Parlami di pace

di Mirai No
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo una ragazza ***
Capitolo 2: *** Mirai ***
Capitolo 3: *** La bella addormentata del mare ***
Capitolo 4: *** Ombre ***
Capitolo 5: *** Gocce di ricordi ***
Capitolo 6: *** Tornare indietro ***
Capitolo 7: *** La forma delle nuvole ***
Capitolo 8: *** Ossessione ***
Capitolo 9: *** Vicina lontananza ***
Capitolo 10: *** Foto e Ricordi ***
Capitolo 11: *** Quel desiderio inespresso ***
Capitolo 12: *** Il sogo di Mirai ***
Capitolo 13: *** Solo acqua ***
Capitolo 14: *** Promessa silenziosa ***



Capitolo 1
*** Solo una ragazza ***


Parlami di pace


CAPITOLO 1 – SOLO UNA RAGAZZA

Trunks inspirò una boccata d’aria gelida, dando al contempo un’occhiata al paesaggio cupo che si profilava sotto ai suoi occhi. Macerie. Rovine su rovine di città che un tempo erano magnifiche.
«Maledetti cyborg» sussurrò tra i denti il ragazzo, mentre il vento gli scompigliava i capelli lilla.
Si sentiva talmente inutile, ma allo stesso tempo necessario…
Almeno prima c’era Gohan… Allontanò con decisione il pensiero del suo mentore, prima che tornasse la nostalgia, prima che tornasse la voglia di piangere.

Saltai giù da quel che restava di un muro. Mi tremarono le gambe all’impatto col suolo, ma ignorai la cosa.
Avrei tanto voluto non essere così terrorizzata.
Strinsi con decisione le labbra in modo che non tremassero e ripresi a camminare.
I piedi mi dolevano ad ogni passo. Le ginocchia minacciavano di cedermi da un momento all’altro.
Deglutii a fatica. Perfetto. Avevo la gola secca.
«Ciao, mocciosa. Ma non lo sai che è pericoloso andare in giro a quest’ora sola soletta?»
Mi voltai.
C-17 mi rivolse un sorriso ironico.
Il cuore iniziò a battermi talmente forte che mi parve sul punto di esplodere.


Trunks capì subito che la zona che stava attraversando era stata appena attaccata dai cyborg.
Nuvole di fumo aleggiavano nell’aria.
Il ragazzo si guardò attorno e scorse una figura semisepolta tra le macerie.
Sobbalzò e accorse, traendola fuori.
Era una ragazzina di circa tredici anni.
Ed era viva.
Ridotta male ma viva.
Sollevato, la prese in braccio. Era leggerissima…
La strinse appena, ma tanto bastò per ridarle i sensi. Lei infatti sobbalzò, aprendo gli occhi a fatica.
Vedendo Trunks trasalì nuovamente, con maggior veemenza, e si divincolò, costringendo il saiyan a lasciarla.

Una volta coi piedi per terra, scrutai quel ragazzo. Mi si strinse lo stomaco.
“Carino”. Non pensai altro, ma quella parola mi rimbombò nella mente.
«Ciao» mi salutò lui, sorridendomi appena.
Sentii un groppo in gola. Avrei tanto voluto rispondergli, ma proprio non ce la facevo. Avrei voluto dirgli che non avevo più un futuro, ma la voce mi si bloccava in gola.
«Futu..» iniziai. Non riuscii a finire. La gola mi si chiuse. Non ne ero capace.
Allungai di scatto la mano a prendere la sua.
«Vuoi venire con me?» domandò lui gentilmente.
Annuii disperata.
E a lui bastò.
Mi fissò per un attimo con quei suoi occhi di un azzurro sconvolgente, poi mi riprese in braccio.
Successivamente (se avessi potuto avrei urlato di paura e sorpresa) si alzò in volo.


Ciao!
Sono Mirai No, e questa è la mia prima fan fiction. E su chi poteva essere, se non sul mio adorato Trunks del futuro?
Sono ansiosa di conoscere il vostro parere. Fa schifo? La devo continuare?
Ditemi voi.
Un abbraccio,
Mirai No
(Spero si sia capito che la parte in corsivo è narrata in prima persona dalla ragazzina trovata da Trunks).

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Capitolo 2
*** Mirai ***


CAPITOLO 2 – MIRAI

La ragazzina gli si strinse contro. Trunks le carezzò appena i capelli, tentando di tranquillizzarla.
Notò che lei impiegò poco ad abituarsi all’idea di star volando. Però sembrava non gradire l’altezza, e si strinse ancora maggiormente al giovane.
«Tranquilla» provò a rassicurarla lui. «Va tutto bene».
Lei alzò la testa a guardarlo negli occhi, e che sguardo!
Era un po’ di tristezza e un po’ di rammarico.
Trunks ne fu colpito. Era la medesima espressione che sarebbe potuta stare sul viso di una madre mentre il figlio piccolo non vuole capire che sott’acqua non si respira.
Poi la ragazzina abbassò nuovamente lo sguardo, di colpo.
E finalmente Trunks giunse in vista della propria casa. Atterrò nel cortile, e subito posò a terra la ragazzina, la quale parve alquanto lieta.
Guardandola, il saiyan notò che aveva un taglio sul dorso della mano.
«Ti fa male?» chiese, prendendole delicatamente il polso. Lei si strinse nelle spalle, chinando la testa in avanti.
Trunks la osservò.
Era magra. Aveva capelli castani che le arrivavano all’altezza del mento.
Notando di essere scrutata, alzò gli occhi ad incrociare quelli di Trunks, il quale si ritrovò a guardare in iridi dal colore strano.
Grigioverdi, o grigioazzurre, forse.
La prese per mano. «Vieni» la invitò.
Entrò in casa con la ragazzina di fianco.
«A proposito» esordì mentre iniziavano a scendere le scale, «io sono Trunks». Lei non replicò e i gradini finirono.
Il ragazzo si guardò attorno un attimo. «Mamma!» chiamò.
Una donna con lunghi capelli azzurri raccolti in una coda di cavallo comparve in corridoio.
«Ciao, Trunks, sei tor…». Si interruppe vedendo una bambina sconosciuta accanto al figlio.
«Ciao» la salutò. Lei non rispose, stringendo maggiormente la mano di Trunks.
Bulma fu intenerita da quel gesto che tradiva un gran smarrimento.
«Come ti chiami?» le chiese, più gentilmente che poté.

Mi morsi un labbro. Non riuscivo a rispondere e mi dispiaceva davvero.
«Credo sia muta, mamma» intervenne il ragazzo di nome Trunks. «Non che sia nata così» specificò, «ma che la sia diventata».
Si voltò verso di me, abbassandosi in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei miei.
«Ti va bene se ti chiamiamo Mirai?» mi chiese piano.
Scrollai le spalle, poi annuii.
«Lei è Mirai» dichiarò Trunks, rivolto a sua madre, rialzandosi.
Lei mi sorrise. «Piacere di conoscerti, Mirai, io sono Bulma» disse.
Le rivolsi un timido cenno.
«Perché Mirai?» domandò poi la donna, rivolta a Trunks.
«Perché è l’unica cosa che le ho sentito dire» rispose il ragazzo.
Lo fissai confusa. Io avevo detto “Futu” in realtà, ma non obbiettai. Primo, perché non ero in grado di farlo, secondo non avevo affatto voglia di venir chiamata Futu.
Poi, improvvisamente, capii. Il ragazzo doveva aver capito che avevo voluto dire “Futuro”, e perciò mi aveva chiamata di conseguenza “Mirai”.
Geniale. Mi piaceva.
Poi mi strinsi nelle spalle con un brivido, perché, nonostante tutto, avevo ancora paura.


Bulma notò il ritorno dello smarrimento sul viso della bambina, e decise di fare qualcosa per tentare di mitigarlo.
«Hai fame?» le domandò. Sapeva che il cibo avrebbe sicuramente rincuorato un saiyan, e voleva vedere se sarebbe valso anche per tranquillizzare una bambina.
La ragazzina annuì timidamente, al che la donna le porse la mano.
«Coraggio, vieni» la invitò.
Mirai esitò, poi prese la mano di Bulma, la quale, seguita da Trunks, la condusse in cucina. Lì la fece accomodare.
La ragazzina si sedette, a disagio.
Bulma le servì formaggi, pane e un po’ di prosciutto, e non si stupì quando la piccola divorò ogni cosa.
Le servì inoltre del latte e qualche biscotto.
Quando Mirai ebbe trangugiato pure quello, parve rilassarsi leggermente. Sorrise, grata e impacciata, a Bulma, la quale ricambiò di buon grado il sorriso.
«Quanti anni hai?» le chiese.
La ragazzina mostrò le dieci dita delle mani tese, poi, dopo aver richiuso per un momento i pugni, alzò tre dita.
«Tredici?» fece Bulma.
Mirai annuì.
«Trunks ne ha diciassette» aggiunse Bulma. Poi si accorse del taglio della ragazzina.
Mentre lo curava, le raccontò un po’ di avvenimenti, tanto per parlarle, e sul viso di Mirai restò un’espressione educata ma distaccata.
Quando Bulma ebbe finito si rivolse a Trunks: «Io vado a cercale degli abiti confortevoli» dichiarò, accennando ai vestiti piuttosto logori della ragazzina. «Tu intanto falle vedere la casa».
«Ti lascio con Trunks. Se hai bisogno di qualcosa faglielo notare» disse a Mirai.
Quest’ultima si limitò a stringere le spalle.

Dopo che la signora se ne fu andata presi a fare alcuni ghirigori sul tavolo, usando un dito. Continuai sinché Trunks non mi chiamò. «Mirai?»
Alzai la testa.
«Vuoi vedere un po’ la casa?» mi domandò il ragazzo.
Contemporaneamente mi pose davanti un foglio e una matita.
«Allora?»
Ci pensai un attimo, poi scrissi: se per te va bene…
Lui sorrise. Lo guardai, notando che aveva un bel sorriso.
Poi mi domandò piano, quasi non fosse sicuro della mia eventuale risposta: «Puoi scrivermi come ti chiami?»
A quella richiesta mi irrigidii. Mi morsi un labbro, guardando il foglio bianco, poi lo spinsi lontano.
Il ragazzo osservò quel gesto di rifiuto, ma non disse nulla.
Mi condusse per i corridoi, mostrandomi molte stanze. Per ultima lasciò la propria.
Me la fece vedere di buon grado. Il mio sguardo, però, fu subito attratto dai numerosi libri che vi si trovavano.


Trunks guardò in silenzio Mirai avvicinarsi ai libri.
La ragazzina sfiorò col dito il dorso di un volume, con un’espressione di nostalgia sul viso. Ritraendo la mano urtò lievemente un portamatite, ed esso cadde.
Mirai arrossì e si chinò verso di esso. Contemporaneamente Trunks si era avvicinato in fretta. Entrambi tesero le mani verso l’oggetto, e quelle si sfiorarono.
Mirai si fece scarlatta in volto e ritirò di colpo la propria, stando poi a guardare Trunks che sistemava il portamatite.
Il ragazzo infine si girò verso di lei, e le vide un’espressione mortificata sul viso.
«Non preoccuparti» tentò di rassicurarla, «ho messo tutto a posto».
Gli occhi strani della ragazzina incontrarono desolati quelli del saiyan.
Non tentare di fare l’impossibile. È inutile, puoi provare e riprovare quanto vuoi. Gli esseri umani sott’acqua non respirano.

Rieccomi!
Ringrazio moltissimo vivvina e bellissima90. Spero continuerete a seguirmi e a recensire! Poi un ringraziamento speciale va a Pepesale, la mia “cucciola”, che mi ha aiutata tantissimo.
Per ora non è molto interessante, dal momento che anche questo capitolo è per introdurre i personaggi. Però prometto che poi si farà più bello.
Un abbraccio,
Mirai No
ATTENZIONE: fra poco il titolo sarà cambiato in “PARLAMI DI PACE”. Penso sia meglio... datemi anche il vostro parere...
N.B. : Son Kla mi ha fatto notare alcuni errori, che ho corretto, la ringrazio tantissimo.

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Capitolo 3
*** La bella addormentata del mare ***


CAPITOLO 3 – LA BELLA ADDORMENTATA DEL MARE

Trunks rimase in silenzio per un bel po’, poi azzardò: «Sei davvero completamente muta?»
Mirai aprì la bocca un paio di volte, come mettendo alla prova le proprie corde vocali. Infine annuì.
Trunks non seppe che dire per colmare quel silenzio.
Non era mai stato bravo con le parole.
Solo introverso e malinconico.
«Però sei riuscita a dire “Futu”…» alluse, incerto.
La ragazzina si strinse nelle spalle (Trunks notò quanto le fosse frequente quel gesto) poi si voltò, cercando qualcosa.
Prese un foglio e una matita e tracciò alcune parole. Trunks si sporse e lesse: è l’ultima cosa che sono riuscita a dire.
Forse qualcun altro le avrebbe chiesto cosa l’avesse sconvolta al punto da farle perdere la voce, ma Trunks non lo fece. “Forse anche io, dopo aver trovato Gohan… Forse anch’io, se non avessi avuto la mamma, dopo quell’esperienza sarei diventato muto”.
Per essere appena più sicuro della propria teoria, si rivolse a Mirai.
«Hai… qualcuno?» chiese cautamente.
La ragazzina lo guardò a lungo, come soppesandolo, infine fece un indifferente cenno di diniego.
Trunks si irrigidì, urtato non tanto da ciò che quel gesto stava a significare quanto dal distacco col quale lei lo aveva eseguito.
Stette a guardarla.
Mirai, sempre noncurante, era immersa in chissà quali pensieri.
Trunks prese un libro e glielo mostrò. «Ti piace leggere?» le chiese, scrutandola attentamente.
Lei contrasse un momento le sopracciglia.
Se le piaceva leggere?
Di sicuro prima sì, ma adesso… fece un gesto vago con la mano.
Trunks distolse lo sguardo da lei.
Il silenzio iniziò a farsi pesante, ma per fortuna giunse Bulma a colmarlo.
«Eccomi!» esclamò la donna, la quale reggeva alcuni abiti. «Tieni» aggiunse affettuosamente, porgendoli a Mirai, la quale li strinse contro il petto.
«Spero ti piaccia l’azzurro» mormorò la scienziata. «Non ho trovato altri colori. Ah, e saranno un po’ larghi… li indossavo io qualche tempo fa».
Mirai ascoltò tutte le spiegazioni, impassibile.
Poi Bulma osservò: «Forse è meglio se prima ti fai una bella doccia».
La guidò in bagno, e poco dopo la ragazzina ne uscì, lavata e vestita ma coi capelli ancora fradici. Bulma si munì di pettine e phon, e li asciugò con cura.

Quei vestiti erano diversi da quelli che avevo prima. Erano caldi e morbidi, e in più la doccia mi aveva piacevolmente rinfrescata.
Fissai la mia immagine riflessa nello specchio che avevo davanti. Anche i capelli, dopo tanto tempo, erano a posto.
Forse mi sarei piaciuta, se solo non fosse accaduta quella cosa…
Tutto sommato non mi importava granché il mio aspetto, non mi importava granché di nulla, nemmeno di me stessa.
«Dai, vieni» mi esortò Bulma, «Trunks è già in cucina ad aspettarci».
La seguii, sistemandomi nervosamente una ciocca di capelli.
Durante la cena non alzai quasi mai gli occhi dal piatto.
“Se sapesse cosa mi è accaduto” pensai, mentre Trunks mi porgeva un vassoio, “se sapesse cos’ho fatto… non sarebbe così gentile con me”.
Non volevo (dopo tanto subire, ora avevo una volontà, e non volevo) incontrare il suo sguardo, perché io ero sporca, ma lui… Lui era puro.
«Dovrò sistemarti nella stanza di Trunks, almeno per ora» mi annunciò Bulma.
Finita la cena, infatti, mi trovai ad infilarmi tra le lenzuola candide di un letto proprio adiacente a quello di Trunks.
Lui mi sorrise, augurandomi la buonanotte.
In silenzio, mi adagiai sul materasso. Mamma mia, quant’era morbido.
«Sai che fra poco andrò indietro nel tempo?» disse d’un tratto Trunks.
Mi voltai a guardarlo.
«È incredibile, vero?» sussurrò lui, emozionato.
Incredibile.
Ripetei più volte quella parola dentro di me.
Già. Forse un viaggio nel tempo era una cosa alla quale era difficile da credere.
Però io l’avevo subito presa per vera. Non mi era proprio passato per la mente di dubitarne.
Forse non ne avevo voglia.
O forse semplicemente non m’importava.
Trunks, però, riprese a raccontare. Ed io, mio malgrado, fui catturata dalla sua voce, dai fatti che narrava.
Lo sentii tremare pronunciando un nome, Gohan.
Rimasi perplessa.
Però l’idea, in un suo qual modo, mi piaceva. Mi piaceva sentire tutto quell’affetto a parlare di una persona. Forse mi piaceva così tanto perché mi era estraneo.
Quando mi addormentai non ebbi incubi, né sogni che lasciassero il segno. Come al solito.
Riposai e basta.


Quando Trunks si risvegliò Mirai stava ancora dormendo.
Il ragazzo la osservò.
“Come fa?” si chiese. “Come può apparire indifferente a tutto anche nel sonno?”
Soprappensiero il ragazzo si alzò. Fuori il sole era già sorto, seppur da poco.
Stava pensando, con un misto di attesa e apprensione, al viaggio del tempo che avrebbe compiuto di lì a poco, quando l’aumento dell’aura di Mirai lo fece voltare.
La ragazzina si stava stiracchiando. Non appena si fu abituata alla luce si guardò attorno, la solita indifferenza dipinta sul volto.
I suoi occhi parvero avere una scintilla d’interessamento solo quando incontrarono Trunks.
«Ciao» la salutò il ragazzo. «Dormito bene?»
Lei fece un gesto indifferente.
«Dormito bene?» reiterò Trunks, irrigidendosi.
Mirai gli rivolse un’occhiata come a dire “Ti ho già risposto”, ma il saiyan specificò, inflessibile: «Rispondi o sì o no, e che sia una risposta sincera».
La ragazzina abbassò la testa confusa. A forza di prendere tutto con superficialità non sapeva più cercare una risposta precisa, e non le importava.
Però, davanti allo sguardo malinconico e penetrante di Trunks, il quale attendeva serio un suo gesto, si sentì in dovere di fare un cenno preciso.
“Ho dormito bene?” si ritrovò a chiedersi.
Sconvolta, si rese conto di non saperlo. Non sapeva come capirlo.
Trunks la guardò a lungo, poi abbassò gli occhi, rinunciando ad una risposta.
«Vieni a mangiare» la invitò in tono piatto.
Lei prese la tonalità del ragazzo come una manifestazione di delusione, e ne fu ferita.
Lui notò il disagio della ragazzina, e volle rassicurarla. Memore dello scetticismo con il quale lei aveva preso le sue precedenti frasi (“Va tutto bene”) si limitò a porgerle la mano per guidarla in cucina.
Dopo colazione Mirai andò a sedersi sul letto, immersa in chissà quali pensieri, con una maschera d’indifferenza sul volto. Trunks la osservava, ma dopo un po’ non ce la fece più.
Lui, che era diventato orfano a pochi mesi, lui che non aveva mai avuto un’infanzia, lui che aveva trovato il corpo del proprio maestro...
Lui si sentiva sconvolto dall’indifferenza di quella bambina.
Allora prese una decisione.
Fatta quella scelta si alzò e disse: «Mirai, vieni con me».
Dopo averlo guardato per un momento con perplessità, lei acconsentì scrollando le spalle, e l’indifferenza tornò sul suo viso.
«Mamma, noi usciamo!»
Bulma arrivò. «D’accordo!» Poi, quando Trunks era ormai sulla soglia, chiese: «Dove andate?»
Il saiyan esitò. Poi rispose: «La porto da Bruck». Uscì.
Bulma restò immobile per un attimo, poi sorrise.

Mirai stava seguendo Trunks, il quale la teneva per mano.
Stavano percorrendo una strada stretta e non particolarmente benmessa, sulla quale si affacciavano edifici alti e scuri.
La ragazzina iniziò ad udire un sentore salmastro.
Dopo poco infatti la via sbucò in una spiaggia deserta. Trunks la condusse sul molo.
Al limite di esso vi era la figura di un uomo intento a scrutare il mare.
Mirai avvertì l’andatura di Trunks farsi incerta, poi giunsero alle spalle dell’uomo.
Quello si voltò. Aveva un’enorme barba grigia e la pelle abbronzata. Gli occhi erano scuri e acuti.
«Bruck...» sussurrò Trunks, con un velo d’incertezza.
Il vecchio sorrise, osservando il ragazzo. «Perbacco, Trunks!» esclamò. «Quanto sei cresciuto!»
Si passò le mani sul vecchio giubbotto mimetico.
«Allora, ragazzo mio, è da un bel po’ che non vieni a trovarmi!»
Non c’era alcuna accusa nello sguardo che gli rivolse, ma il saiyan abbassò gli occhi. «Già... da quando è morto Gohan» mormorò con voce appena percettibile.
Bruck gli diede una pacca comprensiva. «Coraggio, la vita continua...»
«Sì» replicò Trunks, alzando gli occhi azzurri. «Ma è più dura».
Mirai ascoltava interessata.
Bruck, dopo una nuova pacca a Trunks, si rivolse a lei.

«Buongiorno, madamigella!» mi salutò, osservandomi minuziosamente.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, prendendo a fissarmi i piedi.
«Come ti chiami?» chiese.
Rivolsi uno sguardo implorante a Trunks, che subito comprese. «Lei è Mirai» dichiarò, passandomi un braccio attorno alle spalle, protettivo.
La pelle mi s’infiammò a quel contatto. Sentii il sangue defluirmi un attimo dal viso, per poi inondarlo, facendomi diventare bollenti le guance.
«È muta» spiegò intanto Trunks a Bruck, senza lasciarmi.
Bruck annuì, mentre Trunks narrava come mi aveva trovata.
Quando ebbe finito scostò il braccio. Non seppi se sentirmi delusa o sollevata.
«Può raccontare una leggenda?» chiese poi il ragazzo all’uomo.
Lui stette pensieroso per un attimo, poi s’illuminò. «Questa piaceva molto a Gohan» affermò, «e sono certo che potrà piacere anche a lei».
Ciò detto iniziò a raccontare una leggenda intitolata “La bella addormentata del mare”. Parlava di un pirata, Ottmar, e del suo secondo, il mago Zaig. Un giorno Ottmar assaltava una nave e lì vi trovava Elisabetta, per poi invaghirsi della bellezza della ragazza. La ragazza però aveva una fata, Estella, che la proteggeva dalla sua nascita.
Alzai il capo, non mi sarebbe dispiaciuta una fata madrina.
Comunque Bruck proseguì a raccontare dei tentativi di Estella di salvare Elisabetta, tentativi che vennero sempre sventati da Zaig. Alla fine la fata prese una decisione: trasformò Ottmar in un cane e fece cadere Elisabetta in un sonno profondo. Dopodiché evocò una tempesta che fece affondare la nave. Zaig, soccorso Ottmar, non poté però annullare la maledizione di Estella.
Il vecchio pescatore fece una pausa, poi riprese. Il mago donò l’immortalità al padrone, che da allora stette a vegliare la sua amata.
Bruck si fermò. Lo guardai, catturata mio malgrado dalla storia.
«Quando il vento soffia meno forte nella baia» riprese poi, a voce bassa e raccolta, quasi ci stesse confidando un segreto, «si sente abbaiare un cane. È Ottmar che fa la guardia. Solo chi saprà domare il cane feroce potrà svegliare la bella Elisabetta».
Alzai un sopracciglio.
«Non essere scettica» mi rimproverò bonariamente Bruck. «Su questo puoi essere sicura. Io lo so, me l’ha detto Estella».
Lo guardai affascinata, pensando che quella frase stava proprio bene.
In quel momento intervenne Trunks. «Perché uno dovrebbe domare Ottmar?» chiese, scrollando le spalle. «Mi piace l’idea di questa sua strana fedeltà. E poi, potrebbe non esserci nessuno così fedele come il pirata».
Bruck sorrise.
«Sei proprio allievo di Gohan» affermò. «Lui ha detto le stesse cose».



ATTENZIONE: “La bella addormentata del mare” esiste davvero, è una storia tradizionale! Io ne ho fatto un riassunto, ma ricordo di averla letta su un qualche libro. Non appena lo troverò inserirò il titolo (o non è necessario dato che la storia è tradizionale?!).
Ciao! Scusate il ritardo.
Ringrazio moltissimo carol2112 e Heather91, che hanno aggiunto la storia tra le preferite.
A carol2112: sono felice che questa storia ti abbia interessata. Anche per me Mirai Trunks è il mio personaggio preferito.
A vivvina: grazie per i complimenti. Per il titolo (che non ho ancora cambiato) pensavo di farlo diventare “Parlami di pace” perché quello che c’è ora è parecchio lungo... però devo pensarci su.
A Pepesale: ciao, carissima. Grazie. Non devi sentirti imbarazzata, mi hai aiutata davvero moltissimo per questa storia.
A maryana: grazie, fammi sapere (il messaggio vale anche per le altre ovviamente) se ti è piaciuto anche questo capitolo.
(Ho corretto l’età di Trunks, ha 17 anni, non 16 come avevo scritto prima nel secondo capitolo).
Non so quando potrò aggiornare ancora, mi spiace tanto.
Tengo a specificare (ancora!) che ormai Mirai è quasi totalmente affidata a Pepesale, i suoi suggerimenti (e i pezzi che ha scritto) mi sono stati di grande aiuto. Praticamente il personaggio è suo, anche se non sa perché è muta.
Alla prossima, un abbraccio grande.
Mirai No
P.S. Spero che il capitolo non sia noioso anche se ho deciso di rimandare (di nuovo!) l’azione.

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Capitolo 4
*** Ombre ***


CAPITOLO 4 – OMBRE

Trunks osservò Mirai, notando che la ragazzina era risultata interessata al racconto.
Anche ora che Bruck aveva ormai concluso la sua leggenda da qualche minuto, sembrava ancora intenta a rifletterci sopra.
“Ho fatto la scelta giusta” rifletté il saiyan, nonostante Bruck gli ricordasse davvero molto alcuni momenti passati insieme a Gohan.
Si passò una mano davanti al volto per allontanare un ciuffo di capelli lilla, e con la coda dell’occhio gli sembrò di intravedere qualcosa. Non guardò meglio, sapendola un frutto dell’immaginazione, al massimo un ricordo, ma l’aveva riconosciuta immediatamente, benissimo.
Richiamò la ragazzina, dicendo: «Forse è meglio che andiamo a casa, è quasi ora di pranzo».
Bruck lo salutò, poi diede un buffetto a Mirai, la quale arricciò appena il naso.
Il saiyan si allontanò, poi, quando i suoi piedi arrivarono ad affondare nella sabbia tiepida, si voltò appena. Ed eccola lì, ancora quella visione, quasi non si fosse mai mossa. Non poteva guardarla direttamente, perché in quel caso sapeva che sarebbe scomparsa ed al suo posto sarebbe rimasto solo il mare.
Ma la capì benissimo. Era un suo ricordo, dopotutto.
Un ragazzo moro, seduto su uno scoglio, a guardare il mare. Senza il braccio sinistro, con il sorriso sulle labbra.
“Gohan...”
Trunks strinse più forte la mano di Mirai, poi volse con decisione lo sguardo, completamente. La ragazzina lo guardò. Non con indifferenza, ma con stupore.
Trunks trovò che la sua espressione fosse perfetta.
Quando arrivarono alla Capsule Corporation Bulma aveva già preparato il pranzo. Mentre mangiavano, Mirai non alzò nemmeno una volta gli occhi ad incontrare quelli di Trunks. Sembrava però infastidita dai ciuffi di capelli che le ricadevano continuamente sul viso, e li spostava seccamente. Stavano sparecchiando quando la ragazzina sentì il giovane dire: «Mamma, oggi posso andare a pulire in soffitta, se ti fa piacere».
Bulma gli sorrise. «Grazie, tesoro».
Mirai si passò le mani sui pantaloni, chiedendosi se sarebbe potuta andare con il ragazzo.
Aiutò Bulma a sistemare i bicchieri, poi andò vicino ad una finestra, prendendo a guardare fuori, sebbene sul suo volto non ci fosse traccia di interesse.
Poi Trunks uscì dalla stanza.
La ragazzina si staccò dal vetro, seguendolo con lo sguardo. Esitò qualche attimo, poi lo seguì silenziosamente.
Salì i gradini stando attenta a non fare rumore. Non poteva sapere che Trunks, grazie alla propria abilità nel percepire le aure, l’aveva già localizzata, pur non fermandosi.
Mirai fissò la scala, corrugando la fronte. Le sembrava come di ricordare qualcosa… Tipo un gioco in cui provava a saltare un gradino restando in equilibrio… Forse. Confusa, si chiese se fosse un vero ricordo o solo un sogno. Scrollò le spalle. Non lo sapeva.
Quando le scale finirono si ritrovò davanti ad una porta aperta. Entrò sicura, guardandosi attorno.
«Ciao» la salutò cordialmente Trunks, vedendola.
Lei lo guardò e accennò un movimento della mano. Il ragazzo appoggiò uno scatolone e così facendo sollevò una tale nuvola di polvere da far tossire Mirai.
«Scusa» fece, imbarazzato, non appena la ragazza tacque.
Lei agitò la testa, poi gli si avvicinò, spiando le scatole che aveva attorno.
«Dovrei sistemarle secondo il loro contenuto» le spiegò Trunks. Abbassò lo sguardo sui recipienti. «Il problema è che a quanto pare mi toccherà ordinare anche il contenuto».
“Vuoi una mano?” La frase era lì. Precisa, ben chiara nella sua mente. Mirai la valutò timorosamente, non sapendo come fare a comunicarla.
«Mi vorresti aiutare?» chiese però Trunks, quasi le avesse letto nel pensiero.
Niente gesti vaghi questa volta.
Solo un movimento deciso del capo che significava sì.
Il saiyan sorrise.
«Bene, allora puoi mettere i tessuti, i pezzi di stoffa e le cose simili qui?»
Lei annuì di nuovo, prendendo la scatola che il saiyan le porgeva. Poi andò a sedersi in un angolo, circondata da scatoloni, e iniziò a frugarvi.
Trunks le voltò le spalle, soddisfatto. Pensò che sembrava proprio che ora le piacesse annuire. Sorridendo appena, iniziò a sistemare alcune viti.
Stava appunto cercando di recuperare un bullone che si era infilato tra due travi che lo sguardo gli cadde su Mirai.
Trasalì. La ragazzina stava guardando con grande interesse una striscia di stoffa blu. Trunks la riconobbe subito: era una delle tante fasce che erano avanzate a Gohan nel fabbricarsi una tuta uguale a quella del padre, Son Goku.
«Mirai» la chiamò sommessamente. Lei, udendolo, si bloccò nell’atto di infilare quella striscia tra gli altri tessuti radunati.
Il ragazzo le si avvicinò. «Era qui?» mormorò, togliendole delicatamente la fascia di mano e mettendosi a palparla pensieroso. La ragazzina annuì seccamente, poi lo guardò incerta.
«È un po’ sfilacciata» constatò piano Trunks.
Lo sguardo di Mirai si fece maggiormente perplesso. “È solo un pezzo di stoffa, solo un oggetto” sembrava dire la sua espressione.
Trunks sorrise. «Certo, è solo una cosa» affermò, guardandola teneramente, suscitando ancora più stupore nel suo sguardo. «Ma, vedi» proseguì, appoggiando il centro della fascia sulla sua fronte e tirandone le estremità, «non è come sono gli oggetti l’importante. Quel che importa è il significato che si dà loro» concluse, legando la striscia.
Mirai si toccò esitante quella fascia improvvisata per capelli. Infine sembrò piacerle. Non sorrise, ma annuì.
Trunks si sentì più rilassato. Guardò Mirai e pensò che con la banda a trattenerle i capelli sulla fronte stava proprio bene.
Di colpo, iniziò a ridere. Il suono della propria risata lo stupì, non rideva spesso, non ne trovava quasi mai il motivo.
Mirai lo guardò perplessa, poi sorrise a propria volta.

Una grondaia rotta gocciolava ininterrottamente. Il vicolo era stretto e buio. Per non parlare dell’odore che emanava, il quale non era certo dei migliori.
Ma lui non se ne curò. Da sempre l’ombra era la sua casa.
Da sempre si appostava in luoghi che altra gente evitava come la peste.
Annusò l’aria, fremendo come un animale.
Gli mancava l’odore del sangue.

Mirai stava giocherellando con un bicchiere pieno d’acqua. Trunks era andato ad allenarsi. Veramente l’aveva invitata a seguirlo, ma lei sapeva di non potergli essere d’aiuto, perciò aveva rifiutato da subito.
Ora però non sapeva veramente che fare.
Aveva appena finito di formulare tale pensiero quando Bulma entrò in cucina. «Ho trovato un’altra felpa della tua misura!» annunciò la donna, mostrandogliela.
Mirai pensò che molto probabilmente era larga anche quella, ma non le importava molto. Le piaceva quell’azzurro.
Ringraziò la donna con un cenno e bevve l’acqua.
Bulma sospirò, guardando fuori dalla finestra. «Ormai è tempo» mormorò. «Fra poco Trunks farà il viaggio nel passato» spiegò poi, in risposta allo sguardo interrogativo di Mirai.
La ragazzina portò il bicchiere dalla lavastoviglie, poi salì le scale, correndo nella stanza di Trunks. Una volta entrata si avvicinò alla finestra, pensierosa. Già, il viaggio nel tempo… l’aveva quasi scordato…
“Perché vuole andare nel passato?” si chiese improvvisamente.
Dopotutto, non poteva essere tanto meglio del presente, no? Tirò appena la felpa (troppo grande per lei) e incollò il viso alla finestra, guardando fuori. Il vetro era freddo, ma le piaceva quella sensazione di fresco sulla pelle.
Trunks, intanto, era in una palestra parecchio tecnologica costruita da sua madre ad allenarsi. Scagliò alcuni pugni all’aria, poi ne fece seguire una rapida successione di calci. Dopo essersi deterso il sudore dalla fronte (era da un bel po’ che si allenava) si fermò per un attimo.
Decise che per quel giorno poteva bastare. Quindi concluse con alcune flessioni e qualche esercizio con la spada.
Dopodiché prese il fodero con l’arma e si diresse a fare una bella doccia rinfrescante. Conclusa anche quella andò in camera.
Quando entrò vide Mirai incollata al vetro. La ragazzina, appena lo sentì, si scostò.
«Ciao» la salutò lui.
Lei afferrò rapidamente un foglio e una penna, scrisse qualcosa e poi glielo mise sotto gli occhi.
«Perché voglio andare nel passato?» chiese Trunks, ripetendo la domanda che aveva letto.
Mirai annuì.
«Be’, per tentare di cambiare il presente, no? O per creare un mondo migliore» rispose il ragazzo. «Tu non faresti forse lo stesso se ne avessi la possibilità?»
Le piaceva annuire, ma a quella domanda non poté porre quel gesto. Perché non ne era sicura.
Tormentando la felpa, si guardò attorno nervosamente. E di colpo una sensazione la colpì: odore di sangue, talmente forte da darle la nausea e farle salire le lacrime agli occhi. Non era possibile!, implorò. Non adesso! Iniziò a guardare da una parte e dall’altra, agitata. Ombre… ombre scure che le si protendevano sulla visuale… Mani artigliate… quella sensazione…
«Mirai! Mirai!»
Ritornò al presente. Trunks la teneva saldamente per le spalle, il letto era tutto in disordine… Doveva aver scalciato… E anche tanto.
«Che c’è?» le domandò il ragazzo, ansioso. Lei abbassò lo sguardo, soffocando le lacrime. Oddio, l’aveva sentito così vicino.
“Sta arrivando”.
Del resto, l’aveva anche detto, no? “Tu sei parte di me… io sono parte della tua anima… Ti troverò dovunque”.
Dovunque… “Anche qui?” si chiese la ragazzina, sempre senza guardare Trunks che la scrutava apprensivo. Sperò di no, dato che lei non voleva andarsene.
«Tutto a posto?» chiese cautamente Trunks.
Lei annuì, ma era lampante quanto fosse il contrario.
Il ragazzo non aggiunse nulla.
Quella sera Mirai fece finta di addormentarsi subito, mentre non riuscì ad appisolarsi, il cuore che batteva all’impazzata.

Rabbrividii sotto le coperte. Perché ancora?
Aprii gli occhi, stando immobile. Nel letto accanto a me Trunks era profondamente addormentato, i capelli sparsi sul cuscino. Sentii un nodo allo stomaco. Io non volevo andare via. Non volevo perdere quel ragazzo che mi guardava in quel modo… che mi faceva sentire felice. Né volevo allontanarmi da sua madre, la quale mi sorrideva sempre, facendomi sentire stranamente calda e rassicurata.
Allontanai quei pensieri. Cercai invece di pensare da quanto andasse avanti quella storia…
La prima volta che l’avevo sentito… Con l’odore di sangue che mi irritava il naso e le ombre che mi si stagliavano davanti agli occhi…
Doveva essere stato quando avevo fatto quell’orrendo errore, quando avevo smesso di ridere… Poi quando avevo avuto la forza di compiere quel gesto, disinteressandomi del mondo. E infine la cosa più terribile. Quando mi ero resa conto che c’era qualcosa che mi seguiva, lui… Quando le corde vocali avevano smesso di obbedirmi, non potevo neanche più urlare.
Affondai la faccia nel cuscino. La federa sapeva di bucato.
“Perché proprio ora che ho ripreso a provare delle emozioni, che ho scoperto quanto sia strano… e bello… Perché proprio ora deve tornare?” mi chiesi stringendo gli occhi.
Guardai di nuovo Trunks. Ascoltai il suo respiro trattenendo il mio. Era piacevole. Chissà cosa sognava? Con quella domanda in testa alzai la schiena, sporgendomi verso di lui. Lo scrutai. Impossibile capirlo dalla sua espressione, che comunque mi piacque.
Mi risdraiai, ma non riuscii a dormire. Tenni gli occhi spalancati a guardare il soffitto. Avevo troppa paura per lasciare che il sonno si stendesse tranquillo a rilassarmi i muscoli.
Al mattino sentii Trunks svegliarsi e mi alzai, tremando per la stanchezza. Lui mi scrutò.
«Non hai dormito?» disse. Forse era più un’affermazione che una domanda, ma io pensai di rispondere.
Già… ma rispondere cosa?
Non avevo ancora finito di domandarmelo che Trunks mi venne dietro, circondandomi con le braccia. «Dormi pure» mi sussurrò all’orecchio. «Io ti resterò vicino».
Continuò a bisbigliarmi frasi, ma dopo poco mi accorsi di non capirne più il senso, mentre le palpebre mi si facevano via a via più pesanti. L’ultima cosa che sentii prima di addormentarmi fu l’alito del ragazzo sulla mia guancia.


Trunks stette immobile per qualche attimo, poi sollevò Mirai e la poggiò sul letto. Era profondamente addormentata.
Sorridendo, il ragazzo le si sedette accanto.
Qualche ora dopo la ragazzina sbadigliò. La sua mano salì agli occhi e li sfregò con veemenza, poi di colpo interruppe quel gesto, sollevando le palpebre. Si drizzò a sedere, guardandosi attorno.
Il saiyan le toccò la spalla, attirandone l’attenzione.
Lei si voltò. Non poteva parlare, ma il messaggio del suo sguardo fu chiaro.
«Prego» rispose il ragazzo, scrollando le spalle. «Potremmo andare a mangiare? È già ora di pranzo» aggiunse, a mo’ di scusa, «ho una fame…»
Mirai annuì, poi si guardò attorno e recuperò la striscia di stoffa blu, legandosela nuovamente in fronte con l’aiuto di Trunks.
Scesero le scale, e Bulma li accolse calorosamente, seppur stupita da tanto ritardo. Quando però Trunks le spiegò il motivo decise che era un’ottima scusa, e li servì generosamente. Mirai sembrava terribilmente affamata, tanto che, accanto a lei, il solito appetito di Trunks non risaltava molto.
Bulma osservò stupita la ragazzina. «Non credevo ci fosse qualcuno in grado di competere con la fame del mio saiyan!» dichiarò.
Trunks inghiottì un pezzo di pane. “Come se di saiyan ce ne fossero altri in giro…” pensò malinconicamente.
Mirai invece sembrava piuttosto perplessa.
Bulma le sorrise. «Trunks non è interamente un terrestre» dichiarò orgogliosa. «Suo padre era un saiyan».
La ragazzina non mutò d’espressione. Di certo, però, un’altra persona avrebbe avuto una smorfia molto più esterrefatta.
La donna si mise a spiegare qualcosa sui saiyan, le maggiori nozioni, per lo meno. Si aspettava altre occhiate interrogative, ma Mirai parve soddisfatta da quel racconto sommario, e perse subito ogni interesse per l’argomento, lasciando di stucco la scienziata.
«Mirai» la richiamò Trunks, chinandosi verso di lei. «I saiyan erano un popolo guerriero, abitavano sul pianeta Vegeta (chiamato così in onore dei loro sovrani, che portavano tale nome) e non conoscevano la pietà…»
La ragazzina alzò la testa, parendo di nuovo catturata dall’argomento. Il saiyan mestizio, lieto del successo riscosso, continuò il proprio racconto di buon grado. Quando tacque, Mirai ricambiò il suo sguardo con un’occhiata soddisfatta.
“Si è interessata” pensò sollevato il ragazzo.
Aveva appena formulato tale pensiero che la ragazzina allontanò da sé con decisione la scodella, rendendo evidente il fatto che non avesse più fame.
«Vieni» la invitò allora Trunks, «ti faccio vedere la mia spada».
Lei lo seguì su per le scale. Guardò attenta il fodero, e il suo interesse parve aumentare ulteriormente quando il ragazzo estrasse l’arma.
«Vuoi tenerla un po’ tu?» offrì il giovane, ricevendo come risposta un annuire alquanto deciso. Dopo averle sistemato l’improvvisata banda per capelli che a tale gesto le era scivolata appena sulla fronte, le porse cautamente la spada. Mirai la prese timorosa. «Ti piace?» le chiese il saiyan, scrutando attento la sua reazione.
Lei stette a guardare per qualche attimo il lucore dell’arma, come ipnotizzata, poi si volse verso il ragazzo, facendo di sì con la testa. Infine gliela restituì, seria.


Scusate il ritardo, ma ho avuto un sacco di problemi, e non avevo quasi mai tempo per scrivere.
Ringrazio chi ha recensito:
maryana: grazie per la rassicurazione, mi spiace ma anche stavolta l’azione è carente… In compenso credo di aver dato qualche elemento di mistero. Anche io sto iniziando ad affezionarmi a Mirai. Il titolo resterà così infine, dato che ho notato che piace.
carol2112: ho stuzzicato ulteriormente la tua curiosità? Spero di sì. (W Mirai Trunks^^)
Pepesale: grazie per il commento e per la mail d’incoraggiamento. Mi spiace ma ad aggiornare presto non ce l’ho fatta.
vivvina: contenta che il mio personaggio ti piaccia, ci tenevo davvero molto a renderlo speciale. Aspetto la tua prossima recensione!
trullitrulli: sono felice che la mia storia ti sia piaciuta. Tranquilla, alla fine ogni mistero si chiarirà, spero di aver mantenuta viva la voglia di leggere il seguito. In quanto al viaggio nel tempo… a dire il vero non ho ancora ben deciso! Chiarisco: saprei cosa far succedere nel caso Mirai lo accompagnasse nel passato, ma devo decidere se farcelo stare, se potrebbe interessare, insomma, in quanto non avrei cambiato molto gli avvenimenti.
Fatemi sapere il vostro parere su questo capitolo, ci tengo davvero tanto!
Un abbraccio,
Mirai No

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Capitolo 5
*** Gocce di ricordi ***


La leggenda nominata ad un certo punto da Trunks è ispirata alla prima One-Shot, intitolata appunto “Gocce di ricordi”, di una fiction Originale Introspettiva di Pepesale, “Pioggia”. A scanso di equivoci, chiarisco subito che ho il consenso dell’autrice

CAPITOLO 5 – GOCCE DI RICORDI

Ansimava.
Era buio, un’ombra pece, raggelante. I suoi muscoli si fletterono, impazienti di lanciarsi sopra una preda.
Ma tutt’attorno era deserto. Gli abitanti, terrorizzati dai cyborg, si guardavano infatti dall’uscire di casa la notte.
Il suo corpo flessuoso fremette.
Un odore eccitante lo colpì… paura, ansia…
I suoi occhi vagarono con ingordigia tutt’attorno. Infine si posarono su una sagoma poggiata a terra, coperta di sangue.
Brontolò deluso, qualcuno aveva già fatto la maggior parte del lavoro.
La persona tremava.
Lui indugiò. Che fare? Finirla? Decise di no, tanto più che quella era già spacciata… non ci sarebbe stato divertimento.
Ma si avvicinò comunque. L’umano, oramai in preda al delirio, non si accorse della sua presenza, ed esso poté affondare il muso nella pozza di sangue. Mugolò di piacere, poi si rialzò.
Le tracce della sostanza vermiglia brillarono quiete alla luce tenue della luna.
Per il resto era buio. E il buio era la sua dimora.

Mirai si risvegliò in un bagno di sudore. Si pose le mani sulle guance, coprendosi gli occhi. Era sempre più vicino. La ragazzina si alzò e si diresse barcollante in bagno, dove si risciacquò abbondantemente il volto.
Si passò l’asciugamano sulla faccia e scrutò il proprio riflesso.
Uno sguardo sorpreso e spaventato ricambiò in modo identico il suo.
«Ti sei svegliata» osservò una voce alle sue spalle. Lei si voltò, trovandosi davanti Trunks. Lui si grattò appena la nuca, imbarazzato. «Scusa» fece, «ti avevo sentita alzarti e volevo assicurarmi andasse tutto bene». La fissò comprensivo. «Incubi?»
Lei pensò che non fosse il termine più adatto, ma di certo era quello che più si avvicinava alla realtà, perciò annuì.
«Be’» indugiò Trunks, «qualunque cosa fosse ora è passata, no?»
“Non esattamente” pensò la ragazzina, ma si sforzò di fare cenno di sì.
Lui la indagò in silenzio con quel suo sguardo triste e penetrante.
Mirai spostò nervosamente il proprio peso da una gamba all’altra. Il ragazzo lo notò, ma non disse nulla, di nuovo.
Infine la ragazzina, gettandogli un’occhiata, uscì in fretta dal bagno. Lui lanciò uno sguardo interrogativo allo specchio, poi sospirò, seguendola.
Quando entrò in cucina la radio era accesa: stavano trasmettendo un brano di musica. Di colpo si interruppe.
Il ragazzo, consapevole di quanto stavano per annunciare, si voltò, chiudendo gli occhi, mentre Mirai lo guardava perplessa.
«Interrompiamo le trasmissioni per dare le ultime notizie sugli spostamenti dei cyborg…» Trunks si allontanò, non voleva sentire dove fossero.
La ragazzina invece ascoltò tutto, ma non diede segno di inquietarsi… sembrava già agitata per un altro motivo.
Bulma tremò appena, ma non disse nulla. Non voleva angosciare maggiormente il figlio, anche perché gli leggeva negli occhi la sofferenza che provava per il fatto di non poter contrastare la forza degli androidi. Poco tempo prima ci aveva provato e aveva subito una sconfitta durissima.
Il saiyan incrociò gli occhi della madre e vi lesse quel ricordo che aveva a sua volta evocato in quell’istante, quindi si rivolse a Mirai: «Vuoi vedere la macchina del tempo?» domandò.
Lei si portò una mano alla fascia che le scostava i capelli dalla fronte. Infine annuì, nonostante nella realtà non le interessasse più di tanto. Lui la prese allora per mano, conducendola nell’hangar dove, circondata da fili e cavi, stava l’incredibile mezzo.
Gli occhi di Mirai vagarono sulla struttura della macchina per qualche istante, ma mantenne sempre un’aria distaccata.

Trunks mi ricondusse in casa. «Ti è piaciuta?» domandò.
Esitai.
A dire il vero non mi era parso niente di speciale, ma ero sicura che dirlo non sarebbe stato per nulla gentile nei confronti del ragazzo, il quale invece sembrava tenerci davvero molto.
Inghiottii un po’ di saliva e assentii.
«Io vado ad allenarmi» mi annunciò.
Mi lasciò la mano. Stetti a guardarlo mentre scendeva le scale, con un nodo alla gola. Avrei voluto che non se ne andasse.
Mi sarebbe piaciuto tenere ancora la sua mano, specialmente ora, che avevo così paura. Era inutile negarlo.
Lui era di nuovo sulle mie tracce. Formulando quel pensiero desiderai ancora di non aver mai lasciato la mano di Trunks.
Chiusi gli occhi.
Lo vedevo. Non in veri termini di immagini, piuttosto lo percepivo. Lo sapevo in movimento, e potevo immaginarmelo benissimo… quei suoi muscoli guizzanti, i contorni sfuggenti… Mi parve persino di sentire il suo fiato sulla faccia.
A quella sensazione aprii di scatto gli occhi, per assicurarmi che non fosse realmente davanti a me.
Sospirai di sollievo vedendo solo le scale e i muri della Capsule Corporation.
Rialzando le palpebre la realtà presente aveva soppiantato quelle sensazioni di averlo vicino, sensazioni che avevano lasciato di sé solo un sentore lieve di sangue.
Rabbrividii istintivamente, strofinandomi le braccia tra loro.
Poi, dopo un attimo di esitazione, corsi giù dalle scale, fino a che non giunsi alla porta che dava sul giardino.
Uscii. Mi guardai attorno. Qualcosa mi suggeriva che un tempo doveva essere stato un parco molto esteso, mentre ora era tutt’altro che vasto.
L’erba era di un bel verde. Un sentierino di pietre piatte, probabilmente costruito per i giorni di pioggia in cui a camminare sul prato ci si sarebbe di certo impantanati, lo attraversava in tutta la sua larghezza. Alcuni alberi lo fiancheggiavano. Non ero affatto brava nel riconoscere le piante, ma era piuttosto sicura che quello più vicino a me fosse un ciliegio.
Guardai più avanti e vidi un box di scarse dimensioni, ricoperto da piante rampicanti. Mi avvicinai e scostai una foglia d’edera.
Notai che il muro doveva essere stato, un tempo, dipinto di bianco, ma ormai la vernice era sporca e scrostata. Pensai che fosse un peccato.
Indugiai un attimo a guardare la siepe che aderiva al cancello, poi mi sedetti con la schiena appoggiata al ciliegio.
La sua corteccia ruvida mi irritò appena la pelle, ma non vi badai, alzando la testa; tenendo gli occhi chiusi rivolti verso i raggi di sole. Erano timidi, agosto iniziava a farsi sentire: nonostante fosse ancora estate la temperatura si era decisamente rinfrescata.
Non avrei saputo dire per quanto tempo rimasi lì, seduta contro il ciliegio. Quella posizione mi piaceva, mi faceva sentire rilassata.
Mi scostai, aprendo gli occhi, solo quando udii la voce di Trunks chiamarmi: «Mirai! Mirai!»
Mi alzai, guardandomi attorno, poi rientrai. Lui era davanti all’ingresso, quasi avesse intuito dove potermi trovare.
Lo salutai agitando la mano, imbarazzata. Lui mi guardò a lungo.
Infine commentò: «Ti ha fatto bene prendere un po’ d’aria» e nel suo tono percepii qualcosa di strano, come se avesse fatto quell’osservazione solo perché non sapeva che altro dire. Mi grattai un sopracciglio.


Aveva preso un’arma.
Grugnì divertito dentro di sé. Quant’erano sciocchi gli umani, terribilmente sciocchi e fiduciosi nei loro stupidi strumenti.
Possibile che l’esperienza che stavano vivendo coi cyborg non avesse insegnato loro niente?
Scoprì i denti e l’umano indietreggiò, spingendo però avanti quel suo oggetto.
Probabilmente l’ultima cosa che vide furono i muscoli dell’ombra che aveva davanti piegarsi per dare forza al balzo.
Poi più nulla. Solo un liquido scuro che, silenzioso, formava una pozza nell’ombra.

Mi passai la mano davanti agli occhi, tremante. Ancora quella sensazione.
Non era pacifico. Ma, dopotutto, lo era forse mai stato?
Sbattei più volte le palpebre per scacciare quella sensazione di eccitazione che, provata da lui, sentivo ora riecheggiare nella mia mente.
Accidenti. Accidenti. Lo pensai più volte, con le mani sulla fronte.
“Smettila” lo apostrofai mentalmente, pur sapendo che non avrebbe sentito nulla. “Basta. Io non ho nulla da spartire con te”. Però, appena ebbi finito di formulare la frase, un brivido mi corse lungo la schiena.
Non avevo nulla da spartire con lui… Ma era davvero così?
Chinai la testa, sentendomi improvvisamente addosso una terribile voglia di piangere. Se solo quella volta non avessi fatto quell’errore…
Strinsi i denti, costringendomi ad allontanare quei pensieri, almeno per un po’.
Quanto avrei voluto essere ancora aggrappata alla mano di Trunks…


17 sbuffò seccato. «Che noia» constatò, guardandosi attorno.
«Avevo detto che avremmo dovuto spostarci!» sbottò C-18. Il gemello la guardò. «Forse avevi ragione» sospirò. «Ma, vedi, io temo che se distruggessimo subito tutto, finirebbe il nostro divertimento in un attimo… Non potevo certo immaginare che gli umani ne approfittassero per nascondersi».
La ragazza allontanò seccata un ciuffo di capelli biondi dalla fronte.
«Cosa speravi?» lo provocò. «Che succedesse un caso come quello di otto anni fa?»
17 contrasse per un attimo le labbra. «Forse».
18 lo guardò. «Scemo» lo rimproverò, annoiata. «Il mondo non è fatto tutto da bambine ingenue come quella là…» Diede un calcio ad un sasso.
L’altro cyborg osservò la traiettoria dipinta dalla pietra, la quale andò ad infrangere un vetro.
Si strinse nelle spalle. «A proposito, bella mira».
«Sono stufa, andiamo».

Aveva cominciato a piovere.
Era da molto che non succedeva, pensò Trunks, guardando le gocce che picchiavano insistentemente sui vetri.
Per non parlare del fatto che quella mattina c’era il sole. Ripensarci guardando il cielo che era ora terso di nubi sembrava incredibile.
Il ragazzo sospirò appena, rabbrividendo. Non gli piacevano i temporali, e, nonostante a volte si dicesse che era infantile, la pioggia gli provocava un certo disagio. Gli ricordava troppo il giorno in cui aveva trovato Gohan morto. Rabbrividì nuovamente, tentando di allontanare quel ricordo che gli aveva stretto lo stomaco.
Scosse la testa ed andò nel salotto.
Scorse Mirai, seduta sul divano. La schiena abbandonata sullo schienale, la ragazzina stava rimirando il soffitto in modo alquanto disinteressato.
«Ciao» la salutò Trunks, sperando proprio malgrado di scoprirla inquieta. In quel caso almeno l’avrebbe potuta consolare, allontanando i propri brutti ricordi.
Lei lo guardò appena, distogliendo lo sguardo subito dopo con fare quasi colpevole. Sì, era inquieta. Ma forse la prima a non capirlo era proprio lei.
Il ragazzo le si sedette accanto. «Non mi piace la pioggia» si sentì dichiarare.
Mirai lo fissò, appena sorpresa. Non aveva mai pensato che a qualcuno potesse non piacere un tempo meteorologico. Per lei, che fosse bello o brutto non faceva differenza. Ma, in qualche modo, seppur non comprendendolo non poteva consolarlo, si sentì in dovere di ascoltare le sue stentate spiegazioni.
«Sai… un giorno io…» Trunks deglutì. La ragazzina lo guardava. Si passò una mano sulla fronte. «Ho trovato il mio maestro… senza vita».
Pronunciò in tono normale le ultime due parole, ma, dall’esitazione che aveva avuto prima di dirle, Mirai intuì che non avesse voluto usare l’espressione “morto”. Se ne chiese il perché. Una parola, dopotutto, non poteva far male.
«Quel giorno pioveva» riprese Trunks. Si schiarì la gola. «Per questo la pioggia non mi piace molto. Mi fa tornare in mente quel fatto».
Guardò Mirai, notando che la ragazzina non aveva staccato gli occhi da lui nemmeno per un momento da quando aveva iniziato a parlare. Si sentì appena un po’ meglio.
Poi lei distolse gli occhi, tornando ad immergersi nei propri pensieri. Ma non sembrava le interessassero molto, dato che dal suo viso non traspariva nulla. Sbatteva le palpebre di tanto in tanto.
Trunks la osservò. Con addosso quei vestiti di una misura di troppo sembrava ancora più gracile. Le mani erano raccolte in grembo, mentre sulla fascia blu che le copriva la fronte poggiavano alcuni ciuffi castani.
Improvvisamente provò una strana sensazione, guardandola indossare cose che erano appartenute a sua madre e una a Gohan. Era come se in qualche modo si portasse a dietro i ricordi di quelle due persone, per lui importantissime.
Sorrise appena a quei pensieri, senza più badare all’incessante battere della pioggia.
Mirai abbassò un attimo lo sguardo ad incontrare quello appena rasserenato di Trunks. “Perché non ha voluto usare la parola ‘morto’?” le tornò da chiedersi.
Allora si domandò se sarebbe stato meglio avere ancora la voce per domandarglielo. Strinse le labbra. No. La sua voce aveva già fatto abbastanza danni. Forse era meglio così… era meglio che lei non potesse più parlare.
Si alzò, ma così facendo urtò incidentalmente contro il tavolino posto al fianco del divano. Uno degli oggetti che era poggiato lì sopra fino a poco prima cadde.
Arrossendo, Mirai si chinò a raccoglierlo. Era una foto incorniciata e, girandola, non poté fare a meno di guardare cosa rappresentava.
Una donna con capelli turchini, sorridente, reggeva un neonato imbronciato dai grandi occhi blu.
La ragazzina scrutò il bambino corrugando la fronte. Trunks sorrise di fronte al suo sguardo. «Ero io da piccolo» spiegò.
Mirai non cambiò espressione e rimise la foto al suo posto. Incerta, accennò un passo per andarsene, ma fu bloccata dalla voce di Trunks. «Sai… quando ero un bambino… Bruck mi aveva raccontato una leggenda sulla pioggia».
Lei si voltò per ascoltare.
Trunks proseguì: «Diceva che le gocce sono i ricordi che le nuvole lasciano sul mondo per ricordare agli umani com’era questa terra…» Tacque.
«È strana, vero?» domandò poi.
Mirai ne convenne in silenzio. Si avvicinò al vetro della finestra, tornando ad estraniarsi dal mondo, e guardò a lungo le gocce che scivolavano su quella superficie liscia.
Non sembravano tracciare strisce bagnate a caso… piuttosto disegnavano qualcosa che lei non riusciva bene a definire, ma che le donava una strana inquietudine.
Stette ferma lì, con quelle gocce di ricordi che somigliavano tanto alle lacrime che una volta le avevano bagnato il viso.

Mi scuso, con le persone sensibili a questo argomento, per le varie volte che ho nominato il sangue. Serviva principalmente per identificare meglio “la cosa” che segue Mirai, e penso che il suddetto liquido comparirà molto meno negli altri capitoli.
Pepesale: eh no, cara, niente anticipazioni sul futuro ^^ sono davvero felice che la storia ti piaccia. Grazie mille per il permesso di utilizzare la fiction ^^
Son Kla: alla tua recensione ho già risposto con la e-mail (e mi ha fatto piacere che tu lo abbia fatto a tua volta), perciò ora ti ringrazio di nuovo e spero che continuerai a leggere e a recensire.
Carol2112: ciao!!! Sono felice che ti piacciano anche i pezzi dove Trunks ricorda il suo maestro, dato che personalmente adoro scrivere del loro rapporto. E sono contenta anche per essere riuscita a stuzzicare la tua curiosità, dato che l’obbiettivo dello scorso capitolo era proprio quello ^^
Maryana: un po’ di mistero non fa mai male, vero? Contenta che la storia ti piaccia. Seguimi ancora, ci conto!
Un abbraccio a tutti quelli che leggono e, ovviamente, a quelli che recensiscono,
Mirai No
P.S. Stavo pensando se modificare la grandezza del carattere, o il carattere stesso, dato che così risulta piuttosto piccolo. Voi che ne dite?

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Capitolo 6
*** Tornare indietro ***


CAPITOLO 6 – TORNARE INDIETRO

La sera aveva ben presto cacciato ogni traccia di maltempo, e il giorno dopo sfoggiò un cielo sgombro da nubi.
Mirai muoveva svogliatamente la colazione che aveva nel piatto con la forchetta. Era talmente chiusa in sé da non accorgersi di come Bulma era invece felice. Quando arrivò Trunks la ragazzina alzò un attimo gli occhi.
«Domani, mamma!» esclamò il ragazzo, baciando la donna su una guancia. «È domani!»
Mirai sentì nel suo tono qualcosa di strano, qualcosa che le era quasi sconosciuto.
Non la riconobbe, quella vibrazione.
Non le diede il suo nome.
Non la chiamò “Speranza”.

Bulma stava riordinando il salotto.
Mirai, seduta su una sedia, la sentiva attraverso al muro. La donna batteva, in modo quasi ritmico, i cuscini, in modo da farne assumere una forma ben precisa.
La ragazzina strinse quasi istintivamente il pezzo di stoffa che aveva in mano. Nervosa, si guardò attorno. Infine riabbassò la testa, rimproverando il proprio allarme.
Continuava a credere di sentire quell’ansimare, quel fiato sul collo… Ma soprattutto di ritrovarsi a guardare in quegli occhi ardenti.
Tremante, si legò la banda che aveva in mano attorno alla fronte, come ormai era abituata.
Di colpo la colse un pensiero: “Ma cosa deve fare Trunks domani?” si chiese.
Non si sentiva di andare a domandarlo al ragazzo. Non poteva guardare come lui si sarebbe illuminato, lieto di tranquillizzarla in qualche modo. Quella sorta di dovere che lui evidentemente provava nei suoi confronti le stringeva lo stomaco, facendola sentire ancora più in colpa. Lui non sapeva, mentre ne avrebbe avuto pieno diritto, e le rivolgeva affettuosamente la parola.
Confusa dai propri pensieri, Mirai sbatté più volte le palpebre.
Si rese conto di non udire più alcun rumore provenire dalla stanza adiacente. Bulma doveva essersi spostata.
Tese le orecchie, ma non percepì alcun suono. Era tutto silenzio. Si alzò di colpo, mentre quella paura tornava ad occuparle il cuore. Una paura che non si sentiva in diritto di avere, ma che ora era tornata ad invadere la sua vita.
La paura di essere stata abbandonata, di non aver più nessuno se non se stessa.
Ansiosa, si affacciò alla porta. Il silenzio che regnava ancora la fece rabbrividire, annodandole lo stomaco.
Immaginò per un istante come sarebbe stato scoprirsi abbandonata, di nuovo sola, e il nodo le salì alla gola. Si sedette lentamente a terra, la schiena poggiata contro il muro, poi si strinse le ginocchia al petto.
Sapeva che né Bulma né Trunks potevano averla lasciata così, che tutta quella malinconia era assurda. Ma forse era per quello che si sentiva così disperata. Perché c’erano due persone oneste, due persone che avevano lottato e avrebbero continuato a farlo, due persone che non l’avrebbero mai lasciata sola.
Appunto.
Lei non era sola, non la era mai stata. Lui era sempre sulle sue tracce, le parlava nei suoi sogni, le trasmetteva ogni sensazione del suo vivere.
Non era giusto che madre e figlio le volessero bene, convinti che fosse abbandonata al mondo.
Era quasi un imbroglio, e non le piaceva. Ma al contempo non voleva essere lasciata sola.
Chinò il mento a sfiorare un ginocchio.
«Mirai!»
Il cuore le balzò in petto, iniziando a battere il ritmo del sollievo, un sollievo infinito. Lei si sentì lievemente colpevole, ma non poté impedirsi di essere felice, terribilmente contenta di aver udito quella voce.
Si alzò. Proprio in quel momento comparve Trunks.
«Ah, eccoti» disse il ragazzo, scrutandola. «Mi stavo preoccupando» sorrise.
Lei abbassò gli occhi.
Trasalì quando sentì le dita del giovane prenderle il mento e alzarle il viso. «Non essere triste, per favore. Domani è un giorno speciale».
Mirai avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma proprio in quel momento giunse la voce di Bulma. «Trunks! Vieni a darmi una mano!»
Il giovane ammutolì. «Arrivo!» Si voltò verso la ragazzina, scusandosi con un cenno. «Io vado. Se hai bisogno sono nell’hangar con mia madre». Conclusa la frase si allontanò camminando rapidamente.
Lei lo seguì con lo sguardo. Nell’hangar…
Quindi poteva essere che l’evento che evidentemente sarebbe dovuto accadere il giorno successivo avesse a che fare con la Macchina del Tempo.
Mirai rigirò il proprio ragionamento nella mente. Sì, aveva perfettamente senso!
Constatatolo, si sentì stranamente orgogliosa, come non lo era da tempo. Sentì quanto fosse piacevole percepire un qualche significato senza farselo spiegare da altri.
Improvvisamente, si sentì un po’ meglio.
Ora li sentiva i rumori. Raschiare di tubi, oggetti che venivano spostati…
Stette ad ascoltarli, senza sapere nemmeno lei perché le interessassero.
Dopo un po’, poi, Bulma e Trunks rientravano. Mirai li sbirciò. Sembravano un po’ stanchi, ma soddisfatti.
Indugiò qualche istante, poi si diresse in cortile, dove scoprì di aver azzeccato il fatto che la Macchina del Tempo c’entrasse parecchio.
Il mezzo era stato infatti, coperto da un telone plastificato, trasportato nel cortile.
La ragazzina decise di allontanarsi un po’. Quando ritornò nel cortile, si arrestò. Trunks era vicino alla Macchina del Tempo.
Lei si chiese cosa stesse facendo, ma non riuscì a capirlo.
Quando infine il ragazzo si allontanò, Mirai si spostò vicino all’ordigno. Sollevò il telone nel punto in cui aveva visto affannarsi Trunks. E lì sotto scorse una parola, quattro lettere scritte grandi, sottolineate dalla presenza di due punti esclamativi.
Trunks aveva tracciato il termine “Hope!!”. Mirai lo ripeté con il solo movimento delle labbra, immaginando di mormorarlo.

Quella sera, a cena, la ragazzina sedette al solito posto.
Stava sbocconcellando di malavoglia un pezzo di pane quando udì Trunks schiarirsi esitante la gola.
A quel suono alzò gli occhi, scoprendo che il ragazzo la stava guardando.
«Mirai» le sussurrò con la solita dolcezza. «Domani» e la sua voce si fece densa di emozione, «viaggio nel tempo! Torno indietro».
La ragazzina scoprì finalmente chiarita l’atmosfera di aspettativa che aveva aleggiato nell’abitazione quel giorno e fu soddisfatta.
Inconsapevole del fatto che sarebbe stato normale provare ancora, se non in modo maggiore, dell’interesse, reclinò il capo, tornando a dedicarsi al cibo.
Trunks la osservò. C’era una sorta di disperazione in quella ragazzina, una disperazione che lei cercava, forse senza rendersene conto, di mascherare con l’indifferenza, una disperazione che lui non riusciva a capire.
Forse sarebbe stato semplice chiederle di spiegarsi scrivendo, ma di sicuro non sarebbe stato giusto e certamente le avrebbe impedito di dare piena forza alle proprie parole.
Alcune cose non si potevano esprimere su un pezzo di carta, a maggior ragione cose che erano forse impossibili da esprimere parlando.
Passandosi una mano tra i capelli, il saiyan gettò un’ultima occhiata alla ragazzina.
Finirono ben presto di cenare. Mirai non pareva molto affamata, Bulma era ansiosa e impaziente, e persino Trunks si sentiva lo stomaco serrato.
«Buonanotte, mamma» la salutò.
Lei gli indirizzò un sorriso incoraggiante. «Cerca di dormire» suggerì. «Domani ti aspetta una grande giornata».
«Già… Già».
Quando salì Mirai era infilata tra le coperte e pareva assonnata.
Trunks si coricò a sua volta, ma, ad un certo punto l’ansia divenne troppo soffocante per restare immobile.
Il ragazzo si alzò. Stette un attimo in ascolto. Il respiro di Mirai era lento e regolare, si era addormentata.
Silenziosamente, si infilò le scarpe.
Poi uscì nella notte.
La città non esprimeva alcun suono, e il ragazzo acconsentì favorevole e grato a quel modo di vivere la notte.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie. Non voleva pensare alla propria meta, in qualche modo non poteva. Ma la conosceva con precisione.
Quando infine giunse in vista delle lapidi di marmo di quelle tombe che riguardavano lui e sua madre il cuore prese a battere un ritmo più lento e scandito.
Diede uno sguardo stordito a quella del padre, poi si chinò su quella del mentore.
Sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale, mentre veniva ancora una volta colpito dal pensiero che Gohan giaceva lì. Poco più grande di lui.
«Domani viaggio nel tempo» sussurrò, talmente piano da percepire a stento la propria voce. Da una parte la mente continuava a dirgli che non aveva senso quel che stava facendo, ma lui la ignorò e aggiunse: «Ricordi?» Tentando di non pensare al fatto che Gohan era morto e non poteva più ricordare nulla, né fare qualcosa d’altro. «Ricordi, Gohan, quanto ho cercato di lasciarmi il passato alle spalle? E domani tornerò ancora più indietro. Devo farlo. Devo tornare indietro».
Il cuore gli batté più forte per un attimo. Sospirò, stringendosi nelle spalle. Alzò gli occhi al cielo scuro.
Poi si avviò di nuovo verso la Capsule Corporation.
Sfiorò solo appena l’idea di andare a coricarsi. Pensieroso, si sedette sulla scrivania davanti alla finestra, mettendosi a guardare fuori, in quel cielo nero trapunto di stelle.

Sbattei le palpebre. Assonnata, mi guardai attorno, il cuore riprese pian piano il ritmo abituale. L’avevo di nuovo sentito in sogno.
Mi alzai a sedere e trasalii. Una sagoma scura si stagliava contro la finestra. Non mi ci volle molto a riconoscere Trunks. Era ancora sveglio?
Lo osservai. Una gamba penzolava rilassata, mentre l’altro ginocchio era piegato e sollevato a sfiorargli il petto. Stava guardando attraverso il vetro.
Spinsi in avanti le coperte, scendendo dal letto.
Mi avvicinai di qualche passo. Mi fermai, scrutandolo perplessa.
«Sei sveglia…» la sua voce mi colse di sorpresa. Mi sentii quasi arrossire, senza capirne il motivo. Dopotutto, non stava mica scritto che la notte potevo solo dormire.
Il ragazzo si voltò a guardarmi. Nella scarsa luce distinsi a fatica i suoi occhi. Mi fissavano, inquieti come al solito.
Mi strinsi nell’abbondante camicia da notte.
«Vieni qui?» mi chiese. «O torni a letto?»
Feci confusamente segno verso il materasso. Esitante, lo indicai dubbiosa. Lui sorrise al mio gesto. «No… io resto qui a pensare».
Aveva una ruga tra le sopracciglia, la fronte lievemente aggrottata. Dopo qualche attimo associai la sua espressione all’ansia. Era ansioso. Incerta, tornai sui miei passi. Mi rinfilai tra le coperte, e non potei fare a meno di sentire piacevolmente il calore che si era accumulato nel letto.
Poggiai la testa sul cuscino.
L’ultima cosa che sentii, o che mi sembrò di sentire, furono alcuni passi precisi, i suoi passi. Poi mi addormentai.
Al risveglio mi ritrovai sola nella stanza.
Lottai per qualche attimo con le lenzuola, riuscendo infine ad alzarmi.
Corsi a piedi nudi giù per le scale.
Trunks e Bulma erano già vestiti. Il ragazzo indossava un paio di pantaloni grigio scuro, una corta giacca blu sotto la quale si vedeva una maglia nera. Infine, il fodero della sua spada gli poggiava sulla schiena.
Feci colazione senza quasi sentire i sapori di quel che mangiavo, ma non mi interessava.
Di colpo udii Trunks dichiarare: «Allora… si parte».
Alzai gli occhi. Non se ne accorse. Capii che aveva rivolto a sua madre quelle parole. «Sì» disse lei. «Ti accompagno, tesoro».
A quel punto lui si voltò nella mia direzione, incerto. «Vieni anche tu?»
Mi morsi il labbro, poi scossi decisa la testa. Ne parvero sorpresi. Mi domandai per quale motivo avessi rifiutato, ma non trovai la risposta.
Spinsi da parte il piatto e corsi al piano superiore, dove mi sedetti sul letto. Dopo qualche attimo mi alzai e mi diressi alla finestra. Guardai giù. Un uccellino dal piumaggio quasi azzurro stava becchettando un po’ d’acqua di una pozzanghera. Gonfiò le piume e le scosse. Spostai lo sguardo. Osservai Bulma porgere qualcosa a Trunks. Lo vidi sorridere. Con un balzo, si portò poi all’interno della Macchina del Tempo. Salutava la madre. Poi la cupola si chiuse. Guardai il mezzo alzarsi nel cielo, poi, d’un tratto, scomparire. Ascoltando il battito accelerato del mio cuore, ritornai vicino al letto, poi presi a disfarmi del pigiama. Infilai un leggero reggiseno a coprire le mie forme acerbe da adolescente. Me l’aveva dato Bulma. Prima non ne avevo mai avuti. Misi una maglia azzurra, la coprii con una felpa celeste. In pochi attimi indossai anche i pantaloni e le scarpe.
Infine afferrai la fascia che ormai utilizzavo abitualmente per tenere lontani i capelli dal volto. La legai con decisione dietro la nuca.
Il pensiero che Trunks ora fosse non solo lontano nello spazio ma anche nel tempo mi faceva uno strano effetto. Scrollai le spalle, imponendomi di non badarvi.
Dopotutto non mi avrebbe aiutato arrivare ad una conclusione.


Trunks aprì gli occhi. Fuori dalla navicella non si poteva vedere nulla. Solo un nero che sfiorava l’oblio, a volte attraversato da lievi scosse di un verde abbacinante. Il ragazzo sospirò, chiudendo le mani a pugno.
Non gli piaceva ammetterlo, ma aveva paura. Si sentiva tremendamente fuori posto, inadeguato. Abbassò gli occhi, poi deglutì, deciso a farsi coraggio.
“Devo farlo” si disse. “Per la mamma, per Gohan, per mio padre, per Goku” e a quell’ultimo nome strinse convulsamente il medicinale che teneva nel pugno, “per tutti i guerrieri che sono stati uccisi dai cyborg… Anche per Mirai”.
Rabbrividì. Chiuse nuovamente gli occhi, come un bambino che si alza la notte e non vuole vedere tutte quelle ombre spaventose, e si sforzò di pensare al sorriso di sua madre. Quell’immagine mentale gli scaldò il cuore, tranquillizzandolo. Poteva vedere le sue labbra muoversi nel descrivergli com’era suo padre.
Già…
“Ti vedrò, papà”.
Rasserenato, sollevò le palpebre.
Sentì uno strano fremere, poi sopra di sé vide il cielo spruzzato di nuvole bianche. Scese dalla Macchina col cuore che batteva a mille, e constatò sollevato che il paesaggio era abbastanza famigliare.
Infilò il prezioso medicinale in una delle tasche della giacca, poi gettò un ultimo sguardo alla parola scritta sul veicolo, prima di ridurlo ad una capsula.
Inspirò profondamente.
Era ora di lottare per un futuro migliore.

Mirai si portò una mano alla fascia che le copriva la fronte. Trunks le mancava terribilmente, era ormai una giornata intera che non lo vedeva.
E poi sentiva lui. Un ansimare forte, caldo. Le labbra le tremarono.
Ed ecco salirle al naso quell’odore metallico di sangue. Lo storse, decisa a cacciarlo. Le faceva talmente paura da farla rabbrividire violentemente. Dopo qualche attimo passò. Lei sospirò sollevata. Anche quel giorno era riuscita a sconfiggere quella sensazione.
Trasalì di colpo, sentendo come una sorta di elettricità nell’aria.
Udì un gran trambusto al piano inferiore. Perplessa, si diresse giù dalle scale, per poi uscire all’aria aperta.
«Mamma!»
Trunks stava abbracciando Bulma. Mirai osservò lo sguardo raggiante del ragazzo, lo vide voltarsi tutt’attorno, come a cercare qualcosa.
La ragazzina fu quasi sicura del fatto che non riuscì a trovarla, ma non ne parve turbato. Al contrario, schioccò sorridente un bacio su ogni guancia di Bulma, la quale, per tutta risposta, lo abbracciò più forte. Poi Trunks iniziò a parlare, e l’emozione gli fece accavallare tutte le frasi. Mirai recepì poca parte del suo discorso.
«Mio padre!» esclamò il ragazzo, ridente. «Mamma, ho visto mio padre!»
Bulma gli sorrise, se possibile, con gioia ancora maggiore.
«Oh, mamma, avevi ragione tu! Ha un’aria così distaccata, così fiera, ma sembra anche triste».
Lei gli sorrise. «Mi pare che tutto sia andato bene, non è così?»
Il giovane annuì. «Eccome». In quel momento si accorse di Mirai. La ragazzina non riusciva a capire il perché di tutta quella felicità. «È andato tutto bene, Mirai» affermò Trunks, più che altro per rivolgerle la parola, non per vero bisogno di comunicare quelle parole. Bulma lo abbracciò ancora, sorridendo anche alla ragazzina, poi lo invitò ad entrare a mettere qualcosa sotto i denti. Lui non se lo fece ripetere due volte. Seguito da una perplessa Mirai entrò in casa. Fra un boccone e l’altro raccontava, a volte accompagnando gesti alle parole. Era emozionato, euforico, felice, e Mirai non riusciva a capirlo.
«C’era anche Gohan, mamma!»
A quel nome, la ragazzina si portò istintivamente le mani alla fascia. Poi Trunks riprese a parlare, nominando un tale Freezer e un certo Re Cold. A quanto pareva, li aveva sconfitti entrambi, principalmente grazie alla propria spada.
Mirai rievocò la lama dell’oggetto dall’unica volta che l’aveva vista. La ricordava di un brillio affilato, letale. Perciò il racconto del ragazzo non la meravigliò più di tanto.
Notò quanto ripetesse le parole “mio padre” e “Gohan”. Guardò anche come sorrideva grato a sua madre, in continuazione, e, per un attimo, fu assalita da una strana sensazione. Come il desiderio di essere lei la persona a cui era riservato quell’affetto, accompagnato da un nodo allo stomaco ed un profondo senso di disagio.
Passò in un attimo, ma la lasciò confusa e perplessa.
Poi, di punto in bianco, si sentì stanca. Comprese che lui doveva essersi mosso con rapidità, o comunque aver compiuto qualcosa, dato che da parte sua lei non aveva fatto granché.
Sbadigliò. Bulma, nonostante fosse presa dal racconto del figlio, se ne accorse, e le chiese se per caso voleva andare a letto.
Mirai scosse la testa, sentendo di colpo una fitta di paura. Non voleva allontanarsi da Trunks. Ora più che mai. Temeva, in modo del tutto irrazionale, che il ragazzo, se solo l’avesse lasciato per un attimo, avrebbe potuto scomparire in un’altra epoca, o semplicemente andarsene. Bulma era gentile, ma, con tutto il suo affetto, non avrebbe mai potuto esserle così vicina. Trunks invece aveva sofferto quanto lei. Per motivi, era pronta a scommetterci, completamente diversi dai suoi, ma lo sentiva ugualmente prossimo a sé. C’era come un baratro che li divideva, Mirai lo sentiva, era il baratro di quel che lei aveva fatto. Ma, almeno, lui era lì, dall’altro lato di quell’abisso, e lei poteva vederlo, magari illudersi di averlo vicino.
Perciò aveva optato per un rifiuto, e stette seduta ad ascoltare il narrare del ragazzo.
Non comprese molto, ma una cosa le fu chiara sin da subito.
Ci voleva coraggio, per tornare indietro.

Un po’ in ritardo, ma eccomi tornata. E così sono arrivata al punto nel quale Trunks compie il suo primo viaggio. Dato che già è risaputo cosa sia accaduto, ho ritenuto fosse meglio non dilungarmi su di esso…
Son Kla: grazie per lo splendido commento. Concordo con te, anche a me piace molto il punto in cui Mirai si grattava il sopracciglio. L’idea è arrivata dal ricordo che ho di un film, o di una puntata di un telefilm. Infatti, nonostante io non sappia più il titolo, o qualcosa della trama, in un punto un personaggio durante un dialogo aveva fatto quel gesto. L’ho trovato così naturale che mi è rimasto impresso. Mentre scrivevo il capitolo, allora, mi è venuto naturale inserirlo. Contenta che abbia fatto il suo lavoro ^_^ Inoltre mi fa piacere il fatto che continui ad stimare il rapporto tra Mirai e Trunks, segno che, meno male, riesco a gestirlo. Ti ringrazio davvero tanto per come apprezzi questa storia, e per come me lo fai sapere.
Pepesale: non preoccuparti per la scarsa lunghezza. Mi ricorderò che è il pensiero che conta XD Non essermi troppo grata, eh, dato che gran parte dello scorso capitolo mi è venuto in mente leggendo la tua One Shot.
carol2112: non preoccuparti per il ritardo, la recensione (che ho letto con gran piacere^^) te l’ha perdonato automaticamente… La suspence non si allenta, spero. Mi spiace, ma credo proprio che dovrai conviverci per un po’. Anche a me piace la parte in corsivo, perché mi fa immedesimare molto in Mirai, e, in conseguenza, mette meglio in moto il mio cervello altrimenti in letargo (frase esagerata… spero O_o). Sulla lentezza del tempo hai ragione, e sono felice che non diventi pesante, nonostante alcune volte sia un po’ difficile mantenere quel ritmo alla fine mi soddisfa che è una cosa piacevolissima^^. Spero che scriverai un poema anche la prossima volta, non mi spiace, credimi!
cri92: grazie per il commento. Credimi, è sempre bello ricevere opinioni da gente nuova. Spero la storia continui a piacerti ^^ In effetti Mirai, nonostante non si dilunghi in segni complicati, alcuni gesti li fa, e Trunks (grandissimo^^) riesce a comprendere quel che lei, poco a poco, rivela.
Sono curiosa di sapere la vostra opinione anche su questo capitolo…
Grazie poi a tutti quelli (scusate se non l’ho scritto prima) che hanno messo la storia tra le preferite, ossia: carol2112, Heather91, Pepesale, Son Kla e super vegetina.
Un abbraccio, sperando di risentirci presto,
Mirai No
(Spero la scena del cimitero non risulti troppo esagerata. L'ho scritta di slancio, e poi mi dispiaceva cancellarla...)

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Capitolo 7
*** La forma delle nuvole ***


CAPITOLO 7 – LA FORMA DELLE NUVOLE

Trunks concluse il racconto. Forse ora aveva veramente esaurito i dettagli, quei dettagli che per tutto il tempo non avevano fatto altro che emergere, prepotentemente, uno dietro l’altro, facendolo parlare in modo quasi ininterrotto. Bevve qualche sorso d’acqua, sbirciando sua madre. Sorrideva, era felicissima. Poi la vide voltarsi appena e modificare la propria espressione in una di intenerito stupore.
Trunks, perplesso, seguì il suo sguardo. Capì subito il motivo di quegli occhi meravigliati. Mirai non aveva resistito, e, con la testa poggiata sul piano del tavolo, si era profondamente addormentata, i capelli castani in disordine.
«Forse è meglio che la porti su» mormorò Bulma, «anzi, intanto che ci sei faresti bene a dormire a tua volta... Hai avuto una giornata piuttosto intensa».
Lui annuì, dandole la buonanotte. Si voltò verso Mirai, e la sollevò più delicatamente che poteva. Lei continuò a dormire, ma mosse le labbra e strizzò gli occhi, come se si fosse resa conto del movimento.
Il ragazzo si irrigidì appena a quei gesti. Dopo un attimo, però, si tranquillizzò, e, con la ragazzina in braccio, si diresse nella propria camera. La teneva vicina appoggiata a sé, riuscendo a sentire il torpore del suo corpo sonnolento. La posò sul letto. Mirai mosse il braccio, portandosi la mano vicino all’orecchio.
Trunks si chiese se sarebbe stato meglio metterle il pigiama, ma accattonò subito quell’idea, in quanto il solo pensiero di toglierle i vestiti lo faceva avvampare.
Infine decise che comunque era bene sfilarle almeno la felpa. Con delicatezza, precedette dunque a privarla di quell’indumento. Riportò dunque lo sguardo sulla bambina e si sentì nuovamente caldo. Il colletto della maglietta, decisamente largo, le lasciava scoperta una spalla. La pelle, liscissima, era coperta in un punto da una spallina di un rosa chiaro. Trunks si sentì sorpreso attraverso l’imbarazzo. Non credeva che portasse un top di qualche tipo. Vedendola, specialmente mentre indossava quegli indumenti troppo grandi, le era parsa completamente piatta. Non che avesse fatto particolare caso a quel dettaglio, semplicemente l’aveva annotato nell’inconscio. In quel momento, per la prima volta, gli parve di rendersi conto che Mirai era certo una bambina spaventata, smarrita, che lui si sentiva in un qual modo in dovere di proteggere, ma che prima di tutto era una ragazza.
Confuso dalla piega inaspettata che stavano prendendo i suoi ragionamenti, Trunks allungò la mano a prendere le coperte, per poi posarle su Mirai. Si chinò un attimo verso di lei, sentendo chiaramente il suo fiato sulla guancia, poi si alzò, dirigendosi nel proprio letto. Col cuore che ancora batteva accelerato per tutti gli avvenimenti di quella giornata, posò il capo sul cuscino ad attendere l’arrivo del sonno. Questo giunse prima di quanto si aspettasse, distogliendolo dai suoi emozionati ricordi.
Il mattino dopo fu svegliato dal sole che gli pizzicava le palpebre. Aprì gli occhi a fatica, esitante. Dopo un primo momento di smarrimento, dovuto al passaggio dal sonno alla veglia, gli si affacciarono alla mente tutti gli avvenimenti del giorno precedente. Sorrise fra sé e sé, fiducioso nel fatto che il futuro sarebbe andato meglio.
Si alzò. Mirai dormiva ancora, raggomitolata su se stessa. Aveva la bocca semiaperta, ed un pugno chiuso sul cuscino.
Quando lui si mosse, però, la ragazzina si destò di colpo. I suoi occhi guizzarono tutt’attorno, come se fosse spaventata dalla prospettiva di trovare qualcosa. Dopo qualche attimo si tranquillizzò, seppur mantenendo una scintilla di inquietudine nello sguardo, e si stiracchiò appena, assonnata.
«Ciao» la salutò a quel punto Trunks.
Lei lo guardò, poi abbassò lo sguardo sui propri vestiti, che ancora indossava, e corrugò la fronte. Pose quindi gli occhi su Trunks, evidentemente chiedendo una spiegazione.
«Ehm» esordì il giovane, «ieri ti sei addormentata, così ti ho portata in camera. Ma non ti ho messo il pigiama, dato che non volevo svegliarti». Sentì la gola secca, mentre, imbarazzato, ripensava a quella spallina chiara. Per fortuna lei non poteva leggergli nel pensiero, e quella risposta parve soddisfarla e farle perdere ogni altro interesse per l’argomento.
Qualche ora dopo era in cortile ad allenarsi con la spada, più determinato che mai.
Mirai era seduta poco distante, e lo osservava. Si meravigliò di come di colpo il ragazzo sembrava quasi diventare un tutt’uno con la sua arma, muovendola abilmente, come non fosse stata uno strumento, ma parte del suo corpo.
Indugiò appena sui muscoli tesi del ragazzo, ma distolse lo sguardo un attimo dopo, tornando a tentare di seguire il brillio della lama e i suoi rapidi movimenti.
Infine Trunks si fermò, ansimante. Mirai lo osservò mentre si prendeva cura della spada, per poi infilarla nel fodero e indossarlo, tranquillo. Compiute quelle azioni, il giovane si voltò verso la ragazzina, osservandola. Lei incrociò le braccia sul petto, evitando di incontrare il suo sguardo. Chiedendosi se lo facesse per imbarazzo o per indifferenza, Trunks valutò per un attimo il comportamento di Mirai, distogliendo infine lo sguardo.
Mirai guardò le proprie mani, soffermandosi sul taglio, ormai rimarginato, che aveva su quella sinistra. Trunks lo notò, e le prese il palmo, guardandola. «Ormai è guarita» constatò, per poi alzare gli occhi su Mirai. «Non andarci accanto, mi raccomando».
La ragazzina annuì, poi si sentì arrossire appena.
Il saiyan le lasciò la mano.
Lei si voltò. Allora lo sentì di nuovo. L’odore del sangue le riempì il naso. Dapprima tentò di respirare solo con la bocca, come se fosse stata investita da un’improvvisa zaffata di smog e si ritrovasse ancora dietro all’auto che l’aveva emessa, poi cercò di prendere altra aria pura. Ma ogni respiro era impregnato di quel sapore metallico. Terrorizzata, vide delle ombre scure profilarsi contro i suoi occhi, sottili come scaglie di ossidiana. Provò, irrefrenabile, l’impulso di scappare, mosse le gambe... Poi sentì una stretta sul braccio. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi mise a fuoco il viso di Trunks, a pochi centimetri dal suo. Sembrava ansioso. «Che è successo?» chiese.
Mirai sentì, per un attimo, la voglia di rispondere. Ma come spiegarlo dopo aver perso la voce, come narrare mutamente una cosa che già risultava complicata da dire? Scosse la testa decisa, più volte, tentando di convincere anche se stessa, cercando di dirsi che andava tutto bene. Però sapeva che non era vero, lui era sempre più vicino. Socchiuse gli occhi.
Trunks intanto lasciò la presa sul suo braccio, confuso. Non riusciva a capire il perché di quello scatto improvviso. Avrebbe voluto saperne di più, ma non riuscì a chiederle nulla quando lei lo guardò, apparendo più smarrita che mai. In quel preciso momento gli ricordò se stesso, nel periodo dopo la morte di Gohan. Mirai aveva anche la stessa età che aveva lui quando era successo.
Trunks pensò che anche lui doveva aver avuto quello sguardo, ricordò quelle giornate in cui non aveva voluto parlare con nessuno, preferendo di gran lunga il silenzio. Per quel motivo non chiese nulla di più, per rispettare quel segreto che Mirai sembrava voler mantenere in maniera quasi disperata.
Sentendosi improvvisamente a disagio, alzò gli occhi al cielo cobalto, cosparso di nuvole candide. Prestò più attenzione del solito alle immagini ricamate da quelle nubi rigonfie, inseguendo il gioco che spesso aveva fatto con il suo maestro o con sua madre. Ma in quel momento, teso com’era, non riuscì a decifrare alcuna forma particolare, gli sembravano solo batuffoli di cotone poggiati a caso qua e là.
Mirai, tremando lievemente, si guardò attorno. Dopo poco però, riuscì a calmarsi, riacquisendo la solita distratta posatezza.
La voce di Bulma distolse Trunks dall’imbarazzo che provava. «Venite dentro, su, voi due!» li invitò la donna.
Mirai e il ragazzo obbedirono, entrando senza degnare di un ultimo sguardo le nuvole che, alte nel cielo, si intrecciavano, guidate dal vento, in forme morbide e precise.
Quel giorno passò rapidamente. Come tutti i dì privi di accadimenti particolari, sembrava destinato a non lasciare tracce nella memoria di chi l’aveva vissuto. Eppure, anche a distanza di molti anni, Trunks non ebbe difficoltà a rievocare lo sguardo smarrito che Mirai gli aveva rivolto, i capelli mossi dal vento che tendevano ad andarle verso gli occhi nonostante la fascia blu…

Si mosse con movimenti fluidi e rapidi. Gettò un’occhiata tutt’intorno, valutando il paesaggio.
Con uno scatto felino avanzò per un vicolo.
Il suo unico desiderio era il sangue. E lei. Anelava a sentire il suo calore, voleva vedere di nuovo il suo volto terrorizzato, sentire la paura nel suo sguardo.
Poi trattenerla, godendo dei suoi disperati tentativi di fuga. Giocare con la loro anima, farla inorridire… E poi dare di nuovo il via a quella caccia. Lasciare che si allontanasse, poi mettersi sulle sue tracce, sgomentandola avvicinandosi lento e inesorabile.
Ringhiò. Ultimamente percepiva una nuova volontà nella sua mente, e non gli piaceva.
Lei doveva essere sua. Sua e di nessun altro.

Mirai tremava. Si tirò le ginocchia al petto, scossa da brividi incontrollabili, poi si prese la testa tra le mani.
Chiuse gli occhi, cercando di ignorare le fitte che sentiva al corpo, brevi ma intense. Come se lui la stesse graffiando, o strattonando.
«Piccola… tutto okay?»
Alzò lo sguardo. Trunks la guardava. “Come fa?” si domandò la ragazzina. “Come fa ad esserci sempre quando ho più bisogno?”
Deglutendo, afferrò con disperazione la mano che il giovane le offriva, quasi ne andasse della sua stessa vita. Il saiyan la guardò. “Salvami” sembravano dire gli occhi grigi della ragazza. “Salvami”.
Ce l’aveva sempre nello sguardo, quella muta richiesta. Gli provocava una stretta allo stomaco, la sentiva come se lei la urlasse.
“Sono stato sempre aiutato, nella mia vita. Ho sofferto, ma non ero mai veramente solo” pensò. “Lei la è”.
L’avrebbe sostenuta come Gohan aveva sostenuto lui. Sarebbe riuscito a comprendere la sua paura, e allora l’avrebbe consolata.
L’avrebbe protetta. L’avrebbe portata a vedere la forma delle nuvole.


Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Questa volta niente narrazione da parte di Mirai, mi sono trovata meglio limitandomi alla terza persona. Il punto che comunque mi piace di più è quando Trunks si imbarazza davanti a Mirai
cri92: wow, Cri, sei velocissima! Già… quando ho dovuto “fare” quel punto ho pensato che di certo lui non si sarebbe addormentato molto facilmente il giorno prima del viaggio nel tempo ^_^ baci
Carol2112: carissima, grazie mille per il nuovo poema che mi hai proposto^^. Come continuerai a vedere, Gohan sarà spesso ricordato dal “mio” Trunks, difatti devo dire che è un personaggio che, seppure io lo abbia visto solo una volta nella sua comparsa nell’Oav “La storia di Trunks” ha lasciato il segno. Allo stesso tempo sono contenta del fatto che a quanto pare riesco a comunicare bene quel che provano i personaggi, a delineare il loro carattere, perché saperlo mi fa davvero felice^^. Come mi fa piacere di riuscire a catturare la tua attenzione, e a mantenere viva la voglia di leggere. Baci ricambiati^^
maryana: grazie per il commento e per come apprezzi la storia. Sono felice che la trama ti incuriosisca e che ti piaccia come caratterizzo i protagonisti^^
Pepesale: già... quella frase mi è venuta spontanea, per esprimere quel che io a volte provo ascoltando il silenzio. Bacione altrettanto grande
Grazie, ripeto, le vostre recensioni mi fanno felicissima^^
Alla prossima,
Mirai No
(ovviamente grazie anche a chi legge e basta)

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Capitolo 8
*** Ossessione ***


CAPITOLO 8 – OSSESSIONE

Non è un bisogno. Perché, chiunque ne possa pensare, io non ho bisogno di lei.
Forse è un gioco, un gioco ormai talmente abituale da diventare ossessione.
Già… è questo. Lei è ciò per me. È un’ossessione talmente brutale da farmi fremere di eccitazione quanto il sangue.
So che non le piace, lo sento come tenta di resistere alla mia mente, alle sensazioni che le comunico automaticamente. Ed è proprio questo il bello.
Lei non vuole. La terrorizza. Mi diverte da morire, il suo viso sgomento. So che espressione ha risvegliandosi dagli incubi che le provoco, e mi piace.
Voglio che soffra ancora, che senta i miei pensieri e la mia eccitazione allungarsi verso la sua mente come tentacoli. Voglio che le sia ricordato in ogni momento che non è piena padrona della sua anima, che non potrà mai liberarsi di me.
Salto giù da un cumulo di macerie. I miei muscoli fremono all’impatto.
Che non creda di potersi permettere il lusso di un po’ di tranquillità. Io non potrò mai avere pace sinché sarà libera di allontanarsi così da me.
È vero, sono nato con lei, ma è stata la sua colpa a darmi pienamente un’esistenza. E la mia esistenza è divenuta il suo terrore. Lei il mio obbiettivo.
Questa caccia non può avere fine.
La seguirò sino in capo al mondo, divertendomi ai suoi continui tentativi di fuga. Non si arrende facilmente, questo è vero. Ma perché non rinunciare ad una lotta che non si può vincere?
So che non avverte l’odore salmastro che occupa le mie narici, perché non mi dà alcuna emozione. Cosa dovrei trovarci di bello in quella distesa d’acqua salata chiamata mare?
Svolto in un vicolo ancora più stretto, silenzioso come l’oscurità. Io sono oscurità. Sono la sua ombra, ma non mi può cancellare con la luce del sole, né con una notte più buia di me.
Io la devo trovare, io la troverò.
È la mia ossessione. Un’ossessione scritta col sangue.


Scusate la brevità del capitolo. Onestamente non mi riesce bene immedesimarmi in quel... ehm... coso, diciamo. Però ho voluto fare un tentativo^^ Che dite? Non devo pentirmi?
Carol2112: carissima, grazie mille davvero! Le tue recensioni mi appagano un sacco^^ Sono felice che quell’immagine della spallina abbia fatto il suo lavoro. Mi spiego: quel che volevo era esattamente rendere l’idea di qualcosa che scatta in Trunks, imbarazzandolo. Hai ragione anche sul rapporto di Mirai e Trunks. Lui si riconosce in lei, in qualche modo, perciò la rispetta... Perché la capisce pienamente^^ Ed è anche uno dei motivi, credo, per i quali lui riesce a comprenderla con facilità. Un bacione…
Cri92: sì… mi piace Trunks imbarazzato, lo adoro *-*
Pepesale: già… il nostro saiyan è tenero!!! Spero tu sia ancora viva…
Maryana: anche io voterei per Trunks che prova qualcosa in più che affetto fraterno per Mirai^^… Vedremo. Non preoccuparti, il rapporto tra Mirai e il “losco figuro” sarà chiarito gradualmente.
Un abbraccio a tutti,
Mirai No
(scusate ancora per la brevità del capitolo!)

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Capitolo 9
*** Vicina lontananza ***


CAPITOLO 9 – VICINA LONTANANZA

Mirai era dietro a Trunks, a pochi passi di distanza. Vedeva che il ragazzo stava lavorando all’assemblaggio di qualcosa. Cosa fosse il qualcosa, però, non riusciva a capirlo. E, dopotutto, non le interessava.
Voltò lo sguardo, tenendo però al contempo il giovane sott’occhio, e sbirciò tutto attorno. Erano in un magazzino. Disposti lungo le pareti si trovavano mobili tanto numerosi quanto diversi tra loro: vi erano massicci armadi in metallo con un po’ di ruggine sulle maniglie, ma anche comò in legno lucido, seppure un po’ coperti di polvere.
Su alcuni tavoli dalla superficie piana e larga, poi, erano poggiati vari strumenti: da cacciaviti a righe e squadre per determinare progetti sui rotoli di carta da lucido poggiati in un angolo.
La ragazzina udiva il rumore dei componenti che si incastravano nel lavoro di Trunks, e dopo un po’ quei suoni bruschi e metallici iniziarono ad apparirle famigliari e, in un qualche modo, rassicuranti.
Soddisfatta la curiosità per il magazzino, si voltò verso Trunks, ponendo di nuovo la propria totale attenzione sul giovane.
Quest’ultimo, quando ebbe finito di lavorare, si passò il braccio sulla fronte, contemplando la propria opera, per poi volgersi verso Mirai, pulendosi le mani da un poco di grasso. La ragazzina lo stava fissando e, quando lui incrociò i suoi occhi, arrossì lievemente e voltò la testa.
Trunks, invece, la osservò in silenzio.
Di due cose, per lo meno, era assolutamente certo: innanzitutto Mirai era sicuramente muta, per un motivo che lui non riusciva a comprendere, ma che avvertiva a tratti dal suo sguardo, dal suo comportamento. In secondo luogo, si sentiva in dovere di proteggerla, perché le voleva davvero bene e aveva l’impressione di esserle in qualche modo indispensabile.
«Mirai!» la chiamò, provando un senso di tenerezza quando lei si voltò subito, con un'espressione di aspettativa sul viso. «Qui io ho finito, e ora mi andrebbe una bella spremuta d’arancia. Che ne dici, la vuoi anche tu?»
La ragazzina annuì, poi, quando il ragazzo si diresse in cucina, lo seguì.
Trunks prese due bicchieri dalla dispensa, spremette due arance rosse e versò la bibita ottenuta nei recipienti, porgendone uno a Mirai.
Lei lo prese, poi sorbì una piccola parte del succo. Era un po’ brusco, ma non le dispiaceva. Scrutò Trunks che beveva a propria volta e per un attimo sentì il desiderio di tendere la mano a toccargli il braccio. Non lo fece, temendo la reazione del giovane e che fosse un gesto sbagliato.
E poi, lei doveva rimanere sola. Era meglio evitare quel contatto, lui stava iniziando a innervosirsi, lo sapeva, semplicemente perché avvertiva la presenza di Trunks.
Così tenne le dita ben salde attorno al bicchiere, rimpiangendo un poco quella mancata vicinanza.
Soffocando il rammarico avvicinò il boccale alle labbra, bevendo d’un fiato la spremuta rimasta.

Finita la bevuta lo seguii in camera. Iniziavo a sentirmi in qualche modo strana quand’ero con lui. Avvertivo una specie di stretta allo stomaco, di ansia e di felicità.
Non capivo di cosa si trattasse, e mi faceva sentire un po’ a disagio.
Alla sola idea di smettere di seguire il ragazzo, di perderlo di vista, percepivo però una sorta di timore che mi faceva preferire di gran lunga quel caos di strani sentimenti.
Inoltre avevo la sensazione di essere al sicuro, quando Trunks mi era vicino, ed era bellissimo, nonostante dentro me sapessi che non era un’emozione veritiera.
Presi a far scorrere il dito sui ricami presenti sulla federa del cuscino, pensierosa.
Trunks stava riordinando alcuni strumenti. Alzai lo sguardo sulla spada del ragazzo, la quale, al sicuro nel proprio fodero, era stata da lui appoggiata contro il muro.
E, per un attimo, giocai a far finta di essere normale. Di non avere colpe, di poter vivere semplicemente accanto a Trunks, senza avere la perenne sensazione di essere braccata.
Nessuno poteva dire che non fosse un gioco così terribilmente bello.
Era bello fingere di essere vicina a quella persona alla quale ero tanto lontana.


Perdonate il ritardo pazzesco e la scarsa lunghezza del capitolo.
Son Kla: mi fa davvero piacere aver ricevuto un altro dei tuoi lunghi e stupendi commenti! In effetti, in un primo momento mi sono chiesta se far andare Mirai nel passato con Trunks, poi però, ho scelto di no. Infatti, come hai ben capito, non sarebbe cambiato molto rispetto alla trama originale, e quindi il capitolo sarebbe risultato (a mio parere) abbastanza noioso. Mi ha fatto piacere che tu abbia apprezzato il fatto che, dopo il loro distacco, Mirai si sia sentita sola e perciò abbia avvertito improvvisamente la paura per un’eventuale scomparsa di Trunks. Così come mi ha reso felice il fatto che tu abbia apprezzato il comportamento dei due sia quando la ragazzina si addormenta sia nel cambiamento nel loro modo di rapportarsi. In effetti, Trunks sembra un po’ schietto quando dice a Mirai di non averle messo il pigiama. Tenendo conto che la domanda implicita della ragazzina non riguardava il fatto di trovarsi in camera ma quello di avere ancora addosso i vestiti da giorno, il ragazzo appare un po’ disinvolto. Be’, rileggendo quel punto la frase mi è sembrata effettivamente un po’ brusca, perciò l’ho leggermente cambiata così: “Ma non ti ho messo il pigiama, dato che non volevo svegliarti”. Solo che non so se avvertire come ho fatto quando ho cambiato il secondo capitolo, dato che, qui, il mutamento è davvero lieve. Tu che ne dici? Passando all’ultimo capitolo, hai di nuovo ragione: mi immedesimo molto meglio in Mirai, e sono felice che ti sia comunque piaciuto.
maryana: grazie, sono felice che tu abbia trovato intenso e ben scritto lo scorso capitolo.
Pepesale: ehm, ti dispiace se non mi dilungo nel risponderti? Dopotutto ti ho già detto che sono d’accordo con te riguardo al capitolo^^
carol2112: sono felice che ti sia piaciuto il capitolo^^ Altrettanto di aver reso un po’ l’idea del “losco figuro”, di averlo definito in modo più consistente. Ho tentennato un po’, inizialmente, non sapevo se inserirlo un capitolo del genere. Poi mi è venuto naturale scriverlo al presente e in prima persona, perché mi sembrava che potesse in tal modo essere più diretto. Quindi sono oltretutto contenta che sia valso allo scopo.
cri92: ciao, cara. Grazie per la recensione e gli incoraggiamenti, sono felice che il “capitolo-lampo” sia stato di tuo gradimento (azzeccato il fatto che il tizio abbia una mente contorta!). Già, Trunks ha proprio intenzione di proteggere Mirai... Scusa se non mi dilungo molto ma ho il tempo contato -.-“
Ora vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo! Grazie moltissimo!
Mirai No

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Capitolo 10
*** Foto e Ricordi ***


CAPITOLO 10 – FOTO E RICORDI

Mirai camminava per i corridoi della Capsule Corporation. I suoi passi leggeri, quasi timorosi, producevano solo un lieve rumore.
Trunks stava dormendo, dopo essersi allenato a lungo, e ciò l’aveva rassicurata sul fatto che non se ne sarebbe andato via. Non sarebbe scomparso. Non appena lei sarebbe rientrata in camera l’avrebbe trovato dove l’aveva lasciato. Era un pensiero confortante.
Forse era proprio per quello che si era allontanata, per poterlo poi ritrovare. Per sentire quel sollievo. Per quella sensazione era disposta ad un po’ di insicurezza, lo smarrimento che stava vivendo in quei momenti. Aveva una voglia matta di correre subito in camera e tranquillizzarsi, ma resistette.
Stando lontana per un tempo maggiore, maggiore sarebbe stato anche il sollievo. Ed era proprio quello che voleva. Voleva sentirsi sollevata, almeno per un attimo.
Camminò sino alla fine del corridoio. Stava per tornare indietro quando la attirò un particolare che prima non aveva mai notato. Già. Lì infondo, vicino a quello strano quadro (“astratto” doveva averlo chiamato Trunks quando le aveva fatto fare il giro dell’abitazione) c’era una porta che, a differenza di tutte le altre nella casa, era chiusa. Mirai rievocò il giorno nel quale Trunks le aveva mostrato le stanze.
Non c’era dubbio. Quella non l’aveva vista.
Si chiese il motivo. Poi concluse che forse non se ne ricordava. Comunque la curiosità aveva iniziato a farle presa sulla mente. Dopo un attimo di esitazione poggiò la mano sulla maniglia e la abbassò. Si stupì di quanto fosse dura, e del rumore cigolante che fece la porta nell’aprirsi. Le sue narici percepirono subito un odore polveroso, facendola starnutire. Fece un passo avanti, guardandosi attorno.
Era una stanza grande, come quella di Trunks. C’era un letto coperto da un telone bianco impolverato. Anche sul comodino c’era un lieve strato di polvere. La ragazzina alzò il mento per avere una visione più completa della camera. Due armadi e una scrivania erano gli unici altri mobili. Riflettendo, Mirai si passò un dito lungo il naso. Si avvicinò al tavolo, sul quale era poggiata una lampada. Provò a cliccare sull’interruttore, ma non accadde nulla. Non funzionava, evidentemente.
Pensierosa, prese di nuovo visione dell’ambiente in cui si trovava. Allora si accorse che su una mensola erano sistemate alcune fotografie. Le sbirciò, senza però osare avvicinarsi. Alcune rappresentavano Trunks più piccolo, in altre il ragazzo doveva avere più o meno la sua età. Un altra persona che compariva spesso era un ragazzo che lei non conosceva. Occhi neri e capelli altrettanto scuri. Un’altra foto ancora rappresentava un uomo e una donna, entrambi neri di iridi e capigliatura. Quest’ultima, nell’uomo, era davvero strana. E lui aveva un’espressione un po’ ingenua e infantile, da bambino, quasi. Ed era un bambino quello che teneva in braccio. Non si poteva dubitare che fosse suo figlio.
Mirai sfregò un piede infreddolito contro l’altra gamba, poi si avvicinò appena a guardare il piccolino. Si teneva aggrappato alla tuta del papà con le manine grassottelle tipiche di tutti i bimbi piccoli. Sulla testa aveva un capello sormontato da una buffa pallina arancione.
La ragazzina fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo da quelle foto incorniciate che, per un qualche strano motivo, le trasmettevano un senso di tristezza misto a malinconia. A quel punto si accorse che sul pavimento c’erano alcuni pezzi di carta. Ne raccolse uno, perplessa. Doveva essere stato strappato da un libro, o da un quaderno, o forse da un semplice block notes.
Mentre si domandava perché mai quei fogli fossero stati lacerati, udì un rumore alle proprie spalle. Si girò di scatto.
«Mirai… che ci fai qui?» chiese Trunks, immobile sulla soglia.
La ragazzina scrollò le spalle, poi gli rivolse un’occhiata perplessa. Con un gesto della mano, alluse poi alla stanza in cui si trovavano.
«Questa…?» chiese Trunks. Lei annuì, seria. Il ragazzo appoggiò una mano sul muro. «Questa era la stanza di Gohan».
Mirai socchiuse gli occhi… Già. Ancora lui. Il maestro di Trunks.
Si chinò a raccogliere un pezzo di carta, e lo mostrò al giovane. Lui parve imbarazzato. «A strapparlo» disse a bassa voce, «sono stato io».
Lei corrugò la fronte.
«Vedi, Mirai» iniziò allora a spiegare il ragazzo, «quando il mio maestro è morto ero arrabbiato. Per settimane intere ho provato l’impulso di stracciare libri, di rompere oggetti…» Si interruppe un attimo. «Sai, era un modo per scaricare la mia rabbia su qualcosa… mi illudevo di sentirmi meglio, dopo. Così, un giorno, sono arrivato qui e…» Non ci fu bisogno che completasse la frase. Quel che voleva dire era fin troppo chiaro.
Mirai distolse lo sguardo, fissando intorno. Infine, in assenza di altri spunti per farlo ancora parlare, indicò una foto che ritraeva quel ragazzo moro, per poi volgere a Trunks uno sguardo interrogativo.
«Sì» ripose lui. «Quello è Gohan. Quello era Gohan» si corresse dopo un attimo.
Poi la prese per mano, portandola fuori. Si richiuse con delicatezza la porta alle spalle. «Andiamo in sala?» propose, con voce forzatamente normale.
Lei annuì.
Arrivati nel salotto Trunks si sedette da un capo del divano, mentre Mirai sprofondò nei cuscini poggiati sulla parte opposta.
«Che dici, Mirai?» chiese d’un tratto il giovane. Lei si sistemò in una posizione più eretta per poterlo guardare meglio. «È solo una mia impressione che le foto siano strane?» La ragazzina non fece alcun gesto, non sapendo quale sarebbe stato appropriato, ma evidentemente Trunks non attendeva una risposta, difatti proseguì, gli occhi azzurri puntati su di lei. «Voglio dire, aiutano a rammendare momenti belli, ma danno anche un senso di malinconia, perché quegli attimi non possono tornare… Almeno per me è così» concluse, distogliendo lo sguardo.
Mirai rifletté su quelle parole. Già… quello che stava in una foto non poteva appartenere al presente. Le immagini catturate sopra di essa erano perdute. Era come se il passato mostrasse cosa viveva ancora in lui e mancava al presente.
Perplessa, si appoggiò pesantemente sui cuscini.
Poi si sporse a guardare Trunks, ed un pensiero improvviso la colpì. “Non mi ha lasciata. Non sono nemmeno dovuta andarlo a cercare. È venuto lui da me. Non mi ha abbandonato”. Si sentì un po’ meglio.


Okay, forse ho esagerato, a continuare a menarla su Gohan del futuro! Be’, date la colpa alle foto. Io sono innocente. Be’, relativamente innocente, dato che comunque questo capitolo è nato pur sempre dalla mia testolina bacata^^”
Son Kla: già, pian piano qualcosa sta cambiando in ciò che sente Mirai^^ Riguardo a quelle frasi che ti ricordano “Twilight”, me l’ha fatto notare anche una mia cugina… Ma io non so dire, dato che non l’ho letto. Sono felice che ti piaccia il modo in cui ho corretto quella frase (più la rileggevo, non so se te l’ho già scritto, più mi sembrava meno appropriata al carattere di Trunks del futuro). Grazie mille, alla prossima^^
carol2112: ti capisco benissimo, anche a me, mentre lo scrivevo (chiarisco: mentre batto sui tasti le cose mi vengono fuori così, poi me le rileggo per sapere che ho scritto XD) è piaciuto il fatto di Mirai che arrossisce, l’ho messo per evidenziare un cambiamento nel rapporto che ha con Trunks… In quanto al disagio di Mirai… Credo sia come mi comporterei io ^_-
maryana: non preoccuparti, l’ “elemento” che rende Mirai in qualche modo diversa salterà fuori poco a poco (ma dove l’ho preso questo gusto insano a tener la gente sulle spine?! XD). Anche io ti assicuro che mi ricordo bene le sensazioni che provavo al mio primo amore… ed ho cercato di rifletterle nella ragazzina^^ Grazie mille per la recensione lunga (anche senza contare i tuoi standard, a mio parere)
FullmoonDarkangel: BuonGiorno (modo originale di rispondere ad una vecchia amica, soprattutto se lei ha esordito nell’identico modo ^_-). Wew, io te e Pepesale (ci siam capite XP) riunione di famiglia!!!! Grazie mille^^ Seguirò al massimo il punto tre^^
Cri92: Cri!! Oddio, scusa, non solo non ho ancora recensito l’ultimo capitolo, non ti ho nemmeno mandato la mail come promesso (Dio, tutti gli impegni che ho mi fanno impazzire!!) Grazie davvero per il commento… Sono felice ti piaccia ciò che desidera Mirai. Gli errori di orografia sono esclusi, sto sempre a scrivere con il Santo Correttore di Word XD però nulla mi salva da quelli di sintassi ç_ç se ne vedi avvertimi ^_-
Pepesale: appena in tempo. Sì, ma lo sapevo già (comunque recensisci ogni volta è_é mi raccomando) quel che pensavi. Hai visto a cosa ha fatto nascere la relazione sulle foto, filosofa maniaca?!
Grazie a tutti, alla prossima!
Mirai No
Infine cambierò davvero il titolo in “Parlami di pace”. Mi scuso con quelli che avevano detto di preferire il corrente, ma, andando avanti (almeno mentalmente XD) con la trama lo trovo infine più azzeccato. Scusatemi ancora…

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Capitolo 11
*** Quel desiderio inespresso ***


CAPITOLO 11 – QUEL DESIDERIO INESPRESSO

Il mattino dopo, quando Trunks riemerse dal sonno sbadigliando, si rese conto che Mirai era già sveglia.
«Siamo mattiniere, oggi, eh?» le chiese, sorridendole affettuosamente.
La ragazzina abbassò gli occhi, le guance arrossate.
Dopo essersi vestiti ed aver fatto colazione, uscirono in cortile. Bulma stava riparando uno strano (almeno agli occhi di Mirai) meccanismo, e il figlio le passava alcuni strumenti da lei richiesti. In quanto alla ragazzina, osservava senza vero interesse la scena, in piedi poco lontana da Trunks.
«Accidenti» borbottò Bulma ad un certo punto. Trunks si sporse in avanti. «Che c’è, mamma?»
Lei gli mostrò qualcosa che Mirai non riuscì a vedere, dicendo: «Serve un componente di ricambio per questo».
Il ragazzo annuì. «Posso andartelo a prendere, oggi» offrì. Leggendole negli occhi che la madre stava per rifiutare, aggiunse accorato: «Per favore!»
Bulma rise. «D’accordo, penso tu sia abbastanza grande per badare a te stesso».
Lui scrollò le spalle. «Me la cavo» replicò, laconico.
La madre gli diede qualche oggetto da barattare in cambio di quello che serviva davvero.
Mirai lo guardò ringraziare Bulma. Poi lo vide voltarsi e incamminarsi verso il cancello. Improvvisamente inquieta, gli corse dietro.
«Che c’è, Mirai?» domandò lui. La ragazzina lo fissò con gli occhi di quel bizzarro colore, mordendosi un labbro. Infine allungò la mano verso Trunks, prendendo il braccio del giovane. Lui guardò le dita della ragazzina strette attorno alla manica della sua giacca e sorrise. «Vuoi venire con me, giusto?»
Lei annuì, con serietà.
Lui le prese la mano. Non ebbe bisogno di comunicare alla madre il desiderio di Mirai. Bulma, infatti, aveva seguito la conversazione. Alzò la mano per salutare i due, ma la riabbassò quasi subito. Sospirando, tornò al lavoro.

Era una bella sensazione. Non sapevo spiegarmi il motivo, sapevo solo che tenere la mano in quella calda e forte di Trunks, camminando, mi piaceva.
O forse “piacere” è una parola esagerata. Forse semplicemente quel che provavo mi faceva sentire pienamente viva.
E poi lui parlava. Mi indicava prima quelle piante tanto alte da essere vicine a sfiorare il cielo, che pure rimaneva indifferente al loro sforzo, poi quella bottega malmessa, quelle strade piene di erbacce… e spiegava. Raccontava cose che nemmeno capivo, troppo presa dalla sua voce.
Lo ascoltavo, e volevo solo quello. Ascoltare la sua voce sino a quando non mi avrebbe riempita.
Poi la strada disconnessa che stavamo percorrendo s’inclinò improvvisamente, sfociando in un ampio dislivello. Guardai giù. Poi iniziammo a scendere. Era ripida, e più volte rischiai di scivolare, ma Trunks era pronto ad impedirmelo.
Poi eccoci. Non me lo disse apertamente, eppure lo compresi. Era quella la nostra meta. Era il mercato.
La prima cosa che mi colpì fu l’odore. Leggero, appena percepibile, ma talmente presente che era impossibile non sentirlo. Non lo seppi definire con chiarezza. Era delicato, e non osavo indagare con l’olfatto, come quando si tiene una rosa in mano ma non ci si azzarda a stringerne i petali, per paura di guastarli.
Era pieno di bancarelle. Tutte ricoperte di veli neri. Le persone erano tese, allarmate, e discutevano sottovoce. Eppure si sentiva talmente tanto quella sensazione di vitalità che non si poteva dubitare di quanta gente ci fosse.
I miei piedi producevano uno scricchiolio ad ogni passo, poggiandosi sulla ghiaia del terreno. Un paio di persone si girarono verso di noi al nostro passaggio, istintivamente mi strinsi a Trunks, ansiosa di essere protetta da quelli sguardi indagatori.
Il ragazzo mi guidò sino ad una bancarella. Scrutai il proprietario: si trattava di una donna dai capelli verdi e lunghi, ma un po’ ingrigiti dal tempo. Era gracile, eppure dai suoi gesti traspariva un’energia inaspettata.
«Che vuoi, ragazzo?» apostrofò duramente Trunks. Nella sua voce avvertii uno strano accento che non seppi definire.
Abbassai un attimo lo sguardo mentre Trunks spiegava ciò che desiderava acquistare.
«E ci hai la grana per pagare? ‘Ché non è mica robina da niente, lo capisci questo, non è vero? C’hai l’aria del ragazzo intelligente, io penso».
Guardai Trunks estrarre dalla tasca alcuni oggetti che posò sul piano del bancone. Erano gioielli piccoli, con alcune pietruzze azzurre. La donna li scrutò, li prese in mano, li soppesò.
«Che non c’hai mica qualche cosa d’altro?» chiese dopo un’attenta osservazione.
Trunks non si mosse, osservandola seriamente. «Quei gioielli bastano» affermò, con un mondo di sicurezza nella voce. Spostai il peso del mio corpo da una gamba all’altra.
«Ehmbé, può darsi che no» affermò la donna. La scrutai perplessa.
«Io dico che bastano» ribadì Trunks.
«Ma che tu devi capire che mi sono una povera vecchia… Devo campare poi con il frutto de’ mie vendite» obbiettò la donna.
«Lo so, signora, che lei deve avere di che vivere» mormorò Trunks, e per la prima volta in quel dialogo la sua voce tremò appena. «Ma anche io, mia madre e lei» (qui fece cenno a me) «dobbiamo sopravvivere».
Si voltò. «Comunque, ce l’avrà qualcun altro, ciò che mi serve. Vieni, Mirai». A quel richiamo gli afferrai la mano. Iniziammo ad allontanarci.
Avevamo fatto cinque passi contati che la donna ci richiamò indietro. Trunks le porse nuovamente le collanine che le aveva mostrato in precedenza, aggiungendo un orecchino piccolo ma bello, e in cambio la donna gli diede quello che lui aveva acquistato.
Poi, io e lui, ci allontanammo davvero.
Stavo ancora riflettendo su quel che avevo appena visto che Trunks mi chiamò e disse con un sorriso tirato: «Visto che lezione di sopravvivenza?»
Sorrisi a mia volta, incerta.
Non avevo ben capito il motivo, però doveva essere la cosa giusta da fare. Infatti il sorriso del ragazzo assunse una sfumatura più vera, e lui allungò la mano a scompigliarmi i capelli in un gesto affettuoso.
Alzai la testa a contemplare le foglie rosse dell’autunno (presto sarebbero cadute) e di colpo seppi di essere cresciuta. O meglio, di avere passato il mio quattordicesimo compleanno. Non ero certa di quando fosse accaduto con precisione, ma sapevo di averlo superato.
O meglio, lui lo sapeva.
Sembrava sapere tutto di me. Anche le cose che non sapevo io.
Sentii il desiderio di comunicarlo a Trunks. Gli tirai la manica. Lui mi scrutò perplesso. Io allora mi posai la mano sul petto, poi tesi le dieci dita delle mani per poi mostrargliene quattro di quella destra.
Lui mi fissò un attimo, poi un’ombra di comprensione gli passò sul viso. «Hai quattordici anni?» Annuii. Lui non mi chiese come potevo esserne certa, non mi domandò nulla. Si limitò a dire con naturalezza: «Allora dovremo fare una festa stasera… Lo dirò alla mamma».
Mi grattai la nuca, perplessa.
Trunks camminava a passo svelto. Ben presto, perciò, fummo davanti alla Capsule Corporation. Fissai pensierosa l’abitazione, poi alzai la mano a sfregare appena la punta del naso, il quale, a forza di stare all’aria aperta, mi stava divenendo un po’ freddo.
Quando entrammo, perciò, provai un moto di sollievo a sentire la calda atmosfera che si sentiva già nell’ingresso.
Trunks mi lasciò la mano (cosa che gli permisi di fare a malincuore) e camminò rapido sino al magazzino per appoggiare la borsa con la sua spesa.
Mi chiesi se seguirlo o rimanere ferma dov’ero, e alla fine optai per la seconda alternativa. Dopo un po’, però, stavo per lasciarla perdere e correre dal ragazzo, ma proprio in quel momento tornò. Respirai a fondo, sollevata.
Lui sorrise vedendo che non mi ero mossa da dove mi aveva lasciata. «Vieni» mi invitò, con quella sua voce calda e impossibile da rifiutare, «andiamo ad annunciare a mia madre che stasera si festeggerà un compleanno». Lo seguii senza fiatare.
Bulma stava lavorando davanti al computer, e il ronzio dell’elaboratore elettronico riempiva la stanza. Si voltò subito quando entrammo.
«Sai, mamma?» esordì al mio fianco Trunks. «Mirai ha quattordici anni, ora».
La donna parve sorpresa. «È il tuo compleanno?» mi chiese, gentilmente. Alzai le spalle, in quanto non sapevo se esso fosse proprio quel giorno o qualche dì precedente.
Lei non parve trovare problemi, e accattonò subito la questione. «Dovrò fare una bella torta» disse vivamente, alzandosi dalla scrivania. Si sistemò una ciocca di capelli azzurri dietro l’orecchio, riflettendo. Infine si rivolse a me e a Trunks. «Voi due» ci interpellò sorridendo, «vedete di filare in giardino in modo da non disturbarmi mentre faccio i preparativi necessari».
La fissai confusa. Tutto questo... per me?
«Sicura di non volere una mano?» chiese Trunks con premura.
«Certo» replicò Bulma con un sorriso sulle labbra, mentre io ascoltavo silenziosamente, «faccio volentieri a meno di distrazioni» scherzò. «E poi...» aggiunse, posando su di me gli occhi «non vorrai lasciare da sola la festeggiata?»
Trunks si girò a guardarmi a propria volta, intensamente. Avvertii improvvisamente la sensazione di essere al centro dell’attenzione, insieme ad un’ondata di disagio. Imbarazzata, chinai la testa in avanti in modo che i capelli mi coprissero parzialmente il volto in fiamme. La rialzai solo quando udii la voce di Trunks dirmi: «Okay, Mirai, usciamo».
Battei le palpebre e lo seguii rapidamente all’aria aperta. Non prima però di aver permesso a Bulma di imbacuccarmi a dovere.
Il cielo era già scuro, nonostante fossero appena le diciassette e qualche minuto, e di conseguenza le sagome degli alberi si stagliavano (ancor più nere) contro di esso, comunicandomi un sottile senso di paura, il quale svanì il momento dopo mentre, calpestando foglie cadute, seguivo Trunks per il giardino.


Il saiyan scrutò dietro di sé con la coda dell’occhio, e notò divertito che Mirai arrancava sulla sua scia. Allora rallentò il passo per permetterle di raggiungere il proprio fianco. Si guardò attorno, poi si volse appena verso la ragazzina.
Sembrava così piccola, con indosso quegli abiti troppo larghi, e così indifesa.
Allora, quasi istintivamente, le circondò le spalle con il braccio. Lei si irrigidì a quel contatto, poi, poco a poco, tornò a rilassarsi, forse trovando conforto nel calore del ragazzo.
Passeggiarono per un po’ avanti e indietro, il silenzio rotto solo dal rumore delle foglie secche che scricchiolavano sotto i loro passi.
Poi la voce di Bulma li chiamò: «Ragazzi, è pronto!»
Trunks sobbalzò e si allontanò da Mirai, più per reazione istintiva che per vera preoccupazione che la madre li trovasse così.
Perciò rivolse alla ragazzina un sorriso di scusa, invitandola ad entrare con lui.
Quando arrivarono in cucina, Mirai sbarrò sorpresa gli occhi. La tavola era stata coperta da una tovaglia bianca. I tovaglioli erano rossi e di conseguenza spiccavano, anche i bicchieri e i piatti le sembrava di non averli mai visti prima.
Bulma li fece accomodare. In risposta allo sguardo un po’ stralunato della bambina, disse, accennando alla tavola: «Sono le stoviglie e la tovaglia per i giorni speciali».
La cena fu abbondante, ma non troppo diversa da quella degli altri pasti. La differenza principale stava nell’enorme torta che la padrona di casa presentò come dessert. Mirai la fissò, perplessa. Il suo stupore, poi, aumentò quando Trunks dispose attentamente quattordici candeline su di essa.
Il ragazzo scrutò la propria opera, poi esclamò: «Ma mamma, sei stata grande!»
Lei agitò la mano, come a rifiutare i complimenti. «Suvvia, avevo una buona parte del pomeriggio per lavorarci... E poi, caro, non scordare che tua madre può fare tutto» aggiunse ridendo, mentre porgeva una scatola di fiammiferi al figlio.
Lui ne accese uno dopo essersi stretto nelle spalle in risposta alla dimostrazione di estrema modestia della madre. E dopo qualche attimo le fiammelle danzavano allegre sulle candeline, illuminando la torta.
Trunks si voltò verso Mirai e la scoprì intenta a fissare le candele con un’espressione di palese perplessità.
«Non hai mai... festeggiato un compleanno prima d’ora?» le chiese sussurrando.
Lei confermò con un gesto, alzando gli occhi grigi sul giovane. «Be’, non c’è problema, esiste sempre una prima volta» affermò lui. «Ora, Mirai» le spiegò, ricevendo la piena attenzione della ragazzina, «devi semplicemente spegnere le candeline soffiando sulla fiamma».
Mirai fissò interrogativa il ragazzo. “Ha acceso le candeline solo per farmele spegnere?” si chiese perplessa, in quanto le sembrava un gesto insensato.
«È una tradizione» disse allora Trunks, «in più, si dice che se esprimi un desiderio e poi riesci a spegnere in un sol fiato tutte le candeline, quel desiderio si avvera». La sua voce divenne sempre più piatta. Lui c’era sempre riuscito, a spegnere quelle fiammelle oscillanti in un colpo. Aveva anche smesso presto di pensare ad un desiderio, ma alcuni (pochi, tre al massimo) li aveva espressi. E, naturalmente, non era vera quella storia.
Però non gli sembrava giusto che Mirai non la potesse mai conoscere. Le voleva dare l’opportunità di crederci, o, com’era più probabile (dato che la ragazzina era comunque già grande per avere fede in un racconto del genere) fingere di crederci.
Mirai si guardò per un attimo attorno, poi soffiò. Le fiammelle tremolarono, ma alla fine erano spente tutte.
Trunks sorrise e la ragazzina si chiese se l’avrebbe fatto anche se avesse saputo che lei non aveva pensato a nessun desiderio, nonostante ne avesse tanti non esauditi.


Ammetto che ho avuto parecchi tentennamenti prima di decidere di inserire questo capitolo, che mi è venuto in mente così, di colpo... Spero di non dovermi pentire della decisione^^
Son Kla: per me l’idea della camera di Gohan non è che sia una sistemazione permanente, piuttosto che ci fosse per quelle volte in cui il ragazzo andava a trovare Bulma e Trunks. Grazie per la recensione bellissima^^
Pepesale: eccoti qua! Ma dico, ti ho già detto che fa lo stesso anche se non recensisci! Ne ho già abbastanza delle tue chiacchiere, assicurato XD comunque grazie per il pensiero
carol2112: non preoccuparti se recensisci in ritardo.... Guarda poi che commenti lunghi mi lasci! Hai ragione, Trunks è bravissimo a capire quel che prova Mirai^^ Vero, le foto sono assai bizzarre da questo punto di vista, mamma mia, povero Gohan
maryana: sono veramente contenta che la storia ti piaccia così tanto^^ Anche a me piace molto il dialogo “mentale”, in un certo senso, che c’è tra Mirai e Trunks, quindi sono doppiamente felice che lo apprezzi!
cri92: ciao, cara! No problem per il ritardo, alla fine la recensione la fai comunque, ed è quel che importa! Sono felicissima di averti fatto vivere in modo talmente profondo da immedesimarti in ciò che è accaduto.
Scusate le risposte scritte un po’ in fretta ç__ç alle vostre bellissime recensioni, ma il mio tempo al computer si fa sempre più limitato
Alla prossima, Mirai No

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Capitolo 12
*** Il sogo di Mirai ***


CAPITOLO 12 – IL SOGNO DI MIRAI

Avevo freddo. Rabbrividii, spaventata, nel mio intimo, cercando istintivamente di comunicare al mio corpo quel senso di disagio.
Eppure esso non mi ascoltava.
Le mie gambe si muovevano disinvolte per il vicolo buio, umido e spoglio, muovevo passi silenziosi, felpati. Ogni mossa era fluida, l’olfatto e l’udito più acuti del normale. Anche il modo in cui mi guardavo attorno era diverso.
Poi udii un odore. Cos’era? Perché mi faceva accapponare la pelle? E cos’era quel brivido? Paura? No… Piacere…
Senza sapere cosa stessi facendo, scoprii i denti in un brontolio eccitato e minaccioso.
Vidi di fronte a me un uomo.
Volevo implorarlo, chiedergli dove fossimo, perché io avevo bisogno di Trunks, un bisogno disperato di lui. Sentivo la gola stretta in un nodo.
Mossi un passo.
Ma… Perché mi guardava con orrore? Mi sentii confusa, e in qualche modo ferita. E nel suo sguardo c’era qualcos’altro… Terrore, perché?
Io avevo paura.
Poi, quando le mie gambe diedero al corpo la spinta necessaria per spiccare un balzo, e percepii una tensione piacevole in ogni fibra del corpo, capii. Era lui. Io ero lui.
Cercai di urlare, ma i suoi pensieri mi arrivarono alla mente, più vicini e nitidi di quanto non fossero mai stati. “Che hai, piccola?” mi domandava, in tono beffardo. Ricordai con chiarezza assurda, data la situazione, che anche Trunks a volte mi chiamava così, ma il tono che usava lui non aveva nulla del disprezzo che sentivo ora, non aveva niente in comune con quella vibrazione maniacale che sentivo tremare nella sua voce.
E Trunks? Dov’era Trunks, mi chiesi, con una fitta di panico.
“È un bel gioco, non ti piace?”
I suoi artigli raggiunsero la preda. Ed erano anche i miei artigli. Sentii la carne lacerarsi sotto le mie dita, e ne fui terrorizzata.
Era l’incubo più orripilante che avessi mai fatto. Non potevo scappare. Non potevo vomitare, né piangere, né urlare. Semplicemente, il mio corpo non mi obbediva. Il suo corpo, precisai, con una nuova ondata di nausea, perché non era il posto della mia mente.
L’odore di sangue era fortissimo. Metallico, salato, acuto. E quel che era peggio era che il mio olfatto si crogiolava in esso, assaporandolo con un gusto immenso.
“Lasciami!” urlai, nella mia mente, l’unica cosa che mi appartenesse a quel punto.
Percepii la sua essenza che si strusciava, nel senso meno fisico possibile della parola, contro la mia, come un enorme gatto che fa le fusa. Un gatto assetato di me. “Perché dovrei, sei così impaurita” considerò. “In più, dovresti essere felice” continuò quella voce inquietante, mentre i nostri denti laceravano altra carne, e la nostra lingua si posava su quel liquido vischioso. “Questa è una proiezione di ciò che, inevitabilmente, accadrà in futuro”.
Una fitta di terrore mi trapassò la mente.
“Non è vero!” mi dissi disperata, mentre il corpo che sentivo muoversi giocava con quel che restava della vittima.
“Io non sarò mai come te! Io… io sono diversa da te!”
Uno scatto rabbioso, voltai la testa, le narici dilatate dalla rabbia che provava lui. “E in cosa saresti diversa?!” Un’ondata di odio, talmente forte che mi parve una botta fisica.
“Hai ucciso, piccola”, di nuovo quel termine per farmi sentire maggiormente indifesa, “hai trasgredito regole, hai dimostrato di essere capace di far del male non solo agli altri, anche a te stessa!”
Era vero, veramente vero. L’aria fresca della notte mi accarezzava la pelle.
“Io ho Trunks!” Non sapevo da dove fosse partito quel mio urlo interiore, seppi solo che sembrava più la supplica di una bambina spaventata (e cos’altro ero?) che un grido di rabbia.
Un brontolio, sempre più forte. Mi accorsi che stavo ridendo.
“Il ragazzino?” Il tono scettico del suo pensiero mi ferì più di quanto avessi creduto fosse ancora possibile. “Per piacere! Lui… Cosa credi possa fare per proteggerti?”
“Lui vuole proteggermi!” Era uno stupido, capace di volermi bene, ma gli ero terribilmente grata per quello.
“Non lo nego… Ma tra volere e potere è una bella strada”. Piccolo passo ciondolante, pigro, in avanti. “Esempio. Tu vuoi liberarti di me, ma non puoi”.
Tenevo gli occhi socchiusi rivolti verso il cielo, il corpo totalmente rilassato.
“Lui non può seguirti nei sogni. Io sì. Io non sono solo all’aperto, pronto ad aggredirti, sono anche nella tua mente. Posso partecipare ad ogni tuo sogno. E, magari, nel sogno potrei colpire…”
Tentai di scrollarmi di dosso quel corpo, come se fosse stato anche lontanamente possibile.
“Oppure… Potrei lasciar stare. E allora saresti tu. Saresti tu a colpirlo, a vedere la sua espressione stupita”, nuova risata, “mentre si chiede che fai. Non reggerai a molto, piccola, soprattutto se io non lo voglio”.
Odiava Trunks, lo odiava moltissimo, capii.
“Però ringraziamo il ragazzetto. Senza di lui…” Schioccò la lingua. “Era da un po’ che non gustavo un terrore così genuino”. Sospirò, mentre mi sentivo rigida nella mente e rilassata e tranquilla nel corpo.
“Ma sarà una bella cosa, piccola, davvero bella. Hai visto l’agonia dell’uomo che abbiamo ucciso insieme. Anche il tuo Trunks potrebbe soffrire così, se non di più”.
Poi tutto iniziò a girare, avevo la nausea, volevo graffiare quel corpo, uscirne…
E di colpo spalancai gli occhi, drizzandomi a sedere. Mi guardai attorno, il respiro affannoso.
Il silenzio calmo della stanza che condividevo con Trunks mi tranquillizzò appena. Le figure del sogno svanirono poco a poco, lasciandomi un’inquieta agitazione.
Mi strinsi le ginocchia al petto, desiderando per un attimo di piangere. Ma non ci riuscii. Stetti semplicemente lì, gli occhi spalancati, le orecchie tese a percepire il respiro del ragazzo che dormiva nel letto vicino al mio.
Abbassai la testa. Ero stata una stupida a credere di potermi allontanare da lui. Aveva ragione, c’erano posti in cui Trunks non poteva proteggermi. Fra i quali la mia mente.
E, dopo tempo, la sentii di nuovo, forte e soffocante, quella stretta oppressiva al petto, o forse nella mia testa.
Quella presa che mi comunicava che non avevo scampo. Che lui mi tratteneva a sé tenacemente. In tutti quei giorni, mi ero solo illusa.
Almeno era stata una bella illusione.



Come tutti, mi sembra (e di sicuro sono troppo pigra per andare a controllare nelle vostre recensioni xD) avevate intuito, ecco che, conclusi i capitoli della “calma prima della tempesta”, ci ritroviamo nell’acquazzone.
maryana: mi fa piacere che tu abbia apprezzato il capitolo precedente nonostante fosse di passaggio e che ti sia piaciuta l’atmosfera un po’ tesa che ho cercato di caratterizzare^^
cri92: già, Trunks è, come al solito, bravissimo a capire quello che prova Mirai... x3 Non so se Bulma, nel caso li avesse trovati ancora “abbracciati” avrebbe avuto qualcosa da ridire, forse è dell’avviso che suo figlio dovrebbe mettere su famiglia (se è così, mi offro volontaria XD) ma Trunks si è cmq allontanato con un balzo...
Son Kla: sono felice che tu abbia gradito il capitolo. In effetti, inizialmente avevo scritto solo del mercato, ma dopo un po’ mi è balenata in mente anche l’idea del compleanno di Mirai. Onestamente, anche io credo che Trunks un po’ di decisione, altrimenti non so come sia durato nel mondo in cui ha vissuto... Hai, ragione, Trunks non può pensare che Mirai non ricordi il suo compleanno. Più che altro quel “Lui non mi chiese come potevo esserne certa” l’avevo inserito perché è Mirai a parlare e lei, non sapendo quando compie gli anni, non si aspetta che la gente lo sappia. Lo so ^^” è un ragionamento un bel po’ contorto... Riguardo a quando escono in giardino, anche a me suona un po’ troppo ridotto il tempo... Avevo provato a “estenderlo” ma è venuto su un casino da far accapponare la pelle. Poi, per come sono, potevo sempre essere io ad avere una visione distorta del tutto. Non so, magari più avanti cercherò di aggiustarlo un po’ (per adesso riesco a stento ad aggiungere nuovi capitoli...). Ciao^^
carol2112: ciao! Non preoccuparti, già è tanto che tu mi abbia lasciato tutte quelle altre lunghe recensioni^^ Mi fa piacere che ti sia piaciuto. Eh già, stavolta di Gohan non se n’è parlato. Amen^^
Al prossimo capitolo,
Mirai No

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Capitolo 13
*** Solo acqua ***


CAPITOLO 13 – SOLO ACQUA

Il sole iniziò a filtrare dalla finestra, illuminando la stanza.
Mirai si ritrasse dalla luce, quasi temesse di essere sfiorata da quei raggi tiepidi e ancora timidi. Si morse il labbro, angosciata.
In quei giorni passati in compagnia di Trunks, aveva ricominciato a vivere. Forse indispettita dapprima, forse esitante, ma aveva vissuto. Aveva sorriso, aveva respirato, aveva avuto voglia di ridere. Si era sentita protetta, e l’esistenza aveva perso un po’ del suo peso.
Ora aveva l’orribile e amara sensazione che tutto fosse tornato come prima. Si strinse maggiormente alle proprie gambe, quasi temesse di finire in pezzi se solo avesse allentato la morsa.
In quel momento, Trunks si svegliò. Aprendo gli occhi, si stiracchiò pigramente, tendendo le braccia. Mirai sobbalzò.
Il ragazzo alzò su di lei i suoi occhi azzurri e le fece un sorriso affettuoso. «Dormito bene?» domandò, per riempire quel silenzio che pareva essere la maledizione di Mirai.
Lei ripensò con un brivido all’incubo. Fissò Trunks con aria infelice.
Il giovane le rivolse uno sguardo preoccupato in risposta, ma prima che potesse dire o fare qualcosa per annullare le distanze, Mirai si voltò.
Il saiyan fissò la schiena della ragazzina, la sua nuca. Sospirò, pensando che era incredibile come lei riuscisse a tagliare fuori il resto del mondo con un semplice movimento. Per un momento accarezzò l’idea di avvicinarsi a lei e di voltarla con delicatezza. Si chiese come mai non ne avesse voglia, poi capì: non era il fatto che Mirai si isolasse dal resto, era il fatto che la ragazzina desse piena impressione di volersi isolare.
Non sapeva perché, ma percepiva quanto fosse importante per lei rimanere sola in alcuni momenti. Ed era quello che lo bloccava.
In certi istanti, riusciva a raggiungerla comunque, a decidere, in un certo qual modo, che non era così che lei doveva stare. Altri, la volontà di Mirai era troppo disperata, e lui non riusciva a opporsi.
Perciò rimase in silenzio per qualche attimo. Infine si alzò, ed allo scricchiolio lieve prodotto dalle molle del letto Mirai si voltò.
Trunks sorrise appena, tentando di infonderle calore.
La ragazzina si irrigidì.
«Vieni, coraggio» mormorò Trunks, cercando di utilizzare un tono tranquillizzante. Fece per prenderle la mano, ma lei si scostò, scendendo dal letto.
Lo seguì in cucina, ma teneva le mani intrecciate tra loro, scoraggiando ogni contatto.
Bulma li salutò calorosamente, ma le linee di preoccupazione sul suo viso sembravano essersi moltiplicate, e si mordeva il labbro con frequenza.
Mirai non volle mangiare nulla. Trunks notò anche che sembrava maggiormente inquieta del solito. Negli occhi della ragazzina era evidente un forte nervosismo, e più di una volta la sorprese con una smorfia (non capì se di tristezza o sofferenza) sul viso. Il giovane tentò di distrarla parlandole di Bruck, ma le parole non sortirono l’effetto desiderato. Mirai lo fissava assente o con la paura nello sguardo, senza dare l’impressione di prestare davvero attenzione a ciò che accadeva.
Quando la colazione poté dirsi conclusa, perciò, Trunks si avvicinò a lei e, prima che la ragazzina potesse sottrarsi, le posò una mano sulla fronte. Mirai tremò a quel tocco fresco.
«È bollente» affermò Trunks, voltandosi verso sua madre. «Mamma» proseguì, preoccupato, «credo proprio che abbia l’influenza».
Bulma osservò apprensiva la ragazzina e portò il termometro. Risultò che Mirai aveva circa trentotto di febbre. Trunks prese la mano di Mirai. La ragazzina non si sottrasse, ma lui non lo prese come un buon segno: sembrava infatti solo troppo esausta e sconfortata per continuare ad imporre la propria solitudine.
La portò in camera e la convinse a sdraiarsi.
La ragazzina prese a scrutare il soffitto con un’espressione scoraggiata dipinta in viso. Finalmente si addormentò, ma fu un sonno breve e angoscioso.
Quando si destò Trunks le diede una pillola che lei inghiottì senza problemi.
Il giovane aveva appena fatto in tempo a constatare sollevato che la febbre pareva in via di abbassarsi che lei fece una smorfia e corse in bagno.

Trunks non si fece attendere, ed un attimo dopo era accanto a me, a reggermi la fronte mentre vomitavo. In quel momento desiderai come non mai di strappare le sue mani sollecite dalla mia fronte, ma non potei far altro che continuare a squassarmi sotto nuovi conati.
Nella mia mente, lui elencava (con un certo divertimento che mi raggelò) le possibili sofferenze alle quali avrebbe potuto sottoporre Trunks. Le possibili torture che io avrei potuto fare al ragazzo. Presi a tremare con violenza, ed i tremiti non se ne andarono nemmeno quando il mio stomaco si tranquillizzò.
Ed i tremiti si trasformarono in violente torsioni, mentre crollavo sul pavimento cercando di resistere alla sua pressione. Da qualche parte sopra di me, sentii la voce di Trunks chiamarmi, ed aveva una scintilla disperata. «Mirai!»
Si chinò su di me e cercò di circondarmi con le braccia, ma io mi dimenai più forte, gli occhi pieni di lacrime. «Mirai, piccola, basta. Sono qui. Ci sono io, non preoccuparti».
Il contatto fisico mi quietò, e misi a fuoco il volto di Trunks, avvilita.
Sì, lui era accanto a me. C’era sempre, e mi preoccupava.
Erano tutti preoccupati per me. Bulma mi chiese se volevo lavare alcuni panni, e nei suoi occhi azzurri era evidente una scintilla che faceva capire la sua intenzione. Voleva solo che mi distraessi un poco.
Annuii e accolsi tra le mani la bacinella che mi porgeva.
Mi voltai verso Trunks. Lui si aspettava che il mio sguardo gli rivolgesse la muta richiesta di starmi accanto. E io lo volevo accanto, ma mi allontanai senza voltarmi indietro.
Uscii in terrazza e iniziai a inzuppare quei piccoli panni. Osservai ammutolita, per qualche attimo, i raggi di sole giocare sulla superficie dell’acqua.
Guardai il cielo e mi sembrò assolutamente identico agli occhi di Trunks.
Tornai a guardare a terra, stordita. Avevo la febbre... Mi domandai cosa stesse facendo il mio corpo, se stesse cercando di cacciarlo come un virus. Ma lui non era un virus.
Mi sentivo come se avessi avuto qualcosa dentro il petto, qualcosa che graffiava, graffiava, e faceva un male insopportabile.
Guardai la bacinella colma d’acqua. “È facile” pensai, fissando come ipnotizzata la superficie del liquido, increspata dal vento lieve.
Sarebbe stato semplicissimo.
Con gesti automatici mi slegai la banda blu che mi ricopriva la fronte. Non volevo che si bagnasse; la poggiai su una piastrella abbastanza distante.
Badando appena al cuore che mi martellava furiosamente tra le costole, pompando con forza il sangue nelle mie vene, urlandomi quant’era vivo tutto il mio corpo, mi avvicinai al recipiente.
Fissai ancora l’acqua riflettere i timidi raggi del sole.
Alzai le spalle. Non avevo di che perdere. Avrei solo guadagnato. Avrei chiuso con la sofferenza. Sarebbe stato semplicissimo.
Cosa avrei perso, se non il suo fiato, i miei brividi, la mia solitudine?
Inghiottii una boccata d’aria e tuffai con forza il viso nell’acqua.
Pian piano scollai una palpebra, poi l’altra. Non vedevo molto. Ma che ci sarebbe stato da vedere? Tutti i sensi iniziarono a farmisi attutiti, mentre le tempie cominciavano a pulsare.
I polmoni reclamavano aria, ma li ignorai.
Non avrei perduto nulla. Se non due occhi color del cielo e del male. “Ti metto al sicuro, Trunks” pensai, ed era un pensiero leggero, quasi come un profumo svanito nel vento.
Sarebbe stato semplicissimo, ripeteva la mia mente, in un’assordante cantilena.
Sarebbe stato solo acqua.



Maryana: Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto e che ti abbiano colpito così tanto gli stati d’animo di Mirai... Non posso che essere felice della tua felicità (sempre che sia ancora intatta dopo questo capitolo).

Cri92: Ciao^^ In effetti la situazione non è decisamente delle migliori, anzi! Si può dire che sia delle peggiori. Non solo quel mostro fa soffrire Mirai, ma minaccia anche di far soffrire Trunks... Sì, è proprio lui...

Son Kla: Come al solito le tue recensioni sono belle dettagliate! Il distacco è quello che volevo far avvertire maggiormente, la distanza che torna ad esserci tra Trunks e Mirai, quindi sono felicissima che tu lo abbia percepito così. Davvero hai qualche sospetto sul mostro? Ecco, adesso sono io quella curiosa... Hai individuato perfettamente ciò che Trunks sta donando a Mirai. Grazie mille

Carol2112: Un po’ è stata complicata quella parte del sogno, ma soprattutto il decidere bene cosa poteva farle di orrendo quel mostro... Una volta scelto, descrivere non è nemmeno stato molto difficoltoso. Anche io sono una “fanatica” dell’introspezione. Un bacio

FullmoonDarkangel: Ti sei ripresa dal raffreddore, ormai? Spero decisamente di sì. Dato che sarebbe l’obbiettivo dello scrittore far sì che il lettore si immedesimi, direi che sono contenta di esserci riuscita! Ciao

Giusiemo291: Grazie mille. Ecco l’aggiornamento e ti ringrazio (ti ringraziamo) molto per l’aiuto che hai dato per far continuare questa storia... Un bacio

Bene, dalla Francia, con il supporto del portatile, vi saluto. Au revoir

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Capitolo 14
*** Promessa silenziosa ***


CAPITOLO 14 – PROMESSA SILENZIOSA

Teneva gli occhi aperti, senza sapere perché.
Dopotutto, non aveva più bisogno di motivi. Non esistevano più i pensieri. Non contavano più niente.
La vista già sfocata le si stava annebbiando sempre più, mentre gli occhi bruciavano.
Sentiva l’opprimente desiderio di respirare, ma non si mosse nemmeno quando i polmoni si fecero arsi, rendendo insopportabile ogni secondo.
Iniziava ad avere freddo al viso.
Di colpo, senza che nessun suono la avvertisse (perché quale rumore poteva raggiungere le sue orecchie, ora?), si sentì afferrare per le spalle, con violenza, e trarre fuori dall’acqua.
Prima che potesse vietarlo al proprio corpo, inalò d’istinto un’enorme boccata d’aria. Sbatté le ciglia bagnate, disorientata, poi si ritrovò a guardare in faccia Trunks. Notò che il ragazzo sembrava a dir poco sconvolto.
«Mirai!» esclamò.
La ragazzina pensò che se solo lui le avesse lasciato andare le braccia avrebbe alzato le mani per tapparsi le orecchie, tanto era intensa e incrinata la sua voce mentre aveva esalato il suo nome.
Per un momento Trunks parve annaspare alla ricerca di parole, come messo a tacere dall’orrore, poi però si riprese subito. «Che stavi facendo?!» urlò, e il suo tono cambiò radicalmente.
Adesso sembrava veramente infuriato.
La scosse, facendole sbattere i denti.
«Sei impazzita, per caso?!»
Mirai non fece alcun gesto, scrutandolo tra lo stupito e l’affascinato, con gocce d’acqua che le scivolavano dai capelli lungo il collo, per andare a bagnare la maglietta.
Di scatto, come se si fosse scottato, Trunks la lasciò andare. La ragazzina tossì un paio di volte, portandosi accigliata le mani alla gola bruciante. Per un momento azzardò un’occhiata verso il giovane che le stava davanti, poi si voltò, assumendo un’espressione vaga e sfuggente. Come se non fosse successo nulla.
O forse, pensò il ragazzo, stravolto dall’orrore, pareva delusa. E ciò era anche peggio. Molto peggio.
La seguì con lo sguardo, sconvolto e con un lieve senso di nausea. Non riusciva a muoversi. Quando si riebbe mosse la mano e, deciso, con un gesto solo, capovolse la bacinella, rovesciandola. Gran parte dell’acqua che essa aveva contenuto gli inzuppò i pantaloni e i piedi, ma lui non vi badò.
Seguì il rigagnolo con sguardo vuoto.
“Stava...” pensò, debolmente, raccogliendo tutte le forze per formulare un pensiero coerente. “Se non fossi arrivato...” Non riusciva a terminare il pensiero, era troppo stravolto.
Mirai aveva... “Stava quasi per suicidarsi...” Fissò a fatica la ragazzina.
Lei aveva i capelli fradici e gli occhi lievemente arrossati, e un tremito la scuoteva. A parte quello, però, sembrava tranquilla.
“Mi sono illuso” pensò allora, frustrato. “Mi sono illuso di averle dato qualcosa. Ma non è così, a quanto pare”.
Sentì un nodo allo stomaco, una sconvolgente sensazione di vuoto e una percezione del proprio terrore che probabilmente era sbiadita solo dalla sorda incredulità che provava. Non riusciva ancora ad accettare quel che aveva visto, la sua mente sembrava ostinarsi a trovare un’altra risposta. Già, ma quale?
“Che faccio?” si chiese, con la gola secca e una fitta di panico.
Per un momento sentì ancora la rabbia, una rabbia minacciosa e impotente. Quasi l’avesse percepita, Mirai alzò gli occhi ad incrociare i suoi.
E per una volta, Trunks si ritrovò a guardare in iridi che non erano solo grigio e azzurro senza nulla dentro. Vi lesse uno sguardo disperato, impaurito. Batteva i denti più forte, ora, e sembrava sperduta come non mai.
Contro la propria volontà, perché forse avrebbe dovuto conservarne un po’, per far capire a Mirai che quello che aveva fatto era assolutamente sbagliato, senza via di scampo, Trunks sentì la rabbia svanire. L’inquietudine e l’angoscia non la seguirono.
Senza riflettere, improvvisamente si sentiva stanco, troppo stanco persino per pensare, Trunks attirò a sé Mirai e la abbracciò. Mirai si oppose stremata, inizialmente, ma poi si lasciò stringere. Lui premette la testa bagnata della ragazzina contro il proprio petto. Lo rincuorava, in qualche modo, forse perché gli faceva sentire che era viva. Era stato inetto nella propria incapacità di prevenire il gesto di Mirai, ma almeno era arrivato in tempo. Ringraziò tutte le divinità delle quali aveva sentito parlare, in libri e da profughi laceri, perché non era successo nulla di irreparabile.
Lei era lì, vicino a lui, tremante e spaventata, ma viva.
“Sono arrivato in tempo” pensò. E improvvisamente quella fu la cosa che valse più di tutte.
Avvertiva come non mai i piccoli movimenti della bambina, che pareva impacciata da quell’abbraccio.
«Mirai» sussurrò, non appena trovò il coraggio necessario per farlo. «Non farlo mai più, okay?» domandò, con voce tremante. Odiò quanto suonavano patetiche quelle parole. Le sollevò il mento per guardarla negli occhi. «Me lo prometti?» chiese, rendendosi conto che quell’ultima frase sembrava una ridicola supplica.
Temette, per un istante (forse il più lungo della sua vita), che lei avrebbe distolto lo sguardo, o che avrebbe fatto uno sconsolato cenno di diniego.
La ragazzina lo guardò in modo strano, serio. Il labbro inferiore le tremava. Fece cenno di sì.
E lui, per qualche motivo, le credette.
Sospirò, mentre una sfumatura di quello che forse era sollievo lo invadeva. Le permise di posare nuovamente la testa sul proprio petto.
La sua mente continuava a lavorare, disperata. Gli balenò in mente l’idea di insegnarle qualcosa, in modo da darle un motivo in più per mantenere fede a quella muta promessa.
Infondo gli allenamenti, il concentrarsi sulla propria aura, erano stati uno degli elementi che l’avevano aiutato a resistere, a sopravvivere, alla morte di Gohan.
Non che vedesse Mirai sotto i panni di una guerriera. La ragazzina era così esile, e poi lui non avrebbe mai accettato di spingerla a confrontarsi con i cyborg... Però gli esercizi riguardanti la forza spirituale avrebbero potuto interessarle.
Almeno, osava sperarlo.





Ciao a tutti.
Mi rendo conto che il periodo di assenza è andato oltre i limiti del ragionevole. Purtroppo ho avuto alcuni problemi in famiglia (ora tutto è risolto) che mi hanno un po’ bloccata. Un giusto ringraziamento va a Pepesale che mi ha tirato fuori dalla buca e ha saputo schiaffeggiarmi (anche se in senso figurato) quando mi autocompativo... E che ha lavorato davvero sodo alla revisione di questo capitolo.
E un grazie anche a tutte le vostre recensione, perché rileggendole mi è tornata la voglia di mettermi a scrivere.
Giusiemo291: Grazie mille per tutti gli apprezzamenti. In questo momento non sono con Pepesale, ma sono più che certa che anche lei è più che grata. Hai saputo proprio cogliere l’essenza della storia e mi hai dato una grandissima gioia, anche proponendo questa storia come racconto da inserire tra le Storie Scelte. A questo punto mi sento io in dovere di dirti grazie tante e tante volte... Spero di riuscire a riprendere un ritmo d’aggiornamento un po’ migliore. Grazie!
Carol2112: Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto e, soprattutto, che sia stato in grado di comunicarti molte emozioni (dopotutto è questo che si tenta di fare scrivendo, no?^^). In quanto a Mirai... Si vedrà con il tempo.
Cri92: Tu hai fatto me una ragazza felice! Purtroppo sono rimasta indietro nel leggere la tua storia e ti sto ancora facendo aspettare le recensioni (spero di riuscire a fartene arrivare qualcuna, presto o tardi, magari ti avviso con un sms quando ci riuscirò). In questo capitolo ho messo grossomodo le sensazioni di Trunks – anche se saranno più approfondite più avanti – ma poi vedrai arrivare anche i pensieri di Mirai. Ciao, un bacione^^
FullmoonDarkangel: Qualcuno *coughcough* ha manie di grandezza. Non penso che si possano ancora trovare petali di rose rosse nel futuro alternativo di Trunks, ma non si sa mai xD Va bene. Io, la tua cugi, e la nostra creatività ti salutiamo^^ Ciao

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