Insegnami a sognare

di DonnieTZ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Dama Bianca ***
Capitolo 2: *** Oltre la parete ***
Capitolo 3: *** La fuga ***
Capitolo 4: *** Noi ***
Capitolo 5: *** Sacrifici ***



Capitolo 1
*** La Dama Bianca ***


 
Non piangerò. Mi hanno insegnato a tenere alta la testa e dimostrare tutto il mio coraggio e lo farò. Non si piega una Dama Bianca.
Questo sono, una Dama Bianca dell'Oasi, la società matriarcale costruita nel deserto che oggi sta inesorabilmente perdendo. La chiamano Guerra dei due Regni quella che le Città di Ferro hanno deciso di muovere all'Oasi, ma potrebbero chiamarla tranquillamente sterminio.
In queste mura di metallo così rigidamente controllate, così intrinsecamente corrotte, abitate da individui smaniosi di potere io mi trovo prigioniera. Se c'è un desiderio, nei cuori degli uomini delle Città di Ferro è proprio quello di prevaricare, di sottomettere e sfruttare. È per questo che si scagliano con violenza contro le donne dell'Oasi. È per questo che ci odiano.
Noi siamo riuscite a far rinascere Madre Natura, a renderla nuovamente fertile, a farla portatrice di vita ancora una volta e gli uomini vogliono i suoi frutti. Li pretendono come fossero loro. L'errore fu anche nostro, forse, quando decidemmo di condividere questi frutti attraverso il commercio, dandoli alle carovane dei Nomadi perché rifornissero di frutta, verdura, acqua pura le Città di Ferro.
Sono le donne come me, le Dame Bianche, a padroneggiare i segreti della natura nell'Oasi.
Noi, nei nostri laboratori, possiamo controllare tutto. Proprio per questo mi trovo prigioniera in questa stanza asettica. Perché io so.
Il viaggio nel deserto è stato duro e mi ha lasciata debole. Non è stato difficile, per loro, fare di me ciò che volevano una volta giunti alle Città di Ferro. Mi hanno trascinata, lavata, disinfettata, rinchiusa e avvisata:
“Ti conviene parlare, donna, o potresti non vedere troppe albe.”
È colpa dei Bot. Mi chiedo cosa stesse pensando il primo uomo che li ha ideati e costruiti, quale fosse il suo scopo. Niente di davvero buono, ne sono certa. Perché creare androidi dalle fattezze umane e renderli succubi di istinti quali l'omicidio, lo stupro, la razzia, la violenza? Perché fare corpi di metallo scintillante impossibili da scalfire, in grado di resistere alle traversate nel deserto per raggiungere l'Oasi senza stanchezza, senza rendersi vulnerabili? Per quale motivo renderli così facilmente controllabili dall'uomo? Perché se non per crudeltà?
Quando i Bot sono giunti non siamo state abbastanza svelte, abbastanza pronte da difendere la nostra terra. Molte guerriere sono perite ai confini tentando una resistenza vana. Così i Bot hanno spadroneggiato e continuano a spadroneggiare nell'Oasi, deportando qui quante più donne possibile, rendendole disponibili per gli esperimenti degli uomini, per le loro voglie carnali, per qualsiasi gretto programma loro abbiano in mente.
Io sono qui perché vogliono i miei segreti, quelli delle Dame Bianche.
Ma io morirò piuttosto che cedere.
Probabilmente di fame, dal momento che non mangio da due giorni.
“C'è qualcuno?” grido, osservando lo specchio che mi sta davanti e che sono certa mi renda visibile ai loro occhi. È lungo e corre per tutta la metà superiore della parete che sto fissando con ostinazione da ore. Le altre pareti sono in solida muratura e dipinte di bianco. Ci sono solo il letto e la struttura cubica forata dove sedersi per espletare i propri bisogni. Tutto intensamente e terribilmente candido, pallido, asettico.
“Ehi!” urlo.
Sto usando il linguaggio degli scambi e non quello dell'Oasi, perché chiunque sia in questo posto possa capirmi. Se c'è qualcuno, almeno, e se quel qualcuno conosce il linguaggio degli scambi e non solo quello delle Città di Ferro.
“Dovresti smettere di urlare.”
La voce, profonda e vagamente roca, arriva da un punto imprecisato fuori dalla stanza. Non mi sembra vero ci sia davvero qualcuno e adesso spero di poter mangiare.
“Ho fame!”
“Non posso aiutarti.”
La risposta arriva subito, diretta e concisa.
“Sono due giorni, ormai.” faccio notare.
“Ritieniti fortunata, io sono qui da un mese.” pausa “Non che sia rilevante.”
Improvvisamente mi rendo conto di aver commesso un errore di valutazione. È ovvio che la voce non appartiene ad una guardia, ma ad un altro prigioniero.
“Scusa.” mormoro.
“Non importa.”
Restiamo in silenzio per un po'. Nei due giorni trascorsi avrei pagato per della compagnia ed ora non ho idea di cosa fare.
“Chi sei?” mi domanda lo sconosciuto, interrompendo i miei pensieri.
“Una Dama Bianca.” confido, sdraiandomi nel letto.
“Ti ho chiesto chi sei, non cosa sei.”
Sorrido della sua pignoleria perché non sembra il luogo più adatto a perseverarvi.
“Loto.”
“Loto...” ripete lui con tono pensieroso.
“E tu?”
“Nine.”
“Che razza di nomi vi danno da queste parti.” dico.
“Le Dame Bianche non dovrebbero essere più...trascendenti?”
“Trascendenti?” domando quasi divertita.
“Non dovresti lasciar scorrere ciò che accade nel mondo oltre la tua coscienza o qualche atteggiamento del genere? Non siete forse le protettrici del credo delle donne?”
“Dove le hai sentite, queste?!” chiedo sempre più curiosa.
Molti abitanti delle Città di Ferro non hanno idea del perché una Dama Bianca diventi tale. Anzi, molti neanche hanno idea di cosa sia una Dama Bianca. Eppure la sua frase nasconde della verità. Noi andiamo oltre ciò che può essere visto o sentito, dedicandoci completamente al nostro lavoro nei laboratori e, occasionalmente, aiutando le altre donne dell'Oasi nei rituali di passaggio.
“Quale... insomma quale motivo ti ha reso una Dama Bianca?”
Resto interdetta a quella domanda tanto diretta. Dall'altra parte della parete dev'esserci qualcuno che conosce a fondo la società delle donne e questo è strano. Inizio a pensare sia un qualche tipo di trappola.
“La mia mano sinistra.” ammetto, fissando brevemente l'arto in questione.
Non si diventa ciò che io sono diventata se non si è scelti dalla natura. Si nasce con quello che chiamiamo segno. Un tratto distintivo. Come la cecità, il mutismo, la sordità o, nel mio caso, quella leggera malformazione alla mano. Alzo le dita per guardarle come ho fatto ogni giorno da quando sono nata e ritrovo sempre lo stesso segno: indice e medio uniti fra loro così come mignolo e anulare. Fusi insieme dalla natura.
“Voi giocate con la genetica e questo è il risultato. Fra qualche generazione nascerete con tre teste.”
Mi alzo di scatto dal letto.
“Noi cosa?!”
“Ah, lascia perdere.”
Torna a regnare il silenzio e io comprendo di non dover parlare con l'uomo oltre la parete, di doverlo lasciare a se stesso.
Quello che fanno le Dame Bianche gli stupidi uomini delle Città di Ferro la chiamano manipolazione genetica. Non capiscono quanto sia importante quello che facciamo, non riescono a realizzare il nostro profondo legame con la natura. Siamo pronte a salvarla, a conservarla, a proteggerla a qualsiasi costo.
È vero, la vita delle donne dell'Oasi è più lunga, siamo più resistenti, più forti, più intelligenti, ma senza madre natura non saremmo nulla di tutto questo. Lei ci ha dato dei doni che noi amplifichiamo e glorifichiamo attraverso i rituali di passaggio.
Cosa conservano gli uomini? Cosa proteggono se non la loro stessa avidità?
“Krabak.” mormoro all'altro prigioniero, anche se lui non può capirmi perché non uso più la lingua degli scambi.

Idiota.


 
Ciao!
Questa storia parte da un'idea avuta molto, mooooolto tempo indietro. In realtà è un'idea ripresa e rivista così tante volte che è forse finisce per essere nuova di zecca. Il mondo di questa storia è pensato in dettagli infinitesimali (tanti sono gli anni passati ad immaginarlo), ma non ho spesso la possibilità di sfogarli tutti. Qui ne compaiono alcuni...
Spero vi piaccia, spero di avere vostre notizie in ogni caso e spero... beh, spero abbiate una buona giornata/serata!
Ah, si è classificata seconda (vincendo anche un premio speciale) al contest a cui partecipava!


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Capitolo 2
*** Oltre la parete ***


 
Mi hanno torturato per ore. O almeno così mi è parso. Non ho ceduto e non potrei farlo neanche volendo. Esistono mali peggiori del dolore fisico e morirei se tradissi la mia terra, le mie sorelle, la mia regina.
Mi trascinano nuovamente nella stanza, mi sfilano dalla testa il cappuccio nero e chiudono la piccola porta che sparisce nella parete come se non fosse mai esistita.
Sono sfinita.
Chiudo gli occhi e mi concentro sul mio respiro.
"Tutto bene?"
"Taci." sibilò quel tanto che mi permettono le forze.
"Stai bene?" ripete la voce oltre la parete.
Resto sdraiata a terra e fisso il candido soffitto. Non mi vengono in mente risposte, in realtà. Come mi sento? Estraniata, al momento.
"Tutto bene."
Mi concentro, cercando di capire quale parte del mio corpo sia più acciaccata. Certamente lo zigomo è tumefatto, non riesco neanche a far scorrere i polpastrelli sulla pelle. Il braccio è dolorante ma non sembra rotto. I tagli sul petto non sono poi così profondi, anche se macchiano la mia bianca divisa da carcerata con strisce rosso vermiglio.
"E sarei io l'idiota? Perché non dai loro quello che vogliono?"
Ascolto quelle parole tenendo gli occhi chiusi, poi respiro a fondo per mantenere la lucidità necessaria a rispondere.
"Prima di tutto devo ammettere di essere colpita. Conosci la lingua dell'Oasi oltre quella degli scambi, incredibile. Immagino siano gli insulti le prime parole che si imparano, no, krabak? Per quanto riguarda quello che vogliono gli uomini di queste dannate città sappi che non l'avranno da me. Perché vogliono la mia terra, tutto ciò che io e le mie sorelle abbiamo costruito e io non posso macchiarmi di questa colpa o non sarei migliore di loro."
"L'Oasi è una terra bellissima, Dama Bianca, ma non sopravviverà in ogni caso." risponde caustico lui.
"Noi riusciremo. Madre Natura ci..."
"Oh si fotta Madre Natura!" mi interrompe lui.
"Ya krabak grek!" gracchio, racimolando le forze.
"Ah, adesso sono un brutto idiota?"
"Non ti ascolterò insultare Madre Natura senza dire nulla." ribatto, esausta.
"Io so cose della tua natura che tu neanche immagini."
Resto in silenzio perché non ho nessuna intenzione di continuare questo discorso, ma lui non vuole saperne.
"Una volta il grande deserto era acqua, lo sai? Talmente tanta da poter essere superata solo su grandi navi di metallo e una traversata poteva durare giorni. C'erano terre fertili oltre quest'acqua, verdeggianti e floride, dove adesso sorgono le montagne infestate e dove solo le carovane delle tribù nomadi hanno il coraggio di arrivare. Lì sorgevano città immense, con alte torri di ferro. Si parlavano miliardi di lingue, una per ogni paese."
"Come sai queste cose? Sono solo favole scritte in vecchi libri che le Dame non consultano neanche più."
"Io so queste cose proprio come tu sai lei tue. Tutti gli uomini delle Città di Ferro sanno del passato di questo mondo per il Libro."
"Un libro?"
"The Book lo chiamano nella loro lingua. Un grosso cumulo di tecnologia e cavi in cui sono raccolte tutte le immagini del passato, tutto ciò che è stato e, con una certa approssimazione, anche tutto ciò che sarà."
"The Book." ripeto, usando la lingua delle Città di Ferro.
Il silenzio cala nuovamente su di noi. Immagino l'uomo dall'altra parte della parete sia uno studioso o qualcuno incaricato di conoscere questo Libro. Mi stupisce abbia parlato degli uomini di questa città come se lui non ne facesse parte e inizio a pensare sia originario di qualche altra terra.
"Com'è possibile, dunque, che tutto sia sparito?"
"L'Ultima Genesi."
"Altre leggende?" chiedo, cercando di mettermi seduta.
Tutti sanno dell'Ultima Genesi, l'evento che ha prodotto il mondo come lo conosciamo, ma nessuno prende sul serio i racconti della grande esplosione e del fuoco che raggiunse il cielo. Nessuno. Noi siamo più propense a credere che ogni cosa sia nata dalla sabbia del grande Deserto: l'Oasi, le città di Ferro, le montagne infestate. Tutto grazie a Madre Natura che ha permesso agli uomini di prosperare.
"Non sono leggende, Dama, io ho visto, io so. Un'enorme esplosione che ha oscurato il sole e ha assottigliato la barriera che ci protegge dal cielo. Fuoco e nubi nere di polvere, morte, malattia, deformità."
Resto in ascolto e mi chiedo quanto di ciò che racconta il suo libro sia vero. Immagini, ha detto. Non illustrazioni, ma immagini. Cosa saranno davvero? Improvvisamente il tenore della conversazione cambia. Il tono dello sconosciuto diventa ancora più serio e grave mentre pronuncia le sue parole.
"Appena sarà notte uscirò da qui. Scapperò. Vorrei tu mi seguissi, ma..." 
Scatto in piedi, come se il mio corpo a quella notizia non sentisse più alcun dolore.
"Portami con te!"
"Io vorrei."
"Allora fallo!" dico, cercando di non urlargli la mia richiesta come un ordine ma come una supplica.
"Non parleresti così se sapessi."
"Cosa?"
Restiamo entrambi zitti, fermi sulle nostre posizioni.
"Ti porterò via, ma tu dovrai fidarti ciecamente di me, sono stato chiaro?"
C'è qualcosa che non mi convince. Nella sua voce, nel suo tono, in queste domande, eppure non mi pare di avere altra scelta se non quella di seguirlo e fare come mi chiede. Desidero solo scappare e tornare alle mie terre. Rifletto a lungo prima di rispondere. Confusioni e paure che si mescolano con il dolore fisico che ritorna a farsi sentire con prepotenza.
"Prometto di fidarmi di te, Krabak."
Quasi posso sentirlo ridacchiare dall'altra parte. Sono ancora dubbiosa e ho tutti i motivi per esserlo dal momento che mi ha praticamente confidato di nascondere qualcosa. Le scelte, però, sono notevolmente scarse nelle mie condizioni.
"Riposa ora." mi consiglia.
Mi trascino sulla branda e chiudo gli occhi. L'oblio cala rapidamente su di me, mentre ringrazio Madre Natura.
Vengo svegliata dopo quello che mi sembra un attimo. Un rumore persistente, un battere continuo e poi l'infrangersi di un vetro. Mi alzo nell'esatto istante in cui si apre la porta nella parete. Attendo i miei aguzzini o, nella migliore delle ipotesi, l'uomo oltre la parete. Nessuno, invece, entra. Così avanzo di passo in passo per guadagnare l'uscita con cautela. Davanti ai miei occhi si estende un lungo corridoio, due svolte alle sue estremità.
"Sto cercando un'arma per te." dice la voce.
Mi volto e lui esce dalla sua cella legando un pezzo di vetro ad un tubo. 
Ma non è questo ciò che mi terrorizza nel profondo.
Sono pietrificata.
Non riesco neanche a urlare.
Un Bot.
L'uomo dall'altra parte della parete non è affatto un uomo, ma una macchina.
Un Bot, che Madre terra mi assista!
Alto quasi due metri. Spaventoso a partire dal suo cranio lucido fino alle estremità degli arti. Ogni muscolo, ogni forma plasmata nel metallo leggero delle Città di ferro. Grossi fasci di fibre nere a collegare le parti, sottili tubi che gli escono dalla nuca per infilarsi nel petto e nella schiena. Occhi come notti profonde, onice liquida dietro bulbi di vetro. A coprire le nudità che ricordo troppo bene dalle visioni terribili delle loro marce sull'Oasi, solo calzoni neri come le guardie delle Città di Ferro usano portarne, stretti e corti sotto il ginocchio. L'ho osservato tutto, ogni sua più spaventosa parte e ora posso farlo: grido.
Mi volto per fuggire, percorrendo il corridoio, con la mente annebbiata dal panico. 
 Forse è una trappola, perché dovrebbero rinchiudere uno dei loro Bot? E com'è possibile mi sia sembrato così umano?
 La mia voce si è affievolita e dal mio precedente grido di terrore sono passata a un rantolo terrorizzato che lascia la mia gola senza che io possa davvero impedirlo.
Non esistono Bot che non siano assassini. Sono stati creati per questo! Non può essere stato lui a parlarmi, non posso aver chiacchierato con quel Bot. I Bot non chiacchierano, che Madre Terra mi sia testimone.
Con questi folli pensieri in testa svolto l'angolo e mi ritrovo di fronte ad una singola porta. La spalanco sperando di frapporre una barriera fra me e il Bot, ma mi ritrovo davanti un misero sgabuzzino. Un antro puzzolente con bastoni e scope e materiale per pulire. Quasi piango la mia frustrazione quando sento i passi calmi alle mie spalle. Il risuonare del metallo contro il pavimento.
So che mi ucciderà. È stato mandato per questo e io mi preparo ad affrontare la morte con tutta la dignità di cui sono capace, voltandomi per fronteggiarlo. Si avvicina e mi solleva di peso come fossi fatta di aria. Non grido, ma scalcio e spingo e colpisco.
"Finirai per ferirti." bisbiglia " E per farci scoprire."
Lo guardo rabbiosa chiedendomi perché porti avanti la sua recita, domandandomi perché non mi uccida e basta.
"Avete promesso, Dama Bianca, di fidarvi di me e io pretendo siate fedele a quella promessa."
Adesso sono davvero confusa dalla paura, infreddolita dal contatto di quel corpo d'acciaio con la mia pelle.
Sentiamo dei passi e ci zittiamo, immobilizzandoci. Il Bot mi tappa la bocca con la sua mano gelida facendomi segno di stare zitta e mi trasporta nello sgabuzzino con facilità, chiudendo la porta. Si sentono voci concitate parlare nella lingua delle Città di Ferro e passi veloci dirigersi in ogni direzione. Sono pietrificata. Realizzo di non essere poi tanto importante da poterla passare liscia. Esistono un sacco di Dame Bianche da deportare dall'Oasi.
Siamo entrambi in ascolto, tesi, e sentiamo i passi di quella che sembra un singola guardia venire verso il nostro nascondiglio di fortuna. Mi aggrappo all'avambraccio del Bot prima di rendermi conto di quello che sto facendo e di staccarmi bruscamente. Il Bot si porta un dito alle labbra metalliche, imponendomi ancora un silenzio che manterrei comunque. Alla fine sposta lentamente una mano sulla placca che è la maniglia. Cerco di trattenerlo facendo meno rumore possibile. Un po' perché temo mi consegni a loro, un po' perché non ha senso andare a buttarsi fra le braccia di quello che inizio a pensare sia anche un suo nemico. Lui si limita a scostarmi come si farebbe con una mosca e a me non resta che stare a guardare. Apre la porta di scatto, sorprendendo il giovane soldato che non ha neanche il tempo di urlare. Il Bot lo ha già sollevato di peso per la gola, stringendo e stringendo fino a farlo svenire. Infine lo appoggia a terra con delicatezza, sfilandogli di mano quella che ha tutto l'aspetto di un'arma. Non l'ha ucciso e io sono talmente agitata da non riflettere a fondo su quest'importante scelta.
Solo dopo alcuni attimi si gira verso di me tendendomi la mano. Allora io capisco che è un momento decisivo e che devo scegliere se mantenere o meno la mia promessa. Guardo l'uomo a terra come se fosse un prova di qualche tipo e infilo il mio palmo caldo in quello gelido e liscio del Bot. Lui inizia a correre e lo faccio anche io.
"Non siamo ancora salvi, Loto, corri!"
 


 

Ecco, anche questo capitolo è andato. La storia è tutta scritta e saranno cinque capitoli. GRAZIE per essere arrivati fino a qui, per averla (eventualmente) seguita/preferita/ricordata e, sopratutto, recensita. 
Come sempre, tanta gratitudine, insomma. 
A presto con gli altri capitoli!!
DonnieTZ

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Capitolo 3
*** La fuga ***


 
"Perché vogliono anche te?! Tu sei..."
Arranco nel tentativo di tenere il passo, ma le sue gambe sono il doppio delle mie e non avvertono stanchezza o fatica.
"Non hai sentito come mi chiamavano?" ribatte, mentre giriamo altri angoli, imbocchiamo altri corridoi "Sono un senziente."
Non ho tempo di spiegare che non capisco nulla della lingua delle Città di Ferro, né che non ho idea di cosa significhi senziente. Un gruppo di soldati ci avvista e inizia ad inseguirci. Fortunatamente Nine ha ancora la sua arma e la scarica contro un paio di soldati, colpendoli alle gambe con un fascio di luce bluastra che pare ustionarli, come testimonia l'odore di carne bruciata che permea l'aria. Alla fine siamo costretti a separarci, abbandonando uno la mano dell'altra. Nine, infatti, mi spinge a terra ordinandomi di stare attenta mentre i soldati arrivano da tre diversi corridoi. Noi siamo al centro, contro il muro, senza vie di fuga. 
Ho così paura che il cuore prende a battermi furiosamente senza smettere. È terrore per me e la mia vita, ma anche per il Bot. Razionalmente immagino sia perché mi ha protetta e perché è l'unico in grado di farmi uscire da qui. Eppure non dovrei sentirmi così verso l'essere che sta sterminando le mie sorelle nell'Oasi, verso chi ha permesso agli uomini di umiliarci, schiavizzarci e deportarci.
I soldati lo raggiungono e lui si frappone fra me, schiacciata contro la parete, e loro. Inizia a colpirli con l'arma come può e alcuni colpi del fuoco nemico si infrangono contro il muro a poca distanza da dove sono accucciata, staccandone grandi scaglie che mi piovono addosso.
Il rumore è assordante. Nine riesce a fronteggiare e battere parecchi uomini in divisa, ma l'arma che possiede è ormai scarica e ancora tre di loro sono in piedi pronti ad attaccarlo simultaneamente. Immagino mi farebbe comodo, ora, la lama di fortuna che il Bot stava assemblando prima della mia fuga terrorizzata. Mi alzo mentre il Bot si batte con due soldati e il terzo taglia con un pugnalealcuni dei tubi che gli escono dalla nuca. Nine riesce ad atterrare i due, ma crolla al suolo. Non capisco cosa non vada, ma scatto in avanti istintivamente. Mi aggrappo al collo del soldato autore della manomissione al Bot e lui cerca di colpirmi agitando la lama. Mi sbatte contro il muro di schiena un paio di volte, ma io mordo dove riesco, fra il collo e la spalla. Il pugnale cade al suolo e io mi lancio per afferrarlo, sbattendo malamente sul pavimento. L'uomo è troppo veloce, mi è addosso. Mi fissa a un centimetro dal viso, con le dita strette attorno al mio collo. Lo vedo spalancare gli occhi e allora faccio scorrere lo sguardo fra i nostri corpi. Sto reggendo il pugnale con entrambe le mani e la lama è ben infilata nel suo petto. Il sangue rosso e viscoso mi scivola addosso.
Quando la vita abbandona l'uomo lo scanso e ricade con un tonfo sordo. Non ho neanche il tempo di realizzare di aver ucciso. Lo guardo un altro istante prima di correre dal Bot.
"Dobbiamo nasconderci."
La sua voce è meccanica e si inceppa mentre i suoi occhi non sono che vetri vuoti, privi del nero liquido che li riempiva. Lo aiuto ad alzarsi come posso, ma non sono abbastanza forte. La mano mi scivola sulla sua schiena e si macchia di una sostanza viscosa e nera, colata dai tubi ormai recisi.
"Dovrai essere i miei occhi. Conosco un posto perfetto dove andare, ma dovremmo sbrigarci o perderò tutto l'olio nero e... dobbiamo andare." 
Infilo nuovamente il palmo in quello del Bot. Non so neanche cosa sto facendo. Seguo svelta le indicazioni trascinandomi dietro questa massa di metallo alta più di due metri per i corridoi. Siamo costretti a nasconderci un paio di volte per sfuggire a qualche ronda.
"A destra." dice ad un certo punto.
Mi immobilizzo e torno indietro di qualche passo.
"C'è un soldato che fa la guardia a una porta." sussurro presa dal panico, mentre un rumore assordante riecheggia per i corridoi e dà probabilmente l'allarme della nostra fuga.
Il Bot alza il viso come a cercare nell'aria un'idea. Quando parla, però, non sono sicura mi piaccia.
"Quando l'avrò distratto tu dovrai correre fuori. C'è una rete di ballatoi, tu prosegui dritto finché non arrivi alla struttura con le tende rosse. Entra e..."
"No!" sibilo.
"Loto." risponde lui accondiscendente.
"No. Tu non vedi e vuoi provare a batterti con lui?"
"Non ci sono alternative."
"Ci deve pur essere un'altra strada, un altro modo."
"Sono un Bot, Loto, sono creato per prendere queste decisioni. Ho vagliato ogni possibilità. Questa è l'unica che ti salverebbe."
Quello che ho davanti è un Bot. Dovrebbe volermi uccidere, dovrebbe pensare a salvarsi, invece vuole buttarsi nel pericolo per me. Non ha senso. Non sono stati creati per questo.
"Nine..."
Ma lui ha già voltato l'angolo e si è già scagliato contro il soldato con furia cieca. Resto paralizzata un istante, mentre il soldato colpisce il Bot alla gamba con il fascio di luce bluastra e il metallo di cui Nine è composto diventa incandescente. Improvvisamente mi riscuoto e capisco che devo correre, devo salvarmi, devo fare esattamente quello che mi ha detto. Mi getto alle loro spalle e spalanco la porta che il soldato avrebbe dovuto proteggere.
In un istante sono fuori, l'aria secca mi colpisce il viso e il vociare delle persone che affrontano la loro quotidianità mi ferisce le orecchie. Questo non mi ferma se non l'attimo necessario a gettare una rapida occhiata attorno per imboccare il giusto ballatoio, scrutando fra la gente che mi osserva come fossi un'aliena. L'intera città sembra un dedalo di ferro e grate e io continuo a correre sperando di aver fatto la scelta giusta. Quando davanti ai miei occhi compare la struttura dalle tende rosse di cui il Bot mi ha parlato, mi precipito dentro e finalmente mi blocco per riprendere fiato.
Donne.
Donne semi – svestite mi fissano sorprese. Sono sedute su morbidi divani impolverati e sgualciti o leggono libri consunti o si pettinano a vicenda. Le guardo sconcertata per qualche secondo e poi comprendo. Sono in vendita. Grandi linee nere e piccoli numeri sono tatuati sui loro ventri e sembrano essere una sorta di codice.
"Posso fare qualcosa per te, piccola?"
Una di loro parla, ma l'agitazione e lo stupore non mi rendono particolarmente recettiva.
"Io..."
Ho l'attenzione di tutte le presenti e devo essere per loro uno spettacolo assurdo quanto loro lo costituiscono per me. Fisso i miei occhi in quelli della donna che mi parla e raccolgo le idee.
"Mi manda Nine." riesco a dire.
La mia frase è seguita da una serie di risatine maliziose e di occhiate lascive che mi infastidiscono per qualche strana ragione.
"Nine! Da quanto tempo non viene a trovarci..." dice qualcuna, subito seguita da una serie di commenti molto simili.
Serro la mascella in attesa che si decidano a spiegarmi per quale ragione mi abbia mandato qui.
"Oh, smettetela! Andiamo." una di loro mi afferra per il polso e mi trascina per un corridoio.
La seguo senza protestare, osservandone rapita la bellezza. Ha corti capelli scuri, il corpo snello coperto solo da un velo trasparente annodato sopra il seno e continua a parlarmi con voce decisa e morbida.
"Perché ti ha spedito qui lo sa solo lui! Razza di imbecille! Se ti trovano siamo tutte morte, dannazione. Perché sei una Dama Bianca, sbaglio?"
Si blocca e mi fissa, le mani sui fianchi e i grandi occhi blu dall'espressione fiera. Mi chiedo se dire la verità sia la scelta migliore e, dopo qualche riflessione, mi limito ad annuire.
"Dannazione. Ormai c'è poco da fare. Vieni, starai nella mia stanza finché quello stupido non viene e mi dice cosa dovrei fare con te!"
Mi domando se Nine riuscirà davvero a seguirmi qui, se riuscirà a scappare dal soldato, mi domando troppe cose perché sia normale. Alla fine decido di non esprimere i miei dubbi alla donna che mi sta offrendo un alloggio, perché potrebbe decidere semplicemente di buttarmi fuori. Sono riuscita in qualche modo a riprendere fiato e a calmarmi quanto basta ad essere lievemente più padrona di me stessa. Entriamo assieme in una minuscola stanza composta da un letto striminzito e sfatto, un armadio dall'anta traballante e oggetti metallici e scintillanti di ogni tipo. Sembrano ingranaggi o qualcosa che solo gli uomini delle Città di Ferro costruirebbero. Perché siano nella stanza di questa donna mi incuriosisce, ma è lei a riempirmi di domande mentre si siede sul letto.
"Io sono Ros. Spiegami un po' che succede. Dov'è sparito Nine e, sopratutto, chi sei?"
"Mi chiamo Loto." dico, tentando di impedirmi di pensare a cosa sia successo a Nine "sono una prigioniera come lo è stato il Bot. Siamo... abbiamo tentato di fuggire assieme."
"E così, alla fine, l'hanno trovato." mormora sovrappensiero Ros.
"Cosa?"
"Non credo rivedremo Nine, purtroppo. Lui è un senziente e loro l'hanno scoperto. Faranno di tutto per eliminarlo una volta capito che non possono riportarlo allo stadio precedente."
"Non capisco. Davvero, non capisco più nulla." sussurro, portandomi le mani alla testa.
"Un senziente è un Bot che ha sviluppato coscienza di sé, un sistema di valori simili a quelli umani. Un Bot che non obbedisce più agli ordini se questi vanno contro ciò che crede sia giusto. Ora capisci?"
Inorridisco a quelle parole. Ecco perché mi è parso così umano, ecco perché si è battuto per me... ecco perché mi ha slavato la vita sacrificandosi. Ecco perché, infine, non lo lasceranno mai andare. Sento una strana oppressione all'altezza del petto e mi stringo la divisa da prigioniera macchiata di sangue che ho ancora addosso. Ros mi lancia qualcosa, tessuto morbido e setoso, che mi colpisce dritta in faccia senza che io sia in grado di afferrarlo. Ros mi risveglia così dalla sensazione inspiegabile che stavo provando ordinandomi di darmi una sciacquata nel catino colmo d'acqua poco distante e di indossare quello che, una volta che l'ho raccolto, ha tutta l'aria di un vestito. È beige, leggero, pratico. Si volta lasciandomi l'intimità necessaria e io obbedisco velocemente contenta di potermi liberare dello straccio informe che ho indossato nei passati giorni.
Quando sono nuovamente vestita inizia a parlarmi di qualcosa ma subito è interrotta da una serie di schiamazzi e di grida.
"Resta qui." mi impone perentoria dirigendosi alla porta.
Temo possano essere le guardie, temo mi abbiano trovata e rabbrividisco guardandomi attorno alla ricerca di una via di fuga. Ros spunta pochi istanti dopo sulla porta.
"Vienimi ad aiutare, svelta!"
Mi muovo veloce e la seguo nuovamente verso l'ingresso.
E lo vedo.
Nine.
A terra, coperto di liquido nero e viscoso, in una posizione scomposta che non preannuncia nulla di buono.
"Tirate per le braccia." dice Ros rivolta a me e ad un paio di altre donne che annuiscono decise prima di fare come dice.
"No, no, no! You can't hide it here!" sbotta qualcun'altra fra quelle che si stanno limitando ad osservare la scena.
"Shut up." sibila Ros continuando a tirare il Bot.
"Are you crazy?!"
"Shut up!" la fulmina Ros.
Con qualche difficoltà e sforzi che non credevo di riuscire ad affrontare senza cibo in corpo siamo in grado di portarlo fino al letto di Ros. Lei congeda le altre donne, mentre io non riesco neanche a pensare razionalmente.
Sento la strisciante preoccupazione farsi largo dentro di me senza che io possa imbrigliarla in alcun modo e questo mi atterrisce. Non dovrei sentirmi così, dovrei solo fregarmene, essere grata della mia sopravvivenza. Invece vorrei solo Nine si svegliasse, ora, in questo momento.
"Morirà, non è vero?" domando mesta chinandomi al suo fianco e togliendo con il pollice un po' di sostanza nera dal suo viso.
Il metallo di cui è composto è tutto bozzi e scalfitture, i cavi sono recisi e pendono macabri dal suo corpo.
Guardo finalmente Ros spaventata dall'espressione che potrei trovarle in viso, invece lei sorride.
"È solo rotto. Fortuna che posso ripararlo."
 



 

Eccoci con un altro capitolo.
GRAZIE a chi ha trovato questa storia abbastanza interessante da farne qualcosa (seguirla, ricordarla, preferirla, recensirla). 
Come sempre spero sia divertente da leggere quanto è stato scriverla... e se vorrete farmi sapere sarò contenta! 
A presto, presto, presto!
DonnieTZ

 

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Capitolo 4
*** Noi ***


 
Non saprei dire quanti giorni siano passati, esattamente. Le mie ferite sono state curate, ho mangiato, dormito, vegliato la maggior parte del mio tempo. Ros ha impiegato un'eternità a sistemare Nine, che ha comunque un aspetto terribile, parla poco e passa il suo tempo con gli occhi chiusi, immobile. Ros dice che bisogna aspettare che l'olio nero con cui l'ha ricaricato torni a circolare in tutto il corpo, anche se non ho davvero capito cosa questo significhi per lui.
Non ho lasciato il suo fianco un secondo. Ho dormito qui, con la testa appoggiata sul letto, seduta su una sedia, in attesa delle poche volte in cui il Bot è stato in grado di parlare. Ros si è limitata a lasciarmi fare, trasferendosi in una delle stanze vicine.
Ora sono sfinita, chiudo gli occhi di nuovo, nella stessa posizione degli ultimi giorni, facendo scorrere la mia mano sulla superficie ruvida del lenzuolo fino a trovare la sua. Insinuo le mie dita nel metallo freddo del suo palmo e stringo un poco.
"Non dovresti... essere...qui."
Scatto nuovamente dritta al suono della sua voce, lasciando la sua mano con fare colpevole. Aspetto, per capire se questa volta è davvero tornato o se piomberànuovamente nell'oblio in cui sembra aver galleggiato negli ultimi giorni.
"Nine?" mormoro, cauta.
"Loto." risponde lui, aprendo piano le palpebre.
Non posso impedire ad un leggero sorriso di dipingermisi in viso. Ho smesso di farmi domande da quando lui è comparso ridotto in quello stato pietoso. Ho smesso di indagare, di impedire, di controllare. Eppure ho comunque sfilato la mia mano dalla sua, perché è tutto così assurdo, così complicato, così inspiegabile. Dov'è Madre Terra? Perché si è dimenticata della mia esistenza, di tutto ciò che rappresento e significo nel mio mondo lontano? Perché sono qui, perché con lui?
"Stai bene?" domanda con voce ancora un po' metallica.
"Dovrei chiederlo io a te." rispondo, distogliendo lo sguardo.
"Ros saprebbe riportarmi indietro anche se fossi ridotto in polvere."
Il fastidio a cui non so dare un nome si ripresenta, ma lo ingoio senza darlo a vedere. Sono solo contenta che nessuno sia rimasto ferito a causa mia. Devo essere contenta solo per questo.
"Come ha imparato?" domando.
"Era una tecnica addetta ai Bot."
Lo osservo stupita, mentre tenta di mettersi seduto facendo forza sulle braccia.
"Ha scoperto che diventiamo senzienti dopo un certo periodo di vita. L'ha scoperto, ma l'ha anche tenuto segreto. Così è finita qui per punizione."
"Io credevo..."
"Potresti quasi considerarla mia madre."
Ros entra come una furia nella stanza.
"No, no e ancora no, Nine, devi stare steso ancora un po'. Giusto un paio d'ore." dice decisa, portando altro olio nero in una bottiglia per iniettarlo nuovamente al Bot.
Lui mi guarda e posso quasi leggere un'espressione divertita nel liquido scuro dei suoi occhi, prima che si sdrai ancora fra le lenzuola.
"Loto, tienilo d'occhio." mi ordina, dopo aver frettolosamente ricaricato il Bot, prima di lasciarci soli con la stessa velocità con cui è arrivata.
Sento del sollievo, lo avverto chiaramente in ogni fibra del mio corpo.
"E adesso cos'è quest'espressione?" domanda Nine.
"Solo... io credevo che voi... che fra di voi..."
Piano, lentamente, la sua mano si alza verso il mio viso. Voglio essere sfiorata, lo desidero più di ogni altra cosa, ma vorrei anche si fermasse. Ora. Prima che tutto in me crolli in mille pezzi perché non mi comprendo più.
Il metallo entra in contatto con la mia guancia. Il pollice scorre sulla mia epidermide lasciando una scia fredda contro il caldo imbarazzato che riesco a percepire dipinto sul mio viso.
"Posso darti una cosa?" domanda il Bot, lasciando ricadere la mano.
Torno a respirare senza neanche essermi resa conto di aver trattenuto il respiro. Mi limito ad annuire perché non sono sicura di come potrebbe suonare la mia voce.
"Lì, nel cassetto. Ho chiesto a Ros di tenerli perché non scoprissero che mi divertivo a farli. Ce n'è uno con l'impugnatura..."
Prima che lui possa finire ho seguito le indicazioni e ho già trovato ciò di cui mi sta parlando. È un corto pugnale con l'impugnatura metallica lavorata perché sembrino due mani intrecciate. Quella di un Bot e quella di una donna. Quelle che potrebbero essere le nostre mani se il mondo fosse diverso, se noi fossimo diversi.
Mi rendo conto che le lacrime sono già ai lati dei miei occhi e sono contenta di essere voltata.
"Loto?"
Faccio un profondo respiro nel tentativo di riprendermi, ma non sembra funzionare troppo. Lo sento muoversi alle mie spalle e capisco che si sta avvicinando.
"No. Ros ha detto..."
In un attimo le sue braccia sono attorno al mio corpo.
"No." ripeto, senza oppormi davvero.
"Mi dispiace, vorrei essere in grado di controllarmi, ma non riesco. Mentre ero in quel buio senza senso sentivo solo la tua voce, ti potevo avvertire al mio fianco, mi hai tenuto ancorato a questo mondo. Non capisco cosa sia successo. Non ho idea del perché tu mi faccia questo effetto nonostante ti abbia conosciuto da così poco e nelle peggiori delle circostanze. So che mi disprezzi, so che sei una donna dell'Oasi e hai tutti i motivi per odiarmi, ma lasciati sfiorare solo un secondo e poi prometto che non ne parleremo più, ti aiuterò ad andare dove vorrai, ti farò scappare da qui ad ogni costo."
"Hai sognato, mentre eri via?" domando piano, più per mantenere le distanze e spazzare via l'emozione che mi si è accumulata dentro nel sentire queste parole.
Devo averlo stupito. Forse si aspettava urlassi e scappassi. In realtà non vorrei andare da nessuna parte se non dov'è lui.
"I Bot possono sognare?" chiarisco, mentre la mia voce tremante riesce solo ad imbarazzarmi.
"No, non possiamo. Forse, se tu lo volessi, potresti insegnarmi."
"Non credo sia qualcosa che si può imparare." ammetto mesta.
"Non voglio essere un Bot ai tuoi occhi."
"Ma lo sei." dico decisa.
Il suo abbraccio si scioglie e io posso finalmente voltarmi. Si è seduto sul letto e mi guarda quasi dispiaciuto. Cerco di capire cosa fare, tento di trovare delle risposte. Alla fine mi decido e tendo una mano verso di lui, avvicinandomi lentamente.
"Un Bot è ciò che sei e guardami, non riesco neanche a stare lontana da te, immagina odiarti. Non voglio vederti in nessun altro modo. Non voglio dimenticare ciò che sei, perché è da questo che io vengo attirata come una falena dalla luce."
Sto stringendolo al mio petto, lui affonda il viso nella mia veste aprendo le sue mani fredde sui miei fianchi. Mi sento minuscola, mi sento persa e ritrovata assieme.
Mi allontana leggermente e insinua la sua mano sotto il mio mento. Ho paura. Ho così paura che non muovo un muscolo, ma non è paura di lui. Ho paura per noi.
Mi attira a sé piano, dandomi tutto il tempo di fuggire.
"Sono una Dama Bianca." mormoro, quando le sue labbra metalliche sono ad un respiro dalle mie.
"Lo so."
"Non ho mai... non posso avere un uomo nelle mie terre." ribadisco, anche se so che lo sa.
"Come hai detto tu io sono un Bot, non un uomo." conclude quando ormai le nostre bocche si sfiorano.
Si appoggia contro di me, sento il freddo diffondersi dalle labbra a tutto il mio essere. Mi indaga con delicatezza, carezzandomi con la superficie liscia delle sue labbra. È un contatto impercettibile e gelido, che diffonde piccoli brividi lungo la mia schiena. Le mie labbra si dischiudono piano, come governate da una volontà autonoma, e avverto la superficie liscia della sua lingua serpeggiare contro la mia. Movimenti lenti ma intensi iniziano ad imporsi alle nostre bocche, alle nostre mani che si cercano, ai nostri corpi. Mi attira ancora di più contro di sé, mettendomi a cavalcioni sulle sue gambe. Le mie, esposte dalle vesti, sentono immediatamente freddo contro la superficie metallica delle sue. In breve tempo ricordo che è nudo sotto il lenzuolo che quasi non lo copre più. Mi stacco velocemente.
Mi osserva con apprensione negli occhi neri.
"Io... io..."
"Loto?"
"Io sono una Dama Bianca." ripeto, in una specie di trance velata di panico.
"E io un Bot. Pensavo fossimo già passati da qui."
"Io non ho idea di... di cosa stiamo facendo e..."
"Non stiamo facendo niente che tu non voglia fare, ok? Andremo fin dove vuoi tu, ci fermeremo quando vorrai fermarti. Voglio solo tu stia bene, qui, con me." mi mormora.
Dovrei scavare a fondo e scoprire cosa desidero, ma la paura di trovare una risposta che già conosco mi attanaglia. Nine. Solo e soltanto Nine.
"Cosa accadrà dopo?" domando, appoggiandomi alla sua spalla.
"Dopo?"
"Dove andremo, cosa faremo?" continuo, tornando a fissarlo negli occhi.
"Noi?"
Lo osservo nel sentire questa domanda. Certo, noi. Non potrebbe essere altrimenti. O forse per lui non esisterà nessun noi?
"Noi." ripete più deciso "Noi potremmo trovare rifugio nelle Città di Sabbia, dove si stanno nascondendo i ribelli. Lì accettano chiunque. Sono certo ci ascolterebbero, sono sicuro ci accoglierebbero."
Non riesco a bloccare il sorriso di sollievo che mi allarga le labbra e, nel vederlo, Nine affonda la mano fra i miei capelli per attirarmi a sé e baciarmi nuovamente. C'è gioia in questo bacio, speranza, aspettativa. C'è passione. Incontrollabile mentre mi muove contro di sé, delicata mentre mi sfila la veste con piccoli movimenti delle dita, inaspettata mentre scosto il lenzuolo e siamo entrambi nudi. Ferro contro carne, pelle contro metallo, ghiaccio e fuoco. Mi solleva per sdraiarmi sul letto e i nostri occhi non si lasciano neanche per un istante. Ci stiamo addentrando in un territorio inesplorato, stiamo affondano in un mare sconosciuto, anneghiamo dentro noi stessi. Mai, in nessun racconto, si è parlato di una donna dell'Oasi e di un Bot che si amano, mai una cosa del genere è stata pensata. Invece eccoci qui.
"Tutto bene?" domanda insinuandosi piano dentro di me.
La familiare sensazione di fresco arriva in punti del mio corpo che la accolgono con fastidio e piacere allo stesso tempo. Non posso parlare, sono troppo coinvolta, troppo sconcertata e sorpresa. Quando ormai sono modellata attorno a lui, Nine inizia a muoversi. Piano, con cura e delicatezza, in un ritmo che sembra una danza. Nonostante sia fatto di ferro è attento a non soffocarmi, lasciando defluire il peso sulle braccia ai lati del mio corpo. Continua, a lungo, toccando la mia anima in luoghi che neanche io sapevo esistere, scuotendomi nel profondo come una rivelazione, spingendomi a conoscere più di me stessa che di lui. Quando il ritmo è ormai incalzante, Nine si placa e una leggera scossa mi arriva dal suo corpo. Negli occhi vedo il riverbero di un lampo bluastro.
Resta dentro di me mentre mi accarezza il viso.
"Stai bene? Ti ha fatto male?" domanda.
Ho il fiato corto e mi sento stremata, ma sto infinitamente bene. Lo bacio piano perché le parole non possono davvero dare una risposta adeguata. Si sdraia al mio fianco e mi attira contro il suo petto. Appoggio il mio viso su di lui, quasi estraniata dal mio essere, scollegata dalla realtà. Esistiamo solo noi e vorrei fosse così per sempre, per davvero.
"Nine?"
"Dimmi."
"Voglio restare al tuo fianco."
Una carezza la sua risposta. Mi stringe con una leggera forza che trasmette possesso e complicità.
"Riposa, Loto. Dovrò comunque sconnettermi anche io, quindi aspettiamo domani per decidere dove andare e come arrivarci. Quello che conta è che lo faremo assieme."
Mi addormento quasi subito, esausta.
 
Rumori caotici mi svegliano di colpo. Ho paura ancora prima di comprendere perché. Getto uno sguardo rapido a Nine e mi rendo conto che ha ancora gli occhi chiusi e il corpo rigido. Cerco di staccarmi da lui e, quando ci riesco, provo a scuoterlo mentre i rumori si fanno sempre più vicini, sempre più confusi.
"Nine! Nine!" sibilo.
La porta, però, si spalanca e irrompe la donna che non ci voleva qui, quella che si è scagliata contro Ros all'arrivo di Nine. Ci indica e io tento di coprirmi come posso con il lenzuolo.
"Ecco, cosa vi dicevo? Ros li ha portati qui!" sbotta secca.
Solo in quel momento fa il suo ingresso un soldato, seguito da molti altri con le armi sguainate.
"Ros non è più un problema." dice caustico, con l'ombra di un ghigno a deformargli il viso.
Il panico mi pietrifica, sono immobile, il cuore che batte nel petto spingendo contro la cassa toracica con violenza. Nello stesso momento in cui queste parole sono pronunciate Nine, che fino ad un secondo prima mi sembrava dormiente, si alza di scatto e si scaglia contro l'uomo.
Tutto succede in un secondo. Il soldato che ha parlato viene lanciato dall'altra parte della stanza, alcuni fanno la stessa fine sotto i colpi decisi di Nine. Alla fine qualcuno colpisce il Bot con un lungo tubo dall'estremità biforcuta. Un lampo bluastro si diffonde dalla nuca di Nine, dove la strana arma si è abbattuta. Il Bot crolla al suolo.
L'uomo alla guida del gruppo si rialza battendo le mani sui pantaloni come a volerli pulire dalla polvere.
"Se solo nell'Oasi aveste questi. Sono in grado di neutralizzare un Bot in un attimo." ride.
Corro da Nine riverso a terra e sento la mia voce farsi tenue mentre provo a svegliarlo.
L'odioso soldato si avvicina e mi allontana dal corpo metallico che stringevo solo qualche minuto prima, nonostante le mie urla e il mio dimenarmi incontenibile.
"You'll be the most desired bitch of all the Iron Cities." mormora nel mio orecchio nella sua lingua, trascinandomi fuori dalla stanza.
Mentre vengo portata via scorgo Ros a terra, nel corridoio, in una pozza di sangue, con gli occhi vitrei della morte.
Urlo e continuo ad urlare, mentre mi portano ad incontrare il mio destino.




 

Ciao!!
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Oh, già sento la mancanza. 
Fatemi sapere cosa ne pensate fino a qui, se vi va!! 
Grazie mille a chi l'ha fatto in precedenza, a chi ha letto questa storia e a chi continua a farlo. Siete importanti!!
DonnieTZ 


 

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Capitolo 5
*** Sacrifici ***


 
Hanno dovuto sedarmi  per potermi vestire. È calata su di me una calma ovattata e apatica. Sugli occhi mi hanno spalmato una sostanza appiccicosa come usano le donne di qui e fra i capelli sono avvolti piccoli oggetti scintillanti. Mi osservo nello specchio, mentre l'effetto stordente svanisce e, pian piano, riprendo lucidità; gli avvenimenti delle ore precedenti iniziano a scavare un lento buco nella mia anima più io li ricordo. Trattengo fra le dita la veste trasparente in cui mi hanno avvolto, sentendomi terribilmente troppo esposta, vulnerabile, abbandonata.
Più di tutto questo, però, più di ogni altra atrocità, a spaventarmi è il marchio impresso sul mio ventre. Come quello delle donne nella casa. Barcode, ecco come si chiama.
Ho urlato tanto da ferirmi la gola. E scalciato e graffiato e urlato di nuovo.
Niente è servito.
Sono stata marchiata.
La stanza in cui sono stata abbandonata è lussuosa. Distolgo il mio sguardo dal riflesso e inizio a vagare, facendo scorrere sotto le dita i tessuti morbidi che ricoprono la mobilia.
Quando la porta scatta, sobbalzo e mi volto improvvisamente verso l'entrata.
È lui. Il mostro. Il soldato. L'assassino.
"Eccola, la Dama Bianca."
Un ghigno ravviva il suo viso scarno. 
Con l'affievolirsi dell'effetto stordente rimonta in me tutto l'odio che credevo disperso.
"Allora, tu e il Bot, eh?"
Si avvicina furtivo, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, estraendo lentamente dalla cinta un pugnale. Lo riconosco immediatamente: l'elsa riflette la luce soffusa della stanza, una mano robotica e una mano umana che si stringono. 
Il mio pugnale. Mio e di Nine.
L'uomo si avvicina ancora e io cerco di non indietreggiare; non devo né voglio dimostrargli che mi fa paura, che sto solo pensando a Nine e a cosa possono avergli fatto, che tutto quello che vedo quando chiudo le palpebre è lo sguardo vitreo di Ros.
Quando è ad un passo da me, allunga la mano e mi sfiora con la punta del pugnale.
"Desideravo provarti prima di metterti sul mercato." mormora.
Ricaccio in gola l'insulto e resto immobile.
"Avanti, verso il letto." ordina, puntando appena un poco di più la lama contro la carne tenera dell'addome.
Indietreggio ubbidiente, finché non avverto il bordo in legno del letto sbattere contro il polpaccio. Con un colpo secco il pugnale scorre sotto il nodo che regge la sottile veste alla mia spalla. Il tessuto cede, si taglia e cade in terra in un mucchio scomposto. 
Sono nuda.
"Mh, come dargli torto... sei una donna dell'Oasi, dopotutto. La vostra bellezza è leggendaria."
La sensazione di disgusto serpeggia sulla mia pelle, penetrandomi la carne fino alle ossa. Lo odio. Lo odio con un'intensità tale che riesce a darmi forza, che riesce a darmi lucidità.
Perché le donne dell'Oasi non sono famose solo per la loro bellezza.
Sferrò una ginocchiata fra le sue gambe e lui cade al suolo quasi subito.
"Brutta pu..."
Non lo lascio finire, perché lo colpisco con un calcio in viso. La pianta del piede inizia a mandarmi scosse di dolore quasi subito, ma la ignoro alla ricerca del pugnale. In questo breve scontro è rotolato sotto il letto ma è ancora visibile. L'uomo cerca di riacquistare il controllo e sporge la mano per afferrarlo, ma io sono più veloce.
Si tasta alla ricerca della pistola, continuando a respirare boccate d'aria che non serviranno a far mandare via il dolore. Lo immobilizzo sedendomi cavalcioni sul suo petto, strizzandogli le braccia assieme al tronco perché non possa muoversi. Siamo a terra, immobili, a fissarci in cagnesco.
"E... cosa farai... ora? Vuoi ammazzarmi?"
"Dov'è Nine?"
Una risata rauca e fiacca si propaga dalle sue labbra.
"Il... tuo... Bot..."
Alzo il pugnale minacciandolo.
"Dimenticalo." sibila.
La rabbia esplode e divampa come fuoco. Affondo il pugnale nel suo addome e recito la mia preghiera di vendetta.
"Questo è per Ros, donna delle Città di Ferro. Il tuo oltraggio è stato punito, Madre Natura ti riporterà nel suo grembo, ma il tuo spirito vagherà per il deserto senza pace fino alle alte montagne, dove sopravvivrà di luna in luna in eterno oblio." sibilo ad un centimetro dalla sua faccia.
Mi alzo, sfilando il pugnale dalla sua carne. Pulisco la lama e le mie mani sulle lenzuola, poi afferro sbrigativa la veste sperando di poter guadagnare l'uscita da quel posto il prima possibile. 
Una pozza cremisi si allarga implacabile sotto l'uomo che sto abbandonando, ma non mi fermo, cammino svelta.
L'ho ucciso e lo rifarei, non sono pentita. Non riesco a sentire più nulla che non sia gelido e granitico odio. Preoccupazione, forse, all'idea di ciò che potrebbe essere accaduto a Nine. Devo trovarlo. Supero qualche porta, percorro qualche corridoio, cercando di orientarmi. Voltando un angolo, all'improvviso, vedo di sfuggita un gruppo di soldati.
Mi rannicchio, sperando non debbano procedere nella direzione in cui mi sto nascondendo, e loro si avvicinano, camminando rilassati, chiacchierando.
"Così ha detto: portarlo nella sua stanza dopo dieci minuti."
"Che vuole farne, si può sapere?"
"Oh, a chi importa. Vorrà mostrarlo alla donna dell'Oasi. Forse vorrà addirittura usarlo su di lei, chi può dirlo?!"
Svoltano e percorrono un corridoio che li allontana da me. Sentendomi chiamata in causa mi sporgo per gettare una rapida occhiata.
E lo vedo.
Nine.
Circondato da cinque soldati, cammina ritto, svettando per altezza. Riesco a scorgere la sua nuca oltre i presenti. Improvvisamente mi coglie un assurdo sollievo; solo dopo qualche istante realizzo che qualcosa non quadra, che non dovrebbe andare con loro, che non riesco a spiegarmi il significato delle parole dei soldati.
Vorrei seguirli, perché Nine è con loro e io devo stare con lui, assicurarmi che stia bene, eppure so cosa troveranno in quella stanza, so che mi cercheranno ovunque e so di dovermi allontanare.
Corro.
Non ho idea di dove mi stia dirigendo, non so come trovare l'uscita e, mentre i corridoi e le porte si susseguono, scatta un allarme.
Un suono acuto e prolungato che squarcia l'aria.
Non passa neanche un secondo che lungo i corridoi rimbalza l'eco dei passi dei soldati. Sembrano molti, sembrano impegnati a rispondere all'emergenza quanto più velocemente possibile. Improvvisamente mi coglie la consapevolezza di dover correre, scappare, liberarmi, trovare Nine.
Trovare NineTrovare l'uscita?
Inizio a scappare tenendomi rasente i muri. Non posso andare da lui, per quanto ne senta la necessità quasi fisica. Mi avvicinerei troppo alla zona calda e sento, invece, che è meglio allontanarmene il più possibile.
Il problema – il nuovo problema – è che quello in cui mi trovo è una specie di labirinto. Sembra una zona residenziale, una lussuosa zona residenziale, fatta di corridoi lindi tutti dannatamente simili fra loro.
Inoltre devo stare attenta ai soldati, che sembrano sbucare da ogni angolo. Quando due gruppi si avvicinano al vicolo cieco dove mi sono rintanata, il panico mi serra la gola. Non riesco a ragionare, non riesco a pensare lucidamente. L'ultima volta che sono fuggita dai soldati c'era Nine a coprirmi le spalle.
Mentre il ricordo vivido di lui si ricompone nella mia mente sento una voce.
La sua voce.
"Rilevo fonte di calore."
Poche parole, semplici, insignificanti. E in un attimo mi sono tutti addosso. Puntano su di me le loro pistole stordenti, vociano di alzare le mani, intimano di stare ferma.
In tutto questo caos, con il panico che è ormai esploso, riesco solo a trovare il viso di Nine che svetta alle loro spalle.
Due occhi neri che mi scrutano come fossi un insetto particolarmente fastidioso.
I suoni diventano improvvisamente impalpabili, ovattati. L'ultima immagine, l'estremo barlume di lucidità prima che il buio dell'incoscienza mi avvolga, è una richiesta, una supplica, una preghiera.
"Nine..."
***
Sento le ciglia appiccicate fra gli occhi, ma faccio forza e spalanco le palpebre. Sono in una stanza, legata ad una liscia e gelida sedia. Davanti a me, pallido e bendato, c'è il mostro. Il soldato che ho accoltellato, il crudele carnefice di Ros, di Nine e presto, sospetto, anche mio.
"Sei tornata fra noi, Loto." sibila, ad un centimetro dalla mia faccia.
Attorno a noi ci sono circa cinque soldati e il Bot, Nine, che nella penombra mi scruta. È rigido, ritto in piedi, terrificante.
"Nine? Nine?" chiedo un paio di volte, ancora confusa.
"Lui non parla. Esattamente come gli è stato ordinato. Perché vedi, piccola stupida idiota, i Bot sono nostri. Troveremo sempre il modo di farli tornare sotto il nostro controllo. Capisci? La tua ristretta mente da selvaggia comprende quello che sto dicendo? Immagino di no... immagino sia necessaria una dimostrazione."
La sua voce è nauseante, ma mai come il movimento della sua testa quando si rivolge a Nine. Il Bot si muove verso di me con passo deciso, alza la mano, mi fissa un istante, e colpisce.
La sua mano metallica cala sulla mia mascella con forza controllata, lasciandomi stordita. Il dolore è sordo, pungente, mi annebbia la vista.
Se volevo una conferma, eccola. Il Bot che ho davanti non è più Nine, il mio Nine.
"Sai" dice il soldato con la sua voce viscida, restando in disparte mentre il Bot troneggia su di me "Credo tu debba pagare per ciò che mi hai fatto. Hai idea di quanto mi costerà un impianto per riparare al tuo danno?! Sì, una punizione adeguata..."
Un altro gesto al Bot, probabilmente istruito in precedenza, e la mano metallica cala su di me. La mia veste, già strappata in più punti, viene stracciata dal mio corpo come carta. Resto nuda, immobile, legata e impotente.
"Vedremo se ti piacerà ancora." sibila il soldato.
Ricaccio indietro le lacrime, perché non può succedere davvero. Nine dev'essere ancora lì dentro, in quell'involucro di metallo e circuiti.
"Nine, ascoltami, ti prego. Ricordi cosa ci siamo detti? Restare uno al fianco dell'altra." ignoro le risate dei soldati "Stare vicini, trovare un posto che ci accetti..."
Il Bot non sembra ascoltarmi. Alza la mano e colpisce nuovamente. Sento il sapore del sangue fra le labbra.
"Nine... insieme..." mormoro.
La speranza è l'ultima a morire, si dice nell'Oasi, ma a volte muore e non c'è modo di riportarla indietro. Il Bot fa per slacciare la corta guaina che lo copre sotto la cintola e io mi limito a fissare un punto distante, oltre il suo corpo. 
È finita.
Quando sbatto le palpebre, una lacrima corre lungo il viso pulsante dal dolore. Decido di tenere gli occhi serrati. Forse è meglio e, se non potrò vederlo, farà meno male.
Un impercettibile contatto fresco asciuga la scia umida.
"Loto?" domanda, piano.
Lo fisso improvvisante, e negli occhi di onice scorgo il mio Nine. Non ho idea di come sia tornato o perché, ma la speranza si gonfia nuovamente nel mio petto.
Un soldato lo realizza subito, ma Nine si affretta a colpirlo. Fra un attacco e l'altro tenta di liberarmi dalle strette corde sintetiche che mi trattengono. Incredibilmente un laccio si allenta e, mentre lui stende gli ultimi due, io sono libera. Strappa una casacca da uno dei soldati e me la porge mentre già stiamo iniziando a correre.
"Da che parte, Nine, da che parte?" domando frettolosamente.
In due falcate mi supera e tende la mano perché io gli stia dietro. O almeno questo è ciò che credo, perché mi afferra e mi solleva. Siamo veloci, incredibilmente svelti.
"Al confine. Non possiamo affrontare un viaggio nel deserto senza viveri per te... ma non possiamo stare qui. Per ora andremo dove le carovane dei nomadi fanno gli scambi commerciali con le Città di Ferro. Forse ci daranno un passaggio."
Continua a correre deciso, prendendo varie scorciatoie e uscendo finalmente sui ballatoi che costituiscono l'intera città.
"Non abbiamo niente da dare loro, non accetteranno mai senza guadagnare nulla!"
"Sono fatto di olio nero, Loto, loro non vogliono altro!"
"Ma tu ne hai bisogno per vivere!"
"Ci penseremo dopo." conclude lui.
Entra in un palazzo diroccato. Siamo in alto, troppo in alto e sono certa dovremmo scendere per raggiungere il deserto. Mi poggia piano in piedi e c'è un silenzio irreale. Tutto è polveroso e in rovina.
"Guarda." mi incita, indicando una grande vetrata che si apre nel muro, incrinata e polverosa. Mi avvicino e scorgo il Grande Deserto che si estende fin dove l'occhio può guardare. Presto Nine mi affianca e indica qualcosa molto più in basso.
"Carovane nomadi." mormora.
Le posso vedere chiaramente, con i loro tendaggi color sabbia e i cammelli. I nomadi si aggirano completamente ricoperti nei loro tradizionali abiti scuri ed è quasi impossibile distinguere le donne dagli uomini.
"Come ci arriviamo?" domando.
"Vieni con me. Questo posto è abbandonato, ma è da qui che le vedette avvistavano chi si avvicinava. C'è una lunga scalinata. È pericoloso, ma arriva fino al deserto."
Lo seguo piano, riprendendo il controllo di me stessa.
Realizzo che è Nine, che è tornato. Affondo nuovamente la mia mano nella sua mentre mi guida.
"Pensavo di averti perso." sussurro.
"Ero confuso. Mi sembravi così familiare, eppure non avevo idea di chi tu fossi. Solo quando... solo quando hai pianto ti ho riconosciuta. È stato strano."
Ascoltandolo non mi accorgo neanche di essere arrivata davanti ad una porta. Ha uno spesso vetro impolverato da cui si scorge il deserto nella parte superiore ed è fatta di metallo massiccio.  Nine poggia il palmo sulla grande maniglia.
"Sei pronta? Tieniti stretta."
Spalanca la porta e realizzo che il muro infinito che si getta a strapiombo nel deserto ha una scala aggrappata addosso. E all'apice di quella scala ci siamo noi. Mi gira lievemente la testa per l'altezza e lui mi stringe.
"Loto."
Lo osservo.
"Insieme." mormoro, facendomi forza del suo sguardo.
"Insieme." ripete lui.
Appoggia un casto bacio freddo sulle mie labbra.
"Non così in fretta!"
Ci voltiamo in contemporanea e il viso maligno del mostro spunta sulla porta seguito da quello che mi sembra un intero esercito.
"Nine!"
Ci vengono incontro e lo sguardo del Bot è disperato.
Mi spinge sulla scala con gesto veloce e non ho neanche il tempo di reagire. Lui è ancora dentro la stanza e si chiude oltre la porta, con i soldati, lasciandomi fuori. Sento un rumore stridente di metallo e capisco che deve aver deformato la maniglia.
"No! Nine!"
Batto con i palmi sulla porta, con forza, con urgenza.
I soldati gli sono addosso in un attimo e sono troppi. Posso vederlo attraverso il vetro e lui mi fissa mentre cede sotto i colpi insistenti.
Sento la sua voce, anche se mi arriva ovattata per la superficie solida che ci separa.
"Vai, Loto... vai dai ribelli! Vai! Vai!"
Mi allontano dalla porta mentre Nine cade inginocchio, il terribile soldato che troneggia su di lui con uno di quei bastoni biforcuti in grado di stordirlo.
"Nine..." mormoro.
Giusto in tempo per vedere il lampo bluastro sprigionarsi sulla sua nuca.
Inizio a correre per la scala, ignorando le vertigini. Devo scappare, devo andarmene. Ma un solo pensiero mi martella le tempie.
Nine, Nine, Nine, Nine...
Si è sacrificato per me e il suo sacrificio non deve andare sprecato. Per quanto faccia male, per quanto mi laceri l'anima, per quanto mi tormenti.
Dopo venti minuti salto nella sabbia granulosa del deserto. Non sono troppo distante dalle carovane nomadi e decido di intrufolarmi sperando non si accorgano di me. È vietato viaggiare con loro senza dare nulla in cambio, ma non riesco a pensare a nessun altro modo. 
Devo raggiungere le Terre Ribelli, devo farlo.
Perché un giorno, non importa quando, Nine mi raggiungerà. Ne sono certa, devo esserne certa. Perché è successo qualcosa in queste città maledette e non mi arrenderò al destino.
Che Madre Terra mi assista, mi sono innamorata di un Bot e non rinuncerò alla speranza di rivederlo.
 


 

Eccoci qui...
Non sono pienamente soddisfatta di quest'ultimo capitolo, ma dovevo consegnare e - nonostante un blocco pazzesco - ho tentato di scrivere ciò che avevo in mente. Come vedete è un finale aperto... lui potrebbe essere definitivamente morto o potrebbe davvero raggiungerla, un giorno, dove si sono promessi di incontrarsi e di stare assieme.
Fatemi sapere (o insultatemi XD).
Ringrazio chi l'ha letta, preferita/seguita/ricordata e, sopratutto, chi l'ha recensita fra cui la fantastica Danila Cobain!
Al prossimo racconto...
DonnieTZ

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