The other side of the Moon

di Mirajade_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuova stella rosso sangue: prologo ***
Capitolo 2: *** Pretty Hurt ***
Capitolo 3: *** Human ***
Capitolo 4: *** Shatter Me ***
Capitolo 5: *** Chandelier ***
Capitolo 6: *** Don't you worry child ***
Capitolo 7: *** Magnetic ***



Capitolo 1
*** Nuova stella rosso sangue: prologo ***



Nuova stella Rosso Sangue: Prologo

-Aulampia vieni a giocare!- gridò una bambina mentre si nascondeva dietro un pesco per non essere avvistata dagl’altri.
-No, non voglio giocare- rispose la bambina scontrosa mentre i capelli blu le ricadevano sulle spalle accarezzandole.
Era sempre stata definita l’asociale bambina del gruppo, nonostante avesse sei anni appena compiuti. Mentre gli altri giocavano a nascondino in mezzo al grande frutteto, lei gli osservava soffermandosi su quei attimi in cui loro mostravano i propri poteri per sbaglio, “poteri inutili” come li definiva lei, che aveva ricevuto il dono di più poteri per controllare lo spazio,la natura e il clima mentre gli altri si accontentavano di miseri poteri come il volo, il teletrasporto, la cicatrizzazione aumentata e altri doni che ogni sacerdotessa portava dentro, ma non lei, oppure gli “squallidi” poteri dei piccoli guerrieri, figli della notte, che riuscivano a prendere le sembianze dei più feroci animali esistiti.
 
 
Li guardava: ragazze che piangevano, ragazzi che sputavano sangue durante le loro trasformazioni e madri che preparavano ogni sorta di impacco con erbe medicinali per i propri figli sperando che potesse alleviare il dolore di un potere che stava pian piano consumando quella gente dall’interno.
-Figliola devi aiutarli- disse il padre della ragazza mentre guardava l’erba del frutteto cosparsa di sangue e di urla demoniache.
-Mi dispiace padre… ma non ci tengo aiutarli, voglio vederli sprofondare-
-Perché mai dici questo figlia mia?-
-Perché è la mia vendetta per ogni volta che mi hanno presa per pazza e asociale, devono sprofondare nel loro stesso sangue- non distolse lo sguardo dalla finestra della sua camera al primo piano.
-Figliola ti supplico aiutali, moriranno e non ci sarà più un futuro per tutti noi, abbiamo bisogno di te-
La ragazza scrutò l’anziano padre, nonché governatore, che la stava pregando per salvare la vita di coloro che si credevano i rivoluzionari.
Quell’uomo  sapeva del grande controllo della figlia e della sua fama per aver aiutato donne con problemi psicologici causati da un potere più forte della loro anima e di loro stesse.
Squadrò i sedicenni lentamente, mentre già qualcuno cominciava ad accasciarsi a terra senza vita o impazziva a tal punto di iniziare a strisciare per terra.
-Va bene padre, lo farò per voi-
 
-Aulampia!Aulampia! Riesco finalmente a contenere i miei poteri! Ieri sera ne ho avuto la conferma, sono riuscita a usare i miei poteri senza svenire!- urlò entusiasta Esther, la sua vicina di casa, mentre si avvicinava a lei sorridente.
Sorrise anche lei,un sorriso vittorioso e felice che si spense subito quando vide la ragazza inginocchiarsi davanti a lei e dietro di lei altre ragazze che si inginocchiavano come per portargli rispetto, come se fosse una divinità.
Non ha mai voluto diventare così importante, non  voleva soprattutto che quelle ragazze diventassero importanti per lei, ma forse ora era troppo tardi.
Alcuni guerrieri si alzarono , lasciando i posti dov’erano comodamente seduti,nel grande frutteto, si avvicinarono alle ragazze inginocchiate iniziando ad alzarle con violenza gridando loro di smetterla di comportarsi come delle pazze e che quella ragazza dai capelli blu non le stava aiutando, che stava soltanto distruggendo la loro sanità mentale.
La lotta stava per iniziare sacerdotesse sulla via della guarigione e guerrieri che erano sempre più vicini alla morte.
Il campo era completamente ricoperto di sangue, corpi sgozzati erano ammucchiati qua e là, erano ragazzi e ragazze, erano specie diverse, sacerdotesse e guerrieri, assassine e sicari.
La ragazza lasciò cadere la spada mente scoppiava a piangere coprendosi il viso con le mani sudice di sangue: era stata tutta colpa sua, non avrebbe mai dovuto accettare.
Alcune sacerdotesse erano ancora vive ma ferite e lo stesso valeva per i guerrieri che non volevano lasciare le loro spade.
Chiuse gli occhi e singhiozzando ripeté più volte una cantilena, che all’orecchie degl’altri sembrava una litania orribile cantata da qualche creatura mistica tra un serpente e un usignolo.
I guerrieri si accasciarono ben presto a terra mentre lunghi marchi neri bruciavano loro la pelle quasi scorticandola e sentivano la loro anime dividersi in due e combattersi tra di loro lentamente: una per uscire dal quell’involucro di pelle, l’altra per impedirlo.
Una era la parte animale, l’altra quella umana.
Ogni marchio iniziò piano a rilasciare delle fiamme nere man mano che se ne formava uno sulla pelle, il dolore era insopportabile come il dolore di una lama lunga,lucida e appuntita che si fa spazio nella carne scottata violentemente dal sole.
Le sacerdotesse ancora in vita iniziarono a urlare qualcosa come “Fermati” mentre altre si inginocchiavano per terra e iniziavano a ripetere la stessa litania della ragazza ormai pallida come la cera di una candela.
Gli occhi della ragazza dai capelli blu avevano perso il loro magico verde lasciando spazio ad un color perla che si spense poco dopo, mentre lei si accasciava a terra con un sorriso vittorioso. Il corpo scomparve in una fievole luce. Il sangue divenne un intrico di rose rosse e una piuma scese dal cielo, una piuma rossa con la punta bianca.


Un nuovo angelo, una nuova divinità, una nuova guerriera.


SPAZIO AUTRICE:
SALVE A TUTTI!

Come state? Spero bene.
Oggi vi presento il prologo della mia nuova ff su Total Drama incentrata sul tema della guerra,del sovrannaturale e più in futuro sull'instabilità mentale.
Spero vi piaccia!
Dal prossimo cap in poi, che ha propsito pubblicherò il prossimo mese a causa degli esami, pubblicherò le foto dei personaggi modificate da me su photoshop.
In questa ff non c'è distinzione di ship: si passa dalla Gwencan a Gwent, dalla Dott alla Scottney e così via... certo ci saranno momenti più frequenti riguardo ad una coppia.
E dopo questo monologo io vi saluto.

Un bacio, Giappone for life e CUPCAKES!! :3
Alatariel_J.E
(nell'attesa che mi cambino il nick)

 

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Capitolo 2
*** Pretty Hurt ***



Pretty Hurt

L'aria fredda si insinuava lentamente tra i loro capelli che svolazzavano verso sinistra coprendo leggermente i loro visi che trasmettevano puro dolore mentre assistevano a un tramonto dai colori rosso sangue e arancio che si mescolavano con le nuvole e contrastavano con le ali nere delle rondini che migravano e scappavano da quella che poteva sembrare all’apparenza un grande grattacielo distrutto,alto… gigantesco, col tetto crepato  e dal colore pergamena che pian piano scuriva verso le torri di pietra.
Sembrava un incrocio tra una castello medievale, un sacrario romano e un grattacielo imponente. Ma lì non vivevano re e regine, non si custodivano oggetti sacri e non si lavorava duramente dietro una scrivania a discutere su affari lavorativi, lì si veniva cresciuti per poi morire miseramente.
Lì ognuno sapeva che non avrebbe superato i diciotto anni e che sarebbero morti, morti combattendo o suicidandosi per non togliere e strappare vite loro stessi. Lì la morte regnava incontrastata.
-Vi piacerebbe?- chiese la ragazza dai capelli biondo oro ammirando il tramonto e controllando di tanto in tanto la sorella maggiore accanto a se.
Ad occhio sua sorella dai capelli rosso fuoco poteva sembrare la minore non avendo atteggiamenti seri ma piuttosto da ragazzina.
-Cosa?- chiese un’altra che si dilettava a creare piccole forma astratte sull’erba con dell’acqua creatasi dalle lunghe dita bianche come la neve.
-Volare via… da qui, da questa vita, dalla morte certa- disse di nuovo la bionda avvicinando le ginocchia sotto il mento.
-Non pregare in false speranze Bridgette… il nostro destino è segnato- rispose la più grande tra le ragazze mentre con lo sguardo vuoto si accarezzava i capelli lasciando una dolce brina tra ogni ciocca.
-Avrete il coraggio d’uccidere?-chiese ancora Bridgette
-Certo che n…- Gwen smise di accarezzare l’erba mentre veniva interrotta dalla ragazza accanto a se
-Si! Dobbiamo farlo, io personalmente ucciderò tutti finché non mi toglierò la vita io stessa- disse la mora acida dalla pelle bronzea e gli occhi neri come due pozzi senza fondo
-Perché dovresti toglierti la vita?- chiese Zoey curiosa
-Perché non combatterei mai contro qualcuna di voi… non avrebbe senso vivere,poi, con un angoscia e la coscienza che ti martella l’anima spingendoti al suicidio. Quindi in tutti e due i casi dovrò lo stesso morire-
-Non siate pessimiste… sopravvivremo e uccideremo quel dittatore assassino- disse infine l’ultima ragazza dai capelli viola così lunghi che sembravano lo strascico d’un abito da sposa.
Diedero un ultimo sguardo al sole che giocava a nascondino dietro i grattacieli crollanti e le capanne di paglia e mattoni o appartamenti bui.
Dietro di loro si udì il suono del portone del retro che si apriva mentre una figura dai capelli bianchi e lunghi fino alle spalle con gli occhiali sulla punta del naso appuntito iniziò a parlare dolcemente:- Signorine siete pregate di andare verso l’aula grande, il nostro imperatore è venuto a farci visita per un discorso della massima importanza- dopo quell’annuncio la signora Arcati rientrò nell’istituto mentre le sei ragazze sbuffarono rumorosamente sentendosi costrette a sentire il discorso di un patetico dittatore che prima o poi sarebbe morto per mano loro.
Non volevano lasciare quel luogo di pace dal manto verde incontrastato, si perché quell’istituto di morte forniva di un giardino che si estendeva per un kilometro intero ma loro non potevano scappare comunque, sarebbero morte sotto il peso di una barriera invisibile, una barriera mortale.
Era così su tutta la terra del Nord, in confronto alle altre terre, adottava sistemi di sicurezza terribili.
Quattro terre, uno Stato e infine solamente deserto e lande desolate su quel pianeta. La Terra delle Ombre o meglio “Opacus Regnum”.
Solo la Terra del Nord era la peggiore a causa di quel dittatore assassino. Aveva diviso due specie e fatta scappare una.
Le sacerdotesse da una parte, dominatrici degli elementi naturali e psichici, e i guerrieri, dominatori del mondo animale con una maledizione che gravava sulle loro spalle da un'altra parte a godersi tutti i privilegi che l’imperatore offriva, erano i favoriti.
Si alzarono contemporaneamente e il vento si placò come se l’unica cosa a tenerlo in vita era stata la calma delle anime di quelle ragazze.
Passarono tra i corridoi dell’istituti vuoti. Camminavano lentamente con i piedi scalzi sentendo il marmo freddo sotto i loro piedi.
Erano sempre state unite fin dall’inizio, forse per volontà del destino, o forse un semplice caso che aveva unito sei ragazze dai poteri differenti da ogni sacerdotessa, un potere incontrollabile le cui vittime erano state ragazze o animali.
Ognuna di loro aveva ucciso qualcuno, per puro errore, altre lo avevano superato ma non tutte.
Gwen era diversa, era stata vittima di bullismo atroce che l’aveva infine fatta esplodere, uccise tre ragazzi senza pietà ma poco dopo i sensi di colpa le attanagliarono lo stomaco e ancora sentiva quel dolore dopo otto anni dall’accaduto.
Arrivarono nell’aula grande che non era altro uno di quei teatri greci interni fatti di dure rocce marine e corallo, dove circa 3400 ragazze si erano sedute sugli scalini.
Lo spettacolo più orrendo di tutti: 3400 ragazze strappate via dalle loro famiglie all’età di due anni,.
Madri e padri hanno provato a nascondere i propri figli a farli scappare via da quella terra ma era tutto impossibile, ogni volta venivano scoperti e dopo aver strappato via il figlio i genitori venivano brutalmente torturati e poi fatti decapitare, le teste venivano poi bruciate e la cenere che si ricavava da quell’assassinio  la si dava all’imperatore.
Le voci dicevano che usava la cenere per fare delle clessidre oppure che la usava come concime o che mangiava le ceneri per sentire il sapore delle anime morte.
Ma allo sguardo attento delle ragazze non sembrava il tipo da mangiare teste cremate soprattutto dal modo in cui parlava o si vestiva. Per quella occasione indossava un vestito elegante, giacca e cravatta che in mezzo a quelle ragazze vestite con dei bellissimi abiti bianchi in stile impero, come gli antichi romani, sembrava l’incrocio di due tempi, di due culture.
Aveva già iniziato a parlare e l’uomo si muoveva elegantemente mentre si passava le mani tra i capelli neri unti di qualcosa che alla luce del grande lampadario di cristallo brillava, come piccoli diamanti alla luce della luna.
-…ho deciso di avvantaggiarvi quindi avrete tre settimane di tempo, non di più, prima di quel giorno, chiaro?!- concluse infine l’uomo mentre le sei ragazze cercavano di sgattaiolare verso dei posti rimasti liberi.
-Voi sei, là dietro! Vi sembra l’orario d’arrivare?!- l’imperatore guardò le ragazze che si raddrizzarono di colpo sentendosi a disagio con addosso tutti gli sguardi di quelle ragazze.
-Allora rispondete!- urlò ma non ricevette una risposta soltanto delle occhiate malefiche.
L’imperatore ghignò e i suoi occhi si illuminarono di pura follia:- Avrete i nostri migliori guerrieri. Nel giorno delle vostri morti desidererete di non essere mai esistite.
Heather riuscì a sussurrare un “Bastardo” mentre le sue dita iniziavano ad avere un colorito bianco neve.
-Dannazione! Saremmo costrette a sorbirci dei guerrieri per tre settimane prima della nostra morte?
Cos’è uno scherzo? Quel dittatore figlio di puttana!- gridò Zoey entrando in camera.
Una misera camera con tre letti a castello, un tavolino di legno e una scrivania.
-Non capisco come sia ancora sul trono… che fine ha fatte il Conclave??!Dovrebbero già averlo sbattuto in un sotterraneo a marcire o bruciare!- continuò Sierra che si era legata i capelli in una lunga treccia che le arrivava fino a piedi.
-Forse il Conclave ci guadagna qualcosa da tutto questo… conoscendo la storia delle quattro terre so che il Conclave non perdona a certi comportamenti, ma è come se non esistesse nessun Conclave adesso!
Ho sentito dire che ha provato ad attaccare le terre dell’ovest per motivi del tutto ignoti- disse Bridgette mantenendo il suo tono calmo
-Lasciamo perdere il Conclave! Sono tutti una banda di bastardi cominciando dall’imperatore.
Vuole che combattiamo? Allora combatteremo e dopo lo uccideremo, o almeno io ci proverò. Non scordo quella che ha fatto a mia sorella. Chiaro? Era l’unica cosa che mi era rimasta!- gridò Sierra, mantenendo un timbro di voce serio.
-Sierra calmati- borbottò Courtney
-Sappiamo della morte di tua sorella, e soprattutto di come è morta. Ma se dobbiamo ucciderlo, lo faremo per ogni anima strappata via, per ogni diciottenne, per ogni madre che ha visto suo figlio portato via e per ogni famiglia uccisa- disse infine Gwen che stava sfogliando un libro
-E per la cronaca- continuò –ci daranno sicuramente dei tizi marchiati dalla testa ai piedi… chi ha più marchi è più forte…-
Correvano il più velocemente possibile schivando le ragazze che camminavano e chiacchieravano tranquille per poi imprecare ritrovandosi quasi per terra a causa degli spintoni che le sei lasciavano correndo.
Più avanti si trovavano tre corridoi, due dalla parte sinistra e uno che proseguiva dritto, ognuna di loro cercò di fare le migliore ipotesi per il corridoio che fosse più opportuno scegliere dato che erano abbastanza in ritardo quella mattina. Alla fine Gwen,Bridgette e Zoey presero quello dritto, Courtney e Sierra il primo della parte sinistra ed Heather il secondo.
Correvano sempre più velocemente mentre nella loro testa si fissava l’immagine di un orologio come quello che avevano in camera.
La prima ad arrivare fu Heather che non aspettò le amiche ed entrò subito nell’aula magna e dopo un minuto arrivarono le altre che mandarono delle occhiatacce ad una Heather che stava seduta tra le ultime file.
La sala era di nuovo piena ma questa volta dietro l’uomo in giacca e cravatta si trovava un schiera di ragazzi ammassati tra di loro vestiti con dei pantaloni e stivaletti militari accompagnati da una canotta attillata nera.
Avevano già iniziato a fare i nomi ed ogni sacerdotessa si alzava dal proprio posto per unirsi poi al suo corrispondente.
-Isabella Donovan; Owen Saltzaman- Isabella o meglio Izzy era una ragazza molto strana, si diceva in giro che facesse dei lavori per l’imperatore e che fosse una passante*.
-Sierra Graham; Cody Anderson- annunciò una giovane signora che doveva essere una segretaria dal modo in cui era vestita.
Sierra impallidì mentre si alzava e scendeva lentamente quegli scalini scorgendo un ragazzo tra la folla che si faceva spazio.
Si accostò all’imperatore che stava fermo in piedi a guardare compiaciuto il suo piano in atto. Resistette alla follia di tirargli il primo vaso di porcellana della stanza solamente con il pensiero.
Nel frattempo un ragazzo poco più alto di lei, dai capelli castani e gli occhi azzurri opachi, si era avvicinato e dopo un saluto in stile militare all’imperatore si accostò a Sierra. Lei notò la corporatura diversa da quella degli altri di quel ragazzo: era molto magro e tendeva a rafforzare i muscoli che ha aumentare il volume, poté constatare lei, osservandolo con la coda dell’occhio.
La ragazza pensava che sarebbe dovuta uscire via da quella stanza, subito dopo aver ricevuto un marchio simile a quello del suo, ormai, compagno, ma la “segretaria” disse sussurrando di aspettare in un angolo della stanza. Come le era stato ordinato lei obbedì cercando di tenere a freno i suoi istinti.
-Dakota Milton; Lightning Davis-
Una ragazza dai capelli biondi perfettamente lisci che le ricadevano sulla schiena si alzò ed eseguì gli stessi movimenti di Sierra non sapendo minimamente come comportarsi. A lei si affiancò un ragazzo dalla pelle nera, con un corpo modellato che veniva ammirato da qualche ragazzina sedicenne che era venuta per assistere.
-Anne Marie Fell; Scott Gilbert- continuo la segretaria dopo aver marchiato i due ragazzi.
 Un’ altra ragazza si alzò evidenziando la sua corporatura per niente slanciata. I suoi capelli erano un groviglio di fiori di ciliegio e rami di pesco che le si avvolgevano attorno alla fronte e sopra la capigliatura formando uno strano cerchietto floreale. Si avvicinò sorridente all’imperatore mentre mandava occhiate di superiorità a qualche ragazza.
-Scott Gilbert!- disse di nuovo la segretaria non vedendo alcuno spostamento da parte del gruppo dei ragazzi che stava iniziando a chiedersi dove fosse finito il loro compagno.
-Dov’è?!- tuonò l’imperatore facendo risuonare la sua voce e vedendo che nessuno non era consapevole di nulla, con il suo fare elegante, fece un cenno a due guardie trentenni che uscirono dalla stanza.
Anne Marie andò di nuovo a sedere scocciata mentre qualche ragazza ridacchiava soddisfatta della figura poco piacevole della compagna.
-Continuiamo- alla fine disse l’uomo
-Heather Wilson; Alejandro Burromuerto-
Heather che era indaffarata ad accarezzarsi i capelli sbuffò sonoramente mentre immaginava sul possibile sfigato che le avrebbero assegnato. Mentre scendeva le lunghe scale di corallo e rocce marine non alzò lo sguardo facendo finta di concentrarsi sulle unghie delle mani lunghe coperte da uno strato di ghiaccio, un sottilissimo strato.
Si avvicinò anche lei all’imperatore il quale la stava scrutando con una punta d’odio:- Se non le dispiace signorina, gradirai molto che la smettesse di prestare attenzione alle sue unghie- disse cauto.
Heather alzò lo sguardo mentre un ragazzo dalla pelle bronzea le passava davanti facendo muovere leggermente i capelli corti castani. Iniziò a mordersi l’interno della guancia mentre la segretaria passava davanti a loro con un piuma nera che terminava con una punta. La donna prese il polso di Alejandro e lo marchiò con il numero 567, lui non fece nessuna espressione, né di dolore, né di agonia. Heather vide attentamente come la pelle bruciata assumeva un colore nero formando il numero.
Quando la segretaria finì con Alejandro si fermò davanti a lei aspettandosi che la ragazza le porgesse il polso, ma non lo fece.
-Signorina il marchio è obbligatorio- disse mentre teneva salda la piuma
-Non… non posso- riuscì a dire balbettante la ragazza mentre nella sua mente l’immagine della pelle bruciata si faceva sempre più vivida.
-E perché mai?- chiese l’imperatore con una punta di curiosità nel suo timbro di voce
-La mia pelle non sopporta alte temperature- disse infine cercando di non fare trapelare troppo la sua debolezza
L’imperatore ci penso su poi velocemente tolse la piuma dalle mani della segretaria.
-Mi dispiace signorina ma le regole valgono per tutti- ghignò e, dopo aver preso il polso della ragazza in una dura presa, le tracciò con violenza il numero rovente.
La ragazza strozzò vari singhiozzi e urli mentre le altre assistevano impaurite.
-Lasciala stare!- urlò Sierra trattenuta da Cody che cercava di fargli evitare ogni possibile pazzia.
L’imperatore non ascoltò le proteste della ragazza e non si fermò mentre la punta della piuma a contatto con la pelle della ragazza si disintegrava lasciando un alone nero/rosso intorno al marchio che si stava formando.
L’uomo sentì per pochi secondi la pressione di lunghe dita stringersi sul suo collo e le proteste della ragazza dai capelli viola che urlava mentre alcune guardie le bloccavano la libera mobilità.
-Lasciatemi!- urlò scaraventando indietro le due guardie. I suoi occhi erano piena di pura ira ed odio, si guardò intorno: tutti gli occhi erano puntati su di lei mentre una Heather sofferente aveva iniziato a lacrimare piccole gocce che si trasformavano in soffice brina. Il marchio era stato terminato ma l’alone che si era formato era troppo doloroso.
Sierra mosse un passo avanti diretta verso l’uscita mentre le ragazze, troppo impaurite, non osavano parlare. Aprì la grande porta e uscì.
-Seguila- disse infine il dittatore, massaggiandosi il collo, al ragazzo dagl’occhi azzurri opachi.
Cody si mosse velocemente, aprì la porta e si ritrovo davanti un ragazzo dai capelli rossi seguito da due guardie.
-Già combini stronzate?!- chiese il ragazzo dai capelli rossi
-Non è il momento- rispose Cody scostandolo e uscendo
Il ragazzo appena entrato si guardò intorno notando la tensione che c’era in quella stanza.
-E tu saresti…?!- chiese la segretaria
-Gilbert… Gilbert Scott-
-Finalmente! Dove sei stato? Giovanotto dovrai farti lapidare solamente per aver preso questo giorno come uno scherzo o un tour per l’istituto femminile- disse l’imperatore autorevole squadrando il ragazzo che si scusò a bassa voce seccato.
Quella “cerimonia” sembrava non finire mai come la sofferenza di Heather che si massaggiava il polso nella speranza di non sentire più il calore ardente.
Raggiunse in poco tempo quella che poteva sembrare una qualunque pianura con qualche albero di ciliegio, completamente deserta .
Si morse ferocemente il labbro fino a sentire il sapore amaro del sangue che bruciava mentre scivolava oltre la gola: non voleva piangere, ricordi su ricordi le sarebbero riaffiorati, ricordando con amarezza e angoscia la morte della sorella minore, Jack o meglio Jacktleen. Era stata ritenuta inutile a causa della sua cecità.
Si sedette pesantemente sull’erba e chiudendosi a riccio iniziò a piangere mentre pensava alla sorella e ai suoi genitori mai conosciuti: era da sola, orfana e figlia unica.
Iniziò a guardare davanti a se mentre ripensava al suo tentativo d’uccidere il dittatore, tra le urla di sofferenza di Heather e quelle sue che sapevano di ribellione, di rivolta.
Prese una foglia d’agrifoglio accanto a lei: era verde scuro, un verde lucente, affilata. Era bella e tagliente, proprio come lei, la ragazza mentalmente instabile, colei che pensava che imprimere dolore  a se stessa imprimesse dolore all’imperatore stesso come se dopo la morte di sua sorella quel dittatore si fosse macchiato di una dolorosa colpa, del sangue di sua sorella e che ormai c’era un collegamento tra il sangue macchiato e il sangue macchiante.
Si punse il dito lasciando cadere una goccia rossa sul prato; la goccia iniziò ad espandersi formando linee sottili e spesse che si facevano l’argo tra l’erba fino a formare i lunghi rami di un albero che pian piano si raggruppavano in un anello rosso.
Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla calma mentre si gettava all’interno di quell’anello rosso scomparendo sotto quello strato sentendosi sprofondare, sentendosi libera per pochi secondi.
Poi sentì la dura pietra sulla sua schiena e l’eco del suo respiro farsi sempre più grande, aprì gli occhi e sorrise quando vide le pareti di terra da cui fuoriuscivano radici e viticci farsi di un colorito blu lungo un corridoio.
Sentiva le mani sporche di sangue e i capelli aggrovigliati in un intenso profumo amaro e metallico che macchiava i suoi capelli.
Riuscì a mettersi in piedi ed a camminare lungo quel corridoio che man mano diventava di un blu e poi un oro intenso. Segni e graffi erano incisi nelle pareti e disegni raffiguranti ragazze sembravano muoversi.
Erano ragazze che danzavano intorno ad una ragazza dallo sguardo afflitto ma sorridente, teneva nelle mani un sfera di fuoco che illuminava i volti delle sue compagne.
Era la quinta volta che entrava in quel luogo, lo aveva scoperto quando aveva solamente quattordici anni, quando il desiderio di morte si faceva spazio tra il suo cuore e la sua mente costringendola a farsi del male per rimpiazzare il dolore di una perdita con quello fisico, per credere che tutto quel dolore lo stia provando qualcun altro.
Proseguì per il corridoio fino ad entrare in una sala d’ oro, terra, e radici. Nelle pareti erano finemente incisi disegni e geroglifici e in fondo alla stanza una possente statua d’oro teneva lo sguardo al pavimento, sofferente e angosciato. Una statua rappresentante una ragazza dai lunghi capelli che le ricadevano davanti al viso e sei incisioni sulla guancia sinistra, ogni segno, un potere, il potere che trasmetteva una sfera lucente nelle mani della statua.
 Era Aulampia.
-Perché lo hai fatto?- chiese la donna acida
-Non sono affari tuoi- rispose l’imperatore mentre si passava una mano tra i capelli
-Certo che sono affari miei! Sono l’imperatrice, sono colei che hai deciso di sposare!- gridò di rimando la donna mentre si sistemava la lunga gonna grigia accompagnata da un camicetta bianca.
-Honoria… sai che questo matrimonio non varrà mai niente… mi serviva soltanto qualcuno che avrebbe dato vita ai miei figli, al mio nuovo esercito-
-Tu non toccherai i miei bambini!-
-Suppongo di si dato che sono  loro padre- l’uomo si alzo dalla poltrona di velluto e si avvicinò ad Honoria ed iniziò ad accarezzarle la guancia –E proprio perché sono loro padre che li sfrutterò a mio piacimento- estrasse dalla tasca interna della sua giacca un pugnale finemente inciso fino alla lama e squarciò il polmone della donna che si accasciò a terra piangente iniziando a sputare sangue, pronta per ricevere il colpo che avrebbe messo fine alla sua vita.
-La pagherai… Chris- furono le sue ultime parole prima di sentire la lama trafiggergli il cuore.
 
*I Passanti sono le streghe e gli stregoni chiamati così perché in grado di passare in qualunque dimensione senza presentare danni
 

SPAZIO AUTRICE
Salve a tutti!

Come vi sarete accorti o aggiornato prima... :D
Allora che ne pensate? Vi piacciono i personaggi che ho scelto, spero di si :3
Come avrete capito Chris è il dittatore e avrete anche capito dell'ambientazione in stile Hunger Games/Divergent/Shadowhunters/Harry Potter.
Per chi non l'avesse capito il potere di Sierra è la telecinesi il che è un po' strano constantando che soffre di instabilità mentale.
Anyway CUPCAKES io vi saluto e vi lascio con la mia prima immagine di Sierra, modificata da me: 
. (attrice: Kat Graham)
Spero che vi piaccia sia il capitolo che l'immagine.

P.S Se avete bisogno di qualche immagine modificata su PS sono disponibile.
P.P.S Perdonatemi per eventuali errori.


 

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Capitolo 3
*** Human ***


They say pain is an illusion
This is just a bruise
And you are just confused
But I am only human
I could use a hand sometimes
I am only human
 

 
La lama passava sopra il polso scuro dividendo in due la pelle. Dalla ferita usciva copioso il liquido rosso scarlatto iniziando a macchiare le mattonelle ocra di quel luogo sacro.
La ragazza iniziò a piangere, non per il dolore fisico, ma per il dolore provato durante i suoi diciotto anni di vita, quando veniva derisa, quando veniva torturata, quando doveva inchinarsi davanti ai superiori.
La statua d’oro guardava le gocce rosse e il suo viso sembrò farsi più cupo.
 
-Dov’è?!- chiese Sierra  alle due donne, le Retturanti, le donne della giustizia, della morte, coloro che decidevano chi doveva morire e chi non, le servitrici del dittatore Cristopher.
Indossavano lunghe vesti nere con un cappuccio che copriva loro il viso magro, quasi ossuto, facendo risaltare i lunghi capelli argentei.
Dietro di loro un’imponente porta era chiusa da grosse catene d’oro. Incisa fino alla fine, si estendeva come una gigantesca statua di pietra pronta ad uccidere chiunque l’ avrebbe attraversata: si entrava vivi, si usciva morti.
-Ho chiesto dove l’avete portata!- ripeté Sierra anche se sapeva che delle donne senza lingua non potevano parlare.
-Se non volete dirmelo, la cercherò io!- scostò le donne e cercò d’aprire la porta ma fu respinta indietro da una strana forza. Le Retturanti si trovavano ai suoi lati con gli occhi privi di colore, completamente bianchi, i palmi delle loro mani erano rivolti verso la ragazza che le guardava con odio.
-Non potete farlo! E’ potente! Riesce ad essere autonoma, a combattere, sa cavarsela da sola ed è una delle migliori allieve dell’istituto- gridò la quattordicenne presa dal panico.
Il portone si aprì e due guardie vestite completamente di nero si affrettavano a trasportare un minuto corpo di una dodicenne. Le palpebre erano abbassate e i capelli verde muschio era legati in un chignon in parte disfatto che lasciava delle ciocche libere sul viso chiaro della ragazza.
Sierra guardò il corpo e urlò disperata coprendosi la bocca con una mano.
-Cosa avete fatto?! Jack, Jack svegliati per favore- le guardie si erano fermate come se le avessero concesso di dare un ultimo sguardo alla sorella e di salutarla come si deve.
-Jack, per favore, svegliati!- accarezzò la guancia della sorella e subito dopo si accasciò a terra piangendo lacrime amare mentre il suo intestino le si aggrovigliava.
Le guardie si allontanarono con il corpo mentre lei stringeva le sue braccia all’altezza della pancia come per far alleviare il dolore troppo forte,sentiva la voglia d’urlare farsi sempre più grande, di piangere. Uscì un'altra figura dalla porta che guardò disgustato la ragazza accasciata a terra e se ne andò seguito dalle Retturanti.
Sierra alzò il viso completamente umido mentre immaginava quell’uomo coperto dalle fiamme; le braccia erano ancora strette intorno alla sua pancia mentre lei incominciava a eseguire respiri forzati e spezzati.
Era da sola.

 
Il ricordo di quella vicenda era come una ferita che ardeva intensamente, aperta.
Si appoggiò con la schiena alla statua mentre guardava un punto indefinito della grande stanza sacra sentendo il suo braccio perdere lentamente consistenza.
Le piaceva la sensazione di vuoto che si formava mentre la lama la lesionava, e pensava ogni volta al viso perfetto dell’imperatore coperto di tagli, e rideva, mentre il sangue le imbrattava gli abiti ei suoi pensieri volavano a immagini macabre di morte e tortura dove la vittima era solamente uno.
Cody premette l’indice sull’erba sporca di sangue e lo strofino con il pollice per capire da quanto tempo quel liquido scarlatto si trovava sparso sul manto verde.
Non era il tipo che amava la pratica durante le ore di lezione, si dilettava di più sulla teoria e sulla storia delle divinità, greche,romane,egizie,indiane,taoiche e soprattutto la storia d’Aulampia, dei suoi segreti, delle sue magie. Nonostante il regolamento prevedesse che non si doveva avere a che fare con l’altra specie, neanche con la loro storia, lui ogni tre giorni entrava nell’immensa biblioteca di libri impolverati: in pochi leggevano quei manuali ricchi di cultura e storia.

-Già finito?- chiese la bibliotecaria, la signora Harada, una donna di venticinque anni che per sfortuna o per fortuna non aveva ereditato nessun potere solamente la capacità di vedere il futuro, ma non sempre le sue previsioni erano esatte.
-Si. Sapevate che le sacerdotesse racchiudevano i loro templi sotto terra?! E che possono entrarci soltanto con un incantesimo del sangue?!- il ragazzo posò il libro dalla copertina blu su un tavolino ed iniziò a girare per la grande biblioteca salendo sulla scala a chiocciola e prendendo alcuni libri impolverati.
I suoi occhi brillavano di felicità come quando un bambino si ritrovava davanti ogni sorta di dolce.
-Cody, ti ho sempre detto di non prendere i libri dell’ultimo scaffale! Sai che le regole prevedono di non sapere nulla delle sacerdotesse e della loro storia, se ti scoprissero ti ucciderebbero senza pensarci- la signora Harada guardò dal basso il ragazzo che si mordeva freneticamente il labbro.
-Sono disposto a rischiare. Sa quanti segreti, quanta meraviglia, racchiude la magia di quelle ragazze?!-
-Ho saputo che domani inizierà il programma dell’imperatore. Scommetto che sarai emozionato nel vedere da vicino una sacerdotessa-
-Non proprio… sono molto… sadiche e vendicative a causa della discriminazione dei guerrieri e dell’imperatore-

Cody si riscosse dai suoi pensieri e si ricordò del tredicesimo capitolo sui luoghi sacri delle sacerdotesse.
Il sangue essendo ancora fresco poteva ancora portare in qualche tempio e sentiva che la ragazza dai capelli viola si trovava lì, forse a pregare su una statua della sua divinità.
Poggiò il palmo di una mano sul liquido mentre con l’altra estraeva il lungo pugnale dal suo stivale.
Sapeva che avrebbe dovuto fare un grande sforzo: per un guerriero era molto doloroso e affaticante attraversare un portale che racchiudeva un incantesimo di sangue.
Chiuse gli occhi e sentì la terra mancare sotto i suoi piedi e l’aria farsi più densa, faceva fatica a farla entrare e uscire dai propri polmoni. Quando il senso di vuoto scomparve aprì gli occhi ritrovandosi con il sangue fino al gomito.
Cerco di incassare più aria possibile per evitare d’urlare quando avrebbe sentito piano le sue ossa frantumarsi e ricomporsi e gli occhi lacrimare un intenso liquido bruciante.
Abbandonò il pugnale per terra non avendo coraggio di guardarlo come se si sentisse in colpa, poi lo prese e lo tirò facendolo conficcare su un fuoco intagliato nel muro, le sembrò di sentire il crepitio di quelle fiamme espandersi nella stanza, sembrava un verso strozzato, ma ingoiò l’ipotesi che qualcuno fosse lì con lei con amarezza e sollievo.
Ripensò a quante volte aveva sognato che da quel corridoio comparisse la figura di sua sorella con il suo solito sorriso.
Sentì dei passi e d’istinto si alzò in piedi contraendo le mani, come se dovesse sfoderare dei lunghi artigli, e il sangue,che giaceva per terra, si cristallizzò e si alzò in aria prendendo la forma di lunghe spine, puntate tutte verso il corridoio dal marmo blu e ocra.
Si avvicinò lentamente mantenendo con la sola forza del pensiero le spine di sangue in aria e raccolse il pugnale conficcato nel muro.
Sentì tossire.
-Chi è la?!-
Non ricevette risposta. Poi lo vide mentre si muoveva zoppicante massaggiandosi il polso con gli occhi rivolti verso le pareti intagliate.
-Ah…- disse lasciando cadere le spine con un suono che ricordava degli spilli –sei solamente tu…-
Il ragazzo smise di guardare le pareti e mentre si sentiva il suono di un osso che si ricomponeva la squadrò con sguardo indifferente e le labbra socchiuse.
-Che ci fai qui? Come sei entrato?!- Sierra sbatté a muro il ragazzo puntandogli il pugnale alla’altezza della gola.
Cody mostrò un sorriso di superiorità:- E’ la prima volta che vengo minacciato da un’autolesionista- avvicinò la sua mano alla ferita sul polso di Sierra che si ritrovò, dopo pochi secondi, con la schiena sul muro.
-Cosa vuoi da me?!- chiese gridando
-Voglio ricordarti che abbiamo degl’ordini da seguire. Non posso lasciarti un attimo da sola prima del completo oscuramento del sole- il ragazzo la lasciò andare ed inizio a vagare per la stanza, fermandosi su qualche parete e ammirando i segni incisi.
-Che stai facendo?!- chiese la ragazza vedendo Cody incantato da quelle mura.
-Sto leggendo, mi pare ovvio-
-Da quando i guerrieri sanno leggere certi geroglifici?- la ragazza iniziò a passarsi lentamente la mano sopra la ferita facendola richiudere.
-Beh, non lo dico per vantarmi, ma penso di essere l’unico che è in grado di farlo. E’ proibito avere a che fare con la vostra storia-
Sierra si affianco a lui iniziando a guardare anche lei quei segni cercando di capirli ma con scarso successo: era proibito anche alle sacerdotesse di leggere i geroglifici, potevano rivelare leggende e segreti che avrebbero causato rivolte.
-Ora basta! Andiamocene- disse Sierra stanca di fissare le pareti nella speranza di capire qualcosa
-Queste storie sono fantastiche…- disse quasi in un sussurro Cody
La ragazza si allontanò da quelle pareti sospirando un “Seguimi” mentre si dirigeva dietro la grande statua d’oro. Sette pedane erano poste intorno ad un altare con una sfera di luce simile a quella tra le mani della statua.
-Le sette figlie di Aulampia- disse Cody ammirando le sette postazioni
-Aulampia non aveva figlie- rispose la ragazza con tono di superiorità
-La maggior parte lo pensano. Su queste pareti si narra che Aulampia abbia donato il suo sangue a sette neonate-
-Anche se fosse sarebbero morte. Parliamo di cinquecento anni fa-
-No, se il sangue si tramanda seguendo le leggi di Mendel-
-Le leggi di chi?!-
-Mendel. Mai studiato genetica?-
-Non studiamo materie Gaerele*-
-Neanche noi se per questo ma molti libri ne parlano. Secondo Mendel esistevano caratteri dominanti e recessivi. Quelli dominanti, come dice il nome, prevalevano su quelli recessivi. Il sangue di Aulampia era come un carattere recessivo: si trovava sulle loro figlie ma non lo mostravano, così le primogenite di queste ragazze portavano dentro di loro quel sangue senza, però, saperlo e mostrarlo.
La leggenda narra che coloro che avranno tutte diciotto anni ,quando quel sangue si “mostrerà” sotto forma di potere, ma non si sa di preciso in quale anno avverrà. E’ scritto anche che ci sarà una traditrice che verrà ripudiata dalle sorelle e dalla madre-
Sierra rimase affascinata da quella storia e per un secondo le balenò in testa l’idea che forse lei sarebbe stata una di quelle sette ragazze.
-Muoviamoci- disse poi facendo un respiro strozzato
Si mosse velocemente su una pedana, doveva essere la terza.
-Dopo di me vai tu. Non perdere tempo a controllare le altre: non funzionano.-
Sierra si posizionò sopra la pedana e venne avvolta da fiamme dorate e blu. Sentì la sua pelle bagnarsi a contatto con quelle fiamme magiche, divine, bagnarsi d’intenso calore che però non bruciava.
Aveva letto che certe pedane volevano far provare un piacere pungente mai esistito che cambiava di persona in persona.
Riaprì gli occhi e riconobbe il grande istituto e le grandi macerie di un tempio distrutto che la circondava. Sotto di lei la pedana aveva cambiato colore, dal marrone al nero.
Spostò lo sguardo su una torre dell’istituto, dove un grande orologio segnava l’ora.
Gli restavano venti giorni, sette ore, ventisei minuti prima di morire e ricongiungersi a sua sorella.
 
Heather si  massaggiava quasi violentemente il marchio nella speranza di non sentire più dolore ma sentiva ogni frammento di pelle bruciare fino ad arrivare alle vene sentendo il suo braccio più leggero.
Ogni volta che passava la mano sopra il marchio le vene rosso-nere si facevano sempre più evidenti espandendosi verso il gomito e poi verso la spalla.
-Hai bisogno d’aiuto?- gli chiese  Alejandro appoggiato ad un muro dell’istituto davanti a lei.
Da quando avevano lasciato l’aula grande non avevano osato parlarsi nonostante la curiosità di Heather di sentire la voce del ragazzo davanti a lei. Si era precipitata fuori non aspettando nessuna delle sue amiche uscendo dall’Istituto come per nascondersi da tutte quelle occhiate di pietà rivolte verso di lei e forse era così: detestava essere compatita soprattutto dalle sue compagne ne tantomeno da qualche guerriero con un briciolo di cuore.
Si era seduta in angolo della grande pianura sperando di essere da sola ma i suo desideri non vennero ascoltati.
-Ricordami perché non posso mandarti in ipotermia e farla finita con te- Heather non distolse lo sguardo dal suo braccio ma poté vedere Alejandro che sfoggiava un sorriso rivelando perfetti denti bianchi. Non si era soffermata a guardarlo ma aveva memorizzato ogni particolare di lui, dai capelli corti sopra la nuca, agli occhi verde chiaro che tendevano al castano, al pizzetto sul mento, all’orecchino d’argento scuro che dava un aria molto più carina alle orecchie leggermente a punta.
-Forse perché, non saprei, è un ordine?!- disse ironicamente Alejandro con fare ovvio mentre il suo accento si faceva spazio tra le sue parole.
Heather si zittì non avendo la minima intenzione di iniziare un discorso cercando di distogliere ogni tipo di pensiero che avesse come punto chiave Alejandro ma la curiosità si faceva sempre più viva tra ogni riflessione.
-Qual è il tuo potere?- disse infine il ragazzo
Heather ghignò:- Vuoi una dimostrazione?!- il ghigno si trasformo in un falso sorriso caldo e sensuale e contemporaneamente crudele.
Alejandro la squadrò imitando leggermente l’espressione della ragazza davanti a se. Pian piano sentì le sue labbra farsi fredde e sentiva dei piccoli cristalli tra il solco delle due labbra che bruciavano leggermente fino a farle intorpidire. In pochi secondi si ritrovò le labbra ricoperte di ghiaccio, incapace di muoverle.
-Prima regola se vuoi sopravvivere accanto a me…- disse la ragazza mentre Alejandro si sfiorava le labbra e cercava di parlare –…mai fidarsi dei miei ghigni… anzi mai fidarsi di me- si alzò diretta verso la sua stanza.
Era già vicino all’istituto quando una creatura dal manto bianco le si parò davanti. Era un leone albino che ringhiava ferocemente. Non si fece intimidire da un micio troppo cresciuto come diceva lei.
Si girò verso Alejandro che ora era alzato poco distante da lei. Anche se aveva le labbra congelate Heather sapeva che stava ghignando sotto quello strato ghiacciato che trasmetteva odio.
-Carino il tuo animale domestico-
Alejandro alzò un sopracciglio ed indicò le labbra. La ragazza,controvoglia, le scongelò.
-Capisco che eri attratta da queste labbra ma addirittura congelarle, chica, è esagerato-
-Punto uno: Preferirei morire sventrata che provare un singola emozione, come la pietà, che riguardi te. Punto due: Non chiamarmi chica! E punto terzo: togli il tuo animale da qui!-
Alejandro sorrise, non era un ghigno, era un sorrise di puro compiacimento. Alzò la mano in aria rivolgendo il palmo verso l’animale famelico che si dissolse in una nube bianca che pian piano si infiltro tra le narici del ragazzo fino ad arrivare nei polmoni e prendendo possesso di una parte di quel corpo, o meglio, dell’involucro di due anime.
Gli occhi del ragazzo divennero per qualche secondo di un bianco intenso per poi ritornare il verde smeraldo che caratterizzava tanto quel viso dalla pelle scura.
Heather si rigirò eseguendo un smorfia strana, storcendo piano il labbro inferiore, come se non volesse far trasparire la sorpresa e la curiosità di scoprire i segreti di un’altra specie.
-Non so se mi hai sentito… ma dobbiamo rimanere in coppia fino a quando il cielo non si sarà oscurato-  proferì il ragazzo, ora, abbastanza seccato del comportamento della sacerdotessa –Chica- lo disse con un tono di prepotenza e superiorità che mirava solo a far scatenare l’ira della ragazza che cercava di contenersi. Tra tutte lei era quella con maggiori problemi nel controllo dei propri poteri.
-Vuoi giocare?- enunciò infine la ragazza che dopo un lungo respiro fece affluire tutta la sua forza nella mente e nel corpo che iniziava pian piano a diventare d’un bianco latte, quasi cadaverico, un color ghiaccio che faceva rabbrividire chiunque. Le sue iridi avevano assunto un colore azzurro-grigio –Allora giochiamo!- disse infine mentre si girava verso il ragazzo e congelava l’erba sotto i suoi piedi per poi fare uscire lunghi e acuminati stalagmiti di ghiaccio, che però non avevano intenzione di ferire il ragazzo.
Lui si mosse velocemente schivando ogni stalagmite.
“Bravo, ma non abbastanza” pensò Heather mentre sul suo volto si formava un ghigno, uno di quella sadici, che sapevano di strategia infallibile.
Chiuse gli occhi e li riaprì. Questa volta le stalagmiti iniziarono ad uscire più velocemente dal terreno, bloccando il ragazzo con le spalle a muro, che si limitò a sorridere.
-Sei brava, per essere una strega-
Heather si avvicinò velocemente e puntandogli una stalagmite al collo quasi gridò:- Che cosai hai detto?! Io non sono una strega. Io sono un essere superiore a te, ecco cosa sono-
-E sei anche egocentrica, chica-
-Prova a paragonarmi un’altra volta ad una misera strega e giuro che desiderai di non essere mai nato- la ragazza si allontano questa volta con l’intenzione di andare nella sua stanza fregandosene delle regole mentre il ghiaccio si scioglieva ad ogni tocco dei suoi piedi nudi – E per la cronaca… so di essere brava-  ghignò sadicamente al ragazzo e lo lasciò libero.
Mentre i suoi passi si facevano sempre più veloci sentiva il dolore al braccio farsi sempre più forte e i poteri scivolargli via dagl’occhi sotto forme di gocce sanguigne che si cristallizzavano e lasciavano i medesimi segni del sangue cicatrizzato.
Quelle erano lacrime di dolore miste ad angoscia, lacrime che non erano cristalline, non erano pure, erano macchiate da un potere troppo forte e troppo grande che ogni volta consumava internamente quella ragazza. Le vene del braccio iniziarono a pulsare come il congegno che faceva scorrere il liquido rossastro all’interno di loro, forse stava guarendo o stava peggiorando.
Si guardò indietro pregando che Alejandro non l’avesse seguita e ringraziò Aulampia quando non vide nessuno attraversare i corridoi, soltanto qualche ragazza che non voleva assistere alla lezione per fumare qualche sigaretta con fiori di Melania.*
Salì velocemente le scale fino ad arrivare al terzo piano dove lunghi corridoi partivano per i dormitori e i bagni. Si avviò per un corridoio le cui pareti erano piene di porte, finestre, e radici di ciliegio secco, arrivò davanti alla porta della sua stanza, consumata dal tempo, con qualche foro che era stato richiuso da resina o fiori di albicocco procurati da Bridgette. Entrò sbattendo violentemente la porta, così forte che si sentì un boato prolungarsi per un minuto, all’interno e all’esterno di quella stanza.
Pensò a come fosse stata stupida, dimostrando i suoi poteri, mettendo a rischio la propria vita, e soprattutto aver fatto vedere il proprio dono all’avversario che, forse, in quel preciso istante stava pianificando qualcosa per ucciderla nel giorno della sua prematura e orrenda morte.
Guardò il pavimento e richiuse le mani in un pugno così stretto che piccole gocce di sangue iniziarono a delineare le impronte delle mani.

La bambina si chinò un ultima volta a terra per prendere i suoi libri che erano caduti “accidentalmente”.
-Che c’è Heather?! Dove sono i tuoi poteri!- disse la bambina di appena otto anni  dal corpo goffo e brutto mentre calpestava incessantemente i libri della bambina dai lunghi capelli che ingoiava con immenso dolore le lacrime.
-Non lo vedi, Sugar?! E la solita, piccola sacerdotessa, che dice di avere grandi poteri ma non sa neanche raccogliere dei libri senza farseli calpestare- disse sorridendo malignamente Anne-Marie che assieme alla cugina,più grande di lei di pochi mesi, si prendeva gioco della sacerdotessa che non aveva intenzione di reagire anche se la maggior parte degli occhi delle studentesse erano puntati su di lei.
Era in quel momento che desiderava che qualcuno la venisse a salvare, magari la sua migliore amica, Jasmine, ma lei era più grande e quindi stava in un altro piano a vedersela con le piccole bullette che ogni giorni disturbano le sue compagne.
-Smett..tela- disse Heather singhiozzando
-Perché mai?! Così chiami il gigante… anzi no, la giraffa, del quinto piano?!- domandò Sugar che guardava le bambine intorno a se nella speranza di farle ridere, cosa che non accadde: tutte guardavano con sguardo annoiato, come se quella scena si ripetesse ogni giorno.
Nel frattempo per terra si stava formano un grande alone ghiacciato che tendeva ed espandersi.
-Ho detto basta!- la bambina si alzò urlando. Le mani erano completamente bianche e una stalagmite si conficcò tra il polmone e il cuore di Sugar che iniziò a lacrimare per il dolore e per il veloce soffocamento.
Le bambine lì intorno iniziarono a correre verso le loro stanze mentre le urla si facevano sentire e pian piano la sacerdotessa di ghiaccio iniziava a perdere i sensi mentre vedeva gocce perfette,rosse e calde caderle sulle mani pallide.
Svenne e l’ultima cosa che sentì furono le urla e il pianto di una cugina disperata. Ora lei era il mostro.

Ora lei era il mostro. Mostro perché a ucciso un innocente, mostro perché  le era piaciuto, mostro perché era stata causa di urla,dolore e pianti. Mostro perché al posto suo fu uccisa la sua migliore amica le cui ultime parole furono “Vivi la tua vita, Heather. Scappa da qui e porta giustizia in questa terra. Mi fido di te piccolo pupazzo di neve”.
 

*Gaerele: significa terresti; babbani;mondani;capitolini… (insomma i  comuni mortali)
*Fiori di Melania: sono dei fiori simili alla droga costituiti di sangue e polline. Chiamati fiori di Melania perché la leggenda racconta che il sangue che scorre tra le vene di quei fiori è lo stesso sangue dell’eroina Melania.

 

ANGOLO AUTRICE
Allora ragazze cosa ne pensate?!
Onestamente penso che sia il capitolo più penoso che abbia mai scritto, non mi convince pienamente, ma spero che possiate, quanto meno, apprezzarlo.
Allora avete già notato che ci sono i personaggi della nuova stagione e ce ne saranno molti altri in futuro.
A proposito della nuova stagione. Che ne pensate?! A me sta piacendo veramente molto e adoro Amy, anche se è la solita…ehm… str***a XD (?) che sottomette la sorella ma adoro la cattiveria anche se mi dispiace per la povera Saemy
Oltre alle due fantastiche gemelle, mi piace molto anche Sky, perché  ha le converse U.U…  oltre a questo (LOL) mi piace molto questo personaggio atletico che sa già qual è il suo scopo:vincere.
Prima di salutarvi vi dico che da ora e in poi i titoli di questa FF saranno i titoli di varie canzoni quindi se siete interessati ad ascoltarle premete il titolo.
Vi lascio con questa immagine photoshoppata da me, nella speranza che possa piacervi, raffigurante la nostra Heather e alla prossima CUPCAKES.
 (attrice: Megan Fox)

 

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Capitolo 4
*** Shatter Me ***


 ...Somebody shine a light
I’m frozen by the fear in me
Somebody make me feel alive
And shatter me
So cut me from the line
Dizzy, spinning endlessly
Somebody make me feel alive
And shatter me

 
Zoey uscì dalla sua aula con le mani doloranti e rosse.
Aveva combinato l’ennesimo guaio e se il professore non si fosse fatto coraggio per staccare Anne-Marie da lei a quest’ora ci sarebbe una studentessa in meno nell’istituto.
Ora il suo potere troppo carico e troppo potente doveva solamente affievolirsi ma sentiva le vene bruciare troppo intensamente e per quanto sbattesse le palpebre i suoi occhi non volevano cambiare il colore rossastro/aranciato che aveva coperto completamente il caratteristico color nocciola dei suoi occhi.
Ben presto si ritrovò a camminare tra i corridoi con affianco il guerriero che le era stato assegnato, Mike.
Pelle scura, capelli mori, occhi castano scuro e uno sguardo da ragazzino che sembrava volesse abbracciare qualcuno. Sapeva riconoscere quell’attegiamento, era lo stesso che usava Heather quando voleva ottenere qualcosa, uno sguardo caratterizzato dal solito sorriso falso.
Zoey lo ignorò completamente, non voleva farsi conoscere troppo a fondo, ma subito dopo pensò di iniziare un discorso ripetendosi la stessa frase in testa “Si convincente, sorridi e occhi da cerbiatta, come ti ha insegnato Heath”.
-Allora di cosa vuoi parlare?- gli chiese quando si sentì man mano più leggera e meno consumata. Si girò verso il ragazzo che si riscosse velocemente dai suoi pensieri e si passò il più veloce possibile un mano sui capelli formando un piccola cresta che si curvava leggermente verso il basso.
-Non parleremo dei tuoi capelli- disse decisa Zoey che vedendo quell’attegiamento strano non sapeva a cosa pensare.
Vide il ragazzo girarsi e sospirare qualcosa che suonava come un insulto e dopo rigirarsi verso di lei sfoggiando un grande sorriso, un sorriso falso.
-Per me va bene tutto… l’importante che non si parli di me… non mi piace parlare di me- proferì alla fine il ragazzo.
-Bene io sono un libro aperto- disse la rossa sistemandosi un ciocca di capelli rosso fuoco dietro l’orecchio
-Perché hai l’occhio…- Mike non riusciva trovare il termine esatto quindi si limitò ad indicare gli occhi della ragazza.
-Questi? Sono un effetto, collaterale oserei dire, che compare quando sono nervosa o mostro il mio potere-
-E quale sarebbe il tuo potere?- chiese ancora sorridendo il ragazzo, ancora con quel sorriso falso.
Zoey questa volta si fermò e lo guardò intensamente come se sperasse di vedere chi si celava dietro quel sorriso ma non aveva certe capacità.
-Perché mi fissi?- chiese dopo qualche minuto il ragazzo che sembrava avere un paralisi al viso, non era forse abituato a sorridere, non gli riusciva naturale come ogni espressione che trasmettesse simpatia e allegria.
-Nulla- Zoey si rigirò frettolosamente e iniziò a guardare i suoi piedi che si muovevano automaticamente avanti.
-Da quel che ho capito hai una sorella-
-Si… gemella-
-Gemella?-
-Mi hanno detto che era mia sorella gemella, gemella eterozigote, per l’esattezza – mentre la rossa diceva quelle parole ripensava a quando le era stata portata una bambina della sua stessa età, aveva quattro anni allora,le avevano detto che erano sorelle gemelle. All’inizio era titubante ma quando vide gli occhi dorati della bambina volle crederci: non aveva mai conosciuto i suoi genitori e forse quella bambina dai capelli biondi era veramente sua sorella.
 
-Io sono Zoey- si presentò la bambina porgendole una mano come aveva visto fare ai suoi superiori.
-Io mi chiamo Bridgette- rispose l’altra che non sapendo cosa fare sorrise semplicemente, era stata portata da poca all’istituto.
-Vuoi giocare con me?-
La bambina bionda annuì decisa.
-Bene ragazze. Si è deciso che voi due dormirete nella stessa stanza- la signorina Blanchard si inginocchiò all’altezza delle due bambine e mise loro le mani sulle spalle guardandole sorridendo come se stesse assistendo ad un ricongiungimento familiare, e forse lo era -Zoey, mi raccomando fai attenzione a tua sorella gemella, tu sei la maggiore e, so che sei troppo piccola per questo ma, ora sei anche responsabile di un’altra vita-
La bambina annuì con sguardo sicuro.
-Lo prometto signora Blanchard: mi prenderò cura di mia sorella-

 
-E tu sei la minore?- chiese di nuovo Mike
-No io sono la maggiore…-
 
-Ciao- disse Zoey alla bambina della sua stessa età che dopo le lezioni si posizionava in un angolino in disparte, come se sentisse di non essere gradita tra le altre bambine e ragazze che in poco tempo avevano invaso quella pianura e sembravano ora piccole formiche.
La bambina di otto anni era rimasta seduta a guardare l’erba sotto i suoi piedi nudi non proferendo parola.
-Io sono Zoey. Tu come ti chiami?- chiese la bambina sorridente che la guardava dall’alto nella speranza che le rispondesse.
-Come mai non mi rispondi?- chiese ancora sedendosi accanto alla bambina dai capelli color cioccolato e dalla pelle leggermente più chiara dei capelli –Io voglio essere tua amica-
-Perché?- domandò infine la bambina continuando a guardare l’erba
-Perché ho visto che nessuno vuole essere tua amica e io non lo capisco. Sembri simpatica- rispose Zoey sorridendo.
-Nessuno vuole essere mia amica a causa del mio potere, è diverso da quello degl’altri- il tono che aveva usato era deprimente.
-Anche io ho un potere diverso dagl’altri, guarda- Zoey iniziò a disegnare dei lunghi segni in aria che pian piano prendevano vita e diventavano ombre di fuoco che raffiguravano due bambine che si tenevano per mano e giocavano.
La bambina accanto a lei alzò lo sguardo guardando la magia del fuoco all’opera.
-Wow- disse –E’ un potere bellissimo- sorrise leggermente, forse ora era del tutto convinta, poteva fidarsi in fondo era diversa come lei.
-Vuoi farmi vedere il tuo?- chiese Zoey
La bambina dai capelli castano si irrigidì e il suo sorriso scomparve –Non lo so, non mi piace. Per colpa del mio potere ho ucciso una mia compagna- delle lacrime scesero da i suoi occhi e sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
-Se non vuoi non importa… ma voglio sapere il tuo nome- sorrise rassicurante la rossa
-Courtney. Mi chiamo Courtney-
-Bene Courtney penso che tu abbia una nuova amica-
Courtney provò a dire qualcosa ma le sue parole le morirono sulla punta delle labbra quando vide il caos che si stava creando: bambine della sua età che gridavano e i superiori che dicevano di andare ognuno nelle proprie camere mentre un muro dell’istituto si ricopriva di un lungo strato di ghiaccio e si sentivano le urla divenire pian piano frasi di disperazione o impaurite. “Sugar è morta”.
Zoey si alzò velocemente guardandosi intorno con il cuore che le batteva a mille e le parole che le uscivano impaurite e ansimanti come se avesse fatto una corsa:-Bridgette- sospirò
Anche Courtney si alzò:- Che succede?-
-Non lo so! Devo trovare Bridgette!-
-Chi è Bridgette?-
-E’ mia sorella e…e non so dove…- le parole non uscirono e furono sostituite da un singhiozzo impaurito
-Ti aiuto trovarla, dimmi come è fatta*- Courtney era decisa ad aiutare la sua nuova amica
-Ha otto anni, i capelli biondi legati in una treccia e gli occhi dorati-
-Dividiamoci così la troveremo prima-
Nel frattempo il ghiaccio si espandeva ed aveva già ucciso delle ragazze che erano rimaste completamente congelate o peggio ancora uccise da una stalagmite che fuoriusciva dall’erba in parte ghiacciata.
Il tempo si era come fermato e stava iniziando a nevicare nonostante fosse il secondo quarto di Persefone**

 
-E come si chiama? Tua sorella intendo- chiese Mike
-Perché vuoi sapere tutte queste informazioni? E, senza offesa, ma sei un pessimo attore-  disse Zoey che stava iniziando ad innervosirsi. – Ho vissuto una vita piena di persone che mi sorridevano falsamente ogni giorno- gli occhi, che avevano assunto il loro naturale colore, ora stavano di nuovo diventando rossi e le mani incominciavano a bruciarle.
Lo sguardo di Mike dal sorpreso si tramutò in uno sguardo maligno. Si passò una mano tra i capelli scuri:-Devo ammetterlo sei veramente brava-
Dalle dita della ragazza si intravedevano delle piccole fiamme che aspettavano soltanto di tramutarsi in un fuoco sempre più grande e doloroso. Controllò se ci fosse qualcuno in giro; nessuno, il corridoio era completamente deserto, le studentesse erano già fuori o erano in classe. Posò velocemente il suo sguardo su quello maligno del ragazzo e con facilità lo sbatté a muro, una mano era posta sulla gola mentre una era chiusa a pugno come se si stesse caricando per poi far esplodere interamente il suo potere.
-Chi sei veramente?- chiese malefica la ragazza –Mike-
-Tesoro mi chiamano con tanti nomi- disse lentamente Mike togliendo la mano di Zoey dalla sua gola che presentava ora tre macchie scure –Morte, il Malvagio, il Bastardo, Colui che non ha pietà, ma il mio preferito è Mal- un ciuffo gli cadde sull’occhio coprendolo in parte.
Zoey non lasciava la sua espressione irata cosa che fece sorridere ancora più malignamente Mal.
In pochi secondi si ritrovò con le spalle al muro con Mal che incombeva su di lei, il suo ciuffo ora copriva tutto il suo occhio e ora al posto dei denti aveva lunghe zanne, gli occhi erano grigi con la pupilla ridotta ad un minuscolo punto.
La ragazza prese velocemente il viso di Mal tra le mani e concentrò tutto il suo potere in quelle. Mentre sentiva pian piano il suo potere affluire nelle sue mani guardava gli occhi del ragazzo con sfida e premette più forte le mani sulla sua pelle bronzea quando vide la sua espressione di dolore.
Mal si ritrasse dalla forte presa e due macchie indistinte nere comparvero sul suo volto. Sentiva ancora il forte dolore del fuoco che si espandeva sulle guance e sulle tempie.
-Non avvicinarti più a me- disse ansimando Zoey
-Mi dispiace per te, tesoro, ma gli ordini sono ordini- Mal iniziò a massaggiarsi la tempia ustionata- Pagherai per questo- disse tranquillo mentre le zanne scomparivano e gli occhi ritornavano di un marrone intenso – Ci si vede dopo- si allontanò dalla ragazza mentre continuava a strofinarsi le guance ustionate.
 

Il vento faceva svolazzare leggermente le foglie degl’ alberi che andavano poi a depositarsi sul terreno formando un soffice tappeto. Una dolce bambina di pochi anni giocava tra l’erba dei frutteti facendo sorridere i contadini che lavoravano duramente, a volte imprecando verso coloro che lavoravano al sicuro dietro uno schermo illuminato per svolgere gli affari dell’imperatore.
-Mamma, mamma quando nascerà la mia sorellina?- chiese dolcemente la bimba a sua madre, una donna dai lunghi capelli neri e gli occhi cristallini che con un cestino intorno braccio raccoglieva di tanto in tanto dei frutti  o dei fiori accarezzando dolcemente la propria pancia.
-Tra qualche giorno, figlia mia, tra qualche giorno- sorrise, un sorriso triste e felice e allo stesso tempo un sorriso che avrebbe dovuto conservare per le sue due figlie quando un giorno l’avrebbero vista al patibolo.
Sentì il suono tempestivo che facevano le guardie quando camminavano ammassati per eseguire la loro ispezione dei frutteti e delle vie del paese.
Donne e uomini iniziarono a intimare i propri bambini di nascondersi finché le guardie del popolo non se ne sarebbero andate sperando di non trascinare con se un’altra anima disperata.
-Presto nasconditi!- la donna prese in braccio, con difficoltà, sua figlia che nonostante la piccola età aveva capito il pericolo che poteva correre, strappata dalla propria famiglia per poi condannare i suoi genitori ad una morte atroce per aver disobbedito alla legge.
“Tutti i fanciulli che raggiungeranno l’età dei due anni saranno portati via da ogni legame e addestrati per servire l’imperatore in nome della giustizia”
La donna lasciò sua figlia dicendole di trovare un nascondiglio sicuro e di non uscire da lì fino al suo richiamo. La bambina iniziò a correre fino ad arrivare ai piccoli vigneti che coprivano una porzione del frutteto, lì in mezzo alle foglie spinose,il legno e l’uva si trovava una buca molto profonda che sembrava essere stata scavata con cura per giorni e giorni. Entrò aspettandosi il richiamo di sua madre e l’entrata delle sue uniche compagne di guai e dolori.
Il suo cuore sembrava voler uscire dalla gabbia toracica e sentiva le mani fremere di potere, un potere inesistente o racchiuso: lei era diversa, lei non era una sacerdotessa, non era una guerriera, non era nulla… almeno così credeva lei. Suo padre le aveva detto che lei possedeva un potere superiore a quello degl’altri ma si sarebbe rivelato soltanto quando sarebbe arrivato il momento giusto, quando lui sarebbe caduto.
Ben presto sentì uno spostamento provenire dall’alto e riuscì a scorgere, alzando il viso, bambine dai capelli d’orati e gl’occhi cielo.
-Muoviti Samey stanno arrivando- disse quella che poteva sembrare la sorella maggiore  analizzando la buca e assottigliando gli occhi per essere sicura che la testolina bionda e la pelle neve appartenessero alla sua amica.
-Mi chiamo Sammy!- disse l’altra bambina incrociando le braccia e eseguendo una smorfia come per far vedere di non aver paura di quella gente.
-Scendi immediatamente e stai zitta- nonostante la piccola età, la bambina di soli quattro/cinque anni, era già una donna: troppo responsabile, troppo cattiva, troppo protettiva verso la sorella. La sua infanzia era stata totalmente rovinata quando i suoi due fratelli maggiori morirono insieme al padre a causa della Rivolta… da quel momento la madre delle due sorelle gemelle iniziava a perdere il senno e lei, la bambina dai capelli biondo oro e dallo sguardo maturo, aveva oscurato la verità a sua sorella, la più ingenua ma la più coraggiosa.
Samey scese nella profonda buca come le era stato insegnato dalla sorella e abbracciò la sua amica quando la vide; cercava di sorridere rassicurante ma i suoi pensieri avevano come punto centrale la sua famiglia, soprattutto la sua futura sorellina. Gwendoline, un nome che le risuonava sempre nella mente quando pensava a sua madre con il roseo pancione che qualche volta lasciava sentire i dolci battiti della bimba che scalciava.
-Stanno arrivando!- disse Amy entrando nella buca e stringendo tra le mani uno arnese che fece impaurire la sorella.
-Amy che cosa vuoi fare?- chiese sussurrando Samey, mentre le sue mani stringevano il polso della sorella decisa a macchiarsi di un qualcosa che l’avrebbe tormentata per tutta la vita.
Non rispose era troppo impegnata a sentire i discorsi tra i guerrieri e i compaesani. Sentiva dialoghi sui frutteti e sulla giustizia… se quella si poteva chiamare giustizia.
-… mi dispiace per tuo marito Shannon…-  sentiva sua madre e la voce grave di un uomo ma non riusciva bene a capire di cosa stessero parlando nonostante il lugubre silenzio che si formava ogni volta che passavano i servitori dell’imperatore -…due figlie?- sentì ancora
-Gli unici figli che avevo me li avete uccisi!- urlò la madre delle gemelle, cercando di non far trapelare l’ansia che ogni volta invadeva un umano quando era costretto a mentire ma in fondo loro non erano umani… erano superiori.
L’unica cosa che si sentì dopo era un verso strozzato, una spada che ritornava nel fodero e i guerrieri che ripercorrevano i propri passi per controllare il paese.
Amy si lasciò sfuggire un singhiozzo quando sentì i bambini ritornare dai propri genitori.
-Amy dobbiamo uscire- la scosse la sorella
-Resta qui Samey…- disse tra i singhiozzi
-Ma per…-
-Resta qui!- urlò la bambina disperata cacciando un urlo disumano per qualcuno della sua età. Uscì dalla buca lasciando sua sorella a piangere contro la spalla della sua amica, etichettata diversa.
L’unica cosa che ricordava vivamente la gemella minore era la sorella con le mani sporche di rosso e affaticata come se avesse trasportato un peso… e forse era così.

 
Gwen si svegliò di soprassalto con le vesti fissate alla pelle. I capelli erano attaccati alla fronte e sentiva le lacrime salate sulle sue labbra: aveva pianto di nuovo, sognando sempre la scena di quelle tre bambine distrutte.
Sentiva l’odore dell’erba che le infestava le narici e delle foglie sulla sua pelle candida. Non riusciva a pensare, ogni cosa le faceva ricordare le gemelle e la bambina senza nome che sussurrava il suo sorridente. Chi era? Perché sognava quelle bambine?
Si coprì il viso con i palmi delle mani e inizio a piangere, troppo dolore, un dolore che non era suo ma che contemporaneamente le apparteneva.
Sentì il suono delle foglie spezzarsi dietro di lei e senza volerlo formò sulle sue mani gigantesche sfere d’acqua che sembravano voler far andare in asfissia qualcuno.
Le sue pupille erano completamente dilatate, le iridi erano nere dando l’impressione di congiungersi con le pupille. Ogni muscolo del suo corpo sembrava voler aggredire qualcuno e i capelli lunghi neri stavano iniziando a trasparire verso le punte formando una sorta di cascata che le scivolava sulla schiena senza bagnarla.
-Ti sei svegliata vedo- due occhi verdi la scrutavano sperando che si calmasse
-Chi sei?- chiese acida non lasciando attenuare il suo potere
Il ragazzo la scrutò a lungo pensando che stesse scherzando ma il viso di Gwen non lasciava trasparire niente se non paura, vendetta e potere.
-Il guerriero che ti è stato assegnato, forse?- domandò ironico il ragazzo
Gwen osservò a lungo il ragazzo memorizzando ogni singolo dettaglio e movimento; capelli neri, occhi verdi, magro e dalla corporatura simile a quella dei suoi compagni. Sapeva come comportarsi dinanzi al piano omicida dell’imperatore, bastava semplicemente non parlare, fingersi una portatrice di handicap per farsi sottovalutare e poi cogliere di sorpresa il nemico, ma con la sua paura aveva già rovinato gran parte del suo piano. Sapeva,però, di potercela fare, di poter addirittura vincere. Aveva passato giornate sui vecchi  diari della biblioteca lasciati da ragazzi ormai morti e aveva capito perché quell’imperatore avesse voluto avviare quella azione, l’azione delle tre settimane: a volte i giorni nell’arena dove si svolgevano i giorni di morte potevano addirittura arrivare ad un mese. Quelle due stirpi si sottovalutavano troppo e ogni volta che si scontravano contro la dura verità scappavano non curanti del fatto che tutta la terra del nord li stava guardando.
 Nonostante le idee che si era fatta non riusciva a capire esattamente,certo si potevano scoprire i punti deboli di ogni avversario, per poi usarli a proprio piacimento, ma in tre settimane potevano addirittura nascere sentimenti che poi avrebbero contrastato il gioco… E se fosse successo?
Non sapeva cosa aspettarsi ogni anno l’imperatore adottava tattiche orrende che portavano alla morte certa. Lo scorso anno una ragazza aveva deciso di cacciare nei primi giorni il necessario e poi nascondersi sugl’alberi finché gli avversari non si sarebbero uccisi tra di loro ma il suo piano fallì miseramente: per ordine dell’imperatore durante la notte gran parte degl’alberi bruciarono e con loro la ragazza che si era ritrovata in un incendio troppo grande e fitto.
 Placò il suo potere stringendo le mani a pugno e facendo scivolare le due sfere sottoforma d’ acqua. Iniziò a respirare lentamente cercando di eliminare l’immagine delle tre bambine ma con scarso successo, si alzò e non proferì parola mentre stringeva a se il suo diario da disegno  che usava spesso come cuscinetto quando prima delle lezioni pomeridiane voleva riposare nonostante rischiasse di arrivare in ritardo ma non aveva bisogno di consigli su come usare i suoi poteri o lezioni che le imparassero a creare intrugli per la guarigione veloce o veleni semplicemente mischiando frutti,sabbia,terra ed altri composti naturali.
Alzò lo sguardo verso la grande torre dell’orologio e si accorse che mancava ancora un’ora e mezza alla lezione di astrologia quindi,mentre sentiva la presenza del guerriero alle sue spalle, decise di accucciarsi sotto una’albero per poi appoggiare il diario sulle ginocchia ed iniziare a disegnare.
Prese un gessetto nero che teneva sempre in mezzo alle pagine ingiallite che racchiudevano ogni suo pensiero ed iniziò a disegnare creando una danza di curve e linee nere che poi andava a sfumare con l’indice per creare un effetto realistico ricopiando perfettamente l’immagine nella sua mente che si formava ogni volta che pensava alla bimba senza nome.
Nel frattempo il guerriero era qualche metro più in là appoggiato stancamente ad un albero che la guardava interessato e ammaliato memorizzando ogni dettaglio di quel viso spento e delle mani che si muovevano velocemente per delineare ogni linea.
-Come hai detto di chiamarti?- chiese il ragazzo interrompendo quella pace e facendo perdere la concentrazione alla ragazza che cercava di rimediare ad un errore  sfregando il dito sulle pagine e passandoci sopra il gessetto picchiettandolo.
-Non l’ho mai detto- rispose fredda per poi torturarsi il labbro, una fissazione che aveva fin da piccola quando doveva disegnare o suonare il violino cercando di riprodurre perfettamente le note che scriveva durante la notte, l’unico momento della giornata in cui si sentiva ispirata.
Qualche volta prendeva il suo violino in legno e camminava per la grande pianura lasciando una scia di note tristi e ribelli al suo passaggio.
-Bel caratterino…- il guerriero non badò al tono della ragazza che aveva usato per farlo stare zitto – io sono Trent disse***
-Nessuno te lo ha chiesto- rispose ancora Gwen con tono acido e menefreghista, badando di più al suo disegno che al ragazzo.
-Che stai disegnando?- chiese ancora Trent cercando di scrutare un parte del disegno
-Nulla che t’importi- rispose ancora la ragazza
Trent si leccò leggermente il labbro superiore secco sorridendo lievemente dinanzi a quella ragazza cocciuta –Senti… so che sei arrabbiata perché l’imperatore ci ha dato ordini diversi dagl’altri, cioè, quello di non starti lontano fino al tramonto del sole ma gli ordini sono ordini e ,sfortunatamente, questo posto dispone di tecnologia Gaerela… – indicò le telecamere che si trovavano agl’angoli di ogni parete dell’istituto – …questo significa che ci controllano e ci vedono, potranno anche chiudere un occhio qualche volta ma non sempre quindi ti consiglio di mostrarti più simpatica se dobbiamo rimanere insieme per tre lunghe settimane, chiaro?- Trent incrociò le braccia al petto aspettandosi un’affermazione
Gwen si girò verso di lui con gli occhi leggermente socchiusi, un’espressione che assumeva sempre quando doveva pensare velocemente ad una risposta.
-Va bene- disse infine – ma non provare a farmi domande su di me, puoi parlare di qualsiasi argomento ma non soffermarti su di me e sulla mia storia, intesi?- lo guardò puntandogli il gessetto nero contro come se fosse un arma per farlo parlare.
-Perfetto- Trent sorrise e ritornò a guardarla mentre Gwen rimaneva a fissare il suo disegno dalle sfumature grigiastre e nere: un perfetto mare dalle onde agitate e dalla schiuma voluminosa che andava a scomparire tra le acque.
 

-Mamma dove darai alla luce Gwen?- chiese la bambina prendendo le ciotole di pietra per poi riporle nel lavello dove sua madre lavava via quello che era rimasto della misera cena.
-Gwen?- chiese la donna continuando a insaponare le ciotole
-Si… la mia sorellina si chiamerà Gwendoline, lo sento. Papà mi ha detto che se sento qualcosa dal profondo del mio cuore si avvererà e se non succede accadrà qualcosa di brutto. Quindi la mia sorellina si chiamerà Gwendoline- sorrise porgendo l’ultima ciotola in pietra alla madre.
La donna prese un grande respiro:- Per favore, tesoro, vai a dormire- si asciugò le mani bagnate sul grembiule e la guardò negl’occhi così simili ai suoi.
-Ok mamma- la bambina camminò lentamente verso la sua stanza ma prima di uscire completamente dalla cucina chiese:- Mamma prima di andare a dormire, posso dipingere?- chiese la bambina speranzosa
-Certamente ma subito dopo a letto- la madre sorrise a sua volta mentre si slegava il grembiule e si soffermava sulla sua pancia gonfia.
La bambina iniziò a correre verso la sua stanza prendendo i suoi amati pennelli ed iniziando a dipingere sulla sua tela. Anche se aveva pochi anni, per volere di suo padre, aveva imparato le basi del disegno e della pittura ma preferiva i colori liquidi a quelli a matita o gessetto. Suo padre la portava spesso in luoghi desolati o deserti dove si potevano ammirare magnifici paesaggi ed ogni volta le porgeva sempre un foglio di pergamena ingiallita per farla disegnare, pensava che in futuro l’arte l’avrebbe aiutata per diventare qualcuno e per fuggire da quella terra.
Intinse il morbido pennello nel colore azzurro mischiandolo con varie sfumature e ricoprendo gran parte della tela di quel colore, prese il bianco e lo picchietto leggermente,poi iniziò ad aggiungere vari colori per ricopiare perfettamente l’immagine che si creava nella sua mente.
Finì il disegno e dopo aver poggiato i pennelli sul comodino vecchio di legno andò a rifugiarsi sotto le coperte ammirando la sua opera al chiarore della luna che filtrava da una piccola finestra. Sembrava il disegno di una dodicenne nonostante la bambina avesse tre anni aveva sviluppato grandi capacità, forse per la sua natura. Non riusciva distogliere lo sguardo da quel mare dalle varie sfumature raffigurato sulla vecchia tela.
Chiuse gli occhi lasciandosi trasportare nel sonno mentre le immagini del mare in tempesta si raffiguravano continuamente tra i suoi pensieri e subito dopo compariva la figura di una ragazza dai capelli neri e dalla lunga veste che si mimetizzava tra le onde.
-Gwendoline- sussurrò nel sonno stringendo a se le lenzuola
 
Il mare era calmo, il vento soffiava debolmente e il silenzio regnava incontrastato finché la donna non parlò.
-Amir sei sicuro di tutto questo? I poteri di nostra figlia sono arrivati al punto di farle avere visioni?- chiese la donna dalla fronte sudata mentre cercava di resistere al dolore
-Si… il suo poter è diverso, devastante oserei dire. Nessuno tranne lei ha l’anima così forte, così turbata. Sai come funzionano le visioni dei Passanti, quindi cerchiamo di farle avverare- disse un’ uomo dai capelli biondo/castani e dagl’occhi azzurri come il mare che di fronte a lui brillava alla luce del sole facendogli socchiudere leggermente le palpebre.
-Perché tu non hai avuto visioni?- chiese ancora sua moglie avvicinandosi alla riva e eseguendo una lieve smorfia di dolore.
-Il sortilegio che tiene sotto controllo i poteri della nostra primogenita limitano i miei- rispose guardando ora la bambina dai capelli chiari con i piedi immersi nell’acqua fresca del mare – So che sarà una cosa difficile ma ricorda cosa ci ha detto… “Mia sorella nascerà tra le acque. Deve nascere nel frammezzo del suo elemento, tra le acque più pure e calme”- l’uomo recitò le parole della figlia
-Lo so ma non capisco cosa voglia dire nostra figlia con “nel frammezzo del suo elemento”. Ci sono molte possibilità che nasca una sacerdotessa ma nessuna ha un potere simile a quello di…di…- stava cercando di mantenersi calma per non rovinare il parto.
-Aulampia?-
-Si… Gwendoline potrebbe avere lo stesso problema di sua sorella: un potere troppo grande che sfugge ad ogni sorta di controllo. Quando tu morirai il sortilegio si spezzerà i poteri di mia figlia si manifesteranno terribilmente e non voglio pensare come reagirà. Non ha nessuno amico da quando sono stati portati via gran parte dei bambini a causa della Rivolta-
-La Rivolta ha salvato quei bambini portandoli sulla Terra, le due gemelle sarebbero state scovate qui, e sono stati anche salvati ragazzi sul punto di morte. Hai saputo della bambina di soli dieci anni che si offerta di salvare la vita ad una sua amica e sai la grande possibilità che le darà la Rivolta-
-La Rivolta pensa solo a cercare nuovi soldati per combattere contro il governo…- la donna si sedette sulla riva guardando la sua primogenita giocare con la sabbia della povera spiaggia. Sembrava così libera e felice ma non scorderà mai il pianto di tristezza che aveva preso possesso di lei quando le sue due uniche amiche le avevano detto che dovevano andare via, per salvarsi.
-Anche lei andrà sulla Terra… ed anche Gwendoline.  Combatteranno per la Rivolta e costruiranno un luogo migliore-
-Ho pura che le mie figlie diventino delle assassine spietate-
-Uccideranno gli ingiusti…- l’uomo non poté continuare la frase. Era arrivato il momento di dare alla luce una nuova vita. Una vita che sarebbe nata tra le acqua marine.
Gwendoline.



*Ho usato la frase “Dimmi come è fatta” perché mi sembrava molto strano che delle bambine di otto anni usino espressioni come “descrivimela” o “fammi la sua descrizione”.
**Secondo la mitologia greca Persefone, figlia di Demetra, fu costretta a passare un lungo periodo, ogni anno, nel regno di morti e  un lungo periodo,sempre ogni anno, nel regno della luce. Precisamente sei mesi nell’Ade e sei mesi sulla Terra dando così origine alle stagioni.
Il secondo quarto di Persefone è in pratica la primavera.
*** Ok so a cosa state pensando: “E’ una Gwent”. Ma mi dispiace dire per le fan ei fan Gwent che questa storia è una… GWENTANCAN, capirete in futuro (e una DUNCOURTWEN). Insomma in questa storia non ci saranno vere e proprie coppie, a parte qualcuna.


SPAZIO AUTRICE
Bene ragazze e ragazzi dopo millenni che non aggiorno eccomi qui con questo capitolo... credo.
Ora... chi sarà la sorella di Gwen? Che cosa sta accadendo sulla Terra? Lo scoprirete in futuro.
Come avete potuto leggere ho aggiunto le gemelle e anzi in questa storia ci sono due coppie di gemelle, una omozigote e una eterozigote (scusatemi ma è tutta colpa degl'esami che mi hanno fatto rimbecillire nonostante siano passate settimane).
Mike non soffre di personalità multipla, è bastardo di suo, quindi molto OCC, e si fa chiamare Mal perchè adora regalare dolcetti e creare collanine di perle. XD 
Quindi spero che vi sia piaciuto questo capitolo e ringrazio molto Xenja che mi sta supportando molto e si offerta di pubblicare la copertina che ho creato per la sua fantastica ff "The Warrior Goddesses" su deviantart quindi grazie per tutto.
E ringrazio anche coloro che recensiscono e apprezzano questa storia.
Riguardo alla canzone, che come sempre potete sentire cliccando il titolo, vi consiglio vivamente di sentirla perchè, secondo me, rispecchia perfettamente Gwen e soprattutto perchè la parte del violino, suonata dalla fantastica Lindsey Starling, nella mia ff è la melodia che suona sempre (Gwen).
Ora vado mi sto dilungando troppo ma prima vi lascio un'immagine (sempre photoshoppata da me) di Gwen.
 (attrice: Shailene Woodley)
Spero che vi piaccia e...
Alla prossima CUPCAKES :3.

 

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Capitolo 5
*** Chandelier ***


I'm gonna swing from the chandelier, from the chandelier
I'm gonna live like tomorrow doesn't exist
Like it doesn't exist
I'm gonna fly like a bird through the night, feel my tears as they dry
I'm gonna swing from the chandelier, from the chandelier
 

And I'm holding on for dear life, won't look down won't open my eyes


Quel giorno il vento non soffiava forte ma si sentiva la dolce brezza fredda che attraversava le vesti bianche della ragazza facendola rabbrividire ad ogni leggero soffio, che accarezzava la sua pelle rosea.
Dopo aver terminato le lezioni si era seduta in un piccolo angolino della pianura ammirando il lugubre paesaggio che si prostrava davanti a lei. Il sole splendeva accecante oltre la barriera che abbracciava l’istituto ma lei non l’avrebbe mai potuto vedere nella sua reale forma: sembrava una palla scura da cui si prolungavano fasci di luce, come se ogni giorno ci fosse un eclissi eterna all’interno della barriera.
I suoi pensieri vennero interrotti da delle risate e da delle voci candide, spostò lo sguardo verso delle ragazze che amichevolmente chiacchieravano sedute a cerchio  sgranocchiando ognuna un chicco di cacao grande quanto il pungo di un adulto.
Bridgette iniziò ad osservare i visi angelici delle ragazze, bellissime, dai lunghi capelli  e dagl’occhi celestiali… quello che non era lei e che non sarebbe mai stata.
“Bridgette la tua bellezza è falsa e inesistente… smettila di fingere ciò che non sei”.
 
-“Bridgette la tua bellezza è falsa e inesistente… smettila di fingere ciò che non sei”- disse Sugar prima di afferrare i candidi capelli della bambina e far arrivare i loro visi a pochi centimetri di distanza, così vicini che Bridgette le poté vedere la malvagità attraverso lo specchio dell’anima – Ripetilo-
La bambina afferrò le mani della sua minaccia cercando di graffiarle per far allentare la presa sui suoi capelli ma ogni volta che affondava le sottili unghie nella carne della sua avversaria le fitte alla testa si facevano più dolorose.
-La mia…- singhiozzò -… bellezza è falsa… e inesistente- la bambina smise di graffiare le mani di Sugar e le rivolse una sguardo supplichevole mentre gli occhi iniziavano a farsi lucidi.
-E…- incitò Sugar scuotendo la testa della bambina
-…e devo  smetterla di fingermi ciò che non sono- Bridgette si accasciò a terra quando i suo capelli le ricaddero sulle spalle, sentiva la testa pulsare e il dolore invaderle il capo, iniziò a massaggiarsi i capelli mentre,il  dolore si faceva più acuto e le lacrime visibili.
-Mi raccomando Bridgette: non una parola con tua sorella- ghignò Sugar lasciando la bambina nel deserto corridoio, sofferente.
“Io non sono bella” pensò infine Bridgette dando ragione alla sua tortura.



Quasi le venne di vomitare osservando le tre ragazze mangiare. Detestava mangiare, non serviva il cibo, il cibo ti distrugge.
Sentiva la sensazione delle sue dita infondo alla gola e il disgusto salire sotto forma di conati di vomito… inghiottì la sua stessa saliva nella speranza di far scomparire quella terribile sensazione. Sentiva la voce di sua sorella in lacrime che le diceva di smetterla di non mangiare, ma ogni volta che ci provava sentiva il bisogno martellante farsi sempre più forte fino a farla cedere.
Distolse lo sguardo dalle tre sacerdotesse e lo rivolse sul suo libro di astronomia, poggiato accanto a lei sull’erba, ma il bisogno ora si faceva sentire.
Prese il libro tra le sua mani e lo aprì, sfogliando le pagine velocemente, si fermò quando in mezzo al capitolo dei pianeti intravide una foglia verde/bluastra. La prese tra le mani, accarezzando la superficie ruvida come se fosse l’oggetto più prezioso al mondo, chiuse gli occhi, alzo il viso verso il cielo e ingoiò la foglia.
Risultava pastosa e bruciante, una sensazione che pian piano si andava a trasformare in completo benessere… lasciava che il suo corpo si nutrisse soltanto di quella sostanza che la faceva risaltare più bella, più angelica, come voleva essere lei.
-Ehi streghetta!- sentì una voce maschile e sapeva che quell’insopportabile nomignolo era rivolto a lei.
Spostò lo sguardo davanti a se notando un gruppo di guerrieri che combattevano o che chiacchieravano accompagnati da un supervisore.
-Da questa parte!- sentì ancora quella voce irritante e alla fine intravide un ragazzo che ghignava, lo sguardo rivolto verso di lei. Aveva i capelli castani rivolti verso l’alto e occhi scuri che la scrutavano maliziosamente.
Sentì una furia invaderle e infiltrarsi tra i suoi pensieri prendendo possesso dei suoi movimenti.
-Perché non ci fai vedere qualche trucchetto di magia, chica, vogliamo divertirci un po’- adesso gli sguardi erano tutti rivolti verso Bridgette e quel ragazzo dall’accento strano.
Era una presa in giro perché era ritenuta inferiore, come i suoi poteri.
-Smettila Josè… - disse un ragazzo dai capelli rossi e dagl’occhi verdi osservando la scena.
-Da quando prendo ordini dai pivelli come te, Harold?- chiese Josè distogliendo lo sguardo dalla sua preda e scrutando il magro ragazzo occhialuto.
Harold non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo verso il terreno.
Quando Josè si rigirò vide soltanto il muro dell’istituto scrostato e mal ridotto. L’aria si era fatta più densa e nessuno osava fiatare, in qualche modo sapevano che Bridgette era ancora lì pronta a farla pagare a chiunque si fosse messo contro di lei; a infliggere dolore attraversando la carne di ognuno fino arrivare ai cuori che pulsavano velocemente per poi strapparli via.
Il ragazzo ispirò ed espirò lentamente ma il suo respirò si bloccò quando sentì il fiato di qualcuno sul suo collo e il braccio contorcersi. Il dolore iniziava ad espandersi, si piegò in due sentendo una ginocchiata nello stomaco e i capelli tirati selvaggiamente verso il basso. Sapeva che adesso era in balia di un angelo demoniaco che si liberava dalla sua furia. Perché non era come le altre, perché adesso il suo nome era stato rimpiazzato da un numero inciso sul suo polso, perché, nonostante lo negasse, sapeva di essere malata.
Il guerriero esausto si inginocchiò per terra mentre sentiva il dolore espandersi dalla testa a tutto il corpo fino a consumarsi. Alzò lo sguardo e intravide una figura dallo sguardo malefico ed agghiacciante. Sentì i polsi stretti in una morsa pungente e quando si voltò verso le sue braccia scorse lunghi viticci spinosi che lo avvolgevano completamente impedendogli ogni movimento.
-Ecco il mio trucchetto- sussurrò Bridgette assaporando quella scena, traendone beneficio.

-Ahi!- quasi urlò la mora ritrovandosi l’ennesima piccola scheggia di legno nell’occhio. Si strofino incessantemente la palpebra per far alleviare il dolore –Potresti smetterla di intagliare quello stupido pezzo di legno?! Sto leggendo e le schegge sembrano saltare via dalle tue mani!- si voltò verso il ragazzo che le era stato assegnato, dai corti, quasi rasati, capelli neri. Incideva e tagliava del legno con un pugnale affilato e sembrava non accorgersi della presenza che le era stata forzatamente aggiudicata. La sua posizione era tranquilla, quasi rilassata; un gamba era stesa sull’erba mentre l’altra fungeva d’ appoggio per il braccio impiegato nell’intagliare.
-Mi stai ascoltando?- chiese ancora Courtney non sentendo nessuna risposta da parte del ragazzo.
Chiuse il libro dinanzi a se quasi con violenza per attirare l’attenzione verso di se, ma niente, il ragazzo se ne stava comodamente appoggiato al tronco di un albero incidendo lentamente il legno nelle sue mani.
-Va bene. Lo hai voluto tu- disse infine facendo assumere una strana forma alla sua mano con un dito rivolto verso il cielo che per una frazione di secondo si colorò di un intenso viola bluastro.
La quasi statuetta tra le mani del ragazzo divenne cenere mentre una serie di lampi danzavano nel cielo scuro ma azzurro.
Tra le dita della ragazza si riuscivano a vedere fulmini che passavano da un dito all’altro formando dei filamenti violacei.
-Grazie- rispose ironicamente il ragazzo
-Incredibile sai parlare, sono sorpresa devo ammetterlo-  proferì  Courtney incrociando le braccia sotto il seno, stanca del comportamento del guerriero.
Il ragazzo sbuffò passandosi  la mano tra i capelli corti, scuri:- Allora principessa… parlami un po’ di te- disse infine volgendo lo sguardo verso la ragazza.
Courtney non rispose velocemente: era rimasta incantata da due occhi ghiaccio che la scrutavano, non aveva mai visto una tonalità del genere neanche quando Heather usava i suoi poteri.
Alzò un sopracciglio per non far notare il suo stupore, come faceva solitamente, e rispose:- Perché mai dovrei parlarti di me? E non chiamarmi principessa- cercò di mantenere gli occhi fissi tra le sopracciglia del ragazzo ma il suo sguardo ricadeva sempre su quei occhi glaciali che l’affascinavano.
Fin da piccola aveva sempre avuto una certa curiosità verso le cose particolari. Si concentrava sempre su qualcosa di diverso dal normale come gl’occhi dorati o castano/dorati, pensando che quelli azzurri erano mediocri, banali insomma i soliti occhi del classico principe azzurro delle fiabe.
Quelli invece erano diversi. Non erano un azzurro opaco o un azzurro lucente, era un colore indecifrato come se al posto delle iridi ci fossero due sfere di cristallo dove all’interno si trovava dell’acqua azzurrina.
Erano di ghiaccio, freddi e maligni. Erano gli occhi di un angelo nero.
-Ehi, streghetta, sei sveglia?- i suoi pensieri furono cacciati via da una mano che le volteggiava davanti.
Le labbra erano secche, prova che era rimasta con la bocca quasi spalancata, e stava iniziando a riprendere conoscenza delle parole del ragazzo.-Non…- fece una piccola pausa cercando di aumentare il tono di voce – non chiamarmi streghetta!- serrò i pugni
-Certo che sei permalosa… Allora dimmi come ti chiami, principessa- il guerriero rivolse lo sguardo verso il grande istituto che formicolava di gente e magia.
-Giuro…- “che se mi chiami ancora principessa ti incenerisco e ti do in pasto ai piragna” pensò mentre si limitava a sbuffare accorgendosi di aver terminato la sua attenzione verso il ragazzo –Courtney- disse infine
-Bel nome pri…- il guerriero si zittì di colpo quando un fulmine si scagliò a pochi metri da lui, incenerendo uno strato d’erba e formando una sorta di buca nera.
La sacerdotessa dopo pochi minuti ritornò a guardare il ragazzo aspettandosi che si presentasse ma lui rimase a fissare l’imponente edificio come se volesse riuscire a capire che cosa hanno vissuto le sacerdotesse nell’istituto. Tutti i dolori delle bambine sconvolte,delle ragazze senza una famiglia e tutte le gioie di ogni studentessa per aver preso un bel voto nel test delle proprie abilità.
-Non guardarmi- disse solamente il guerriero
-Sto aspettando che ti presenti… io ti ho detto il mio nome- rispose Courtney a quel sottospecie d’ordine
-Conosci la fiaba di Tremotino?- la sacerdotessa scosse la testa –Era un nanetto che adorava fare dei patti e, riassumendo la sua storia, fece un patto con una donna. Tremotino voleva il primogenito della fanciulla e,  impietosito dalle suppliche della ragazza, le diede tre giorni di tempo per scoprire il suo nome. Un nome che nessuno sapeva-  si girò verso Courtney
-Perché dovrebbe importarmi questa storiella?- chiese la mora
-Hai tre giorni di tempo per scoprire il mio di nome- si alzò dall’erba pulendosi i pantaloni mimetici
-So qual è il tuo nome… qualcosa che ha che fare gergh, george…-
-Mi dispiace per te principessa ma io non ho mai avuto l’intenzione di dire il mio vero nome- sorrise autocompiacendosi.
-Dove sono andati a finire tutti i registri dei nomi quando hanno fatto le fottute selezioni?- chiese Courtney infuriandosi per la stupida sfida che le stava proponendo.
-Bruciati- ghignò
La mora socchiuse gli occhi fino a farle diventare due fessure:- Sei un brutto bastardo, lo sai?-
-Certo che si ,principessa, me lo dicono in molti. E adesso mi congedo, se non ti dispiace- non le stava chiedendo il permesso, voleva solamente provare a fare l’uomo galante.
-Gli ordini dicono che…-
-Fermati principessa… da quando io eseguo gli ordini?- sorrise avvicinandosi al viso della ragazza dandole due schiaffetti leggeri sulla guancia per poi congedarsi con una veloce fuga, ridendo.

 

-Dannazione Duncan sei un coglione!- quasi gridò Mike con i pugni serrati e le zanne sporgenti.
-Siamo rovinati,cazzo. Solo perché tu…- il ragazzo dai capelli rossicci indicò Duncan, seduto sul proprio letto, offeso nonostante sapesse che i suoi amici avevano ragione –…hai bruciato quei fottuti documenti!-
-E’ stato un incidente!- disse il guerriero
-Si certo e tu lo chiami incidente far prendere a fuoco l’ala sud, per di più, deserta?!- ribatté ancora il rosso
-Calmati Scott, non risolverai il problema insultandolo-proferì Alejandro appoggiato ad un muro in disparte osservando la scena,  simile a quella di un padre che rimprovera il figlio testardo, non curante del disastro combinato.
-Lo so, ma sicuramente non la passeremo liscia… ci controlleranno- la voce del ragazzo tremava- e capiranno tutto- nei suoi occhi si poteva vedere la paura
-Forse non ci scopriranno, che ne sai tu?- si intromise Cody non alzando lo sguardo dal suo libro
-Abbiamo marchi che non sono stati conferiti a nessuno fin’ora e suppongo che si accorgeranno che non siamo dei fottuti diciassettenni- questa volta era stato Mike a parlare che si era leggermente calmato coprendo il viso segnato di paura con il ciuffo cadente.
-Non se ne sono accorti per anni- ogni volta che Cody cercava di calmare la situazione, la peggiorava
-Si, insomma , ci faranno solamente un controllo completo, quindi si ,potrei anche entrare nella prima stanza brulicante di gente e gridare “Salve nanetti, toglietevi dalle palle perché tanto ho ventidue anni suonati”. Sei un fottuto genio Cody!- riprese parola Scott che aveva iniziato a camminare avanti e indietro per tutta la stanza nel tentativo ci calmarsi –Dov’è Geoff?!- chiese infine
-A farsi fott…- fu interrottò Duncan
-Come sempre!- proferì Alejandro dirigendosi verso la porta della grande stanza
-Dove vai?- chiese Mike al latino
-Mi dispiace dirlo ragazzi… ma ci scopriranno e non penso che ci puniranno. Moriremo nell’arena: anche se ci allenassimo duramente moriremmo lo stesso. L’imperatore controlla quei luoghi di morte.- uscì dalla stanza consapevole che sarebbe morto, forse costretto ad uccidere.
L’imperatore li teneva in pugno, teneva in pugno tutti . Pensavano di falsificare anche quell’anno quelle informazioni ma oramai erano stati scoperti. Nonostante ogni anno avessero corrotto studenti, insegnati o addirittura ucciderli, quella volta sarebbero entrati in quell’arena, la terra della morte dove si potevano scorgere sempre delle aure nere assomiglianti a vesti scure col cappuccio che passeggiavano lentamente. Spiriti e anime tormentate, gettate vie, non utili al vero scopo di Cristhopher Lowchild.

 
La sacerdotessa del tempo atmosferico camminava lentamente stringendo un’ortensia violacea tra le mani tremanti. Ogni volta che si dirigeva nel piccolo cimitero dell’istituto, pieno di lapidi ricavate per lo più da rocce lisce con la forma bizzarra, faticava a trattenere i singhiozzi e il tremore.
Non sapeva esattamente perché portava quel fiore dinanzi alla lapide di sua cugina: quel cimitero era vuoto riempito solo da muschio,rocce,fiori,foglie e foto .
La maggior parte dei fiori erano rose rinsecchite.
Guardò con disgusto i petali ancora lucenti di alcune rose chiedendosi perché la maggior parte delle ragazze posizionava sempre una rosa sulle lapidi dei propri cari. Le rose si diceva che fossero i fiori dell’amore eppure Courtney vedeva puro male in quei petali rossi… rossi come il sangue che è stato versato quando sono state uccise migliaia di sacerdotesse.
“Forse per dare un po’ di colore” pensò cercando di giustificare le sue compagne non coscienti del significato che si nascondeva attraverso un fiore così bello.
Si inginocchiò dinanzi ad una roccia malamente sotterrata con inciso il nome di un cadavere perso, gettato via nei luoghi più disgustosi della Terra del Nord. Passò la mano attraverso l’incisione scritta malamente, ricordandosi di quando a soli otto anni si era impegnata nell’incidere quella roccia con un chiodo arrugginito che le aveva graffiato più volte le mani lasciando un leggera cicatrice.
-Staremo di nuovo insieme, presto.  Questa è una promessa Jas- lasciò l’ortensia sopra sul terreno su una chiazza di muschio  e fango facendosi sfuggire una leggera lacrima al ricordo della sua più grande amica. Sua cugina.
Jasmine Amelia Cavandish Harris Barlow.
 
-Non lasciarmi sola, per favore!-singhiozzò Courtney piangendo tra le vesti di Jasmine, congiungendo le mani dietro i fianchi della bambina di dieci anni, offertasi volontaria per salvare una vita.
 Era una semplice sacerdotessa ma Heather no; Heather era forte, potente, divina come Courtney che non smetteva di piangere mentre abbracciava la sua guida sempre più forte.
-Courtney sarò sempre vicino a te- sussurrò con poca certezza. Non sapeva cosa l’aspettava dopo la morte, forse il nulla o forse una vita d’anima perduta che vaga attraverso lo spazio e il tempo, per vedere pian piano come le specie si distruggano tra di loro.
Non poteva lasciare sua cugina, si sarebbe distrutta come una statua di vetro, era troppo fragile e non poteva lasciarla da sola.
Ogni volta che l’abbracciava le ritornavano alla mente le immagini di quando Courtney aveva solamente pochi anni e stava imparando a camminare. Si ricordava di quando l’appoggiava ad un muretto, stando attenta ad non far male alla piccola bambina dalla testa riccioluta, per poi allontanarsi di poco incitandola a camminare. Ricordava ancora le manine protese verso di lei come per cercare un appoggio e la leggera stretta al collo quando la bambina arrivava alla meta mentre le diceva che era stata bravissima.
-Ti voglio bene  Courtney- Jasmine si asciugò una lacrima e si inginocchiò all’altezza della cugina per abbracciarla meglio, per un unirsi a quel pianto liberatorio e pieno di dolore.

 

“Piede sinistro, piede destro, piede sinistro, piede destro, piede sinistro, piede destro, sinistro, destro, sinistro, destro” Si ripeteva Bridgette come una litania per evitare di cadere, per camminare.
-Lo hai quasi ucciso- disse il guerriero spezzando la concentrazione della ragazza, ritrovandosi catapultata di nuovo nell’istituto con un ragazzo alle calcagna.
-Non m’importa.- rispose lei dopo un tempo che parve infinito – Se lo meritava- si massaggiò le tempie doloranti. Troppo potere in una sola volta, troppo dolore, troppo piacere.
-Bell’attegiamento…- cercò di replicare il ragazzo
-Migliore del vostro!- Bridgette teneva gli occhi chiusi rivolti verso il basso e il viso contorto in una smorfia di disgusto e dolore mentre affrettava il passo nella speranza di essere lasciata sola.
-Dove stiamo andando?- chiese ancora il guerriero
-Senti Geoffry, o come cavolo ti chiami, devi toglierti dalla testa quel “noi”, chiaro? Non ho intenzione di aver a che fare con te ne tantomeno con quelli della tua disgustosa razza.-
-Gli ordini sono ch…- cercò di replicare
-Geoffry…Geoffry…Geoffry. Me ne sto altamente sbattendo degl’ordini, quindi se non ti dispiace, muovi il tuo fondoschiena il più lontano da me- disse Bridgette mentre si girava verso il ragazzo, piantandogli un unghia nel petto.
Geoffry prese la mano della sacerdotessa e la rigirò facendole assumere una strana forma . Un’espressione di dolore si dipinse sul volto di Bridgette.
-Lasciami- disse stringendo i denti –Lasciami o ti ucciderò adesso!-
Il guerriero dai capelli biondi ghignò evidenziando di più gli occhi azzurri opachi e le orecchie appuntite.       –Nah, mi sto divertendo- si avvicinò al viso della ragazza ora segnato da puro odio e rabbia.
Non poteva usare altro potere, sarebbe svenuta, si sarebbe mostrata debole, vulnerabile, indifesa, malata.
A quei pensieri i suoi occhi si velarono di lacrime. Lui, questo bastardo, l’avrebbe mai vista per ciò che era veramente? Avrebbe capito che era malata? Avrebbe capito che era dipendente di una droga che era il suo unico nutrimento? In quel caso la sua reputazione sarebbe rovinata, ma oramai che importanza aveva? Verrà, quantomeno, ricordata per la sacerdotessa drogata o malata o dipendente.
Non sarà ricordata per un’eroina ma a lei non importava le bastava anche lasciare una leggera cicatrice nella storia di quel mondo. La cicatrice di una ragazza senza famiglia, affidata ad una ragazza che diceva essere sua sorella gemella, caduta in malattia perché era diversa, dipendete dalla droga, schiava dei propri poteri.
“Volerò come un uccello attraverso la notte, sentirò le lacrime che si asciugano. Ondeggerò dal filo della vita. Sto aspettando una vita migliore, non abbasserò lo sguardo non aprirò gli occhi. 1,2,3 1,2,3” altra litania che tormentava i pensieri della giovane a ogni risveglio. In ogni momento della sua vita, quasi fosse una supplica, un qualcosa che ogni mattina le dava la voglia di vivere un nuovo giorno.


SPAZIO AUTRICE
Allora prima di iniziare chiedo umilmente perdono... per il ritardo e per questo capitolo orrendo ma non so minimamente come decrivere un discorso. Insomma quando si parla di emozioni e sensazioni me la cavo mentre con i dialoghi non tanto ^^'
Però spero che lo abbiate potuto apprrezzare.
La canzone che dà nome al titolo è Chandelier di Sia che, forse, conoscerete in molte/i. All'inizio non ero molto convinta di questa canzone ma leggendo varie traduzioni e interpretazioni ho capito che parla di quelle ragazze che dopo una serata a ubriacarsi, mettiamola così, il giorno dopo si vergognano anche se quel momento della sera prima le ha dato un attimo di libertà. Pensavo quindi che potesse avere un qualche collegamento con Bridgette che infondo si vergogna della sua malattia che, purtroppo, è la bulimia e che per non mostrarla usa questa droga. 
Il potere di Bridgette per chi non l'avesse capito è quello della mimetizzazione e della vita mentre quello di Courtney è quello del tempo atmesferico in particolare i fulmini.
Ora vi lascio con un'immagine di Court photoshoppatta ^^ e alla prossima CUPCAKES!

 (attrice Phoebe Tonkin)

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Capitolo 6
*** Don't you worry child ***



There was a time, I used to look into my father’s eyes...
Don’t you worry, don’t you worry child
See heaven’s got a plan for you
Don’t you worry, don’t you worry now

 

-Dannazione!- urlò Heather premendo più insistentemente  due cuscini sulle sue orecchie:- Dobbiamo firmare una petizione per dormire?!-.
I suoi capelli erano totalmente ricoperti da uno strato di brina e il suo colorito era più bianco del solito, il nervosismo la stava divorando dall’interno.
Le sue unghie, del tutto congelate, erano conficcate nei cuscini bianchi nella speranza di far scomparire quel rumore assordante ma sembrava amplificarsi ad ogni minuto. Sentiva lo stridere delle spade e gli urli dei guerrieri, sentiva il battere del suo cuore e la morbidezza dei cuscini sull’orecchie.
-Non possiamo farci nulla,Heather. Sono gli ordini dell’imperatore- disse Gwen rigirandosi nel letto, cercando di trovare una posizione comoda per rilassarsi.
-Ordini o non ordini, qui si parla del mio sonno!- sbottò Courtney illuminata solamente da una lanterna ad olio. I suoi capelli erano legati in una crocchia malefatta e sul suo viso si poteva leggere la stanchezza di una studentessa che ha passato la sera a studiare.
-Ha ragione- si unì alla discussione Sierra che lasciava penzolante un braccio al di fuori del suo letto. Il suo sguardo era fisso su un vecchio tavolo in legno, malandato, ricoperto di fogli,libri,inchiostro e piume. Era l’unico mobile nel bel mezzo di quella spoglia stanza che, nonostante fosse piccola, godeva di una finestra molto alta e di quattro letti, tre a castello e uno singolo, ma quello singolo veniva solamente usato per poggiare altri libri o indumenti.
-Dovremmo urlare quattro imprecazioni ai loro dei e mandarli via!-  disse Zoey con la voce ovattata da un cuscino premuto sul suo viso.
-Come pensi di mandare via circa tremila guerrieri?- sbottò Courtney in preda ad un mal di testa.
-Scusami “Miss.Perfezione” la prossima volta, prima di dire qualcosa, mi consulterò con te!- disse Zoey sarcasticamente, togliendosi il cuscino dal viso. Non era dispiaciuta del tono che aveva usato con l’amica, sapeva che non si sarebbe offesa. Per lei Courtney era come una seconda sorella, era quella con cui aveva preso più confidenza, la prima che aveva avuto onore di conoscere.
-Zitte voi due! Fate più fracasso di quei guerrieri là fuori!- disse Gwen alzandosi dal letto e dirigendosi verso la grande finestra alta quanto lei, forse di più.
L’aprì con forza e davanti ai suoi occhi si prostrò un panorama di fuoco,fiaccole,spade e guerrieri, che non si riusciva a vedere attraverso il vetro opaco e macchiato  dell’infisso.
I guerrieri erano schierati in due file, una di fronte all’altra, le spade erano dorate e le mani che ne tenevano l’elsa erano macchiate di rosso. Era la simulazione di un assedio ma al contrario di un vero assedio il terreno sotto ai piedi dei guerrieri non era pieno di corpi inermi svuotati dalle proprie anime ma era rosso, il rosso del sangue. Rosso come la vendetta, come le rose nel cimitero, come l’animo di chi vuole e pretende vendetta.
La magia, ecco cosa li teneva in vita. Quel momento trasudava di magia e sangue; penetrava nelle carni dei ragazzi proteggendo l’anima, la vita.
La magia protegge, sanguina e fa sanguinare.
Un segnale, una fiamma lanciata nel cielo scuro senza stelle, e le due file si incrociano tra di loro, si mescolano.
In un assedio si combatte per la propria parte, per il proprio regno, ma quando i militi si fondono tra di loro non si sa più per cosa si combatte. Diventano un'unica cosa, un gruppo di uomini e ragazzi che combattono per il sangue. In una guerra non esistono parti da cui stare; si è tutti uguali, si è un'unica cosa, una specie che si distrugge tra di loro.
Gli occhi della sacerdotessa dell’acqua erano illuminati da una luce aranciata, il suo viso era contorto in un’espressione di eccitazione e stupore.
Vedeva lo spettacolo di tremila spade che danzavano, fendendo colpi, tagliando,squarciando l’aria e le membra. Sentiva l’odore del sangue invaderle le narici, metallico e penetrante.
Uno spettacolo meraviglioso ai suoi occhi: al di fuori della barriera quelle azioni si ripetevano ogni giorno, in altre terre, in altri pianeti, azioni che non aveva mai avuto l’onore di vedere, di sapere cosa si provava nel guardare una scintilla, una piccola parte, dell’apocalisse che per secoli ha distrutto moltitudini di specie.
-Gwen!- urlò Zoey scagliando un piccola fiamma sul braccio di Gwen, come era solita fare per attirare la sua attenzione.
La sacerdotessa si risvegliò dal suo stato di trans e dopo essersi strofinata la leggera macchia d’ustione sul braccio disse:- Venite a vedere- ritornò a guardare il panorama questa volta cogliendo ogni minimo dettaglio, come le sue compagne che ammiravano lo scontro dalle proprie finestre, talvolta, esultando. Guardò disgustata la scena di quelle ragazze che erano noncuranti dell’abbigliamento per la notte quasi trasparente, che esultavano ad ogni taglio o fiotto di sangue.
-La feccia del mondo proprio sotto la nostra finestra, che bellezza- disse Heather disgustata e menefreghista affiancandosi a Gwen.
-Bene, io propongo di far piovere un po’- pronunciò Courtney nella speranza di essere  sostenuta dalle sue amiche.
-Non se ne andranno via per un po’ di pioggia- dichiarò Bridgette che fino a quel momento non aveva proferito parola.
-Allora che si fa? Vorrei dormire, e ho già perso venti minuti del mio sonno- disse la sacerdotessa del tempo atmosferico incrociando le braccia e aspettandosi una risposta immediata.
-Ci deve essere qualcuno che controlla questa simulazione…- si affrettò a dire Zoey –Chiediamo se possono rimandare a domani nel tardo pomeriggio-
-Zoey…- Heather chiuse gli occhi, come per mantenere quel poco di umanità, e congiungendo le mani disse:-…stiamo parlando di guerrieri- aprì gli occhi fulminandola con lo sguardo:-… no di un pastore e delle sue caprette! Quindi smettila di usare questo atteggiamento da Miss.Simpatia e inizia a formulare frasi sensate-  quasi urlò in preda all’ira.
-Perché stasera sei più acida del solito?- urlò a suo volta Zoey trovandosi in un testa a testa con la sacerdotessa del ghiaccio.
Nel frattempo la simulazione era terminata e i guerrieri si apprestavano a pulire le proprie spade e riprendere fiato.
-Perché non posso dormire,perché devo ascoltare te che dici frasi insensate e perché…- Heather fu interrotta da Sierra.
-Ha i suoi giorni- disse trattenendo una risata e ricevendo un’occhiataccia da Heather.
-Ti ci metti anche tu Sierra?! E poi non sono affari tuoi se ho “quei giorni”- disse incrociando le braccia
-Lo so ma qua…- Sierra fu interrotta
-Ehi Principessa!- la voce proveniva al di fuori della finestra ed era maschile,sarcastica e irritante.
Courtney sussultò sentendo quel nomignolo e strinse le mani in due pugni per poi affacciarsi dal grande infisso; intravide il “suo” guerriero senza nome con accanto un ragazzo dai capelli rossi. Tutti e due erano sporchi di sangue sui pantaloni mimetici e sulle braccia e mostravano qualche taglio che in pochi minuti si rigenerava completamente lasciando una leggera cicatrice.
Non rispose a quel nomignolo come avrebbe fatto solitamente, aveva capito che a quel guerriero dagl’occhi indecifrabili piaceva vederla irritata.
-Non hai niente da dirmi? Per esempio: Sei stato bravissimo Da…- si morse la lingua -…Daniel- rivolse lo sguardo al suo amico che lo guardava stranito e divertito.
-Quindi ti chiami Daniel?- chiese Courtney con fare poco interessato sentendo di tanto in tanto la presenza delle sue amiche dietro e quella di Gwen accanto.
-No… mi sono fermato in tempo- sorrise compiaciuto  il guerriero – Hai ancora, circa, due giorni e mezzo-
-Per fare cosa?- chiese Gwen incuriosita.
Il guerriero volse lo sguardo alla sacerdotessa dell’acqua e la guardò a lungo, facendo infastidire leggermente Courtney:- Beh… bambolina, la tua amica deve scoprire…- fu interrotto bruscamente dal rosso accanto a lui.
-Si chiama Duncan- ghignò mentre guardava Courtney, meravigliato.
-Brutto bastardo!- disse Duncan mandandogli delle occhiate come per dire “Dopo facciamo i conti noi due”.
Nel frattempo la sacerdotessa del ghiaccio era alquanto irritata dalla situazione. Per  la discussione tra Gwen,Courtney e Duncan. E soprattutto per il modo in cui si pavoneggiava Alejandro in mezzo al quarto di pianura, facendo rivolgere gran parte degli sguardi verso di lui.
Sentiva quel senso di irritazione mischiato a qualcos’altro… gelosia? Perché quel ragazzo era il “suo” guerriero?
Impossibile, si disse tra se e se rivolgendo sguardi truci ad ogni sacerdotessa che osava guardarlo più di tre secondi.
Dopo un tempo che parve interminabile si mosse di scatto, scostando bruscamente Gwen e Courtney che avevano aperto una discussione con i due guerrieri.
Guardò ancora Alejandro che aveva smesso di pavoneggiarsi, ma si era unito ad un gruppetto di ragazzi. Nessuno gli toglieva gli occhi di dosso, forse perché era a petto nudo, non lo aveva chiaramente capito.
Con ultimo sospirò infuriato appoggio le mani al davanzale della finestra congelando totalmente le pareti dell’istituto in pochi secondi. Strati e strati di ghiaccio si muovevano come le radici d’un albero penetrando tra le più piccole fessure, espandendosi ad ogni crepa che incontravano sui muri di mattoni. Le finestre si chiusero di scatto a causa di un vento gelido e furono ricoperte da uno spesso strato di ghiaccio che ne impediva totalmente l’apertura.
Heather lasciò cadere le mani lungo i fianchi e la finestra dinanzi a lei si chiuse, ricoprendosi anch’essa di ghiaccio. Le mani le tremavano e la testa le pulsava, il suo cuore non accennava a farsi sentire.
Adesso cinque paia di occhi erano rivolti verso di lei.
Si avviò velocemente sul suo letto, sotto a quello di Gwen, cercando di prendere sonno e di far calmare quelle intense emozioni che vorticavano intorno al suo essere.
 

Piccole note e  sussurri danzavano intorno alla ragazza.
Le mani stringevano lo strumento poggiato sulla spalle; erano veloci, incontrollabili,distruttive.
L’archetto si muoveva incontrollato sul violino, lasciando le note sparse nell’aria, era un accompagnamento perfetto con le mani della sacerdotessa che accarezzavano le corde del violino velocemente.
Il suono sembrava riprodursi più volte nella pianura invasa da un vento freddo che spostava i capelli neri e la lunga veste della ragazza.
Era presa dal vento e dalle note. Era concentrata su i suoi passi e sullo strumento. Era ammaliata dalle parole e dal sole che stava sorgendo.
Sentiva la libertà prendere forma attraverso quell’oggetto materiale; sentiva la sua anima tormentata, macchiata, liberarsi dalle sue colpe, dal suo martirio.
Bugie,tradimento,sangue,La,Si,Verità,Malvagità,Vita,Do,Sangue.
Perché sembrava che quelle parole si adattassero perfettamente a quella melodia?
-Somebody make me feel alive and shatter me- sussurrò per poi appoggiare lo strumento sul fianco e ammirando la prossima e solita eclissi.

Camminava con passo affrettato seguita da una guardia.
Il viso era sciupato e i capelli erano legati in una treccia malamente fatta, segno che si era svegliata controvoglia.
Il sole stava sorgendo e lei riusciva a notarlo nel suo lieve splendore.
Era un’altra vittima, un’altra serva,schiava.
-Cosa vuole?- chiese con voce acida e grave alla guardia dietro di lei
-Non lo so. Sbrigati non gli piace aspettare- rispose la guardia fermandosi.
La passante ammirò un’ultima volta l’istituto e dopo aver chiuso gli occhi passò una mano in aria, accarezzandola. Dalle sue dita si formarono anelli verdi che si espandevano come se avesse toccato lo strato superficiale dell’acqua.
Gli anelli si dissolsero lasciando l’aria spezzata,distrutta: sembrava avessero distrutto una vetrata.
-Possiamo passare?- chiese la guardia
-Si- rispose sospirando la passante dai capelli aranciati.
Attraversarono lo spazio che si era formato . Davanti a lei non c’era un prato verde, il sole splendente e il dolce vento, c’era soltanto una serie di villaggi e edifici distrutti immersi nel grigio e nel nero, nella polvere da sparo e nelle lame. Tutto era spento, morto. Il risultato di innumerevoli rivolte e guerre.
Il passo della ragazza era silenzioso come quello di un predatore all’erta, i battiti del suo cuore rallentavano man mano che si avvicinava ad un enorme edificio  a due piani , lo sguardo si faceva più vigile e la tensione accresceva in lei.
“Un altro ordine, altra sofferenza, altro dolore”
I suoi pensieri affondarono in quell’unica frase e inconsapevolmente si ritrovò dinanzi ad un cancello in bronzo che la separava da una grossa e imponente villa che si affacciava da una collina, vigile dei due istituti.
Le gambe iniziarono a farle male, forse per la lunga camminata nelle strade in parte scoscese e piene di macerie.
Si sentiva uno strano odore di cenere e sangue, nonostante siano passati anni dall’attacco all’imperatore, e a quell’ora il paesino sembrava deserto: le piccole case di legno e paglia erano completamente buie con le finestre coperte da più tende, segno che nessuno era uscito o che non avevano intenzione d’uscire.
Ma la passante sentiva spesso degl’occhi fissi su di lei oltre a quegli strati di stoffa, ricavati per lo più da sacchi di juta.
Le sue unghie erano conficcate nei palmi delle mani da cui fuoriusciva denso fumo verde che si disperdeva nell’aria. Era nervosa, impaurita, dolorante.
Quando arrivò dinanzi al cancello della villa la guardia si posizionò davanti a lei iniziando a guidarla attraverso corridoi e stanze arricchiti da porcellane,vasi,statue e lampadari che sembravano formati da cascate di cristallo, che illuminavano le immense stanze oscurate da enormi tende nere in raso. Ogni forma di luce era oscurata dal nero.
Dà troppa importanza alla morte di sua moglie, pensò la passante seguendo ancora la guardia che la lasciò davanti ad una porta in legno scuro e dalle decorazioni dorate.
Appoggiò la mano sul pomello della porta prendendo un grande respirò e l’apri con la tentazione di chiudere gl’occhi per non vedere l’uomo che per anni l’aveva costretta ad essere una schiava, una marionetta.
Era appoggiato al bordo di una grande scrivania in marmo nero e la giacca bianca era l’unica cosa che trasmettesse luce sul viso dell’uomo segnato da odio e ambizione. La stanza non era che uno studio, pieno di scartoffie e mobili in vetro o marmo. Le finestre erano oscurate da tende nere,come quelle delle precedenti stanze, ma si poteva notare oltre la stoffa un manto verde e il villaggio attraversato precedentemente dalla passante.
-Che vuoi?- chiese senza troppe cerimonie, la ragazza, mantenendo un tono freddo e distaccato
-Buongiorno anche a te, Isabella- disse l’uomo non mostrando attenzione verso la domanda fatta dalla passante.
L’uomo ghignava mentre la ragazza teneva i denti digrignati in una smorfia di disgusto,dolore e paura.
-E’ cosi che tratti un vecchio amico?- chiese l’imperatore con sguardo beffardo
-Tu non sei mio amico e non lo sei mai stato- sembrava che da un momento all’altro Isabella sarebbe saltata addosso a Cristopher graffiando come un gatto avrebbe fatto con un gomitolo.
Prendere, bloccare, graffiare, mordere.
-Va bene non m’importa – disse l’imperatore girando intorno alla scrivania in marmo per poi sedersi su una grande poltrona girevole bordeaux – Ti ho convocato qui per un motivo… – fece una pausa per poi incrociare le mani tra di loro mentre Isabella sbuffava spazientita – Come saprai manca poco al giorno del “Riuso” e quest’anno ho bisogno di più barriere, più arene. Quei ragazzini ci mettono troppo tempo a farsi fuori tra di loro e qu…-
-Avevi detto che mi avresti lasciato in pace- disse la ragazza quasi in preda ad una crisi isterica.
-Ma tu sei costretta ad obbedirmi… io non ti ho chiesto di fare questo lavoro – ghignò – te l’ho ordinato, e ti consiglio di accontentarmi sei non vuoi avere la stessa sorte di quegl’esseri- era compiaciuto, aveva ragione. Ogni passante rimasto nella Terra del Nord doveva lavorare per l’imperatore, dittatura allo stato puro.
Isabella, dopo essersi rassegnata, chiese:- Quante te ne servono?-
-Un arena per sedici ragazzi… fai un piccolo calcolo e mettiti al lavoro- rispose  l’uomo con fare ovvio
-Calcolo o non calcolo stiamo parlando di circa seimila ragazzi e tu mi stai chiedendo di fare un arena per ogni gruppo di sedici?- chiese stupita la passante – Sei impazzito? Morirei subito dopo averne fatte sei, ci vuole troppo potere per costruire un barriera. Non scordiamoci dei tre cadaveri delle tue vecchie servitrici che adesso marciscono in qualche lurida grotta perché tu hai voluto una barriera in grado di ricoprire due istituti che si tolgono si e no due kilometri di distanza.- la ragazza infilo le lunghe dita in mezzo ai capelli rossi ingarbugliati.
-Mi stai ascoltando?- chiese infine guardando Cristopher perso nei suoi pensieri fissando un punto indecifrato nella stanza.
-Smith- disse non distogliendo lo sguardo – Ci serve un Passante Smith-

-Papà non ce la faccio!- disse la bambina con gli occhi lucidi. Il dolore alle gambe si espandeva sempre di più e l’unico pensiero che le offuscava la mente era quello di svenire e lasciare che quel dolore facesse perdere sensibilità ai suoi arti.
Paura e dolore si mescolavano in un'unica cosa in quel momento. Troppe domande a cui servivano delle risposte.
Dov’è Gwen? La mamma? Perché ci stanno cercando? Perché stanno portando via i figli dalle proprie madri?, ma quelle domande non potevano ricevere risposta in quel momento di dolore, ogni passo le causava fitte alle gambe, doveva cedere, voleva cedere.
Quando le sembrò di precipitare sentì la forte presa del padre che la sollevava da terra e che iniziava di nuovo a correre.
Voleva abbandonarsi ad un tremendo sonno e sperare che tutto quello che stava accadendo fosse un incubo ma sentiva il corpo rigido e tremante del padre sotto le mani. Avevano paura.
Forse è giunta la fine, pensò la bambina appoggiando la testa sulla spalla dell’uomo ed iniziando ad ammirare i capelli biondo platino proprio come quelli suoi. Ripensò a quando intrecciava i capelli neri della madre per passare il tempo o a quando aveva deciso di dipingere i suoi capelli e quelli della sorellina di pochi anni.
I suoi occhi si offuscarono di lacrime: “perché stava succedendo? Ero felice, eravamo felici”.  Rivide l’immagine di sua madre dolorante per terra e la bambina piangere tra le braccia di un guerriero, di un estraneo, qualcuno che non aveva diritto di toccarla.
A quei ricordi il dolore e la paura venivano pian piano sostituiti da un'altra forza, qualcosa di potente e devastante, qualcosa che sapeva di morte certa per chiunque si fosse avvicinato.
Il padre della bambina urlò di dolore facendo risvegliare la figlia dalla trans di puro potere. Caddero a terra e la piccola innocente poté vedere la bellezza del sangue, rosso, denso e penetrante che fuoriusciva dalla gamba del padre ferita da un pugnale, dalla lame lucente e rossa e dall’elsa impreziosita da oro e bronzo.
Girò la testa verso il lungo percorso tracciato sull’erba e il fango e intravide una grande costruzione da cui fuoriuscivano grida di paura come quelle che aveva sentito prima di lasciare il suo villaggio.
Socchiuse gli occhi e intravide due figure in lontananza avvicinarsi, erano minacciose e sembravano accompagnate da mille anime inquiete. Vestivano armature d’oro che sembravano fondersi con la loro pelle: erano sottili,lucenti,sporche e piene di potere.
-Da…- Amir estrasse il pugnale dalla sua gamba, stringendo i denti e con le lacrime agl’occhi, la sua voce risultava stanca e roca all’orecchie della figlia –Dawn ascoltami- ansimò facendo girare il viso della bambina rigato di lacrime verso di lui.
-Non piangere figlia mia…ascoltami- il suo sguardo si soffermò su i due uomini che lentamente si avvicinavano come per far assaporare alle due vittime la pura agonia –devi andartene da qui, da questo mondo- quelle parole sembravano uscire dalla bocca di un pazzo –in fondo alla foresta si trova il lago prosciugato- la bambina tremava  - ti ho sempre detto di non entrarci perché è troppo profondo e ripido ma quel lago in realtà un portale per altre dimensioni…- la voce risultava strozzata –soltanto i Passanti possono attraversarlo. Io sono un passante Dawn e anche tu lo sei ma i tuoi poteri sono bloccati…- Dawn era impaurita ma restava ad ascoltare quasi affascinata –quando morirò i tuoi poteri saranno liberati e tu dovrai promettermi di scappare il più veloce che puoi e di raggiungere quel portale- i due uomini erano vicini e le loro spade era lunghe e sottili come aghi -ti ritroverai sulla Terra, un pianeta distrutto dalla guerra e dall’apocalisse ma è proprio lì che troverai rifugio, fa attenzio…- la voce dell’uomo si spezzo e Dawn ammirò un altro pugnale questa volta conficcato nello stomaco del padre.
–Corri!- tossì Amir sputando sangue – ti voglio bene,e salutami le due gemelle- sorrise amaramente prima di sentire l’amarezza del sangue in gola dove una terza lama stava lacerando la trachea impedendo ogni parola e sospiro. Strinse la mano della bambina che si era appoggiata sulla sua e si lasciò trasportare, raggiungendo il suo essere e la libertà nell’altro lato della luna.

-Un Passante Smith?!- ripeté Isabella stranita. Il viso corrucciato in un’espressione di noia e disgusto vedendo in che punto poteva spingersi un pazzo.
-Esattamente Isabella. Sono i Passanti più potenti e devastanti di tutta la Terra del Nord- prese un lungo respiro –Anni fa ho avuto occasione di vedere un Passante Smith, Amir Smith, all’opera. Eravamo compagni di battaglia…- l’uomo si riscosse riprendendo conoscenza di quello che stava per fare, stava per raccontare il suo passato ad un’insulsa Passante -…ma non è questo l’importante. Vidi Amir combattere e subito dopo la sua morte, causata da me, vidi sua figlia in preda alla paura e alla rabbia tagliare la testa ad un mio guerriero come se nulla fosse. – Isabella non sembrava sorpresa – La figlia di quel miserabile ha ucciso in pochi attimi, all’età di cinque/sei anni e tu ne hai malapena diciotto e non sai fare una misera barriera- Christopher si alzò dalla poltrona mostrando un sorriso compiaciuto vedendo l’amarezza nelle labbra della ragazza.
-Cosa devo fare? Dove trovo un Passante Smith?- chiese solamente Isabella
-Fai qualche ricerca… no? Deve esserci qualche passante in questa maledetta terra o in quei due istituti. Raduna tutti coloro che fanno di cognome Smith e trova in città qualche parente, abbiamo bisogno di quelle barriere- disse Christopher per poi congedare brutalmente la ragazza, trascinata fuori da una guardia imperiale.
Lo studio ritornò silenzioso e le immagini di un bambina s’intrecciarono tra i pensieri dell’imperatore.

“Corri, Dawn, Corri”, si ripeteva la bambina ansimando. Le lacrime scendevano lente sul viso e le mani le bruciavano, tremavano e si contorcevano in forme animalesche. Ogni parte del suo corpo sembrava gridare dal dolore.
“Manca, poco. Manca poco” ma le sue gambe volevano cedere. La testa le girava tremendamente, il respirò era accelerato come il cuore che rimbombava nelle orecchie delle piccola fino a farle male.
-Prendetela, Prendetela!- sentiva urlare e subito dopo sulle sue mani iniziarono a formarsi goccioline di sangue. Sentiva conati di vomito graffiarle la gola ogni volta che li inghiottiva e le labbra umide, macchiate di sangue. Ben presto perse ogni sensibilità da parte dei suoi arti ritrovandosi a correre quasi ridendo noncurante del naso sanguinante. Le mani bruciavano insistentemente in una sensazione piacevole e fu tentata di chiudere gl’occhi ma più si avvicinava alla meta più i guerrieri erano vicini. Doveva combatterli e ucciderli. Si, perché avevano ucciso suo padre, perché avevano picchiato sua madre, perché avevano toccato sua sorella, perché quel dolore era una scarica d’adrenalina che si tramutava in pura rabbia e potere. Avrebbe ucciso chiunque avesse un marchio inciso sulla pelle.
Aguzzò la vista e lo vide: un lago prosciugato e profondo, pieno di rocce acuminate e qualche osso bucato.
“Manca poco” ma si ritrovò con il viso nella terra e il sangue sulle guance. Gli occhi tramutati in quello di un piccolo demonio e i denti affilati come quelli di un lupo, pronto a squarciare carne umana. Le mani adesso erano ricoperte da un aura viola e un potere si diffondeva in ogni parte dello spirito. Una risata uscì dalla sua bocca e sentì i passi del guerriero, era vicino, vicinissimo, l’avrebbe presa e portata al cospetto di un capo assassino.
Contorse le mani e in un ultima risata scagliò un mezza luna viola sul guerriero che non ebbe il tempo di dire le sue ultime parole: perché un uomo senza testa non può neanche augurarsi di finire in un posto migliore.
Dawn rise forte e pianse disperatamente. Una sensazione piacevole che premeva riproducendo le stesse parole “Adesso sei un mostro”.
Si trascinò con le ultime forze dinanzi all’antico lago e si concentrò sulle rocce raffigurando nella sua mente l’immagine di lei messa in una posizione anormale, col collo girato, e il sangue sul naso e la bocca.
“Non posso farcela” si disse. Appoggiò la fronte alla terra pregando in un miracolo e piangendo.
-Si che puoi farcela- sentì una voce femminile e tetra ma decisiva.
Alzò lo sguardo cercando qualcuno che potesse avere la sembianze di una donna ma nessuno, neanche gli alberi assomigliavano lontanamente ad una figura umana.
Si voltò verso il lago e rimase sbalordita da quello che si prostrava davanti a lei: una barriera, forse acqua, una strato trasparente che si increspava . Si avvicinò e al posto del suo riflesso vide quello di una ragazza dai capelli blu che la guardava senza pietà, arrabbiata e vendicativa.
-Non hai visto quello che hai fatto. Devi uccidere Dawn, uccidere. Vuoi potere? Devi strappare anime. E’ cosi che funziona tra i passanti: ogni morte equivale più potere-
Sei potente e bellissima, conquisterai terre e mondi, sarai una capo e una regina. Alzati e governa.
Ho dei piani per te- disse la figura ghignando e mostrando un intenso fuoco blu intorno a lei.
-Chi sei?- chiese semplicemente la bambina
-Puoi chiamarmi in tanti modi. Non sono nessuno. Un’anima venerata senza un motivo preciso- chiuse gli occhi e li riaprì –Buona fortuna- scomparve lasciando di nuovo la bambina sola con il suo riflesso e un’imminente pioggia.
Strinse i pugni.
-Io sarò Regina- le mani erano di nuovo ardenti e viola, chiuse gli occhi e si gettò a peso morto nel lago incontrando la freschezza dell’acqua e il mondo capovolgersi.

-Quando hai detto ci sarà l’esame?- chiese Zoey alle amiche non lasciando la sua posizione rilassata con il viso rivolto verso il sole eclissato.
-Tra quattro giorni esatti- rispose alla domanda Courtney bagnandosi le braccia scure con l’acqua del piccolo laghetto che padroneggiava al centro della pianura. L’unica fonte d’acqua in quel luogo.
Sembravano le ninfee dei miti greci, lì in mezzo all’acqua fredda quasi biancastra, senza indumenti che giocavano come della bambine.
-Guardatela, è veramente raccapricciante quella ragazza- disse Heather indicando Anne Marie Fell, nuda, nel suo fisico poco formoso e i capelli aggrovigliati in una sorta di nido. Trattenne una risata.
-Madre natura non è stata molto gentile- si unì alla conversazione iniziata Sierra
-Madre natura? Chi sarebbe? Quella sgualdrina che secondo alcuni Gaereli abbia creato la terra, l’acqua e tutto quello che li circonda?- chiese Courtney strofinandosi delle foglie di menta e te sul corpo.
-Credo di si… sorvolando su questo argomento- mentre si apprestava a parlare Sierra aveva iniziato a passare le dita tra i capelli lunghi -…avete sentito di Isabella Donovan?- chiese
Le ragazze fecero cenno con la testa di no.
-Si dice che sia uscita dalla barriera-
-E tu ci credi?- chiese Heather beffarda
-Ne parlano tutti- cercò di giustificarsi la sacerdotessa della telecinesi facendo spallucce.
-E’ altamente impossi…- Heather si bloccò vedendo una ragazza bionda che si lavava da sola poco lontana dal suo gruppo. Aveva uno sguardo triste e rassegnato mentre si accarezzava i capelli –La conoscete?- chiese guardando la ragazza.
-Dakota Milton. Emarginata. Passante- disse semplicemente Sierra.
-Dovremmo farla unire al nostro gruppo- propose Bridgette –Una passante può servire-
-Non siamo sicure che lo sia- s’intromise Gwen
-Beh… conosciamola, potrebbe servirci, e poi abbiamo qualcosa in comune… siamo emarginate perché ritenute diverse e mortali- la bionda ghignò sentendo,di nuovo,  il motivo della sua solitudine.
Ricevette delle occhiate insicure che in pochi attimi si trasformarono in sorrisi compiaciuti e maligni.
-Dakota!- urlò Courtney mordendosi il labbro inferiore e facendo cenno alla ragazza di avvicinarsi. Leggeva insicurezza e stupore attraverso gli occhi verde acido della bionda che con movimenti incerti si avvicinava al piccolo gruppetto. Era una ragazza magra, dal viso angelico e i movimenti leggiadri.
-Come mai tutta sola?- chiese Zoey quando Dakota si fu avvicinata fingendosi il più amichevole possibile.
La ragazza attese un po’ prima di rispondere, torturandosi le mani e il labbro inferiore come se non sapesse come continuare un discorso.
-Non piaccio molto alla gente- disse semplicemente, sorridendo imbarazzata.
-Perché?- chiese, questa volta, Heather mettendo la bionda in una situazione spiacevole.
-Io…- iniziò -…sono diversa, non potete capire- sorrise ancora pronta per allontanarsi ed uscire da quel bagno fresco.
-Sappiamo cosa sei- disse semplicemente Sierra per poi prendere un grande respiro e immergersi completamente lasciando una Dakota sorpresa in mezzo a sguardi curiosi e violenti.
-Forse è meglio che vada- la bionda abbassò lo sguardo
-Non siamo le uniche. Tutto l’istituto sa della tua natura- proferì Bridgette facendo alzare lo sguardo alla Passante, sorpresa.
-Non preoccuparti vogliamo solamente…- qualcosa o qualcuno interruppe Zoey che, dopo aver visto Sierra riemergere, aguzzò la vista per osservare strani movimenti dietro di lei. Piccole figure erano raccolte in gruppo eseguendo le medesime azioni… vide che correvano per poi rivelarsi i guerrieri che in sincronia si gettavano nel lago con nulla addosso facendo scappare e urlare la maggior parte delle ragazze.
-O per Aulampia, cosa stanno facendo!?- quasi gridò Heather coprendosi il viso con una mano.
-Si uniscono a noi…- rispose semplicemente Bridgette aggrappandosi al bordo del lago per issarsi su e coprirsi con una vecchia tovaglia, bucata all’altezza della vita.
-Dove vai?- chiese sua sorella, decisa a non correre impaurita per un branco di ragazzi nudi.
-Lontano da quegl’esseri- rispose la bionda per poi avviarsi verso l’interno, nella sua camera, a risentire quell’ondata di piacere e di energia vitale.
-Forse dovremmo uscire…- disse a bassa voce Dakota leggermente imbarazzata.
-Perche mai? Solamente perché…- Courtney non ebbe il tempo di terminare la sua frase che al centro di quel semicerchio, formato da sei corpi immersi nell’acqua opaca, sbucò un guerriero dai rasati capelli neri che rideva per aver fatto urlare le sacerdotesse all’unisono.
-Dannazione Duncoso! Cosa ci fai qui?!- chiese Courtney irata cercando di immergersi meglio nell’acqua per non far vedere le sue forme.
-Stupro donne in pericolo- disse con fare normale il ragazzo passandosi una mano tra i capelli bagnati.
-Bene, sei venuto nel posto sbagliato…- disse Heather con acidità –ora togliti dai piedi e cerca di farlo senza alzarti, chiaro?-
-Vi accontenterò per questa volta anche se dovete ammetterlo che volevate di più- disse Duncan alzandosi leggermente per far vedere un corpo magro e scolpito.
-Per l’amor del cielo, togliti, prima che ti affondo- proferì Sierra coprendosi gli occhi con una mano per non vedere altro.
-Va bene, ci si vede principessa- disse il ragazzo rivolgendosi a Courtney per poi sparire in mezzo all’acqua opaca e alla rabbia della sacerdotessa che accresceva.
-Zoey… stai bene?- chiese gentilmente Gwen che era rimasta ad ascoltare, come Dakota che sembrava essersi racchiusa in un’ armatura invisibile come un riccio.
Zoey era rimasta con le labbra serrate e le mani tremanti mentre il suo sguardo si allontanava a stento da quello di un ragazzo che con un ghignò mostrava un’ustione sulla guancia.
“Pagherai per questo… ci si vede dopo”
Non sapeva perché ma un ondata di paura era penetrata in lei bloccandola in una morsa di sguardi e terrore. Sapeva di essere forte, di poter mettere fine a quel gioco, ma sembrava qualcosa di difficile e lontano da eseguire. Ricordava il volto trasfigurato del guerriero e gli occhi di un mostro che la bramavano
-Devo andare- disse semplicemente dileguandosi come la sorella.



LITTLE WONDERLAND
Rieccomi qui :), dopo aver rinominato il mio spazio, :3.
Bene... cosa ne pensate di Dawn come sorella di Gwen? Spero che vi piaccia.
Personalmente pernso che quelle due ragazze siano molto simili se non fosse per il colore di capelli differente e il modo di vestire quindi ho voluto creare questo legame di parentela :3

Come avrete letto Dawn è una passante e i passanti per avere potere devono uccidere quindi... date il via alle deduzioni alla Sherlock Holmes e vediamo se riuscite a scoprire qualcosa :3 (Non spoillero niente, voglio tenervi sulle spine)
 Questo capitolo ha avuto dei leggeri momenti Duncney, ma niente di che... fatevene una ragione perchè la maggior parte dei capitoli saranno così, su tutte le coppie XD ma non mancheranno i momenti fluff,dolciosi :3 u.u (anche sulla Zoal, nonostante sappiamo quanto possa essere gentile Mal).
Riguardo alla canzone, come alcuni avranno capito, è Don't Worry Child degli 
Swedish House Mafia. Anche se la canzone parla della storia di un ragazzo penso che alcune parti siano azzeccate con la storia di Dawn, quindi mi è sembrata abbastanza adatta.

Anyway vi lascio e spero che vi sia piaciuto questo capitolo. (E l'immagine che vi lascio di sotto)


(attrice:Karen Gillan)

Alla prossima CUPCAKES :3
 

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Capitolo 7
*** Magnetic ***


Sometimes I don’t even know if I’m wrong or right
I try to drown the sorrow that surfaces every night
I’m moving at speed that makes everybody look slow

What happens if  I let it go?...
...
Magnetic (Light it up, live it up, but steady as we go)


-La Datura stramonium è una pianta molto velenosa a causa dell'elevata concentrazione di alcaloidi. Ha proprietà allucinogene e può portare alla morte. Ottima da usare in guerra soprattutto se ne viene estratto il veleno è usato per migliorare le armi. Sicuramente mortale se un soggetto viene colpito al cranio o alla gola con armi, rafforzate da questo tipo di veleno. Niente da togliere a l’Aconitum napellus, il cui veleno è dannoso al minimo contatto, per questo il veleno viene difficilmente estratto. In pochi sono riusciti a sopravvivere a questa pianta e al suo veleno…- Sierra si interrupe e mordendosi la lingua, cercò di ricordare le ultime parole del libro dei veleni. Ma neanche il costante muoversi le faceva ricordare e capire perfettamente quella relazione che non le sarebbe servita a nulla, secondo lei. Era rimasta una giornata intera rinchiusa nella grande e immensa biblioteca di cui usufruiva l’istituto, immersa in scaffali ricolmi di libri e scartoffie.
Guardò un ultima volta la pagina illustrata del libro scostando,stufa, un ammasso viola che rappresentava i suoi capelli, che l’avevano più volte fatta finire con il viso sul pavimento.
Si sedette sulla sedia e appoggiò la fronte sul manuale ingiallito prendendo a respirare lentamente e a sentire la bocca secca ed asciutta.
-Non dirmi che sei già stufa- disse Cody, che a capotavola di quel tavolo di legno vecchio era immerso in tomi e libri d’ogni genere. Sierra a quelle parole non sapeva se scaraventarlo fuori dalla finestra o rispondere con uno sbuffo assonnato. Erano passati circa sei giorni dall’arrivo dei guerrieri nell’istituto “femminile”, che ogni sera si dilettavano nella lotta o nelle simulazioni di guerre. Ma nonostante la sacerdotessa della telecinesi provava un senso di ripudio verso il suo guerriero anche se conoscendolo sentiva nascere una sorta di simpatia verso quel ragazzo che in ogni discorso cadeva sempre a parlare di libri o che al solo sentire “biblioteca” diventava euforico facendo accendere una strana luce nei suoi occhi. Quel ragazzo che avevo un canino più piccolo rispetto all’altro, che la superava di pochissimi centimetri e che veniva preso in giro per la sua conoscenza.
-E’ troppo per me- sospirò Sierra non alzando il viso dal libro, sentendo lo strano odore di muffa e libro vecchio. –Che cosa mi serve sapere se una fottuta pianta è velenosa? Non penso che resterei viva per fare un viaggio in qualche foresta o giungla… se ne esistono ancora- iniziò a massaggiarsi le tempie sentendo la morbidezza dei capelli tra le dita.
-Su questo hai ragione- proferì Cody, che con in mano i giganteschi volumi passava da uno scaffale all’altro, prendendo e posando libri –Insomma, non penso che sopravvivrai se continuai ad autolesionarti come se fosse una cosa normale-
Sierra alzò il viso dal libro rivelando uno sguardo sorpreso, furioso, forse dispiaciuto. Sapeva che il ragazzo davanti a lei aveva ragione.
-Non voglio parlarne- sussurrò sentendo le lacrime velare i suoi occhi e i ricordi di ogni taglio sanguinante, ogni ricordo di sua sorella, ogni lacrima versata sul suo corpo.
-Perché? Mi odi, lo so ma… voglio sapere il perché di questa malattia- pronunciò il ragazzo rimettendo l’ultimo libro in uno scaffale, tranquillamente.
-Non sono malata, chiaro?!- sbraitò Sierra, alzandosi dalla sedia con fare violento, guardando gli occhi del ragazzo con un’ intensità inquietante. Aveva quella voglia di prenderlo tra le sue mani e di strappargli le corde vocali per farlo stare zitto, quella voglia di gettarsi tra le sue braccia per piangere sapendo, che avrebbe scordato tutto.
-Strano, è proprio la frase che direbbe un malato!- ribatté il guerriero, non facendosi intimidire da gl’occhi della giovane che chiedeva silenzio e pace. Si avvicinò lentamente alla ragazza che aveva iniziato a respirare velocemente e a singhiozzare in silenzio. Vedeva la concentrazione che stava mettendo per trattenere la brama di morte. –Dimmelo- sussurrò appena, leccandosi subito dopo le labbra secche.
-Perché?- riuscì a dire la ragazza, distogliendo lo sguardo, concentrandosi su sua sorella defunta e sulle parole dell’imperatore “Tre settimane di tempo, per scoprire i punti deboli del vostro avversario”.
Qual’era il suo punto debole? Jacktleen. Non doveva fare o dire qualcosa che riguardasse la giovane sorella dai capelli verde muschio, dagl’occhi grigi senza colore, dai sorrisi spenti quasi sempre rivolti al nulla.
La sacerdotessa non ricevette nessuna risposta, si ritrovò il mento tra le dita del ragazzo che sorrideva rassicurante accompagnato da due occhi azzurro opachi. Si sentiva così protetta, accettata, aiutata.
“Mi sembrava di avere delle farfalle nello stomaco” si ricordò del discorso di una compagna che con facilità era caduta nella trappola di un corrotto, una trappola tessuta da menzogna e risate per quello che provava.
Lei non sentiva farfalle, sentiva fuoco e fiamme che si facevano spazio attraverso di lei come per mantenerla lucida, come se da qualche parte, la parte più profonda della sua anima, cercava di lottare per lei, per Jacktleen.
I visi delle due creature, tanto diverse, erano vicini, troppo vicini. Erano due corpi che si fondevano, che diventavano un’ unica cosa ma più la distanza si annullava più le fiamme si facevano avide dentro Sierra, la sua mano si mosse lentamente prendendo il polso del ragazzo come per non farlo andare via. Ogni sua parte fremeva di potere, quel potere incontrollato che aveva trovato la possibilità per attaccare e distruggere.
Le labbra delle creature si sfiorarono e le fiamme si fecero tropo intense per essere sopportate.
Sierra si tirò indietro quasi bruscamente sentendo il dolce piacere delle fiamme spegnersi e l’amarezza nel capire che cosa stava facendo. Infilò le mani nei capelli violacei, digrignando i denti e iniziando a pregare e supplicare sua sorella, i suoi genitori mai conosciuti e Aulampia sussurrando parole singhiozzanti: perdono per essersi abbassata a stringere e desiderare un guerriero, un servo, un succube dell’Imperatore.
Chiuse gl’occhi e congiunse le mani davanti al petto. Vedeva immagini false di sua sorella delusa, piangente che gridava “assassina”, evidenziando quello che si sentiva con sporchi insulti.
La sua mente riproduceva soltanto quello, accompagnata dai sussurri che riusciva a pronunciare tra i singhiozzi la ragazza.
“Scusa…scusa. Perdonami Jacktleen” solo quelle parole uscivano dalle labbra della ragazza noncurante dello sguardo stranito che le riservava il guerriero.
La litania che eseguiva Sierra fu spezzata da un rumore sordo, si bloccò, aprì gl’occhi e guidata da una strana forza si avvicinò ad un piccolo libriccino che era caduto da uno scaffale. Ammirò la copertina bordeaux e delle gocce rosse che erano state cristallizzate sulla superficie, dal tempo. Lo prese e aprì quasi con avidità l’oggetto tra le sue mani.
 
Diciannovesimo giorno. Terzo mese di luce.
2088. Terra del Nord.
Una settimana, ne manca soltanto una. Un altro massacro ma questa volta io non parteciperò; questo non è il volere di Aulampia.
Devo scappare e raccontare quello che so per evitare altre inutili morti.
Ventitreesimo giorno. Terzo mese di luce.
2088. Terra del Nord.
Secondo alcune lettere sono riuscito a capire il vero scopo di Christopher Lowchild. Il potere: dominare tutte le quattro terre.
Trae potere dalle anime dei defunti ma non le assimila completamente, l’ho visto mentre cercava di fare un incantesimo; i suoi occhi erano bianchi, la bocca spalancata verso l’alto e davanti a lui vorticava una sfera blu fatta di luce e fumo. Sono scappato ma sono riuscito a vedere delle strane forme uscire dalla sua bocca, erano fatte di fumo bianco e urlavano.
Non so cosa sia successo dopo ma sono riuscito a scoprire quantomeno che cos’è veramente,un Passante. Ma secondo le leggi del Conclave , i padroni delle Terre non posso essere creature al di fuori dai sacerdoti e guerrieri. Devo fare altre ricerche e scoprire il perché di questa situazione e soprattutto perché le anime che predilige appartengono a giovani diciottenni.
 
Sierra vide il libriccino, che si dimostrò essere un diario, scivolare dalle sue mani mentre cercava di assimilare quello che aveva letto. Era confusa: aveva visto sua sorella insultarla e infine sussurrare con pietà “Verità” e subito dopo vedere quel diario cadere dallo scaffale più in alto.
L’imperatore è un Passante e il Conclave è corrotto, si ripeteva,doveva parlarne con le sue compagne; se c’era un modo per rimanere viva e per dare il via ad una rivolta doveva approfondire quella questione.
Guardò Cody che con aria stupefatta sfogliava le pagine scritte con inchiostro nero. Aveva totalmente scordato quello che era accaduto pochi minuti fa, era stato soltanto un attimo di debolezza, si era lasciata trasportare dal dolore, dalla verità.
-Dobbiamo fare qualcosa- disse, guardando il guerriero in attesa di una risposta.
-Sono delle parole senza fondamento. Potrebbe essere uno scherzo- proferì Cody richiudendo il diario e porgendolo a Sierra, evitando di guardarla. Anche lui provava uno strano senso di vergogna, si percepiva dai movimenti tremanti e dagli sguardi impassibili.
-Le macchie di sangue sono cristallizzate sulla copertina e il colore dell’inchiostro è scolorito, troppo scolorito. Saranno passati circa dieci anni da quando è stato scritto- riprese il diario e lo strinse nella mano, conficcando le unghie nella copertina in pelle.
-E’ pericoloso. Quell’uomo e pazzo e se fosse veramente un Passante sarebbe mortale accusarlo di aver corrotto il Conclave- la guardò un ultima volta
-Tanto moriremo lo stesso… Sei il mio guerriero ma non intralciare i miei piani, se mai me ne verrà qualcuno in mente- quella frase suonava come una minaccia, e forse lo era.
Uscì dalla stanza assieme al diario e allo strascico di capelli viola che la caratterizzava tanto. Cody restò nella biblioteca, sapendo che la sacerdotessa non aveva voglia di discutere ne tantomeno di essere seguita.
Zoey teneva un passo affrettato seguita da Gwen. Il cuore che le martellava dentro la gabbia toracica, la paura che saliva
-Zoey calmati, sembra che tu abbia visto un fantasma- proferì Gwen girandosi di tanto in tanto sentendo, anche lei, una strana presenza.
Sentiva la confusione prendere il sopravvento, la paura di Zoey sopraffarla e leggeri bruciori alle gambe che non erano dovuti alla corsa. Il suo sguardo era rivolto alla sua compagna che senza accorgersene aveva cominciato a sanguinare dalle mani a causa delle lunghe unghie che scavavano il palmo della mano, riprendendo il colore rosso del sangue e dei capelli che senza volerlo bruciavano verso la fine, lasciando cenere sulla veste avorio della sacerdotessa.
Il dolore sulle gambe si fece più acuto, come piccoli graffi che le laceravano.
Gwen prese per un braccio l’amica, facendola fermare in quell’immenso corridoio vuoto, illuminato da gigantesche finestre. Gli unici suoni che si sentivano erano i respiri affaticati delle ragazze e la voce di qualche superiore che spiegava ai propri allievi nelle stanze vicine. Il dolore sulle gambe non si alleviava e Zoey stava iniziando a presentare tagli troppo profondi sull’avambraccio.
-Che succede?- chiese semplicemente, regolando il respiro, Gwen con uno sguardo furioso.
-Nulla, è tutto apposto- rispose Zoey sorridendo rassicurante passando una mano sui tagli, scagliando piccole fiammelle che si andavano ad insinuare tra i lembi di pelle come per ricucirli.
-Non è vero… In questi ultimi giorni sei più stressata e… impaurita. E soprattutto sanguini, da questi fottuti tagli che la notte ti fanno piangere, ti sento sai. Zoey se ti stai…-
-Io non mi autolesiono!- gridò Zoey infuriata –Non sono come Sierra- si morse subito dopo la lingua, aveva offeso  e evidenziato la malattia di una sua amica, di una sorella –Non ho nulla- inghiottì amaramente. Si levò dalla presa dell’amica bruscamente cadendo in un enorme silenzio in cui Gwen la guardava preoccupata e lei cercava di evitare il suo sguardo.
 
“Via di qui” si ripeteva Zoey stringendo la tovaglia rosa pallido intorno al suo corpo.
Le mani erano arrossate terribilmente e il suo cuore sembrava una macchinetta che si ripeteva fastidiosamente all’interno delle sue orecchie. Sentiva strani bruciori sui polsi e sulle spalle, bruciori che erano lontani da quelli provocati dal fuoco. Bruciori simili ai graffi causati da un felino sulla pelle scottata terribilmente al sole.
Si bloccò, tossendo aggressivamente sulla mano arrossata, la gola le bruciava e sapeva di metallo amaro, allontanò la mano dalla bocca e osservò un macchia di sangue che si espandeva. Voleva urlare ma avrebbe peggiorato la situazione.
Non doveva fermarsi doveva correre via, scappare rifugiarsi in una stanza a piangere impaurita come quando da piccola Bridgette tornava in stanza dopo le ore di lezione, singhiozzando per i terribili accanimenti che era costretta a subire.
Iniziò a correre asciugando il sangue sulla tovaglia ma il dolore d’intense stilettate sulla schiena la fecero rallentare lentamente. Erano ferite che si aprivano velocemente dividendo ogni tendine e muscolo. Alzò lo sguardo:l’edificio era poco distante ma più si avvicinava, più sentiva il calore del sangue espandersi su tutta la schiena, formando sulla tovaglia un disegno macabro.
Era lui, lo sapeva, sentiva quella strana energia mortale prendere il sopravvento, quella forza che sapeva di lui.
Chiuse gl’occhi e lasciò che il dolore viaggiasse intorno al suo corpo finché pian piano una sensazione di piacere la pervase, diffondendosi dalle gambe alle spalle. Sentì l’erba sotto di lei mancare,il freddo di una parete sulla sua schiena, la paura diffondersi, e una presenza dinanzi a lei.
Aprì gli occhi ritrovandosi davanti un ghigno, occhi scuri e felini che tendevano al grigiastro, capelli scuri e viso morbido ma spigoloso e un corpo che avrebbe fatto invidia alle più grande statue greche.
-Che fai, scappi?- chiese Mal ghignando e squadrandola da capo a piedi. Le sue mani erano ai lati della vita della ragazza, impedendole ogni via d’uscita.
-Per il volere d’Aulampia, copriti!- disse semplicemente Zoey guardando il sole eclissato sopra di lei, con una voce debole per la gola bruciante.
-E’ inutile fingere che tu non abbia paura, la sento- pronunciò il ragazzo avvicinandosi di più al viso della sacerdotessa. Il respirò era affannoso e il suo viso si deturpava ad ogni minuto, diventando più feroce, più animalesco.
-Tu non sei come gli altri vero?- disse la sacerdotessa guardandolo intimorita, in quel momento al solo pensiero d’usare i suoi poteri le pareva una pazzia. Gli occhi fissi sulla minuscola pupilla del guerriero che di tanto in tanto si ingrandiva… come quella d’un animale. Lui era un’animale, la forza, la paura, il potere.–Tu non sei maledetto- sussurrò appoggiando una mano arrossata accanto al suo corpo e alle mani di Mal, mentre l’altra stringeva sempre più forte la tovaglia.
-Sei perspicace, lo devo ammettere. Sfortunatamente detesto le ragazze troppo perspicaci e audaci- i visi vicini, il sangue che scorreva sulla schiena della ragazza e nessuno che fermava quell’opera di distruzione.
Se solo ne avesse avuto il coraggio, Zoey, avrebbe riempito quel viso scuro di fiamme, incenerendolo dall’interno, facendolo accasciare a terra mentre ogni organo,muscolo e osso bruciava e si tramutava in cenere. Guardò la guancia del ragazzo soffermandosi sull’ustione leggermente sbiadita mentre sentiva il dolore fisico spaccarla. Voleva piangere.
-Vuoi uccidermi? Fallo. Prima o dopo, sarà sempre la stessa fine- le unghie scavavano i mattoni, e ad ogni respiro le ferite si moltiplicavano fino a sentire piccoli e profondi tagli deturparle il viso mentre il guerriero davanti a lei ghignava accarezzando e delineando di tanto in tanto i tagli.
-Non ancora- sussurrò Mal –Voglio che vivi un’esistenza tormentata, sapendo che ogni giorno di vita potrebbe essere il tuo ultimo- i tagli si richiusero velocemente, quasi violentemente –Da questo momento, tu sei mia- soffiò sulle labbra della sacerdotessa, accarezzando le lunghe gambe bianche.
Una lacrima sfuggì dagl’occhi di Zoey, salata,calda e bruciante.
La sua tortura si allontanò velocemente sogghignando, riprendendo una sembianza quasi umana.
-Non pregare… non servirà a nulla- una folata di vento violenta, e una creatura correva velocemente a cercare un nascondiglio, una menzogna e un’altra preda. Poteva riprendere a respirare e piangere da sola, senza nessuno che l’avrebbe derisa.
La sacerdotessa si accasciò a terra, piangendo e percependo una rabbia che fino a pochi minuti fa era semplice paura.
 
-Finalmente ti ho trovato!- una voce spezzo il silenzio creatosi tra le due ragazze.
Era maligna, arrogante, sadica.
Zoey s’irrigidì, le palpebre serrate, i tagli che  si richiudevano, e il cuore che pompava velocemente.
Che cosa voleva ancora? Ogni giorno era costretta a sopportare quelle lesioni sempre più profonde e dolorose. Eppure ogni taglio provocato da lui la completava, adorava la sua paura, adorava essere una vittima maltrattata, adorava i suoi poteri deboli ad ogni sguardo e detestava non riuscire a giocare a quel gioco di tortura e piacere.
-Gwen devi venire con me- ordinò Isabella prendendo il polso della ragazza. I capelli ricci erano legati in un coda che metteva in risalto gli occhi verde acido e le unghie erano grigie, come se le avesse infilate dentro il fuoco vivo.
-Che cosa succede?- riuscì a chiedere la sacerdotessa indecisa se distogliere lo sguardo da Zoey.
-Qualcosa d’importante, per favore vieni, e non fare storie- la presa sul polso della ragazza si strinse. Gwen guardò un ultima volta la compagna che aveva ripreso a camminare velocemente, verso la sua stanza,stringendosi nelle braccia come se sentisse freddo.
Le sue gambe si mossero automaticamente, seguendo Isabella che con le unghie conficcate nel suo polso si apprestava a raggiungere la sua meta.
 
“Forse dovrei scappare o rinchiudermi in stanza, tutto pur di non vederlo” alzò lo sguardo e con rabbia si accorse d’aver sbagliato corridoio. Troppi pensieri su di lui, sul dolore. Chi è stato torturato rimane torturato. La tortura è marcata nella carne con ferro rovente, quelle parole sembravano così vere non stampate su un libro.
In un libro nonostante tutto, sai che finirà bene, lo scrittore e la forza oscura che decreta la vita di ogni personaggio ma che non riuscirà mai a far trionfare  il male che esiste. Vince il bene o non vince nessuno.
Chiuse gl’occhi facendosi una mappa dell’istituto e invocando lui che in pochi attimi si fece spazio tra i suoi pensieri.
-Sei sempre più debole. Non è divertente, come prima- alzò le palpebre notando Mal che con nolachance era appoggiato ad un muro, scrutandola di tanto in tanto. –Non ci provi neanche- si avvicinò alla sacerdotessa, le braccia erano incrociate e i muscoli degl’avambracci messi in risalto.
-Cosa vuoi ancora? Gwen e… le altre, vedono i tagli. Non riuscirò a nasconderli sempre-  disse indicando le leggere fiammelle che bruciavano e ricongiungevano la pelle.
-Lo dici come se fosse qualcosa di normale. Come se fosse un segreto, da tenere nascosto.-avvicinò una mano alle labbra, graffiando con un artiglio il labbro inferiore –Perché?- chiese mentre ripuliva il sangue con il dorso della mano.
“Perche?” si chiese la ragazza nuovamente. Non lo sapeva.
-Vuoi smetterla di farmi domande e ti decidi a darmi una risposta? E inoltre, smettila di prendertela con le mie compagne o giuro che…-
-Cosa?- fu interrotta bruscamente da un Mal ghignante.
Non poteva ferirlo, avrebbe peggiorato la situazione, doveva solamente incutere timore ma Mal era il timore, il suo timore.
Velocemente quasi aggressivamente prese la maglia nera del ragazzo attirandolo a se con occhi di fuoco e le mani accaldate.
-Ogni giorno soffrirò sempre di più finché non sentirò più dolore e verrò a cercarti per strappare i tuoi occhi e incenerire ogni singola parte di te, da far scomparire addirittura le tue ceneri- sussurrò la ragazza, assottigliando gl’occhi- E adesso… cosa vuoi?!-
Il guerriero ghignò, per niente imbarazzato dalla poca vicinanza che li distanziava.
-Bene sweetheart, vuoi saperlo veramente?-
-Ora- disse convinta la sacerdotessa aspettandosi parole taglienti come le lesioni sul suo corpo.
Sentì un’aggressiva pressione all’altezza della vita, mentre lunghe zanne affondavano sul suo collo rilasciando puro dolore e male. Ma mentre il dolore l’attraversava da un parte, il piacere carnale si faceva spazio dall’altra facendola gemere e stringere di più al ragazzo.
Ecco cos’era Mal, piacere carnale senza sentimento, il suo momento di svuotamento mistico,un piacere che non doveva finire.
-Izzy, dove mi stai portando?- chiese Gwen, alzando lo sguardo dai piedi nudi che con passo svelto erano in perfetta sincronizzazione.
-Portami più rispetto- sussurrò la Passante – Per te sono Isabella- girò verso un altro corridoio, superando una serie di scalinate.
Le pareti lì erano leggermente scrostate lasciando intravedere le pietre calcaree in parte sbriciolate accompagnate da una serie di archi. Le porte si distinguevano dalle più vecchie alle più nuove. Alcune erano di legno opaco e piccole, altre erano grandi in legno massiccio e scuro con rifiniture dorate.
Attraversarono una di quelle porte grandi e imponenti, rivelando una stanza illuminata da un enorme lampadario in bronzo e vetro soffiato. Da delle sfere di vetro,pendenti, si riuscivano a scorgere fiamme blu che insieme alla luce solare, provenienti da centinaia di piccole finestre, formavano una serie di giochi di luci e colori.
La stanza era vuota, riempita soltanto da qualche panca in legno scuro impolverata come il pavimento, di marmo giallastro.
Gwen guardò a lungo quel luogo, soffermandosi su ogni minimo dettaglio col suo occhio d’artista. Ogni cosa era perfetta seppur sporca.
Sentì qualcuno spingerla bruscamente e il freddo del marmo sulle ginocchia; ringhiò voltandosi verso Isabella che sogghignava divertita accanto ad una guardia imperiale.
I capelli neri le coprirono la visuale, coprendo la smorfia infuriata e i denti digrignati.
Percepì una presa sul braccio e qualcuno che gentilmente l’aiutava e toglieva la poca polvere che le era finita sulla veste bianca. Una ragazza dalla pelle molto scura e dalla corporatura poco slanciata.
-Dannazione Isabella, cerca di smetterla!- sbottò la ragazza tenendo Gwen per le spalle e lanciando stilettate alla Passante.
-Cosa ci faccio qui?- chiese un’altra ragazza dietro Gwen, bionda e dagl’occhi azzurro cielo. –Izzy, mi avevi detto che c’era una piccola festicciola tra amiche- il tono usato era quello di una bambina.
-Zitta, Lindsey, tu non dovrai fare nulla… e adesso mettetevi tutte in fila- ordinò la Passante guardando di sottecchi le cinque ragazze che con passo svelto e stanco si disponevano in fila. Tutte portavano lunghi capelli, la stessa espressione stranita e lo stesso cognome.
Quando nella stanza regnò il silenzio, Isabella, iniziò a girare intorno alle ragazze soffermandosi sugl’occhi, la corporatura, i capelli e il viso.
-Ricordami i capelli della cercata, Brick- disse infine voltandosi verso la guardia imperiale che precedentemente aveva gettato Gwen per terra. Il volto fiero era rivolto verso l’alto portando con onore quella che doveva essere un’armatura che copriva solamente il petto e la vita, sottile e di un vecchio materiale che sembrava essere un tutt’uno con la pelle del ragazzo.
-Neri- rispose voltandosi verso la passante, con sguardo devoto. Gli occhi erano neri opachi come i capelli corti, tagliati malamente. –Mia signora- terminò
-Signorina prego, e grazie- ringraziò Isabella non togliendo lo sguardo dalle poche ragazze. Alzò la mano, facendo segno a Brick di avvicinarsi –Porta le due bionde fuori e fa entrare la signora- disse guardando soddisfatta i movimenti di Brick che prendevano Lindsay ed un'altra ragazza.
-Togli quelle mani, schiavetto, esco da sola- enunciò la ragazza accanto a Lindsey, avviandosi velocemente fuori, incrociando le braccia infastidita.
“Jo Smith. Sacerdotessa. Orfana” , una soave e fluida voce che si diffondeva nella mente della sacerdotessa d’acqua. Una voce strana che pareva dominarla, che le diceva ogni stato d’animo incerto attraverso colori.
“Nero” sentì ancora.
Dalla grande porta in legno comparve un’altra figura seguita da Brick che, titubante, controllava ogni movimento della donna dagl’indumenti polverosi, sgualciti e bucati. I capelli erano lunghi, neri e sbiaditi, legati in una coda bassa che accarezzava la schiena attraverso la camicia bianca sporca.
-Hanno  i capelli lunghi, non sono loro, non posso ricordare- disse la donna freddamente, quasi con furia per essere stata costretta da una ragazzina a presentarsi in quell’istituto e uscire dalla suo dimora, calda e protettiva.–Posso andare adesso?- chiese. Mostrava una cinquantina d’anni ma aveva occhi scaltri, furbi e vivaci dal color indaco che in pochi avevano il piacere di portare.
Occhi così familiari a Gwen: erano glaciali come quelli di Heather ma trasmettevano ogni singola sfumatura di tristezza, agonia, potere svanito.
La sacerdotessa strinse le mani: lo strano pensiero era insopportabile, pulsava ed era un incrocio di mille parole e colori, un pensiero mai sentito che ad ogni respiro trasparente, faceva picchiare l’organo all’interno della gabbia toracica, scudo e protezione talvolta inutile contro il male della gente.
Isabella guardò a lungo la donna, memorizzando ogni singolo dettaglio, come farebbe un artista alle prese con un dipinto e un paesaggio. Riuscì a percepire i battiti veloci della donna che cercava di proteggersi in un involucro di braccia, trasfigurate da cicatrici che continuavano sotto la veste lurida.
-Brick… potresti risolvere il problema- sogghignò la passante guardando Gwen sprezzante.
La sacerdotessa perse un battito al solo pensiero di essere toccata, sfiorata, dal ragazzo che con egocentrismo nascosto mostrava lunghi e penetranti marchi neri che consistevano in lunghe spirali e incroci netti. Sentì il rude toccò della mano sulla spalla, dapprima titubante poi aggressivo.
Senza protestare si ritrovò in ginocchio, inghiottendo amaramente la saliva, concentrandosi sul pensiero insopportabile.
Un soffio di aria gelida le accarezzò la nuca, sentendo un dolore simile a mille aghi conficcati sulla testa che segnavano il cranio. I capelli lunghi sembravano un tutt’uno nella mano del guerriero che guardando la sua “signora” aspettava un consenso.
-Procedi- soffiò Isabella.
Gwen si promise di non singhiozzare, quando la cascata di capelli neri scivolò via perdendo colore a vista d’occhio, quella protezione che si era portata fino a quel momento, che la riscaldava nei tempi freddi e che la faceva sembrare simile alle altre. L’unica somiglianza che legava la sacerdotessa a quel mondo.
Ammirò un’ultima volta quelli che erano i suoi capelli, ora grigi, forse argento.
Gli aghi si smaterializzarono sul capo della ragazza, tremante. Il viso rivolto al pavimento polveroso di marmo giallastro, gl’occhi brucianti, il pensiero che si faceva sempre più intenso. Respirava a fatica e automaticamente si ritrovò ad accarezzarsi la nuca, sentendo sei, piccole,ruvide sporgenze che si muovevano ritmicamente e debolmente.
-Le vedranno… le vedranno- mormorava  girando lo sguardo verso le altre ragazze che, con sguardo fermo, guardavano Isabella noncurante dei loro capelli grigi tagliati nettamente, sul pavimento.
Gwen ammirò il collo perfetto delle sacerdotesse: liscio e morbido… uguali.
Un segreto nascosto per anni a tutti, verrà ricordata come figlia del sbagliato, del male e della morte.
L’unica soluzione era agire. Congiunse le mani, portandole a livello delle labbra e chiudendo gl’occhi come una perfetta statua raffigurante un angelo senza ali. Sotto lo sguardo di tutti la pelle si face più dura e smerigliata.
Isabella si fermò a guardarla con le mani fumanti di potere, non avrebbe permesso ribellioni ne tantomeno uccisioni dolose. Dietro di lei, due occhi indaco ammiravano quella trasformazione.
“Cercano te!” riprodusse il pensiero con un eco perseguitante.
Liberò le mani in un forma animalesca. Rilasciò l’ondata di potere, accompagnato da occhi opachi… scappò correndo attraverso le urla di paura,dolore e protesta piangendo lacrime amare mentre il soffocamento iniziava, rallentò il passo appoggiandosi ad una parete scrostata implorando mentalmente aiuto.
Andò avanti nonostante la vista sfocata e le gambe dolenti… non bloccava la sua tortura. Si accasciò lentamente, ammirando le mani squamose e diafane. Chiuse gl’occhi e sentì soltanto urlare il suo nome supplicante… da lontano.



LITTLE WONDERLAND
Buonsalve dolci Cupcakes? Come va? 
Tutto bene con la scuola, e per chi come me ha iniziato le scuole superiori?
Perdonatemi per il mio enorme ritardo ma, sarò onesta con voi, la scuola  iniziata e il pomeriggio sono un completo zombie XD Quindi sono riuscita a scrivere poche volte.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto per i moemnti MalxZoey, SierraxCody e la scoperta del piano "malefico" di Chris.
Ringrazio i recensori e i lettori... e vi porgo una domanda? Siate sinceri u.u Le mie descrizioni sono pesanti,noiose, orripilanti? Perchè sono disposta a rimediare ^^
E siate anche gentili XD Ho appena fatto un anno e un mese (quasi) su EFP :3
Sorvolando... la canzone che ho scelto  "Magnetic" di Jessie.J che come sempre potete sentire cliccando il titolo :)
L'ho scelta per una particolare strofa che avrete letto all'inizio ^^ spero che vi piaccia.
Ora vado e mi duole dirvi che gli aggiornamenti non avverrano frequentemente (so cosa vi state chiedendo... "perchè prima lo erano?") a causa della scuola ^^'
Ora svanisco lasciandovi con l'immagine di Bridgette e chiedendovi (ancora) un consiglio... ci sarà un OC (molto più avanti) ma non so che nome darLE... aiutatemi please ^^'... deve essere un nome ribelle, da capo e preferibilmente straniero.
Inoltre... 1se volete seguire alcuni miei lavori e news (che poi non sono tante XD) cliccate qui ---->
A_J.E
2 Ecco a voi il trailer, creato dalla sottoscritta per questa storia ---> TOSOTM
Bene... Alla prossima Cupcakes.

 (attrice:Jemima West)

 

 

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