Amare un camorrista

di altaira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bambino che è in lui ***
Capitolo 2: *** Dopo l'Honduras ***
Capitolo 3: *** Il male fa male ***
Capitolo 4: *** Tutto per colpa di un infame ***
Capitolo 5: *** Se io non avessi te ***



Capitolo 1
*** Il bambino che è in lui ***


Io sono Marica, la figlia dell’assistente personale della Leonessa, donna Imma Savastano. Ho frequentato casa Savastano da quando ero una bambina, e mia madre mi portava con se nella reggia del boss, perché non aveva nessuno con cui lasciarmi, allora l’unico bambino nei paraggi era Genny, l’unico erede Savastano, che non aveva compagnia per la maggior parte del tempo.
Nessuno lo sa, ma io sono la sua migliore amica, ed unica confidente. Da quando eravamo piccoli fino a che lui è andato in Honduras, nessuno poteva saperlo altrimenti lo avrebbero chiamato “ricchione” o “femminiello”, cosa che non poteva assolutamente permettersi in quanto futuro capoclan, e avere un’amica “femmena” gli avrebbe macchiato per sempre il curriculum. Dopo l’Honduras  e l’assassinio di Russo nessuno poteva saperlo perché avrei rischiato la vita, mi avrebbero torturato, estorto informazioni ed ucciso come un moscerino sul parabrezza.
 
Sono stata la prima a sapere che Genny aveva incontrato Noemi.
-Marì, è a guagliona cchiù bell r’ò munn!-mi disse-Appriess à chest me faccio male!-
Era ancora un bambino, rincorreva il sogno di poter rimanere dietro le quinte dell’organizzazione del padre. Ma poi don Pietro entrò in carcere, e quella sera Genny era in ospedale, per quel maledetto incidente in moto. Mia madre era lì con donna Imma, ed io ne approfittai per correre da lui, con la scusa di portare
qualcosa da mangiare e qualche vestito pulito a donna Imma e a mia madre.
Feci tutto il viaggio in auto in lacrime per lui, e dovetti rifarmi il trucco prima di salire in ospedale.
-Marì, ij putev murì, chella sera!-
- Genny, ci stai pensando ancora, a quel maledetto incidente? Bast, mo è fa l’omm! Stai a sentì a donna Imma che altrimenti combini qualche guaio serio, ed io come faccio senza il mio migliore amico?- gli dissi abbracciandolo, lui mi sorrise dolcemente e ricambiò il mio abbraccio.
E così dopo le lunghe chiacchierate in auto lontano dagli occhi indiscreti della gente del clan, riuscii a convincerlo ad andare con donna Imma a Milano, perché lui era tutto preso da quella sgualdrina di Noemi.
Al suo ritorno portò a lei un paio di orecchini ed a me un braccialetto d’oro bianco con un unico pendente a forma di cuore, su cui era incisa una G.
-Genny, ma comm? Alla tua fidanzata porti un paio di orecchini e a me che sono solo una tua amica porti un cuore?- gli chiesi dopo aver aperto lo scatolino.
-Si, perché lei potrebbe andare via in qualsiasi momento, tu no…stai sempre rint’ ò core mio!-mi rispose. Lo sgridai per aver speso soldi per me, e gli diedi una pacca dietro la testa, ma lui si girò, mi bloccò i polsi e mi strinse in un abbraccio fortissimo che mi fermò il fiato. Sentii il suo profumo per la prima volta, o meglio, era la prima volta che ci facevo caso, in quel momento lo stavo sentendo e mi mandava in ebollizione. Lo guardai e lui cominciò a dirmi:- Tu sei l’unica donna di cui io mi fido, se dovessero dirmi che mi hai tradito non ci crederei mai, perché tu sei buona, si pulit! E con tutta la spazzatura che c’è nella mia famiglia non c’entri niente.-
Mi salirono le lacrime agli occhi perché lui era sincero, ed io so che aveva un animo gentile, provava compassione per le vittime che mieteva suo padre, ed odiava l’idea di uccidere qualcuno, ma da un lato amava i soldi e la vita comoda, e dall’altro sapeva che non poteva uscirne, era l’unico erede del boss, e se non si difendeva con gli affari o con la pistola, sarebbe morto, ed avrebbe fatto affondare il grande impero dei Savastano.
 
Io  in quel periodo mi stavo laureando in sociologia, la mia tesi era sulle tradizioni napoletane, una specie di analisi etnografica della cultura napoletana. Il professore mi aveva promesso la lode se avessi scritto una tesi sulla criminalità organizzata a Napoli.
-Signorina, se riesce ad indagare sui traffici della famiglia Savastano e sui Conte, giuro che le pubblico la tesi.- mi disse. Ma io non avevo intenzione di tradire la fiducia del mio migliore amico e quella di donna Imma, che praticamente mi aveva pagato gli studi.
 Pochi giorni prima che discutessi la mia tesi, Genny volle vedermi, e ci accordammo per vederci nel garage di casa sua, appena sarei andata a prendere mia madre. Solitamente aspettavo un quarto d’ora  prima che mia madre comparisse sul portone, e così mi facevo sempre aprire da Genny, che aveva una specie di dependance affianco all’edificio centrale della villa, e restavamo a parlare insieme vicino all’auto o in casa sua, quando faceva più freddo. Quel giorno mi prese per mano e mi trascinò con se nell’armeria della villa, l’unico posto di casa Savastano in cui non ci fossero telecamere.
-Marica, ti ho fatto un regalo, ma devi promettermi che lo metterai, non come hai fatto col bracciale, che non lo metti mai…-Genny mi passò uno scatolo con un grosso fiocco rosso.
-Genny, se mettessi al polso un bracciale con un cuore su cui è incisa una G, dopo cosa dovrei dire alla mia famiglia?- gli chiesi, mi guardavo intorno, sarebbe bastata un’unica foto a quella camera per madare in galera tre generazioni della famiglia Savastano. Entrai in tensione, c’erano mitra, pistole, coltelli e bombe ovunque.
-Dici che te l’ha regalato un tuo ammiratore, Gaetano. Ma mo apri sto pacco, me stai facendo venì l’ansia.- mi disse cercando di sdrammatizzare, e spingendo il pacco verso di me. Sfilai piano un lembo del nastro rosso, e sciolsi il fiocco con poca difficoltà. Sollevai il coperchio e guardai dentro. Era un paio di Louboutin rosso fuoco di vernice.
- Queste le devi mettere alla tua laurea, così potrai sentirmi vicino, anche se non mi vedrai. Sono il tuo migliore amico e devo esserci per forza!-mi spiegò mentre ne sfilava una, mi faceva sedere sul tavolo e mi toglieva una scarpa per infilare un mio piede in quella meraviglia rossa.
- A tua mamma dici che le hai comprate tu, in un negozio a via Roma, erano in offerta. Così questo è un altro segreto tra me e te. Tu si à mia! E guai a chi ti tocca!- mi disse
-Genny, tutti questi regali! Non dovresti spendere tutti questi soldi per me! Regali così non dovresti farli solo alla tua ragazza?-gli chiesi e lui rise.
-Chi? Chella vrenzola? Non sa neanche chi è Louboutin. Ci vuole eleganza per certe cose, e solo tu ne hai. Eppoi Noemi non esiste più per me. L’ho lasciata.- in quel momento il mio cuore perse un battito.
-Genny, che è successo?-
- Marica, nun te preoccupà, poi te lo racconto con calma.- aprì la porta dell’armeria e mi fece uscire, ma lui non venne con me.
 
Quando arrivai a casa, corsi ad aprire di nuovo quello scatolo per misurare di nuovo quelle scarpe, le presi le guardai, me le girai tra le mani. Solo in quel momento mi accorsi che all’interno della tomaia, su un lato c’erano stampate una piccola G. ed una piccola S. stampate in oro. Genny Savastano sapeva come fare per farti sentire la tua presenza.
Il giorno dovevo discutere la tesi. Cominciai a sentire l’ansia solo nel momento in cui varcai la soglia dell’aula magna della mia facoltà, tremavo, sudavo, strofinavo le piante dei piedi all’interno delle scarpe per sentirmi più sicura, e sentire Genny più vicino ma quando arrivò il mio turno, discussi la mia tesi con una lucidità incredibile, che non sapevo neanche io da dove mi venisse.
Quando il presidente della commissione mi congedò, io ne approfittai per uscire dall’aula e prendere un po’ d’aria. In quel momento vidi un bambino venirmi incontro correndo dalla fine del corridoio.
-Signurì, sei la signorina Marica?- mi chiese e quando gli feci di si con la testa, mi porse una rosa rossa e mi indicò una finestra dalla quale mi affacciai.
Fuori c’era Genny sulla sua moto che si sbracciava per salutarmi e mi mandava baci con la mano. Io con la testa gli feci un unico cenno per ringraziarlo della rosa. Sollevandola vidi che c’era un biglietto.
“Domani, alle nove di sera, alla fontana alla fine di via Caracciolo. Sei bellissima, dottoressa mia.” Firmato G.S.
Sventolai il biglietto, e gli feci OK col pollice in su. Lui mi strizzò un occhiolino, mi mandò un altro bacio con la mano e sfrecciò via, sulla sua moto nera.
 
Avevo parcheggiato l’auto proprio vicino alla fontana ed ero seduta sulla ringhiera che affaccia sugli scogli di Mergellina, mi rigiravo nervosamente tra le dita il cuore appeso al braccialetto. All’improvviso davanti a me si fermò un omone a cavallo di una moto, con un casco integrale, ed io riconobbi Genny solo dalla forma dei suoi occhi. Io mi avvicinai, e lui passò un casco anche a me, lo misi in testa e salii in moto, lui accelerò e sfrecciammo lungo via Caracciolo, attraversammo tutta Napoli e risalimmo verso la collina di Capodimonte.
-Marica, ti ho visto! Sei stata grande!-sentii la sua voce da un auricolare all’interno del casco.
-E come hai fatto? Tu eri fuori ed io dentro!-
-Tesò, ò criatur…aveva una telecamera nascosta.- mi disse.
-Genny, ma come! Non mi devi mettere le spie addosso!-mi arrabbiai con lui e gli diedi una pacca su una spalla.
-E ja! Non mi potevo perdere uno dei momenti più belli della tua vita.- scossi la testa, ma sorrisi, e ringraziai che lui non mi vedesse. Ad un certo punto lui fermò la moto in un vialetto, mi prese per mano e ancora col casco in testa mi trascinò nel parco di Capodimonte. Lui passò 200 euro al vigilante che stava di guardia, che ci fece entrare senza altri problemi. Continuammo a correre insieme, mano nella mano, fino alla piazza del belvedere del parco, in cui si fermò, si sfilò il casco, mi tirò a se e mi strinse forte.
Stavolta oltre al suo stupendo profumo, sentii il battito del suo cuore, e del mio, che andavano a ritmo.
- Marica, domani parto…vado in Honduras. Ti ho voluto vedere perché sei l’unica donna che sa tutti i miei segreti, e perché prima che parto, visto che non so se torno, voglio lasciarti un altro ricordo di me…-
Io sento già le lacrime rigarmi le guance, mentre lui si china sulle mie labbra e mi bacia. Fu un bacio intenso, tenero e passionale.
-Ti giuro che a Noemi non l’ho mai baciato così…- mi disse stringendomi le mani – Non devi piangere, non piangere…- mi asciugò le lacrime accarezzandomi la guancia.
- Gennaro, tu stai per partire, non sai se tornerai, e anche se tornerai non sarai più lo sesso. Come faccio a non piangere?-gli risposi.
-Marica, io mi sono reso conto di amarti da quando giocammo insieme la prima volta, da piccoli. E questo sono sicuro che non cambierà. Tu sei la donna della mia vita, e saperti qua mentre io sono là, aumenta questa cazzo di paura che già ho. Nessuno sa niente, solo io e mia mamma. Neanche Ciro sa dove vado.-
-Genny, tu hai già sparato e sai che non è cosa tua. Tu non sei un soldato come Ciro, hai un animo gentile, sei buono.- lo strinsi forte e piansi sul suo petto.
-Hai ragione, Marica, ora che vai a casa prepara le valige, ce ne andiamo, io e te. Andiamo via, dovunque tu voglia, lontano da tutta questa munnezza!- io lo guardai in faccia, mi stava sorridendo ed aveva gli occhi pieni di speranza. – Jammuncenne, Marica, andiamo via! In Australia, in Cile, a Cuba. Dove vuoi tu.- io lo abbracciai e lui mi baciò.
- E la mia famiglia? Genny, lo sai che cosa succederebbe… eppoi ci cercherebbero ovunque! Non avremmo pace, e io non voglio vivere così. Gennà, tu sei il figlio di un boss, e io non sono nessuno. A chi farebbero fuori prima, alla mia o alla tua famiglia? Vai in Honduras, io sto qui, ti aspetto, se tu muori, muoio anche io… Gennà, vivi per me, combatti per me, poi quando le acque si calmeranno io e te ce ne andremo via, ma allora gli altri lo sapranno che io sono tua, e tu sei mio.-
-Marica, io ti amo!- mi disse.
-Genny, anche io ti amo, da sempre, per sempre…è per questo che ti aspetto qua…tu sei il padrone del mio cuore.- lui mi abbracciò e mi strinse forte, io piansi sul suo petto. Facemmo l’amore come non l’avevamo fatto mai. Lui mi stringeva, mi accarezzava, voleva sentire ogni centimetro della mia pelle sotto la sua, ed io lo lasciavo entrare dentro di me, e mi sentivo completa, avevo trovato l’ultimo pezzo del puzzle, quello che cercavo da una vita.

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Capitolo 2
*** Dopo l'Honduras ***


 
- Marica, a mamma, vedi che stasera non so se torno a casa, devo fare compagnia a donna Imma, perché Genny non si trova?- era mia madre al telefono.
- Mamma, chi Genny?- le chiesi.
-Genny Savastano, il figlio di donna Imma, quello stava fuori per lavoro, e mò chissà, qualcosa deve essere andato storto. Non risponde al cellulare, non riescono a contattarlo. E oggi hanno trovato in Honduras anche un cadavere tagliato a pezzetti, che non si sa di chi è, e donna Imma sta come una pazza.-
-Vabè, mamma vedi che quel cadavere non sarà di Genny, povera donna Imma, prima le hanno tolto don Pietro, poi Genny, vabbuò , jà… mo vado a cucinare a papà, stai senza pensieri.-
Chiusi la telefonata e corsi in bagno. Piansi tutte le lacrime che avevo, ad un certo punto singhiozzavo, ma non avevo più lacrime. In quel periodo imparai a fare la donna d’onore. Sopportai stoicamente i dolore per aver perso l’unico uomo che avessi mai amato. Il non poter manifestare il lutto mi fece dimagrire.
-Marica, a mamma, ti sei fatta secca secca, che dici la vogliamo finire con questa dieta?-mia madre mi prendeva in giro, ma lo sapeva molto bene che c’era dell’altro. Un giorno non riuscivo a pensare ad altro che alle mie parole “se tu muori, muoio anche io”, queste parole mi stavano perforando il cervello. Decisi di farla finita, presi l’auto e raggiunsi il primo ponte autostradale. L’asse mediano è quasi un lungo ponte che collega Scampia a Capodichino, così io andai su quella lunga strada e mi fermai alla prima piazzola di sosta. Slacciai la cintura, spensi la radio ed aprii la portiera. Quella sera non passava nessuno. Scesi dall’auto e mi avvicinai alla ringhiera. Guardai giù. Sotto il ponte non c’era nulla, non mi avrebbero mai trovato, , non avrebbero mai visto la G del mio braccialetto, né quella all’interno delle mie scarpe. Nessuno avrebbe mai saputo che Marica era morta per Genny Savastano.
In quel momento odiai donna Imma, era per causa sua se Genny non c’era più, lo aveva mandato lei in Honduras, per la sua smania di potere. È vero che Ciro non ispirava fiducia, ma se avesse imparato con lui, almeno restava a Napoli. Lo avrei visto ancora, avremo fatto ancora l’amore.
Guardavo lontano, le luci della città nella notte e desiderai solo di non sentire più dolore. Scavalcai la ringhiera e mi sembrò di sentire un’auto che frenava bruscamente, mi mantenevo alla ringhiera con le mani e, quando lasciai la prima mano, sentii una portiera sbattere.
Raccolsi il coraggio per lasciare la ringhiera anche con l’altra mano, ma non feci in tempo, sentii due braccia afferrarmi da dietro e trascinarmi via.
-Marica! Ma che stai facenn?- era la voce di Genny. Quando si desidera tanto qualcosa, sembra quasi che possa materializzarsi. Avevo gli occhi chiusi e tanta paura che se li avessi aperti non avrei più sentito la sua voce.
- Marica, apri gli occhi, sto qua! Amore mio, sto qua!- aprii gli occhi e lo vidi, era lui, era davvero lui. Era bello come il sole, abbronzato, diverso. Aveva tagliato i capelli e vestiva un giubbino di pelle che non gli avevo mai visto.
- Ammore mio! Che volevi fare? Ti volevi uccidere? E perché?-  mi accarezzò il viso con il pollice e mi baciò.
- Genny! Amore mio! Sei davvero tu? Credevo fossi morto… e se tu muori, muoio anche io. Ricordi?- lui mi fece di si con la testa, io mi metto seduta sull’asfalto, sfinita dalle mille emozioni. Lui si siede affianco a me e mi stringe forte.
- Marica, ti devo raccontare una cosa…prima di partire ho messo un GPS sul tuo bracciale, perché se ti succedeva qualcosa, mentre io ero là e non potevo fare niente, non me lo sarei mai perdonato. E ho fatto bene, perché se stasera non ti avessi cercato appena sbarcato in Italia… ora non ti starei abbracciando. E non ti avrei più con me. Ma mò non ce n’è più bisogno, dammelo, che ti ho portato un nuovo regalo.- io lo guardo allibita mentre mi sfila il bracciale con il cuore, apre uno scatolino quadrato e si inginocchia.
- Marica, avrei dovuto chiedertelo tanto tempo fa, quando sei entrata nella mia vita…usciamo allo scoperto amore mio, che ormai ci amiamo come due pazzi… Marica, sposami!-
Io ho gli occhi sbarrati e pieni di lacrime, lo guardo meravigliata e non so che dirgli, così lui continua a parlare.
- In Honduras tutto quello che facevo era per te, perché sapevo che solo se fossi tornato ti avrei rivisto. Ho ucciso e picchiato, pensando che se l’avessi fatto, sarei sopravvissuto, e sarei arrivato qui in ginocchio davanti a te, e avrei trovato un porto sicuro, in cui tutto ciò che di male ho fatto sarebbe stato pulito dal tuo amore. Sono diventato un soldato, come nessuno si aspettava che succedesse, perché tu mi hai chiesto di combattere, per te. E oggi sono qui, finalmente e non voglio nient’altro se non di vivere la vita con te.-
Finì il suo monologo, poi mi guardò, io singhiozzavo e tremavo all’idea degli abomini che aveva dovuto compiere per tornare in Italia, ma sorridevo per la dichiarazione d’amore che mi aveva appena fatto. Mi stava guardando esasperato, aspettando ansioso una risposta. Un Savastano non è abituato ad aspettare.
- Piccerè, allora? Ti prego, sposami!- mi disse.
- Ho passato il mese più brutto della mia vita! Non sapevo dov’eri, che cosa facevi. Sapevo solo che c’era un cadavere a fettine che non si sapeva a chi fosse appartenuto. Ho pregato, ho pianto e ho digiunato, tutto di nascosto, perché nessuno doveva sapere niente… Sai che ti dico?- lo vidi abbassare la testa, lo avevo rattristato.
- Genny Savastà? Guardame nfaccia!- gli intimai e lui alzò la testa e mi guardò, sollevò il mento con aria di sfida, ma aveva tanta tristezza negli occhi.
- Genny Savastà, tu vuoi davvero che io sia tua moglie?- e lui mi fece di si col capo- e allora dammi il bracciale, che senza di lui, e senza il tuo sguardo su di me non mi sento protetta.-
Lui saltò in piedi, mi prese in braccio e mi baciò intensamente, con tutta la forza che aveva in corpo.
Salimmo in auto e lui mi portò a cena, poi in un hotel, per fare l’amore con tutto il desiderio che potevamo, dopo essere stati lontani per più di un mese, e dopo tutta la disperazione sopportata.
-Amore mio, sei diventata uno scheletro!- mi disse- Non hai proprio mangiato, mentre io stavo là?-
- Genny, io mangiavo, ma mi muovevo continuamente, pur di dimenticare che quel cadavere poteva essere il tuo. Non è facile avere un dolore così grande e non poter manifestare niente.- gli spiegai.
- Amore mio, da oggi in poi non ti devi preoccupare, dammi solo il tempo che sistemo un paio di cose in sospeso la Leonessa, e ti faccio vedere io. Il nostro impero si allargherà, saremo talmente potenti che Conte si troverà spalle al muro. E tutti si inginocchieranno di fronte all’erede di Savastano, di cui nessuno si fidava.-
- Eh! Ma chi è sceso da quell’aereo? Mussolini? Genny non ti fare troppi nemici, col potere si muore soli e avidi. E statt accort a Ciro…che non mi fido di lui.- gli dissi.
 Era bellissimo stare di nuovo l’uno nelle braccia dell’altro, completamente nudi e sudati per l’amplesso appena concluso. Lui era cambiato davvero, ma non sapevo ancora dire se in meglio o in peggio. Mi guardava, mi accarezzava e seguiva la linea della mia silhouette con la punta delle dita.
- Dammi il tempo di mettere mia mamma al posto suo, e ti prometto che ti sposo.  Ma ci pensi? Gennaro e Marica, vi dichiaro marito e moglie! Tu sei l’unica donna che ha diritto a parlare, ai miei occhi, sei l’unica che può comandare Genny Savastano. Sei la signora del mio cuore.- mi disse.
- Eh…- sospirai mentre mi rigiravo l’anello tra le dita e guardavo l’enorme diamante che vi era incastonato. Sapevo che i problemi di cui parlava Genny non si risolvevano in due giorni, e mi preparai psicologica
mente all’attesa.

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Capitolo 3
*** Il male fa male ***


Infatti i problemi divennero sempre più gravi, prima le elezioni a Giugliano, e in quell’occasione Genny diede il meglio di se con una sciacquetta, la figlia di un politico. Le litigate tra me e Genny in quel periodo furono colossali. Lui gridava ed io restavo ferma a guardarlo finché non si fermava, e lo aggredivo anche io, con una freddezza che lo lasciava basito ogni volta.
- Chella zoccola, non è nessuno!- mi gridava.
- si, ma tu mi avevi giurato che io ero unica!- gli rispondevo io a denti stretti.
- E lo sei! Lo sei! Quella stronza mi serve solo per raggiungere il mio obbiettivo!- ribatteva lui, tirandomi a se.
-Genny, usciamo allo scoperto, voglio far sapere a tutti che sei mio, e basta!-
- Marica, rischi la vita, lo sai…sistemiamo prima le piazze, organizziamo il mercato, eppoi quando sarò abbastanza forte da far zittire un po’ di gente, giuro che ti sposo immediatamente. Giuro che da oggi in poi sei l’unica donna che toccherò. E tu saprai dove sono.- mi sfilò il bracciale col cuore GPS e lo mise al suo polso. – Tu sei troppo preziosa, la tua vita è la mia vita. Se muori tu, muoio anche io…- mi abbracciò forte, ci baciammo e come al solito facemmo l’amore. Ormai era il nostro modo di riparare alle litigate, il nostro modo di chiederci scussa. E funzionava anche bene. Quando finivamo restavamo nudi a letto, abbracciati finchè non albeggiava, ne lui andava via.
Poi all’improvviso ci fu l’omicidio di Russo, e da quel momento in poi la nostra vita fu distrutta.
Ogni volta che Genny non rispondeva al cellulare, controllavo il GPS al computer, e per la maggior parte del tempo era a casa sua, o in sala giochi, o in giro per Scampia. Finché il pallino rosso lampeggiava e si muoveva sullo schermo, io stavo tranquilla.
-Non è possibile che non si trova niente, da nessuna parte! Non si trovano tracce, non si trova l’arma! E stasera hanno trovato un altro corpo, è una ragazza, le hanno trovato solo un anello al dito. E sono corso da te, perché pensavo che qualcuno ci avesse scoperti. Chi sta facendo tutto questo mi vuole distrutto, e non sono capace di trovarlo!- mi disse una sera dopo aver fatto l’amore e mentre mi stringeva.
-Genny, non è che hai tirato troppo la corda con qualcuno del clan?-
-Nennè! Io sono Genny Savastano! E il clan lo comando io! Sono loro che stanno tirando la corda con me!- mi gridò contro.
-Gennaro Savastano, stai parlando con la tua ragazza, non con uno di quei “pescetielli di cannuccia” del tuo clan! Non ti permetto di alzare la voce così con me!- gli risposi quasi sibilando e mi voltai dandogli le spalle.
-Marica, hai ragione, scusami, ma questa situazione mi sta facendo esaurire! Io devo guidare il clan, devo comandare, sennò perdiamo tutto, amore mio!- mi rispose.
Lo guardai in silenzio, io volevo solo stare con lui alla luce del sole, volevo solo che lui passasse la vita con me. Volevo solo lui, ma sapevo che per avere lui o mi prendevo anche il clan o sarei dovuta andare via.
Mi voltai, mi salirono le lacrime agli occhi, lui cominciò a guardarmi seriamente.
-Marica, se non si trova chi ha ucciso a Russo e Conte ci fa la guerra, io e te scappiamo via, prendiamo tutti i soldi che possiamo e ce ne andiamo via. Stavolta non fermarmi, tieni sempre una valigia pronta con le cose più importanti che hai, tienila sempre pronta. E da oggi, un GPS anche a te.- mi disse porgendomi un nuovo scatolino blu. Stavolta era un punto luce, un diamante grosso come un cecio, incastonato in una collana d’oro bianco.
- Genny, ma non c’è qualcosa di più semplice in cui infilare questi cazzo di GPS?- gli chiesi sorridendo.
- Certo che ci sono, amore mio, ma non stanno bene sulla tua pelle delicata…- mi rispose facendomi l’occhiolino.
- Io vorrei capire come fai ad essere un boss spietato per strada, e un amante buono e gentile in camera da letto… Genny, se io e te ce ne andiamo, io con chi sto? Col boss, o con l’amante?- gli chiesi.
- Se io mi butto questa gente alle spalle, ti giuro che avrai sempre l’amante. Io con te mi dimentico chi sono, la mia famiglia, l’Honduras, gli omicidi. Mi ricordo solo che sono innamorato di te. Marica, io ti amo, e voglio stare solo con te. Ma per essere felici, dobbiamo solo andare via.-

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Capitolo 4
*** Tutto per colpa di un infame ***


Dopo l’omicidio di Russo, un ragazzo del clan era disperso, e Genny cominciò a sospettare che la colpa fosse sua, ma chi lo aveva comandato, non si sapeva ancora. Si poteva trattare dei vecchi del clan, che volevano unirsi a Salvatore Conte, oppure di Ciro Di Marzio, che si era visto le uova rotte nel paniere, quando Genny era arrivato, ed aveva voluto comandare da solo. Genny, dal canto suo, stava disperatamente cercando l’infame, e se non otteneva al più presto la sua testa su un piatto d’argento, per offrirla a Conte, si sarebbe scatenata una guerra senza esclusione di colpi… e lui sarebbe potuto morire.
Una sera ero incollata al computer per seguire il pallino del GPS di Genny andare avanti e indietro su un’unica via di Scampia. Stava succedendo qualcosa.
- Genny, ma cosa è successo?- gli chiesi al telefono pochi istanti dopo.
- Amò, tu dove sei?-
-A casa…- gli risposi.
- Aspettami, e non ti muovere da là. Mo vengo io da te.- mi disse e chiuse la telefonata.
Dopo poco tempo era fuori al portone del mio palazzo, era in moto, aveva il casco integrale, me ne passò uno anche a me, insieme ad un giubbotto antiproiettile.
- Mettilo sotto la giacca, Marica, che questa sera non so che cosa può succedere.-
Andammo lontano, verso Salerno, Genny voleva far perdere le sue tracce.
- Voglio passare una giornata solo con te. Domani saremo soli, ho fatto chiudere un intero hotel solo per me e te, tranquilli. Ci saranno solo i camerieri, ma saranno tutti stranieri e dopodomani lavoreranno in un altro hotel.- mi spiegò.
Il posto era bellissimo: una villa in collina a picco sul mare, aveva una serie di terrazze che scendevano verso la riva, ognuna arredata con uno stile diverso. La nostra suite era un vero e proprio appartamento di lusso, con tanto di spa e palestra.
- Genny, che cosa è successo? Me lo vuoi spiegare?- gli chiesi.
- Hanno trovato il corpo di Danielino, in mezzo a certe campagne, in periferia. Sono sicuro che è stato la mano di Conte a spararlo, ma che gli posso dire, Danielino aveva davvero ucciso Russo.-
Mi spiegò che il problema peggiore era l’attenzione dei media, tre morti in meno di una settimana, era un record grave, che avrebbe attirato giornalisti e polizia.
- Marica, dopo il funerale di Danielino ce ne andiamo via.- mi disse.
Ma quasi subito dopo il funerale di Danielino, uccisero donna Imma, e mia madre era dispersa.
Il mondo per me si era fermato, mia madre era scomparsa, ma io sapevo che l’avevano uccisa. La cosa peggiore era non avere neanche un cadavere da piangere.
- Marica, amore mio! Ho saputo chi è l’infame! Ora tu mi devi giurare che parti. Ti lascio una borsa con 500.000 euro dentro, tu versali a poco alla volta sul tuo conto, poi prenota un biglietto, e vola via, io ti seguirò col GPS.-  mi disse con una voce funerea.
- No, io voglio restare con te.- gli risposi, ma lui era fermo sulla sua decisione.
- La situazione è pericolosissima, amore mio. Non posso rischiare la tua vita così. Ciro è pronto a tutto per colpirmi, e se scoprisse di noi, tu sei morta.- mi disse abbracciandomi.
- E tu dove andrai?- gli chiesi.
- Nelle vele, coi ragazzi. Dobbiamo trovare Ciro e farlo fuori, poi ci occuperemo di Conte.- gli strinsi le mani con tutta la forza che avevo per non fargli sentire che stavo tremando. Quella sera restammo a letto, vestiti, abbracciati stretti, come se ci volessimo riempire le braccia l’uno dell’altro, prima di dividerci e rivederci dopo tanto tempo.
Lui mi fece promettere di andare via più di una volta. Ma io non lo stetti a sentire. Ruppi il ciondolo col GPS, avevo altro in mente.
Contattai un vecchio del clan, uno dei pochi che era sfuggito all’ira di Genny, presi appuntamento con lui. Dovevo portare avanti la mia idea, era l’unico modo per far ragionare Genny,  mettere pace con Conte e trattare quell’infame di Ciro per quello che era.
- Ma che bella piccerella! Da dove sei uscita tu?- mi disse il sicario.
- Io sono Marica, la figlia della cameriera di donna Imma, e la fidanzata di Genny Savastano.- gli risposi.
- Genny è ricchione, piccerè! A chi vuoi sfottere?- mi prese in giro, ma io alzai la mano e gli mostrai l’anello. Era lo stesso anello di fidanzamento che don Pietro aveva regalato a donna Imma prima di sposarsi, e lo sapeva ogni componente del clan.
- Genny non è ricchione. Ha promesso a me che non avrebbe toccato più nessuna donna.- gli dissi.
- Embè? E mo da me che vuoi?- mi chiese.
- Voglio a don Pietro fuori da carcere!- gli dissi.

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Capitolo 5
*** Se io non avessi te ***


Trovammo un modo per comunicare con don Pietro Savastano in carcere. Gli facemmo sapere tramite il suo avvocato, che se avesse fatto finta di aver perso la testa, lo avrebbero spostato, lo avrebbero messo in un altro carcere.
Allo stesso tempo Genny venne da me, incazzato come una belva.
- Arò sta o GPS? Eh? Che fine hai fatto fare al ciondolo che ti ho regalato?- mi prese per la collottola. Genny non doveva sapere di quello che stavo organizzando coi vecchi del boss. Sollevai il mento per sfidarlo a picchiarmi.
- Si è rotto, Genny. Si era impigliato in una maglietta e l’ho dovuto rompere.- lo guardai fisso, senza battere ciglio.
- Stronza, mi hai preso in giro per tutto il tempo. Tu volevi solo i miei soldi, ed io mi sono fatto prendere per il culo da una troietta qualsiasi come te.- io abbassai il viso. Aveva capito che volevo lasciarlo, e andava bene così, ma mi stavano salendo le lacrime agli occhi, e non potevo cedere. Mi voltai e gli dissi:- Hai ragione, ti ho preso in giro. Ma ora non ce la faccio più a continuare questa recita. Non ora che mia madre è dispersa, per colpa della tua famiglia.- non avevo neanche il coraggio di guardarlo, avevo gli occhi fissi in un punto lontano, fuori dalla finestra della mia cucina.
- Non voglio neanche guardarti in faccia. Esci dalla mia vita.- mi disse prima di uscire da casa mia e andare via. Solo quando sentii sbattere la porta mi lasciai andare in un lungo pianto. Solo se mi avesse lasciato, e non avesse saputo niente, il mio piano sarebbe funzionato.
Dal vecchio del clan venni a sapere che don Pietro stava ascoltando i nostri consigli, e che per il giorno dopo il funerale di donna Imma lo avrebbero spostato. Noi avremmo aspettato il blindato sotto un ponte della tangenziale, in una zona isolata. Avremmo ucciso i secondini e avremmo portato don Pietro in salvo.
Così fu, eravamo disposti sotto un ponte in cinque auto diverse parcheggiate, solo una si sarebbe avvicinata al blindato. In poco tempo uccisero le guardie e gli autisti, aprirono le porte blindate e salutarono don
Pietro. Lo fecero salire nella mia auto.
- Piccerè! E che te si fidata è fa! Che hai combinato! Ma chi sei tu? Da dove vieni? Nemmeno i miei uomini più fidati sono arrivati a pensare un piano del genere! Brav, piccerè!- mi disse accarezzandomi una guancia.
- Don Pietro, dobbiamo salvare Genny.- gli risposi. E sentii squillare un cellulare in auto.
-Uh! Marò! Mo venimm!- disse l’autista mentre accendeva l’auto.
- Che è successo, Bocciò?- gli chiese don Pietro.
- Oggi Genny aveva preparato un agguato a Ciro, ma Conte ha ucciso tutti i suoi ragazzi, e ora Genny sta andando da solo a uccidere Ciro, in un teatrino della Sanità.- spiegò l’autista
-Curre là! Mo! Immediatamente!- gridai io, ma l’uomo esitava ancora. Aspettava il via di don Pietro.
- Curre, Bocciò! Sta a sentire a questa guagliuncella! E manda le altre macchine nel covo che avevate preparato. Andiamo solo noi.- disse il boss e l’autista finalmente mise l’auto in moto e in un attimo eravamo nel rione Sanità. Aspettammo fuori al teatrino che Genny arrivasse. Aveva portato un bambino con se. Era serio, arrabbiato. L’unica emozione che gli si leggeva in volto era il desiderio di vendetta, nei confronti di quell’uomo che gli aveva rovinato la vita.
- Scendo solo io dall’auto! A me nessuno mi conosce, per me non è pericoloso quanto per voi…-dissi al boss, che mi fece di si con la testa e disse:- Sta guagliuncella sa il fatto suo! Ma ancora non ho capito chi sei.-
- Ve lo spiegano i vostri amici, ora non è cosa.- dissi aprendo la portiera dell’auto e mi diressi a passo svelto verso quella specie di teatro.
Entrai nella sala, le luci erano spente e i bambini stavano cantando una canzone natalizia sul palco. Genny era dall’altro lato della sala, e io mi nascosi dietro l’ultima fila di poltrone.
La moglie di Ciro aveva visto Genny e stava correndo a prendere la bambina sul palco, lui era lontano, in fondo alla sala. Mi alzai Ciro puntava la pistola contro Genny e Genny contro Ciro. La gente correva, sentii sparare, cominciarono a gridare, mi spingevano di qua e di la, ed io sentii solo la voce di Ciro chiamare la moglie e correre via. Pian piano la sala cominciò a svuotarsi, ero rimasta sola, e c’erano un paio di corpi a terra. Uno era di Genny.
- Amore mio!- gridai nel vuoto- Amore mio, svegliati!- corsi da lui, lo presi per la collottola, lo strattonai, ma lui non rispondeva. –Genny!!!- gridavo, mentre gli strappavo il giubbino e vedevo che sotto portava un giubbotto antiproiettile, ma aveva un proiettile nell’anca destra. Lui allora aprì piano gli occhi.
- Sei tu?-mi disse – Che ci fai qua?-
-Sono venuta a portarti via, muoviti, era tutto un piano per risolvere la situazione.- mi guardò diffidente ancora disteso a terra.
- Ti servono altri soldi, stronza?- mi chiese, e per la prima volta mi puntò la pistola alla fronte. Il mio cuore si fermò. Non avevo più idea di come reagire.
- Vuoi sapere che fine hanno fatto i tuoi soldi? Ho comprato una villa in Cile, ho pronti tre biglietti, e se ti alzi da terra e vieni con me, ce ne andiamo via, ci sposiamo e finalmente viviamo la vita tranquilla che abbiamo sempre voluto.- gli spiegai stringendogli forte la mano che non stringeva la pistola, per poco non scoppiai a piangere.
- Hai detto tre biglietti?- mi chiese.
- Si, grazie ai vecchi del clan ho fatto uscire tuo padre di carcere, ora è qua fuori, e ci sta aspettando.- mi guardò come se non mi avesse mai conosciuto.
- Tu sei una bugiarda!- mi gridò tirando il grilletto della pistola, io strinsi forte gli occhi.
-Genny, non fare stronzate.- era la voce di don Pietro.
-Papà!- sentii, e piano piano riaprii gli occhi mentre Genny abbassava la pistola e rimbombava il rumore dei passi di don Pietro in tutta la sala. Genny mi guardò, e stavolta mi sorrise.
-Hai davvero fatto tutto questo?- mi chiese.
- Si, e se ti fai scappare questa guagliuncella, ti giuro che ti uccido con le mie mani!- gli disse don Pietro. Io avevo abbassato la testa e guardavo il pavimento, sentii un dito che mi sollevava il mento e guardai Genny in viso. Ora le lacrime stavano scendendo copiose, ma lui mi sorrise.
- Perché mi hai fatto pensare che eri una stronza?- mi chiese, ma non ebbi il tempo di rispondere, perché don Pietro rispose per me.
- E jamme, Gennarì? A vuò fernì e fa e vuommeche? Ce ne vogliamo andare? Dopo parlate, jà… mo non è cosa, sta arrivando la polizia.- disse e mi aiutò a sollevare Genny. Tutti e tre insieme uscimmo nel parcheggio e ci infilammo nell’auto. Boccione ci stava aspettando e non appena entrammo mise in moto e sfrecciò via.

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