Drago in prova

di ReaderNotViewer
(/viewuser.php?uid=4426)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La prova del drago di L-Fy

CAP.1



“Per Merlino, che cosa stai combinando?” esclamò Costanza, accorrendo in cucina, richiamata da un tremendo rumore di ferraglia.

“Mamma, adda!” proruppe felice la piccola Matilde, seduta sul pavimento in mezzo a una distesa di posate e di pentole.

“Vedo” rispose Costanza, sconsolata. “Forse che tuo padre non ti porta a casa abbastanza giocattoli? Dov’è la tua pietra canterina, a proposito?” indagò, puntando la bacchetta verso il contenuto della sua credenza, sparpagliato sul pavimento.

Dispono coltelli!” comandò mentre s’inginocchiava accanto alla bimba per tenerla al sicuro vicino a sé. Nel vedere i coltelli alzarsi dal pavimento e ritornare volando nei rispettivi cassetti, Matilde rise gorgogliando, poi, subito stanca dello spettacolo, afferrò un mestolo e un cucchiaio di legno e cominciò a battere entusiasticamente sul fondo della casseruola per gli arrosti. Tenendosi una mano su un orecchio, Costanza usò l’altra per muovere la bacchetta, pronunciando a mezza voce incantesimi per rimettere i suoi utensili di cucina al loro posto. Poiché era scomodo cucinare, quando si tenevano chiusi con la magia tutti i vani della credenza e della cassettiera, di solito ci si accontentava di usarla per il forno, lo scomparto dei coltelli e gli altri accessori veramente pericolosi. Non era previsto che una bimbetta di due anni riuscisse a vanificare i sigilli di una strega adulta: Costanza si ripromise di rinforzarli al più presto.

“Basta, adesso!” gridò, per sovrastare con la sua voce il baccano. Fece un tentativo per togliere di mano a Matilde le improvvisate bacchette della sua rudimentale batteria, ma desistette quando incontrò un’accanita resistenza, del tipo che non avrebbe potuto vincere senza scatenare un tremendo capriccio.

Che cosa dicevano sia nonna Valenskij sia nonna Malatesta? Che con i bambini piccoli la parola d’ordine è distrarre, ricordò Costanza. Distrarre, giusto. Si guardò attorno per individuare qualcosa di altrettanto interessante agli occhi della bambina e allo stesso tempo di meno fastidioso per le sue orecchie. L’enorme cucina, retaggio di epoche in cui la famiglia Malatesta era stata numerosa e aveva avuto stuoli di elfi domestici al suo servizio, non era cambiata molto da quando Costanza era bambina. Il massiccio tavolo di quercia, il calderone per le pozioni domestiche e la grande credenza bianca si tramandavano di generazione in generazione. Le pentole e le padelle di rame, molto più grandi di quanto servisse a una famiglia di tre persone, erano state il principesco dono di nozze di una famosa strega tzigana alla nonna materna di Costanza, che le aveva ereditate insieme al nome. Da casa Valenskij erano arrivati l’allegra cassapanca intagliata, stracolma di tovaglie ricamate a colori vivaci, che mettevano in scena storie sempre diverse ogni volta che le si stendeva sul tavolo, e il prezioso samovar di argento massiccio, che planava maestosamente quando gli si chiedeva una tazza di tè, elegante come un Concorde e altrettanto ingombrante.

Quando nonna Malatesta aveva deciso di cedere alla giovane coppia l’avita magione, Costanza e Sasha avevano pensato di essere stati molto fortunati: la casa sembrava quasi un castello e sorgeva nel bel mezzo di una splendida vallata appenninica, proprio di fronte a una prestigiosa residenza babbana, che era appartenuta per secoli al ramo non magico della stessa famiglia. Inoltre, due catene montuose e la larghezza dell’Adriatico la separavano dal castello Valenskij, scoraggiando i rispettivi genitori a visite ancora più assidue di quanto già non facessero. I lupi che tiravano la slitta volante non amavano l’acqua e costringevano Sonija e Alfonso a lunghi percorsi sopra la terraferma o, in alternativa, all’utilizzo di mezzi di trasporto più plebei come le Passaporta o la Metropolvere. “Accio pietra canterina.” Il giocattolo, che Costanza aveva scovato sotto il tavolo, le saltò in mano e lei lo spinse delicatamente verso Matilde. Immediatamente, il sasso grigiastro si mise a cantare con la voce di Sasha una canzoncina per bambini, che parlava delle avventure del maghetto Saltalà nel Bosco Incantato. Non che Sasha fosse un gran cantante, a essere sinceri, ma la magia rimediava efficacemente alle mancanze della natura. Al ritornello

vaga di qui, vaga di là/nel bosco s’è perso/quel mago Saltalà

Matilde depose il cucchiaio di legno, conquistata suo malgrado dalla voce del suo adorato papà.

Un’improvvisa fiammata del focherello che ardeva nel grande camino, per riscaldare un po’ quel locale pieno di antichi e aristocratici spifferi, spaventò entrambe, madre e figlia.

Costanza corse a vedere, mentre la piccola trotterellava dietro di lei, curiosa come un cucciolo, con la pietra canterina alle calcagna che continuava, imperterrita, a narrare con la voce di Sasha le mirabolanti avventure di quello sconsiderato Saltalà.

“Nadja, che ci fai nel mio camino? Perché non ti materializzi come tutte le persone normali?”

Dall’interno del camino, la testa biondissima della migliore amica di Costanza fece energicamente segno di no, dando l’impressione di ondeggiare dentro il paiolo della polenta, come se fosse una pietanza da cannibali.

Nel vedere la sua madrina, Matilde lanciò un ululato di gioia e tentò di buttarsi letteralmente dentro il focolare. Costanza la prese al volo appena in tempo.

“Oh, no.” spiegò Nadja. “Io non mi materializzerò mai più in casa tua senza prima controllare, dopo quello che è successo l’ultima volta.”

“Andiamo, Nadja… siamo in cucina. Che cosa pensavi di trovare? Me e Sasha che ci avvinghiavamo sul tavolo?”

Nadja ridacchiò “Come se non fossi sicura che lo avete già fatto. E ti ricordo che l’ultima volta erano le dieci di mattina, non so se mi spiego. Ciao, tesoro” disse poi in tutt’altro tono, rivolgendosi alla sua figlioccia, che si agitò tra le braccia della mamma protendendosi come un naufrago verso la salvezza.

“Invece di dire scemenze, sbrigati a materializzarti, prima che questa qui finisca tra le fiamme.”

La baronessa Iljovich non se lo fece ripetere due volte e dopo un istante fu davanti a loro, in tutto il suo splendore di bionda naturale, notevolmente accresciuto dagli abiti firmati, dal perfetto trucco e dal lavoro di un parrucchiere di prim’ordine, tutte cose che nel giro di dieci minuti erano irrimediabilmente rovinate, o quasi, dall’essersi rotolata per terra con Matilde tra le braccia, in un’esibizione di reciproco straboccante affetto che avrebbe potuto rendere assai gelosa Costanza, se Nadja non avesse rivestito il ruolo, del tutto vacante, di unica e ufficiale zia della piccola.

Mentre Matilde, dimenticata la povera pietra canterina che continuava a sgolarsi, inascoltata, si divertiva a svuotare e riempire la borsetta della sua madrina del suo mirabolante contenuto – squittendo entusiasta mentre smontava il portacipria e si strofinava il rossetto sul vestitino - le due giovani donne si sedettero al tavolo per concedersi due chiacchiere e qualche rinfresco. Costanza, che talvolta aveva l’impressione di non essere più capace di parlare il linguaggio degli adulti, ma solo un rudimentale bambinese, era segretamente contenta di poter fare una conversazione normale, per quanto quest’aggettivo fosse scarsamente adatto a definire uno scambio di idee con quella svampita della sua amica. Purtroppo al momento nemmeno Nadja aveva molti pettegolezzi piccanti da condividere, cosa inaudita ma perfettamente spiegabile nelle presenti, spiacevoli condizioni politiche. Sebbene il ritorno di Lord Voldemort non avesse coinvolto direttamente chi si trovava al di fuori dei confini della Gran Bretagna, tutto il mondo magico ne era stato in qualche modo interessato e turbato. Sasha tornava tardi dal suo lavoro presso la Commissione magica europea e spesso Costanza di notte si accorgeva di essere sola nel letto e lo trovava sveglio, con i gomiti sul davanzale della finestra della loro camera, intento a osservare il tranquillo panorama dell’Appennino italiano, come se temesse che i Mangiamorte inglesi arrivassero fin lì a turbare quella pace bucolica. In passato i maghi e le streghe italiane avevano avuto modo di lamentarsi per la grigia e poco appariscente efficienza dei loro ultracorretti Ministri della Magia – cosa che per qualche motivo faceva sempre sbellicare dalle risa i nati babbani – ma al momento Costanza si sentiva rassicurata dal fatto che Voldemort, così come in passato Grindelwald, non aveva mai goduto di un largo seguito, tra i suoi connazionali. La parte che aveva avuto nello sventare i piani di Voldemort, quando era ancora una studentessa a Durmstrang, le era bastata e onestamente non aveva un gran desiderio di ricoprire altri ruoli cruciali nella storia della magia. La cosa più vicina a un pettegolezzo che Nadja riuscì a riferire fu il modo in cui il povero Dimitri si era fatto infinocchiare da un’affascinante strega inglese, che era riuscita a prenderlo per il naso durante la sua recente missione segreta in Romania. Dove fosse l’altro dei loro vecchi amici, Detlef, nessuno lo sapeva con esattezza, anzi Nadja aveva sperato di avere notizie proprio da Valenskij.

“Sasha non sa niente di Detlef” scosse il capo Costanza, in risposta alla domanda. “È scomparso come quel ragazzino inglese, Harry Potter, su cui Voldemort ha messo una taglia. Ti avevo detto che mi era stato presentato, ai funerali di Silente, vero? In quanto alla missione di Detlef, è veramente segreta: nessuno sa dove sia.”

“Nemmeno lui, se lo conosco bene” ipotizzò Nadja, con un debole sorriso.

“Lo sai che sono contentissima che tu sia venuta a trovarmi in questo posto fuori dal mondo” disse Costanza dopo una pausa di silenzio, insospettita nel vedere l'amica così poco effervescente, rispetto al suo standard. “Per non parlare di Matilde, nel caso inverosimile tu non lo avessi notato.”

“Mi mancava, la mia figlioccia” confessò Nadja, tendendo una mano ben curata a fare una rapida carezza sulla testolina della bimba, che la guardò, accattivante, con i suoi occhioni scuri e scintillanti di malizia e le lanciò un bacino con la manina. ‘E con questo, si è assicurata l’en plein di Tuttigusti e Cioccorane fino a quando sarà maggiorenne’ pensò Costanza, divertita: era evidente che Matilde aveva preso dal padre l’innata capacità di affascinare la gente.

“Non ne dubito. Ma a quest’ora, non dovresti essere a prendere l’aperitivo sulla terrazza della Scopa Magica di San Pietroburgo?” indagò.

“Sulla veranda della Scopa Volante di Leningrado, volevi dire.”

“Guarda che la città dove abiti si chiama di nuovo San Pietroburgo da diversi anni.”

”Davvero? Peccato, proprio adesso che mia nonna aveva imparato a dire Leningrado” si lagnò Nadja, corrucciata. “Che fine hanno fatto i cosi, i Bolscevichi? Non abbiamo tutti girovagato tra i babbani come te, sai?”

Costanza aprì la bocca per risponderle, poi rinunciò, consapevole che non sarebbe mai riuscita a spiegare a Nadja ciò che non aveva capito bene nemmeno lei, cioè le intricate vicende della politica internazionale babbana. In confronto, le interminabili guerre dei Goblin sembravano uno scherzetto.

Un momento. Cosa aveva detto Nadja? “Come mai conosci la parola bolscevico?” chiese.

L’amica alzò le spalle, con una smorfia: “Perché ne ho incontrato uno. Ed è questo il motivo per cui sono qui: ho bisogno del tuo aiuto.”

L’amica delle streghe che ha bisogno del mio aiuto? Questo sì che è sorprendente” disse Costanza, riferendosi alla rubrica di grande successo che Nadja teneva su una celebre rivista femminile.

“Il giorno in cui vorrò il tuo aiuto in tema di moda e di segreti di bellezza, sarò pronta per il ricovero coatto” disse Nadja inorridita all’idea. “Ovviamente, si tratta di tutt’altro genere di faccenda.”

“Problemi di cuore?” chiese Costanza, maliziosa.

“Idem come sopra. Devo ricordarti che se non fosse per me, saresti ancora una virtuosa zitella?” protestò l’altra, liquidando la questione con un gesto distratto della mano. “Problemi di draghi” svelò infine in tono solenne.“È per via di Fifì.”

Costanza ricordava Fifì, una femmina di Ironbelly Ucraino, come un drago tranquillo e pacioccone fin dalla più tenera età, per niente incline a rosicchiare scarpe e affumicare vestiti come era stato Balthus da cucciolo.

“E che c’entra il bolscevico?”

“Aspetta, comincio dal principio” iniziò Nadja. “Ricordi, quando tu e Sasha andaste a divertirvi a Hogwarts, mentre noialtri restammo inchiodati a Durmstrang alle prese con il puzzide, sia pace all’anima sua, e gli esami finali?”

“Questo sì che è cominciare dall’inizio… non è che magari mi vuoi anche parlare di quando andavi all’asilo? E comunque, non eravamo a Hogwarts a divertirci” obiettò Costanza “perché, come tu sai benissimo, fummo costretti a dare gli esami là, dato che Karkaroff ci aveva espulso, oltre a cercare di farci fuori.”

“Sì, certo. Come se Charlie Weasley non mi avesse raccontato di quello che facevate a Hogwarts… delle gite con Balthus e delle feste alle quali eravate invitati.”

Hogwarts. Costanza non avrebbe mai dimenticato come le era apparsa la celebre scuola di magia inglese, immersa tra il verde tenero della primavera che esplodeva tutto attorno, con le sue altissime torri che svettavano nel cielo limpido. Dopo gli spaventi, le sofferenze e i colpi di scena che avevano caratterizzato quegli ultimi giorni a Durmstrang, il soggiorno a Hogwarts era stato una via di mezzo tra un periodo di convalescenza e una vacanza. Persino le ore dedicate allo studio le erano sembrate un lieto intermezzo, seduta nel parco col libro in mano, mentre Sasha era sdraiato sull’erba, con la testa appoggiata alle sue ginocchia. Il tempo doveva esser stato brutto, qualche volta – Costanza era consapevole che la primavera scozzese è spesso tempestosa – eppure, stranamente, nei suoi ricordi di quel periodo a Hogwarts c’erano soltanto giornate illuminate dal sole e rallegrate da una gradevole brezza.

“Beh, mentre Miss e Mister Spocchia si godevano la civilissima Britannia, i loro sventurati compagni di corso sfacchinavano sui libri” riprese Nadja, i cui ricordi sembravano assai più foschi. “Il Ministro della Magia in persona, venuto a fare una strana visita ufficiale a Durmstrang in periodo di esami finali…”

“Questo ricordo di averlo saputo!” annuì Costanza.

“… quel buffo ometto con la barba ci assicurò personalmente che i nostri draghi sarebbero stati trattati con ogni riguardo. Così alla fine Detlef, no, fu Dimitri, glielo disse, dove li avevano nascosti. Il Ministro fu di parola, e li mandò all’allevamento di draghi, quello annesso al Parco Magico di Transilvania. L’autunno successivo, mentre tu e Sasha iniziavate il vostro corso full immersion di Babbanalogia avanzata, Sabina ottenne un posto come apprendista proprio alla riserva, anche se lei era lì più che altro per occuparsi di unicorni. Però teneva d’occhio Fifì e, avendo lì qualcuno che mi ospitava e poteva garantire per me – sai che manie per la sicurezza hanno sempre avuto, quei paranoici di maghi romeni – negli ultimi anni sono andata regolarmente a trovarla. La mia Fifì, intendo dire. Beh, anche Sabina, ovvio.”

“Non ti ci vedo molto, come assidua di riserve naturalistiche, se posso dirlo.”

“Ti sbagli” sbuffò Nadja “perché invece ho dei bellissimi completi da escursione. Ho persino gli scarponcini con la suola ignifuga, che mi sono fatta mandare apposta dalla ESCA…”

“Che cos’è?”

“Etna Superlusso Calzature Antifiamma, come ho scritto in uno dei miei articoli di maggior successo. Articoli che evidentemente tu non leggi, proprio come sospettavo" si accigliò, per poi proseguire, magnanima "ma di questo parleremo un’altra volta. Dieci giorni fa Sabina è partita per il suo anno sabbatico in Tibet, perché vuole diventare Yetologa – immagino che abbia finalmente capito che finché non si schioda dagli unicorni, le sue probabilità di trovare uno straccio d’uomo sono vicino allo zero, così come le ripeto da anni. Anche se, riflettendoci, non so quanti pretendenti potrà trovare sulle orme di un puzzolente bestione ricoperto di pelliccia sperduto in mezzo ai monti…

“Embè?”

“Con la presente situazione, quello che sta succedendo in Gran Bretagna e i simpatizzanti dei Mangiamorte che spuntano ovunque come funghi, l’EMU ha deciso che i draghi non sono più al sicuro, in Transilvania. Dicono che se qualcuno trovasse il modo di controllare i draghi attraverso la magia oscura, avrebbe in mano un’arma di enorme potenza, perciò li disperderanno e li metteranno in luoghi sicuri. Fifì sarà data in affidamento come gli altri. Sabina sarebbe stata la persona più adatta, se non fosse in Tibet. Come certamente ricorderai…”

“… lo spazio aereo del Tibet è interdetto ai draghi per convenzione internazionale” completò la frase Sasha dalla soglia della cucina. “Chi avrebbe mai pensato che un aspetto tanto affascinante celasse una così approfondita conoscenza dei trattati diplomatici?”

Prese in braccio Matilde, che gli era corsa incontro strillando di gioia, poi si avvicinò per salutare l’ospite.

“Sei tornato presto” disse Costanza a bassa voce. Sasha comprese la domanda che lei non aveva posto ‘È successo qualcosa?’ e le strinse leggermente la spalla per rassicurarla.

"Valenskij in carne e ossa! E muscoli, se posso dirlo" scherzò Nadja, alzandosi sulla punta dei piedi per stampargli distrattamente due baci sulle guance. “Sono contenta che ci siate entrambi, perché in fondo quello che devo chiedere riguarda tutti e due. Ho bisogno di un favore. Un grosso favore.”

Sasha si sedette al tavolo, con Matilde sulle ginocchia. Aveva un'aria esausta: da troppo tempo le istituzioni magiche internazionali erano in ebollizione, mentre la situazione inglese si faceva sempre più preoccupante. Era troppo beneducato per dimostrarlo, ma se era tornato a casa presto per godersi un po' la famiglia e prendersi qualche ora di riposo, non doveva essere stata una bella sorpresa trovare l'esuberante baronessa Iljovich in visita.

“Su, Nadja, spara" chiese Costanza.

“Voglio trasferirmi qui da voi per qualche tempo. Insieme a Fifì.”

***


Un enorme ringraziamento a Marzy, che ha betato questa storia a tambur battente!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La prova del drago di L-Fy

CAP.2



“Vedo” ripeté il funzionario dell’EMU (Europa Magica Unita), venuto a controllare che il soggetto ignigeno, cioè Fifì, fosse ben alloggiato nel ricovero riservato a creature magiche di dimensioni eccedenti l’usuale, ovverossia le stalle di Casa Malatesta. Alle sue spalle, Nadja Iljovich faceva boccacce, irridendo l’atteggiamento severo del povero mago, rendendo arduo a Costanza il mantenere un’espressione seria.

“Abbiamo suddiviso la stal…, il ricovero di Balthus, cioè del soggetto ignigeno numero uno” si affrettò a spiegare, indicando il muro, spesso oltre un metro, che lei e Nadja avevano tirato su in fretta e in furia per ricavare una seconda stalla dall’antica dragheria. Non avrebbe retto alla furia di un drago aggressivo e agguerrito come Balthus, ma forse sarebbe bastato a impedire a Fifì di prendere il volo. Sembrava solido, almeno a prima vista, mentre il funzionario lo esaminava con gli occhi socchiusi, saggiandolo a colpi di bacchetta. Costanza doveva ammettere che aver usato lo stesso incantesimo che serviva a tenere in forma le guepieres non era stata per niente una cattiva idea: solido ma discreto, ben difficilmente un occhio maschile avrebbe capito che dietro a quella costruzione c’erano degli incantesimi improvvisati, invece che un serio lavoro d’ingegneria zootecnica magica.

“Vedo” disse Spartacus Gogolmenko, pensoso. Si girò di colpo, costringendo Nadja, che gli stava mostrando la lingua di nascosto, a rischiare di mozzarsene la punta con i denti per quanto in fretta chiuse la bocca. “Vorrei che la richiedente qui presente presentasse di persona la sua relazione, se non le dispiace.”

“Naturale che non le dispiace” mormorò Costanza. “Vero che non ti dispiace, Nadja, cioè, ri… richiedente?”

“Certo che no” proclamò la baronessa Iljovich. “Avendo preso personalmente tutti i necessari provvedimenti” mentì spudoratamente “sarò più che lieta di illustrarglieli. Signore” concluse dopo una pausa che fece suonare vagamente ironico ciò che sarebbe dovuto invece sembrare una manifestazione di rispetto. A parte ciarlare ininterrottamente, giocare con Matilde e avere qualche idea geniale, come quella sulla costruzione del muro, in realtà Nadja non aveva fatto molto. Anche perché Balthus reagiva alla sua presenza con la stessa insofferenza che nutriva nei suoi confronti fin dai tempi di Durmstrang, il che rendeva problematico il suo stazionare nelle vicinanze di quel magnifico esemplare di Pungolo Islandese. In quel momento, il drago volgeva ostentatamente le spalle, e la gigantesca coda crestata, del caratteristico color smeraldo, all’intero gruppo, come se volesse sottolineare che tollerava questa invasione dei suoi alloggi solo per urbanità verso i suoi padroni di casa ma che la cosa non cessava di seccarlo notevolmente. Aveva degnato di uno sguardo distratto, quasi che non fosse nemmeno un’altra esponente della sua specie, persino la povera Fifì, che ora, piuttosto frastornata dal trasferimento, osservava tristemente gli umani dai quali dipendeva il suo destino, da sopra la porta della sua nuova stalla. Pandemonio, il gatto di Nadja, si era accovacciato sulla sua spalla e da lì le offriva discretamente il suo silenzioso appoggio.

“Non le nascondo che la sua richiesta di prendersi cura di questo esemplare femmina Ironbelly Ucraino…”

“Di Fifì!” lo interruppe Nadja a bassa voce, avvicinandosi per farsi sentire da lui ma non dal drago in questione “Non vede che essere chiamata esemplare l’addolora?”

“La sua richiesta di prendersi cura di Fifì…” si corresse il funzionario, socchiudendo gli occhi, forse sospettando che la baronessa Iljovich lo stesse prendendo in giro, cosa che almeno in quel momento invece non stava facendo, come Costanza sarebbe stata pronta a giurare “è estremamente irregolare. Se posso aggiungerlo, non sarebbe stata presa nemmeno in considerazione se lei, evidentemente, non godesse di molto credito presso… alcune delle istituzioni comunitarie”. Il tono del signor Gogolmenko dimostrava inequivocabilmente che cosa pensasse delle baronesse bionde e affascinanti che vantavano molteplici agganci ai più alti livelli dell’EMU.

Mentre Nadja quasi si strozzava per l’indignazione, Costanza intervenne per placare gli animi.

“Le posso assicurare che il credito di cui gode la baronessa Iljovich nasce dalla sua eccellente reputazione sia come strega sia come sostenitrice delle istituzioni comunitarie. Non dimentichi soprattutto che la sua è la prima faccia che il dra… che Fifì ha visto quando è uscita dall’uovo.”

“Giusto. Lei sembra scordare l’importanza dell’imprintig, su cui tanto dottamente si diffonde Draco Papageorges nel suo celebre trattato Fuoco, fiamme e squame” si lanciò Nadja, che aveva scoperto l’esistenza del libro in questione solo la sera prima. “Privata del viso familiare della dottoressa Jansen e ora anche del mio, questa povera creatura sarebbe terribilmente infelice. Potrebbe addirittura ammalarsi molto gravemente: il dottor Papageorges non ha dubbi in riguardo. Lei dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro, in qualità di esperto di creature magiche usualmente grandi.” Il suo tono dimostrava, a sua volta, che cosa la baronessa pensasse della competenza in fatto di draghi di un burocrate saccente.

Creature magiche di dimensioni eccedenti l’usuale, prego” sibilò Gogolmenko, mentre il suo incarnato chiaro diventava sempre più pallido, ad eccezione di due chiazze rosse che si andavano formando sulle guance affilate. “Qualsiasi cosa dica il dottor Papageorgés” proseguì restituendo all’esimio studioso quell’accento sull’ultima sillaba di cui la richiedente si era appena scordata “resta il fatto che, primo, lei non si è mai occupata personalmente di draghi. Secondo, non è in possesso di nessun attestato comprovante l’aver frequentato un corso avanzato di Cura delle Creature Magiche al di là del M.A.G.O. conseguito a Durmstrang, per di più con una votazione non proprio, se posso dirlo, esaltante.”

Nadja sbuffò, a braccia conserte. “Scusi tanto se all’epoca ero più interessata a contrastare i progetti sovversivi dello scomparso preside Karkaroff che a preparare gli esami finali.”

Il funzionario la squadrò dalla testa bionda ai piedi calzati all’ultima moda, operazione che non gli prese davvero molto tempo, come se non potesse credere che una persona così frivola avesse davvero giocato un qualche ruolo in avvenimenti di qualsiasi rilevanza politica. Nadja ricambiò fieramente il suo sguardo, ma non disse niente. Poi, con ostentazione, i suoi occhi azzurri percorsero con evidente disprezzo l’abbigliamento formale del giovane mago, dalle antiquate calzature stringate su fino al cappello messo di traverso, che non riusciva a nascondere del tutto un taglio di capelli niente affatto impeccabile.

“In terzo luogo” continuò Spartacus Gogolmenko, aggiustandosi nervosamente il mantello, che era di una misura eccessiva per lui “è molto irregolare che tale custodia venga richiesta non presso la sua abitazione di Len… San Pietroburgo, bensì in questo terreno di proprietà della signora Violante Della Mirandola Santogiacomo Malatesta. Un palazzo di famiglia, immagino” commentò acidamente, rivolgendosi alla padrona di casa. “Nonostante queste difficoltà, non saremmo qui se l’ente che rappresento non fosse intenzionato, per ragioni che onestamente non condivido, ad acconsentire a questa richiesta fuori dall’ordinario” sospirò in tono rassegnato. “A condizione, s’intende che lei superi positivamente il regolamentare periodo di prova di tre mesi. Quindi, se ora volesse espormi gli altri provvedimenti che ha preso per garantire il benessere dell’esemp… di Fifì…”

Mentre Nadja illustrava nervosamente al signor Gogolmenko, oltre all’ampliamento e alla suddivisione della stalla di Balthus, il rafforzamento delle barriere antifiamme, il presidio sanitario d’emergenza e tutte le altre cose che i complicati regolamenti comunitari prescrivevano per il ricovero di draghi presso le abitazioni private - e che in verità per molti anni in casa Valenskji-Malatesta erano state alquanto trascurate - Costanza rimase nei pressi, preoccupata che la sua amica potesse dire o fare qualcosa che facesse cambiare idea al già molto maldisposto funzionario. La faccenda si rivelava di momento in momento più complessa e fastidiosa, ma non si rifiuta un favore a chi, oltre ad aver evitato che la tua pelle si disidratasse in una cupa prigione sotterranea, ti ha praticamente salvato la vita. A dire la verità, Costanza temeva soprattutto che Nadja e Gogolmenko si schiantassero a vicenda prima della fine del periodo di prova, cosa che a parte ogni altra considerazione, non avrebbe giovato alla carriera di Sasha. Il bolscevico, come lo chiamava Nadja, apparteneva a una rispettata famiglia di maghi, discendente da un nato babbano che aveva abbracciato il mondo magico più o meno ai tempi della rivoluzione del 1905 e che aveva trasmesso ai suoi eredi un’imperitura e anacronistica fede nel socialismo, oltre a un pessimo ricordo dello zar e dell’aristocrazia russa in generale, quindi prevedibilmente vedeva le baronesse russe come il fumo negli occhi. Da parte sua, Nadja, che era sempre stata insofferente verso i burocrati malvestiti e prolissi, pareva decisa a fare del suo meglio per confermare i suoi pregiudizi. La situazione rischiava di degenerare, poiché in quei tre mesi Gogolmenko sarebbe dovuto tornare periodicamente a controllare che Fifì fosse bene accudita e che la sua custode non se la svignasse. Sul primo punto, Costanza non aveva dubbi: qualsiasi cosa fosse successa, Sasha amava i draghi e non avrebbe mai mancato di nutrire e strigliare Fifì né di farle fare, di tanto in tanto, un giretto in volo. Sul secondo, non avrebbe scommesso che la baronessa Iljovich, per affezionata che fosse alla sua draghessa, alla sua figlioccia e al resto della famiglia Valenskij-Malatesta, potesse resistere in quel luogo sperduto e nient’affatto mondano. Beh, se non altro in casa c’era abbondanza di spazio per ospitare lei e anche il bolscevico. Con un po’ di fortuna e assegnando oculatamente le camere, poteva persino sperare che sia Nadja sia Gogolmenko, se non volevano dormire in mezzo alle correnti d’aria o sotto una pioggia di calcinacci, avrebbero fatto un po’ di lavoretti di riparazione, dei quali c’era un immenso bisogno.

“Soprattutto, l’ente che rappresento raccomanda che i due esemplari qui presenti vengano tenuti sempre a distanza di sicurezza. Non desideriamo affatto né scontri sanguinosi né tantomeno accoppiamenti non desiderati tra razze diverse” concluse Gogolmenko.

“E poi la classista reazionaria sarei io” bofonchiò Nadja sottovoce.

“Non ho capito. Ha detto qualcosa?”

“Solo che ho preso nota di tutto. Ho anche scritto le sue raccomandazioni su questa… borsetta di Amaro e Tabarro. Vede?”. Sventolò la sua pochette firmata, facendo apparire una serie di scarabocchi, in cui Costanza intravide le parole presuntuoso imbecille. Per fortuna Gogolmenko era troppo lontano per riuscire a discernere i caratteri. “Posso coccolare un po’ la mia Fifì, adesso?” chiese Nadja e, senza aspettare risposta, si avvicinò alla draghessa, che chinò la grossa testa giallastra per farsi accarezzare il collo bitorzoluto. Pandemonio scivolò con grazia dalla spalla di Fifì a quella della sua padrona e si accomodò in modo da sembrare una stola di morbida e lucente pelliccia nera, ammesso e non concesso che una sciarpa di pelo faccia le fusa.

Spartacus Gogolmenko strinse le labbra con disappunto mentre osservava la scenetta. Eppure, persino Costanza doveva ammettere che non era per nulla uno spettacolo sgradevole, quello di una giovane strega molto bella e molto chic che scambiava gesti affettuosi con i suoi animali magici preferiti. Certo, bisognava dire, però, che Fifì non era bella nemmeno la metà di Balthus.

Si rivolse a Gogolmenko: “Venga, voglio che veda bene Balthus. Non capita spesso di incontrare un Pungolo Islandese di questa stazza e di questa perfezione. Sono certa che un conoscitore come lei saprà apprezzarlo. Balthus? Girati, su… se ti giri, da bravo, chiederò a Sasha di farti volare fino al mare.”

Il funzionario, che si era avvicinato di malavoglia, non poté trattenere un’esclamazione di meraviglia quando Balthus, obbedendo all’invito di Costanza, si voltò con un gran sbatacchiare di coda, mettendo in mostra ogni sfumatura della splendida pelle verde acceso e le ali, immense, ora che era un giovane drago ormai adulto. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Costanza vide illuminarsi gli occhi del mago, solitamente grigi e freddi.

“Quant’è… imponente” sussurrò con voce raddolcita. “Ha sempre vissuto con voi?”

“Quasi sempre. Fa parte della famiglia e non è per niente pericoloso.”

Balthus dondolò la testa da una parte all’altra ed emise una fiammata abbastanza potente per annerire la punta del cappello di Gogolmenko che, con ammirevole sangue freddo, non si spostò di un millimetro.

“Non essere dispettoso, Balthus” lo rimproverò Costanza. “Mi spiace molto per il suo cappello. Se vogliamo rientrare in casa, cercherò di sistemarglielo.”

“Non importa, non è certo il primo cappello che finisce bruciacchiato. Dovremmo rientrare, però, perché la sua amica deve firmare tutti i moduli” rispose Gogolmenko, rigirando tra le mani il suo malconcio copricapo. I capelli, biondi e lisci, gli ricadevano ai lati del viso, facendolo sembrare più giovane di quanto non le fosse parso a prima vista. “Una volta mi ha preso fuoco il mantello. Anche in quel caso, era un Pungolo Islandese.”

“E lei che cosa ha fatto?”

“Mi sono rotolato per terra per spegnere l’incendio come un babbano… che scemo. Era il mio primo drago ed ero così spaventato che mi ero dimenticato di avere la bacchetta magica in tasca” sorrise scuotendo la testa, al pensiero della sua dabbenaggine.

“Veramente scemo” commentò poco educatamente Nadja, che si era avvicinata per vedere che cosa fosse accaduto. Il sorriso di Gogolmenko si spense, lasciando posto alla solita espressione corrucciata. In fondo non era antipatico, pensò Costanza, era solo che lui e Nadja si davano evidentemente sui nervi.

“Mi dà sui nervi” ammise infatti la baronessa, mentre lei e Costanza riprendevano in mano le scope per rientrare in casa e il bolscevico misurava a lunghi passi l’alloggio di Fifì, annotando le misure della stalla sulle sue carte.

“Dovresti fare uno sforzo per trattarlo meglio, ricordati che ti può procurare delle grane, o anche farti togliere la custodia di Fifì” disse Costanza a bassa voce.

“Lo so” ammise Nadja “ma è più forte di me. È così… irritante, con i suoi regolamenti e la sua prosopopea. E quell’orribile capello, menomale che Balthus ha provveduto a toglierlo di scena. Ma l’hai visto? Sarebbe da rivestire da capo a piedi. Ed è più rigido di questo manico di scopa. Si comporta come se avesse mille anni, mentre credo che al massimo sia sulla trentina. Idiota.”

Costanza si girò ad osservare meglio Gogolmenko. Possibile che fosse così giovane? Sì, Nadja non si era sbagliata.


***


Ringrazio Marzy, sia per aver betato anche questo capitolo con mirabile sollecitudine che per avermi genialmente suggerito di riportare in campo i Della Mirandola Santogiacomo.

***


RISPOSTE ALLE (?) RECENSIONI

Nisi: sono contenta di averti incuriosita, ma... ecco, non vorrei che ti aspettassi troppo da questa piccola storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La prova del drago di L-Fy

CAP.3



“Quando tua cugina verrà di nuovo a trovarti?” chiese con nonchalance Detlef Himmel. Dal momento che aveva ancora la lingua tumefatta a causa delle sue recenti disavventure, la frase suonò più tipo qualcosa che avrebbe potuto pronunciare Matilde, ma il significato era inequivocabile.

“Non lo so. Non so nemmeno come tu possa pensare a certe cose, ridotto come sei” replicò seccamente Costanza. La prosperosa Magonza, una delle sue numerose cugine dal lato Zabini – poiché non aveva cugine né dal lato Roccaglia né da quello Malatesta e quelle del lato Della Mirandola Santogiacomo, cioè della nonna paterna, erano molto più vecchie o molto più giovani di lei – era passata di lì due giorni prima, portando dell’idromele fatto in casa forte come il tossico.

“Faccio del mio meglio” protestò Detlef, che dopo essere stato dimesso dall’ospedale, trascorreva in casa degli amici un meritato periodo di convalescenza. Con Magonza aveva giocato con un certo successo la carta dell’eroico Auror ferito in missione, ma le sue precarie condizioni fisiche – camminava con le stampelle, aveva cerotti dappertutto e non riusciva ancora a muovere la mano – gli impedivano per il momento di coglierne i frutti. Un’infermiera dell’Interauror, una vecchia strega arcigna di poche parole, veniva tutti i giorni a medicare il suo paziente e a valutarne i progressi, che erano stati rapidi.

Il guaio di avere una casa grande, pensò Costanza, era che la gente sembrava desiderosa di riempirla. A Fifì e Nadja, ospiti fisse finché non fosse scaduto il periodo di prova per la questione drago, si era aggiunto Detlef Himmel, caduto nelle mani dei complici ungheresi di Lord Voldemort proprio sul confine con la Romania, dove aveva perso le tracce del leggendario capo dei Mangiamorte inglesi. Nel tentativo di strappargli informazioni, prima l’avevano banalmente pestato a sangue, poi avevano lanciato un maldestro incantesimo Patefacio, che gli aveva gonfiato la lingua come un pallone, impedendogli di fatto di dire alcunché, anche se avesse voluto. Una squadra di agenti segreti del Ministero della Magia tedesco lo aveva trovato prima che fosse fatto fuori con un Avada Kevadra.

Invece di passare la convalescenza nel suo alloggio da scapolo a Berlino o nella casa di famiglia nella Foresta Nera, Detlef aveva accettato, o per meglio dire sollecitato, l’invito del suo vecchio amico e compagno di Torre, Sasha Valenskij. Costanza si era fatta l’idea che a Berlino ci sarebbe stato chi si sarebbe preso cura di lui, e che questo fosse esattamente ciò che Detlef voleva evitare. In quanto a casa Himmel, il discorso era differente: non è gradevole avere attorno muri di marzapane e infissi di zucchero, per storici e pittoreschi questi possano essere, quando si è costretti a una dieta di brodini sorbiti con la cannuccia.

Poiché era venerdì, in casa c’era anche Spartacus Gogolmenko, che veniva a controllare l’operato di Nadja con Fifì prima di andare a casa per il week-end, dato che durante la settimana risiedeva a Bruxelles; spesso andava a finire che si fermasse a dormire per la notte, e visto che ormai era lì, sarebbe stato sciocco andare a Mosca sabato sera per ritornare in Occidente il lunedì mattina, giusto?

Tutta questa gente – Detlef a parte, per ovvie ragioni – mangiava come un branco di Troll affamato, ma in compenso dava volentieri una mano in casa – sempre eccetto Detlef, per gli stessi motivi di cui sopra – e si prestava di buon grado a fare da baby sitter a Matilde e al drago, anzi, ai draghi.

“Hai bisogno di qualcosa? Magari un altro libro da leggere?” chiese Costanza. “O vuoi che ti tiri un po’ su la sdraio?” Faceva freddo sulla terrazza, ma Detlef non sembrava patirne, grazie forse anche alla sua corporatura imponente, che con gli anni si andava facendo sempre più massiccia.

“Guarda: sto imparando a usare la bacchetta con la sinistra” declinò l’offerta, orgoglioso della sua destrezza, mostrando a Costanza come riusciva ad andare su e giù con la sedia a sdraio. Ci mise così tanto entusiasmo da rovesciarla e finire col sedere per terra.

“Vuoi romperti anche le poche ossa che i Mangiamorte ti hanno lasciato intere?” brontolò Costanza, tentando di nascondere il riso che le era spontaneamente sorto alle labbra. Matilde, meno diplomatica, si sdraiò per terra accanto allo zio Detlef, che stava imprecando in tutte le lingue conosciute e anche in quelle ormai in disuso, per chiedere: “Fatto tanta tanta bua? Buffo, buffo tio!”

Con l’aiuto di Costanza, Detlef si rimise seduto diritto, senza nessun altro danno se non quelli occorsi al suo amor proprio, in tempo per accogliere Nadja e Gogolmenko, che stavano rientrando proprio in quel momento dalla dragheria. La baronessa Iljovich volteggiò graziosamente prima di parcheggiare la scopa sotto la terrazza, mentre il bolscevico, che filava in picchiata dando l’impressione di volersi schiantare dritto dentro le vetrate delle portefinestre del soggiorno, cambiò direzione solo all’ultimo momento, come se fosse lo studentello di una scuola di magia in vena di prodezze, invece che un serio funzionario dell’EMU. “Brutt bagai” brontolò in tono perfettamente udibile Pandolfo, che stava mettendo le esche per gli Gnomi proprio sotto la terrazza. L’unico elfo domestico di Casa Malatesta non apprezzava certi comportamenti irrispettosi. Era vecchissimo, mezzo cieco e rugoso come un guscio di noce; indossava una minuscola giubba con il colletto di pelliccia tarlato e un paio di consunte brache di cuoio, appartenute chissà a quale giovane erede Malatesta, dormiva dentro il capanno degli attrezzi e non lasciava mai il giardino. “Volate anche a Beauxbaton? Incredibile!” celiò invece – in modo quasi comprensibile - Detlef, che non mancava di prendere in giro Gogolmenko perché non aveva frequentato Durmstrang, bensì la Scuola di Magia francese. Spartacus non se la prese, ma saltò agilmente la ringhiera della terrazza, riuscendo chissà come a non impigliarvisi con nessuna parte del suo ingombrante abbigliamento. Era più agile di quello che sembrasse a prima vista. Ormai erano sei settimane che veniva regolarmente a visitare Fifì e il suo contegno si faceva di volta in volta meno legnoso e più disinvolto. Era un giovane simpatico e modesto, per niente pomposo quando non si trattava di questioni legate al suo lavoro. In effetti, l’unica con la quale non aveva legato affatto era proprio la baronessa Iljovich, che non cessava di essere prevenuta nei suoi confronti.

“Che cosa ci facevi col sedere per terra, Himmel?” s’informò, strizzando l’occhio a Matilde. “Il fracasso della tua caduta si sentiva anche in cielo.”

“Detlef ha la testa dura, non si preoccupi” disse Nadja, sostenuta, dopo essersi assicurata con un’occhiata che il suo vecchio amico non avesse riportato seri danni. Era stata molto in ansia per lui, anche se non lo aveva dato a vedere.

Detlef confermò solennemente di avere la testa durissima.

Matilde tirò il mantello di Gogolmenko per richiamare la sua attenzione. “Egalo Batus?” gli chiese, sintetica.

“Non ti preoccupare, tesoro. La tua madrina ha ricordato al signor Gogolmenko di dare la tua salamandra al tuo drago” interloquì Nadja. “E poi io ho dovuto trasfigurare un mazzo di primule in un ranocchio, se no Fifì si offendeva” aggiunse ridendo.

“Me ne sarei ricordato” protestò Gogolmenko, seccato. “Dopo aver calmato i due contendenti, s’intende.”

“Come va la convivenza tra i draghi, a proposito?” s’informò Costanza.

“Diciamo che continuano a fare fuoco e fiamme” sintetizzò Nadja. “Ma per il momento la tua dragheria è salva, così come il mio incarico di custode di Fifì. Andiamo a preparare la cena? Tra poco dovrebbe rincasare Sasha, giusto? Avevo promesso di preparare i blini.”

“Per Merlino, Nadja fa i blini e io non posso mangiare niente di solido!” si disperò Detlef.

“Mi dispiace, caro. Vorrà dire che li rifarò non appena ti sentirai meglio. Vieni, ti do una mano ad alzarti” disse lei dolcemente, mentre lo aiutava a rimettersi in piedi e gli porgeva le stampelle. La peggiore delle fidanzate, pensò Costanza, ma indubbiamente la migliore delle amiche – e Detlef lo sapeva meglio di chiunque altro. Lei e Gogolmenko rimasero sulla terrazza, guardando Nadja, Detlef e Matilde che entravano in casa.

“Blini” disse lui, dubbioso.

“Buonissimi” lo rassicurò Costanza “Nadja sa cucinare solo antipasti.”

“Chissà perché” osservò Spartacus Gogolmenko “questo non mi sorprende.”

Il dramma scoppiò dopo cena.

Nonostante Sasha avesse portato dal lavoro notizie preoccupanti, ora che i profughi britannici mezzosangue giungevano sulla costa settentrionale francese con i loro racconti di persecuzioni e orrori, l’atmosfera a tavola era stata allegra. Dopo i fantastici blini col caviale di Nadja, la zuppa – ricetta segreta di casa Malatesta – aveva scaldato gli stomaci, anche quello di Detlef, che era riuscito a sorbirla nonostante la sua lingua gonfia. Dopo essersi abbuffati di salumi e formaggi locali, i commensali diedero l’assalto alle paste al cioccolato fondente che Gogolmenko aveva portato da Bruxelles. Era stato un regalo assai gradito, anche perché era sempre divertente inseguire le paste prima che facessero i buchi nel tavolo. L’atmosfera aveva cominciato a scaldarsi già con la Start Fire servita insieme all’antipasto per diventare sempre più amichevole e rilassata intanto che si dava fondo alle due bottiglie di Vino Scintillante. Gli ex-membri di Torre dei Lupi avevano scambiato ricordi e battute di spirito per tutta la cena, facendo ridere con i loro aneddoti il serio Gogolmenko, che aveva ricambiato mettendoli al corrente di alcuni retroscena gustosi della sua vita scolastica a Beauxbaton. Normalmente, Sasha e Detlef lo avrebbero preso in giro senza sosta con le solite insinuazioni maligne sulla scuola di magia francese, ma le continue frecciatine che gli lanciava Nadja gli avevano evidentemente guadagnato le loro simpatie. A un certo punto, Matilde si addormentò con la guancia appoggiata sulla tovaglia, che quella sera riportava la storia del drago Rossofiamma e della strega Godiliva, quindi la bambina dormiva proprio sulla scena in cui la strega, completamente nuda ad eccezione del suo alto cappello, cavalcava il drago. La storia scelta quella sera dalla tovaglia era un po’ discutibile per una cena in cui era presente anche una minore, sebbene, come aveva biascicato Detlef dopo aver bevuto con la cannuccia il quarto o il quinto bicchiere, adeguata alla circostanza e ai commensali, visto il drago e la bella donna. La strega Godiliva aveva un fisico strepitoso ma, grazie al cappello, non era chiaro se fosse bionda o bruna, perciò il complimento poteva essere indirizzato indifferentemente a Costanza o a Nadja. Mentre Sasha portava Matilde nel suo lettino, si sentì scuotere la casa fino alle fondamenta. Per qualche istante, Costanza pensò a un terremoto, uno dei pochi eventi che accomunavano il mondo magico a quello babbano. Poi Sasha, che dalla camera di Matilde poteva vedere i boschi dietro la casa, gridò “I draghi!”.

Nonostante tutto quello che aveva bevuto, Gogolmenko saltò in piedi come una molla e, dopo aver puntato il dito verso Nadja dicendo “Visto? Sono state le primule!”, si precipitò fuori di casa brandendo la bacchetta. La baronessa lo seguì a ruota, nonostante i tacchi alti, ed entrambi si accalcarono insieme a Sasha sulla porta d’uscita, intralciandosi a vicenda mentre nessuno capiva esattamente che cosa stesse succedendo. Ogni incertezza svanì quando tutti gli astanti poterono vedere, attraverso il vetro della finestra, due scie di fuoco attraversare brevemente il cielo notturno e sparire dietro la collina di fronte.

“I vostri draghi devono essere evasi” farfugliò Detlef, che stava ancora tentando di alzarsi con le stampelle.

“Fifì è scappata!” si disperò Nadja.

“Balthus è fuggito…” mormorò Costanza, angosciata.

“Qualcuno ha rubato i nostri draghi” ipotizzò gravemente Sasha, facendo girare tutte le teste verso di lui. La parola Mangiamorte aleggiò sopra di loro come un invisibile Marchio Nero, prima che Spartakus Gogolmenko, più pallido del solito, replicasse sicuro: “No. Il succo di primula deve solo aver reso Fifì più forte e smaniosa di libertà. Vedendola prendere il volo, Balthus l’avrà seguita.”

In seguito, Costanza avrebbe sempre ricordato quella convulsa notte come la Notte dei Draghi. Mentre Detlef restava a casa con Matilde, gli altri inforcarono i manici di scopa e si precipitarono alla dragheria, dove sembrava che fosse appena esploso un calderone. Pandolfo era già sul posto e vagava imprecando e tentando di liberare i cespugli di rose ballerine dai resti delle pareti, che le avevano investite quando i due draghi avevano preso il volo fiammeggiando. Era quello il momento in cui il terreno aveva tremato, trasmettendo la scossa fino alla casa. Dopo aver domato l’incendio, i quattro si divisero. Costanza e Sasha, che conoscevano bene la zona, si diressero a Nord, verso le montagne e i boschi, mentre gli altri due si assunsero l’incarico di perlustrare la campagna.

“Le hai davvero dato le primule?” chiese Costanza all’amica a bassa voce, mentre Sasha spiegava rapidamente a Gogolmenko i punti di riferimento da tenere presenti in volo. Nadja aveva il senso dell’orientamento di una mandragola ubriaca, quindi non era nemmeno il caso di perdere tempo a insegnarle la rotta.

“Sì” rispose Nadja con una vocina piccola piccola. Era spaventata all’idea che succedesse qualcosa a Fifì o che le venisse revocata la custodia. Nemmeno la prospettiva di passare la notte svolazzando in compagnia del bolscevico, chiaramente incavolato a morte con lei, doveva farle piacere. Costanza sospirò: si era appena ricordata che in una delle molte letture sulla cura dei draghi che aveva fatto tanto tempo prima, quando Balthus era piccolo, si diceva chiaramente che il succo di primule rende i draghi ribelli, intrattabili e forzuti.

“Accidenti” commentò Costanza.

“Mi farà togliere Fifì” preconizzò Nadja cupamente, prima di inforcare il manico di scopa e sparire nella notte.

In altre circostanze, Costanza avrebbe apprezzato un bel volo notturno in compagnia di suo marito, svago al quale si erano potuti dedicare assai di rado, da quando era rimasta incinta. Dopotutto, il loro amore aveva preso le ali proprio mentre svolazzavano come cornacchie di qui e di là in mezzo ai pericoli. Forse Sasha stava pensando alla stessa cosa, perché le sorrise, con quel sorriso speciale che dedicava solo a lei, prima di alzarsi in volo con la solita manovra spericolata alla Valenskij. La ricerca fu lunga e infruttuosa, sebbene scorgessero di tanto in tanto i segni del passaggio dei due draghi, che evidentemente avevano fatto un largo giro tra i monti, innescando qua e là i piccoli, tipici incendi, prima di dirigersi nuovamente verso la pianura. Forse Balthus e Fifì avevano seppellito l’ascia di guerra per concedersi un bagno di mare sotto i raggi della luna.

A notte fonda, Costanza e Sasha rientrarono in casa, intirizziti e irrigiditi, sotto lo sguardo corrucciato di un Pandolfo più brontolone del solito. Matilde dormiva serenamente nel suo lettino e Detlef ronfava sul divano, evidentemente esausto dopo aver rimesso in ordine buona parte della cucina, nonostante potesse usare solo la mano sinistra. Ci doveva aver messo molto tempo e molta buona volontà, perché gli incantesimi casalinghi non erano mai stati il suo forte. Non aveva nemmeno fatto tanti danni. A Costanza venne voglia di dargli un bacio, eventualità che in sette anni di Durmstrang non aveva mai contemplato nemmeno di striscio. Mi sto rammollendo, pensò.

Cominciò l’attesa, resa più angosciante dal fatto di non poter contattare in alcun modo né Nadja né Gogolmenko. Forse avrebbero dovuto chiedere aiuto.

“Pensiamoci bene prima di prendere decisioni avventate” consigliò Costanza stancamente “Io preferirei non coinvolgere le autorità magiche. Abbiamo troppo da perdere, non credi?”

“Abbiamo già perso due draghi, una baronessa svampita e un funzionario dell’EMU” replicò Sasha “Non ti sembra abbastanza?”

In quel momento, ormai iniziava ad albeggiare, si sentì l’inconfondibile battere d’ali gigantesche e Nadja e Gogolmenko atterrarono con un gran tonfo insieme ai draghi sul pavimento della terrazza. Per essere precisi, ritornarono sul dorso di Fifì, con Balthus che volava un po’ distante, contegnoso e sulle sue come sempre. Quando Fifì si fu sdraiata, Gogolmenko balzò a terra e porse una mano a Nadja, che scivolò giù con poca grazia e un sospiro di sollievo e gli restituì il mantello, senza ringraziare. La sua acconciatura, rovinata dal vento e dagli spruzzi d’acqua salmastra, somigliava a uno spazzolone per lavare i pavimenti e il vestito pareva pronto per venire usato come straccio per il medesimo scopo, ma pareva contenta. Evidentemente era certa che non avrebbe perso la custodia del drago, pensò Costanza.

“Sono stanca morta” dichiarò Nadja abbracciandola. Diede un buffetto sul testone di Fifì che stava sbadigliando, placida e tranquilla come se non avesse fatto prendere un colpo a tutti quanti.

“Bella zona lagunare” osservò Gogolmenko. “Li abbiamo trovati che spaventavano le anatre. Si stavano divertendo un mondo, oserei dire.”

Sasha smise di sgridare Balthus, che, pur ascoltandolo immobile, riusciva chissà come a dare l’impressione di prenderlo per i fondelli, per replicare: “Temo che siano stati gli unici.”

“Assolutamente” confermò Gogolmenko. A lui invece i capelli stavano appiccicati lungo i lati del viso come due vecchie tendine flosce.

“Andiamo tutti a dormire?” propose Costanza. “Tra poco sarà ora di colazione. Per stanotte Balthus e Fifì possono restare qui, non credo che abbiano voglia di andare ancora in giro.”

“Magnifica idea” dissero Nadja e Gogolmenko all’unisono, poi si guardarono, imbarazzati. Costanza pensò che era la prima volta che si dichiaravano d’accordo.

“Andare a caccia di draghi unisce le persone, non credi?” osservò poco più tardi Costanza, mentre si accomodava sotto le coperte e si stringeva contro suo marito come d’abitudine. Mentre l’abbracciava più forte, Sasha brontolò nel sonno qualcosa che poteva passare per un assenso.

All’esterno della casa, anche i due draghi giacevano addormentati, sdraiati al buio lungo i due lati della terrazza in modo simmetrico, proprio come due giganteschi gargoyles di marmo.


***


RISPOSTE ALLE RECENSIONI

Marzy: eccola qui, la Speedy Gonzales delle beta! Grazie, cara.
Romina: Vedo che devo allungare ancora la già lunga lista di benemerenze di Elfie, se sono riuscita ad attirarti qui con questo mini-spinoff. Sono o non sono furba? Posto che con due draghi in casa, l'odore di bruciato è come il profumo di prelibatezze in casa di Elfie, ovverossia ti conduce dritto alla meta meglio del navigatore satellitare... beh, staremo a vedere, se chi disprezza compra o magari invece... schianta. In quanto ai Della Mirandola Santogiacomo, qualche ramo del loro albero genealogico non potrebbe allungarsi oltre il muro di mattoni nel cortile della Piadineria Athos (o è la Trattoria Da Cecco? Insomma, il passaggio al mondo magico nostrano...)?

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


La prova del drago di L-Fy

CAP.4



“Befanami.”

“Eh?” Costanza guardò Nadja, cercando su quel bel viso spiritoso i primi segni di quella malattia mentale, i cui sintomi intravedeva, ahimè, da diverso tempo e che pareva essersi aggravata nelle tre settimane trascorse dalla Notte dei Draghi. “Befa… che?”

“Befanami” ripeté l’altra, seria. “Rendimi una befana. Insegnami il tuo stile.”

“Ah. Grazie. Grazie davvero.”

“Ma sì. Guardati” disse Nadja, senza celare una certa ammirazione “Sembri la Bilenska. Dove sei riuscita a trovare un camicione di quel colore begiolino, mi domando. E i capelli? Non hai ancora bisogno di un lifting, perciò è inutile che li tiri in quel modo.”

“Ho corso dietro a Matilde tutta la mattina” brontolò Costanza. “Ieri ho passato il mio tempo a preparare una relazione in doppia pergamena per il Ministero della Magia per spiegare come mai i miei vicini babbani abbiano presentato un esposto ai Carabinieri per l’avvistamento di draghi in volo. Così sono rimasta indietro con le pulizie di primavera. Era quello che stavo cercando di fare prima che tu ritornassi qui con questa strana richiesta. Non dovresti essere a Bucarest, a spiegare come mai hai esportato illegalmente Fifì?”

“Ma Fifì era in pericolo!” protestò l’amica. “Non potevo aspettare i comodi di una manica di burocrati malvestiti per portarla in salvo. Comunque, è tutto sistemato. Più o meno. Sono sicura che la Basiliscu non si ricord…, cioè non darà seguito alla denuncia, intendo dire.”

“Nadja, hai gettato un incantesimo di memoria a una sottosegretaria del Ministero della Magia Rumeno?” indagò Costanza, severa.

“Non ricordo di averlo fatto” glissò Nadja, scuotendo perplessa i soffici capelli biondi. Costanza sospirò profondamente. Evidenti. Sintomi. Di. Malattia. Mentale.

“Mi correggo. Hai gettato contro la Basiliscu un incantesimo di memoria che ti è rimbalzato contro e ti ha preso di striscio?”

“Sai che potresti aver ragione?” ammise Nadja, pensierosa. “Questo spiegherebbe come mai io abbia cercato la mia valigia al Sangue di Dracula… bel posticino, ma non ha mai fatto servizio di locanda. Comunque. Torniamo al motivo della mia visita, se non ti dispiace. Che cosa puoi fare per rendermi più simile a te e meno simile a me?”

“Potrei sempre farti crescere un porro sul naso” minacciò Costanza.

“Tu non hai… no, senti. Sono seria. Davvero. Tu non ci hai mai tenuto molto ai vestiti, lo sappiamo. Solo io ricordo i sotterfugi a cui ho dovuto ricorrere, quand’eravamo a Durmstrang, per rendere il tuo look… accettabile.”

“Li ricordo benissimo anch’io, invece” ringhiò Costanza, che dopo otto anni non le aveva ancora perdonato lo scherzo dei bauli scambiati, alla partenza per le vacanze di Natale dell’ ultimo anno.

“Sei migliorata” convenne Nadja, girando attorno all’amica con occhio critico. La luce del sole pomeridiano, che inondava l’enorme soggiorno di Casa Malatesta mettendo in evidenza i tappeti scoloriti e le crepe dei vecchi mobili, rendeva più facile il suo esame. “Intravedo del pizzo valenciennes, ne deduco perciò che sotto questa… roba che indossi, almeno non porti più la sottoveste della divisa di Durmstrang. Ti sei sistemata le sopracciglia, brava. Ammetto persino che quei jeans ti stiano bene, anche se ti consiglio di regalarli all’Ente per i Maghi Poveri alla prima occasione.”

“Sei sicura di sentirti bene? Sei così strana, ultimamente. Più strana del solito.”

Nadja si buttò sul divano, malconcio per servire principalmente da palestra a Matilde. Sasha, nonostante fosse nato e cresciuto in un lussuoso castello, si accorgeva a malapena dell’ arredamento, ma Costanza aveva buttato via un bel po’ del ciarpame che si era accumulato in quella stanza nel corso degli anni, anzi probabilmente dei secoli. Le teste mummificate sul caminetto, ad esempio, erano finite in solaio, a terrorizzare i topi invece che a suscitare educate espressioni di perplessità sul volto degli ospiti in visita. A nessuno, infatti, piace sentirsi chiedere come sta da una testa umana grande come un’arancia.

“Lo so” replicò Nadja tristemente, rimettendo a posto le molle del divano, che stavano insieme grazie a un bel po’ di incantesimi, senza farsi troppo notare. “Dov’è la mia figlioccia?”

“Sonnellino pomeridiano. Forse questo lungo soggiorno in campagna non ti fa bene, dopotutto” disse Costanza, che cominciava seriamente a preoccuparsi.

“Non è la campagna” sospirò Nadja. “Anche se la campagna, in effetti, ha avuto le sue responsabilità. Non potresti insegnarmi a vestirmi come te senza fare domande?”

“Tu non vuoi vestirti come me più di quanto Balthus desideri un raffreddore allergico” sentenziò Costanza “quindi credo proprio che se vorrai prendere ispirazione dal mio guardaroba, dovrai spiegarmi che cosa ti affligge.”

“Va beh. Tanto prima o poi a qualcuno dovevo confidarlo. L’ho detto a Matilde e a Fifì, ma non so quanto abbiano capito tra tutte e due. In sostanza, è per via di Spartacus.”

“Di Spartacus. Eppure sembrava che ultimamente andaste abbastanza d’accordo. Non ha presentato nessun esposto contro di te per via della fuga dei draghi. Vi date persino del tu, da quella notte. Del resto, andare a caccia di...”

“Non mi prende sul serio” sbottò Nadja.

“Credo di soffrire di allucinazioni auditive” disse Costanza. “Sbaglio o ho appena sentito la baronessa Iljovich lamentarsi che un essere di sesso maschile non la prende abbastanza sul serio? Tu sei capacissima di fargli cambiare idea. Non dico che riusciresti a spacciarti per un’esperta di Aritmanzia, ma puoi sempre sedurlo. In fondo è piuttosto carino. Mi sembra un po’ estremo per non perdere la custodia di un drago, ma…”

“Che c’entra Fifì? E comunque, quello l’ho già fatto” replicò Nadja, sempre più imbronciata.

“Quello che cosa?”

“Sedurlo. Non saprei dirti bene com’è andata, ma suppongo che uno di noi due abbia sedotto l’ altro. Perché mi guardi come se fossi il mostro del lago?” indagò osservando Costanza che apriva e chiudeva la bocca senza riuscire ad emettere suono. “Adesso penserai che sono una scema.”

“Tesoro, l’ho sempre pensato. Ma ti voglio bene lo stesso. Che cosa cavolo hai combinato, Nadja?”

“È così difficile da capire?”

“Cioè, sei stata con lui. Quando?”

Nadja fece dei gesti vaghi con la mano, poi s’interruppe per guardare verso la finestra. Si sentivano provenire strani rumori dal giardino, segno che Pandolfo continuava con i suoi lavori, ai quali, secondo quanto l’esperienza suggeriva a Costanza, difficilmente sarebbero sopravvissute le rose ballerino del pergolato. O i resti del prato, che in teoria avrebbe dovuto coprire il declivio dietro la casa. O magari lui stesso, che ogni anno diventava più orbo e più pasticcione. Consapevole che la manovra di Nadja era un gesto diversivo, Costanza insistette: “Te ne ricorderai, suppongo.”

“Beh, la prima volta è stata quando Fifì è scappata. Perciò dicevo che era colpa della campagna. Poi…”

“Ah. E…”

“Continua a non prendermi sul serio lo stesso” sospirò Nadja, affondando sempre più nel divano sfondato. Erano lacrime, quelle che brillavano tra il mascara blu cupo delle ciglia? No, forse aveva solo il sole negli occhi.

“Non mi dire che lo a…”

“Non dirlo” gridò Nadja frettolosamente “non pensare nemmeno a pronunciare quella parola. Non credevo che potesse fare così male” concluse scuotendo la testa. “Ti giuro che non lo sapevo, altrimenti non mi sarei mai sognata di spingere le altre persone a… percorrere questa strada, ecco. Credevo che fosse una lieta passeggiata tra il canto dei fringuelli e lo stormire delle foglie, non una spaventosa scarpinata in un deserto arido e assolato.”

Allibita, Costanza tacque, digerendo la notizia. Nadja aveva avuto delle storie. Non così tante come mormoravano gli invidiosi, non così poche come pensavano gli ingenui. Ma non aveva mai fatto similitudini, tanto meno del genere natural-escursionistico. La situazione doveva essere grave, quindi. Rifletté, tentando di vedere Gogolmenko nei panni del seduttore, cosa tutt’altro che facile. Non faticava a credere, al contrario, che avesse mantenuto così bene il segreto sulla sua relazione con Nadja. In questo caso, era molto strano, viceversa, che ci fosse riuscita Nadja. Oltre che grave la situazione sembrava, ripensandoci, anche sospetta.

“È difficile da spiegare. All’inizio è stato come se fossimo sotto un incantesimo. Un momento prima eravamo lì, in piedi in mezzo a un prato, a discutere su Fifì e il maledetto succo di primule – ricordo perfettamente che ero tentata di chiudergli la bocca con una fattura pur di farlo stare zitto. Un momento dopo, ecco… “

“… hai trovato un altro sistema per ottenere il medesimo risultato” concluse Costanza.

“È stata più un’alternativa che abbiamo abbracciato contemporaneamente, direi” spiegò Nadja con un lieve sorriso nostalgico. Costanza ebbe una breve immagine mentale della bionda e minuta baronessa che si avvinghiava all’esile, pallido funzionario della EMU, ma si rese conto di mancare del materiale di base per completarla. Avendo dormito per sette anni nella stessa camera, conosceva a memoria le fattezze di Nadja, mentre non aveva idea di che cosa nascondesse Spartacus Gogolmenko sotto quei suoi vestiti antiquati e troppo abbondanti. Non che ci tenesse a saperlo, ma era nondimeno strano.

“Sei sicura che non si tratti veramente di un incantesimo, di un filtro d’amore o di qualcosa del genere?”

“Magari. Niente di così semplice, purtroppo. Non sarebbe neppure un problema così enorme, se solo lui mi prendesse sul serio.”

La scelta di parole di Nadja, rifletté Costanza, era a dir poco interessante. Non sarebbe un problema enorme? La baronessa Iljiovich doveva aver scoperto l’understatement tutto d’un tratto. Non era carino rigirare il coltello nella piaga, tuttavia c’era un’altra domanda che Costanza, in qualità di migliore amica, aveva il dovere di fare.

“Nel senso che le tue intenzioni verso quel poveretto sono serie? O nel senso che ti ruga venir trattata nello stesso modo in cui di solito tratti gli altri?” chiese.

“Un po’ tutti e due” ammise Nadja sinceramente, dopo un momento di riflessione. “E non chiamarlo poveretto: Spartacus sembra convinto che la cosa tra noi non possa durare e io sono un po’ stufa di sentirgli ripetere Chi l’avrebbe mai detto? come una vecchia comare. Questo mi riporta alla mia richiesta iniziale, quella di cambiare il mio look in modo da non sembrare la meravigliosamente frivola baronessa Iljovich, bensì la straordinariamente affidabile Nadja. Mi aiuterai, Costanza? Ti prego, ti prego…” concluse Nadja in comico tono d’urgenza, sbattendo gli occhi e facendo la boccuccia a cuore, in modo che mandò alle ortiche ogni sua pretesa di voler sembrare una persona seria.

“Tu non hai bisogno di un nuovo guardaroba vecchio, bensì di una visita al Santa Galampanga di Nairobi, la migliore clinica psichiatrica dell’intero mondo magico, a quanto ho sentito dire” rise Costanza. “Ma sei indubbiamente l’unica e inimitabile meravigliosamente straordinaria e frivolmente affidabile baronessa Nadja Iljovich!”

Un rumore di piedini nudi sulle assi dell’antico pavimento del corridoio annunciò che Matilde si era svegliata dal suo sonnellino. “Guarda chi c’è. Sei riuscita di nuovo ad allargare le sbarre del tuo lettino, Matilde?” chiese Costanza vedendo comparire in soggiorno la bimba, che aveva il visino bello riposato e i capelli, che erano ricci come i suoi, tutti per aria.

“Nadada!” strillò la bambina saltando sul divano e sulle ginocchia della sua madrina, che la strinse a sé, affondando il viso in quel corpicino confortevolmente caldo. Il cuore le batteva veloce come quello di un uccellino e la sua pelle profumava di sudore infantile, dell’ onnipresente pozione Bimbobello e di qualcosa d’indefinibile, l’odore della vita al suo inizio. Costanza sapeva bene che quell’odore, oltre ad essere il migliore del mondo, dava assuefazione.

Dopo pochi momenti Nadja si sciolse dall’abbraccio della sua figlioccia, per la quale era scoccata l’ora della merenda, e rialzò il viso. I suoi occhi azzurri brillavano di malizia e di determinazione.

“Forse questa volta non hai tutti i torti, miss Spocchia. Forse Spartacus deve solo imparare a guardare al di là della perfezione e dell’eleganza.“

“Che cosa intendi dire?”

“Che è venuto il momento in cui Gogolmenko si deve rendere conto di quello che ha e che potrebbe perdere” dichiarò Nadja.

“Vieni, piccola. Andiamo a fare merenda” nascose un sorriso Costanza mentre prendeva in braccio Matilde. “Sei sicura che non lo sappia già?”

Nadja ci rifletté su un momento, mentre guardava, pensierosa, il ritratto di Brigida Malatesta appeso sopra il camino: strega bruttissima ma di grande carattere, l’antenata chinò il capo con condiscendenza. Nadja le era simpatica e stravedeva per Matilde, mentre non aveva ancora digerito il fatto che Costanza avesse sposato un Valenskij. In un passato che nessuno ricordava, c’era stato un attivo scambio di maledizioni senza perdono tra i membri delle due famiglie. Precedenti del genere erano assai comuni tra le famiglie di maghi europee, quindi nessuno che non stesse dentro una cornice vi faceva più caso.

“Il giovane di cui parlate, baronessa” interloquì Brigida con la sua voce profonda e assai poco femminile, che contrastava con il profluvio di pizzi in cui era avvolta, “si rende certamente conto di non essere alla vostra altezza.”

Di solito la contessa leggeva quietamente il manuale di pozioni che aveva in mano, invece di ascoltare le conversazioni che si tenevano in salotto, a meno che non si trattasse di questioni successorie, che erano la sua passione. Prediligeva in particolare l’istituto dell’ enfiteusi, sul quale poteva discettare con grande competenza per ore, come Costanza aveva scoperto a sue spese durante le vacanze scolastiche, che aveva trascorso molto spesso dalla nonna.

“Contessa Malatesta” si scusò Nadja indirizzando un inchino all’illustre antenata “spero di non avervi annoiato con le mie sciocchezze.”

“Non nominare l’enfiteusi” le raccomandò Costanza a bassa voce.

Nadja la guardò male. Probabilmente non aveva la più pallida idea di che cosa fosse l’ enfiteusi. Forse pensava che si trattasse di una malattia imbarazzante e si sentiva offesa all’idea che l’amica mettesse in dubbio la sua capacità di sapersi ben comportare in società.

“Le questioni di cuore non sono prive di importanza dal punto di vista sociale” sospirò Brigida Malatesta, “pertanto non è fuori luogo che una strega bennata vi dedichi la dovuta attenzione.”

Costanza pensò che l’antenata dovesse sapere ciò di cui stava parlando, dal momento che la sua incredibile bruttezza non le aveva impedito di avere tre mariti e di mettere al mondo un totale di dodici figli. Costanza sospettava anzi che quel libro di pozioni, al quale Brigida era evidentemente così affezionata, non fosse estraneo alla ripetuta e inspiegabile attrattiva che la sua proprietaria aveva esercitato sul sesso opposto.

“Che cosa mi consigliate dall’alto della vostra esperienza di vita, madame?” indagò Nadja, interessata.

“Questo… Spartacus Gogolmenco – nuova nobiltà, suppongo, perché non ho mai avuto occasione di sentire prima questo nome” riprese Brigida Malatesta con un gesto che voleva significare come ci si dovesse rassegnare anche a sposare dei parvenue, “non può che sentirsi inadeguato a sostenere un legame con una strega della vostra avvenenza ed eleganza, baronessa. Se per qualche capriccio del vostro cuore, voi invece lo giudicate all’altezza del compito, dovrete fare ciò che in altre circostanze sarebbe del tutto sconsigliabile, ovverossia rendergli evidente che egli gode del vostro favore.”

“Fare capire a quel babbeo che io a lui ci tengo?” tradusse Nadja.

L’antenata chinò il capo in senso affermativo. “Che cosa aspetti a dare da mangiare a quella creatura, mia cara?” aggiunse poi in tono pratico, rivolta a Costanza, prima di riprendere la sua lettura.

“Merenda” gridò allegramente Matilde.

“Perché questa bambina pronuncia perfettamente solo i nomi dei pasti?” si chiese Nadja, perplessa, prima di seguire madre e figlia in cucina. Rimasta sola, la contessa Brigida Malatesta sorrise in modo materno e comprensivo, il che la rendeva solo leggermente meno brutta, prima di riprendere l’eterna lettura del suo libro.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La prova del drago di L-Fy

CAP.5



Lo stesso giorno in cui terminava il periodo di prova di Nadja con Fifì, giunse dalla Gran Bretagna la notizia della vittoria della resistenza britannica nella battaglia di Hogwarts, il che, tra l'altro, significava che i draghi sarebbero potuti tornare nella riserva in Transilvania. Negli ultimi tempi, Sasha aveva passato così tanto tempo ai quartieri generali dell'EMU da sembrare ormai uno zombie. Detlef non aveva ancora ripreso il servizio attivo ma, confinato in ufficio, faceva, secondo le illuminate parole di Sasha, più danni lui da solo che un'intera squadra di Mangiamorte. Non appena giunse la notizia che Lord Voldemort era stato sconfitto per la seconda volta, anche Dimitri rientrò da Parigi, dove aveva atteso lo sviluppo degli eventi insieme a un folto manipolo di agenti speciali e di personale diplomatico proveniente da tutti i paesi dell'EMU. Il mondo magico europeo tirava un sospiro di sollievo, perciò festeggiare non sembrava fuori luogo, nonostante vi fossero stati molti caduti – almeno cinquanta, secondo le prime stime – che andavano ad aggiungersi agli assassinii, alle sparizioni e alle esecuzioni sommarie degli ultimi mesi. In quel pomeriggio ormai quasi estivo, però, sembrava non esserci posto per la tristezza a Casa Malatesta. Nel campetto sul declivio erboso dietro casa, dove due improvvisate squadre si stavano affrontando in una partitella di quidditch, l’entusiasmo sportivo era alle stelle, sebbene il livello tecnico dei giocatori risentisse della mancanza di allenamento.  Detlef e Sasha se la cavavano ancora discretamente nel ruolo di battitore e cacciatore mentre di Costanza, che stava in porta e che a Durmstrang non aveva mai giocato, si poteva solo dire che faceva del suo meglio. Purtroppo per lei, non solo Magonza Zabini era stata cacciatrice a Beauxbaton, sia pure come riserva, ma Dimitri – in forma smagliante nonostante avesse smesso di giocare da otto anni – ribatteva i bolidi con la sua mazza senza fermarsi un solo istante. La vera sorpresa della giornata, tuttavia, era stato Spartacus Gogolmenko, che vorticava intorno all’anello della sua porta, pronto a tuffarsi sulla pluffa come un gabbiano sulla spazzatura. In altre parole, era così evidente che i padroni di casa stessero perdendo che se ne era accorta persino Nadja, che seguiva la partita da terra con blando interesse.

“Fai più tifo” suggerì a Matilde. “Non mi sembra che i tuoi genitori stiano tenendo alti i colori Valenskij-Malatesta, sai?” 

La pluffa centrò l’anello e la bambina rise, incurante del fatto che in teoria sarebbe toccato a sua madre impedirlo. Poi riprese ad andare su e giù con la sua scopa giocattolo in modo da imitare le evoluzioni degli adulti sopra la sua testa.    

Nadja pensò che tempo una decina d’anni e a Durmstrang il nome Valenskji si sarebbe sentito di nuovo, quando avesse giocato la squadra di Torre dei Lupi. 

Sasha filò con la pluffa verso l’anello avversario e Spartacus si preparò a difendere, mentre Detlef evitava per un pelo che il bolide che avrebbe dovuto battere abbattesse lui.

 “Zio Detlef stava per rompersi di nuovo tutte le ossa” disse Nadja a Matilde, che sembrò trovare l’ipotesi oltremodo divertente.

“Ti annoi?” gridò Costanza dall’alto. Aggrappata alla scopa, con il viso colorito e i capelli sciolti, sembrava ancora la ragazzina che era entrata nel dormitorio di Torre dei Lupi per la prima volta, tanti anni prima. Allora, però, la tristezza che riempiva i suoi occhi scuri e impregnava i suoi vestiti  fuori moda aveva attirato come una calamita la piccola baronessa, che avrebbe voluto che il mondo fosse pieno di gente felice e benvestita. Riguardo al secondo punto, con Costanza doveva ammettere di aver miseramente fallito, ma era comunque bello vederla felice.  

“Attenta, tornano!” l’avvertì Nadja.

Non aveva bisogno di alzare gli occhi per sapere che adesso, mentre l'azione si stava spostando verso la parte opposta del campo, Spartacus avrebbe guardato in giù, verso di lei. Se anche lui non lo avesse fatto sempre, fin dall’inizio della partita, ogni volta che la pluffa si allontanava dalla sua porta, Nadja se ne sarebbe ugualmente accorta nel momento esatto in cui quegli occhi grigi, freddi come il cielo sopra la tundra, si spostavano nella sua direzione. In quanto a leggere quello sguardo, era un'altra faccenda. Forse, pensò con un brivido di eccitazione, non ci sarebbe mai riuscita del tutto.  L'urlo d'esultanza di Magonza Zabini nell'infilare nuovamente la pluffa nell'anello sotto il naso di Costanza annunciò la fine della partita, con punteggio finale di cinquecento a cento per la squadra degli ospiti, che l'esuberante Magonza definì "rappresentanza di Beauxbaton", suscitando la traboccante indignazione di Dimitri.

Numerosi e imparentati con mezzo mondo magico, gli Zabini infestavano tutte le scuola di magia: in qualsiasi momento, ce n'era sempre almeno uno sia a Durmstrang sia a Beauxbaton sia a Hogwarts. In quanto a Magonza, lei aveva rallegrato le aule del collegio francese.

"Lo sapevo" disse scendendo dal suo manico di scopa con un volteggio scenografico per abbrancare Spartacus prima ancora che avesse il tempo di atterrare. "Lo sapevo che con l'eroe della finale dell’88 in squadra non avremmo potuto perdere!"

"Se lo sapevi" commentò acidamente Costanza, chinandosi a prendere in braccio Matilde che aveva buttato a terra la sua scopa giocattolo per correrle incontro "allora perché non ce l'hai detto?"

"Bella partita, sei grande!" esultò Dimitri, dando a Gogalmenko una manata sulla schiena. "Devi assolutamente giocare nel prossimo campionato interministeriale. Magari è la volta buona che riusciamo a battere l'Unione Africana. Perché tenevi nascosta quella presa micidiale, ragazzo mio? Vero che deve giocare, Detlef?" chiese all'amico, che stava atterrando per ultimo, con tutta la calma richiesta dalla corporatura massiccia.

"Sì, Gogolmenko, dovresti proprio giocare" convenne Detlef, sia pure con minore entusiasmo. Primo, avevano perso. Secondo, Dimitri stava approfittando della vittoria per stringersi un po' troppo alla bella Magonza.

"Ritiro tutto quello che ho detto sugli studenti di Beauxbaton che non saprebbero giocare a quidditch!" intervenne Sasha, mettendo un braccio sulla spalla della moglie. Personalmente pensava che avessero perso più per colpa dell'incapacità di Costanza che a causa dell'abilità di Spartacus, ma si guardava bene dal dirlo.

Nadja scoccò un'occhiataccia a Magonza, che la guardò perplessa, del tutto ignara dei retroscena, mentre Gogolmenko, che non era abituato a essere al centro dell'attenzione, si sciolse con un certo imbarazzo dall'abbraccio della sua ex-compagna di scuola, gettandola inavvertitamente addosso a Dimitri, che si affrettò a sorreggerla.

"Spartacus salvò Beauxbaton dalla sconfitta contro Hogwarts nella finale del 1988. Io ero una matricola allora, ma lo ricordo molto bene" spiegò la Zabini, nostalgica. "Ricorderete certamente che Durmstrang era stata eliminata al primo turno dalla Bahiera, la scuola di magia brasiliana" aggiunse con un sorrisetto. "È un peccato che questi tornei internazionali tra le scuole non si facciano più, non lo pensate anche voi? Fu divertente, a Beauxbaton, con tutti quei ragazzi stranieri... soprattutto per te, Spartacus, oserei dire. Le streghe sudamericane andavano matte per lui, sapete?"

"Quante novità sul tuo conto veniamo a sapere oggi, Spartacus" commentò Nadja. "Il tuo passato è una fonte inesauribile di sorprese, meglio di un incantesimo di Legimanzia. Perché non ci racconti qualcos'altro, Magonza? Amicizie discutibili, fughe romantiche, tresche a fosche tinte... prendiamo tutto. "

"Io... ero piccola" si schernì l'altra, comprendendo vagamente che aveva toccato un tasto che non avrebbe dovuto premere. "Spartacus si diplomò quell'anno stesso. Non ci frequentavamo, ovviamente." "Ovviamente" convenne Nadja, socchiudendo gli occhi. Imbarazzato, Spartacus si mise a posto i lisci capelli biondi con una mano. Non portava più il cappello, dopo che lei gliene aveva fatto sparire tre o quattro, ma ne sentiva la mancanza. Sasha aprì bocca per dire qualcosa e Costanza lo zittì con una gomitata. "Chissà quant'eri carina da piccola" intervenne Detlef, prendendo familiarmente Magonza sotto braccio "Scommetto che tutti quei francesini stravedevano per te."

"Quindi hai solo due anni meno di noi" calcolò Dimitri afferrandole lesto l'altro braccio. "Avrei pensato che fossero almeno cinque..." osservò, adulatore. Era sempre stato un bel ragazzo e gli anni lo avevano migliorato: Magonza si girò verso di lui e sorrise a quello che vedeva.

"Sarebbero quattro, veramente. Sei il solito asino, Dimitri" lo corresse Detlef, pronto a sfruttare a suo vantaggio quei pochi neuroni in più che madre Natura gli aveva concesso rispetto all'amico.

"Due, quattro... che importa?" disse Magonza, conciliante. "Che ne dite di una bella doccia prima di cena?" propose trascinando entrambi verso casa.

"Purché ognuno la faccia per conto suo" gridò loro dietro Sasha. "Questa è una casa onesta."

"Non ti preoccupare, cugino. Non ho intenzione di fare sconcezze sotto il tuo tetto" rise Magonza senza voltarsi. "Non so proprio chi sia più puritano... se i Valenskij o i Malatesta" aggiunse a bassa voce, a beneficio di Detlef e di Dimitri, che si affrettarono a vantare antenati e consanguinei uno più amorale dell'altro.

"Spero che tuo padre non abbia niente in contrario, se invece io e te faremo il bagno insieme, Matilde" ridacchiò Costanza, seguendo il terzetto verso casa. "La mamma ha sudato quanto un Troll e tu ti sei rotolata nell'erba fino a diventare verde come un basilisco."

"Niente in contrario, ragazze" concesse Sasha, intento a riporre nella loro cassa pluffa, bolidi e mazze. "Intanto io vado a vedere se Pandolfo si accontenta di bruciare le costolette o se ha intenzione di dare fuoco anche alla casa." In un attacco di prodigalità senza precedenti, forse indotto dalla sconfitta dell'odiato Signore Oscuro, l'elfo domestico si era offerto infatti di preparare il barbecue per tutti.

"Prima stava cercando di convincere Balthus a soffiare sul fuoco" avvertì Nadja. "L'ho fermato appena in tempo."

"Come hai fatto? Quel vecchio pazzo se ne frega di quello che gli si dice. Prende ordini solo da nonna Violante."

"Gli ho fatto parlare dalla contessa Brigida, ovvio."

“Subdolamente astuto” si congratulò Sasha, prima di incamminarsi a sua volta, portando disinvoltamente la pesante cassa sulla punta della bacchetta.

“Già” replicò Nadja allegramente “sono sempre stata viscida.”

Spartacus si avvicinò e le tolse un invisibile filo d’erba dai capelli: “Tu non sei viscida.”

“Grazie…” disse lei, sorpresa. “Intendi dire che non lo sono in senso morale, vero?” chiese, colta da un ripensamento. “Perché, beh, sì… non ho né squame né… ma tu lo sai.”

“Lo ricordo” sorrise Spartacus. Si guardò attorno: “Ci hanno lasciati soli. Credi che abbiano fatto apposta?”. L’unico ancora in vista era Sasha, mentre gli altri avevano già girato l’angolo della casa. “Costanza, forse” rispose Nadja “Gli altri non credo proprio. Perché, vorresti approfittarne? Magari dopo una doccia…” gli chiese, più brusca che civettuola, mettendogli una mano sul braccio.

Lui le pose due dita sotto il mento e la guardò negli occhi.

“Vuoi una risposta sincera? Non ne ho voglia” replicò inaspettatamente.

“Non ci credo” disse Nadja, sicura.

“Hai ragione: piccola differenza semantica, scusami. Ne ho voglia ma non voglio. Se permetti, andrò a farmi una doccia, poi mangerò carne probabilmente troppo abbrustolita insieme ai tuoi amici. Sono stanco. E non per aver giocato a quidditch.”

Era uno dei discorsi privati più lunghi che le avesse mai rivolto, ma non le diede il tempo di chiedergli spiegazioni, perché le voltò le spalle e fece una corsa per raggiungere Sasha, al quale lo sentì domandare il permesso di usare l’incantesimo Lavacro nel ripostiglio sotto le scale.

Rimasta sola, Nadja si morse le labbra, si risedette sulla panchina sbilenca dalla quale aveva seguito la partita e osservò pensierosamente Casa Malatesta. Non lo aveva mai notato prima, ma da quella prospettiva anche l’antica magione sembrava un po’ storta. Solida e simpatica, ma nondimeno un pochino pendente da un lato.

‘Eppure’, si disse Nadja ‘loro sembrano viverci felicemente lo stesso. Perché proprio io dovrei essere diritta in un mondo tutto storto? Anche lui è tortuoso. Subdolo, anzi. Che cosa vorrebbe che facessi? Io quello che la contessa Malatesta mi aveva consigliato l’ho fatto. Gliel’ho anche detto, al babbeo, che a lui ci tengo. Adesso non mi sembra il caso di farne una questione di stato.’

Questa, decise, era proprio materia da discutere con qualcuno capace di ascoltare. E lei sapeva dove trovare quel qualcuno.

Da quando la dragheria era stata ricostruita, Fifì e Balthus godevano di nuove comodità. Detlef aveva passato buona parte della sua convalescenza a pasticciare tra materiali di costruzione e disegni tecnici, finché i due draghi non avevano avuto ciascuno uno spazio ampio e confortevole, con il posto per il cibo, l’acqua e un giaciglio di paglia di dimensioni adeguate e con un’estesa veduta del cielo notturno, senza la quale, sempre a sentire l’esimio dottor Draco Papageorgés, i draghi tendono a sviluppare malinconia e depressione. I due ricoveri gemelli erano divisi da una paratia spessa ma traforata in modo che Fifì e Balthus potessero vedere qualcuno della loro stessa specie e si sentissero meno soli in un mondo in cui la loro razza era diventata tanto rara.

“Vedi, Fifì” riepilogò Nadja, accarezzando i grossi bitorzoli sulla grande testa giallastra “Tu mi conosci meglio di chiunque altro. Persino di Costanza. Io non voglio impelagarmi in cose più grandi di me, va bene? Beh, a meno che non abbiano la cresta e le ali e sputino fiamme, naturalmente. Non è per via di Spartacus, come ti dicevo. Lui mi piace, è inutile che io te lo dica: tu te ne eri accorta da un pezzo, vero? Non è stata certo colpa del succo di primule se sei scappata costringendoci a inseguirti.”

Si era tolta le scarpe e si era seduta sul collo di Fifì, per parlarle all’orecchio. Non ci teneva che Balthus sentisse i suoi discorsi, perché non aveva mai avuto molta confidenza con lui, che ora le volgeva educatamente le spalle, come a voler significare che non aveva intenzione di origliare. 

“È tardi e tu non hai mangiato niente. Vuoi un po’ di torta di mele?”

Nadja guardò giù e vide Spartacus, con in mano un piattino e una bottiglia di idromele mezza piena. Aveva le maniche della camicia arrotolate e i capelli erano più lisci, più lucidi e più chiari che mai.

“Non sarà l’idromele di Magonza, spero” disse Nadja allungandosi per prendere il piatto e la bottiglia.

“E invece è proprio lui” rispose Spartacus inerpicandosi sul collo di Fifì accanto a lei.

“Com’erano le costolette?” indagò Nadja buttandosi sulla torta. Aveva fame, ora che ci pensava.

“Un po’ troppo abbrustolite. La torta è molto buona, però.”

Lei inghiottì il boccone, annuendo; poi lasciò che le togliesse qualche briciola dal mento.

“Perché sei venuto a cercarmi?”

“Mi ci hanno mandato.”

“Una casa piena dei miei più vecchi amici e hanno mandato te?”

“Costanza Malatesta Valeskij in persona. Sai com’è fatta, no? Ha alzato la testa dal piatto e ha detto Gogolmenko, fammi una cortesia: vai a vedere dove si è cacciata quella disgraziata. Ha promesso a Matilde una storia della buona notte e non intendo certo abbuonargliela. Testuali parole.”

“E nessuno ha fatto obiezioni?”

“Nessuno ha osato. In effetti credo che sua cugina abbia aperto bocca, ma uno dei tuoi amici – o dovrei dire dei tuoi ex? – le ha infilato in bocca una ciliegia sotto spirito. Una ciliegia sotto spirito per una donna spiritosa. Piuttosto arguto, no?”

“Così è fatta” sospirò Nadja, appoggiandogli la testa alla spalla. “Era questo che volevi, che tutti fossero al corrente?”

“Io credevo che fosse quello che volevi tu” disse lui, serio, dandole un bacio in fronte.

“Idromele?”

Nadja bevve un sorso e gli ripassò la bottiglia: “E adesso, che cosa succede?”

“Le solite cose che succedono in questi casi. Di che cosa ti preoccupi, Nadja? Io ti a…”

“… non dire quella parola, ti prego!” lo interruppe lei in tono accorato.

Spartacus sorrise nel buio e la strinse contro di sé.

“Quale parola?” le chiese. “Perché non posso dire che ti aspetto dopo che avrai messo a letto Matilde, scusa?”

“In effetti, non vedo ragione perché tu non lo dica” convenne lei e gli sfiorò le labbra con un bacio.

Scesero dal collo di Fifì, che dondolò il capo, indulgente. Era un drago molto tranquillo, su cui si poteva anche fare conversazione. 

“Sai” disse Nadja “c’è una cosa che forse dovresti sapere…”

“Non voglio sapere niente del tuo passato” chiarì Spartacus in fretta.

“Né io del tuo, anche se un po’ mi spiace, perché sembra pieno di sorprese. No, si tratta dei draghi.”

“Dei draghi? Cosa c’è che non va?”

Nadja sospirò. “Vieni, Balthus” disse rivolta alla colossale schiena verde che s’intravedeva al di là del divisorio. Con un movimento ampio eppure circospetto, l’enorme drago si girò, allungò il collo verso terra e scavò alla base del muro di massicci mattoni forati finché non riuscì a insinuarsi sotto la sua base. Davanti agli occhi sbalorditi del funzionario dell’EMU, Balthus s’inabissò nel pavimento, strisciò sotto terra con un movimento che scosse silenziosamente tutta la dragheria e riemerse lentamente nel ricovero riservato a Fifì, che sembrò diventare immediatamente molto piccolo.

Nadja e Spartacus, addossati a una delle pareti, osservarono i due draghi affiancare le enormi teste, strisciare le creste una contro l’altra e guardarsi teneramente negli occhi.

“Per Merlino” sussurrò Spartacus.

“È proprio quello che ho detto anch’io quando arrivando li ho sorpresi così” concordò Nadja. “Spero solo che il tuo ufficio non sia veramente tanto contrario a…, com’era?, ah sì, accoppiamenti non desiderati tra razze diverse!”


FINE

***


RISPOSTE ALLE RECENSIONI


Romina: Era fin troppo prevedibile, vero? Spero solo che il finale non ti abbia troppo deluso!

Ellemyr: Sono contenta che ti abbia fatto piacere rivedere i deliziosi protagonisti della Prova del Drago, perché è stata proprio questa la ragione che mi ha convinto a scrivere questa piccola storia, che infatti è una vera e propria fanfiction nel vero senso del termine, cioè l'omaggio di un fan accanito!

Se qualcun altro fosse colpito, nel bene o nel male, dal mio talento imitativo e volesse lasciare un commento, sappia che risponderò qui. Grazie a tutti coloro che hanno letto, che hanno commentato o che hanno tenuto d'occhio questa piccola storia, mettendola tra i loro preferiti. Ma soprattutto grazie ancora alla mia Elfie, prima per avermi deliziato con le avventure dei suoi personaggi e poi ancora per avermi ispirato questo sequel senza pretese al mondo da lei inventato e avermi permesso di condividerlo con voi.

     

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=275734