Noi siamo i Grandi Quattro

di Slvre99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uccidere o morire ***
Capitolo 2: *** Insegnami a volare ***
Capitolo 3: *** Dodici anni dopo ***



Capitolo 1
*** Uccidere o morire ***



N. A. Eccomi qua! A scrivere qualche parolina prima di iniziare la mia prima one shot. Inizio col dire che questa sarà un Hunger Games AU e che ho sempre voluto pubblicarla, ma per vari motivi, (timidezza, timidezza e ancora timidezza), non sono riuscita a mostrarvela prima. Per chi non conoscesse l'universo di Hunger Games i primi righi sono citati da wikipedia a posta per lui. 
Concludo con l'auguravi buona lettura e 
che Odino mi aiuti a non farmi venire un attacco di panico. 
« E possa la fortuna sempre essere a vostro favore. »



Uccidere o morire

"In seguito ad un passato tentativo di rivolta, ogni anno da ciascun distretto vengono scelti un ragazzo e una ragazza per partecipare agli Hunger Games, un combattimento mortale trasmesso in televisione."

Il vento gelido soffiava tra gli alberi innevati dell'arena. I tributi erano infreddoliti dalla tempesta di neve che si stava per abbattere sulle loro teste. Quello fu un l'anno glaciale per tutti i poveri ragazzi sorteggiati. Gli strateghi avevano in mente già da tempo un'arena piena di neve e ghiaccio e finalmente il presidente Snow gli diede il consenso per metterla in pratica. C'erano gia state edizioni sul deserto, nei climi tropicali e nelle foreste, ma nessuno si era mai divertito far capitare grandine e bufere vedendo dei ragazzi congelarsi lentamente. 
< Non guardarmi con pietà > mormorò il ragazzo cosparso di lentiggini rivolto verso il cielo dell'arena. Parlava con il cielo di continuo, esattamente come faceva nel distretto 3. Sperava che le telecamere fossero rivolte verso di lui per far sentire i suoi pensieri alla famiglia che lo guardava angosciata da casa. Suo padre si aspettava molto da lui, era abbastanza fiero che fosse stato estratto nella mietitura, però la madre era preoccupata, sapeva che Hiccup non era pronto per gli Hunger Games eppure lo salutò dicendogli che avrebbe potuto vincere. 
< Forse un giorno potrei tornare a casa, però il mio tempo ha i minuti contati. > sussurrò abbassando il capo. Questa frase sperava che nessuno la potesse sentire. Nemmeno il suo amato gatto Sdentato, a cui era molto affezionato, non la doveva sentir pronunciare dalla sua bocca. Tuttavia il moro continuava ad atteggiarsi alla si può fare. Infatti proprio un giorno fa aveva costruito un sistema per vedere dove fossero tutti i tributi superstiti dal bagno di sangue iniziale. Proprio quello che aveva visto fabbricare dal suo mentore prima di entrare nell'arena. Chissà ora dove fosse quella testa pelata del mentore. Non aveva ricevuto nemmeno un paracadute e questo sapeva che poteva significare che nessuno aveva scommesso sulla sua sopravvivenza. Doveva morire ecco il suo destino. 
Il suo stomaco brontolò e lo fermò dal pensare altri momenti dolorosi della sua esistenza. Nello zaino che era riuscito a recuperare trovò un pezzo di pane e dei pezzetti di carne essiccata. Prima di addentare i denti nel pane guardò il suo rilevatore di tributi per sapere se ci fossero altri ragazzini assetati di sangue nei dintorni.
< Nessuna pedina di Capitol da queste parti... > sussurrò scrollando le spalle. 
< Beh, a parte me. > finì con un tono ironico e staccò un morso dalla fetta di pane. Si guardò nuovamente in torno, per accettarsi che qualche ibrido non salti fuori interrompendo la sua misera cena. Niente si muoveva nella neve in quel momento, persino i pini coperti da uno strato di neve erano immobili alla sua vista. Nessun suono, nessun movimento, il nulla. 
Serrò gli occhi per ricordarsi il frastuono che c'era nel suo distretto di provenienza. Lo scricchiolio di utensili in metallo, il suono di una matita che disegna attentamente uno schizzo su un foglio, il miagolio di Sdentato. Ogni singolo elemento che gli ricordasse casa faceva venire in lui un sapore amaro in bocca. Non avrebbe più sentito la voce arrabbiata di suo padre ne il suono delle risate di sua madre. Chi poteva fermare gli Hunger Games? Nessuno, ecco la risposta, nessuno. 
Basta pensare! Doveva smetterla di annegare in quel mare di ricordi. Smetterla di compiangersi pensando a casa. Diede un ultimo morso a quel tozzo di pane e lo rinfilò nello zaino, poi prese l'ascia che aveva lasciato incustodita al suo fianco e la fece roteare tra le sue dita. Quell'arma non aveva mai visto sangue. Il ragazzo l'avrebbe usata solo in caso di protezione da attacchi. 
< Uccidere o morire. > sorrise al solo pensiero di quella frase. Accanirci come cani rabbiosi solo per restare in vita. Che cosa stupida e allo stesso tempo orribile. Dove aveva sentito quella frase? Quel frammento gli era sfuggito dalla sua mente, come lui sfuggiva alla morte. Tante volte aveva pensato a mettere fine lui stesso alla sua vita, solo per non dare preoccupazioni ad altri tributi di doverlo uccidere. Perchè non farlo? Sarebbe tornato nel distretto 3 dentro una bara metallica e sepolto in rettangolo di terra periodicamente ricoperto da fiori di ogni colore. 
< Ragazzo Lentiggini! > lo chiamò con un tono di sfida nella voce femminile. 
Lui si voltò sfrecciando in piedi e puntandogli l'ascia rivolta verso la testa della bionda che si presentava davanti. Per colpa dei suoi ricordi aveva perso la cognizione del tempo e non si era accorto che un gruppo di favoriti si spostava nella sua direzione. A risvegliarlo dai suoi pensieri fu proprio la ragazza del distretto due. Aveva già parlato con quella persona alcuna volte prima di entrare nell'arena. Si ricordava soprattutto il suo andare sempre con i ragazzi più cattivi e prepotenti di lui. Non le era sembrata pacifica dal primo momento, sapeva che si era offerta volontaria. Volontaria per cosa? Morire? La mente dei bambini dei distretti favoriti era continuamente martellata su cosa avrebbero dovuto fare durante il corso della loro vita. Per questo si allenavano continuamente a combattere con spade, archi, tridenti, asce, lance e coltelli.   
< Strano che sei ancora vivo. Mi dispiace profondamente metter io fine alla tua vita. > ghignò sfoderando due spade. Il moro non le rispose, perchè sprecare altro fiato solo per buttare giù una frase compiuta. 
< Cos'è? Ti hanno tagliato la lingua? > chiese ridacchiando e facendosi sempre più vicina. Questo era il momento giusto per pianificare un piano d'attacco. Colpirla nel suo punto debole lasciandola senza vita sulla neve fresca. Questo era il momento giusto per usare la sua arma. Uccidere o morire. 
< Pensi veramente di poter batterti con me? Oh lentiggini, sei pieno di sorprese. > esclamò prendendosi beffa di lui. 
< Avanti, Astrid, uccidimi! > gridò lasciando le sue gambe tremare. La bionda annuì e si lanciò contro di lui portandosi la spada in avanti. Hiccup con tutta la forza delle sue braccia spinse via la lama e muovendosi con agilità le colpì con potenza la schiena. Astrid schivò facilmente il fendente e si preparò ad infilzarlo in testa, ma lui la colse di sorpresa facendo roteare l'ascia nella sua direzione. Essa cadde sulla neve ed il moro spinse via la spada dalle sue mani. Così la bionda gli sferrò un calcio sul naso rompendogli un setto nasale. La prima goccia di sangue scivolò a terra sporcando quel manto bianco. Un altro calciò lo fece scivolare impedendo a lui di contrattaccare. Astrid si alzò in piedi usando lo sterno di Hiccup come bersaglio per i suoi pugni. Uno dopo l'altro si battevano su di lui più dolorosi di semplici coltelli. Con le ultime forze spinse via la ragazza e la bloccò poggiandosi di peso sopra di lei. La bionda non sembrava arrendersi e tempestò il cranio del lentigginoso con una testa a dir poco violenta. Lui cadde a terra reggendosi la fronte dal dolore e vide la furia del due riafferrare una spada e puntargliela alla gola soddisfatta. 
Cosa avrebbe pensato suo padre di questa prestazione penosa? 
" Quanta vergogna ci hai recato! " provò ad immaginare le parole di suo padre. Ma davvero aveva immaginato il suo unico figlio con una corona sopra la sua testa e festeggiamenti in suo onore?
Forse era troppo doloroso immaginare Hiccup con una lancia conficcata nel cuore, ma ,notizia dell'ultima ora, la realtà è dolorosa! 
< Forse sarebbe meglio farti a pezzi. > sorrise sgranando gli occhi la furia. Al moro bastò un gemito di dolore per esprimere il suo parere sulla affermazione della bionda. La ragazza con gesto veloce provocò un taglio profondo sulla sua gamba sinistra. La morte peggiore che potesse capitarli. Fatto a pezzi da una ragazza. 
Giusto in tempo una freccia scoccata da qualcuno colpì il cuore di Astrid, la quale cadde a terra all'istante. Hiccup non fece nemmeno in tempo a vedere il volto del suo salvatore che cadde in preda ad un attacco di sonno. Le ultime cose che vide furono delle chiazze di sangue sulle sue mani e un ombra armata di arco e frecce dirigersi verso di lui. 


< Sono morto. > pensò velocemente da do una spiegazione logica a quello che era successo. 
< Svegliati, lentiggini! > esclamò una voce dolce. Sicuramente era morto e immaginava la voce di sua madre. Quella voce era così vicina al suo cuore esattamente come quella di una mamma. 
< Che ci fai qui? > chiese immaginando di essere in una tomba diretta al distretto tre. 
< Non fare lo sciocco! Svegliati ti ho detto! > lo rimproverò facendogli fischiare le orecchie. Il ragazzo provò ad aprire gli occhi e fu accecato dal sole intenso che gli era proiettato contro. 
< Dove mi trovo? > domandò sentendo il freddo attraversare il suo corpo. Il ragazzo si rispose da solo ammirando la neve candita che gli sfiorava il viso. Non era morto, ma poteva ancora esserlo. Quella ragazza dalla voce angelica lo aveva salvato. Come poteva sdebitarsi? 
< Grazie. > disse freddamente ritrovando la forza di alzarsi in piedi. 
< Dovevo ucciderla, prima che mi uccidesse lei. Non l'ho fatto per salvarti. > precisò aiutandolo ad alzarsi. Il moro non appena poggiò il piede ferito sulla neve imprecò lamentandosi. Non sarebbe riuscito a muovere un passo con la gamba in quelle condizioni. 
< Perchè non hai ucciso anche me? Uccidermi prima che ti uccidessi io. > domandò il lentigginoso rimettendosi seduto. 
La mente della rossa si fermò un attimo pensando a qualche risposta fredda, che non desse segni di debolezza in nessun modo. Doveva sembrare un vera dura per poter sopravvivere. Anche lei aveva una famiglia a cui necessitava il suo bisogno.
< Tu non l'avresti fatto con me. > mormorò mordendosi la lingua. 
Solo pietà. Pensò Hiccup fissandole gli occhi di un blu intenso. Si ricordava vagamente di lei. Sembrava che provenisse dal distretto 12, però non era del tutto sicuro. Non era una ragazza con cui farebbe amicizia facilmente, stava sempre per conto suo senza dire una parola. Era tanto misteriosa quanto graziosa. Come una rosa che per proteggersi usa le spine. Fragile e tenace. 
< Mi chiamo Hiccup. > sorrise il moro cercando un argomento per conversare. 
< So chi sei... Riesci a camminare? > domandò raccogliendo lo zaino rosso che conteneva le sue frecce. 
< No. Qual'è il tuo nome? > esclamò osservandola far scomparire ogni traccia che potesse portare a loro. Quella domanda mandò su di giri la rossa. Come poteva chiedere qualcosa di così personale come un nome? Non si sono mai parlati e solo perchè lei gli aveva risparmiato la vita si sentiva in obbligo di fare conversazione. Al distretto 12 aveva imparato a non dar molta confidenza alle persone. Aveva rispettato quella frase per tutta la sua vita e ora quel lentigginoso pensava di farle saltare ogni piano? Avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva la possibilità. In questo momento sarebbe stato più difficile giacché è in forze.
< Sono Mer- Merida. > brontolò con amarezza. 
< Cosa pensi di fare? > proferì il moro scontando che ormai erano alleati. 
Un altra fitta colpì la ragazza. Lei non aveva nessun alleato, tantomeno voleva averlo. Ora avrebbe dovuto aiutarlo e sopportarlo fin quando non l'avrebbe uccisa nel sonno. Che brutta idea lasciarlo vivere. 
< Uccidi o muori > si disse arricciando il naso. 
< Ascoltami bene, ragazzo lentiggini! Io ti ho risparmiato la vita non per farmi un alleato. > rispose con un ghigno tra i denti. 
Hiccup rimase spiazzato dalla sua risposta. Merida lo aveva salvato, tuttavia non voleva avere tributi intorno a lei. Se solo sapesse che tutte quelle invenzioni del moro potrebbero salvarle la pelle. 
< Dove credi di andare? Io potrei anche esserti d'aiuto non trovi? In due siamo più forti. > espose il moro provando a fare qualche passo senza scivolare a terra. 
Anche sta volta Merida non seppe cosa dire. Era affezionata a quel ragazzo. L'aveva seguito per tutta l'arena proteggendolo con le sue frecce. Ora perchè lo stava abbandonando al suo destino? Forse si poteva fare un strappo alla regola. Forse avrebbe aiutato il lentigginoso. Forse il suo cuore non era del tutto di pietra. 
< Trovaci un riparo per la notte io vado a cacciare. Ci rivediamo qui prima che cali il sole. > espose la rossa senza bisogno di girarsi a fissarlo negli occhi. Non si sarebbe certo fatta ingannare dalle sue iridi verdi. 


C'era un motivo perchè quella ragazza dai riccioli rossi non voleva alleati. Sapeva che se si sarebbe affezionata troppo ad qualcuno ucciderlo sarebbe diventato sempre più difficile. Così attendeva che qualcun altro uccidesse quelli a cui teneva, come al ragazzo del 12. 
Solo che con Hiccup era diverso, si sono parlati pochi minuti e già sentiva di doverlo proteggere. 
< Niente sentimenti. > esclamò rivolta a se stessa. 
Con la neve cacciare risultava molto difficile e ben presto le ore passarono. Era quasi il tramonto e lei non aveva preso nemmeno uno scoiattolo o qualche uccello. Tornare a mani vuote significherebbe saltare la cena, a meno che Hiccup gli offrisse qualche fetta di carne essiccata. Lei che per tutto il tempo si credeva imbattibile nella caccia sta volta è stata sconfitta dalle condizioni meteorologiche. Sicuramente gli strateghi si divertono a non farle arrivare nemmeno qualche leprotto per farla nutrire oppure la volevano morta. Fare la dura non aveva portato ad altro che alla sua morte. Nessuno voleva un vincitore senza emozioni e per questo che gli strateghi avevano deciso di eliminarla. Ucciderla per il suo carattere. 
Come si sarebbe sentito suo padre alla notizia della morte di Merida. Lei e il padre erano tanto legati. Andavano a caccia insieme e tiravano con l'arco. Anche sua madre starebbe male alla sua morte, ma dopo l'ennesima litigata non credo che piangerebbe poi così tanto. 
Pensando alla sua famiglia non si accorse che ormai il sole era calato e il clima si faceva sempre più freddo. Ripercorrendo i suoi passi tornò da Hiccup che l'aspettava sorridendo apertamente. 
< Come è andata la caccia? > chiese sussurrando. Merida notò subito un sistema che permetteva di reggersi in piedi senza appoggiare del tutto la gamba ferita. Era come se avesse dei bastoni di legni posti intorno al piede. Non sapeva bene a cosa potessero servire, ma sembravano abbastanza resistenti. In oltre poggiava le mani dietro la schiena come in attesa di far vedere una sorpresa per lei. Aveva fatto molto quel giorno, invece la rossa si malediceva per non aver portato nemmeno qualche erba o bacca da sgranocchiare. 
< Il clima mi ha impedito di cacciare. > raccontò sbattendo i piedi sulla neve. Il moro non disse niente e le mostrò cosa aveva dietro la schiena. Con una mano reggeva le zampe di un grassoccio coniglio bianco e nell'altra aveva qualche piccolo animaletto. Come aveva fatto ad avere un sistema più efficace del suo? Gli strateghi volevano che lui sopravvivesse, era ovvio. Pensò. 
< Non preoccuparti e ora seguimi che ti mostro il riparo per la notte. > esclamò facendole vedere una grotta coperta parzialmente dalla neve. 
< Ottimo lavoro, lentiggini. > sorrise la rossa verso di lui. Per la prima volta Hiccup si sentì fiero del suo risultato. Sperava solamente che suo padre avesse assistito alla scena. 
< Ora riposa qualche secondo, mentre io cucino qualcosina. > esclamò. 
Insolitamente Merida si fidò ciecamente e andò a riposare nella caverna, era fin troppo stanca per pensare a cosa potrebbe accadere. Si sdraiò sul sacco a pelo che era riuscita a recuperare alla Cornucopia e si addormento in fretta. 


Il risveglio fu molto piacevole. Si era addormentata senza neanche fare cena, ma non sentiva fame. Era particolarmente in forze e non c'era pericolo che qualcuno potesse attaccarla in quel momento. Era felice. Non felice come lo era quando c'era un nuovo dolce nel forno, no, in quel momento si sentiva stranamente allegra al sol pensiero di stare con il moro lentigginoso. 
Qual era il motivo di tutta quella energia? Poteva solo trattarsi di qualche sbalzo di umore che aveva per colpa degli aghi inseguitori. Uno stratagemma efficace per uccidere qualche tributo favorito. Gli aveva suggerito quella trappola la piccola ragazzina del 9. Una biondina troppo dolce per partecipare a questi giochi. Ci aveva parlato solo una volta e riconosceva in lei che era dolce sincera e molto timida. Tremava mentre le provava a parlare con la ragazza dai riccioli fiammeggianti, però era comprensibile giacché quasi tutti tremavano quando vedevano la rossa. La loro conversazione fu molto insolita. 
< Sono sicura che vincerai tu. > le tornò in mente la prima frase che le disse la bambina con gli occhi verdi. Di lei aveva perso ogni traccia, poteva essere viva come poteva stare per morire. Un'altra anima innocente da strappare alla vita. Se non sbagliava si chiamava Rapunzel. 
Quel viso armonioso le ricordava anche un'altro tributo molto solitario. Un tipo glaciale, che ti si gelava il sangue se lo guardavi negli occhi. Gli piaceva stare da solo e indisturbato. Aveva serie possibilità di vincere anche lui. Abile con la spada, come era abile con qualsiasi altra arma. 
Ma oltre ad essere un ragazzo solitario era anche molto burlone. Sembrava essere l'unico a cui piaceva solo la compagnia della ragazzina del 9. La guardava con uno sguardo che sembrasse non riservare a nessuno. Se si fosse davvero innamorato sicuramente sarebbe morto per lei e i tributi potrebbero sfruttarlo come punto debole dell'albino. 
< Il mio nome è Jack e vengo dal distretto 5 > si sentì ripetere le parole che aveva detto all'intervista con Caesar. 
Non si era accorta che con la morte di Astrid erano rimasti in vita circa 7 o 6 tributi e gli strateghi stavano architettando il gran finale. Un orrendo lieto fine ad un capitolo della sua vita, che poteva essere l'ultimo. Assassinata da qualche ibrido o tributo. Ed ecco che il mal umore tornò scalpitando nella sua mente. Si era anche dimenticata che doveva piacere agli sponsor per non morire di fame o di freddo. Come potrebbe attirare l'attenzione su di lei? Ci stava pensando per troppo tempo, così lasciò che l'idea venisse a se, come una missiva al suo cervello. 
< Finalmente sei sveglia, Mer. > la sorprese Hiccup con dolcezza. Il moro aveva fatto capolino giusto in tempo per vederle illuminare gli occhi. 
< Quanti tributi sono rimasti? > chiese. Il moro la fisso ricordando tutti i nomi dei ragazzi che aveva visto con il suo radar speciale. Flynn Rider del 1, Jack ed Elsa dal 5, Rapunzel dal 9 e loro due. 
< Precisamente 6 tributi. > rispose sicuro di se. 
< Ci sono alleati? > domandò stropicciandosi gli occhi. 
< Flynn ed Elsa è probabile che non siano alleati con nessuno, mentre per Jack e Rapunzel sono sicuramente amici e questo porta ad un punto di debolezza per lui. > proferì velocemente. La rossa rimase nuovamente spiazzata sulle informazioni che aveva il moro. Non si aspettava risposte così perspicaci. 
< Anche tu avresti come punto debole me... > mormorò tra i denti il lentigginoso lasciandola sola. 


< Come si chiama questo fiore? > richiese al ragazzo senza smettere di sentirgli ripetere seccato ogni cosa sapeva su quel piccolo bocciolo. 
< Bucaneve. > rispose Hiccup indicandolo. Quel fiorellino cresceva sulla neve molto bene. Merida avrebbe sempre voluto imparare qualcosa in più su i fiori, ma non aveva tanto tempo. Mattina caccia, pomeriggio baby sitter ai fratellini pestiferi e infine andare a dormire. La sua giornata era emozionante come un muro bianco. 
< Sono bellissimi. > sorrise mostrando tutti i denti. 
Hiccup sapeva benissimo che non poteva permettersi di fare il romantico nell'arena, ma quella ragazza lo completava. Così con il suo coltellino tagliò il gambo del fiore e glie lo sistemò dietro un orecchio. I suoi capelli sembravano come gocce di sangue, il suo sangue, versato sulla neve bianca. La cosa più bella che avesse mai visto. 
< Proprio come questo fiore sbuca nella neve tu hai fatto capitolino nel mio cuore. > pensò velocemente. No, quella frase non andava bene da dirle. Sembrava troppo sdolcinata e falsa. Sapeva che un momento o l'altro lei lo avrebbe dovuto freddare e non poteva permettersi di farle provare sentimenti positivi nei suoi confronti. 
< Uccidi o muori. > ripeté la prima cosa gli passò per la testa in quel momento. Quella frase stonava proprio, ma il lentigginoso sentiva che era il contesto adatto. Parlavano sempre di un amore negli Hunger Games. Sapeva nel profondo che la rossa non provasse altro che semplice pietà verso di lui, ma si divertiva ad immaginarla abbracciata a lui sussurrando il suo nome. 
< Che cosa? > chiese Merida alzando un sopracciglio. 
< Uccidi o muori. Siamo pur sempre negli Hunger games e se mi avessi lasciato uccidere da Astrid  non saresti morta al pensiero che toccherà a te uccidermi. >  ripeté abbandonando i suoi pensieri. 
BENG! 
Quello che la ragazza dai capelli fiammeggianti temeva. Morire dentro era molto più doloroso di una morte esteriore. Cosa poteva impedirgli di non usare quell'arco proprio adesso? Ucciderlo prima di affezionarsi troppo a lui. Tagliare quel legame che li univa.
< Non ho intenzione di ucciderti. > enunciò Merida spingendosi ad ammirare gli occhi colmi di speranza del moro. 
BENG! 
Un altro colpo andò a segno. Quegli occhi, quei maledetti occhi verdi la guardavano con ammirazione. Lui era pronto a qualsiasi cosa per ripagare il suo debito con lei. Ma era sicuro che il suo modo di proteggerla si trattasse solo per quel favore che gli fece con Astrid? No, andava ben oltre, però non poteva renderla debole in quei giochi. Lei era la spietata ragazza dal distretto 12, quella che ha preso 11 nelle sessioni private, mentre lui era solo una semplice pedina manipolata da Capitol City per renderlo pieno di incubi. Lui non era lei e questo lo sapeva. Se qualcuno dei due avrebbe potuto vincere quell'edizione era proprio la sua amica. 
< Ci sono dei Bucaneve nel distretto 3? > domandò cambiando argomento. 
< Si, ma questo non significa che non ne senti la mancanza. Ci sono tante persone nel 3, però a volte mi manca una sola. > sorrise balbettando. 
Merida si mordeva le labbra sentendo quelle parole. Il moro era una persona che gli mancherà più di tutti, ma non poteva lasciarsi ingannare dalle sue frasi. Questo era un momento troppo critico per la loro relazione da semplici alleati. Tuttavia per Hiccup la storia di essere alleati era solo una scusa per passare un po di tempo con lui. Da quando avevano stretto questo patto d'amicizia erano riusciti ad uccidere Flynn Rider. Il lentigginoso ricordava perfettamente le ultime parole di quel ragazzo: < Non siete l'unica coppia di questa edizione! > 
Avrebbe voluto interpretarle in qualche modo, forse riguardavano proprio l'albino del distretto 5 e la dolce ragazzina dai capelli color camomilla. Evidentemente anche loro non si erano fermati ad un semplice patto di alleanza. 
< Bacialo... > gridò il cuore della rossa. Come poteva pensare ad una cosa simile? Era davvero quello che voleva? Oppure poteva essere solo un semplice pensiero passato solo in quel momento? Lei non era il tipo di ragazza che si lasciava ingannare così facilmente da un ragazzo. Lei non voleva innamorarsi. Lei non doveva farlo. 
< Credo che sia l'ora di cacciare... > mentì la rossa cercano di svignarsela da quel momento di debolezza. 
< Va bene, Mer. Puoi almeno spiegarmi perchè continui ad aiutarmi? Sappiamo entrambi che prima o poi ci ritroveremo a lottare l'uno contro l'altro. > espose Hiccup con sicurezza bloccando la rossa. Merida continuò a mordersi il labbro sanguinante cercando di camuffare i suoi veri sentimenti. I suoi occhi erano spalancati verso il lentigginoso che la osservava intensamente. 
Esattamente in quel momento il mondo si fermò. Solo il dolce suono di un bacio riuscì a rompere ogni intenzione nel dividere quell'alleanza. Nessuno avrebbe potuto mettere fine sul loro amore, ma qualcosa aveva il potere di farlo: gli Hunger Games. 

***

< Mi chiamo Hiccup Horrendous Haddock III. Ho vinto gli Hunger Games. Vi state chiedendo come avessi fatto a poter riuscire a vincere? Ovviamente tutti sapete che quella ragazza dai capelli color fuoco mi ha salvato la vita ed io non sono stato in grado di fare lo stesso. > il moro posò il cartellino che gli aveva dato Dentolina prima di andare in scena. Il distretto 12 lo guardava con aria affliggente, come se gli stessero implorando di riportargli la loro Merida. Evitava d'incrociare gli sguardi della famiglia della rossa. Si rifiutava di credere di aver lasciato morire la ragazza vivendo in uno stato tra illusione e fantasia. 
< Lei avrebbe voluto tanto vincere... È solo colpa mia. Io continuo a rivederla nei bucaneve, nelle giornate innevate, io la rivedo in ogni persona. Non doveva morire. Troppo bella, troppo giovane. Di lei non resterà niente altro che un ricordo... > disse con voce fredda senza impedire ad una lacrima di scivolare sulla sua guancia. Vincere non era tanto bello come avrebbe creduto. Preferirebbe vivere una vita con Merida che cento senza di lei. Capitol City l'aveva privato del auo destino e lui avrebbe impedito che quel governo restasse indifferente. La tristezza lasciò spazio alla rabbia, la quale usò come intermediaria la bocca di Hiccup. 
< Non prometto che quello che sto per dire non abbia conseguenze disastrose, ma non mi lasciate altra scelta! > iniziò minaccioso. Poi incrociò lo sguardo sulla prima telecamera di ripresa. 
< Capitol City, io mi vendicherò. > enunciò rivedendo Merida in quei gesti. 
< ...e possa la fortuna e sempre essere al tuo favore. > finì con un tono di voce vendicativo. 


N. A. Rieccomi a chiedervi se vi sia piaciuto questa cosina. Spero solo di non aver tralasciato nessun errore di distrazione. La fretta di pubblicarlo mi sta sopraffacendo. Voglio dedicare la mia prima one shot ad una semidea che mi ha aiutato e sopportato nella pubblicazione. Ora questa persona ha già capito che sto parlando di lei. Grazie Lullaby99. 
Finisco col dirvi che basta una recensione fatta in dieci secondi per veder sorridere uno scrittore. Quindi bando alle ciance e recensite. Alla prossima! 


Slvre99  

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Capitolo 2
*** Insegnami a volare ***


N.A: Dopo giorni e giorni a rileggere questa one shot ho deciso che sia venuto il momento di pubblicarla. Solo al pensiero che questa è la seconda cosina che pubblico mi sudano le mani. Ora, senza anticiparvi niente, vi lascio alla lettura ( ci rivediamo a fine capitolo XD ).

 

 

Insegnami a

 Volare

 

 

< Insegnami a volare. > sospirò Rapunzel vedendo l’albino salire sulla sua torre con un balzo. 
< Non so come faccio... Ma ci riesco da quando ne ho memoria. > rispose sistemandosi la felpa azzurra. La biondina lo guardava con ammirazione. Lui riusciva a volare a differenza sua! Quello era un grande desiderio che la tormentava. Più o meno come una bambina amava poter aggrapparsi a Jack e allontanarsi dalla torre per qualche minuto.
< Ti andrebbe di vedere il villaggio? > domandò afferrandole la mano. Lei non si era mai allontanata così tanto. Sua madre non la faceva uscire dalla torre per proteggerla e la biondina insieme al suo strambo amico stavano per scappare al villaggio. Troppo rischioso, troppo pericoloso, troppo disubbidiente. 
< Eddai! Siamo arrivati solo fino alla foresta. Io credo che sia arrivato il momento di vedere il villaggio. > sorrise malizioso il ragazzo. 
< Io no- non pos- posso. > balbettò indietreggiando. 
< Lo sai anche tu che non puoi rimanere chiusa per sempre nella torre! > esclamò alzando le braccia e girandosi intorno. Erano nella parte della torre che ospitava la camera di Rapunzel. Le pareti erano tappezzate di dipinti colorati dalla biondina. C’erano molti disegni su il sole, dipinti di fiori e ritratti dell’albino. Alcuni erano ancora freschi, altri li aveva fatti molto tempo fa.
< Potremmo visitarlo sta sera. Quando ci saranno le luci fluttuanti! > proferì con un nodo alla gola la biondina. Il volto di Jack s’illuminò nel sentirle dire quella frase. Finalmente avrebbe portato la sua migliore amica al villaggio. 
< Sapevo che saresti venuta... > 
< RAPUNZEL, SONO A CASA! > ghignò Madre Gothel entrando frettolosamente. La biondina non fece nemmeno in tempo a salutare Jack che esso con un salto volò via dalla finestra.
< A sta sera, Jack. > sorrise lasciandosi trasportare dalla fantasia. 
< Tesoro, con chi stavi parlando? > chiese senza il minimo d’interesse. 
< Co- con J- Jac- Jack Frost. > balbettò nuovamente mordendosi la lingua. Tante volte aveva provato a spiegare a sua madre che lei aveva un amico che poteva volare, come nella favola di Peter Pan. 
< Cara... Quante volte devo ripeterti che avere amici immaginari non porta a niente! > espose alzando il tono della voce. Madre Gothel odiava il fatto che la biondina viaggiasse con la mente, l’unica cosa che approvava erano i suoi disegni, almeno fin quando non iniziò a disegnare Frost. 
< Ma lui è reale! > disse impaurita la piccolina. 
< Niente di tutto ciò è reale! > urlò spalancando i suoi grandi occhi grigi. 
< Ovvio che non lo è... Non mi lasci nemmeno uscire da queste mura. > protestò la biondina tirando fuori un altro discorso che avevano affrontato molte volte.
La mora si fermò un istante bloccata dalla rabbia. Doveva assolutamente chiudere quel discorso senza arrabbiarsi con lei il giorno del suo diciottesimo compleanno. 
< Cara > iniziò con voce piatta e distante. 
< Il mondo la fuori è molto pericoloso. Banditi, truffatori e ladri potrebbero persino rapirti! Io cerco tutti i giorni di salvarti proteggendoti in questa torre, però tu non mi ubbidisci e tenti di scappare. > esclamò facendole assumere un volto spaventato. 
< Vale la pena tentare... > sussurrò abbassando lo sguardo.
< Se vuoi scappa e lasciami morire senza i tuoi capelli. > concluse facendole provare dei sensi di colpa. 
< Scusami madre. > sospirò Rapunzel. 
La madre fece uscire un sorriso soddisfatto, poi strinse al petto la biondina. 
< Non ti preoccupare. > ghignò. 

***

< Sei pronta, Punzie? > disse Jack bussando cinque volte sulla finestra chiusa. Rapunzel stava dormendo profondamente, evidentemente si era annoiata ad aspettarlo. Era bellissima quando dormiva, i morbidi capelli chilometrici le sfioravano il volto rendendola incantevole. L’albino rimase qualche minuto ad osservarla, poi delicatamente riuscì ad aprirsi la finestra dall’esterno. Poggiò i suoi piedi scalzi sul pavimento e camminò con passo felpato fino al letto. 
< Punzie... > le sussurrò accarezzandole il viso. 
< Rapunzel... > bisbigliò scuotendola. La biondina dormiva fin troppo profondamente per essere svegliata da semplici carezze. 
< RAPUNZEL! > esclamò facendola scivolare per terra. Il tappeto attutì la caduta. 
< Jack? Che ti salta in mente?! > chiese alzandosi assonnata. 
< Allora, vuoi vedere le luci fluttuanti? > domandò scrollandola da tutta la stanchezza. Finalmente la biondina poteva sapere quali fossero quelle luci, andare al villaggio e passare un altro po di tempo con Jack. Solo che si sentiva troppo in colpa per aver tradito la fiducia di sua madre. 
< Pensi ancora a tua madre? > le sussurrò afferrandole le mani. 
< Vedrai ti perdonerà! > esclamò spronandola ad uscire. 
< E se non lo facesse? > chiese portandosi le mani al viso. 
< SONO LA PEGGIORE FIGLIA DEL MONDO! > gridò buttandosi tra le braccia di Jack. 
L’albino la strinse con forza a se e senza sentire ragioni la prese in braccio e volò via dalla finestra. 
< Stiamo volando! > sorrise appena si accorse di fluttuare qualche metro sopra la sua torre. 
< Per un’ora devi dimenticare di essere Rapunzel e diventare la cosa che avresti sempre sognato. > espose fiero l’albino e volò in fretta verso il grande villaggio illuminato. 
Non appena arrivati sul porto si poteva ammirare il castello pronto per lanciare delle lanterne. 
< Cosa stanno facendo? > chiese Punzie osservando una donna distribuire le lanterne con un piccolo sole disegnato. 
< Credo che mandano un omaggio alla principessa perduta. > pensò Jack ad alta voce. La storia della principessa era conosciuta in tutto il villaggio ed ogni anno la ricordavano lanciando delle lanterne al cielo. 
< Quindi sono queste le luci fluttuanti... > rise la biondina raggruppando tutti i suoi capelli in una treccia. Jack posò un dito sull’acqua del mare, che prese a gelarsi. 
< Come ci sei riuscito? > osservò incuriosita. 
< Nello stesso modo che riesco a volare. > rispose scivolando sul ghiaccio. L’albino fece cenno di seguirla, ma la biondina era bloccata. 
< Io credo che non sia una buona idea... > disse tremando.
< Non dirmi che hai paura. > sbruffò tenendo una mano tesa davanti a lui. Rapunzel annuì imbronciata. 
< Non avere paura... Ci divertiremo un mondo. > enunciò e la tirò a se con il grande bastone ricurvo che portava sempre con lui. 
< Segui i miei passi! > rise e la trascinò lontano dalla riva. Passo dopo passo, i due scivolavano tra il ghiaccio giocando come bambini. 
< NON RIESCI A PRENDERMI! > gridò Jack tirandole una palla di neve sui capelli. 
< Oh si che ti prendo. > rispose la biondina correndo verso di lui, ma mentre pattinava inciampò e cadde sull’albino con tutto il corpo. 
< Ti sei fatta male? > chiese ridendo per la caduta goffa.
< No... > bisbigliò fissandogli gli occhi blu. Per un momento Rapunzel fu incantata da i suoi occhi di ghiaccio e quasi tentata a strapparglieli per poter tenerli sempre con se. Quegli occhi le dicevano ogni cosa senza bisogno della voce. Si potevano vedere i labili confini di un blu cobalto all’azzurro cielo. 
Anche Jack fissava i suoi verdi. Il mondo di era fermato permettendo a loro di scrutarsi a vicenda. Non c’era suono, non c’era rumore, c’erano loro e il ghiaccio. 
L’albino le strofinò una carezza sul viso facendole congelare la guancia. Poi lentamente le afferrò con dolcezza il collo e le sfiorò le labbra con un dolce bacio. Rapunzel, prima rigida come una roccia, si lasciò trasportare da quel momento abbandonando il passato nella torre e guardando al di la di quella mura. Il loro tenero e passionale bacio aveva lasciato come sfondo il castello e le luci fluttuanti ormai nel cielo. 

 

 

 

N.A: Rieccomi! Dopo circa due settimane di studio sono riuscita a ritagliare un po’ di tempo per pubblicare. Ho deciso di fare una Jackunzel per il semplice motivo che li shippo troppo insieme *^* ( anche se la mia coppia preferita è sempre e per sempre la Mericcup). 
Spero di non essere sfociata nel OOC e che vi sia piaciuta. Non vorrei dilungarmi troppo così concludo col dire che aspetto con ansia ( molta ansia XD ) il vostro parere, critico o positivo che sia, e sperare che v’invoglia a leggere la prossima One Shot. Alla prossima. 

 

 

Slvre99

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Capitolo 3
*** Dodici anni dopo ***


N.A. SCUSATE il tremendo ritardo, ma in queste settimane mi sono concentrata molto nello scrivere una long su HungerGamesAU. In compenso ho ripreso a scrivere questa one shot, che avevo abbandonato tre settimane fa. Parlerà dei pucciosi Hic, Mer, Punzie e Jack in una ModernAU. Spero che sia uscita decentemente, ma non spetta a me dirlo. Buona lettura! ^^


Dodici anni dopo
 

Loro erano speciali. Non come il solito gruppo di amici che si ritrovava il sabato sera in una discoteca o un pub. Loro erano speciali. Speciali come la neve nel deserto del Sahara. Un giorno passato insieme valevano mille con un’altra persona. Loro erano speciali. Erano ciò che tutti desideravano. Facevano parte di una grande, lunga amicizia infinita. 

 

Dodici anni dopo

 

< Bentornata, tesoro! > sorrise Elionor vendendo la rossa correrle ad abbracciarla sorridendo apertamente. Erano passati molti anni dall’ultima volta che si erano viste. Nulla era cambiato tra loro: lettera per Natale, videochat su Skype e biglietti di auguri ai vari compleanni. Un normale rapporto per quando si viveva a più di mille chilometri di distanza.

< Entra! Qui fuori si gela. > disse la mamma accompagnando la sua bambina nel grande soggiorno dei DunBroch. La stessa aria si respirava da anni. Tra quelle pareti quanti ricordi le saltarono in mente. Ora che abitava a Boston si era dimenticata tutto ciò che le ricordava casa, ma esattamente in quel momento si ritrovò sommersa dai momenti più importanti della sua vecchia vita. 

< Per quanto tempo resterai qui? > chiese gentilmente Elionor porgendogli una tazza di tè caldo. 

< Tre giorni. > rispose freddamente. Come se il freddo di Boston le avesse congelato il suo lato più dolce della sua personalità. 

< Mio marito non è potuto venire. > proferì Merida iniziando la conversazione in modo distaccato. 

< Come va il matrimonio? > domandò sedendosi di fronte a lei. 

< Alla grande. Il piccolo H. è rimasto dai nonni paterni. > espose fissando le rughe che avevano ricoperto il volto della madre in quegli anni. 

Era tutto molto strano. Merida non vedeva sua madre da quando era partita per l’università. Si era sposata molto presto e aveva avuto un meraviglioso bambino dagli occhi verdi come un prato fiorito. Velocemente si dimenticò chi fosse e non fece più ritorno nella sua vecchia città. Almeno fino a quel momento. 

< Vuoi riposarti? Ho riordinato la tua cameretta di quand’eri ancora la mia bambina. > sussurrò la bruna accompagnando la rossa su per le scale e un lungo corridoio luminoso. 

Non appena riaprì la porta un’altra ondata di ricordi le invase la testa. Le sue risate. I suoi pianti. Le sue grida. Il suo profumo. Quel posto l’aveva fatta percorrere da un brivido freddo per tutta la schiena. 

< Sono riuscita a lasciare tutto com’era prima della tua partenza. > sospirò accarezzandole i capelli. Era stata via molto e il tempo non aveva cambiato nulla. Pareva che l’indomani si sarebbe dovuta alzare presto e tornare tra i banchi di scuola. 

< Riposati un istante. > disse la madre e sparì. 

< Grazie. > sorrise e si lanciò sul letto morbido. 

Chiuse un istante gli occhi e si lasciò trasportare da quell’armonia di profumi che intasavano il suo naso. Com’era riuscita a stare via per tutto questo tempo senza mancarli casa?

Le mensole di quella stanza erano piene di fotografie incorniciati riguardanti il liceo. Si poteva vedere una Merida diversa, una Merida più felice. Si alzò di scatto dal tetto e prese delicatamente una foto ingiallita di quando aveva 16 anni. Nella foto si vedevano chiaramente due ragazzi: lei e il moro. Improvvisamente le si gelò il sangue. Una fitta le colpì il cuore facendole lasciare la foto sul pavimento. Non si era mai aspettata una reazione del genere. 

Uno scaffale pieno di libri ospitava un grande album fotografico verde. Lo si vedeva spiccare tra gli altri colori più tenui e scuri. Lo prese e lo posò sulla scrivania in ordine. Soffiò sulla copertina per togliere un po’ di polvere e lesse velocemente il titolo: The Big Four. Senza essere colta alla sprovvista di un’altra fitta girò alla prima pagina, completamente impolverata. 

 

24\12\2012

 

< Sorridete! > esclamò Hiccup puntandogli la macchina fotografica davanti agli occhi. I tre amici erano sdraiati sul divano della famiglia DunBroch, una famiglia ordinaria, ma con una figlia non nella media. 

< Vediamo, com’è uscita? > chiese l’albino togliendo la macchina fotografica dalle mani del moro. 

< Con la macchina progettata da te le foto sembrano tutte dei tali disastri! > brontolò Jack. Hiccup arricciò il naso e strappo la macchina fotografica di sua invenzione dalle mani distruttive dell’albino. L’aria natalizia che c’era in quella stanza era coperta dall’intenso profumo di biscotti allo zenzero e un tacchino appena sfornato. La famiglia DunBroch ospitava gli amici di Merida ogni anno. Non c’era Natale senza che Jack s’ingozzasse di biscotti e caramelle sotto l’albero dei DunBroch. 

 

***

Quella foto l’aveva lasciata trasportare in un unico grande ricordo dei Natali passati. Da quando era partita per l’università non fece più un Natale con i suoi migliori amici. Non era più tornata indietro. Qualche anno fa mandò qualche cartolina di Buon Natale, ma niente di più. 

Girò la pagina con insistenza e ritrovò nuovamente sommersa dai ricordi. La foto che occupava tutta la pagine era stata scattata quattordici anni prima di quel momento in un grande parco divertimenti. La faccia di una biondina gridava terrorizzata abbracciando la felpa dell’albino, mentre la rossa sorrideva felice alzando entrambe le mani. Com’erano uniti, una volta. 

 

5\02\2013

 

< Non possiamo farlo, è sbagliato! > protestò la biondina opponendosi alla folle idea dell’albino. 

< Non dirmi che hai paura di scappare da scuola e andare a divertirci in un parco divertimenti!? > sorrise spingendola verso le scalinate dell’accesso riservato ai professori. 

< Non ci potrebbero scoprire? > sussurrò Rapunzel accostandosi alla felpa calda di Jack. 

< Non passano mai i professori per di qua. Io la uso sempre per dileguarmi via. >

Rapunzel non era convinta. Lei non era mai scappata da nessun posto, e adesso stava facendo tutto solo per provare qualcosa di nuovo. 

< Merida e Hiccup dove ci aspettano? > bisbigliò la biondina stringendogli il braccio. 

< Fuori da scuola alle 11 in punto. > rispose scendendo due scalini alla volta. 

Come promesso dall’albino i due ragazzi erano puntualmente fuori dal grande cancello di metallo ad aspettarli con le braccia incrociate. 

< Vi aspettiamo da 10 minuti! > brontolò la rossa puntando il dito verso l’albino. 

< Sarei arrivato in tempo se Punzie non avrebbe fatto tante storie per seguirmi. > rispose lasciandosi sfuggire un sorrisetto. 

< E pensare che mi ero preparato alla perfezione all’interrogazione di storia. > disse dispiaciuto Hiccup. 

< Io dovevo essere interrogata in scienze! > sussultò Rapunzel preoccupata. 

< Smettetela voi due! > gridò Merida. Una risata generale li contagiò tutti. Persino la preoccupata biondina. 

Velocemente camminarono attraversando tutta la città per arrivare al grande parco divertimenti. La grande insegna puntualizzava che i minorenni potevano entrare solo con un adulto, ma tra loro nessuno era abbastanza grande da essere maggiorenne. La piccola biondina, Hiccup e Mer dovevano compiere 16 anni, mentre Jack ne aveva 17. Per riuscire a passare i controlli dovevano mentire e l’idea a Rapunzel non piaceva minimamente. 

< Quattro biglietti d’ingresso. > disse con voce roca l’albino rivolto verso la ragazza che stava alle casse. 

< Documenti prego. > rispose acida. Frost finse di frugare nel grande borsone ed estrasse delle vecchie cartacce stropicciate. La donna gli osservò un istante e poi gettò nel cestito quelle cartacce. 

< Mi dispiace, signor... Yughyurt. > iniziò alzando un sopracciglio. 

< Ma lei non sembra avere 46 anni. > ghignò e fece cenno ad un controllore di rispedirli a casa. 

< Arrivederci, è stato un piacere! > sorrise Hiccup e scappò. 

< Buona giornata! > continuò la biondina e raggiunse il moro lontano dalle casse d’ingresso. 

< MA CHE TI SALTA IN MENTE, FROST! > gridò arrabbiata la rossa verso l’albino in fuga. 

< POTEVI FARCI SCOPRIRE TUTTI! > continuò sempre con lo stesso tono. 

< Avevate un’idea migliore? > chiese ironico. 

< Potremmo entrare scavalcando qualche agente di polizia dal retro. > propose Hiccup. Tutti rimasero a fissarlo increduli di quello che avevano sentito. Il moro aveva appena proposto di andare contro ogni regola! 

< Ottima idea! > sorrise Jack. In men che non si dica, erano entrati passando dal retro e nessuno si era accordo di niente. Il piano di Hic aveva funzionato. 

< Andiamo sul Giro della Morte! > enunciò Merida rimanendo affascinata dalle urla dei ragazzini su quell’attrazione infernale. 

< Oh no, no. Io preferisco visitare qualche altro gioco più tranquillo. > sorrise preoccupata la biondina. 

< Ma quale gioco tranquillo!? Andiamo a vedere una mostra al museo di storia naturale! > esclamò il moro tirando i tre ragazzi per la manica. 

< Le vostre idee sono ridicole. La Casa Stregata ci aspetta! > proferì l’albino. 

< Facciamo tutti i giri! Partiamo dal Giro della Morte! > disse la rossa sorridendo come una bambina. 

< E che il Giro della Morte sia. > concluse Jack. 

 

***

Le mancava profondamente tutto quel divertirsi in ogni dove, con vecchi amici. Chissà che hanno fatto fin a quel momento. Hiccup sarà diventato un progettista? Rapunzel si sarà sposata? Jack che fine avrà fatto? Dimenticati, tutti dimenticati. 

Svoltò più pagine con tristezza, fino ad arrivare a una foto di una sera stellata.

 

10\06\2014

 

< Hiccup, devo dirti una cosa. > disse la rossa fissando gli occhioni verdi del moro. 

< Dimmi! > sorrise accarezzandole il volto. Erano sei mesi che stavano insieme, niente poteva separarli.

< Io... > iniziò con voce insicura. 

< Partirò per Boston. > concluse tremano. Hiccup resto impassibile, per un secondo spiazzato dall’affermazione un po’ particolare di Merida. Partire per Boston? Troppo lontano per i suoi gusti. Come si sarebbero tenuti in contatto? Deve rinunciare a tutti i costi. 

< Stai scherzando? > chiese lasciandole le mani. 

< No... ma mi si è presentata una borsa di studio fantastica e non posso rifiutare! > rispose  con occhi gonfi. Lasciare i suoi amici e lasciare Hiccup era qualcosa di troppo doloroso da poter sopportare. 

< Sono felice per te. > mormorò il moro abbassando lo sguardo. 

< Quando parti? > chiese stringendole i polsi con delicatezza. 

< Domani. > sussurrò singhiozzando. 

< Perchè non me l’hai detto prima? > domandò con un filo di rabbia nella sua voce. 

< Non volevo che il nostro rapporto cambiasse... > 

< Cambierà! Ovvio che cambierà! Tu partirai per Boston e non ci rivedremo per non so quanto tempo! > gridò con frustrazione. 

< Non posso non andarci... > 

< E meglio che vada. > ghignò camminando lontano. 

< Ci vedremo domani? > chiese Merida con un filo di voce. 

< Non lo so! > rispose sparendo. 

 

*** 

 

Non si fece più vivo. Che fosse arrabbiato non lo sapeva, ma da quel giorno sentiva un vuoto dentro! Un vuoto più grande di quello che aveva colmato sposandosi. Lei amava Hiccup ed era terrorizzata all’idea di essere stata dimenticata come lei aveva dimenticato lui. 

Chiuse con forza quell’album e scese le scale il più velocemente possibile. Afferrò il giaccone dall’appendiabiti e corse in macchina. Sfrecciò per le vie di quella piccola città fino ad arrivare in una vecchia casina con un grande giardino. Bussò due volte alla porta. 

< Sono Merida, Merida DunBroch. > disse mentre il suo cuore scalciava senza sosta. Una giovane donna dai capelli biondo platino le aprì la porta. 

< Merida? > chiese rimanendo bloccata da quella donna che la osservava. 

< Oh per tutti i draghi! > esclamò la rossa. 

< Jack! Merida è quì! > urlò abbracciandola con forza e chiamando un uomo dai capelli bianchi. 

< Mi siete mancati troppo! > la rossa corse ad abbracciarli entrambi con un sorrisone spalancato sulle labbra. 

< Che è successo in tutto questo tempo? > chiese emozionata all’idea di sentir raccontare tutti i loro successi. 

< Troppe cose. Jack ha aperto una fabbrica di giocattoli internazionale ed io faccio la fioraia! > rispose la biondina. 

< Cos’hai fatto tu invece? > domando l’albino. 

< Io... mi sono laureata, sposata e ho un bambino di tre anni. > esclamò tutto d’un fiato. 

< Sono con te? Tuo marito e tuo figlio? > chiese Rapunzel. 

< No, sono rimasti a Boston. > mormorò. 

< Stasera che ne dite di venire tutti a casa mia?! Come facevamo 12 anni fa! > esclamò felicemente. I due accettarono e si riabbracciarono ancora una volta. 

< Sapete dov’è Hiccup? > domandò infine Merida. 

< Quell’inventore di Hiccup si è trasferito, pochi giorni fa, in un quartiere qui vicino. > proferì  Rapunzel scrivendo l’indirizzo su un foglietto. 

< Grazie e a stasera! > sorrise ancora una volta la rossa ed entrò in macchina. Accese il motore e partì verso quell’indirizzo. Velocemente arrivò davanti a una grande porta bianca. Sembrava appena riverniciata. Bussò tre volte sulla porta. Un ragazzo dai capelli scuri in canottiera spalancò la porta. 

< Sono Merida DunBroch e cerco Hiccup. > proderì sicura di se. 

< Ciao Merida... Sono io, Hiccup, > 

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