à travers mon corps

di ciabysan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Suoni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO Forbici bucano con violenza la porta della mia stanza. Mi rannicchio in un angolo, spaventato, racchiudendo le mie gambe a conchiglia attorno alle mie braccia. I muri tremavano, come se accompagnassero i miei sospiri e i miei affanni. La lama affilata delle forbici violentava il legno d'ebano, da cui cominciò a sgorgare un rivolo di sangue, fino ad arrivare sino al pavimento, macchiandolo di rosso vivo. Le ante dell'armadio dei miei vestiti cominciarono a sbattere e a scricchiolare, mentre, rannicchiato inerme nel mio angolo, speravo che quella donna si riprendesse. Strinsi tra le nocche le mie forbici dalla punta arrotondata ed iniziai a preghiare, con gli occhi vitrei dal terrore. Poi la porta si aprì, trascinandosi uno scricchiolio che rimbombò nella mia mente come se l'avessi già sentito...

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Capitolo 2
*** Suoni ***


Se cerco la parola "casa" sul dizionario che cosa trovo? casa s.f. 1- costruzione su più piani adibita alla abitazione di uno o più vincoli familiari. 2- abitazione di un singolo nucleo familiare- 3- ambiente familiare, famiglia- Ma che cos'è una casa sotto gli occhi di un bambino di sei anni? una costruzione bianca con il tetto rosso. E per un bambino che comincia ad avvertire strane presenze in una casa in cui si è appena trasferito? Un luogo mortale, dove anzichè proteggere, sembra sia in grado di distruggere e polverizzare la sua famiglia. Ed è proprio quest'ultima definizione che mi saltò in mente non appena vidi per la prima volta il nuovo appartamento in cui avremmo dovuto trasferirci, io, mia madre, mio padre, mia sorella e il mio gatto, Shiniku. L'edificio che appariva sotto i miei occhi era uno stabilimento dalle mura sporche, di sei piani. Probabilmente in origine quelle pareti dovevano essere bianche, ma nessuno sembrò più essersi curato della loro pulizia e così cominciarono a tramutarsi: da grigine diventarono nere come il carbone. Cominciai ad esasperare i miei genitori affinchè cercassero un altro appartamento, ma loro ne sembravano così inquietantemente attratti da non darmi perfino ascolto. Così, seguirono un signore particolarmente arzillo ed effemminato, venditore di case, di origini taiwanesi. Io restai con mia sorella in giardino. Restammo seduti in attesa di mamma e papà. Mia sorella si chiama Yoko, ha sedici anni e governa la tastiera del cellulare come se fosse il suo stesso corpo. Anche in quel momento d'attesa non staccò gli occhi dallo schermo del telefonino, continuando a digitare quei numeri che si tramutavano in ideogrammi. Le sue dita danzavano picchiettando, come avessero piccoli tacchetti, su quell'affarino elettronico, emettendo dei suoni atonali e privi di alcun fascino. A pensarci bene sembravano quasi campane che suonano a morto. Dun, dun ,dun. Già riesco sentirle, in questo ambiente così tetro ed oscuro, in questo ambiente che nessuno sembra conoscere alla perfezione quanto me. Restai muto ad osservare le stringhe slacciate delle mie scarpe da tennis, mentre mia sorella continuava a danzare in un vortice di abissali suoni funerei. Suoni che rimbombavano nelle mie orecchie con estrema potenza, suoni che apparivano già come presagi di un orrore ancora pronto ad emergere. Suoni, suoni... DUn,dun, dun, dun. Queste non sono campane a festa. DUn, dun, dun.

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