Angel, Devil and... Drunk!

di CloudyCat95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Instinct ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Angel, Devil and… Drunk!

Prologo
 
Andare per i bar di Newport non mi era mai piaciuto. Un po’ perché non mi piacevano i bar, un po’ perché c’era un casino madornale. Tutti quei beoni dall’alito puzzolente di alcol erano l’incentivo che mi faceva restare a casa a giocare ai video games.
I miei cari amici, gentilissimi, infatti, perché proprio mi conoscevano bene, mi avevano invitato al bar questo martedì sera. Io, restio, accettai lo stesso. Perché? Perché sennò rompevano il cazzo continuando con la storia dell’asociale. Che è vera, ma non mi andava giù.
Quella sera al bar, le scene furono tristi: metà dei miei “amici” non si erano presentati e l’altra metà erano già sbronzi.
Il locale, affollato e vivace – già, anche di martedì – mi stancava. Era troppo rumoroso e tutti gridavano senza motivo. Cosa ci trovassero nel bere e urlare, proprio non me lo sapevo spiegare. O, come avevo sempre ipotizzato, ero io quello strano.
D’un tratto tutti si misero a gridare ancora più forte e vidi che sul bancone del bar era salita una figura bassa e magra, una ragazza, completamente ubriaca che aveva cominciato a cantare con il microfono del karaoke. Mi stupii più per il fatto che avesse ancora la divisa scolastica addosso, quella della mia scuola. Ma non la conoscevo.
Dopo esserci rimasto malissimo per il fatto – perché io ci rimango male per ogni cosa, sappiatelo – pensai quasi di alzarmi dalla sedia del tavolino su cui mi ero appollaiato e andarmene. Ma non lo feci. Per un senso di protezione improvviso rimasi lì a guardarla mentre cantava stonatamene a squarciagola, con tutti quegli uomini barbuti e beoni che continuavano a gironzolarle intorno con chissà quale idea sconcia in testa. E ci pensavano loro a spronarla a continuare a cantare – povere le mie orecchie – e a brindare con boccali di birra senza motivo e a gridare ancora.
Lo so, sembra uno scenario infernale. Beh, lo è, per me almeno.
Alle una di notte passata – che inferno! – la ragazza dai capelli arancione acceso scese dal balcone bella brilla e si diresse verso i tavolini, più o meno dove ero io, e si stravaccò in qualche modo tra la sedia e il tavolino in ferro. Rimase lì immobile per 10 minuti buoni, poi si alzò di scatto e corse verso il bagno, immagino a vomitare l’anima. Un po’ disgustato la seguii, per accertarmi che stesse bene.
Ero sulla soglia del bagno delle donne e, manco fosse una discoteca, in un box del bagno si sentivano dei colpi e dei gemiti, di due che ci stavano dando dentro di brutto. Lei invece era al lavandino che si guardava nello specchio, malconcia. Anche se ero lontano notai i suoi occhi verdi che facevano contrasto con i capelli. Pensai che erano bellissimi. Il sogno fu brutalmente spezzato da un conato di lei che mi fece balzare all’interno della toilette e a reggerle la testa. Ci ero abituato, mia sorella tornava sempre tardi nel cuore della notte e spesso la prima cosa che faceva era correre in bagno a rimettere.
Restai con lei finché non si calmò, ma non ci volle molto. La sorressi per un braccio mentre uscimmo dal bagno, e prima che lei potesse anche solo accorgersi della mia presenza la portai deciso fuori dal locale, all’aria aperta. La portai lentamente su una panchina e ci sedemmo.
Guardai i il suo volto stravolto. D’un tratto aprì gli occhi e mi guardò.
«Grazie.» biascicò piano, cadendo subito dopo addormentata sulla mia spalla.


♦≈♦


Angolino dell'autrice
Strano inizio, insolito. Di getto, ho iniziato a scrivere la storia.
Per ora non sono ancora presenti tracce di fenomini strani, ma dal primo capitolo vedrete di cosa sto parlando xD
Questa è la mia prima storia in Originale, spero di non aver fatto una brutta figura e che vi piaccia >.<
Se volete lasciatemi dei pareri :) vanno bene tutti!
Ciau! :)

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Capitolo 2
*** Instinct ***


Angel, Devil and… Drunk!

Capitolo 1
Instinct
 
Mi risvegliai la mattina dopo nel letto di casa mia. No, non è una di quelle situazioni in cui non si sa come ci si è arrivati, ci sono andato con le mie gambe, portandola in braccio.
Infatti, dopo aver aspettato che i miei neuroni cominciassero a connettersi, mi alzai e mi diressi nel soggiorno per vedere se lei stesse bene. Non saprei dirlo, poiché dormiva beatamente sul divano.
La bava le scendeva dall’angolo della bocca, ma aveva un’espressione serena.
Non che mi importasse più di tanto, si era addormentata sulla mia spalla quella notte e non seppi che pesci pigliare se non portarmela a casa. Eh, mica potevo lasciarla lì su una panchina. Fortuna che i miei genitori erano via in vacanza e mia sorella era all’università fuori città.
Sta di fatto, però, che erano le 7:15 e dovevo prepararmi per andare a scuola. E anche lei.
In qualche modo cercai di svegliarla, la scuotevo delicatamente, anche perché immaginavo che avesse i sintomi del dopo sbornia quali mal di testa e nausea.
Di scatto si svegliò, balzando seduta sui cuscini del divano.
«Cos- che succede??» mi domandò, spesata.
«Tranquilla…sei a casa mia, ieri sera non ti svegliavi più e non ho avuto altra scelta che portarti qui.» le dissi, seduto sul tavolino accanto al divano.
Lei mi guardò attentamente, come in cerca di una risposta alla quale non aveva neppure posto la domanda.
«Potevi lasciarmi su una panchina.» affermò, alzandosi dal divano. Si guardò un po’ attorno, e poi si diresse verso la cucina.
Io, sconvolto, senza darlo a vedere, rimasi seduto sul tavolino. Certo, la prossima volta l’avrei lasciata direttamente ai piedi di un albero durante un temporale, perché no.
Mi alzai e la seguii in cucina, e quando entrai vidi che non aveva perso tempo: si stava scaldando il latte sul fornello, preso una tazza che, frugando, aveva trovato, e raggiunto la scatola di cereali al cioccolato avvistati sulla mensola in alto.
«Perché i cereali li mettete sempre in alto, voi?» mi ammonì pure. Che faccia tosta.
Incrociai le braccia e mi appoggiai di spalla all’uscio della porta della cucina. Di solito mi facevo teghe mentali prima di parlare con una persona, ma in questo caso non era necessario farsi problemi, visto il modo in cui si comportava.
«Certo, fai come se fossi a casa tua.» cercai di sgridarla. Ma niente. In qualche modo riuscì a prendere la scatola di cereali e la poggiò sulla tavola, spegnendo subito dopo il latte.
«Di che ti lamenti? Sei stato tu a portarmi a casa tua senza il mio consenso.» ribatté versandosi il latte caldo nella mia tazza degli Avengers. E poi ci aggiunse i cereali.
«Ah, ok, la prossima volta ti lascio nel bagno del bar a morire.» risposi, penso, troppo cinico per quello che sono.
«Non penso ci sarà una prossima volta.» rispose secca, prendendo una cucchiaiata di cereali inzuppati.
Non risposi e presi la moka per fare il caffé, misi dentro l’acqua, la polvere di chicchi di caffé e la misi sul fuoco basso. In pochi minuti mi feci anche il latte, che versai in un’altra mia tazza (di Iron  Man) assieme al caffè caldo.
Lei mi guardò per tutto il tempo.
«Come hai detto che ti chiami?» mi chiese poi.
«Non l’ho detto.» risposi inizialmente, ma vedendo il suo sguardo stizzito riformulai il mio responso. «Aaron. Aaron Price.» e bevvi un sorso di caffellatte.
«Lia.» mi disse lei, in cambio. Ma solo quello.
«Solo “Lia”?» le chiesi, stavolta ero io quello ad essere infastidito. Le avevo detto il mio cognome. Pretendevo il suo! – ok, me la prendo per molte cose, lo so.
«Per ora è quello che ti serve sapere.» mi sorrise. Per la prima volta, in quella mattinata, mi sorrise. Ed era un sorriso bellissimo, come il sole di maggio (anche se eravamo a ottobre inoltrato). E non mi importò più di sapere il suo cognome.
Soprappensiero guardai l’orologio al mio polso – sì, sono uno di quelli sfigati che guarda l’ora sull’orologio anziché sullo smartphone costoso e fragile – e mi scappò un «Porca miseria!» erano le 7:30, dovevo sbrigarmi sennò sarei arrivato in ritardo a scuola. Quindi mi alzai di corsa e mi diressi verso la camera, e in cinque minuti mi cambiai e mi misi la divisa scolastica – ne avevo ben due, nel caso una fosse troppo sporca da non poter metterla.
Lei mi corse incontro mentre ero ancora intento ad allacciarmi la camicia.
Notò che avevamo le divise della stessa scuola. «Cazzo! Non posso andare a scuola conciata così!» andò nel panico.
«Tranquilla, ne ho un’altra, ma è maschile, se a te va bene.» le dissi, cercando di tranquillizzarla.
Lei ci pensò su una frazione di secondo, perché subito mi rispose di sì, e di getto le lanciai la mia seconda divisa.
La cosa che più mi sconvolse fu che si cambiò lì, con me nella stanza. Mi girai di scatto, perché, da ragazzo per bene, ci si deve girare. Ma io non ero del tutto un ragazzo a modo, e con la coda dell’occhio la guardai. E mi girai del tutto verso di lei quando vidi una cosa apparsa dal nulla.
«Quando hai avuto il tempo di farti una mèche rossa?» domandai, super confuso.
Lei si fermò e mi guardò. Non solo aveva cambiato colore a una ciocca di capelli, ma dal sorriso che mi faceva si scorgevano due lunghi canini affilati alla “Damon Salvatore” e le iridi degli occhi avevano preso un innaturale colore rosso sangue.
Vestita per metà, solo la mia camicia, lasciò perdere i pantaloni e cominciò a dirigersi verso di me.
Ora, in pieno possesso delle mie facoltà mentali, posso dire che avesse una forza sovrumana dalla facilità con cui mi prese e scaraventò sul mio letto ancora sfatto. Senza accorgermene me la ritrovai sopra di me, che mi guardava con una voglia di sesso mai vista prima – scusate se sono così schietto – e senza lasciarmi il tempo di dire un parola mi tappò la bocca con le sue labbra, cominciando a sbottonarmi la camicia e infilando una mano nei pantaloni che mi ero appena messo.
Ed era come se fossi costretto, come la compulsione che usano i vampiri, solo che ero cosciente a livello inconscio di ciò che facevo. È strano da spiegare, ma era come se lo volessi anch’io, senza volerlo davvero.
 
Mi sdraiai sul letto, ansimante. Avevo riacquistato la ragione. Cosa mi era successo? Avevo saltato scuola e avevo fatto sesso?
Mi girai verso di lei. Aveva ancora la ciocca di capelli colorata di rosso, e stava dormendo.
La fissai per alcuni minuti, e dopo un po’ notai, tutto coi miei occhi, che la mèche cominciò a sbiadirsi, fino a ritornare arancione, come il resto dei suoi capelli. E si svegliò. Aprì gli occhi, tornati verdi, e mi fissò, quasi imbarazzata. Cioè, eppure aveva cominciato lei!
«Scusa, faccio fatica a controllarlo.» mi disse. Controllare cosa?
La guardai confuso e lei lo notò, perché cominciò a spiegarmi, in qualche modo, qualcosa.
«È che tipo…cioè io sono un po’ “strana”, non so se mi spiego.»
«Sei un vampiro?» le chiesi, perché era la spiegazione più plausibile in questo momento.
«Oh ma no! Schifo, i vampiri fanno schifo. Cioè, tutto quel sangue…bleah.» mi rispose di riflesso.
«Cosa sei?»
Tornò a guardarmi seria. «Sono qualcosa. Tipo, vado per istinto, ragione, ed emozione. Ragione: eccomi qui. Istinto: capelli e occhi rossi. Emozione: ciocca di capelli bionda e occhi azzurri.» mi spiegò.
Io non ebbi altra scelta che crederle, anche perché non riuscivo a darmi altre plausibili spiegazioni. «Quindi…in modalità ragione sei un’ubriacona e in modalità istinto diventi  una sgualdrina?» non so da dove mi uscissero quelle parole, forse dei rimasugli dell’effetto di prima, ma sta di fatto che le pensai davvero. E lei si offese, evidentemente, perché mi diede un pugnetto sul braccio – e mi ritenni fortunato che non avesse più quella forza sovrumana di prima – e si alzò dal letto, con lo sguardo corrucciato, cercando la biancheria e la sua divisa femminile per la stanza, e dirigendosi in bagno.
Notando che non tornava, mi alzai dal letto, mi misi i boxer ed entrai nel bagno, trovandola in biancheria seduta sulla lavatrice accesa.
«Che stai facendo?» le chiesi, appoggiandomi all’uscio.
«Ho messo a lavare la mia divisa, spero non ti dispiaccia, ormai mi sa che non si va più a scuola.» mi rispose con lo sguardo basso, con una nota di tristezza nelle parole.
Rimorsi. Rimorsi dentro di lei.
Non so se fosse per paura o altro, ma uscii dal bagno, tornando in camera e aprendo l’anta dell’armadio in cui vi era lo specchio.
Quella camera era, in passato, di mia sorella, ma da quando si era trasferita era passata a me, perché era più grande della mia. Il fine settimana, quando scende dall’Università di Boston (non molto più in su di Newport), è lei a dormire nella mia vecchia camera. Sì, insomma, ce le siamo scambiate.
Guardai il mio riflesso. Avevo sudato, e avevo bisogno di una doccia. Con la mano mi portai all’indietro i capelli neri, chiusi l’anta e tornai in bagno.
Continuavo a ripetermi che per fortuna i miei non erano in casa. I miei. Già. Ma i suoi? Con chi avrei dovuto fare i conti? Ora che ci stavo pensando non avevamo nemmeno usato il preservativo.
La trovai ancora seduta sulla lavatrice. Abbassai il coperchio del water e mi sedetti lì, in silenzio. Poi le parlai.
«I tuoi genitori?»
«Perché dovrebbe interessarti?» mi chiese, ancora stizzita per prima. «Non è successo nulla di importante, tra noi due, nulla. Ormai non ci faccio più caso a certe situazioni in cui mi ritrovo.»
“Ormai”? «Scusa ma…quante altre volte ti è successo di fare sesso con gli sconosciuti?» cioè, non potevo non farla questa domanda.
Lei mi guardò incerta sul rispondermi o no. La capivo, nemmeno io, se fossi stato una ragazza, sarei andato in giro a dire con quanti sono stato a letto.
«Ho perso il conto…»
E quella frase mi pietrificò.
«Ma tranquillo, non è possibile prendere malattie, da me. Voglio dire, sono strana di mio, tipo non mi sono mai ammalata, mai. Cioè quando ero piccola sì, ma è dall’età di 7 anni che non sto male.» disse, quasi soprappensiero. E stava dicendo la verità, perché, che io sappia, non si mente soprappensiero. Credo.
Lei pensava che il mio primo pensiero fosse di prendere malattie, ma in realtà pensai che dovesse proprio stare male, dentro.
E pensai che una buona doccia mi avrebbe aiutato a riflettere sulla cosa, anzi su tutto.
Per qualche motivo a me strano, non mi preoccupai di averla accanto, e accesi l’acqua della doccia che si trovava affianco alla lavatrice, mi tolsi i boxer – sì, davanti a lei – ed entrai nel box di vetro smerigliato. Pensai che, tanto, nudi ci fossimo già visti, e una volta in più che vuole che sia?
CHE ERRORE.
Aprì di scatto la parte di vetro scorrevole della doccia e saltò dentro in biancheria, inzuppandosi tutta. Non che le importasse, visto che la sua parte di Istinto era riapparsa. Già, stessi occhi e mèche rossa. Pronta a scopare di nuovo.


♦≈♦


Angolino dell'autrice
Ok, essendo ragazza, mi sono accorta che narrare in prima persona maschile è veramente complicato xD
Spero vivamente che questo primo capitolo non vi abbia deluso e che questa mia vecchia storia (pensata inizialmente per essere manga) vi piaccia e vi interessi :)
E ringrazio Alex__98 per aver messo la storia tra le preferite! :D
A presto!
Bye! ^.^

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