Chissà un giorno...

di bacionero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** The edge of glory ***
Capitolo 3: *** Armoniche e posacenere ***
Capitolo 4: *** La verità ***
Capitolo 5: *** Misure estreme? ***
Capitolo 6: *** Arrivi e partenze ***
Capitolo 7: *** Sin city ***
Capitolo 8: *** Una lama di luce ***
Capitolo 9: *** Come il cioccolato ***
Capitolo 10: *** L'ultimo giorno d'estate ***
Capitolo 11: *** La luce e le ombre ***
Capitolo 12: *** Ubi maior ***
Capitolo 13: *** Appuntamento con il destino ***
Capitolo 14: *** Pensandoti forte (brownies e filosofia) ***
Capitolo 15: *** Amicizia ***
Capitolo 16: *** Sei ancora capace di sognare? ***
Capitolo 17: *** Nessun dorma ***
Capitolo 18: *** Cinquanta sfumature di William ***
Capitolo 19: *** Storia di un fazzoletto ***
Capitolo 20: *** Midnight memories ***
Capitolo 21: *** A che gioco giochiamo? ***
Capitolo 22: *** Bring me to life ***
Capitolo 23: *** Le chemin du pardon ***
Capitolo 24: *** Sipario ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Tutto era pronto quel giorno per il funerale della zia Elroy: il cibo di conforto era stato elegantemente apparecchiato sul buffet, i fiori e tutte le suppellettili erano state collocate nel  posto migliore e la servitù in nero e con l’aria più impassibile del solito, anche se malinconica, si aggirava per la grande villa alla ricerca di qualcosa da raddrizzare, sistemare, migliorare, mentre i primi parenti e amici della famiglia facevano ritorno dal luogo della sepoltura.

Matrimoni e funerali sono le occasioni tipiche per ritrovarsi nelle grandi famiglie, che spesso per i più svariati motivi si ritrovano disgregate e non riescono ad accordarsi neanche sul luogo dove passare il Natale: troppi interessi e impegni diversi. Per festeggiare un congiunto che si sposa, e forse anche per malignare sul parente acquisito, e per dare l’estremo saluto ad un membro della famiglia, ci si sente al contrario disposti ad accordare la preferenza a quest’ultima, ad onta di qualsiasi impegno.

Fu così che quel giorno Patty o’ Brian dovette lasciare la prestigiosa università dove stava studiando e prendere due giorni di congedo, Annie Brighton fu richiamata in fretta da Aspen, Archibald Cornwell dovette rinunciare al viaggio di piacere  alle cascate del Niagara e Albert Andrew a quello di lavoro in California, i  Legan dovettero abbandonare il nuovo albergo aperto dal capofamiglia  in Florida e Candy Andrew partì in tutta fretta dalla casa di Pony con il timore che il carretto imprestatole dal signor Cartwright non la portasse in tempo alla stazione dove avrebbe preso il treno per Chicago.

Quando verso le tre del pomeriggio anche l’ultimo invitato se ne fu andato tutti gli interessati si diressero nello studio del notaio, Mortimer Mc Donald ,per essere  edotti sulle ultime volontà di Elaine Rose Andrew.

La zia lasciava gran parte della sue sostanze alla figlia adottiva Sarah Legan, un lascito ad un istituto di beneficenza per orfani, una piccola imbarcazione ad Archie, un ricordino più o meno prezioso a ciascun membro della servitù e ,dulcis in fundo, come se sapesse che sarebbero stati i più interessati alle sue parole, il notaio scandì lentamente quella parte del testamento che riguardava i fratelli Legan, destinatari di un consistente fondo fiduciario cui avrebbero potuto attingere a piene mani solo a trenta anni compiuti.

-Ma come è possibile?- tuonò esasperato Neal, mentre la sorella si tratteneva a stento, con un lampo  negli occhi- mancano dieci anni! Non è giusto che io alla mia età non possa liberamente disporre del mio denaro!

-Calmati Neal- ribattè prontamente Albert-la zia è stata molto previdente e direi anche generosa. Con i profitti degli alberghi tirati su da tuo padre e una piccola quota nelle azioni della famiglia direi proprio che non patirai la fame. In ogni caso la zia si è ricordata dei nipoti acquisiti a cui ha dato tanto anche in vita, dimostrando ancora una volta quale posto speciale occupavate nel suo cuore.

Con queste osservazioni   Albert lasciava intendere che quasi tutti i beni della zia erano andati ai Legan e non ad altri rami della famiglia essendo la zia ben a conoscenza  che essi riscuotevano una certa antipatia  presso tutti loro.

-…e c’è un’ultima postilla….fece il notaio, dopo essersi schiarito la voce-c’è una somma da destinare alla signorina Candice Andrew a condizione che la stessa rimanga a vivere nella villa di Chicago per almeno sei mesi.

Che cosa??!!-tuonarono in coro tutti tranne una sconvolta Candy. Iriza serrò i pugni intorno ai fianchi, la signora Legan simulò uno svenimento, il signor Legan si lisciò i baffi e Archie e Albert guardarono stupefatti Candy come a chiederle se sapesse qualcosa. La richiesta della zia era strana anche per l’esiguità della somma da destinare alla ragazza, qualcosa che lei avrebbe potuto esigere e ottenere da Albert in un minuto.

Con questa somma darei da mangiare e anche bene ai bambini della casa di Pony per un anno, potrei far loro un bel regalo di Natale e comprare  un cavallo-pensava Candy assorta nei suoi pensieri, incurante degli sguardi che la attraversavano da parte a parte. Ma ad un tratto un altro pensiero cacciò di prepotenza conti e progetti. La ragazza fece un passo avanti e con decisione affermò che avrebbe accettato la proposta.

-Candy lo sai che non sei obbligata ad accettare. Potrei darti questa somma in qualsiasi momento senza che tu debba accettare alcun compromesso. So che alla casa di Pony stai bene e che hai tanti progetti per i tuoi piccoli amici- le disse Albert.

-Lo so bene che tu mi aiuteresti, ed io ti ringrazio per questo ma vedi io voglio rispettare le ultime volontà della zia, quindi ho deciso di accettare e poi sai, sei mesi passano in fretta.

Stupiti per la decisione della ragazza, che non aveva mai  mostrato particolare propensione per la vita altolocata della famiglia né per gli stessi membri, ad esclusione di Archie ed Albert, gli astanti si dispersero mentre Albert rimase con la sua protetta per chiederle spiegazioni.

-Candy, hai una vaga idea di cosa significhi restare qui per sei mesi, in un ambiente che detesti e che non fa parte di te? A meno che non ci sia un altro motivo che ti spinge a questo passo, oltre al denaro…

-Beh sì Albert. Il fatto è che la zia non mi ha mai dimostrato particolare affetto né mi ha mai detto di avermi veramente accettata. Se adesso la sua volontà è che io rimanga in questa casa, questo vuol dire che alla fine della sua vita, anche se non ha mai avuto il coraggio di dirmelo, lo ha fatto, e adesso vuole che io mi comporti come un vero membro della famiglia, abitando nella villa degli Andrew e cominciando ad apprendere quello stile di vita che dovrebbe far parte di me.













Salve a tutte! Stamattina, impedita come sono con l'html, ho cancellato inavvertitamente la storia, cioè dopo aver fatto delle prove ed avere postato una parte del terzo capitolo per vedere come compariva per poi cancellarlo, non mi sono accorta che la pagina mi stava chiedendo di cancellare tutta la storia ed io ho cliccato "sì", mentre invece volevo cancellare solo quel pezzo di capitolo.
Chiedo scusa a tutti coloro che mi hanno letta in questi giorni, a coloro che hanno commentato e a coloro che hanno inserito la storia nelle preferite e seguite. Sono mortificata! Adesso dopo questo primo capitolo posterò il secondo. Ciao!

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Capitolo 2
*** The edge of glory ***


Nella grande sala tappezzata di antichi arazzi e preziose carte da parati damascate  la biondina dagli occhi vispi e il sorriso facile firmava le condizioni della  resa, la  permanenza a Blueberry Mansion, l’enorme e lussuosa residenza principale degli Andrew alle porte di Chicago.

-Ecco fatto-disse allegramente mentre restituiva la penna al notaio- adesso so che mi è proibito andarmene anche solo per un giorno prima della scadenza dei sei mesi e che dovrò prendere parte a tutte le attività degli Andrew…beh, meglio per me se me ne faccio subito una ragione-disse ironicamente guardando uno sbalordito Albert, il suo protettore, il quale se avesse scommesso tutto quello che aveva sull’obbedienza della ragazza alla zia si sarebbe ridotto sul lastrico.

-Albert non guardarmi così, cosa c’è di meglio nella vita di una bella prigione dorata? Può anche  darsi che dentro di me si celi un’indole masochista…beh ti saluto, vado a farmi un giro al giardino delle rose, lì almeno potrò essere un po’ me stessa…un vero maschiaccio!- disse Candy avvicinandosi al compassato notaio e scandendo bene le ultime tre  parole, mentre Albert mal dissimulava la risata con un colpo di tosse.

Non appena fu lontana  dalla portata di Mortimer Mc Donald e di Albert Candy tirò fuori la camicia dai pantaloni, si stiracchiò come meglio potè, si alitò su una mano per sentire se le era rimasto il sentore del caffè, sbadigliò e si legò i capelli avvolgendo su di essi una ciocca laterale.

Già faceva progetti sui numerosi malesseri  che inspiegabilmente l’avrebbero colta di lì a poco, certa che Albert e un dottore compiacente l’avrebbero messa al riparo da noiose conferenze e celebrazioni; la zia era stata molto buona con lei, dimostrandole di averla infine accettata, e ciò l’aveva spinta ad acconsentire  a sua volta a  restare a Blueberry Mansion per sei mesi, ma questo non voleva dire costringersi a cambiare ed essere quello che non era. Se doveva essere una Andrew doveva esserlo a modo suo.

Mentre era così assorta udì da lontano due voci concitate, erano quelle di Archie e di Annie.

-E così Annie hai deciso di partire, ma non pensi a me?

-Pensare a te? E’ quello che faccio da quattro anni ormai! Ho sempre messo te al primo posto, sei sempre venuto tu prima non dico dei miei bisogni ma dei miei desideri…forse aveva ragione la zia Elroy a dire che eravamo troppo giovani per sposarci! Io sono andata ad Aspen, tu stavi andando alle cascate del Niagara, e tutto questo ci è sembrato così normale…almeno a me lo è sembrato…anzi no, sono una bugiarda, mi sono sentita così bene al pensiero che non ero la compagna di Archibald, ma io, Annie! Era a me che si rivolgeva il cameriere al ristorante quando volevo ordinare, mia la prenotazione, mia la firma sul registro degli ospiti...non ero più il tuo grazioso orpello e non  avrei mai pensato che sentirmi indipendente fosse tanto entusiasmante…

-E i nostri progetti, Annie? Il nostro amore…

-Ma io ti amo ancora, Archie, è solo che adesso voglio fare qualcosa per me. Ho sempre cercato di compiacere tutti, prima Miss Pony e Suor Maria, poi i miei genitori, infine te…ma l’ho fatto con piacere, cosa mai poteva esistere per me di più importante dell’ essere considerata la graziosa e perfetta  bambolina che sta bene in qualsiasi salotto…io non sto rinunciando al nostro amore, ti sto solo chiedendo di aspettarmi, e se mi ami davvero lo farai.

-Annie, un anno non è cosa da poco…

-E cosa dovrei fare, rinunciare ai miei sogni? Vado a Parigi per occuparmi di moda e imparare qualcosa in questo campo, così da poterlo trasformare nella mia attività, e quando ci saremo sposati ognuno di noi avrà il suo lavoro. I tempi stanno cambiando, Archibald, e vedrai che tra qualche anno le donne andranno persino a votare, e sarà considerato normale avere delle carriere separate.

Archie pensò che forse la sua fidanzata leggeva troppi giornali di moda e volantini propagandistici delle suffragette…o forse aveva ragione, era giusto che trovasse  un suo ruolo nella vita e seguisse  in qualche modo l’esempio della sua amica-sorella Candy.

-Annie, tu mi prometti che al tuo ritorno…al tuo ritorno i tuoi sentimenti non saranno cambiati?

-Non ho bisogno di prometterlo, Archie, conosco i miei sentimenti. Adesso scusami ma devo tornare a casa e ultimare le valigie, ti giuro che ti scriverò ogni giorno…arrivederci!

Così dicendo andò via prima che Archie potesse ancora dire qualcosa. Il ragazzo rimase a guardarla fin quando si accorse che Candy era dietro di lui con lo sguardo intelligente di chi ha udito e capito ogni cosa.

-Mi dispiace Archie…io lo sapevo. Erano così strane quelle lettere che mi mandava da Aspen, non sembrava più la mia Annie. Ma forse è cresciuta e noi dobbiamo accettarlo, facciamolo per lei. In ogni caso non devi dubitare del suo amore.

-Non ne  dubito, ma ti confesso che nel tempo ho imparato a non poter fare a meno di Annie. La sua vicinanza mi riempie la vita e se all’inizio sembravo  il più forte nella coppia, adesso non riesco a fare un passo senza di lei. Ho paura che questa cosa possa destabilizzarmi e indurmi a commettere delle sciocchezze…

Archie si interruppe e fissò Candy come se la vedesse per la prima volta, quel giorno.

-Ma come…come ti sei conciata? Sei un disastro, Candy! Da dove è uscita fuori quella camicia? E guardati le mani, sono tutte sporche di inchiostro! Per non parlare dei tuoi bellissimi capelli che…

 Candy alzò gli occhi al cielo-Alt, alt, Archie. Già una volta permisi a te e a Stear di prendervi cura del mio aspetto, quando mi cuciste quell’abito elegante la sera la sera del mio debutto a villa Andrew, ma allora volevo fare bella figura con Anthony. Adesso non mi vorrai mica dire che approfittando della mia presenza a Blueberry Mansion  ti proporrai come  mio Pigmalione? Perché io non sarò mai la tua “my fair lady”! Quindi se ti è venuta la bella idea di fare con me più o meno quello che Annie sta facendo a Parigi…beh, ti consiglio di lasciar stare!

I due amici risero, e con tanta  più soddisfazione quanta era stata la mestizia nei loro cuori fino a qualche minuto prima, l’una preoccupata dello stile di vita che l’attendeva restando  alla villa, l’altro affranto dalla partenza della fidanzata.

-Beh Candy, credo proprio che non ci rimanga altro che appoggiarci l’una all’altra. Sono sicuro che mi aiuterai a superare questo periodo difficile. Per me è una vera fortuna che tu sia qui…

-E per me è una fortuna averti come amico-rispose la ragazza, a sua volta sollevata dalla dichiarazione d’amicizia di Archie.

E rincasarono in villa.

 
                                                                           
 
Ciao, anche questo secondo capitolo è stato ripubblicato. Mi scuso ancora con tutti coloro che non hanno più trovato la storia, purtroppo dormire poco mi fa brutti scherzi e quando mi capita meglio non azzardarsi a cimentarsi in cose che si conoscono poco! Cercherò  di stare più  attenta, chiedo ancora venia!

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Capitolo 3
*** Armoniche e posacenere ***


Ancora disteso sul letto della sua camera Terence Grandchester  poggiò sul comodino Le Vicomte de Bragelonne di Alexandre Dumas e abbrancò l’armonica che soleva  suonare  prima di una rappresentazione importante perchè gli liberava  la mente, portandolo ad acquisire  la giusta concentrazione.

Ma inevitabilmente il gesto consueto lo fece pensare a lei.

A quel pomeriggio a Rocktown. A  quell’incubo. A quel fantasma.

Un tendone da circo con delle vecchie sedie di legno, non un palcoscenico nè ribalta nè riflettori. Un uomo con la sua solitudine. Ricorda bene ciò che successe quel pomeriggio, Terence, tutte le volte che tiene tra le labbra quell’armonica, ricorda quando  in quello squallido teatro non riusciva nemmeno  a mettere a fuoco ciò che lo circondava,  la mente annebbiata dai fumi dell’alcol e dalle risate degli spettatori…anche se in fondo le  meritava….balbettava barcollava e la sua voce era arrochita, impastata disarticolata. Non scandiva  le parole, figuriamoci  trasmettere il pathos della piece teatrale, che già per la sola presenza dell’attrice  che recitava con lui era una farsa! Sì perché bisognava proprio  essere ubriachi anche più di lui in quel momento per avere il fegato di avvicinarsi a lei e baciarle la mano come richiedeva il copione. Eppure questa atmosfera ovattata, estraniante, era ciò che andava cercando. Non era lui in quel momento, non esisteva, era solo una pallida rappresentazione di ciò che aveva fatto di lui   il  male pervadendolo fino all’ultima cellula. Sapeva  che sarebbe  potuto  essere meglio di così, ma non voleva, non avrebbe  avuto senso.

All’estremità opposta di quello squallido tendone c’era la causa del suo male, o forse solo il suo fantasma, e ancora dopo due anni non riusciva a stabilire se quella fosse stata  la sua donna in carne ossa e respiro o il frutto della sua mente obnubilata, il parto abnorme della sua malattia il mostro deforme della sua coscienza. E poi il pubblico aveva taciuto.

Ed ecco che all’improvviso si era ripreso  e aveva  ricominciato  a recitare come sapeva che avrebbe fatto  per il resto della vita. Se recitare fingendo  di star bene senza di lei  doveva cominciare in quel momento, tanto valeva tirare fuori tutta la sua grinta e la sua disperazione. Da quando gli apparteneva la mediocrità?

La voce era di nuovo piena, diaframmatica,  il pubblico non vedeva  più il costume sgualcito né il teatro fatiscente, e pur essendo composto in massima parte da gente rozza e ignorante accorsa in massa per assistere a buon prezzo alla recita di un famoso attore-e quando gli sarebbe ricapitato?-per la prima volta dall’inizio di quella penosa piece comprendeva  il significato della parola teatro, e come i famosi topi del pifferaio magico veniva trasportato  altrove, in un posto più ordinato e  luminoso, un posto  che era stato loro  sempre precluso. Vero e falso si mescolavano, e il falso poteva essere più vero del vero.

Voleva  ritornare ai fasti di un tempo, Terence, finalmente aveva trovato qualcosa che avesse un senso. Alla fine della rappresentazione aveva chiesto   della ragazza carina che stava in fondo, ma nessuno sembrava  averla vista, soprattutto sembrava strano che in un posto simile potesse entrare una ragazza carina.

Era tornato  in quella squallida  platea e si era seduto sulla prima sedia libera,  aveva acceso una sigaretta… come aveva potuto non fargli pensare, anche quel banale gesto, alla sua Candy? La ragazza che gli aveva dato l’armonica  che adesso era tra i suoi pochi effetti personali in quella specie di sgabuzzino adibito a camerino…


Mentre ripercorreva con la mente per l’ennesima volta quell’episodio, la porta si aprì violentemente ed entrò piangendo una ragazza.

-Signor Terence! signor Terence!

-Ethel!

Terence fece appena in tempo a mettersi in piedi che la ragazza gli si gettò letteralmente tra le braccia.

-Ti ha tirato di nuovo il posacenere, giusto?

-Siiiiiii…..-rispose lei con un singhiozzo.

La vittima del lancio del posacenere era l’assistente personale di Susanna Marlowe, la lanciatrice quest’ultima. Da quando aveva smesso di recitare Susanna si era messa a disposizione della compagnia Stradford, diventando una specie di factotum, poteva riadattare i testi shakespeariani in caso di particolari rappresentazioni, curare i rapporti con la stampa e improvvisarsi insegnante di recitazione quando ce n’era bisogno. Ovviamente aveva preteso un’assistente che si occupasse di tutte quelle sciocchezze che le sottraevano l’energia mentale per occuparsi delle cose importanti.

-Signor Terence….-continuava a singhiozzare l’assistente, una ragazza  pallida minuta e con gli occhiali.

-Coraggio Ethel, ti do la mia parola che questa è davvero l’ultima volta che dovrai sopportare una cosa del genere…

Per tutta risposta Ethel, anziché ringraziare il suo benefattore si strinse ancora di più contro di lui cercando come meglio poteva di approfittare della  situazione.

Terence la staccò a forza da sé continuando a consolarla mentre nel frattempo la porta si apriva e Susanna faceva il suo ingresso, appoggiandosi come  al solito ad una stampella.

-Ah, eccola dov’è quella sciagurata! Quell’inetta!

-Susanna, ora basta, devi del rispetto a questa ragazza come tu pretendi di averne. Ethel, adesso va’ e chudi la porta, io devo parlare con Susanna.

La ragazza gli fece un cenno col capo, come a dire che si fidava di lui, e senza rivolgere un’occhiata alla Marlowe uscì discretamente dalla camera di Terence.

-Ma guardala, quella gattamorta! Non vedeva l’ora di gettarsi tra le tue braccia! Quell’acqua cheta!

Terence le rivolse uno sguardo acceso, ma la galanteria gli impedì di dire che lui ne sapeva qualcosa di acque chete. Tuttavia voleva seriamente contribuire alla serenità della compagnia e capiva bene che il suo intervento era indispensabile.

-Susanna, Ethel è la terza assistente che la compagnia ti fornisce in un anno. Se anche lei dovesse licenziarsi, stai tranquilla che farò delle pressioni su Robert Hathaway affinchè ridimensioni alcune spese non necessarie.

Susanna si sentì punta dal vivo. Da quando si era liberata della compagnia della madre dicendole chiaro e tondo che non era quello il genere di amore materno che si era aspettata da lei, e da quando si era accorta di essere necessaria alla compagnia ancora di più di quando vi recitava, la sua autostima era cresciuta in maniera esponenziale e le critiche per lei erano divenute delle vere crudeltà che non riusciva a spiegarsi e che la rendevano ancora più indisponente. Solo in quei momenti si rendeva conto di ciò che veramente le mancava.

-Terence…Terence…e pensare che se solo tu…oh, caro!...

-Susanna, ne abbiamo parlato tante volte. Ti sono sempre stato accanto in questi anni…

-No! Quando quella sera lei se ne andò e tu la guardasti andar via nella neve mi dicesti di avere scelto me! Avevi scelto me! Me!

-E infatti mi hai forse visto con qualche altra donna? Ti ho mai trascurata quando avevi bisogno di una spalla per piangere? Ti ho mai negato il mio tempo?

-Ma io ero sicura…ero sicura che quando mi dicesti di avere scelto me intendevi dire che ti saresti preso cura di me non solo come un amico ma come un uomo…

-E tu, Susanna, se non ricordo male mi dicesti che non avresti mai voluto farmi soffrire con il tuo egoismo…o erano solo frasi di circostanza, eh, dimmi, coraggio! Lo dicesti perché eri sicura che tanto  non sarei mai sceso a rincorrerla, eri sicura che lei non sarebbe tornata indietro, eri certa, assolutamente certa  della lealtà di…

Si bloccò immediatamente, resosi conto che nessuno dei due aveva pronunciato il suo nome.

-Ora capisco…capisco tutto, Terence, tu non puoi abbandonarti, non puoi lasciarti andare con una donna che odi…perchè tu mi odi...perchè sono io la causa della separazione dal tuo grande amore, non è così?

Terence non riuscì a negare, e Susanna non riuscì a dirgli per orgoglio che poteva pure andare a cercarla, ma sì che la cercasse pure, tanto lei poteva anche fare a meno di lui…non glielo disse perché sapeva che sarebbe sparito all’istante per andare da Candy.

-Bene Terence, penso che ci siamo detti tutto…sai bene come sono fatta. Sono complicata, ma c’è anche del buono in me, davvero.

-Non lo metto in dubbio, ma spero che venga fuori più spesso. Adesso vado fuori a fare un giro, ho bisogno di ritrovare la concentrazione per stasera.

E uscendo prese in mano il posacenere poggiato su un tavolino di legno e lo fece cadere per terra.

-Era l’ultimo. Volevo  romperlo io.

 
 
 
Salve a tutte! Rieccomi con questo terzo capitolo più curato nella forma html. Deve vincere la tecnologia su di me? Giammai! Eh eh…Da autodidatta del pc posso dire che tutte le volte che ho commesso qualche svista  del genere di quella di stamattina mi sono cimentata  con ancora maggiore accanimento per capire dove sbagliavo e imparare più cose.  Il carattere di questo capitolo  mi sembra più “riposante” e inoltre ho ingrandito un po’ il testo. Grazie a che mi sta leggendo e a chi mi leggerà.

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Capitolo 4
*** La verità ***


Erano trascorsi già due mesi da quando Candy si era trasferita a Blueberry Mansion, e la vita che aveva condotto fino a quel momento non le era parsa poi tanto male. La tenuta era vastissima e lei poteva cavalcare, fare lunghe passeggiate e arrampicarsi sugli alberi proprio come faceva alla casa di Pony. Il suo amico Archie costituiva per lei una risorsa non indifferente, infatti era proprio con lui e a bordo della sua Ford modello T che organizzava delle piccole fughe nella downtown  di Chicago per fare shopping o cenare in qualche ristorante alla moda. Spesso quella era l’occasione per Archie di sfogare con la sua amica il rimpianto per la fidanzata lontana, che a Parigi sembrava aver finalmente trovato la sua dimensione, come traspariva dalle lettere che inviava quasi ogni giorno in America.

A Candy faceva piacere sostenere con la sua vicinanza Archibald, e nel contempo godere della presenza di un amico che la conosceva sin dalla fine della sua infanzia. Qualche volta si erano fermati a ricordare i bei tempi andati, Stear ed Anthony, il collegio e tutti quegli altri avvenimenti che li avevano legati, ma il più delle volte preferivano fare progetti per il futuro e chiacchierare liberamente  su ciò che accadeva in villa, e l’armonia che c’era tra di loro li faceva pensare nello stesso modo e ridere delle stesse cose. In particolare era proprio quando Albert era via per lavoro che la compagnia di Archie si faceva più necessaria, infatti Patty, che aveva partecipato al funerale della zia Elroy pur non avendo più alcun legame con la famiglia dopo la morte di Stear, si era trattenuta a Blueberry Mansion solo una settimana, poi era tornata alla sua vita di sempre.

-Pensi ancora a Terence?-si era azzardato a dirle lui una volta che stavano seduti sul prato della villa a chiacchierare.

-Sì, Archie, e da un momento all’altro mi aspetto di leggere sul giornale la notizia del suo matrimonio con Susanna…

-Candy, non sai quanto mi dispiace che sia finita così. Mi stava antipatico ma ricordo bene la luce nei tuoi occhi quando parlavi di lui. Ho saputo che tra un mese sarà qui con la  compagnia Stradford a Chicago.

-L’ho saputo anche io, ma non credo proprio che andrò. Non voglio riaprire una vecchia ferita e soprattutto non voglio pregiudicare il loro rapporto, se per caso lui o Susanna mi vedessero.

La conversazione terminò lì perché entrambi si sentirono  imbarazzati da tanta confidenza e nessuno di loro volle approfondire il discorso. D’altra parte desideravano essere una buona compagnia l’uno per l’altra, cercando di bandire il più possibile ogni malinconia, e  questo li aiutava a trascorrere giorni  sereni.

Così se non fosse stato per la presenza importuna di Neal, la nuova vita come “signorina Andrew a tutti gli effetti” le sarebbe anche potuta piacere, sempre a patto di avere la possibilità di tornare tutte le volte che avesse voluto alla casa di Pony.

Se infatti Iriza aveva rinunciato a tormentarla optando per una più tranquilla indifferenza per mascherare financo a se stessa l’invidia che continuava a provare per la sua nemica di sempre, Neal al contrario si era fatto avanti di nuovo  infastidendola con la sua poca delicatezza. Quello che doveva essere un corteggiamento per la bionda ragazza, anziché essere qualcosa di delicato come il petalo di una rosa, nelle  mani di Neal diventava un approccio molesto che aggiungeva altra antipatia a quella già esistente.

All’inizio si era trattato di qualche sguardo, un ammiccamento quasi impercettibile, poi era passato a qualche battuta di spirito poco divertente e negli ultimissimi tempi era giunto  a ciò che lui chiamava una dichiarazione . Ma Candy non si era scoraggiata per il suo comportamento anzi aveva notato con sarcasmo che restava lo stesso vigliacco di sempre, capace di sciogliersi come neve al sole ad un’occhiataccia di Albert.

Quel giorno di inizio settembre Blueberry Mansion era stata tirata a lucido più del solito e  l’argenteria più preziosa brillava in bella mostra  per il sontuoso pranzo in stile europeo organizzato per degli  ospiti speciali,  dei partner di lavoro di Albert, i quali erano giunti in sobrie redingote di cui poi si erano liberati per lasciare spazio alla più elegante moda inglese. Era stato servito un pot-au-feu, una minestra accompagnata da  uno sherry secco, medaglioni di agnello accompagnati da uno  Château Lafite del 1890, parfait de foie gras  e quaglie con uva in crosta, infine frutta, dessert e petit fours.

Con tutto quel buon cibo, Candy fece poco caso alle discussioni che i convitati cercarono comunque di mantenere su argomenti leggeri, e non vide l’ora infine di potersi infine alzare e recarsi con tutti gli altri in salotto a prendere il caffè. Ma essere ancora costretta a parlare tanto piano come se sussurrasse e sorbirsi la compagnia di quei quei tipi tanto noiosi era troppo per lei così decise di fingere un’indisposizione per togliere il disturbo. Era contenta del fatto che tutti, da lei stessa fino a Neal e a Iriza passando per Archie avevano dato l’impressione di essere una  famiglia unita e perbene e avevano fatto  fare una bella figura ad Albert.

Ma era arrivato il momento di tornare alla sua vita sua vita di sempre; non ne poteva più del suo abbigliamento, infatti si era agghindata con nastri, lacci e laccetti e aveva pure accettato (sic!) di stringersi tutta dentro ad un busto che costituiva una vera a propria tortura, soprattutto dopo un’abbuffata simile.

-E  tutto questo per piacere agli uomini! Bah!-disse dirigendosi in cucina dove sperava di bere un bel bicchiere d’acqua fresca, pensando con sollievo alla prospettiva di andare a fare una lunga  passeggiata nella tenuta.

Mentre assaporava la sua acqua, sentì alle sue spalle un rumore e si girò di scatto. Era Neal.

-Ciao, bellissima…

Per lo spavento Candy fece cadere dell’acqua.-E pensare che speravo di trasformarmi in un mostro orribile ogni volta che ti incontravo…-

-Ah ah… sei spiritosa. Mi piaci anche per questo, con te non c’è mai da annoiarsi.

Tenendo ancora in mano il suo bicchiere la ragazza fece per andarsene.

-Altolà. Dove vai, Candy? Sai che dobbiamo riprendere quel discorso…

-Noi non dobbiamo riprendere alcun discorso. Non mi piaci, Neal, in nessun senso, e non mi piacerai mai. Questo è tutto…

-Va bene, tanto ho ancora quattro mesi per corteggiarti…e questo grazie alla zia….

Candy fu sorpresa dalle parole del ragazzo e un atroce sospetto si insinuò nella sua mente.

-Che cosa intendi dire, Neal?

-Non l’avevi ancora capito, Candy? Grazie al provvidenziale intervento della zia resterai qui ancora quattro mesi ed io avrò tutto il tempo per farti cambiare idea…

-Vuoi dire…vuoi dire che era tutto un piano per farmi vivere nella stessa casa con te e darti la possibilità di convincermi a sposarti?

-Beh, cosa vuoi che ti dica? La zia in fondo aveva veramente cambiato idea su di te tanto che ti riteneva adatta ad  essere mia moglie…

Candy stava per vomitargli addosso tutta la sua rabbia per essere stata ingannata in questo modo ma preferì tacere e agire. Sarebbe subito salita in camera a fare le valigie e sarebbe partita immediatamente, e facendosi per giunta accompagnare dall’autista degli Andrew fino alla casa di Pony come risarcimento morale di  quell’affronto. Non avrebbe dato a Neal alcuna spiegazione ma in compenso di lì a qualche ora lui avrebbe avuto una brutta sorpresa: l’annientamento totale dei suoi progetti.

Mentre Neal stava a godersi quella  che secondo lui era una vittoria, e mentre Candy era assorta in tali idee di rivincita,  una voce chiara e tuonante mise fine ai pensieri di entrambi.
-Ora basta Neal! Le hai sparate grosse per oggi!

-Guarda guarda, Archibald il cavalier servente! Scommetto che hai sentito tutto! Perché, non è forse vero quello che ho detto? Che la zia voleva agevolarmi con quella postilla del testamento?
-Se racconti le cose in questo modo, Neal, Candy penserà che la zia non ha mai provato per lei un briciolo di affetto. Non è così anzi sai meglio di me quante volte negli ultimi mesi ci ha chiesto di lei e quanto fosse dispiaciuta per essere stata tanto severa  in passato! Se ha inventato quella postilla è solo per le pressioni che tu le hai fatto di continuo, minacciando nuovamente di arruolarti, se Candy non ti avesse ricambiato!

-Archie, non deve interessarti…-cercò di interromperlo Neal

-E invece, Neal, mi interessa tutto quello che riguarda la nostra famiglia e tu, mi dispiace dirtelo, non sei così furbo come credi di essere se pensi che ti farò fare tutto quel che vuoi!

Mentre gli animi stavano scaldandosi sempre di più, fu Candy a prendere la parola, desiderosa solo di togliersi da quell’impaccio.

-Hai ragione, Archie, povera zia. Io credo a quello che dici sulla sua  buona fede, e che abbia agito per il bene di suo nipote, ma  non sapeva quanto poco coraggio avesse Neal, altro che arruolarsi! Ad ogni modo ora che ogni cosa è stata chiarita, credo proprio che tornerò in salotto a far compagnia ai colleghi di Albert-mentì Candy, che non aveva abbandonato il progetto di fare fagotto al più presto possibile.

-Ed io Candy ti accompagnerò-rispose prontamente Archie, prendendola per  mano e trascinandola vigorosamente fino all’uscita che dava sul retro della grande costruzione, mentre Neal rimaneva in cucina in piedi davanti al grande tavolo di marmo, di sasso per la repentina fuga dei suoi cugini.

-Fermati, Archie!-gli disse Candy, costretta suo malgrado a correre per stare al passo del ragazzo, che camminava a velocemente  davanti a lei, quasi trascinandola.

-Archie, fermati, quella non è la direzione giusta! Dobbiamo rincasare! Fermati!

-Adesso vieni con me, Candy!-le rispose, tenendole saldamente la mano.

-Ma dove, dove?- gli chiese Candy quasi supplicandolo quando vide che si stavano dirigendo al capannone delle auto.

-Dobbiamo schiarirci le idee Candy, ti va di fare una passeggiata in macchina fino a Chicago?-le chiese Archie lasciandola stare, resosi improvvisamente conto di essere stato anche troppo irruente.

-Perché no, Archie? Bastava dirmelo prima ed io avrei acconsentito con piacere…

-Mi dispiace, Candy. Sali in macchina con me e ti spiegherò tutto.

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Capitolo 5
*** Misure estreme? ***






Candy salì in macchina e Archie partì a tutta velocità.

-Archie, sei impazzito! Vuoi andare più piano!?

-Come vuoi Candy, ma sappi che così ci staremo più tempo. Impiegheremo un’ora per coprire le venti  miglia che ci separano da Chicago.
-Per me va bene, solo che devo fare una cosina…tu non ti voltare.

 Come un’acrobata da circo la ragazza raggiunse i sedili posteriori della vettura e si distese.

-Ho detto non ti voltare!-ripetè Candy, decisa a liberarsi di quel fastidiosissimo busto che la costringeva da prima del pranzo.

-Ma quanti laccetti ha questo coso?-pensava Candy mentre dopo aver tolto la camicetta  si contorceva nel disperato tentativo di allentare i numerosi lacci che stringevano il busto alla sua schiena. Se non avesse avuto paura di essere scoperta, avrebbe perfino detto che la situazione era divertente. Dopo un po’ che armeggiava completò l’operazione e si rimise la camicia, quindi  nascose come meglio potè l’indumento sotto il sedile. Al solo pensiero che Archie potesse vederlo sentì avvampare le guance.

-Ma cosa hai combinato lì dietro?- le chiese un impertinente Archie quando si accorse del colorito acceso della ragazza. Forse aveva una vaga idea di quello che era successo.

-Nulla….nulla….pensa a guidare… piuttosto, non mi avevi detto che mi avresti spiegato tutto strada facendo? Perché ti sei comportato in questo modo, trascinarmi così in macchina senza dirmi…

-Certo, hai ragione, hai diritto ad una spiegazione. Se sono stato così irruente è solo perché  ho capito che avevi intenzione di andartene via da Blueberry Mansion.

-Ma come…come hai fatto? Come hai fatto a…

-Capirlo, intendi? Dimentichi che ti conosco da un po’ di tempo e che negli ultimi due mesi abbiamo vissuto praticamente in simbiosi. Non avrei mai potuto permettere che te ne andassi…sai per me è molto importante averti vicino, ora che non c’è Annie. Senza di te mi sarei sentito molto solo, le nostre risate e  le nostre confidenze mi hanno aiutato molto. Per la disperazione sarei stato capace di raggiungere Annie in Francia e lei avrebbe pensato che volevo farle delle pressioni affinchè tornasse in America.

-Oh Archie….mi dispiace andarmene, ma cosa altro potrei fare con Neal? Non ho intenzione di sopportare le sue avances…mi chiedo cosa mai possa spingerlo ad avere una tale arroganza da pretendere che io possa in qualche modo ricambiarlo.

-Candy, credo proprio che più che a te, Neal sia interessato al tuo patrimonio.

-Ma Archie, se io stessa ne usufruisco poco…lo sai che non mi interessa granchè quello che possiedo, a meno che io non lo usi per aiutare i bambini della casa di Pony…

-Sì lo so Candy, ma Albert ti ha aperto un conto dal quale puoi attingere a piene mani, e Neal crede che una volta che sarai sua moglie gli consentirai di disporre della  tua disponibilità finanziaria come meglio crederà.

-Ma io non capisco come possa voler fare una cosa simile, lui che ha comunque delle entrate.

-Si chiama gioco d’azzardo, Candy. Puoi avere delle entrate consistenti, ma non è mai sufficiente. C’è gente che arriva a perdere la casa, in una sola sera, o si gioca l’intero patrimonio in poche puntate. Purtroppo Neal  oltre ad essere stato sempre una testa calda ha preso questo vizio negli ultimi tempi. Per questo la zia ha posto quella clausola che permette a Neal e a sua sorella di entrare in possesso di quel fondo fiduciario solo a trenta anni. Evidentemente sperava che a quell’età sarebbero stati più maturi e in grado di gestire le loro disponibilità finanziarie.

-Ma questo in che modo dovrebbe rassicurarmi, Archie? Avere tra i piedi Neal in continuazione che crede di avere qualche possibilità è una tortura che non sono disposta a sopportare…

-Ed è qui che entro in gioco io, Candy-fece Archie schiacciandole l’occhiolino- La soluzione sta proprio a Chicago, e noi ci stiamo arrivando.

Sempre più curiosa, Candy decise di mettersi a sedere più comodamente sul sedile anteriore, pensando che qualunque cosa le avrebbe mostrato Archie non avrebbe risolto il suo problema.

Giunti nella downtown di Chicago, Archie si lasciò andare solo di sfuggita un’occhiata alle eleganti vetrine che proponevano l’ultima moda e si fiondò a posteggiare poco vicino ad un parco. La sua mania per l’eleganza era cosa nota a tutti ma il ragazzo si ripromise  di mantenere il suo proposito, prima il dovere poi il piacere.

-Eccoci qui, Candy. Credo proprio che una bella passeggiata nel parco non potrà farti che bene. Io devo entrare un attimo lì dentro, tu aspettami qui, sarò di ritorno tra un quarto d’ora.

Archie aveva indicato una gioielleria e Candy si chiese cosa mai potesse fare Archie lì dentro. Forse voleva fare a Neal un regalo costoso perché si togliesse dai piedi, oppure i commessi condividevano con Archie  chissà quale misterioso segreto che le avrebbe tolto le castagne dal fuoco. Ad ogni modo, nessuna sua congettura poteva darle la serenità sperata, se questa non si fosse tradotta in un aiuto tangibile. Per ironia della sorte Archie aveva posteggiato proprio vicino a quel parco dove diversi anni prima ella si era imbattuta in quell’arzilla vecchina che si era rivelata essere in realtà l’efficiente direttrice della scuola per infermiere Mary Jane. Quante cose erano successe da allora! Candy ripensò con nostalgia che secondo i suoi piani del tempo, a quell’ora avrebbe dovuto essere sposata felicemente con Terence.

-Eccomi di ritorno, Candy. Sarà meglio che ti accomodi in macchina, sai potresti aver bisogno di stare seduta, tra poco.
-Va bene. Giuro che non sono mai stata tanto curiosa.

Una volta accomodati sull’auto, Archie con fare solenne estrasse dal taschino della sua giacca una scatolina, e prima che Candy potesse congratularsi con il suo amico per aver deciso finalmente di chiedere ad Annie di sposarlo, le chiese:

-Candy, vuoi sposarmi?

La ragazza continuò alternativamente a guardare ora il prezioso anello con diamante  che brillava dei suoi preziosi fulgori ora il viso del ragazzo, aspettandosi che questi prorompesse in una fragorosa risata ammettendo di  aver  voluto solo  scherzare.  Ma la risata non arrivava, e neanche l’ammissione.

-Beh Archie, se glielo dirai così, sono sicura che Annie…

-Ma io ho scelto questo anello per te, Candy, perché è a te che sto chiedendo di sposarmi…

-Archie, ma come puoi…-Candy era dilaniata dal dubbio su come comportarsi. Non voleva riprendere discorsi vecchi e polverosi come una vecchia stanza lasciata per troppo tempo incustodita, né essere di nuovo brutalmente sincera sui suoi sentimenti né fare qualcosa che lontanamente potesse somigliare ad un tradimento nei confronti di Archie. Mentre pensava che stava vivendo il suo  peggior quarto d’ora di quell’anno, arrivò finalmente la famosa risata.

-Candy, come sei buffa! Ascolta, non stavo scherzando sul matrimonio, solo che sarà…un matrimonio finto. Anzi, non ci sarà alcun matrimonio, né in comune né in chiesa. Tu porterai questo anello assieme ovviamente a questa fede che ho in quest’altra scatolina-e aprì un lato della giacca-così come farò io. Andremo in comune, faremo qualche foto mentre firmiamo un registro, e il gioco è fatto.  Diremo che è stata una decisione presa di punto in bianco. Tutti crederanno che ci siamo sposati e  Neal perderà qualunque interesse per te, all’istante. Ti va di fare questo scherzo a nostro cugino? Immagina quanto rideremo alle sue spalle…

-Ma…e Annie? E Albert? Cosa diranno?

-Scriverò subito ad Annie e le dirò tutto. Io la amo e voglio essere sincero con lei. Ovviamente diremo tutto anche ad Albert. Saranno gli unici due a conoscere la verità, mentre tutti gli altri in villa crederanno che ci siamo sposati. In fondo siamo sempre stati molto vicini ultimamente, no? Credo che nessuno avrà nulla da obiettare nè si porrà troppe domande. Sei d’accordo, Candy?

Candy annuì, non del tutto convinta.

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Spazio autore

Eccomi! Non sono carini questi due, insieme? Avrò mica creato un mostro? No, scherzo, ma mi sono lasciata andare a descrivere un’amicizia che ha qualcosa di complice. Avevate indovinato il perché Archie si fosse fermato davanti a  quella gioielleria? Ma sì in fondo non era difficile. E ora cosa accadrà?  Un grazie speciale a Tetide e Petra Lu che hanno commentato. Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite e ai lettori silenziosi.

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Capitolo 6
*** Arrivi e partenze ***


                                                                                           

l trillo del telefono risuonò in tutta villa Andrew. L’apparecchio da poco installato si trovava nello studio di Albert a piano terra, ma la porta lasciata aperta quando non c’era faceva sì che gli squilli si udissero nettamente fino al piano nobile. Ciò i primi tempi aveva provocato non poco sgomento nel personale di servizio, terrorizzato dallo strano rumore che d’un tratto squarciava il silenzio e che si ripeteva fino a quando qualcuno sollevava il ricevitore e accostava  lo strano tubo all’orecchio.

Albert aveva avuto una pazienza certosina a convincere Molly, la ragazza nata e cresciuta in una delle fattorie degli Andrew, che non succedeva nulla se ci si avvicinava all’apparecchio e lo si toccava, neanche essere morsi. All’inizio  qualcuno fu tentato di urlare contro il ricevitore, sapendo che la persona all’altro capo del filo era distante diverse miglia, ma poi aveva cercato di non apparire troppo provinciale e far vedere che aveva imparato come si usava.

A Chicago erano in pochi a possedere un apparecchio del genere, quindi  lo squillo del telefono era un evento eccezionale  e di cui potersi vantare, ma da qualche tempo le chiamate non erano più tanto rare, da quando Albert ne aveva fatto installare uno nel suo ufficio e da lì chiamava  per controllare che tutto andasse bene o dare disposizioni in caso di necessità . Così aveva risparmiato a George il fastidio di doversi recare personalmente in villa per comunicare gli ordini del suo capo.

Quella mattina fu Candy a rispondere ad una di queste chiamate di Albert.

-Sì tutto bene…tutto a posto…

Silenzio.

-Non lo so…

Silenzio.

-Va bene. Ti farò sapere.

Silenzio.

-Ah! Ho capito. Bene, divertiti. Ciao.

Albert le aveva chiesto se Neal e Iriza erano partiti e Candy, che si era  alzata fin troppo tardi quella mattina e consapevole del fatto che i cugini avrebbero potuto benissimo non desiderare salutarla, non aveva saputo rispondergli. Aveva posato da poco il ricevitore che intravide passare per il grande androne  Neal. Avrebbe preferito non salutarlo ma ormai era troppo tardi, lui l’aveva scorta.

-Immagino sarai contenta che io e mia sorella stiamo per partire. Non dispiacerti se Iriza non ha voluto prendere commiato da te, ma sai stamattina ha un gran mal di testa.

-Beh non dispiacerti, dato che io non mi dispiaccio, e scusa il gioco di parole.

Invece di risponderle, e di reagire alla sua provocazione, Neal la guardò intensamente  per fissare bene ciò a cui stava dicendo addio. Gli sembrò di annegare in quegli occhi limpidi e puri, e per un attimo avvertì uno stordimento,  un colpo  a tutte le sue certezze. E se quella giovane donna avesse potuto salvarlo, se avesse potuto con la sua sola presenza renderlo migliore, un uomo nuovo, più sereno con se stesso e più generoso con gli altri?

Cosa succede all’acqua quando si mescola col fango? L’acqua si sporca, certamente, e il fango non si purifica:  lui sarebbe rimasto fango e lei si sarebbe sporcata. E quando invece una cascata di acqua con la sua forza e la sua irruenza  piomba addosso ad un cumulo di fango? Allora sì che lo spazza via, con impeto, con foga; ecco, se lei fosse stata forte e paziente come una cascata di acqua pura, lui si sarebbe salvato.

Ma , ad essere sinceri, circa una settimana prima era successa una cosa molto strana, che gli aveva fatto capire che anche Candy  era  imperfetta. Quella decisione di sposare Archie, il fidanzato della sua migliore amica…

Come aveva potuto? Si erano presentati in villa con la fede al dito, ridendo come due ragazzini, e avevano comunicato la “lieta” notizia, inaspettata come un temporale estivo, ingiungendo a tutti coloro che vi abitavano e alla servitù che se per qualche motivo la stampa avesse chiesto via telefono una conferma delle nozze, tutti avrebbero dovuto rispondere le seguenti parole: non confermiamo né smentiamo.  Era scritto ben in vista sul taccuino vicino al telefono,  e chiunque avesse preso la chiamata avrebbe dovuto dare quella risposta.

Tutti si erano congratulati con i novelli sposi e per qualche strano motivo Albert, l’inflessibile e integerrimo capofamiglia, non aveva avuto nulla da ridire sul fatto che Archie fosse stato il promesso sposo di un’altra ragazza.

Neal  aveva sentito il tarlo della gelosia mordergli le viscere al pensiero del talamo coniugale che avrebbero condiviso, una gelosia che non sapeva spiegarsi,  ma per fortuna non aveva dovuto sopportare lo strazio di vederli salire in camera insieme e chiudere la porta, dal momento che avevano preferito continuare a dormire in camere separate. Forse quella ragazza allevata da una suora ed educata in un rigido collegio cattolico, quella ragazza irraggiungibile come poche, quella ragazza che si chiudeva a riccio con lui che da anni cercava  di romperne il  guscio di ritrosia e serietà, era rimasta la stessa nonostante il matrimonio.  E allora, cosa poteva aver visto in suo cugino capace di farla cambiare in quel modo, di farle passare sopra i sogni romantici della sua amica?

Doveva essere stato un amore folle, un amore egoista, cieco e sordo ma forte e solido…

Aveva deciso di partire, e non solo perché era andato in fumo il progetto di impadronirsi delle ricchezze della ragazza, ma anche per non essere costretto ad  assistere alle occhiate e ai sottintesi dei due novelli sposi. Con la sorella si stava apprestando a tornare in Florida dai suoi.

Mentre pensava a queste cose Candy lo riportò alla realtà.

-Non dici niente? Ti sei imbambolato? Guarda che tua sorella ti sta aspettando in macchina…

-Candy, non avrei mai voluto che finisse così…

-Non si può cambiare il passato, Neal. Se tu anche di recente mi avessi dimostrato amicizia, io avrei dimenticato tutto il male che mi hai fatto quando eravamo bambini e ragazzini, ti avrei voluto bene come si vuol bene ad un membro della famiglia. Ma tu hai continuato imperterrito a passare sopra i miei sentimenti. Credo cha tra di noi sia stato detto tutto.

Ed era vero. Neal non poteva uscirne più sconfitto di così. Ma c’era una cosa che poteva ancora dirle, una cosa che  l’avrebbe ferita se le era rimasto un briciolo di umanità.

-E pensare che quel povero ragazzo è rimasto con quella sua collega che gli ha salvato la vita! Ha compiuto un’azione tanto nobile rinunciando alla vostra relazione in nome di sentimenti quali lealtà e gratitudine, sapendo di fare una buona impressione su di te! E tu, invece, cosa hai fatto? Hai rubato il fidanzato alla tua migliore amica! Quell’attore che mi stava tanto antipatico adesso ha tutta la mia stima, perché si è mostrato molto più onesto di te! E tu non venirmi più a parlare di buoni sentimenti, non ne sei degna!

Che proprio un tipo come Neal dovesse farle la morale era una cosa tanto assurda quanto una nevicata in pieno agosto. Dette così le cose, sembrava avere ragione. Ma Neal non conosceva la verità. Non sapeva che era stata tutta una farsa.

Si erano presentati in villa con l’anello nuziale al dito solo due settimane dopo che Archie aveva scritto la sua lettera ad Annie per informarla, sperando che giungesse a Parigi prima che la notizia potesse trapelare dai giornali. Eventualità, questa, in realtà molto difficile: i giornali parigini, dopo la fine della guerra, avevano ben altro di cui parlare che del matrimonio di una famiglia seppur ricca, seppur potente, d’oltreoceano.

Era stato anche troppo che Annie trovasse  aperta la scuola per imparare tutti i segreti della moda francese, e solo perché l’imperativo categorico era diventato  tornare alla vita di sempre e ricominciare a vivere.

C’era una grande speranza nel futuro tra i francesi, in quanto vincitori della guerra, ma alla gente non interessavano più le frivolezze del gossip, in un momento in cui il problema principale era ricostruire, e i giornali parlavano più che altro della nuova scena politica internazionale e di quando la Germania si sarebbe decisa a pagare  il  debito che aveva  contratto  come durissima condizione di pace imposta dalle nazioni vincitrici.

 Intuendo tutto ciò, Archie e Candy avevano confidato nel fatto che Annie avrebbe saputo di questa messa in scena solo dalla lettera del fidanzato, e se per qualche motivo avesse manifestato anche solo il più piccolo fastidio, avrebbero mandato a monte tutto.

La lettera di risposta non era ancora arrivata, ma la recita aveva sortito il suo effetto, infatti dopo solo una settimana dal “matrimonio” ecco che Neal si era deciso a partire. Per quanto riguardava Albert, le sue risate all’udire il piano dei suoi amici erano durate per cinque minuti buoni, e naturalmente aveva dato la sua approvazione.

Ma ora Neal gli stava parlando di Terence, e lei tremava al pensiero di quello che avrebbe pensato se avesse saputo del matrimonio, ora che stava arrivando a Chicago in tournee per una tappa di sette giorni.

Non c’era stato alcun matrimonio, ma soltanto i diretti interessati e Albert lo sapevano.  Archie continuava a essere innamorato di Annie e una volta tornata quest’ultima  da Parigi si sarebbero sposati.

Apparentemente a  Chicago  la notizia non era trapelata, anche per il riserbo della famiglia e della servitù, ma si sa che molti esseri umani non riescono a tenersi troppo a lungo un segreto che scotta e di cui sono grati di essere tra i pochi eletti depositari, per cui Albert qualche giorno prima aveva capito che le maglie del riserbo si erano  allentate quando uno dei suoi collaboratori gli aveva rivolto una frase sibillina accompagnata da uno sguardo altrettanto sibillino su una certa novità nella famiglia Andrew.

Ma Candy pensava che, dopotutto, era ben difficile che il giovane attore, impegnato e concentratissimo nel ruolo del protagonista, avesse l’opportunità di ascoltare i  frivoli pettegolezzi della città. Quella stessa sera Albert sarebbe andato alla prima  senza  Candy, perché per lei sarebbe stato  troppo penoso sottoporsi  alla vista di quel ragazzo che alla fine della recita non  avrebbe neanche potuto salutare.

Quando aveva rifiutato ad Albert la sua compagnia, l’uomo aveva compreso, ma quando poco prima, al  telefono, gli aveva augurato di divertirsi, sapendo che sarebbe andato in teatro direttamente dall’ufficio, dove avrebbe mangiato qualcosa e si sarebbe cambiato d’abito, aveva avvertito una stretta al cuore.

 
                                                                 
                                                                                        

 
Bonjour a tout le monde! Ebbene lo ammetto, ho avuto la tentazione, e fiordistella mi ha letto nel pensiero, di descrivere un Archie che “ci marcia” e, cosa ancora più grave, di una Candy che “non disdegna”… eh eh, ma la mia Candy è una ragazza seria, o almeno ci prova, LOL. Uff, Li ho descritti troppo carini insieme,e questi primi capitoli potevano far giustamente pensare ad un certo tipo di proseguo. Ebbene sì, sono stata tentata.
Come giustamente notato da rubina Terence sta arrivando perciò cari lettori/trici, preparatevi al pegg…cioè voglio  dire al ritorno del bel tenebroso!
Spero abbiate gradito i riferimenti storici.
Grazie di cuore a Petra Lu, Tetide, Rubina, Mave e Fiordistella che hanno recensito, a coloro che hanno inserito le storie tra le seguite e le preferite e a tutti gli altri lettori silenziosi che si sono lasciati incuriosire da questo parto della mia immaginazione.

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Capitolo 7
*** Sin city ***




                                                                           


lcune persone vivono i loro sogni 

alcune persone chiudono gli occhi 
il destino di alcune persone gli passa accanto

appena il mio cuore smetterà di spezzarsi 
e si metterà ad aspettare 
appena il "per sempre" sarà finito 
mi sarai passata dalla mente


Terence aveva scritto queste poche parole sul primo foglio trovato prima di farsi prendere dallo sconforto e scolarsi mezza bottiglia di whisky.

Qualche ora  prima, mentre si stava truccando passandosi il pesante cerone sul viso, Robert Hathaway lo aveva raggiunto in camerino per scambiare due ultime parole prima dell’alzarsi del sipario.

-Ciao Terence, questa sera bisognerà fare bella figura, sai che tutto il ricavato andrà in beneficenza. Il teatro sarà pieno delle personalità più eminenti di Chicago: i Livingstone, magnati delle industrie estrattive, il senatore Elliott con tutta la famiglia e i potenti  Andrew…

-Davvero? Gli Andrew?-chiese il giovane con trepidazione-sai se la famiglia sarà al completo?

-Ci sarà certamente una rappresentanza. Il giovane capo della famiglia ha già fatto una cospicua donazione e quasi certamente sarà presente...

-E…sarà solo?

-Forse no. I soliti ben informati dicono che  il giovane Archibald Cornwell e Candice Andrew si mostreranno in pubblico per la prima volta come marito e moglie.

Terence aveva fatto cadere per terra  uno dei vasetti che si trovavano sulla toeletta.

-Archibald e…Candice? Robert, sei sicuro?

-Ma come mai sei tanto curioso su questa famiglia?

-Robert, rispondimi, è importante…

-E va bene…  per ora a dire il vero è  solo una diceria, ma  sempre più persone sono sicure della cosa…sembra ci sia stato un matrimonio tra i due ragazzi…dico sembra perché ancora non hanno ufficializzato nulla…è  stata una cosa improvvisa e strana  perché il ragazzo era fidanzato con un’altra, una certa Breton o Britton. Ad ogni modo a me non interessa con chi si sia sposato questo Archibald Cornwell, mi interessa solo il fatto che è un pettegolezzo tanto succulento da  attirare in teatro gran parte  dell’elite di Chicago:  tutti vorranno vedere con i loro occhi. Adesso ti lascio, devi finire di prepararti.

Dopo che Robert ebbe lasciato il camerino Terence si prese la testa con le mani, assorto. Archie e Candy sposi? Quel damerino insulso sposato con Candy?

E lei, poi, che gli aveva permesso di arrivare ad una tale confidenza! Tra tutti i possibili pretendenti aveva scelto proprio il cugino…Certo, doveva immaginarlo che prima o poi lei si sarebbe sposata, ma non con un tipo come Archibald Cornwell!

 Gelosia e frustrazione, perché all’improvviso sentiva che l’ultimo suo sogno intatto era stato distrutto.

Tutti i più bei ricordi che gli venivano in mente dei momenti passati con la bionda ragazza, ora, alla luce di questa novità, gli sembravano improvvisamente arrugginiti.

Neanche lei era stata vera, allora.

Negli ultimi anni si era aggrappato alla certezza che quello che c’era stato tra di loro, seppur effimero, aveva avuto una purezza e una grandezza come nient’altro nella sua vita.

Aveva rinunciato a lei proprio per sublimare quell’amore, che  era rimasto intatto e incontaminato perché non vissuto. Nei momenti di sconforto si era aggrappato a quell’immagine sorridente e gentile per ricordarsi che un tempo c’era stato davvero qualcosa di bello nella sua vita.

Ma si era sbagliato, Candy era una ragazza come le altre. Mentre lui aveva accettato di prendersi cura di Susanna per dimostrarsi degno della sua stima, Candy aveva sposato il fidanzato della sua migliore amica, uno sbarbatello che aveva sempre detestato.

Bisognava dimenticarla, allora, perché mai più pensare a lei gli avrebbe dato quel sollievo di cui aveva bisogno. Scrisse quelle parole che gli martellavano in testa e poi aprì uno sportello: era lì, la bottiglia, e non lo avrebbe mai tradito come un essere umano.

 Dapprima si versò un goccio nel  bicchiere, poi continuò a bere direttamente dalla bottiglia di vetro, mentre i minuti passavano inesorabili e il momento dell’entrata in scena si appressava.

Quando lo chiamarono non si reggeva in piedi, ma lo stesso decise di salire sul palco e di mostrarsi in pubblico. Non ne poteva più dell’ipocrisia che era costretto a sopportare, del falso perbenismo, delle illusioni perdute. Che lo vedessero per quello che era, un uomo con le sue fragilità, non un eroe.

Dovrei avere sul viso una maschera, perché la gente non mi legga in viso. Mi sento così vulnerabile, adesso, come se tutta questa gente a teatro potesse scorgere i recessi più reconditi della mia mente. Neanche se mi concentrassi riuscirei a ricordare le battute, eppure avrei potuto rifiutarmi di salire sul palco, ma non era ciò che volevo. Eccomi, guardatemi, questo sono io! Non sono Romeo né alcun altro personaggio, sono Terence Granchester, e il mio vero dramma è non potere strapparmi questa maschera di falsità! Ogni attore smette di essere il suo personaggio quando torna a casa, io continuo a fingere, a recitare un copione che non mi piace e che è sempre lo stesso!

Mentre pensava queste cose, si era messo improvvisamente a ridere e ad additare alcune persone tra il pubblico;  subito e con tempestivo intervento Robert ordinò che il pesante tendone di velluto venisse chiuso, e l’ordine venisse riportato tra gli attori esterrefatti. Sapeva che di lì a poco i giornalisti, giunti per immortalare un trionfo e non certamente la scena cui avevano assistito, si sarebbero precipitati dietro le quinte. Bisognava creare un diversivo e non permettere loro di avvicinarsi a Terence.

-Forza, ognuno torni nel suo camerino!-urlò Robert-e tu, Susanna, porta via Terence e fallo uscire dal retro! Tra qualche minuto vi farò arrivare una carrozza e tornerete in albergo. Nel frattempo io mi barricherò nel camerino di Terence e farò credere che si trovi lì dentro! Svelta!

-Susanna non sapeva come agire, impacciata dalla sua condizione, ma per fortuna incontrò una guardia della sicurezza e gli chiese di accompagnarli fino all’uscita sul retro, che poteva essere raggiunta solo attraversando un dedalo di corridoi conosciuto solo dagli addetti ai lavori.

Raggiunta l’uscita e respirata finalmente l’aria frizzante della sera, Susanna si sentì meglio, ma la guardia dovette abbandonarli per dare man forte a Robert alle prese con un nugolo di giornalisti pronti a scrivere l’epitaffio di Terence Granchester e della compagnia Stradford e a scattare le foto più crudelmente veritiere sulla fine di una leggenda.

Susanna si sentì improvvisamente sola e impaurita, in quella piazzetta tanto silenziosa. Vicino a lei un serafico Terence si appoggiò al muro e si accese una sigaretta.

-E’ finita per me….la mia carriera è finita….

-Terence…

Il silenzio appariva tanto più irreale quanta più era la consapevolezza del trambusto che stava mettendo in subbuglio il teatro.

Terence fece qualche passo verso di lei, ma ad un tratto due figure misteriose sbucarono dall’oscurità e trascinarono il ragazzo verso una carrozza che con tempismo stupefacente si era fermata nello stesso momento  davanti a loro. Susanna capì subito che qualcosa non andava, quella non era la carrozza mandata da Robert.

-Fermatevi! Chi siete? Chi vi dà il diritto di….

Come se la voce di Susanna avesse risvegliato Terence dal suo torpore il ragazzo guardò meglio i due uomini che lo stavano accompagnando con una certa prepotenza verso la carrozza e riconobbe un volto conosciuto.

-Albert! Ma allora sto  sognando…

-No, Terence, non stai sognando. Sono il tuo vecchio amico e voglio aiutarti…devi venire con me…

-Cosa mai potresti fare per me, Albert? Questa volta non puoi nulla…

-Sei ubriaco, Terence, Sali in carrozza. Fidati di me…

Susanna udì la conversazione, e allarmata e confusa chiese ulteriori spiegazioni, mentre Terence era entrato nella carrozza.

-Ma come vi permettete, voi! Lasciatelo stare! Non mi  avete neanche detto chi siete!

-Signorina, calmatevi-rispose Albert, sfidando con l’imponenza della sua calma quella donna esagitata-mi chiamo William Albert Andrew e questo è il mio biglietto da visita.

-Adesso che vi siete presentato potete anche dirmi cosa volete da Terence. Dove lo portate?

-Sono un vecchio amico di Terence. Ho assistito alla scena pietosa di stasera e so di essere l’unico in grado di aiutarlo. Fate fare a me, fidatevi, ve ne prego.

Da un lato lo sguardo placido e rassicurante dell’uomo, dall’altro l’ira trattenuta a stento della ragazza, che sembrava un animale sul punto di  azzannare.

-Chiedete a Robert…Robert Hathaway, l’attore e  impresario…lui mi conosce bene, e ditegli che stanotte stessa lo chiamerò per confermare che Terence si trova a casa mia. Adesso dovete rientrare, mi sembrate molto scossa. Il mio collaboratore George vi accompagnerà dentro e vi aiuterà, forse avete bisogno di bere un bicchiere d’acqua.

Susanna non riuscì ad ammettere con se stessa che l’imponenza e la fermezza dell’uomo le avevano trasmesso una grande fiducia.

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Capitolo 8
*** Una lama di luce ***


                                                        
une, una delle cameriere di casa Andrew, rimase sorpresa da ciò che vide entrando in una delle camere degli ospiti. E non le dispiacque.

Ancora mollemente adagiato sul letto, il volto disfatto dal sonno, c’era un giovane uomo che si stava appena svegliando strofinandosi gli occhi. Indossava uno dei pigiami del padrone.

Si era aspettata di dover servire la colazione ad un ricco barone  di mezza età giunto come ospite, invece assistette al risveglio di un principe. Il sole già alto filtrava attraverso un sottile spiraglio tra le tende.

-Buongiorno signore. Spero abbiate dormito bene stanotte. Posso lasciarvi la colazione?

-Buongiorno anche a voi. Posso sapere dove mi trovo?

La ragazza credette che quell’ospite misterioso si fosse svegliato con una particolare propensione allo scherzo. Anche se non doveva, abbozzò una risatina.

-Siete davvero divertente. Vi lascio la colazione a letto. Nell’armadio troverete dei vestiti puliti. Il signor Andrew vi aspetta nel suo ufficio,  prendetevi  pure tutto il tempo che vi occorre. Quando siete pronto tirate questa corda- ne indicò una che si trovava proprio a lato del baldacchino dove aveva dormito Terence-ed io tornerò qui per accompagnarvi da lui. Sapete questa casa è così grande che si rischia di perdersi.

Bene, dunque si trovava a casa degli Andrew. Ma perché? Inutile chiedere spiegazioni alla cameriera, avrebbe continuato a credere che scherzava.

-Grazie signorina. Potete andare.

Ricordi confusi si aggrovigliavano nella mente. C’era stata una prima, la sera precedente, lui  era salito sul palco ubriaco e Robert aveva ordinato di chiudere il sipario…e poi…con Susanna era uscito in strada, faceva molto freddo, poi una carrozza si era fermata davanti a loro e…Albert…uno strano tipo con i baffi…

Ma cosa era tutto quel mistero? D’accordo,  la sera prima aveva bevuto troppo, ma perché non era tornato nel suo albergo?

Albert era quasi sicuro di non averlo sognato…e adesso si trovava a casa degli Andrew. Queste erano le sue uniche certezze. C’era qualche nesso tra di loro?  L’unica cosa da fare era prendere un buon caffè e magari mangiare qualcosa, cambiarsi d’abito e farsi accompagnare dalla cameriera dal misterioso padrone di casa.**

Circa una mezz’ora dopo, infatti, Terence seguiva June attraverso un lungo corridoio, tirato a lucido e sul quale si aprivano numerose porte, fino ad una porta di pregiato legno intarsiato che doveva essere quella dell’ufficio del signor Andrew.

-Avanti! E’ aperto. Grazie June-disse la voce familiare dentro la stanza.

Terence entrò nella stanza e subito riconobbe il suo amico.

-Albert!-stupore- saresti tu dunque il signor Andrew?

-Esatto, Terence, e  il mio nome completo è William Albert Andrew…

-Dunque tu…sei lo zio William! Il tutore di Candy, sei stato dunque tu a prenderti cura di lei da quando era una bambina!  Ma stai scherzando, vero?-Incredibile. Quante cose vorrei chiederti. Come era Candy da bambina. Perché hai deciso di mandarla a studiare a Londra. Perché non le hai rivelato la tua vera identità. Perché non mi hai detto mai niente.

-No-rispose Albert alzandosi e andando vicino alla finestra-Quando mi hai conosciuto ero un ragazzo che sfuggiva alle sue  responsabilità. Desideravo solo un po’ di pace e di libertà, per questo ho girato il mondo. Ma con il passare del tempo ho deciso di tornare e farmi carico degli affari di famiglia.

Sempre più incredulo Terence si passò una mano tra i capelli. Albert tornò alla scrivania.

-Una cosa abbiamo sempre avuto in comune: il desiderare il bene di  Candy. Ed è proprio di lei che ti devo parlare.

-Candy…sì ho saputo del suo matrimonio. Purtroppo.

-Terence, mi dispiace che ti sia giunta questa diceria  fasulla. Questo matrimonio è stata soltanto una voce messa in giro per risolvere, diciamo così, certi problemi di famiglia.

-Problemi di famiglia?

-Sì  Terence. Devi sapere che da qualche tempo  Neal aveva cominciato a corteggiare Candy in maniera assidua, quasi  fastidiosa. Fu Archie ad avere l’idea del finto matrimonio, me la propose e ottenne la mia approvazione. Io accettai pensando che fosse l’occasione di impartire una bella lezione di umiltà a Neal, ma forse sottovalutai le conseguenze. La maldicenza della gente, ad esempio.

-Così Neal aveva preso a importunarla?-la mano sulla scrivania si era stretta a pugno.

-Sì, ma non preoccuparti. È andato via e adesso Candy è più tranquilla. E ti prometto che finchè ci sarò io a vegliare su di lei, non le accadrà niente di male.

Archie, Albert, tutti preoccupati di difenderla, e a lui, che avrebbe desiderato più di ogni cosa vegliare su di lei anche da lontano, era proibito…

-Lei è…qui, ora?

-Sì, Terence. Sei preparato a vederla?

Preparato. Cosa vuoi dire, Albert, che se la vedessi saprei mantenere le distanze come un vecchio amico che non vede da tempo?

-Albert…non voglio che sappia nulla di quello che mi è successo ieri sera. Non voglio che pensi che non ho saputo mantenere una promessa che le avevo fatto. La promessa di essere felice.

Dunque Candy non aveva sposato quell’idiota?
Il pensiero che Neal avesse importunato Candy per un attimo lo aveva distolto da quell’argomento.
Sollievo. Gioia. E ora l’avrebbe rivista.

-Terence, credo che qualcosa ti turbi. Evidentemente non sei felice, ma Susanna ti vuole molto bene. Era lampante, ieri sera, ed io credevo che prima o poi il suo amore avrebbe colmato i vuoti della tua vita.

-Susanna? Ma se io sono quasi arrivato ad odiarla! Vorrei che non mi avesse mai salvato, Albert!

-Non dire così Terence. Vuoi dirmi che dopo tutto questo tempo non sei riuscito a ricambiarla nemmeno un po’?

-No. Il ricordo di quell’altra persona è così forte dentro di me da annientare qualunque altro sentimento io possa provare per chiunque…

Terence appoggiò i gomiti alla scrivania e si prese la testa tra le mani. Silenzioso Albert rifletteva come era solito fare, ponderando ogni cosa. Nessuno però sarebbe riuscito a leggergli nella mente.

-Sai Terence, stamattina ho parlato con Robert. E’ dispiaciuto per l’accaduto ma si è detto pronto a riaccoglierti nella compagnia, sempre che tu sia disposto a emendare i tuoi sbagli . Ti vuole molto bene, come un padre. Io però gli ho suggerito di permetterti di rimanere qui per un paio di giorni, affinchè tu possa ristabilirti e le acque calmarsi. Seguiremo  da qui le ripercussioni  del tuo comportamento di ieri sera per capire cosa tu possa fare per recuperare la stima della gente. E soprattutto se ancora puoi recuperarla.

Terence fissò i suoi occhi blu sul suo amico. Non riusciva a credere di avere ancora una possibilità con la compagnia e soprattutto non riusciva a credere che per due giorni avrebbe coabitato con lei. Con la sua Candy.

Ad un tratto si udirono nettamente dei passi provenire dall’esterno, dal grande e lungo corridoio che portava allo studio. Erano degli stivali, e la cadenza dei passi, la loro alternanza e la grinta di chi stava arrivando erano inequivocabili.

-Albert, scommetto che sei lì dentro! Ho girato in lungo e in largo questa casa, mi manca solo il tuo studio!-tuonò una giovane voce di ragazza.

Subito la porta si spalancò e a Candy sembrò di rivivere un deja vu: quella volta che a Londra era piombata all’improvviso nel capanno di Albert allo zoo e l’aveva trovato in compagnia di Terence. Lo stupore fu grande. Cosa ci faceva Terence a villa Andrew?

Il ragazzo dagli occhi blu non seppe come salutarla. Lunghi istanti passarono prima che la sua mente si focalizzasse sul giusto comportamento da adottare  perché nel frattempo tutta la sua attenzione era stata assorbita dall’aspetto della ragazza e dai ricordi che gli affioravano in mente. Lunghi capelli biondi lasciati sciolti, forme più arrotondate, statura lievemente più alta, sguardo più smaliziato. I pochi anni trascorsi avevano operato un sensibile cambiamento nella struttura fisica della ragazza, che aveva abbandonato l’aspetto da adolescente per trasformansi in una giovane donna anche molto attraente, nonostante la pesante camicia a scacchi portata sui pantaloni.

Candy! Eri tu  in carne e ossa quella che ho visto a Rocktown? Mi piacerebbe chiedertelo.…ora che ti vedo non mi sembra possibile! Sei tanto diversa! Ma sei molto bella…

Intuendo che se non avesse detto qualcosa non si sarebbe usciti da quella situazione, Albert decise di intervenire.

-Candy, Terence starà da noi per un paio di giorni.

-Ciao Terence, è da un po’ che…voglio dire, non mi sarei aspettata di vederti…-balbettò confusamente la ragazza.

-Eh già, Tuttelentiggini!

Terence,non cambi mai…

Candy, come devo salutarti? Dimmelo tu…posso solo scherzare, per nasconderti l’emozione che provo…

Terence trovò più saggio salutarla come avrebbe fatto con una sorella di Albert, se ne avesse avuta una. Le prese delicatamente la mano e la baciò.
 
                                                                          
**nel manga, come nell’anime, Terence non viene  a sapere della vera identità di Albert per cui in questa immaginaria continuazione Terence sarà stupito nel conoscere questa verità.
Salve a tutte! Eccomi con quest’ultima fatica, perché di fatica si è trattata. Per giorni mi sono detta “lo posto o non lo posto?” Non sapevo che forma dare al capitolo (pochi dialoghi, molti dialoghi?) però sono riuscita a inserire l’ingresso in scena di Candy (mi era venuto in mente di posticiparlo ma qualcosa mi dice che chi mi legge non sarebbe stato molto contento ah ah). Se non vi piace o non vi convince qualcosa potete tranquillamente scriverlo.
Adesso me ne sto  buona buona e  li faccio interagire per un po’, mica possono stare sempre separati questi due, no? So che fino a questo punto la storia era sufficientemente presumibile ma non è finita qui. Ci sono diversi  interrogativi cui dare una risposta.
Grazie a tetide, mave, petra lu, rubina e love candy 77 per le loro recensioni e a tutti coloro che mi leggono in silenzio.

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Capitolo 9
*** Come il cioccolato ***


rofumo d’arrosto e chiacchiere in libertà. Di questo era impregnata l’aria nella sala da pranzo a villa Andrew.  Mentre fuori i  raggi del sole contrastavano il freddo che a piccole falcate  si insinuava in quelle giornate di ottobre, all’interno  l’allegra brigata tergiversava  alle prese con gli ultimi scampoli di conversazione e di cibo, nonostante fosse pomeriggio inoltrato.

Si erano seduti a tavola piuttosto tardi, dopo i necessari chiarimenti intercorsi tra il capofamiglia e i nipoti Archie e Candy sulla presenza di Terence. Nessuno dei due era venuto a conoscenza del delicato motivo che aveva portato il giovane attore in villa ma Albert sapeva bene che era questione di tempo e la verità sarebbe saltata  fuori. Ma per il momento ciò che gli premeva di più era riportare il suo vecchio amico Terence alla serenità.

Fu così  che Albert, Archie, Candy e Terence in quell’occasione sembrarono   proprio una scolaresca in gita durante l’ora del pranzo: i discorsi non furono mai troppo seri e il silenzio per quella volta dovette  abbandonare la stanza, sconfitto. Archie e Candy non riuscirono  a stare un momento zitti, Albert  intervenne  con pochi interventi  calibrati e saggi e  Terence non si lasciò  sfuggire l’occasione per introdursi nel discorso con la sua ironia tagliente.
Per gli altri tre fu una sfida a divertirlo di più, a strappargli un’espressione di interesse quando non un aperto sorriso.

-Bene, non mi divertivo così da tempo-fece Albert alzandosi e posando il tovagliolo al lato del piatto - adesso vi lascio. Devo riordinare delle carte, tra un’ora riceverò dei soci per un’importante riunione. Spero che farete trascorrere un buon pomeriggio a Terence, sarebbe una buona idea  fargli fare un giro per la  grande tenuta.

-Va bene, ciao zione- disse allegramente Archie-ragazzi, non vorrete certo poltrire in questa sala come delle attempate signore?  Propongo di prendere la macchina e andare a Chicago. Qui siamo sempre in campagna e magari Terence è abituato alla vita di città. Inoltre penso che sarà meglio fargli fare un giro per la tenuta  domani con la luce del mattino, è molto più bello.

-Va bene, Archie, sono d’accordo!-rispose  subito  Candy, e Terence in cuor suo si dolse dell’empatia che c’era tra i due cugini.

-Allora tutto è a posto. Io vado un attimo in camera a prendere la giacca, ci vediamo fuori davanti alla macchina. Archie era sparito e Candy e Terence si diressero fuori, accanto alla Ford modello T.  Poco dopo arrivò il cugino.

-Ragazzi, sapete, credo di avere preso un raffreddore…non è il caso che io vada a Chicago. Me ne starò in casa al calduccio a scrivere ad Annie.

-Allora non è il caso che io e Terence ti lasciamo soli…

-Stai tranquilla, Candy, so badare a me stesso e inoltre ho bisogno di concentrazione  per scrivere, sai che  sono negato…vai, vai pure Candy…vedrai che il personale di servizio si prenderà cura di me. Terence tu come te la cavi con questa?-Archie accennò alla macchina.

-La so domare, stai tranquillo.

-Bene- Senza ascoltare eventuali risposte da parte di Candy  la spinse verso la macchina, poi le fece l’occhiolino e indicò Terence. Candy arrossì violentemente, non avrebbe mai immaginato Archie comportarsi in questo modo.

-Ma….Archie…

-Andate, andate pure, se volete che io stia tranquillo non fatemi venire sensi di colpa…Terence te l’affido. Divertitevi!
Non c’era niente da fare, Archie era irremovibile e Candy acconsentì a malincuore perché stava cominciando a provare una certa agitazione al pensiero di restare sola con Terence. Come un mare prima calmo, il suo cuore stava cominciando a incresparsi .

E ora che sarebbe successo? Due vecchi amici stavano per trascorrere un pomeriggio in allegria in città. Fin qui niente di strano.

Quando Archie si fu allontanato, Terence non mancò di far sapere alla ragazza che la sua antipatia per Archie non era scemata. Anche se tra di loro non era successo niente, non riusciva a sopportare  l’idea che Archie avesse potuto pensare ad un matrimonio, anche finto, con Candy.

-Beh non si può dire che tuo cugino riesca a tenere pulita questa macchina. Guarda è tutta sporca di polvere e fango. Bisogna proprio dargli una pulita. Quello che vedo lì sotto potrebbe fare al caso mio…

Candy era ancora impegnata a osservare il cugino allontanarsi, chiedendosi se la sua non fosse  stata una subdola manovra per lasciarla sola con Terence, quindi non si rese conto che il ragazzo aveva preso in mano proprio il corsetto che si era tolta alcune settimane prima mentre con Archie andava a Chicago e che aveva dimenticato sotto il sedile.

-E questo cos’è?- fece il ragazzo, esaminando con attenzione quello strano indumento, che sapeva benissimo essere un indumento femminile molto…personale, anche se lui stava facendo finta di non saperlo. Gli era capitato di vederlo indosso ad alcune colleghe quando erano entrate  nel suo camerino a ripassare una parte, senza mostrare la minima vergogna.

-Lascia, dammi qua! Ma come ti permetti?- tuonò Candy cercando di strappargli il minuscolo pezzo di stoffa, ma Terence velocemente lo nascose dietro la schiena.

Non riuscì a trattenersi dal ridere. La sua Candy era davvero comica, anche quando si arrabbiava, anzi soprattutto quando si arrabbiava. Ma dopo essergli sembrata divertente, si sentiva attirato come da una calamita  da quegli occhi  accesi e luminosi .

-Ma io ti stavo solo chiedendo cosa è, non mi pare di averti mancato di rispetto-disse lui con finta innocenza.

Ecco fatto. In un lampo erano tornati i tempi del collegio e le loro scaramucce.

-Sì con quello sguardo vuoi farmi credere di non sapere cosa è, non ti credo affatto! E comunque, se davvero ci tieni a sapere se l’ho indossato qualche volta la risposta è sì-disse con orgoglio.

Terence sollevò l’indumento portandoselo davanti  agli occhi e guardandolo con attenzione, sapendo che l’imbarazzo della ragazza cresceva sempre di più.

-E tu vuoi dirmi che sei…sei entrata dentro questo coso minuscolo?  Dovresti  provartelo adesso per dimostrarmelo…

Candy strabuzzò ancora di più gli occhi. Ma che insolente! Non era cambiato per niente in tutti questi anni! Era come se si trovassero nuovamente sulla collina del collegio a Londra.

-Si dà il caso che io non debba dimostrarti assolutamente nulla, e sei libero di non crederci- la ragazza adesso incrociava le braccia ostentando una calma che non aveva, perché sentiva che Terence stava accorciando le distanze tra di loro rompendo le rigide regole della formalità.

-Uhm…va bene, la prova è solo rinviata, e voglio fare finta di crederti. Ma come mai si trovava qui in macchina?
La domanda di Terence era innocente, ma Candy non si accorse dell’insidia nascosta dietro la verità che stava per raccontare. La solita dolce, ingenua, innocente Candy.

-Sarà stata quella volta che sono andata a Chicago con Archie e…
Oh, no, era troppo tardi! Cosa si era lasciata scappare!
-E….- lo sguardo di Terence divenne  un cielo in tempesta, terribile come può esserlo quando sta per rovesciare la sua furia di lampi e di pioggia. Imperterrito come un uragano, scuro come la notte più scura. Dopo aver sofferto tanto per quel finto matrimonio, questo dubbio non ci voleva.
-E poi…cosa è successo, cosa? Come mai non ce l’hai più avuto indosso, ad un certo punto?

La gelosia, questo mostro dagli occhi verdi. Ma aveva senso, oramai?
Candy si chiese come osava, come si permetteva lui  che aveva un’altra, lui che negli ultimi anni era andato per la sua strada, come poteva chiederle spiegazioni!?
-Oh, ma come puoi pensare…oh! Sai che c’è, Terence? che non voglio…non voglio…
-Cosa, Candy?
Come dirglielo?
-Non voglio darti spiegazioni, non voglio… affrontare certi discorsi…non con te...sai….tante cose di me non ti dovrebbero più riguardare…
Come dirglielo? Doveva essere lei la prima a rivangare il passato?

-Tu ora hai un’altra vita, adesso! Lo abbiamo deciso insieme, ricordi? In una fredda notte di dicembre di quasi quattro anni fa!-l’ultima frase le era costata un sforzo sovrumano, la verità pesava come un macigno.
Certo che ricordava quella notte.

E Candy si stava dimostrando gelida e spietata a ricordagliela. Certo che ricordava il dolore, la delusione, l’assenza.  
-E comunque dovresti conoscermi bene! Io non sono affatto cambiata, sono sempre la stessa…sì quella ragazza a volte imbranata, ingenua, ma comunque io…sono sempre io…
-Hai ragione, scusami Candy. Non voglio ascoltare altro. Lo so, lo sento che non sei cambiata affatto e io non ho alcun diritto di chiederti  nessuna spiegazione. Ti prego di dimenticare questo spiacevole incidente e di venire con me a Chicago, ti prego. Perdonami se ti ho fatto ricordare un’esperienza tanto dolorosa.
-Va bene, Terence, avevamo cominciato bene, stamattina, dimentichiamo tutto. Andiamo.

Avevano cominciato bene, quella mattina, trattandosi come due semplici conoscenti.

La strada per Chicago era una lunga strada stretta di campagna. Si diramava in direzione est ovest così  la macchina quel pomeriggio corse nella direzione del sole calante. I suoi  riflessi dai colori pastello erano uno struggente richiamo al chiarore del cielo limpido di quella giornata che stava per terminare.

L’uno accanto all’altra i due ragazzi non proferirono parola. Senza volerlo, in un attimo avevano scoperto tutte le loro carte, ricordando che c’era stato un tempo in cui avevano significato molto l’una per l’altra. Terence evidentemente provava ancora  della gelosia  e Candy non aveva ancora superato il trauma di quella separazione sopraggiunta per il bene di una terza persona.

Eccolo, il nodo più importante, Susanna. Che ne era stato di lei? Alla fine era riuscito a conquistare il suo cuore o erano rimasti solo amici? Sui giornali qualche volta aveva letto di una “tenera amicizia”, ma questo poteva significare tante cose e inoltre i due non avevano mai ufficializzato il loro rapporto. Che si fosse preso cura di lei come un amico? O forse con il tempo era sopraggiunto, se non l’amore, una forma particolare di affetto?

Candy si chiedeva perché mai lui non le parlasse di Susanna, e nello stesso tempo si vergognava della propria curiosità. Per diversi anni aveva cercato di rassegnarsi completamente. Da quando si erano lasciati non aveva permesso a se stessa di indugiare nel rammarico e nel ricordo e quando quella mattina lo aveva rivisto, pur avendo provato una forte emozione, si era ripetuta che non le apparteneva. Era stata di nuovo  la più forte,  la donna decisa che sa agire per il meglio. Esattamente come quella fredda e nevosa  notte. Era stata di nuovo lei a saper mantenere le distanze, mentre lui era stato più istintivo, forse anche più sincero.

Adesso non doveva farsi domande,  solo concentrarsi sull’ opportunità  che le era giunta, inaspettata, di  trascorrere del tempo con lui come una buona amica. Lo osservava bene.  I capelli del ragazzo, che teneva le mani sul volante e le gambe leggermente  divaricate, ondeggiavano mentre con lo sguardo fisso sulla strada sembrava essersi estraniato da ogni cosa. Nonostante la stoffa della camicia ella intuì che il suo torace si era allargato e i muscoli delle braccia si erano sviluppati. Si sentiva affascinata e nello stesso tempo aveva paura.

E lei, invece, come stava in quel momento? Era un maschiaccio. Negli ultimi anni giocare con i bambini della casa di Pony, andare a trovare ogni tanto Annie e gli Andrew e lasciarsi scorrere addosso la vita era quanto aveva fatto, nulla di più. Da quanto tempo non andava ad una festa? E se apriva il suo armadio trovava per lo più camicie a scacchi come quella che indossava in quel momento, declinate in vari colori, pantaloni resistenti e cappelli di paglia. Era stata una reazione alla delusione per la fine della loro storia, forse, ma in quel momento  si stava pentendo  di essersi ridotta  in quel modo e  avrebbe pagato oro per trasformare all’istante la sua mise in una più elegante e femminile.

-Beh, constato con piacere che ti fidi della guida del sottoscritto! Non ti ricordavo tanto silenziosa.
-Beh, io…stavo pensando ad Albert. Povero Albert, sempre così pieno di impegni…spero che la riunione con i soci non finisca tardi…-mentì Candy.
-E’ stata davvero una sorpresa scoprire che Albert era il famigerato zio William…se c’era una persona che non avrei mai creduto capace di giocare in Borsa quello è proprio Albert…
-E’ stato incredibile anche per me quando l’ho scoperto, e adesso oltre che occuparsi degli affari di famiglia si occupa anche delle questioni personali di ciascuno di noi…
-Già, e mi sembra che abbia tutto sotto controllo…
La conversazione languì..altri pensieri e lo spettacolo di  quel tramonto monopolizzarono  l’attenzione.

In poco meno di un’ora furono nella metropoli.
-Bene, e ora, caro il mio autista, che si fa?
-Potremmo fare quella cosa che non hai mai fatto…sarebbe per te la prima volta e la faresti con me.
-Che cosa?-esclamò Candy turbata. Quel tipo era incorreggibile.
-Andare al cinema, no? Non hai detto, a pranzo, che non ci sei mai stata? Se non sbaglio lamentavi il fatto che quando ti eri decisa ad andarci con Archie avevate trovato il tutto esaurito.
-E’ vero. Sì, è una bellissima idea!-fece elettrizzata.

Entrati si diressero al botteghino e Candy notò che Terence aveva alzato il bavero della giacca e coperto come meglio poteva il volto con la sua sciarpa. Solo dopo che le luci si spensero si mise a suo agio.
-Hai paura di essere riconosciuto, è così?
-Esatto…-ma Candy non sapeva che in quei giorni c’era una vera e propria caccia all’uomo, nessuno sapeva che fine avesse fatto Terence Graham Granchester e la curiosità aveva raggiunto il suo apice.

Proiettavano un film con il divo del momento,  Rodolfo Valentino. Candy fu rapita da subito dalla magia che si sprigionava da quel grande schermo. Come molti, all’inizio, ebbe l’impressione che quei personaggi venissero verso di lei, ma dopo un po’ si abituò. Le piacque tanto il film, e riflettè sul fatto  che un film era solo una riproduzione della realtà, non esatta, ma come una fotografia, che sceglie di focalizzarsi su certe cose e non su altre. La colpirono anche la gestualità enfatizzata degli attori e il pesante trucco che copriva i loro volti.
-Sai Terence, trovo che quest’attore ti somigli…ha qualcosa nello sguardo che mi ricorda te…
Terence lo prese come un complimento. –Ah ma davvero? Lo sai che ha milioni di fans adoranti? Cara la mia Tarzan, questa volta ti sei tradita, mi hai fatto un bel complimento.

Tarzan? Ah ma allora stava riprendendo davvero tutte le vecchie abitudini! Era sempre più confusa, certo il suo modo di scherzare con lei era rimasto  lo stesso, ma i suoi sentimenti? Erano passati quattro anni dalla loro separazione  e non sapeva se gli era rimasto qualcosa della passione che aveva provato per lei. In più, quell’atmosfera particolare al cinema aveva un non so che… di romantico…, e Candy pensò che sarebbe stata l’occasione giusta per parlare d’amore, e chissà, anche…
Baciarsi? Ma Candy, ti sei bevuta il cervello? C’è Susanna, c’è un’altra…

E poi, lui, sempre impenetrabile, lui, sempre difficile capire cosa gli passasse per la testa…come quel giorno, a pranzo, si era aspettata lunghe occhiate, allusioni, o quantomeno che le chiedesse come stava…niente.
-Sai, lentiggini, oggi mi stai proprio stupendo. Che fossi tanto silenziosa e soprattutto che non sapessi ribattere alle mie battute non me lo sarei mai aspettato. Hai spuntato le unghie, in questi ultimi anni.
Bene, continuava a ancora a scherzare. Eppure, l’ultima volta che erano stati insieme  si erano salutati in un modo tanto struggente, lui abbracciandola da dietro e piangendo lacrime amare le aveva chiesto di promettergli di essere felice.

Ad un certo punto Candy  desiderò solo tornare a Blueberry Mansion, rivedere Albert ed Archie e discutere con loro di come avevano trascorso la giornata. Ma Terence le propose una passeggiata per i larghi viali del centro di Chicago.
I lampioni erano stati accesi ed emanavano la loro luce fioca e suggestiva. Per le strade signore eleganti, famiglie, uomini acconciati di tutto punto con tanto di cappello che solevano togliere davanti a rispettate conoscenze.
Terence le chiese di parlargli della vita alla casa di Pony e Candy gli descrisse i vari momenti della giornata, le occupazioni ordinarie e quelle straordinarie, cosa era utile a quei bambini e cosa no. Poi passò a raccontargli la sua vita a villa Andrew, i Legan, Albert, la zia Elroy, Annie ed Archie. Terence ascoltava, e non le chiese nulla né di Neal né di Archie. Ad un certo punto la ragazza chiese l’ora, e…oh, no! Le nove passate.

-Vuoi farmi credere che ho parlato più di un’ora? Oh sono proprio una chiacchierona! Scusami , Terence-
-E di cosa? Era da un po’ che mi chiedevo cosa avesse fatto la scimmietta in questi ultimi anni. Adesso ho trovato una risposta a tutte le mie domande.
-Beh, la scimmietta. Come dici tu, è molto cambiata. E’ una signorina discretamente avvenente, ormai.
- Anche questo è vero…
-Che ti succede Terence, adesso sei tu quello che non riesce a fare a meno dei complimenti?
-Sono un gentiluomo, ricordi?
Altro passo falso verso lo scivolone dei ricordi.
-Sarà meglio tornare a casa, non voglio che Albert si preoccupi-

Ritorno a Blueberry mansion. La casa aveva solo poche luci accese, evidentemente tutti gli abitanti della grande casa erano andati a dormire.
-Beh, dovevo aspettarmelo, si è fatto veramente tardi e di solito in questa casa si cena alle 19. Mi dispiace non poterti offrire nulla, forse Albert ha pensato che avremmo cenato fuori. Però…mi è venuta un’idea! Posso prepararti qualcosa io, se ti va…
-Il fu Terence Graham Granchester, fatto fuori da una cena improvvisata…
-Uhm…non ti fidi? Va bene, ti dimostrerò che sono diventata brava! Come le rompo io le uova per metterle in casseruola nessuno!- scherzò Candy, quindi allegramente gli prese la mano e lo portò in cucina, nella grande cucina che dava sul retro della villa.
-Ecco, siediti qua. Vedrai che tra poco sarà pronto.
Dopo aver indossato un grembiule Candy raggiunse la postazione dove cominciò a rompere le uova ad una ad una. Silenziosamente, Terence la raggiunse e tenendosi dietro di lei le disse:
-Ve bene, fermati. Queste sono sufficienti.
Le prese le mani e la guidò a poggiare gli ultimi gusci.
-Adesso dobbiamo lavare queste mani.
Prese il sapone e strofinandolo tra le proprie mani e quelle della ragazza provocò una soffice e leggera schiuma, che continuò a massaggiare sui palmi e le mani di Candy. Ella pensò che era come il cioccolato: una sensazione avvolgente e dolce che pervade tutto il palato e porta lentamente una specie di euforia. Ora dolce, ora amaro, ora carezzevole, è qualcosa che assorbe le facoltà di chi lo gusta.
Lentamente Terence aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua sulle loro mani intrecciate. Fu solo allora che a Candy venne in mente che si erano lasciati esattamente nello stesso modo, ricordava perfettamente e quasi  sentiva la lacrima di lui che le scorreva  giù per il collo. Ora, dopo quattro anni, si stavano ritrovando nello stesso modo.
-Non sono cambiato, Candy. Non sono cambiato per niente in questi anni.
-Eppure…mi sembrava…-questa volta fu Candy a non riuscire a trattenere una lacrima.
-Lo faccio di mestiere. Recitare.
-Oh! Ma allora tu…
-Sì, come sempre. Come la prima volta che ci siamo visti. Come l’ultima. Ora perdonami, ti prego. Mettiamo sul fuoco queste uova.
Terence si staccò dalla ragazza, e quando le uova furono pronte cenarono in piedi, pochi commenti di rito sul cibo, e  quando, una volta saliti al piano nobile si separarono, furono molto attenti a non dire nient’altro che “buonanotte”.


                                                          


Salve a tutti, eccomi dopo un po’. Come avrete visto questo capitolo è più lungo dei precedenti e quindi ci ho messo più tempo. Non potevo dividerlo per non spezzare la tensione.
Grazie a Tetide, Petra Lu, love candy 77, Rubina, fiordistella e hakuna 89 per le loro recensioni.

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Capitolo 10
*** L'ultimo giorno d'estate ***



Cara Candy,
so che questa lettera ti trova in ansia per via della mia reazione al tuo finto matrimonio con Archie.
Voglio subito tranquillizzarti, mia cara amica, sorella, e dirti che non c’è nulla di cui devi vergognarti, nulla da temere. So bene quanto possano essere fastidiosi i Legan e soprattutto sono estremamente sicura dei sentimenti di Archie,  li ho visti crescere di giorno in giorno e solidificarsi . Sarei rimasta la ragazza vulnerabile dei tempi del collegio se non mi avesse dimostrato , poco per volta, quanto io sia importante per lui. Non è stato semplice e neanche indolore, ho dovuto pazientare e rimanere  salda e forte  come una quercia dalle radici ben piantate, ma alla fine la mia perseveranza ha avuto ragione delle mie paure e adesso sono  tanto  sicura del nostro rapporto da trovarmi a Parigi, certa della lealtà dell’uomo che amo.

Mi rammarica moltissimo non essere con te a farti compagnia in quella grande villa e  parlare dei nostri ricordi e progettare il nostro avvenire. So che avresti voluto confidarti di più con me su Terence ma che la tua riservatezza è stata più forte. Adesso che mi trovo lontana  ho il coraggio di dirtelo, così come trovo il coraggio di dirti che i tuoi sentimenti per lui mi erano più che evidenti, bastava osservare la tua espressione ogni volta che sul giornale veniva pubblicato un articolo che ne  parlava.
Vorrei vederti felice, mia cara. Sai, più mi guardo indietro e più in ogni cosa importante vedo te, grazie alla tua bontà e alla tua forza  sono cresciuta e adesso posso dire di sentirmi realizzata.
Ti scrivo in un momento di pausa dalle lezioni; vorrei dirti tante cose e raccontarti com’è la vita a Parigi, ma  conto di spedire immediatamente questa lettera. Scriverò privatamente anche ad Archie.

Tutto bene, laggiù?  Salutami Albert.
Con affetto,

Annie

Candy lesse la lettera in uno dei salottini al piano terra. Aveva da poco fatto colazione, da sola (era difficile che gli orari dei pochi altri abitanti della villa coincidessero) e all’uscita dalla sala da pranzo aveva trovato questa bella sorpresa: June le aveva portato una lettera di Annie. Dopo aver finito di leggerla decise di aspettare che Archie e Terence si facessero vivi per andare a fare quel famoso giro per la tenuta. Si alzò dalla poltrona, si sgranchì e sul tavolino vicino alla finestra vide un giornale, certamente quello del giorno prima, a giudicare dal modo in cui era stato spiegazzato. Niente male, avrebbe passato il tempo leggendolo.

Lo aprì e rimase sconvolta dalla notizia in prima pagina: la scena pietosa di Terence Graham ubriaco sul palco, la sospensione della rappresentazione e la misteriosa fuga dell’attore che nessuno aveva più visto. Tutta Chicago voleva sapere dove si fosse nascosto.
Nel frattempo Terence era stato convocato  nello studio di Albert dove il capofamiglia Andrew  lo stava informando sulle ultime novità.
-A  quanto pare, non solo la compagnia vuole riaverti al più presto, ma quello che è successo l’altro ieri sera sembra essere stato interpretato come una trovata pubblicitaria per richiamare più spettatori. Sembra strano anche a me, assurdo. Pubblicità negativa ma sempre pubblicità. Qualche giornalista  ha avanzato questa ipotesi e Robert Hathaway non ha smentito: gli sembrava la cosa migliore per aiutarti. Tutti sono curiosi di rivederti ma  dovrai stare molto attento, avrai migliaia di occhi puntati su di te e fotografi  a profusione pronti a scattare la miglior foto compromettente.

-Albert, sono pronto a tornare. Non mi fa paura stare di nuovo al centro dell’attenzione e  voglio dimostrare di essere lo stesso attore impegnato di sempre. Se qualcuno ha avuto dei dubbi sulle mie capacità dovrà ricredersi.

-Bene, volevo sentirti parlare così. Ma questo vuol dire che dovrai  organizzare la tua partenza al più presto. Darò subito disposizioni affinchè venga preparata una carrozza.

-Ti ringrazio, ma prima devo parlare con Candy. Lei ha il diritto di conoscere la verità. Non voglio ingannarla ancora, sai lei è tuttora  all’oscuro di tutto, ieri non ho avuto il coraggio di rivelarle nulla.

-Va bene, Terence- rispose  un Albert preoccupato e consapevole del fatto che tra qualche ora avrebbe dovuto consolare la sua protetta.
-Io vado, e grazie per tutto quello che hai fatto per me in questi giorni. Senza il tuo aiuto avrei perso il mio lavoro e forse anche la mia dignità.

Terence pensò che il suo amico era veramente  forte. Una  roccia. E si chiese cosa mai avrebbe potuto renderlo felice, cosa mai lo avrebbe compensato per tutto il bene che faceva al prossimo.
Giunto nei pressi del salottino intravide Candy.

-Candy, io devo…
-Terence, vuoi dirmi cosa significa questo?-la ragazza teneva tra le mani il giornale che finalmente le aveva fatto luce sugli ultimi avvenimenti.
-Mi dispiace, ti assicuro che stavo per parlartene…
-Ah, ma davvero? E quando?  In partenza per  Chicago,stasera, sul predellino della carrozza?
-In realtà partirò prima…non appena avrò chiarito ogni cosa con te.
-Partirai prima…-rispose la ragazza con un filo di voce.

In realtà era rimasto ben poco da chiarire. Mettendo insieme le varie tessere del puzzle, Candy aveva capito tutto. Se ancora non era riuscito ad amare Susanna e gli stava stretta la vita che conduceva, come aveva avuto modo di intuire il giorno precedente, il crollo della sera della prima era semplicemente una replica di quello di Rocktown.

-Tu  e Albert mi avevate raccontato una storia diversa…che avevi due giorni di pausa dalle rappresentazioni e avevi deciso di passarli da Albert che avevi casualmente incontrato a teatro…
-La seconda parte della storia è vera…mi ha raccolto all’uscita laterale del teatro che ero ubriaco fradicio…
-Tu mi avevi promesso che avresti cercato di essere felice…
Quelle parole pronunciate in quel momento fecero  molto male al ragazzo, che perse la calma che aveva cercato di imporsi.
-Tu credi che io sia un eroe, Candy?  Un essere eccezionale? No,  ti sbagli. Sono umano, sai, e in questi anni avrei potuto sopportare quello che ho sopportato solo se avessi avuto la speranza che un giorno qualcosa sarebbe cambiato…e  invece ogni maledetta mattina mi svegliavo col pensiero che la mia vita si sarebbe ripresentata a me  uguale giorno dopo giorno, mese dopo mese, per sempre…
-Mi dispiace, Terence…ma pensavo che il lavoro fosse importante per te, che ti coinvolgesse…perché allora…questo…-sighiozzò Candy mostrandogli  il giornale.
-Non te lo immagini? La notizia sulle  presunte nozze con il tuo caro cugino è  arrivata fino a me… Che razza di sentimenti credi che io abbia provato quella sera quando per un po’ ho pensato  che tu avessi tradito tutto ciò  che…tutto ciò che di importante era accaduto tra di noi? Pensai di aver dovuto rinunciare  a te perché  potessi stare con quel damerino….
-Lo avevo immaginato, Terence, ma le cose non stanno come…
-Lo so, Albert mi ha raccontato tutto. Aveva intuito ogni cosa.
-Ma tu non puoi lasciarti andare così! Questa non è la prima volta che succede!
-Cosa vuoi dire, Candy?-Terence andò immediatamente con la mente a Rocktown.
-Che so tutto di Rocktown! Io ero lì.
-Ma allora…eri davvero tu!
-Sì, e non voglio vederti così, mai più! Forse la colpa è stata mia, io distruggo tutto ciò che tocco. Devo andarmene, e tu devi dimenticarmi!

Candy corse via dalla stanza, e Terence le andò dietro. Fuori un tuono preannunciava la scoppio di un temporale. Terence la rincorse per quasi un miglio, Candy era velocissima. Ad un certo punto la ragazza si fermò. Terence non credeva che lei sarebbe stata in grado di stancarlo tanto.

-Beh, a quanto pare non riusciamo a chiarirci…

-E tu non riesci a correre veloce come me- rispose Candy  che cercava come meglio poteva di riprendere fiato, esattamente come il ragazzo.
Una prima goccia di pioggia trovò Candy sulla fronte. Le altre cominciarono a cadere imperturbabili sui due ragazzi.

-Ci siamo allontanati molto dalla villa! Vieni con me!

Candy portò Terence alla casetta di legno che le aveva mostrato Albert quando era ancora una bambina. Era lì che Albert le aveva fatto conoscere i suoi amici animali. Era lì che, adulta, si rifugiava quando qualcosa non andava. All’interno attrezzi dismessi, vecchi mobili, qualche fiore in un vaso che Candy aveva portato alcuni giorni prima.

-Entra. Sai Terence, questa piccola casa di legno era il rifugio di Albert quando non si era rivelato come lo zio William.
-Beh, direi proprio che è da Albert! Semplice e rustica.
-Aspetteremo qui che scampi.
-No, Candy, io andrò via prima.
-No…non di nuovo…-sussurrò Candy, e subito dopo pensò di aver detto una sciocchezza.
-Devo farlo. prima lo farò meglio sarà per tutti e due. Mi dispiace averti delusa, e mi dispiace averlo fatto per ben due volte, forse avevi riposto troppo fiducia in me. Ma ora voglio, devo rimediare. Mi assumerò  i miei doveri, e non tornerò più indietro.

Candy abbassò gli occhi, non riusciva a guardarlo in faccia. Terence continuò.

-Se io restassi con te la nostra felicità durerebbe poco. Tu saresti preda di atroci sensi di colpa e non mi perdoneresti di avere abbandonato Susanna, lo so. Perderei la tua stima, forse con il tempo anche…anche quello che provi per me, ed io non voglio…

Terence si sentiva  orgoglioso, questa volta era lui che  stava prendendo  la decisione più buona, più altruista, e sapeva che per Candy  non sarebbe mai stato un uomo da poco. Nello stesso tempo, però,  gli sembrava  di trovarsi intrappolato all’interno di un blocco di ghiaccio, si sentiva freddo e come di pietra. Le sue gambe si rifiutavano di condurlo via, ma doveva farlo. Gli venne in mente che quello, per lui, era l’ultimo giorno d’estate. Mai più si sarebbe sentito così.

-Devo andare, Candy. Tu sai che non ti dimenticherò…addio!

Terence corse fino alla porta, la aprì e la corrente la fece sbattere. Candy si impose di non seguirlo. Con la mente lo immaginò mentre correva fino alla villa, raccattava le sue cose e saliva sulla carrozza. Forse, se si fosse sbrigato, la strada non si sarebbe impantanata troppo. Doveva restare lì in quella casetta di legno qualche ora per essere certa che fosse partito. Si guardò attorno. Quante volte si era rifugiata lì, ultimamente, dapprima per non incontrare i Legan, poi perché sentiva il bisogno di momenti che fossero solo  suoi.

Un timido raggio di sole fece capolino attraverso la finestra. Doveva essere passato  mezzogiorno, a giudicare dalla posizione del sole. Dopo aver asciugato un’ultima lacrima ripercorse lentamente la strada fino alla villa, mentre ogni tanto cadeva  qualche goccia di pioggia, e in prossimità dell’ingresso scorse una figura femminile avvolta in un ampio mantello con cappuccio che era appena scesa dalla carrozza e stava parlando con June. La cameriera evidentemente l’aveva invitata ad entrare, e nel farlo la donna misteriosa abbassò il cappuccio, rivelando una liscia chioma bionda.

-Susanna?!

                                                                                                    
 
Salve a tutte! Mi tocca fare una doverosa precisazione: MI DISSOCIO  da quanto detto da Annie, insomma io non lascerei mai e poi mai il mio fidanzato per un anno standomene tranquilla e rilassata…fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, lol.
Detto ciò, credo che per molte sarebbe stato molto probabile che Candy e Terence tornassero insieme, ed è normale tutto ciò in relazione alla mentalità occidentale, io però ho preferito attenermi ancora al senso dell’onore e del dovere di quella orientale, ecco perché si sono lasciati ancora una volta. D’altra parte la questione Susanna non è stata ancora risolta, e anche se sarebbe stato perfettamente lecito descrivere due personaggi che prendono consapevolezza del loro diritto alla felicità e agiscono di conseguenza, nella mia storia viene anteposto ancora una volta il dovere.
Vabbè, sintetizzando,  sono stata cattiva, me lo sono detto da sola! Eh eh…
Grazie a tutte coloro che hanno commentato, a chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite e ai lettori silenziosi.

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Capitolo 11
*** La luce e le ombre ***


-Terence! Dov’è Terence!?

Un’impetuosa ed esagitata Susanna aveva fatto  irruzione in casa Andrew.

-Perché non volete farmelo vedere? Dov’è? Ah…siete voi…

Richiamato dalle urla della ragazza si era materializzato Albert.

-Siete la benvenuta in casa mia, signorina, ma non vi permetto di urlare in questo modo.

-Se voi  vi ostinate a nasconderlo…perché avete fatto dire alla vostra cameriera che è partito? Lo so che lo nascondete in casa!

-Io non nascondo nessuno, e se avessi intenzione di non farvelo incontrare  non vi racconterei una bugia, semplicemente vi impedirei di vederlo, e voi non potreste far nulla.

-Ah! E poi sarei io l’arrogante!

-Non ho mai usato una parola simile con voi, mentre al contrario voi appena un attimo fa mi avete accusato di esserlo.

-Siete impossibile! Non resterò un minuto di più in questa casa!

-Vi suggerisco di rimanere, signorina.

- Volete costringermi?

-Non costringervi, ma convincervi. Se  vi rimettete in cammino ora avrete delle ottime probabilità di finire dentro una buca per via della strada dissestata  dalla pioggia, il vostro cocchiere sarebbe costretto a tornare qui e chiedere il mio aiuto, e immagino questa sia l’ultima cosa che vorreste.

Suo malgrado, Susanna dovette cedere.

-E va bene, ma queste saranno le ore più lunghe della mia vita!

Flemmatico, e senza di dire una parola, la guidò nel grande salone a pianterreno, dove poco dopo li raggiunse Candy.

-Susanna, allora eri veramente tu! Ti avevo riconosciuta da lontano!

-Ciao, Candy, immagino neanche tu  sappia dove si trova Terence…-disse con una punta di ironia.

-E’ partito circa tre ore fa, stava tornando al lavoro e…da te…-impercettibilmente Candy si morse il labbro e abbassò lo sguardo. Susanna irruppe in una risata isterica.

-Bene, a quanto pare tutti erano a conoscenza dei suoi piani…tranne me…

-Ebbene sì, ne ero a conoscenza-intervenne Albert- ma sappiate che è stato proprio il vostro capo impresario, Robert Hathaway, a pregarmi di non farne parola con nessuno.
Immagino che se gli aveste detto che avevate intenzione di venire qui da noi  con questo tempo ve l’avrebbe confidato. Ma avete pensato di mettervi in viaggio e l’avete fatto, senza pensare alle conseguenze. Ciò spiega che siete un tipo molto impulsivo.

Susanna si sentì fortemente a disagio per la  sensazione di essere stata squadrata e studiata.

-Ad ogni modo ho provato più volte a mettermi in contatto con il teatro via telefono per informarmi ma non riesco a prendere la linea. Perché adesso non vi mettete a sedere?-aggiunse il padrone di casa.

Era l’ultima cosa che avrebbe fatto. Mai e poi mai far vedere di essere stata convinta ancora da quel tipo.

-Grazie, ma preferisco restare in piedi davanti alla finestra.

Come in un vecchio dipinto  che racconta una delicata e tipica scena familiare, i tre personaggi di quel quadretto si ricavarono ciascuno il proprio angolo: Candy sedette su una comoda poltrona su  uno dei lati brevi della stanza, Albert prese posto dietro la scrivania come un re sul suo scranno, e la nuova arrivata, appoggiata ad una stampella, rimase  pervicacemente in piedi di fronte alla grande porta finestra solcata da lacrime di pioggia.

Due donne. Due caratteri diversi. Un unico destino, quel giorno. Quello di ritrovarsi nella stessa  stanza a sperare che l’uomo che amavano fosse giunto a Chicago sano e salvo.
Dopo un po’ Candy si alzò e andò verso di lei.

-Susanna, perché non ti metti a sedere? Potresti stancarti.

Candy, smettila di fare l’altruista, la ragazza perfettina! Cosa ne sai di cosa significa essere me? Terence ti ha inseguito, ed io ho inseguito lui! Sono già a terra e la mia dignità è stata calpestata, e tu continui a far tanto la superiore!

Susanna non pronunciò queste parole, ma il suo sguardo fu molto eloquente. Candy capì.

-Grazie Candy, preferisco restare qui.

-Certamente è già arrivato. Non preoccuparti per lui, è partito quando aveva da poco cominciato a piovere.

-Non dirmi cosa devo pensare, Candy! Lasciami qui, ad osservare la pioggia…

Candy tornò al suo posto e Susanna la vide allontanarsi,e i lunghi capelli ricci ondeggiare.

Capelli ricci…

-Terence, cosa ne diresti se cambiassi pettinatura? Potrei arricciare i capelli…
-Arricciarli? Ma che storia è mai questa? Mi sembra un’idea assurda…
-Sì, assurdo, come tutto ciò che mi riguarda! Non te ne va mai bene una di ciò che faccio, Terence!
-Ma Susanna, sai bene che puoi fare tutto quello che vuoi, solo non vedo perché tu me ne debba parlare…
-Magari perché voglio  parlare con te di qualcosa, no?

Aveva cominciato a piangere ed era fuggita via.
Quella era stata una delle ultime volte che gli aveva permesso di trattarla così. Si era molto arrabbiata con se stessa per aver  cercato di somigliare alla sua rivale, almeno nell’aspetto, ed esserne  uscita umiliata. Dopo, aveva finto anche lei indifferenza, fino ad indurirsi sempre di più . Terence era come tutti gli altri uomini, freddo ed egoista. Forse solo con Candy aveva mostrato un briciolo di calore…

In quel mentre entrò June.
-Il pranzo è servito, signor Andrew.

-Bene, spostiamoci in sala da pranzo. Signorina Susanna, del buon cibo  vi farà stare meglio.

-Non ho fame, e non ho intenzione di venire con voi, spero solo che questa dannata pioggia smetta e che io possa andarmene al più presto.

-Sentitevi libera di fare come credete. Permettetemi però di farvi portare un thè per scaldarvi, e degli ottimi pasticcini fatti venire proprio oggi dalla migliore pasticceria di Chicago.
Susanna si sentì sollevata al pensiero che finalmente sarebbe rimasta sola.

-Sarebbe meglio così per me.

Candy e Albert raggiunsero Archie in sala da pranzo mentre fuori pioveva ancora più forte. Un quarto d’ora dopo June entrò con un vassoio pieno di dolci e servì il thè all’ospite da una preziosa teiera d’argento.

-C’è altro che posso fare per voi, signorina? Il padrone di casa mi ha detto di mettermi a  vostra disposizione.

-No, grazie, potete andare-guardò alla finestra mentre lasciava a mezz’aria il braccio con la tazza alzata.

-Anzi sì, qualcosa potreste fare per me. Mi piacerebbe poter avere delle matite e qualche foglio.

-Sarà fatto, signorina.

Dieci minuti dopo la cameriera rientrò con un blocco di fogli e delle matite. Seduta su una poltrona, la tazza di thè ancora tiepida, cominciò a disegnare quello che vedeva alla finestra. Tracciava delle linee che poi ricalcava con altre, cercando di riprodurre la sagoma degli alberi, i chiaroscuri delle nuvole e i contorni incerti degli oggetti in lontananza.  Sarebbe stato bello definire i sentimenti, le persone e i fatti della vita con la stessa facilità con la quale si definiscono su carta i contorni degli oggetti. Questa attività la occupò per un po’ e  dimentico il thè che si raffreddava, e che decise di riprendere in mano per concedersi in attimo di pausa. In quel mentre la porta si aprì ed entrò Albert.

-Spero che il thè e i dolci siano stati di vostro gradimento.

-Sì, grazie….

-A quanto pare, questo tempo vi ha ispirata-disse Albert osservando il disegno sul foglio-siete molto brava col chiaroscuro, avete riprodotto molto bene le ombre, sembra siano le vere protagoniste dell’intero disegno.

-Infatti. Le ombre non sono meno importanti della luce. **

-Ma le ombre esistono solo perché c’è la luce, e voi dovreste smetterla di concentrarvi sulle ombre. Concentratevi sulla luce.

Susanna corrugò le sopracciglia. Che avesse appena pronunciato un’allusione alla sua vita? E cosa gli importava?

-Sono riuscito a mettermi in contatto con il teatro e ho avuto la conferma che Terence è arrivato sano e salvo-riprese Albert.

Susanna tirò un sospiro di sollievo.

-Bene, allora adesso posso andare!-Susanna si alzò di scatto ma Albert la trattenne.

-Non fatevi umiliare ancora, signorina. Non rincorretelo ancora. Restate qui fino a quando non sarà lui stesso a venirvi a prendere. Vi garantisco che in questa casa sarete trattata con ogni riguardo.

Ma come faceva, come faceva quell’uomo ad avere sempre dannatamente ragione? Era ora che Terence facesse qualcosa per lei, non amarla, non diventare d’un tratto appassionato, ma quantomeno smetterla di umiliarla ancora con il suo cinismo e la sua totale indifferenza!

Susanna tentennò, e Albert proseguì.

-Aspettate ancora quattro giorni, il tempo che porti a termine le rappresentazioni previste a Chicago, io nel frattempo gli comunicherò che vi trovate qui in casa mia. Tra quattro giorni vi verrà a prendere.

Susanna si sentì molto imbarazzata e si vergognò di proferire qualsiasi parola che potesse dare ragione a quell’uomo, ma Albert comprese che se si fosse opposta alla sua proposta non si sarebbe trattenuta, anzi certamente lo avrebbe contrariato senza troppi riguardi.

-Faccio subito preparare la stanza  per voi, signorina.




** citazione da Jane Eyre.

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Capitolo 12
*** Ubi maior ***


-No, non posso crederci! Miss  Funerale resterà altri quattro giorni qui da noi!- Aveva borbottato Archie  all’udire la notizia direttamente dalla bocca di Albert, il quale aveva  poi deciso di prendere il  suo caffè nello studio con George, il  suo fedele collaboratore atteso a breve.

Archie e Candy erano rimasti in salotto, come era abitudine dopo pranzo.

-Non parlare così di Susanna, Archie-lo ammonì la ragazza versandogli il caffè- e poi come fai a chiamarla in questo modo se non l’hai neanche vista?

-Sì che l’ho vista,  ho assistito alla scena madre del suo arrivo  proprio da qui, da questo salotto, con la porta socchiusa quanto bastava.

-Archie, sei sempre il solito…per te due cucchiaini di zucchero, giusto?

-Sì, grazie, a me il caffè piace dolce. Ma tu non ce l’hai con lei, Candy? Dopotutto è sua la causa della tua infelicità.

-Archie, ricordi come fui traumatizzata dalla morte di Anthony? Per me fu terribile, non pensavo di riprendermi da quel dolore. Se anche a Terence fosse capitato lo stesso destino…non avrei potuto sopportarlo! Lui è vivo grazie a Susanna, perché lo sento che quel riflettore lo avrebbe ucciso! Ed io non posso non esserle grata per quello che ha fatto, anche se mi causa sofferenza aver rinunciato ad una vita con Terence.

-Ti capisco, Candy…ma mi sembra che né Susanna né Terence siano felici…

-Sì, ma io  non voglio intromettermi tra di loro. Ora che Terence ha fatto ritorno alla compagnia, sono certa che cercherà di impegnarsi di più con lei, e questa cosa devo accettarla. Susanna non sarà felice con Terence, ma sarebbe ancora più infelice se non lo vedesse più…in questi anni grazie alla sua presenza si è ripresa…

Candy poggiò la fronte su una mano per nascondere la commozione.  Archie si rese conto che la ragazza stava soffrendo.

-Vieni, vieni qui…-Archie  abbracciò la ragazza. Era lì accanto, seduta sullo stesso divano.

-Sai che non la penso così…per me tu e Terence dovreste tornare insieme, e Susanna farsene una ragione…Che strano, e pensare che tanto tempo fa mi feci da parte per prendermi cura di Annie e lasciai campo libero a Terence. Allora sentii che avresti sofferto per lui, e questo presentimento si rivelò fondato quando tornasti da New York. Allora, una vocina nella mia mente mi disse che avrei potuto avere un’altra chance con te, ma preferii non ascoltarla.

Candy si scostò da Archie.
-Ma Archie, come puoi dirmi questo?

-Mi presi cura di Annie come tu mi dicesti di fare, fino a innamorarmene, ma è strano come le cose che succedono nella vita si rivelino come delle risposte a domande poste tanto tempo addietro. Quando eravamo molto giovani  e c’era anche Anthony, mi chiesi se ero destinato a te, se le nostre strade erano destinate ad incrociarsi per la vita, ma dovetti farmi da parte per lui… poi per Terence, e adesso ,che potrei  avere campo libero, preferisco di mia volontà non osare. Non eravamo destinati a stare assieme, ecco tutto. Con Annie ho un buon rapporto e…

E…
Quelle parole sospese in aria ci impiegarono secoli per venir fuori dalla bocca di Archie.

-E ho paura  che ne uscirei scottato. Non riusciresti mai ad amarmi come ti amerei  io. Dentro di me sento come un fuoco  che arde sotto la cenere, che potrebbe riattizzarsi e bruciare, bruciare tutto ciò che incontra… ogni cosa…ecco, sono certo che sentirei questo per te. Ma ormai sono troppo grande per buttarmi, troppo saggio per rischiare. Annie è la mia compagna, ed io la amo. Ma come amo la luna, bella e luminosa ma rassicurante. Tu saresti il mio sole, l’astro che dà vita e luce ma che non si può guardare direttamente, tanto è accecante.

Candy rimase come stordita da quelle parole pronunciate dal suo frivolo e decadente cugino, che sembrò dispiaciuto per quanto si era lasciato sfuggire.

-Oh, perdonami, Candy, ho parlato anche troppo,perdonami davvero. Non so perché abbia detto queste cose, forse è colpa della pioggia, o dell’arrivo di quella donna  che mi ha scombussolato, ma credimi, io sono felice, sono davvero felice con Annie, e non avrei mai voluto instillarti tristi pensieri…

-Non importa, Archie, era normale che prima o poi saresti stato tanto sincero con me. Siamo diventati molto intimi negli ultimi anni, ci siamo appoggiati l’uno all’altra ed era inevitabile che ci si lasciasse andare alle confidenze…

-Va  bene, ma ora non pensiamoci più-disse Archie  alzandosi, e con questo lasciando intendere che voleva davvero cambiare argomento-Piuttosto, che programmi hai per stasera? Non vorrai rimanere qui in casa con quella …andare a Chicago no, con le strade piene di fango…potremmo andare a quella festa dei Nichols, abitano a neanche un quarto di miglio e potremmo raggiungere la loro villa percorrendo quella stradina in pietra…

-Ma sei hai sempre detto che sono persino più snob di Neal e Iriza!-notò  Candy il cui tono era tornato allegro. Aveva capito negli ultimi anni, dalla morte di Stear, che suo cugino Archie non era il tipo di persona facile alla tristezza e alla depressione e che riusciva a trovare sempre un motivo per andare avanti e cercare nella vita qualcosa di piacevole e di interessante. Fu per questo motivo che decise di non preoccuparsi per lui. Sì, certamente anche se avesse voluto  non lo avrebbe mai reso felice, mentre la sua cara amica Annie sì.

-Ragione in più per ridere di loro! Sai quante risate al ritorno dalla festa, pensando a certe loro stravaganze?-riprese il ragazzo- C’è Valerie, che compie gli anni, mi pare che siano venti, convinta di avere tutti gli  uomini ai suoi piedi…vedrai che si pavoneggerà nel suo costosissimo abito civettando a destra e a manca convinta di fare ingelosire a turno gli altri suoi presunti pretendenti, per non parlare del fratello maggiore, Ed, che ha partecipato alla guerra secondo lui da eroe, ma in realtà so da fonti certe che ha fatto carte false per non trovarsi in prima linea nel momento del pericolo!

-Archie, sei così  divertente! Come fai a non perdere mai il buon umore? Va bene, Archie, mi hai convinta! E stasera festa sia….-terminò Candy, convinta che forse per quella sera era meglio non incontrarsi con Susanna.

                                                                               

Così alcune ore dopo Blueberry Mansion si trovò sprofondata in un silenzio irreale  interrotto dal rumore metallico e ritmato  delle stoviglie che venivano preparate per la cena e dal rintocco della grande pendola dell’ingresso che segnava le diciannove, l’orario che era stato fissato per il pasto serale  alcuni decenni addietro da una matura ma non ancora anziana zia Elroy e che era rimasto una delle tradizioni immutate e immutabili di quella casa.

William Albert si ritrovò a sedere  da solo a  capotavola  nella sala da pranzo che solitamente ospitava i convitati più disparati. La tovaglia, bianca e semplice, era rallegrata da un vaso con dei fiori di campo e su di essa  erano stati apparecchiati due coperti.

La porta si aprì ed entrò Susanna. Indossava un vestito bianco in un tessuto spesso impreziosito da ricami floreali verticali che dal colletto arrivavano fino al punto vita. Era appartenuto ad Iriza che aveva deciso di lasciarlo nella sua stanza  perché non le entrava più. Susanna aveva occupato quella stanza e indossato quel vestito che invece a lei stava bene. Ne esaltava le figura esile.

-Buonasera. Prego, sedetevi.

-Avevo fatto dire alla vostra cameriera che non avevo fame, ma voi avete insistito. Questa mi sembra una  violenza bella e buona!

-Violenza? Vi sto solo chiedendo  di farmi compagnia per cena. Sono solo, qui. Vedete qualcun altro, forse, in questa stanza?- Albert girò la testa in maniera quasi teatrale, e Susanna ebbe modo di osservare che era vestito in maniera molto elegante, impeccabile. La cravatta si intonava perfettamente al panciotto e alla giacca. I capelli, lavati di fresco, erano luminosi alla luce del grande lampadario posto in alto e così leggeri che si spostavano sulle sue spalle al minimo movimento.

Rifiutare per Susanna sarebbe stato molto scortese, dopo che lui aveva deciso di ospitarla per quattro giorni. Si avvicinò al posto apparecchiato accanto al capotavola mentre Albert tempestivamente si alzava  e poggiava  la stampella sul tavolo e la faceva  accomodare. Qualche minuto dopo giunse  un cameriere  a portare due piatti e discretamente uscì.

Susanna si sentì profondamente a disagio, a disagio in quella stanza, in quella casa, in quella situazione in compagnia di quell’uomo che non conosceva e dal quale invece sembrava essere stata analizzata  fin nel profondo dei suoi pensieri . E ora, cosa avrebbero fatto? Panico. Cominciò a singhiozzare.

-Non sono brava a conversare, è evidente!  Mi dispiace, avete scelto una pessima compagnia per cena! Non sono allegra e spiritosa come….come lei….

Come Candy…

Susanna si lasciò sfuggire quelle parole come una liberazione, quasi una vendetta per quell’uomo che la stava forzando a rinunciare alla sua solitudine e che pretendeva  chissà cosa da lei. Si attendeva che lui la congedasse o che le mettesse una mano sulla spalla, forse dandole il suo prezioso fazzoletto di batista, e con tono paternalistico le implorasse di non fare così, suvvia!

Aspettava, aspettava, e lei con gli occhi chiusi nel palmo delle mani…ma lui non parlava. Quando si fu sfogata si decise a guardarlo. Aprì gli occhi e venne  colpita dalla luce del lampadario e dal fatto che nulla in quella stanza nel frattempo fosse mutato. Come se avesse sognato.

-Non mi interessano le persone che parlano o tacciono per principio. Mi interessano le persone che stanno bene con se stesse e che fanno quello che si sentono di fare. La vita è troppo breve per fare quello che non ci piace- rispose Albert, come se fossero passati pochi secondi da quando Susanna aveva parlato. E invece erano passati diversi minuti.
-Vi ho chiesto di fami compagnia, non di intrattenermi, e possiamo restare in silenzio o parlare, dipende da cosa abbiamo voglia. Assaggiate questo cibo,è stato preparato con molta cura ed è leggero, e se non vi piace o non vi va nessuno vi obbliga a mangiare.

Susanna annuì perché le venne spontaneo. Per tanti anni aveva creduto di poter ottenere quello che voleva puntando i piedi e piagnucolando, e più gli altri le avevano dato  ragione più, in fondo, si era sentita insoddisfatta, perché più che condiscendenza avrebbe desiderato  qualcuno che le insegnasse la vita.

Certo, ora che era lì tanto valeva assaggiare quel cibo. Portò la forchetta alla bocca e vide che Albert non aveva mentito. Quel cibo era buono e leggero e preparato con amore. Solo due portate, un piatto principale e un dessert. Tanta grazia,  amore e rispetto concentrati in due semplici patti curati e nutrienti. Quasi un cibo per l’anima. Non immaginava che potesse venirle un appetito di quel genere quando era entrata in quella grande sala, e quando ebbe finito si sentì ristorata come se non avesse mangiato da giorni.

-Grazie, avete fatto bene ad invogliarmi a mangiare.

Cosa era quello, un sorriso?

-Di solito ceno in maniera leggera, come ora. Poi mi piace passare del tempo in salotto ad ascoltare musica, quando sono solo. Bene, adesso che vi ho raccontato tutte le mie abitudini vi va di accompagnarmi in questo mio percorso abitudinario?

-Beh, anche se vi dicessi di no voi certamente trovereste il modo di convincermi. Siete bravo, in questo, ve ne do atto. 

Quello era un sì.

-Se mi avete ascoltato non è stato perché siete priva di personalità ma perché sentivate in cuor vostro che avevo ragione.

Era un complimento o di nuovo il padrone di casa stava incensando se stesso?

Entrati in salotto, Susanna fu immediatamente colpita dal grande pianoforte a coda che occupava un lato della stanza.

-E’ stupendo! Da quanto tempo non suonavo  qualcosa!

Si sedette sullo sgabello e cominciò a suonare. Albert le si accostò. La musica riempì ogni angolo di quella grande stanza con la sua dolce cadenza, fino a quando la ragazza si arrestò di colpo.

-Che vi succede? Era tanto bella, continuate, vi prego.

-No!-esclamò Susanna-quello era l’unico pezzo insegnatomi da mio padre! Non posso continuare!

Quel padre che quando lei era adolescente l’aveva abbandonata uscendo, come le aveva detto, per andare a fare la spesa. Era stato un buon padre, presente e tenero, e le aveva insegnato molte cose, prima di bruciare con quella fuga tutto ciò che di buono aveva fatto per lei. Forse se le avesse spiegato perché si era stancato di quella vita avrebbe potuto capirlo, gli avrebbe chiesto solamente di poterlo andare a trovare ogni tanto, di non perdere tutti i contatti con lui, e in cambio avrebbe potuto avere tutta la libertà che voleva.

-Allora ascolteremo dell’ottimo Chopin!- disse Albert avvicinandosi al grammofono, e Susanna in cuor suo lo ringraziò di non averle chiesto spiegazioni.-Numero 1 opera 9.

Lo stridìo  tipico che accompagna la messa in moto del grammofono precedette l’avvio della musica vera e propria. Ancora seduta sullo sgabello davanti al piano, Susanna osservò l’elegante incedere del suo anfitrione che, mani in tasca, percorreva il perimetro di uno di lati lunghi andandosi a posizionare accanto al camino. Era spento, ancora il freddo pungente non aveva raggiunto il Midwest, e la ragazza capì che quello era ciò che faceva di solito in quelle sue lunghe serate solitarie. Passeggiava, osservava i quadri appesi alla parete, guardava l’ora sull’orologio a catenina agganciato al panciotto.
Musica…l’arte delle Muse…cosa c’è  di più coinvolgente, di più intenso, cosa meglio della musica riesce a penetrare nel profondo dell’anima e tirar fuori ciò che c’è di più ineffabile e incomprensibile dalla ragione?

Albert appoggiò un gomito al camino e la fronte su appena tre dita della mano, incrociò le gambe  in una posa plastica che le fece  pensare ad una di quelle statue greche che aveva visto sui libri di scuola. Era alto, molto alto, ma non sgraziato;  aveva una naturale eleganza, non quella che si assorbe dall’ambiente in cui si vive, ma quella che  deriva da un carattere fiero e volitivo ma onesto. In quel momento era assorto, preoccupato, il viso solitamente luminoso si era increspato in una smorfia che di colpo gli aveva donato degli anni in più. Era bello lo stesso, ma d’un tratto più maturo.

La musica finì, come un sogno dal quale bisogna ridestarsi.

-Bene, finirete per odiarmi, vi ho costretta a stare in piedi anche troppo, quando ciò che desideravate era starvene comodamente in camera a riposare!

Susanna pensò che no, non era poi così tardi, anzi era decisamente e  spaventosamente  presto per lei! Non voleva  tanto  presto abbandonare il dolce tepore di quell’oblio, l’oblio di tutte le passioni e le prove di quella giornata… era così doloroso abbandonare quella riconciliazione con se stessa…l’affacciarsi  di sensazioni positive, il benessere di una tranquillità troppo a lungo cercata. Ma non volle dargli anche quest’altra soddisfazione, di aver vinto, almeno per quel giorno, sulle sue passioni e sul buio della sua anima.

-Certo…ho bisogno di riposare…vi ringrazio comunque per questa serata…

-Venite, vi accompagno.

Arrivati ai piedi della grande scalinata che portava al  piano nobile Susanna imbracciò saldamente la stampella per prepararsi a salire le scale. In quel mentre giunse June.

-Permettetemi, vi prego.

Albert aveva preso la stampella di Susanna e l’aveva data a June, poi  l’aveva  presa in braccio. Susanna si trovò costretta a tenersi stretta all’uomo, e ne percepì la forza. La mano giunse a sfiorare il collo di lui, la pelle era molto delicata e i capelli biondo scuro emanavano un buon profumo. Scalino dopo scalino, William Albert avanzava con una sicurezza invidiabile, e a lei non balenò neanche lontanamente l’idea che potesse perdere l’equilibrio.

Giunti davanti alla porta, si separarono con il garbo che richiedeva l’occasione, ma pensando a cosa avrebbero provato il giorno dopo rivedendosi.


 

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Capitolo 13
*** Appuntamento con il destino ***


L a mattina seguente, all’aprire la finestra, lo spettacolo che  Susanna si trovò di fronte per un attimo le mozzò il fiato, tanto era bello e suggestivo. L’aria di quella mattina era tersa e i colori del paesaggio vividi, e qua e là le pozzanghere ancora piene della pioggia del giorno precedente riflettevano la luce come grossi diamanti. Nonostante il sole  faceva freddo: era evidente che l’inverno stava giungendo anche nell’Illinois.

-Chissà cosa ha fatto ieri sera Terence-pensò mentre seguiva con lo sguardo  un domestico che si dirigeva all’entrata posteriore della villa con un pacco di giornali in braccio.

Dopo aver sceso le scale con molta attenzione si recò in sala da pranzo per fare colazione. June la informò discretamente sugli altri membri della famiglia: il signorino Archie e la signorina Candy stavano ancora dormendo mentre il signor William era uscito a fare una cavalcata. Evidentemente era prassi usuale che i domestici  informassero i vari abitanti della casa sugli spostamenti degli altri onde evitare che si passasse troppo tempo  e inutilmente alla ricerca dell’uno o dell’altro in quella grande casa. Tutto funzionava alla perfezione, lì in villa.

-Grazie delle informazioni. Potrei avere il giornale, per cortesia?

Susanna lo aprì con mani frenetiche  fino alla pagina degli spettacoli: Terence aveva dato il meglio di sé e il pubblico lo aveva omaggiato con una standing ovation e con degli applausi che erano durati dieci minuti.

-Bene, sembra che stia andando tutto come doveva andare. Tra tre giorni sarai qui di nuovo da me, Terence, e potremo ricominciare da capo. Lo sapevo che ce l’avresti fatta, e sono felice, sono tanto felice che non mi importa di  sapere che sto vivendo sotto lo stesso tetto con  Candy!

Il giorno precedente, mentre era ancora in camera, Albert le aveva fatto recapitare un messaggio nel quale la informava di essersi messo in contatto con Terence e che quest’ultimo aveva accondisceso a venirla a riprendere alla fine delle rappresentazioni previste a Chicago.

Rinfrancata dalla notizia del successo di Terence Susanna decise di portare con sé il giornale e di mettersi a disegnare fuori nel grande giardino; certamente il paesaggio visto da una nuova prospettiva e la luce di quel giorno l’avrebbero ispirata.

Si dedicava a questa occupazione da un’oretta circa  quando lontano udì distintamente il nitrito di un cavallo; poco dopo mise a fuoco la figura di William Albert. Era così diverso dalla sera precedente! In tenuta da cavallerizzo, indossava dei pesanti stivali, un gilet di cuoio e un cappello da cow boy. Incedeva nella sua maniera sicura, le gambe lievemente arcuate per l’abitudine a cavalcare, e con una mano teneva le redini di un bellissimo cavallo.

Susanna cercò di ripararsi  come meglio poteva gli occhi dal sole, per cercare di scorgerne l’espressione. Notò che aveva un accenno di barba;  non sembrava più  il padrone elegante e formale  di quel castello ma piuttosto, appunto, un cow boy o un boscaiolo.

-Buongiorno, signor William!-gli disse allegramente, con la voglia di stupirlo per il fatto che  ricordava  il suo primo  nome; era stata June a rinfrescarle la memoria  inconsapevolmente.
-Buongiorno ,signorina Susanna, vedo che siete mattiniera.

-Ma se sono già le dieci!

-E  voi siete in piedi da almeno tre ore-rispose Albert mentre toglieva la sella al cavallo.

Ma come faceva a saperlo? Certo, quel tipo controllava ogni cosa e quando non poteva c’era chi lo informava di tutto. Non si muoveva neanche una foglia, in quella villa, senza che lui lo sapesse.

-Vedo che avete fatto una bella cavalcata!-rilanciò Susanna.

-Non solo. Ho fatto un giro di perlustrazione per l’intera tenuta. Mi piace occuparmi personalmente di tutto.

Ecco, appunto. William Andrew e la sua mania del controllo.

-Guardate qui, c’è un articolo su Terence.

Susanna porse il giornale ad Albert e questi lo lesse con un’espressione di compiacimento sul volto.

-Bene. Terence ha dimostrato ciò che vale, la sua reputazione è fuori pericolo, ormai.

-Sì, e quando verrà a riprendermi cominceremo una nuova vita, lui deve impegnarsi con me! Deve amarmi! Deve!

Albert si appoggiò alla staccionata lì vicino e si sistemò il cappello. Lontano si udì la voce argentina di Candy che stava parlando con chissà chi. Susanna ebbe un moto di stizza, non sopportava  la sua voce e soprattutto non sopportava la sua allegria. Non vedeva l’ora che quei tre giorni passassero  il  più in fretta possibile…

Candy discuteva allegramente con i domestici in cucina, chiedendo loro il permesso di introdurvisi più tardi per preparare una torta, aveva proprio voglia di impiastricciarsi le mani con le farina, le uova e il burro!

Uscì dalla cucina e vide June che le correva incontro.

-Signorina Candice, è arrivato questo  biglietto per voi!

-E chi potrà essere? Forse un’altra lettera di Annie?-ma subito abbandonò  l’idea, il biglietto era un semplice foglietto di carta dentro un’altrettanto piccola busta e non c’era nessun timbro che ne indicasse una provenienza  francese.

Cara Candy,
ho assoluto bisogno di vederti, è una questione di vita o di morte. So che ti starai chiedendo con quale diritto io ti possa scrivere ancora  ma credimi, non lo farei se non si trattasse di una questione della massima urgenza.
Ti chiedo di raggiungermi all’Hotel Palmer House Hilton, stanza  44, alle ore tredici. Parla con il consierge e fagli il mio nome, lui sa tutto,  ti farà accompagnare in stanza.
Ti prego, la mia vita dipende da te.
Terence

Candy si chiese allarmata cosa potesse essergli successo. Anche lei come Susanna aveva letto il giornale e sapeva del successo della rappresentazione della sera precedente. Che adesso si trovasse nei guai le sembrava molto strano. Osservò meglio il biglietto, era stato scritto con una macchina da scrivere: non era abitudine di Terence. Non poteva che essere uno scherzo molto, molto stupido. O forse era un tranello? L’ultima volta che le avevano detto che Terence la stava aspettando  si era ritrovata in una villa sperduta in compagnia di Neal. Ma certo, Neal! Era tornato a Chicago di nascosto per prendersi ancora gioco di lei o forse farle del male. E se invece si fosse trattato proprio di Terence? Se aveva bisogno davvero di lei per qualche  motivo che ancora  non conosceva? Magari mentre scriveva si era sentito  tanto nervoso da non riuscire  ad usare la penna e l’inchiostro, per questo aveva usato la macchina da scrivere.

Cosa fare?  Cosa? Candy percorse avanti e indietro il  vialetto che portava all’ingresso principale; in prospettiva  vedeva Albert e Susanna che conversavano. Certo, in teoria avrebbe potuto chiedere ad Albert o ad Archie di farle compagnia oppure…oppure….le venne un’altra idea. Quella era la soluzione!

Candy si avvicinò all’autista e gli ordinò di preparare la macchina. Incrociò Archie che le chiese dove andasse.

-Ti spiegherò più tardi, adesso devo scappare! Dì tu ad Albert che pranzo fuori!



Candy era passata tante volte davanti all’Hotel Palmer House Hilton ma non vi era mai entrata. L’hotel, inaugurato nel settembre del 1871, era bruciato nel grande incendio di Chicago 13 giorni dopo. Ricostruito nel 1875, arrivava a sette piani. All’ingresso  parlò subito con il consierge, un uomo azzimato sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e un accento ostentatamente inglese.

-Il signor Terence Granchester? Ma certo! Voi dovete essere  la signorina Candice Andrew. Il signor Granchester non è ancora arrivato, ma voi potete attenderlo nella stanza 44. Mario, accompagna la signorina.

Mario, come lo aveva chiamato il consierge, era un uomo basso e tarchiato sulla quarantina, di origine italiana, che mal  si intonava all’ambiente raffinato dell’hotel.

La stanza si trovava al primo piano. In corridoio l’atmosfera tipica dei grandi alberghi: luci soffuse, una cameriera che  rifaceva una camera  con la porta aperta, le lenzuola per terra, e una coppia anziana che parlava a bassa voce uscendo dalla stanza.

-Siamo arrivati. Prego, entrate.

Candy sentì che stava per avere un attacco di panico. E se si fosse trattato di Neal? Trovò il coraggio  di fare quello che si era prefissata: chiedere aiuto a chi l’avesse accompagnata.
-Senta…ehm, non è che potrebbe restare qui, a farmi compagnia? Beh, ecco, a dirla tutta non so bene che intenzioni abbia la persona che deve venire.

Candy aveva notato che ad alcuni uomini piace fare tanto i coraggiosi e gli eroi davanti a giovani donne in difficoltà così presunse che Mario sarebbe stato felice di aiutarla.
-Perché…ehm…la persona che state  attendendo è pericolosa?-chiese Mario, cominciando a sudare freddo.

-In realtà non lo so. Basta soltanto che lei tenga in mano un oggetto contundente…ecco, questo qui farebbe proprio a caso suo, anzi no, meglio quest’altro…-disse Candy affannata avendo dapprima  preso una piccola lampada e poi  avendo optato per un pesante candeliere e avendolo passato senza tanti complimenti nelle mani  di Mario.

Mario sembrava sul punto di svenire, e Candy non seppe se chiamare un medico. Bella idea aveva avuto!  Affidare la sua vita a quell’uomo di gelatina! E allora piano b: uscire dalla stanza, sostare vicino le scale e tenere la mano salda sulla campana attaccata alla parete e suonarla  subito in caso di pericolo, poi sfoderare la sua arma segreta, la sua voce squillante, e chiedere aiuto alla cameriera che si trovava due camere più in là, sperando sempre che in tal modo Neal desistesse dai suoi propositi. Ah! E poi aspettare al massimo fino alle tredici e cinque e squagliarsela. Terence non era il tipo che ritardava se una questione gli stava veramente a cuore.

I minuti passavano lenti e Candy sentiva la tensione aumentare. Ad un certo punto si distinse chiaramente il rumore dei passi di qualcuno che saliva la scala. In trepidante attesa Candy aspettò che comparisse il misterioso avventore. Quando l’uomo fu arrivato all’ultimo scalino Candy lo riconobbe: era Terence! Dunque era vero che le aveva dato un appuntamento! La ragazza sfoderò il suo sorriso più aperto e Terence nel vedere  che lo aspettava sorridente non potè fare a meno di sorridere di rimando.

Quando giunsero molto vicini la porta della stanza 44 si aprì all’improvviso e Mario, con una sorta di grido di guerra,  piombò con la furia della sua paurosa eccitazione e con tanto di candelabro contro Terence, il quale fu pronto a scansarsi in men che non si dica, procurando al malcapitato Mario una disastrosa caduta.

-Anche io sono contento di vederti, Lentiggini! Che bella accoglienza!

-Mi dispiace Terence, sono mortificata-riuscì a dire Candy con un filo di voce.


                                                                                                                                         
 
La storia della del grande incendio di Chicago che colpì l’hotel a soli 13 giorni dell’inaugurazione (che fortuna!)  e della sua ricostruzione è vera. Il grande incendio di Chicago durò per ben tre giorni e le sue cause, a quanto pare, furono accidentali. Attualmente l’hotel esiste ancora, anche se ha molti più dei sette piani che aveva al momento della mia storia (1919), ed è un hotel annoverato tra quelli storici.
Riguardo la collocazione della stanza 44, non essendo riuscita a trovare notizie più dettagliate sulle stanze, ho immaginato che si trovasse al primo piano. In realtà non so neanche se esisteva una stanza 44…chissà magari la numerazione partiva dal numero 100! Quindi, ça va sans dire, anche le restanti descrizioni, compreso l’allarme rudimentale, sono frutto della mia fantasia.

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Capitolo 14
*** Pensandoti forte (brownies e filosofia) ***


i dispiace, Mario. Adesso è tutto a posto, potete andare-disse Candy mentre Terence aiutava l’uomo a rialzarsi. Questi, dopo aver guardato Terence con timidezza, rivolse un inchino a Candy e se ne andò.

I due ragazzi entrarono in stanza.

-Devo chiederti scusa Terence. Avevo paura che si trattasse di Neal. Quel biglietto che mi hai mandato era scritto a macchina e allora io ho pensato…

-Quale biglietto? Candy io non ti ho scritto alcun biglietto! Sono venuto perché tu  mi avevi scritto di volermi vedere, non è così?

-Cosa? Oh, no, non ci posso credere, è successo di nuovo!-esclamò Candy lasciandosi andare su una sedia-ricordi lo scherzo al collegio? Quel tranello delle scuderie? Qualcuno si è divertito di nuovo a giocarci un tiro simile!

-Già, è incredibile…di nuovo.

-Anche il tuo biglietto era scritto a macchina, non è così?

-Esattamente. Beh, basta chiedere al consierge il nome di chi ha prenotato  questa stanza e conosceremo il nome del responsabile.

Candy decise che all’uscita avrebbe fatto come le aveva consigliato Terence. Nel frattempo stava passando in rassegna il possibile colpevole. Era molto improbabile che fossero stati i Legan, ora che la sapevano felicemente sposata con Archie. Certamente avrebbero dato un senso alla loro misera vita se avessero pensato di farle del male facendola incontrare con Terence, adesso che apparteneva ad un’altra donna, ma solo se l’avessero saputa sola e inconsolabile. Rimanevano altre due possibilità: Albert ed Archie. Ma il primo non avrebbe certamente interferito con il rinnovato equilibrio di Terence, mentre  il secondo…beh sì, lui  aveva  buone ragioni per essere individuato come  il responsabile,  Archie che l’aveva  spronata a ignorare  Susanna e a rifarsi una vita con Terence.

Terence stava pensando   che era così assurdo averla incontrata di nuovo, e in questo modo. La notte precedente aveva  pensato così tanto e tanto intensamente a lei e tormentato dal suo  pensiero non aveva chiuso occhio per buona parte della notte. Saperla lì, a poche miglia di distanza, e non poterla vedere era stata una tortura. Quante volte era stato sul punto di chiamare una carrozza e farsi portare a villa Andrew, sperando almeno di trovare la luce della sua stanza accesa!

Adesso avvertiva pesantemente il pericolo della sua vicinanza, l’attrazione che sentiva per Candy e la paura di fare un passo falso, che avrebbe potuto mettere a repentaglio definitivamente il rapporto con Susanna e, ciò che lo preoccupava ancora di più, la stima di Candy nei suoi confronti.

D’altra parte non voleva abbandonare il campo di battaglia e dimostrare  di non sapere gestire quella situazione; oltretutto aveva dato appuntamento al cocchiere tra un’ora e se fosse uscito da solo sarebbe stato certamente importunato da qualche giornalista che gli avrebbe rivolto nuovamente  la stessa domanda, ossia cosa fosse realmente successo la sera della prima. Anche Candy sapeva che quella non era la condizione ideale per stare insieme in quella stanza, Terence apparteneva ad un’altra, ma le sue gambe si rifiutavano di muoversi, e i suoi occhi di rinunciare all’oggetto del suo desiderio.

Il ragazzo si era presentato in costume di scena, abbigliato da  Romeo, con un costume di velluto verde con tanto di mantello . Nella fretta di giungere in tempo all’appuntamento non si era neanche cambiato; il presunto  biglietto di Candy  gli era giunto inaspettato mentre stava facendo le prove.

-E adesso di che parliamo? Potremmo parlare di filosofia, se solo mi ricordassi uno di quei maledettissimi argomenti studiati a scuola-disse Terence con la consueta ironia,  interrompendo  quel silenzio e addentando una mela presa dal cestino di benvenuto sul tavolo, balzando  nello stesso tempo sul letto e rimbalzandovi un paio di volte.

-Oh, Terence! non parlare con la bocca piena! Sembra proprio che tu sia tornato ai tempi in cui eri costretto a studiare quei noiosissimi testi di filosofia!

-La  mia cara signorina Candice White Andrew è proprio diventata una gran signora…senti-aggiunse dopo essersi rapidamente alzato-io non ho pranzato, e dubito lo farò al mio ritorno in teatro. Potremmo ordinarci il pranzo qui, o magari un thè…

-Vada per il thè.

-Sarà presto ordinato, madame-rispose il ragazzo, e poi, prima di aprire la porta chiese:

-Preferisci il dolce o il salato?

-Oh beh…io….dolce o salato….vediamo….

-Ho capito. Facciamo tutti e due-rispose Terence e le rivolse un occhiolino, prima di chiudere la porta e sparire per l’ordinazione. Candy sentì avvampare le guance .

Circa un quarto d’ora dopo un elegante carrello recava su di sé due tazze della migliore porcellana, una teiera d’argento e una quantità incredibile di pasticcini dolci e salati, assieme a della frutta fresca.

-Ti suggerisco di provare i famosi brownies al cioccolato, sono dei dolcetti molto gustosi e se non vado errato ti piaceva molto il cioccolato…sembra siano stati inventati proprio in questo hotel, e in ogni caso sono una specialità.

-Uhm, è vero, sono veramente buoni…

Candy trovò che quella atmosfera era così intima, così privata, quella situazione ricordava tanto l’ultima volta che si erano visti a New York, quella volta  l’aria era stata  tanto satura di promesse e di illusioni da farle girare la testa…la possibilità che la distanza fisica con quel ragazzo si esaurisse in un lampo, il desiderio di diventare al più presto sua moglie…

E adesso c’era Susanna. Il suo nome non era ancora stato pronunciato, ma doveva farlo. Era suo dovere.

-Susanna sta bene. Albert sta cercando di farla sentire a suo agio, mentre io mi sono fatta da parte. Ho pensato fosse la cosa migliore da fare.

Terence scattò come una molla dalla sedia, si allontanò e si mise le mani tra i capelli.
-Dovevi proprio, Candy?

-Scusami Terence, ma pensavo fosse mio dovere parlartene…

-No, Candy, non scusarti. Sono io in realtà a doverti chiedere scusa, tu hai fatto la cosa giusta. Come sempre. È solo, è solo che…

Candy nel frattempo si era alzata e il ragazzo le venne incontro. Quanto avrebbe desiderato spostarle quella ciocca impertinente che le aveva coperto un occhio! Ma non gli era permesso toccarla, in alcun modo.

-E’ solo che…vorrei tanto che questo giorno non finisse mai, vorrei tanto che fossero per sempre le tredici di questa giornata…non voglio pensare, almeno per questi giorni, a Susanna…

Gli occhi di Candy lampeggiarono.
-Terence! avevi promesso che ti saresti preso cura di lei! Lo sai che anche io soffro per questa situazione, ma non ho il coraggio di chiederti di abbandonarla! Lo hai detto tu, questa cosa macchierebbe per sempre il nostro amore!

Quell’ultima parola infiammò il cuore di Terence, che prese a battergli vorticosamente nel petto, e il sangue cominciò a scorrergli impazzito nelle vene. Lei aveva pronunciato quella parola, e in relazione al loro rapporto!

-Maledizione!-il ragazzo si allontanò nuovamente da Candy, nervoso e agitato. Se non le avesse rivolto la richiesta che stava per fare, sapeva che se ne sarebbe pentito per tutta la vita.

-Candy, ti prego, forse non dovrei farti una richiesta simile, ma per favore, aiutami…ho bisogno di sapere che verrai a vedermi questa sera e le altre sere che verranno…saperti vicina mi aiuterà a non ricaderci, a non perdermi di nuovo, perché lo so che sarei capace di venirti a trovare a villa Andrew di notte, forse ubriaco, magari farei una scenata…

Candy iniziò a piangere, ma dentro di sé, una vocina, una vocina che non voleva stare zitta, una vocina impertinente e sfacciata, egoista, la stava implorando di cedere a quella richiesta.

-Candy, non ti sto chiedendo di fermarti fino alla fine e di parlarmi dopo la rappresentazione. Quello che ti sto chiedendo è di venirmi a vedere, io sentirò la tua presenza e sarò felice…me lo farò bastare. Ti riserverò un palco, uno dei migliori, tu lascerai  un segno del tuo passaggio…un nastro, un orecchino, ed io saprò che sei stata in teatro…

Terence, come puoi chiedermi questo!-pensò Candy, ma ammise con se stessa che il ragazzo le aveva letto nel pensiero. Aveva già avuto l’idea di  andare di nascosto in teatro, per appurarsi che Terence si fosse ripreso, ma anche per poterlo guardare da lontano. Andarci furtiva come una ladra, all’apparenza pura e innocente come una colomba ma in realtà accesa della sua passione più forte, perché sapeva che era ciò che avrebbe provato guardandolo da lontano…

-Va bene, Terence, verrò, ma non ci incontreremo più, ti guarderò da lontano…


                                                                             

N.B. LA storia dei brownies è vera o comunque tra le varie teorie sull’origine di questi dolci la più accreditata è quella che racconta come  la sua invenzione  sia attribuibile allo chef del Chicago Palmer House Hotel. Questi  creò il dolcetto dopo che nel 1893, in occasione della fiera mondiale di Chicago, la proprietaria  gli richiese una preparazione simile ad un pezzo di torta, ma di dimensioni minori adatte per uno spuntino veloce. I primi brownies presentavano una glassa di albicocche e noci, degustabili ancora oggi presso l’hotel, fiero della sua ricetta originale.
 
Salve a tutte! Avevo deciso di postare il nuovo anno, ormai, ma vista la lunghezza della seconda parte del capitolo ho deciso di pubblicare  intanto questa prima parte.
Con l’occasione vi auguro di trascorrere un buon ultimo dell’anno e di cominciare alla grande l' anno che sta arrivando. Io, appartenendo tra segno zodiacale e ascendente a due dei tre segni più sf…..ortunati dell’anno che sta finendo secondo  Paolo Fox (e confermo, sigh), non posso  non augurarmi una migliore annata, e lo stesso spero per voi.
Vi auguro per questa sera frizzi, lazzi, ricchi premi e cotillon! E non dimenticate  le lenticchie…A presto!

 

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Capitolo 15
*** Amicizia ***


 
ome convenuto, Candy uscì dalla stanza 44 cinque minuti dopo che Terence se ne fu andato.

Si avviò difilato dal consierge per chiedergli spiegazioni sull’autore di quell’intrigo: l’idea era quella di dirgli chiaro e tondo che sapeva essere stato Archie.

-Il signorino Archibald Cornwell? Mi dispiace deludervi, ma il signorino Archibald non ha niente a che fare con l’incontro che avete avuto quest’oggi  con il signor Terence Graham Granchester-scandì solennemente l’elegante impiegato.

-A me può dirlo, farò finta di non averlo saputo.

-Ma veramente, io, signorina Andrew…

-Sono stata io, Candy!-tuonò una voce familiare lì vicino.

-Patty?!

-Sì, Candy. Hai tempo di fare due chiacchiere con una vecchia amica?

Sedute su uno dei divani della hall, Patty raccontò ogni cosa alla sua amica.

-E’ così che ho conosciuto Paul Bellamy, dopo il funerale della zia Elroy, e…ci siamo fidanzati!-sussurrò una Patty rossa fino alle orecchie mentre mostrava a Candy l’anello con brillante.

-Oh, Patty, sono tanto felice per te!

-Grazie, Candy. Da qualche tempo Paul ha cominciato a lavorare per il teatro dove si sta esibendo Terence, sai è da poco uscito dall’università ed è giovane, ma farà tanta strada. Per ora fa l’assistente per la direzione artistica, ed io per stargli accanto mi sono trasferita nella casa dove abitava mia nonna anni fa, e spesso vado a trovarlo. È  così che ho saputo quello che è successo a Terence la sera della prima e ..tutto il resto.

-Davvero? E cosa hai saputo, precisamente?

-Ogni cosa.  In realtà Terence non sapeva neanche che io mi trovassi lì. Paul lavora, diciamo così, dietro le quinte, e tu sai che io sono molto timida, non ho avuto il coraggio di venire a salutarlo, ma ho fatto la conoscenza dell’assistente di Susanna Marlowe, una ragazza di nome Ethel. Sai, le assistenti possono sapere molte cose, e così mi ha raccontato  che Susanna e Terence litigano di continuo, oppure si ignorano, insomma non c’è sintonia tra di loro. Quando Terence ha avuto quella crisi sul palco, la sera della prima, avevo  pensato che la causa fosse la consapevolezza di trovarsi  nella tua stessa città, e poi quando Ethel mi ha confessato che si era trasferito a villa Andrew, mi era sembrato evidente che vi stavate riconciliando. Ma quando lui ieri mattina ha fatto ritorno in teatro, triste e cupo, e ha fatto quegli  strani discorsi ad Ethel, ho capito che vi eravate separati di nuovo!

-Ha fatto degli strani discorsi? Di che genere?-chiese Candy timidamente, pensando che non aveva alcun diritto di indagare, ma sempre più curiosa.

-Le ha detto che una volta tornata Susanna, che adesso si trova inspiegabilmente a villa Andrew, avrebbero dovuto cercare di capirla e di trattarla con più umanità e affetto. Oh, Candy, non dovrei riferirti queste cattiverie, lo sai che non sono il tipo che si compiace di parlar male…ma a quanto pare, Ethel pensa che Susanna sia una strega!Oh, non dovrei dirtelo ma  l’ha chiamata proprio così!

-Oh, non preoccuparti, Patty…adesso però comincio a capire l’origine di quei biglietti scritti a macchina…

-Sì, Candy. Sono stata io a scrivere a te e a Terence perché ero convinta che non vi eravate detto tutto. Sicuramente vi siete lasciati di nuovo ed io volevo darvi un'altra opportunità per chiarirvi. Ma forse sono stata un po’ troppo invadente….

-Non scusarti, Patty, lo hai fatto per amicizia. Sei stata molto cara, ma io e Terence non abbiamo litigato, è solo che abbiamo deciso di nuovo di farci da parte per il bene di Susanna.
 
                                                                                                                                         

Nel frattempo, sotto il pergolato che faceva da ala ad uno dei viottoli che si dipartivano da un’entrata laterale, Albert e Susanna godevano del calore dei raggi del sole che filtravano da quel tetto di foglie. Archie era appena passato per avvisare che Candy avrebbe pranzato fuori, e Susanna per un momento  fu colta dall’atroce sospetto che potesse trovarsi con Terence, ma poi preferì non rovinarsi quel momento di beatitudine. Tanto tra tre giorni sarebbe stato per sempre suo, che lo volesse o meno.

-Non dovreste preoccuparvi, signorina Susanna. Terence manterrà  la promessa di venirvi a riprendere.

-Non sono preoccupata per questo, infatti. Devo ringraziarvi, grazie al vostro intervento almeno  la mia dignità  è salva. Per una volta non sarò io ad inseguirlo.

-L’ho fatto perché era la cosa giusta da fare. Terence  manterrà la sua parola, vi verrà a prendere, e questo gesto sarà molto simbolico, indicherà  che ha deciso di prendersi seriamente cura di voi. Ma temo che questo è tutto ciò che potrete aspettarvi da lui.  Poco prima avevate detto che pretendevate che vi amasse. È  un po’ esagerata come pretesa, la vostra.

-A tutti è lecito cercare la propria felicità, seguire i propri sogni…

-Quando i sogni non si trasformano in illusioni o, peggio, in incubi…

-Sogni, illusioni…non sono in vena di sottigliezze in questo momento, e poi come fate a parlare così, voi, che abitate in questa enorme villa e la vostra vita è totalmente assorbita dal  dare ordini e farvi riverire da chiunque?

-Posso capire che traspaia ben poco di me in questa veste di padrone di questo grande castello, ma non sono affatto chi credete che io sia.

-Ditemelo allora, chi siete?

Albert si sentì particolarmente colpito dalla sua curiosità. Stava per risponderle in una di quelle sue maniere evasive, da perfetto diplomatico. La osservò meglio in viso  per cercare di cogliere lo stato d’animo col quale era stata rivolta quella domanda. Il pallore del volto di lei era molto evidente, e per contrasto risaltava la linea morbida e flessuosa delle labbra, unico accenno di sensualità.

L’arrivo di Ed, uno degli attendenti di Albert, mise fine a quel dialogo. Una mandria, per un motivo che lui ignorava, era fuggita dai recinti e bisognava recuperarla. Erano stati mandati diversi uomini all’inseguimento ma era necessario che il padrone fosse messo a conoscenza del problema. Albert salì sul cavallo e dette di sprone, sollevò il cappello in segno di saluto a Susanna e andò via.

Susanna fece ritorno in villa, si ritirò per un po’ nella sua stanza e poi scese per pranzare. Non c’era traccia di Albert, c’era solo Archie, che la informò che il padrone di casa non aveva ancora fatto ritorno. Archie non le rivolse più la parola, era evidente che non provava una grande simpatia per lei. Alzarsi da quella tavola fu un sollievo per entrambi, e l’arrivo di una carrozza servì ad interrompere quell’atmosfera tesa.

Era Candy. Archie le corse incontro per chiederle il motivo che l’aveva spinta a scappare in quel modo, quella mattina. Candy preferì non raccontargli la verità per non farlo preoccupare. Gli disse di aver incontrato  Patty e che quella sera stessa avrebbero cenato insieme per ricordare i bei vecchi tempi.


                                                                                                                                         

Dopo le prove Terence, suonando l’armonica, ripensava a quanto aveva chiesto a Candy.

-Come ho potuto? Come ho potuto chiederle questo sacrificio? Avrei dovuto sopportare il mio dolore senza coinvolgerla! Ma voglio che mi ricordi come un uomo che ha saputo rialzarsi e combattere, non come un uomo di paglia! Voglio che veda con i suoi occhi il pubblico che mi applaude, voglio che sia fiera di me!


                                                                                                                     

Salve a tutti! Spero che l’anno nuovo sia iniziato bene. Ci ho messo un po’ a postare l’aggiornamento perché ho cominciato il secondo capitolo dell’altra storia e non è proprio facile passare dalla modalità “pathos” alla modalità “ironia”, almeno  io non ci riesco.
Finalmente ecco rivelato l’autore dei messaggi. Cento punti a chi l’aveva indovinato, eh eh, comunque lo ammetto,  non era facile, anche perché non avevo  dato il benché minimo indizio. Il capitolo è abbastanza introspettivo, come lo saranno anche gli altri che posterò in seguito. Mi piace molto scrivere  situazioni avventurose ma questa storia è piuttosto introspettiva, anche se presenta alcuni colpi di scena.

 

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Capitolo 16
*** Sei ancora capace di sognare? ***


 


Seduta in veranda su una sedia a dondolo, Susanna ammirava la luce e i colori del tramonto.

Candy era uscita poco prima. Elegante come mai l’aveva vista e con lo sguardo trasognato, assente,  era salita in carrozza ed era andata via. Doveva cenare con un’amica che non vedeva da tempo, aveva detto.

Era tanto assorta che non si accorse di Albert che veniva verso di lei. Era da quella mattina che non lo vedeva. Stanco, arruffato, con gli stivali sporchi di fango, eppure fiero e imponente come al solito. Aveva impiegato molto tempo prima di riuscire a riprendere, con l’aiuto dei suoi uomini, tutti i capi di bestiame  che erano fuggiti.

-Forse ho sbagliato a giudicarvi. Vi date così tanto da fare per quello che avete che quasi quasi non vi invidio affatto- esordì la ragazza.

-E fate bene. Posso sedermi accanto a voi o il mio aspetto vi dà fastidio?

-Ci vuole ben altro. Accomodatevi, ma non vedo altre sedie.

-Qui andrà bene.

Albert si sedette su uno scalino.

-Siete stato tutto il giorno occupato. Non avrete neanche pranzato, immagino.

-Immaginate male. Il pane e il formaggio del signor Johansson, il mio fattore, erano molto buoni.

-Vorreste dire che avete pranzato con il vostro fattore? Fianco a fianco?  Alla stessa tavola?

-Molto diversa come immagine dal perfetto gentiluomo di ieri sera, non è così?

-Già. Mi sorprendete sempre. Che fine ha fatto quel gentiluomo? Io qui  vedo un cow boy pure molto calato nella parte. Sembrate addirittura  compiacervi dell’aspetto che avete, così sporco e arruffato.

-Vi sorprenderà ancora di più sapere che io sono l’uno e l’altro.

-Interessante, ma temo di capirvi molto poco. Dopotutto, io sono una semplice  campagnola  di città.

-Ora capisco perché alla compagnia vi hanno affidato l’aspetto più serioso e intellettuale di tutta la combriccola. Siete brillante e non vi manca certo l’uso della parola.

- Ieri sera avevate ragione quando mi avete suggerito  che dovrei  parlare solo quando ne ho  voglia. Forse questo è il momento giusto, per me.

-E voi avete ragione se dentro di voi  vi state ancora chiedendo chi io sia veramente. Stamattina me lo avete chiesto ma siamo stati interrotti. Peccato, avevo una risposta molto poco articolata da darvi, quasi una scusa per non rendervi partecipe del mio vero io. Ma questa giornata appena trascorsa mi ha fatto  riflettere, e pensare che potrei anche aprirmi con voi.

-Sembra che l’ora sia quella giusta. La casa sembra deserta e il tramonto invita alla riflessione e alla condivisione.

-La mia infanzia non è stata felice, come potreste pensare, tanto per cominciare. Vi chiederete cosa mai abbia potuto sconvolgere la vita di questo “povero ragazzo ricco”, ebbene, la perdita dei miei genitori, di entrambi.

-Mi dispiace…-Susanna abbandonò la sedia a dondolo e lentamente raggiunse il suo ospite sullo scalino, sedendoglisi accanto.

-Rimasi sotto le cure e la protezione della mia sorella maggiore Rosemary che si comportò come una madre. Ebbe un figlio, Anthony, che io amai come un fratello minore. Quando avevo solo quindici anni, morì anche Rosemary e mi trovai all’improvviso da solo, e in procinto di farmi carico di tutte le responsabilità della famiglia.

-Eravate molto giovane, allora.

-Esattamente. All’inizio si occupò di tutto mia zia, ma cominciai da subito a frequentare gli avvocati di famiglia e gli investitori per imparare, diciamo così, il mestiere. Ricordo quando venivano a trovarci i parenti per delle riunioni di famiglia che duravano anche tutto il fine settimana, allora indossavo il kilt e suonavo la cornamusa, mi esibivo davanti a tutti ed era considerato da tutti il simpatico rampollo che avrebbe fatto tanta strada.  Ricordo che fu durante una di queste interminabili riunioni che incontrai per la prima volta Candy.

-Candy? Ma allora poteva essere una bambina…

-Doveva avere all’incirca sei anni. Quel pomeriggio non ne potevo più di tutti quei parenti, dei loro buffetti e delle loro attenzioni. Avevo da poco suonato la cornamusa e  mi sentivo soffocare, così mi allontanai alla ricerca di un po’ di pace, volevo stare da solo. Feci un giro per la vasta proprietà della famiglia,  mi colse un temporale. Rimasi a lungo al riparo di un grande tronco d’albero ad osservare la pioggia, fin quando smise di piovere ed io decisi di fare ritorno in villa.  Fu allora che vidi quella bambina che stava piangendo. Riconobbi subito la solitudine nei suoi occhi. Poi non la rividi più per anni…

-E  cosa faceste, in tutti quegli anni?

-Poco tempo dopo aver conosciuto Candy decisi di lasciare questa casa e tutte le sue comodità per vivere da solo come un nomade, uno zingaro. Mia zia Elroy, che all’apparenza poteva sembrare arcigna e di vedute ristrette, dopo un po’ approvò. Le dissi che se fossi ancora rimasto lì la malinconia mi avrebbe ucciso. Non è possibile che un ragazzo di sedici anni continui a pensare al passato invece di proiettarsi sull’avvenire. Credo che la mia giovane età  abbia influito positivamente sulla sua comprensione. Ma non so perché vi sto raccontando tutto questo…

-Tutti hanno bisogno di sfogarsi, di trovare qualcuno disposto ad ascoltare. Vi prego, continuate…se vi può aiutare, trovo molto attraente ciò che mi raccontate.

-Questa cosa mi fa piacere…. Vissi per tanti anni da solo, ramingo nella mia stessa proprietà, trascorrendo parecchie notti sotto le stelle ed altre, quelle più fredde, cercando riparo nelle vecchie casupole di legno che ancora oggi punteggiano i dintorni. A volte venivo sorpreso dai miei stessi attendenti, gente che lavorava per me senza saperlo ma che scambiandomi per un vagabondo, mi cacciava via senza troppi riguardi. Una volta uno di loro mi sparò ,e fu per poco che non mi ferì seriamente. Passai diversi anni in questo modo, e il mio aspetto cambiò sensibilmente…divenni un uomo...mi feci crescere la barba. Anche se il cambiamento più importante avvenne dentro di me.

-Posso immaginarlo.

Albert le raccontò di Londra, dell’Africa, del periodo trascorso senza memoria e di quello in cui la recuperò. Del periodo durante il quale abitò con Candy in un appartamentino modesto di Chicago e dei suoi primi tempi da capofamiglia. Di come si fosse trasformato in un abile uomo d’affari e di come rimpiangesse la sua vecchia vita. Del perché avesse adottato Candy e dello stupore che questa aveva provato nello scoprire la verità sull’identità del suo vecchio amico.

Susanna ascoltata incantata. Più volte le venne in mente di chiedergli di raccontarle di Candy e Terence ma poi  la sua mente appassionata  alle storie preferì farsi cullare dal racconto della strana vita di quel tipo che da qualche giorno era entrato prepotentemente nella sua esistenza.

Per una volta sentiva che c’era qualcosa di diverso e forse di più grande della sua ossessione verso un uomo che non la ricambiava. Di colpo si sentì infinitamente piccola e insignificante davanti alla grandezza e alle possibilità della vita. Ma felice.

Venne la sera, e la luce delle stelle timidamente venne a rischiarare quel buio, ma i due quasi non se ne accorsero.

       

Candy, sei una bugiarda!-pensò Candice Andrew seduta da sola in un elegante ristorante nel centro di Chicago. Si era fatta accompagnare dall’autista degli Andrew dicendo che andava a cena con un’amica e lo aveva congedato dichiarando che sarebbe tornata con un’altra carrozza. Ma non c’era nessuna amica. Archie sapeva che avrebbe cenato con Patty, non avrebbe potuto essere più coerente.

Non aveva voluto coinvolgere Patty perché non aveva voluto raccontarle la verità. La sua amica si sarebbe preoccupata  se avesse saputo che aveva intenzione di andare a  vedere Terence recitare e andar via subito dopo la rappresentazione senza salutarlo. Patty le avrebbe certamente detto che si stava solo facendo del male. E avrebbe detto bene. Ma il desiderio di vederlo, e soprattutto di accertarsi che stava bene, erano stati più forti.

Candy  al ristorante si guardò intorno: c’erano tante coppie e l’aria era riscaldata dalla luce soffusa delle lampade al centro dei tavoli. Permise a se stessa di indugiare nelle sue riflessioni: la presenza amichevole ma ogni tanto invadente di Archie e l’ombra che Susanna aveva proiettato da quando si era stabilita in villa non le avevano lasciato molte occasioni di ritrovarsi da sola con se stessa.

Pagò il conto a andò via. Il cameriere la guardò non senza una certa curiosità: non erano molte le donne che cenavano da sole al ristorante. Per di più, la ragazza non aveva voluto raccontare la storia dell’amica che deve arrivare e poi non si fa più viva, ma aveva subito detto di essere da sola.

Il teatro era a soli tre o quattro minuti di strada a piedi, e Candy godette del piacere di quella camminata e dell’aria fresca, dopo aver passato un’ora al chiuso. Una volta entrata, all’impiegato che con fare discreto le tolse il cappotto disse il suo nome, e questi la accompagnò verso uno dei palchi con la vista migliore sulla scena. Quel palco era stato assegnato ad un ricco banchiere di New York giunto a Chicago per affari e alle sue rimostranze, alla notizia che era stato cambiato di posto, gli era stato detto che il vecchio palco presentava dei difetti e che la direzione del teatro non poteva fare una figura tanto misera davanti ad un personaggio tanto illustre. Il banchiere si era convinto.

Era stato Terence ad insistere tanto perché assegnassero a Candy quel palco, e alla fine l’aveva spuntata.

La rappresentazione iniziò e Candy strinse più forte nelle mani l’oggetto che avrebbe lasciato sulla sua poltrona di velluto: uno dei nastri che indossava ai tempi del collegio e che facevano pendant con la divisa.

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Capitolo 17
*** Nessun dorma ***


 

PRINCIPE: Questa mattina è foriera di una pace che rattrista; il sole pel dolore non mostrerà la sua faccia. Andiamo via di qui, a ragionare ancora di questi dolorosi avvenimenti; a qualcuno sarà perdonato ed altri sarà punito; poiché non ci fu mai storia più pietosa di questa di Giulietta e del suo Romeo. 
 
Sipario.

Applausi.

Inchini di ringraziamento.
 
Anche oggi è andata. Terence, gli occhi fiammeggianti di orgoglio, si dirige verso il camerino. Un’assistente gli porta un asciugamano che il ragazzo afferra  per asciugarsi il sudore. Ha dato il meglio di sé e lo sa benissimo. Non ha bisogno dei complimenti di nessuno. Né di Robert né di quegli spocchiosi giornalisti. Promosso in pieno. Candy sarà stata fiera di lui. Più volte ha avuto il pensiero di sollevare il capo nella direzione del suo palco, ma non lo ha fatto. Se si fosse distratto per colpa di quel maledetto riflettore  avrebbe fatto una figura pessima con lei.

Sì, d’accordo. I giornalisti. È il pegno che deve pagare per essersi comportato male la prima sera: mostrarsi gentile e rispondere alle loro domande,  dimostrare di essere una persona affidabile e non un pagliaccio, saper mantenere la calma e  amare il suo lavoro.

Beve velocemente un bicchiere d’acqua e con un cenno chiama Robert. Deve essere presente affinchè dica tempestivamente “Bene, questo è tutto. Terence è molto stanco, è il caso che vada a riposare”. Ci deve essere una terza persona, servizievole e discreta, nel caso  qualcuno di loro chieda un caffè o un sigaro. Ecco giustificata la presenza di Ethel.
-Un’ultima domanda, signor Graham. Abbiamo tante lettrici che la ammirano e si chiedono se lei è emotivamente coinvolto e, nel caso non lo fosse, quali caratteristiche in una donna potrebbero interessarla.

Questo è davvero troppo. Robert, intervieni.

-Adesso basta. Questo non è il genere di domande che un attore come Terence Graham voglia sentirsi rivolgere. Terence è stato fin troppo gentile.

Il giornalista se ne va contrariato. Se Terence avesse reagito con la sua irruenza, magari picchiandolo, almeno avrebbe potuto scrivere quello.

Terence sorride. Sa benissimo cosa deve avere una donna per ammaliarlo. Tutto quello che è la “sua” lentiggini.

Bene. E anche questa è andata. Non si smette mai di recitare.

Nel frattempo il pubblico è andato via.

Terence cerca il signor Bogart, l’impiegato che si occupa dell’accoglienza e  che ha condotto Candy al suo palco. Ha una grande simpatia per Terence, il signor Bogart. Quel ragazzo gli sembra così vero, e gli ricorda i suoi anni giovanili: anche lui ebbe dei problemi a causa dell’ alcool.

-Ho fatto come mi avete chiesto. Ho chiuso la porticina di  questo palco dopo che ne è uscita la signorina e mi sono assicurato che non entrasse nessuno.

-Grazie.

Terence entra nel palco dove sa, o almeno spera, si sia seduta Candy. Non c’è molta luce  e  non vuole subito guardare se c’è qualcosa per lui. Lo ammette, ha una stramaledetta paura che non sia venuta. Chiude gli occhi e inala l’aria che deve aver respirato Candy. Spera di riconoscere il suo profumo, o almeno un profumo femminile. Poggia le mani sugli schienali delle sedie di velluto. Deve essersi seduta su una della due sedie che sta toccando. Apre gli occhi e…c’è qualcosa! Ma cosa è? Sembra un pezzo di stoffa…ma sì, è uno dei nastri che indossava al collegio! Quanti ricordi!

                                      
 
Susanna in camera sua non vuole spegnere la luce e coricarsi. Ha vissuto così tante emozioni in quelle giornate che vuole continuare a riviverle nella sua mente. È come se avesse preso una vacanza da se stessa e dalle sue ossessioni. Ha capito che della sua passione per Terence  è rimasta più che altro  la smania di vincere. Sì, perché più lo ha visto distratto e lontano, più ha percepito in tutti questi anni la presenza di Candy, più la sua determinazione è aumentata.
Comincia a chiedersi se sia il caso di lasciar perdere.

Un’ultima boccata d’aria e poi si va a dormire. Albert le ha fatto fare tardi, ma è stata una serata piacevole. L’ hanno divertita le facce stupite di Archie e di June mentre passavano davanti alla veranda. Sicuramente si stavano chiedendo se l’elemosina che Albert aveva deciso di farle ospitandola in casa sua non si fosse trasformata in amicizia. Una vocina nella sua mente diceva che era così. Per lei  quel rapporto si poteva chiamare amicizia.

Spalanca la finestra  e poggia  i gomiti sul davanzale. Una figura attira la sua attenzione. È seduta sul bordo della fontana, le spalle si muovono ritmicamente. È qualcuno che sta piangendo, che ha cercato le tenebre della notte per dare sfogo ai suoi tormenti. È Candy. Indossa una vestaglia e le dà le spalle, ma è sicuramente lei, quei capelli folti e mossi sono i suoi.

Certo, soffre ancora per Terence. sarà vero che è uscita per vedersi con lui? Indossava un vestito verde cangiante con numerose perline e un breve strascico. Un vestito del genere Susanna lo ha visto indosso solo nelle occasioni veramente eleganti.

Va così vestita tutte le volte che esce con le amiche? Certamente no. Certamente è andata a teatro, a vedere Terence. Si sono presi per le mani, hanno pianto, si sono guardati intensamente negli occhi e si sono detti ”Dobbiamo farlo per quella povera Susanna”.

O forse “Dobbiamo farlo per quella strega di Susanna”

Questo è troppo. Questo è veramente troppo.

Peggio di un tradimento fisico. Si sente ferita nell’orgoglio, Susanna. Le sembra di sentire le loro promesse “Io non ti dimenticherò mai”, “Neanche io”, “Chissà un giorno…””Già. Chissà”.

-Maledetta Candy. Te lo toglierò  Terence, altrochè!

                                
 
La mattina dopo Candy esce molto presto. Non è riuscita a dormire granchè quella notte, e la sua idea è quella di stancarsi il più possibile per riuscire a riposare meglio la notte successiva. Ha deciso di andare da Patty, aspettando un’ora più conveniente, naturalmente. Non è stata una buona amica l’altro giorno: una buona amica  avrebbe chiesto tutti i dettagli del fidanzamento con Paul.

Archie esce qualche ora dopo: ha saputo che Candy non è in casa  e francamente non vuole passare un’altra giornata in compagnia di Susanna. Prende la macchina e decide di sbrigare alcune commissioni per Albert a Chicago. In fondo anche lui è responsabile della gestione del patrimonio di famiglia.

Susanna ha deciso di ritirarsi in biblioteca a leggere. In realtà per pensare. Albert poco prima le ha chiesto se le andava di fare un giro a cavallo per la grande tenuta. Sarebbe stato molto felice di mostrargliela.

-Ma…io non sono capace di andare a cavallo!

-Salirete con me. Vi va?

-Oh, beh…io…

Susanna aveva sentito avvampare le guance. Se William Andrew avesse saputo che non faceva che pensare a Terence, e con ancor maggiore intensità!

Ciononostante aveva accettato. Chissà che un po’ di vita all’aria aperta non le facesse  bene all’umore! Ma più stava immobile, su quella poltrona, più pensava al tradimento subito. A quel dolce, tenero sentimento che lei aveva interrotto. A quell’amore nato tra i banchi di scuola e proseguito nonostante la lontananza di tempo e spazio. Se fossero stati i protagonisti di una storia, Candy e Terence sarebbero stati i buoni e lei la cattiva.

Ma Susanna non la vedeva così. Ha perso una gamba per salvare lui, quell’ingrato. Ha cercato di conquistarlo in ogni modo. Ha sopportato l’umiliante indifferenza del giovane. Di scatto, facendo cadere il libro che teneva in grembo, si alza, e si avvia  verso lo studio di Albert, dove l’uomo è impegnato a leggere delle carte, e bussa non senza decisione fin quando non sente la voce sicura dell’uomo risponderle avanti.

-Scusatemi se vi interrompo, ma avevo bisogno di parlarvi. Devo dirvelo adesso, altrimenti starò male. Ieri sera mi avete consigliato di non pretendere che Terence mi ami. Ecco, è qui che sbagliate. Io riuscirò a farmi amare, Terence è la persona giusta per me e lui non deve…non può non ricambiare tutto quello che sento per lui! Mi deve tanto, per tutto quello che ho sofferto e per tutto quello che ancora soffro!

Susanna non avrebbe voluto piangere. Era così patetico. Sembrava che desiderasse compassione e invece…invece voleva solo che Albert le desse ragione. Voleva il suo appoggio. Che strano, se ne stava accorgendo solo adesso. Era andata da lui perché fosse suo complice.

Perché non rispondete? Perché?

Dopo alcuni interminabili secondi, Albert fa un gesto come per mettere a posto le carte che stava leggendo. Si schiarisce la voce e finalmente parla.

-La vita è vostra. Fate come credete meglio per voi. Spero che abbiate ragione.

Albert non la sta congedando, è un uomo troppo educato per dirle che le sta dando fastidio, che lo ha interrotto mentre lavorava, eppure d’un tratto Susanna si sente piccola piccola e vorrebbe scomparire all’istante.

Senza neanche salutarlo, indietreggia, apre la porta e fugge via.

Tornata in biblioteca, si chiede perché mai ha fatto una cosa del genere. Perché mai non ha contato fino a cento prima di uscire da quelle stanza. Perché si è comportata come una bambina. Passano altri interminabili minuti fin quando arriva June con un carrello.

-Ecco il vostro thè. Mi avevate detto di portarvelo alle undici. E c’è un’altra cosa: il signor Andrew mi manda a dirvi che non potrà portarvi a fare quel giro che vi aveva promesso nella tenuta. Un impegno urgente lo ha costretto ad allontanarsi dalla villa.

-Va bene. Grazie.

Un impegno urgente? Meglio così. Almeno non sarà costretta a sostenere il suo sguardo dopo quello che gli ha detto, dopo essere piombata in quel modo nel suo studio e averlo investito con la foga delle sue parole.

Passa un’altra mezz’ora prima che Susanna si decida ad alzarsi e uscire in giardino ma per farlo deve passare attraverso la grande sala d’ingresso sormontata dall’imponente scalinata che porta al piano nobile. Alza lo sguardo e vede William Andrew entrare in una stanza e chiudere la porta alle spalle.
In quel mentre passa June.

-Scusi signorina, non avevate detto che il signor William è uscito?

-E’  così, infatti.

-Non è vero! L’ho appena visto lassù, mentre entrava in una stanza e chiudeva la porta alle sue spalle!

Un’ombra di imbarazzo attraversa il viso della cameriera.

-Mi dispiace, signorina, io riferisco solo ciò che ho avuto ordine di…perdonatemi!

Bene, così William Andrew si era rifiutato di uscire con lei e,quello che era peggio, non si era degnato di dirle la verità! Si era comportato in maniera falsa e meschina,o forse lui avrebbe preferito dire “diplomatica”.

Aveva sbagliato qualcosa? Seduta sul letto della sua stanza cominciava a chiedersi se forse William non si fosse stancato di vederla piagnucolare per Terence. Forse aveva rinunciato a quella passeggiata per la tenuta perché quella mattina gli aveva nuovamente parlato di lui. In effetti  non poteva essere il suo confidente, William era solo un conoscente che aveva accettato di aiutarla, ma lei non poteva pretendere più di tanto. Eppure sentiva il bisogno di chiarire con lui. Non poteva accettare l’idea che lui la ignorasse in questo modo, era ancora più insopportabile dell’indifferenza di Terence!
 

                
Salve a tutti, come va? A me ora meglio, tra influenza e malesseri vari nell’ultima settimana mi sono limitata a vegetare, eheh. Ora sto meglio, ma non sono nel pieno delle forze. Fortunatamente avevo scritto questo capitolo in neanche due giorni e stamattina l’ho completato e corretto. Spero che questa coppia vi piaccia o che almeno troviate qualcosa di romantico in tutta la situazione.
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi leggono.

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Capitolo 18
*** Cinquanta sfumature di William ***






You’re the light, you’re the night
You’re the color of my blood…


La vecchia casa della nonna di Patty si trovava in pieno centro, e aveva certamente visto tempi migliori. L’anziana signora l’aveva abitata al tempo in cui aveva deciso di fare ben tre lavori: lavapiatti in un ristorante, donna delle pulizie nell’ospedale in cui lavorava Candy e aiutante operaia di una ditta che stava costruendo una strada. In seguito aveva deciso di ritirarsi nella sua lussuosa villa in Florida portando con sé una Patty ancora sconvolta dalla morte di Stear.

Candy bussò due volte prima che le venisse aperto.

-Mi dispiace, la signorina Patty non è in casa.

Ad aprirle era accorsa la signorina Lindstrom, una donna di mezza età che si occupava di tenere in ordine la casa. Patty non aveva rinunciato a tenere in casa almeno un domestico: le sue origini altolocate e il modo in cui era vissuta fino a quel momento l’avrebbero resa incapace di muovere un dito, anche se avesse voluto.

Candy decise di dirigersi a teatro. Forse aveva perso troppo tempo a fare colazione in quell’elegante sala da thè e nel frattempo la sua amica poteva aver tranquillamente deciso di raggiungere il fidanzato al suo posto di lavoro.

Giunta a teatro trovò qualche difficoltà ad essere ammessa dentro, ma il tempestivo incontro con Patty risolse la situazione.

-Lei è con me, signor Johnson-disse all’usciere che stava impedendo alla sua amica di entrare.

-Oh, Patty, vedo che qui sei di casa!

-In realtà è Paul che è di casa, ma diciamo che passo un bel po’ di tempo in questo teatro-chiarì Patty, non senza l’immancabile rossore che le imporporava le guance quando sottintendeva più di quanto diceva- ma tu, piuttosto, cosa ci fai da queste parti?

-In realtà ero venuta a trovarti a casa, ma non c’eri, così ho pensato  che fossi  qui.

-Mi hai fatto davvero una bella sorpresa. Senti, Candy…ti ho vista ieri sera, qui a teatro! Ti ho vista entrare e poi uscire alla fine della rappresentazione…sei venuta a vedere Terence, è così?

Suo malgrado, Candy si sentì costretta a rivelarle ogni cosa. Non le piaceva mentire con la sua amica e, in più, l’assenza di Annie le faceva sentire il bisogno di confidarsi con qualcun altro. Sorprendentemente, nelle parole di Patty non ci fu  alcun rimprovero o biasimo.

-Ascolta, Candy. Perché, invece di incontrarvi in questo modo, non parlate e cercate di trovare una soluzione? Forse qui a teatro è difficile, con i giornalisti e tutto il resto, però potrei mettervi a disposizione la stanza d’albergo dove vi ho fatto incontrare. È una stanza riservata per me, sai la casa di mia nonna è piuttosto fredda e tra qualche settimana arriverà il gelo dell’inverno, così avrò bisogno di una sistemazione più comoda. Mio padre è un caro amico del direttore e mi ha fatto riservare una stanza, ma  finora non ne ho sentito il bisogno perché l’unico camino che c’è in casa basta.

Candy si stupì lei stessa di aver accettato l’aiuto della sua amica, anche perché stava cominciando a chiedersi se il sacrificio che stava chiedendo a se stessa e a Terence non fosse davvero troppo.

-Bene, Candy. E adesso che ne diresti di organizzarci per questa giornata? Potresti farmi compagnia qui a teatro, poi pranzeremo insieme e resterai con me fino a stasera. Ti presterò un abito da sera  dei miei, così non sarai costretta a tornare indietro e rivedere Susanna.
 
                                                                 
Nel tardo pomeriggio, nella  stanza che occupava a villa Andrew, seduta al tavolo da toeletta, Susanna spazzolava i suoi lunghi e setosi capelli. Quella sera non avrebbe cenato. Avrebbe fatto come quando  da bambina dopo un dispiacere  preferiva rintanarsi sotto le coperte e aspettare che la fatina del sonno, come la chiamava sua madre, spargesse  sulle sue palpebre la polverina magica che la faceva  addormentare.

Aveva creduto di trovare in William Andrew un amico, o comunque qualcuno di cui potersi fidare, e invece  il suo comportamento indecifrabile l’aveva dapprima ferita e poi delusa. Non aveva diritto ad alcuna spiegazione, in fondo era solo un’ospite in quella casa, e sapeva che  William  sarebbe stato poco propenso ad aprirsi con lei e rivelarle perché aveva  rinunciato a fare quel giro per la tenuta come le aveva chiesto.

In quel mentre bussò June.

-Buonasera signorina. Il signor Andrew mi ha ordinato di aiutarvi a vestirvi per la cena-esordì la cameriera, e Susanna attraverso lo specchio notò che in braccio teneva un abito da sera.

-Dite al signor Andrew che sono indisposta e che farò a meno di cenare.

-Il signor William si è raccomandato con me perché insistessi…

-Ah, ma davvero? E come faceva il signor William a sapere che avrei preferito restare in camera? Quell’uomo prevede tutto, ma sapete una cosa? Anche io ho cominciato a prevedere le sue mosse. So benissimo che vi ha dato istruzioni per convincermi a scendere di sotto per la cena, esattamente come due sere fa. Ma oggi resterò in camera, anche se dovesse venire il signor Andrew in persona e  trascinarmi con la forza!

-Il signor William desidera la vostra presenza per via dell’ospite d’onore di stasera, il signor Hathaway, Robert Hathaway…

-Cosa?- esclamò Susanna alzandosi e appoggiandosi alla stampella, e subito una lacrima le scese sulla guancia. Quell’uomo era quanto di più simile somigliasse  ad una figura paterna, e il solo pensiero di poter vedere una persona amica dopo tanti sguardi malevoli o perlomeno indifferenti le diede una grande consolazione.

-Va bene, aiutatemi a vestirmi, e anche a truccarmi…

-Truccarvi? Avete un aspetto meraviglioso. La vita di campagna vi fa bene avete e un bellissimo colorito. Sarebbe un peccato intervenire anche di poco. Sapete, forse non mi dovrei permettere ma voglio dirvelo lo stesso. Quando siete arrivata, due giorni fa, eravate l’ombra di voi stessa, adesso invece siete come rifiorita.

Susanna istintivamente si guardò nello specchio, e pensò che la ragazza aveva ragione. Adesso aveva i tratti del viso più distesi, gli occhi erano più vivi, più penetranti, la pelle più luminosa. Ma, come al solito, abituata a non voler vedere il positivo  della vita, non ci aveva fatto caso.

L’abito che June l’aiutò ad indossare era nero, lungo e scollato, particolare  che metteva in risalto la carnagione perlacea della ragazza e le braccia magre e toniche, le spalle non troppo strette e, soprattutto, quel neo sulla spalla sinistra che non aveva mai mostrato per via degli abiti  indossati fino a quel momento, e che appariva e scompariva ogni volta che la piuma applicata al vestito si muoveva. Doveva davvero indossare un abito simile, un abito che somigliava più a quello di una ballerina di cabaret che a quello di una signorina per bene? Ma, d’altra parte, la voleva smettere di essere, come si era definita il giorno precedente, una “campagnola di città”? Quante volte aveva visto la sua collega Karen Kleis, una ragazza certamente moderna ed emancipata, sfoggiare con tanta naturalezza abiti di quel genere? Lei non era da meno, per bellezza e portamento. E poi, come non ricordare l’abito di Candy, quell’abito lungo e fasciante che aveva indossato la sera precedente per andare a vedere Terence? No, certamente lei non era meno bella di Candy, anzi forse lo era di più.

-Ditemi, quest’abito apparteneva alla ragazza che occupava questa stanza?

-La signorina Elisa Legan? Oh, no, non avete la stessa taglia! Il signor Andrew mi ha mandato di proposito a Chicago questo pomeriggio per comprarvi un abito. Evidentemente  anche lui ha capito  che gli abiti da sera della signorina Legan non potevano starvi bene.

Questo poteva significare una cosa sola, pensò Susanna. Che William Andrew l’aveva osservata bene. Il suo sguardo si era poggiato sui suoi fianchi, le aveva alitato sul collo, le aveva accarezzato la schiena. Si era soffermato sulle sue spalle e i suoi avambracci,  sulla sua vita…mentre pensava a queste cose, lo specchio le restituì il sorriso che involontariamente aveva trasformato il suo viso in una maschera di gioia. Non capiva perché una tale idea potesse mandarla tanto  in estasi.

-Adesso pettinatemi, per favore. Voglio che i miei capelli siano acconciati in maniera sofisticata.

Portare i capelli lunghi e sciolti con quel vestito sarebbe stato troppo. Se il vestito era audace, una chioma perfettamente acconciata avrebbe smorzato l’audacia del vestito e avrebbe fatto dire di lei che era una donna “che osava, ma fine ed elegante” piuttosto che una donna senza classe che si poteva incontrare in un night qualsiasi.

June la acconciò i capelli in alto in maniera molto elaborata e Susanna si guardò con soddisfazione allo specchio.

Se il suo aspetto la soddisfaceva, il pensiero del comportamento da adottare quella sera la impensieriva. Dopo che William aveva d’un tratto aumentato le distanze, non toccava di certo a lei tentare di accorciarle, ma non poteva neanche comportarsi in maniera fredda e distaccata. Insomma, sarebbe stata una serata difficile.

Scese le scale accompagnata dal maggiordomo e fu da quest’ultimo introdotta  nel salotto dove era stato servito l’aperitivo e dove Albert amava attardarsi con  i convenevoli di rito prima di accompagnare gli ospiti in sala da pranzo. Il padrone di casa stava parlando con Robert e con un altro individuo molto elegante. Al suo avvicinarsi Robert si voltò e la salutò con calore.

-Accidenti Susanna, quasi stentavo a riconoscerti! Sei una meraviglia!

-Buonasera Robert. Sono tanto felice di vederti! Signor Andrew…

Gli occhi di Albert si spalancarono e l’uomo fece vacillare la flute che teneva in mano. Susanna lo guardò in viso un secondo di più per sincerarsi che fosse proprio ammirazione quella che aveva scorto nel suo sguardo ma Albert rivolse immediatamente l’attenzione su altro.

-Signor Cavendish, conoscete la mia amica, la signorina Susanna Marlowe? Anche lei fa parte della compagnia Stradford.

William l’aveva chiamata “amica”. Anche questo, come lo sguardo di ammirazione di poco prima, era un bel complimento, ma forse con questo appellativo aveva  voluto più che altro evitare di dare spiegazioni al signor Cavendish  sul perché una perfetta sconosciuta abitasse in quella casa.

-E’ un grande piacere, signorina Marlowe. Sono un grande amico del signor Hathaway, e spero che, se tutto va in porto come deve, lavoreremo insieme.

-Temo di non capire….

-Susanna, ti va di scambiare due parole in privato?-intervenne  Robert-potete scusarci?

Susanna e Robert si allontanarono quanto bastava per non essere sentiti.

-Come stai Susanna? Ti vedo bene, non è così?

-Sì, è vero. Ma che succede? Perché sei qui questa sera? E perché quell’uomo, il signor Cavendish , mi ha detto che lavorerà con noi?

-Sono qui per le pressioni del signor Cavendish, uno dei nostri futuri finanziatori, forse. Mi ha chiesto ripetutamente di essere presentato al signor William, dopo che ha saputo che eravamo in contatto. Io gli ho telefonato questo pomeriggio per chiedergli un incontro, pensavo che mi avrebbe detto di no, e invece mi ha invitato a cena.

-Ma…e la rappresentazione? E il teatro…Terence…

-Sta’ tranquilla, Susanna. Ho lasciato ogni cosa nelle mani del signor Miller, il mio vice. Quella di stasera non è una prima, e certamente Terence darà il massimo anche senza di me.
Albert li interruppe invitandoli ad accomodarsi in sala da pranzo. Fu una cena molto strana. Susanna non aveva mai  visto Albert così. Di una freddezza glaciale, si era limitato a parlare il meno possibile. Dopo averlo studiato per almeno una mezz’ora concluse che la severità del suo comportamento non poteva essere imputata  a lei, Albert era troppo intelligente per volersi vendicare in questo modo solo perché quella mattina  lo aveva interrotto mentre lavorava parlandogli di Terence. e lei era troppo acuta perché le sfuggisse il vero oggetto di quel disprezzo. Non era né lei né Robert, ma il misterioso signor Cavendish, che a ben guardare, era dotato dell’antipatia tipica delle persone boriose che pensano di avere tutto il mondo nelle loro mani.

-Bene, signor William, domani potrei mandare il mio segretario da voi per prendere appuntamento per parlare di quell’affare.

-Non vi scomodate, signor Cavendish, e non scomodate il vostro povero segretario, potrebbe chiedervi un aumento. Purtroppo non sono nelle condizioni di fare nuovi affari con nessuno, anche se questi dovessero essere molto vantaggiosi. Sapete, negli ultimi anni ho avuto delle perdite consistenti e non ho alcuna voglia di rischiare.

Albert fissò il suo interlocutore che abbassò gli occhi e si schiarì la voce, imbarazzato, come se le parole che aveva appena sentito avessero toccato un nervo scoperto. Ma poco dopo, facendo finta di niente, rilanciò.

-Oh, non pensate al passato. Voi avete la sola  cosa che veramente interessa a questo cinico mondo  degli affari: il buon nome. Lo sanno tutti che le vostre aziende sono floride e che mettersi in affari con voi è un onore e un piacere.

-Avete detto bene: il mio buon nome. Che io non intendo sporcare in alcun modo legandolo alle persone sbagliate.

Questa e altre battute dello stesso tenore accompagnarono l’intera cena, e Susanna rimase colpita del cinismo di Albert, che infierì a più riprese sul povero signor Cavendish.

Per Susanna fu un sollievo la fine di quella cena. Fortunatamente il saggio Robert aveva trovato il modo di togliere il disturbo al più presto e si era portato dietro il signor Cavendish.

Mentre Albert all’ingresso salutava i suoi ospiti, Susanna cercò un po’ di pace in quel salottino un po’ isolato dalla grande zona di rappresentanza e che aveva scoperto essere una calda e comoda tana dotata di un camino e di una piccola biblioteca. Si sedette per terra e tentò di scaldarsi: il vestito era davvero scollato e lei non era abituata.

-William Albert Andrew….generoso e cinico…-sussurrò aprendo I palmi delle mani in direzione del fuoco.

-Mi nominate?-disse una voce dietro di lei. Era Albert. Forse aveva sentito tutto!

-Oh! Cosa avete sentito?

-Ho sentito quanto bastava…il mio nome. O forse avete detto altro?

Certamente aveva sentito tutto, ma aveva preferito non ammetterlo.

-Prendete-le porse un bicchiere di whisky e sedette per terra accanto a lei.

- Siete stato gentile a cercarmi per offrirmelo.

-E’ che volevo scusarmi per la penosa serata alla quale vi ho sottoposta stasera, e all’altrettanto penoso spettacolo che ho dato  di me. Non mi avevate visto tanto sgradevole, finora.

-Per la verità anche con me vi siete comportato in maniera per così dire…decisa, soprattutto il primo giorno e…oggi.-disse Susanna abbassando gli occhi.

-Vi chiedo scusa per questo, ma vi giuro che lo stato d’animo con il quale mi sono rivolto a voi e al signor Cavendish era completamente diverso.

-Ah, davvero? E quale stato d’animo vi ha spinto oggi a trattarmi a quel modo?-gli chiese mentre sorseggiava il suo whisky.

Susanna aveva parlato troppo presto, e subito si pentì della sua uscita, ma ormai era troppo tarsi. Non restava che attendere la risposta e con curiosità rivolse i suoi occhi verdi in direzione degli occhi cerulei di Albert, che non ebbe timore di rispondere ad una domanda tanto inattesa.

-Ero stanco di sentire nominare Terence, sempre Terence. So che è l’unica persona in grado di rendervi felice, ma forse io non devo essere necessariamente il depositario delle vostre confidenze. È già tanto che mi sia offerto di ospitarvi in casa mia, il resto è un vostro fatto privato.

-Oh…ma allora perché vi siete tanto interessato…oh, sapete cosa c’è? È assurdo…

-Assurdo cosa?

-Neanche io voglio più nominare Terence! Neanche io voglio più parlarne con voi! Che stupida sono stata!-Susanna cominciò a ridere senza riuscire a fermarsi- Ah ah….scusate. è il whisky che fa questi brutti scherzi, non ci sono abituata, a ventitré anni non riesco a reggere neanche un mezzo bicchiere di whisky! Dovrei cominciare a bere, forse? Giuro che non sono mai stata tanto lucida!

Lucida e incosciente insieme da poggiare il capo sulla spalla di Albert.

-Buona vita Terence…-sussurrò Susanna rigirando il bicchiere-bene, mi sono tradita. Ho ventirè anni, adesso conoscete il mio segreto….e voi? Scommetto che non ne avete ancora trenta…

-Ventinove…e penso che sarebbe meglio mettere via questo-disse Albert prendendole il bicchiere dalle mani e poggiandolo per terra.

-No! Adesso che cominciavo a divertirmi! Siete davvero cattivo, cinico e cattivo!-esclamò sollevando il capo.

-Che sono cinico l’avete già detto. Prima, quando parlavate da sola.

-Allora avrete anche sentito che vi ho definito generoso!-esclamò ma ancora indugiava nella piacevole sensazione che il  tessuto della giacca di lui aveva regalato alla sua pelle nuda quando le aveva tolto il bicchiere dalle mani.

-Bene, propongo di rimandare il resto della conversazione a domani. Vi aiuto ad alzarvi.

-No, non prima che mi abbiate rivelato cosa vi ha fatto quel tale…quel Cavendish.

-Mi ha procurato non pochi problemi in passato, parlando male di me. Conoscerete i particolari in un altro momento.

Albert si alzò e aiutò Susanna a fare altrettanto. Ella si appoggiò a lui mentre Albert le prendeva la stampella.

-Comunque vi devo ringraziare, signorina Marlowe. Se quell’uomo stasera non ha potuto disporre appieno del suo veleno è perché voi lo avete distolto. Con il vostro fascino e la vostra bellezza.

Susanna smise di ridere.

-Grazie. Non sapete quanto piacere mi facciano queste parole.


                                                              

 
Non ci crederete, sono proprio io! Sì, quella che stava scrivendo quella storia sul quadrilatero Albert –Susanna- Candy -Terence, lol. Sono imperdonabile, ma per un po’ non ho avuto il pc, mi sono ribeccata il raffreddore e dulcis in fundo ops…l’incubo della pagina bianca. Che ho superato perché mi sono decisa finalmente a concentrare tutte le mie energie mentali…indovinate? Su Albert! Ho capito che l’impasse era causato dal fatto che in quel momento preferivo parlare di  Albert piuttosto che di  Terence. Mi ostinavo ad aprire una pagina di word pensando a cosa avrei scritto su Terence e invece era Albert che voleva prepotentemente essere immortalato su questi schermi. Così mi sono arresa all’idea e in due giorni ho scritto quello che volevo scrivere. Devo dire che le immagini del video di Ellie Goulding e la canzone, Love me like you do, mi hanno ispirata. Non ho ancora visto il film ma la coppia del video mi ha ricordato i miei Albert e Susanna. Certo, c’è una grande differenza tra Albert e mister Grey ma anche alcune analogie, e poi le  scenografie grandiose del video  mi hanno fatto pensare a villa Andrew. Ecco quindi l’omaggio al film nel titolo, nei  primi due versi della canzone e nella foto che dovrebbe ricordare alcune scene del  video. 

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Capitolo 19
*** Storia di un fazzoletto ***




Londra, maggio 1913

-Cosa conosci veramente di me,eh?

-Se fosse stato Anthony…

-Ma davvero? E come ti avrebbe baciata Anthony? Doveva baciare molto dolcemente…

-Smettila!

-Come fai a sapere cosa penso e come mi sento? Anthony, sempre Anthony! Lui è morto! Vorresti vederlo? Coraggio, chiama il tuo Anthony! Non importa cosa fai, quel tipo non tornerà mai più. Anthony è morto!

-Smettila! Terry!

-Vieni! Ti farò dimenticare ogni cosa di lui! Te lo strapperò dal  cuore una volta per tutte!

-Dove stiamo andando? Smettila!

Cavalli…una corsa…Anthony! Ah!

-Theodora andiamo! Sali su, Candy!

Si guardava intorno e mi sorrideva…la foresta soleggiata…Anthony…smettila, Terence, smettila!

-Grida e piangi quanto ti pare! Vediamo se Anthony torna da te…

Il fruscio delle foglie…il profumo del bosco…come allora….come il giorno in cui Anthony morì…

-Chiama Anthony, chiamalo più che puoi! Non tornerà! I morti non ritornano! Dimenticalo! Devi dimenticarlo….apri gli occhi, e guardati attorno. Il bosco splende  di vta, i raggi del sole accarezzano la foresta…l’erba,gli alberi, le piante..

Anthony…vorrei sentire la tua voce, prenderti la mano, ma non riesco a raggiungerti ... ti sento sempre più lontano e invece…invece accanto a me c’è Terry…

-Terry….

Poco dopo….

-Siamo seduti qui da un po’…

-Stai sanguinando. Anche il vestito di Giulietta è danneggiato. Fa male? So di essere stato brusco, ma non me ne pento.
 
 
 
Chicago, luglio 1914
 
-Terence, Terence! Scommetto che cercavi me, sono qui!

-Iriza? Sei a Chicago? Allora anche Candy è tornata in America! Dov’è Candy? Dimmelo Iriza!

-Lasciami Terence sei un bruto! Lasciami!

-Signor Terence, abbiamo trovato il suo fazzoletto. Era a teatro, su una poltrona.

-Ma questo è uno dei fazzoletti che usavo a Londra! Lo avevo dato a Candy…allora era venuta a vedermi…Candy…devo trovarti, a qualsiasi costo!

 
New York,  novembre 1914 
 
-In questa foto non mi sembri neanche tu.

-Ma non è una foto, è un manifesto.

-Non è la stessa cosa? Comunque volevo dire che stai molto bene, ma…

-Ma cosa?

-Pensavo che fosse Susanna Marlowe a impersonare Giulietta e invece vedo che sarà Karen Kleis. Ne sarà felice, sai, l’ho conosciuta in Florida. Comunque sono contenta, perché devo confessarti che ero un po’ gelosa di Susanna.

-Candy, il thè è pronto.

-Mi piacerebbe cambiare il nome di Karen Kleis e scriversi quello di Candy Candy.

-Eh?

-Mi piacerebbe recitare nella parte di Giulietta.

-Ah ah ah così questa tragedia si trasformerebbe in una farsa!

-Terence ma come ti permetti!

-Oh! Candy!

-Candy ,ti ho fatto  venire qui perché desideravo che restassi qui per semrpe…ma ora…

-Guarda che disastro ho combinato…ora pulisco. Ho fatto rovesciare  le tazze con il thè.

-Lascia stare, sei mia ospite. Tieni, asciugati con questo fazzoletto.

-Grazie Terence.

-Non restituirmelo, voglio che lo tenga tu.
 
Chicago,  ottobre 1919
 
Seduta sulla poltrona di velluto dentro il palco riservatole dal suo amico attore, il lungo vestito a sfiorare il pavimento, la ragazza tormentava nervosamente il fazzoletto che da anni portava in borsetta senza usarlo. Il suo feticcio, l’oggetto magico che condensava anni di rimpianti, forse anche di speranze, il cui ricamo ella carezzava con tenerezza  come se le carezze  potessero  arrivare al suo antico proprietario. Lunghi guanti bianchi, un lucente  diadema sulla fronte e un vestito prezioso come  broccato non facevano di lei una principessa né  tantomeno una persona felice. La penombra nella quale era immersa e lo spazio ristretto del palco erano un piccolo rifugio che la isolava dal mondo. Guardava verso la scena  dominata  da quella figura di giovane uomo dal perfetto accento inglese che rendeva invisibili e insignificanti tutti gli altri attori. La sua  gestualità era misurata ma efficace, la voce piena ma non prevaricante, la fisicità scattante e perfetta solo all’inizio catalizzava l’attenzione del pubblico, per poi venire messa in secondo piano  dalle sue abilità attoriali.

La ragazza poteva udire il fruscio del vestito della signora in platea sotto di lei, tanta  era l’attenzione che il pubblico riservava a quella che era stata una promessa e ora era un’eccellenza di Broadway. Un altro giorno ancora e quell’attore sarebbe diventato solo un ricordo perso nel fiume impetuoso della sua vita, un ricordo triste come un germoglio non sbocciato, come una giornata grigia dall’alba al tramonto, che minaccia la pioggia senza rovesciarla, che promette il sole senza offrirlo.

La fine della rappresentazione segnò per lei il momento di abbandonare quel palco nel quale aveva sognato, immaginato e pianto. Piegò con amore il fazzoletto che teneva in mano e lo  poggiò sulla sedia, quindi aprì la porta che la separava dal mondo esterno e si immise nel flusso di gente che guadagnava le scale più vicine per scenderle. Il suo passo, cadenzato ma lieve, era un addio senza perdono. Tra poco avrebbe salutato Patty e raggiunto la carrozza che Albert le aveva mandato per fare ritorno a villa Andrew.

Ad una trentina di metri in linea d’aria, il giovane attore che tanto aveva infiammato il pubblico faceva ritorno in camerino.

-Dite ai giornalisti che per oggi non se ne parla affatto! Non ho alcuna voglia di starli a sentire né di dar loro confidenza!

-Ma..ci sono delle ammiratrici qui fuori, che attendono che almeno le saluti…

-Un’altra volta, oggi proprio no. Farò in modo di non essere riconosciuto.

Una barba posticcia, un cappello a tesa larga e un mantello era ciò che gli occorreva.

-Buonasera belle  fanciulle-disse alle giovani in attesa fuori dal camerino, con l’accento dei bassifondi di Chicago, ed esse lo fecero passare non senza un’espressione di disgusto.

Raggiunto il palco di Candy Terence tolse mantello, barba e cappello, e legò i capelli che improvvisamente avevano preso a dargli fastidio. Accuratamente ripiegato sulla sedia c’era un fazzoletto. Era il fazzoletto con il quale aveva fasciato il braccio di Candy il giorno della festa di maggio e che le aveva lasciato  quando  era venuta a trovarlo a New York, sapendo che quella forse era l’ultima volta che stavano insieme. Aveva voluto che lo tenesse lei come suo ricordo.

Quelle sensazioni dimenticate eppure familiari gli tornarono alla mente: lui e Candy giovanissimi che danzavano alla festa di maggio, la delusione per il mancato incontro di  Chicago  e infine le infauste e profetiche parole di Candy devo confessarti che ero un po’ gelosa di Susanna.

Abbandonare quel fazzoletto non significava forse voler recidere ogni legame per sempre? Non significava forse che era finita, che questa volta era irrimediabilmente finita?
Le gambe tremarono, sentì la necessità  di appoggiarsi alla balaustra, di sedersi. Poggiò le braccia sulla balaustra e avvertì che le lacrime non volevano proprio saperne di restare confinate nella sua anima.

Ti odio, Susanna. Non potrei mai stare con te. Sei la causa dell’infelicità mia e di Candy. Lei è venuta qui  perché gliel’ho chiesto io. Certamente ha sofferto a stare qui guardandomi da lontano, e soffrirà ancora in futuro, e se smetterà di soffrire vorrà dire che ci sarà un altro a renderla felice…

Candy, siamo stati come il giorno e la notte, mai insieme, eppure ti ho ritrovata ogni giorno dentro di me, non sono riuscito a strapparti via.

Ho avuto paura del tuo giudizio, di quello che avresti pensato di me se avessi abbandonato Susanna. Ma mi fa ancora più paura che tu possa pensare che non ti abbia amata abbastanza da mettere tutto il resto in secondo piano.

Ma cosa farei se tutto fosse davvero irrimediabilmente compromesso? Se davvero non si potesse fare nulla, assolutamente nulla? Sarei ancora più disperato di ora. E invece ancora si può fare qualcosa…


Forse poteva farcela a raggiungerla.

Come una scheggia corse via, scese le scale e si guardò attorno, era come un punto in mezzo alla folla.

-Signor Bogart, la ragazza alla quale ho riservato il palco è andata via?

-L’ho vista cinque minuti fa parlare con una sua amica, ma non riesco a vederla.

-Ma quello non è l’attore principale? Accidenti, quanto è affascinante…-si dissero stupite due giovani signore.

Alcuni giornalisti avevano ascoltato. Lì vicino c’era proprio quell’attore che si concedeva poco a loro e sempre in compagnia di qualcun altro. In quel momento, invece, era solo, e difficilmente avrebbe potuto fuggire.

Nonostante l’agitazione Terence capì di essere stato individuato. Accidenti! Aveva dimenticato il travestimento dentro il palco. Se fosse stato appena un po’ più sprovveduto, non avrebbe avuto l’intuizione che la salvezza da quegli importuni giornalisti e insieme la più completa felicità potevano derivargli dal semplice attraversare la porta d’ingresso e  cercare la ragazza al di fuori del teatro.

Focalizzandosi sull’uscita, e sperando che la sua calma apparente non desse l’idea di essere un fuggitivo, raggiunse la grande porta a vetri e la oltrepassò. Il freddo di quella sera era pungente, gli sembrava quasi di rivivere la triste esperienza di New York, di quell’abbandono struggente sulle scale di un ospedale . Non potè fare a meno di stringersi nelle spalle per il freddo, e partire  alla ricerca di Candy, mentre una leggera pioggia cominciava a cadere sul suo volto.

Erano tante le carrozze in attesa degli aristocratici spettatori di quella rappresentazione, ma Terence non pensò neanche per un attimo di desistere. Se la ricerca non fosse andata a buon fine, sarebbe stato capace di prendere la prima vettura  libera e recarsi a villa Andrew. Ma prima, avrebbe percorso le due file di carrozze incolonnate  ai lati del marciapiede fino alla fine e avrebbe chiesto ad ogni cocchiere.

Aveva oltrepassato una decina di vetture ma di Candy neanche l’ombra. Eppure, la disperazione poteva essere definita l’ultimo dei suoi sentimenti. Ora che aveva deciso di tornare da lei era solo questione di tempo, e l’attesa della felicità non avrebbe fatto  che aumentare la felicità stessa.  Forse sarebbe stato anche astruso, poco chiaro, forse l’emozione non gli avrebbe permesso di esprimersi, ma alla fine si sarebbe spiegato.  Le avrebbe chiesto di perdonarla  per averla fatta soffrire in quei quattro anni, ma le avrebbe detto che lo aveva fatto per lei, perché era quello che lei aveva voluto quella notte, a New York.   Era quello che lei gli aveva chiesto, e che lui aveva eseguito. Ma ora non era più il ragazzino sprovveduto e impotente dei tempi del collegio e neanche quell’uomo che quattro anni prima aveva sacrificato la propria felicità in nome di un ideale che neanche lui in quel momento sapeva definire e nel quale neanche più credeva.

Ma quel dedalo di carrozze, quell’accozzaglia di cocchieri e di dame incipriate proprio non volevano saperne di dischiudere quel prezioso tesoro.

I cocchieri con gli ombrelli aperti, i signori con sigaro e cilindro e perfino alcuni bambini che timidamente si avvicinavano a chiedere l’elemosina ai passanti rendevano quella visuale uno spettacolo variopinto e folle.

Giunto alla penultima  carrozza, la signora che stava  per salire si era soffermata a dare l’elemosina al ragazzino che aveva ringraziato improvvisando un inchino ed era andato via. Fu solo in quel momento che Terence si accorse che, nonostante la complicata pettinatura e l’abito da sera che non le aveva mai visto indossare, quella signora era proprio Candy. Certo, sarebbe stato difficile per lui riconoscerla dalle forme che, più dolci e arrotondate di un tempo, alcuni giorni prima aveva solo potuto immaginare  sotto i  pantaloni e la camicia lunga, ma nell’attimo in cui si era voltata, prendendo tempo per chiudere la borsetta, Terence aveva scorto sul suo viso un cenno del sorriso che conosceva bene e la sua immancabile espressione di gioia ogni volta che faceva una buona azione. Certamente quel bambino per un momento doveva averla distolta dalle sue preoccupazioni, tanto da non farla  accorgere di lui. Ma, voltatosi un attimo per prendersi ancora qualche secondo,  la sua gioia si smorzò  nel  constatare che quei giornalisti che lo avevano  intercettato  in teatro lo avevano individuato e stavano venendogli incontro.  Perciò, l’approccio non fu come aveva sperato.

Avvicinatosi, ed essendo stato accolto da  un’espressione frastornata e sbalordita, ebbe solo il coraggio di dire:

-Il fazzoletto…tieni…è tuo…oh, no! Saliamo in carrozza!

Candy vide lontano gli inseguitori e salì.

-Ma si può sapere che hai combinato questa volta, Terence?

-Normale amministrazione, Candy. Può andare più veloce, per cortesia?

-Ma certo, fa’ pure come vuoi, disponi pure di questa carrozza come se fosse tua.

-Non ti sapevo così sarcastica, Lentiggini.  E comunque l’ultima cosa che voglio in questo momento è essere raggiunto. Vada più veloce, ci stanno raggiungendo!!

Difatti, quei giornalisti che avevano avuto la ventura di imbattersi nel più inaccessibile degli attori di Broadway, avevano avuto pure la fortuna di trovare una carrozza libera e si erano lanciati all’inseguimento.

-Signore, se continuiamo ad andare a questa velocità presto una delle  ruote si staccherà  e allora ci dovremo fermare per forza.

-Ho un’idea! Qui vicino c’è l’Hotel Palmer House Hilton, ci lasci lì e poi prosegua, gli inseguitori penseranno che siamo ancora dentro questa carrozza-intervenne Candy.

Terence fischiò di ammirazione.

-Non sapevo neanche  che leggessi detective stories. 

-E’  l’hotel dove ci siamo incontrati, ricordi?

La carrozza percorse un’ampia curva prima di frenare bruscamente e permettere a Terence di aprire lo sportello e lanciarsi assieme a Candy verso l’entrata dell’hotel, prima ancora che il cocchiere potesse dire “arrivederci”.

Alla reception l’impiegato che faceva il turno di notte li salutò con educazione e quando Candy si presentò come  un’amica di Patty O’ Brien le disse che era stato informato dell’eventualità di questo pernottamento e che era felice di fare  tutto il possibile per rendere gradevole il soggiorno.

-In realtà noi non abbiamo intenzione di pernottare qui per la notte, abbiamo bisogno di trascorrervi qualche ora- gli disse, imbarazzata dall’idea che il tipo pensasse che avevano intenzione di dormire insieme- È probabile che alcuni giornalisti vengano a cercarci, lei non ci ha visti, chiaro?

-Ma certo, signorina, capisco. Capisco che lei, signorina Andrew, e il signore avete bisogno di un posto discreto per qualche ora. Ecco qui la chiave, e buon divertimento.

Il tono mellifluo dell’impiegato non passò inosservato, e Candy arrossì.

-Se preferite posso farvi portare dello champagne.

-No!- tuonarono entrambi, all’unisono.

Ma mentre Candy saliva quelle scale dirigendosi verso la stanza 44, la stanza che era stata riservata a Patty e nella quale si erano incontrati appena qualche giorno prima, si chiese cosa andassero veramente a farci. Si era resa complice di quella rocambolesca fuga, ma tutto era iniziato perché Terence l’aveva avvicinata.

-Aspetta, Terence. non mi hai detto perché mi hai fermata, prima, a teatro.

-Vieni, Candy, te lo dirò in camera.

La stanza 44 era rimasta come la ricordavano, spaziosa e arredata con buon gusto.

-Che senso ha tutto questo, Candy? Voglio dire, io e Susanna, tu…che senso hanno le nostre vite negli ultimi quattro anni? Ogni giorno solo un giorno in meno sul calendario. Ma questo io lo chiamo esistere, non vivere.

-Però a villa Andrew mi era sembrato che fossi intenzionato a prenderti seriamente cura di lei.

-Il giorno prima ero nuovamente caduto nel baratro della disperazione, tu avevi saputo quello che era successo in teatro ed io sono andato via da villa Andrew  più per dimostrarti che potevo farcela che per reale convinzione di poter passare tutta la vita con Susanna. Ma adesso ho capito che tutto ciò non ha senso.

-E  che ne sarà di lei?

-Susanna è determinata e più forte di quanto sembri. Dopo l’incidente aveva bisogno di sostegno, ed io le sono stato accanto, ma ora sta bene. È  giovane  e certamente, se sarà libera dall’ossessione che ha per me, troverà la sua felicità. Ma di una cosa sono certo: non sarà mai felice se resterà al mio fianco.

-E’ tutto così strano, è accaduto tutto tanto velocemente…

-Ci sono certe cose che semplicemente non cambiano, Candy. Io non potrò mai amare la mia matrigna, e non potrò mai amare Susanna. I miei sentimenti non cambieranno mai, qualunque cosa io faccia.

Quell’abbraccio, nella penombra di quella stanza, fu quanto di più naturale potesse seguire a quelle parole.

 
 
Il dado è tratto, come avrebbe detto Giulio (Cesare). Il dilemma era: poco pathos, tanto pathos? Se fosse per me non lesinerei mai, ma per non appesantire troppo il tutto ho introdotto qualche trovata che stemperasse  la tensione. Un po’ di pathos ci voleva, però, anche se alla fine ho preferito lasciare immaginare al lettore e uscire “in punta di piedi” da quella stanza. Ho rivisto la scena della riconciliazione preferendo anticiparla, in realtà la mia idea iniziale  era di farli "friggere" ancora un po', ma poi ho cambiato idea. Se c’è qualche difetto, una critica costruttiva è ben accetta.
Per quanto riguarda le scene iniziali, ho mescolato manga, anime e fantasia.
Non siamo proprio alle battute finali, mancano altri 6 o 7 capitoli, dipenderà tutto dalla lunghezza dei singoli capitoli. Grazie a tutti coloro che leggono.

 

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Capitolo 20
*** Midnight memories ***


William le aveva appena porto la stampella quando giunse leggero in quella stanza  un birichino refolo di vento freddo   a spegnere il camino.

Nell’oscurità più toltale, Albert e Susanna rimasero stretti e vicini: la ragazza, infatti, si appoggiava lieve con le mani sulle spalle dell’uomo, tanto vicina da poter sentire il suo alito che sapeva del whisky appena bevuto e Albert, preoccupato che la  sua ospite potesse cadere, la sorreggeva, tenendola ancora più stretta. Nell’imbarazzo che seguì era essenziale che uno dei due prendesse la parola, e Susanna, oramai abituata alla prontezza di Albert, lasciò che fosse suo l’ingrato compito di alleggerire la situazione.

-Temo sia giunto il momento che il padrone di casa  rischi un capitombolo pur di riattizzare il fuoco.

Nonostante il buio non gli permettesse di scorgere il viso di lei, Albert  potè udire la sua lieve risata.

-Appoggiatevi qui sul divano, fate attenzione.

Albert si allontanò e, facendo meno rumore di quanto ella prevedesse nel percorrere quel breve tragitto , raggiunse il camino e riaccese il fuoco.

Quando le si riavvicinò si offrì di riaccompagnarla in camera, e Susanna si perse nel suo viso: l’espressione da uomo deciso, in quel momento più che mai, ma empatico, il viso stanco per la lunga giornata appena trascorsa ma sempre disposto a trasmettere calore e umanità; il braccio con il quale nuovamente le cingeva la vita e la cravatta slacciata; l’ubriachezza del whisky e il tepore che veniva dal camino. Era troppo: sentì che le girava la testa ma si fece forza, limitandosi a tenersi il capo con le mani.

-Scusatemi…è stato il whisky, non sono abituata. Ho bisogno di sedermi qualche minuto. Voi andate pure, se desiderate. Io resterò un altro po’ e poi salirò in camera.

-Non ho alcuna fretta, posso restare a farvi compagnia fino a quando vi sentirete meglio. Sedetevi qui, sul divano.

Con una delicatezza che Susanna non avrebbe mai immaginato Albert si sedette per terra, accanto a lei.

-Mi dispiace farvi restare ancora alzato…

-Non è un problema, mi spiace solo che non stiate bene.

-Potreste parlarmi del signor Cavendish, così occuperemmo il tempo.

Albert sorrise.

-Non vi date mai per vinta, voi, eh? E va bene,vi racconterò tutto, anche se c’è poco da dire. Circa due anni fa, quando gli Stati Uniti entrarono nel grande conflitto mondiale, il signor Cavendish mi propose di entrare nel settore della produzione delle armi. Mi disse che era un buon affare ma io, un po’ per sensibilità e un po’ per aver visto con i miei occhi gli orrori della guerra, rifiutai. Non volevo speculare sulla sofferenza  della  gente. Il signor Cavendish decise di vendicarsi parlando male di me negli ambienti dell’alta finanza. In breve, alcuni investitori molto importanti decisero di non darmi più il loro appoggio ed ebbi delle perdite consistenti. Fortunatamente non tutti si fecero abbindolare dalle sue calunnie  e le mie aziende in breve tempo tornarono solide.

-Ah, ma allora è per questo che stasera vi ha detto che avete un buon nome e che le vostre aziende godono di ottima salute.

-Già. Perché neanche lui è riuscito a rovinarmi.

-Bella faccia tosta! Ma come si è permesso di chiedervi ancora di mettervi in affari con lui!?

-Semplicemente c’è gente che non guarda in faccia niente e nessuno pur di raggiungere i propri obiettivi.

-Ma potevate evitare di incontrarlo. O forse non sapevate che Robert Hathaway lo avrebbe portato con sé?

-In realtà lo sapevo. Quando mi ha telefonato, stamane, mi ha fatto il suo nome dicendomi che voleva conoscermi. Pensate, quel tipo gli aveva chiesto di essere presentato a me, come se non mi conoscesse! Io però ho deciso lo stesso di invitarli a cena.

-Ma perché lo avete fatto? Non vi sapevo tanto masochista.

-Pensavo che vi avrebbe fatto bene rivedere il signor Hathaway, vi avevo vista giù di morale questa mattina, e dirgli di venire da solo non mi andava.

-Così lo avete fatto per me, grazie.

Susanna gli rivolse uno sguardo commosso e Albert distolse il proprio, di sguardo, con un sorriso affettato, quasi triste.

-Ah! Penserete che sono una sciocca! Prima, poco fa, ho riso e adesso piango- disse asciugandosi una lacrima-lo sapevo che mi avreste fatto del bene, l’ho capito il giorno che sono arrivata  qui. Quando siete venuto a vedere come stavo, dopo che la vostra cameriera mi aveva portato il thè. Capii che non vi aveva portato da me una  semplice affettazione di buone maniere, ma una reale sensibilità e comprensione. Voi, davvero… davvero… mi eravate vicino, davvero avevate a cuore i miei problemi in quel momento, e volevate aiutarmi. Non con una pacca sulla spalla o dolci parole, ma offrendomi una soluzione concreta. Come facevate a sapere che era ciò di cui avevo bisogno?

Albert ascoltava in silenzio, tenendo sempre gli occhi fissi al pavimento.

-Bene, non vi avevo ancora ringraziato, e l’ho fatto ora. Adesso possiamo pure andare. Non voglio costringervi a fare notte.

Susanna fece come per alzarsi e Albert la precedette, alzandosi in due secondi e aiutandola a rimettersi in piedi. Fu inevitabile guardarsi nuovamente negli occhi.

- Voi siete stato  la mia guida, la mia ragionevolezza…-aggiunse Susanna, riassumendo in quella semplice frase tutta la stima che sentiva di provare per lui.

-E  voi pensate che mi basti essere la vostra guida, la vostra ragionevolezza?

Albert aveva appena pronunciato delle parole compromettenti e superato un punto di non ritorno.

-Credete forse che il mio desiderio più grande sia quello di sapervi ragionevole  con me? Al contrario, vorrei che con me foste irragionevole, vorrei che perdeste la testa…

Che cosa stava succedendo? Stava scherzando ,William Andrew, o diceva sul serio?

-No, non siete solo questo per me! Non lo siete affatto!-si affrettò a rispondere Susanna, senza sapere dove avrebbe portato tutto questo, ma sentendosi più vulnerabile e sincera del solito, e soprattutto temendo che Albert potesse pensare di lei ciò che non era.

-E cosa altro sono per voi? Cosa? Ditemelo!

-Non fatemi dire certe cose, ora che sono ubriaca e vulnerabile. Non sarebbe nel vostro stile, e indovinate un po’? Voglio anche io avere il vostro stile, la vostra misura. Non voglio dire cose di cui domani potrei pentirmi. Magari voi ridereste di me e pensereste che sono patetica.

Albert, che aveva alzato un po’ la voce, cercò di calmarsi, ma il suo respiro era ancora accelerato.

-Avete ragione….avete ragione….scusatemi. anche io ho perso la calma, e non è da me.

Albert si passò una mano tra i capelli e sbuffò.

-Sembra che i nostri ruoli si siano invertiti. Adesso siete voi la persona ferma e pacata…allora aspetterò domani. Aspetterò che non siate più ubriaca, come mi avete detto.  Aspetterò un vostro cenno, un vostro sguardo.

-Domani…-ripetè Susanna- domani sarò lucida, e sincera, qualunque cosa io senta.

-E  domani sarete sempre dell’idea di lasciare andare Terence?

-Anche questo vi dirò domani.

Susanna si morse il labbro, dispiaciuta di dovergli  infliggere una tale angoscia, suo malgrado.

-Siete proprio sicuro di quello che mi avete detto? Io sono tanto imperfetta, lo avete visto, i miei modi,il mio carattere…

-La perfezione piace solo agli uomini noiosi, e ai pavidi.


                                            

 
 
Nella stanza 44, i secondi che precedettero quell’abbraccio durarono un’eternità. Come al rallentatore Candy e Terence si rividero giovanissimi sul Mauritania e più adulti mentre si dicevano addio a causa di Susanna, e  rivissero tutti quegli episodi, importanti e meno, che avevano caratterizzato  il tempo in cui si erano conosciuti.

Terence trovò che Candy era diversa eppure uguale. Uguali erano le sue lentiggini, ma diverso l’aspetto che le davano, ora che era cresciuta. Uguale era il suo sguardo, ma  vi trapelavano una sofferenza e, in fondo, un barlume infinitesimale di disillusione che non ricordava. Terence era rimasto lo stesso: era l’uomo che la completava e che la faceva sentire speciale. Mai e poi mai avrebbe saputo  dire in poche parole perché lo amava, a meno di non  ricorrere  all’aggettivo “unico”: non aveva mai conosciuto né, era sicura, gli sarebbe mai  capitato di conoscere un’altra persona come lui. Candy pensava con rammarico a tutti quegli anni in cui avrebbero voluto  abbracciarsi in questo modo. Difatti,  se avessero potuto esprimere un solo desiderio, entrambi avrebbero espresso quello di abbracciarsi un’unica altra volta.

Sentire l’uno il corpo dell’altra ed esplorarsi con le mani, per quanto la lunga assenza e il pudore dell’una e il rispetto dell’altro  potessero permettere, fu un tutt’uno, e quando nuovamente i loro sguardi si incrociarono, la visione del ragazzo accese in lei un timido ma aperto sorriso e quella di Candy in lui una commozione che non riuscì a nascondere.

Salvati dalla campanella, avrebbe potuto dire  qualcuno.

Il toc toc alla porta li svegliò come da un bel sogno, e Candy capì che toccava a lei aprire la porta: il suo amico era leggermente stravolto, tanto forti erano le emozioni che lo pervadevano.

Era un cameriere con una brocca d’acqua e due bicchieri.

-Mi dispiace disturbarvi, ma non eravamo stati messi al corrente del vostro arrivo, così non abbiamo avuto modo di farvi trovare l’acqua in camera.

-Prego, faccia pure.

Il cameriere poggiò il vassoio su un tavolinetto e con un rispettoso inchino andò via.

Candy fu molto felice di chiudere la porta e riprendere il discorso con Terence, qualunque esso fosse.

Ma Terence, che sembrava aver recuperato tutte le sue facoltà mentali,  aveva preso il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e minacciava di accenderne una con l’accendino.

-Terence, non vorrai dirmi che vuoi metterti a fumare proprio adesso e davanti a me?

-E  perché no? È quello che ho sempre fatto, in tournee, ogni volta che mi trovavo in un nuovo hotel. Inauguravo la mia permanenza in questo modo. prendendo il pacchetto delle sigarette.

Candy si chiese come era possibile che gli venisse un  desiderio simile in quel momento, adesso che finalmente potevano dirsi tutte quelle cose che non si erano mai detti, neanche ai tempi del collegio. Ma Terence, con sua grande sorpresa, gettò prima il pacchetto di sigarette e poi l’accendino sul letto.

-….E poi prendevo l’armonica e mi mettevo a suonarla…beh, in realtà quasi sempre non fumavo affatto, immaginavo te che mi rimproveravi con la voce di suor Grey perché fumavo troppo, gettavo le sigarette sul letto e suonavo l’armonica…

-Oh, Terence…

-Poi veniva Susanna, lei non poteva sopportarlo, sapeva che mentre la suonavo pensavo a te…ti confesso che qualche volta gliel’ho fatto apposta…

Deve essere stato difficile anche per lei…

-Sono convinto che col tempo mi ringrazierà di averla lasciata. Ma non pensiamo a lei, questa è la nostra serata.

-Forse hai ragione, ma vorrei che tu le avessi già parlato.

-A  proposito di parlare con qualcuno, non dovresti telefonare ad Albert per dirgli che farai tardi?

-Oh, è vero, hai ragione. Vado a chiamarlo dalla reception e torno.

Candy scese l’unico piano di scale e chiese all’impiegato di fare un telefonata. Stranamente Albert non si riusciva a trovare, era andato ad accompagnare alla porta due suoi ospiti ma dopo se ne erano perse le tracce:  June aveva controllato sia nel grande salotto principale che in sala da pranzo, senza riuscire a trovarlo. Candy  lasciò detto  ad Albert che non la aspettasse alzato, che sarebbe rientrata in tarda nottata e che stava bene.

-Tutto bene, signorina Andrew?-chiese l’impiegato della reception.

-Certamente.

-Mi perdoni l’invadenza, ma ho bisogno di conoscere il nome della persona che sta con voi. Sapete, tutti coloro che entrano in quest’hotel devono essere registrati.

-Oh, beh…io…

Candy non sapeva se rivelare all’impiegato il nome di Terence: era certa che ci avrebbe messo due minuti a telefonare a qualche giornale.

-Facciamo così, signorina. Devo al padre della signorina O’ Brian questo lavoro e non metterei mai in  difficoltà una sua amica. La persona che sta con voi è il signor Andrew, giusto?- le disse, ma era chiaro che non se l’era bevuta.

-Beh…si. È esatto. Grazie.

Candy tornò nella stanza. Terence la accolse con un sorriso, quindi  le si avvicinò e la invitò a ballare: in sottofondo si sentiva la musica di un walzer che proveniva dal salone delle feste. L’ultima volta che lo avevano fatto era stato sei anni prima. Candy nel frattempo era molto migliorata: aveva avuto modo di partecipare a diversi balli e in più sia ad Albert che ad Archie piaceva ballare così i cavalieri non le erano mai mancati. Anche Terence sembrava più sicuro di sé, oltre alla corporatura più robusta dimostrava i suoi anni nella spigliatezza con la quale la guidava, in giro per la stanza. Dopo qualche minuto la musica cessò, evidentemente l’orchestra si stava riorganizzando per un altro pezzo, così il silenzio tornò in quella stanza.

Lentamente Terence le prese una mano e cominciò a sfilarle il lungo guanto bianco che gettò anch’esso sul letto, e poi l’altro. Delicatamente pose le mani sul suo diadema che andò a fare compagnia ai guanti.

-Non è questa la Candy che ho conosciuto e inoltre questi orpelli appartenevano ad una ragazza triste, ad una ragazza prigioniera del suo passato e incapace di guardare al futuro…

La  frangia, senza il diadema, era ricaduta sulla fronte di Candy, e Terence le spostò le ciocche con entrambe le mani, finchè comparve nuovamente alla sua vista. Candy  sentiva che il momento tanto desiderato e temuto insieme, era arrivato: Terence  poggiò le proprie labbra su quelle della ragazza. Candy sentiva che avrebbe voluto rispondere ma lasciò che il ragazzo continuasse, nessuno infatti l’aveva più baciata da quel giorno di maggio di sei anni prima. Ciò che la colpì fu l’abbraccio caldo e sentito del giovane che la stringeva forte, ancora più forte di come l’avesse stretta alcuni minuti prima. Ogni cosa tra i suoi sensi e il suo cuore sembrava amplificata: ciò che sentiva il suo cuore sembrava dare rotondità e intensità a ciò che percepivano i suoi sensi, e l’esatto  contrario. Terence si staccò da lei per guardarla negli occhi, e poi ricominciare a baciarla, e questa volta Candy rispose al bacio. Man mano che le loro labbra continuavano a toccarsi il tocco cresceva di intensità e sensualità, ma più il contatto era intenso e coinvolgente, più i due ragazzi sembravano non saziarsi.

-Candy, passiamo la notte insieme, non tornare in villa…ti prometto che domani ti fiderai ancora di me.

-Va bene- rispose Candy.

Sul grande letto, Candy si stese sul fianco, ancora vestita del prezioso abito che aveva indossato a teatro, e Terence si distese dietro di lei. Dalla finestra entrava un cono di luce: la luna era piena e le nuvole si erano dissolte.






 Bon jour e buon lunedì. Ho aggiornato abbastanza presto, le parole venivano spontanee e tutto sommato non è stato complicato. Pensavo di postare solo la prima parte perché credevo che la scena tra Albert e Susanna mi venisse più lunga, e invece sono stata abbastanza breve. L’unico intoppo mi è venuto perché la mia mente sempre in fibrillazione ha prodotto un’altra storia che ho già incominciato a scrivere (non è una minaccia, ah ah) e che posterò più in là.
Buon inizio settimana e grazie a tutti coloro che mi leggono.

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Capitolo 21
*** A che gioco giochiamo? ***


 



Un’altra mattina  a villa Andrew con la servitù laboriosa che andava e veniva  per gli ampi spazi della casa e i fornitori  che interrompevano il silenzio riposante della campagna.

Susanna, che non era riuscita a chiudere occhio per gran parte della notte, aspettava e nello stesso tempo temeva l’incontro con William. La reticenza della sera prima poteva essergli sembrata una scarsezza di interesse, ma ella sapeva che non era così. Oltre a non volergli apparire una ragazza sciocca che parla a sproposito da ubriaca, voleva esaminare dentro di sé l’intensità di questo nuovo sentimento che si era affacciato alla sua coscienza solo l’altra mattina. Mai e poi mai avrebbe voluto fare del male al suo benefattore, e questo desiderio di proteggerlo era solo un’altra dimostrazione di quanto  fosse cresciuta e migliorata umanamente, negli ultimi giorni. Ne era sicura, lo amava.

Si diresse verso la sala da pranzo per fare colazione e lo  vide venirle incontro.

-Buongiorno, signorina Susanna.

-Buongiorno signor William.

Beh, e allora? Toccava a lei, parlare, e lo sapeva. Lo sapeva anche William, per questo tacque.

-Beh, io volevo dirvi che…

-Signor William, sono finalmente riuscito a prendere la linea con quel signore-li interruppe George-sa per quanto tempo ci abbiamo provato, e  finalmente ha risposto.

Certo che non poteva esistere un momento meno opportuno di quello, ma William non poteva neanche permettere che la sua ospite parlasse di argomenti tanto delicati in presenza di una terza persona.

-Scusatemi…vado a fare questa telefonata urgente. Ci starò solo pochi minuti.

-Io intanto….io intanto andrò a fare colazione…-sbottò Susanna, felice di procrastinare  il momento in cui avrebbe dovuto esporsi tanto.

-Bene, io vi aspetterò fuori.

Susanna fece colazione il più lentamente possibile. Albert le piaceva veramente e, cosa più importante, sentiva che l’avrebbe resa felice, ma non è facile per nessuno sapere di essere sul punto di fare qualcosa che potrebbe cambiare la propria vita.

Quando uscì fuori, era talmente emozionata che sentiva di essere diventata di pietra: il suo corpo, semplicemente, si rifiutava di muoversi per andare a cercarlo. Decise di sedersi in quel giardino  dove altre volte, gli ultimi giorni, aveva trascorso molte ore a pensare e dove, ora lo sapeva, aveva ritrovato se stessa. Sperava che fosse William a trovarla, e nello stesso tempo che ci mettesse parecchio a farlo.  Trovò sopra un  tavolino un giornale e vi diede un’occhiata. Quando riemerse dalla lettura, vide poco distante Albert che strigliava un cavallo; certamente non c’era prima, era arrivato da poco. Vide che Albert la guardava da lontano ma non lo chiamò.

L’aria sembrava essersi fermata, rarefatta. Il sole era abbastanza forte e se si fossero uditi i grilli cantare, quella giornata sarebbe stata scambiata per una giornata estiva. Persino il personale di servizio  percepiva che c’era qualcosa di strano che non andava. L’addetto alle stalle si avvicinò ad Albert.

-Signor William, perché strigliate voi i cavalli? Ci posso pensare io.

-Lascia stare, Peter, ho bisogno di fare qualcosa. Non mi va di stare con le mani in mano.

Il tono di Albert fu perentorio, doveva essere veramente agitato,  e Peter sentì il bisogno di scusarsi, quindi si allontanò.

Poco dopo June si avvicinò, e gli chiese se desiderava bere dell’acqua, dal momento che era un po’ che si trovava al sole a svolgere quell’attività.

-No, grazie June, sono a posto così.

June si accorse che Albert di tanto in tanto guardava Susanna.

-Volete che chieda alla signorina se sta bene o se vuole qualcosa?

-No, lasciatela stare!-anche con June il padrone non sembrò volersi trattenere. Doveva essergli andato storto qualcosa.

Susanna pensò di darsi un ultimatum, di dare un’occhiata alla terza pagina e poi chiedere a June o a qualche altro membro della servitù di chiamare il padrone. Oltre all’ennesimo successo registrato dalla compagnia Stradford il giorno precedente, c’era un disegno che rappresentava Terence  sul punto di salire su una carrozza e accanto una giovane donna vestita elegantemente. Certamente non erano stati riprodotti i tratti del viso-il giornalista si scusava ma non esistendo macchine fotografiche tanto piccole non era stato possibile scattare  una foto-ma Susanna capì subito che si trattava di Candy.

Decise di non chiedere neanche se la signorina Andrew avesse fatto ritorno in villa ed eventualmente a che ora. Non era gelosa, non lo era affatto. Era solo arrabbiata con se stessa. Gli ultimi cinque anni della sua vita potevano essere paragonati ad un foglio di quel giornale che lei aveva appallottolato e gettato tra i rifiuti. Aveva permesso ad un uomo di farla sentire tanto piccola e insignificante, inutile.

Aveva bisogno di muoversi, così si alzò; non riusciva a smettere di essere indignata con se stessa. Gli aveva permesso di metterla in un angolo, emarginandola  con la sua indifferenza, con il suo disprezzo, lei  che Robert  chiamava “faccia d’angelo”, per la delicatezza della sua pelle e dei suoi lineamenti, lei, che negli ultimi anni aveva annoverato tra i suoi  corteggiatori  attori e registi…Li  aveva allontanati  rinchiudendosi in una vita di attese e di castità. Certo, perché lui non le aveva mai neanche dato un bacio, non l’aveva mai trattata come una donna, solo come un fastidio. E nonostante tutto, gli era stata fedele, non aveva incoraggiato chi la desiderava mentre alimentava il fuoco della passione per un uomo che non la meritava. Sempre di cattivo umore, sempre algido, sempre con quella maledetta armonica quando c’era qualcosa che non andava.

Vide che la porta delle stalle era aperta. Voleva gridare, ma si accontentò di piangere. Ne era sicura, erano lacrime liberatorie,  ne sarebbe venuta fuori più forte e più serena di prima. E poi ci sarebbe stato William.

Nel frattempo, Albert si era accorto che Susanna non stava più seduta a leggere il giornale. Malgrado la sua impazienza, avrebbe giocato a quel gioco per l’intera giornata, ma cominciava a preoccuparsi per lei: possibile che non stesse bene? Si diresse dove era stata seduta per un certo tempo, e vide il giornale aperto. Riconobbe anche lui Terence e Susanna e lesse l’articolo. Così era per questo che era andata via? Quel disegno doveva averla stravolta, e questo significava che ancora era innamorata di Terence; tutte quelle parole della sera prima erano state davvero i vaneggiamenti di una donna ubriaca. Adesso lei non se la sentiva di fare marcia indietro, ed era  per quello che non gli aveva ancora parlato.

-Sapete dove è andata la signorina Susanna?-chiese a Peter.

-Ma certo, l’ho vista dirigersi verso le stalle.

Una volta arrivato nei pressi, e avendo scorto una chioma bionda all’interno, con un calcio spalancò la porta.

-Ora basta!

Albert venne verso di lei e, avendo visto che era seduta, le si inginocchiò davanti.

-Bene, come pensavo! Stavate piangendo ancora per Terence! ma io non mi farò mettere all’angolo tanto facilmente!

-Come vi permettete! Andatevene! Non era così che immaginavo…

-Ascoltatemi. Quando vi ho vista, la sera che vi ho incontrata, preoccuparvi tanto di Terence tanto da sfoderare i vostri artigli, la vostra grinta, per proteggerlo….voi, una donna, con quel freddo, e nelle vostre condizioni…ho sentito una morsa allo stomaco, una gelosia indescrivibile, e avrei dato dieci anni della mia vita per trovarmi al posto di Terence in quel momento.

Il cuore di Susanna stava accelerando, era incredula ma felice.

-Voi, così bella e così fragile, ma anche tanto forte, lo stavate proteggendo, quanto avete urlato quando io e il mio aiutante  lo abbiamo portato via…e poi, quando siete venuta a cercarlo a casa mia, quel giorno, tutta bagnata per la pioggia, sentivo che non potevo sopportarlo…lui non vi meritava. Dovevo aiutarvi, dovevo spezzare  questo incantesimo che aveva fatto su di voi…dovevo indicarvi un’altra strada, perché già vi amavo…e vedervi ancora così ossessionata mi faceva male….

Susanna aggiustò una ciocca di capelli che le aveva coperto una parte del viso; avrebbe voluto dire qualcosa ma era come sotto ipnosi.

-Adesso, dite una sola parola e io me ne andrò. Volete che me ne vada via?-riprese Albert.

-No…-Albert dovette leggerle il labiale, perché Susanna non riuscì ad emettere suono.

Fu così che la baciò nuovamente, e la accarezzò come mai aveva fatto nessuno prima, lei la mela in cima all’albero che nessuno coglie, destinata a cadere per terra e marcire, lei, la gatta sul tetto che scotta, lei, la foglia accartocciata, il giardino abbandonato.

 
                                                

 
La mattina successiva alla  riconciliazione con Terence la prima cosa che vide Candy fu la forte luce del sole proiettata dalla finestra che colpiva in parte il letto e in parte il pavimento. Con un sorriso ripensò a quella notte. Distesi su quel letto mentre Terence la  abbracciava  da dietro, avevano parlato di tante cose. A lui  era piaciuto continuare a chiamarla con i nomignoli che lo divertivano  tanto, e tutte le volte lei aveva fatto finta di arrabbiarsi. Qualche volta si era girata e si erano baciati. Dopo un po’ Terence si era accorto  che sentiva freddo e aveva preso una coperta, con la quale aveva coperto lei e se stesso.

Quella mattina Candy fu molto dispiaciuta di non vederlo, e immaginò che fosse sceso a ordinare la colazione o qualcosa di simile, ma dovette ricredersi quando vide un biglietto sul tavolo.

Mia cara Tuttelentiggini, certo che hai il sonno pesante! Va bene che ho cercato di non fare troppo rumore, ma ad un certo punto ho fatto cadere la mia armonica e tu niente!  Ti ho vista dormire tanto bene che non me la sono sentito di svegliarti. Devo fare ritorno in teatro per le prove. Non vedo l’ora di rivederti  stasera.

Candy, delusa, decise di darsi una rinfrescata come meglio poteva e scendere giù.

Chiese al consierge, un impiegato diverso da quello della sera precedente, a che ora fosse uscito il signor Andrew, quello almeno era il nome che aveva dato la notte precedente.

-Ma il signor Andrew non è uscito! Si trova ancora qui!

-Come? Ma davvero?

-Non stiamo parlando di suo fratello?

-Oh, beh, sì…

-Allora saprà che…ehm…non si trova solo…

-E con chi sarebbe?

-In realtà io dovrei mantenere uno stretto riserbo, però immagino che lei abbia il diritto di saperlo…si trova con una signorina…

-Cosa? Mi dica subito dove si trova!

-Oh, no. Le ho già detto abbastanza, forse non avrei dovuto.

-E  va bene-rispose Candy cercando di mantenere la calma, e pensando ad un’altra soluzione. Salì nuovamente le scale e chiese alla cameriera che stava rifacendo le stanze dove fosse la camera del signor Andrew, che si era persa e non riusciva a trovarla. La cameriera gliela indicò, si trovava al secondo piano.
Fu proprio arrivata in cima alla rampa di scale che vide una porta aprirsi, ed una coppia baciarsi sulle labbra.

-No, non è possibile!




                                                    


Eccomi qui, finalmente. Adesso che la storia sta per finire posso scriverlo: ho adorato da pazzi  la mia nuova coppia Albert- Susanna. Terence l’ho  descritto ancora come un ragazzo, cresciuto ma sempre un ragazzo, Albert invece come un uomo, e che uomo! Mi ha conquistato mentre lo descrivevo, ma si può? È un uomo sicuro di sé e che sa quello che vuole, perfetto per un tipo come Susanna! Ecco comunque svelato in che senso ha avuto in tutta questa storia un ruolo da regista e cioè le sue azioni sono state determinate (anche) da una profonda attrazione per la biondina.
Non potevo non far finire (come mio solito) il capitolo con il solito mistero. Chi sarà il tipo che si sbaciucchia quando non si dovrebbe sbaciucchiare?
Chiedo venia, umilissimamente venia se le mie protagoniste, ancora una volta, non “concludono”.  Lo so che tengo sott’occhio la loro virtù peggio di Miss Pony, suor Gray e la signorina Rottermeir messe insieme, la vera verità è che avendo deciso sin dall’inizio di non andare oltre (casomai) il rating arancione, mi ero preclusa sin dall’inizio questa possibilità. In realtà pensavo che avrei anche potuto cambiare  idea se mi fosse venuta la giusta ispirazione per  essere  molto molto delicata e soft…e chissà che non arrivi.

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Capitolo 22
*** Bring me to life ***


-Archie!

La familiare voce squillante distolse il ragazzo dall’avvenente signorina appoggiata allo stipite della porta e che stava dando l’arrivederci al suo uomo come una dama del Medioevo al suo cavaliere in procinto di partire per le Crociate.

Indossava una vestaglia aperta sul davanti e i lunghi capelli ondulati le ricadevano in due morbide  bande simmetriche  fino alla vita, simili invece, queste, a quelle di Raperonzolo.

Con la classica espressione del bambino colto con le mani nel barattolo dei biscotti  Archie si voltò verso la cugina.
-Candy…che ci fai qui?

-Io? Tu che ci fai qui! Pensavo che fossi a villa Andrew!

-Si dà il caso che potrei dire lo stesso di te…ad ogni modo, ehm…Gabrielle, questa è mia cugina Candy.

-Ah, la cugina di Archie… heureux de vous rencontrer.

-Ma…è pure francese?

-Sì Candy, Gabrielle è una delle più talentuose ballerine di Francia e  ha deciso di tentare la fortuna qui in America dopo la guerra.

-Ah sì… enchantèe-rispose Candy con un sorriso così forzato che Gabrielle pensò si trattasse di una smorfia-sai, Archie, penso sia arrivato il momento di salutare la tua amica e di fare i conti…cioè volevo dire di andare a saldare il conto giù nella hall.

Archie imbarazzatissimo salutò la sua amica lasciandola a sistemarsi nella stanza che aveva occupato con lei e scese la scale con Candy.

-Archie, ma cosa ti è preso? Come hai potuto tradire così  Annie?

-Mi dispiace, Candy, non so cosa mi sia preso. Sentivo la sua mancanza e anche tu eri diventata così distante…una sera sono uscito da solo, sono andato in un night e lei era così bella, avvenente, e disponibile…

-E  quando è successo?

-Circa dieci giorni fa, prima che la compagnia di Terence arrivasse a Chicago.

-Basta così, Archie. La ami?

-Amarla io? Ma scherzi?! Ci capiamo a malapena, non ha niente a che vedere  con il rapporto che ho  con Annie. Lei mi completa, mi sostiene, mi fa ridere…

-E allora perché? Perché? –ripetè Candy alzando la voce.

-Perché sono uno stupido. Mi dispiace Candy. Ti prego non dirle nulla, non voglio rovinare tutto per uno stupido scivolone. Io ed Annie  siamo anime gemelle, non possiamo stare con persone diverse.

-Ci devo pensare, Archie. Devo capire cosa sia meglio per Annie.

-E  tu ancora non mi hai detto cosa ci facevi qui. E soprattutto come hai fatto a trovarmi.

-Te lo dirò facendo colazione. Andiamo in sala da pranzo. A proposito, sei venuto con la tua macchina?

-Sì Candy, e  ti darò un passaggio in villa.

Archie e Candy tornarono in villa solo nel primo pomeriggio: prima, infatti, decisero di fare una passeggiata per le vie di Chicago per soffermarsi sulle ultime novità: Archie cercava di spiegare a Candy cosa provava per Gabrielle e cosa provava per Annie e Candy raccontava all’amico, per la verità omettendo molti particolari di cui si vergognava, in che modo fosse tornata con Terence.

-Bene, Candy, doveva andare così. Solo se ti avessi saputa veramente felice e innamorata sarei potuto andare avanti…dimenticando per sempre che poteva esserci ancora una minuscola, insignificante speranza per me…adesso posso dirtelo. Ragione per cui la prima cosa che farò sarà imbarcarmi per la Francia e chiedere ad Annie di sposarmi. Stai tranquilla, le dirò ogni cosa di Gabrielle e se lei non vorrà perdonarmi farò di tutto per riconquistarla.

Nel frattempo si era fatta ora di pranzo così i due amici restarono a consumare un pasto leggero in uno dei ristorantini della zona, come ai vecchi tempi.

Quando giunsero in villa non trovarono nessuno, all’infuori della servitù, che riferì loro che Albert e Susanna erano andati a fare una passeggiata nella grande tenuta.
 
 
                                                                      ***                                    
 
 
 
Il rumore degli zoccoli si alternava a quello delle foglie morte calpestate dal cavallo e a quello delle rade carrozze che percorrevano la stradina di campagna al di fuori della grande proprietà degli Andrew. 

Sul cavallo che dondolava con la sua andatura al passo, Albert e Susanna respiravano i profumi dell’autunno inoltrato e prestavano l’orecchio ai rumori spesso imprevisti ma piacevoli del bosco. Albert ogni tanto avvicinava il volto alla chioma della ragazza inalandone il profumo mentre Susanna si lasciava andare a tutti quei bei pensieri che non aveva mai creduto possibili.

Dopo quei baci intensi e interminabili si erano chiariti a lungo. Susanna, pur pensando  che gli uomini sono molto meno complicati delle donne, aveva tentato di spiegargli cosa avesse passato negli ultimi anni, negli ultimi giorni, e quella stessa mattina, leggendo il giornale.

Sorprendentemente lui aveva capito.

-Credo sia per il fatto di essere stato cresciuto da donne. Mi hanno insegnato ad amare e ad amarle-le aveva detto alla fine.

Anche questo le aveva fatto capire quanto William  potesse essere giusto per lei.

 Così,  se in quel momento non sapeva se la cosa più giusta era interrompere quel silenzio o rischiare di sembrare una persona che parla tanto per parlare, alla fine decise di essere se stessa. Lui l’aveva desiderata e apprezzata per quello che era, e se avesse voluto Candy avrebbe scelto lei.

 Era decisamente arrivato il momento di smetterla di paragonarsi alla sua ex rivale e capire che adesso  iniziava una nuova vita. Lei era Susanna, Candy era Candy, e anche se Terence l’aveva fatta sentire per tanti, troppi anni, una persona insignificante, non voleva dire che lo era. La vita dipende quasi completamente dalle persone che si incontrano  e da quello che possono tirare fuori da noi, e soltanto se si riesce a spezzare quel filo invisibile ma crudele che tiene legati alle persone sbagliate e che fa rifare gli stessi errori all’infinito, si può sperare di essere un giorno veramente felici, anche se si ha paura, una dannata paura di abbandonare il certo per l’incerto.

Se fosse rimasta un’insicura avrebbe certamente rovinato tutto, e invece William le aveva solo chiesto, implicitamente, di amarlo. Di amare lui e nessun altro. Non di cambiare. Che poi, ne era certa, William avrebbe tirato fuori il meglio di lei.

Le premesse c’erano tutte. L’aveva ascoltata, capita, aveva annuito quando lei gli aveva chiesto se poteva comprendere e aveva aspettato ogni tanto che asciugasse una lacrima prima di ricominciare a parlare. Per giorni  l’aveva vista disarmata, disperata, arrabbiata, e qualunque cosa avrebbe visto in lei in futuro sarebbe stato di certo un miglioramento:  lo avrebbe stupito mostrandogli finalmente il meglio di sé; anche lei sapeva essere dolce, ironica, altruista, solo che lo aveva dimenticato perché nessuno le aveva più dato la possibilità di farlo.

-E’  già passata da un pezzo l’ora di pranzo, avrai fame, Susanna…

-No, William, sto bene.

-Mi spieghi perché mi chiami col mio primo nome? Tutti mi chiamano Albert, l’avrai sentito.

-Candy ti chiamava Albert, così quando la tua cameriera mi parlò di te come del “signor William” preferii distinguermi da lei e stupirti mostrandoti di conoscere il tuo primo nome. Ti dà fastidio?

-Ma certo che no, puoi chiamarmi così, se preferisci. Eccoci qui, siamo arrivati al famoso capanno  di cui ti parlavo. È stato qui che uno dei miei stessi guardiacaccia mi ha sparato.

Albert aiutò Susanna a scendere da cavallo, quindi entrarono nel capanno. Questa volta fu Albert a parlare e le raccontò parecchie cose della sua infanzia e adolescenza.

Il sole stava già tramontando quando  li raggiunse Peter, lo stalliere.

-Buon pomeriggio, padrone. Il signorino Archie e la signorina Candice hanno fatto ritorno in villa. Sono venuto per avvisarvi di questo. Inoltre la signorina Candice sta per uscire di nuovo e mi ha incaricato di dirvi di non aspettarla alzato, stasera.

-Bene, Peter, ti ringrazio.

Quando Peter ebbe richiuso alle proprie spalle la pesante porta di legno, Albert aggiunse:
-anche se ci dovessimo muovere di qui subito, dubito che riusciremmo a tornare in villa prima di tre quarti d’ora.
Potremmo restare qui un altro po’.

-Candy starà bene, William. Anche stasera vedrà Terence…

-Lo penso anche io.

-Mi dispiace solo che ancora non sappiano che sono liberi…liberi di vivere il loro amore. Ma solo per un’altra sera ancora. Quando domani Terence verrà a prendermi gli parlerò.
 
 
 
                                                                 
 
 
 
 
Salve a tutti coloro che mi leggono. Scusate la lunga assenza, ma sono stata impegnata a…vivere. Ebbene sì, la vita ha molta più fantasia della più fantasiosa fiction, e al suo confronto sono una pivellina. Sono stati due mesi e mezzo molto intensi, due mesi e mezzo in cui mi è sembrato di stare perennemente sulle montagne russe.  Avrete già intuito…un nuovo  amore. Mi piacerebbe scrivere che va tutto a gonfie vele, invece è finito. Chi ha provato l’esperienza della rottura sa bene che accanto ai momenti di sconforto c’è la confortante certezza che bisogna tornare a vivere come prima, magari dedicandosi alle passioni abbandonate, come, nel mio caso, la scrittura.
Comunque lui non lo sa, ma potrebbe diventare materia di ispirazione per qualche mio personaggio maschile, ah ah ah! O magari potrei raccontare la nostra storia in qualche fiction originale!
Mi è anche venuto in mente che forse questa strana (per come ci siamo conosciuti), bella storia io me la sia attirata proprio perché ultimamente ho esercitato molto la mia fantasia con la scrittura e che, per la cosiddetta “legge dell’attrazione” si verificano proprio le cose che sogniamo.
Questo capitolo lo avevo scritto prima del “fattaccio”, altrimenti non vi nego che rimettermi a scrivere di sana pianta sarebbe stato molto faticoso. Per questo il capitolo non è completo, ma ho deciso di postarlo lo stesso, per darmi la “spinta” per proseguire.
Capisco bene chi lo troverà monco e non pretendo che chi mi ha letta continui a farlo, ma voglio ringraziare lo stesso tutti quelli che mi hanno seguita in tutti questi mesi. Non so se sono pochi o tanti rispetto ad altre storie, però ho constatato con piacere di avere avuto  un certo numero di lettori costanti.
Cercherò di essere più rapida in seguito, anche perché sarò più libera! (battuta dolceamara)

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Capitolo 23
*** Le chemin du pardon ***


Terence Granchester non aveva ma avuto nulla di veramente suo.

Non l’affetto del padre, che aveva dovuto dividere con i fratellastri.

Non quello della madre, che aveva dovuto dividere con il teatro.

Non una casa, una città che avesse mai sentito sua.

Ma adesso finalmente aveva qualcosa di suo.

Fu con questa consapevolezza che il giorno della partenza della compagnia Stradford da Chicago si avviò a villa Andrew per parlare con Susanna e rivendicare il proprio diritto alla libertà.

Entrò nella vasta proprietà e dopo aver camminato un po’ intravide l’ingresso principale. Seduti su una panchina nel grande giardino, Candy e Archie parlavano in maniera concitata e vivace e ogni tanto si lasciavano andare a risate liberatorie.

Terence si avvicinò alla coppia avendo perso il leggero sorriso che lo aveva accompagnato all’ingresso.

-Buongiorno.

-Ciao,Terence!-esclamò Candy balzando dalla panchina e avvicinandoglisi-io e Archie stavamo parlando di una cosa buffa che è successa ieri mattina, riguarda una certa Gabrielle…sai ieri sera ci siamo visti solo per cinque minuti e non ho avuto modo di…ma che cos’hai?

-Niente, niente-quasi grugnò Terence, in risposta.

-Buongiorno, Granchester-intervenne Archie.

-Buongiorno, Cornwell.

-Candy, sai dov’è Susanna? Le devo parlare.

-Credo sia dentro casa, Terence, basta che attraversi quella porta e te la ritroverai all’ingresso.

-Accompagnami, Candy.

-Accompagnarti? È facile, devi solo entrare e…-Candy si interruppe osservando il cipiglio di Terence che guardava con impazienza Archie. All’improvviso capì tutto, al suo quasi fidanzato non piaceva l’idea di lasciarla sola con il cugino.

-E va bene-osservò Candy alzando gli occhi al cielo-Ti accompagnerò.

Quando furono fuori dalla portata di Archie aggiunse, dandogli un’affettuosa pacca sulle spalle:

-Sempre burbero tu, eh?

Terence sorrise impercettibilmente, facendo in modo che Candy non se ne accorgesse. In fondo gli piaceva che Candy lo conoscesse così bene e che sdrammatizzasse i suoi modi in bianco e nero.

Susanna, come se avesse sentito l’arrivo del nuovo ospite si affacciò all’ingresso principale, e Candy si rese conto che quello era il momento di lasciarli soli. Terence in un primissimo momento stentò a riconoscere in quella donna sorridente e quasi vivace l’ex attrice che si era lasciata vivere per anni, scontenta di tutto e tutti. Ma subito dopo ebbe un moto di stizza, ricordando che era stata lei la causa della sua infelicità.

Da lontano Candy assistette alla scena. Nessuno dei due parlò a voce troppo alta, e pur imbarazzati Terence e Susanna trovarono le parole adatte per spiegarsi presto e senza troppi giri di parole. Quando seppe di lei e Albert si complimentò, curioso di conoscere come erano andate le cose e impaziente di vederli insieme, per appurare che la loro unione fosse solida e i sentimenti sinceri. Voleva essere certo, in realtà, che la propria felicità non corresse alcun pericolo.

 

Quando Archie scese dal transatlantico, in quella brumosa mattinata di novembre, ebbe la netta impressione di stare per combattere la battaglia più dura della sua vita, che avrebbe potuto concludersi con il trionfo di Austerlitz o come la più disastrosa delle Waterloo.

“Beh Napoleone ci sta proprio” pensò mentre saliva sul treno “Archie, benvenuto nella vecchia Francia”.

Dopo aver ottenuto la rassicurazione da parte di Candy che non avrebbe scritto nulla alla sua amica, aveva deciso di imbarcarsi e di raccontare ad Annie ogni cosa personalmente.

Quando un’esterrefatta Annie ascoltò quello che il suo fidanzato aveva combinato, decise di troncare il rapporto e gli suggerì di restare a Parigi perché lì di ballerine come Gabrielle ne avrebbe trovate a migliaia.

Archie capì di non potere cavarsela con delle semplici scuse e decise di dimostrarle con i fatti e non con semplici parole quanto fosse pentito. Annie se lo ritrovò all’uscita dei corsi che stava seguendo tutti i pomeriggi, con il sole, la pioggia e poi la neve, man mano che passavano le settimane. La solita occhiata furtiva, piena di rancore e di orgoglio, era la risposta della ragazza. Se avesse voluto, Archie avrebbe potuto fermarla e parlarle, ma capiva che le avrebbe solo dato fastidio. Sarebbe stato come un volersi imporre ad ogni costo.

Poco dopo Natale, quando già il corso era in pausa per via delle festività natalizie, Archie smise di farsi vedere come tutte le mattine sotto il pensionato in cui abitava Annie, e la ragazza pensò con rabbia e con una punta di rammarico che il suo pentimento era già finito e che aveva fatto ritorno in America.

Fu così che decise, ripetendo a se stessa che lo faceva per pura e semplice curiosità, di andarlo a trovare nell’appartamento che abitava dal giorno del suo arrivo in Francia e il cui indirizzo aveva saputo tramite una compagna di corso che conosceva il padrone della casa data in affitto al ragazzo. Seppe, ricevuta proprio dalla moglie del padrone di casa, la signora Piquet, che il ragazzo era a letto con l’influenza.

-E…è grave?

-No, signorina, è in via di guarigione, e se vuole può chiederglielo lei stessa.

-Non c’è alcun bisogno. Sono passata solo…solo per accertarmi che non fosse in fin di vita, altrimenti sarebbe stato mio l’ingrato compito di avvertire la famiglia. Diciamo che sono la parente più prossima che ha in Francia.

-Beh, allora se è una sua parente come mai non lo aiuta finanziariamente? Ha finito i soldi da un pezzo e non ha alcuna intenzione di chiederli alla sua famiglia in America. Dice che è ora di crescere e che non vuole più fare il damerino viziato di prima, e i pochi soldi che guadagna come garzone del fornaio qui accanto li spende per pagarsi l’affitto di questa casa.

-Co….cosa? Garzone del fornaio? Incredibile!

.Già, signorina. Deve avere una forte motivazione per stare qui. Quando è arrivato sembrava un signorino dell’alta società e invece, adesso…non lo si riconosce più!

-Certo, certo, ma immagino che non abbia molte difficoltà con le donne. Scommetto che ne incontra una ogni sera!

-Donne, dice? Mah, da quando è arrivato non ne ho vista neanche una, tanto che…tanto che ho pensato avesse… altri gusti. È così, signorina?

-Ehm, ed io ne so? Ad ogni modo…ehm…dovrei accertarmi del suo stato di salute. Personalmente. Il malato è in stanza? Può accompagnarmi?

-Ma certo. Venga pure. Anzi, la lascio con lui e vado a sbrigare le mie faccende.

La signora Piquet chiuse discretamente l’uscio della stanza, ed Annie si ritrovò da sola con il suo ex fidanzato.

Sedette sulla sedia accanto al letto e fissò il volto del giovane, il quale aveva gli occhi chiusi e il viso rivolto dall’altra parte della stanza.

Il rumore della borsa che Annie poggiò sul comodino riscosse Archie, che si voltò nella sua direzione.

-Bene bene-fece dignitosamente la ragazza-sei ancora in vita e immagino ti riprenderai presto. Non sei poi così delicato, dopotutto.

-Annie…

-No, non stai sognando, è solo che non ti ho visto più, al corso, e mi ero chiesta se non stavi male e non fosse il caso di avvertire lo zio in America…sono qui solo perché anche se non faccio più parte della tua famiglia, gli Andrew, sono stata accolta con grande amorevolezza e…

Archie interruppe la ragazza prendendole la mano.

-Ho saputo che non frequenti più le ballerine. Bene, qualcuno potrebbe pensare che hai cambiato gusti in fatto di…-continuò Annie.

Archie non trattenne il sorriso.

-No, non c’è nessuno, almeno di fatto. Nella mia testa però sì, c’è qualcuno.

Dobbiamo parlare.

 

 

Salve a tutti! So di essere in ritardo imperdonabile, quasi un anno! Certamente molti di coloro che hanno letto avranno pure dimenticato la trama, sorry!

Sono stata impelagata in un imbroglio sentimentale lavorativo e chi più ne ha più ne metta, concentrazione per scrivere zero.

Questo dovrebbe essere il penultimo capitolo.

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Capitolo 24
*** Sipario ***







Non c’è giorno più bello di quello nel quale due giovani innamorati si scambiano la promessa di amore eterno: la felicità aleggia nell'aria e l'amore nascosto e velato dal pudore può esprimersi in tutta la sua impudica verità.
Prima del matrimonio accade per la festa del fidanzamento.
Annie Brighton e Archibald Cornwell avevano deciso di organizzarne la festa a villa Andrew, dopo aver fatto ritorno da Parigi e aspettato che la salute del giovane si riprendesse del tutto.
La festa era iniziata nella tarda mattinata e si sarebbe protratta fino al tardo pomeriggio.
Quale migliore occasione per gli invitati, parenti e amici della coppia, di trascorrere un’intera giornata in una villa di campagna, abituati ai loro appartamenti lussuosi ma stanchi del traffico e dei rumori della città di Chicago.
Annie indossava uno stupendo abito bianco pieno di merletti e come ogni signora un cappello a tesa larga. Archie, forse per dimostrare a tutti che aveva deciso di mettere la testa a posto, lo aveva fatto in tutti i sensi, tagliando quei lunghi capelli lisci di cui amava vantarsi.
Candy si divideva tra gli invitati, mantenendo quel sorriso artefatto che le immobilizzava la mascella, come era solita dire, ma covando nel suo cuore un cruccio, anzi due. Non solo Terence quel giorno non si sarebbe fatto vedere, impegnato com’era con le prove in teatro, ma ella aveva pure perso il braccialetto che le aveva donato Annie anni prima e che le aveva fatto compagnia al primo sentore di nostalgia dell’amica.
Quando Candy vide Patty, il suo sorriso artefatto si aprì in tutto il suo splendore, più vero e sincero che mai. La sua amica era al quarto mese di gravidanza e si era sposata con Paul appena il mese precedente. La pancia cominciava a vedersi, ma solo un occhio esperto avrebbe potuto scorgerla in quel mare di balze che formava il suo vestito.
La sua dolce amica Patty, che aveva tenuto una tartaruga per amica, che alla morte di Stear aveva pensato al suicidio! E che ora, superati i venti anni, si era lasciata andare all’amore in modo così totale!
Ma il sorriso di Candy si spense quando vide venirle incontro Susanna. Non avevano avuto molte occasioni per parlare, perché Susanna aveva deciso, pur continuando a frequentare Albert, di tornarsene nel suo vecchio appartamento. Candy approvava la decisione di Albert di stare con lei, se questo lo rendeva veramente felice, ma nutriva ancora qualche dubbio su Susanna.
-Candy, aspetta, ti devo parlare!
Candy sapeva che quel momento sarebbe arrivato e che un chiarimento tra loro due era inevitabile.
-Ascolta, Candy, sarei un’ipocrita se ti dicessi che sono sicura che diventeremo grandi amiche, so che ogni volta che mi vedrai io per te sarò quella che voleva portarti via Terence, per cui non ti biasimo se avrai sempre delle remore su di me. Voglio solo che tu sappia che la sola cosa che volevo era…essere amata. Pensavo che Terence me lo dovesse, dopotutto gli avevo salvato la vita. Vedi, Candy, io non sono come te, sempre solare e positiva! Ho sofferto tanto la solitudine…
-Susanna, credo che il modo migliore di sapere se saremo amiche o no sia il procedere a rilento e con il massimo rispetto e la massima onestà. A me ora importa che Albert sia felice, e spero tu faccia del tuo meglio perché questo accada. È una roccia ma ha sofferto tanto. Per quanto riguarda me, ti sbagli se pensi che il mio sorriso sia stato sempre spontaneo. Ho sorriso molte, molte volte per non allarmare chi mi stava accanto, e come te ho spesso sofferto la solitudine, anche se sono stata brava a mostrarmi forte.
-Allora, Candy, direi che ti meriti davvero di stare con un uomo come Terence. Lui non ha mai smesso di volerti bene…e ora che partirete per New York, dopo il vostro matrimonio, costruirete il vostro futuro lontano da me, che resterò a Chicago con Albert…e sarà meglio per voi. Oh, so cosa ti stai chiedendo…sì io e Albert ci sposeremo, ma solo dopo te e Annie…
Candy abbassò lo sguardo, triste. In realtà Terence non le aveva ancora fatto la proposta, nonostante fossero tornati insieme da alcuni mesi. La tournee era finita e ne era cominciata un’altra, dopo una pausa di poche settimane, e Terence aveva ottenuto da Richard che le tappe più numerose della nuova tournee fossero a Chicago. Era stato inevitabile, tuttavia, che il giovane attore si allontanasse in altre città. Forse era per questo che non le aveva ancora parlato di matrimonio, forse stava aspettando che finisse quest’altra tournee.
Annie sopraggiunse con la sua voce diamantina a interrompere quel dialogo e quelle riflessioni.
-Susanna, te la porto via, scusami!
Annie prese per un braccio Candy e le due amiche si allontanarono.
-Candy, ti stava dando fastidio? Ti stava angosciando per qualcosa?
-Oh, no, Annie, è tutto a posto.
-Non è vero, Candy. Questa non è la faccia che vorrei vedere alla festa del mio fidanzamento.
-E’ solo che…Terence oggi non si farà vedere. E poi…e poi mi dispiace tanto per quella faccenda del bracciale che mi hai regalato.
-Candy, su Terence ti do ragione, ma vedrai che stasera si farà vedere, verrà a trovarti. Per il bracciale, te ne regalerò un altro, su dai, non pensarci! Godiamoci la festa!
La due amiche si gettarono nella mischia del banchetto e del festeggiamento, e al tramonto la villa iniziò rapidamente a svuotarsi. Gli invitati vi avevano trascorso parecchie ore e sentivano pesante la stanchezza.
Mentre Candy rientrava a casa, dopo aver accompagnato Patty e il marito alla macchina, sentì che era arrivata una telefonata per lei.
Era di uno dei responsabili del teatro dove Candy aveva assistito alle rappresentazioni di Terence che le comunicava di aver finalmente trovato il braccialetto smarrito da Candy. Quando la ragazza si era accorta di averlo perso aveva allertato tutti i posti in cui era stata di recente, e anche se temeva che qualcuno potesse essersene appropriato indebitamente, manteneva viva ancora una piccola speranza di ritrovarlo.
Candy decise di avvertire l’autista affinchè prendesse la macchina per recarsi immediatamente a teatro, ma prima cercò Annie per salutarla.
-La signorina Annie è andata via, signorina Candy, e mi ha detto di riferirle i suoi saluti- le rispose la solita efficiente June.
Candy pensò che era molto strano che Annie se ne fosse andata così senza salutarla. O si era sentita male per tutte le emozioni di quella giornata, o aveva preferito ritagliarsi uno spazio tutto per sé e per Archie.
Si diresse alla macchina che nel tempo di un’oretta la fece arrivare a Chicago.
Fare quel viaggio di sera non era il massimo ma Candy non vedeva l’ora di stringere di nuovo il prezioso regalo della sua amica e magari, a volerla dire tutta, di poter andare a trovare Terence nel suo appartamento, che si trovava a due isolati dal teatro.
-Buonasera, signorina! Ha fatto proprio in tempo ad arrivare, tra una mezz’oretta il teatro chiude. Abbiamo trovato quel bracciale in uno dei palchi del secondo piano. Se ricorda la strada, può andarci lei, direttamente.
-Ah, ecco dove l’avevo perso!
Candy ricordò delle serate trascorse su quel palco alcuni mesi prima, intenta ad ascoltare Terence recitare e ad angustiarsi perché sentiva che lo stava perdendo definitivamente. Ricordò di quando ogni sera gli aveva lasciato qualcosa, un piccolo oggetto, perché lui avesse la prova che quella sera era stata lì.
La cosa strana era che non ricordava di aver mai lasciato il bracciale di Annie. Non lo avrebbe mai fatto, con il rischio che lo rubasse uno dei lavoratori del teatro. Inoltre non capiva come mai lo avessero trovato dopo così tanto tempo.
Forse la spiegazione era un’altra. Candy ipotizzò che Paul, il marito di Patty e uno dei gestori della struttura, aveva scoperto il furto del gioiello e per evitare uno scandalo aveva preferito far finta che fosse stato trovato da poco.
Arrivata al secondo piano Candy si imbattè per l’appunto in uno di questi dipendenti che era stato informato dell’intera faccenda.
-Signorina, è mio dovere chiederle come era fatto il bracciale.
-Ma certo. Era d’oro massiccio con uno smeraldo incastonato e dentro c’era un’incisione, “A mia sorella Candy”
-Perfetto. È proprio il gioiello che è stato ritrovato. Può andare a prenderlo lei stessa dentro il palco.
Che cosa strana, pensò Candy. Cosa ci voleva a darglielo subito?
La ragazza raggiunse il palco e rivide il teatro nella stessa identica prospettiva di alcuni mesi prima, solo vuoto. Non c’erano più i rumori dei ventagli o i fruscii delle sete preziose, gli applausi che scoppiavano fragorosi né il via vai degli attori sul palco.
Soprattutto non c’era la stessa lancinante sensazione di quegli attimi spesi a guardare non solo lo spettacolo ma anche la vita come semplice spettatrice. Candy non osava pensare a come si sarebbe sentita se per qualche motivo la vita l’avesse sprofondata in quell’angoscia, forse non avrebbe più avuto nemmeno la forza di alzarsi la mattina.
Ma, a proposito di angoscia…
Si rese conto solo in quel momento di trovarsi da sola nel palco in penombra di un teatro vuoto e di essere stata una perfetta stupida a fidarsi di quel tipo, che oltretutto non le aveva nemmeno detto se il bracciale si trovasse su una sedia o per terra. Forse era il caso di tornare indietro.
Ma proprio mentre pensava queste cose, un riflettore si accese e puntò dritto dritto su di lei.
Chi poteva sapere che lei si trovava proprio dentro quel palco? Che fosse una trappola?
Ad aumentare la sua paura sentì un battere di mani squarciare il silenzio. Qui doveva rispolverare tutte le sue arti da Tarzan-tuttelentiggini: salti, piroette, calci ben assestati.
-E brava la mia Tarzan, sempre da sola nei luoghi più bui e solitari. Fai la collezione?
-Te…Terence? Che ci fai qui?
-Quello che stavi facendo tu, cercavo qualcosa di prezioso che mi appartiene.
-Terence, mi hai fatto spaventare!- esclamò Candy, e nel fare questo si gettò tra le braccia di Terence.
-Capisco che il luogo è suggestivo, ma dovremo rimandare a un’altra volta…
-Ma Terence, sei sempre il solito!
-Non sto scherzando, dobbiamo davvero rimandare quella cosa che ti eri messa in testa di fare. Guarda chi c’è.
-Ciao Candy.
-Patty? E ci sei anche tu, Annie?
Patty teneva in mano il prezioso bracciale, seguita da Annie.
-Beh…Annie, Patty, mi dovete una spiegazione!
-Ok, ok, Candy-iniziò Annie-il bracciale te l’ho sottratto io, per farti venire qui, questa sera. Con la complicità di Paul abbiamo organizzato questa messa in scena, per te!
-Ah, ma davvero? Che belle amiche che mi ritrovo. Cosa era, uno scherzo?
-No, Candy. Io e Patty desideriamo che tu sia felice come lo siamo noi. Patty si è sposata il mese scorso, io mi sono appena fidanzata. Sappiamo che Terence sta per partire per una lunga tournee e che per un po’ non potrete nemmeno sfiorare l’argomento matrimonio, perciò…
-Annie, continuo io-aggiunse Patty-Devi sapere che qualche tempo fa Terence, sì proprio quest’uomo che ti trovi accanto e che sembra tanto spavaldo e sicuro di sé, quest’uomo che sembra tanto ironico…beh sì, tempo fa l’ho sentito lamentarsi con Paul del fatto che non poteva sposarti presto come avrebbe voluto. Lo so che non avrei dovuto ascoltare, ma è stato per caso, te lo assicuro, e così mi è venuta l’idea di…affrettare il matrimonio!
Le tende si scostarono e apparve un prete con un libro in mano, dall’aria solenne.
Candy non riuscì a proferire parola, ma dal modo in cui guardò Terence, con due occhi spalancati quasi sul punto di piangere, si capiva che non riusciva a trattenere la sua gioia, più grande di quanto ella stessa fosse mai stata in grado di concepire, più grande di quanto le sue amiche si fossero aspettate.
Riuscì solo a fare un cenno di assenso con il capo e a tendere la mano per prendere quella di Terence. Era un sì gridato in silenzio.
Era il suo momento. Quel giorno, quando aveva osservato Annie e Archie durante la festa del loro fidanzamento, aveva provato un’immensa felicità per loro, ma aveva pensato che le sarebbe dispiaciuto, in un giorno simile, doversi allontanare dal suo amato per occuparsi degli invitati. Aveva pensato che le sarebbe piaciuta di più una cerimonia intima, e magari festeggiare con gli altri in seguito.
Terence colse l’emozione di Candy e cercò di tranquillizzarla.
-Candy, tocca a noi. Ti prometto che tra alcuni mesi avrai il più pacchiano matrimonio di Chicago, o se preferisci di New York, con tutti gli invitati che desideri!
Candy sorrise e insieme si accostarono di fronte al prete.
Fu una breve cerimonia, resa più intensa dal luogo in cui era celebrata. Non solo il teatro era il tempio della musica e dell’arte, il luogo in cui Terence si esprimeva in tutta la sua potenza artistica, ma quello era pure il palco che aveva ospitato Candy in quelle fredde serate nelle quali si era convinta di dover dire addio per sempre all’uomo che amava.
-Bene, e adesso può baciare la sposa.
Le labbra di Terence si serrarono su quelle di Candy, e si staccarono dopo poco, più per non mettere a disagio la ragazza che per non mettere a disagio il prete. Ma subito dopo il ragazzo accostò la bocca all’orecchio di Candy, per sussurrarle una serie di quelle allusioni che la facevano arrossire:
-Sai, ho sempre fantasticato su come sarebbe stare vicini e amarsi in uno di questi palchi, magari mentre lì sotto c’è una rappresentazione…
L’effetto sperato da Terence si verificò, e una Candy più rossa che mai si staccò dal neomarito per abbracciare e baciare le sue amiche che le si erano avvicinate per farle gli auguri.
-Candy, non ho mai visto una sposa più radiosa, nonostante l’abito! Sì, te lo confesso, questo era l’unico punto che non mi andava a genio! Il mio sogno era di vederti con il più meraviglioso e fiabesco abito da sposa! Ma ti rifarai quando Terence avrà finito la tournee!-disse Annie
-Annie, Patty, grazie per tutto questo. Sono davvero felice di avere due amiche come voi!
-Candy adesso noi andiamo, scendiamo giù da Paul-disse Patty-voi due restate qui ancora un altro po’, è successo tutto così rapidamente che forse devi rendertene conto per benino!
Le due amiche andarono via, seguendo il prete che, terminato l’officio, era stato il primo ad abbandonare quel palco.
Candy guardò di nuovo di sotto: un palco vuoto che si preparava ad un’altra rappresentazione, come la sua vita.
-Candy, scherzavo. Mi piaci anche per questo, sei una delle poche persone che mi diverte far arrossire. Ma adesso andiamo giù, potremmo organizzare una cena con le tue amiche e i loro mariti e fidanzati per festeggiare.
Le disse queste parole prendendole la mano e poi, galantemente, si fece di lato per farla passare.
Candy d’un tratto si fermò e lo trattenne per un braccio.
-Cosa dicevi, a proposito di quella tua fantasia durante la rappresentazione?
Terence ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi che Candy gli stampò un bacio sulle labbra avvolgendolo con le sue braccia.
Ma questa…cof cof…è una fiction dal bollino giallo.
Sipario.



                                          

 
Salve a tutti! Finalmente sono arrivata all’ultimo capitolo di questa “fatica”.
Due anni fa, in primavera, mi sono innamorata e ho avuto una breve storia travagliata durata due mesi e che mi ha lasciata con l’amaro in bocca e per un po’ all’amore non ho voluto pensarci per niente, neanche a quello delle fiction! Poi, in seguito, mi è tornata la voglia di ultimare questa storia ma l’ultimo capitolo, di cui avevo scritto pochissimo, non mi soddisfaceva, mi sembrava “loffio”. Ho aspettato che mi venisse qualche altra idea, che è arrivata all’improvviso due notti fa. Mi sono venute in mente tutte le singole scene di questo capitolo finale e così l’ho scritto in brevissimo tempo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la mia fiction, sia i lettori silenziosi sia quelli che hanno lasciato un commento, sia coloro che l'hanno inserita tra le seguite/ricordate/preferite e mi scuso per il forte ritardo! Una piccola curiosità: il capitolo più letto oltre a quello iniziale-naturale che sia così, c'è gente che vede di cosa si tratta poi continua oppure si indirizza ad altro-è "Una lama di luce", il capitolo in cui Terence e Candy finalmente si incontrano.

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