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Era pomeriggio inoltrato e diluviava mentre Ali e Hassan attendevano
l’autobus che li avrebbe condotti a casa di un loro paren
Era pomeriggio inoltrato e stava diluviando mentre Ali e
Hassan attendevano l’autobus che li avrebbe condotti a casa di un loro parente
in Hazarajat. I due cercavano di ripararsi alla meglio dalla pioggia
scrosciante che li aveva infradiciati da capo a piedi, mentre tentavano
inutilmente di proteggere le loro povere cose. Nessuno dei due parlava.
L’autobus era
in ritardo come sempre. Ad un certo punto i due si accorsero di non essere più
soli: una terza figura si era come materializzata dalla pioggia e si stava
dirigendo verso di loro. Ali trasalì leggermente e Hassan chinò ancora di più
il capo nel momento in cui entrambi riconobbero Assef, ben riparato sotto un
grande ombrello e con indosso un lungo impermeabile. Lui di certo non si
sarebbe infradiciato fino alle ossa.
“Guarda che
strani incontri si possono fare in un pomeriggio piovoso. Cosa ci fanno i due
Nasipiatti di Amir sotto questo diluvio?” chiese, ostentando interesse.
“Aspettiamo
l’autobus, se ti compiace, agha.” rispose Ali in fretta, sperando che il
veicolo arrivasse al più presto e li salvasse da quella situazione incresciosa.
Lui sapeva che quel giovane era sadico e crudele, sapeva quello che aveva fatto
a suo figlio e desiderava solo non doverlo rivedere mai più.
Assef rise.
“Questo lo
avevo immaginato, visto che siamo alla stazione degli autobus. Quello che
volevo sapere era: perché due inutili hazara come voi dovrebbero prendere
l’autobus? E dove sono i vostri affezionati padroni? Vi hanno concesso una
vacanza?”
L’accenno a
Baba ed Amir colpì dolorosamente Ali e suo figlio. Era passato così poco tempo
dalla loro forzata separazione… Ali non avrebbe mai voluto raccontare i fatti
suoi al suo peggior nemico, ma se non lo avesse accontentato Assef avrebbe
potuto far loro del male e comunque l’autobus sarebbe presto arrivato.
“Non lavoriamo
più per agha sahib. Abbiamo deciso di trasferirci da mio cugino in
Hazarajat. È… la decisione migliore per tutti.” disse a bassa voce. L’ingiusta
umiliazione che lui, e soprattutto Hassan, avevano dovuto subire di fronte a
Baba gli bruciava ancora dentro come un acido.
La novità
inaspettata ebbe il potere di ammutolire Assef, ma solo per pochi istanti. Si
riprese immediatamente, intuendo come poteva sfruttare la nuova situazione a
proprio vantaggio.
“In effetti
quello è l’unico posto dove gli hazara meritano di stare.” replicò.
Fece una pausa
e Ali sperò con tutto il cuore che la risposta lo avesse soddisfatto e che
Assef se ne sarebbe finalmente andato. In fondo non era lui che proclamava che
l’Afghanistan doveva liberarsi dei parassiti ed appartenere solo ai pashtun? A
ben vedere, gli stavano addirittura facendo un favore.
“Riflettendoci,
però, mi sembra uno spreco di risorse. Non sto parlando di te, sei solo uno
storpio e non puoi servire più a niente. Ma Hassan è giovane e, mi dicono,
molto abile nello svolgere i suoi compiti.” Il tono era cattivo e suggeriva
molto più di quanto non potessero fare le parole.
Il ritardo
dell’autobus era preoccupante: forse aveva avuto un guasto o si era bucata una
gomma. In tal caso sarebbero dovuti rimanere lì per ore. Cosa avrebbero potuto
fare?
“A casa mia
avremmo bisogno di un servitore svelto e capace. La maggior parte dei nostri
sono ormai anziani e proprio ieri mia madre se ne lamentava. Credo che le farei
molto piacere se le portassi il piccolo Hassan.” concluse con noncuranza.
“Mio cugino ci
aspetta…” provò a dire Ali, ma sapeva che era perfettamente inutile. Se Assef
aveva deciso di portarsi a casa il ragazzo lo avrebbe fatto; in caso contrario
li avrebbe probabilmente massacrati entrambi di botte prima dell’arrivo
dell’autobus.
“Tuo cugino
sarà ben felice di ritrovarsi una bocca in meno da sfamare. E tu sei così
ansioso di portare il tuo prezioso figlioletto a marcire in Hazarajat? Non è
che un letamaio. In casa mia sarebbe un servitore, certo, ma almeno avrebbe da
mangiare e un tetto sopra la testa.” insisté il giovane in tono quasi
oltraggiato perché la sua generosa offerta non era stata accolta con
l’entusiasmo che avrebbe meritato.
La situazione
stava peggiorando di momento in momento e l’autobus non accennava ad arrivare.
Fu allora che Hassan aprì bocca per la prima volta da diverse ore.
“Se è questo
che agha sahib desidera… forse è davvero meglio così. Agha sahib è
veramente molto gentile ed io non voglio offenderlo ancora con un rifiuto.”
“Vuoi davvero
andare a lavorare per lui?” esclamò Ali, incredulo e sconvolto.
“Agha sahib mi
ha generosamente offerto un lavoro ed io non sono nelle condizioni di poterlo
rifiutare. Non abbiamo niente e non sappiamo cosa ci aspetta in Hazarajat.” In
compenso, Hassan sapeva benissimo cosa aspettarsi se fosse davvero diventato
servitore di Assef, ma era talmente terrorizzato al pensiero che il giovane
potesse arrabbiarsi e fare del male a suo padre da decidere di sacrificarsi
ancora una volta.
“La pioggia
deve avere schiarito le idee al piccolo hazara: è diventato molto più saggio
dall’ultima volta che l’ho incontrato.” ribatté soddisfatto Assef.
Evidentemente la lezione che gli aveva impartito era stata salutare. Non
avrebbe alzato più la cresta, ci avrebbe potuto scommettere.
“Bene, allora
siamo d’accordo.” concluse “Prendi le tue cose e seguimi.”
Hassan obbedì.
Il volto di Ali era una maschera di dolore e preoccupazione e il ragazzo non
ebbe cuore di guardarlo.
“Andrà tutto
bene. Stai tranquillo e abbi cura di te, io me la caverò.” gli sussurrò prima
di allontanarsi.
Ali lo fissò
mentre camminava lentamente sotto la pioggia dietro al suo nuovo padrone,
cercando di imprimersi nella mente ogni particolare della sua figura, consapevole
che non lo avrebbe rivisto mai più.
L’autobus
arrivò pochi minuti dopo, ma per Hassan era già troppo tardi.
La convivenza forzata tra Assef ed Hassan non iniziò sotto i migliori
auspici
Ma nemmeno Ali salì sull’autobus. L’automezzo si fermò
davanti a lui e ripartì, mentre l’uomo continuava a fissare l’angolo dietro al
quale aveva visto scomparire il suo adorato figlio. Quanod Hassan si era
allontanato, seguendo malinconicamente Assef, Ali aveva avuto una sorta di
premonizione, un brivido gelido lungo la schiena che gli aveva fatto pensare
che non avrebbe mai più rivisto il suo bambino.
Improvvisamente prese una decisione: sarebbe tornato
indietro, non importava quanto tempo e quanta fatica ci sarebbero voluti.
Avrebbe fatto ritorno a casa di Baba e gli avrebbe spiegato come stavano le
cose, supplicandolo di intervenire in qualche modo, di andare a riprendere
Hassan e di non lasciarlo nelle grinfie di quel ragazzo malvagio e perverso.
Sapeva che non avrebbe mai potuto rivelare a Baba tutta la verità, Hassan
glielo aveva fatto promettere fra le lacrime durante quella notte terribile di
pochi mesi prima, ma avrebbe comunque potuto raccontare che Assef non faceva
che perseguitare suo figlio ed Amir ovunque andassero, che aveva cercato più
volte di far loro del male e che, se aveva preso Hassan in casa sua, certo era
per qualche scopo crudele.
Amir era chiuso
nella sua stanza, seduto alla scrivania e sfogliava un libro senza riuscire a
concentrarsi sulle parole. Continuava a rileggere la stessa frase senza capirne
il significato. In realtà davanti agli occhi non aveva la pagina del libro,
bensì la macchina di Baba che si allontanava sotto la pioggia, portando via per
sempre Hassan dalla sua vita.
Si ripeteva che
aveva fatto bene, che in quel modo Assef non avrebbe mai più potuto avvicinarsi
ad Hassan per fargli del male e che aveva agito nel modo più giusto. Ma una
vocina irritante gli rimbombava in testa ogni volta che tentava di trovare
qualche scusa plausibile.
“Meglio per
chi? Meglio per Baba, che da quando è tornato si è rinchiuso nello studio,
schiantato dalla perdita dell’amico più caro? Meglio per Ali, umiliato e
costretto a cercare rifugio da dei parenti che forse non lo accoglieranno con piacere?
Meglio per Hassan, mortificato e tradito da quello che credeva il suo amico?
Meglio per chi? Meglio solo per te, che hai allontanato chi poteva dire la
verità, meglio per il tuo senso di colpa. Meglio per te, meglio solo per te,
per quel piccolo egoista viziato che sei. Ti credi poi così migliore di Assef?”
gli ripeteva la vocina.
Amir si tappava
le orecchie, ma non poteva farla tacere, perché la voce non proveniva da fuori,
bensì dalla propria coscienza.
Quanto tempo
era trascorso da quando Baba era ritornato dopo aver accompagnato Ali ed Hassan
alla fermata dell’autobus? Due ore? Forse tre? Ad un tratto Amir udì bussare
alla porta.
Il suo primo
impulso fu quello di lasciar perdere, tanto ci avrebbe pensato qualcun altro ad
aprire; poi, con raggelante certezza, si rese conto che nessuno avrebbe aperto
la porta perché non c’erano più Ali o Hassan a poterlo fare. Quello fu il primo
momento in cui il ragazzino avvertì davvero il vuoto della perdita: niente
passettini affrettati, niente vocetta gioiosa ad avvertire dell’arrivo di un
visitatore. Niente, mai più.
Strofinandosi
bruscamente gli occhi per nascondere le lacrime, Amir si alzò dalla scrivania e
corse di sotto ad aprire all’importuno che continuava a bussare con insistenza.
Grande fu la sua sorpresa quando si trovò di fronte Ali, bagnato fradicio e
tremante, sfinito dalla fatica e con le sue povere cose ancora strette al
petto. Solo gli occhi sembravano mantenere una scintilla di vitalità e lo
fissavano con qualcosa di molto simile all’odio.
“Tuo padre è in
casa, Amir agha? Devo parlargli immediatamente.” disse subito, senza
fingere deferenza verso Amir. Lo riteneva il primo responsabile di ciò che era
accaduto al suo povero bambino.
Amir era
talmente sbalordito da non riuscire né a muoversi, né a parlare. Sarebbero
rimasti lì per il resto della serata se Baba, che aveva udito bussare e poi la
voce, non si fosse precipitato giù a ricevere l’amico.
“Ali!” esclamò
con gioia “Sei ritornato! Sono felicissimo che tu abbia cambiato idea, ma come
hai fatto a fare tutta quella strada a piedi? La tua gamba… sei tutto bagnato,
entra, presto, prima di ammalarti. Ma… perché Hassan non è con te?”
Baba parve
capire in quell’istante che era avvenuto qualcosa di molto grave. Il volto di
Ali si rabbuiò e l’uomo si fece condurre in salotto quasi senza accorgersene.
“Non c’è tempo,
aghasahib, sono tornato per chiedere il tuo aiuto. So di non
meritare niente dopo quanto è successo, ma ora… si tratta di Hassan e tu devi
aiutarmi.”
I due uomini
non si erano accorti che Amir li aveva seguiti ed ora li ascoltava sempre più
pallido. Cosa era successo ad Hassan? Qualunque cosa fosse accaduta sarebbe
stata colpa sua, non poteva fingere di non saperlo. Forse era finito sotto
l’autobus o magari dei soldati lo avevano aggredito? La stanza cominciò a
girargli attorno vorticosamente.
“Stavamo
aspettando l’autobus quando è arrivato Assef agha e ci ha chiesto cosa
facevamo lì. Quando è venuto a sapere che io e mio figlio eravamo diretti in
Hazarajat si è offerto di prendere Hassan in casa sua, come suo servitore
personale.”
“Mi sembra un
bel gesto da parte sua.” commentòBaba che non poteva comprendere la
reale portata della notizia “La famiglia di Assef è molto ricca e immagino che
Hassan starà meglio con loro che in Hazarajat. Ti avevo già detto che non ero
affatto d’accordo con la vostra decisione.”
Amir pensò che
sarebbe svenuto o che avrebbe vomitato sul tappeto. Chi poteva prevedere una
simile mossa da parte di Assef? Era assurdo, grottesco… era come se glielo
avesse consegnato lui personalmente. Cosa aveva fatto? E Baba sarebbe riuscito
a rimediare?
“No, agha
sahib, tu non sai la verità!” insisté Ali, raggelando il sangue di Amir che
si vide smascherato “Assef si comporta sempre gentilmente davanti a te e alle
persone di riguardo, ma è un prepotente ed un arrogante con i più piccoli e più
deboli di lui. Molte volte, incontrandomi per strada, mi ha deriso ed offeso
per via della mia gamba, mi ha tirato contro dei sassi e sono anni che
perseguita Hassan e tuo figlio Amir. Li spaventa, li minaccia ed è giunto fino
al punto di picchiare Hassan perché aveva difeso Amir.”
Baba non sembrò
particolarmente colpito da queste parole.
“Assef è un
ragazzo, Ali, non dimenticarlo. Ha solo un anno o due più di Amir e può
sbagliare e comportarsi male come tutti i ragazzi.” rispose, minimizzando
l’intera faccenda “Certo non mi fa piacere sentire che ti ha offeso o che ha
picchiato Hassan, ma non è la prima volta che tuo figlio torna a casa pesto,
graffiato e sanguinante per aver difeso Amir, visto che lui non sa farlo da
solo. Non sono cose edificanti, questo è vero, ma anch’io ai miei tempi avevo
un brutto carattere e ho fatto spesso a pugni con altri ragazzi. Assef ha
personalità, cosa che ad Amir manca totalmente. Indubbiamente certe volte avrà
esagerato, ma crescendo maturerà. Non penso affatto che abbia preso in casa
Hassan per continuare a perseguitarlo o a fargli del male, è più probabile che
abbia semplicemente voluto fare uno sgarbo ad Amir.”
Sembrò
accorgersi solo in quel momento della presenza del figlio nel salotto.
“Ah, sei qui?
Tu cosa ne pensi, Amir? Non hai mai dimostrato grande simpatia per Assef e
forse ora ne capisco la ragione, ma non vorrai davvero farmi credere che Hassan
corra dei pericoli in casa sua?”
Sotto lo
sguardo duro di Baba e quello intenso di Ali, Amir non poté fare altro che
continuare a mentire.
“No, io… non lo
credo. Però forse dovresti andare a parlarci tu, così vedresti se Hassan sta
bene oppure…”
“Hai una bella
faccia tosta a preoccuparti di Hassan dopo aver fatto tutto ciò che potevi per
mandarlo via. Io sono certo che si troverà molto meglio a casa di Assef che qui
con te in balia dei tuoi capricci. Ad ogni modo andrò a parlare con Assef per
tranquillizzare Ali, ma ad una condizione.” concluse Baba “Tu, Ali, dovrai
tornare a lavorare per me e non voglio mai più sentirti parlare dell’Hazarajat!
Se Hassan è a servire in casa di Assef non c’è più motivo che anche tu debba
andartene, in fondo il vero problema era lo strano atteggiamento di Amir nei
confronti di tuo figlio, non è forse così?”
“Farò quello
che vuoi, agha sahib, ma ti supplico, pensa tu al benessere di Hassan.”
rispose Ali, ben poco tranquillizzato.
Amir ritornò in
camera sua e si buttò sul letto sentendosi soffocare. Aveva sbagliato tutto,
aveva buttato Hassan nelle grinfie di Assef e adesso chissà cosa gli sarebbe
accaduto? Dopo quello che era successo quell’inverno potevano aspettarsi di
tutto da Assef. Perché lo aveva mandato via? Perché aveva voluto credere che
fosse la scelta migliore per tutti, quando invece lo era solo per lui e per i
suoi rimorsi?
Rivedeva
attorno a sé Hassan sorridente, Hassan premuroso che si occupava di lui, che si
batteva per lui, che gli chiedeva una nuova storia, che si allontanava
addolorato ogni volta che lo trattava con freddezza… Era il suo amico, sì, il
suo amico, non solo il suo servo… e lui lo aveva tradito in tutti i modi
peggiori che si potessero immaginare.
Nel frattempo
Assef aveva portato Hassan in casa sua e, dopo aver chiarito che il piccolo servo
sarebbe stato di sua esclusiva proprietà e che avrebbe dovuto rispondere solo a
lui, lo aveva condotto nella sua stanza. Aveva fatto sistemare il materasso e
le povere cose di Hassan nel ripostiglio attiguo alla sua camera, uno stanzino
lungo e stretto con solo una piccola finestrella in fondo. Assef vi teneva gli
abiti e adesso ci sarebbe stato anche il suo servo. Lo voleva a disposizione in
qualsiasi momento e per qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente di fargli
fare.
“Adesso tu
appartieni solo a me e dovrai obbedirmi in tutto.” gli disse, fissandolo con
uno sguardo glaciale “Se ti comporterai bene anch’io ti tratterò bene, ma vedi
di non farmi arrabbiare, ci siamo capiti? Altrimenti sarò costretto a punirti.”
Hassan,
terrorizzato, fece segno di sì col capo. Sperava ancora che fosse tutto un
incubo e che presto si sarebbe risvegliato nella sua casupola, al fianco di suo
padre. Non poteva essere finito davvero nelle mani di Assef.
“Mangerai in
cucina con gli altri servitori, ma non dare confidenza a nessuno e appena hai
finito torna subito nella mia stanza. Anche quando io non ci sarò voglio che tu
lavori qui e solamente qui. Non provare a fare il furbo approfittando della mia
assenza, perché lo verrei a sapere e te ne farei pentire. Sono stato chiaro?”
Il bambino
annuì di nuovo.
“Molto bene.”
concluse Assef “Puoi cominciare subito il tuo lavoro. Come vedi ci sono le
scarpe da lucidare e tutta la libreria da spolverare e mettere in ordine. Se
farai bene il tuo dovere sarai ricompensato. Io sono una persona giusta, anche
se non lo credi ancora.”
Con quelle
parole il ragazzo uscì dalla stanza lasciando solo un Hassan in preda al
panico. Non riusciva a credere che Assef avesse davvero bisogno di un altro
servitore e si chiedeva quali fossero in realtà i suoi veri obiettivi.
Ma lo sapeva
Assef: era riuscito a strappare all’odiato Amir il suo servetto e ora li
avrebbe avuti entrambi in pugno. Già pregustava quanto si sarebbe divertito nei
giorni a venire, tormentando in un modo del tutto nuovo quei due piccoli screanzati!
Hassan dovette racogliere ogni briciola del suo coraggio per riprendere
l’argomento, la mattina seguente, mentre lucidava le s
Baba aveva
deciso di andare a parlare con Assef per accontentare Ali, ma dentro di sé
riteneva che il servetto si sarebbe trovato benissimo in casa del giovane, di
cui conosceva la famiglia da anni. Per questo motivo non ebbe alcuna fretta e
si limitò a telefonare a casa di Assef il giorno dopo per fissare un
appuntamento con il ragazzo: si sarebbero incontrati quel pomeriggio e l’uomo
aveva già deciso di portare il figlio Amir con sé. Continuava a trovare
maleducata e inopportuna l’ostilità del bambino verso Assef e sperava che,
parlando civilmente con lui, le cose si sarebbero normalizzate.
Intanto, però,
la situazione di Hassan non era delle più invidiabili: strappato a forza dal
padre, lontano da tutte le persone a cui voleva bene e rinchiuso nella stanza
del giovane che lo aveva perseguitato fino a traumatizzarlo e fargli tanto
male, si sentiva terribilmente solo, spaventato e triste. Non mancava a nessuno
dei suoi doveri, ma la sua vivacità e la sua allegria sembravano scomparse.
Fortunatamente Assef passava poco tempo a casa, impegnato com’era fra gli
allenamenti di calcio e la persecuzione dei ragazzini più piccoli di Kabul
insieme ai fidi Wali e Kamal. Il piccolo, così, aveva modo di compiere tutto il
lavoro al meglio, sempre temendo che il nuovo padrone potesse arrabbiarsi con
lui per qualche inezia.
Hassan era
abituato ad avere del tempo libero dopo lo svolgimento delle proprie mansioni:
quando aveva terminato, generalmente aveva il permesso di andare a giocare con
Amir oppure si metteva a disegnare nel cortile della casa padronale. Se Amir
era a scuola, a volte Hassan saliva fino al loro luogo segreto, si sedeva sotto
l’albero di melograno dove solitamente ascoltava le storie dell’amico e passava
il tempo in vari modi.
A casa di
Assef, ovviamente, una volta finiti i lavori assegnatigli non aveva più nulla
da fare; allora sentiva più forte la solitudine e la nostalgia. Il secondo
giorno, dopo aver stirato gli abiti del padrone e lucidato tutte le sue scarpe,
pensò che non sarebbe successo nulla se avesse fatto una corsa fino all’albero
di melograno e fosse rimasto lì per un po’. Era ancora presto e non avrebbe
incontrato nessuno: Amir era a scuola e Assef probabilmente in giro a
tormentare qualcuno.
Dal balcone
della camera di Assef scendeva una piccola scaletta che conduceva nel giardino.
Hassan decise di passare di lì per non farsi vedere da nessuno; ricordava bene,
infatti, che il giovane gli aveva intimato di non parlare con gli altri
domestici e di rendersi praticamente invisibile. Attraversò il cancello del
giardino ed uscì in strada. Si mise a correre. Il fatto stesso di potersi
muovere, di percorrere di corsa le strade di Kabul come un tempo, lo faceva
sentire vivo e sembrava addolcire un po’ la pena che si portava dentro.
Raggiunse in
fretta l’albero di melograno e si sedette, guardandosi intorno. Era
sorprendente che lì tutto fosse rimasto identico quando la sua vita era
cambiata in modo così drastico e decisivo. Vide la scritta che Amir aveva
inciso sul legno un’eternità prima; pur non sapendo leggere ricordava benissimo
che cosa c’era scritto, “Amir e Hassan: i sultani di Kabul”. I ricordi lo
assalirono, così numerosi e dolorosi che il suo piccolo cuore non poté
resistere alla nostalgia. Chinò il viso sulle ginocchia e scoppiò a piangere, sfogando
tutta l’amarezza, la paura e la malinconia che non poteva manifestare in nessun
altro momento.
Dopo si sentì
effettivamente un po’ meglio, si fece coraggio e si rialzò in piedi per tornare
alla villa di Assef. Non era trascorso poi molto tempo da quando era uscito e
non aveva nulla da rimproverarsi, tuttavia restò impietrito quando, rientrando
nella stanza del padrone dalla porta-finestra, lo trovò seduto sul letto che lo
fissava con un’espressione che non prometteva nulla di buono.
“Si può sapere
dove ti eri cacciato?” gli chiese il ragazzo. Non sembrava realmente
arrabbiato, ma il suo tono era gelido.
“Io… ti chiedo
perdono, aghasahib. Avevo finito di fare i servizi e pensavo
fosse ancora presto. Sono uscito per fare una passeggiata, non ho parlato con
nessuno, te lo assicuro.” rispose il bambino, paralizzato dal terrore.
“Mi avevi forse
chiesto il permesso di uscire?”
“No… io… tu non
eri in casa, aghasahib, non sapevo quando saresti tornato e
pensavo che…”
“Io non ti pago
per pensare, ti pago per obbedirmi! Sei un servo, hazara, te lo sei forse
dimenticato? Hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?” ribatté allora Assef in
tono tagliente, alzandosi di scatto dal letto.
Tutto questo fu
troppo per Hassan. Indietreggiò fino ad appoggiarsi al muro e si rese conto di
essere in trappola. Assef gli si avvicinava lentamente. Il suo visetto colorito
divenne improvvisamente grigio e, scosso da un lieve tremito, Hassan cominciò a
scivolare, perdendo i sensi. Sarebbe caduto, ma il giovane fu più veloce e lo
riprese prima che rovinasse a terra. Se lo sistemò in braccio come un bambino.
Era piuttosto stupito: non pensava di farlo svenire dalla paura.
“Dimmi la
verità, hazara. Da quando sei qui sei mai sceso in cucina a mangiare con i
servitori?” domandò, sempre tenendolo in braccio, quando si accorse che il
ragazzino stava riaprendo gli occhi.
“No…” mormorò
lui debolmente.
“Lo immaginavo.
Dunque sono due giorni che non mangi niente. Sei proprio un hazara sciocco.
Dovrò chiamare un domestico perché ti porti qualcosa. Nel pomeriggio verranno
qui il tuo amichetto Amir e il suo grande Baba e non voglio che pensino che ti
maltratto o che ti faccio soffrire la fame. Dovranno rendersi conto che stare
qui con me è stata la tua fortuna e che tu sei felice di essere al mio
servizio. Sono stato chiaro?”
Hassan era
tanto stanco e debole che riuscì solo ad annuire. Si chiedeva come avrebbe
fatto a dominarsi rivedendo Amir e Baba dopo tutto quello che era successo. Si
chiedeva anche come mai Assef continuasse a tenerlo in braccio anche adesso che
si era ripreso.
“Molto bene.
Allora siamo intesi.” concluse Assef. Portò Hassan nel ripostiglio e lo depose
sul suo materasso prima di chiamare qualcuno affinché gli portasse da mangiare.
L’ultima cosa che voleva era fare una brutta figura di fronte a Baba e Amir.
Anzi, voleva che Amir si rodesse dall’invidia vedendo che il suo ex-servitore
si trovava meglio con un altro padrone.
Baba ed Amir
giunsero a casa di Assef quel pomeriggio verso le quattro ed il maggiordomo li
fece accomodare in salotto andando poi a chiamare il giovane padrone. Assef,
infatti, aveva scelto di incontrare i due proprio quel giorno perché i suoi
genitori sarebbero stati fuori casa e lui avrebbe potuto parlare liberamente.
Il ragazzo
scese in salotto in compagnia di Hassan, che nel frattempo si era un po’
ristabilito, ma che si sentiva molto turbato all’idea di rivedere Amir. La
scena terribile che si era svolta due giorni prima e che aveva portato
all’allontanamento suo e di suo padre era ancora troppo vivida nella sua mente.
Non sapeva come avrebbe reagito di fronte all’amico di un tempo, temeva che si
sarebbe tradito in qualche modo e a quel punto Assef lo avrebbe fatto a pezzi.
“Kaka jan,
Amir jan, siete i benvenuti.” li salutò cortesemente Assef, andando incontro
agli ospiti e stringendo loro calorosamente le mani “Sono contento di vedervi.
Posso offrirvi qualcosa?”
Hassan era
rimasto fermo sulla soglia del salotto e gli occhi di Amir erano fissi su di
lui.
“No, ti
ringrazio molto, Assef jan.” rispose il padre di Amir. Cercava di
sembrare controllato, ma la sua voce vibrava dall’emozione. Aveva creduto di
aver perso Hassan per sempre e invece adesso lo vedeva lì, piccolo, indifeso e
molto intimidito.
“Non credo di
aver capito bene il motivo della vostra visita, anche se non nego che mi faccia
molto piacere. Voleva assicurarsi del fatto che avessi veramente preso Hassan
al mio servizio?” chiese allora Assef.
“È così. Ieri
mattina sono successe delle cose molto spiacevoli nella mia casa” iniziò a
spiegare l’uomo, lanciando al figlio un’occhiata severa “e a causa di ciò Ali
ed Hassan hanno deciso di andarsene. Volevano recarsi in Hazarajat, ma poi,
quella stessa sera, Ali è tornato a bussare alla mia porta, sconvolto e in
preda all’angoscia. Mi ha raccontato del vostro incontro e del fatto che tu
avevi portato Hassan a casa tua. Avrebbe voluto che venissi subito qui a
controllare che suo figlio stesse bene, ma mi è sembrata un’assurdità:
ovviamente tu sarai un ottimo padrone per lui. Però immagino di capire le paure
di Ali: per la prima volta si è trovato separato dal figlio e probabilmente ha
temuto che Hassan, solo in un ambiente sconosciuto, potesse spaventarsi.”
Nel frattempo
il bambino si era lentamente avvicinato al divano sul quale sedeva Assef, senza
mai alzare lo sguardo da terra. Sentiva gli occhi di Amir fissi su di lui e non
osava incontrare il suo sguardo.
“Allora è stato
questo. Sì, in fondo Hassan è ancora un bambino e deve essersi spaventato.
Pensate che ho scoperto solo stamani che non aveva ancora mangiato niente da
quando si trova qui!” replicò Assef “E non me lo avrebbe mica detto: me ne sono
accorto solo perché mi è praticamente svenuto tra le braccia. Ma non
preoccupatevi, ora sta bene. Anzi, diglielo tu stesso, Hassan, spiegagli come
sono andate le cose.” lo incoraggiò, facendolo sedere accanto a sé.
“Sei svenuto?
Ed ora stai bene? Ma perché non volevi mangiare, Hassan?” lo incalzò subito
Baba, agitatissimo. Amir invece aveva abbassato lo sguardo sulle proprie
scarpe: lui sapeva benissimo perché Hassan rifiutava di mangiare. Come poteva
resistere dopo la vergognosa figura che gli aveva fatto fare e dopo che lo
aveva praticamente gettato tra le braccia della persona che più lo terrorizzava
al mondo?
“Mi vergognavo
a chiedere…” cominciò timidamente il piccolo hazara. Ma si rese subito conto
che non avrebbe mai potuto parlare di fronte ad Amir e a suo padre. La voce gli
si spezzò ed il poverino scoppiò in singhiozzi davanti a tutti, consapevole del
fatto che Assef si sarebbe arrabbiato e piangendo ancora di più per la paura
delle conseguenze.
Vedendolo così
disperato, Amir sentì ancora più pungente il senso di colpa. Spostò lo sguardo
su Assef e vide che il ragazzo era impallidito per la rabbia e che un lampo gli
era passato negli occhi. Evidentemente non aveva previsto questo sfogo ed ora
si sarebbe vendicato sul bambino?
La rabbia di
Assef, però, sbollì subito. Il giovane capì che poteva approfittare di questo
inaspettato scoppio di pianto e volgere la situazione a suo vantaggio. Circondò
le spalle del piccolo hazara con un braccio e lo strinse a sé per mostrare a
Baba che padrone buono e affettuoso fosse.
“Hassan, che ti
prende?” gli chiese “Non c’è bisogno di fare così. Cosa penseranno Amir e suo
padre che sono venuti a trovarti? Li farai solo preoccupare, no?”
“Adesso lo
chiami Hassan, eh?” avrebbe voluto gridargli Amir “Ora ti ricordi che ha un
nome, ipocrita bugiardo! Quando lo tormentavi lo chiamavi soltanto hazara, come
una bestia!”
Ma naturalmente
non aprì bocca. Dire questo avrebbe significato dover spiegare anche molte
altre cose delle quali Amir non voleva assolutamente parlare. Non poteva fare
altro che tacere e guardare nauseato Assef che confortava Hassan con una
tenerezza tutta studiata. Assef aveva vinto su tutta la linea e lui non poteva
più farci nulla.
Era passata una settimana dal giorno del torneo di aquiloni ed Assef
giudicò che era arrivato il momento di fare una bella vis
Hassan riuscì
in qualche modo a dominare la crisi di pianto e a rispondere, fra un singhiozzo
e l’altro, mentre Baba e Amir lo fissavano sconvolti e Assef continuava a
tenerselo stretto.
“Mi dispiace… Aghasahib è stato
buono e gentile con me. È soltanto colpa mia. Io… io… mi manca tanto Amir agha! Qui ho tutto quello che posso
desiderare, ma lui mi manca, mi manca tanto!”
Ecco. Quelle
parole sancivano il completo trionfo di Assef e il ragazzo, che se ne rendeva
perfettamente conto, dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere. Davanti a
lui Amir era diventato pallido come un morto e sembrava sul punto di sentirsi
male, mentre Baba spostava lo sguardo dal piccolo servetto
in lacrime al figlio, diventando sempre più scuro in volto.
“È una cosa
normalissima, Hassan, non c’è bisogno di piangere. Mi stupirei del contrario. Lo so quanto bene hai sempre voluto ad Amir” gli disse Assef
ostentando pazienza e dolcezza. “Forse hai pensato che io ti avrei
tenuto lontano da lui? Ma dai, sei proprio uno
sciocchino, allora!”
“Non credo sia
questo il problema, Assef jan” intervenne con durezza il padre di Amir,
continuando a squadrare il figlio con occhi lampeggianti di collera. “Hassan
piange perché è stato Amir ad allontanarlo sempre di più. In questi ultimi mesi
non ha fatto che trattarlo bruscamente o evitarlo. Una mattina mi ha perfino
chiesto perché non potevamo mandare via lui e Ali e prendere altri domestici.
Mi ha fatto vergognare moltissimo e anche adesso mi sento mortificato di fronte
a te perché sembra che non abbia saputo insegnare nulla a mio figlio. Sono
desolato, ma è necessario che tu sappia la verità, visto che
adesso Hassan è al tuo servizio.”
Si interruppe sentendo una specie di lamento soffocato
provenire da Amir.
“Cosa vuoi dire, Baba?” riuscì a chiedere il bambino, con
voce strozzata. La nausea lo invadeva sempre più e si domandò come avrebbe
reagito Assef se gli avesse vomitato sulla elegantissima
poltrona del suo salotto.
Assef si fece
attentissimo, intuendo che la faccenda diventava ancor più interessante.
Nessuno, infatti, gli aveva spiegato il motivo dell’improvvisa partenza di Ali ed Hassan dalla casa di Amir.
“Sai benissimo di cosa sto parlando. Tu mi fai vergognare,
Amir. Mi stai facendo fare una figura meschina di fronte ad Assef jan ”
rispose l’uomo, molto irritato ed amareggiato.
Amir avrebbe voluto sprofondare, gridare, prendere a pugni il
padre, ma non riusciva a proferire parola né a muovere un solo muscolo.
“Ieri mattina
Amir è venuto a dirmi che non trovava più l’orologio che gli avevo regalato per
il suo compleanno e dopo un altro po’ di tempo è ricomparso rivelandomi di
averlo trovato nascosto sotto il materasso di Hassan” riprese a spiegare Baba.
“Io non volevo crederci, ma quando gliel’ho chiesto personalmente Hassan ha ammesso di averlo preso lui. È stato per questo
che lui ed Ali hanno deciso di andarsene, nonostante
io abbia cercato di oppormi in tutti i modi possibili. Ma
ora devo dirti una cosa, Assef jan: conosco troppo bene Hassan e so che
non potrebbe mai fare una cosa simile. Io credo, anzi, ne sono certo, che non ce l’abbia più fatta a sopportare l’ostilità di colui che
credeva un amico e un fratello e che abbia nascosto l’orologio esclusivamente
per farsi cacciare via. Non è forse così, Hassan?”
Il ragazzino
non rispose, continuando a singhiozzare silenziosamente. Baba interpretò il suo
silenzio come un’ammissione. Assef pareva affascinato da questa storia. Quante
cose interessanti ed utili veniva a scoprire! Aveva
fatto proprio bene ad accettare di parlare con Baba quel pomeriggio. Si stava
divertendo un sacco.
“Non sapevo
nulla di questa storia, ma anch’io sono propenso a pensarla così” replicò il
ragazzo. “Hassan è sempre stato talmente leale ed
affezionato ad Amir che non avrebbe mai potuto fargli un dispetto. Non riesco a
capire perché si sia giunti a questo punto, ma in
effetti era molto tempo che non li vedevo più giocare e scorrazzare insieme per
le strade di Kabul come facevano prima. Ed ora capisco
perché Hassan è sempre così triste e malinconico. Ma, visto
che adesso sono io il suo padrone, voglio aiutarlo.”
“Davvero, Assef jan? Questo è molto
nobile e generoso da parte tua, tuttavia non riesco a immaginare cosa potresti
fare per cambiare le cose” esclamò l’uomo, guardando il giovane con occhi colmi
di ammirazione.
“È molto
semplice. Amir sa che ha un invito permanente a casa mia, benché non abbia mai
voluto approfittarne. Adesso, però, mi permetterò di insistere e chiederò
espressamente che venga qui tutte le volte che gli è
possibile” spiegò Assef, cercando di mantenersi calmo. La gioia per il
vantaggio che aveva accumulato minacciava di soffocarlo. “Hassan
è il mio servo personale, perciò deve occuparsi soltanto di tenermi in ordine i
vestiti e la stanza. Di conseguenza ha molto tempo libero e so che era
abituato a trascorrere i momenti di libertà in compagnia di Amir. D’ora in poi
voglio che Amir venga qui a tenergli compagnia e a
giocare con lui come faceva prima. Io stesso mi organizzerò per passare con
loro più tempo possibile, li porterò a passeggio, al cinema, leggerò loro dei
libri… Insomma, mi impegnerò affinché rinasca
l’amicizia fra Amir ed Hassan e per restituire al mio piccolo servo il sorriso
e l’allegria che lo contraddistinguevano.”
A queste parole
Baba non poté più resistere. Si alzò di scatto dalla poltrona e abbracciò Assef
con le lacrime agli occhi.
“Sei veramente un ragazzo ammirevole, Assef jan. Il
mio amico è davvero fortunato ad avere un figlio come te. Non
potrò mai sdebitarmi per tutto ciò che fai per noi” mormorò commosso.
Amir era
pietrificato. Non riusciva ancora a credere che Assef avesse potuto stravolgere
tanto le cose da apparire un santo agli occhi di Baba e, soprattutto, lo
atterriva la prospettiva di dover passare tutti i pomeriggi e i giorni liberi
in compagnia del ragazzo che lo aveva perseguitato per anni. Gli pareva di
vivere in un incubo, solo che non poteva svegliarsi.
Nemmeno Hassan
era molto soddisfatto all’idea di trascorrere tutto quel tempo con Assef;
inoltre si chiedeva come facesse il giovane a conoscere tutto quello che facevano
lui ed Amir. Come sapeva, ad esempio, che a lui
piaceva ascoltare storie? Li aveva forse spiati?
Era ora di
andare. La giornata era stata proficua quasi per tutti: Assef era colmo di
soddisfazione per ciò che aveva scoperto e che già meditava di usare a suo
vantaggio; Baba ed Hassan avevano entrambi l’aria di
chi si è scrollato un grosso peso di dosso.
Al contrario
Amir avrebbe ricordato a lungo quel giorno come uno dei suoi peggiori
incubi.
Assef non vedeva l’ora di poter usare contro Amir tutte le cose che
aveva scoperto
Assef non vedeva l’ora di poter usare contro Amir tutte
le cose che aveva scoperto. Baba si era rivelato una miniera di informazioni utilissime e, ad ogni
modo, era convinto di poter trarre ancora qualcosa da Hassan. Gli era parso che
il piccolo hazara non avesse del tutto condiviso la versione che Baba aveva
dato della storia del furto dell’orologio e immaginava
ci potesse essere dell’altro. Sarebbe venuto a saperlo, prima
o poi.
L’informazione
che aspettava gli giunse due sere dopo e, come aveva immaginato, proprio da
Hassan. Il servitore aveva terminato di fare il bucato e stendere i panni ed
era tornato nella stanza di Assef, non immaginandosi di trovarci il padrone.
“Sei qui, aghasahib…
Perdonami, non intendevo disturbarti” mormorò, preso
alla sprovvista. Nonostante i rapporti fossero molto migliorati fra loro, il
ragazzino era ancora piuttosto turbato in presenza del
suo giovane padrone.
“Non mi disturbi affatto. Anzi, volevo giusto farti una
domanda. È vero quello che mi ha raccontato Baba l’altro giorno, quando eravamo
a casa sua? Hai nascosto l’orologio e i soldi di Amir per avere la scusa di
andartene da un luogo che ti era diventato ostile?”
Hassan apparve
terribilmente mortificato. Arrossì violentemente e mille emozioni contrastanti
apparvero sul suo faccino da bambino.
“Non è andata proprio così. Aghasahib,
io non sono un ladro e non prenderei mai qualcosa che non è mio, nemmeno per
nasconderlo” rispose con un filo di voce. “Anche se Amir aghami trattava con cattiveria io non avrei mai fatto nulla contro di lui. Non posso
esserne sicuro, ma… penso che sia stato proprio lui a nascondere le sue cose
sotto il mio materasso. Erano sue, nessun altro avrebbe potuto farlo se non io
ed io non sono stato.”
“Mi stai dicendo la verità?” insisté Assef. Non che dubitasse della
parola di Hassan, che era sempre tanto sincero e leale da apparire patetico, ma
voleva essere sicuro di quello che aveva sentito. Gli sembrava troppo bello per essere vero. Amir aveva inanellato una serie di idiozie così lampanti che sarebbe stato un gioco da
ragazzi rivoltargliele tutte contro!
“Aghasahib,
io non ho mai toccato quegli oggetti, davvero. Non prendo la roba deglialtri. Io credo che… sia il
contrario di quello che ha detto Baba agha: è
stato Amir a prendere i suoi soldi e il suo orologio e metterli fra le mie cose
perché voleva che… che io e mio padre fossimo cacciati. Lui sapeva quanto Baba aghadisprezzi chi ruba e gli sarà sembrato
il modo migliore per liberarsi di me. Non mi poteva più sopportare da mesi,
ormai, me lo aveva fatto capire in tutti i modi.”
Mentre parlava, lacrime silenziose cominciarono a scorrere sul
visino rotondo di Hassan. Quello che Amir gli aveva fatto lo faceva
ancora soffrire moltissimo, anche perché in realtà lui avrebbe tanto desiderato
che tutto potesse tornare come una volta. Amir gli mancava, gli mancava la sua vita di prima, quando era ancora un bambino
innocente che credeva nell’amicizia e nella lealtà della gente; aveva nostalgia
delle giornate passate a correre, giocare e leggere storie e del tempo in cui
credeva che Amir e lui fossero amici.
“Molto bene,
adesso è tutto chiaro” replicò Assef, lievemente innervosito dal fatto che il
piccolo hazara piangesse. “Amir è veramente una persona molto malvagia e mi
sembra assurdo che tu continui a prendertela tanto per lui. Cosa c’è da
piangere, adesso? Non ti trovi forse meglio qui con me? Non ti tratto bene, per
caso?”
“Ma sì, aghasahib, tu mi tratti benissimo e sei sempre gentile con
me. È una cosa diversa” Hassan non sapeva se sarebbe riuscito
a spiegare quello che provava. “Non potrei desiderare un padrone
migliore di te, aghasahib,
veramente. Ma io credevo che… ho sempre pensato che
Amir ed io fossimo amici, quasi fratelli. Quando ero con lui
dimenticavo di essere il suo servo e lo trattavo come un compagno di giochi.
Gli volevo bene e pensavo che lui volesse bene a me.
Siamo cresciuti insieme e abbiamo vissuto tante avventure, tanti giochi, tanti
momenti felici e io non li posso scordare, non ce la
faccio! Per quanto tu sia buono con me io non ce la
faccio.”
Per qualche
istante Assef sembrò indeciso se arrabbiarsi o meno
per le parole del ragazzino, poi però gli venne in mente che avrebbe potuto
volgere a suo favore anche questa situazione. Allungò un braccio per afferrare
Hassan, lo fece sedere sul letto accanto a sé e per la prima volta lo
abbracciò. Il bambino sulle prime si irrigidì,
spaventato da un contatto simile con la persona che gli aveva fatto tanto male:
del resto dopo quell’episodio non aveva più avuto un vero contatto fisico con
Assef. Ma poi, accorgendosi che il giovane si limitava
a tenerlo stretto, si abbandonò a quell’abbraccio inaspettato.
“È giusto che
tu ti renda conto dell’abissale differenza che c’è tra Amir e me” gli disse,
continuando a tenerlo stretto. “Hai ragione quando dici che le cose sono
cambiate e che da me non puoi certo aspettarti l’atteggiamento cameratesco e la
fratellanza che avevi con Amir. Ma vedi, la sua era
solo una finzione. Te l’ho ripetuto un sacco di volte, ormai. Lui stava con te
solo quando non aveva nessun altro con cui giocare, ma se c’erano altri bambini
si vergognava di te e ti allontanava. Ti leggeva le storie, ma se tu le capivi
meglio o più velocemente di lui si innervosiva. Era
invidioso di te perché tu, pur essendo solo un hazara analfabeta, sei sempre
stato più sveglio, coraggioso e leale di lui. Amir è un vigliacco che ha paura
persino della sua ombra e, a quanto pare, non ha nemmeno un briciolo di
dignità, perché io al suo posto mi sarei vergognato a morte di farmi difendere
da un bambino più piccolo di me!”
Hassan non
aveva tanto piacere di sentirsi ricordare la disavventura avuta con Assef e la
fionda, soprattutto in quel momento, ma il ragazzo non sembrava arrabbiato nel
rievocare l’episodio.
“E, anche se
non vogliamo contare tutte le angherie che ti ha
fatto, basta ricordare una cosa sola” continuò soddisfatto Assef.“Sosteniamo pure, per amor di pace, che Amir
non abbia assistito a quel che è successo nel vicolo; ti avrà pur visto quando
sei ritornato verso casa. Non ha notato com’eri ridotto? Non ti ha chiesto se
eri caduto, se qualcuno ti aveva picchiato? Cos’è, cieco?”
“Non mi ha chiesto niente, aghasahib, eppure lo vedeva benissimo che… Ha solo
controllato che l’aquilone non si fosse rovinato. È stato
per questo che ho capito che aveva visto tutto, perché sennò mi avrebbe
sicuramente chiesto cosa mi era successo. Ma lo sapeva già”
Hassan si rese conto con stupore che parlare di quella cosa cominciava a
diventare più facile. Era come quando lo aveva raccontato a suo padre o
a Rahim Khan. Stranamente sentiva che quello che
aveva davanti era un Assef diverso da quello che gli aveva fatto del male.
“Ha controllato l’aquilone, ma non come stavi tu! Davvero un bell’amico!” esclamò il giovane. “Ma lo sai
perché si è comportato così? Riesci solo ad
immaginarlo? Ha ignorato il fatto che tu fossi pesto e
ferito perché gli avrebbe rovinato la festa. Se ti avesse visto così, Baba si
sarebbe preoccupato per te e la vittoria di Amir al
torneo degli aquiloni sarebbe passata in secondo piano. Hai capito chi è la
persona per la quale piangi ancora?”
Ovviamente
Hassan aveva capito tutte queste cose già da molto tempo prima che gliele
dicesse Assef, ma aveva sempre cercato di non pensarci e di non ammetterle
nemmeno con se stesso. Ora non poteva più nascondersi.
“Io lo so che
cosa ha fatto Amir aghae perché, ma…
gli voglio bene lo stesso, non riesco a smettere, sono fatto così!” rispose il
ragazzino, piangendo ancora più forte.
“Questo è
perché sei buono. Sei anche troppo buono per uno come lui. Ma vedi, questo da me
non dovrai mai aspettartelo. Io non fingo di essere quello che non sono, non ti
mentirò dicendo che ti considero un amico o un fratello o che so io. Per me sei un hazara, un ragazzino di etnìa inferiore che mi fa da servo e che però è talmente
premuroso, dolce e obbediente da farmi affezionare a lui. Tutto qui, non c’è
altro. Questa specie di affetto che ho per te è lo stesso
che potrei avere per un bravo cane, lo ammetto, ma è anche un affetto che non
ti verrà mai a mancare, a meno che non sia tu a comportarti male” concluse
Assef, orgoglioso e fiero del suo bel discorso leale e sincero.
Hassan lo
guardò un po’ confuso.
“Ma a me è permesso volerti bene, aghasahib?” gli chiese timidamente.
“Certamente. Hai il permesso di volermi
bene, adorarmi e venerare la terra su cui cammino!” replicò Assef, scherzando
ma solo fino ad un certo punto. A lui piaceva veramente tanto essere
ammirato e venerato e l’affetto spontaneo di Hassan era una novità
particolarmente gradevole.
La mattina
dopo, verso le dieci, un servitore della casa di Assef si presentò a Baba con
un invito per Amir in cui gli veniva richiesto di
partecipare ad un rinfresco nel parco della villa di Assef il pomeriggio del
giorno seguente ed era caldamente incoraggiato a portare con sé i racconti che
aveva scritto per farli leggere agli invitati.
Assef aveva in
mente di usare le informazioni che aveva ottenuto e di
vendicarsi finalmente di Amir. Immaginava che Amir si sarebbe rifiutato di
andare a casa sua e per questo motivo aveva mandato un servo con un invito
scritto: in questo modo era sicurissimo che Baba avrebbe costretto il figlio ad
accettarlo, con le buone o con le cattive.
Quel pomeriggio, alle tre in punto, Amir si trovava davanti al cancello
della villa di Assef, dove era stato invitato per un n
Quel pomeriggio, alle tre in punto, Amir si trovava
davanti al cancello della villa di Assef, dove era stato invitato per un non
meglio precisato rinfresco. Aveva tentato tutte le scuse di questo mondo per
non essere costretto ad accettare quell’invito, ma suo
padre l’aveva rimproverato aspramente per la sua maleducazione e per
quell’ostinazione nel rifiutare di stringere amicizia con il giovane figlio del
suo amico. Tra l’altro, ora che Hassan era servitore in quella casa, l’uomo
sperava anche che il legame fra Amir ed il piccolo
hazara potesse ricostruirsi. Per questo adesso il ragazzino era lì, anche se
avrebbe preferito trovarsi sulla Luna. Si sentiva lo stomaco chiuso in una
morsa e stringeva convulsamente fra le mani sudate il quaderno con i racconti scritti
da lui che Assef aveva tanto insistito per vedere.
Suonò il
campanello e un servitore anziano venne ad aprirgli. Lo salutò con deferenza e
lo condusse nel parco sul retro della villa, dove si trovava Assef in compagnia
dei fidati Wali e Kamal. Erano seduti su sedie di vimini e davanti a loro si
stendeva un tavolo ricco di prelibatezze. Sembrava davvero una festa in grande stile, anche se gli invitati erano soltanto tre.
Poco più indietro, in piedi, stava Hassan.
“Eccoti,
finalmente, Amir jan” esclamò con calore il padrone di casa, alzandosi
dalla sedia e affrettandosi a stringere la mano al nuovo arrivato, quasi fosse
veramente felice di vederlo. “Ti aspettavamo con ansia. Benissimo, vedo che hai
portato il quaderno con i tuoi racconti. Wali e Kamal, ma soprattutto io, non vediamo l’ora di poterli ascoltare. Devono essere davvero
dei capolavori a giudicare dalle lodi sperticate che ne fa il piccolo hazara.”
Wali e Kamal
soffocarono una risatina e Amir si sentì morire. Sapeva benissimo che lo scopo
di Assef era umiliarlo davanti agli altri ragazzi costringendolo a leggere a
voce alta le proprie storie, ma come avrebbe potuto fare? Certo, se quello
stupido di Hassan non avesse chiacchierato tanto… Si pentì subito di quel
pensiero: come poteva dare la colpa ad Hassan? Era
davvero possibile che il bambino si fosse preso la
libertà di lodare i racconti scritti da Amir davanti al suo nuovo padrone e ai
suoi amici?
Lanciò una
veloce occhiata al piccolo hazara che sembrava stupito quanto lui. No, ora ne
era sicuro, Hassan non aveva mai parlato a nessuno delle storie che Amir gli
leggeva. Ma allora come faceva a saperlo Assef?
“Accomodati,
Amir jan, prendi qualcosa da bere. Posso offrirti tè alla menta,
aranciata, acqua minerale, perfino Coca-Cola se lo preferisci. O magari un
succo di frutta? Hassan può andare in cucina a prendertene uno, se vuoi.”
“L’acqua andrà
benissimo, grazie” riuscì a mormorare Amir. Come in un incubo si ritrovò a
farsi guidare da Assef verso il suo posto a sedere. Si strinse al petto il
quaderno dei racconti come per proteggersi.
“Buongiorno, Amir agha” lo
salutò timidamente Hassan, avvicinandosi per porgergli un bicchiere d’acqua.
Amir però era talmente confuso e a disagio che non se ne accorse e non gli
rispose, limitandosi a prendere il bicchiere con un gesto istintivo.
Assef, a cui non sfuggiva nulla, sorrise e si voltò verso i due
compagni, che annuirono. Anche loro avevano notato il gesto sgarbato di Amir
nei confronti di Hassan e la conseguente delusione che si era dipinta sul volto
del bambino.
“Se vuoi dei
pasticcini, frutta o qualsiasi altra cosa non fare complimenti, Hassan è qui
proprio per servirci. Ha sistemato tutto lui, qui fuori. Ha fatto un bel
lavoro, non credi? Sono davvero soddisfatto di lui e penso
sempre che non avrei potuto trovare un servitore più abile, solerte e
coscienzioso” continuò il ragazzo. “Allora, non vuoi qualcosa da
mangiare? Voglio che tu ti senta perfettamente a tuo agio prima di cominciare a
deliziarci con le tue storie straordinarie, Amir jan.”
Il ragazzino faceva già fatica ad
inghiottire quei pochi sorsi d’acqua. Scosse il capo.
“Come vuoi,
mangeremo più tardi. Abbiamo tutto il pomeriggio da passare insieme, non è
vero, ragazzi?”
“Certo, Assef”
rispose Wali.
“Spero che
Amir abbia tante storie da leggerci” aggiunse Kamal. “Sono davvero ansioso di
ascoltarle.”
“Hassan, naturalmente tu puoi restare con noi. So quanto ti
fa piacere ascoltare i racconti di Amir. Se vuoi puoi
prenderti una sedia, non vergognarti. Hai già fatto il tuo dovere di servitore
e adesso ti puoi riposare e rilassare insieme a noi”
disse poi Assef, rivolgendosi al bambino con il tono di un re che fa una
concessione importante ad un suddito fedele. Il picolo
servitore lo ricompensò con un sorriso luminoso e prese una sedia per sé, disponendosi
finalmente a sentire le storie di Amir che da tanto tempo agognava.
“Grazie, aghasahib, anch’io
avevo tanta voglia di ascoltare i racconti, ma pensavo che non avrei dovuto, in
fondo questa è la tua festa e…”
“Ormai
dovresti sapere come mi comporto con i miei servitori” ribattésorridendo
Assef. Lanciò un’occhiata a Wali e Kamal che annuirono di nuovo. “Se un servo
mi obbedisce e fa il suo dovere io so ricompensarlo molto bene e poi, sai, io
non mi vergogno di lui davanti ai miei amici, come invece fanno altri.”
La frecciata
rivolta ad Amir raggiunse il bersaglio e le guance del ragazzino divennero di
fuoco. Si agitò sulla sedia. La mortificazione era iniziata ancor prima che
cominciasse a leggere le storie: Assef si stava servendo di Hassan per umiliarlo
e per mostrare a tutti quanto fosse più gentile e più generoso di lui. Il
peggio era che presto anche Hassan stesso sarebbe stato indotto a crederci!
“Amir, stiamo aspettando te. Non lasciarci ancora sulle
spine, ti prego. Non vuoi cominciare a leggere per noi?” lo
incitò Assef con un sorriso sornione. Wali e Kamal trattenevano a stento
le risatine. Hassan, al contrario, seduto sulla sedia, fissava Amir con
un’espressione di assoluta estasi sul faccino. Era l’unico
sinceramente felice di riascoltare finalmente le storie del suo ex-padroncino.
Il ragazzino
si schiarì la voce tre o quattro volte: sentiva un nodo in gola che minacciava
di soffocarlo; forse, se fosse morto, non sarebbe stato costretto a umiliarsi
così. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quello. Ma
non poteva più rimandare. Aprì il quaderno, inghiottì a vuoto una decina di
volte e cominciò a leggere. La tortura era iniziata.
Il primo
racconto era, per sua fortuna, piuttosto breve. I ragazzi non aprirono bocca
mentre Amir leggeva, ostentando una sincera partecipazione e un vivo interesse.
Poi fu Assef a commentare per primo.
“Direi che hai
veramente del talento. Certo sei ancora immaturo, ma questa storia è
interessante e ci sono senz’altro diverse chiavi di lettura. Io ne ho
individuate almeno cinque. Voi, ragazzi?”
“Io tre”
rispose a stento Kamal, semisoffocato nel tentativo
di nascondere le risate, “e poi mi piace molto la figura del protagonista.
Immagino sia un racconto autobiografico, no?”
“La parte che
preferisco è quella che si può leggere come una metafora filosofica e
allegorica della realtà contemporanea” dichiarò Wali in tono compunto, mentre
dentro di sé si contorceva dal ridere.
Amir era
paonazzo in viso e aveva le lacrime agli occhi. Lo stavano prendendo in giro
apertamente e lui non poteva dire niente, perché aveva paura e perché in fondo
apparentemente lo stavano lodando.
“Devi
assolutamente leggercene un’altra, Amir jan” insisté Assef. “Non ho mai
trovato tanta profondità, in un autore così giovane ed
inesperto, poi. Sono certo che tu abbia davanti a te un grande futuro come
scrittore!”
Amir riprese a
leggere una storia, poi un’altra ed un’altra ancora. Ad ogni racconto che esponeva i tre ragazzi si profondevano
in lodi sempre più sperticate ed assurde. Le lettere sembravano ballargli
davanti agli occhi, la voce gli tremava, si sforzava solo di non scoppiare a
piangere. Non si rendeva conto più di niente se non delle tre voci beffarde che
lo schernivano, e quella di Assef più di tutte.
Il martirio
durò poco più di due ore e Amir si maledisse in cuor suo
almeno mille volte per aver scritto così tante storie. Prima Wali poi
Kamal, ad un certo punto, avevano dovuto fingere di
correre in bagno per sfogarsi ridendo a crepapelle; solo Assef aveva mantenuto
un’apparente calma ed un assoluta concentrazione durante l’ascolto.
“Molto bene”
disse alla fine. “Ringrazio di cuore Amir jan per averci fatto passare
un pomeriggio tanto piacevole. Ora immagino vorrai ristorarti un po’. Prendi
pure quello che vuoi da bere e da mangiare, poi magari potremmo andare a
giocare a tennis nel campo privato che ho qui dietro.”
“Grazie, ma
non ho bisogno di niente, Assef” rispose Amir, alzandosi in piedi. Gli
tremavano le gambe. Voleva solo andarsene da lì. “Adesso devo
tornare a casa, ti chiedo scusa. Comunque non so
giocare a tennis.”
“Ah, dimenticavo che tu sei uno scrittore e di solito gli artisti
non sono degli sportivi. Come vuoi. Mi ha fatto
piacere che tu sia venuto e spero che tornerai presto” replicò cortesemente il
giovane, alzandosi in piedi e accompagnando Amir al cancello. Era
soddisfatto e trionfante. Aveva mortificato il suo nemico su tutta la linea.
A quel punto
Hassan si avvicinò, un po’ esitante, per salutare il suo vecchio amico e
ringraziarlo di avergli fatto sentire quelle storie di cui aveva patito tanto
la mancanza.
“Amir agha, è stato bellissimo
poter riascoltare le tue storie e sono contento che anche ad aghasahibe ai
suoi amici siano piaciute. Io te lo dicevo quanto eri bravo, ma non sono
intelligente e istruito come loro. Adesso invece…”
Non poté
finire la frase. Amir lo respinse con violenza colpendolo in faccia col
quaderno. Il piccolo hazara, allibito, indietreggiò e gli occhi gli si
riempirono di lacrime.
“Stai zitto, piccolo stupido ignorante! È
stata tutta colpa tua, ti odio, vorrei che tu fossi morto!” gridò Amir. Ferito
e umiliato, non poteva fare altro che sfogare la sua rabbia sull’unico che
aveva apprezzato davvero la sua lettura.
Assef
aspettava proprio quel momento per intervenire. Assaporando il suo totale
trionfo come fosse un miele dolcissimo si avvicinò al
piccolo servitore che tratteneva a stento le lacrime e si massaggiava la
guancia colpita, guardando con stupito dolore l’amico di un tempo.
“Questo non avresti dovuto farlo, Amir” lo rimproverò in tono improvvisamente
gelido, attirando a sé il desolato Hassan. “Non so cosa ti sia preso, visto che
Hassan voleva solo essere gentile con te, ma non ha importanza. Trattare così
il mio servitore in mia presenza equivale a mancare di rispetto a me, cerca di
mettertelo bene in testa. Forse dimentichi che lui non è più il tuo servo ma il
mio? Oppure volevi offendere me attraverso lui?”
Queste parole
atterrirono Amir, che avrebbe voluto fuggire subito a casa; le gambe, però,
sembravano non reggerlo. Cosa gli avrebbe fatto adesso Assef? Forse aveva in
tasca il pugno di ferro e allora…
“Sei pregato di andartene immediatamente da casa mia. Non ti
ho invitato per farmi offendere né perché tu ti prenda
certe libertà sui miei servitori. Vattene. Naturalmente stasera dovrò telefonare
a tuo padre e parlargli del tuo inqualificabile comportamento. Forse lui saprà metterti in riga; ovviamente, questo non spetta a
me” concluse il ragazzo, stringendo a sé con un braccio Hassan, che adesso
piangeva sconsolato.
Non appena
Assef aprì il cancello, Amir indietreggiò e se la diede a gambe lungo la
strada, come se fosse inseguito da un’orda di lupi affamati. Assef non lo aveva
picchiato, ma avrebbe raccontato tutto a Baba e allora lui… Quel diabolico
ragazzo era riuscito a farlo passare dalla parte del torto. Era lui che lo
aveva preso in giro con i suoi amici, aveva organizzato tutto fin dal principio
e adesso sarebbe stato Amir a pagarne le conseguenze. Il ragazzino correva
all’impazzata per le strade di Kabul, lasciando finalmente scorrere le lacrime.
Era caduto nella trappola di Assef, gli aveva offerto la sua vendetta su un
piatto d’argento, era stato uno stupido ingenuo e adesso Baba lo avrebbe punito
e, peggio ancora, lo avrebbe obbligato ad umiliarsi di
nuovo, andando a chiedere scusa al giovane. Non era giusto, non
era affatto giusto!
Amir non lo
avrebbe ammesso mai, nemmeno sotto tortura, ma una delle cose che gli erano bruciate di più era vedere come Assef era riuscito a
metterlo contro Hassan, spingendolo a trattarlo male e intervenendo per
difenderlo. Adesso sembrava che fosse lui il suo amico… Ma quello stupido
hazara aveva già dimenticato quello che gli aveva fatto Assef in quel vicolo?
Stupido, stupido, stupido hazara!
Quella sera
Amir rientrò a casa tardi e si chiuse subito in camera, temendo da un momento
all’altro di sentire sulle scale i passi di Baba che veniva a rimproverarlo per
la sua condotta a casa di Assef. Non cenò nemmeno: i fatti della giornata gli
avevano lasciato addosso una nausea insopprimibile.
Amir passò una notte molto agitata e al mattino era ancora più stanco e
confuso della sera precedente
Amir passò una notte molto agitata e al
mattino era ancora più stanco e confuso della sera precedente. Si recò
svogliatamente a fare colazione. Ricordava ancora quando la colazione era uno
dei momenti più allegri della sua giornata: mentre lui mangiava, Hassan gli
frullava intorno servendolo, mettendo a posto le cose che non servivano,
preparandogli libri e quaderni nella cartella, appuntandogli le matite e
chiacchierando e ridendo con lui. Adesso invece le sue colazioni erano tristi e
solitarie. Ali si limitava a servirlo e poi se ne
andava senza una parola; suo padre era solito fare colazione prima di lui e a
quell’ora era già uscito o chiuso nel suo studio.
Quella
mattina, però, le abitudini del padre avevano subito un brusco cambiamento: infatti Amir se lo ritrovò seduto al tavolo della colazione,
di fronte a lui, che lo aspettava. Il suo sguardo torvo non prometteva nulla di
buono. Ali servì la colazione ad entrambi e poi si
affrettò a lasciarli soli.
“Ieri sera mi
è giunta una telefonata che mi ha causato moltissima vergogna, Amir. Immagino che tu sappia benissimo di che cosa si
tratta” esordì l’uomo in tono glaciale.
Il ragazzino
annuì, tenendo gli occhi fissi sul piatto.
“Assef mi ha
raccontato come ti sei comportato a casa sua e si è dimostrato molto stupito
non solo per la tua maleducazione, ma anche per il fatto che
sei stato profondamente sgarbato con Hassan” continuò. “Io non so davvero più
che cosa fare con te.”
Amir continuò
a non rispondere. Sbocconcellò svogliatamente la colazione e bevve un sorso di
tè senza mai alzare lo sguardo.
“Spero che
anche tu ti renda conto della vergogna che ho dovuto subire per colpa tua. Non
sarebbe male se provassi almeno un po’ di rimorso.”
Il bambino
annuì, poco convinto.
“Ero davvero felice che tu fossi andato a casa di Assef,
non solo perché da anni spero in una tua amicizia con lui, ma soprattutto
perché mi auguravo che tu ed Hassan finalmente vi
chiariste. Ed invece…”
“Farò tardi a scuola” mormorò
Amir, facendo per alzarsi da tavola. Ma il padre si infuriò
ancora di più.
“La scuola può attendere. Non morirà nessuno se perdi un giorno, mentre è molto più
importante che tu impari a capire come funzionano le cose della vita” esclamò,
sbattendo il pugno sul tavolo. Mortificato, Amir si sedette di nuovo.
“Scusami, Baba…”
“Non è a me che devi chiedere scusa, bensì ad Assef e ad Hassan. Sì, anche ad Hassan,
perché per me non è un semplice hazara, un servo, come forse lo consideri tu,
ma è il figlio del mio migliore amico, dell’uomo con cui sono cresciuto!”
sbottò Baba. “Mi sono accordato con Assef e lui ed Hassan verranno qui oggi
pomeriggio alle cinque. Tu sarai presente e ti scuserai espressamente con loro.”
“Lo farò, Baba” rispose Amir, più per terminare quella
conversazione che per reale convinzione. Prese la cartella. Andare a scuola per
lui era sempre stata una fatica immensa, ma in quel momento anche quel luogo
odioso e tetro gli sembrava un paradiso rispetto a quel colloquio con il padre.
Amir stava per uscire dalla sala da pranzo quando un ultimo
discorso di Baba lo raggelò.
“So che in passato hai avuto diversi contrasti con Assef,
che è stato un ragazzino prepotente e così via. Adesso però è cambiato e vorrei
che anche tu lo riconoscessi. Ma non è tanto questo che mi
addolora, quanto il tuo improvviso astio per Hassan, che è cresciuto con te e
che credevo tu considerassi un fratello” disse l’uomo. “Mi viene da
pensare che tu in realtà sia invidioso di lui perché è tanto superiore a te in
tutto: è più leale, coraggioso, generoso, buono e obbediente. Ho notato che i
problemi fra voi sono venuti fuori dopo la tua vittoria al torneo degli
aquiloni. Non sarà per caso che ti sei reso conto che, senza il suo aiuto, tu
non avresti mai conquistato quella vittoria? Questo è un sentimento molto
meschino, vorrei che tu ci riflettessi bene.”
Amir uscì di casa diretto verso
la scuola. Quella conversazione mattutina aveva finito per sfibrarlo ancora di
più e le ultime parole di Baba gli bruciavano dentro. Era vero, aveva vinto il
torneo solo perché Hassan si era sacrificato per riportargli l’aquilone azzurro
e lui, invece, non aveva saputo fare altro che trattarlo male. Non voleva
ammettere che Hassan era stato migliore di lui, che un semplice servo hazara…
Sì, Baba cominciava a capirlo e si vergognava di lui per questo. Non poteva
continuare così. Quel pomeriggio avrebbe fatto ciò che il padre gli chiedeva e
poi sperava che quell’agonia avrebbe avuto fine. Forse
dopo quell’ennesima umiliazione Assef si sarebbe ritenuto finalmente
soddisfatto.
Amir non riuscì a seguire nemmeno un secondo delle ore di
lezione, il suo pensiero restava fisso al tremendo pomeriggio che lo attendeva:
avrebbe dovuto scusarsi con Assef, con Assef, figurarsi! Come se la
colpa di tutto non fosse stata di quel ragazzo malvagio e perverso. Tornò a
casa più lentamente che poté, trascinando i piedi nella polvere delle strade di
Kabul e cercando così di ritardare almeno un po’ il confronto angoscioso e
mortificante che lo attendeva al suo arrivo.
Si chiuse in camera e rimase lì a tormentarsi fino a
quando, poco prima delle cinque, sentì suonare alla porta e udì il passo lento
e strascicato di Ali che andava ad aprire. Si premette
le mani contro le orecchie, illudendosi che in quel modo avrebbe potuto
cancellare la realtà della presenza di Assef ed Hassan in casa sua. Ma fu tutto inutile: poco dopo Ali bussò alla sua porta e
gli disse che suo padre lo aspettava in salotto. Il ragazzino uscì dalla stanza
scansandolo bruscamente. Era ingiusto e lo sapeva, ma in quel momento era
infuriato anche con lui perché lo vedeva sorridere per la gioia di aver appena
incontrato suo figlio e di essersi accertato che stava bene.
“Eccoti qua, Amir” lo accolse freddamente Baba non appena
fece il suo ingresso in salotto. Era già seduto in poltrona e aveva fatto
accomodare Assef ed Hassan sul divano.
“Buongiorno, Amir jan” lo salutò il giovane con
falsa cortesia, mentre il piccolo hazara gli rivolse un sorriso luminoso che
Amir ignorò completamente. Si sedette sull’altra poltrona lentamente e a
disagio, come se fosse irta di spine.
“Cominci subito male, Amir.
Questa tua maleducazione mi fa sfigurare. Perché non hai salutato Assef e
Hassan? È questo il modo in cui ti ho insegnato a trattare
gli ospiti?” lo rimproverò il padre.
Arrossendo fino alla radice dei capelli, Amir borbottò un
saluto rivolgendosi principalmente al tappeto, poiché era lì che teneva fisso
lo sguardo.
“Adesso vorrei che qualcuno di voi mi raccontasse cos’è
successo esattamente ieri pomeriggio a casa di Assef. Magari puoi cominciare
tu, Hassan. So che non sei capace di mentire e che tutto ciò che sentirò da te
sarà la verità. Assef jan, naturalmente tu potrai intervenire in
qualunque momento lo riterrai necessario.”
Ma ad Assef andava benissimo che
fosse il servetto a descrivere la vicenda del giorno
precedente e la sfuriata di Amir. Sarebbe sembrato ancor più verosimile
raccontato nel tono candido ed innocente di Hassan.
“Certo, aghasahib. Ieri ero tanto contento perché
finalmente avrei rivisto Amir aghae
ancora di più perché avrebbe letto le sue storie davanti a tutti. Io gli ho
sempre detto che diventerà un grande scrittore, ma il mio parere conta poco visto che sono solo un servo. Invece ieri aghasahibe i suoi
amici hanno ascoltato volentieri i racconti e anche loro hanno detto che Amir aghaè molto bravo e
gli hanno fatto i complimenti usando dei paroloni difficili che non ho capito
molto bene. Ero davvero fiero di lui e pensavo che ne sarebbe
stato felice” cominciò a spiegare il bambino con entusiasmo. Assef lo
guardava compiaciuto, Baba annuiva lentamente col capo e Amir continuava a
fissare il tappeto sentendosi morire. Si rendeva perfettamente conto che, vista
così, la storia gli si sarebbe ritorta contro. Quello stupido hazara non capiva
che lo stava rovinando?
“Prima che se ne andasse mi sono
avvicinato ad Amir aghaper salutarlo e
ringraziarlo perché ero tanto contento di aver finalmente riascoltato le sue
storie. Forse però…” Hassan esitò un attimo, ancora incredulo e addolorato per
quello che l’amico gli aveva fatto, “ecco, credo di aver detto qualcosa di
sbagliato senza accorgermene, perché lui si è arrabbiato con me e mi ha
trattato male. Aghasahibè dovuto venire a difendermi e io…”
“Hassan, sai bene che non devi
nascondere nulla, non è vero? Hai dimenticato di
specificare che Amir ti ha anche schiaffeggiato” precisò malignamente Assef,
sapendo benissimo che il bambino aveva omesso volontariamente quel particolare.
“Bene, questo mi basta” tuonò Baba. Si rivolse ad Amir
con uno sguardo infuocato. “Ora tu ti scuserai con Assef per esserti comportato
così maleducatamente in casa sua, ma soprattutto con Hassan il cui solo errore
è quello di volerti bene!”
Il piccolo hazara si mosse a disagio accanto ad Assef.
Avrebbe voluto dire che non era necessario, che non voleva che Amir aghasubisse quell’umiliazione per colpa sua,
ma sapeva che un semplice servitore non poteva certo intervenire senza
permesso.
“Mi… mi dispiace per come mi sono comportato ieri a casa
tua, Assef. Ti chiedo… scusa” riuscì a dire il ragazzino con
un notevole sforzo. “E mi scuso anche con te, Hassan. Tu volevi solo
essere gentile, sono io che…”
Assef era soddisfatto. Circondò con un braccio le spalle
di Hassan e lo attirò a sé, perché si era accorto di quanto il bambino fosse
agitato: sembrava soffrire ancor più di Amir per quella situazione. Ma ora toccava a lui fare la prossima mossa.
“Sei perdonato, Amir jan, non è necessario che tu
dica altro. Quando ero venuto qui la volta scorsa mi
ero impegnato a fare il possibile per favorire gli incontri tra te ed Hassan,
avevo detto che io stesso avrei utilizzato il mio tempo libero per portarvi
fuori e farvi stare insieme. Il primo tentativo, purtroppo, è stato un
fallimento, anche se non per colpa mia. Ma non intendo arrendermi e continuerò ad occuparmi di voi e ad accompagnarvi al cinema, a giocare
a pallavolo, a passeggio e a fare qualunque altra cosa foste abituati a fare
insieme. Sono sicuro che presto tornerete gli amici fraterni che eravate prima.
Lei cosa ne pensa,Kakajan?”
Il padre di Amir era entusiasta.
“Sei un ragazzo molto generoso e altruista se davvero hai
intenzione di sacrificare il tuo tempo libero per aiutare Amir ed Hassan. Non tutti lo farebbero, specie dopo che mio
figlio è stato tanto scortese con te. I tuoi genitori devono
essere orgogliosissimi di te e di come ti hanno educato” esclamò felice.
“Le assicuro che lo faccio volentieri e
che non mi costa nessun sacrificio. Anzi, visto che
è ancora presto potremmo proprio andare al cinema, che ne dici, Amir jan?
Il film puoi sceglierlo tu” propose Assef, soddisfatto di
essersi conquistato non solo la fiducia di Baba, ma anche quella di Hassan.
Infatti il bambino sembrava felice all’idea di andare
al cinema con lui ed Amir.
“Ma certo. Amir, tu hai già
terminato i tuoi compiti e puoi uscire con Assef ed
Hassan, non è vero?” rispose subito il padre al posto del figlio.
Il ragazzino cercò in fretta una scusa per liberarsi, ma
non trovò nulla di abbastanza valido per opporsi alla
decisione di Baba. Gli pareva di soffocare, come se le mura del salotto si
stessero richiudendo su di lui.
“Sì, Baba” rispose con voce fioca.
Quella giornata era iniziata malissimo e sarebbe
proseguita in modo ancora più orribile. Uscire con Assef? Era ancor peggio di un incubo, era una vera e propria tortura. E
quell’idiota di un hazara non aveva capito un bel niente e se ne stava lì
felice e beato! Era proprio uno sciocco, si era meritato tutte le cose brutte
che gli erano accadute, pensò con rabbia Amir, senza
accorgersi di quanto fossero ingiuste le sue accuse.
Ma, come al solito, era più
facile prendersela con l’innocuo Hassan che mettersi contro Assef o Baba.
Amir non si rese neppure conto di che film fossero andati a vedere, di
che cosa parlasse o di chi fossero i protagonisti: per tutta la durata della
proiezione non fece che pensare a come era caduto in trappola, al modo in cui
Assef era riuscito a circuir
Amir non si rese neppure conto di
che film fossero andati a vedere, di che cosa parlasse o di chi fossero i
protagonisti: per tutta la durata della proiezione non fece che pensare a com’era
caduto in trappola, al modo in cui Assef era riuscito a circuire Baba e al
fatto orribile e insopportabile che, da quel giorno in poi, avrebbe dovuto
vederlo di continuo con la scusa di riallacciare i rapporti con Hassan! Assef
era stato veramente diabolico e lui, che ne era sempre più terrorizzato, non
riusciva a immaginare il motivo per cui avesse voluto fare una cosa simile.
Divertirsi a tormentarlo era un conto, ma in questo modo anche il ragazzo
sarebbe stato costretto a trascorrere la maggior parte del suo tempo libero con
lui e Hassan invece che con i suoi amici. Chi glielo faceva fare?
Quello che Amir non poteva capire
era che, per Assef, la sensazione di potere che provava trascorrendo il tempo
con i due bambini era tanto piacevole da fargli sacrificare volentieri il tempo
libero con Wali e Kamal. Del resto, anche quei due non erano dei veri amici e
li frequentava solo perché erano dei deboli, disposti a fare tutto ciò che lui
voleva anche quando non erano d’accordo. Stare con Amir e Hassan, però, era
ancor più appagante: il piccolo hazara, nonostante il terrore iniziale, stava
cominciando ad affezionarsi a lui e poi, ingenuo com’era, si dimostrava
profondamente grato per avergli dato l’occasione di riallacciare la sua
amicizia con Amir; per quanto riguardava quell’insolente e presuntuoso
ragazzino, era un vero godimento stargli sempre tra i piedi e, fingendo di
avere le migliori intenzioni di questo mondo, spaventarlo a morte con la sua
semplice presenza. Il fatto che il padre di Amir fosse tanto sciocco da
ammirarlo e portarlo ad esempio presso tutti i suoi amici, poi, non faceva che
aumentare la sua soddisfazione.
Il primo cinema insieme segnò
dunque l’inizio di un periodo di grande appagamento per l’ego di Assef, di
gioia per Hassan che poteva di nuovo trascorrere tanto tempo con il suo amico e
di terrori e incubi notturni per Amir, completamente terrorizzato dal ragazzo
ma anche impossibilitato a rifiutarsi di frequentarlo, dato che era stato suo
padre a ordinarglielo.
Mesi dopo, quando cominciò
l’invasione dell’Afghanistan da parte dei russi, Assef ebbe di nuovo modo di
apparire straordinariamente generoso ed eroico agli occhi del padre di Amir.
Quel giorno il ragazzo aveva
portato i due bambini in piscina, ma non aveva partecipato molto ai loro
giochi; si era limitato a guardarli di sfuggita, distratto da altri pensieri e
preoccupazioni più importanti. Quando era giunto il momento di riaccompagnare
Amir a casa, Assef aveva preso una decisione fondamentale e voleva parlarne con
il padre del ragazzino.
“Bentornato, Assef” lo accolse
con grande calore l’uomo. “Davvero non potrò mai ringraziarti abbastanza per
tutto quello che stai facendo per mio figlio e per Hassan! In questi ultimi
tempi mi è sembrato di veder rinascere la loro bella amicizia e il merito è
tutto tuo. Non immagini neanche quanto questo sia importante per me…
specialmente adesso…”
“Volevo parlarle proprio di
questo, kaka jan” replicò Assef, che
aveva pensato al discorso da fare per tutto il pomeriggio. “Da certe frasi che
ho sentito in casa, dai miei genitori, sono venuto a sapere che lei è intenzionato
a partire per l’America con suo figlio e il suo servitore Ali. Come aveva
intenzione di comportarsi nei confronti di Hassan, se posso chiederglielo?”
Il padre di Amir apparve confuso
e disorientato. Non pensava che i suoi progetti di fuga di fronte all’invasione
russa fossero di pubblico dominio e, soprattutto, era molto tormentato al
pensiero di partire senza portare anche il piccolo servitore. Hassan, però, non
abitava più nella sua casa ed era di proprietà di Assef…
“Io… ecco, questo non è un
argomento del quale desidero parlare apertamente…”.
“Non si preoccupi, non ho nessuna
intenzione di svelare i suoi piani. Ne ho sentito parlare in casa solo perché
mio padre è suo amico e, in ogni modo, anche la mia famiglia sta progettando di
lasciare l’Afghanistan per recarsi in Australia. Là possediamo degli alberghi o
qualcosa del genere” lo rassicurò Assef.
“Ah… andrete in Australia,
dunque?” mormorò l’uomo, sentendo un gran peso agitarglisi nel cuore. Da un
lato era contento che anche Hassan fosse portato al sicuro, lontano da una
guerra che si annunciava sanguinosa e interminabile; dall’altro, però, era
lacerato al pensiero che non lo avrebbe rivisto mai più. L’Australia sembrava
un luogo così remoto e selvaggio…
“I miei genitori ci andranno, ma
io no” rispose deciso il giovane. “Non sono più un bambino e non ho intenzione
di fuggire davanti a chi vuole distruggere la mia terra e la mia libertà: ho
quasi l’età per combattere e lotterò in ogni modo contro gli invasori del mio
Paese!”
“Questo ti fa onore, Assef, ma
allora…”
“E’ proprio per questo motivo che
oggi sono venuto a parlarle” continuò il giovane. I suoi occhi brillavano di
orgoglio al pensiero di mostrare ancora una volta la propria superiorità al
padre di Amir, che più volte si era rammaricato di non avere un figlio come
lui. “Quando mi arruolerò per combattere contro i russi non potrò certo
portarmi dietro Hassan: un soldato non ha bisogno di un servitore. Potrei
affidarlo ai miei genitori, è vero, ma perché strappare quel povero bambino al
suo Paese per mandarlo lontano con gente che conosce a malapena?”
Assef fece una pausa a effetto,
godendosi fino in fondo il piacere del totale trionfo: adesso agli occhi del
padre di Amir sarebbe apparso non solo come un eroe che si sacrifica per la
patria, ma anche come un giovane altruista e generoso. Amir e Hassan, che erano
rimasti ad ascoltare la conversazione, non sembravano averci capito un granché,
ma non erano loro quelli che il ragazzo voleva impressionare.
“Hassan tornerà da lei, kaka jan, al servizio suo e di Amir. Per
adesso continuerà a essere il mio servitore personale, ma lei mi avvertirà
quando sarete pronti a partire ed io ve lo manderò, in modo che potrete
portarlo con voi. Così il povero Hassan non dovrà separarsi dal suo caro amico
Amir e da suo padre Ali” concluse Assef con il tono di un antico imperatore
romano che concede la grazia ad un condannato a morte.
“Assef… io… cosa posso dirti? Sei
troppo buono… non so se devo accettare” balbettò l’uomo, incredulo di fronte a
tanta felicità.
“Che cosa vuol dire, Baba?”
chiese Amir. Non aveva mai visto suo padre così sconvolto e il fatto che Assef
avesse potere anche su di lui non gli piaceva affatto.
“Semplicemente che, tra qualche
giorno, il tuo piccolo amico Hassan tornerà a casa tua e resterete per sempre
insieme” gli rispose Assef con un sorriso mellifluo. Poi si rivolse nuovamente
a Baba “Certo che deve accettare, kaka
jan. Come le ho già spiegato, io non avrò più bisogno di un servitore e
sarò contento di sapere che Hassan è al sicuro con persone che gli vogliono
bene.”
Commosso e pieno di gioia e
gratitudine, l’uomo gli gettò le braccia al collo.
“Non ho parole per esprimerti
quanto ti sono grato e quanto ti stimo, Assef” gli disse. “Ho sempre invidiato
tuo padre, avrei voluto avere anch’io un figlio come te, un figlio bravo a
scuola, negli sport e in società, un figlio di cui poter essere orgogliosi. Ma
ora la mia ammirazione per te va oltre: tu non sei solo questo, sei anche un
vero eroe per il nostro Paese e un ragazzo buono e generoso che si preoccupa
perfino del benessere di un piccolo servitore!”
Non è così, non è così, sta solo fingendo, a lui non importa un bel
niente di Hassan, anzi lo disprezza e vuole solo farsi bello ai tuoi occhi! avrebbe
voluto urlare Amir, disgustato e inorridito di fronte alla faccia tosta di
Assef. Naturalmente, però, non aprì bocca e rimase a guardare Baba che si
sdilinquiva davanti al giovane.
“Kaka jan, le assicuro che per me non è nulla di straordinario” si
schermì Assef, ostentando modestia. “Non potrei mai andarmene sapendo che il
mio amato Paese è in pericolo e che io sono giovane e forte e posso difenderlo.
Allo stesso tempo, però, mi sembra logico che Hassan torni da suo padre e da
una famiglia che gli vuole bene, poiché io non potrò più tenerlo al mio servizio.
Cosa c’è di tanto generoso in questo?”
Sei talmente falso e untuoso da farmi venire voglia di vomitare! pensò
Amir. Possibile che Baba fosse così ingenuo da credere a dei discorsi che
parevano tratti da un libro stampato?
Purtroppo, però, era proprio così.
Baba ricolmò Assef di ringraziamenti e complimenti per un tempo che ad Amir
parve infinito e poi, finalmente, il ragazzo si accomiatò.
“Per stasera e fino alla vostra
partenza Hassan resterà con me” concluse prima di andarsene. “Ma mi faccia
sapere per tempo quando ha intenzione di partire, kaka jan, e io lo porterò subito qui.
Assef salutò cordialmente Amir e
suo padre e se ne andò con Hassan. Quando il giovane fu uscito, Amir notò con
raccapriccio che Baba aveva gli occhi umidi per la commozione, sebbene si fosse
controllato finché Assef era presente.
Ma come fa a farsi abbindolare così da quel ragazzo cattivo e bugiardo?
Amir era veramente sconvolto e
rimase ancora peggio accorgendosi che, per il resto della serata, suo padre lo
ignorò come se nemmeno si rendesse conto della sua presenza. I suoi pensieri
erano tutti concentrati su Assef, il figlio perfetto, il coraggioso patriota
che restava a combattere i russi, e, naturalmente, sulla gioia e il sollievo
provati alla notizia che avrebbe potuto portare Hassan in America. Ciò che lo
aveva lacerato e tormentato per tanti giorni era finalmente svanito ed era
tutto merito di Assef.
In quanto al ragazzo, era tornato
a casa in uno stato di assoluta beatitudine. Non si sarebbe mai aspettato di
ottenere un trionfo e una vendetta così completi su Amir! Per mesi lo aveva
torturato e perseguitato con la sua continua presenza, lo aveva messo in
cattiva luce con Baba e con lo stesso Hassan che, per quanto fosse scioccamente
leale, non poteva non rendersi conto di quanto Assef fosse stato generoso con
lui e di quanto invece Amir lo avesse fatto soffrire. Infine, come per una
solenne apoteosi, aveva eclissato totalmente il ragazzino agli occhi del padre
apparendo come un eroe della patria e un generoso difensore dei più deboli e
indifesi. Una volta partiti per l’America, Baba e Hassan avrebbero ricordato
lui, Assef, come l’artefice della loro felicità e salvezza e, chissà, magari si
sarebbero anche preoccupati per lui sapendolo in pericolo; Amir sarebbe uscito
sempre perdente dal confronto e suo padre non avrebbe fatto altro che
rammaricarsi per non aver avuto un figlio come lui invece che un incapace come
Amir. Che soddisfazione! E pensare che non aveva dovuto nemmeno fare tanta
fatica per raggiungere questi meravigliosi risultati, anzi, a dire la verità ci
si era pure divertito!
Con un sorriso trionfante Assef
ripercorse mentalmente tutte le fasi della sua vittoria schiacciante e concluse
compiaciuto che chiunque ci avrebbe dovuto pensare su molto bene prima di permettersi
di sfidarlo in qualsiasi modo. Lui era troppo superiore e nessuno, tanto meno
un inetto codardo come Amir, poteva avere la minima speranza. E Hassan? Beh, il
piccolo hazara gli era stato utile in molti modi, oltre che per portare a
termine la sua rivalsa; alla fine si era abituato al suo affetto e alla sua
devozione che, doveva ammetterlo, erano piuttosto piacevoli. Insomma, in
conclusione aveva ottenuto tutto ciò che voleva nel modo più facile e gradevole
possibile.