Cut the bond

di Princess of Dark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un incontro illuminante ***
Capitolo 2: *** In viaggio verso l'inferno ***
Capitolo 3: *** Una cenetta in famiglia ***



Capitolo 1
*** Un incontro illuminante ***


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Capitolo 1


«Un altro per favore»
«Se una donna si ubriaca c’è sempre un motivo».
Una voce profonda mi distrasse dal fondo del mio terzo bicchiere di vodka e rum e mi costrinse a voltarmi. I miei occhi si posarono automaticamente su un paio di labbra sottili tirate negli angoli a formare un sorriso impertinente per poi finire negli occhi piccoli, scuri e intensi dell’uomo che mi stava scrutando attentamente.
«Sei troppo lucido per comprendere i motivi di un’ubriaca», sorrisi io, senza perderlo di vista anche quando un gruppetto di giovani gli passò davanti per andare a sedersi. La musica era assordante, anche se al bar il volume era più basso e non rimbombava nella testa ma il liquore iniziava a farsi sentire: mi pareva che il pavimento ondeggiasse sotto di me appena mi mettevo a fissare le linee delle sue mattonelle scure.
«Peccato, sembravano interessanti…», ammiccò malizioso, cogliendo un bagliore divertito nei suoi occhi.
Cosa fa? Tenta di flirtare con me?
«Un drink per il signore», feci al barman, indicandogli l’uomo alle mie spalle, il quale sembrò accettare l’invito sedendosi accanto a me sullo sgabello.
«Sei da sola?». Annuii, facendo un cenno col capo verso il bicchierino pieno davanti a lui. Lo afferrò con sicurezza e bevve tutto d’un fiato, facendo poi una smorfia. «Mi hai ordinato roba forte», ridacchiò, fissando il fondo vuoto del bicchierino con soddisfazione. Risi divertita, giocherellando con la cannuccia del drink che avevo ordinato prima. Il mio sguardo cadde sulla sua mano zeppa di anelli e sul tre che aveva tatuato al di là del pollice.
Un tipo davvero strano se non altro egocentrico, a giudicare dal suo abbigliamento.
«Ora posso conoscere i tuoi motivi?», fece lui curioso come un bambino, distogliendomi dai miei pensieri mentre mi concentravo su quel piccolo numeretto, certa di averlo già visto da qualche parte. Forse era un tatuaggio che andava di moda, che avevo visto su qualche rivista o su qualche vip di turno.
I suoi occhi non mi mollavano per un secondo, si era messo con le dita intrecciate vicino alla bocca e i gomiti poggiati sul bancone per osservarmi meglio.
«Mi sembra ovvio, no? Se una donna si ubriaca, è sempre per problemi di cuore»
«Ti ha mollato il ragazzo?», azzardò.
«No», tagliai corto con leggerezza. «Mi ha chiesto di sposarlo», aggiunsi subito dopo, mandando giù in un solo sorso il whisky. La sua espressione spavalda si dissolse in fretta per lasciare posto a una sincera smorfia di confusione. E non aveva tutti i torti: chiunque avrebbe reagito alla sua maniera nel sentirsi dire che mi stavo ubriacando perché il mio ragazzo voleva trascorrere il resto della vita con me.
«Credo ci sia qualcosa che mi sfugge… forse non ho bevuto abbastanza». Mandò giù un altro bicchiere. «Voi donne non aspettate questo genere di proposte da tutta una vita?», aggiunse perplesso.
«Certo, se ce lo chiede l’uomo della nostra vita»
«Ah… il tuo è quello sbagliato, suppongo». Scoppiai a ridere inspiegabilmente: dire che era “quello sbagliato” era poco ed era troppo facile. Appoggiai delle banconote sul tavolo e feci un saltello per scendere giù dallo sgabello, barcollando. L’uomo fu abile a intervenire sostenendomi per le braccia.
«Inizia a girarmi troppo la testa»
«Non sei astemia, vero?»
«Forse è meglio che vada a casa, non voglio scoprirlo», farfugliai, guardandomi intorno in cerca della mia borsa senza accorgermi che in realtà l’avevo già a tracolla perché non l’avevo mai tolta.
«Non puoi mica metterti a guidare così, ti accompagno io»
«Non posso lasciare l’auto qui fuori…»
«Andiamo con la tua allora». Mi aiutò ad arrivare al parcheggio senza che cadessi e, dopo avergli indicato l’auto e dato le chiavi, mi fece sedere e mi allacciò la cintura come se fossi una bambina. Mi chiese l’indirizzo e partì.
Restai a fissarlo per tutto il tempo, passando dai suoi capelli scompigliati al suo pizzetto curato, per poi notare gli abiti stracciati e le cinture stravaganti che indossava. Aveva davvero qualcosa di strambo e, cosa più buffa, mi dava l’impressione di averlo già incontrato.
«Ti ho già visto da qualche parte»
«Possibile», sorrise.
«Lavori in zona?»
«No, in realtà sono qui proprio per distrarmi dal lavoro. Mi dici tu quando siamo arrivati?»
«Quell’edificio giallo, abito lì». Drizzai la schiena, ricomponendomi sul sediolino e indicando l’edificio giallo in fondo al viale buio che per un breve tempo fu illuminato dai fari della mia auto.
L’uomo spense il motore proprio sotto il mio palazzo e mi guardò come in attesa di qualcosa.
«Come tornerai a casa?», gli chiesi scendendo dall’auto.
«Prendo un taxi», m’informò lui, imitando il mio gesto e richiudendo lo sportello con la chiave per poi lanciarmela al volo.
«Perché non sali sopra? Ti offro qualcosa… magari un caffè, abbiamo già bevuto troppo», sorrisi un po’ imbarazzata, facendogli un cenno verso il portone. Lui parve esitare, guardandosi le spalle per chissà quale motivo prima di fissare la casa con circospezione. Forse si stava chiedendo se fosse una cosa giusta, visto che gli avevo detto che stavo per sposarmi. «Abito da sola», aggiunsi.
«Questo rende tutto più facile», rise, avanzando verso di me.
Quando entrò in casa, si guardò attorno incuriosito, soffermandosi su alcune fotografie che mi ritraevano da bambina con la mia famiglia o assieme alle mie amiche. Io mi sfilai le scarpe e alzai i capelli con una grossa molletta a forma di fiocco, invitandolo ad accomodarsi sul divano in soggiorno.
«Hai una casa molto grande per viverci da sola», osservò sospettoso, senza smettere di posare i suoi occhi ovunque, anche se era seduto. Per fortuna avevo messo in ordine prima di uscire a cena con Sal.
«Il mio ragazzo si ferma qui durante il weekend. E ogni tanto mi fanno visita i miei genitori», gli spiegai, sedendomi accanto a lui.
«Da quanto tempo state insieme?»
«Oh… ci conosciamo praticamente da una vita. Le nostre famiglie sono molto amiche e…»
«… e quindi sei senza scampo», concluse lui tirando un sospiro e mi parve che avesse compreso appieno il succo della situazione.
«Proprio così. Come lo prendi il caffè?». Feci per alzarmi ma lui mi bloccò, afferrandomi per un braccio, e i suoi occhi quasi mi minacciarono di non muovermi di nuovo.
«Al diavolo il caffè», sussurrò enigmatico, attirandomi a sé di colpo. Rimasi lì immobile, trattenendo il respiro, lasciando che quel perfetto sconosciuto infilasse prepotentemente la lingua nella mia bocca. La sua mano scorreva lentamente, in contrasto con le sue labbra, lungo la schiena.
Era la prima volta che facevo entrare un estraneo in casa mia, la prima volta che permettevo a qualcuno che non conoscevo di baciarmi o anche solo di toccarmi in quel modo.
Iniziò a baciarmi la mascella, poi il collo, strappandomi un sospiro sonoro dalle labbra. Stavo diventando gelatina tra le sue braccia.
Andava contro ogni mia legge morale ma lui era diverso, non riuscivo a resistere alle sue labbra bollenti che mi stavano accarezzando la pelle provocandomi un milione di brividi, al suo sorriso enigmatico, a quello sguardo così intenso che minacciava di friggere tutti i miei ormoni da quando si era poggiato su di me.
Allacciai le mani intorno al suo collo e lo avvicinai al mio viso nuovamente in cerca delle sue labbra. Era da tanto che qualcuno non mi baciava con così tanta passione, anche Sal aveva dimenticato come mi piacevano i baci: giocando con la lingua, succhiandoci il labbro esattamente come stava facendo lui adesso.
Lo sentii ansimare quando gli morsi il labbro inferiore e le mie mani gli accarezzarono il petto, tastando il suo corpo e le sue braccia forti e andarono a finire sull’orlo della maglia che iniziai ad alzare. Senza staccare le labbra dalle mie si sollevò in ginocchio e perse l’equilibrio per un secondo quando si sfilò la maglietta, aiutando anche me a liberarmi di quel primo indumento.
Domani avrei dato la colpa ai drink, mi conoscevo, la mia mente era annebbiata, completamente offuscata dal profumo del suo dopobarba e della sua pelle.
Quando mi riabbassai lui mi fissò per un attimo negli occhi così insistentemente che quasi m’imbarazzai, poi sorrise e si chinò sul mio petto portando con sé le bretelle del reggiseno per abbassarmelo. Si concentrò sul mio seno e scivolò giù baciandomi l’ombelico, giocando con il bordo dei pantaloni prima di liberarmi anche di quelli. Lo desideravo tanto e, ubriaca o no, non m’importava se per la prima volta stavo tradendo il mio ragazzo.





Ciao a tutte ragazze!
Alcune di voi mi conoscono già, per altre sono "nuova". e probabilmente eravate già a consocenza del fatto che stavo pensando di scrivere qualcosa di nuovo... Dire che ho seguito l'istinto è dir poco!
Sono ancora molto indecisa sulla storia, sul titolo, sul rating, sui nomi, ma in realtà rimandavo solo per paura... E allora ho pensato o la va o la spacca... ed eccomi qui.
Forse è banale come inizio ma è tutto calcolato u.u e di certo avremmo abbastanza spazio per le sorprese e i colpi di scena... e chi ha letto le mie storie precedenti sa esattamente di cosa parlo.
Per il momento, questo è tutto... avrei bisogno di vostri pareri perché la storia è ancora in fase "la scrivo o non la scrivo?" xD so già che mi darete la giusta carica e l'entusiasmo per continuare!
Ho provato a fare una sottospecie di immagine per la storia, non è venuta benissimo ma non mi lamento. Potete riconsocere ovviamente come sfondo Johnny assieme alla bellissima Winona e, in basso, Mila Kunis (di profilo si somigliano un po' ahaha) Per chi volesse conoscermi meglio, potete leggere le mie precedenti fanfiction su Johnny Depp: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1038530&i=1 e http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1572113&i=1



 

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Capitolo 2
*** In viaggio verso l'inferno ***


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Capitolo 2


Il campanello trillò di nuovo, stavolta più a lungo, come se la persona dall’altra parte della porta si fosse stufata di aspettare e avesse attaccato il dito sul pulsante.
Sobbalzai dal sonno, drizzandomi a sedere e guardandomi attorno spaesata. Ci misi alcuni secondi a realizzare che non ero in camera da letto ma che avevo dormito tutta la notte sul divano e quando tentai di alzarmi anche la mia schiena rimpianse il caro materasso a due piazze. Ricordai cos’era successo la sera precedente e mi alzai di scatto con espressione allarmata, facendo scorrere lo sguardo a destra e sinistra come in cerca di qualcosa. O di qualcuno.
Non ho avuto neanche la brillante idea di chiedergli il nome.
Per fortuna, sebbene non lo ricordassi, se n’era andato senza il minimo preavviso, probabilmente dopo aver aspettato che mi addormentassi. L’avrei ringraziato a vita per avermi risparmiato l’epica scenetta da film in cui avrei dovuto nasconderlo nell’armadio o sotto il letto.
Avvertii un’improvvisa fitta allo stomaco, simile a un pugno dato da parte di qualcuno veramente incazzato. Cos’era? La mia vocina interiore che urlava “Cosa diavolo hai combinato?!”.
L’ennesimo scampanellio mi ricordò il frustrante motivo per il quale mi ero svegliata così bruscamente e corsi verso la porta per aprire, quasi inciampando nelle scarpe che mi ero tolta ieri.
«Ce ne hai messo di tempo!». Sal entrò in casa abbastanza infastidito, facendo rumore mentre trascinava in stanza il suo trolley blu da viaggio e si richiudeva la porta alle spalle. Indietreggiai, incrociando le braccia al petto nel tentativo di coprirmi dalla sottile canotta che indossavo.
Come se non mi avesse mai visto nuda!
«Sono stato mezz’ora fuori alla porta»
«Scusa», mugolai, senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi dopo quello che era successo. Sal si accorse subito dal mio tono di voce diverso dal solito che c’era qualcosa che non andava. Ci conoscevamo da tanto tempo ormai ed era impossibile nascondergli il mio umore. Si voltò e mi fissò perplesso mentre sul volto si dipinse una strana espressione che mi metteva a disagio.
«Non dirmi che stavi ancora dormendo…», accennò con tono predicativo, lasciando che le braccia gli cadessero molle lungo i fianchi.
«No», feci prontamente, alzando lo sguardo, «cioè sì, mi ero appisolata», aggiunsi dopo una sua occhiataccia che voleva dirmi “a chi vuoi darla a bere?”.
«Hai delle occhiaie… non sei riuscita a dormire?»
«Vuoi un caffè?», deviai il discorso, sfuggendo alle sue mani e al suo sguardo indagatore mentre mi aggrappavo al pensile in cucina alla ricerca del barattolo di caffè. Me ne serviva almeno un litro per riprendermi.
«No, l’ho preso al bar in stazione», fece lui e lo sentii armeggiare con il trolley. Aprì la zip in un solo colpo e iniziò a borbottare qualcosa. «Mi hanno spostato la riunione a mercoledì per questo sono venuto in anticipo»
«Ma mercoledì…»
«… saremo dai miei», concluse prima di me. «Ho preso i biglietti anche per i tuoi genitori, penso dovresti avvisarli perché partiamo fra tre giorni»
«Cosa?». Mi voltai di scatto e lo fulminai con lo sguardo, guardandolo incazzata nera.
«Ne avevamo parlato ieri sera… per festeggiare il nostro fidanzamento…»
«Lo so, me lo ricordo, ma non pensavo di partire subito con i miei genitori»
«Lo sai che i miei ci tengono, è una vita che sognano questo evento»
«Non c’era bisogno di fare tutto così in fretta!», esclamai allarmata, accendendo il fornellino per fare il caffè. «Cioè… ieri sera abbiamo deciso e sei già andato a comprare i biglietti… devo ancora metabolizzarlo», farfugliai nervosa, sbattendo l’anta del mobile di scatto. Gli diedi nuovamente le spalle per evitare di vedere la sua faccia delusa: mi sarei sentita ancora più in colpa.
Sal aveva il brutto vizio di correre, correre e correre: bastava progettare una cosa e due secondi dopo era già fatta. Era come entrare in un negozio di abbigliamento e starsene davanti ad uno specchio indecisa sull’acquisto mentre lui aveva già comprato quattro maglie e due jeans. Odiavo andare di fretta.
«Sei nervosa?». Il suo tono di voce si fece improvvisamente più apprensivo e rilassato, sentii il suo fiato sul collo e una mano che si posava leggera sul fianco per poi accarezzarmi. Era strano sentirla sulla mia pelle impudica dopo che altre mani c’erano passate sopra.
«Io… ho pensato a tante cose», annuii poco convinta, inarcando la schiena quasi per staccarmi dalle sue mani. Mi fece voltare e incrociai i suoi magnifici occhi azzurri: erano capaci di cogliere al volo ogni mio stato d’animo. Speravo davvero che non capisse che quello che provavo ora era rimorso: nel guardarlo preoccupato per me, con un sorriso innamorato stampato sul volto, mi sentivo terribilmente in colpa a pensare che avevo fatto sesso con uno sconosciuto sul divano dove ci accoccolavamo la sera a vedere film drammatici.
«Anch’io dalla felicità non ho chiuso occhio», sorrise raggiante, stringendomi in un forte abbraccio. Quanto mi sentivo sporca nel ricambiare quell’abbraccio, quanto desideravo che ieri sera non fosse accaduto nulla.
Non avrei mai dovuto far salire quell’uomo in casa, anzi non sarei mai dovuta andare a quel locale. O forse non avrei dovuto dire di sì così precipitosamente: il suo modo di fare tutto alla svelta mi stava contagiando e così mi ero ritrovata a dire subito “sì” alla domanda che avrebbe cambiato per sempre la mia vita.
«Avviso i miei della partenza», feci infine, staccandomi dal suo abbraccio.
«Vado a comprare le ultime cose da mettere in valigia e poi andiamo a pranzo fuori»
«No, oggi meglio di no», tagliai corto, smorzando il suo sorriso entusiasta. «Sai, voglio fare una lista di tutto quello che ci occorre e andare dall’estetista per la ceretta e...»
«Ok, ok, a stasera», rise lui. «Ti amo mogliettina», aggiunse in un sussurro prima di sparire dietro la porta d’ingresso. Tirai un sospiro: dover fingere di non avere i postumi di una sbornia era davvero un’impresa.
Mi sentii improvvisamente in trappola e, a questo punto, penso di dovere a tutti delle spiegazioni.
I miei genitori lavoravano per quelli di Sal all’azienda di famiglia, la Klayton Society, da circa vent’anni il che voleva dire che alla base c’era un rapporto di profonda amicizia, di vacanze trascorse insieme, regali ai compleanni e lunghe chiacchierate davanti a una tazza di the. I Klayton mi amavano come se fossi la loro figlia femmina mai avuta, dato che Sal aveva solo un fratello, e lo stesso valeva per i miei genitori che desideravano tanto un figlio maschio ma non erano stati così fortunati. E se due più due fa quattro, non ci voleva di certo un indovino per capire che stavano aspettando da sempre il nostro fidanzamento. Era già tutto programmato dall’inizio, come se fosse scontato che con il tempo ci saremmo affezionati al punto da amarci e decidere di sposarci. In effetti, non avevano tutti i torti perché con il passare degli anni crescevamo insieme e diventavamo entrambi consapevoli del fatto che stavamo bene assieme.
E così a distanza di vent’anni Sal Klayton mi aveva fatto la fatidica proposta.
Chiusi gli occhi e mi apparì l’immagine di Sal inginocchiato di fronte a me, con in mano la scatolina aperta per mostrarmi l’anello con il diamante sbrilluccicante, che tutto contento mi sorrideva dopo avermi chiesto “vuoi diventare mia moglie?”.
Sebbene avessi già capito tutto, dalla gita in barca alla cenetta romantica a lume di candela, ero rimasta senza parole. Non che fossi sorpresa ma semplicemente non mi ero preparata perché non sapevo cosa rispondere: mi univa a lui un incondizionato affetto ma non sapevo se poteva definirsi “amore”.
Ma i Klayton si aspettavano che Sal me lo chiedesse e i miei che acconsentissi.
Ed io mi sono sentita in dovere di accettare per il bene delle nostre famiglie, avevo paura di creare uno scompiglio e un grosso litigio che avrebbe portato alla rottura dei loro affari: dopotutto i miei lavoravano per i Klayton e potevano essere licenziati in qualsiasi momento. Non me lo avrebbero mai perdonato. Dovevo decidere se accontentare me o gli altri.
In poche parole, sono nei casini.
Composi di corsa il numero dell’unica persona che avrebbe potuto comprendermi e aiutarmi e dopo un paio di squilli rispose la sua voce squillante registrata.
«Qui è Estrelle, al momento sono fuori, lasciate un messaggio»
«Sos migliore amica, ho un disperato bisogno di te, richiamami appena puoi!».
E ovviamente Estrelle era corsa subito da me, neanche avesse le ali sotto i piedi.
«E quindi hai detto sì…», sospirò Estrelle, guardandomi con compassione manco dovessi scalare l’Everest. Lei era una tipa che andava assolutamente contro i fidanzamenti così ufficiali, non le piaceva avere il fiato sul collo. Io le ripetevo che lo diceva solo perché non si era ancora ritrovata con i piedi dentro una storia seria: Estrelle era molto bella da potersi permettere di cambiarne uno a settimana, dai capelli neri che scendevano in boccoli lungo la schiena e un paio di occhi a cerbiatta scurissimi che trasudavano erotismo appena si posavano su qualche essere di sesso maschile. Se non fosse la mia migliore amica potrei odiarla, ma solo per invidia: lei era tutta la sicurezza, la ribellione, la spavalderia che non avevo mai avuto. Lei non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, era un mix di fierezza e consapevolezza di sé.
«Non potevo dire di no, avevano programmato tutto da anni… hanno invitato me e i miei genitori a passare la settimana nella loro casa estiva per festeggiare il nostro fidanzamento… come farò a fingere di essere entusiasta?!»
«Ubriacati», sbottò con un sorriso perfido e per poco non la divoravo con lo sguardo. Non doveva dirlo, non dopo aver saputo della mia avventura post-sbornia.
«Ti ho già raccontato che effetto mi fa l’alcool»
«La casta e pura Isabel Layport è stata a letto con un sexy sconosciuto da orgasmi multipli. Stento a crederci», mi prese in giro, alzandosi dal divano appena in tempo per scansarsi una spinta con piede destro.
In realtà appena gliel’avevo detto ed ero scoppiata in lacrime era stata più premurosa di una madre, mi aveva sostenuta e mi aveva aiutato ad affievolire i sensi di colpa sostenendo che dovevo prendermi un po’ di tempo per me stessa e per decidere cosa volevo davvero. Ma Estrelle era fatta così, dopo la parte “seria” preferiva scherzarci su… e in effetti era una buona strategia per affrontare i problemi.
«Dico a Sal di dormire a casa. Resta con me ti prego o resterò ad autocommiserarmi su quanto la mia vita farà schifo»
«Non ti lascerei per niente al mondo in piena crisi pre-matrimoniale con un barattolo di nutella nel mobile», sorrise facendomi un occhiolino. La ringraziai a mia volta con un sorriso. La sua presenza mi avrebbe fatto bene, come sempre.
«Allora? Ci guardiamo un film?». Estrelle si avvicinò a me ed io annuii rannicchiandomi con le ginocchia al petto per lasciarle spazio accanto a me sul divano.
«Vediamo cosa trasmettono», le proposi, puntando un dito verso il telecomando. Lei iniziò a fare zapping trai canali fino a quando non vidi nello schermo un volto conosciuto.
«Ferma! Vai indietro!», esclamai di botto, scattando in piedi sui talloni. Estrelle sobbalzò e obbedì, tornando indietro di un paio di canali.
«The rum diary», lesse. «Ne ho sentito parlare, guardiamo questo?»
«Non è possibile», sussurrai ad alta voce anche se stavo parlando con me stessa, lì impalata come una mummia con un’espressione stralunata in volto. Sullo schermo del televisore, a recitare accanto ad una donna dai capelli biondi, c’era l’uomo dagli occhi cioccolato. Quello che ieri sera mi aveva aiutata nel mio piccolo sfogo e che mi aveva gentilmente e innocuamente ripotata a casa. «Ma… è lui».
Magari gli somiglia soltanto, non agitarti troppo. È impossibile che sia proprio lui…
«Johnny Depp», precisò lei accanto a me. «Quanto è bono in questo film!», squittì un secondo dopo. Un primo piano mi fece notare il neo che aveva sul sopracciglio destro e quel suo modo di aggrottare la fronte come quando era perplesso mi convinse che si trattava davvero dell’uomo del locale. Rimasi a fissare Johnny Depp che recitava, sorridendo con quelle labbra così sottili e mi venne in mente quando quelle labbra si erano posate avidamente su di me.
«No, Elle, è lui!», urlai alzandomi dal divano. «Johnny Depp ha un tre tatuato?»
«Sulla mano sinistra», annuì Estrelle, senza distogliere lo sguardo da me. Lo ricordavo bene il tre sulla mano sinistra, ricordavo bene quel neo, quelle labbra, le fossette che si formavano quando sorrideva: ogni dettaglio combaciata con l’uomo nello schermo davanti a me.
«Ho fatto sesso con Johnny Depp», mugolai con un filo di voce. Avrei riso io stessa delle mie parole al dir poco assurde, se non fosse che ero davvero convinta di averlo spogliato proprio lì su quel divano. Elle invece scoppiò a ridere e annuì, sistemandosi più comodamente sul divano.
«Ti sbagli, era un’orgia. C’eravamo anch’io e Bradley Cooper»
«Estrelle! Ti giuro è identico»
«Isa sei andata in un locale a sfondarti di alcool e sei andata a letto con uno sconosciuto, il tutto dopo esserti fidanzata ufficialmente. Non eri del tutto sobria, non aspettarti che ti creda ciecamente»
«Ubriaca o no me lo ricordo», bofonchiai, sempre più convinta di me mentre mi avvicinavo allo schermo del televisore. Proprio quando la sua faccia stava per ricevere un altro splendido primo piano Elle spense il televisore e mi guardò seriamente preoccupata prima che l’ombra di un sorriso spuntasse sul suo viso.
«Faresti meglio a dimenticare quello che è successo e pensare alle bomboniere», aggiunse con un tono scherzoso.
«Stronza», risi io, tirandole dietro il cuscinetto del divano.
 
Tre giorni dopo, avevo velocemente riepilogato tutto quello che mi ero portata dietro e mi ero chiusa la porta alle spalle dopo aver trascinato sulla soglia di casa tutte le valige, con la strana sensazione di aver scordato qualcosa.
Sal stava imprecando perché non riusciva a caricare la borsa più grande sull’auto mentre Estrelle, che era venuta a salutarci, mi teneva la borsa mentre chiudevo a chiave. Mi tirai su e lei me la restituì, senza smettere di guardarmi. Stava cercando di decifrare il mio stato d’animo visto che prima era piombata in casa nel bel mezzo di una mia crisi con tanto di lacrimoni mentre Sal era andato a fare benzina.
Stai tentando di analizzarmi, Estrelle McCall?
«Sei sicura di quello che vuoi fare?», mugolò quando alzai lo sguardo su di lei. Era la prima volta che la vedevo così ansiosa e preoccupata. Alzai le spalle.
Si vede così tanto che non ho voglia di partire?
«Non lo so, Elle… credo che questa settimana mi aiuterà a scoprirlo»
«Oh, certo, vivere assieme ai tuoi suoceri milionari che ti stanno col fiato sul collo, in una casa di due piani con un’immensa piscina e un campo da golf privato e un’equipe di camerieri ti sarà certamente d’aiuto», borbottò fingendosi pensierosa mentre si strofinava il mento, senza preoccuparsi di nascondere la punta d’ironia. Non le era mai piaciuto che Sal fosse così ricco, diceva che lo rendeva un damerino viziato che voleva tutto e subito, era chiaro che non conosceva bene Sal né aveva intenzione di scoprire com’era.
«Non essere così cattiva con loro», risi io.
«Lo sai che non posso sopportare i damerini viziati», bofonchiò alzando gli occhi al cielo.
«Isa? Ti muovi?!», urlò Sal, affacciandosi dalla macchina sulla quale stava caricando le ultime valige.
«Arrivo!». Rivolsi un’altra occhiata a Estrelle, non avevo il coraggio di andarmene.
«Perché non vieni con noi?»
«Grazie ma mi risparmio il quadretto dell’allegra famiglia del mulino», fece ironica, accennando una risatina che mi fece sorridere amaramente. «Ma per qualsiasi cosa, fammi un fischio»
«Isa?», mi chiamò Sal nuovamente, stavolta più spazientito.
«Vai, prima che il damerino si arrabbi sul serio. Potrebbe mandarmi il suo equipaggio armato a fucilarmi». Ridemmo alla sua battuta e mi chiesi come avrei fatto, per una settimana intera, a starle lontana.
Estrelle si affrettò ad abbracciarmi forte e mi gustai tutto il calore della mia migliore amica.
«Ti voglio bene»
«Chiamami quando arrivi. E se dovessi incontrare qualche figo al bar, fammene anche due di fischi», mi fece un occhiolino ed io entrai in auto ancora ridendo.
«Non vi entra in testa che non stiamo partendo per una missione in Afghanistan», commentò sarcastico, mettendo in moto.
«Ti sei scordato cosa sono capaci di fare i nostri genitori insieme?», alzai un sopracciglio scettica, strappandogli una risata.


Eccoci con il secondo capitolo! Ho visto che come inizio non è stato proprio un disastro e quindi boh intanto continuo a scrivere! ahahah questo capitolo di "chiarimenti" era necessario, anche se sembra inutile xD
Il prossimo schiarirà ancora di più il rapporto che c'è tra la famiglia di Isabel e quella di Sal e soprattutto... ci sarà Johnny!! Quindi preparatevi u.u
Intanto sono curiosa di sapere cosa ne pensate del famigerato Sal e di Estrelle, commentateli nella recensione!
Spero di sentirvi presto, un bacio!

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Capitolo 3
*** Una cenetta in famiglia ***


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Avrei voluto tanto evitare la scena del nostro arrivo in territorio nemico.
Appena Sal ebbe parcheggiato dinanzi al viale alberato, mia madre si scaraventò fuori dall’auto. Era tutta euforica per la notizia del nostro fidanzamento ufficiale ma soprattutto perché avrebbe trascorso una settimana intera nella tenuta estiva dei Klayton a pochi passi dalle spiagge della California.
Aprì di scatto la portiera e il suo enorme cappello bianco da diva spuntò ancora prima del suo viso rotondo coperto da un paio di occhiali enormi altrettanto da diva e il suo vestito floreale. Sembrava uscita da una pubblicità di abbronzanti. Aveva portato con sé la sua enorme borsa in tela –mia madre adorava le cose in grande, si è visto- e aveva lasciato al povero marito il compito di portare le altre tre valige. Sapevo già che Sal si sarebbe offerto di aiutarlo.
Mentre lei avanzava lungo il viale tutta gongolante spuntai anch’io fuori dalla macchina, esattamente nel modo opposto a mia madre. A me sembrava andare incontro a una prigione che avrebbe esordito la mia condanna a morte e forse era per questo che avevo il viso distorto da un’espressione tesa e nervosa. Ma per fortuna c’era Gabriella Eyre a far cadere di sé tutta l’attenzione. Troppa attenzione. Così tanta da farmi arrossire dalla vergogna se non fosse che i miei futuri suoceri la conoscevano da prima che nascessi.
A volte mi chiedo se sono stata adottata.
«Gabriella, benvenuta!». Una donna bionda spuntò dal nulla, andandole incontro lungo il viale. Non molto alta, dal sorriso allegro e l’espressione rilassata, con addosso un raffinato vestito color prugna abbinato al rossetto. Betty aveva dei gusti più sobri rispetto a quelli eccentrici e pacchiani di mia madre. “Saranno i soldi”, mi ripeté la mia vocina interiore.
Mentre le due continuavano ad abbracciarsi, afferrai il mio trolley e m’incamminai anch’io lungo il viale che portava alla loro enorme villa. C’ero già stata un paio di estati fa, il primo anno che l’avevano acquistata, ed era rimasta quasi uguale a come la ricordavo: un immenso prato curato, le aiuole colorate lungo il vialetto di mattoni, i nani da giardino che mi guardavano sorridenti, il gazebo sotto il quale vi erano dei divanetti e un tavolino di ferro battuto molto elegante. Avevano comprato un’altra altalena sotto l’atrio che portava alla porta d’ingresso e avrei giurato che non ci fossero dei lampioni così grandi intorno alla casa.
Gli occhi di Betty si posarono su di me e il suo sorriso si fece ancora più ampio.
«Isabel», sussurrò dolcemente, aprendo le braccia in attesa che andassi a prendermi il suo abbraccio. Il modo in cui pronunciava il mio nome per intero me lo rendeva elegante e raffinato. «Oh, non vedevo l’ora di riabbracciarti», sussurrò, avvolgendomi nel suo profumo Chanel.
«Sono felice di vederti, Betty», sorrisi io, stringendola. Dovevo ammettere che le volevo bene come se fosse la mia seconda madre, mi riusciva difficile pensarla come una “suocera”. «Paul!», squittì all’improvviso, facendomi quasi sussultare. Mi voltai e vidi mio padre e Sal trascinare a fatica le valige.
«Ciao, Betty!», fece papà, lasciando per un secondo i bagagli per darle un bacio affettuoso sulle guance. Betty diede una carezza affettuosa a Sal, poi fece qualche passo indietro.
«Com’è andato il viaggio? Oh, lasciate stare i bagagli, li faccio portare dentro da Adam. Venite, mando a chiamare John». Forse, per un istante, mi era sembrata più euforica di mia madre. La seguimmo fin sotto casa mentre un ragazzo di colore, Adam, iniziò a caricare le borse su un carrellino e a portarle dentro.
«Ci sono così tante cose di cui dobbiamo parlare! Accomodatevi, faccio portare qualcosa di fresco».
Betty si faceva sempre in quattro per accontentarci. Ci sedemmo sui divanetti di pelle e ci guardammo attorno, osservando John Klayton venirci incontro.
«Paul, vecchio mio!». Il padre di Sal allungò le braccia e strinse papà in un abbraccio affettuoso, dandogli una pacca sulla spalla.
«Ne è passato di tempo!», esclamò papà ricambiando l’abbraccio.
Un anno papà, è passato solo un anno.
Poi rivolse lo sguardo dietro di noi, comodamente sedute in attesa che si accorgesse della nostra presenza. Ci alzammo per andargli incontro e salutarlo.
«Gabriella ti trovo sempre più splendida… come tua figlia». Ci abbracciò e mi diede anche un affettuoso bacio sulla guancia. Il padre di Sal era un uomo degno per ricoprire il ruolo di direttore d’azienda, col suo vestire sempre elegante e il suo sorriso cordiale, anche se quello che aveva sul volto era più di un sorriso di circostanza: gli occhi gli brillavano davvero dalla felicità.
Si sedette accanto a sua moglie, lasciando spazio alla giovane cameriera di poggiare un enorme vassoio stracolmo sul tavolino che ci divideva.
«Allora… presto saremo un’unica grande famiglia», disse lui fieramente, incrociando le braccia per guardare me e Sal con aria trionfante. E ti pareva che doveva andare a finire su questo argomento…
«Quando Sal ce l’ha detto credevamo che ci stesse prendendo in giro!», aggiunse Betty con gli occhi lucidi per l’emozione. Sal rise e iniziò a raccontare a mia madre della loro reazione al telefono, io invece mi limitai a sorridere imbarazzata, deviando lo sguardo e osservando attentamente la ragazza che prendeva le bibite dal vassoio e ce le poggiava sotto il naso facendo lo stesso con gli stuzzichini.
«Oh, non dirlo a me, stavo svenendo», aggiunse Gabriella, prima di abbracciarmi cogliendomi alla sprovvista. «La mia bambina», gracchiò stampandomi un bacio sulla tempia che mi fece storcere il naso.
«Allora John, come va con il campionato di tennis?», fece di botto mio padre e gli fui immensamente grata di aver cambiato discorso. Anche se non era riuscita a distogliere le donne dal loro discorso su tulle e abiti bianchi almeno avevo l’attenzione del Grande Capo su qualcos’altro che non fosse il mio matrimonio.
«Sono arrivato al secondo posto quest’anno», fece con un cenno di amarezza, assaggiando il drink che gli era stato messo davanti. «Ho costruito un nuovo campo qui dietro, vieni, facciamo una partita. Sal, lasciamo le donne ai loro discorsi da donne». I tre uomini si alzarono e ci sorrisero. Io li guardai pregandoli con la forza del pensiero di invitarmi a giocare con loro.
Per favore, non lasciatemi nelle grinfie di queste due…
«… avevamo pensato che potrebbero festeggiarlo anche qui, lo spazio non manca di certo. Ma ovviamente è Isa a dover decidere». Mi voltai verso le due, intercettando metà della frase che stava pronunciando Betty. Osservai le due parlottare sorseggiando il loro drink, annuendo e ridendo di tanto in tanto mentre cercavano di organizzarmi il giorno del mio matrimonio, o meglio, la mia vita. Un senso di panico mi assalì. Non potevo più ascoltare un’altra parola.
«Io vado a farmi un giro, ho bisogno di sgranchirmi le gambe dopo il viaggio», sorrisi e loro annuirono velocemente ritornando a fantasticare tra di loro. Mi allontanai dalla casa, camminando sull’erba curata per andare verso i campi da golf. Sal era seduto su un muretto di fronte al campo e stava osservando il suo cellulare come perso in mille pensieri mentre i nostri genitori stavano improvvisando una partita.
«Hey», sussurrai, sedendomi accanto a lui. Alzò il capo e accennò un sorriso senza emozioni, poggiandomi la mano sul ginocchio. «Qualcosa non va?», aggiunsi.
«No, no è solo… me ne sono accorto che non ti sentivi a tuo agio, mentre parlavano del nostro matrimonio», sussurrò, puntando i suoi occhi chiari su di me. Avvertii una fitta al cuore e mi passò come un lampo la notte che trascorsi assieme a quell’uomo.
«Mi hanno messo solo un po’ d’ansia, lo sai che odio organizzare le cose troppo presto», risi nervosa, gesticolando. Lui sorrise.
«Stai tranquilla, sono tutto fumo e niente arrosto»
«E menomale». Ridemmo e lui fece scorrere la mano lungo il mio fianco, poggiandola sulla vita per attirarmi a sé. Mi poggiai sulla sua spalla e restammo in silenzio a osservare i nostri padri ridere e divertirsi. Dopotutto il matrimonio non era nulla di nuovo, avremmo continuato a essere come adesso. Certo, non sarei potuta andare a ubriacarmi in un locale e fare sesso con gli sconosciuti ma ne avrei fatto volentieri a meno: c’erano voluti quattro giorni per affievolire il senso di colpa e guardare Sal in faccia senza che la mia coscienza mi ripetesse “troia!”.
«Questo è davvero un passo importante», accennò Sal ed io mi staccai da lui per fissarlo perplessa. Aveva appena cambiato espressione e si stava mordendo il labbro come se fosse indeciso se proseguire o no con il discorso. Avevo quasi paura di quello che stava per dire di lì a poco. «Stasera conoscerai mio fratello»
«Cosa?», sgranai gli occhi, allontanandomi da lui di scatto.
Sì, conoscevo i Klayton da quando avevo imparato a camminare e non avevo mai avuto modo di saperne sul loro primogenito. Sal mi aveva accennato che faceva un bel lavoro, che era costantemente in viaggio, che non aveva avuto fortuna con i matrimoni ma ogni volta che gli chiedevo qualcosa… mi diceva che non poteva parlarmene, che c’era una sorta di segreto professionale, che al momento opportuno mi avrebbe detto la verità. Anche i suoi genitori non avevano mai svelato il segreto, tanto che mia madre iniziò a fantasticare sul fatto che fosse una specie di “mostro” di cui si vergognavano, esagerando come sempre.
«Non devo l’ora di conoscere questo famoso fratello», feci trionfante con gli occhi che mi brillavano dall’entusiasmo. Era una gioia troppo grande svelare un mistero grosso come quello.
Restammo alcuni minuti a guardare suo padre battere spudoratamente il mio a tennis, poi Sal scoppiò a ridere.
«Ti ricordi quando ti ho insegnato a giocare?», fece divertito.
«Intendi quando mi sono quasi slogata un polso e abbiamo rotolato per tutto il campo?», bofonchiai con leggerezza, suscitando un’altra sua risata. I suoi occhi però mi guardarono improvvisamente in maniera diversa e le sue mani si poggiarono sulle mie.
«E ricordo anche cos’abbiamo fatto dopo», sussurrò malizioso ed io arrossii subito, mordendomi il labbro e abbassando lo sguardo. «Nel capanno degli attrezzi laggiù», aggiunse indicando col capo alle nostre spalle il piccolo capanno dove i Klayton conservavano tutte le cianfrusaglie per le auto o la manutenzione della casa, del giardino, delle auto.
«Sal!», lo richiamai ridendo, sempre più imbarazzata. Lui rise, strattonandomi per farmi perdere l’equilibrio e farmi cadere tra le sue braccia. Mi circondò la vita da dietro e affondò il viso nel mio collo, trai capelli, annusandoli profondamente, prima di lasciarmi una scia di baci sul collo.
«Sei mia, Isabel Layport», sussurrò. La frase mi fece rabbrividire. In un certo senso ero felice di appartenergli, di essere sua. Ma…

Lasciammo i nostri papà all’ultimo set di tennis e ci dirigemmo verso la casa. Il tramonto era ormai passato, senza che ce ne accorgessimo, e iniziava a sentirsi un leggero venticello. Mamma e Betty erano già entrate in casa e alcune donne in uniforme stavano sistemando un lungo tavolo alle spalle della villa, dove suppongo avremmo dovuto cenare.
«Dove sono John e Paul?», borbottò Betty squadrandoci, alzando il capo dalle riviste che stavano sfogliando sedute alla poltrona.
«Giocano a tennis», le informò Sal, sfilandosi la giacca. Mi tolsi anch’io il mio cardigan, sentendomi più accaldata. O la casa era peggio di un forno o la temperatura era salita dopo quello che era successo con Sal.
«Quei due sono peggio dei bambini», rise Betty scuotendo il capo.
«A cena si lamenteranno dei dolori alla schiena», replicò mamma divertita. «Oh, guarda! Kate è di nuovo incinta?», squittì cambiando argomento, catturando l’attenzione di Betty. Sal si morse il labbro per non scoppiare a ridere mentre io non riuscii a trattenere un risolino. Betty mi guardò di nuovo.
«Ah, le valige sono già in camera tua, fai una doccia se vuoi. Tra un’ora sarà pronta la cena»
«Sì, grazie». Ricambiai un sorriso e lasciai di sotto Sal con le due oche pettegole, salendo lungo le grosse scale di legno. La mia stanza era sempre la stessa da quando avevo dieci anni: non era cambiato niente dall’ultima volta che ero stata qui. Il grosso letto a sinistra, l’armadio sulla destra, uno specchio di quasi due metri nell’angolo, un balcone con un piccolo terrazzo di fronte a me. Il tutto sui colori del bianco, decorato di fiori rosa e foglie bianche e oro. Aprii la valigia riposta ai piedi del letto e impilai tutti i vestiti sul letto.
Li avrei sistemati più tardi. Rimasi a fissarli.
Cosa mi metto per la grande cena col fratello misterioso?
Optai per un semplice tubino blu. Magari era un tipo che non amava particolarmente le cose troppo appariscenti. Presi l’accappatoio e tutto l’occorrente e mi precipitai nel bagno.
Che poi il bagno è più grande della mia casa.
Gettai uno sguardo all’invitante vasca di marmo e alla grande quantità di bagnoschiuma, oli e profumini e così cedetti alla tentazione di crogiolarmi in una vasca d’acqua bollente con tanto di bollicine profumate: anche in estate era un lusso che non potevo rifiutare di concedermi.
I nostri genitori sembravano essersi messi il vestito più bello per l’occasione: Betty indossava un elegante abito che scendeva morbido lungo i fianchi di un violetto quasi nel nero con una grossa spilla di brillanti e nastrini che scendevano sul seno, mia madre si era portata indietro il vestitino rosso con lo scollo a V contro la volontà di mio padre che, come il papà di Sal, si era messo in giacca e cravatta.
Quando guardai Sal, ripensai a quanto era dannatamente bello. Com’era possibile che fosse mio? Che stava per sposare me? Indossava dei pantaloni color sabbia abbastanza aderenti abbinati ai suoi capelli e una camicia bianca leggermente sbottonata verso il colletto. Aspettai che gli altri fossero usciti per andargli vicino, afferrandolo per il collo della camicia per attirarlo verso di me.
«Come siamo sexy», sussurrai scherzosa sulle sue labbra.
«Potrei dire lo stesso di te, miss Layport», ricambiò con un sorriso, baciandomi dolcemente mentre faceva scorrere le mani lungo la mia schiena, fermandosi sul mio posteriore.
«Giù le zampe», lo rimproverai dolcemente. «Si stropiccia il vestito»
«Staresti meglio senza», fece lui con le pupille dilatate per l’eccitazione.
«Tuo fratello poi si farebbe un’idea sbagliata su di me, vedendomi nuda a tavola»
«Scema». Ridemmo e lui mi prese per mano, portandomi fuori.
Sembrava pieno giorno: la villa era illuminata da tanti lampioni dalla luce abbagliante e qualcuno puntava sulla tavola in veranda, affacciandosi sull’altra parte della villa che era impossibile da vedere appena arrivati. La tavola era già apparecchiata, il vino sommerso dal ghiaccio, il pane era ancora fumante e mandava un odore molto invitante. Al centro della tavola c’erano diverse scodelle con chissà quali prelibatezze.
«Possiamo anche iniziare da soli», fece Betty, invitandoci a prendere posto. Mi sedetti accanto a mia madre e Sal mi seguì mettendosi alla mia sinistra.
«Ma ci manca una testa…»
«Oh, lui ci raggiungerà per il dolce… ha avuto problemi con il viaggio, era molto dispiaciuto»
«Prima vorrei proporre un brindisi», esordì il Grande Capo, alzandosi in piedi con il calice di vino in alto. Betty riempì il mio bicchiere e quello di Sal e tutti imitammo il gesto di alzarci per unire i nostri bicchieri.
«A Sal e Isabel, che ci hanno dato la notizia più bella del mondo. Vi auguriamo tutta la gioia, la serenità, il calore e il sostegno che una famiglia può regalare». Le sue parole mi commossero e fui felice di brindare con loro. I camerieri, che osservavano da lontano, partirono in quarta mettendoci dinanzi il primo piatto.
«Granseola al limone e ravioli charmilles», esordì Betty soddisfatta. Non avevo la minima idea di cosa fossero, ma sembravano buoni.
La serata mi fece in qualche modo cambiare idea e mi sentii quasi una stupida per tutte quelle preoccupazioni che mi ero fatta sul matrimonio, sull’entrare ufficialmente in questa famiglia: in realtà non era cambiato molto dagli anni precedenti, anzi, mi sentivo più sollevata ora che non c’erano più quelle battutine allusive del tipo “e voi quando ci inviterete al vostro matrimonio?”. Ero grata a tutti di non aver minimamente accennato al matrimonio dopo il brindisi: chiacchierammo tutta la serata sulla scelta dei cibi, sul lavoro, sui viaggi all’esterno di Betty, sulle marachelle che John e papà avevano combinato da ragazzi.
Era quel che si poteva definire una serata tranquilla e piacevole, in famiglia. Ero fortunata ad averne una così bella. Un rombo di motore ci distrasse proprio quando stavamo ridendo di una barzelletta che aveva raccontato John e gli occhi di Betty s’illuminarono.
«Deve essere lui!», squittì, alzandosi dalla sedia e sparendo in casa.
«Credo di non aver mai riso così tanto, ho i crampi. Mi metti un po’ d’acqua?», sorrisi a Sal che subito mi versò l’acqua frizzante nel bicchiere. Gli involtini di vitello ricoperti da una strana salsa erano buonissimi ma si erano piazzati sullo stomaco e neanche il sorbetto al limone era bastato. Betty si sarebbe offesa se non avessi assaggiato il dolce ed io rischiavo seriamente di scoppiare…
Sal restò a fissarmi mentre bevevo, allungando una mano per accarezzarmi il braccio mentre si stendeva scompostamente sullo schienale della sedia. Mi passai la lingua sulle labbra bagnate.
«Posso chiederti un favore?», mugolò lui. Mi voltai per fissarlo dall’alto.
«Certo»
«Non… non leccarti le labbra davanti a mio fratello. Sei così sexy e…»
«Hai paura che mi possa saltare addosso?», lo presi in giro. All’interno si sentiva la voce di Betty tutta euforica e un rumore di buste, passi e tonfi pesanti.
«Beh si», farfugliò Sal accigliato ed io alzai gli occhi al cielo, rivolgendogli un sorriso complice. I rumori si fecero più insistenti e ora si sentiva chiaramente la voce rauca e profonda da uomo.
«Allora, Sal, dov’è la mia cognata?», esordì in questo modo suo fratello, piombando in veranda improvvisamente, facendoci sobbalzare. La reazione fu simile per tutti quelli che non si aspettavano chi avrebbero trovato dall’altra parte.
Anche la sua corsa si fermò di colpo quando incrociò il mio sguardo e rimase lì impalato esattamente come lo ero io dopo essermi accorta che davanti a me c’era lui. Il sosia di Johnny Depp. O forse era Johnny Depp davvero.
«Tu?», sussurrammo all’unisono con incredulità, con quel che restava della nostra voce. Avevo davvero davanti a me quell’uomo che mi era apparso come un angelo?
Questo è solo un brutto scherzo del destino, non è reale, non è possibile.
Gli altri si accorsero delle nostre occhiatacce e Betty rimase un po’ scossa.
«Vi… vi conoscete?»
«No», feci prontamente, prima che lui potesse aprire bocca e rovinare il mio matrimonio.
«Oh mio Dio, sì!», squittì invece mia madre, alzandosi di colpo dalla sedia. «Non ci credo! Sei proprio tu?». Lo tastò, gli diede dei pizzicotti sulle guance, lo guardò circospetta e incredula. A quanto pare anche mamma, come Estrelle, conosceva bene Johnny Depp.
Io invece ero l’unica a esserci andata a letto senza sapere chi fosse…
«A quanto pare», rise Johnny imbarazzato. «Lei deve essere Gabriella, mia madre mi ha parlato molto di lei», fece cortese.
«Oh, dammi del tu», sorrise sorniona. «Quello intento a strafogarsi il secondo bignè invece è mio marito, Paul», aggiunse indicando nostro padre. Lui, con boccone pieno e lo sguardo di chi è stato colto sul fatto, ci guardò e sorrise imbarazzato, pulendosi le mani con un fazzoletto per stringere la destra a Johnny.
«Piacere di conoscerla»
«Tu sei in gamba, ragazzo», borbottò papà in tutta risposta, dandogli una pacca sulla spalla. Stavo per morire dalla vergogna. Perché i miei genitori dovevano essere sempre così espansivi?!
Sal si alzò, afferrandomi una mano e trascinandomi con sé. Oh no, ti prego!
«Joh, ecco la donna della mia vita e futura moglie, Isabel», fece Sal tutto orgoglioso, facendosi da parte nell’attesa che ci stringessimo la mano. L’unica cosa che mi si strinse nel guardare i suoi occhi scuri fu la gola. Mi ricordai come quegli occhi si erano posati su di me carichi di desiderio, su quel divano, quella notte che pareva tanto lontana e invece era un passato molto recente.
«Ciao», mormorai timidamente, sforzandomi di sorridere.
«Ciao», fece lui altrettanto scosso, stringendomi la mano senza entusiasmo. Se avessi un genio della lampada, il mio primo desiderio sarebbe di diventare invisibile.
«Johnny siediti, ti stavamo aspettando per le torte», fece Betty, cedendogli il posto alla destra del padre che salutò con un bacio veloce sulla guancia.
«Com’è andato il viaggio?», chiese John attento mentre era servito dalla ragazza in uniforme. Johnny restò a fissare come la torta veniva tagliata, facendo spallucce.
«Sfiancante. L’aereo ha ritardato di quasi un’ora e ho dovuto correre per tutto il tragitto per non perdere pure il treno», borbottò contrariato e sulla fronte comparvero tante piccole adorabili rughe.
«Mousse al cioccolato o torta al limone?», fece Betty inopportuna e Johnny indicò quella piena di cioccolato, crogiolandosi nell’affondarci dentro la forchetta.
«Io al limone», fece Sal, prendendosi la sua fetta.
«E tu, Isa?». Betty attese la mia risposta, io invece ero troppo occupata a osservare Johnny e a capire se stessi sognando. Avevo già provato il metodo del pizzicotto e mi ero lasciata anche un rossore abbastanza evidente sull’avambraccio. Sobbalzai, guardando Betty in attesa.
«Oh, io no, grazie»
«Non puoi rifiutare la mousse al cioccolato», fece Johnny improvvisamente, rivolgendomi la parola. Trasalii quando i suoi occhi piombarono su di me. Sta davvero parlando con me? «Questa è da leccarsi i baffi», aggiunse con un sorriso, leccandosi apposta il labbro superiore della bocca sporca di cioccolato.
Oh Dio, datemi quella benedetta mousse.
«O-ok, prendo un po’ di quella», mormorai, allungando il piatto. Betty mi diede una parte più grossa della mia testa ed io assaggiai quella delizia. Era davvero favolosa.
«Buona, eh?», ridacchiò Johnny ed io annuii sorridendo a bocca piena. Poteva essere più imbarazzante?!
«Non posso ancora credere a tutto questo… come è possibile?», sussurrò mia madre e i signori Klayton sorrisero mentre Johnny alzò un sopracciglio incuriosito.
«Abbiamo dovuto tenerlo segreto a tutti per riservatezza… se si sapesse in giro che Johnny è nostro figlio, ci troveremmo costantemente i giornalisti qua fuori e anche la nostra azienda sarebbe costantemente affollata. Era la decisione più saggia: Johnny si è scelto un cognome d’arte ed è volato via dal suo nido». Lei gli rivolse un’occhiata materna, io iniziai a capire cosa intendeva Sal per “uomo in gamba” e “lavoro soddisfacente” e “segreto professionale”. Mi venne un’improvvisa voglia di prenderlo a schiaffi: almeno a me poteva dirlo, doveva fidarsi. Se avessi saputo chi fosse non sarei mai venuta qua, oppure può darsi che quella sera Johnny non sarebbe mai salito da me.
Una cosa era certa: gli occhi di quell’uomo che mi fissava come se volesse dirmi chissà cosa erano davvero insostenibili. Avevo bisogno di andarmene, di assimilare la notizia ed eventualmente di decidere cosa fare. Se Johnny decidesse di dire tutto a Sal?
«Io... sono un po’ stanca», mormorai, scuotendo il capo come a scrollarmi via i brutti pensieri. Mi pulii la bocca col fazzoletto e mi alzai. «La cena è stata ottima, Betty»
«Il viaggio deve avervi stancati tutti… ci vediamo domani mattina per la colazione. Voi rimanete per un caffè?», sorrise Betty concedendomi come il permesso di alzarmi prima di rivolgersi ai miei genitori che accettarono.
«Vado a letto anch’io», fece Sal, alzandosi assieme a me. Johnny ci guardò.
«Buonanotte», esordì anche lui, alzandosi dalla tavola. Per un istante temetti che ci avrebbe seguiti ma invece rimase lì accanto al tavolo e mi poggiò una mano sul braccio per richiamarmi. Mi voltai di scatto e incrociai il suo sguardo. «Piacere di averti conosciuta, Isabel», aggiunse e pareva quasi che volesse sfidarmi. Cos’era? Aveva capito che stavo scappando via da lui? Che non ce la facevo più a reggere il peso di quell’imbarazzo?
Ricambiai con un sorriso imbarazzato e tirai un respiro di sollievo quando entrai in casa. Sal mi venne dietro, avvolgendomi la vita con un braccio e guardandomi preoccupato.
«Tutto ok? Sembri piuttosto scossa, non hai aperto bocca»
«Ti sembro scossa? Forse lo sono!», esclamai facendo attenzione a non alzare la voce, anche se di là stavano già ridendo: riuscivo a distinguere quella calda e seducente di Johnny, un po’ simile a quella di suo fratello. Mi staccai bruscamente dalla sua presa, avanzando il passo.
«Isa!», esclamò cercando di mettersi al mio passo. Lo ignorai. «Sei arrabbiata?»
«Sì», lo liquidai, ignorando il suo sguardo smarrito mentre salivo le scale per raggiungere la mia camera.
«Aspetta! Mi spieghi perché?!», fece esasperato, fregandosene delle ragazze che avevamo incontrato per i corridoi e che ci stavano guardando incuriosite. Arrivammo fuori la porta della mia stanza.
«Potevi dirmelo che tuo fratello era nientedimeno che Johnny Depp! Non immagini quanto mi sono sentita in imbarazzo!». Il ricordo della brutta sensazione dopo averlo visto, del groppo alla gola quando mi fissava, del suo sorriso divertito mentre mi punzecchiava e del mio senso di disagio mi fece salire le lacrime agli occhi.
«Per quale motivo, scusa?», sussurrò lui incredulo, lasciando ricadere mollemente le braccia lungo i fianchi. «Te l’ha spiegato mamma perché non potevo dirti niente». Serrai le mascelle e osservai la sua espressione smarrita.
Cosa ti aspetti, Isabel? Lui non poteva saperlo di certo che ti saresti sentita in imbarazzo perché ci eri stata a letto.
«Senti… sono solo stanca. Ne riparleremo domani, ok?», sospirai, entrando in camera. Avevo bisogno di stare sola e di ragionare. Lui mi fissò esitante.
«Non mi addormenterò sapendo che ce l’hai con me»
«Non ce l’ho con te», ripresi per rassicurarlo, alzando gli occhi al cielo. Dallo sguardo che gli rivolsi, capì che doveva lasciarmi da sola.
«Ok… buonanotte», mormorò poco convinto.
Chiusi la porta alle mie spalle e sospirai di nuovo, sentendo tutta la rabbia e l’imbarazzo sbollire. Qui dentro ero al sicuro da quegli occhi scuri e il sorriso sghembo di quell’uomo. Mi sentivo come in trappola, a metà tra l’essere ancora incredula e spaventata da quello che era accaduto e che sarebbe accaduto nei prossimi giorni.
Il cellulare che avevo appoggiato distrattamente sul letto prima di scendere per la cena trillò.
Tre chiamate perse e un messaggio, da parte di Estrelle.

Da: Estrelle
Oggetto: CERCASI MIGLIORE AMICA!!


E menomale che dovevi richiamarmi!
Non te ne frega proprio niente della tua amica in pensiero per te
L
Come va con l’allegra famiglia del mulino?


Caspita, tra feste e cenette varie mi ero completamente dimenticata di avvisarla! Mi sedetti sul bordo del letto dopo aver scostato un paio di pantaloni e digitai velocemente un messaggio di risposta.

A: Estrelle
Oggetto: Migliore amica ritrovata!


Perdonami mi sono dimenticata di avvisarti!!
Qui tutto bene, a parte un piccolo dettaglio: il mio futuro cognato è Mr sexy sconosciuto da orgasmi multipli…



Ehm, non so se dopo questa mi prenderete a sassate o pomodori in faccia XD L'idea è un po' azzardata ma mi piaceva troppo, quindi vi chiedo di non essere troppo pignole e lasciarvi andare dall'immaginazione u.u
Nonostante tutto, spero che vi sia piaciuto. Ce la metterò tutta a rendere la loro conviventa un inferno! Ops.. hahahaha
a presto!

 

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