Fever di dalialio (/viewuser.php?uid=139398)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You probably look better naked ***
Capitolo 2: *** Rule number one: don't kiss your boss if you have a cold ***
Capitolo 1 *** You probably look better naked ***
Fever #1
Non credevo che ci avrei messo così poco a tornare a scrivere nel fandom di Arrow, ma aspettando la terza stagione e che Olicity diventi canon shhh
ho confezionato una serie di idee molto a caso per alcune flash-fic e
one-shot e ho deciso di cercare di svilupparle. Ripeto, sono davvero molto
a caso, quindi non esiste un filo conduttore tra le diverse storie (non
sono manco in ordine cronologico). Prendetele per come sono e fatemi
sapere cosa ne pensate!
# 1 - You probably look better naked.
"Probabilmente stai meglio nudo."
No. Non l'aveva detto.
Lei, Felicity Smoak, non aveva
appena detto a Oliver Queen una frase contenente la parola nudo. Non
importava quanto alcol avesse assunto quella sera, non avrebbe mai
detto una cosa simile.
Oppure sì?
Sentì una risata
risalire la propria gola e la sputò fuori con un suono stridulo
che non sapeva nemmeno di riuscire a produrre. Sembrava che l'alcol
facesse imparare cose nuove.
La risata si trasformò
presto in isteria. Felicity sapeva di dover smettere, ma non ci
riusciva. La sua fronte toccò una superficie liscia e si
ritrovò con la testa appoggiata al bancone del bar. Sapeva che
Oliver la stava guardando, probabilmente con il suo solito sguardo
omicida, ma non le importava. Continuava a pensare a ciò che
aveva detto, e presto le sue stesse parole crearono un immagine vivida
nella propria mente. Un Oliver nudo steso sul suo letto. Quella possibilità sì che faceva ridere!
"Felicity, ti prego, trattieniti." La voce di Oliver era un sussurro deciso. "Stai attirando l'attenzione."
Felicity si sollevò con
non poca fatica - la sua testa era sempre stata così pesante? -
e si ritrovò a guardare l'espressione preoccupata di Oliver.
Riuscì a smettere di ridere solo facendo un respiro profondo. Si
schiarì la voce. "Quello che ho detto poco fa... non lo
intendevo," disse, sforzandosi di tornare seria.
"Non me la sono presa," rispose Oliver, afferrandole il gomito per farla alzare dallo sgabello.
Felicity fece resistenza. Non
poteva trascinarla via, doveva prima riuscire a spiegarsi! "Aspetta,
prima voglio chiarire!" esclamò. Teoricamente l'alcol doveva
rendere tutto più facile, ma Felicity sentiva di far fatica ad
articolare le parole. "Quando ho detto che staresti meglio nudo, non lo
intendevo. Cioè, sì, perché staresti benissimo
nudo..." Sentì di nuovo una risata in arrivo, ma con un colpo di
tosse riuscì a spazzarla via.
"Felicity..." insistette Oliver, con il palese tentativo di ignorare le sue parole e portarla via.
"Aspetta!" Felicity si
ritrasse, tornando con il sedere sullo sgabello. "Voglio dire che la
felpa non ti si addice. E il cappellino da baseball? Pfff!"
Ricominciò a ridere, sapendo che quella volta sarebbe stato
difficile smettere.
Il contorto giro di pensieri
che aveva portato Felicity a dire l'imbarazzante frase "Probabilmente
stai meglio nudo" era iniziato dall'aver visto Oliver avvicinarsi a lei
con indosso una felpa. Quello avrebbe anche potuto perdonarglielo -
certo avrebbe preferito vederlo con qualcos'altro addosso, ad esempio
uno dei suoi costosi abiti firmati o, meglio, una maglia alquanto
attillata -, ma appena si rese conto che calcava in testa un berretto
con il frontino... quello no. Così gli aveva detto che
quell'abbigliamento non gli donava. O almeno questo era il pensiero che
la sua mente aveva formulato; che poi dalla sua bocca fossero uscite
delle parole un tantino diverse... per quello dava la colpa all'alcol.
Oliver approfittò della
temporanea incapacità di Felicity di fare resistenza per
afferrarle i fianchi e sollevarla di peso dallo sgabello. La mise in
piedi, ma sembrava poco stabile sui tacchi degli stivaletti, infatti si
appoggiò al braccio di Oliver quasi fosse un appiglio sicuro per
non affogare.
Oliver doveva ammetterlo: la situazione era un pochino divertente.
"La felpa posso capirla, ma il
cappellino da baseball?" Felicity era ostinata a non far cadere il
discorso. Gli tolse il berretto e se lo calcò sulla testa. "Non
mi piace su di te, ti copre gli occhi."
Oliver sospirò. La fine
di quello spettacolo sembrava molto lontano, quindi cinse Felicity con
un braccio e la trascinò fuori dal bar come meglio poté.
Appena uscirono, il cambio di
paesaggio la riscosse. "Ehi, che ci fai qui?" domandò,
rendendosi conto che Oliver Queen in tenuta sportiva al piano aperto al
pubblico del Verdant non era cosa di tutti i giorni. Perché
diavolo si era fermata al Verdant ad ubriacarsi, poi?
"Thea ti ha vista e mi ha
chiamato," rispose Oliver. Si stava davvero impegnando per farla
camminare, ma si ritrovò a trascinarla fino all'auto, visto che
le gambe di Felicity non sembravano molto intenzionate a collaborare.
"Ero al piano di sotto ad allenarmi e, visto che la cosa sembra averti
alquanto offeso, ho una spiegazione per il berretto: l'ho messo per
cercare di non essere riconosciuto. Ma credo che la tua scenata abbia
reso vano il mio tentativo."
"Mmh..." mugugnò
Felicity. Era una risposta talmente vaga che Oliver non si
scomodò per vedere se aveva capito la sua spiegazione. La
appoggiò alla portiera dell'auto e si mise a cercare le chiavi.
Felicity impiegò tutte
le proprie forze per tenere i piedi piantati a terra e le gambe dritte.
Non voleva rovinare a terra e dare un motivo in più a Oliver per
crederla una damigella in pericolo che doveva essere salvata.
In effetti, lei non aveva bisogno di Oliver.
"Prendo un taxi,"
annunciò, sollevandosi dall'auto. L'improvviso spostamento di
peso le fece quasi cedere le gambe, ma riuscì a recuperare
l'equilibrio e strinse la propria borsa sotto il braccio per usarla
come zavorra. Iniziò ad incamminarsi, allontanandosi dall'auto e
da Oliver.
Dopo solo alcuni passi lui la agguantò per un braccio. "Dove credi di andare?"
Lei non si voltò. "A casa. Non serve che mi accompagni, posso cavarmela da sola."
"Felicity, non essere sciocca," rispose. "Sono qui io, ti do un passaggio."
"No."
C'era qualcosa nel tono della
sua voce che lo fece preoccupare. Le posò le mani sulle spalle e
la fece voltare. Vide che i suoi occhi luccicavano.
E i suoi occhi luccicavano
perché improvvisamente il motivo per cui si era rintanata al
Verdant a bere le tornò in mente. Il problema era Sara. E
Laurel. Ed Helena. E - la più recente - Isabel. E tutte le
santissime donne che apparivano nella vita di Oliver e sembravano
sempre essere migliori. Cos'era in grado di fare lei, invece, oltre ad
hackerare uno o due server e beccarsi le sgridate di Oliver?
Forse a pensarci bene l'unico problema di Felicity era essere se stessa.
"Cos'è successo?" Ora sì che Oliver era preoccupato. Felicity scosse la testa. "Dimmelo," ordinò lui.
"Sono io. Il problema sono io," rispose. L'alcol, mischiato con le lacrime, le fece venire il mal di testa.
"Che vuoi dire?"
Felicity si sforzò di
non battere le palpebre per non far cadere le lacrime. "Tutte le donne
che ti circondano sono migliori di me. Più belle, intelligenti e
cazzute. Come posso competere?" Il suo tentativo fallì e le
guance si bagnarono.
La mano calda di Oliver fu sul
suo viso e le asciugò le lacrime. "Non devi competere contro
nessuno, Felicity," mormorò.
"A me sembra di sì." La
sua voce era un sussurro. Se avesse parlato con un tono più alto
la sua voce si sarebbe rotta. "Sono sempre stata qui, Oliver, mentre tu
sembri notarmi a malapena. Ho capito qual è il tipo di donna che
attira la tua attenzione e chiaramente non sono una di loro."
Passarono alcuni secondi prima
che lui replicasse. "Felicity, tu sei la più bella, intelligente
e cazzuta donna che è attorno a me. Quindi smettila di pensare
di non esserlo e sali in auto."
Felicity non sapeva come
reagire. Non voleva prendere quelle parole per qualcosa che in
realtà non era, quindi si disse che era troppo ubriaca per
pensarci e, per una volta, fece ciò che Oliver le aveva ordinato
senza fiatare.
***
Quando la mattina dopo
Felicity si svegliò senza ricordare immediatamente come fosse
arrivata al proprio letto, il mal di testa non le impedì di
stupirsi nel vedere una schiena nuda nella sua cucina.
Poi, quando si rese conto che quella schiena nuda apparteneva ad Oliver, la sua sorpresa non potè che aumentare.
E poi rimase pietrificata.
"Buongiorno," salutò Oliver allegramente.
Felicity rimase immobile al
centro del salotto. Non volle pensare a quale fosse il proprio aspetto,
perché - mentre il livello di perfezione di Oliver sembrava
essere elevato anche di prima mattina -, lei aveva addosso i vestiti
stropicciati della sera prima, la coda spostata di quarantacinque gradi
a destra e, probabilmente, il trucco colato.
Ma la domanda che martellava
la propria testa assieme all'emicrania era un'altra: cosa ci faceva
Oliver mezzo nudo nella sua cucina?
"B-buongiorno," balbettò, strabuzzando gli occhi.
"Ho preparato il caffè," dichiarò lui, versando il liquido in due tazze.
"Grazie," rispose Felicity
incerta. Le sembrava che la memoria fosse a posto, ma non riuscì
a trovare nella sua testa un ricordo della sera precedente che
spiegasse la presenza di Oliver nella sua cucina. "Che ci fai qui?"
Le porse una tazza. "Ieri ti ho accompagnata a casa," spiegò.
"Sì, me lo ricordo," replicò Felicity, afferrando il caffè.
Oliver annuì. "Ricordi anche il discorso che mi hai fatto?"
Oddio. "Più o meno,"
mentì. La verità era che le si era stampata a fuoco nella
mente ogni parola che era uscita dalla propria bocca. Iniziò a
bere il caffè per nascondere l'imbarazzo.
"Eri scossa, ieri sera, e ho
preferito rimanere con te tutta la notte," disse Oliver. Quando vide
Felicity spalancare gli occhi, si affrettò ad aggiungere: "Sul
divano."
Avrebbe anche potuto dormire a
letto con lei, pensò Felicity, ma aveva preso sonno così
velocemente che non se ne sarebbe nemmeno resa conto.
"E perché sei mezzo
nudo?" domandò, ma subito se ne pentì. Perché
sembrava che la sua bocca avesse vita propria? "Cioè, non vedo
una palestra super attrezzata nelle vicinanze...". Si fermò,
rendendosi conto che continuando a parlare avrebbe fatto solo altri
danni. Si morse il labbro e si mise a fissare il pavimento. "Grazie per
quello che hai fatto," mormorò.
"Figurati," replicò
Oliver con uno dei sorrisi che la facevano squagliare. "Dovresti
ubriacarti più spesso. Sei uno spasso," aggiunse, palesemente
divertito.
Felicity non credeva alle proprie orecchie. Si sedette al tavolo della cucina con un grugnito.
Le parole che si erano
scambiati la sera prima erano ancora impresse nella mente di Oliver.
Viste tutte le cose che lei non gli diceva, sembrava che ci fosse
voluta una Felicity ubriaca per sapere cosa davvero passasse in quella sua testolina.
Note dell'autrice
Prendete
questa storia come un missing moment da piazzare da qualche parte dopo
la 2x06, quando Felicity si incacchia (anche se pacatamente) con Oliver
perché è andato a letto con Isabel (mi pare che questo
ragazzo non sappia tenere la patta chiusa, ma chissà che con la
terza stagione non cambi qualcosa? *urla 'olicity' dalla vetta di una
montagna*).
La frase "you probably look better
naked" mi sembra di averla letta su una foto di instagram di Emily Bett
quando, l'altro giorno, stavo guardando le sue vecchie immagini.
Ovviamente all'istante nella mia mente si è dipinto uno scenario
Olicity.
Per dirla tutta questa storia
doveva essere qualcosa di molto più comico e meno triste, ma mi
sono lasciata un po' trasportare perché non riesco a fare a meno di scrivere cose tristi,
anche se mi sento lo stesso soddisfatta. Perché diciamocelo, tra
tutti i personaggi femminili della serie, Felicity è la
più cazzuta di tutte.
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Capitolo 2 *** Rule number one: don't kiss your boss if you have a cold ***
Fever #2
# 2 - Rule number one: don't kiss your boss if you have a cold.
Quando
Felicity sollevò la cornetta del telefono e la posò
all'orecchio, sapeva chi ci sarebbe stato dall'altra parte del filo e
quale sarebbe stato il suo umore. Quindi non si sorprese quando un
Oliver Queen un po' contrariato esclamò: "Dove diavolo sei!?"
con tutto l'autocontrollo che era riuscito a raccogliere.
Felicity sospirò,
recitando la frase che si era preparata e aveva ripetuto decine di
volte nella sua testa. "A casa, con il raffreddore." Strinse la
cornetta con la mano e chiuse gli occhi, pregando silenziosamente che
Oliver non avesse una delle sue solite giornatacce.
"E perché non mi hai avvisato?" domandò, sorprendentemente calmo.
Felicity non si sentì
sollevata dal tono pacato di Oliver. Sapeva che quella era solo la
quiete prima della tempesta. "Ho chiamato John," si giustificò.
Lo sentì sospirare. Le
sembrava quasi di vederlo, mentre chiudeva gli occhi e faceva un
respiro per calmarsi. "Lo so," scandì. "E io ti sto chiedendo
perché non hai avvisato me."
"Per colpa di questa
telefonata," rispose, cercando di suonare sicura e di non incepparsi
nelle proprie parole. "Perché, se ti avessi chiamato, non avrei
avuto i dieci minuti di tranquillità che invece mi sono goduta."
"Felicity,"
sospirò Oliver, e la Felicity in questione riconobbe il tono che
lui usava quando la trovava irragionevole e cercava di farle cambiare
idea. "Tu non ti ammali mai."
"Sono umana anche io, cosa
credi?" replicò. Avrebbe voluto prendere uno delle decine di
fazzoletti usati che aveva in grembo e tirarglielo dietro per fargli
vedere chi comandava. "Solo perché non ho mai perso un giorno di
lavoro negli ultimi diciotto mesi non significa che io sia una
cyber-donna."
"Vieni al lavoro. Subito!" continuò Oliver, come se non l'avesse sentita.
Che per «lavoro»
intendesse quello di segretaria dell'amministratore delegato delle
Queen Consolidated oppure quello di genio del crimine informatico nei
sotterranei del Verdant, Felicity non aveva la minima intenzione di
accontentarlo. "No," rispose decisa.
"Felicity!" la sgridò.
"Ho bisogno di te. Qui. Ora. A meno che tu non abbia la tubercolosi,
puoi uscire di casa e venire al lavoro."
Felicity si sorprese a
spalancare la bocca. Come si permetteva! Già gli orari disumani
cui Oliver la faceva lavorare erano difficili da sopportare, adesso si
aggiungeva pure l'assenza di ferie per malattia!? Peccato non esistesse
un sindacato per gli aiutanti dei vigilanti di Starling City,
perché lei e Diggle ne avevano davvero bisogno.
Felicity non aveva ancora
risposto e Oliver doveva aver captato la sua irritazione. "Senti,"
disse, addolcendo il tono, "ho bisogno che tu vada al reparto IT e
parli con una persona. Tu conosci tutti lì, sarà facile
sapere ciò di cui ho bisogno." Felicity sentì che
sorrideva dall'altro capo della cornetta. "Andrai a salutare i tuoi
vecchi amici."
Di amici, al reparto IT,
Felicity non ne aveva mai avuti. Non che ne avesse avuti in generale,
prima di conoscere Oliver e Diggle, ma non voleva che si sapesse in
giro. Sospirò, sapendo che la sua partita contro Oliver era
persa a priori, e decise di farla finita. "D'accordo, sono lì
tra un quarto d'ora," si arrese. Tanto aveva già cambiato idea
alle paroline magiche «ho bisogno di te».
"Non fare tardi," la ammonì dolcemente, prima di chiudere la chiamata.
Felicity si alzò dal
letto e continuò a sospirare mentre si vestiva e truccava. Si
imbottì di antistaminico, riempì la borsa di fazzoletti e
imbracciò il cappotto. Mentre usciva di casa, promise a se
stessa che avrebbe cercato in tutti i modi di attaccare il raffreddore
ad Oliver.
"Wilfred Howland?" Felicity
guardava Oliver come se le avesse appena chiesto di sparare una freccia
sulla luna. "Aaaaah no! Io con lui non ci parlo!"
"Perché?" chiese
Oliver. Si era appoggiato alla scrivania nel suo perfetto abito
italiano e la fissava con il suo solito sguardo ammaliatore. Non era
leale.
"Perché... no!" Poteva sembrare una scusa poco appropriata, ma Felicity non aveva intenzione di tirare fuori di meglio.
"Ha una cotta pazzesca per te, sarà facile farci dire quello che ci serve."
"Che ti serve," puntualizzò Felicity. "Se proprio hai bisogno di parlare con lui, vacci tu stesso."
Oliver non scompose il suo
sorriso. "Sono l'amministratore delegato, non posso gironzolare per il
palazzo. La gente si aspetta che io sia super indaffarato nel mio
ufficio," si giustificò. "E poi Wilfred Howland è fissato
con te, mica con me," aggiunse dopo una pausa.
Felicity lo sapeva che tale
Wilfred Howland era fissato con lei, ma sapeva anche che era uno
stronzo narcisista ed era appunto quello il motivo per cui non voleva
parlarci. Per di più il raffreddore le stava facendo venire mal
di testa e questo la rendeva più irascibile del solito.
"Ti prego," la supplicò
Oliver. Come riuscisse un trentenne pieno di muscoli ad avere
all'occorrenza un espressione da cucciolo avvilito, Felicity non
riusciva a spiegarlo.
Non voleva che sembrasse di aver ceduto troppo presto, ma entrambi sapevano che alla fine Oliver l'aveva quasi sempre vinta. Sospirò. "Vedo quello che posso fare. Che ti serve?"
L'espressione vittoriosa sul
volto di Oliver la fece quasi pentire di aver accettato. Lo
seguì con lo sguardo mentre girava attorno alla scrivania,
prendeva dei fascicoli e tornava da lei, il tutto con una grazia
innaturale. "Questi sono i resoconti del reparto IT dell'anno scorso.
Ho dato loro un'occhiata e ho scritto qualche nota dove ho trovato
degli errori. Dovresti darli al signor Howland perché li
sistemi."
Quindi si trattava di qualcosa
di legale, che non riguardava la vita notturna del signor Queen.
Felicity prese le cartelline e le strinse al petto quasi fossero
un'armatura. "Tutto qui?"
"Tutto qui," rispose Oliver.
"Digli che mi servono entro domani, è importante." Si
avvicinò a lei e ammiccò. "Usa i tuoi poteri persuasivi."
Servì tutto
l'autocontrollo di Felicity per farla rimanere sulle proprie gambe e
non collassare o - al contrario - perché la sua mano non si
muovesse da sola e gli mollasse un ceffone. La stava usando! E
così sfacciatamente! Fece un respiro profondo, raccogliendo le
forze per resistere ai suoi impulsi, e si voltò.
"E non accettare alcun invito a cena da lui," le disse Oliver mentre usciva. "Non avresti tempo per una vita privata!"
Felicity continuò a
camminare a passi lunghi, sforzandosi di non voltarsi e mostrargli la
linguaccia come una bambina di cinque anni.
Quasi Wilfred Howland fosse
stato tutti i giorni per tutto il giorno sulla porta ad aspettare il
ritorno di Felicity, il ragazzo spuntò dall'angolo appena lei
mise il piede nel reparto IT.
"Felicity!" la salutò
con euforia. Forse lei ultimamente si era abituata alla voce bassa e
soave di Oliver, tanto che sentire qualcun'altro pronunciare il suo
nome con un acuto terrificante la fece quasi rabbrividire.
"Ciao, Wilfred,"
replicò Felicity con poco entusiasmo. Strinse i fascicoli al
petto, sperando che le potessero servire da scudo.
Wilfred era un ragazzo sui
venticinque, ma dimostrava benissimo un po' di annetti in più.
Era magrissimo, sempre vestito di tutto punto e portava un paio di
occhiali quadrati che teneva più in testa che sul naso. Era il
contabile del reparto IT e non c'era ragione per cui lui e Felicity
dovessero avere avuto alcun contatto quando ancora lei lavorava
lì, ma in passato si era presentato troppo spesso alla sua
scrivania con il tentativo di intavolare un discorso - cosa che lei
aveva sempre cercato di evitare. Il carattere di Wilfred di tiranno
dell'ufficio non la faceva sentire in colpa per il non riuscire a
sopportarlo.
"Ti trovo in splendida forma,"
si complimentò lui. Felicity cercò di non arrossire - o
al contrario impallidire - senza sapere se fosse riuscita nel proprio
intento. "Cosa ti porta qui dopo tanto tempo?" continuò quello
con fare viscido, apparentemente ignaro del suo tormento interiore.
"Lavoro," rispose secca. "Mi
dispiace, vorrei rimanere qui a chiacchierare, ma il signor Queen mi ha
dato del lavoro da farti fare." Si risollevò di morale
constatando che non gli stava mentendo, dopotutto.
"Di che si tratta?" si
offrì Wilfred. L'entusiasmo sul suo volto era più di
quello che Felicity si sarebbe aspettata.
Gli allungò i
fascicoli, mettendo una certa distanza. "Dovresti sistemare i resoconti
dell'anno scorso. Il signor Queen ha detto di aver scritto qualche
nota."
"Nessun problema," rispose Wilfred con un sorriso beffardo, afferrando i documenti.
Felicity si ricordò
delle parole di Oliver e si trattenne dallo sbuffare. Doveva usare i
propri... come li aveva chiamati? Poteri persuasivi?
No, non voleva farlo, non con Wilfred. D'altronde, non ne aveva mai
avuti. Cosa diavolo avrebbe dovuto fare? "Ehm... potrei chiederti...?"
Cercò di sorridere persuasivamente
per sembrare più convincente. Non riusciva a credere a quello
che stava per fare. "Il signor Queen avrebbe bisogno dei resoconti
corretti entro domani." Si sorprese a battere le ciglia più
volte con fare ammiccante. Che il cielo la perdonasse per quello che
stava facendo!
"C-certo," rispose lui. Si
schiarì la voce. Era possibile che fosse riuscita a mettere
Wilfred Howland a disagio? Appena fosse uscita dal reparto IT si
sarebbe presa a calci. "Mi... metto subito all'opera." La guardò
per qualche secondo in più. "Vorresti... mi chiedevo se... ti
andasse di pranzare..."
Oddio, ecco che stava per
accadere. Sapeva di avergli dato l'idea sbagliata. "Mi dispiace,
Wilfred, ma sono molto impegnata," lo interruppe. "Davvero molto impegnata. Il signor Queen mi fa fare degli orari assurdi!" Ecco, far ricadere tutta la colpa su Oliver sembrava un buon piano.
"Capisco," rispose. "Sarà per un'altra volta. Magari per una cena."
Cavolo. "Certo,"
replicò Felicity automaticamente, pentendosene subito. Sorrise
per l'ultima volta e se ne andò, decisa a chiudersi in bagno ad
inveire contro se stessa.
Quando quella sera Oliver la
obbligò ad andarsene con un "non importa se hai ancora lavoro da
sbrigare, sono il tuo capo e ti ordino di andare a casa", Felicity non
si sarebbe aspettata che uscisse dall'ufficio assieme a lei.
Era stata una noiosa giornata
di lavoro in ufficio, ma per le condizioni di salute di Felicity - il
raffreddore le aveva fatto consumare sette pacchetti di fazzoletti in
una sola giornata -, la noia era andata più che bene.
Apparentemente i criminali di Starling City avevano avuto pietà
del suo povero naso, perché non avrebbe potuto reggere una
pressante giornata a combattere il crimine nella sua condizione.
Non aveva più pensato
alla scena imbarazzante di quella mattina con Wilfred, ma le
tornò in mente appena lo vide all'uscita delle Queen
Consolidated. E si ricordò anche della promessa che gli aveva
fatto.
"Oh, no, ti prego," si lamentò.
"Che succede?" domandò Oliver, notando il suo sguardo sgomento.
"Ricordi quando mi hai detto di non promettere a Wilfred una cena? Diciamo che per sbaglio l'ho fatto."
Oliver spalancò gli
occhi. "Non sapevo ti piacesse," replicò. "Stamattina ne hai
parlato come se fosse l'essere umano più malvagio del pianeta."
Felicity lo fulminò con lo sguardo. "Non
mi piace, quante volte te lo devo dire!" Si voltò per vedere se
Wilfred l'aveva notata. Diavoli sì, e si stava avvicinando!
"Sta venendo qui a riscuotere,
me lo sento!" esclamò Felicity, fissando il pavimento e girando
attorno ad Oliver per non essere vista. Ma sapeva che il danno era
fatto e che ormai Wilfred l'aveva notata. Sembrava un toro alla carica.
"Fa qualcosa!" sussurrò, tirando Oliver per la manica
perché la nascondesse.
Oliver si guardò
attorno, non capendo più nulla. "Cosa dovrei fare?"
mormorò. "Sei stata tu a combinare il casino, non so come
aiutarti!" Sembrava davvero dispiaciuto di non poterle dare una mano in
alcun modo.
Wilfred era molto vicino.
Felicity doveva pensare a qualcosa, e in fretta. Dato che non poteva
teletrasportarsi - l'opzione più saggia in quella situazione -
vedendo Oliver lì a disposizione le venne in mente qualcosa.
Probabilmente la paura ebbe la meglio sulla ragione, perché non
fece in tempo a scartare la propria idea ritenendola assurda che si
ritrovò a baciare Oliver.
E nel suo stato di irragionevolezza, il suo primo pensiero fu: "Mannaggia, gli attaccherò il raffreddore!"
Poi si rese conto di
ciò che aveva fatto. Si staccò da Oliver e si
allontanò di un passo, fissando il marciapiede come se fosse
stato la cosa più interessante della Terra. Sentiva ancora il
calore delle sue labbra sulle proprie e un lieve prurito solleticarle
le guance nei punti che erano stati a contatto con la sua barba. Il
cuore le batteva all'impazzata e sentì il viso infiammarsi.
Aprì la bocca, ma non disse niente. Sollevò lo sguardo,
ma non per controllare se Wilfred Howland avesse visto la scena,
perché non le importava più. Fissò per un secondo
gli occhi di Oliver e ci vide tutta la sua sorpresa. Poi si
voltò, senza riuscire a dire una parola, e si diresse verso la
propria auto con un nodo allo stomaco.
La mattina dopo, Diggle
entrò nell'ufficio di Oliver con in mente la frase precisa che
avrebbe dovuto dire. Era stata Felicity stessa a riferirgliela al
telefono, ordinandogli di non discostarsene di nemmeno una parola. Gli
aveva detto di scriversela su un foglietto, se ne aveva bisogno, ma la
memoria di Diggle funzionava alla perfezione.
"Felicity ha chiamato. Ha
detto che il raffreddore la sta uccidendo e che non riuscirà a
venire in ufficio." Aspettò qualche secondo, poi aggiunse:
"Testuali parole".
Oliver sembrava troppo
occupato per ascoltare, ma il monitor del computer gli copriva il viso.
Diggle si spostò di lato per vederlo meglio e lo vide lottare
contro il proprio naso. Prese diversi fazzoletti dalla scatola sulla
scrivania e lo soffiò con un rumore che rimbombò
nell'ufficio, poi gettò la pallina di carta nel cestino assieme
al cumulo di altri fazzoletti.
Era raffreddato anche Oliver?
"Grazie, Diggle," rispose, articolando male le parole a causa del naso tappato. "Non c'è alcun problema."
Diggle rimase sorpreso. Aveva
pregato Felicity di chiamare direttamente Oliver per avvisarlo,
così da evitare una scenata come quella del giorno prima, ma lei
l'aveva pregato di farlo lui stesso. Così Diggle si era
preparato ad una sfuriata in stile Oliver Queen, ma in quel momento
sembrava troppo malato per arrabbiarsi.
Che strano, Oliver e Felicity
non si erano mai ammalati e ora si beccavano il raffreddore assieme?
Nemmeno le due cose fossero collegate.
Diggle spalancò gli
occhi al pensiero che sì, le due cose potevano avere un
collegamento. Ma non voleva sapere assolutamente nulla la riguardo.
Fece un passo verso la porta. "Sarà meglio che vada," disse,
uscendo dall'ufficio e sforzandosi di non correre fino all'ascensore.
Che a qualcuno non venisse l'idea di attaccare il raffreddore anche a lui!
Quando Felicity si riprese e
tornò a lavorare qualche giorno dopo, lo sguardo che John le
riservò diceva che aveva capito tutto.
Almeno non tutto il male era venuto per nuocere, perché quella esperienza le aveva insegnato qualcosa.
Regola numero uno: non baciare il tuo capo se hai il raffreddore.
Altrimenti qualcuno ti potrebbe beccare.
Note dell'autrice
Proprio perché Felicity è la regina delle situazioni imbarazzanti, volevo scrivere di una situazione davvero imbarazzante. E la situazione davvero imbarazzante
che mi è venuta in mente era che Felicity riuscisse ad attaccare
il raffreddore ad Oliver perché l'aveva baciato per sbaglio,
e che poi qualcuno riuscisse a capirlo. Quindi ne è venuta fuori
questa one-shot e adesso che sono riuscita nel mio intento mi
metterò in un angolino senza mangiare né bere per trovare
un'altra idea per la prossima storia se ne avete fatemelo sapere ehmehm.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la mia raccolta tra le storie
preferite/ricordate/seguite e chi ha recensito la storia precedente:
cascata di cuoricini a tutti! ♥♥♥♥
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