La tomba del sognatore

di Wemil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo scrittore ***
Capitolo 2: *** Il beta-tester ***
Capitolo 3: *** Il politico ***
Capitolo 4: *** Il tabaccaio ***
Capitolo 5: *** Il medico ***
Capitolo 6: *** Il marinaio ***



Capitolo 1
*** Lo scrittore ***


1. Lo scrittore

Flavio prese come al suo solito una bustarella di carta dal cassetto della sua scrivania, iniziò a scriverci qualcosa ma subito lo buttò via, deluso per la minimale, ma ennesima, perdita di tempo che era seguito a quel movimento.
Già... il blocco dello scrittore; glielo aveva detto anche il suo insegnante universitario: "E' inevitabile; dopo i primi dieci o venti capitoli la pausa, il fermarsi e il dilaniarsi per cercare di procurarsi nuovi termini, nuove parole e nuovi discorsi per accattivarsi la simpatia del lettore erano fattori inevitabili." ed ora Flavio non ce la faceva, in nessun modo, a proseguire con quel suo dannato racconto.
Niente: la sua testa era un candido manto di neve ove al di sotto, forse, erano nascosti i germi di qualche idea ma che fino al disgelo celebrale erano praticamente irrecuperabili.
Il ragazzo si alzò dalla scrivania e si diresse in cucina a prendersi un bicchiere di latte; accese la luce al neon, che come al solito ci mise i suoi trenta secondi buoni a stabilizzarsi, e quindi si diresse verso l'unico frigorifero dell'appartamento.
Il rumore di uno sbadiglio fece girare lo scrittore: dietro di lui un assonnato Sasu lo guardava con occhi poco svegli.
"Flavio, che ci fai sveglio a quest'ora della notte?" chiese il ragazzo che si era appena alzato dal letto e che ora guardava l'altro indossando solo un paio di boxer, questo a causa del terribile caldo di quell'estate.
L'altro mentre aspettava che la domanda si compisse, si riempì il bicchiere di latte ed iniziò a berlo avidamente.
"Allora?" lo incalzò Sasu.
Dopo aver mollato le labbra dal bordo del bicchiere e averlo appoggiato sul tavolo, Flavio girò il polso e guardò la posizione delle lancette del suo orologio da polso: "Le due e un quarto? LE DUE UN QUARTO?!? Maledizione... domani devo alzarmi anche presto che ho un incontro con l'editore per la presentazione dei nuovi capitoli."
"Cioè mercoledì?"
"No, martedì... ah, ho capito... è perchè è già passata la mezzanotte." Flavio odiava Sasu quando faceva questi stupidi giochetti sull'ora comunque, in quel momento, aveva zero voglia di discutere anche perchè per qualche strano motivo il latte gli aveva incentivato il sonno: "Penso che andrò a letto".
"Penso che sia una buona idea Flavio. Stavi facendo un casino della malora coi tuoi lamenti da scrittore fallito." queste parole ferirono leggermente il poveretto, ma si fece coraggio: non era la prima volta che Sasu lo "incoraggiava" a suo modo.
Finì il bicchiere di latte e, quindi, imitò il suo compagno d'appartamento andando a dormire.
Domani sarebbe stata una grande giornata.

La giornata seguente arrivò, forse, troppo rapidamente e come tutte le cose veloci spesso non si sentono: così accadde al buon Flavio che malauguratamente non sentì la sveglia che suonava ripetutamente.
Quando si alzò la sveglia segnava le 11.30; l'appuntamento dall'editore era per le 10.00... lascio a voi immaginare, nella sequenza che desideriate, le urla, le bestemmie e le invettive sadiche che il ragazzo lanciò a se stesso, alla sveglia e a Sasu ch'era già uscito senza svegliarlo.
Flavio prese, come colazione, un pezzo di pane e se lo infilò in bocca correndo rapidamente verso l'uscita dell'appartamento.
"Idiota di un me stesso, stronzo di un Sasu, schifosa sveglia... maledizione. Se non presento il progetto in tempo tutto il mio lavoro sarà stato drammaticamente inutile."
Il ragazzo si fermò sulla strada alla ricerca della sua auto: speranza ovviamente vana... l'aveva presa ovviamente quel fottuto di un Sasu per andare al lavoro.
"Calmo... sta calmo Flavio... mettiti in ordine le idee. L'auto non ce l'hai e l'ufficio che dovevi raggiungere un'ora e mezza fa si trova dall'altro capo della città. A piedi è impossibile, gli autobus sono uno stillicidio... dovrò chiamare un taxi."
Dalla mano comparve quasi di scatto un vecchio Nokia; digitò rapidamente il numero del centro-tassisti aspettando che la centralinista rispondesse.
Il telefono tubò un po' di volte quando una voce femminile registrata rispose: "Siamo spiacenti, ma tutti gli operatori non sono attualmente disponibili. Se vuole comunque fare una prenotazione digiti 1, per urgenze digiti 2, per..."
Il dito indice cliccò rapidamente il tasto numero "2": se quella non era un'emergenza non poteva sapere cosa poteva essere.
Una musica leggera di sottofondo fece attendere il povero ragazzo: poi finalmente la dolce voce di una tenera ragazza lo accolse per dargli il doveroso e rispettabile aiuto che la società gli doveva.
"Senti brutto coglione, ora non abbiamo tempo per..."
Avevamo detto "dolce voce di una tenera ragazza"? Anche i migliori sbagliano... ciò che accolse Flavio fu il duro e aspro parlare di un vecchio cinquantenne che probabilmente aveva fatto lo scaricatore da porto prima di fare il centralinista.
Comunque tornando alla telefonata: "Senti brutto coglione, ora non abbiamo tempo per le tue stronzate. Sappiamo perfettamente che è una fottutissima emergenza. E' la trecentesima di oggi... lo sappiamo. Addio."
In quel momento il povero cuore del ragazzo fece una specie di "cric" interno: fu come una terribile rottura emozionale che lo pervase fin dell'animo.
Il fatto che l'altro interlocutore avesse riattaccato non fece che aumentare l'isteria che il poveretto stava accumulando da qualche mese.
Flavio urlò, urlò senza alcuna pietà contro quello schifoso mondo che gli si continuava a rivoltare addosso, contro il sadismo del suo cervello che non lo faceva trovare una buona idea per proseguire quello stramaledetto brano, contro ogni speranza che pian piano lo distruggeva interiormente.
Basta... non ne poteva più. Non ne poteva veramente più.
Flavio gridò... con tutto il fiato che aveva... gridò a squarciagola.
Poi pianse.

Nessuno.
Nessuno venne a calmare il povero ragazzo, a chiedere cosa gli fosse successo: perchè piangeva? Perché era lì con le mani sulla faccia?
Nessuno...
Non c'era nessuno...
E, finalmente, lo scrittore bloccato se ne accorse... non c'era il traffico del mattino, il venditore di panini all'angolo che olezzava la via con i suoi fetidi kebab era sparito, nessun passante era lì presente...
Nessuno...
Era completamente solo.
Cosa stava succedendo alla sua vita?
Poi improvvisamente un rumore metallico iniziò a farsi strada per le vie della città come se dovesse rispondere alla sua domanda.
Aguzzò le orecchie come se dovesse giungere una risposta: il rumore pareva aumentare.
Poi, finalmente, una persona corse nella sua direzione: era una donna cinquantenne ma il viso stravolto, come avesse visto il diavolo in persona, la faceva invecchiare terribilmente.
Benché questo non fosse il genere di cose che un poveretto come Flavio in quel momento volesse vedere, lo scrittore si concentrò su questo donnone che fuggiva sconvolta dall'orrore di un qualcosa che lui per ora completamente ignorava.
Sospirando e cercando di digerire il fatto di aver perso l'occasione della sua vita per entrare nel mondo della scrittura (e questa tensione era un ottimo digestivo per distrarre la rabbia) ritornò in casa con la speranza di avere più informazioni direttamente dalla televisione o da internet.
Agguantò il telecomando e cliccò senza problemi il pulsante numero 5: la televisione non diede segni di vita.
Riprovò... completamente morta.
Ricliccò quasi ossessivamente e quindi buttò per terra con rabbia il telecomando: questo grazie alla copertura Elasto3000 rimbalzò due, tre volte sul pavimento e, infine, si fermò sdraiato per terra.
Il fallito si portò le mani alla testa e guardò verso il soffitto: "Perché?" mormorò fra se e se.
Quindi riabbassò lo sguardo e guardò attraverso la sola finestra del salottino che dava alla strada che aveva appena lasciato.
Un carrarmato, in quel momento, passò per quella via davanti alla finestra dell'appartamento di Sasu e Flavio.

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Capitolo 2
*** Il beta-tester ***


2. Il beta-tester

Ci sono situazioni in cui l'essere umano decide di combattere fino all'ultimo respiro; esistono momenti in cui decidere di lottare fino allo strenuo delle forze è l'unica cosa da fare; sopravvengono istanti in cui l'estremo scontro è la sola alternativa al proprio destino: questo Steel lo sapeva perfettamente ma, ancora, applicava queste regole solamente contro il boss finale dei Final Fantasy che ormai quasi ogni anno uscivano regolarmene dalla Square-Enix.
Steel aveva iniziato quasi per gioco la carriera del beta-tester, ma dopo aver sperimentato più e più volte diversi videogiochi e aver fatto un corso di giapponese tenuta dalla bella Makiko aveva compreso che la collaborazione videoludica italo-nipponica doveva passare inevitabilmente, sempre e comunque, attraverso le sue mani.
In tal modo le migliori opere firmate dalla Capcom, Nintendo, Square-Enix e Namco dovevano passare, in anticipo, irrimediabilmente, in casa Steel e lì lui si "divertiva" a provare e, a volte, insultare pesantemente, i lavori beta degli sviluppatori che lavoravano dall'altra parte del mondo.
Già sento le critiche provenire sulla persona dello Steel cadere dal cielo: "E' un nerd! Uno psicopatico che non esce di casa! Un recluso da se stesso nella speranza che i videogiochi possano riempire il vuoto che la morte del suo criceto casalingo ha provocato nella sua vita!"... vi sbagliate; il nostro beta-tester non era niente di tutto ciò anzi, grazie proprio al suo lavoro, era riuscito ad accattivarsi l'amicizia di diversi ragazzi e ragazze che desideravano provare alcuni giochi in anteprima: non per nulla anche la ragazza con cui conviveva da qualche anno era anch'essa una beta-tester o come preferiva definirla Steel: "Una rara perla nel mondo maschile del videogioco di guerra".
Il beta-tester aveva incontrato la sua beta-tester proprio per caso al corso di giapponese e, fra un combattimento all'ultimo frag con le non ancora uscite ultime versioni di Unreal e di Quake, era arrivato il colpo di fulmine.
Non chiedetemi, però, di descrivermi le stanze e il bagno della casa dei due beta-tester: sappiate solamente che il vostro sgabuzzino che non visitate da trent'anni e ove inserite comunque oggetti tramite un buco è sicuramente più ordinato della loro abitazione.

In quella giornata Steel era andato a fare la spesa all'Eurospin che aveva a pochi isolati; era entrato nel negozio tranquillo e convinto che quello che avrebbe fatto oggi non avrebbe cambiato di una virgola quello che sicuramente avrebbe fatto domani.
Prima di entrare nel supermercato il solito barbone pro-apocalisse, che in quel periodo erano iniziati a spuntare come funghi, si avvicinò con uno sguardo terrorizzato e semi-complessato; abituato da questa visione Steel tirò dritto ma, al contrario delle altre volte, una lurida mano lo strinse alla spalla e girandosi i suoi occhi furono costretti ad incrociarsi con quelli del vecchiaccio.
"E' la fine del mondo!!!" gli urlò il predicatore in un misto di raucedine e saliva.
Senza scomporsi il beta-tester tolse la lurida mano dalla sua spalla e quindi gli rispose calmo: "Do!"... non c'era nulla da fare i postumi della sezione demenziale che visitava su internet da giovane erano difficili da levare; la battuta scema era sempre lì ai blocchi di partenza.
Come perplesso dalla risposta il lercio andò a cercare un'altra vittima da tormentare narrando il perchè, il percome e il percosa tutti sarebbero stati distrutti senza alcuna possibilità di scampo.
Il beta-tester riuscì, così, a fare la sua spesa abituale: sette pizze surgelate, tre litri di latte a lunga conservazione, quattro pacchetti di patatine fritte, un mega-saccone di M&M, tre bottiglie da un litro di coca-cola, sei lattine di red-bull, delle panatine, del gelato a tre gusti, una scatola di profilattici, delle chewin-gum allo xilitolo.
Rientrò a casa senza grossi problemi, piazzò tutta la spesa vicino alla grande torre delle scatole di pizza mangiate o semi-mangiate e si diresse verso il salottino ove risiedevano tutte le console di ultima generazione.
Lì, come si aspettava, trovò Lorinne, la sua ragazza, che era completamente immersa nel nuovo videogioco che qualche casa giapponese le aveva inviato all'inizio della settimana; le si avvicinò e per distrarla le diede un bacio sulla guancia: sapeva perfettamente che questo gesto, nel pieno di un combattimento, la faceva imbestalire e per questo si divertiva a porle spesso questo segno d'affetto.
Questa volta non reagì affatto, come incantata completamente dal realismo impressionante delle immagini che si svolgevano sullo schermo ad una velocità impressionante.
Steel si decise a guardare anche lui il videogioco: era il solito video eterno dei tipici sparatutto di serie B. Ormai i designer si divertivano, a scapito del gameplay, a riempire il blu-ray con filmati, filmati ed ancora filmati; quello che era proiettato, secondo il giudizio attento che solo un beta-tester può avere, non era un video d'alta qualità, si notavano spesso dei poligoni fuori posto e scene in cui, addirittura, alcuni corpi erano trapassati da altre strutture in maniera inutilmente esagerata.
La mancanza della musica in quel video era chiaramente dovuta al fatto che quella era un versione beta e che, quindi, sarebbe stata aggiunta in seguito.
"Un video pietoso, di bassa qualità e girato da cani. Quale casa ha fatto questo obbrobrio?" chiese convinto il ragazzo.
Senza rispondere Lorinne cambiò rapidamente canale: stessa scena di distruzione, l'unica differenza fu che il simbolo della televisione cambiò... ora capeggiava il logo della RAI.
"Ma... ma cosa?!? E' per caso un film di fantascienza trasmesso in contemporanea su due reti; beh... mi ricordo che anche a suo tempo sul mio forum lessi di qualcosa di simil..."
La ragazza cambiò ancora canale: stavolta toccò a LA7.
La stessa sequela d'immagini apocalittiche... Steel cadde sul divano traumatizzato.
"Ma cosa significa tutto ciò?" chiese perplesso il beta-tester.
"E' la fine del mondo..."
"do."

La bella giornalista Elisabetta Teri del telegiornale di LA7 comunicava rapidamente i fatti della giornata con un fare concitato e, nel contempo, come si conviene ad una giornalista della televisione, estremamente elegante.
"Stiamo trasmettendo delle scene che mai e poi mai avremmo mai voluto mostrare sulla nostra rete se non in un mero telefilm di serie B. Ma è così: dopo l'11 settembre questo del 6 agosto 2031 è il secondo attacco in territorio americano.
Non si sa ancora il numero di vittime né chi sia stato a far scoppiare gli ordigni nucleari nelle città di Washington, New York e, ci comunicano proprio in queste ore, Los Angeles.
Nessuno ha ancora rivendicato l'attento mentre l'Unione Europea per ora ha offerto forte solidarietà all'alleato americano che in un solo colpo ha perso tutto lo staff politico, presidente compreso, ch'era riunito proprio a Washington in quei giorni per deliberare sulle sanzioni verso il popolo russo per l'invasione dell'Ucraina di pochi giorni fa.
Quello che stiamo trasmettendo sono le immagini di coraggiosi cronisti che affrontano direttamente il rischio del contagio radioattivo per trasmettere a noi tutti, in diretta, le immagini di questa catastrofe umana."
Il fungo atomico era lo sfondo preferito dalle riprese di CNN e BBC: in primo piano spesso si vedevano i cartelli distrutti indicanti le città rase al suolo; i cadaveri delle costruzioni che nascondevano quelli umani; donne con bambini in braccio che, in scene viste solo in terre orientali, chiedevano disperatamente aiuto ai cronisti e all'esercito americano ch'era accorso rapidamente per offrire soccorso; gente ch'era morta uccisa dal vapore del fiume ove si erano gettati per cercare refrigerio dalle ustioni atomiche; individui che arrivava gridando semi-impazzita da un dolore che gli bruc... CLICK!!!

Steel spense il televisore inorridito e restò a guardare lo schermo spento per una decina di minuti senza dire nulla.
Poi guardò la sua beta-tester che sembrava tremare... con un filo di veloce lei gli disse: "Abbracciami, per favore."
Si abbracciarono.

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Capitolo 3
*** Il politico ***


3. Il politico

Prima arrivò il ministro dell'informazione Luigi Maccabeo di Alleanza Italiana, i microfoni delle varie televisioni non erano ancora giunti quindi le guardie del corpo non ebbero alcun problema a scortare il deputato fino a Montecitorio.
Stesso discorso valse per Teresa Mancini, deputata di Lega Padana, e per Giannino Signorini, della Sinistra Democratica.
Poi, verso le nove e mezza, come se un impulso nervoso fosse scattato all'improvviso, i camioncini delle più importanti emittenti reti televisive italiane fecero sbarcare bidonate di telegiornalisti e intervistatori.
Microfoni grotteschi, telecamere abnormi, miriadi di truccatrici, luci per rendere più serena l'orribile giornata e masse di curiosi arrivati per guardare le telecamere ricoprirono Piazza del Parlamento per aspettare l'arrivo dei vari politici che in quella giornata si sarebbero riuniti per un intervento d'emergenza sugli attacchi del 6 agosto in territorio americano.
Le auto nere dei politici non mancarono ad arrivare: Sandro Ivanetti, ministro dell'economia, Marco Imperio, deputato di Giustizia Italiana, Emanuela Castà, deputata di Sinistra Democratica, Pier Ferdinando Casini, deputato ottantenne di Alleanza Italiana, Massimo Franceschini, deputato di Sinistra Democratica, Jura Vesentini, deputato di Giustizia Italiana, Farnese Lassimi, ministra dell'istruzione, Silvio Imana, ministro dell'interno e così via...
Tutti i giornalisti, indipendente da chi avevano di fronte, ripetevano le stesse domande: "Cosa ne pensate dell'attacco atomico? L'Italia corre lo stesso pericolo? Quali provvedimenti prenderà il governo/l'opposizione verso la NATO e l'UE? Il popolo è corso in emergenza cosa pensate di fare per evitare disordini pubblichi?"
Ogni politico cercava di rispondere come gli si conveniva: se cercavano visibilità politica si fermavano a dialogare con calma coi giornalisti, se erano già abbastanza noti si facevano passo fra la folla al suono del monotono commento: "No comment", se, invece, erano pseudo-sconosciuti e non volevano mostrarsi alle telecamere indicavano rapidamente un altro politico più famoso di loro e quindi fuggivano all'interno della Camera dei deputati.
Nel giro di tre ore erano entrati tutti i deputati e al posto di essi sopraggiungeva la già annunciata manifestazione, creata d'urgenza, dal Popolo Radicale (rimasto fuori dal governo nelle elezioni del '29) per confermare il ripudio della guerra e la continua lotta per un mondo pacifico e privo di conflitti.
Dal nero degli abiti dei parlamentari e dalla composta sequela di risposte ai giornalisti la piazza passò quindi rapidamente in mano alle pacifiche bandiere color arcobaleno e al chiassoso urlo dei megafoni dei manifestanti.

Quel giorno entrambe le ali del parlamento erano al completo, o quasi: mancavano solamente Francesco Sandri, mandato in seduta d'emergenza come ambasciatore parlamentare italiano negli Stati Uniti, e Michele Giannino, deputato di Alleanza Italiana, in ospedale a causa di un incidente d'auto avvenuto pochi giorni prima del sei agosto.
Il presidente della camera, l'onorevole Carlo Malavia, deputato di Alleanza Nazionale, suonò il campanello invitando, così, i vari deputati a sedersi nel loro seggio e ad iniziare la seduta parlamentare: obbedienti come non mai, forse consci del pericolo che correvano le democrazie occidentali dopo un simile attentato, tutti ubbidirono senza discutere a tale tintinnante ordine.
Gli stenografi si prepararono immediatamente per prendere adito della discussione che presto avrebbe avuto luogo.
Carlo Malavia fece iniziare la seduta: "Invito l'onorevole Marco Emiti, ministro degli esteri, a fare delucidazioni su quanto è avvenuto negli Stati Uniti e di come si pone attualmente l'Italia nello scacchiere mondiale."
A tale invito, l'onorevole Emiti si alzò in piedi, fece un leggero colpo di tosse e, infine, prese possesso del microfono: "La situazione internazionale è grave e profondamente scossa dagli avvenimenti accaduti il sei agosto 2031: le città di Los Angeles, New York e Washington sono state adito di un attacco nucleare. Non si è ancora consci del numero di morti, ma si è certo che superi, nella somma delle tre città, il mezzo milione di vittime e che i feriti siano almeno il triplo. L'Organizzazione delle Nazioni Unite, per ovvi motivi, non ha potuto legiferare alcunché essendo, secondo alcuni fonti, proprio l'epicentro dello scoppio atomico nella città di New York. Si è comunque saputo che Russia, Cina, India e altri paesi allineati all'accordo Pechino-Mosca-Nuova Delhi avevano già da tempo fatto allontanare i propri ambasciatori da quelle città; benché tale atto fosse stato giustificato dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, dell'annessione della Nord Corea alla Cina e dall'invasione Indiana del Siam non si nega una certa apprensione conoscendo i regimi nazionalisti che si sono imposti in quegli stati dopo la crisi del '25. Hanno finora condannato l'aggressione l'Unione Europea, tutto il medio-oriente Palestina compresa, quasi tutti gli stati africani e l'interezza del sud America ad accezione della Colombia e del Venezuela. L'attuale presidente dell'Unione Europea, il polacco Bartek Lange, ha imposto ordine agli stati occidentali e si è impegnato a riformare l'ONU con sede a Lione e che i caschi blu saranno momentaneamente diretti dall'Unione Europa come organizzazione super-partes. Gli ambasciatori russi e cinesi hanno già fatto sapere che porranno il veto ad una simile iniziativa. L'attuale situazione di panico negli Stati Uniti e in Europa è altissima tanto che in tutte le democrazie, eccetto attualmente la nostra, quella spagnola e quella tedesca, hanno imposto un coprifuoco temporaneo e l'uso massiccio delle forze militari in ogni ambito civile. Per il movimento del nostro esercito e dell'eventuale allineamento con la NATO lascio la parola a Silvio Imana, ministro degli interni."
"Il ministro Silvio Imana richiede la parola, ne ha facoltà"
"Grazie presidente. Non risparmierò parole signori parlamentari: la situazione è critica. Ho già dato l'ordine all'esercito di porre sotto controllo i punti più delicati e a rischio delle nostre città ma il rischio rimane estremamente alto. Siamo stati in parte fortunati a notare la nuova corsa delle armi che era iniziata da qualche anno a sta parte e, nonostante il ritardo dovuto ai pacifisti di sinistra, siamo riusciti a stare al passo con l'aggiornamento bellico. Siamo quindi consci che un affiancamento al nostro alleato americano nel rispetto del trattato Atlantico sarà doveroso e d'obbligo. Ci ritroviamo in un'inattesa guerra atomica e mondiale sfogo o di cellule nascoste di Al Qaeda o, molto più probabilmente, dei nazionalismi orientali che sono cresciuti in questi ultimi vent'anni. A tal proposito è interessante far notare come, nell'anniversario dello sgancio della bomba di Hiroshima, non ci siano stati aerei orientali o missili balistici che abbiano sorvolato le città colpite dall'attacco atomico; è quindi probabile che i mezzi usati per innescare e posizionare gli ordigni siano ad alta tecnologia e poco individuabili. Siamo così ragionevolmente sicuri che lo scudo spaziale andatosi a concludere negli anni venti sia ormai una tecnologia completamente insufficiente a proteggere il mondo occidentale; si è altrettanto certi che uno scambio diplomatico, nel caso gli attentatori si palesassero, sia completamente fuori luogo visto che l'attento si può proprio definire una dichiarazione di guerra in piena regola agli Stati Uniti e alla NATO intera. Ciò che noi vorremmo proporre, in un disegno di legge da approvare con la massima urgenza è la reimmissione della leva obbligatoria sia per gli uomini che per le donne, la dichiarazione dello stato d'emergenza con relative disposizioni per la distribuzione del cibo e dei mezzi di sussistenza e lo spostamento rapido dell'intero parlamento in una sede più protetta da quella dove ci troviamo attualmente analogamente da come già fatto dallo stato francese, inglese e austriaco. Richiediamo, inoltre, una formale dichiarazione di guerra in linea con ciò che comunicherà l'Unione Europea in un consapevole accordo che rimanere impassibili creerebbe un pericoloso precedente."
"L'onorevole Jura Vesentini, deputato di Giustizia Italiana, richiede la parola. Ne ha la facoltà"
"Grazie signor presidente. Non mi trovo d'accordo con l'atteggiamento guerrafondaio e codardo che il ministro dell'interno richiede. Stiamo con facilità per dichiarare guerra a Russia, Cina e India, inutile nasconderlo al popolo italiano e nel contempo stiamo nascondendo la nostra faccia in bunker e consolati. Come possiamo dire ai nostri soldati: "Combattete per la patria" se ora ci nascondiamo come topi? Oltre a questo vi ricordo quanto già enunciato nella Costituzione Italiana che, però, probabilmente avete dimenticato: articolo undici: "La Repubblica italiana è contraria alla guerra e collabora con gli organismi internazionali per il mantenimento della pace e della giustizia fra le Nazioni". Ciò che, però, stiamo per compiere non è il mantenimento della pace o della giustizia, ma un probabile inizio di un nuovo conflitto mondiale: la terza guerra mondiale. Siamo veramente pronti a prendere in mano questo terribile e demoniaco onere col rischio di condannare il pianeta in una guerra autodistruttiva con la possibile incapacità di poter tornare indietro? Siamo veramente desiderosi di dare alle nostre generazioni future un mondo radioattivo senza alcuna possibilità di vita e speranza? I nostri padri hanno lottato nel periodo della guerra fredda per evitare la distruzione totale e per garantirci un mondo migliore. Non possiamo e non dobbiamo cadere nell'inganno delle potenze dittatoriali che hanno preso potere in quasi tutta l'Asia: dobbiamo, invece, trovare un accordo con loro, una via di fuga al genocidio atomico che si sta per proporre. Qua non si sta più parlando di politica, di destra o di sinistra, di difesa di ideali cristiani, capitalisti o nazionalisti: qua si sta discutendo per l'intero destino umano e per quello che sarà di noi e dell'intera generazione futura. Fermiamoci finché siamo in tempo: la vita lo impone, il buon senso lo impone, la stessa Costituzione lo impone, fermiamoci. Subito!"
Finito il discorso l'onorevole Vesentini si sedette, ci fu qualche minuto di silenzio e poi lo scoppiò di un gigantesco applauso dall'ala sinistra del Parlamento per l'invito alla Pace che il politico aveva appena enunciato.
Seguirono dibattiti dello stesso tipo per tutta la giornata: i partiti di destra e il partito "Musulmani per l'Italia" (entrato nelle ultime elezioni fra il disgusto della Lega Padana) si posizionarono nettamente per una dichiarazione di guerra in linea con ciò che avrebbe deciso la NATO e l'UE; il partito di "Giustizia Italiana" si pose completamente contro mentre "Sinistra Democratica" preferì astenersi e vedere prima che cosa avrebbero deciso le altre democrazie Europee.
Verso le 18.00 fu iniziata una votazione d'emergenza per mettere in atto i provvedimenti più gravi: la dichiarazione di guerra in relazione a cosa avrebbero deciso UE e NATO fu approvata con 450 voti a favore, 43 contrari e 133 astenuti.
Ora il tutto sarebbe passato al Senato ove, comunque, era certa la vittoria da parte dell'ala guerrafondaia.

In tutto il vecchio continente si svilupparono situazioni molto simili e, di fatto, tutta l'Unione Europea, ad eccezione degli stati baltici e della Finlandia che si mantennero neutrali in relazione a qualsiasi conflitto, decise di approvare un'eventuale entrata in guerra contro coloro che si sarebbero dichiarati mandanti dell'attacco.
Gli stati medio-orientali stretti dalle due morse contrapposte decisero di mantenersi neutrali, mentre Canada, Australia, Sud Africa, Egitto e Messico decisero di posizionarsi a fianco del potente alleato americano.
Il centro e il sud America e l'Africa intera complessivamente si dichiararono neutrali al possibile conflitto che sarebbe potuto scoppiare a momenti.
Cina, Russia e India e stati sotto la loro area d'influenza preferirono non pronunciarsi.
Con lo scoppio di un ordigno nucleare nella città di Madrid le lancette dell'orologio dell'Apocalisse, posizionato come monito nell'università di Chicago, segnarono la mezzanotte.

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Capitolo 4
*** Il tabaccaio ***


4. Il tabaccaio


Il filosofo non aveva avuto fortuna e il suo destino era stato inevitabilmente quello di cercare al più presto il denaro necessario per riuscire a mantenere la propria famiglia.
Lo spulciare continuamente fra le pagine delle offerte di lavoro e l'andirivieni continuo nei vari uffici di collocamento, però, gli diedero l'ok soltanto per un'unica allettante prospettiva lavorativa: il tabaccaio.
Certo, non era la più meravigliosa delle proposte ma, visto che Kant, Hegel e Feuerbach non avevano dato il giusto contributo di cibo e acqua, forse Malboro e ATAC si sarebbero offerti come nuovi maestri di vita per arricchirsi alla facciazza di Marx.
Fedaykin, con già un figlio a carico, accettò di lavorare in quel cubicolo posizionato in Via Orti di Trastevere con i soliti rischi che quell'impiego gli poteva portare.
Ciò che il buon Feda scoprì a suo discapito fu che tutta la bassa criminalità, tutti i giovincelli da quattro soldi e, persino, gli ubriachi del bar poco lontano, se volevano sperimentare, almeno una volta, l'ebrezza del vandalismo, del furto o della rapina venivano a fare un salto da lui tanto che, ormai, il portarsi l'incasso a casa, nonostante il parere contrario della Finanza, era divenuto un suo costante abituè.
Neanche da domandarlo ovviamente: il buon Feda odiava il suo compito di venditore di sigarette e quaderni ma grazie all'amore di sua moglie, alle critiche costanti della vecchia megera di turno e del poliziotto della volante numero 6, che gli raccontava della facciata più pericolosa della criminalità, riusciva a resistere alla tentazione di picchiare a sangue i bambini di quindici anni che venivano al suo negozio per fumare sigarette.
Con loro era la solita tiritera: "Siete maggiorenni?" "Siiiii" "Posso vedere la vostra carta d'identità?" e puff... per magia o scomparivano o appariva la carta d'identità rigorosamente falsa realizzata grazie alle tecnologie di Photoshop.
A quel punto la scelta era fra il far notare che mancava il contrassegno statale o il dargli le sigarette con la certezza che l'indomani tutti i giovinastri della città gli si sarebbero avventati contro, sotto lo sguardo poco lusinghiero della Finanza.

Quel giorno però, dopo l'esplosione atomica di Madrid, si respirava nella capitale un'aria diversa: non c'era il solito trantran di auto, metrò, biciclette, motorini, moto, ambulanze, taxi e pedoni; con la decisione del governo di spostarsi in altra sede (tutt'ora ignota) pareva che a tutta la cittadinanza romana fosse stato dato l'ordine di fuggire lontano sulle colline di Monterotondo o presso il lago di Bracciano.
La famiglia di Fedaykin, per esempio, aveva imitato il resto della popolazione della capitale riparandosi nella casa estiva presso Trevignano Romano mentre al capofamiglia era toccato l'oneroso compito di chiudere il tabacchino e prendere giù gli ultimi incassi della giornata, nonché andare a far compere nel supermercato più vicino per prendere abbastanza viveri nel caso ci fosse stata un'eventuale entrata in guerra.
Stava per tirare giù la serranda, per almeno una settimana, il suo posto di lavoro, quando una donna sui 35 anni gli si avvicinò: "Prima che chiuda posso comprare delle sigarette?"
Il filosofo guardò la sua nuova interlocutrice con lo sguardo che si dona a chi è abbastanza stoico da non spaventarsi da ciò ch'è avvenuto in luoghi distanti: "Ma certo, venga pure dentro".
Alzò leggermente la saracinesca, abbastanza da far entrare due persone senza piegare la schiena, e si mise dietro al bancone: "Cosa desidera?"
"Mi dia delle Philip Morris, per favore." rispose con sicurezza l'altra.
"Sono tre euro e venti centesimi. Desidera altro? Preferirei chiudere il locale quanto prima e raggiungere la mia famiglia. Sa... il pericolo atomico..."
La ragazza a sentire le parole "pericolo atomico" emise una strozzata risatina: "Ahahah... chi vuoi che voglia attaccare un paese come l'Italia? Ma sia serio."
"Lo dicevano anche gli spagnoli sa..."
La donna cominciò a ridere più forte: "Ma non faccia come il mio ex: un codardo senza spina dorsale fuggito fino in Umbria per paura delle RADIAZIONI; questa fobia è ridicola. Ciò ch'è importante ora è reagire e combattere non certo fuggire e nascondersi..."
"Si... ma... un tabaccaio come me cosa vuole che faccia? Io sono solo un uomo e..."
Una luce abbagliante si sviluppò con terribile ferocia azzannando senza pietà ogni più piccolo anfratto regnato dal buio: i due avventori ne vennero avvolti con infernale violenza.

Dal davanzale delle case vecchie persiane e alcuni vasi di geranio caddero rovinosamente a terra mentre Fedaykin, con gli occhi in fiamme, faticava a stare in piedi durante quella intensissima scossa di terremoto che sembrava essere seguita al lampo di luce.
Poi, quando fra urla lancinanti di dolore e paura, riuscì ad alzare lo sguardo e a cogliere il fungo rosso rigurgitante fiamme, fumo e radiazioni che si ergeva dalla zona di Villa Borghese, fu il turno dell'orrore.
Un esplosione nucleare non fa un suono simile a quello di uno sparo o di una mina appena toccata da un piede umano, no... è più simile ad un basso e lancinante urlo che s'infila nelle ossa, nelle cervella e nelle interiora; un angosciante grido di calore che ti scioglie il pensiero e il sentimento come se il demonio improvvisamente s'incarnasse in un clamore apocalittico.
Quando questa terribile musica d'agonia ha ormai preso tutto ciò ch'è parte del tuo spirito; allora, in quel momento, le falci dell'atomica prendono l'unica cosa che ormai rappresenta qualcosa di te: il corpo.
Come un'ondata in piena, così le fiamme e le radiazioni del fungo iniziarono a divorare con rapida ed efficientissima distruzione case, monumenti e abitanti e, in relazione all'anzianità delle costruzioni, esse o crollavano su se stesse o resistevano impregnandosi di radioattività e di un calore che non sarebbe mai più scomparso.
Il corpo di Fedaykin venne pervaso in contemporanea dalle forma più antica e più moderna di distruzione: le fiamme e le radiazioni... queste ultime gli entrarono nel corpo ad una velocità impressionante mentre le fiamme mangiavano lentamente ciò che restava esternamente del corpo.
E' difficile far comprendere il dolore che si può provare: ma pensate alle radiazioni come diversi aghi che vi pungono sotto l'unghia del piede mentre le fiamme come ad una sigaretta spenta, a forza, sul vostro braccio; immaginatelo su tutto il corpo e avrete chiaramente presente un quinto del dolore che provò il tabaccaio filosofo durante gli ultimi istanti della sua vita.

Ciò che videro gli occhi di Fedaykin furono il corpo rantolante di un cadavere e il suo braccio scheletrico che cadeva miseramente sull'asfalto.
Nel vedere così chiaramente la morte le uniche sue ultime parole furono: "L'orrore".

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Capitolo 5
*** Il medico ***


5. Il medico


I televisori di tutta Italia trasmettevano praticamente a rete unificate la stessa drammatica sequela d'immagini.
Grazie ad una telecamera che era collegata in diretta su internet si poteva vedere la meravigliosa Piazza San Pietro nel suo andirivieni di colonne, stucchi e fontane: al centro della piazza, nella sua gloria, si ergeva l'obelisco.
La bellezza artistica, in quelle videate, non era "rovinata" dalla solita confusionaria presenza di turisti o fedeli che ogni giorno si ammassavano nella speranza di poter ascoltare le parole del Papa; ma al contrario, in quella giornata, i pochi presenti erano i poliziotti che presidiavano l'ingresso della Chiesa, alcuni passanti curiosi che si gustavano la nuova "pax romana" al caos quotidiano e gli immancabili piccioni che erano divenuti i veri padroni della struttura romana.
Il fungo atomico che, di lì a poco, si erse da dietro la Chiesa fece mutare completamente l'assetto dell'opera del Bernini: fra il volo immediato di tutti i piccioni e lo sguardo terrorizzato delle guardie che si riparavano dentro alla Basilica, le fiamme di fuoco e le onde di radiazioni fecero collassare l'intero cupolone che si ergeva da oltre cinquecento anni.
L'intera struttura rovinò su se stessa portandosi con se statue di santi e papi, stucchi e mosaici, quadri e acquasantiere in una sequenza lenta ma inesorabile ove la fede sembrava venisse distrutta completamente dalla potenza della violenza umana.
Nel giro di qualche minuto ciò che rimaneva della piazza era un cumulo abnorme di marmo e macerie; solo l'obelisco, per non si sa quale miracolo, era riuscito a reggersi sulle sue fondamenta.
"L'unico gigante egiziano sulle rovine cristiane è riuscito a vincere tale disastro" affermò con disinvoltura il primario che guardava per l'ennesima volta la distruzione del più grande simbolo architettonico della Cristianità.
"E' veramente impressionante... mai mi sarei aspettata di vedere una cosa del genere in vita mia" rispose, profondamente agitata, l'infermiera che assisteva il suo collega: "Lei cosa ne pensa?"
Alessandro Melchiorre rispose con uno sguardo freddo alla domanda della ragazza: "Mi porti, per favore, la cartella della 343. Non c'è tempo ora per queste domande."

L'ospedale S. Sebastiano Martire‎ di Frascati era praticamente passato, nel giro di una settimana, da normale centro di cure comunali al più grande ospedale italiano: da tutta la regione laziale, e principalmente dal comune romano, c'era stata praticamente un'invasione di malati e storpi.
Chi si aggirava per l'ospedale non poteva far altro che domandarsi che cosa aveva fatto di male quella partoriente a ricevere sul ventre decine di pezzi di vetro o perchè l'innamorato di turno dovesse piangere così disperatamente nell'osservare le orribili cicatrici che la sua fidanzata si portava appresso su tutto il corpo.
La mancanza cronica di letti, poi, non aiutava i malati che continuavano ad arrivare e osservare un uomo d'affari che moriva, da solo, sanguinante vicino al già cadavere di un suo amico era solo un emblematico esempio delle condizioni in cui si trovavano i corridoi.
Freneticamente i becchini entravano armati di guanti e tuta igienica e dai corridoi prendevano, senza troppi complimenti, sia chi era già passato a miglior vita sia chi ormai era dato per spacciato: non raramente nel mucchio di cadaveri si sentiva la gracile voce di donne e uomini che cercavano di salvarsi dalla massa di carne morta in cui erano appena stati immersi.
Ma non si poteva fare nient'altro che ciò: il numero di appestati da radiazioni continuava ad aumentare di ora in ora, di minuto in minuto in un terribile genocidio di sangue e carne.
Lo stesso ospedale era divenuto una specie di antro infernale ove i poliziotti volontari facevano il loro compito di diavoli cercando di allontanare le persone che in quel momento erano inutili o che non dovevano essere salvati.
Padri che quindi cercavano la loro figlioletta ammalata improvvisamente di un tumore al fegato o amiche che cercavano la, ormai cieca, compagna delle superiori venivano allontanate dai tutori dell'ordine col monotono fare di chi sa che bisogna mantenere l'ordine a tutti i costi.
Nel mare così di grida, urla, singhiozzi, pianti, bestemmie, risate liberatorie, lamenti e sputi, il circolo infernale del pronto soccorso era continuamente percorso dalla seria e composta rigidezza dell'apparato medico che era giunto da tutta Italia per porre rimedio alla terribile tragedia romana.
La massa di camici bianchi avanzava, così, istericamente per le varie zone dell'ospedale propinando cure mediche, operazioni chirurgiche e medicinali raccolti freneticamente da tutta Italia col deciso motto: "Non guardare, fa vivere."

Melchiorre era uno di questi medici giunti da fuori regione: proveniva dalla Toscana ed era arrivato, con molti altri medici del nord, con un aereo predisposto proprio per questa tipologia di emergenze.
Mentre era in volo aveva ascoltato emozionato quello che stava accadendo dagli altri medici sospettando di sapere che cosa avrebbe trovato al suo atterraggio: ciò che trovò fu molto peggio e per non perdersi d'animo, nonostante il suo ormai inossidabile sangue freddo da primario, dovette stringersi i denti con tutta la forza a sua disposizione.
Quella volta stava entrando con la cartella in mano nella camera numero C344, posizionata in un'ex-scuola modificata in un ospedale improvvisato dalla rapidissima forza di volontà dei volontari.
"Luisa Castelli, 21 anni, tumore al seno dovuto a radiazioni. Ci sono speranze?" chiese senza scomporsi il medico all'oncologa che curava la ragazza.
La dottoressa prese Alessandro in disparte e gli parlò in privato: "No, mi spiace. E' troppo esteso e difficilmente potrà salvarsi. Morirà probabilmente fra qualche giorno."
"Allora si occupi di far liberare al più presto il letto; non possiamo permetterci di tenere posti occupati. Veda se riesce a recuperare qualche organo per i trapianti." disse secco il primario.
"Dovremo trovare la madre..."
"Non so se mi sono spiegato. Voglio quel letto libero fra cinque minuti e..."
"Signor primario..." la voce della ragazzina, appena risvegliatosi dopo qualche ora di sonno, fece scuotere il medico: "...per favore, potrebbe consegnare questa lettera che ho scritto per il mio ragazzo? Si chiama Marco Luisiani."
"Non sono un postino." rispose scontroso il dottore anche se prese lo stesso in mano la lettera e se la mise nel taschino della sua divisa.
"Grazie." rispose con un sorriso prima di riaddormentarsi a causa dell'elevato numero di tranquillanti che le erano stati iniettati nel sangue.

"Caro Marco,
spero che tu possa leggere queste mie parole di giovane innamorata che ha visto apparire in cielo il sole dell'Apocalisse; ho avuto paura e ho ancora più paura sapendo che la morte mi toccherà fra poche ore con la sua triste falce.
Ti chiedo scusa di non esserti vicino in questo momento difficile ma spero, anzi voglio credere con tutte le mie forze che tu sia ancora lì, sulle colline romane, a guardare il tramonto che appare. Scusami se devo lasciarti per un destino che non ci siamo decisi, ma io ti volevo bene, non ti avrei mai voluto lasciare. Scusami.
Un bacio, ti amo.
La tua Luisa"
Melchiorre lesse tutta quella corta ma appassionata lettera ad alta voce, guardò il cadavere del ragazzo ch'era sotto di lui e, quindi, gliela posizionò in un taschino della camicia bruciacchiata che ancora indossava.
Avrebbe voluto piangere ma non ce n'era il tempo: prese la cartella del malato numero F43 e si avviò nei freddi corridoi dell'ospedale.

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Capitolo 6
*** Il marinaio ***


6. Il marinaio


Un'onda più alta del solito sferzò con forza lo scafo della navee facendo cadere qua e là alcune gocce di acqua sul ponte.
Stefano Marchesi si pulì rapidamente gli occhiali dalla salsedine marina e si diresse verso la cabina di pilotaggio facendosi strada fra i numerosi profughi che stava trasportando.
Era un lavoro sporco, ma qualcuno, se non un'organizzazione malavitosa come la Mafia, doveva pur farlo e il giro d'affari ch'era venuto fuori comprendeva già guardagni da oltre sei cifre.
Grazie alla guerra s'era, infatti, generato la cosiddetta "emigrazione occidentale"; ma maggior parte degli Europei e, nel nostro caso, degli Italiani erano terrorizzati dalla guerra atomica e stavano cercando di fuggire più lontano dai possibili teatri di conflitto.
Chi si trovava al nord Europa fuggiva prevalentemente o nei paesi finnici o in Svizzera o in Islanda; chi al contrario si trovava in città bagnate dal Mediterraneo cercava il primo battello in direzione Africa nella speranza che lì la guerra non giungesse.
Ciò che infatti Stefano Marchesi si ritrovava sul suo ex-peschereccio era un insieme estramemente vario d'invidui: si andava dal ricco avvocato in carriera, che aveva comprato la propria casa a Tunisi per le vacanze estive, alla grassa madre di famiglia che raggiungeva, con marito e figli, parenti dimenticati in Egitto.
Il capitano della nave d'altro canto aveva trasformato nel giro di mese il suo peschereccio in una piccola nave da crociera: la gente a bordo non erano individui disperati, sapevano che cosa volevano e, quindi, a prezzi abbastanza modesti, gli si garantiva loro una trasversata anche abbastanza piacevole (ovviamente tempeste marine eccettuate).
"Ehy Marchesi! Sei riuscito a far funzionare la radio?" urlò un grasso genovese che stava prendendo il sole a prora nell'attesa di sbarcare a Tripoli.
Il marinaio si stupiva ogni volta di come la gente non percepisse come pericolo una situazione a cui stavano fuggendo, facendo trasparire solamente un po' di dolore e sfottimento nel confronto degli amici che dovevano rimanere nella madrepatria.
"La radio funziona perfettamente. Il problema è che molto complesso farla funzionare in pieno mare; bisogna captare l'onda giusta."
Come se le sue parole fossero profetiche un gigantesco ammasso d'acqua si rovescio sulla propra inondando il genovese; dopo la divertente scena del grassone incavolato per un po' di sale nei capelli, il capitano ritornò in plancia.
"Come stiamo andando?" chiese al suo vice.
"Ho corretto poco fa la rotta spostandoci leggermente a dritta." affermò con sicurezza l'altro.
"Perfetto." esclamò Marchesi che, quindi, si girò e puntò sulla radio che sfrusciava come da tipico quando non c'è nessuna rete presente: "E ora a noi due! Vedrai che troverò una radio da dove prendere delle informazioni!"
Ci mise i suoi bei tre quarti d'ora ma, finalmente, riuscì a prendere, nonostante diversi disturbi, una radio presente.

"Crrrr... con l'attacco alla città di Mo... crrr... l'Unione Europea e la NA... crrr... guerra... crrrrrr... ...ussia e Cina hanno reagito con l'apertura del fronte Asiatico e la creazione del blocco giapponese è l'emblema più rappresentativo della crisi orientale. Le truppe europee si stanno muovendo in direzione di Ber... crrr... il presidente del Consiglio Gianni DeSantins ha dichiarato che: "Per la libertà del popolo occident... crrr... si combatterà con... crrr... raggio. La stessa esistenza degli ideali Europei contro i nazionalismi comunisti asiatici risiede nell'alleanza con gli Stati Uni... crrr... Applausi da tutta l'aula dopo il discor... crrr... L'apertura del fronte turco ha visto il glorioso e vittorioso intervent... crr... italiane che hanno combatt... crrr... grazie al coraggio dei nostri soldati Ankara è stata lib... crrr... attacco missilistico statunitense a Pechino e Mosca... crrr... Crrr... crrr..." la radio ricominciò a sfrusciare silenziosa sotto gli occhi preoccupati e curiosi della gente che pian piano si era gradualmente radunata nella plancia al suono gracchiante della voce del radiocronista.
"Maledetta radio!" esclamò Stefano Marchesi assestando con forza un pugno sull'ammasso metallico; come da copione riprese a funzionare.
"Crrr... l'Inter ha perso contro la Juventus tre a zero nel campionato ridotto. Milan e Napoli hanno, invece, par... crrr... in tal modo la Lazio guida la classifica delle dieci squadre di questo cam... crrr... lieti che abbiate seguito il nostro radiogiornale. Vi ricordiamo... crrr... fra un'ora esatta. Ora vi lasciamo con "Musica d'oltremare". Vi sentite soli? Avete dimenticato che cosa vuol dire amare con passione? Pensate che la vostra vita sia un disastro? Passa a MacDonald a provare il nuovo MacLovin'it, un gustoso e amorevole panino dal passionale gusto del vostro primo amore. L'amorevole sensazione del gusto dell'Hambuger nel vostro palato. I'm loving it. La vostra auto..."
Il capitano si stupiva ogni volta come la radio, improvvisamente, si stabilizzasse perfettamente quando scattavo le pubblicità radiofononiche e che, anche in periodo di guerra, resistevano impassibili e gloriose: era evidente che i pubblicitari avessero fatto qualche contratto col demonio, non c'era altra risposta a quest'evento.
I vari presenti furono allontanati dalla radio mentre Stefano iniziò a cercare un'altra stazione; non ce la fece perchè pochi minuti dopo una voce iniziò a parlare per comunicare con loro.
Era perentoria e inglese, non ammetteva repliche: "Qua è il generale MacLowen, V'intimiamo a spegnere i motori e a non fare movimenti azzardati."
"Ma che cazzo sta succedendo?" chiese il vice che non s'era mai preso la briga d'imparare la lingua di Shakespeare.
"Spegni subito i motori!" urlò l'altro.
Il vice prontamente ubbidì.

I due uomini si diressero subito verso la poppa alla ricerca, sulla linea dell'orizzonte, di coloro che avevano mandato quel messaggio radiofonico alla loro radio.
Il mare era completamente lindo e piatto e non si vedeva assolutamente niente che...
un improvviso rumore, ma non violentò grazie a misteriose tecniche di aereo-dinamica, passò sopra le loro teste. Due caccia passarono sopra le loro teste provocando l'alzata di collo di tutti i presenti che guardavano ammirati l'impressionante velocità dei due velivoli che trapassavano senza difficoltà le numerose nuvole che riempivano il cielo.
Questi fecero quindi un'inversione aerea ad U e tornarono rapidamente da dove erano arrivati; veloci com'erano arrivati.
Consapevoli che, se non avessero ubbidito agli ordini di quel MacLowen, sarebbero stati facilmente affondati da quei due caccia, capitano e vice fecero un sospiro di sollievo.
Alcuni dei ricchi profughi provarono ad interloquire con Marchesi per chiedere spiegazioni sul perchè s'erano fermati e sul perchè fossero giunti in quel momento quegli due aerei; l'altro, per evitare un inutile crisi di caos, si giustificò dicendo che bisognava far raffreddare i motori e che della presenza degli aerei ne sapeva quanto loro.
Nel giro di un quarto d'ora due gigantesche navi iniziarono ad avvicinarsi nella loro direzione: erano le portaerei americane USS Ronald Reagan e USS George W. Bush che si avvicinavano ad una discreta velocità; la loro mole non era nemmeno paragonabile con quella del misero peschereccio illegale che portava anime, neanche troppo disperate, in Africa.
Un piccolo torpediniere si staccò dalla portaerei Bush e raggiunse il naviglio di Stefano Marchesi; con la delusione di quest'ultimo anche questo piccola nave americana era il doppio dell'ex-peschereccio.
Tutti i presenti furono fatti salire a bordo del torpediniere sotto gli occhi degli attenti marines americani che si stavano dirigendo probabilmente verso una zona calda del conflitto; la barca dove si trovavano fu lasciata al suo destino, in balia del mare nostrum.
"Addio mia cara navetta. Ma perchè devo abbandonarla?" protestò il capitano del naviglio.
In un italiano stentato un ufficiale cercò di giustificarsi: "Questi sono gli ordini. Tutte le navi lungo la strada che incontreremo devono essere ammonite di spegnere i motori; se ubbiscono far salire sul torpediniere tutti gli individui che ne sono all'interno e poi affondare la nave, altrimenti affondare la nave. Mi spiace ma non possiamo lasciare possibili tracce del nostro passaggio. Voi verrete fatti sbarcare a Chania, a Creta, tramite un torpediniere camufatto da mercantile."
"E' possibile camuffare un torpediniere in maniera tale che assomigli ad un mercantile?" domandò perplesso Marchesi.
"Non faccia ulteriore domande, per favore."
"Un'ultima soltanto per favore."
"Va bene!" esclamò esautorato l'ufficiale.
"Se decidessi di rimanere a bordo che cosa accadrebbe?"
"Vuole veramente venire a combattere nel mar Nero?"
Stefano Marchesi si massaggiò la mascella pensando ch'evidentemente appena arrivato a terra sarebbe dovuto diventare un latitante per non essere arrestato con l'accusa di "emigrazione clandestina"; poi, guardò, l'americano.
Guerra significava adrenalina, combattimento, sangue, ferocia... ma anche morte, crudeltà e probabilmente sofferenza.
No! Non era questa la vita che voleva e, in fondo, una latitanza o una prigionia a Creta poteva rivelarsi il rifugio più sicuro in quei tempi conflitto nucleare; l'ex-capitano scosse la testa, sorrise e disse: "No, grazie! In bocca al lupo!"
L'americano, non conoscendo i modi di dire italiani, scosse la testa e si diresse verso un altro punto della nave.

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