!» addentò un altro pezzo di carne mezza cruda «Raccontami cosa è successo dopo che ci siamo salutati al resort»
«Comincia tu!» esclamò Teddy di rimando, una strana luce si era accesa in fondo ai suoi occhi, il tono di sfida era palese anche nella voce «Perché non mi dici il motivo per cui hai divorziato» davvero glielo stava chiedendo con tanta scioltezza?
“Devo esser diventata matta!” pensò
«Te lo dirò» le rispose, finendo quello che aveva nel piatto e scostandolo di lato, bevve il vino che lei aveva lasciato nel bicchiere e si asciugò le labbra, poi le si avvicinò, sussurrando «Promettimi di non ridere e di non prendermi in giro però» lei sembrò perplessa
«Non credevo che il tuo divorzio fosse un argomento divertente» le intenzioni di Teddy erano state quelle di rendere pan per focaccia, ma era evidente che non ci era riuscita. In un modo o in un altro l’aveva sempre vinta lui!
«Prometti!» esclamò Nicolas e lei promise, il cuore prese a batterle un po’ più veloce, in attesa di sentire quello che aveva da raccontare «Mi ha tradito …» iniziò
«E lo trovi divertente?»
«Con una donna» aggiunse lui e la faccia di lei passò dalla confusione all’ilarità in un lampo «Mi avevi promesso di non ridere!» la biasimò puntandole un indice contro, sorridendo a sua volta
«É lesbica?»  Teddy scoppiò in una risata nel momento stesso in cui pronunciò la domanda
«Si dice gay! Lesbica è offensivo!»
«Si, scusa, scusa» la ragazza si costrinse a ricomporsi, sistemando dietro le orecchie alcune ciocche che erano scappate dalla crocchia sul capo «L’hai fatta convertire all’altro sesso?» e di nuovo riprese a ridere, nascondendosi il volto fra le mani.
Nicolas Antonio le afferrò i polsi e portò via i palmi dalla sua faccia. Ritrovarselo ad una spanna dal viso la fece smettere di ridere. Si sentì la testa leggera, indecisa su cosa le procurasse quelle vertigini, se il vino o la sua vicinanza.
Pensò che una cosa non per forza doveva escludere l’altra.
«Avrei decine di risposte da poter dare alla tua insinuazione e ancor più modi per dimostrarti il contrario» lasciò la presa sui polsi e alzò un dito per richiamare l’attenzione del cameriere, il ragazzo della candela, la quale era ormai diventata un cumolo di cenere raggrinzita, per ordinare due caffè, quindi tornò con l’attenzione su Teddy «Eppure hai conosciuto i miei “modi. Hai forse bisogno di una ripassata?»
«Sei subdolo e volgare!» esclamò lei, recitando la parte dell’offesa, tuttavia non riuscì a tenergli il muso per troppo tempo, quindi si rivolse nuovamente a lui «Non ho sposato Marcelo per un motivo molto semplice …»
La frase si fermò a mezz’aria, mentre il cameriere porgeva i caffè sul tavolo, il pallavolista cileno lo ringraziò sbrigativo e, quasi in contemporanea, presero a girare il cucchiaino nelle tazzine marcate Espresso, distrattamente e senza fretta.
«Stavi dicendo?» la incalzò lui, la curiosità era troppa e spingeva. Osservò Teddy bere un goccio di caffè e pulirsi le labbra con la punta della lingua. Si chiese se l’avesse fatto di proposito o non si fosse resa conto del suo gesto, probabilmente abituale.
«Dicevo che non mi sono sposata perché non l’amavo. Tutto qui» attese la risposta dell’altro, nascondendo l’ansia dietro la tazzina bianca con la scritta rossa. Si scaldò le mani rigirandosela fra i palmi.
«Avrei dovuto immaginarlo» disse lui «Tu non ti innamori. Non sai amare …» raschiò il fondo della tazza con il cucchiaino per raccogliere il resto della schiuma marroncino
«Adesso ricominci con la storia che non ti ho amato come tu amavi me e bla bla bla. Sei patetico, Nicolas, proprio patetico!»
«Tu credi di amare una persona, in realtà gli sei solo affezionata. È il tuo modo di innamorarti, non c’è niente di sbagliato. Non lo fai con spontaneità.»
Ciò che infastidiva Teddy, ancor più delle sue parole superficiali e volutamente velenose, era il tono pacato, come se parlasse di un argomento quotidiano, magari di una partita di volley con un suo compagno di squadra: “Tu non sai schiacciare bene di sinistro, ma è normale, è una cosa innaturale! Pochi ci riescono, e io sono tra questi, ovviamente!”
Si alzò, facendo stridere i piedi della sedia sul pavimento fatto di mattonelle. Non si era resa conto che, a poco a poco, la sala si era svuotata. Se si escludeva il loro tavolo, solo altri tre erano occupati. Gli annunciò che sarebbe salita di sopra a dormire e si incamminò verso l’ascensore, udendo solo lontanamente la voce del ragazzo che le diceva di aspettarlo.
 
Aveva affermato che lei non sapeva amare, che confondeva il bene con l’amore.
Avrebbe dovuto provare a dirlo a Grimilde, che aveva ospitato nel suo piccolo letto a una piazza quando Alexander Martinez tornava in Spagna, consolandola e stringendola a sé, sussurrando parole di conforto mentre asciugava le sue lacrime.
Oppure a Morena, per la quale aveva affrontato la paura di volare e accettato di intraprendere quel viaggio da sola con lui, con il suo ex fidanzato, solo per aiutarla a superare quel momento difficile, senza conoscere completamente la verità, ma per il semplice fatto che l’amava.
Infine, avrebbe dovuto dirlo al suo fisico, rimasto a digiuno per interi giorni dopo che lui era partito per la Germania, quando era arrivata a pesare intorno ai 48 chili, per un metro e sessantatre di altezza, quando solo la minaccia di ricoverarla e attaccarle una di quelle borse alimentari che vengono utilizzate solitamente per mantenere in vita le persone in coma o quelle in stato vegetativo, si era decisa a mandar giù qualcosa di commestibile, qualche volta resistendo al vomito, altre svuotandosi di tutto, tranne che del dolore.
No, lei amava anche troppo. Sebbene fosse consapevole del fatto che fra provare dei sentimenti ed esternarli passava una linea sottile che spesso si confondeva, come quella all’orizzonte fra cielo e mare.
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12


 
A volte il silenzio è ingombrante.
Ti permette di sentire tutto ciò che ti passa per la mente, senza poter arrestare il flusso di parole che si confondono ad altre, che si intrecciano tra loro, che si mischiano, che si fondono e così via. Era proprio quello che stava accadendo a Teddy, che da quando erano tornati in stanza, dopo la cena che aveva assunto una piega strana sul finire, non era riuscita ad addormentarsi. Al contrario di Nicolas che sembrava esseri appisolato dopo poco.
Consultando l’orologio digitale sullo smartphone, tuttavia, si accorse che era trascorsa appena un’ora da quando avevano abbandonato la sala da pranzo dell’albergo.
Sbuffò, riadagiando il telefono sul comodino, allungandosi quel tanto che bastava per raggiungerlo, quindi riprese a guardare il panorama, aspirando dalla sigaretta, sentendo sulla pelle del viso il freddo gelido della notte. Le nubi si erano diradate in alcune zone, abbastanza da lasciar trapelare i migliaia di puntini luminosi in cielo, la luna era quasi piena e, se avesse fatto maggior attenzione, se si fosse sforzata di zittire tutti quei pensieri che le affollavano la mente, si sarebbe accorta che il silenzio non era assoluto, ma c’era una leggera brezza a fare da sottofondo, frusciando fra le foglie dei cipressi, i cosiddetti alberi sempreverdi.
 
Tu non sai amare.
 
Fra tutte le cose che erano accadute in quella assurda giornata – il volo, il fugace bacio, il fuso orario, il cattivo tempo, la montagna sperduta, il fatto di dover dormire insieme, la cena – le ultime parole che lui le aveva rivolto erano rimaste impresse nella mente, indelebili.
E facevano male.
 
Tu non sai amare.
 
Improvvisamente la vista si offuscò, attraverso un sottile strato di lacrime provò a convincere il suo cervello che le automobili parcheggiate di sotto fossero davvero interessanti, ma fallì e sollevò lo sguardo sul manto scuro. Invece di fare dietrofront una  lacrima discese per la guancia sinistra. Era calda contro la pelle infreddolita. Tirò dalla sigaretta e il fumo uscì tremolante attraverso le labbra.
«Non riesci a dormire?» la voce di Romero la fece sentire come un’adolescente scoperta a fumare dai genitori.
Non rispose, sapeva che se l’avesse fatto si sarebbe accorto che stava piangendo come una deficiente – pensò – a causa dell’inclinazione della voce. Sentì il fruscio sommesso della coperte che venivano scostate e i passi ovattati dei piedi sulla moquette. Si stava avvicinando e questo non andava affatto bene. Se l’avesse vista piangere avrebbe preteso di conoscerne il motivo e lei non aveva alcuna intenzione di dirglielo. Si asciugò velocemente la parte di viso inumidita, mentre il freddo le scosse la parte superiore del corpo. Nicolas Antonio prese a strofinarle la schiena, sembrava preoccupato:
«Teddy stai tremando»
«Sto bene» rispose, la voce ridotta a un balbettio
«No, non stai bene! Stai morendo di freddo! E questo dannato vizio che non ti toglierai mai!» sbottò lui, strappandole di mano la sigaretta e gettandola di sotto, quindi chiuse la finestra con più veemenza di quanto in realtà provava.
La ragazza si chiuse nel suo stesso abbraccio, gli occhi fissi sul morbido pavimento, a Nicolas parve di vedere una lacrima scintillare nel chiarore della luna, ma lei si apprestò ad asciugarla, semmai ci fosse stata.
«Torniamo a dormire» allungò una mano per sfiorarle la spalla, ma Teddy si scostò «Sei arrabbiata con me!» esclamò, cercando di contenere l’irritazione crescente «Tu sei sempre arrabbiata con me! Anzi, è una vita che sei arrabbiata con me! Dopo sei anni, in cui abbiamo vissuto da perfetti estranei, ci rincontriamo e tu ce l’hai a morte con me! Dopo due anni altrettanto! Qual è il tuo problema? Sono io? Sei tu?»
«Il problema è che dici stronzate in continuazione!» Teddy allargò le braccia e fece un piccolo passo in avanti «Io non ti ho mai amato; io non so amare; io qua e io là!» avrebbe continuato fino all’alba probabilmente, se non avesse visto un sorriso divertito spuntargli sul viso
«Ti sei offesa perché prima, a cena, ti ho detto che non sai amare?» rise e fece per abbracciarla «Vieni qua»
«Non ti avvicinare che non ho ancora finito!» esclamò Teddy, facendo due passi indietro e lui sospirò, facendole segno di continuare, come a dire “sentiamo, cos’altro hai da dire?” «Perché quella volta non mi dicesti che avevi divorziato? Lo sai come mi sono sentita io a baciare un uomo che credevo sposato?»
Si stava riferendo, ovviamente, a quando erano andati a tanto così da fare l’amore, a quando si era fermata vedendo la foto della sua famiglia sul comò; a quando Marcelo, seppur involontariamente, aveva letto un articolo sul giornale sportivo che parlava di Romero e del suo divorzio, dopo appena sei mesi di matrimonio. A quando si erano detti addio per la seconda volta.
«Cielo Teddy, stavi per sposarti! Mi sembra ovvio. Se te lo avessi detto … non volevo essere l’artefice del tuo destino, di una scelta così importante»
«Non l’ho fatto comunque» ribatté lei «Non mi sono comunque sposata»
«Perché no?» a quella domanda Teddy rimase ammutolita «Qual è il motivo vero per cui non ti sei più sposata?»
«Perché non ero innamorata di lui, mi sembrava di avertelo detto» adesso i toni erano più quieti, quasi rassegnati.
«E te ne sei accorta solo allora? Hai aspettato che la tua cerimonia di nozze fosse bella e pronta per capirlo?» abbozzò un sorriso sornione «Sforzati di essere sincera, se non ci riesci con gli altri, almeno con te stessa»
 
Teddy sapeva perfettamente dove la voleva portare con tutte quelle domande, il confronto era oramai inevitabile, doveva solo riuscire ad aggirare il fulcro dell’intera conversazione, ovvero il fatto che non aveva mai smesso di amarlo. Quei sentimenti si erano solo assopiti negli anni che li aveva visti lontani, ma mai scomparsi.
«Per quanto gli volessi bene» iniziò «non ha mai retto il confronto con te o con quello che eravamo noi due insieme» per ora era il massimo della sincerità che poteva offrirgli e a lui parve bastare, poiché lo vide sorridere e spalancare le braccia
«Posso abbracciarti adesso?»
Teddy roteò gli occhi al soffitto:
«Se proprio devi» cercò di occultare l’emozione di essere stretta a lui, di sentire il suo odore e i muscoli delle spalle contro i polpastrelli delle mani. Tremava ancora un po’, ma stavolta dubitava che la causa dominante fossero le basse temperature.
Nicolas fu il primo ad allontanarsi, le accarezzò il viso con il palmo destro, lasciando che i loro sguardi si incrociassero, lentamente si chinò in avanti schiudendo le labbra, ma lei lo fermò un attimo prima che le bocche si toccassero:
«Dimmelo» sussurrò e lui accennò un sorrisino di vittoria
«Ho voglia di baciarti» l’accontentò, poi la baciò.
 
Non fu il bacio che le aveva dato all’aeroporto di Santiago, questa volta fu un bacio vero, totale, di quelli crescenti, di quelli incontentabili. Teddy gli passò un braccio dietro la nuca, per tenerlo contro di sé, quasi con la paura che potesse dissolversi da un momento all’altro, come un bellissimo sogno, le dita della mano libera adagiate sulla guancia, dove sentiva già la barbetta corta e ruvida. Quando lui le sfiorò il collo con le labbra, gettò la testa all’indietro e i brividi aumentarono. Gli concesse di sfilarle la maglia di pile che indossava, per depositare un bacio fra i seni, quindi si lasciò guidare docilmente sul letto, osservandolo mentre si liberava a sua volta dall’indumento che gli copriva il torso e, quando si distese su di lei, avvertì tutto il calore emanato dal suo corpo:
«E se poi ce ne pentiamo?» riuscì a farfugliare, a occhi chiusi e quasi completamente sopraffatta dall’eccitazione
«Ti sei mai pentita di aver fatto l’amore con me?» controbatté lui, senza smettere di lenirle il collo, con la mano sinistra le accarezzò la curva di un seno
«E se domani non riusciremo nemmeno a guardarci in faccia o a parlare?» continuò Teddy, facendo scivolare le dita sul suo addome glabro, reso ancor più scuro dal buio della notte, reagendo ai suoi incitamenti.
Cielo e quanto lo desiderava!
«Ci penseremo domani» le rispose, pacato, tornando a baciarla sulle labbra, in un intreccio di lingue incalzanti «Spogliati» le ordinò a un millimetro dalla sua bocca, i respiri caldi e ansimanti, gli sguardi allacciati e bramosi «Ti voglio, Teodorita Gomez.»
 
Grimilde uscì dal bagno in mutandine bianche a stelline blu e rosse, con tanto di canotta abbinata. Si sedette sul letto al fianco di Alex, con la schiena contro la spalliera in ferro battuto, lui le stampò un bacio sulla spalla. La pelle era liscia e chiara, profumava di fragoline di bosco; i capelli biondi erano pettinati e setosi, ancora tiepidi del calore del phon. Il ricordo di quello che era accaduto al Viva la Vida era solo un brutto sogno, da cui sembrava essersi ridestato e nel migliore dei modi. Le aveva detto che l’amava, inevitabilmente erano finiti a letto, come sempre accadeva quando si guardavano negli occhi e una parte qualsiasi dei loro corpi si sfiorava: una carezza su una guancia, le dita intrecciate, le labbra.
Ora che ci pensava, lui e Grimilde non si erano mai comportati da fidanzati, né in pubblico, né tantomeno nell’intimità. Eppure lei non si era mai lamentata di tutto ciò, come magari avrebbe fatto un’altra ragazza al suo posto, ciò non faceva che confermare la sua teoria, secondo cui la biondina era diversa. Non aveva mai preteso nulla, né da quella relazione, né da lui. Nonostante il suo aspetto adolescenziale e i suoi modi di fare che spesso rasentavano l’infantilità, forse era molto più matura di quello che lasciava vedere. Di sicuro era consapevole che vivevano in due continenti differenti e quindi cercare di cominciare una relazione seria non avrebbe fatto altro se non complicare le cose.
Ma a lei stava davvero bene così? Le bastava vedersi saltuariamente e recuperare il tempo perso facendo solo sesso?
«Che ore sono in Italia in questo momento?» gli chiese e tutti i quesiti nella mente di Martinez sparirono
«Abbiamo 4 ore di fuso orario, perciò … » vide che mancava solo qualche minuto alle tre «Lì sono quasi le sette di mattina» Grimilde poggiò il capo sulla sua spalla e sospirò «Sei in pensiero per Teddy e Morena?»
«In verità sono in pensiero per Teddy e Nicolas» sghignazzò la biondina e Martinez con lei, chiedendole cosa avesse combinato stavolta «Diciamo che le ho lasciato un regalino di buon auspicio nella valigia …» lui prese l’I-Phone dal comodino e cercò la voce N. Romero, quindi avviò la telefonata, strizzandole l’occhio. Il volto di Grimilde s’illuminò, intuendo cosa aveva in mente.
 
Dall’altro capo del mondo un telefono squillò.
Con le palpebre mezze chiuse e la voce assonnata Nicolas rispose alla chiamata di Martinez. Teddy si ridestò a sua volta, con una lentezza spaventosa. Svegliarsi, per lei che era una gran dormigliona, era davvero uno sforzo immane. Attraverso le tendine chiare filtrava una leggera luce bianca. Si puntellò sul dorso nudo di lui, proprio dove si era addormentata tempo prima – minuti? Ore? – e lo guardò stralunata e con un’espressione stupida, che si acuì quando le porse il cellulare. Rispose senza essere molto convinta e la voce pimpante di Grimilde le rimbombò fin dentro la testa:
«Ciao!» le disse in un italiano stentato
«Mmm Grimi …» sbadigliò «É successo qualcosa?»
«Si!» esclamò la biondina incrociando i suoi occhietti azzurri e vispi con quelli castani del ragazzo che le sedeva vicino «Alex mi ha detto che mi ama» lui scosse il capo, divertito. Nonostante lo stordimento a Teddy scappò un risolino:
«E tu lo ami?» sentì la mano di Nicolas Antonio scorrerle fra i capelli e si voltò a guardarlo, quasi si era dimenticata che fosse lì e che , praticamente, era a ridosso del suo corpo, entrambi nudi perché avevano fatto l’amore. Arrossì
«Certo che lo amo!» esclamò Grimilde all’altro capo del telefono, senza smettere di specchiarsi negli occhi di Alexander che parvero attraversati da un fugace scintillio.
Teddy balbettò qualche vocale, non riusciva a staccare gli occhi da quelli scuri di Romero, il quale sembrava trovare la cosa alquanto spassosa. Sentì Grimilde chiamarla e chiederle se ci fosse ancora:
 «S-si, Grimi, ci sono» voltò il collo dall’altra parte «E gliel’hai detto che anche tu lo ami?» domandò poi
«Ovviamente no!» ridacchiò la biondina in Cile «In questo modo si impegna di più a letto»
«Io mi impegno sempre a letto!» fu la risposta scherzosa di Martinez e Teddy non poté che unirsi ai loro sorrisi, pensando che un pizzico di quella disinvoltura, così straripante in Grimilde, non le avrebbe fatto che bene, soprattutto nel momento in cui avrebbe dovuto chiudere la conversazione telefonica e ritrovarsi faccia a faccia con Nicolas.
Grimilde si accoccolò tra le braccia dell’atleta sudamericano, proseguendo la sua conversazione con l’amica:
«Hai la voce di una che non sa neanche dove si trova. Stavi dormendo per caso?»
Teddy si sistemò al meglio sorreggendosi allo schienale del letto, tenendo su le coperte per nascondere le proprie nudità. Nicolas Antonio si distese su un fianco, il gomito conficcato nel materasso e il capo sostenuto da una mano, mentre con la punta delle dita di quella libera le carezzava il braccio, facendole venire la pelle d’oca:
«Si, dormivo» ammise, indecisa se sperare che in questo modo si sarebbe sentita in colpa e avrebbe interrotto la telefonata, o augurarsi che la loro chiacchierata durasse in eterno magari, così da non affrontare lo sguardo di chi le stava accanto. Come era prevedibile, il senso di colpa non scosse nemmeno lontanamente Grimilde:
«Ok, ascolta!» cominciò «Nella tua valigia, in una tasca laterale, ti ho lasciato un regalino di buon augurio, sebbene tu l’avessi rifiutato inizialmente …» Teddy spalancò gli occhi
«Grimi, sei la solita …» ma fu interrotta dalla voce allegra dell’amica dai capelli chiari
« … ma c’è anche altro. Dai, dai! Guarda un attimo!» e ridacchiò.
 
Teddy sbuffò e le disse di aspettare, mentre si chinava sul pavimento afferrando il primo indumento che le capitava a tiro. Toccò alla felpa con chiusura lampo di Nicolas. La indossò, sentendosi improvvisamente stupida, giacché troppo larga per lei, le arrivava fino a metà coscia, quindi si avvicinò alla valigia, mentre Romero la osservava senza dire una parola. Cercò la tasca che le aveva citato pocanzi Grimilde, la trovò e ne estrasse il babydoll tutto veli che l’aveva imbarazzata allora, quando Grimilde glielo aveva mostrato per la prima volta, trovando l’idea di poter passare una notte di passione con Nicolas semplicemente assurda. Ora, l’unica cosa che le sembrava assurda era il fatto di aver trovato assurda quell’ipotesi solo due giorni prima.
Srotolandosi, l’indumento intimo e maledettamente sexy, rivelò qualcosa che cadde con un tonfo attutito sulla moquette, fece per raccoglierlo, ma Romero era già piegato sulle ginocchia, a rigirarsi quella roba fra indice e pollice, quindi gliela porse, guardandola dal basso verso l’alto, gli occhietti scherzosi e il sorriso malizioso. Quando Teddy  si rese conto che si trattava di una bustina di preservativo aromatizzato alla fragola, rise. Rise forte.
Grimilde le aveva detto di averle lasciato “un regalino di buon augurio”, il cui obiettivo, vedendo la natura degli oggetti in questione, doveva esser stato quello di farli finire a letto insieme. Beh, mai missione era stata portata a termine con più successo di quella.
«Tu sei pazza!» esclamò Teddy, ancora fra le risa
«Credevo ti saresti arrabbiata» replicò la ragazza bionda, improvvisamente sollevata «Morena è lì? Puoi passarmela?» chiese poi, con tutta la naturalezza di questo mondo.
 
Già! Morena!
Teddy fece due passi in direzione del letto, sedendosi sul bordo. Stringeva ancora in grembo il babydoll e la bustina bianca tempestata di fragole dalla forma perfetta. Alzò gli occhi su Nicolas, con addosso solo un paio di slip elastici e scuri, rapito dalle punte sparate dei capelli che si riflettevano nello specchio appeso alla parete. Prese fiato e disse:
«Morena non c’è» Grimilde attese e a lei parve di vederla con la fronte aggrottata e le decine di domande mute ma leggibili nell’espressione del viso «É una lunga storia, Grimi, te la racconterò con più calma non appena …»
«Oddio!» esclamò Grimilde balzando in piedi sul letto, Martinez la fissò interdetto, traballando sul materasso smosso dal suo scatto improvviso «Sei da sola con Nicolas!»
«Grimi, davvero ora non …»
«Oddio! Le strade erano deserte e buie, oppure la macchina si è fermata d’improvviso e allora siete stati costretti a pernottare in un motel scadente, e per tenervi al caldo avete usato il calore dei corpi, o non vi siete resistiti, risvegliando il desiderio assopito. Oddio è tutto così romantico!»
L’idea di romanticismo di Grimilde era leggermente stravolto e molto più simile alla trama di un film erotico di terza categoria, che non ad una vera storia d’amore. Ciò nonostante, pensò Teddy timidamente e a disagio con sé stessa, le supposizioni della sua amica non erano poi tanto lungi dalla realtà.
«Grimi …»
«Dimmi tutto!»
«Ti chiamo non appena ho notizie. Bye bye»
«Aspetta! Teddy …» ma era troppo tardi, la conversazione era stata chiusa.
La biondina si lasciò cadere sul materasso, che sobbalzò ancora un po’, delusa di non esser riuscita a scoprire cosa fosse successo veramente in Italia, fra quei due. Alex le circondò la vita e la porto giù, per tenerla vicina e coccolarla come una bambina.
«Non sei contenta che le cose fra Romero e Teddy si stiano pian piano aggiustando?»
«Certo che sono contenta. Però sono così lontani e non hanno ancora trovato Morena» sogghignò «Sicuramente avranno avuto di meglio da fare» ma sembrò intristirsi all’istante e sospirando aggiunse «Adesso che ci penso, non vedo Morena da quando sono morta e risorta in pratica»
A quelle parole Martinez fu percorso da un brivido lungo la spina dorsale. Cercò le labbra della ragazza e quando le trovò, le lambì con scarsa gentilezza. Si allontanò appena un po’ dalla sua bocca, sorridendole ammiccante:
«Prepara le valigie bionda. Si va in Italia.»

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Capitolo 22
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13



 
Dopo aver chiuso la conversazione con Grimilde che stava assumendo una piega decisamente imbarazzante, soprattutto perché Nicolas era a un metro da lei, Teddy era rimasta seduta sul letto, inerme. Chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare, cosa avrebbe dovuto dire. Indecisa se fingere che non fosse accaduto nulla, o aprire l’argomento e togliersi quel sassolino dalla scarpa paurosamente fastidioso. Come sempre, tuttavia, la schiettezza di Nicolas non permetteva di progettare piani o preparare discorsi, tanto li avrebbe mandati all’aria.
Le si avvicinò e una nube grigia inghiottì ogni pensiero coerente che l’aveva tormentata negli ultimi minuti. Non osò alzare lo sguardo su di lui, il quale non si perse d’animo e le posò un dito sotto il mento, per sollevare il volto verso quello proprio:
«Riesci ancora a guardarmi negli occhi?» le chiese e lei riconobbe il chiaro riferimento alla domanda – che ora trovava idiota più che mai – che gli aveva rivolto mentre era chino sul suo corpo mezzo nudo «E se domani non riusciremo nemmeno a guardarci in faccia o a parlare?»
Teddy assottigliò gli occhi per sottolineare che lei non avrebbe abbassato lo sguardo, anche se si stava letteralmente sciogliendo dentro.
«E riesci anche a parlarmi ancora?» continuò, piegandosi sulle ginocchia per avere il volto all’altezza del suo. La ragazza si tolse l’indice da sotto il mento:
«Si e si» rispose poi, facendogli una smorfia di scherno.
Lui rise e si accomodò al suo fianco, sul comodo materasso ove avevano consumato il loro desiderio e si erano addormentati l’una sull’altro:
«Ti sei convinta adesso che tutte le tue prime volte importanti sono con me?» Teddy corrugò la fronte. Sull’aereo, appena prima che decollasse, le aveva sussurrato una frase simile mentre la teneva per mano «La tua prima volta in Italia …» proseguì lui, calando il tono e sporgendosi per lasciarle un bacio delicato sul collo « … la tua prima notte di passione in Italia»
«Sei troppo sicuro di te» continuò lei, spezzando di netto l’atmosfera che si era creata e sorridendo per l’espressione delusa che lesse sul viso di lui. Non gli avrebbe mai detto quanto le sue supposizioni fossero vere. Sollevò poi il babydoll e lo tenne fermo davanti allo sguardo scrutatore di entrambi, sentiva il disagio montarle dentro solo a guardarlo, figuriamoci ad indossarlo:
«Ho una amica che si preoccupa della mia vita sessuale» ridacchiò imbarazzata «Quante possono vantare una fortuna simile al mondo?» ma Romero non rispose e quando lei si voltò nella sua direzione, si accorse che teneva gli occhi fissi sull’indumento intimo, come se volesse incendiarlo con la sola forza dello sguardo «Che stai facendo?» gli chiese, dandogli un colpetto di gomito
«Mi sto sforzando di immaginartelo addosso» Teddy calò le braccia, come diavolo faceva a sorprenderla di continuo con le sue risposte?
«Se vuoi lo indosso …» aggiunse e Nicolas Antonio spostò l’attenzione su di lei, restio a credere alle sue parole:
«Lo faresti davvero?»
«Certo che no!» rise, posandogli un bacio veloce sulle labbra «Ma farei volentieri una doccia con te …» si alzò, lasciando cadere il babydoll dove l’aveva trovato e fermandosi sull’uscio del bagno, quindi si voltò indietro, osservando il ragazzo ancora seduto sul letto, lo sguardo indagatore di una persona diffidente «Non vorrai negarmi la mia prima doccia in Italia insieme? Dopo tutte le altre prime volte … con te.»
Romero la raggiunse lentamente, senza fretta e senza distogliere gli occhi scuri da quelli di lei, di una tonalità più chiara. Le circondò la vita con un braccio e l’attirò a sé, impossessandosi della sua bocca senza tanti complimenti, mentre con un piede colpiva la porta alle loro spalle, chiudendo il mondo fuori.
 
L’unica cosa che oramai le trasmetteva un po’ di pace era lo sghignazzare di Martin, il suo sorriso, i suoi occhietti che guizzavano da una parte all’altra della stanza osservando la sua mamma indaffarata. Quando poi la vedeva fermarsi a prendere fiato o a fissare un punto per qualche secondo, lui richiamava la sua attenzione battendo le mani sulla base solida del girello, nel quale era stato piantato, o sbattendoci sopra un giochino. Allora la sua mamma si voltava a guardarlo, concedendogli un sorriso che ultimamente riservava solo a lui, prendendo ad intonare una qualche canzoncina che  adorava.
Se le gambe di Morena non fossero state pesanti come piombo, probabilmente sarebbe scappata nel momento in cui Diego aveva bussato al campanello della loro casa, fatto che l’aveva insospettita. Non era riuscita neanche a chiedersi perché mai stesse bussando alla porta di casa propria quando questa si era aperta e una ragazza, con capelli troppo neri e lucenti per essere naturali, era comparsa dinnanzi a lei.
Morena non aveva tardato a riconoscerla: era la damigella di quel stramaledetto matrimonio a cui erano stati, la stessa che non aveva fatto altro che passeggiare avanti e indietro lanciando occhiate languide a Torres per tutta la durata della cerimonia.
Alla fine i suoi sospetti si erano rivelati con una tale forza e crudeltà che si era sentita la testa volteggiare, perlomeno Martin era beatamente addormentato nel passeggino, avvolto nella sua coperta preferita, quella azzurra con un orsacchiotto bianco dagli occhietti verdi. Il primo regalo che gli aveva comprato la sua mamma quando aveva saputo che sarebbe stato un maschietto.
«Oh, iniziavo a preoccuparmi per il ritardo» aveva detto la ragazza sulla porta, così magra da avere gli zigomi di fuori e le guance scavate.
Morena si era attaccata al collo del giubbino di Diego, tirandolo verso il basso e digrignando i denti gli aveva sussurrato che era un lurido bastardo, che non l’avrebbe avuta vinta lui, che gli avrebbe portato via suo figlio a qualunque costo. Poi aveva mollato la presa con una spinta e lui era rimasto così sbalordito dalla sua reazione che non era riuscito a spiccicar parola. Quindi si era messa alla guida del passeggino fissando negli occhi la ragazza italiana che balbettando l’aveva invitata ad entrare, ma Morena, senza preoccuparsi di calpestarle i piedi con le ruote, le aveva risposto:
«Non ho bisogno di un invito per entrare in casa mia!»
Dopo aver chiuso la porta della cameretta di Martin, identica a come l’aveva lasciata in una notte di miliardi di anni fa, Morena era tornata all’attacco, minacciando Torres di qualsiasi azione se quella zorra non avesse lasciato la casa nell’immediato.
Non l’aveva più rivista, né aveva avuto notizie di lei, ma non si illudeva che Diego l’avesse esclusa dalla sua quotidianità. Ogni volta che tardava lo immaginava con lei, magari a ridere di una stupida ragazza sudamericana che aveva dato di matto perché tradita.
 
Diego Torres si materializzò sulla soglia della cucina, Morena non l’aveva neanche sentito entrare. Le parole della canzoncina che stava tenendo buono Martin le morirono sulle labbra, il viso tornò serio e scontroso, gli diede le spalle fingendo di cercare qualcosa nel cassetto delle stoviglie.
«Prima o poi dovrai parlarmi» le disse e non ricevendo risposta sospirò rumorosamente, chinandosi per giocare con Martin «Si chiama Jessica. Ha 23 anni, lavora come fotomodella per pagarsi gli studi all’università. La sua passione sono i bambini. Dovevi vedere come era contenta di sapere che avevo un bimbo piccolo …»
Morena si lasciò scivolare un piatto dalle mani che si frantumò in mille pezzi sul pavimento, provocando un botto che fece scoppiare in lacrime Martin. Diego prese a cullarlo, osservando le spalle ricurve di Morena, china sul lavandino, al quale si era aggrappata per non accasciarsi sul pavimento.
Era più doloroso di tutto quello che aveva dovuto sopportare finora. Era un dolore che le ribolliva dentro come un fuoco, bruciava e pungeva, era come avere il cuore pungolato da migliaia di aghi bollenti. Vide le sue stesse lacrime gocciolare nel lavabo di acciaio splendente, avrebbe voluto ricacciarle indietro, fermarle, non dare a quel verme la possibilità di essere mosso da compassione per lei.
Perché stava accadendo tutto quello? Perché non potevano essere una famiglia felice? Perché proprio a lei? Perché Martin non poteva avere una mamma e un papà che si amavano e basta? 
«Morena …» iniziò lui, ma lei lo tenne lontano mostrandogli un palmo in segno di fermo
«Esci» riuscì solo a biascicare
«Jessica sarà qui fra poco»
Le annunciò, ma lei non riuscì ad aggiungere altro, le lacrime erano diventate ancor più copiose, il lavandino era ormai zuppo del suo dolore. Dopo un po’ sentì la porta della camera da letto chiudersi, poteva finalmente rannicchiarsi contro i mobili e dare libero sfogo al suo pianto.
 
Quando Teddy e Nicolas si erano recati alla reception per saldare il conto con l’albergo, la ragazza aveva captato qualche parola dalla conversazione dell’uomo dietro il bancone - lo stesso che li aveva accolti la sera precedente - con un altro cliente, al quale stava confermando la disponibilità di un intero piano libero con più di cinque stanze.
Aveva allora guardato Romero con aria interrogativa, tuttavia la sua espressione da cagnolino che supplica il padrone con gli occhietti di non prendersela con lui per le scarpe mangiucchiate, aveva attestato la veridicità dei suoi dubbi.
«Hai frainteso la frase!» aveva poi esclamato lui in macchina, percorrendo a ritroso il sentiero di montagna che li aveva portati fin lassù, con la luce del sole sembrava meno spaventoso:
«Mi avevi giurato che non aveva altre stanze libere!»
«Teddy, per favore! Avrai capito male!»
«Non conoscerò l’italiano, ma non sono scema!» aveva sbottato la ragazza, tirando una lunga boccata di fumo «Sei un maniaco» aveva aggiunto pacata e lo aveva sentito sbuffare «E anche un pervertito» poi si era avvicinata per lasciargli un bacio durevole all’angolo della bocca e aveva concluso «Per fortuna, direi.»
Nicolas Antonio Romero aveva sorriso, compiacendosi per la sua piccola bugia, un escamotage che li aveva condotti proprio dove desiderava lui, ovvero a riallacciare i rapporti con la sua ex fidanzata. Aveva provato ad arrivarci gradualmente, ma alla fine si era ricordato che con Teddy bisognava andare direttamente al nucleo delle situazioni, o avrebbe continuato ad indugiare per sempre.
Ora si trovavano di fronte a un palazzo di pochi piani, con ampie balconate molto più simili a terrazzini. L’aria era gelida, nonostante il sole, Teddy si strinse nel giubbotto e sprofondò metà viso nel calore e nella morbidezza della sciarpa, osservando Nicolas con un maglioncino scuro che spiccava al di sotto del giubbotto di pelle, tenuto aperto, invidiandolo per la sua autonomia contro il freddo.
All’interno del palazzo l’aria non era per niente migliore, invece di attendere l’arrivo dell’ascensore, il ragazzo s’incamminò lungo la rampa di scale, annunciando che l‘abitazione che cercavano era sita al primo piano.
 Quando vi giunsero, dopo una manciata di scalini, non furono costretti a bussare ad alcuna porta, poiché questa era già spalancata.
 
Gli occhi di Teddy si posarono su un grosso abete addobbato con decorazioni brillanti argento e blu, sulla punta spiccava un angelo con ali bianche fatte di piume e le braccia aperte, come a voler avvolgere tutto l’ambiente. Lentamente passò in rassegna l’intera stanza, priva di porte, con un ampio divano in stoffa, un tavolo con la superficie in vetro, pochi ma grandi quadri appesi alle pareti, una TV al plasma incastonata fra vetrine che celavano argenteria, DVD e qualche libro.
Spostò lo sguardo da Diego Torres, in piedi che guardava lei e Nicolas come se avesse visto un fantasma, a un viso smunto e imbrattato di fondotinta, fard e rossetto, gli occhi contornati da uno spesso strato di eyeliner, i capelli nerissimi e lucenti erano corti e sfilzati; al fianco di questa ragazza, che non aveva mai visto prima, ce ne era un’altra, magra quanto la prima, ma con un ammasso di riccioli dal colore improbabile, scuri alla radice e chiari alle punte. Tutti sembravano guardarla con quell’aria spaurita, eppure, la persona che cercava non c’era.
Morena non era lì.
Avvertì la leggera pressione della mano di Romero sui reni, mentre le bisbigliava qualcosa, indicandogliela. E proprio alle spalle di Diego, seduta al tavolo di vetro, con le mani a sorreggersi la testa, c’era lei. Morena. I capelli castani e mossi le ricadevano in avanti, era così ferma che Teddy si chiese se non fosse una statua di cera, poi si mosse, alzando piano gli occhi e quando i loro sguardi si incrociarono a metà strada, il viso pallido sembrò riprendere quel po’ di colore che l’aveva sempre distinta da Grimilde – ovviamente – ma anche da lei. Gli occhi erano incavati e lividi per la stanchezza, aveva l’aria di una persona che non dorme da molto tempo, le dita della mano sottili e le unghie, di cui era sempre andata tanto fiera, affermando che erano l’unica parte del suo corpo dopo i capelli che le piaceva, erano mangiucchiate fino ai polpastrelli.
Teddy la fissò per un breve lasso di tempo, quindi la vide formulare una parola semplice, a fior di labbra, ma che la fece scuotere come se le avessero suonato una tromba direttamente nell’orecchio: gracias.
«Cabron! Imbécile! Hijo de … » Teddy si lanciò verso Torres, strillando insulti che non sapeva neanche di conoscere, ma Nicolas fu lesto a trattenerla, sollevandola di peso, mentre lei allungava le braccia in direzione del compagno della sua amica, quasi a volerlo afferrare e graffiare con le unghie «Che cosa le ha fatto? Pedazo de mierda! Che cosa le hai fatto? Desgraciado!»
Ecco qual’era il problema di Teddy, pensò Nicolas faticando a mantenerla, non era capace di gestire la rabbia, per cui, se poteva, evitava di affrontare argomenti poco graditi, come lo era stato il loro silenzio durato per ben otto anni e cinque mesi.
 
 
Manco a dirlo, l’unica persona in grado di placare l’ira di Teddy fu Morena. E si era sentì così dannatamente in colpa, sarebbe dovuta essere lei a confortare la sua amica, invece era accaduto l’esatto contrario, con Morena che le prendeva il viso fra le mani e le diceva, con voce sommessa, che andava tutto bene, che lei stava bene, che sarebbe andato tutto alla grande.
Mentre la confortava, tuttavia, notò come Romero non smettesse mai di carezzarle la schiena, cosa che non aveva infastidito o imbarazzato Teddy, la quale si sarebbe sottratta a quel tocco, pensò Morena, se la situazione fosse stata normale, almeno che fra quei due non fosse accaduto qualcosa dopo la sua partenza da Santiago ...
«Diego …» la voce cantilenante di Jessica fece calare il gelo. Teddy e Nicolas la osservarono avvicinarsi a Torres e posargli una mano sull’avambraccio, quasi a cercare protezione, continuando a guardarli come se fossero stati degli alieni «Chi sono questi due?»
«Che ha detto?» bisbigliò Teddy, che della lingua italiana conosceva ben poche parole. Altro che l’inglese, avrebbero dovuto insegnare l’italiano nelle scuole del Cile, si disse. In ogni caso, nessuno delle due persone che avrebbero potuto farle da traduttore, ossia Morena e Nicolas, le risposero. La prima si rivolse a Diego, incurante della domanda della ragazza con i capelli dal taglio asimmetrico, scuri e lucidissimi:
«Sono venuti a prendere me e Martin»
«Martin non si muove da qui!» esclamò Torres, il nome di suo figlio aveva scacciato lo stordimento iniziale che l’aveva attanagliato, facendolo sentire confuso:
«Già!» intervenne ancora Jessica «Martin rimane con noi!»
Morena sospirò, alzando poi lo sguardo spossato su Nicolas Antonio, quando questo le posò una mano sulla spalla. Teddy non poteva fare altro che assistere impotente alla scena, captando pochissimi vocaboli e sforzandosi di metterli insieme per dare un senso compiuto a quelle frasi:
«Qual è il problema?» chiese lui, spostando lo sguardo da Morena al suo compagno e collega di nazionale Diego, il quale abbassò gli occhi, cosa che diede nuovo slancio alla mamma di suo figlio:
«Vogliono adottare Martin» disse, abbozzando un sorriso carico di sarcasmo «Capisci Romero? Vogliono prendersi mio figlio! Cosicché la bimbetta lì diventi la sua mamma e Diego … beh, lui rimane il padre imbécile che è!»
Nicolas guardò Morena a bocca aperta. Era assurdo, semplicemente non c’era un filo logico a quel discorso, a quella proposta, a qualsiasi cosa fosse stata, non c’era coerenza. Teddy lo strattonò un paio di volte per la manica del giubbotto, chiedendogli di spiegarle cosa si stavano dicendo, si sentiva così stupida. Lui glielo disse, in poche parole, e probabilmente la notizia la scombussolò talmente tanto che nemmeno lei riuscì a reagire.
«Morena» la chiamò Nicolas, tenendo gli occhi fissi in quelli di Torres «Prendi quello che devi per te e per Martin. Ce ne andiamo» concluse, pronunciando la frase nella sua lingua madre.
Teddy si sentì invadere da un senso di sollievo, combattendo contro la voglia di abbracciarlo, di baciarlo, di ringraziarlo. Invece si limitò a sorridergli con dolcezza e a seguire Morena, che non se lo fece ripetere due volte, oltre l’uscio di una porta.
 
Diego Torres si allontanò da Jessica per avvicinarsi a Romero, più basso di lui di parecchi centimetri, ma la cosa sembrava non turbarlo affatto, non indietreggiò neanche quando gli parlò con voce sprezzante e in spagnolo:
«Non sono cazzi tuoi!»
«Ti sto salvando il culo!» sbottò Nicolas «Perché quando tornerai strisciando da lei, forse il fatto che non le hai portato via suo figlio ti aiuterà a riallacciare un rapporto più o meno amichevole» Diego strinse i pugni, ferito nell’orgoglio:
«Io le voglio bene, ma non è la donna della mia vita»
«E chi sarebbe la donna della tua vita? Quella lì?» Nicolas Antonio sorrise cinico e indicò con il capo la ragazza alle spalle di Torres, così truccata da essere pronta per una serata come ballerina ad un night club scadente.
Questa volta Diego non rispose, gli lanciò un’ultima occhiataccia e si voltò per abbracciare Jessica e posarle un bacio sulla fronte, dicendole che si sarebbe aggiustato tutto, come se Martin le fosse appartenuto di diritto, come se non fosse stato figlio suo e di Morena.
Nicolas Antonio chinò il capo, quella scena proprio lo disgustava, ma confortato dal fatto che Teddy e soprattutto Morena non fossero presenti in quel momento. Si passò una mano sui capelli, la pettinatura rimase intatta, poi si sentì afferrare quella stessa mano e, sbalordito, si ritrovò a guardare l’altra ragazza – amica di Jessica – che in tanto era rimasta in silenzio per tutto quel tempo, mentre gli sorrideva a dieci centimetri dal viso. Gli girò il palmo all’insù e con i denti, che spiccavano dietro labbra carnose e dipinte di rosso, staccò il tappino di una penna, sputandolo poi sul pavimento. Allargò il sorriso,  prendendo a scrivergli sul palmo, alla stregua di un foglio di carta, un numero dietro l’altro: 3 3 9 4 5 . . .
«Questo è il mio numero di cellulare. Fammi uno squillo …»
«¿Qué estás haciendo?» intervenne Teddy, strappandole la bic di mano, muovendola poi davanti a quel viso che avrebbe preso volentieri a schiaffi.
La ragazza italiana la fissò con un’espressione tonta, spostando poi l’attenzione su Nicolas per chiedergli cosa avesse detto la sua “amichetta”, come l’apostrofò. Romero fece per risponderle, mentre era occupato a sfregarsi il palmo per cancellare l’inchiostro blu, quando Morena lo precedette, con Martin in braccio e il classico borsone azzurro con i pupazzetti a tracolla:
«Ha detto che se non ti allontani immediatamente dal suo ragazzo, sai dove te la ficca quella penna?!»
Teddy ovviamente non capì una parola di quello che aveva appena pronunciato la sua amica, ma vedendo l’espressione schifata e insieme spaventata della riccioluta, la quale si allontanò a testa bassa, fu assai soddisfatta. Qualsiasi cosa avesse detto aveva fatto centro! Nicolas tossì per nascondere un risolino, scambiandosi un’occhiata intenditrice con Morena.
 
Il momento dei saluti è sempre triste, ma in quella casa c’era qualcosa di ancora più doloroso, di malinconico. Quando Morena, con la sua solita fermezza, si avvicinò a Diego, evitando scrupolosamente di alzare gli occhi fin dentro i suoi, temendo che sarebbe potuta scoppiare in lacrime, fece sobbalzare con delicatezza Martin fra le sue braccia:
«Saluta papà» disse e questi lo prese in consegna, alzandolo e strapazzandolo come piaceva lui. Le risa di Martin risuonarono nella stanza e fu allora che Teddy si avviò sulle scale, asciugandosi gli angoli degli occhi con i polsini di maglia del giubbotto.
Come faceva? si chiese, come faceva Morena a resistere a tutto quello? Si ritrovò ad odiare Diego come non aveva fatto con nessuno mai. Romero la seguì con lo sguardo, ma restando dov’era.
Torres porse nuovamente Martin alla sua mamma:
«Morena, ascolta, io  ..» cominciò, ma lei lo interruppe
«Ringrazia te stesso se trascorrerai il primo Natale di tuo figlio senza di lui. E lui senza di te!» gli diede le spalle e uscì, seguita a ruota da Romero, il quale si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
A quel rintocco, Morena gli lasciò in custodia Martin e lui lo prese di riflesso, mentre lei si gettava fra le braccia di Teddy, scoppiando in lacrime. L’ aveva vista così poche volte piangere che non riusciva neanche a ricordare quando fosse stata l’ultima.
 
Durante il viaggio di ritorno Morena spiegò loro di come erano andate le cose, per filo e per segno. Partì dall’inizio, dal principio, da quel matrimonio ove Diego Torres e Jessica dovevano essersi conosciuti e innamorati, scherzò, ma nessuno rise. Ricordò dolorosamente le ore passate ad attenderlo, con quella sensazione di impotenza e di rabbia; della gioia di aspettare Martin, ma della tristezza perché sentiva che il suo compagno aveva un’altra. Questo era anche stato il motivo per cui non aveva detto alle sue amiche di essere incinta, si giustificò, temendo che si sarebbero precipitate a farle visita e allora avrebbero capito cosa stava accadendo e lei, infondo, aveva sperato fino alla fine che si stesse immaginando tutto quanto.
Disse loro che Torres si era presentato a casa di Grimilde, quella notte, e di averla ricattata di seguirlo, se non voleva che tornasse in Italia solo con Martin; di quando Jessica aveva aperto la porta di casa e di come si fosse impuntata affinché andasse via, almeno per qualche giorno non l’aveva vista, poi era ricomparsa quella mattina stessa. Alla fine li aveva ringraziati, concludendo di essere contenta di vederli di nuovo insieme e affiatati, come un tempo. Quando Nicolas Antonio e Teddy – rossa come un peperone – si erano lanciati un’occhiata imbarazzata, Morena aveva proseguito dicendo che si vedeva lontano un miglio che era successo qualcosa fra loro due, si era sforzata di ridere e di tranquillizzarli, affermando che lei non era come Grimilde, non sarebbe scesa nei particolari. Infine aveva chiesto proprio della biondina e allora era toccato a Teddy fare un resoconto completo di quello che era accaduto alla loro amica bionda: l’incidente al Viva la Vida, Martinez che la salvava dalla morte, l’ospedale, il fatto che aveva provato a contattarla per tutta la notte, trovando sempre la segreteria attivata, il risveglio e l’insistenza di Grimilde affinché lei e Romero partissero alla volta dell’Italia.
 
Il taxi che avevano fittato all’aeroporto di Malpensa li lasciò in una zona residenziale di una città chiamata Torino. Lungo il viale si stagliavano una serie di villette a schiera, stile inglese. Nicolas si avvicinò a una di queste, aprendo un cancelletto senza bisogno di usare la chiave. Le due ragazze, con Martin addormentato fra le braccia della madre, lo seguirono lungo un piccolo sentiero fatto di mattonelle ruvide. L’erbetta era incolta e stava crescendo fra una spaccatura del cemento e un’altra; gli alberi nel giardino erano spogli e i rami secchi; qualche foglia ingiallita giaceva su un sottile strato di neve. Se in Sardegna Teddy aveva avuto freddo, adesso quasi tremava.
Accucciata, con le spalle contro la porta d’ingresso, giaceva una figura ricurva, con un’enorme sciarpa bianca allacciata intorno al collo, in mano una bottiglia di vodka, vuota. Nicolas sbuffò, afferrando per la mano la sagoma e facendo leva sul gomito lo rimise in piedi. Visto dalla stessa altezza, non sembrava tanto vecchio, ma puzzava di alcool e qualcos’altro che le ragazze non riuscirono a decifrare. Forse, semplicemente, aveva bisogno di una doccia. Con grosso stupore si accorsero che era sveglio, la voce impastata dall’ubriacatura, barcollava e si manteneva a Nicolas, che fece una smorfia e tirò indietro il capo quando parlò:
«Romero!» esclamò, ridendo come uno stolto «Ti stavo aspettando …»
«Si, si. Entriamo che ti serve una rinfrescata …»
Poi gli occhi scuri del nuovo ragazzo puntarono oltre le spalle del compagno, goffamente si liberò dalla sua presa, incespicando prima verso Teddy, la quale indietreggiò lanciando uno sguardo di aiuto verso Nicolas, che scosse il capo affermando che era innocuo, poi si soffermarono su Morena. Le si avvicinò, piano, osservandola, studiandola, quindi strinse il suo viso fra le mani e la baciò.
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

 
«Sono quasi morta! Anzi, no: io sono morta e tu adesso non vuoi più fare sesso con me!»
«Shhhh! Abbassa la voce, Grimi!» la redarguì Martinez, guardandosi attorno con l’ansia che qualcuno avesse potuto sentire l’affermazione della biondina.
Grimilde sbuffò e incrociò le braccia in segno di protesta:
«Siamo in Italia, chi vuoi che mi capisca?»
«Guarda che non parliamo aramaico antico, chiunque potrebbe capirci» poi Alex la guardò, il muso imbronciato che assumeva quella posa all’infuori quando si arrabbiava, gli occhi azzurri rivolti lontano, su un punto impreciso. Gli scappò un sorrisino e le accarezzò i capelli, perfettamente lisci nonostante l’umidità «Voglio solo che la nostra storia non sia solo sesso. Voglio conoscerti sul serio, sapere cosa ti piace mangiare, il tuo cantante preferito, il film che ti ha fatto piangere, cose così insomma»
«Cose inutili insomma» ribatté lei.
Anche sforzandosi, non riusciva proprio a comprendere il cambiamento di rotta di Alex. Prima dell’incidente – tanto per tracciare una linea temporale ben precisa – era tutto passione e sesso, poi una mattina, quella dopo il loro chiarimento, si era svegliato con quella fissa di fare il fidanzato perfetto, di andare in giro per negozi e centri commerciali, di portarla fuori a cena in ristoranti di un certo livello e di concludere la serata sul divano a guardare un film d’azione, dove c’era sempre il macho di turno che salvava la sua bella. Infine a dormire, abbracciati, ma a dormire, con lui che prima di chiudere gli occhi le sussurrava:
«Domani cosa vuoi fare?»
«Sesso con te» gli rispondeva allora Grimilde, ma evidentemente l’atleta cileno non la intendeva come una richiesta seria, perché rideva e la baciava a stampo sulle labbra, dicendole di dormire.
«Non sono cose inutili! Ad esempio non sapevo che il sole ti infastidisse» continuò Martinez e Grimilde si scacciò la sua mano dai capelli, acconciandoseli anche se non ne avevano bisogno:
«É normale! La maggior parte del tempo che trascorriamo insieme lo passiamo, o meglio passavamo …» ci tenne a sottolineare lei « … chiusi in camera a fare quelle cose che fanno gli amanti, sai? Forse la mamma non te l’ha spiegato …»
Martinez rise, passandole una mano intorno alle spalle e attirandola a sé, per posarle un bacio sul capo:
«In ogni caso, ti vorrei ricordare che sono solo due giorni che non “facciamo sesso”, come dici tu» con l’indice e il medio piegati mimò le virgolette
«Quindi adesso, oltre al calendario della partite da giocare, ne hai un altro che ti indica i giorni in cui stare con me?» finalmente Grimilde si girò a guardarlo e quel sorriso canzonatorio che gli vide sul viso la innervosì ancor di più, ma contemporaneamente le fece accrescere la voglia che aveva di lui.
Quante volte l’aveva stuzzicata tenendo quel sorriso di sbieco?
Era vero, infondo erano solo poco più di 48 ore che non facevano l’amore, ma non avevano mai badato a quelle cose, non avevano mai contato i giorni, le ore o i minuti tra un amplesso e l’altro. E in ogni caso quello era un record per loro.
Un record in negativo però.
Una macchina gialla, con la scritta T A X Y lungo le fiancate laterali, si fermò davanti a loro. Alexander si alzò e intanto che l’autista, dopo un veloce saluto, si adoperava per incastrare le valigie nel bagagliaio posteriore dell’auto, si rivolse ancora una volta alla biondina tendendole la mano:
«Speriamo che le tue amiche ti mettano un po’ di buon senso in testa» disse.
Grimilde in tutta risposta gli fece una smorfia, poi si aggrappò con le dita alle sue e la pelle bianca spiccò contro quella ambrata del ragazzo.
 
Lo sconosciuto dormiva profondamente sul divano in casa di Nicolas Romero.
Il camino elettrico era acceso e gli proiettava ombre danzanti e tuttavia fasulle sul viso, ogni tanto prendeva a russare rumorosamente, cosa che faceva sempre sobbalzare Morena, la quale non gli aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un momento, quasi temendo che avrebbe potuto baciarla di nuovo se non lo avesse tenuto sotto stretto controllo.
Quando le aveva afferrato il viso, con le sue mani inguantate e umidicce, Morena non aveva avuto paura, era stata solo presa alla sprovvista, né aveva cercato di allontanarlo quando aveva sentito quelle labbra increspate dal freddo posarsi sul quelle proprie. Solo quando Romero lo aveva tirato via da lei, mentre Martin la fissava con quegli occhietti indagatori, e la visione di Teddy che teneva le mani a coppa sulla bocca, che aveva quasi dato di matto.
E se fosse stato un tossico?
Che fosse ubriaco fradicio era ovvio, ma se fosse stato anche di peggio?
Soprattutto chi era?
Un barbone?
Dall’aspetto e dall’odore era probabile.
Un povero disgraziato caduto in miseria?
In ogni caso Nicolas sembrava conoscerlo, e anche bene.
Quando questi aveva aperto la porta d’ingresso, inserendo il codice segreto per disattivare l’allarme, Morena si era fiondata in casa, lasciando suo figlio fra le braccia di Teddy, si era poi guardata intorno aspettando che gli occhi si fossero abituati alla penombra della casa e, scorgendo quello che poteva essere un lavandino, non aveva esitato oltre a precipitarsi e a strofinarsi il muso con l’acqua.
«Guarda che non è un malato di AIDS!» aveva sbottato Nicolas, quasi infastidito dalla sua reazione. Morena si era voltata e vedendo lo sconosciuto aggrappato al padrone di casa, con quel sorriso da brillo sul viso, era andata su tutte le furie:
«Romero, gli permetti di entrare in casa? Cioè, io dovrei stare in casa con questo tizio che … che …»
«Non morde!» aveva continuato lui, dirigendosi verso la parte opposta alla sua, dove si era accesa una luce. Morena li aveva seguiti, oltrepassando Teddy con in braccio Martin, entrambi sgomenti per la scena che si stava svolgendo davanti ai loro occhi:
«Non morderà, ma bacia! E se facesse anche di peggio?»
Nicolas Antonio roteò gli occhi al soffitto, mentre lo sistemava sul divano, togliendogli le scarpe inzuppate di neve, i guanti e la sciarpa bianca. Aveva una folta barba e i capelli scuri erano tutti scompigliati:
«É innocuo!» esclamò poi, prendendo ad armeggiare con il camino termoelettrico
«Innocuo per te, forse!»
«Morena …» era stata Teddy a parlare, teneva Martin sospeso in aria, ma lontano dal suo corpo, il viso contratto in una smorfia « … credo che il tuo piccolino qui abbia bisogno di un pannolino pulito»
La giovane mamma lo aveva prelevato, lanciando un’occhiataccia a Nicolas che, ancora di spalle a cimentarsi nell’ardua impresa di avviare il fuoco,  le aveva indicato di salire le scale all’ingresso e di entrare nell’ultima porta a sinistra, dove vi avrebbe trovato il bagno.
Quando Morena era andata via Teddy si era avvicinata a lui carezzandogli i capelli, ancora chino sulle ginocchia a bearsi del calore del camino che pian piano si aizzava, poi gli aveva chiesto chi fosse quella persona che, in un lampo, si era appisolato come un bambino:
«Un collega» era stata la risposta.
 
Teddy tornò con due tazze  traboccanti di caffè all’americana. Quella brodaglia nera aveva un sapore pessimo, ma perlomeno teneva caldi, anche se l’ambiente si era riscaldato in breve tempo. Passando una delle tazze a Morena, la quale la raccolse silenziosa e in maniera quasi meccanica, Teddy si sedette sul bordo del camino, lasciando che il calore si diffondesse lungo la spina dorsale, le ossa parvero come distendersi. Rilassarsi.
Con gli occhi castani scrutò la stanza: alla sua destra un mobile in stile moderno e dal colore scuro ospitava diverse coppe e medaglie; alcune foto che non si azzardò di osservare da vicino; un televisore al plasma – così grande che aveva visto solo nei migliori negozi di elettronica – e, buttate lì a casaccio, due console con i rispettivi accessori e custodie di videogiochi. Di fronte due poltrone in pelle scura che si completavano al divano, sito proprio dinnanzi a lei, sul quale giaceva inerme lo sconosciuto che aveva baciato Morena sull’uscio della porta.
Bevve un sorso di caffè e voltò l’attenzione sulla destra, dove vide un’enorme tendaggio drappeggiato che nascondeva una finestra, quindi un tavolo quadrato con otto sedie sul quale spiccava un centrotavola in cristallo, contenente della frutta di vetro.
Si chiese come facesse Nicolas a tenere così pulita e ordinata una casa come quella.
Martin rise, biascicando qualcosa nella sua lingua incomprensibile e Teddy si ritrovò a cadere dalle nuvole. Si era dimenticata che dinnanzi a lei, su un enorme tappeto, c’era Romero seduto a gambe incrociate occupato a giocherellare con il piccolo bimbo.
«Come si chiama?» chiese ad un tratto Morena, interrompendo quella quiete che si era venuta a creare, mentre si affacciava a ridosso del ragazzo disteso sul divano.
Attraverso la barba incolta le parve di intravedere qualcosa …
Nicolas sospirò con forza a quella domanda e senza smettere di armeggiare con i giocattoli di Martin, rispose:
«Carlo»
E Morena sussultò rendendosi conto che stava fissando una  grossa cicatrice.
 
Teddy sollevò le palpebre di scatto. Il sogno ingarbugliato e ansiogeno svanì nei meandri della sua mente, scomparendo del tutto. Non riusciva a ricordare neanche un passaggio di quello che aveva appena sognato, sapeva solo che l’aveva spaventata e i battiti accelerati del cuore ne erano una dimostrazione tangibile. Nella stanza vigeva nient’altro che il silenzio. Il viso rilassato di Nicolas era ad una spanna da quello proprio. Teneva gli occhi chiusi e il respiro pacato, tranquillo e regolare. Dormiva a pancia sotto, le braccia nascoste dal cuscino e le coperte tirate solo fino a metà corpo. Al contrario di lei, invece, che se ne stava rannicchiata contro di lui, coperta fino al collo. Sbirciò oltre la schiena del ragazzo e scorse un timido raggio di sole attraverso le fessure delle tapparelle chiuse.
Lentamente scivolò giù dal letto, accertandosi di non averlo svegliato, inginocchiandosi accanto alla valigia abbandonata contro la parete. Non aveva avuto tempo di disfarla, l’avrebbe fatto in giornata, appena avesse avuto cinque minuti liberi. Cercò e trovò la biancheria pulita da indossare, un paio di pantacollant e un abito di maglia beige. Poi le saltò all’occhio il babydoll e non poté trattenere un sorriso.
Quell’indumento inevitabilmente scatenò dentro di lei un susseguirsi di immagini: Grimilde, che si ripromise di telefonare; la locanda in cima alla montagna dove lei e Nicolas si erano ritrovati e riappacificati – per farla semplice – ma anche Morena e la sua situazione difficile con Diego Torres; al piccolo Martin; al ragazzo che avevano trovato semicosciente sullo zerbino della porta e che stava ancora dormendo di sotto.
Ammesso che stesse ancora dormendo …
Quel pensiero la terrorizzò. Se Morena lo avesse incontrato in giro per la casa sarebbe scoppiato il finimondo. Si affrettò a riporre il babydoll nel fondo della valigia, la chiuse e si fiondò in bagno.
 
La casa era ancora immersa nel silenzio.
Teddy fissò la porta della stanza che Nicolas Antonio aveva indicato come l’ideale per Morena e Martin, poiché era spaziosa, aveva un letto matrimoniale e, soprattutto, era vicina a quella patronale, dove avevano dormito loro due. Si sporse in avanti per provare a distinguere un rumore qualsiasi, ma non udì nulla e prese a scendere le scale, titubante. A piccoli passi si affacciò nel soggiorno dove avevano lasciato lo sconosciuto la sera prima, ma il divano era vacante. La coperta, con la quale Romero l’aveva protetto del freddo, era un groviglio indefinito sul pavimento.
Che se ne fosse andato?
Teddy fece spallucce e aprì la porta d’ingresso. Le temperature rigide la colpirono come pugni allo stomaco e, con un pizzico di malinconia, si ritrovò a pensare al caldo sole di Santiago, al mare e al cielo di un azzurro intenso. Si strofinò le mani e si accese una sigaretta, tirando una lunga boccata di fumo. Le strade erano vuote, gli alberi rinsecchiti e qualche foglia ingiallita giaceva sulla neve candida.
«É a te che devo le mie scuse?»
Teddy sentì il cuore balzarle in gola e il fumo le andò di traverso. Tossì un paio di volte e vide l’espressione dispiaciuta e insieme preoccupata dell’estraneo. Quando finalmente riuscì a sedare la tosse, scosse il capo:
«Romero mi ha detto di aver baciato una certa Morena …» continuò lui e la ragazza abbozzò un sorriso di circostanza. Nicolas doveva esser rimasto con lui fino a tarda notte, dopo che lei era sprofondata nel sonno.
«No, non sono io. Io mi chiamo Teddy»
«Carlo» le porse la mano e lei gliela strinse.
Nonostante non fosse molto alto, aveva una presa salda e sicura, gli occhi scurissimi avevano uno sguardo fiero. Teddy notò che indossava la tuta della federazione di pallavolo cilena con cui Arturo era tesserato, sul petto portava la scritta, in stampatello, NICOLAS A. ROMERO. La cerniera era tirata fin sotto al mento in modo da nascondere la cicatrice.
«Mi dispiace per quello che è successo. Non sono un ubriacone …» poi dei passi alle loro spalle attirarono l’attenzione di entrambi.
Morena era ferma a metà della rampa di scale. Vedendolo si rese conto di non riuscire più a proseguire, ma nemmeno a tornare indietro.
Dentro di sé mandò a ‘fanculo Romero e a quando l’aveva fatto entrare in casa!
Carlo alzò gli occhi su di lei e quasi gli mancò il respiro. Solo allora, guardandola senza la foschia dell’alcool, comprese il motivo per cui si era gettato su di lei e l’aveva baciata senza pensarci due volte.
Era la copia sputata di sua moglie.
 
L’I-Phone bianco si illuminò, inviando il classico bip-bip che annunciava l’arrivo di un messaggio. Con un lamento roco Nicolas cercò a tentoni il cellulare sul comò, lo afferrò e con un occhio aperto e uno chiuso lesse un paio di volte le due parole che vi erano scritte:
Stiamo arrivando!
Un largo sorriso gli illuminò il viso. Seppur ancora assonnato corse fuori dalla stanza, arrestandosi all’inizio della rampa di scale.
Era arrivato troppo tardi.
 
Una macchina gialla, con la scritta TAXI si fermò davanti il cancello che dava sul vialetto di casa Romero. Grimilde aprì la portiera e uscì nel freddo grigiore di quella città italiana. L’auto ripartì e Alex l’affiancò, con i trolley portati di peso nell’una e nell’altra mano. In contemporanea si guardarono attorno e quando parlarono il fiato si condensò in spesse nuvolette di fumo bianco:
«Dove siamo di preciso?» chiese lei, acconciandosi la sciarpa intorno al collo che continuava a pendere da un lato
«Torino» le rispose lui, incamminandosi lungo il viale, attento a non scivolare sulla neve fresca. Grimilde lo seguì a ruota, sbirciando ogni particolare minuzioso dell’ambiente che la circondava, ma come accadeva ogni qual volta vedeva le sue amiche, ogni interesse per le altre cose si dissolse.
«Teddy! Teddy!» la chiamò, abbandonando il sicuro sentiero fatto di mattonelle. Sprofondò fino alle caviglie nella soffice neve, raggiungendo la sua amica a grandi falcate, rischiando di capitolare più volte sul terreno imbiancato. Teddy la strinse a sé, davvero felice per quella sorpresa che non si era neanche sognata di desiderare, tanto le sembrava impossibile.
La visione di quei capelli biondi, perennemente in ordine, scosse Morena come nulla avrebbe potuto. Fece le scale a due a due con il nome di Grimilde che le rimbombava nella mente. Per un attimo si dimenticò di Diego e del dolore che le attanagliava il cuore. Per un attimo non ci fu che la sua amica un po’ pazzerella che aveva rischiato di non rivedere mai più. Se non da morta. 
Carlo si fece da parte, scorgendo la figura di Romero che un gradino dopo l’altro, senza alcuna fretta, si avvicinava, tenendo le labbra increspate in un sorrisino, completamente rapito da quella scena. Sembrava che se la stesse godendo come si farebbe davanti alla televisione.
Morena si unì all’abbraccio delle altre due ragazze, Grimilde avvertì la sua presenza e si avviluppò a lei come un polipo, prendendo a singhiozzare. La ragazza castana inviò un sorriso a Teddy,  accarezzando la schiena della biondina fino a salire ai capelli color oro.
L’espressione di Alex Martinez era un misto di compiacimento e dolcezza, avvertendo poi gli occhi di Teddy puntati su di lui ricambiò lo sguardo. L’ultima volta che si erano parlati era stato in ospedale, quando lei lo aveva accusato di non sapere niente di Grimilde e della sua vita, di ciò che amava e di ciò che detestava. Sembrò sul punto di rivolgergli la parola, ma Nicolas le si avvicinò, posandole un bacio sulla guancia e passandole un braccio intorno alla vita.
 
Erano stati così presi dalle vicende che si erano susseguite da qualche settimana a quella parte, che solo quando Grimilde lasciò al lato del camino termoelettrico tre pacchetti, ognuno con un enorme fiocco rosso, si ricordarono che quella era la Vigilia di Natale.
Martin gattonò fino ai regali, lanciando un urlo di dissenso quando Morena lo prese in braccio appena prima che potesse strappare via una coccarda. Incurante delle strilla di suo figlio, alle quali era oramai abituata, si rivolse a Grimilde:
«Cosa sono?»
«Regali di Natale, mi sembra ovvio»
Teddy sollevò uno sguardo sbigottito su Morena e capì che, come lei, non aveva pensato a comprare nessun regalo. Si schiarì la voce:
«Io non ho avuto tempo per comprarvi il regalo quest’anno»
«N-neanche io …» le fece eco Morena, lasciando che Martin gattonasse verso i ragazzi impegnati in un’ardua sfida alla Play Station.
Grimilde fece spallucce:
«Io invece ho avuto tanto di quel tempo e girato tanto di quei negozi che non avete idea» nella sua voce il sarcasmo era tanto evidente, quanto invano poiché Alexander non la sentì neanche, troppo preso a ribaltare il risultato con il suo Barcellona contro il Real Madrid di Carlo. Martin si aggrappò allo schermo piatto della TV, oscurando parte della visuale, e Nicolas Antonio lo prese in custodia, rispedendolo al mittente. I pacchetti ai piedi del camino divennero di nuovo il suo obiettivo.
«Prepariamo una grande cena!» sbottò d’un tratto Teddy. Le sue amiche la fissarono con un grande punto interrogativo sul capo «É la Vigilia di Natale. Potremmo aspettare la mezzanotte e …»
« … e scartare i regali!» intervenne Grimilde, balzando in piedi e battendo le mani. L’allegria era tornata ad impossessarsi di lei, si chinò appena in tempo per prendere Martin ed evitare che aprisse i pacchi prima dello scoccare dell’ora X. Strofinò il naso contro il suo e lui rise «Ma chi è questo bel bimbo? É Matty! Matty! Matty!»
«Dovremmo cucinare noi, e fare la spesa, e decidere cosa preparare …» Morena sembrava alquanto scettica a tal proposito, ma l’entusiasmo delle sue amiche, alla fine, la convinsero.
 
Dopo aver consultato svariati siti di ricette e deciso l’intero menù, fondendo la tradizione cilena con quella italiana, Teddy si avvicinò ai ragazzi, rivolgendosi in particolare a Nicolas, tutto preso dalla partita che stava disputando virtualmente contro Carlo:
«Ehm … » tossì per far notare la sua presenza e solo quando lui la guardò di sottecchi, proseguì «Mi serve la macchina. Dobbiamo andare a …»
«Le chiavi sono nel primo cassetto all’entrata» ci fu un momento di silenzio, poi lui aggiunse «Arbitro! É rigore!» Teddy girò sui tacchi e si allontanò, alzando il pollice in direzione delle sue amiche.
Tornò dopo qualche minuto, rossa in volto e con i capelli scompigliati, sembrava rassegnata:
«Nicolas non posso guidare quella macchina!»
«Si che puoi. Tranquilla, la presto a chiunque» sbuffò e si disperò al goal che gli rifilò un Carlo esultante. Teddy inspirò profondamente:
«Per favore, potresti …»
«E quello non era fallo da ammonizione?» si lamentò ancora Romero, subendo le burla degli altri due ragazzi. Teddy si posizionò davanti alla tv  a braccia conserte e lo sguardo truce,riuscendo finalmente a deviare la loro attenzione su di sé.
«Ci serve che uno di voi grandi uomini ci accompagni a fare la spesa» fece tintinnare le chiavi e attese.
 
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


 
Ovviamente l’articolo che le serviva era in cima allo scaffale.
Morena lesse per l’ennesima volta l’ingrediente riportato nella ricetta di quel rustico e sospirò: non c’erano dubbi, era quello all’ultimo piano della mensola.
Si guardò attorno con circospezione, il supermarket era perlopiù deserto. Quasi sicuramente la maggior parte delle persone erano rinchiuse in casa a cucinare o erano spaparanzati davanti al fuoco nelle abitazioni dei parenti che erano andati a far visita in occasione delle feste natalizie. Perfino Teddy e Grimilde erano scomparse nei labirintici corridoi del negozio. Sospirò ancora e allungò il braccio, alzandosi sulle punte. Con le dita riusciva solo a sfiorare la superficie di vetro del vasetto, senza tuttavia trovare un appiglio per afferrarlo.
«Dai, dai!» bisbigliò a denti stretti, maledicendo la sua piccola statura, quando una mano, che era grossa il doppio della sua, ma di una tonalità minore di abbronzatura, afferrò la boccetta di sottoaceti e gliela porse.
Morena alzò due occhietti marroni e confusi su Carlo, ringraziandolo con un filo di voce, mentre riponeva nel carrello della spesa il vasetto di vetro. Insieme proseguirono lungo la corsia del supermercato, camminando fianco a fianco.
«Credo di doverti delle scuse per …» iniziò lui schiarendosi la gola e fissando le mattonelle lucide che si susseguivano sotto le suole delle sue scarpe, passo dopo passo
« … per il bacio?» continuò per lui Morena e il ragazzo alzò gli occhi su di lei, accorgendosi che lo stava guardando senza timore.
Nicolas aveva avuto ragione, scusarsi con lei era una pessima idea, lo avrebbe fatto sentire piccolo piccolo, ed era proprio quello che stava accadendo
«Piuttosto dovresti scusarti per il fatto che eri ubriaco fradicio. Ti avevo scambiato per un barbone»
Carlo la fissò sgomento, poi scoppiò in una risata fragorosa. Un barbone: mai nessuno lo aveva definito in quel modo.
 
Grimilde diede un paio di colpetti con il gomito a Teddy per attirare la sua attenzione e quando questa si fu voltata seguì lo sguardo della biondina, scorgendo Morena spingere il carrello e Carlo al suo fianco. Sembravano divertirsi.
«Che succede?» chiese la ragazza bionda, assottigliando gli occhi come se potesse così scorgere fin dentro le menti di quei due ragazzi e leggerne i pensieri
«Ieri l’ha baciata, sebbene fosse ubriaco e non si reggeva in piedi» spiegò velocemente Teddy e Grimilde sgranò gli occhi, mettendo in risalto l’azzurro delle pupille
«La nostra Morena sta recuperando il tempo perduto» sghignazzò poi, alludendo al fatto che aveva avuto un unico ragazzo nel corso della sua giovane vita. Diego Torres era stato solo il secondo.
«Smettila!» la rimproverò Teddy, tuttavia divertita da quell’affermazione. Inconsciamente presero a pedinare la sua amica e l’ultimo arrivato
«Quindi con Diego è davvero finita?»
«Hanno un figlio, non potranno mai chiudere definitivamente» rifletté Teddy che poi sospirò angosciata per quella difficile realtà che la sua amica bruna avrebbe dovuto affrontare. Prima o poi.
Grimilde guardò Morena a diversi metri di distanza da lei, di tanto in tanto sorrideva di rimando a Carlo:
«Certo che è brutto forte!» esclamò all’improvviso e Teddy le lanciò un’occhiataccia, infine scoppiarono a ridere all’unisono.
 
Carlo si era alquanto indispettito all’affermazione, che era stato quasi un imperativo, di Nicolas Antonio, il quale gli aveva detto – e non chiesto! – di fare da autista alle tre ragazze. Se, come aveva intuito durante le poche ore che aveva trascorso in loro compagnia, Teddy e Grimilde erano le compagne rispettivamente di Romero e Martinez, perché toccava a lui scortarle, che tra l’altro non le conosceva neanche?
All’andata nell’abitacolo della macchina aveva aleggiato un imbarazzante silenzio. Morena si era fiondata nei sedili posteriori e la biondina l’aveva seguita a ruota, era dunque toccato a Teddy occupare il posto accanto a quello del guidatore, e benché lei e Carlo avessero già scambiato qualche battuta in mattinata, la ragazza aveva fissato le strade deserte e grigie del capoluogo piemontese per tutto il tragitto.
L’unica cosa che avevano udito era stata la voce allegra e vivace di Grimilde che gli rivolgeva domande personali, prima di iniziare la classica tiritera sul suo sogno nel cassetto di vedere un giorno l’Irlanda, paese d’origine di sua madre.
Carlo si era incollerito con Nicolas per aver mandato lui a fare la spesa con quelle tre sconosciute, ma ora che Grimilde cambiava stazione radio in continuazione grazie al telecomando e Teddy che non smetteva di dirle di finirla con quell’aggeggio o glielo avrebbe buttato dal finestrino, mentre Morena se la rideva sedutale accanto, era contento di trovarsi lì.
 
La prima cosa che videro appena rientrarono in casa fu il piccolo Martin che armeggiava con un libro, circondato da pezzi di carta da regalo e qualche fiocco gettato qua e là intorno a lui.
Morena lo raccolse da terra come se fosse stato un bambolotto, strappandogli di mano quello che invece lui stringeva con tanto ardore, lanciando poi uno sguardo truce in direzione dei due pallavolisti della federazione, ancora intenti a sfidarsi alla Play Station.
Grimilde le si avvicinò, sospirando quando vide il libro, con uno strappo sulla copertina, che teneva Morena:
«Questo è il tuo regalo» disse e la ragazza scura lo studiò meglio. Era l’ultimo romanzo della sua scrittrice cilena preferita, Isabel Allende. D’istinto si aggrappò a Grimilde ringraziandola, in un abbraccio un po’ goffo.
Teddy invece fissò a lungo il suo dono di Natale da parte della biondina: un dizionario Spagnolo – Italiano e Italiano – Spagnolo. Quando alzò su di lei un’espressione interrogativa, Grimilde le strizzò l’occhio e ridacchiò insieme a Morena.
Teddy tornò a guardare il disegno sulla copertina di quel librone di migliaia di pagine. La pagina era stata divisa in due, da una parte spiccava il Palacio de la Moneda di Santiago, dall’altra il Colosseo di Roma. Di soppiatto guardò Nicolas, completamente assorto nella partita in corso contro Alex, inconsapevole di quello che stava accadendo alle sue spalle. Si affrettò a nascondere quell’oggetto che avrebbe potuto dar vita ad un argomento spiacevole che non intendeva affrontare il 24 dicembre, a poche ore dal Natale.
 
La cena fu lunga e abbondante.
Avevano tutti l’aria un po’ assonnata, un po’ perché quelli erano stati giorni difficili, in cui a ciascuno era toccato far fronte ai propri dilemmi, un po’ per l’abbuffata e per il vino che avevano bevuto, fatta eccezione per Carlo, il quale aveva preferito l’acqua gassata all’alcool. Morena gli era parsa soddisfatta di quella scelta, non che gli importasse di quello che una sconosciuta pensava di lui, ma gli sembrava una persona a cui era meglio dare ascolto. La prima impressione che aveva avuto quella mattina, vedendola immobile sulla rampa delle scale, con addosso una tuta a mo’ di pigiama, era stata l’immagine sbiadita di sua moglie. I capelli lunghi e ondulati, il viso tondo, le ciglia folte, le curve pronunciate, poi si era reso conto che era lontana anni luce dalla donna che aveva sposato. La carnagione di Morena era più bruna, gli occhi avevano un taglio e un colore diversi, era più bassa e, soprattutto, sembrava più forte. Le leggeva un dolore acuto dietro quegli occhi castani, eppure manteneva la sua compostezza, sorridendo al figlio, rimproverando Grimilde con lo sguardo quando diceva qualcosa di poco consono, rivolgendo a lui un sorriso o chiedendogli se voleva un altro po’ di questo o di quello.
Si, ma in tutto ciò, il padre di quel bambino dov’era?
 
Nicolas Antonio Romero si congedò dai suoi amici in silenzio.
Proprio come aveva sospettato, trovò Teddy in piedi sotto i rami rinsecchiti di un pesco, una sigaretta fra le dita e il naso all’insù. Persa nei suoi pensieri, nelle sue paure, nelle sue ansie. Le si avvicinò senza fretta, perché lei era lì e non sarebbe andata da nessuna parte. Questa volta sarebbe rimasta con lui, lo sentiva.
Le circondò la vita con le braccia, scostandole l’ingombrante e morbida sciarpa per posarle un baciò sul collo. Teddy chiuse gli occhi e si lasciò scaldare il sangue nelle vene da quel lieve tocco, dalla sensazione dei suoi palmi tiepidi sui fianchi.
Come avrebbe fatto questa volta a dirgli addio? Come avrebbe potuto allontanarsi da lui e riprendere la quotidianità in sua assenza? Come e dove avrebbe trovato il coraggio per dirglielo?
Inspirò un ultimissimo tiro dalla sigaretta e poi gettò il mozzicone nella neve, dove si spense con uno sfrigolio. Si girò a guardarlo negli occhi, carezzandogli la base della nuca con le dita sottili, sciogliendosi nel suo abbraccio e perdendosi nel profondo di quegli occhi gentili, seppur scuri. Avvertì le lacrime bruciare dal fondo della gola e si costrinse a calare le palpebre:
«Tutto bene?» le chiese lui con un filo di voce, attento a non far evaporare quella sensazione di benessere e lei annuì, incapace di parlare.
Nicolas le sfiorò i capelli con il dorso della mano, scendendo fino alla guancia e alle labbra, solo allora, scossa da una serie involontaria di brividi lungo il corpo, Teddy riaprì gli occhi per perdersi completamente nei suoi e nel bacio che l’avvolse come un caldo bagno terapeutico. Era dolce, quel bacio, lento e maledettamente sensuale.
Come avrebbe fatto a dirgli che sarebbe tornata in Cile di lì a qualche giorno?
 
I fuochi d’artificio iniziarono a mezzanotte in punto.
Grimilde li guardò affascinata, mentre il riverbero dei colori si specchiava nei suoi occhi azzurri. Martinez le era di fianco, incapace di distogliere lo sguardo da quello spettacolo con i capelli biondi e le mani strette in preghiera, mentre la miriade di tonalità le coloravano quei lunghi e setosi fili d’angelo.
Improvvisamente seppe che non avrebbe potuto vivere senza quella creatura eterea al suo fianco, seppe che era tutto ciò che aveva sempre voluto e cercato. Si strinse a lei, sciogliendole le mani con le proprie per posarle sui suoi piccoli seni, tenendo le braccia di entrambi incrociate.
Sentiva il battito regolare del cuore di Grimilde, quello stesso cuore che aveva smesso di vivere, ma che lui aveva riportato in vita con accanimento. Le lasciò un lungo bacio sulla guancia prima di avvicinare le labbra al suo orecchio sinistro e sussurrarle, fra i boati dei fuochi artificiali:
«Molla tutto e vieni a vivere in Spagna con me, bionda!»
L’entusiasmo per lo show pirotecnico scemò dal volto pallido di Grimilde, la quale si voltò a guardare il ragazzo alle sue spalle che teneva quel classico sorrisino di scherno un po’ storto.
 
Morena corse fuori dalla casa non appena fu certa che Martin era caduto in un sonno profondo. Lo spettacolo era già iniziato e osservando il giardino immacolato dalla neve vide Alexander Martinez stretto alla biondina, Nicolas Romero e Teddy presi più dalle loro bocche che dai colori che si alternavano in piogge di stelle nel cielo buio. Infine vide Carlo, solo e con le braccia conserte, gli si avvicinò scambiandosi un sorriso.
La ragazza si strinse nel suo stesso abbraccio, rabbrividendo. Per la fretta di non perdersi i fuochi d’artificio, aveva dimenticato di indossare il giubbino. Il ragazzo si voltò a guardarla e lei abbozzò un sorrisetto debole:
«Non credevo facesse così freddo» biascicò con la voce tremolante, ma quando lui si spogliò del proprio giubbotto lei scosse le mani intuendo le intenzioni, dicendogli che non le serviva, che stava bene, che tra poco le sarebbe passato quel fremito.
Tuttavia il calore dell’indumento che Carlo le adagiò sulle spalle come un mantello la circondò, facendola arrossire. A voce bassa lo ringraziò, mentre nella sua mente prendeva forma un unico nome.
Diego.
Avrebbe dovuto assistere a quell’esplosione di luci accanto all’uomo che amava e con il quale aveva condiviso la gioia immensa di un figlio, e non con un perfetto estraneo.
Senza riuscire a controllare il suo corpo, né la sua mente, Morena fece un piccolo passo in direzione di Carlo, fino a che le loro spalle si toccarono, ma non osò alzare lo sguardo sul suo viso, tuttavia obbligata a farlo quando questo le prese il mento fra le dita, sollevandolo.
Gli occhi di lui erano scuri, più scuri di quelli di Torres, si ritrovò a pensare a suo malgrado, mentre quelle labbra che aveva già baciato poco più di 24 ore prima, si accostavano sempre di più alle sue, diminuendo lo spazio che le divideva. Lentamente chiuse gli occhi e il volto di Diego le comparve davanti così nitido da sembrare di poterlo sfiorare.
L’unica cosa che sfiorò invece fu la bocca di Carlo e le emozioni che provò furono così tante e così contrastanti fra loro che le parve di udire la voce del cileno che le urlava di non farlo, di non baciarlo. Quel timbro chiaro e forte risuonò nella sua testa, più alto dei botti di Natale, così vero, così reale.
Morena aprì gli occhi di scatto un attimo prima di veder una figura grossa e scura piombare addosso a Carlo, trascinando anche lei nella neve.
«Non la toccare, cabron!» esclamò Torres sferrando un pugno sul naso di Carlo, il quale preso alla sprovvista e dal freddo della neve che gli stava inzuppando velocemente gli abiti, non poté difendersi. Il naso prese a sanguinare quasi subito.
Il giubbotto che il ragazzo le aveva gentilmente riposto sulle spalle per ripararla dal freddo cadde all’indietro quando Morena si fiondò su Diego per tirarlo via dal mal capitato, ma solo l’intervento provvidenziale di Romero e Martinez riuscì ad allontanare un inferocito compagno di squadra. Teddy e Grimilde assisterono impassibili alla scena, confuse e inermi.
Morena si chinò su Carlo per aiutarlo a mettersi seduto, tamponando il sangue che sgorgava dalle narici con il polsino di lana della sua stessa maglia:
«Oddio! Mi dispiace!» bisbigliava come un mantra «Mi dispiace tanto!»
Diego Torres lottò contro i suoi stessi amici per liberarsi dalla loro morsa e quando ci riuscì si inginocchiò di fronte alla ragazza bruna, fino a toccare con la fronte il gelido e ghiacciato sentiero del giardino di casa Romero. Morena lo fissò sbalordita:
«Perdoname, mì amor!» le disse sull’orlo delle lacrime «Perdoname
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 16 ***


Chiedo scusa per la lunga assenza, ma il mio pc è stato per tutto questo tempo in "convalescenza" diciamo :) 
Per farmi perdonare, invece di un capitolo, ne ho raccolti due insieme. 
Buona lettura. 
Nina 


Capitolo 16
 
 
Lo spettacolo era finito.
I fuochi d’artificio si erano esauriti in un ultimo esaltante sprint finale di luci, colori e pioggia scintillante, lasciando dietro di sé il rimbombo dei boati e una strana sensazione di malinconia nel cuore.
C’era stato un momento, durante la sua favola con Diego Torres, che Morena si era sentita una specie di prescelta. A volte si perdeva nei i suoi pensieri osservandolo, i suoi capelli folti che sempre tirava indietro quando gli cadevano sugli occhi, la sua barba ispida, i tatuaggi in giro per il corpo, quello stesso corpo che l’aveva stretta e amata fino a farle dimenticare che, al di fuori di loro due, esisteva un mondo intero. Sorridendogli di rimando quando lo faceva lui per primo, rispondendo con una smorfia alle sue battutine spinte per occultare il rossore che si andava diffondendo su per le guancie, si diceva che doveva esserci stato un errore.
Uno come lui non veniva attratto da quelle come lei.
 A uno come lui piacevano le ragazze magrissime e bellissime, quelle che indossavano la minigonna e i tacchi alti, che spendevano il loro tempo davanti ad uno specchio a sistemare l’eyeliner sulle palpebre e la matita intorno alle labbra. Doveva esserci stato un madornale errore: Diego Torres non poteva aver preferito proprio lei come compagna di vita. E quando si era invaghito di un’altra tutto era tornato nell’ordine naturale delle cose. L’allarme era rientrato, l’equilibrio era stato ristabilito.
Eppure, per un periodo di tempo più o meno lungo, Morena ci aveva creduto ed era stata felice.
 
«Quello sarebbe tuo marito?» le chiese Carlo e Morena allontanò dalla mente quei pensieri che sapevano di vecchio
«Non siamo sposati» gli rispose, continuando a tamponare il suo naso sanguinante con una matassa di ovatta imbevuta di disinfettante
«Ma è il padre di tuo figlio, no?» proseguì ancora lui e stavolta la ragazza si limitò ad annuire e il silenzio calò nuovamente nella stanza.
Teddy con un tocco deciso lasciò cadere la cenere della sigaretta nel bicchiere di carta adibito a posacenere, con un dito di acqua sul fondo per evitare che la plastica di squagliasse.
Era così stanca. Tutto quello che chiedeva era addormentarsi e non pensare più alla sua situazione personale, al fatto che avrebbe dovuto affrontare con Nicolas il discorso del suo rientro in Cile. E, come se non bastasse tutto questo a tenerla sulle spine e a prosciugare le sue energie mentali e fisiche, adesso era arrivato anche quel desgraciado di Torres a gettare benzina sul fuoco.
Come faceva, si chiese, come faceva Morena a sopportare tutto quello senza dare segni di cedimento?
Poi Grimilde sospirò e Teddy si voltò ad osservarla.
La biondina se ne stava a braccia conserte e con lo sguardo perso sul panorama imbiancato del giardino. Aveva l’aria strana. Probabilmente era stanca come tutti loro, infondo aveva affrontato un viaggio di tante ore e subito l’impatto del fuso orario, nonché lo sbalzo delle temperature. Sebbene fosse una persona sempre piena di energie, era un essere umano anche lei, senza dimenticare che solo una settimana addietro aveva combattuto per rimanere aggrappata alla vita.
Teddy distolse l’attenzione da Morena e Carlo, entrambi seduti al tavolo e muti come pesci. Dal resto della casa non si udiva un minimo rumore, neanche dal soggiorno, dove i tre compagni di nazionale si erano accomodati dopo l’attacco a sorpresa di Diego che aveva spiazzato un po’ tutti.
«Grimi, sei un po’ pallida. Ti senti bene?» le domandò a bassa voce, notando il pallore dell’amica dai capelli biondi, la quale rispose senza però voltarsi a guardarla:
«Io sono sempre pallida» il tono nascondeva un pizzico di sarcasmo che era raro trovare in lei. Si passò una mano sul viso, sembrava esausta «Il Cile è la mia patria, eppure ci sono giorni che mi sento una perfetta estranea. Mia madre mi diceva sempre che quelle come noi non si ambientano mai completamente, perché ovunque ci saremo girate avremo visto sempre e comunque delle differenze. È per questo motivo, credo, che sia andata via da Santiago»
Teddy scosse il capo, prima a destra, poi a sinistra, con lentezza. Non c’era nulla di sensato in quel monologo, proprio niente. Grimilde finalmente alzò i suoi occhi azzurri su quelli propri, aggiungendo:
«Forse in un altro paese troverei quello che cerco. Forse mi sentirei più a casa di quanto non mi senta in Cile …»
Sinceramente la ragazza castana non capì se la sua amica le stesse porgendo una domanda o fosse una semplice constatazione. Fu sul punto di dirle di smetterla con tutte quelle stupidaggini, certo che il Cile era casa sua, che domande! Quando Carlo parlando ricordò ambedue che non erano sole:
«Penso che sia arrivato il momento di tornare a casa da mia moglie e i miei figli.»
A Morena quasi cadde l’impacco di ovatta e disinfettante sul pavimento.
«Sei sposato …» affermò sognante, ma era come se parlasse con sé stessa «Ho flirtato con un uomo … sposato … »
«Di sicuro in questa casa non ci si annoia mai!» sghignazzò Grimilde che sembrava essere tornata momentaneamente la solita bionda frizzante e allegra di sempre.
 
Poco dopo un taxi si fermò sulla strada adiacente alla casa di Nicolas Antonio, i fari di posizione accesi e il motore che ronfava come un gatto.
Carlo abbracciò Romero sull’uscio di casa, ringraziandolo più volte. Dal canto suo il cileno gli batté una pacca sulla schiena, dicendogli di non preoccuparsi, che lui e la sua casa erano a disposizione per gli amici. Ci tenne a sottolineare l’ultima parola.
Morena era qualche metro più indietro, le braccia incrociate sotto il seno e il capo basso a fissare il pavimento, il muso imbronciato.
Nonostante conoscesse quel ragazzo solo da qualche giorno, non voleva che andasse via. Così facendo la sua realtà imperfetta le sarebbe di nuovo crollata addosso e aveva perso la conta di quante volte era stata costretta ad affrontarla.
Guardò di sghembo Carlo quando le si avvicinò emettendo un lungo sospiro e posandole una mano sulla spalla per scuoterla con delicatezza:
«Quando non ce la fai più, pensa a Martin. Pensa che lui vive solo per te, che ha bisogno di te per sopravvivere.»
Morena sentì la minaccia imminente delle lacrime, avrebbe voluto scappare, invece lo fissò negli occhi e accennò un sorriso:
«Lo farò» poi si prese qualche secondo per riflettere prima di aggiungere «Non conosco il motivo per cui sei andato via di casa, ma so’ che la scelta di tornare è quella giusta.»
Il ragazzo l’abbracciò forte, sperando di trasmetterle tutto l’affetto che provava per quella persona che, infondo, restava un’estranea per lui. Poi il suono del clacson del taxi che era in attesa scosse entrambi, la ragazza scura si alzò sulle punte e gli lasciò un leggero bacio sulla guancia, prima di vederlo sparire nella bruma e nel gelo della notte.
 
Diego Torres aveva un’enorme chiazza rossa al centro della fronte.
La strada ghiacciata, contro la quale si era schiacciato per inginocchiarsi ai piedi di Morena, evidentemente non gli aveva giovato, lasciandogli quel ricordo alquanto ridicolo.
La ragazza mora entrò nella stanza dopo aver visto partire Carlo e, sforzandosi di ignorare gli occhi supplichevoli di Diego, nonché la sua espressione da cane bastonato, annunciò alle sue amiche che sarebbe andata a dormire, solo allora Torres parve risvegliarsi da un lungo torpore e saltò sull’attenti:
«Martin è …»
«Dorme» la voce di Morena sovrastò la sua e quando fece per uscire dalla stanza, lui la fermò, afferrandola per entrambe le spalle
«Mi perdonerai, mi amor?» Diego chinò il capo «Mi darai un’altra possibilità?»
Nella stanza calò il silenzio. Teddy distolse lo sguardo da quei due innamorati, sapeva che Morena teneva ancora a lui, ma sapeva anche che spesso il dolore è più forte dell’amore. Spostò lo sguardo su Nicolas, i cui occhietti scuri facevano su e giù dalla coppia ferma sulla soglia della porta, il volto dispiaciuto. Se lui l’avesse odiata per non averlo seguito otto anni prima in Germania, ora forse sarebbe tutto più facile, probabilmente lei sarebbe sposata con Marcelo e lui avrebbe reso felice un’altra donna che, come giusto che sia, sarebbe stata pronta a seguirlo in capo al mondo. Infine si accese una sigaretta e inspirò a fondo.
Grimilde si strinse ad Alex. Com’erano arrivati a quel punto loro due?
Anzi, come era arrivata lei al punto di dover decidere se andare a vivere insieme o lasciare tutto come si trovava: vedersi sporadicamente, soffrire ogni qual volta lui doveva tornare in Spagna, toccare il cielo con un dito quando, al contrario, sarebbe giunto in Cile per una breve vacanza. E la cosa che più la destabilizzava era il fatto che non aveva mai pensato o sperato ad una tale eventualità.
Martinez la strinse a sé e le posò un leggero bacio sui biondi capelli lisci. Lui non avrebbe fatto lo stesso sbaglio di Diego, pensò, lui non sarebbe stato così stupido, ma soprattutto, si chiese, avrebbe saputo mettere da parte l’orgoglio e tornare strisciando come aveva fatto Torres? Lo dubitava.
Nicolas Romero si sarebbe voluto trovare in qualsiasi altro posto nel mondo, fuorché lì. Assistere alla battaglia di un uomo per riconquistare la vita che aveva avuto e che poi aveva perduto, seppur per demerito proprio, lo faceva sentire vulnerabile. Infondo conosceva la tristezza e il senso di colpa che probabilmente lo tormentavano, quella sensazione di impotenza, la stessa che lo aveva accompagnato durante il primo periodo in Germania, dove non aveva fatto altro che pensare che sarebbe dovuto tornare indietro e restare a Santiago.
Per Teddy. Con Teddy.
«Fossi in te, mi vergognerei a chiedere un’altra possibilità» disse Morena la cui voce calda penetrò nelle menti dei presenti, dissolvendo i loro intimi pensieri «Una cosa è il perdono, Diego, un’altra una nuova chance»
«Mì amor, ti prego …» ma lei si tolse le grosse mani di Torres dalla spalle, prima quella destra, poi la sinistra:
«Ti ho dato tante nuove possibilità in quest’ultimo anno e tu non l’hai mai capito. Ora basta» fece Morena «Ora basta» e uscì, lasciando che il peso degli errori crollasse addosso al padre di suo figlio.
 
Come al solito Teddy aveva le coperte tirate fin sulla testa, a sbucare era solo una ciocca ingarbugliata di capelli mossi.
Nicolas sorrise e si distese al suo fianco, scostando la piega del piumone per scoprire una parte di viso sul quale posare un bacio, ma la missione si rivelò più difficile di quanto previsto. La sentì mugolare e lui la voltò delicatamente verso di sé, aveva le palpebre abbassate. Le carezzò il volto, studiandolo con attenzione e nonostante lo conoscesse bene gli sembrava di scoprire sempre nuovi particolari, come quel piccolo neo nella tempia, appena visibile:
«Sei stanca?» gli chiese lui, scoprendo ancor di più il suo corpo per adagiare le labbra fra le clavicole. Un nuovo mugugno scaturì dalla gola della ragazza, ma questa volta lui non comprese se era dovuto al sonno o al tocco della bocca sulla sua pelle nuda:
«Si, sono tanto stanca» bisbigliò lei, girandosi però nel suo abbraccio per stringersi meglio a lui, il quale prese a risalire con le dita lungo la linea dei fianchi, su fino al seno e poi di nuovo giù:
«Quanto stanca?» le domandò con una sfumatura di malizia nella voce e quando la vide accennare un sorriso, senza tuttavia aprire gli occhi, fece lo stesso:
«Non così stanca infondo …» concluse Teddy, lasciandosi sopraffare dal sapore della sua bocca dentro la sua e dal peso confortante del suo corpo premuto contro quello proprio, consapevole che quella sarebbe potuta essere l’ultima occasione che avevano di condividere quella notte.
 
«Allora Romero, mi spieghi perché diamine deve venire pure lui?»
«Accidenti Morena!» sbraitò Nicolas alla guida della sua berlina preferita «É il giorno di Natale, non potevo lasciarlo a casa da solo come un cane!»
La ragazza bruna sbuffò rumorosamente e si lasciò scivolare con le spalle contro lo schienale dei sedili posteriori e, non avendo più l’appoggio necessario, Martin cadde all’indietro atterrando sul morbido seno, scoppiando a ridere, credendo che quello scatto improvviso della sua mamma fosse stato voluto per divertirlo.
Teddy scrutò la strada che scorreva alle loro spalle attraverso lo specchietto retrovisore. Vide il viso tondo della sua amica, la fronte corrugata e gli occhi fissi oltre il finestrino, sul panorama di campagne imbiancate dalla neve che aveva continuato a cadere durante la notte, quindi andò oltre, fino alla macchina che li seguiva a ruota.
Da quella distanza non poteva focalizzare appieno le persone che erano al suo interno, ma tanto non ne aveva bisogno. Sapeva che al posto dell’autista c’era Torres (infondo quella era la macchina che si era portato appresso dalla Sardegna), affiancato da Martinez, con Grimilde seduta alle loro spalle.
Quella mattina si erano ritrovati tutti davanti al camino nel soggiorno di casa Romero e dopo un lungo momento di silenzio e imbarazzo, durante il quale nessuno aveva saputo cosa dire per rompere il ghiaccio, fatta eccezione per la ragazza bionda che aveva tentato più e più volte di avviare un discorso, con scarsi risultati, il padrone di casa era balzato in piedi e si era attaccato al telefono. Dopo diversi minuti era tornato, affermando che aveva trovato miracolosamente un ristorante aperto il 25 dicembre.
 
Ed ora eccoli lì, in viaggio verso un paesino a qualche miglia di distanza da Torino, sperso fra le campagne e le case con le canne fumarie a svolgere il loro sporco lavoro.
Il locale si rivelò essere molto più fine ed elegante di quello che si erano aspettati studiando l’ambiente geografico che li aveva circondati lungo il tragitto, con un ampio giardino in cui l’inverno aveva addormentato la vita, ma che in primavera doveva essere un vero e proprio scoppio di colori e cinguettii, alti gazebi in ferro battuto erano coperti da veli e fiocchi di tulle che la brezza smuoveva con delicatezza. Nonostante l’aria gelida l’interno del locale era caldo e accogliente. Sicuramente non rustico e folcloristico come lo era stato il rifugio che Teddy e Nicolas avevano pescato fra le disperse montagne sarde.
Mentre un cameriere li accompagnava lungo una rampa di scale, addobbata per le feste natalizie, Grimilde non smise un attimo di guardarsi attorno estasiata, rimanendo affascinata soprattutto dai grossi lampadari che pendevano dal soffitto in uno sfavillio di luci.
Il loro tavolo era stato apparecchiato nell’angolo più remoto della sala, come aveva chiesto lo stesso Romero al momento della prenotazione. Ben presto scoprirono che i pochi ospiti del locale erano per lo più gente forestiera e di una certa età.
Com’era prevedibile l’atmosfera tornò ad essere più gelida del clima al di fuori di quelle mura, con Morena che si ostinava a tenere gli occhi fissi sul sottopiatto dai bordi decorati che le stava davanti e Diego, sedutogli di fronte, che non la smetteva per un solo istante di distogliere l’attenzione da lei, scattando ogni qual volta chiedeva, a qualsiasi altro che non fosse lui, di passarle ora l’acqua, ora il cestino del pane, ora il sale. Torres a quel punto scattava e le versava l’acqua nel bicchiere, chiedendole se stava bene così, se aveva bisogno d’altro, ma lei si limitava a scuotere il capo o a farfugliare un bisbetico dissenso.
Più volte Teddy fu sul punto di intervenire, di attaccare Diego dicendogli di sedersi, di smetterla di fare avanti e indietro per il tavolo facendo rumore con la sedia ogni volta che balzava in piedi, attirando le occhiate dei presenti, e che così facendo non avrebbe risolto nulla. Morena desiderava un uomo, un vero uomo, non uno che dopo averla ferita dimostrava tutta la sua debolezza atteggiandosi a zerbino. Solo la mano di Nicolas Antonio, che sempre correva a chiudersi sulla propria quando era in procinto di parlare, l’aveva trattenuta.
Nicolas. Guardarlo negli occhi le faceva male, quello stesso sguardo buono e gentile che si infuocava quando erano in intimità. Avrebbe dovuto dirglielo, aspettare ancora avrebbe solo peggiorato la situazione e rimandato l’irrimediabile.
Quella sera, si disse, quella sera gliel’avrebbe detto.
Immersa nei suoi pensieri, sembrò cadere dalle nuvole quando sentì la voce di Torres scusarsi e ancora scusarsi.
Nell’ennesimo scatto repentino per recuperare la brocca del vino, maldestramente rovesciò una goccia sui pantaloni di tessuto di Alexander Martinez. Il più mortificato dei due però sembrava quest’ultimo, messo a disagio dalla raffica di scuse pronunciate da Diego. Alla fine si allontanò verso la toilette lasciando l’amico con le mani a coppa sul viso e le spalle ingobbite.
 
I corridoi erano freddi e vuoti.
Grimilde camminava strofinandosi le braccia con le mani, fermandosi di tanto in tanto per acconciarsi i capelli davanti allo specchio, o controllare la sbavatura del rossetto. Alla fine del corridoio si arrestò, guardando prima l’omino maschio sito sulla porta alla sua sinistra, poi la donnina con il suo triangolo per gonna sulla destra e sorrise, continuando a tenere gli occhi fissi su quell’ultima figura entrò di schiena nella stanza con l’omino, abbassando la maniglia della porta e sgattaiolando all’interno.
Un lungo specchio rifletteva i quattro lavabi sotto di esso e le porte che nascondevano altrettanti bagni sulla parete opposta. Le mattonelle erano a forma romboidale e di colore azzurro. Martinez era intento a lavare via la macchia di vino sulla coscia mancina, ma quando alzò lo sguardo rimase di stucco. Chiuse il rubinetto e le andò incontro, con aria preoccupata:
«Grimi, è successo qualcosa?»
«Io non voglio essere la tua fidanzata!» annunciò di punto in bianco lei e prima che lui potesse aggiungere altro, o che riuscisse a formulare una frase di senso compiuto dato lo shock della rivelazione, la biondina continuò «Non voglio essere la tua fidanzata se questo significa smettere di fare l’amore con te. Io voglio essere la tua migliore amica, la tua confidente, la tua ragazza … ma voglio essere anche la tua amante» la ragazza riprese fiato e le sembrò che Alexander increspasse le labbra in un sorriso «Come posso seguirti in Spagna se non mi sento desiderata? Guardami, Alex, guardami» e si allontanò da lui incamminandosi verso l’interno della stanza, dove aprì le braccia «Io ho solo questo: un bel fisico e un faccino angelico. Nient’altro. Non sono intelligente, non sono saggia, non sono… »
«Tu sei bella e sei anche intelligente. Sul fatto si essere saggia avrei qualche dubbio …» entrambi risero, mentre lui le posava le mani sui fianchi stretti, attirandola a sé «Sei la donna che voglio portare con me a Barcellona perché non sopporto l’idea di allontanarmi da te. Voglio poterti vedere sempre, sentire la tua voce non solo attraverso un apparecchio telefonico e schiavo del fuso orario. Voglio poterti avere ogni volta che ne ho l’occasione …» lentamente la sospinse verso il bordo del lavandino, chinando il viso su quello candido della ragazza «Ad esempio, se ti prendessi in questo bagno mentre i nostri amici ci aspettano di sopra e con il rischio che qualcuno ci scopri, sarebbe troppo molesto secondo te?»
Grimilde sorrise, con il cuore che le batteva a mille nel petto. Non si sentiva così, con quell’ansia e quella voglia di sentire il corpo di Alex dentro quello proprio, da tanto tempo. Forse da quando era tornato in Cile per qualche giorno durante la pausa invernale, dopo che non si erano potuti vedere per mesi e mesi. Solo adesso, con il batticuore e quel senso di eccitazione che si andava espandendo oltre l’ombelico, comprese il motivo per cui Martinez aveva deciso di imporre un freno alle loro notti amorose: per farla sentire esattamente così, desiderata come non mai, voluta nonostante la situazione, in attesa di riaverlo e di sciogliersi fra le sue braccia.
L’atleta cileno non attese la risposta della ragazza bionda, la baciò con frenesia, aiutandola a salire sul bordo di marmo bianco del lavabo, mentre le loro bocche si scontravano, in una lotta fatta di lingue e di respiri umidi, l’uno smanettava per spogliare l’altro.
 
Nulla di nuovo: senza la biondina che teneva banco, la tavolata dei cileni cadde nel silenzio più buio. Si sentiva distintamente il ticchettio delle forchette contro i piatti, mentre Teddy si intestardiva a tenere il capo basso e a tracciare raccordi autostradali fra il purea di spinaci che non aveva neanche toccato. Le cose verdi le facevano impressione da mangiare. Pensava che il verde fosse un colore da indossare, non da mangiare.
Anche Martin sembrava pensarla come lei, visti i capricci e le ore che ci stava mettendo Morena per ficcargli quella pappina verdognola in bocca. Nicolas prese a fargli linguacce per distrarlo e il bambino rise, ma fu una pessima mossa, poiché la sua mamma ne approfittò per scaricargli quella brodaglia melmosa che fu costretto ad ingoiare.
Diego Torres bevve un lungo sorso di buon vino italiano. Si rendeva conto che quel mutismo e quell’imbarazzo tangibile era dovuto a lui e solamente a lui. Doveva rimediare, non era nella sua indole indomita restarsene buono buono senza spiccicar parola. Se Morena non voleva parlargli, non era detto che non poteva farlo con Romero o con la sua … compagna? Fidanzata? Morena gli aveva raccontato tutta la storia da telenovela di quei due, i quali sembravano finalmente essersi ritrovati. Tossì per schiarirsi la gola e far sapere agli astanti che avrebbe detto qualcosa:
«Teddy …» iniziò e lei lo guardò come se si fosse materializzato a quella tavola dal nulla, come se non fosse stato lì finora «Pensi dunque di trasferirti a Torino?»
Martin sputacchiò l’ultima cucchiaiata che Morena gli aveva messo a forza nella bocca, cominciando a piangere quando la sua adorata mamma lo guardò male e iniziò a pulirlo con foga, utilizzando la bavetta e le salviettine imbevute che non mancava mai di portare con sé.
Teddy fu inghiottita dalle vertigini. I suoni si ovattarono, eccetto la voce di Torres che risuonava ancora nella sua testa, forte e chiara. Non era né il momento, né il luogo adatto per affrontare quella discussione, ma si rendeva conto che mentire avrebbe reso la situazione ancor più difficile. Non poteva illudere Nicolas, non lo meritava, soprattutto perché sentì la sua mano calda prendere la propria, fredda e dura come un cubetto di ghiaccio, e portarsela alle labbra per baciarne il dorso. Non osò guardarlo. Non osò guardare il suo sorriso dolce che sicuramente gli aveva illuminato il viso e addolcito lo sguardo. Non osò guadare nessuno in verità.
«Non è semplice …» disse dopo un’eternità «A Santiago ho il lavoro e tante altre …»
Nicolas Antonio mollò la mano che le ricadde in grembo e che si chiuse a pugno. Morena smise di ripulire il suo bambino per piantare due occhi spalancati sull’amica che teneva di fianco, chiedendole in un sussurro cosa diavolo stesse dicendo.
In quel preciso istante Grimilde e Alex tornarono euforici e felici e, con la sua vocina di cristallo, la biondina esordì con un battito di mani:
«Signore e signori … e anche tu bel bambino, abbiamo una comunicazione urgente da farvi!» e ridacchiò insieme a Martinez, poi Nicolas si alzò in piedi, spingendo la sieda con tanto fervore che cadde all’indietro provocando un gran tonfo. I suoi occhi erano più scuri del solito, avevano perso la loro immancabile gentilezza e si posarono su una Teddy a testa bassa come un pugile che ha incassato il colpo di grazia:
«E io che ancora ci credo a certe cose!» disse a denti stretti, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti. Di Morena e Diego perché avevano udito le parole di Teddy, di Grimilde e Alex della cui presenza non si era accorto nessuno.
Nicolas Romero fissò per qualche altro secondo ancora la ragazza castana con la testa abbassata, aspettando di vedergliela alzare per guardarla negli occhi e farle capire quanto astio stava provando per lei in quel momento. Ciò non accadde e a grandi falcate raggiunse l’uscita che portava sul terrazzo del locale.
Morena scosse Teddy per una spalla, chiedendole se per caso non fosse impazzita, ma non ottenne risposta, la vide alzarsi con calma, prendere il giubbotto di pelle marrone di Nicolas e seguirlo nel gelo.
 
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17


 
Al cinema e in televisione il giorno di Natale è il giorno più felice dell’anno. È il momento giusto per riappacificarsi con le persone amate.
E allora perché diamine stava andando tutto alla malora proprio il 25 dicembre?
Da quando Teddy era sparita oltre le porte del locale per risolvere quella situazione – con l’auspicio che la risolvesse nel modo giusto – Grimilde non aveva più aperto bocca. Si era seduta pesantemente sulla sedia e, ascoltando Morena che inveiva contro Diego, era riuscita a comprendere più o meno quello che doveva esser accaduto in sua assenza.
Tutta l’euforia di gridare al mondo (che poi il suo mondo erano le sue amiche) della scelta di seguire Alex a Barcellona, era vacillata in un nano secondo, così come era arrivata. Se Teddy non si sarebbe trasferita in Italia, come aveva creduto fino a quel momento, allora tutto cambiava. Tutto mutava.
Ma davvero la sua amica avrebbe fatto lo stesso errore per la seconda volta?
Possibile, si disse, che non aveva imparato la lezione?
Cos’è che la tratteneva dal vivere i suoi giorni al fianco di Nicolas?
Paura? Patriottismo? Autolesionismo?
Ecco, si disse la biondina, l’ultima opzione sembrava quella più plausibile.
Alzò lo sguardo per posarlo ora su Morena, ora su Torres, mentre lei continuava a dirgli che doveva imparare a tenere la bocca chiusa, che se lui non ci fosse stato, come era normale,  ora starebbero pranzando fra sorrisi e ricordi allegri.
Grimilde sentì la mano di Alex sfiorarle i capelli e si voltò con un’espressione funerea e lesse la paura sul suo viso.
Lo sapeva, Martinez sapeva che la volontà della sua bionda di trasferirsi in Spagna era una diretta conseguenza di quello che avrebbe deciso Teddy. Lo sapeva e adesso tremava al solo pensiero di finire come Romero e la stessa Teddy: due persone che si amavano alla follia, ma che il destino – se vogliamo usare un eufemismo – aveva fatto di tutto per dividere. Ma Alex avrebbe lottato, fino allo stremo se ce ne fosse stato bisogno, per portare Grimilde con sé. Le carezzò il viso e a fior di labbra la baciò, sussurrandole che non sarebbe cambiato nulla, che lei sarebbe comunque andata a vivere a Barcellona. La biondina abbassò lo sguardo senza aggiungere altro, né un sorriso.
 
Morena si alzò in piedi non appena Diego cercò di difendersi e di intraprendere un discorso con lei. A tutti e a nessuno annunciò che aveva bisogno della toilette, sottintendendo che aveva solo bisogno di allontanarsi un attimo per ricaricare le batterie.
Grimilde si avvicinò al piccolo Martin, prendendo a fargli smorfie simpatiche che lui sembrava gradire:
«Non ti sembra il bimbo più bello del mondo?» disse ad un tratto Diego Torres guardando suo figlio con occhi luccicanti, sorprendendo Grimilde che gli era di fronte e Alex, all’altro capo del tavolo. I suoi tentativi di fare conversazione erano da ammirare, ma continuavano ad ottenere pessimi risultati. Senza smettere di giocherellare con Martin e senza guardare Torres, la biondina affermò:
«Non mi piaci» attese qualche secondo sentendo gli occhi dei due pallavolisti cileni su di lei «Non mi sei mai piaciuto. Non credo che tu sia la persona giusta per Morena, né lo sarai mai! Lei merita molto di più di uno come te.»
Diego la fissò a bocca aperta, senza sapere di preciso cosa rispondere. Anzi, lo sapeva, doveva solo trovare il coraggio di ammettere che aveva maledettamente ragione. Chinò il capo e si guardò i pugni:
«Hai ragione» disse poi «So di aver sbagliato tutto ed è per questo motivo che sto cercando di rimediare, ma lei è così ostinata e non mi guarda neanche in faccia. Aiutami, dimmi cosa devo fare» concluse, alzando lo sguardo e cedendo sotto quello di ghiaccio di Grimilde, la quale probabilmente lo stava osservando da un po’, con quell’espressione fra lo schifata e la pena che si proverebbe per un mendicante:
«Aiutarti? Io? Vuoi sapere la prima cosa che ho pensato quando Morena è tornata in Cile? Finalmente, ha lasciato quell’idiota!»
La biondina e Torres si studiarono ancora un po’, come due bestie che stanno per azzannarsi, e se Morena non fosse tornata dal bagno in quel preciso istante, mettendo fine a quell’assurdo siparietto, Martinez era già pronto per intervenire, invece tirò un sospiro di sollievo.
 
Per la prima volta nella sua vita Teddy non rabbrividì per le temperature rigide, nonostante non avesse il giubbino. In realtà non lo sentiva neanche il freddo. Il suo corpo e la sua mente erano troppo concentrati su quello che sarebbe accaduto di lì a qualche minuto e quando vide Nicolas Antonio, al riparo dalla pioggia sotto uno dei tendoni al centro del terrazzo, fece un respiro profondo. Era tempo di affrontarlo e di mettere la parola fine a quella storia.
Alla loro storia, molto più probabilmente. Uscì allo scoperto e corse per raggiungere il prima possibile il rifugio, ma ritrovandosi ad appena un metro da lui ebbe quasi l’impulso di tornare indietro e farsi scivolare l’acqua addosso, così che potesse portare via tutte quelle brutte emozioni. Improvvisamente si ricordò di non aver appresso le sigarette, che aveva lasciato nella borsa che aveva dimenticato a sua volta sul tavolo e il batticuore andò peggiorando.
Nicolas Romero se ne stava con le mani nelle tasche dei jeans, a fissare il panorama plumbeo che si estendeva dinnanzi a lui a perdita d’occhio. Le nubi avevano inghiottito tutto in un quadro spento, smorto, senza vita. Compreso lui stesso. Sentì l’avvicinarsi di Teddy, ma non si girò a guardarla. Non ce la faceva, un sentimento di astio gli bruciava dentro come non mai. Era come se tutto il bene che aveva provato per lei fino a qualche minuto prima si fosse trasformato in risentimento, così, come il capovolgimento di una stessa medaglia.
Testa o croce?
«Ti ho portato il giubbotto» gli disse con un filo di voce porgendoglielo, tuttavia quando non diede segni di volerselo riprendere abbassò il braccio e sospirò, non sapeva neanche da dove iniziare, in ogni caso ci provò «Te ne avrei parlato stasera. Io … io» si passò una mano fra i capelli «Mi dispiace, il fatto è che non riesco a immaginare di dover vivere in un altro posto che non sia Santiago. Io …»
«Entro domani ti voglio fuori da casa mia» la interruppe il ragazzo, il tono così brusco e perentorio che Teddy faticò a riconoscere come veramente suo:
«Vorrei solo spiegarti che …»
«Se vuoi un consiglio comincia già da ora a cercare un biglietto aereo, di questi tempi i voli sono pochi» continuò lui, incamminandosi sotto la pioggia, senza preoccuparsi dell’acqua, allontanandosi da lei che lo seguì con lo sguardo tornare all’interno del ristorante.
Non le aveva neanche dato la possibilità di spiegare le sue ragioni.
 
Nicolas lasciò il locale subito dopo esser tornato dentro, lanciò le chiavi di casa a Martinez che fu costretto a prenderle al volo e poi si allontanò, senza dare spiegazioni. Tornarono indietro con la macchina di Diego, cosa che irritò ancor di più Morena, ma si rese conto che era l’unica soluzione possibile e si sforzò di rimanere zitta.
Dopo aver confabulato a lungo, Alex decise di fare quello che in realtà spettava a Grimilde, ovvero annunciare a Teddy che si sarebbe trasferita a Barcellona con lui. La biondina intervenne dicendo che ancora nulla era sicuro, che era solo un progetto campato in aria. Il problema era che non le andava di lasciare da sola Teddy a Santiago, l’una erano la famiglia dell’altra e i familiari non si abbandonano. Ma la ragazza castana si sforzò di sorridere, abbracciandola forte e dicendole che aveva fatto la cosa giusta:
«E allora perché non fai anche tu la cosa giusta, Teddy?» le aveva chiesto Grimilde ancora stretta a lei «Perché non rimani al fianco di Nicolas?»
In tutta risposta Teddy l’aveva stretta un po’ più forte e nient’altro.
 
Nicolas Romero rientrò in serata e quando nella propria camera trovò Teddy intenta a ficcare le cose nel suo trolley, aspettò in corridoio che avesse finito, con le spalle contro il  muro. Quello che le faceva più male non era il silenzio intestardito, ma il modo in cui la guardava, quelle rare volte che lo faceva. Sembrava un’altra persona, del ragazzo buono e gentile che aveva amato – e che ancora amava – non era rimasto più nulla e la colpa era soltanto sua. Rimase sull’uscio della porta, tirandosi dietro la valigia, mentre lui la oltrepassava per entrare nella camera, fece per dirgli qualcosa ma si ritrovò la porta chiusa in faccia. Forse questo era quello che si meritava, forse era stato già fin troppo compassionevole a lasciarle passare lì la notte.
Preparò velocemente due tazze di tè e si spostò nel salotto, ove vi trovò Diego Torres come aveva immaginato, accoccolato sul divano, sotto una coperta di lana. Quando la vide abbozzò un sorriso di sbieco e si scostò per farla accomodare, accettando di buon grado la bevanda calda. Rimasero in silenzio per un po’, senza distogliere gli occhi dalla valigia di Teddy.
«Eccoci qui. I due reietti» disse lui dopo un po’ e si girò a guardarla «Tu sei ancora in tempo. Ripensaci»
Teddy bevve due sorsi di tè che gli bruciarono lungo la gola. Aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornata su i suoi passi.
«Tu piuttosto! Smettila di fare lo zerbino con Morena. Non ha bisogno di uno schiavetto»
Lui sospirò:
«E cosa dovrei fare? Se provassi a fare quelle sceneggiate amorose mi manderebbe direttamente al diavolo»
«Dille qualcosa di concreto» gli consigliò Teddy senza sapere precisamente perché stesse aiutando quel desgraciado a tornare insieme alla sua amica, quando era stata la prima a scagliarsi contro di lui quella mattina in Sardegna, dopo aver fatto l’amore con Nicolas. Scacciò quei pensieri dalla testa sorseggiando il tè.
La parola “concreto” prese pian piano forma nella mente di Diego, il quale improvvisamente lasciò la sua tazza ancora piena per metà nella mani di Teddy e la ringraziò, balzando dal divano per correre fuori dalla stanza. La ragazza castana rimase così, con la fronte corrugata, sussultando quando lui si riaffacciò per dirle che stava facendo la seconda colossale cazzata della sua vita, avrebbe fatto meglio a cambiare idea e lei capì che Morena gli aveva raccontato le vicende della sua giovinezza.
Poi rimase da sola, con due tazze di tè ancora colme e con un masso, pesante e grigio, sul cuore.
 
Morena era ancora sveglia quando Diego bussò alla porta della sua camera e senza attendere il permesso di entrare, si infilò all’interno chiudendo la porta dietro di sé, facendo attenzione a non svegliare il piccolo Martin.
La ragazza bruna avvampò per la rabbia, andandogli incontro e intimandogli di uscire immediatamente, trattenendosi dall’urlare, ma lui congiunse le mani davanti al viso come se stesse pregando e infatti la supplicò di ascoltarlo solo per un attimo, non voleva litigare, solo parlare.
«Ti prego, mì amor» disse e Morena gli chiese di smetterla di chiamarla con quel nomignolo o non l’avrebbe ascoltato affatto. Lui assentì e quando fece per sfiorarle il viso, gli disse che non avrebbe dovuto neanche toccarla e annuì di nuovo.
«Ho sbagliato» cominciò «Dio solo sa quanto sia stato stupido a ferirti a quel modo e so che rimediare è quasi impossibile, ma c’è lui …» indicò Martin beatamente addormentato sul letto sotto le coperte « … Se non vuoi tornare a casa per me, fallo per lui.»
Morena si voltò indietro a osservare il suo bambino. Anzi, il loro bambino. Quel fagottino rannicchiato che non era altro se non il risultato dell’amore che provava per Diego, o per lo meno aveva provato, perché adesso era tutto confuso: sentimenti, gioie, dolori, rancori.
«Fin dove ti sei spinto con quella?» gli chiese ad un tratto, senza però trovare la forza di guardarlo in faccia e dopo un lungo momento che parve durare anni, lo sentì farfugliare un:
«Mi dispiace …» lei sentì una rabbia irrefrenabile montarle dentro «Rifletti su quello che ti ho detto. Non pretendo il tuo perdono, ma nostro figlio ha il diritto di vivere una vita tranquilla e comune, come tutti gli altri bambini, quindi con una mamma e un papà.»
Non ricevendo risposta Torres sospirò e fece per tornare di sotto, quando lei lo fermò chiedendogli se per caso di sotto ci fosse anche Teddy. Il cileno le confermò che la sua amica era proprio in soggiorno, Morena allora si congedò da lui, affermando che doveva rimanere lì a badare a Martin, quindi uscì dalla stanza.
Giunta in salotto vi trovò Grimilde aggrappata a Teddy come un polipo e in lacrime, mentre la supplicava di restare a Torino con Nicolas o lei non si sarebbe mai potuta perdonare il suo trasferimento in Spagna. Morena si sedette al loro fianco consolando la biondina con tenere carezze e sussurrando a Teddy che era una gran imbécil.
 
 
Teodorita Gomez non ricordava neanche più come ci era arrivata lì.
Anzi, come ci era (ri)tornata.
L’unica cosa che sapeva era che faceva freddo. Tanto freddo. Troppo freddo. Il giubbotto di piume con il cappuccio alzato e i guanti servivano a ben poco. Ma la colpa era sua. Se non fosse stata così freddolosa e intollerante alle temperature al di sotto dei 15° forse non starebbe letteralmente morendo di freddo. Si strofinò le mani e vi soffiò dentro, senza smettere di tremare. Aveva i muscoli dell’addome indolenziti per quanto tempo era rannicchiata e tesa e tremolante. Anche le gambe iniziavano e dolerle, avrebbe dovuto stenderle un po’ ma quando ci aveva provato quel venticello gelido le aveva subito fatto cambiare idea.
Alzati
si disse
sempre meglio che rimanere congelata tutta rattrappita …. Scema! Concluse il suo ego.
Come ci era finita lì?
A tentoni si mise in piedi, muovendo le gambe formicolanti e sbattendo i denti.
Allora? Come ci era finita?
 
Quella mattina era stata la prima a svegliarsi, non che avesse dormito granché a dire il vero, in ogni caso quando aveva aperto gli occhi le sue amiche stavano ancora ronfando, tutte strette e in posizioni che avrebbero fatto invidia ad un contorsionista. Si era alzata piano, osservandole dall’alto.
Grimilde, i suoi capelli biondi e la pelle lattiginosa. La prima volta che l’aveva vista erano della bambine tutte emozionate per il primo giorno di scuola. Fra tutti quei bambini Teddy era stata attratta da una in particolare, bionda e bianca, che spiccava contro un muro di pelle scura. Lo zaino era tre volte più grande di quella bambina con la testa china e la manina nascosta in quella grossa di un uomo vestito per bene, affascinante, ma che non aveva neanche un tratto somatico in associazione con quella piccolina. Teddy avrebbe scoperto più in là negli anni che quell’uomo era suo padre, poiché suo madre era già andata via, lontana da quel Paese e quella gente (suo marito e la famiglia di quest’ultimo) che non l’aveva mai compresa.
Teddy e Grimilde non scambiarono una sola parola fino al primo giorno di scuola secondaria, quando quella ragazzina entrò nella sua stessa classe, lo zaino troppo grande per lei, i capelli biondi e lunghi. Il problema di Grimilde era che attirava le simpatie dei maschi e le antipatie delle femmine. Ma non la sua. Teddy non riuscì mai a spiegarsi cos’era che l’attirava di quella ragazzina così diversa da lei e dall’amica di sempre, quella di una vita, ovvero Morena, fatto sta che d’istinto aveva alzato un braccio per attirare la sua attenzione e farle segno che lì di fianco a lei c’era un posto libero.
Grimilde aveva sorriso, un sorriso smagliante, l’aveva raggiunta trotterellando e l’aveva abbracciata, ringraziandola, poi si era seduta, tirando i capelli indietro e aveva preso a parlare.
E non aveva smesso in quasi vent’anni di amicizia.
E ora si sarebbe trasferita in Spagna, perché nonostante Grimilde era cresciuta con suo padre e i suoi nonni paterni, lei era come sua madre.
Il Cile non l’aveva mai compresa, o forse era stata lei a non comprenderlo.
Con Morena le cose erano andate diversamente. Le loro famiglie erano amici di vecchia data, le loro mamme erano state compagne prima che lo diventassero le figlie e affezionarsi a quella bimbetta tonda, con i codini e il musino sempre un po’ imbronciato, era stato facile per Teddy. Un po’ meno facile farle capire che lei non era inferiore a nessuno, che era bella con tutti quelli che lei definiva difetti estetici. Aveva creduto che Diego Torres avrebbe cancellato tutte quelle insicurezze e invece temeva che non aveva fatto altro che ampliarle e rafforzarle.
Le aveva osservate addormentate e apparentemente rilassate, poi si era fatta un caffè e si era buttata sotto la doccia, muovendosi come un robot, come se non fosse lei quella che si stava preparando a dire addio all’amore della sua vita.
Già, proprio lui. Nicolas Antonio Romero.
Come dimenticare la prima volta che si era accorta di lui? Che si era veramente accorta di lui …
Fino a quel momento non si era mai innamorata, non aveva mai provato quelle famose e internazionali “farfalle nello stomaco”, quella sensazione di batticuore e di panico fuse insieme, così difficili da definire.
Era accaduto durante il primo match del torneo di calcetto organizzato dall’istituto. La sua classe contro quella di Nicolas. Teddy vi aveva assistito con un libro di letteratura aperto sulle ginocchia, le urla dei tifosi nelle orecchie (e in particolare la voce di Grimilde che si era momentaneamente trasformata in capo ultras per l’occasione) e Morena che borbottava al suo fianco, con la calcolatrice e un problema di geometria sui poliedri da risolvere.
Quando gli studenti presenti sugli spalti erano esplosi in un boato di insulti reciprochi, Teddy aveva alzato lo sguardo e aveva assistito ad una scena che rasentava il comico: l’arbitro era fra due giovani calciatori impegnato a dividerli, uno era Romero, l’altro il suo compagno di classe Felipe che con le braccia allungate tentava di prendere il pallone dalle mani di Nicolas, il quale se la rideva sotto i baffi. La situazione era degenerata quando Romero gli aveva fatto l’ occhiolino, inviandoli un bacio con le dita. Felipe a quel punto era diventato paonazzo e all’arbitro non era rimasto che cacciare il cartellino rosso  e mandarlo negli spogliatoi, limitandosi ad ammonire Nicolas, cosa che aveva destato la rabbia della classe di Teddy che era rimasta ad osservare l’intera scena, sentendosi strana. Poi quel ragazzino insolente si era voltato nella sua direzione, posizionandosi oltre la linea bianca di bordo campo per effettuare la rimessa laterale, ed era stato in quel momento che si erano guardati, lui con quel ghigno che gli increspava le labbra, lei assolutamente di cera ma con il cuore impazzito nel petto e un improvviso senso di calore che le era salito fino alle guance. Nicolas Antonio aveva allargato quel sorrisino beffardo, le aveva strizzato l’occhio e le aveva dato le spalle per rimettere la palla in gioco.
Grimilde era saltata sul posto, iniziando a gridare che le aveva fatto l’occhiolino, che lei gli piaceva, Teddy era tornata con gli occhi sul libro minimizzando l’accaduto, mentre Morena cominciava con i suoi personalissimi insulti verso quello che lei definiva un “delinquentello”.
Dopo nemmeno una settimana Nicolas l’avrebbe baciata ad un falò, in riva al mare, con le stelle e la luna a fare da testimoni silenti.
 
Quel ricordo la fece sorridere, ma allo stesso tempo le si formò un magone. Aveva chiuso gli occhi e si era immersa sotto l’acqua calda. Quando era uscita dal bagno aveva trovato Morena e Nicolas intenti a parlare davanti la stanza in cui Martin stava dormendo in compagnia di suo padre. La ragazza bruna le aveva lanciato uno sguardo veloce e poi era sparita oltre la porta, lasciandoli soli. Romero aveva preso a scendere le scale, ma Teddy l’aveva fermato:
«Sto andando via» gli aveva detto
«Bene»
«Potremmo almeno … che so, salutarci?» aveva proseguito lei, seguendolo lungo la rampa:
«Si, certo» lui era entrato nel soggiorno e si era voltato a guardarla «Adios» e le aveva sbattuto la porta in faccia, contro la quale Teddy aveva mollato uno schiaffo a palmo aperto:
«Vorrei solo spiegarti le mie ragioni, Nicolas! Ti prego»
Il pallavolista cileno si era puntellato con la schiena contro la porta, accorgendosi solo in un secondo momento che Alex e Grimilde erano sul divano, ad osservarlo dispiaciuti e in evidente imbarazzo, quando la biondina si era alzata, lui le aveva fatto segno di stare in silenzio, nel frattempo Teddy continuava il suo monologo:
«Se vado via è perché questo non è il mio Paese. Non è qui la mia vita, il mio lavoro, i miei bambini della scuola che mi aspettano per parlare insieme delle feste di Natale. Ho una pessima capacità di adattamento e dovresti saperlo» tentò di girare la maniglia, ma questa fece resistenza, evidentemente lui la stava trattenendo dall’altra parte «Ti prego, Nicolas, aprimi. Ti prego.»
 
Entrando nella camera da letto ancora in penombra poiché le tende erano tirate e le tapparelle chiuse, Morena aveva sbirciato innanzitutto il suo bambino addormentato con la stessa sputata espressione un po’ corrucciata del padre.
Ne aveva bisogno, più di lei. Quel piccoletto aveva bisogno di una figura maschile nella sua vita, ma non di una qualsiasi, bensì di suo padre, il suo stesso sangue che lo amava come mai nessuno avrebbe fatto.
Diego Torres si era svegliato e a stento aveva trattenuto un gridolino vedendola lì, in piedi e con le braccia conserte a fissarlo. Aveva chiesto che ore fossero, ma la risposta non era mai giunta:
«Martin ha bisogno di te, perché anche se sei un emerito rincretinito, sei pur sempre suo padre» aveva atteso qualche secondo prima di continuare «Tornerò a Cagliari» e allora Diego era balzato dal letto per abbracciarla, ma Morena aveva fatto un passo indietro «A patto che tu vada via di casa» il sorriso era svanito dal volto di lui:
«In che senso? E dove dovrei andare?»
«Questi sono fatti tuoi. Una cosa è sicura: non dormirò sotto il tuo stesso tetto» Torres aveva aperto la bocca per cercare di farla ragionare, invano «E vestiti, in mutande sei tutt’altro che sensuale e anche perché dobbiamo accompagnare Teddy all’aeroporto» Diego aveva alzato gli occhi dalle sue mutande di cotone bianco udendo quelle ultime parole:
«Allora non ha cambiato idea?»
«No» aveva risposto Morena avviandosi verso l’uscita «A quanto pare sono circondata da imbéciles» e aveva sbattuto la porta.
 
Tutto quello che era accaduto nelle ore successive si era susseguito in maniera così repentina e confusionaria che la stessa Teddy faceva fatica a riordinare.
Nel grigiore del mattino aveva atteso fino alla fine che Nicolas uscisse dalla sua stanza per salutarla, dirle qualcosa, qualsiasi cosa, poi quando Grimilde le aveva toccato il braccio e sussurrato che lui non c’era, che era uscito di casa in tuta e con l’i-pod, aveva avuto la certezza che non l’avrebbe visto.
All’aeroporto di Milano il suo già fragile autocontrollo si era spappolato. In silenzio aveva seguito le sue amiche qualche passo più indietro, trascinandosi il trolley che pesava come un macigno.
«Non ce la faccio» aveva detto ad un certo punto fermandosi e attirando l’attenzione delle due ragazze poco più avanti. Teddy aveva tenuto gli occhi fissi sul pavimento «Non posso lasciarlo di nuovo, questa volta non ne uscirei viva» la sua voce era stata incrinata dalle lacrime e ansimante come un malato di asma.
«Oh grazie al cielo!» aveva esclamato Grimilde stringendola forte
«Ma come facciamo? L’aereo parte fra poco» aveva proseguito Morena, quando Diego si era fatto avanti, sorridente come non mai:
«L’accompagniamo indietro»
«La tua macchina è sull’aereo per Roma» gli aveva ricordato Morena, ma lui non si era arreso, affermando che se la sarebbe fatta ridare, loro tre (lui, Morena e Martin) sarebbero potuti andare a Roma in auto e da lì si sarebbero imbarcati per la Sardegna.
Gli unici a salire su quell’aereo diretto per la capitale erano stati Martinez e la biondina, il cui programma dei prossimi giorni era proprio quello di visitare la Città Eterna prima di tornare in Cile, dove Grimilde avrebbe impacchettato le sue cose per la nuova avventura in Spagna.
I saluti erano stati veloci e non c’era stato tempo per le lacrime, se non per quelle mute.
 
Teddy aveva bussato tante di quelle volte al campanello e alla porta che le nocche della mano destra le facevano male. Si era rassegnata al fatto che lui non fosse ancora tornato e a poco a poco lo sconforto e il freddo avevano avuto la meglio, facendola raggomitolare nell’angolo della porta d’ingresso, fino a trascinarla in un sonno profondo e inquieto.
 
Nicolas Romero rientrò in serata, con la tuta zuppa di neve e ancora la sua musica preferita che strimpellava dagli auricolari. Quando vide quell’ombra rannicchiata davanti casa sua sbuffò, credendo che fosse di nuovo Carlo ubriaco fradicio, invece era Teddy e il suo cuore, che pulsava come un matto per la corsa, mancò un battito.
Si inginocchiò, chiamandola e scuotendola con delicatezza, accorgendosi che il suo corpo  emanava un insolito calore, mentre gli si accasciava ai suoi piedi.
Allora provò quasi terrore:
«Cazzo, Teddy! Cazzo, cazzo, cazzo!» la prese in braccio ed entrò in casa.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 18 ***


Salve a tutte! Io davvero non so come scusarmi con tutte voi che seguite questa FF, dopo quasi un mese ce l'ho fatta ad aggiornare, e pensare che siamo oramai alla fine (infatti manca un solo capitolo dopo questo). Quindi non posso che chiedere perdono, non ci sono alibi che tengono, solo vi auguro buona lettura. Nina 
 



Capitolo 18

 
Il web dava diversi consigli per abbassare velocemente la febbre alta, prima che arrivasse al cervello e lo friggesse – questo era il termine usato in un blog e leggendolo Nicolas si mobilitò immediatamente per evitare che il cervello di Teddy friggesse come un involtino primavera. La maggior parte dei rimedi che Google riportava erano ovviamente rimedi naturali: bollire la corteccia di salice bianco; fare un miscuglio di olio d’oliva e aglio; miscelare cinque tappi di aceto di vino bianco e due di acqua; patate; cipolle e quant’altro. Ma lui non era un erborista, né un cuoco e a malapena riusciva a distinguere l’aglio dalla cipolla, figuriamoci tutto il resto.
Teddy se ne stava distesa sul divano, ogni tanto mugolava qualcosa dal fondo della gola, agitandosi. Nicolas allora le si accostava e le carezzava la fronte bollente, scostandole i capelli umidicci che si erano appiccicati sul viso, sussurrandole di stare tranquilla, che lui era lì. Quando aveva letto che il febbricitante aveva bisogno di tutto, tranne che del caldo, aveva spento i caloriferi e, proprio come suggeriva quella pagina web, l’aveva spogliata restandola in biancheria intima e coprendola con lenzuola bianche di cotone, combattendo contro la volontà della ragazza di rifiutare ogni tocco.
Nicolas Antonio aveva anche l’impressione che non l’avesse riconosciuto.
L’unica cura che gli parve più semplice da effettuare fu quella dei panni bagnati in acqua tiepida e alcool. Velocemente tagliò alcune strisce rettangolari strappando vecchie fodere di puro cotone, riempì una ciotola d’acqua più fredda che calda e vi gettò dentro un bicchiere di spirito, adagiandola sul pavimento vicino al divano. Vi inzuppò i rettangoli di stoffa, strizzandoli per bene prima di prendere a strofinarli sull’intero corpo di Teddy, tremolante e con la pelle d’oca. Iniziò dal viso, tenendole fermi i polsi con una mano per evitare che lo colpisse e l’iniziativa si rivelò provvidenziale. Poi scese lungo il collo e il seno, prima di prendere un nuovo pezzo di tessuto. Nel frattempo provò a parlarle:
«Teddy che ci fai qui?»
E lei scoppiò in lacrime, cosa che lo spaventò perché inaspettata. Piangeva disperata:
«Se n’è andato» farfugliò «Se n’è andato e non tornerà più» ancora disperazione nella sua voce e quando questa volta cercò di liberarsi dalla presa di Romero che le teneva i polsi, lui la lasciò per consentirle di coprirsi il volto con le mani:
«Chi se n’è andato Teddy?»
«Nicolas se n’è andato via, lontano, in Europa, e non lo rivedrò più»
Allora il ragazzo capì che stava rivivendo un momento del passato, senza rendersi conto di dov’era realmente, dimentica di tutto quello che era accaduto in quegli anni che li aveva visti lontani e poi di nuovo ricongiunti. Teddy fece per alzarsi, scostandosi le lenzuola dal corpo, ma lui la fermò, aiutandola a mettersi seduta, mentre lo guardava con occhi che sembrava lontani anni luce:
«Avrei dovuto seguirlo?» continuò lei «Sarei dovuta andare in Germania con lui, vero Morena?»
Romero corrugò la fronte: essere scambiati per Morena dalla ragazza che adorava non era il massimo, il suo unico e credibile alibi era la febbre da cavallo e glielo fece passare come buono, trattenendo un sorrisino e l’impulso di accarezzarle il volto rigato di lacrime:
«Si, avresti dovuto» le rispose e Teddy scoppiò nuovamente in un pianto dirotto, mentre cercava di mettersi in piedi respingendo le braccia di lui che tentavano di trattenerla:
«Devo andare …» disse «Forse riesco ancora a raggiungerlo all’aeroporto …» si arrestò di colpo «Perché sono in mutande?» fu l’ultima frase che riuscì a formulare, prima di roteare gli occhi al soffitto e accasciarsi sulle proprie gambe.
Di nuovo Nicolas la sorresse e la sdraiò sul divano, tirandole le coperte sul corpo e riprendendo a lavarla con i rettangoli di cotone impregnati di acqua e alcool per far diminuire la temperatura.
 
Quando Teddy sollevò le palpebre era ormai notte inoltrata. A svegliarla era stato il freddo -ancora quel maledettissimo freddo – che la faceva tremare tutta. L’unica fonte di luce proveniva dai lampioni fuori la strada, così arancioni che filtravano attraverso le tende chiuse. Si ritrovò a fissare le ombre sul soffitto, grandi e minacciose, mentre nella sua mente nascevano i primi ricordi di quella giornata: Nicolas che non le parlava da quando gli aveva confessato che sarebbe tornata in Cile; l’aeroporto e le sue amiche; il pensiero angosciante di lasciarlo nuovamente; l’abbraccio di Grimilde; la corsa in auto con Morena e Diego; la sensazione di sollievo di trovarsi davanti casa di Nicolas, dove però lui non c’era. L’attesa all’addiaccio e poi … poi …
I suoi ricordi finivano lì, sepolti sotto una fitta coltre di nebbia grigia. Sentì una sorta di paura montarle dentro: dov’era lui? Nicolas, dov’era?
Fece per mettersi seduta ma sentì qualcosa schioccare lungo la spina dorsale e la testa volteggiarle come una danzatrice di pattinaggio sul ghiaccio, date le temperature le parve un ottima similitudine.
Poi lo vide e si rilassò.
Lui dormiva sul tappeto ai piedi del divano,  raggomitolato sotto un ampio piumone da cui spuntava solo l’ombra della testa. Teddy fu tentata di svegliarlo, di dirgli che era tornata per stare con lui, ansiosa di vedere la felicità affiorare sul suo volto, invece sgattaiolò al suo fianco, lasciandosi riscaldare dal calore della coperta e, soprattutto, da quello del suo corpo, prendendo un braccio per avvolgerselo intorno alla vita.
Ciò che non sapeva era che lui era sveglio.
 
La terza volta che Teddy riaprì gli occhi fuori era giorno, finalmente dalle nuvole filtrava un raggio di sole, seppur debole, e le parve di sentire il cinguettio di qualche uccello. Di nuovo fu costretta a riordinare le idee e spiegarsi il motivo per cui si trovava sul tappeto, con un piumone attorcigliato addosso. Si mise a sedere, i capelli scompigliati e gli occhi appannati dal sonno e da chi ha avuto la febbre a quaranta. Molto probabilmente i caloriferi erano stati accesi perché l’aria era meno fredda di come la ricordava.
Nicolas Antonio Romero era appoggiato contro lo stipite della porta, le braccia conserte e un’espressione seria dipinta sul volto. La fissava come si farebbe con un estraneo che si scopre d’improvviso dormire in casa tua senza invito. Lei si alzò, abbozzando un sorriso e trattenendo la coperta intorno al corpo, dopo qualche passo lui allungò una mano e le porse un foglietto. Il sorriso svanì dalle labbra della ragazza. Non era un foglio, era un biglietto:
«Che significa?» gli chiese e lui le rispose senza guardarla negli occhi:
«Sono riuscito a modificare il biglietto aereo, così non ne dovrai fare uno nuovo» Teddy scosse il capo con lentezza, non poteva essere vero, non poteva davvero dirle quelle cose. Forse stava ancora dormendo.
«Il tuo volo è oggi alle 16, con scalo a Parigi. La maggior parte dei voli transoceanici fanno scalo a Parigi. Se vuoi posso accompagnarti fino a là, il confine non è lontano …»
«Vuoi mandarmi via?» disse lei con voce che rasentava l’isteria. Sicuramente stava ancora dormendo «Vuoi davvero mettermi su un aereo e rispedirmi indietro?»
«Sei stata tu a dirmi che volevi tornare a casa o sbaglio?»
«Si, è vero, ma adesso io sono qua, proprio davanti a te, sono tornata da te e tu cosa fai? Ti preoccupi di recuperare il mio biglietto aereo?»
«Tu credi di poter fare sempre quello che vuoi» iniziò il cileno, all’apparenza sembrava il più tranquillo dei due «Decidi di andare, poi di tornare e magari domani vorrai di nuovo partire …»
«Sono tornata per stare con te!»
«E quando hai deciso che saresti andata via, prima o dopo che siamo stati insieme mentre ci sussurravamo che ci appartenevamo?»
Teddy indietreggiò come se quell’ultima frase, quell’ultimo appartenevamo al passato, fosse stato un proiettile che l’avesse colpita, dritto a l cuore.
«Ma di cosa mi meraviglio ancora? Mi pare di avertelo già detto: tu non sai amare» il tono del pallavolista si era fatto più cinico, più pungente, posò il biglietto dell’aereo sul tavolo, dove avevano cenato tutti insieme e quando ancora credeva che finalmente lui e Teddy avessero trovato la felicità, prima di rivolgersi di nuovo a lei che se ne stava a testa bassa «In cucina ti ho lasciato dell’antibiotico, ho chiesto consulto al mio medico, tranquilla non mi sono improvvisato dottore, prima però misurati la temperatura. Poi vestiti, ti accompagno a Parigi»
«E se avessi la febbre?»
Nicolas parve ponderare la sua prossima risposta:
«Allora la misurerai davanti a me» girò i tacchi e andò di sopra.
 
Teddy strinse i pugni e si morsicò il labbro inferiore, sempre tenendo su il piumone e, attenta a non inciamparvi dentro, lo seguì a grandi falcate, dopo aver recuperato il biglietto dalla superficie liscia del tavolo. In altre circostanze la sua andatura sarebbe stata buffa, ma in quel momento aveva solo l’aria di una persona costernata, afflitta:
«Io non me ne vado!» quasi gridò, poi lo vide sospirare e tornare a guardarla:
«Teddy, davvero, va’ a prepararti o rischi di perdere il volo»
«Ho detto che non me ne vado!» e davanti ai suoi occhi strappò il foglio di sola andata per il rimpatrio «Non voglio andare a Parigi o chissà dove …» si accostò e lo guardò dal basso «… voglio rimanere con te»
«Ma questo non è il tuo Paese, non è la tua terra, non ci sono i tuoi bambini della scuola, né il tuo mare ...» si arrestò quando lei gli carezzò la parte destra del viso con la punta delle dita, avvertendo i polpastrelli freddi sulla barbetta pungente e ispida, lentamente sentì il suo palmo scivolare alla base della nuca e fu come se una scossa elettrica gli attraversasse la schiena.
 
Senza smettere di studiare il suo volto, lottando per non sprofondare nell’oscurità dei suoi occhi, Teddy lo attirò a sé e schiacciò le labbra contro le sue:
«Sei tu il mio Paese, la mia terra, il mio mare e io non voglio più sentirmi una straniera»
«Te ne andrai di nuovo» aggiunse lui affondando le braccia nella morbida coperta, più o meno all’altezza della vita, per chiuderla in un abbraccio a mo’ di fagotto:
«Solo se dovessi morire» Teddy seguì i movimenti di Nicolas Antonio come se fosse stata una bambola, inginocchiandosi con lui sul pavimento e stendendo il piumone dietro di sé, permettendogli così di sdraiarla e coprirla con il suo corpo:
«E poiché tu sei eterna …»
« … staremo insieme per sempre» finì la frase per lui, sorridendosi a vicenda.
 
Romero la baciò una volta, sfiorandole appena le labbra, poi una seconda, assaporando un po’  del suo sapore, benché lo conoscesse a memoria, infine rapì la sua bocca, fondendo i loro profumi, i lori gusti, i loro respiri. Discese lungo il collo, soffermandosi sulle clavicole, fino alla sporgenza dei seni. Teddy lo spogliò della maglia, aggrappandosi con le braccia alla sua schiena nuda, sentendo i muscoli lavorare per lei, poi iniziò ad armeggiare con l’elastico dei pantaloni di tuta:
«Aspetta, aspetta» disse lui d’un tratto, scostandosi dalla ragazza che lo fissò stralunata e intontita «Prima devi misurarti la febbre.»
Teddy si sporse nuovamente verso il suo corpo bruno e definito, cercando le sue labbra, senza prendere troppo sul serio le parole del ragazzo sghignazzò:
«Certo, non appena avremo finito …»
«No, ora» si allontanò e tornò dopo poco con il termometro elettronico, porgendoglielo «Ci vorranno due minuti» la ragazza incrociò gambe e braccia, seduta al centro del piumone, mettendo il muso «Non fare storie! Sono responsabile di te e della tua salute, quindi muoviti!»
«Altrimenti?»
Lui si chinò per parlarle a una spanna dal viso, baciandogli ora una guancia, ora l’altra, guardandola dritto negli occhi:
«Altrimenti non ci sarà un “dopo”»
Teddy sbuffò, come una bambina che non vuole andare a scuola e fa i capricci, ma lo fece, gli obbedì … altrimenti non ci sarebbe stato un “dopo” e sapeva che Nicolas Romero era un uomo di parola.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 19 - Epilogo ***


 Epilogo
Stavolta sia per sempre



 
«Sono la sposa più brutta del mondo!»
Grimilde guardò la sua amica Morena dal basso, con uno spillo all’angolo della bocca a mo’ di sigaretta e le mani occupate a sistemare l’orlo dell’abito bianco che, nonostante le modifiche, continuava a farla inciampare.
O forse inciampava perché non era abituata a portare scarpe coi tacchi. In ogni caso, bisognava evitare che rotolasse sul tappeto davanti a tutti gli invitati e a Nicolas Romero che non avrebbe smesso di prenderla in giro neanche fra cento anni.
«Suei l’uonica spuosa capuace dui deprimuersi il giuorno del suo muatrimuonio» le disse la biondina e Morena la guardò, inginocchiata ai suoi piedi:
«Che hai detto?»
«Lascia stare» continuò Grimilde inserendo l’ultimo spillo che teneva stretto fra le labbra e tornando in posizione eretta prese a sistemarle i boccoli sulle spalle:
«Posso sedermi?» chiese la sposa, stanca di fissare la sua figura allo specchio. Fosse stato per lei la cerimonia nuziale si sarebbe conclusa qualche giorno prima nella sala del sindaco di Santiago, ma sua madre era una vecchio stampo e avrebbe venduto l’anima al diavolo pur di vedere la sua unica figlia femmina sfilare lungo la navata della chiesa con indosso un ridicolo abito bianco di tulle e pizzo.
«No Morena, non puoi sederti! Ti si stropiccia il didietro del vestito» le fece notare la biondina come se le avesse chiesto una cosa assurda
«Ma io sono stanca» si lamentò ancora la ragazza bruna, la cui pelle abbronzata risaltava contro il candore dell’abito
«É il tuo matrimonio, devi essere stanca!» esclamò infine Grimilde, iniziando ad essere seriamente preoccupata per il ritardo di Teddy che avrebbe dovuto portare le fedi nuziali.
Di soppiatto controllò il cellulare, attenta a non farsi scorgere da Morena, già abbastanza in ansia per quel giorno. Lo schermo dell’I-phone mostrava solamente la foto che aveva scelto di impostare come sfondo, la quale ritraeva lei e Martinez immersi in un panorama mozzafiato, scattata durante uno dei loro viaggi in Europa. Anche se quel tramonto alle spalle dei due soggetti sorridenti le sembrava che fosse quello del Cile.
Sicuramente era quello del Cile.
Dopo alcuni mesi di convivenza Grimilde aveva supplicato Alex di portarla nella terra natia di sua madre, l’Irlanda, e lui ovviamente l’aveva accontentata. La biondina era rimasta affascinata da quelle immense colline verdi che si estendevano a perdita d’occhio, fino a fondersi con un cielo azzurrissimo e un sole molto giallo, ma freddo. Era rimasta affascinata dalla flora e dalla fauna del luogo, molto meno dalla gente scostante e sempre imbronciata, o ubriaca di birra già alle dieci di mattina. Non si era riconosciuta in loro, non avevano nulla della sua allegria, della sua spensieratezza, del suo ottimismo e allora aveva capito che da sua madre aveva ereditato solo il gene fisico. Tutto il resto apparteneva a suo padre e al mondo del sud, a quello latino. Per la prima volta si era sentita parte del Cile e ne era stata felice.
É proprio vero, aveva pensato durante il viaggio di ritorno dall’Irlanda, alcune cose bisogna perderle per capire appieno il loro valore e quanto ci teniamo.
 
La porta della stanza si aprì e Teddy ne fece capolino con le chiavi ficcate in bocca, una mano occupata a sorreggere il sudario del suo abito da damigella e nell’altra diverse borse. Si chiuse la porta alle spalle con un colpo di tacco, sputando le chiavi sul letto, mentre le sue amiche la fissavano a bocca aperta, l’unica cosa in ordine in lei erano i capelli, raccolti in una treccia che le ricadeva fin oltre il seno destro.
«Scusate scusate scusate» adagiò il vestito chiuso nel porta abito sul letto e porse il resto delle borse a Grimilde che le prese assottigliando gli occhi azzurri «C’era traffico e …»
«Odori di sesso» disse la ragazza bionda senza neanche un’ombra di sorriso sul viso e l’ultima arrivata avvampò, prendendo a farfugliare
«Incredibile!» sbottò Morena a braccia aperte «Hai fatto tardi il giorno del mio matrimonio per … per …»
« … fare sesso» finì la frase per lei la biondina, con già addosso l’abito da cerimonia, identico a quello che Teddy stava sfruttando per nascondere la sua espressione imbarazzata:
«Ma smettetela!» esclamò, poi si chiuse in bagno, ridacchiando e scuotendo il capo ora che era lontana dagli sguardi indagatori delle sue compagne.
Quella di festeggiare il matrimonio al resort dove tutto era cominciato anni prima (il rincontro tra lei e Nicolas, il colpo di fulmine Diego e Morena, il vortice passionale tra Grimilde e Alex) era stata un’idea dello sposo ed era logico che Teddy e Romero avessero voluto finire quello che avevano lasciato in sospeso nella medesima camera d’albergo, quando solo una fotografia e una verità omessa l’avevano fermata. No, non era stato il pensiero di Marcelo o del suo matrimonio imminente, anzi fra le braccia di Nicolas aveva addirittura dimenticato quel piccolo particolare …
«Martin dov’è?» il tocco di Morena sulla porta del bagno e la sua voce la fecero sussultare. Rispose semplicemente che era con i ragazzi.
 
Martin rise e corse traballante fino a raggiungere il pallone, con le sue gambette corte e grassocce, tentò di dargli un calcio ma finì con il sedere sul pavimento, tuttavia non pianse, ad attutire il colpo c’era il pannolino. Si rialzò, incoraggiato dagli incitamenti di Alexander e questa volta riuscì a calciare la palla che rotolò fino all’atleta cileno. Il bimbo gli si avvicinò, cominciando ad arrabbiarsi perché non riusciva a sottrargli il pallone che Martinez muoveva velocemente a destra e a sinistra fra i piedi:
«Palla, palla!» disse Martin con la sua vocina infantile, ma Alex non sembrava intenzionato a ridargliela.
Diego Torres osservò la scena riflessa allo specchio, divertito, mentre Nicolas gli aggiustava la cravatta che proprio non voleva stare dritta. Nonostante l’aria condizionata, lo sposo sudava e già diverse volte era andato a rinfrescarsi il viso.
Forse Morena aveva avuto ragione – e quando mai! pensò – quando gli aveva detto che sarebbe stato meglio sposarsi in primavera o in autunno, piuttosto che in estate con 35° all’ombra.
Solo un anno fa sembrava che loro due non avrebbero più avuto chance, non avrebbero avuto un futuro insieme, e invece tra qualche ora sarebbero stati marito e moglie.
Tornati in Sardegna si era fatto come aveva deciso lei e a nulla erano valse le scuse e i ti chiedo perdono di Diego per restare sotto lo stesso tetto; il giorno dopo le sue valigie erano già pronte e dopo qualche mese di soggiorno in hotel, aveva deciso che era meglio fittare un appartamento, non lontano dalla casa – la sua casa – in cui vivevano Morena e Martin.
Ogni pomeriggio, dopo gli allenamenti, passava a far loro visita, portando un giocattolo nuovo a suo figlio e un regalo qualsiasi (fiori, gioielli, borse, scarpe, abiti) a lei, la quale gli disse di smetterla di sprecare tutti quei soldi, non le serviva niente. Talvolta prendeva Martin e lo portava a fare una passeggiata, appuntamento a cui Morena non aveva mai presenziato.
Poi una sera si era presentato con la cena e sebbene Morena si era rifiutata di mangiare in sua compagnia, non aveva resistito ai ravioli di carne e scettica si era seduta al tavolo, ma al lato opposto al suo. Avevano mangiato in silenzio, eppure Torres aveva tenuto il sorriso per tutto il tempo e lei lo aveva ammonito, dicendo che non c’era nulla di divertente. La sera dopo si era presentato con le pizze, quella dopo ancora con piatti tipici sardi e così via, fino a quando la ragazza non gli aveva fatto trovare la cena pronta, borbottando che se continuava così avrebbe ripreso tutti i chili persi nei mesi precedenti per colpa sua. La frase era rimasta sospesa nell’aria, la realtà della sua scappatella aveva aleggiato per un po’, poi si erano seduti a tavola, con Martin nel seggiolone, ed erano sembrati una vera famiglia, fino a quando lui non era tornato nell’appartamento in affitto.
La stessa trafila era andata avanti per settimane, Diego aveva cominciato ad avvicinarla con tocchi leggeri, facendoli sembrare casuali: un tocco di mano quando gli porgeva il piatto, lo sfiorare dei capelli quando prendeva Martin dalle sue braccia, un bacio fuggevole all’angolo della bocca quando andava via. Ignorando le sue richieste di non farle più regali inutili e insensati, Torres le aveva portato l’ultimo film del suo attore cileno preferito che non avrebbe mai trovato in Italia e per poco Morena non gli era saltata al collo. Dopo aver messo a letto Martin Diego non era andato via, l’aveva aspettata sul divano e con il DVD del film inserito nel lettore per vederlo insieme. La ragazza bruna non aveva protestato, si era seduta al lato opposto al suo e in silenzio avevano guardato la pellicola. Il problema era sorto durante una specie di riappacificazione fra l’attore protagonista e la co-protagonista che si era conclusa con un dolce bacio e, ovviamente, sotto le coperte. Torres era scivolato verso di lei, prendendo a baciarle il collo e sussurrandole di volerla, di desiderarla fortemente, mentre lei lo allontanava e gli diceva di smetterla, ma lui non l’aveva ascoltata e per farla stare zitta l’aveva baciata, mantenendole le mani dietro la schiena affinché non lo respingesse. Alla fine avevano fatto l’amore ed era stato durante quel lasso di tempo che lui le aveva chiesto di sposarlo.
 
Teddy entrò nella stanza e quasi le venne un infarto vedendo Martin rotolarsi sul pavimento e sganasciarsi dalle risate mentre Martinez gli solleticava la pancia. Aveva la camicia fuori dai pantaloni di tessuto e i capelli in disordine. Nicolas e Diego se la ridevano per fatti loro, forse ricordando un episodio divertente del passato.
«Por Dios!» la ragazza si affrettò a raggiungere il bambino e a rimetterlo su, mentre lanciava occhiate di fuoco a Martinez e agli altri due «Se lo vede la madre così conciato mi sbrana! E poi verrà a cercare le vostre teste bacate!» aggiunse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, intenta a dare una sistemata a Martin che protestava vivacemente.
Nicolas Antonio non la sentì neanche. Nel momento in cui aveva varcato la soglia della porta le era parso di vedere una dea. L’abito in chiffon verde acquamarina le scendeva morbido e plissettato fino alle caviglie, con una delicata scollatura incrociata; ai piedi teneva alti sandali dorati che richiamavano la collana e gli orecchini, uno nascosto dalla treccia che cadeva sinuosa oltre il seno. Sugli occhi una velatura di ombretto, le guance colorate dal fard e le labbra lucide di lip gloss.
Martin vide la palla rotolare fuori dalla stanza e con le braccia protese scappò dalla morsa di Teddy per seguirla, la quale tornò in posizione eretta e sollevandosi l’abito gli corse dietro, intimandogli di fermarsi immediatamente. Nicolas la seguì.
 
Riuscì a raggiungere il piccolo Martin solo dopo diversi metri, finì di sistemargli la camicia nei pantaloni e, prima che scappasse di nuovo, lo prese in braccio mentre teneva il pallone stretto stretto a sé. Romero le si avvicinò e le porse aiuto:
«Dallo a me»
«Così lo farete arrivare come uno zingaro alla cerimonia?» abbozzò un sorriso sarcastico «No grazie, lo tengo io» Nicolas si mise le mani sui fianchi e la fissò con sguardo da rimprovero:
«Non dovresti esagerare nelle condizioni in cui ti trovi» Teddy roteò gli occhi al soffitto
«Come devo dirtelo: è solo un ritardo di qualche giorno!»
«Ah, si?! E questa cos’è?» continuò lui, dandole un pizzicotto leggero sulla pancetta che aveva messo su da un po’ di tempo, strappandole un sorriso
«È colpa della cucina italiana» gli rispose, posandogli un veloce bacio sulle labbra.
Nicolas coprì gli occhi di Martin e passò l’altra mano intorno alla vita di Teddy, baciandola seriamente.
 
Grimilde stava spulciando a uno a uno i fiori che Morena le aveva dato a fine cerimonia, quando aveva sventrato il suo bellissimo bouquet e lo aveva diviso equamente fra lei e Teddy. Inalò il profumo delle gardenie bianche e dei lillà che le solleticarono il naso provocandole uno starnuto.
Martinez la avvolse in un abbraccio, posandole un bacio sui capelli, era così piccola che si perdeva nelle stretta delle sue braccia. In silenzio fissarono il sole che in lontananza si immergeva nell’oceano, un’enorme palla arancione che si stagliava contro un immenso azzurro. I lampioni che costeggiavano il terrazzo si accesero e i primi moscerini accorsero alla loro luce, come viandanti assetati berrebbero dalla prima oasi nel deserto.
Né Grimilde, né Alex erano a conoscenza di quel terrazzo, dove Diego e Morena avevano consumato la loro prima cena e dove Nicolas e Teddy avevano avuto la loro prima chiacchierata dopo anni di silenzio. Ma era normale: avevano trascorso la maggior parte del tempo in stanza.
La biondina starnutì di nuovo e lui fece per toglierle i fiori, ma lei lo arrestò, affermando che erano suoi e che glieli aveva regalati la sua amica:
«Allora continuerai a starnutire per tutta la notte …» si fermò solo per sussurrarle all’orecchio « … ed è un peccato perché avevo in programma di festeggiare una notizia …»
Grimilde si girò nelle sue braccia per guardarlo in faccia, la fronte corrugata:
«Che notizia?»
«Sono ufficialmente un giocatore della prima squadra di Milano» e Alex sorrise smagliante, cosa che non fece lei «Milano … Italia …»
«I-Italia?»
«Si bionda, Italia!»
Grimilde iniziò a saltellare e a urlare, aggrappandosi a lui e prendendo a baciarlo ovunque: la bocca, il naso, le guance, la fronte. Quando poi le disse che la città in cui sarebbero andati a vivere distava circa 40-45 minuti di macchina da quella in cui abitava Teddy, la biondina andò in escandescenza. Si sbracciò come una matta per richiamare l’attenzione delle sue amiche che la raggiunsero.
 
Oramai la cerimonia si era conclusa e sul terrazzo erano rimasti gli sposi e i loro testimoni, in compagnia dei grilli e delle cicale, delle stelle e del mare.
Morena e Diego Torres, il quale le stava incollato addosso come per paura di vederla sparire nel nulla se non le avesse tenuto la mano, erano sprofondati nei cuscini del dondolo dopo aver consegnato Martin alla nonna. La sposa teneva il capo adagiato sulla spalla del suo sposo, mentre le carezzava i capelli con le dita, con le gambe tirate fino al seno e le scarpe posate accanto ai piedi dell’altalena.
Grimilde se ne stava seduta sulle ginocchia di Martinez, fra le tre ragazze era quella che aveva ancora energie da spendere. Faceva programmi per il futuro e stilava a voce tutte le città che avrebbe voluto visitare in Italia, portando la conta con le dita:
«A Roma ci sono già stata, quindi rimangono da vedere: Firenze, Venezia e … cosa c’è più?» Risero tutti. Quella ragazza non sarebbe mai cambiata.
Anche Teddy sorrise, inspirando dalla sigaretta, crogiolandosi fra le braccia nude di Nicolas che si puntellava contro la balaustra del terrazzo. I capelli castani di lei continuavano a solleticargli il volto, ma non si lamentava, infondo quella di sciogliere la treccia era stata una sua richiesta e se solo le avesse detto di tenerli fermi Teddy lo avrebbe guardato male, avrebbe sbuffato e li avrebbe legati, e a lui piacevano così.
Le posò un bacio sulla guancia e fu come se migliaia di piume le sfiorassero la pelle. A volte si stupiva di provare ancora dei brividi quando la toccava, l’accarezzava, quando la baciava, o al solo pensiero di fare l’amore con lui.
Come in quel momento.
Stava bene lì, stretta a lui, a chiacchierare con le sue amiche di sempre, quelle di una vita, ma avrebbe voluto prendere il suo volto fra le mani e dirgli:
«Andiamo via, andiamo in stanza, Nicolas, solo noi due. Ho una cosa da dirti …» e allora lui l’avrebbe guardata con quei suoi occhi scuri e velati di malizia, mentre le labbra gli si increspavano in un sorrisino sbieco, chiedendole:
«Cosa hai da dirmi?»
Teddy avrebbe chiuso gli occhi e fatto un respiro profondo, poi li avrebbe riaperti e per la prima volta gli avrebbe detto:
«Te amo!»
 
Fine
 

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