The Bottomest Bottom to Ever Bottom

di abhainnjees
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** About our mistakes ***
Capitolo 2: *** About sex ***
Capitolo 3: *** About family ***



Capitolo 1
*** About our mistakes ***


Credo che questa sia stata tipo la peggior notte della mia vita, non ho fatto altro che sognare di galleggiare da qualche cazzo di parte e di non riuscire mai ad arrivare alla riva. Quando apro gli occhi, la prima cosa che vedo e che quella troia di Svetlana ci sta fissando dalla poltrona della stanza accanto. La porta è misteriosamente aperta, e lei se ne sta seduta comodamente a osservarmi con la faccia inclinata un po’ di lato, o forse sono io che la vedo così, aggrottando le sopracciglia. Forse non avrà niente di meglio da fare che guardarmi, ma per un po’ sostengo lo sguardo, cercando di capire che cacchio voglia. Sposto di poco la testa sul cuscino e mi accorgo che la mano di Ian se ne sta a penzoloni sulla base del mio collo. Sento i suoi polpastrelli che poggiano sul collo e sulle spalle, mentre il resto del braccio mi sfiora la schiena. Per un momento cerco di concentrarmi sulle mie sensazioni, capire che effetto fanno e come gestirle; penso a Ian che è qui, dietro di me, esattamente dove dovrebbe sempre essere. E arrivo alla conclusione che non c’è niente da pensare. Che va bene così, che mi basta che non cambi per starmene contento. Riguardo Svetlana, che non ha smesso per un momento di fissarmi.
Non capisco cosa cazzo ha da guardare, ormai dovrebbe essere abituata a vederci a letto insieme. A volte credo che non mi abbia mai perdonato. Forse continua a chiedersi perché anche lei non può avere qualcuno che tiene a lei come io tengo a Ian. O forse sta solo immaginando di alzarsi, perdere l’acetone dal bagno, venire in camera e farmelo bere a forza, uccidendomi lentamente, per poi squartare Ian e vendere la sua carne a qualche macellaio russo. Non so quale idea mi faccia più paura.
Sicuramente adesso ho paura di girarmi; non voglio svegliarlo, e poi questo cucchiaio non m’infastidisce. Anzi, riesco a sentire ogni minino sospiro del soldato, e mi piace. Il suo braccio sinistro, quello libero, quello che non si adagia sul mio collo e sulla lunghezza della mia schiena, se ne sta sotto il mio fianco, schiacciato tra la mia pelle e le lenzuola, e sento una leggera pressione, a spasmi regolari, il suo battito tranquillo.
Vorrei muovermi perché altrimenti quando si sveglierà, avrà dolore, ma che cazzo, se gli fa male, mi sposta da solo, no? E che palle! Se mi muovo lo sveglio e se lo sveglio può darsi che sta male e non voglio vederlo mai più in quello stato, a costo di farlo destare da Svetlana tutte le mattine e di farmi vedere solo quando sono sicuro che sta meglio; ma questa è la prima cosa che si aspetta che io faccia, e non posso permettermi di sgarrare, o dovremo scopare nei bagni di un ospedale. E lui dovrebbe anche mangiarci, e dormirci e passarci le mattinate soleggiate... no. Però è anche vero che se continuo a preoccuparmi così, per il suo umore, per il braccino indolenzito, per il suo torace scoperto e per quella cazzo di finestra aperta alle sue spalle, diventerò così frocio che inizieranno a spuntarmi le tette. E ho anche voglia di spingere i fianchi verso di lui, perché è il mio ragazzo e ho il diritto di avere il soldato Ryan di prima mattina, ma no, cazzo non sono una troia, sono un Milkovich e non so perché non voglio dare questa soddisfazione al piccolo rosso. Mi sa che sono fregato.
Svetlana mi sta ancora davanti agli occhi, che mi fissa, ma non lo fa come Ian. Lui ha sempre avuto quest’orribile abitudine di fissarmi, di sostenere lo sguardo e di alzare il sopracciglio destro quasi a volermi sfidare. L’ha sempre fatto, quello strafottente. Sempre lì a chiedermi qualcosa d’impossibile. Porca puttana se ho cercato di accontentarlo, e fanculo a chi dice che non l’ho fatto. Anche adesso, che dovrebbe starsene buono a fare quello che gli dice il medico, sono io che lo imbocco di sciroppo e gli ficco a forza le pillole in gola. Deve avere qualcosa a che fare con la madre, forse ha paura di diventare come lei, o che io diventi come Frank. Fa fottutamente male vederlo in quello stato.
Dal primo attacco di depressione, è successo solo altre due volte. Il mio Ian –si ho detto il mio , ma questo non vi autorizza a pensare che ci siamo dati dei nomignoli come ‘cicìpopò’ o ‘croco-cocolocò’ – non parlò entrambe le volte, manco un “mi gira la testa/ mi sento giù/ voglio la mamma” prima e neanche un “”grazie” dopo. La prima se n’è stato a letto per tre giorni di fila, non ha pianto, non ha gridato, non ha fatto niente di niente. Se ne stato la. A malapena si riusciva a farlo mangiare. Io avrei preferito che mi picchiasse, che distruggesse il soggiorno, che accoltellasse Svetlana a quello. Vederlo spento mi da un fastidio che non può essere alleviato. La seconda volta è stata anche peggio. Ian era accoccolato dentro la doccia, in posizione fetale e piangeva. Piangeva a singhiozzi, come i bambini. L’acqua non scorreva e il piano della vasca non era bagnato, ma inspiegabilmente Ian era lì, nudo ed inerme. Quando entrai in doccia con lui, lo calmai e scoprii che aveva avuto quell'attacco perché non era riuscito a girare la manovella incrostata. Ci lavammo e la cosa finì li. Però dopo quell'incidente io e mamma chioccia siamo andati e reclamare a gran voce da quel pezzo di merda del dottore una dose più forte di tranquillanti, che ce li concesse sotto gli stimoli giusti . Se sapete cosa intendo.
Ho spinto il bacino verso il suo, e a quanto pare quando si risveglierà, giocheremo a maritino e mogliettina. Guardo per l’ultima volta Svetlana, che deve essersi accorta del mio movimento, e mi rimanda uno sguardo carico di disgusto; ma io ho le mie buone ragioni per essere così, cara Svetlana.


Credo che stiamo davvero diventando una coppia, perché ormai il round mattutino è saltato, e nonostante io sto preparando la colazione a quella puttana di mia moglie e al rosso, non mi da fastidio. Non sento di aver saltato qualcosa di fondamentale, anzi credo che vederlo alzarsi, un po’ di mala voglia, e incamminarsi verso il mobile alto per prendere i piatti e darmi una mano- e una timida carezza sulla nuca, dolce, dal basso verso l’alto- sia persino meglio del sesso. Okay, forse no, certamente no, ma non sono da meno. Non sono cose meno importanti e adesso capisco perché Ian ha sempre insistito tanto perché dicessi la verità a quelli stronzi. Perché voleva che mi sentissi così dannatamente frocio da farmelo venire duro a una minima carezza.
Mi fa venir voglia di baciarlo quando fa così, deve sempre avere il controllo della situazione, che cazzo di problema gli creava aspettare che un povero stronzo(io) gli servisse la colazione? E invece no, lui si alza, e sembra carino perché pare che mi voglia aiutare, ma una volta pensato al suo stomaco, si appoggia al lavello e mangiare infischiandosene degli altri.
-Eh, che ti aspettavi?
e quella faccia che accompagna sta frase masticata tra un boccone e l’ altro mi sa tanto di ‘no my wife, no my bisness’. Ho anche voglia di prenderlo a schiaffi. Chissà se avrebbe qualcosa da ridire se provassi a fare tutte e due le cose contemporaneamente, baciarlo e schiaffeggiarlo intendo. Probabilmente mi ritroverei inculato prima di poter dire “Gallagher”.
Servo mia moglie e lei, che ha capito fin troppo bene in che situazione del cazzo mi sono cacciato, se la ride sotto i baffi e dice incomprensibili parole al bambino, che alle mie orecchie suonano più o meno come un’esortazione a non diventare un frocione come il paparino. La creatura, però non sembra approvare, e risponde benigna al sorriso che gli offro. Il mio campione, piccolo eppure così ingombrante! Non ha fatto che guai da quando è venuto al mondo, ma non lo baratterei neppure per un centinaio di grammi di coca sintetica.
-Lo accompagniamo noi al nido?
da un po’ Ian ha preso quest’insopportabile abitudine di parlare con Svetlana invece che con me delle questioni che riguardano il bambino, e la cosa mi fa contento. Sì, oggi è giovedì, e Svetlana lo accompagna ed io lo devo andare a riprendere.
-Si, Mickey passa a prenderlo alle 12.15.
-Ricevuto, hey tu, rosso, mettiti il cappotto.
-Sisignorcapitano
anche adesso vorrei baciarlo e morderlo insieme, perché che cazzo può anche smetterla di prendermi per il culo a sta' maniera, o almeno dovrebbe finirla di essere così adorabile.
-Fate i bravi.
È l’ultima cosa che sento prima di sbattere definitivamente la porta di casa e di incamminarmi a fianco di Ian. Inutile aggiungere che ci sprechiamo una mattinata in quella merdosa sala d’aspetto –e fanculo che è un medico privato, ma i pazienti hanno anche una vita al di fuori della loro malattia- per poi ritirare due esami “di routine” che non sono serviti in sostanza a un cazzo, ehm cioè sono serviti a escludere gli scompensi del sistema sanguigno con relative conseguenze, parole sue. Almeno siamo usciti da lì in tempo per andare a prendere il piccolo my Lord. Il nido non è troppo lontano e in un quarto d’ora abbondante siamo lì. È strano, considerato che ci sono solo coppie di genitori fuori ad aspettare e la cosa mi rende un pochino agitato. Questo non è il mio quartiere e queste non sono le mie persone, ma c’è qualcosa che mi disturba- magari saranno le loro facce da culo o il loro smielato tenersi per mano, non lo so, non ho ancora deciso-.
-Stai tranquillo, ci possono scambiare per dei fratelli...
e che cazzo Ian
-E che cazzo Ian..solo perché, oh insomma che cosa ti fa pensare che me ne freghi qualcosa? Che cosa ti fa pensare che non voglia che loro sappiano?
agitatissimo vado a prendergli il labbro inferiore accogliendolo tra le mie, e premo abbastanza perché lui si appassioni e ricambi, abbracciandomi. Sicuramente Svletlana, quando ci aveva chiesto di fare i bravi, intendeva, fra le altre cose, non fare questo. E forse lo stiamo pensando entrambi perché Ian mi lascia andare nell’esatto momento in cui io mi ritraggo. La campanella ci salva dagli sguardi degli altri genitori e con la scusa dell’aeroplanino, portiamo il piccolo pargolo lontano da tutti il prima possibile. Quando siamo ormai distanti e iniziamo a camminare a passo più lento, mi accorgo che ho voglia di sorridere, e di farlo a un millimetro dalla bocca di Ian. Non tutti devono sapere quello che ho dentro, ma questo non vuol dire che io non abbia nulla. E uno dei motivi per cui me ne sto zitto zitto è che non ho la più pallida idea di quello che ho dentro. Sono leggero, senza pensieri, come quando dopo una giornata di merda vai a casa e ti fai una doccia calda di un’oretta buona. Solo che è meglio perché non devo pensare alla cazzo di bolletta, questo tipo di calore e di vischiosità che sento addosso è apparentemente eterno, e voglio che duri il più possibile. Si chiamerà felicità? O forse sto solo imparando a fregarmene della gente; di mio figlio che deve essere cambiato una volta arrivati a casa, e deve essere vestito e messo nella culla e dondolato finché non si appisola, il piscone. E m’importa anche di Ian, persino più di prima, così tanto da avere quasi paura. E adesso è un po’ peggio- per un sacco di motivi, la sua cazzo di malattia, mia moglie, le cose non dette e quelle dette male- perché ho fatto delle cose per lui, e mi sono esposto, e me le sono prese di santa ragione, e ho una paura marcia che nonostante questo non me la meriti ancora quella sensazione che ho con Ian.


Quando il piccolo si addormenta io e Ian usciamo sul retro a fumare, dove ci aspetta un freddo da cani, che però dobbiamo sopportare altrimenti poi il bimbetto si abitua alla nicotina e va a finire che tra qualche anno dalle tasche di papà dovranno uscire anche i soldi per il suo fumo. Ian prende tra le mani due sigarette, una se la appoggia tra le labbra e l’altra la preme contro la mia bocca, che si schiude solo per mandarlo a fanculo ma, vista la sua insistenza – ha ancore il braccio teso, le dita strette attorno alla sigaretta e gli occhi fissi sui miei- l’accetto di buon grado, chiudo le labbra e gli do un’amichevole pacca sulla spalla. Ha voglia di giocare.
–Mi accendi?- e no gente, ogni riferimento ai miei ormoni non è puramente casuale.
–Accenditi da solo.
Eccolo lì, che se ne esce con queste frasi emblematiche che non ti fanno capire se ci è o ci fa, se scherza o è serio. Gli scalcio contro dalla frustrazione, decisamente infastidito dal tono della sua voce, ma il colpo è debole e sembra quasi giocoso. Giocoso un cazzo. Oh, ma guarda chi non si è accorto che deve abbassare la cresta! Ian con tutto questo tirare la corda finirà col spezzarla. Mi sono arcistufato di essere sempre sotto esame, ho mandato a fanculo la famiglia per lui, io. Quindi non gli reggo il gioco quando si mette in posizione da pugile e inizia a menare colpi all’aria, anzi mi accorgo che ho le mani sudate. Mi stanno venendo in mente dei ricordi che bruciano troppo e corro in casa con la sigaretta ancora spenta perché non voglio che Ian si accorga che ho gli occhi rossi.
Quando rientro in casa sbatto la porta violentemente per avvertire Ian che se non vuole prendersi due calci in culo come Dio comanda deve restarsene fuori. Però le porte che sbattono fanno rumore e il rumore sveglia i bambini. Sento il piccolo piangere e mi si appesantisce lo stomaco. Quell’insopportabile e acuto richiamo mi scombina tutte le priorità.
Per un secondo le immagini di Ian che fugge in mutande, o di Ian che se ne và, o di Ian avvinghiato a un tizio che gli mette la mano nei pantaloni, scompaiono e la mia mente viene invasa dai mille possibili pericoli che il mio piccolo potrebbe correre ora come ora stando nella culla. Lo so perfettamente che piange perché ha sentito il rumore, mica sono scemo ma.. e se avesse freddo? O caldo? E se il cuscino fosse troppo spesso, potrebbe soffocare? Mentre mi dirigo verso la culla la mia mente arriva a pensare ad ipotetici topi che invadono la stanza o a pallottole che infrangono i vetri dei vicini.
Quando lo vedo - bruttissimo- piangere come un bambino, mi rassereno. Lo tiro fuori dalla culla con movimenti impacciati e nel momento in cui lo alzo e lo vedo piangere a pochi centimetri dalla mia faccia, mi gira la testa. Mi costringo a non scoppiare in lacrime. Non so un cazzo di quello che dovrei fare quando si rompono le tubature.
Mi accorgo che Ian è entrato ma decido di concentrarmi sul pianto del piccolo. Lo scuoto piano piano, sperando che questa pratica si avvicini all’atto di cullare. Il piccolo, forse per pietà, si calma e con le sue tozze e piene braccia cerca di raggiungere il mio collo, e appena lo avvicino fionda la sua testa sulla mia spalla. Concentrandomi gradualmente sento il suo respiro e cerco di sincronizzarlo al mio. Mi fa uno strano effetto quest’affare. È piccolo, eppure il suo arrivo ha portato così tante guai, e se stringo le mie mani attorno alla sua schiena ed esercito una leggera pressione riesco a contargli le ossa, e commovente vedere che gli bastano le attenzioni di un tipaccio come per ritornare alla serenità! Lo rimetto nella culla e guardo serenamente il suo torace che si alza e si abbassa. Non me ne sono accorto, ma ormai ho la mente svuotata da ogni pensiero e persino cercare di arrabbiarmi di nuovo sarebbe inutile. Il piccolo ha lo stesso effetto della droga, meglio non farlo sapere in giro.
– Sei davvero bravo come padre.
– Davvero? Sono sinceramente stupito, perché credo di essermi appena comportato da deficiente e non d’aver mostrato un innato senso paterno.
– Senti mi dispiace per prima, Mickey .
– Non parliamone più, abbiamo entrambi qualcosa da farci perdonare.. non serve..
– Io non ho niente da farmi perdonare.
– E io sono una fichetta.
– Tecnicamente
- Gallagher non provare a fare il santarellino con me!
- Perché? Scusa che avrei fatto?
- Che avresti fatto?
Mi obbligo ad abbassare la voce, tutto a un tratto le immagini che prima se ne sono andate con tanta facilità della mia mente, riccicciano fuori in un baleno. – Quando Terry ci ha scoperti, tu hai pensato solo a mettere in salvo il tuo bel culo.
Ian apre la bocca, la sua espressione però anticipa le sue parole “quante volte sei scappato tu?”, e lo so, la bilancia è molto più pensante dal mio lato, però questa cosa ho gliela dico adesso o non ci riuscirò mai più.
– Come facevo a mandare a fanculo Terry se ad aspettarmi c’era qualcuno che mi mollava appena vedeva una pistola?
Spero di aver calibrato bene le parole, e che non scoppi in lacrime. Mantiene lo sguardo.
– Se tuo pare mi avesse massacrato di botte, non l’avresti sposata?
-No cazzo!
Ho risposto in fretta, troppo in fretta, e bhè forse l’avrei sposata lo stesso, ma non potevo rischiare perché la domanda di Ian era pericolosamente in bilico tra una speranza e un’accusa. Non riesco a sostenere lo sguardo perché ho paura che Ian crolli sotto il peso del macigno che gli ho appena scaraventato addosso , ma lui è quello buono, quello che capisce, quello che si mette nei panni degli altri. Non mi prende a pugni, ne da di matto. Mi si avvicina e mi abbraccia. E io sento che sotto la spinta delle mie mani, il corpo di Ian in realtà è fragile come quello che strinsi pochi minuti fa; però non avevo la più pallida idea di quale consistenza fosse fatto il mio corpo.


Prima di andarmene a letto, passo a controllare che Mandy stia bene. Da qualche giorno la vedo molto più stanca del solito, e a volte la sento piangere, di notte. Apro la porta cercando di non fare rumore, sbircio dentro e come Mandy mi vede si alza di scatto dal letto per sbattermi la porta in faccia e mandarmi a fanculo. Non ci sono lacrime ne tensione, solo fastidio, la solita dolce Mandy. Me la squaglio in camera mia urlando un buonanotte a Svetlana. Entro in camera e Ian è già a letto, mezzo appisolato. I farmaci lo fanno dormire un sacco. Le lenzuola sono già tiepide. Ian si gira, si fa piccolo piccolo e mi chiede se sono andato a controllare Mandy. Annuisco.
–Anche io ci sono andato prima! Lei non è stata fortunata. – aggiunge.
-In che senso?
– Non ha trovato quello giusto.
–No, non lo ha trovato.
E mi si avvicina stringendosi accanto al mio petto. Gli passo la mano sulla base del collo e poi gli accarezzo lentamente la schiena, baciandogli la fronte. Già, Mandy non è stata fortunata. Avere fortuna per Mandy significherebbe stare con Ian, un ragazzo che la rispetta e l’ascolta. Invece la dea bendata ha voluto regalarla a me, la fortuna di Mandy. Sarei io quello fortunato? Gran bella fortuna del cazzo stare con uno che dovrebbe essere ricoverato, che ti trapana il culo (chi si è mai lamentato, era solo per dire) e per il quale ti sei preso i peggiori pugni della tua vita. Però forse un po’ di fortuna ce l’ho. Ho trovato il più strano, viziato e rompiballe di tutti, ma mi basta guardarlo negli occhi per capire che se sono la persona che sono è merito suo, che se non mi fa più schifo vedermi riflesso lo devo a lui e che in fondo, ne è valsa la pena.


NdA: Allora questa storia verà aggiornata a cadenza mensile, quindi ci vediamo il 24 agosto!
Volevo precisare che eventuali errori o imprecisioni grammaticali sono state aggiunte apposta e con cognizione di causa!
Ora mi ritiro, vado in chiesa e accendo un cero sperando che mi arrivi la grazia di non aver fatto risultare il personaggio di Mickey (pietra miliare dello show e non solo) OOC. Fatemi sapere cosa ne pensate e alla prossima!

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Capitolo 2
*** About sex ***


Come al solito il primo a svegliarsi sono io. Ian se ne sta rannicchiato sotto le lenzuola, aggrappato come un koala al mio petto. Ha le mani strette in due pugni che mi fanno una tenerezza enorme, e sbuffa come un treno in corsa. Quando lo vedo così naturale, così sciolto da ogni tensione, mi prende una voglia di abbracciarlo che non riesco a controllare – e quindi menomale che dorme solo nel nostro letto-. Con la mano destra gli accarezzo i capelli, soffici dietro la nuca come in cima nonostante la lunghezza differente. Lui si muove e una gamba fugge dalle coperte, restando scoperta. E no, no che non va bene. Mi tiro su e cerco di ricoprirlo, o altrimenti prenderà il raffreddore. Già me lo immagino, a letto rannicchiato sotto migliaia di plaid, caldo di febbre, mentre inclina pericolosamente la testa all’indietro per poi scattare improvvisamente e schizzare più sulle coperte che sul fazzoletto. Impacciato com’è, gli resterebbe un po’ di moccio a colargli dal naso, e io disgustato lo pulirei. Lui cercherebbe di baciarmi, magari pure davanti al medico che Lip rapirebbe per farlo visitare, e io lo caccerei in malo modo bofonchiando che non voglio prendermi il suo raffreddore del cazzo. Sorrido, consapevole che probabilmente finiremo l’uno a curare la sifilide dell’altro, e lo bacio trai capelli. Trattengo il contatto a lungo, perché mi fa stare bene, perché voglio fargli sentire quanto ci tengo a lui.
Si sta per svegliare, lo capisco dal respiro accelerato e dalle sopracciglia rosse rosse che si avvicinano, aggrottandosi.
-Buongiorno, Cenerella!
-Mmmm
-Mmm? Ian è da mezz’ora che non posso muovermi perché tu te la spassi a dormirmi sulle palle e tu mi fai “mmm”?
-Non ti ho dormito sulle palle.. mm..
-A no?
Alzo il lenzuolo e gli faccio notare che il suo futtuto ginocchio sta lì lì, esattamente sta le mie gambe, sotto le palle, a spingerle verso l’alto. Ian guarda divertito e mi chiede se mi piace. Che cosa? Avere un ginocchio sulle palle? Oh si guarda, è proprio il massimo dell’erotismo. Esasperato getto la testa all’indietro, in segno di resa.
-Basta, ci rinuncio Ian!
Questi mi sale e addosso a cavalcioni e ridendo mi dice:
-E’ da un po’ che non fai altro che chiamarmi Ian!
-A deficiente, e come altro dovrei chiamarti, Topolino?
-Non mi chiamavi mica Ian l’anno scorso.
- Mi scusi, Fiona.
-Mickey!- mi rimprovera!
- O forse dovrei chiamarti Franck?
-Meglio Fiona!
- E’ perché ti senti donna? Uh guardate le mie tettine! Uh uh!
Gli faccio il verso mentre gli strofino i capezzoli, facendogli il solletico. E si, Ian è fatto tutto al contrario. Se lo tocchi dove dovresti ride e se lo tocchi in posti impensabili quasi ti viene in mano. Eeee , cosa sta succedendo? Che mi sono perso? Perché Ian mi sta baciando? E soprattutto perché il suo bacino del cazzo non sta fermo? Che fa, si struscia? E che spera di ottenere? Rispondendo al bacio, ma mi ritraggo col resto del corpo e quando lui mi si avvicina di nuovo allargo le gambe per fargli lo spazio che si merita. Lui mugola. Mi stringe la coscia col palmo della mano, e a quest’ora però più che un invito, mi sembra una carezza. E improvvisamente è tutto un vagare di mani che si cercano, baci fugaci su pelle nuda e gambe che si avvinghiano sempre di più. Che figata essere froci. O forse è bello solo perché è di Ian che stiamo parlando.
-Lo sai che queste cose da femminuccia mi fanno rincretinire?
Non so bene se l’ho detto io o se l’ha detto lui, ma in ogni caso sono d’accordo. Mi ritrovo d’avanti la sua mano, spalancata, e senza ragionare –e sai che novità- ci sputo sopra senza curarmi d’aver centrato le dita o il palmo. Tanto Ian sa cosa fare. Mi sento un po’ troia quando lui mi guarda così, approvando i miei gesti oscenamente rozzi e sorridendomi compiaciuto. Stavolta, però opta per qualcosa di diverso. Mi cinge le braccia con me sue e mi avvicina tanto da aderire completamente col mio corpo. E quello a cui riesco a pensare dopo è che tutto è fottutamente bello, che mi sento così amato che potrei morire e non me ne fregherebbe niente. E so che per lui è lo stesso, che sa quanto dannatamente mi piace e anche lui si sente tanto importante quanto mi sento importante io. Cazzo. Quanto amo tutto questo. Adesso abbiamo così tanto tempo. Adesso possiamo rimanere così anche una volta finito. Possiamo goderci in dopo meglio del durante. Sentire i nostri respiri che ovviamente non riescono ad andare all’unisono, tremare ancora l’uno sul corpo dell’altro, abbracciarci e baciarci senza la fratta di essere scoperti da Tizio, Caio o Sempronio.
-Complimenti Fiona!
-Che dire, è un dono innato! Mi passi le sigarette?
-Non esagerare però..
E questa da dove mi è uscita?
-E questa da dove ti è uscita? E dai Mickey, una sigaretta post scopata non la si nega a nessuno!
Gliele passo senza rispondergli. Ha l’aria assorta mentre si accende, ma non indago oltre. La mattinata non poteva iniziare meglio. Se non fosse.. per Ian che ovviamente deve sempre scocciare, rovinare tutto con le sue stupide domande del cazzo.
-Qualche volta potremmo anche invertire i ruoli, che ne dici?


Che ne dico? Di scambiarci le parti? Ma che gli avrei dovuto dire? Lo liquidai con un freddo vedremo e amen. Questa storia non deve andare in porto. No. Non deve. Implicherebbe troppe complicazioni, troppe verità da dire e troppi sentimenti del cazzo da svelare. Ma perché le cose non possono andare lisce? Perché ci devono essere queste emozioni a sfracassare li coglioni? Perché cazzo non posso essere come gli altri miei fratelli? A loro basta una birra e una scopata e tirano avanti per inerzia. Non se ne fregano minimamente del significato che ha il loro cazzo nella bocca di qualcuno, ne tantomeno di come questo cambi rispetto a quel qualcuno. È tutto così fottutamente complicato, e loro non devono fare neanche finta che non gli importi, perchè ops, sono troppo stupidi perché gli importi davvero. E io no, vigile e cosciente dovevo venire al mondo. Scemo e felice era troppo da chiedere. Vanculo. Se poi ci si mette anche Gallagher a complicarmi l’esistenza con le sue domandine del cazzo. Uno non chiede di cambiare le posizioni così, non è una cosa automatica. Io e Ian siamo quello che siamo. Io prendo quello che lui mi da, l’ho sempre fatto. Ho preso le sue paure, i suoi sogni, i suoi problemi, e persino la sua malattia, e me le sono rovesciate addosso, nel più fluido e candido dei liquidi. Se capite cosa intendo. Lui da, io ricevo. Esclusivamente da lui. Si perché bisogna precisare che se il mio cazzo sbatte un po’ ovunque, per il resto tutto appartiene a Ian. In un modo in cui lui non appartiene a me. Non dopo il dottore, o il soldato. E se devo ammetterlo mi piace avere questo vantaggio. Ti avrò anche spaccato il muso un’infinità di volte, ma sono di tua esclusiva proprietà, perché mi fido solo di te. Ma tu? Se ci scambiassimo i ruoli, tu che faresti? Ian è innanzitutto un troietta viziata, che per ripicca ha aperto negli anni un’impresa edile di trapana culi, e chi mi garantisce a me che alla prima occasione non andrà in giro a gambe aperte? (Se già non lo fa.) So già quello che succederà. Io non ho poi così tanto da offrirgli, in nessun senso, e si stancherà di me, e se ne andrà, e mi lascerà nella menda, e cercherà in altri quello che non posso dargli io. Se gli concedessi questa cosa, lui capirebbe che dal punto di vista del sesso non può ottenere granchè da me, e poi.. Poi finirei col dover ammettere che lui sta con me per qualche motivo in più di una semplice scopata. Non posso fare questo passo. Non sono pronto a guardarmi allo specchio è confermarmi una volta per tutto che sono un frocio della malora. E si, perché se non lo sapevate quello che sta sopra è il più frocio nella coppia. Chi sta giù si gode una cosa nuova, assapora sensazioni nuove che nel solito sesso non avrebbe. A chi sta sopra invece, piacciono gli uomini.. piace averli sotto di sè, piace la sensazione d’avere un corpo solido e scolpito tra le mani, e porca puttana se non mi piacerebbe anche a me avere Ian –il mio Ian- tra le braccia, farlo tremare, sentire di raggiungere e abbattere quelle barriere di virilità che spesso imprigionano gli uomini, che imprigionano anche me. Lo voglio da morire. Lo voglio perché si, cazzo, lo amo come può fare un Mildovich, e forse anche di più. Lo voglio perché si merita di sentire quello che sento io. Di sentirsi come mi sento io. Bellissimo. E amato. Ma no. Non posso dargliela vinta un’altra volta. Voglio fingere ancora un po’. Non voglio fare questo passo. E, soprattutto, non voglio guardarlo in faccia è vedere che chiaramente non sono riuscito a soddisfarlo.


Grazie al cielo c’è il mio bimbetto che sorride sempre a papà. Sorride e mi ricorda che ci sarà sempre della merda più grossa ad aspettarmi, quando avrò finito di spalare quella attuale. E già, perché Svetlana ha questa sua idea tutta strana che se cerca di rifarsi una vita, io non devo ostacolarla e che devo prendermi le mie responsabilità e stronzate varie. Però a volte è utile avere la scusa bella è pronta per svignarsela.
-E.. no sai Ian.. Svetalana va dalla contessa e devo portare il bambino dagli zii.
Perché se non lo sapevate uno dei clienti della mia mogliettina è figlio di sei filorussi comunisti che da quando hanno sentito che il figlio se la faceva con una russa, la invitano a pranzo o a cena quasi ogni giorno e la pagano perché legga Il capitale di Marx ai più piccoli. Quando me lo ha detto la prima volta non ci credevo. Lei sembrava una ragazzina, quasi umana, girovagava per la casa con un sorrisone stampato in faccia che metteva allegria solo a vederlo, si provava questo o quel vestito e chiedeva pareri, e –ma che resti tra noi- mi ha persino dato un bacio in bocca. Le dissi che l’America è la terra delle opportunità, e lei mi saltò al collo. Forse per un minuto siamo sembrati una coppia felice, quando lei tutta rossa in viso usciva di casa e io gli facevo gli auguri. Ma è durato un minuto, perché poco dopo è rincasata con delle cesoie –chissà a chi le aveva rubate-, si è tolta le scarpe coi tacchi, e mi ha rincorso per tutta la casa dandomi dello stronzo, coglione e qualche altra parola russa, perché avevo consumato tutta la benzina. Le dovetti sganciare un centone per prendere i mezzi, che poi chissà che ci avrà fatto col resto sta troia, e la rividi la stessa sera, quando mi raccontò tutto. Questa storia della contessa – noi chiamiamo “contessa” la madre del ragazzo, perché Svetlana dice che indossa la pelliccia che dovrebbe essere appartenuta a qualche commerciante russo anche quando va al cesso- va avanti da un paio di settimane, e io ci ottengo solo qualche bottiglia di liquori d’annata e qualche bacetto sulla guancia di ringraziamento da Svetlana. E ho anche imparato - a mie spese- come far mangiare il pupo e come occuparmi di lui quando mammina non c’è. Menomale che almeno il bimbo mi permette di inventare scuse ingegnosissime quando ho voglia di staccare la spina. Dopo la domanda di Ian, ho passato tutta la mattinata in un bar pieno di papà single che, frustrati, ordinavano un’aranciata in due per se stessi e i loro figli. Ho cercato di mettere più distanza possibile tra me e il mio mondo, tra me e Ina. Quando rientro, con bambino felicemente addormentato tra le mie braccia – pare che starsene in braccio per tre quarti d’ora in metropolitana lo abbia ucciso di sonno- lo metto subito nella culla e poi mi precipito in bagno. Vana è ovviamente la speranza di pisciare in pace. Come mi vede Ian si cerca di entrare nel bagno con me, e anche se vorrei chiudergli la porta in faccia, il tono con cui pronuncia il mio nome, quasi come una preghiera, mi impedisce persino di provarci.
- E’ per quello che ti ho chiesto stamattina?
-Cosa?
- Che sei rientrato tardi.
-Non iniziare con ste stronzate Ian.
- Ma voglio spiegarti!
- Ian smettila!
-Devo farmi perdonare, sai quello che hai detto l’altro giorno.
-Zitto.
- Voglio rimediare ai miei errori, voglio dimostrarti che mi fido di te..
-Non mi devi dimostrare un bel niente. Come ti viene in mente che..
-Ti amo. Voglio dimostrarti che ti amo.
Adesso come diavolo faccio a guardarti in faccia? Dio, sono solo due parole, e sono due parole così banali e smielate! Non dovrebbero farmi quest’effetto. Non dovrebbero farmi sentire così felice, così speranzoso, così leggero. Perché mi sudano le mani? Perché mi stremano le gambe? Perché ho così paura se sto così bene? D’un tratto sento un forte calore alla mano, me la guardo e vedo che è stata raggiunta da quella di Ian. Seguo il percorso che porta dal suo polso ai suoi occhi e, quando li incontro, mi rendo conto che non potrei mai dirgli di no. Neanche se significa quello che significa.
-Ti credo sulla parola. Non dimostrarmi nulla.
Sento sempre più caldo, lo stomaco si contorce e mi si attorcigliano le budella. Lui non si stacca dal mio braccio, e quasi con le lacrime agli occhi, continua:
- E perché non mi vuoi?
-Cristo Ian sta zitto!
- NO! Dimmi perché non vuoi!
-Smettila!
-No.
-Lasciami il braccio!
-Rispondimi!
E mentre cerco di divincolarmi dalla sua presa disperata, lo spingo via con troppa forza e lui perde l’equilibrio e cade. Ho voglia di scappare. Ma non posso. Mi asciugo le lacrime con la manica e cerco di mettere insieme le parole.
-Maledizione Ian! Andiamo.. guardati, e poi.. poi guarda me. Credo che a me manche parecchio non ti sembra?
- Sul serio Mickey? Tutta questa storia per il complesso del cazzo piccolo?
-Ecco vedi! Lo sapevo che non mi avresti capito!
Mi abbasso e gli offro la mano per tirarlo su, ma quel cane – come sempre- mi strascina verso il basso, e mi stringe tra le braccia. Mi sento un bambino. E lui mi culla. Mi bacia i capelli, mi accarezza le braccia, mi stringe a se.
-Ma chi cazzo se ne frega Mickey? Chi cazzo se ne frega..
Forse la consistenza del mio corpo è fragile e delicata come quella del piccolo; sicuramente lo è tra le braccia di Ian.


Arriverà il giorno in cui saprò dire di no a Ian Gallagher, ma quel giorno non è oggi. Né sarà uno dei prossimi. Non adesso che ho finalmente capito cos’è che gli piace tanto della vita di coppia. Per tranquillizzarmi mi ha preparato una tisana, che tra parentesi fa schifo e la sputo immediatamente senza risparmiargli i miei apprezzamenti. Ma lui mi obbliga a bene, dice che sta roba distende i nervi, che l’ha preparata solo per me e stronzate varie. A sorsi piccoli e a bocca stretta, continuo a sorseggiare questa tisana che sa di piscio di gatto, mentre Ian mi massaggia le spalle con tanto impegno che sembra un bambino che prova a fare un disegno per la festa della mamma, a 2 anni. Mi sta martoriando le spalle, ma mi piace.
-Quindi tu.. tu mi fai quella cosa..
-La cena?
-No,no.. Ian.. tu mi fai quella cosa che mi hai detto in bagno..
- Sinceramente non capisco.
-Quella cosa che inizia con la A.
-Aaaaaaaaaa, la cosa che inizia con la A! Bhè, si che te la faccio. Da quando ero piccolo.
-E me lo dici di nuovo?
-Perché?
-Così.
Ian si ferma, si sposta e mi guarda negli occhi mentre mi dice che mi ama. Che mi ama tanto. E io mi sciolgo. Mi fondo. Mi impastiglio e gli sorrido a occhi bassi. Mi guado intorno e gli dico che siamo soli in casa, cercando di sembrare il più indecente possibile. Porca miseria se mi viene duro con poco. Lui mi si siede a cavalcioni come le peggiori troie, e per un secondo vorrei non pensare a dove ha imparato a farlo, prende i lembi della maglia e li fa scorrere lungo il torace, per poi sfilarsela. Respiro, e l’eco risuona in tutta la stanza più forte del dovuto.
-Me la togli tu? – gli chiedo e lui, da bravo soldato, obbedisce.
Quando anche io sono a petto nudo, esattamente prima che Ian inizi a baciarmi il torace –perché sul serio, non ho bisogno di sentirmi ancora più finocchio di come già non mi senta- lo faccio scivolare sotto di me e cadiamo tutti e due sul pavimento, ammortizzandoci il colpo a vicenda.
-Sei così bello.- gli confesso, e lui si scioglie, si fonde e mi sorride distogliendo lo sguardo. La sua espressione di imbarazzo è l’ultima cosa che riesco a distinguere per bene, perché appena ci diamo da fare tutto diventa lucido e sfocato.
-Ancora?
Mi fermo immediatamente, e già rimpiango quel posto chiamato casa che ho appena trovato dentro di lui, preoccupato dal suo tono di voce.
-Che c’è che non va?
-La smetti di dire “Ian”?
Non me ne ero accorto.
-Scusa. Vorrà dire che ti chiamerò Fiona.
-Vuoi essere chiamato Mandy, Mickey, o la smetti?
-Di spingere? Vuoi che smetta di spingere?
-No, cazzo tu spingi ma non chiamarmi e basta!
-Capito Fiona!
Riprendo con un ritmo un po’ più forte, che gli spezza il fiato. Quanto è bello? Quanto cazzo è roscio? E quanto cazzo urla?
-Mandy! Oh MANDY!
Questa me la pagherà. Aspetta a gridare cocco! Lo spingo al limite, al limite più doloroso e fastidioso del mondo, e i suoi mugugni diventano rapidamente gridolini di protesta, finchè quell’esplosione di punti bianchi e arcobaleni non ci colpisce entrambi. Urla. Urla il mio nome. Il mio vero nome. E a ruota lo seguo, gridando su note altissime che lo amo. Non c’è garanzia che mi abbia sentito, ma da come mi sorride, probabilmente l’ha capito.



NdA: puntualissima, eccovi un nuovo capitolo. Mi rimetto come al solito alla vostra clemenza (che è stata già tanta, cioè GRAZIE) e spero che vi piaccia!
Bene al prossimo 24! Un saluto e alla prossima :))

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Capitolo 3
*** About family ***


Questa cosa della "famigliola" mi sta uccidendo.
Se avessi fortuna a quest’ora me ne starei ancora a letto. E invece no. Perché io, un Mildovich devo andare a lavorare. Ho capito che lo faccio con piacere e che sono tanto contento di lavorare con Ian, ma vaffanculo. Possibile che ogni volta che io mi renda disponibile ci devo rimettere? Innanzitutto gli orari sono terrificanti. Dovrei svegliarmi alle sei per andare a lavorare in quello schifo di posto per quattro giorni a settimana. E come si fa quando devo fare il cane da guardia per tutta la notte a Ian? Come faccio a svegliarmi presto in quei giorni? E come faccio a svegliare Ian, che è stanco, impasticcato e ubriaco? La maggior parte delle volte devo trascinarlo a peso fuori dal letto. Ho già imparato che prenderlo sulle spalle è scomodo, non riesco a poggiarlo su una sedia e quando ci provai, Ian cadde di testa per terra. È escluso anche prenderlo tra le braccia, come se fosse una fanciulla o altrimenti non riuscirei a completare l’opera. Vederlo tra le mie braccia, pesante ma delicato, così bianco e rosso insieme, mi ha fatto uno strano effetto quando ciò provato e tutte le mie buone intenzioni saltarono. Aveva ancora un lieve contorno grigiastro attorno agli occhi, delle linee gli sporcavano la faccia pallida e io non potevo sopportarlo. Improvvisamente mi sembrava che puzzasse in modo diverso dal solito, che le gambe fossero cosparse di lustrini e che potessi ancora vedere delle mani estranee avvicinarsi al suo culo. Quel giorno ovviamente non l’ho svegliato. L’ho rimesso a letto e mi sono steso accanto a lui, ho posato una mano sul suo torace e l’ho lasciato dormire, andandomene a lavorare da solo. Però dopo mille tentatiti ho finalmente imparato come fare per buttarlo giù dal letto. Ci sono due modi.O inizio a saltare sul letto alla rinfusa finchè non gli colpisco le palle senza accorgermene, oppure organizzo un varco di cuscini ai piedi del letto e poi devo farlo strisciare su quella pila di cuscini, così o si sveglia per lo sballottamento o una volta sul pavimento, accanto alle sue stesse calze, devo aspettare si e no due secondi prima che si alzi da solo. Sarebbe molto più semplice passargli una tazza di caffe sotto il naso, o fargli il solletico, o qualunque altra cosa che non implichi un determinato sforzo fisico, ma è così bello quando posso sballottarlo a destra e a sinistra come più mi piace, quando posso decidere un po’ io, quando posso giocare con lui senza che mi guardi con quell’aria compiaciuta alla quale non riesco a resistere. E questo e solo uno degli inconvenienti di fidarsi di Ian, infatti non solo lui mi fa alzare presto e mi fa addormentare tardi –per un motivo e per un altro- ma devo anche preparagli il pranzo e fargli il bucato. Cioè, devo porgergli il cibo che ci prepara Fiona e mettere le sue fottute mutande nella lavatrice. Lo so, non è niente di che, considerato che sono un uomo ormai, che ho un figlio e ho fatto pure outing. Ma voi non avete idea di quanto sia difficile premere i pulsanti della lavatrice quando c’è una testa rossa come Ian di fronte a te che si ricorda sempre all’ultimo momento che anche i vestiti che ha addosso sono sporchi e devono essere lavati. Lo fa per ripicca. Si mette davanti a me e si spoglia, poi mi porge i vestiti e mi guarda mentre metto a fare la lavatrice. Perché non mi dice direttamente “Pulisci donna” ? Perché le sue intenzioni sono ben diverse. Perché quando rimane in mutande davanti a me si impunta e pretende che anche i miei vestiti siamo sporchi e da cambiare. Non ha capito che sono un tipo pulito io. Però io mi tolgo lo stesso maglia e pantaloni, così, per sbatterglieli sotto il naso e per dimostrargli che sono pulitissimi. Non ha mai avuto nulla da ridire, se non che voleva accertarsi anche della mia igiene orale. E mica io posso lasciarlo con un dubbio simile? Certo che no. Che dirvi, a volte mi piace quando mi tratta come una troia. Solo che lo stronzo pare che lo faccia a posta a gemere come un gatto in calore. A volte è capitato che Svetlana è venuta a controllare che non lo stessi malmenando, altre però, si è limitata solo a richiamarci da una stanza all’altra, urlandomi che potrei farle concorrenza.


Però ci sono anche dei lati solo positivi in questa stupida vita di coppia. L’altro giorno, per esempio, si è svegliato tutto pimpante, mi ha preparato la colazione, ha svegliato il piccolo, l’ha cambiato, ha persino baciato Svetlana sulla guancia e se ne è andato gridandomi che mi amava dal giardino. Mi sono sentito come uno stupido,non sono abituato a subire tutte quelle attenzioni e ad arrossire di fronte a mia moglie, ma diamine è la sensazione più bella del mondo. Avere gli occhi addosso e sentire che qualcuno è invidioso di te, che vorrebbe stare al tuo posto. Questa è la sensazione più bella del mondo. Vedere come mi guardano i tizi gay che danno le feste alle quali Ian mi trascina, come se fossi un privilegiato, come se nella mia vita di merda ci fosse qualcosa di meritevole. Effettivamente quel qualcosa c’è, è si chiama Ian, ma non credo di avere molto di cui vantarmi. Ha fatto tutto lui, come al solito. Mi ha fatto vedere le cose in un modo nuovo, mi ha incasinato l’esistenza ma mi ha reso una persona felice. E forse è vero che sono fortunato e che, diciamocelo, ho avuto culo. Ma sarà altrettanto vero che tutto so culo me lo merito? Si, e che cazzo, Ian è un fottuto schizzato e io me ne prendo cura. Lo sopporto, lo ascolto, lo bacio e lo coccolo, gli preparo il tea alle sei del mattino se me lo chiede ed esco a compragli le ciambelle la sera se ne ha voglia, gli faccio il bucato, lo accontento, lo sorveglio, gli do la mano per strada e non vado a lavorare quando ha bisogno di me. Quindi, tu, stupidissimo me stesso che si odia e che persa di non peritarsi uno stronzo egoista come Ian, bhè ficcatelo in culo. Perché tutte le volte che devo stare attento a quello che dico, a come lo dico e a quello che faccio e a quello che fa Ian perché cerco sempre di non essere io la causa delle sue crisi, io lo faccio con impegno, e me le merito le sue fottute paroline gentili. Me le merito perché tutte le volte che è più esuberante, che è più voglioso o semplicemente più allegro mi si gela il sangue perché so che dopo gli alti ci sono i bassi. Sapete cosa faccio quando lo vedo in quello stato? Lo porto a pranzo fuori. Io, un Mildovich! Spero che almeno apprezzi lo sforzo, perché mi ci vuole sempre un’eternità per preparare tutto e per posizionarlo nel modo più corretto in quel cazzo di cestino della nonna che mi porto dietro. Certo, perché quando ho detto “a pranzo fuori” intendevo che io cucino e che mangiamo in un posto all’aperto. Non come un cazzo di pic-nic, non ci sono ne tovaglie a quadrettini ne piatti o bicchieri di plastica. Mangiamo dalle ciotole, come i barboni. Sprofondiamo nel bel mezzo del nulla, in mezzo alla neve, in posticini abbandonati, e mangiamo. A volte la versione super eccitata di Ian mi chiede di imboccarmi fino allo sfinimento, altre mi ruba il cibo dalla ciotola, o inizia a farmi il solletico per distrarmi oppure getta palle di neve nel pranzo, così per darmi fastidio. Invece quando la caduta è già iniziata si raggomitola accanto a me oppure si spiattola sulla neve a guardare un punto impreciso. Ma in ogni caso finiamo sempre sdraiati l’uno accanto all’altro. Ian mi dice sempre che mi ama. Fa come mi bimbi. Attacca con sto cazzo di “Io ti amo tanto tanto tanto, e tu?” e non la smette finchè non gli rispondi. A volte me lo chiede allegro, altre volte triste, a volte sembra che mi prenda in giro, altre che dalla mia risposta dipenda tutta la sua vita. In ogni caso, io rispondo sempre di si e così evito contenziosi. Poi quando è spossato si addormenta con la testa sul mio stomaco, e ha fortuna che non posso picchiarlo in quello stato perché ha una testa pesante, di coccio. Quando è pimpante invece non se ne parla di dormire. Probabilmente se ne accorge anche lui quando è vicino a crollare e così si mette a parlare ore e ore e ore di cose senza senso. Inizia con delle storie buffe su Frank e finisce con i suoi piani di vendetta nei confronti dei professori del liceo o dei vecchi che scoreggiano e ti danno la colpa sugli autobus. E io lo ascolto pazientemente, ma non sempre. Ci sono anche quelle volte che mi si appesantiscono le palle talmente tanto che gli tappo la bocca con le mani e qualunque sia la temperatura gli sbottono i pantaloni.


Questo è il nostro starno, incosciente modo di essere una famiglia. C'è Fiona che ci fa visita ogni due ore, Svetlana che ci urla appresso, il bambino che frigna e che preferisce stare in braccio a Ian che in braccio a me - non lo biasimo-, Lip che scassa i coglioni, Mandy che piange, Carl che non la smette mai di fare domande, Debbie che è meglio che non ne parliamo e il Liam che già cerca di prendere in braccio il mio piccolo. Siamo due coglioni che ne bene e nel male sanno che le cose non possono che peggiorare e non fanno nulla per fermarlo. Due che si sono scelti. Che hanno deciso di non scappare l'uno dall'altro quando le cose andranno di merda, ma di rifugiarsi ognuno tra le braccia dell'altro. Se questo vuol dire famiglia, mi sta bene. Ma io amavo Ian anche prima di tutta sta merda. Anche prima che Terry lo scoprisse o prima che mi dichiarassi. Avrei continuato ad amarlo anche senza tutto questo clamore, si adesso sto più tranquillo, ma sai che goduria. Questa stronzata serve solo a Ian, piace solo a Ian, il che è abbastanza equo visto che l'unica cosa che piace a me è Ian.


NdA Bene, questo era l'ultimo capitilo di questa storiella, questa piccola finestrella sulla vita dei Gallavich come me la sono immaginata io! Grazie a tutti, e ripeto GRAZIE, per tutti i commenti meravigliosi che avete lasciato (e fatemi sapere che ne pensate anche di questo finale c:) di tutte le persone che hanno messo tra le seguite, tra i preferiti e i ricordati! G-R-A-Z-I-E! Scriverò presto altre Gallavich, vi informo che è in cantiere un'AU davvero particolare e che sto già pubblicano una Song Fic su questa coppia! Grazie di nuovo a tutti, e spero di avervi soddisfatto con questo finale e con la Fic in generale!
Un saluto gigante a tutti!!

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