Il giardino segreto di Helen

di KarmaBoss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Avevo solo otto anni quando ebbe inizio la mia storia, quando ebbe inizio TUTTO. All’epoca non vivevo una bella situazione familiare. I miei genitori non facevano altro che litigare ed ogni volta che urlavano mi ricordo che pigiavo le mani sulle orecchie per paura che qualche altro insulto, o anche solo qualche altra parola, potesse essere percepita dal mio giovane, e ancora relativamente debole, cervello. Questo mi provocava molti problemi a scuola, perché ero sempre silenziosa ed oramai, per abitudine, quando qualcuno urlava i portavo le mani alle orecchie; quasi come fosse un movimento automatico di difesa. Tutto questo quando avevo otto anni. I miei genitori mi avevano chiamata Helen, come la regina di Troia dell’Iliade. Mi ripetevano sempre, quando eravamo ancora una famiglia, che un nome così bello, non poteva che essere dato ad una bambina così bella.; perché loro, come qualsiasi altro genitore, mi reputavano la bambina più bella e più dolce del mondo. E credo di esserlo stata davvero per un primo periodo della mia vita; finché non sono cominciati i casini. Dicevo; i casini iniziarono quando i miei genitori cominciarono a litigare. Praticamente vivevo la mia vita in macchina, portata da una nonna all’altra, perché dicevano che non era un ambiente sano ed adatto ad una bambina, quello in cui stavo vivendo. Ma non sapevano che stavano facendo crollare il mondo addosso ad una bambina di appena otto anni. I miei genitori non erano mai a casa, i posti più probabili in cui poterli trovare forse erano il tribunale o un bar in cui si stavano ubriacando. In base ai fatti che stavano accadendo, io rimanevo sempre più tempo da sola a casa ed iniziai ad avere paura praticamente di ogni cosa: dell’armadio, del corridoio, di luci spente e di luci accese. Iniziai ad avere paura della mia stessa ombra. Alcune notti, lo ricordo con freddezza e dolore, quando mia madre non tornava e forse Dio solo sa cosa faceva, per la paura mi rannicchiavo in un angolo della casa e rimanevo con gli occhi sbarrati e dovevo toccare con spalla il muro, perché avevo paura che qualcosa potesse prendermi da dietro e portarmi chissà dove. Se le telecamere di casa avessero mai filmato qualche scena di quei momenti, sono certa che sarebbe parso come un film dell’orrore. La conseguenza radicale fu che mi chiusi totalmente in me stessa. Non parlavo con nessuno, preferivo pranzare da sola e tutti gli altri bambini si allontanavano da me; ma questo forse perché i capelli biondi ricoprivano un visto stanco, ormai quasi bianco come la ceramica per la paura e per la stanchezza e le occhiaie che mi incorniciavano gli occhi azzurri, anche quelle dovute alla paura. I miei genitori mi stavano distruggendo. Eppure loro dovrebbero essere la giuda, come dice Gesù, spirituale e morale dei proprio figli. Per me furono solo la peggiore cosa che mi potesse capitare al mondo. Nessuno voleva essere mio amico, nessuno voleva giocare con me. Il perché riuscivo a capirlo benissimo da me. Ero la bambina disagiata, quella che le mamme dicevano ai propri figli di non frequentare, “quella” strana. La “strana” era il mio soprannome.

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


La mia giornata era sempre uguale, e non ne andavo fiera. Tutti i giorni mi trascinavo dal letto all’armadio per scegliere qualcosa che desse la parvenza che a me ci tenevo almeno un po’ . sceglievo sempre abiti enormi, che mi stavano almeno due volte, li sceglievo non perché volessi sembrare più magra e più carina, ma perché dovevano nascondere tutto ciò che c’era da nascondere. Infilavo sempre grosse felpe con enormi cappucci per coprire la mia faccia. otto anni dopo le occhiaie c’erano ancora, credo fossero diventate indelebili. I capelli erano lunghi ed incolti; nessuno si curava più di loro come nessuno si curava più di me. Le mie felpe erano tutte di almeno due taglie più grandi, spettava a loro dovermi abbracciare dato che nessuno lo faceva. Mi truccavo sempre, eyeliner doppio sopra e sotto l’occhio, il rossetto rosso e il viso bianco. Erano diventati ormai il mio secondo volto. Portavo vestiti sciatti, avevo i capelli biondi perennemente in disordine e tinti malissimo con la ricrescita che si poteva appena scorgere, ma il trucco era sempre perfetto e la sigaretta sempre accesa, insomma, ero il classico tipo da non frequentare. Eppure tutti mi notavano. Io volevo stare sola nella mia solitudine e tutti gli altri volevano far anche loro parte di quel profondo e sconfinato nero, quel nero assoluto che toglie ogni briciola di colore alla vita. Odiavo il mondo e tutti gli esseri che lo abitavano, compresa me. Andavo a scuola tutti i giorni, non perché avevo voglia di imparare qualcosa, ma semplicemente perché a casa non ci sarebbe stata nessuna nuova svolta. dopo non aver fatto colazione, gettavo il mio corpo in macchina e lasciavo che questa mi conducesse a scuola. La scuola era noiosa, ero sufficiente e stavo sempre sola. Ma tutti stranamente mi cercavano, tutti volevano la mia compagnia, tutti erano sembravano catturati dal mio carattere di merda. Mi chiamavano per le feste, i ragazzi più carini mi invitavano ai balli, ma la maggior parte delle volte non ci andavo perchè la musica era troppo forte e le mie mani si incollavano irrimediabilmente sulle orecchie per non permettere ai quel fastidiosi e assordanti rumori di danneggiarmi. molte volte mi tappavo le orecchie anche quando la gente mi parlava, lo facevo per non essere ferita dalle loro parole, ma nella maggior parte dei casi, non stavo nemmeno ad ascoltare ciò che mi dicevano. La mia vita andava così, una noiosissimia straziante routine di merda.

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


la macchina correva veloce sull'asfalto bagnato, la pecca di avere una decappottabile era che quando pioveva, ero fottuta. mi bagnavo ogni volta. tornai a casa che grondavo acqua, i capelli erano zuppi e tutto il tempo che ci avevo messo per cotonarli, buttati nel cesso. Il ticchettio assordante dei tacchi e delle gocce che cadevano su parquet, echeggiavano nella casa apparentemente vuota. Andai un cucina per prepararmi uno spuntino ma all'improvviso il mio stomaco decise che era ora di vomitare, non di mangiare. Lasciai cadere la borsa sul pavimento e dovette appoggiarmi allo stipite della porta. La scena, ai miei occhi, era raccapricciante. Volevo morire, sprofondare, o forse solo scomparire. Helen: Papà'...?! Helen: Cosa ci fai qui? Papà: Ehy piccola mia, come va? Helen: Bene, ma adesso devo proprio andare. Mamma: Oh no Helen, io e tuo padre dobbiamo dirti una cosa. Helen: Mamma l momento ho da fare, non potremmo rimandare? Mamma: In realtà è una cosa abbastanza urgente. Detto questo la mamma prese la mano dell'uomo che ha contribuito alla mia nascita e che dovrei chiamare papà, le loro dita s'intrecciarono. No. NO! Non so se lo pensai soltanto, credo che lo urlai davvero. Mi accasciai a terra in una pozza d'acqua mista a lacrime e cacciai l'urlo più potente che avessi mai cacciato. Iniziai a tremare tutta e come al mio solito, mi portai le mani alle orecchie. Mamma tentò di rimettermi in piedi, ma l'allontani con un gesto del gomito. Non sapevo che cosa provare. Helen: Perchè lo avete fatto? Papà: Per farti felice piccola mia. Io tu e tua madre ora potremo tornare ad essere una famiglia? Helen: No. Sussurrai in maniera quasi impercettibile. Helen: No. Stavolta lo dissi un po' più forte, in maniera che i miei lo sentissero. Helen: No! Urlai mettendomi le mani alle orecchie. La testa mi girava, in realtà era tutto che mi girava. Barcollai verso la porta ma prima di subito sentii una presa al polso e l'incapacità di camminare. Mamma mi stava reggendo e con occhi delusi e colmi di rabbia mi disse: Mamma: Proprio non riesci ad essere felice per noi, l'abbiamo fatto per te. Avrei voluta davvero che i miei genitori fossero fieri di me, ma evidentemente non ricevevano altro che delusioni. Ruppi la presa di mia madre e portandomi il braccio al petto mi voltai, la guardai e dissi: Helen: LO STATE FACENDO PER ME? AH SI, E' COSI'? E CHI SEI LI SCORDA TUTTI QUELLI ANNI PASSATI DA SOLA IN CASA, CON LE SPALLE AL MURO E RANNICCHIATA IN UN ANGOLO, TUTTI QUELLI ANNI PASSATI DALLE NONNE, TUTTE QUELLE PROMESSE NON MANTENUTE E TUTTE LE SERE CHE VOI TORNAVATE A CASA UBRIACHI E VI PORTAVATE A LETTO LA PRIMA O IL PRIMO CHE CAPITAVA. EH? IO LE URLA NON ME LE SCORDO, RIMBOMBANO NEL MIO CERVELLO OGNI ISTANTE. NON AVETE FATTO ALTRO CHE DISTRUGGERMI E RIDURMI UN INUTILE SCARTO DI QUESTO MONDO DI MERDA. VOI QUESTE COSE NON VE LE RICORDATE PERCHE' NON HANNO CHIAMATO VOI "LA STRANA". MI FATE SCHIFO. Non volevo davvero dire che mi facevano schifo ma in quello momento era tutto ciò che mi passò per la mente. Corsi in camera mia, buttai le mie robe in un borsone insieme agli accendini, alle sigarette, ai trucchi e ad un po' di grana e sgusciai fuori dalla finestra. mi catapultai nella macchina stracolma d'acqua, pigiai il piede sull'acceleratore e partii. Non sapevo bene dove andare, ma sapevo che dovevo farlo. Ora dovevo solo trovare un posto dove passare la notte.

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