Drink it if you can di Kiki87 (/viewuser.php?uid=289)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
Una premessa prima di
lasciarvi alla lettura: tra gli avvisi non ho ritenuto necessario
inserire “OOC”. Considerando che ci troviamo in un
diverso
contesto (anche se non mancheranno dei riferimenti alla storia
originale), Sebastian, Kurt e gli altri personaggi hanno anche un
diverso passato. Si sono conosciuti in modi e tempi differenti e, di
conseguenza, spesso non interagiscono come è usuale in Glee.
Inoltre, avviso fin da adesso per gli amanti della Klaine, che Blaine
sarà spesso oggetto di critiche, epiteti e commenti ben poco
lusinghieri, ma il tutto, naturalmente, non avverrà
gratuitamente
(non ci sono intenti diffamatori :D).
Vi rimando ai
saluti
finale, buona lettura! :)
Drink it
if you can
(
fall in love with him).
Sono qui con te,
non potrei
essere più
vicino.
Fingendo di
star vivendo
quest’istante,
quando sono
solo un
fantasma.
Ascolto le
parole che stai
dicendo,
parole a cui
stento a
credere.
E’
come se vivessi molto
lontano,
quando tu sei
fuori
portata.
E mi sento
così lontano,
così lontano da tutto.
Al di fuori,
chiedendomi
quando mi sono perso.
Alzo le
braccia al cielo,
perché sono scomparso?
Non voglio
sprecare tempo,
vivendo una
mezza vita.
Mi stai
ascoltando?
Ricordo
com’era prima,
ridammi la mia
vita.
Sento
la tua voce,
ma dentro sono
perso.
So
far away - Red
Prologo.
Era
il momento della giornata che preferiva: quando la sera calava sul
profilo maestoso della città e le luci creavano un gioco di
colori
in perenne movimento. I raggi del sole morente si riflettevano sulla
superficie dello skyline di New York, tingendolo di una sfumatura
aranciata. Un panorama che lasciava col fiato sospeso, un paesaggio
che, per quanto urbano e artificioso, sembrava avere ancora una sua
anima e concedersi di estraniarsi da se stesso e confondersi nella
folla, quando ne sentiva il bisogno.
Il
suo passo era regolare quella sera, la mano era conficcata nella
tasca del soprabito, mentre dalle labbra sgorgavano sporadicamente
nuvole di fumo. Con un movimento pigro e naturale, di tanto in tanto,
abbassava la mano e abbandonava il braccio lungo il fianco.
Non
erano molti a passeggiare in quel vicolo del dedalo che il Dumbo
rappresentava e l'eco dei suoi passi era l'unico sottofondo ai suoi
pensieri.
Il
ragazzo aveva una figura allampanata, i capelli castani, i cui ciuffi
più lunghi erano spesso sollevati a lasciarne la fronte
libera, in
una pettinatura che ben si confaceva al volto ovale e al sorrisino
impertinente che spesso ne increspava le labbra e ne faceva
dardeggiare gli occhi.
Si
volse ad osservare il paesaggio, Sebastian Smythe, un monito a
ricordarsi che, a dispetto della sicurezza ostentata in ogni dialogo
o situazione affrontata fino a quel momento, lui non fosse altro che
un puntino nel caos delle infinite possibilità.
Spense
la sigaretta contro una delle mura più antiche del
quartiere, su cui
erano impressi dei graffiti, e s’insinuò in un
vicolo illuminato e
decisamente più affollato.
Lo
sguardo di smeraldo sfiorò l'insegna stucchevole
dell'uccello
acquatico che così poco sembrava affine agli abituali
avventori del
locale, tanto meno agli spettacolini più accattivanti delle
ore
notturne.
Spinse
la porta del Penguin
Pub,
ma già dalla soglia fu investito
dall'odore di birra e dall'alone dei profumi misti al sudore degli
avventori disseminati sulla pista da ballo.
Vi
si era imbattuto per puro caso, una delle prime sere in cui era
uscito in ricognizione, dopo essersi trasferito nel proprio loft.
Brooklyn
era stata una scelta immediata: si era assicurato che uno stretto
marino lo separasse da Manhattan (gloriosa da osservare a distanza di
sicurezza), dalla famiglia e dai lussi dell'Upper East Side.
In
quell'occasione, si era detto che un posto sarebbe valso l'altro pur
di bere qualcosa di abbastanza forte da procurarsi una sbornia che
potesse giustificare l'ennesima assenza al corso di legge alla
Columbia University. Non che dubitasse che, se si fosse applicato,
sarebbe stato un eccellente studente, ma era poco incline allo stare
chiuso in un'aula e sorbirsi una lezione accademica. Soprattutto dopo
essersi costretto ad attraversare la città in metro e
arginare a
piedi il traffico che, già dalle prime ore del mattino, era
il
flagello dei newyorchesi. In compenso la sua memoria fotografica lo
facilitava nell’apprendere nozioni e il fascino riusciva a
compensare le incertezze di fronte ad un’esaminatrice,
specialmente
se neolaureata.
Ma
aveva presto scoperto, e non certo per merito del suo inetto barista,
che al Penguin vi era un'atmosfera del tutto particolare: un ambiente
nel quale rifugiarsi per una piacevole distrazione, talvolta persino
utile a trovare qualche sporadico appuntamento (un “tromba e
getta”
rispettabile e non da matricole di coming out che affollavano i
locali notoriamente frequentati da gay). O per avere la sua
“ora
d’aria libera”, da che aveva avuto la
brillantissima idea di
affittare l'altra camera da letto disponibile.
Si
fece largo tra la folla, gettò uno sguardo al palco e allo
spettacolino serale dedicato presumibilmente a Lady Gaga, a giudicare
dai costumi vistosi, fino a quando non riuscì a raggiungere
il
bancone. Si sedette sullo sgabello e allentò i bottoni del
cappotto,
cercando di incrociare lo sguardo del barista che stava discutendo
con una moretta dallo sguardo quasi strabico. Probabilmente
ciò era
una conseguenza di quella stupida treccia laterale e la frangetta che
le arrivava fino agli occhi, spesso sgranati in un'espressione da
pazzoide mestruata.
Sì,
doveva riconoscersi una dote da minuzioso osservatore (anche di
futili dettagli), soprattutto quando si trattava di soggetti che
ostacolavano i suoi propositi ed intenzioni.
Osservò
il ragazzo con aria scettica, Sebastian: doveva concedergli una buona
“faccia da stronzo”, quando riusciva ad ostentarla.
Una discreta
capacità di simulare l'aria da bravo ragazzo, il ragazzo
della porta
accanto e asessuato che bussava soltanto quando aveva finito il sale;
ma in realtà nascondeva manie da arrapato e disperato
studente di
medicina. Non aveva nulla a che vedere con i barman che
improvvisavano piacevoli coreografie con lancio di bottiglie ed
affini, piuttosto quell'attività era una scelta quasi
obbligata (e
non apprezzata) per pagarsi gli studi.
Contò
mentalmente, Sebastian e, come prevedibile, allo scoccare del cinque,
la moretta si voltò con aria furiosa, facendo ondeggiare la
borsa e
sgomitando per guadagnarsi l'uscita.
Emise
un fischio di finta sorpresa e finalmente il barista si accorse della
sua presenza. Tutt'altro che incoraggiato, sembrò
afflosciarsi. Si
passò una mano tra i capelli in un gesto di reale
stanchezza, prima
di avvicinarsi con lo stesso incedere di un condannato al patibolo.
Improvvisò un finto sorriso di cordialità che ben
avrebbe dovuto
accompagnarsi al suo ruolo.
“Sempre
al posto giusto al momento giusto”, lo accolse, Hunter
Clarington,
con improbabile allegria.
“Frena
l'entusiasmo: la vista di Johanna, Jolanda-”, finse
un'espressione
concentrata nel tentativo di rammentare il vero nome della ragazza.
“Jenna”,
lo corresse l'altro in una sorta di ringhio.
“Di
solito ha effetto sgonfiante”, continuò come se
non fosse stato
interrotto. Si puntellò con il gomito sulla superficie del
bancone e
sorrise con aria affettata: “Dammi il solito”.
Non
lo stava neppure ascoltando, Hunter, che osservò l'uscita
con aria
afflitta: “Credo che stavolta sia finita sul serio”.
“Non
ti sto ascoltando”, specificò Sebastian,
sollevando gli occhi al
cielo, prima di lasciar vagare lo sguardo sugli altri clienti. Fino a
quando le note della canzone più ritmata non si dispersero e
osservò, con aria evidentemente disgustata, la coppietta
diabetica
che stava ostentando un repertorio fin troppo vasto di romanticherie
strazianti e gratuite. Soprattutto considerando che la ragazza si
stesse cimentando in un brano di Céline Dion, senza averne
assolutamente l’estensione vocale.
“Credeva
che le avrei chiesto di venire a vivere da me”, stava
continuando
letteralmente il suo soliloquio, Hunter, scuotendo la testa con aria
da cane bastonato.
“Il
suono delle tue lamentele mi offusca la vista: non
te lo sto chiedendo”,
precisò
Sebastian con voce sarcastica fino a quando non lo vide, con aria
rassegnata, riempirgli il bicchiere che afferrò di
malagrazia. Un
sorrisetto insolente sulle labbra: “Comunque ci avrei
scommesso che
non sareste arrivati alla quinta uscita, sesso incluso”,
ingollò
la bevanda avidamente prima di scrutarlo di nuovo.
“Un
altro”.
Nulla
sembrava poter consolare il barista, se non improvvisare quell'aria
da allegro chirurgo
e cominciare a farfugliare i nomi di qualche patologia che neppure si
sarebbe preso la briga di googlare
per verificarne l'attendibilità o meno.
“Preliminari modesti,”
sentenziò con un'inarcata di sopracciglia e le braccia
incrociate al
petto, “dovrei preoccuparmi”.
“Fossi
in te, scriverei la tesi su un laureando in medicina e il sostegno
dimostrato ai suoi pazienti desiderosi di abbandonarsi ai fiumi
dell'alcol e alla ricerca di piacere. Un bonus per ogni cirrosi e/o
gravidanza involontaria di cui ti sei sporcato il bisturi”.
Si
concesse un vago sorriso, Hunter, che scrollò le spalle.
“Dovrebbero
aggiungerlo al giuramento
di
Ippocrate”,
gli concesse con aria
vagamente divertita, prima di guardarlo intensamente: “Che
succede,
Sebastian?”.
Sbuffò,
facendo roteare il bicchiere con aria pensierosa. “Non vorrei
dirtelo, ma tu insisteresti e andremmo avanti allo sfinimento. O fino
a quando non sarei abbastanza sbronzo da spifferare tutto,
perché
nel frattempo tu mi avresti versato dieci bicchieri. Quindi, saltiamo
i preliminari e aspetta che sia sbronzo, ” gli porse di nuovo
il
bicchiere con un gesto secco, “ versa
e sta zitto”.
“Bene”,
obbedì l'altro con aria incurante.
Sebastian
si avvicinò il bicchiere alle labbra in un movimento fluido,
ignorando il bruciore in gola, lo tracannò come se gli fosse
vitale
per la sopravvivenza. Fissò nuovamente disgustato la coppia
che,
all’apice dell’intensità del ritornello,
aveva ben pensato di
tenersi per mano e guardarsi come due poveri allupati senza sesso da
sei settimane.
Si
voltò nuovamente verso il bancone, lo sguardo perso in un
punto
indefinito.
“Kurt
si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il
respiro.
Non
era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole
perché
fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E
definitive.
Quella
parte di sé che sembrava galleggiare, tornò a
pulsare
dolorosamente, da qualche parte al centro del suo petto.
Rilasciò il
respiro.
La
bottiglia quasi sfuggì dalle mani di Hunter. “Che
cosa?”,
domandò con tono incredulo e l'espressione da cane randagio
lasciò
spazio al meravigliato stupore: “Con
CHI?”.
Avrebbe
quasi potuto ridere del modo in cui quella seconda domanda, proferita
con tono esterrefatto e la voce stridula, fosse indice dell'evidente
ed assoluta incoerenza che si celava dietro la decisione. Ne
incrociò
lo sguardo, Sebastian, un sorriso appena accennato, prima di
stringersi nelle spalle: “Mezza SegAnderson”.
Ci
vollero evidentemente pochi secondi perché Hunter decifrasse
il
reale nome, camuffato dall'epiteto, ma lo vide aggrottare le
sopracciglia, con aria ancora più perplessa.
Sembrò ricordare
qualcosa, perché la sua fronte
s’increspò: “Non mi è nuovo
questo nome”.
Allungò
la mano a prendere la bottiglia, Sebastian, per versarsi un altro
bicchiere con uno scrollo di spalle. Lo sollevò e
fissò il liquido
al suo interno: “Neppure a me”.
Non
fu certo di esser riuscito a simulare indifferenza.
Un anno prima.
Un sorriso
soddisfatto
ne increspava le labbra, come ogni volta che tornava da una serata
interessante, con annesso un bonus da ottima prestazione. Avrebbe
dovuto incassare la scommessa con lo sfigato barista per l'ennesima
conferma che il suo istinto era infallibile. Non che si sarebbe
tirato indietro, in caso opposto, ma confidava che il suo arsenale
potesse “confondere” un etero abbastanza da
concedergli una buona
soddisfazione.
Insinuò
le chiavi
nella toppa: avrebbe dovuto premunirsi di non fare troppo rumore o
Kurt avrebbe avuto un'altra spropositata reazione isterica, alludendo
al suo bisogno categorico d’otto ore di sonno, degli impegni
tra
tirocinio, scuola e lavoro, nonché della sua pelle e tutta
una serie
di ciance che sarebbero state reputate inutili da
una
persona normale.
C'era da sperare,
inoltre, che non fosse proprio lui costretto ad
assistere a
qualche parodia di bassa lega della riconciliazione tra i due
innamorati, nello stile di “Le pagine
della nostra vita”.
Schiuse l'uscio e
cercò a tentoni l'interruttore (scampato pericolo!), ma la
lampada
sul comodino del soggiorno fu azionata da Kurt stesso.
Il suo volto era
pallido e i capelli sembravano aver ceduto alla forza di
gravità: si
era persino tolto quei pantaloni rossi che così
deliziosamente ne
sottolineavano il fondoschiena. Indossava una tenuta sportiva e
piuttosto trasandata rispetto al pigiama che solitamente era
coordinato al cambio di lenzuola e di piumone. Stava seduto sulla
poltrona e, prima che entrasse, completamente al buio.
“Mi stavi
aspettando?”, chiese con le sopracciglia inarcate e l'aria
divertita.
“Non riuscivo a
dormire”, sussurrò Kurt in risposta.
“Insonnia post
attacco glicemico?”, gli chiese distrattamente, riponendo il
cappotto all'attaccapanni e avanzando in sua direzione, le mani
conficcate nelle tasche dei pantaloni e il sorrisetto beffardo e
compiaciuto. Cercò di spiare nella camera del ragazzo, alla
ricerca
delle tracce del suo storico fidanzato.
Scosse il capo,
Kurt:
“Gli ho chiesto di andarsene”.
Inarcò
le
sopracciglia a celare la reale sorpresa, ma fu lesto a sorridere.
“E'
andato così male? Fammi
indovinare: il suo usignolo si
è incastrato nella zip e-”.
“Sebastian”.
Sembrava esserci una nota d’ammonimento e solo allora si
soffermò
con più attenzione sul viso emaciato e gli occhi gonfi,
leggermente
arrossati che gli erano sfuggiti di primo acchito, probabilmente
perché ancora un po’ brillo e ingannato dalla sua
pacatezza.
“E' finita”,
dichiarò e un grave silenzio riempì la stanza.
Aggrottò
la fronte,
Sebastian, memore del suo canticchiare
irritante e il depennare i giorni dal calendario di Vogue.com,
nonché
la cura con cui si era preparato a quell'appuntamento tanto atteso
con aria così beata e felice da apparire insulso.
Sentì la mascella serrarsi, mentre si fermava di fronte a
lui, le
braccia incrociate al petto e il viso inclinato di un lato:
“Quindi lo stronzo
è venuto fin qua per mollarti?”, il tono di voce
ne tradiva
l'indignazione e la stizza, nell’attesa di una conferma.
“Potremmo far
scendere gli altri passeggeri e dirottare il suo volo”. Un
sorrisetto diabolico ne aveva increspato le labbra, come sempre
pragmatico nel cercare una soluzione immediata.
“Io l'ho
lasciato”,
la sua voce era stanca ed era evidente che non fosse entusiasta di
affrontare l'argomento. Si mosse verso la zona cucina e Sebastian lo
seguì.
“La prima cosa
intelligente che tu abbia fatto, dopo aver accettato la mia proposta
di vivere qui, ovviamente”, si compiacque, neppure cercando
di
celare il sorriso.
Seppur non avesse
(ancora) incontrato di persona il ragazzo (limitandosi a disprezzarlo
in foto), il solo modo in cui Kurt ne aveva prolissamente descritto
il loro incontro, il loro primo bacio (e lì Sebastian era
collassato
per il sonno e Kurt non gli aveva rivolto la parola per i tre giorni
successivi), glielo aveva fatto detestare poco cordialmente dal
giorno in cui ne aveva scoperto l'esistenza. Ossia da quando aveva
appurato che un fidanzato esisteva davvero e Kurt non lo aveva
inventato, in risposta al suo malcelato tentativo di abbordaggio.
“E io che credevo
che fossi felice di rivederlo: evidentemente in te si nasconde un
bastardo incallito, perverso e-”.
Si era voltato
bruscamente, Kurt, l'aria stremata e sconvolta: “Ho dovuto
farlo”, pareva supplicarlo di non costringerlo ad affrontare
quella
conversazione.
Lo
scrutò stranito.
Si era evidente che la decisione non fosse stata pianificata (e fosse
stato sinceramente impaziente di rivederlo), non riusciva a capire
che
cosa fosse
cambiato nell'arco di poche ore.
Parve un silenzio
lungo quello in cui Kurt si richiuse, prima di abbassare le braccia
lungo i fianchi, in una posa d’evidente arresa. “Mi
ha tradito”,
sussurrò e la sua voce strozzata era colma di pure e
semplice
vergogna.
Sgranò
gli occhi,
Sebastian, parvero lunghi istanti quelli in cui cercò di
assimilare
quelle parole. Non conosceva molto delle attitudini del suo
fidanzato, tanto meno se fossero ben assortiti per carattere, ma dal
modo in cui Kurt, anche a distanza, coltivava quel sentimento,
persino
lui aveva
creduto che fosse qualcosa di reale. E destinato ad essere eterno
soprattutto.
Lo
stupore lasciò spazio ad una tiepida rabbia e al disgusto.
Non tanto
l’atto di per sé (non si era mai tirato indietro,
quando un suo
amante occasionale aveva dichiarato di essere fidanzato), quanto
l’idea che ciò fosse avvenuto alle spalle di Kurt.
Che lui
osservava giorno dopo giorno, che era divenuto una presenza costante
e spesso scomoda e fastidiosa. Ma pur sempre desiderata.
“Che figlio di
puttana”, commentò in tono squillante che
sembrò spezzare
violentemente il silenzio.
Trasalì,
Kurt, ma
scosse il capo, l’aria contrita e sofferente. “H-Ha
detto che credeva che tra noi fosse finita: i nostri contatti erano
diminuiti, da quando ho iniziato il tirocinio a Vogue. L’ho
trascurato e la distanza non era più solo fisica
e-”, esordì con
voce tremante.
Sebastian
detestò come, persino in quel momento, stesse cercando di
giustificarlo, di delineare un quadro che non mettesse il suo (ex)
ragazzo troppo in cattiva luce. Se anche ciò fosse stato un
modo di
lenire il suo amor proprio, Sebastian non avrebbe tollerato ulteriore
buonismo, soprattutto a beneficio di chi non meritava alcuna
clemenza.
“E il dolore lo ha
spinto a eiaculare?”, chiese
in tono pungente, prima di
scuotere il capo. “Oh, povero Blaine”, soggiunse
con tono
evidentemente sarcastico.
“Potresti dimostrare
un minimo di-”, abbassò le mani lungo i fianchi e
scosse il capo.
“Lascia perdere: non so neppure perché te l'ho
detto”. Si voltò
e sembrò soltanto voler scappare verso la propria camera e
trincerarsi nel dolore e nella solitudine.
“Perché la
tua
visione idilliaca dell'amore è appena stata infranta e forse
cominci
a pensare che la mia
filosofia di vita non sia la cosa più disgustosa al
mondo”, fu la
sua rapida analisi, avvicinandosi perché non potesse
sfuggire
all'intensità del suo sguardo.
“Perché di
fatto lo
sai che per quante giustificazioni lui possa trovare e tu
concedergliele, non potranno cancellare quello che è
successo. E se
vuoi che
io
te lo ricordi-”.
Si
voltò bruscamente,
Kurt, il viso contratto in una smorfia rabbiosa: “Vorrei solo
un
po' di pace e di comprensione, ma è evidente che mi sia
rivolto alla
persona sbagliata”.
“Non farlo”,
sollevò le mani ad interromperlo, Sebastian, la cui voce,
per
contrasto, era un sussurro tranquillo.
“Cosa?
Piangermi
addosso?”,
chiese a mo’ di
sfida, le mani adagiate ai fianchi, quasi si stesse proteggendo da
Sebastian stesso. “ Non ho più intenzione
di-”.
“Smettila
di pensare che tu non sia stato sufficiente”.
Lo
vide sbattere le palpebre, evidentemente spiazzato e ridotto al
silenzio per un lungo istante. Sorrise amaramente, Kurt, ma parve
sorpreso per come ne aveva brillantemente compreso lo stato d'animo.
“Ma i fatti sembrano dirlo chiaramente, se è
bastato un
estraneo
mai conosciuto che-”,
si era interrotto, la mano premuta alle labbra a trattenere il
singhiozzo di cui si era già intrisa la sua voce. Stava
tremando e
sembrò vacillare, evitandone lo sguardo.
Era stato un
movimento
quasi involontario quello con cui Sebastian si era avvicinato
ulteriormente, inclinando il viso di un lato e appoggiandogli la mano
sulla spalla.
“Ci sono due motivi
per fare sesso con un estraneo: non volere alcun coinvolgimento
emotivo, ” e sorrise con aria ironica ad indicare se stesso,
prima
di sospirare e rimirarlo con più
intensità,“o non essere più in
grado di averne uno. Non è stata colpa tua, Kurt”.
Aggiunse,
cercando di conferire alla propria voce un'intonazione più
dolce.
Gli
occhi di zaffiro traboccavano delle lacrime che quella notte
sarebbero ancora scivolate sul suo cuscino, all'insaputa del mondo.
Le labbra si schiusero per quel verso strozzato che ne
sgorgò, ma fu
con slancio quasi infantile che si rifugiò contro il suo
petto. Ne
strinse la t-shirt impregnata dall'odore di fumo e d’alcol,
ma
cercò di trattenere i singhiozzi che ne facevano tremare il
corpo
esile.
Sussultò,
Sebastian, sorpreso che fosse lui quel punto saldo a cui aggrapparsi
in un momento simile. Qualcosa che sembrava andare oltre lo
stringersi alla prima persona che poteva fornire un po’ di
calore
umano: il solo fatto che non si fosse ritratto al suo ritorno, che
avesse raccontato ciò che era realmente accaduto e che fosse
stato
Kurt stesso a ricercare quel contatto, sembrava suggerire che stesse
cercando proprio la sua
presenza.
Ne
inspirò il profumo
di vaniglia, e quella penetrante fragranza sembrò stordirlo,
ma lo
pressò contro di sé, senza commentare. A quel
punto la cosa
migliore che avrebbe potuto fare, si era
detto, era tacere e permettergli soltanto di restargli vicino. Senza
altre elucubrazioni ciniche e spassionate, senza giudicarlo o farlo
sentire ulteriormente fragile e insignificante.
Era curioso, lo
realizzò molto tempo dopo, nessun abbraccio intimo con un
partner
occasionale, aveva mai mantenuto una traccia. O un minimo ricordo
significativo. O dato la parvenza di serbare ancora quell'alone,
anche a distanza di tempo, sorprendendolo quando tutto era buio e il
sonno faticava ad avvolgerlo.
Quasi fosse
divenuto
un tutt’uno con l'idea di Kurt: la consapevolezza che facesse
parte
della
sua
realtà quotidiana, fino a divenire un complemento
di sé. In modo naturale, indesiderato e silenzioso. E per
questo più
insidioso.
“Non è colpa
tua,
ricordalo sempre”, sussurrò contro il suo
orecchio, lasciando che
le dita ne sfiorassero i capelli ancora impasticciati della lacca con
cui doveva averli fissati poche ore prima.
Non aveva
risposto,
Kurt, ma si era rifugiato maggiormente contro il suo petto,
rinsaldando la pressione con cui le dita ne stavano stringendo la
maglia. Lo interpretò come un silenzioso ringraziamento e,
al
contempo, la richiesta di non lasciarlo ancora andare. Non lo
avrebbe fatto comunque, si era sorpreso a pensare.
Solo dopo molto
tempo
si addormentò sul divano in un sonno apparentemente
tranquillo.
Sebastian lo aveva osservato a lungo, allungando la mano a scostarne
quel ciuffo più sbarazzino che sovente scivolava sulla sua
fronte,
ma aveva scosso il capo.
Quella notte
sembrò
confermare la sua filosofia di vita: se Kurt non era stato amato
quanto avrebbe meritato o quanto era in grado d’amare, non
sarebbe
stato proprio lui, Sebastian, a credere nell'amore. O esigerlo per
sé.
Appoggiò
il bicchiere
sul bancone: l'aria cominciava a diventare soffocante e il cicaleccio
fastidioso e assordante tra i brindisi improvvisati, le comitive che
festeggiavano e gli schiamazzi d’apprezzamento alle ballerine
sul
palco.
Si
sfiorò la tempia nel
tentativo di recuperare una parvenza di lucidità. Neppure
sembrava
avvedersi dello sguardo prolungato del barista che pulì la
superficie per l'ennesima volta e la liberò dei bicchieri
vuoti.
Si
fermò, infine,
Hunter, appoggiandosi con i gomiti al bancone per osservarlo.
“Sei
turbato”.
Aggrottò
le
sopracciglia, Sebastian, rifilandogli un'occhiata di sbieco:
“Non
me ne frega niente, se vuole rovinarsi la vita”, nonostante
lo
sguardo rabbuiato e
la dichiarazione
inflessibile, la voce tradiva una nota d’ilarità
per l'effetto
distensivo dell'alcol.
“Sei
qui da mezzora e ancora non ho sentito commenti su come la canottiera
nera mi dia un'aria da gay”, fu la replica
dell’altro, le
sopracciglia inarcate a testimoniarne un’osservazione arguta.
Un vago
sorrisetto ne
increspò le labbra e lo sguardo baluginò del
consueto divertimento
nell'umiliare il prossimo: “E' una verità risaputa
Mr
Non-Sono-Bicurioso”.
Ma
l’effetto benefico
sembrò non durare a lungo e nuovamente distolse lo sguardo.
Sospirò,
Hunter, e si
sollevò. Incrociò le braccia al petto,
osservandolo con il viso
inclinato di un lato: “Dovresti dirlo a Kurt”.
“Che
ha un complesso
d'inferiorità per una mezza sega che usa il gel come
lubrificante?”,
rispose quasi di riflesso.
“Che
lo ami”, ribatté
l'altro, le sopracciglia inarcate, quasi a sfidarlo a sostenere il
contrario.
Questo fece
tacere
Sebastian. Schiuse le labbra e le richiuse l'attimo dopo,
sembrò
vacillare come se fosse stato colpito inaspettatamente.
O forse era
l’effetto di qualche bicchiere di troppo che gli dava
l’erronea
impressione di trovarsi di fronte
a tre facce da idiota,
con la
conseguente difficoltà di individuare quale fosse quella
giusta a
cui rivolgersi.
Aggrottò
e sopracciglia,
un verso prolungato d’incredula ilarità:
“Clarington, non sono
abbastanza sbronzo da prendere consigli da un segaiolo seriale,
ma se proprio insisti”, aveva inclinato il viso di un lato
con fare
sardonico, “sarò lieto di suggerirti dei posti originali
nei quali ficcarteli”.
Si era stretto
nelle
spalle, l'altro, evidentemente abituato a quel tipo di turpiloquio.
Aveva persino sollevato l'ennesima bottiglia per versarne il
contenuto in due bicchieri: uno scivolò verso Sebastian e
tenne
stretto l’altro per sé. “Questo lo offro
io, ” sollevò il
drink, “alla mezza SegAnderson e ad un felice divorzio,
salute!”.
Aveva emesso
un verso di
divertimento, Sebastian, facendo cozzare il bicchiere contro il suo
(dopo che Hunter parve avere
pietà e allungare
il proprio, visto che non riusciva ancora a capire
chi fosse
il vero barista tra quelli
che vedeva). Bevve di un fiato, ma gli rivolse un’occhiata
scettica. Non soltanto il barista sfigato non aveva avvicinato il
calice alle labbra, ma lo aveva scrutato quasi a sincerarsi che
bevesse interamente dal suo. “Se credi di potermi indurre ad
una
sbornia triste che mi faccia tornare da Kurt e supplicarlo di non
sposarlo-”.
Si
strinse nelle spalle, l'altro. “Chiamami pure romantico: solo
perché la mia vita privata va a pezzi, non significa che lo
auguri
anche a te”.
Sembrò
soppesare quelle parole: “Sei davvero
sicuro di non essere gay?”.
Non
sentì la risposta alla domanda, ma crollò con il
capo contro la
superficie del bancone.
~
La brezza
fredda era un
conforto: scansò i tentativi di Clarington di accompagnarlo,
lo
insultò pesantemente alla proposta di telefonare a Kurt per
avvisarlo del suo imminente ritorno.
L'andatura era
decisamente più goffa di quella che lo aveva visto giungere
al bar
poche ore prima, ma camminava lentamente. I suoi piedi sembravano
ormai conoscere il percorso, anche se la sua mente era un colabrodo
d’immagini, suoni e di una strana euforia, mista alla
sensazione
sempre più netta di una nausea crescente.
Avrebbe dovuto
capirlo
fin da quando era rientrato e lo aveva sorpreso a canticchiare. Aveva
intuito che qualcosa doveva esser successo, qualcosa più
emozionante
della semplice visita al padre per il weekend nella squallida
cittadina dell'Ohio. Era stato un momento folle e incredibile quello
nel quale Kurt si era voltato e, con un sorriso che mai aveva visto
impresso sul viso, aveva indicato con orgoglio l'anello di
fidanzamento al dito.
“Io
e Blaine ci
sposiamo”, erano state le sue parole e c'era voluto qualche
istante
perché Sebastian le assimilasse. Soprattutto
perché riuscisse a
convincersi che stesse parlando dello stesso Blaine che, solo pochi
mesi prima, gli aveva spezzato il cuore. Colui che, così
aveva
ripetuto a lungo, non avrebbe più voluto avere nella propria
vita.
Poche
ore prima.
“Il tuo senso
dell'umorismo non è affatto migliorato, ma
apprezzerò il tentativo:
devo esserti mancato”, fu il suo bentornato.
“Non è uno
scherzo”, aveva ribattuto prontamente, Kurt, e quel sorriso
più
stucchevole ne aveva fatto scintillare lo sguardo, mentre gli si
avvicinava a mostrare il brillante al dito.
Aveva sollevato
la
mano, Sebastian, per tenerlo a distanza, la mascella serrata:
“Che
cosa cazzo significa? Fino a due
giorni fa non meditavi
neppure di incontrarlo di nuovo”, c’era una nota
accusatoria nel
suo tono. Ricordava perfettamente quanto
era sembrato allarmato all’idea che suo padre si fosse
lasciato
sfuggire la notizia del suo ritorno con gli ex compagni del liceo e
che qualcuno prontamente avesse avvisato l’ex fidanzato.
Aveva continuato
a
sorridere, Kurt, in maniera irritante: sembrava provare divertimento
al suo evidente sdegno e al legittimo sconcerto. “Lo so che
è
inaspettato-”, aveva esordito con lo stesso tono pacato con
cui gli
avrebbe spiegato la differenza tra una crema idratante e una
rassodante per il viso.
“Inaspettato?”,
ripeté con voce grondante di sarcasmo, “vorrai
dire totalmente
insano, inspiegabile ed incoerente, a meno che tu non abbia subito
una lobotomia durante il volo”.
“Lascia che ti
spieghi”, lo aveva trattenuto per il braccio con aria
più dolce.
Lo sguardo sembrò nuovamente perdersi nei ricordi, data
l'espressione sognante: “Avresti dovuto assistere alla sua
dichiarazione alla Dalton davanti ai nostri amici, mio padre, gli
avversari storici del Glee Club-”.
“Dimmi, Kurt,
esattamente che
cosa
mi sono perso?”, lo incalzò con espressione
provocante.
“ Il modo
narcisistico in cui persino una personale proposta di matrimonio
è
diventata lo spettacolo di un nano da giardino, o il modo in cui il
tuo senso di inferiorità questa volta potrebbe fotterti per
tutta la
vita?”.
Boccheggiò,
Kurt, per
l'intensità con cui quelle parole furono pronunciate, ma
l’effetto
fu breve. Sembrava che quella nuova serenità gli permettesse
di
sopportare qualsiasi opinione contraria alla propria. O qualsiasi
reazione negativa. “Apprezzo che tu ti preoccupi, ma Blaine
è
stato... Blaine è l'amore della mia
vita”, si corresse.
“Anche le coppie più felici hanno momenti di
fragilità ma-”.
“Ma cosa?”,
lo sfidò Sebastian, alzando ulteriormente la voce.
“E' così,
Kurt? Basta una performance pubblica per far vacillare tutte le tue
convinzioni e prendere una decisione del genere?”.
“E' una decisione
seria”, ribatté a denti stretti, per la prima
volta ostentando un
reale fastidio. Ma che ciò fosse riconducibile al dover
proteggere
Blaine e il loro rapporto (e non un’accusa di
superficialità) fu
persino più insopportabile agli occhi di Sebastian.
“A me sembra solo
l'ennesimo capitolo del Blaine Show a cui ti sei chinato
per
l'ennesima volta”.
“Non è
così!”,
ribatté, Kurt, la voce più stridula e l'aria
esasperata nel
tentativo di farsi comprendere.
Se non altro era
riuscito a lanciare una brezza in quello stato
d’ilarità
impenetrabile.
“Certo, ci
sarà
molto di cui discutere, prendere altre decisioni per la nostra vita
insieme e-”.
Sollevò
ulteriormente
la mano, Sebastian, interrompendolo. “Non resterò
qui ad
ascoltarti farneticare sul vostro matrimonio perfetto, mentre cerchi
di giustificare la più grande cazzata della tua
vita”.
Lo aveva scrutato
ancora a lungo, le labbra strette in una smorfia e lo sguardo
più
fosco: sembrò stentare a riconoscere il giovane che aveva di
fronte.
Quasi rassegnato, scosse il capo e si voltò bruscamente.
“Sebastian!”.
Non aveva
risposto,
aveva infilato il cappotto ed era uscito, sbattendo l'uscio alle sue
spalle.
Non
occorreva controllare
l'orologio per immaginare che fosse molto tardi: non lo sorprese
vedere che ogni luce era ormai spenta. Si tolse il cappotto e
camminò
a tentoni.
Era tentato di
lasciarsi
cadere sul divano e abbandonarsi al sonno (se mai le tempie avessero
smesso di ballare il tip tap), ma puntò lo sguardo alla
camera di
Kurt. Sembrò essere ancora abbastanza lucido da riuscire a
raggiungerla.
Barcollò
sulla soglia,
ne osservò il volto illuminato dai raggi di luna, la mano
con
l'anello che scintillava e che gli fece storcere le labbra. Si
accomodò sul letto, attento a non sbilanciarsi e ruzzolare
sul
pavimento (quello
sì che sarebbe stato divertente!) e ne
ascoltò a lungo il respiro.
Era come se,
in quel
momento, potesse congelare il tempo: tutte le parole che erano state
pronunciate poche ore prima, erano sospese. Così tutto
ciò che
avrebbero dovuto affrontare dal giorno dopo. Tutto in una dimensione
distante e lontana.
Probabilmente
per effetto
del tasso d’alcol nel sangue, la rabbia e la reazione
esacerbata
che aveva ostentato, sembravano spropositate. Uno strano ottimismo
sembrava dirgli che non tutto fosse finito. Era ancora in tempo per
cambiare le cose.
Sospirò
e ne rimirò il
viso pallido.
“Coglione”,
borbottò
in sua direzione.
Si
chinò fino a quando
non poté contare le efelidi sotto l'occhio,
allungò le dita a
sfiorare la pelle morbida e fresca.
Sentì
qualcosa contrarsi
dolorosamente dentro di sé. “Non farlo”,
si sentì dire e si
sorprese della flessione più rauca della sua voce, della
difficoltà
di respirare alla sola idea che quella camera fosse nuovamente vuota
e fosse privato della sua presenza.
Non avrebbe
saputo dire
da quanto tempo fosse rimasto in quella posizione: fino a quando
avesse continuato a sfiorarlo. Fino a quando avesse potuto sottrarre
persino a Kurt quegli istanti soltanto per sé, tutto il
resto
avrebbe potuto attendere.
Almeno fino a
quando la
stanchezza non lo fece letteralmente crollare sul suo stesso
materasso, abbarbicandosi di un fianco, cercando di lottare contro il
sonno, per continuare ad osservarne il viso. Si era sentito serrare
le palpebre, ma aveva stretto istintivamente il corpo dell'altro.
Lo
sentì muoversi,
come se anche dormendo, ne avesse percepito la presenza. Ne
sussurrò
il nome con intonazione confusa, prima di emettere un verso
disgustato: “Puzzi
di alcol”, disse con voce alterata,
evidentemente quando si era coricato, era ancora arrabbiato per il
loro litigio.
Sorrise per
risposta, non
offeso da quelle parole: “Mhm, tu sai di vaniglia e di creme
da
gay”, constatò, anche
se ormai quella
fragranza gli era familiare e non occorreva verificarlo.
Affondò il
volto contro la sua spalla, gli occhi chiusi e il suo respiro pesante
a riversarsi sul collo di Kurt.
“Sei
ubriaco”, era ancora rigido tra le sue braccia, seppur non lo
avesse scostato a forza o spinto giù dal letto, come si
sarebbe
aspettato, ma la voce era ancora fredda.
“Non
tanto”, ribatté
e rafforzò la pressione con cui ne cingeva la vita,
affondando
maggiormente contro il suo corpo, incurante della sua apparente
indifferenza a quella vicinanza.
“Non
ti ho perdonato”,
precisò Kurt con tono da moglie permalosa, premunendosi
tuttavia di
non parlare con voce troppo alta o quell'incrinatura stridula che gli
avrebbe trapanato i timpani nella quiete della notte. “Sei
stato
villano e precipitoso”.
“E
tu resti un idiota”,
borbottò per risposta, quasi risentito, ma senza la
benché minima
intenzione di sciogliere quell'abbraccio a cui lo stava costringendo.
“Ti
convincerò del
contrario”, sospirò Kurt e Sebastian sorrise
perché cominciò a
scorgere un segnale d’apertura e di riavvicinamento.
“Ma, anche
se nel tuo
più che discutibile modo, è
dolce che ti
preoccupi per me”.
Rafforzò
la pressione
del contatto, con aria compiaciuta, strusciando appena le labbra
contro la sua mascella, nell'imitazione di un bacio. Rise del verso
di disgusto causato da un alito tutt'altro che fresco e piacevole su
quella pelle soffice e levigata. “Sono tenero dentro e duro
all'esterno”,
precisò con voce più suadente al suo orecchio.
“Da
ubriaco sei anche
più volgare”, sbuffò l'altro, cercando
di divincolarsi. “Potresti
almeno girarti dall'altra parte: ricordi che hai una tua
camera?”.
Ridacchiò
vagamente
divertito ma, malgrado Kurt fosse riuscito a dargli le spalle, si
pressò contro la sua schiena. Affondò il volto
contro l'incavo del
suo collo: “Sì”, rispose con una traccia
di divertimento nel
baciarne la nuca.
Lo
sentì trasalire.
Sospirò l’attimo dopo: “Dormi,
Sebastian: non ti attende un bel
risveglio”, cercò di scioglierne la pressione con
cui lo aveva
cinto all'altezza dello stomaco. Per qualche motivo, quella
previsione non sembrava riguardare soltanto il post sbronza.
Mugugnò,
Sebastian, ma
lo cinse con entrambe le braccia ad incastrarlo contro il proprio
petto, con intensità quasi angosciante per il modo in cui si
chinò
al suo orecchio, con voce più rauca: “Non farlo,
Kurt”.
Lo
sentì emettere un
verso di sorpresa: probabilmente domandandosi se si stesse riferendo
al matrimonio o a quel tentativo di allontanarsi da lui.
“Non
farlo”, ripeté
con tono impregnato di reale timore.
Kurt aveva
cercato di
voltarsi nella stretta morsa del suo abbraccio, ma non aveva forza di
schiudere gli occhi, Sebastian. Era consapevole che guardarlo in quel
momento avrebbe potuto significare perdere tutto o lasciare che Kurt
scorgesse qualcosa d’insopportabile.
Sospirò
di beatitudine,
invece, al tocco delicato della sua mano fresca ed esile lungo la
guancia, lo sentì scostargli i capelli dal volto e lo
trattenne, il
volto affondato nel cuscino e il sorriso ad incresparne le labbra.
“Kurt”,
ne sussurrò
il nome, quasi ciò potesse contenere tutti i pensieri
inespressi.
Gli
sfiorò nuovamente la
gota, l’altro: “Sebastian”,
sussurrò per risposta, la voce
così delicata che sembrò cullarlo con amorevole
dedizione.
O poteva
fingere che
fosse così: fino a quando fossero rimasti soli, fino a
quando le
luci del nuovo giorno non avrebbero di nuovo gettato lo scompiglio
nella sua vita.
“Adesso
dormi:
affronteremo tutto quanto”, aveva sussurrato, Kurt,
carezzandone i
capelli in un moto regolare che lo aveva indotto ulteriormente a
sospirare e rilassarsi. La fragranza di vaniglia sembrò
inondare
tutto il resto, persino la nausea sembrò sciogliersi.
Lo strinse
ulteriormente
a sé, affondando il volto contro la sua spalla: soltanto
quando Kurt
si rilassò e si abbandonò al suo abbraccio,
riuscì finalmente a
cadere nel sonno.
Sebastian
dubitava che le
parole sarebbero servite, ma Blaine Anderson avrebbe dovuto stare
attento: non avrebbe lasciato andare Kurt tanto facilmente.
To
be continued…
Ed
eccoci alla
conclusione :)
Spero che
l’alternanza
tra narrazione presente e passata non vi risulti confusionaria: dal
primo capitolo i flashback saranno riferiti ad un solo episodio, ma
qui era importante focalizzarsi sulla fine della storia tra i Klaine
(ho rispettato la versione originale) e il momento in cui Sebastian
apprende del fidanzamento.
Prima di
salutarvi, una
sbirciata al prossimo capitolo (quanto mi era mancato scriverlo *-*):
“Non
puoi provare ad essere felice per me?” “Me lo
chiederesti, anche
se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo, mentre ti
getti dal ponte di Brooklyn?”.
“Grazie,
Kurt” “Ti porto altro?” “Se
vuoi saltare i preliminari, puoi
sempre portarmi il tuo numero”.
“Scusa
dolcezza, temo che il tuo amico sia già impegnato in
un’altra
squadra” “Porco!” “Bene, ora
che ti sei liberato, passiamo
alle cose serie”.
Fin
da adesso, ringrazio
di cuore chiunque si appresterà a leggere questo racconto,
spero di
sapervi intrattenere. Un particolare pensiero alla mia Sebastian
che ha atteso tra spoiler provocanti e previsioni
catastrofiche sul
mio modus operandi narrativo :P
Come sempre,
sarò più
che disponibile ad uno scambio di opinioni o qualora si necessitino
chiarimenti, non esitate a contattarmi :)
Non mi resta
che
augurarvi buon weekend e darvi appuntamento al prossimo capitolo :)
Kiki87
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
capitolo 1
Ti conosco,
ma chi sei tu
adesso?
Guardami negli
occhi, se
non lo ricordi.
Non
sarò più lo stesso,
sono perso
dentro i
ricordi.
Non posso
semplicemente
andarmene,
perché
dopo averti amato,
non
sarò più lo stesso.
Come potrei
fingere,
di non averti
mai
conosciuto?
Come se fosse
stato solo un
sogno.
So che non
dimenticherò
mai,
il modo in cui
mi sono
sempre sentito
con te
accanto.
Mi lasci qui,
ti guardo
scomparire.
Lasci questo
vuoto dentro,
e non posso
tornare
indietro
(nel tempo).
Non posso
lasciarti
andare.
(Never be the
same – Red)
Capitolo
1.
Al
suo risveglio, le tempie pulsavano come se tanti piccoli martelli
stessero cercando di penetrare nella scatola cranica. Emise un
mugugno, gli occhi ancora serrati spasmodicamente e qualche pensiero
suicida nel vano tentativo di recuperare il pieno possesso delle sue
facoltà mentali.
Allungò
pigramente il braccio verso l’altra estremità del
letto:
un’espressione di disappunto apparve sul volto, quando si
rese
conto che Kurt si era già alzato. La breve parentesi,
ottenuta in
virtù della sbronza da record del mese, era terminata.
Sbuffò
e schiuse gli occhi lentamente: si scostò i capelli
scombinati dalla
fronte, imprecando contro il
figlio
gay di Ippocrate (perché
avessero
tirato in ballo Ippocrate non riusciva a ricordarlo), prima di
rimettersi in piedi.
Si
sostenne la fronte, lo stomaco sottosopra (se per fame o per nausea
non era ancora comprensibile), uscì dalla camera la cui
essenza di
vaniglia sembrava ancora dominante, malgrado la sua personale
aggiunta di una goccia di “colonia da osteria”.
Con
gli occhi nuovamente semichiusi, cercando di schermarsi dai raggi del
sole (“Fanculo alle tende gay”), camminò
verso il soggiorno.
Kurt
era già vestito di tutto punto nel suo look formale ed
elegante (sì,
nella sua cabina armadio i vestiti erano catalogati con etichette per
distinguerli per tessuto, occasione d’uso, colore e stagione
ideale) da studente e tirocinante di Vogue.com.
Lo aveva
sorpreso in più
di un’occasione, mentre affrontava dilemmi da
Amleto/Valentino su
quale foulard, camicia, pochette (il fatto che Sebastian sapesse che
"pochette" era solo una parola snob per indicare il
fazzoletto da taschino, doveva interpretarsi come un segno nefasto
della presenza di Kurt nella sua vita) abbinare alla mise del giorno.
Se non altro,
ed era un
parere spassionato il proprio, quei pantaloni gessati di quella
tonalità di grigio (ma valeva anche per i red hot pants, nonché
quelli color vomito) rendevano il suo fondoschiena una meraviglia da
contemplare e la migliore garanzia per un buon risveglio.
Stava
tranquillamente
cicalando al telefono, Kurt, mentre allineava dei pancakes, anche se
poi lui si sarebbe limitato ad un tost o ad uno yogurt (doveva solo
trovare la foto del suo passato da obeso perché la propria
teoria
fosse confermata), ma lo fece sorridere soddisfatto l’idea
che
stesse cucinando per lui. Un compiacimento che ne fece scintillare le
iridi e increspare le labbra del suo tipico sorrisetto beffardo,
tanto più che la piacevole fragranza stava risvegliando un
discreto
languorino. Dunque il suo sistema immunitario era ormai avvezzo a
domare la nausea post sbronza.
Era da tempo
che il suo
coinquilino non sorrideva così, constatò dopo
aver preso posto di
fronte al bancone della cucina.
Kurt,
evidentemente
ancora ascoltando l’interlocutore, si limitò a
passargli un
bicchiere d’acqua nella quale si stava sciogliendo
l’aspirina
effervescente, oltre ad un piatto con una pila di frittelle.
Continuò
ad annuire per poi emettere quella risatina più vezzosa (e
Sebastian
aveva alzato gli occhi al cielo, improvvisamente immusonito
nell’avere una conferma più che palese
sull’identità del
chiamante) ma si voltò nuovamente, dandogli così
una gratuita
panoramica del “bel paese”.
Ma
l’effimero diletto
lasciò spazio ad un nuovo irrigidimento, mentre, molto
lentamente,
la sua mente processava ciò che era accaduto la sera
precedente.
Il bicchiere
d’aspirina
restò fermo a metà traiettoria, mentre Kurt
rideva nuovamente e
allungava la mano sinistra davanti a sé: “Oh, non
smetterò mai di
guardarlo”, cinguettò. Quasi come una macabra
conferma (con tanto
di musica horror in sottofondo) la luce del sole illuminò il
brillante al dito e Sebastian si accigliò.
Si
schiarì rumorosamente
la gola a ricordargli d’essere, suo malgrado, innocente
spettatore
di quella stucchevole conversazione telefonica.
Dovette aver
raggiunto il
suo intento perché Kurt si premunì di abbassare
la voce: “Adesso
devo andare”, annunciò, “Sì,
ti amo anche io: ci sentiamo
questa sera, buona giornata”, aveva concluso con lo stesso
tono più
delicato, quello con cui aveva pronunciato il suo nome poche ore
prima, inducendolo a rilassarsi.
L’appetito
sembrò
dimentico all’idea che quell’unico momento
piacevole fosse appena
stato smentito ed annullato. No, non era stato un sogno ai limiti
dell’insulsa romanticheria, realizzò.
Ingoiò
il contenuto del
bicchiere con la stessa foga con cui si era stordito di alcol la sera
precedente. Fissò la parete di fronte a sé,
mentre cercava di
ricostruire gli eventi e quel dialogo tra le lenzuola del letto di
Kurt, quasi cercando una promessa di quest’ultimo, una frase
che
potesse lasciargli l’appiglio ad una speranza. Un gesto o un
vezzo
che potesse tradursi con qualcosa di personale e volto soltanto a
lui.
Non si era
accorto del
movimento con cui Kurt, invece, un sorrisino più furbo, dopo
aver
circumnavigato il tavolo ed essergli arrivato alle spalle, si era
sporto al suo orecchio. Emise, in un falsetto incredibilmente
stridulo, un allegro: “Buongiorno!”.
Trasalì,
gli occhi
sgranati, il cuore in gola e la tempia pulsante per il suono acuto ed
improvviso che gli aveva appena trapanato il timpano.
“Fanculo”,
borbottò,
mentre il ragazzo ridacchiava con aria fintamente innocente,
scivolando sullo sgabello accanto al suo, ma appoggiando la schiena
al bancone.
“Ops”,
simulò
un’espressione contrita, “vuoi che parli
più piano perché hai
mal di testa?”, lo chiese con tono beffardo che sembrava
equivalere
al famigerato « te lo avevo detto ».
Non gli
concesse
risposta, ma infilzò la prima frittella come se desiderasse
accoltellarla.
Le labbra
erano ancora
contratte in una smorfia: “Già sente la tua
mancanza?”, gli
chiese e si odiò perché il suo tono
sembrò tradire una reale
stizza, malgrado stesse cercando di apparire ironico.
“Non
ha pensato ad
installare una web cam nell’anello?”, aggiunse,
rivolgendogli un
sorriso impertinente che cancellò quello sul viso di Kurt.
Questi
sospirò, ma
accavallò le gambe e lo guardò di sottecchi:
“Non raccolgo
provocazioni dopo un’intensa pulizia del viso”,
ribatté con aria
pacata che infastidì persino di più Sebastian.
“Ma
ti ricordo,” si
era premunito di alzare leggermente la voce, ad attirarne
l’attenzione, quasi ne intuisse lo sdegno interiore,
“che è il
tuo turno di fare la spesa e, per favore, questa volta presta
attenzione alle etichette degli ammorbidenti e… mi stai
ascoltando?”.
No, non lo
stava
ascoltando. Che lui, Sebastian Smythe, fosse propenso ad evitare un
argomento, era più che comprensibile per il naturale riserbo
(che
aveva lo spessore della muraglia cinese) entro cui celava i suoi
reali sentimenti; ma che Kurt svicolasse così
palesemente,
sembrava soltanto confermare che la decisione era presa, a
prescindere dalla sua opinione.
Il riferimento
a qualcosa
di così quotidiano, come le spese per la convivenza, aveva
un sapore
dolce amaro. La sua mente, tuttavia, era ancora troppo annebbiata per
cercare di trarne una conclusione piacevole.
Si era sporto
verso di
lui, Kurt: gli occhi dal sottostrato azzurro e di sfumature fuggevoli
e variegate, lo stavano contemplando con tale attenzione che
Sebastian si riscosse.
Un sorriso ne
increspò
le labbra nell’avvicinarsi lui stesso al suo volto:
“No, ”
rispose con una scrollata di spalle, “ma il mio coinquilino al
piano di sotto
si è appena svegliato”, lo informò in
tono
suadente, le labbra increspate in quella piega più sardonica
e
maliziosa.
Sgranò
gli occhi, Kurt,
e un delizioso color pesca ne tinse le guance, ma si scostò
con
quell’aria imbarazzata e sdegnata da "verginello" che non
si sarebbe mai stancato di contemplare. Tanto meno di provocare ed
esserne artefice.
“Vorrà
dire che ti
tempesterò di telefonate, mentre sarai al supermercato, peggio
per te”,
si era sforzato di recuperare quella verve polemica.
Evidentemente non contento, le braccia incrociate al petto in quella
postura difensiva (quasi non potesse rilassarsi di fronte alle sue
provocazioni neppure dopo un anno di convivenza), aggiunse anche:
“Stasera cucinerai tu!”.
“Sì,
amore”,
sospirò con aria teatralmente afflitta, perfetta imitazione
di un
marito succube delle angherie di una moglie nevrotica ed in perenne
fase premestruale.
Scosse
nuovamente il
capo, Kurt, prima di aggiungere, il tono guardingo nello scrutarlo di
sottecchi: “Così… potremmo riprendere
la conversazione di ieri”.
Una sorta
d’allarme
risuonò nella mente di Sebastian. Dunque
l’intenzione di Kurt non
era stata quella di evitare del tutto l’argomento, quanto
piuttosto
concedergli una pausa che gli donasse un falso senso di sicurezza,
prima di tornare a sferrare un attacco. Che potesse usare la sua
sbronza a proprio vantaggio, gli era insopportabile, soprattutto con
lo svantaggio di non ricordare quanto si
fosse reso patetico.
“Se
con ciò intendi
che
io
assaggerò il vino e insulterò Mezza SegAnderson,
mentre tu ti lamenterai della
spesa e del take-away e poi mi
ricorderai quanto lo ami, con tanto di ricordi e descrizioni che mi
indurranno ad insultarlo ancora di più e quindi a farti
andare via
indignato; allora sì, non vedo
l’ora”,
concluse senza
neppure cercare di celare il sarcasmo di cui grondavano quelle
parole.
Aveva
sospirato, Kurt,
l’espressione più contrita. “Non puoi
provare ad essere felice
per me?”, gli aveva chiesto in un sussurro che normalmente
avrebbe
innescato in Sebastian un automatico (ed insensato) self
control e un conseguente limite alle dosi d’ironia
d’ogni
risposta.
Ma
non in quel frangente.
“Me
lo chiederesti,
anche se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo,
mentre ti getti dal ponte di Brooklyn?”, chiese con un
sorriso
affettato.
Kurt
s’irrigidì e si
alzò in piedi. Sollevò le mani in segno di resa e
scosse il capo.
“Hai
ragione: è
ottimistico fino allo svenevole sperare che tu invochi il
romanticismo”, si voltò a guardarlo, le mani ai
fianchi e il viso
inclinato di un lato.
Aggiunse:
“Io ti
sosterrei e cercherei di farti sentire la mia vicinanza, se tu
provassi il desiderio di cambiare la tua vita con una relazione
stabile. Mi fiderei di te, malgrado i tuoi precedenti”.
Aveva simulato
un’aria
sorpresa, Sebastian, finendo di ingoiare la frittella, prima di
guardarlo con il viso inclinato di un lato e le sopracciglia
inarcate: “Sembra quasi che tu non mi conosca”.
Se soltanto
Kurt avesse
avuto il minimo sospetto che non si riferisse alla conclusione
più
ovvia.
Aveva roteato
gli occhi
al cielo, Kurt: “Non ho tempo adesso”, aveva
abbassato le mani
lungo i fianchi in un gesto di momentanea amnistia, mentre si
affrettava ad indossare il cappotto per poi ordinare i fogli e i
libri nella sua borsa a tracollo.
“Hai
visto le mie
chiavi?”.
Sospirò,
Sebastian, non
molto soddisfatto di quel primo approccio, ma accettando di buon
grado di poter sospendere la conversazione (se proprio fosse stata
ripresa), nella speranza che le prossime ore gli riportassero un
po’
di lucidità.
Allungò
la mano a
prendere il portachiavi abbandonato su una pila di riviste che Kurt
era solito leggere, mentre sorseggiava il caffè.
Lo sguardo
fisso
sull’iniziale del nome del ragazzo, costellata di strass.
Fece
tintinnare le chiavi, un vago sorriso, mentre la mente vagava
già
nei meandri del ricordo che era sovvenuto.
Non era stato
difficile trovare un locale che avrebbe potuto accontentare le sue
esigenze. Era piuttosto soddisfatto della scelta: il loft era ampio,
in una zona tranquilla ed aveva una buona visuale dello skyline di
Manhattan. Vi era persino un’altra camera da letto che
avrebbe
potuto facilmente convertire in una sala giochi, inserendo un tavolo
da biliardo o una sala tv personale.
Aveva
già collocato
gran parte dei suoi bagagli, restava soltanto l’incombenza di
arredare il posto (non che fosse particolarmente esigente: aveva ben
altri e più piacevoli modi di passare il tempo) e di
riempire il
frigorifero, anche se già sapeva che avrebbe passato molte
serate
ricorrendo al take-away o cenando fuori, soprattutto se ciò
gli
avrebbe permesso di trovare un dessert particolarmente
interessante per i suoi canoni.
Stava ancora
rimuginando al riguardo, quando si fermò alla vista di una
caffetteria di fronte al Prospect Park.
Sì,
era decisamente
il momento adatto per una pausa, si disse, ed entrò. Tra le
voci
della lista di cose da fare a Brooklyn, vi era decisamente quella di
trovare una caffetteria che non gli avrebbe fatto (troppo)
rimpiangere il caffè parigino, corretto col cognac.
Lasciò
scorrere lo
sguardo sulla clientela e scelse uno dei posti liberi: era di fronte
alla vetrata che dava l’ampia visuale del parco. Un posto
come un
altro per cominciare a conoscere il sobborgo e integrarsi
completamente in quella nuova vita.
Sfilò
il cappotto e
si accomodò con aria svogliata, cercando di intercettare lo
sguardo
di qualche cameriere: probabilmente attratto da un fondoschiena
particolarmente piacevole alla vista e stretto nei pantaloni della
divisa, ne scorse uno intento a sparecchiare il tavolo alla sua
sinistra.
Il rumore che
stava
producendo, riponendo le stoviglie sporche in un catino per piatti,
era un sottofondo appena percepibile alla chiacchierata che stava
intrattenendo con la ragazza seduta al tavolo. Dal grado di
confidenza, intuì che era una cliente abituale.
Credevo che il
tuo
progetto fosse di convivere con Rachel a New York”, disse la
giovane, scrutandolo con espressione confusa.
“Lo so”,
replicò
l’altro con un sospiro.“E adoro Rachel, soprattutto
quando dorme
e quando non provo il desiderio di
raderle la testa per le sue
manie da diva, ma da quando Finn è tornato e vivono
insieme-”.
“E’ tuo
fratello,
” ribatté dolcemente l’altra,
guardandolo con il viso inclinato
di un lato, ma lo sguardo acceso di divertimento. “Non credi
di
potergli parlare apertamente e trovare un compromesso che vada bene
per tutti?”.
Il ragazzo scosse
il
capo, ma le sorrise con aria paziente: “Si vede che non
conosci i
loro trascorsi, Tiffany. In confronto l’amore tormentato tra Peter
Bishop e Olivia Dunham
è
stato soltanto una serie di piccoli equivoci, con la modesta
aggiunta di una scorribanda continua tra diverse linee spazio
temporali”. Lo sguardo azzurro si perse in un punto
indefinito e
annuì tra sé, quasi stesse cercando di motivarsi
e convincersi:
“Devo trovare un altro loft, possibilmente in una zona meno
famigerata e che possa permettermi senza vendermi il sangue
o-”.
“I prodotti di
bellezza!”, conclusero all’unisono e si concessero
una risatina
complice.
“Chiedo
scusa”,
esordì Sebastian, schiarendosi la gola con tono
tutt’altro che
dispiaciuto, a giudicare dal sorrisetto sferzante e dallo sguardo di
smeraldo che stava ancora analizzando
quel meraviglioso fondoschiena, dondolandosi sulle gambe posteriori
della sedia.
“Mi rincresce
interrompere una storia dagli evidenti risvolti drammatici,
ma vorrei ordinare”.
Le gote del
cameriere
sembrarono tingersi di una tonalità più scura: se
l’imbarazzo
fosse causato dalla realizzazione del suo mancato dovere o dal
sospetto di essere stato ascoltato, era difficile a dirsi.
Sebastian lo
sentì
sospirare, ma fu lesto a voltarsi in sua direzione e premunirsi di
non apparire seccato dall’interruzione e, soprattutto,
fingersi
affabile con un nuovo cliente.
Il primo pensiero
di
Sebastian fu che aveva qualcosa di elfico: forse era la sua
corporatura sottile e slanciata, forse la purezza e il candore della
sua pelle (sì, se si era amanti di Legolas
insomma) o forse le sfumature indefinite di quegli occhi che parevano
catturare la luce del giorno e farne rilucere diversi riflessi.
I capelli erano
color
mogano con qualche ciocca più chiara a lasciar intendere che
dedicasse non poco tempo alla cura di se stesso, persino rivolgendosi
saltuariamente ad un parrucchiere. Aveva un’aria
così genuina da
apparire quasi finto, anch’egli un personaggio tratto da
chissà
quale romanzo fantasy.
Evidentemente
riuscì
a placare quel moto di stanchezza che aveva notato nel suo
irrigidimento iniziale, perché si schiarì la
gola: “Che cosa
posso portarle?”. Estrasse dal taschino della camicia una
penna, il
block notes già in mano.
“Un caffè
con una
goccia di cognac”.
Assunse
un’aria di
rimprovero, il cameriere, (aveva persino avuto l’ardire di
controllare l’ora, suscitando a Sebastian un verso di
divertimento
e uno scintillio sbarazzino nelle iridi, mentre scriveva
l’ordine.
“Qualcosa da mangiare?”, gli chiese con tono
perfettamente
neutrale.
“No”,
scrollò le
spalle.
“Per la gioia del
tuo fegato”, aveva borbottato (oh, se solo avesse saputo
quanto
avrebbe cantato il suo fegato da
quella sera in poi!) per poi
sorridere con la stessa aria professionale e formale: “Torno
subito”.
“Attendo”,
gli
aveva rivolto un sorriso insolente e l’aveva scrutato con
aria
interessata, appoggiandosi sul gomito per osservarne
l’incedere
verso il bancone. Evidentemente attirato dal suo sguardo, il
cameriere si volse e si avvide che lo stava osservando tanto
minuziosamente. Arrossì, ma distolse il proprio sguardo e
tornò ad
occuparsi della macchina del caffé.
Il sorriso di
Sebastian sembrò persino ampliarsi. Timido ed incerto, se
solo
avesse potuto sperare che fosse ancora vergine (che fosse gay
sembrava implicito per il suo radar, ma comunque non era necessario:
non sarebbe stata in quell'occasione che avrebbe assunto un
atteggiamento discriminante).
Si
abbandonò a quei
piacevoli pensieri fino a quando non tornò al suo tavolo,
premunendosi di non incrociarne lo sguardo, mentre depositava la
tazza di fronte a lui: “Ecco qua”.
“Grazie,
Kurt”, si
premunì di pronunciarne il nome (che aveva letto dalla
targhetta
sulla camicia) con intonazione morbida ed allusiva, accompagnata
dallo stesso sorriso impertinente che lo fece ulteriormente
irrigidire.
“Le porto
altro?”,
chiese soltanto per trarsi d’impaccio ed avere una scusa
legittima
per allontanarsi, senza rischiare di offenderlo o contrariarlo.
Scrollò
le spalle,
Sebastian, che parve rifletterci sopra, prima di schioccare la lingua
sul palato, l’aria evidentemente compiaciuta: “Se
vuoi saltare i
preliminari, puoi sempre portarmi il tuo numero”.
Sbatté
le palpebre,
Kurt, le labbra schiuse, quasi non riuscendo a credere di aver
davvero sentito una simile e
beffarda proposta. Evidentemente
non doveva essere abituato ad avere a che fare con il pubblico, o
forse non era neppure consapevole di poter essere oggetto di quel
tipo di attenzioni. Aveva la vaga idea che oltre ad essere introverso
e poco sicuro di sé, non fosse originario di New York.
Tuttavia, di
fronte al
suo sguardo sfacciatamente prolungato, strinse le labbra e assunse
una postura più rigida, incrociando le braccia al petto:
“Sono
fidanzato e se anche non fosse, sappia che questo non è quel
tipo
di locale. Ora se vuole scusarmi, ho clienti più educati da
servire”.
Non attese una
risposta e si voltò, camminando con aria più
impettita verso la
zona opposta del locale.
Ridacchiò,
Sebastian,
ignorando volutamente lo sguardo di rimprovero di quella Tiffany.
Continuò a studiarlo durante lo svolgimento delle sue
mansioni
mentre, appoggiato indolentemente allo schienale della sedia,
sorseggiava lentamente il suo caffè.
Malgrado avesse
ostentato quell’aria scandalizzata, il cameriere non aveva
mancato
di voltarsi in sua direzione di tanto in tanto (evidentemente
sperando di coglierne il tavolo vuoto) e prontamente, ogni singola
volta, Sebastian aveva sollevato la tazzina quasi a dedicargli un
brindisi.
Consumata la sua
ordinazione, si alzò e lasciò una banconota per
pagare (mancia
inclusa) e un piccolo involucro.
Sorrideva con
evidente
trepidazione, mentre, in ampie falcate, percorreva il salone:
“Arrivederci, Kurt”, lo salutò e lo
scrutò con la coda
dell’occhio, mentre si dirigeva alla sua postazione (senza
rispondere al saluto).
Ghignò
a vederne la
reazione sconvolta, ma s’incamminò con gelida
calma.
Contò
mentalmente:
cinque, quattro, tre, due, uno…
“Ehi, ehi,
aspetta!”.
Ne
ignorò il
richiamo, un sorriso ancora più soddisfatto ad incresparne
le
labbra, ma si voltò soltanto quando lo sentì
arrancare alle sue
spalle.
Si
voltò con
lentezza, fingendosi sorpreso. “Oh, ciao, Kurt”, lo
salutò
nuovamente, il viso inclinato di un lato e le mani conficcate nelle
tasche dei pantaloni. Sorrise con aria piuttosto lusingata, quasi il
ragazzo lo avesse volontariamente seguito per propria iniziativa:
“Non riuscivi proprio a resistere all’attesa del
mio ritorno?”,
gli chiese con voce modulata in una tonalità più
rauca e sensuale.
Ricevette di
nuovo uno
sguardo colmo di disapprovazione, mentre estraeva dalla tasca una
sigaretta che s’insinuò tra le labbra.
“Che
significa?”,
aveva schiuso il pugno a rivelare una chiave d’ottone,
contenuta
nella busta che aveva lasciato sul tavolo.
Scrollò
le spalle,
Sebastian, quasi la risposta fosse ovvia e sperasse in
tutt’altra
conversazione, ma accese la sigaretta e rilasciò una nuvola
di fumo.
“Ho una camera in
più e un affitto può far comodo, così
qualcuno che mi sappia
preparare un buon caffè”. Dall’aria
allusiva con cui aveva
pronunciato quelle parole, sembrava che facesse riferimento a ben
altre qualità.
“Sì, vivo a
Brooklyn, ” aggiunse nel ricordare la sua speranza di trovare
una
nuova sistemazione in un quartiere più sicuro. “Ma
è una bella
zona e non mi piacciono i pregiudizi”.
Lo
scrutò incredulo,
Kurt, boccheggiando e sbattendo le palpebre, quasi si aspettasse di
scoprire che si trattasse di uno strano scherzo: “Ma non ha
senso,
non sai nulla di me”, lo
specificò con voce più stridula.
“Oh”,
Sebastian
assunse un’espressione fintamente contrita, “e io
che speravo che
quello di prima potesse definirsi un appuntamento
platonico”.
Inclinò il viso di un lato ad osservarlo con aria piuttosto
esplicita: “E qualcosa in te mi ha colpito
dal primo
sguardo”, precisò con la stessa intonazione.
Omettendo che stesse
parlando del suo dèrriere. Meglio mantenere un
po’ di
mistero.
Un rossore ancora
più
diffuso sul volto di Kurt che sembrò indietreggiare.
Scosse il capo:
“Ho
un ragazzo”, ripeté, quasi ciò fosse un
dettaglio vincolante.
Scrollò
le spalle,
Sebastian: “Non importa a me, se non importa a te”,
lo disse con
l’aria di chi aveva già usato
quell’argomento a proprio
vantaggio, in molteplici occasioni dai risvolti ben più
accesi.
Ciò,
anziché farne
desistere le resistenze, sembrò persino offenderlo
perché strinse
il pugno libero contro il fianco, l’altra mano ancora aperta
per
rendergli la chiave. “Non verrò a vivere con un
estraneo”, lo
pronunciò con la stessa gravità con cui lo
avrebbe definito un
maniaco sessuale. Probabilmente rientrava nella sua definizione di
“estraneo”, a ben pensarci.
Continuò
a sorridere,
Sebastian. “Una settimana di prova: prendere o lasciare. Ti
farò
un buon prezzo, a patto che pensi tu al caffè, questo non
è
negoziabile”.
Qualcosa
sembrò
vacillare nel ragazzo: riuscì a comprendere dal cipiglio
sulla
fronte che l’offerta lo stava, nonostante i suoi principi,
tentando. Evidentemente era davvero esasperato della sua condizione
attuale. Scosse il capo e si morsicò il labbro:
sembrò quasi
cercare di convincere se stesso nell’una o l’altra
risoluzione
possibile.
“Non so neppure come
ti chiami”.
Lo
interpretò come un
segnale d’evidente cedimento. Sorrise e si scostò
la sigaretta
dalle labbra: “Sebastian”, rispose di riflesso per
poi indicargli
con un cenno del mento la busta che teneva tra le mani, “non
perdere l’indirizzo. Ci vediamo, Kurt”.
Stava ancora cercando
le
chiavi tra le suppellettili con movimenti agitati e l’aria
afflitta: “Perderò la metro”,
piagnucolò, perlustrando anche le
tasche laterali ed interne della borsa.
Sebastian
sorrise e si
drizzò dallo sgabello per poi raggiungerlo: gli prese la
mano e vi
lasciò cadere il portachiavi con un tintinnio.
“La
tua voce stridula
mi sta violentando i timpani e ora sparisci”, gli aveva
indicato
l’uscio, ma c’era un sorriso complice sulle labbra.
Evidentemente
sollevato,
Kurt l’aveva subito riposta al sicuro (non c’era da
meravigliarsi
che rischiasse l’infarto ad ogni momentaneo smarrimento: il
mazzetto capiente comprendeva anche le chiavi dell’ufficio
della
sua datrice), ma prima di uscire, lo aveva ammonito con lo sguardo.
“Ricordati la spesa e cucina qualcosa di
commestibile”.
Ridacchiò,
Sebastian,
l’aria beffarda: “Sai benissimo che non
farò né l’una né
l’altra cosa”.
“Sebastian!”,
lo
sgridò nuovamente sulla soglia dell’uscio.
Stava ancora
ridacchiando, quando la porta si chiuse alle sue spalle.
Sbadigliò e
si strofinò il viso: era decisamente necessaria
un’altra siesta.
Ignorò il letto intatto della propria camera e si
gettò su quello
ancora sfatto del coinquilino, aspirandone il profumo alla vaniglia
(che sembrava ormai aver intriso ogni oggetto in quella camera) e
ricadde nell’oblio.
Solo una lieve
contrazione delle palpebre, un ultimo pensiero nefasto alla
constatazione che al suo risveglio, sarebbe dovuto tornare a
riflettere su una questione di vitale importanza. Ma, soprattutto,
cominciare ad imbastire un piano d’azione.
~
Controllò
un'ultima
volta la disposizione del tavolo: per quanto spesso lo si potesse
accusare di essere fin troppo indolente e pigro, doveva essergli
riconosciuta non poca cura nei dettagli e nello stile, quando di buon
umore. Aveva persino collocato un mazzo di fiori a centrotavola.
Stava ancora
finendo
d’impiattare con il cibo tratto dalle scatole del fast food,
quando
sentì la chiave girare nella toppa e Kurt fece la sua
comparsa.
Si
fermò sulla soglia ad
inspirare il profumo, un dondolio di spalle puerile a sancirne
un'aria soddisfatta, mentre si spogliava del soprabito: “Che
buon
profumino”, commentò. Sbottonò i
polsini e si rimboccò le
maniche della camicia prima di avvicinarsi alla zona pranzo.
Sebastian
scrollò le
spalle: “Almeno non mi bercerai contro perché non
sono andato a
fare la spesa”, replicò in tono suadente.
Sollevò
gli occhi al
cielo, Kurt, indicando una busta di nylon lasciata sul divano insieme
alla borsa: “L'ho fatto io. Non voglio rinunciare al mio
latte di
soia, ma non ho comprato nulla per te”.
Sogghignò,
Sebastian, le
braccia incrociate al petto. “Così meschino e
vendicativo: dove ti
sei nascosto finora?”, chiese, portandosi stoicamente una
mano al
petto.
Ridacchiò,
Kurt. “Mi
lavo le mani e sono subito da te: odio la metro e chi crede che
emanare un buon profumo sia un optional”.
Raggrinzò
il naso,
Sebastian, per l'immagine tutt'altro che allettante prima della
consumazione del pasto. Inclinò il viso di un lato, l'aria
sardonica: “Non tutta New York va in giro con un arsenale da
parrucchiere e centro estetico incorporato in borsetta”.
“Touché”.
Quando si
avvicinò per
aiutarlo a finire di deporre le posate, Sebastian notò
l'aria stanca
sul suo volto.
“E'
stata una giornata
infernale”, confermò i suoi pensieri e si
lasciò scivolare alla
sua postazione.
Aveva inarcato
le
sopracciglia, Sebastian, imitandolo: “E tu stai per
raccontarmi
ogni singolo ed insignificante dettaglio. Per fortuna non manca mai
il vino”.
“A
meno che tu non
preferisca cenare coi tuoi libri di diritto ancora
incartati”,
replicò con aria sferzante e le sopracciglia inarcate in
un'espressione di pacato rimprovero.
Si strinse
nelle spalle,
evidentemente non preoccupato. “Supererò la
sessione estiva: ho
un'ottima memoria fotografica e le insegnanti mi adorano”.
Aggrottò
le
sopracciglia, Kurt: “Credevo ti piacesse l'idea di passare la
tua
vita pronunciando arringhe machiavelliche, smontando la difesa altrui
con ogni cavillo o mezzo al limite della
legalità”.
Sorrise.
“Mi piace,
infatti”, non aveva battuto ciglio mentre cominciava a
servirsi,
“ma odio memorizzare articoli su casi improponibili e
noiosi”.
“Non
c'entra nulla il
fatto che tuo padre ti abbia... incoraggiato?”.
“Tutti
mi ritengono un
raccomandato, Kurt, puoi dirlo: non mi scandalizzerò e non
scoppierò
in lacrime”, commentò, come sempre divertito dalla
pacatezza,
persino in quell'ambito.
“Non
lo penso”, lo
guardò intensamente, “credo che diventerai un
brillante avvocato,
se è ciò che desideri davvero”.
“Mi
hai abbastanza
ammorbidito e
indurito altrove”,
rise della sua espressione
schifata e del rossore che gli aveva colorato le guance, mentre ne
pronunciava il nome con tono stridulo.
“Allora,
cosa succede
nel mondo di Lady Hummel?”.
E
così Isabelle Wright
lo aveva chiamato per informarlo di essere rimasta impressionata da
una sua bozza e che aveva deciso di includere le sue idee nella
stagione autunnale (evento più che raro per un tirocinante),
poi
avrebbe dovuto preparare un monologo shakespeariano per la Nyada e
infine...
“Rachel
è venuta in
caffetteria a tormentarmi”, raccontò con aria
rassegnata, “avrei
preferito trovarmi di fronte cinque copie di te”.
Schioccò
la lingua sul
palato, Sebastian, sorseggiando il vino dopo aver fatto roteare il
calice. “Buongustaio insaziabile”,
ammiccò, guadagnandosi
un'altra occhiataccia di rimprovero. “Allora, che cosa voleva
Berrysterica?”.
Si era fatto
serio, Kurt
e si era raddrizzato sulla sedia: sembrò soppesare quegli
istanti di
silenzio, quasi le parole successive sarebbero state decisive per il
tipo d’atmosfera che si sarebbe creata per la conclusione
della
cena. Quasi fosse consapevole che ciò avrebbe potuto
compromettere
tutto e volesse prima comprenderne lo stato d'animo.
Inarcò
le sopracciglia
con aria interrogativa, Sebastian, esortandolo silenziosamente a
rispondere alla domanda.
“Mi
ha chiesto se
Blaine ed io abbiamo già pensato ad una data per il
matrimonio”.
Puntuale e
silenziosa,
percepì una stretta all'altezza del petto: sembrò
che il suo cuore
fosse stritolato e che il respiro gli mancasse per un breve istante.
Distolse lo sguardo, serrò la mascella, ma non fece alcun
commento.
Lo sguardo cadde nuovamente sull'anello che aveva ignorato fino a
quel momento. Inutilmente.
Avrebbe quasi
desiderato
essersi sgolato qualcosa di più forte di un vino da tavola,
qualcosa
che gli annebbiasse abbastanza la mente da non fargli cogliere le
implicazioni in tutta la loro serietà e, soprattutto, che lo
lasciasse agire senza rimpianti. E senza ricordi nitidi di
un'eventuale umiliazione.
“Sarà
meglio che lavi
i piatti”, si sentì dire dopo un lungo e teso
silenzio. Si drizzò
in piedi e percepì chiaramente il sospiro dell'altro.
“Eviteremo
l'argomento
fino al giorno stesso?”, chiese senza biasimo. La sua voce
era
soffice e modulata, quasi volesse premunirsi che le parole che
sarebbero sgorgate dalle sue labbra non dovessero arrecargli
qualsivoglia fastidio. Un alone di premura e di delicatezza che era
parte di sé, ma che non facilitava affatto le cose.
Si strinse
nelle spalle.
Dopo aver impilato le stoviglie sporche, camminò verso il
lavello,
senza voltarsi: “Soltanto fino a quando non capirai di star
facendo
una cazzata, dipende da te”.
Non avrebbe
faticato ad
immaginare l'espressione stanca di Kurt, ne sentì i passi
alle sue
spalle, ma finse di concentrarsi sulla lavastoviglie che
cominciò a
riempire, giusto per tenere le mani occupate. Curioso come, persino
in un'azione tanto banale, riuscisse a ricordare ogni ammonimento
della versione “desperate housewife” di Kurt:
dal non
sovrapporre le stoviglie allo scrostare a mano i piatti più
sporchi,
prima di inserirli nell'elettrodomestico. Sembrava una conferma che
ormai era presente in ogni singolo aspetto della sua vita, anche il
più irrilevante, e quell’evidenza cozzava con
naturale bisogno di
evitare coinvolgimenti emotivi.
“So
che Blaine non ti è
mai piaciuto e di sicuro il vostro primo incontro, dopo la nostra
rottura, non ha giovato, ma-”.
Si era
voltato,
Sebastian, le braccia incrociate al petto: “Ma cosa?”,
seppur si sforzasse di non alzare la voce ed evitare una reazione
esacerbata come quella della sera precedente, non poté
evitare di
sentire nuovamente quell'arsura farne alterare i battiti, irrigidire
le membra. Già pronto a difendersi da ogni parola che
sarebbe
sgorgata dalle labbra di Kurt e contrattaccare, demolendo la presunta
logicità delle sue convinzioni.
Allargò
le braccia. “Sei
partito per andare a trovare tuo padre e sei tornato con un anello di
fidanzamento: piuttosto improvvisa come decisione,
soprattutto
dopo l'ultimo anno post rottura”.
“Lo
so”, aveva
sospirato Kurt, annuendo. “E hai ragione: ero sorpreso
più di
chiunque altro, credimi”.
Sollevò
gli occhi al
cielo, Sebastian: se avesse osato propinargli un filmato o una
fotografia della brillante proposta di matrimonio, non sarebbe stato
certo di poter controllare le proprie reazioni. “E
ciononostante
non ti sei preso molto tempo per pensarci sopra”.
Avrebbe voluto
che la sua
voce non avesse quel tono risentito, quasi tale reazione fosse stata
un torto personale. Avrebbe voluto mostrargli il futuro e brillante
avvocato di cui avevano discusso poco prima e poter argomentare la
sua causa con la stessa arguzia.
Si era morso
il labbro,
Kurt, ma lo aveva guardato intensamente: “Non si smette
d’amare
qualcuno come io ho amato Blaine, neppure se lo si desidera”.
Un sorriso
amaro
serpeggiò sulle labbra di Sebastian che distolse lo sguardo
e scosse
il capo tra sé e sé. Era consapevole che, per
quante ragioni
potesse addurre (e non avrebbe neppure dovuto sforzarsi di
elencargliele), quello era un punto che nessuno avrebbe potuto
negare. Neppure lui, neppure per l'intensità di tale
desiderio.
“Forse”,
si strinse
nelle spalle perché ammetterlo sarebbe equivalso ad una resa
anche
da parte sua.
“Si
può comunque
scegliere se stessi ma, come sempre, tu hai scelto Blaine e
d’essere
chi lui vuole che tu sia”.
Aveva
aggrottato le
sopracciglia, Kurt e sembrò essere sbiancato:
“Questo non vero!”,
aveva ribattuto con voce più stridula. “Lui mi ama
per come sono
e-”.
“Non
sei lo stesso che
è partito per l'Ohio, lo stesso che si era giurato che non
avrebbe
commesso lo stesso errore per un capriccio romantico o lo stesso che
aveva perso totalmente la fiducia in lui!”.
“E'
vero”, aveva
levato le mani, Kurt, in gesto di resa. “Mi ha ferito come
nessun
altro, ma ciò non significa che non siamo in grado di
superarlo o
che io non l'abbia già perdonato”.
Scosse il
capo,
Sebastian. Dubitava che, al posto di Blaine, sarebbe stato in grado
di perdonarsi tanto facilmente o anche solo pretendere di poter
vincolarlo a sé per tutta una vita e in modo ufficiale e
definitivo.
Ciò che sarebbe sempre stato un mistero ai suoi occhi, era
il modo
in cui Kurt non riusciva a contemplare seriamente l'idea che qualcuno
potesse amarlo come e più di quanto la mezza SegAnderson
fosse in
grado di fare. Perché, per quanto si ostinasse a difendere
il loro
rapporto (soprattutto l'idilliaco passato), la motivazione
più
profonda, sarebbe sempre stata la sua infondata paura di restare
solo.
Corrugò
le sopracciglia:
“Perché tanta fretta, in ogni caso?”.
Inclinò il viso di un
lato, recuperando una parvenza d’arroganza: “Ha
paura che tu
possa
svicolare
troppo dal suo controllo?”.
Parve colpito
da quelle
parole, Kurt. Lo vide sbattere le palpebre e le labbra ebbero un
tremito che lo fece pentire silenziosamente di quell'atteggiamento
più sferzante. Ebbe la certezza di essersi spinto oltre,
persino
prima di sentirne la voce più rauca:
“Credi
che io valga
così poco?”, aveva chiesto in un sussurro quasi
angosciato.
Si era
affrettato a
scuotere la testa, Sebastian e si era avvicinato rapidamente:
“No,
Kurt”, sentì la sua voce assumere una
tonalità più morbida,
quella che soltanto lui sapeva strappargli, persino contro la sua
volontà. “Sei tu che non credi in te
stesso ed è proprio
per questo che non posso fingermi felice per la tua
decisione”.
Seppur in
qualche modo il
suo dolore fosse stato placato dalla certezza che non volesse
ferirlo, Kurt non poté che sospirare. Era evidente che,
nonostante
tutto, avrebbe desiderato riuscire ad ottenerne l'appoggio o un voto
di fiducia che da lui si estendesse alla certezza della giusta
decisione.
“D'accordo”,
sembrò
voler cercare un compromesso ragionevole, “forse con il
tempo,
quando Blaine verrà a New York, potreste-”.
“Sarà
mia premura
evitarlo”, la sua voce assunse nuovamente quell'intonazione
più
beffarda, quasi soltanto a voler nuovamente alleggerire l'atmosfera.
“Sebastian”,
Kurt ne
aveva trattenuto il braccio, “vorrei soltanto sapere che ci
sarai
per me”.
“A
raccogliere i tuoi
cocci?”, indagò con un'occhiata eloquente.
Sorrise, Kurt,
scuotendo
appena il capo, ma continuando a stringerne la pelle sotto il proprio
palmo: “Ad essere te stesso”, lo
rassicurò per poi osservarlo di
sottecchi, quasi a voler nuovamente prevederne le possibili reazioni.
“E
poi sarebbe carino
se il mio testimone mi desse il suo consiglio non richiesto su ogni
cosa che riguardi il matrimonio e la mia vita”.
Uno strano
singulto in
petto e boccheggiò per l'eccezionale richiesta. Ci vollero
diversi
secondi perché sembrasse riprendersi.
Sorrise
amaramente,
l'attimo dopo. Pur consapevole che quella nomina doveva corrispondere
ad un grande onore, frutto dell'affetto e della stima dell'altro,
ciò
non rese quell'idea dissimile ad una beffa.
Scosse il
capo: “Non si
suppone che i testimoni debbano essere favorevoli all'unione?”.
“Voglio
una persona di
cui mi fidi e che non abbia remore a dirmi ciò che pensa.
Sei mio
amico e la persona che voglio vicino in tutte le mie decisioni, anche
se non approvi quella più importante”. E non vi
erano dubbi sulla
veridicità di tali parole, su quanto lo sentisse vicino e
quanto
intenso fosse il legame che avevano instaurato e che Kurt non si
faceva cruccio di dichiarare.
Lo
osservò a lungo,
Sebastian. Provò ad immaginare come avrebbe potuto
accogliere quelle
parole, quell'attestato di fiducia, quel bisogno esplicito della sua
presenza nei momenti più importanti. Come tutto sarebbe
stato
perfetto, senza quel
matrimonio che sembrava essere sempre più
reale e incombente.
“Non
lo farò, Kurt”,
sussurrò e parve lui stesso addolorato nel pronunciare
quelle
parole: “O sarò io a non poter più
guardarmi allo specchio,
sapendo ciò che ti ho fatto”.
Contrasse le
labbra,
Kurt, che ne strinse maggiormente il braccio: “Neppure per
me?”.
“Soprattutto
per te”,
fu l’apatica risposta, evitandone di incrociarne lo sguardo,
le
braccia serrate al petto.
Aveva
sospirato, Kurt, ma
aveva mollato la presa, a testimonianza della sua evidente intenzione
di non insistere.
Avrebbe voluto
rassicurarlo, Sebastian, promettergli che non prendere apertamente
parte a quella follia, non sarebbe equivalso a trarsi fuori da ogni
cosa. Che sarebbe stato più che mai presente ed attento ad
ogni fase
di quel fidanzamento. Che non lo avrebbe lasciato andare come credeva
che fosse possibile.
Ma nessuno di
quei
pensieri si tradusse in suono.
“Allora,
avete deciso
la data alla fine?”, si sentì invece chiedere,
quasi stesse
contemplando la scena dall'esterno.
“Marzo”,
rispose Kurt
con voce ovattata ma anche lui sembrava ormai distante.
“Primavera?”,
indagò
con un sopracciglio inarcato.
Un vago
rossore sulle
gote di Kurt che probabilmente avrebbe preferito non rispondere:
“Primo bacio”.
“Meraviglioso”,
si
odiò per quella decantata formalità.
Odiò
il modo in cui Kurt
sembrò non cogliere la frecciatina, nonostante lo stesse
scrutando
attentamente, ma colse il pretesto della fine dell'argomento per
preparare il caffè.
Odiò
guardarlo entrare
nella sua camera, mentre accennava all'idea di gettare su carta
qualche schizzo nuovo per Isabelle, prima di andare a dormire.
Odiò
non riuscire a non
pensare che stesse allontanandosi volontariamente da lui.
Odiò
restare dall'altra
parte dell'uscio e non fare assolutamente niente.
~
Si era fatto
largo tra la
folla, una smorfia sul volto nel sentirsi travolgere da una nube
nauseabonda d’odori e fragranze miscelati tra loro.
Si
fermò di fronte al
bancone, gettando un'occhiata annoiata al barista che, avendo
evidentemente smaltito l'abbandono, aveva atteggiato il viso in quel
sorrisetto flirtante, mentre chiacchierava con quella che aveva
l'aria di essere una di quelle avventrici non troppo difficili da
sbottonare.
Alzò
gli occhi al cielo
e si avvicinò ad entrambi, accomodandosi sullo sgabello e
sorridendo
alla giovane con aria affettata.
“Sebastian!”,
lo
aveva accolto Hunter. Lo conosceva abbastanza da sapere che quel tono
enfaticamente entusiasta corrispondeva ad un più esplicito: “Fuori
dalle palle”.
Finse
di non coglierne l'allusione e sorrise ad entrambi, tambureggiando
con le dita sul bancone: “Buonasera”,
improvvisò un sorriso
amabile.
La
ragazza ne ricambiò il sorriso, guardando il barista quasi
aspettandosi le dovute presentazioni. Quest'ultimo si
premunì di
mantenere il sorriso sferzante, parlando senza scandire le parole con
le labbra e continuando a guardare la ragazza: “Serviti da
solo,
arrivo subito”.
All'immobilità
di Sebastian, aveva sollevato gli occhi al cielo per poi sorridere
alla squinzia
con aria di scuse: “Torno subito”.
Fu
allora che Sebastian allungò la mano verso la giovane:
“Sebastian”.
“Lindsay”,
si presentò la ragazza, sbattendo vezzosamente le palpebre.
Sorrise,
Sebastian, con aria piuttosto compiaciuta (classificandola come
“zoccola facile che la svende al primo offerente”),
prima di
inclinare il viso di un lato: “Scusami se mi sono avvicinato
sfacciatamente, ma il tuo cappotto è di un rosa
così delizioso
che sembrava quasi che mi
chiamasse”, aveva cercato di imitare il tono entusiasta di
Kurt di
fronte ad una sfilata alla tv.
La
ragazza parve subito perdere l'interesse civettuolo (era comunque una
conferma che se fosse stato etero, il povero barista avrebbe avuto
ancora meno probabilità di riuscita), ma continuò
a sorridere: “Ti
ringrazio, è di Chanel”,
lo disse come se ciò spiegasse tutto.
Sebastian
si finse incapace di distogliere l'attenzione, mentre lei parlava del
suo guardaroba, evidentemente convinta di essersi appena conquistata
“l'amico gay” che ogni donna avrebbe dovuto avere.
Sì, come il
cucciolo di chihuahua nella borsetta.
Aveva
sospirato per poi aggiungere: “Lo dico sempre al
mio ragazzo
che « il gusto è di
tutti, ma il buon gusto è di pochi »”,
recitò sfacciatamente uno
dei motti preferiti di Kurt. Si volse verso il barista che li stava
guardando con aria interrogativa (probabilmente domandandosi quali
imbarazzanti aneddoti stesse raccontando su di lui) e gli rivolse con
un saluto enfatico con la mano, prima di voltarsi verso la giovane.
Lo indicò con aria trasognata.
“Glielo
dico sempre che quella canottiera accentua troppo l'aria
da muratore,
mai che mi desse
ascolto: non capisco questo bisogno di mettere in mostra le sue
spalle”, sospirò con aria fintamente
melodrammatica. “Insomma”,
si sporse in sua direzione con fare confidenziale,
“è
evidente che sia ben
dotato,
non so se mi spiego”.
Fu
soltanto grazie alla sua innata abilità, se non
scoppiò a ridere
alla reazione della giovane e al modo in cui era letteralmente
sbiancata. Aveva sgranato gli occhi, boccheggiando e guardando da lui
al barista e dal barista a lui per non meno di trenta secondi. Gli
sembrò quasi di percepire il suono degli ingranaggi del suo
cervello
in movimento. Un colorito rossastro si diffuse sul suo volto, ma
sbatté le palpebre, evidentemente nel tentativo di tornare
in sé.
Gli
sorrise, cercando di celare lo strano tic all'occhio e il tremito
delle mani.
“Il
tuo
ragazzo?”, riuscì a chiedere con voce
evidentemente stridula che
Sebastian finse di non notare, mentre annuiva.
Cercando
di ignorare lo sbuffo ironico che Santana Lopez aveva soffocato nel
suo drink, aveva improvvisato un'espressione sognante, il gomito
puntellato sul bancone e la mano a sostenersi il mento.
“Un
anno insieme, chi l'avrebbe mai detto”, aveva sospirato,
mentre
Hunter ricompariva con un sorriso tutto dedicato alla giovane.
“Ecco
qua”, gli porse una birra senza neppure guardarlo.
“Scemotto”,
lo aveva blandito Sebastian, dandogli una pacca sul braccio,
premunendosi di carezzarlo con eccessiva stucchevolezza. “Non
scherzare! Dov'è il mio Shirley Temple con la cannuccia
rosa?”,
aveva chiesto in tono
cinguettante.
L'espressione
perplessa sulla faccia del barista, lasciò presto spazio
alla
comprensione: boccheggiò e si scostò bruscamente.
Già pronto a
formulare chissà quale mirabolante autodifesa, si
voltò verso
Lindsay.
Giusto
in tempo perché la ragazza, i cui capelli rossi sembrarono
prendere
letteralmente fuoco, allungasse la mano a colpirlo con un
sonoro schiaffo che sembrò risuonare come uno sparo nel
silenzio
attonito degli avventori vicino al bancone.
“Porco!”,
gridò con voce stridula. Si voltò e
camminò con incedere furioso
verso il tavolo intorno al quale erano sedute le amiche.
Sebastian
ridacchiò,
sollevando la mano a ricevere l'high five offertogli da Santana Lopez
che, seduta in grembo al ragazzo dall'aria da golden retriever, aveva
assistito alla scena e stava ora sottolineando con un fischio la
camminata della ragazza.
“Povero
MasturbHunter”,
lo blandì con aria fintamente dispiaciuta: “Ti
mostro cosa sia una
vera donna”, gli aveva proposto a mo' di consolazione e, dopo
aver
baciato il ragazzone di cui Sebastian ignorava/dimenticava
puntualmente il nome, si avviò verso il palco per il suo
numero.
L'espressione
inebetita,
la mano appoggiata sulla guancia lesa, Hunter sembrò
incapace di
distogliere lo sguardo dal suo bersaglio mancato. Sembrò non
riuscire a metabolizzare cosa era esattamente accaduto da quando
Sebastian era arrivato.
“Bene,
ora che ti sei
liberato, passiamo alle cose serie”, commentò
quest'ultimo con
aria pragmatica, una volta che il suo divertimento sembrò
esaurito.
Soltanto
allora lo
sventurato sembrò tornare in sé,
perché gli scoccò un'occhiata
rabbiosa, la mascella serrata: “Sei un gran bastardo, lo sai?”,
stava
letteralmente ringhiando.
Cercò
di non scoppiare
impietosamente a ridere di fronte alla vena che stava pulsando sul
collo o il modo in cui le iridi verdi erano sgranate, facendolo
somigliare ad una caricatura da cartone animato.
Si strinse
nelle spalle,
Sebastian, che con aria non curante afferrò la birra che gli
aveva
portato e ne bevve un sorso dalla canna: “Non hai bisogno di
me per
fare cilecca, credimi”.
Ci vollero
diversi
secondi perché il barista sembrasse tornare in
sé: lo aveva visto
appoggiare le mani sul bancone e socchiudere gli occhi, probabilmente
recitando qualche mantra o facendo ricorso a qualche tecnica di
rilassamento imparata in qualche altro patetico tentativo
d’abbordaggio di uteri.
“Ti
stai
disintossicando?”, gli chiese poi con aria serafica,
osservando la
bottiglia, probabilmente sperando che il karma gli concedesse una
rivincita. “O hai la sclera gialla? Perché in quel
caso il tuo
fegato-”.
Aveva
sollevato la mano,
Sebastian. “Tieniti i tuoi discorsi d’anatomia per
le donne,
sempre che tu riesca ad avvicinarne una, dopo che la notizia si
sarà
diffusa”. Indicò con un cenno del mento la ragazza
dai capelli
rossi che stava parlando con le altre giovani al suo tavolo: quasi
come una coreografia, una alla volta si volsero tutte a lanciare al
barista occhiate sprezzanti. Sebastian sorrise, lanciando un bacio
enfatico al tavolo.
Si fece scuro
in volto,
Hunter, ma fissò Sebastian, le braccia incrociate al petto e
l'aria
disgustata: “Ricordami perché ti rivolgo ancora la
parola”.
“Non
tempo per
compiacermi di me stesso”, aveva estratto dal soprabito una
voluminosa agenda che aveva poi posato sul bancone. Dalle
estremità
sbucavano almeno una ventina di segnalibri colorati.
Lo
fissò accigliato,
l'altro: “Qualunque cosa sia, la risposta è no”.
“Parli
come se avessi
scelta”, lo canzonò Sebastian prima di tornare
serio. “Questa è
l'agenda di Kurt: l'ha comprata per il matrimonio presumo, visto che
oggi è apparsa per la prima volta. C'è una lista
di stronzate per
colore diverso. Invitati, bozze dei menù, idee per l'abito,
fiori,
location, partecipazioni. Sembra che lo stia progettando da tutta una
vita”, aggiunge tra sé e sé e
l'intensità di quella credenza gli
tolse il respiro.
“Tralascerò
l'inquietante immagine di te che fai l'inventario degli oggetti
personali di Kurt”, esordì il barista che si
strofinò la mano
sulla tempia, “oddio, dimmi che non lo stai
facendo”,
pareva realmente sconvolto.
“Tecnicamente
non sto
ancora facendo nulla, ma
fotocopierò tutto e la controllerò
settimanalmente. Visto che non vuole ascoltarmi, a mali
estremi...”.
“Quale
sarebbe il tuo
piano? Mandare a tutti lettere di scuse per il matrimonio annullato?
Cancellare la prenotazione al ristorante, quando lo avrà
scelto,
oppure il più semplice: sparare al tuo rivale? Altrimenti ci
sarebbe
anche il trucco piuttosto vecchio ma efficace: rapire Kurt in
occasione della festa d’addio al celibato e magari nel
frattempo
sposarlo in un altro stato, così che il precedente
matrimonio gli
impedisca di sposarsi con il fidanzato”.
Lo aveva
scrutato con
aria evidentemente perplessa, Sebastian: “Tu guardi troppe
commedie
romantiche e scommetto che neppure ti fruttano nulla”,
sospirò
quasi fosse realmente dispiaciuto per le sue condizioni.
Scosse il
capo. “Fingerò
di apprezzare lo sforzo. In realtà pensavo di complicargli
un po' le
cose, mentre rinsavisce. Se sono fortunato penserà che il
destino
gli stia mandando dei segnali nefasti: è così
melodrammatico che
potrebbe funzionare”.
“Temporeggiare,
quindi”, ribatté Hunter sollevando a sua volta una
bottiglia di
birra con l'aria di chi ne avrebbe bevuta parecchia per dimenticare
l'infausto avvenimento. “Sperando che il suo fidanzato
finisca giù
da un dirupo?”, precisò poi asciugandosi le labbra
con il palmo
della mano.
“Willy
il coyote?”,
gli chiese senza neppure sollevare lo sguardo dalla grafia di Kurt.
“Quello
che voglio
dire, ” sospirò il barista con aria evidentemente
stanca, “è
che per quanto ti sorrida l'idea di torturare Kurt in modo subdolo ed
anonimo, sai che dovrai fare alla fine, no?”.
“Potrei
corrompere
l'officiante”.
Sollevò
gli occhi al
cielo, Hunter. “Sebastian perché non gli dici
semplicemente la
verità?”.
“Se
stai per ripetere
un discorso alla Hugh Grant, sappi che t’infilerò
questa bottiglia
su per il
canale
e ti farò un filmato in cui i tuoi gemiti
sembreranno di piacere per ben altra penetrazione e lo
renderò di
dominio pubblico entro stanotte. Sono stato chiaro?”.
Seppur
evidentemente
schifato dalla proposta, Hunter sospirò e scosse il capo, ma
non
parve prenderlo sul serio. Non troppo almeno. Non dopo aver
già
ricevuto un assaggio della sua perfidia. Neppure Sebastian poteva
essere così subdolo, non in una sera soltanto almeno.
“E'
evidente che Kurt
sia convinto della sua decisione. Quindi, anziché sperare
che le
cose tra lui e il suo fidanzato vadano male o boicottare ogni fase
dell'organizzazione, ” esordì con insopportabile
tono calmo e
razionale, “non sarebbe più efficace dargli
qualcosa di più serio
e concreto su cui riflettere? Per qualche motivo che
l’umanità non
è pronta a conoscere, tu sei importante per lui: non
resterà
indifferente”.
Un cenno
distratto della
mano. “Non ti sto ascoltando: nessuna idea per la location o
per il
ristorante,” constatò sfogliando le pagine,
“scommetto che sarà
la mezza sega a mettere la proboscide nella scelta, magari facendosi
qualcuno tra una cosa e l'altra”.
Sbuffò,
Hunter che
ingollò un altro sorso di birra e schioccò la
lingua sul palato,
scuotendo il capo. “Tu e Kurt vi meritate a vicenda: vi
aggrappate
all'idea di fare qualcosa per non esplorare il vostro stato d'animo,
illudendovi che il resto si risolverà da solo”,
sentenziò con
aria rancorosa.
“Se
avessi voluto
sentire una predica, sarei rimasto da Kurt: i tuoi bicipiti non mi
eccitano quanto il suo culo”.
Sollevò
gli occhi al
cielo, Hunter: “Come se ci fosse una parte del corpo di Kurt
che
non ti eccita”, ribatté con aria annoiata. Stava
osservando
Santana Lopez ricongiungersi (letteralmente) al suo biondino
scodinzolante e ciò parve affliggerlo ancora di
più.
“Fottiti”,
rispose
Sebastian senza neppure guardarlo.
Sorrise con
aria
affettata, Hunter, contemplando la bottiglia che ancora teneva in
mano. Le labbra si contorsero in un sorriso diabolico, probabilmente
immaginando di spaccargliela sulla nuca e guardarlo contorcersi sul
pavimento.
Sbatté
le palpebre,
serrando la mascella: “Me lo hai impedito”,
sottolineò con voce
melliflua.
“E a
questo proposito”,
ignorando gli sguardi delle ragazze al solito tavolo, si
appoggiò
con il gomito al bancone e si sporse al suo orecchio:
“continuerai
a sabotare la mia vita privata?”.
“Se
eviterà a Kurt di
sposare mezza SegAnderson, sì”, rispose
distrattamente.
“Dammi
quell'agenda”,
tagliò corto e, con aria evidentemente risentita, gliela
prese senza
tanti complimenti. Un cipiglio perplesso nell’osservare i
post it e
i segnalibri, ma aggrottò la fronte nello scorgere la data
del
matrimonio che Kurt aveva appuntato sulla prima pagina a matita.
“
Tra
dieci mesi?
Ma è pazzo?”.
“Alle
non nozze”,
sogghignò Sebastian sollevando la propria bottiglia.
Sospirò,
Hunter e la
fece cozzare contro la propria: “Un giorno mi darai
ragione”.
“Un
giorno ti farai una
ballerina e non una Jenna qualsiasi”, commentò
Sebastian a
paragonare la probabilità delle sue ipotesi idilliache.
“Ora
ricordi il suo
nome”, borbottò Hunter.
“Quando
ti mollano,
passano da 'totalmente inutili' a 'quasi del tutto inutili'”.
Lo
fissò schifato, ma
scosse il capo.“Quasi ti preferisco da ubriaco”.
~
Si
premunì di muoversi
il più silenziosamente possibile e depositò
nuovamente l’agenda
sul comodino accanto al letto. Sulla scrivania vi erano ancora dei
disegni lasciati incompiuti e diversi fogli di carta appallottolati e
gettati nel cestino.
Il suo respiro
era lieve
e regolare e un sorriso soffuso ne sfiorava le labbra: ironico come,
da quando indossava quell’anello, lo sentisse lontano e
distante,
esattamente come se immerso in un mondo onirico prolungato che gli
era precluso. Indugiò ad osservarne la figura addormentata e
allungò
la mano a scostarne il solito ciuffo dalla fronte. Le dita, quasi
conoscessero quel percorso, scivolarono lungo la gota del ragazzo,
sfiorandone le labbra con il pollice.
Si mosse nel
sonno, quasi
stesse ricercando quel contatto e Sebastian si ritrasse.
“Fidati
di me”,
sussurrò nel silenzio della camera buia.
Quelle parole,
tuttavia,
sembravano soprattutto dirette a se stesso: un modo di forgiarsi
nella convinzione di poter affrontare tutto a modo suo.
To
be continued…
Well, well, well,
eccoci
alla conclusione del capitolo. Spero che l'aneddoto del primo
incontro abbia saputo divertirvi: questo viaggio nel passato, oltre
ad alleggerire la tensione del presente, vorrebbe essere un modo di
ricostruire quell'anno di convivenza e mostrare, tra le righe,
l'evoluzione del rapporto tra Kurt e Sebastian.
Siamo soltanto
all'inizio, ma una sbirciatina al prossimo capitolo:
“Evidentemente
sei solo tu ad avere fretta di trovare una nuova casa”
“Blaine si
sta diplomando e… credevi che avremmo convissuto tutti e
tre, più
qualche amante occasionale che fai entrare di soppiatto?”
“In
realtà la mezza seg… Blaine non è mai
stato contemplato: non ho
voglia di rovinarmi la digestione pensando a lui”.
“E’
passata una settimana” “Sapevo che non te ne
saresti andato”
“Non hai capito, non ho ancora detto che accetto”.
“Oh
sì, l’alcol ti renderà più
sicuramente più capace di ragionare
lucidamente” “Versa e sta zitto”
“Sta andando così male?”.
Vorrei ringraziare di
cuore tutte le persone che hanno aggiunto questa fanfiction tra le
seguite e le preferite. Soprattutto chi mi ha
lasciato una graditissima recensione: è stato davvero molto
emozionante tornare su queste pagine, parlando di Kurtbastian, dopo
più di un anno e leggere entusiasmo ed aspettative nelle
vostre
parole. Compresa la preoccupazione di un alto potenziale di angst:
qualcuno direbbe che “angstara” lo sono di
professione, ma
cercherò sempre di smussare i toni ora con un flashback, ora
con la
comparsa di qualche personaggio secondario.
Spero di
continuare ad
entusiasmarvi ed emozionarvi in tutto il percorso insieme :)
Come sempre
non può
mancare un abbraccione alla mia Sebastian, un pensiero per la
mia Blaine (…
sì, lo so, fa effetto anche a me scriverlo,
ma siamo l'unica Klaine che potrei shippare, considerandomi una Kurt
:D), e che questo capitolo sia un bentornato degno per la mia
Nolanator preferita.
Buon weekend a
tutti
e buon 4 Luglio a tutti i fan di ACITW ;)
Kiki87
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
capitolo 2
Dove
sei tu, quella, è
casa.
(Emily Dickinson).
Capitolo
2.
Giugno
(meno
nove mesi al
matrimonio).
Era passato quasi un mese
(e quattro leggendarie sbornie settimanali) dal fatidico annuncio e
Kurt non sembrava affatto propenso a rinsavire. La
sua agenda
continuava a riempirsi di annotazioni, le telefonate e le
videochiamate skype col fidanzato divenivano sempre più
frequenti.
La situazione rischiava
seriamente di divenire ufficiale, a mano a mano che
più
persone erano coinvolte (e tra queste l’odiosa ciabatta di
Broadway
che si era proclamata damigella d’onore, ma che lui aveva
prontamente ribattezzato “d’orrore”)
e venute a
conoscenza dell’evento dell’anno.
Era anche il momento in
cui Kurt aveva fatto del suo meglio per
“kurteggiare” intorno a
questioni e decisioni che divenivano sempre più impellenti.
Nella sua ispezione
quotidiana, a parte qualche cartamodello e bozze del suo abito da
sposo (sì, se lo sarebbe cucito da solo: quale occasione
migliore di
un madornale errore per dare ufficialmente inizio alla sua carriera
d’aspirante stilista?), era comparso un catalogo con annunci
su
affitti e vendite d’appartamenti e loft. Alcuni erano stati
persino
cerchiati.
Era stato piuttosto
facile per Sebastian cancellare i messaggi in segreteria di sedicenti
agenti immobiliari, convincere (con tanto di mazzette) gli avventori
del Penguin Pub a spacciarsi per loro e informare “con gran
rincrescimento”, che l’ennesimo appartamento dei
sogni era stato
acquistato da qualcun altro. Persino liberatorio strappare le pagine
pubblicitarie dei giornali, prima che Kurt stesso potesse visionarle
anche solo per errore.
Ma ogni volta che
osservava quel gigantesco programma affisso alla parete, con gli
stessi colori delle etichette nella sua preziosa agenda, con la lista
delle cose da fare per ogni singola voce, nonché il
countdown al
matrimonio, una dolorosa fitta allo stomaco sembrava paralizzarlo.
Doveva voltarsi bruscamente, allora, ed uscire da quella camera e
affrettarsi a lasciare quella casa, perché incapace di
respirare.
“Sensi di colpa?”, lo
incalzo Hunter, con il sorrisetto di chi per primo dubitava delle
proprie parole. Non certo quello del MasturbHunter che da
più di un
mese non copulava allegramente.
Un solco apparve tra le
sopracciglia di Sebastian: era di fronte a quell’espressione
saputa
che il suo diabolico piano di rapirne il gatto, bruciarlo vivo e
gettarlo nell’East River prendeva sempre
più forma.
“Non dire cazzate”,
scrollò le spalle e tracannò la sua prima birra.
“Mi ringrazierà
un giorno: è soltanto questione di tempo”.
Non sembrava mai
particolarmente impressionato dalle sue teorie o dalla sua presunta e
affermata conoscenza di Kurt, o su come la sua storia d’amore
fosse
morbosa e degenerante di un'autostima fin troppo modesta.
“Te l’ho detto,
prendi il problema dal lato sbagliato”.
Per qualche motivo, a
Sebastian ancora ignoto, sembrava che il dottorino non riuscisse a
fare a meno di esprimere la sua opinione, anche quando ovviamente non
richiesta, soprattutto alla luce di quanto vuota e triste fosse la
sua vita privata. E non soltanto in virtù dei suoi
“suggerimenti”
su quale squinzia del giorno evitare.
Ma quando una sua
imbeccata iniziava con il polemico: “Te l’ho
detto”, l’udito
di Sebastian finiva con il censurare istantaneamente ogni parola
successiva.
“Dovrei andare in Ohio
e investire Mezza SegAnderson”, rifletté ad alta
voce.
“O magari, anziché
mostrarti scontroso come una moglie gelosa”, davvero credeva
che
sarebbe stato proprio lui la parte “femminile”
della coppia?
Oltre ad essere un modo di pensare superficiale e tipicamente da
sfigato etero, era evidente non avesse la benché minima idea
di
quali sarebbero state le dinamiche di coppia tra lui e Kurt.
“Potresti aiutare Kurt,
incoraggiarlo o-”.
Sgranò gli occhi,
Sebastian, e l’idea che sembrò letteralmente
fulminarlo, lo fece
sorridere trionfante e scintillarne gli occhi di smeraldo.
“E così avrei un
controllo più diretto e potrei influenzarlo, con la scusa di
fare
tutto per il suo bene, come qualsiasi buon amico farebbe, tanto
più
se contrario al matrimonio”.
“… e trovare il
momento giusto di confessargli i tuoi sentimenti”, aveva
concluso
Hunter con aria sgomenta nell’osservarne il repentino
cambiamento
d’espressione. “Non dirmi che ti ho appena
suggerito qualcosa di
machiavellico, contorto e perverso, ti prego”.
Sembrò
letteralmente supplicarlo con la stessa aria rassegnata di chi era
consapevole di star per assistere ad un disastro epocale.
Sogghignò, Sebastian,
porgendogli una bottiglia di birra che l’altro prese
prontamente
(sì, stava conducendolo verso il lato oscuro,
ma doveva
riconoscergli una resistenza invidiabile. Almeno fino a quel
momento). “Esattamente: potrei quasi ringraziarti”.
Aggrottò le
sopracciglia, Hunter: “Mi basterebbe che tu pagassi quello
che
bevi”, borbottò in risposta. Lo guardò
intensamente: “Un giorno
mi darai ragione”, sorseggiò la bibita si
pulì le labbra con il
dorso della mano.
“Un giorno!”, ripeté
con voce più altisonante.
Si concesse uno sbuffo
divertito, Sebastian: “E’ quello che ti ripeti,
mentre palpeggi
il tuo gatto nelle notti solitarie?”.
In fondo la palla di pelo
non era così male, soprattutto da quando, grazie al suo
modesto
intervento, non sembrava più riconoscersi in un nome tanto
banale
come “Clarence”, ma in quello molto più
intrigante di “Mr
Pussy”. Che poi il padrone non potesse proprio considerarsi
il
“Signore delle Vagine”, quello
era soltanto imputabile al
suo essere un cronico incapace.
Si accigliò, Hunter, ma
aveva ormai sviluppato abbastanza anticorpi da riuscire ad incassare
le sue frecciate senza scomporsi più di tanto:
“Davvero, ancora
non capisco come Kurt possa anche solo immaginare di separarsi da
te”, recitò con finta aria stucchevole che lo fece
ridacchiare.
“Glielo chiederò dopo
che avrò annullato le nozze, ho ancora un cuore
dopotutto”.
“Sono commosso”,
borbottò l’altro, sollevando gli occhi al cielo
per poi sollevare
le mani, evidentemente avendo raggiunto la dose quotidiana
tollerabile di Sebastardate.
Aveva rapidamente
digitato un messaggio, Sebastian, e poco dopo il cellulare aveva
vibrato: sogghignò nel leggere la pronta risposta.
“Un nuovo tromba e
getta?”, chiese l’altro con aria annoiata.
“Non struggerti troppo,
forse un giorno sarò abbastanza ubriaco da prenderti in
considerazione”, lo schermì Sebastian per poi
sorridere con aria
soddisfatta. “Mi sono appena offerto di accompagnare Kurt a
vedere
un appartamento: ho finto di sentirmi in colpa per non aver fatto la
spesa, di nuovo”.
“I miei bambini
crescono in fretta”, sospirò il barista con finta
aria
melodrammatica.
“E il tuo seme diventa
rancido”, fu la distratta replica, mentre faceva vagare lo
sguardo,
come di consueto, sul locale per osservare distrattamente gli
avventori.
Incrociò lo sguardo con
quello di un ragazzo con cui aveva flirtato poco prima sulla pista da
ballo: al suo silenzioso invito verso le porte del bagno, scosse il
capo. Era meglio restare lucidi per il giorno dopo.
Inarcò le sopracciglia
alla vista del proprietario del locale che sembrava avere tutta
l’aria di star improvvisando un colloquio con un viso
sconosciuto.
“Nuova ballerina?”,
chiese a Santana Lopez che si era appena abbarbicata sullo sgabello
accanto al proprio.
Gettò un’occhiata
nella stessa direzione, la giovane latina: “Purché
stia lontana
dal mio microfono e dal mio
Trouty”.
“E dal microfono del
Trouty”, precisò Sebastian con aria provocatoria.
Quasi di comune accordo,
si voltarono verso il barista fino a quel momento impegnato a servire
altri avventori. Porse a Santana il suo solito drink, ma allo sguardo
eloquente dei due, sollevò le mani.
“No, non pensateci
neppure: ho chiuso con le ballerine”, sancì prima
che potessero
anche soltanto esprimere a voce i loro pensieri.
Scrollò le spalle,
Santana, pur cercando di reprimere un sorrisetto ad un ricordo
particolarmente divertente: “Te l’avevo detto che
era lesbica”.
“Avrebbe potuto unirsi
al festino”, sogghignò Sebastian più
che divertito dal comune
ricordo dello shock del barista alla rivelazione infausta.
“Con quella faccia da
MasturbHunter, era più probabile lo facesse Sam se una delle
due si
fosse vestita da Principessa Leila”.
“Non sei neppure
curioso?”, lo pungolò Sebastian, “una
ballerina che ancora non
pensa che tu sia gay”, parlò con voce enfatica e
lo scintillio
malizioso dello sguardo.
Un rivolo di sudore
scivolò dalla tempia del suo interlocutore: sembrava quasi
volersi
arrischiare a gettare un’occhiata in quella direzione (sia
mai che
al primo sguardo fosse subito etichettato come un segaiolo seriale da
evitare), ma con notevole autocontrollo vinse la propria
curiosità.
“Belle gambe, potrei
odiarla per questo”, aggiunse Santana anch’ella
impegnata in una
minuziosa osservazione della potenziale collega.
“Se intendi che è
senza tette”, replicò distrattamente Sebastian il
cui occhio
allenato coglieva le concavità del corpo umano con rapido
sbattere
di ciglia.
“Non vi sto
ascoltando!”, dichiarò l’altro e si
voltò bruscamente. Cominciò
a ricollocare le bottiglie sui giusti scaffali, ma la fronte era
ancora aggrottata. Sembrò fermarsi, la bottiglia di tequila
(mezza
vuota per grazia di Sebastian) tra le mani: “…
belle gambe?”,
chiese come se avesse metabolizzato soltanto in quel momento.
“Troppo tardi”,
cinguettò Santana perché la giovane era appena
uscita.
Il barista serrò la
mascella, borbottò qualcosa sulle bottiglie vuote da gettare
nel
cassonetto della spazzatura e si allontanò.
“Cinquanta dollari che
se Murphy
l’assume, se la porterà a letto entro un
anno”, propose la
latina allungando la mano verso Sebastian.
Quest'ultimo la fissò
scettico per poi sorridere con aria intrigata, come ogni volta che si
prospettava un’occasione di divertimento, soprattutto se
sfavorevole al barista: “Non ce la farà,
è di lui che stiamo
parlando”, scrollò le spalle, ma la
fissò intensamente, quasi a
capire che cosa stesse complottando.
“Ci sto, ma non userai
la scusa del « ci sono stata una volta e non è
affatto male »”.
Apparve inorridita al
pensiero, Santana, ma annuì: “Non dovrai farle
credere
volontariamente che sia gay, tanto ci penserà da solo prima
o poi”,
ribatté con una scrollata di spalle.
“Non dovrai minacciarla
o ricattarla”, aggiunse Sebastian, le sopracciglia
aggrottate.
“O pagarla”, concluse
per lui Santana, quasi si leggessero la mente. “Vale anche
per
te”.
Sogghignò, Sebastian, ma
ne strinse la mano in cenno d’intesa. “Cosa ti dice
che sarà
assunta?”.
“E’ venuta soltanto
per ritirare il costume: inizierà domani, ma non dirlo a
MasturbHunter”, commentò con risposta con uno
scrollo di spalle.
Si accigliò, Sebastian,
consapevole che quella sorta di sua versione al femminile poteva
essere diabolica e piena di risorse almeno quanto lui, ma non diede
adito a particolare preoccupazione sull’esito della
scommessa.
“Salutami Lady Hummel”,
si era allontanata con un cenno della mano per raggiungere il suo
golden biondo.
Ingollò il resto della
birra e si alzò a sua volta: la bevanda aveva decisamente un
sapore
più intenso, quando era gratuita.
“Sebastian!”, sentì
la voce stridula di Hunter, quando fu tornato alla sua postazione e,
come da programma, non trovò alcuna banconota lasciata sulla
superficie.
“Scusa, tesoro, sono
troppo stanco”, recitò con voce in falsetto:
sollevò la mano in
segno di saluto senza neppure voltarsi e si diresse verso casa, le
mani affondate nelle tasche della giacca.
~
Già dopo mezzora la voce
dell’elegante agente immobiliare gli era apparsa
insopportabile: avrebbe potuto meglio tollerarne la presenza se si
fosse trattato di
un ragazzo prestante alla Stephen Amell. Dovettero
accontentarsi della versione petulante e quarantenne abbruttita e
zitella di Felicity Smoak
nel peggiore dei suoi completi che soltanto la versione liceale (e
senza utero) di Rachel Berry avrebbe potuto tentare di defraudarle.
Persino Kurt sembrava
averne subito l’impatto, a giudicare da
quell’impercettibile tic
all’occhio, ma l'effetto era stato temporaneo.
Cominciò, infatti, a bersi letteralmente ogni singola parola
sul loft che stavano
perlustrando: dall’ubicazione con vista su Prospect Park
(particolarmente appetibile per la vicinanza con la caffetteria),
fino al numero e all’ampiezza dei vani disponibili,
nonché i
possibili progetti e modifiche da apportare per rendere
l’ambiente
il più possibile personalizzabile.
Sebastian continuò a far
vagare lo sguardo tutto attorno con aria scettica, mentre Kurt si
fermava, le mani sui fianchi, e dal sorriso svenevole
immaginò che
stesse già immaginando ogni singolo istante che avrebbe
vissuto in
quella casa, probabilmente con tanto di piccole (ed inquietanti)
copie della Mezza SegAnderson.
Rabbrividì
impercettibilmente. Per quanto potesse dirsi geniale l’idea
di
operare a contatto più diretto con
l’organizzazione vera e propria
(e poterla sabotare da più vicino), non riusciva a scacciare
il
pensiero che un giorno avrebbe potuto di nuovo disporre della camera
che gli aveva affittato. Che sarebbe semplicemente scomparso ogni
oggetto che lo riguardasse, quasi non fosse mai stato parte di quelle
stesse mura.
Scosse il capo, Sebastian
e strinse il pugno: non sarebbero mai arrivati fino a quel punto. Non
lo avrebbe permesso.
“Come vi dicevo, questo
è uno dei loft più confortevoli ancora
disponibili, ma purtroppo
devo consigliarvi di rifletterci nel più breve tempo
possibile. Non
vi nascondo di aver già ricevuto diverse offerte”.
Sebastian sollevò gli
occhi al cielo, più che persuaso che si trattasse di uno di
quei
tradizionali pretesti per incutere pressione nel potenziale
acquirente e farlo decidere in fretta, senza un'analisi accurata.
Doveva esserci qualche fregatura, ne era più che convinto.
“Vi ho già detto che è
compreso un accesso al tetto?”, aggiunse l’agente
immobiliare con
l’aria di chi stava sferrando la carta vincente.
Sembrò esserci riuscita
a giudicare dal verso di giubilo che Kurt si era lasciato sfuggire
(dopotutto aveva davvero bisogno che qualcuno evitasse che finisse
spennato, non aveva il benché minimo senso degli affari!):
“Meraviglioso, potrei pensare ad una serra o un giardino, o
una
zona relax in cui ammirare lo sfondo di Manhattan, mentre sorseggiamo
il the e… possiamo vederlo?!”
“Scommetto che si sente
un delizioso fetore al piacevole soffio del vento
primaverile”,
recitò Sebastian con intonazione evidentemente sarcastica,
ignorando
lo sguardo di rimprovero di Kurt.
Il sorriso sulle labbra
della donna si congelò, ma si sforzò di assumere
la sua espressione
più professionale: “Immagino che lei e il suo
fidanzato dobbiate
pensarci. Vi lascerò un po’ di privacy, mentre
telefono ad un
altro cliente”, commentò con voce dolciastra che
doveva ammonirli
dell’esistenza d’altri clienti interessati allo
stabile.
“Lui non è il mio-”.
“Perfetto”, Sebastian
improvvisò il suo sorriso più affascinante,
attirando Kurt a sé,
cingendone la spalla, “il mio fidanzato ed io chiariremo le
nostre
posizioni”.
Appena la donna si fu
allontanata, Kurt sgusciò dalla sua stretta,
l’espressione
stizzita: “Si può sapere cosa ti è
preso? Questo posto è una
meraviglia e c’è poco tempo per
decidere”.
“E’ solo meno
mediocre degli altri e ti sta mettendo pressione per farti cedere
prima e alle sue condizioni”.
“Starai scherzando”,
commentò incredulo, Kurt evidentemente già
conquistato. “Non hai
notato l’eleganza della struttura? O
l’adattabilità di ogni
vano? Riesco già ad immaginare come potrei facilmente
cambiare
disposizione dei mobili, rendendola sempre più moderna ma
versatile
e-”.
“E’ un loft, non una
casa delle Barbie”.
Sembrò accigliarsi,
Kurt, le mani sui fianchi nell’osservarlo con aria piuttosto
stizzita, prima di incrociare le braccia al petto. “Se devi
essere
così ipercritico, non capisco proprio perché tu
ti sia disturbato a
venire”.
Sorrise, Sebastian,
tutt’altro che divertito, il viso inclinato di un lato:
“Evidentemente sei solo tu ad avere fretta di trovare una
nuova
casa”, puntualizzò.
“Blaine si sta
diplomando e… credevi che avremmo convissuto tutti e tre
più
qualche tuo amante occasionale che fai entrare di
soppiatto?”.
Pronunciò quella domanda con evidente aria ironica,
incredulo lui
stesso della remota possibilità di simile equivoco.
Immaginò che precisare
di non averne mai condotto nessuno tra quelle mura non cambiasse la
realtà dei fatti. Tanto meno l’idea che per lui
sembrava così
semplice impacchettare le sue cose e andarsene da un giorno
all’altro
e cambiare semplicemente indirizzo.
“In realtà la mezza
seg… Blaine non è mai stato contemplato: non ho
voglia di
rovinarmi la digestione pensando a lui”, fu la sferzante
replica.
In fondo era una mezza
verità: anche se la mezza SegAnderson non era mai stata nei
suoi
pensieri (se non a causa del suo coinquilino), non avrebbe accettato
l’idea che l’altro potesse impacchettare le sue
cose e
trasferirsi nuovamente. Magari con la stessa esasperazione e sollievo
con cui si era allontanato dal domicilio in comune con la
Berrysterica e il fratello.
Scosse il capo, Kurt, ma
ancora una volta riuscì a sorprenderlo. Ancora una volta, a
dispetto
del suo tono e del suo atteggiamento evidentemente ostile,
sembrò
cogliere qualcosa che avrebbe voluto celargli. Qualcosa che non
sarebbe dovuto trapelare nonostante i suoi subdoli intenti.
“Mi mancherai anche tu,
non pensavo che lo avrei mai detto”, sussurrò con
voce più dolce
nell’avvicinarsi a lui, inducendolo a specchiarsi in quelle
iridi
dalle sfaccettature fuggevoli, almeno quanto quelle emozioni che le
facevano scintillare.
Improvvisò un sorriso
più complice, quasi a cercare di smussare la tensione:
“Se non
altro riavrai la tua casa e le tue regole”.
Ma non lo stava
ascoltando, Sebastian, quella parte della sua vita sembrava
appartenere ad un’altra realtà.
“Allora sei
arrivato: sapevo che non mi avresti resistito”, lo
salutò con la
sua migliore espressione trionfante (ed era un campionario molto
vasto) e si scostò dalla soglia della porta
perché potesse entrare.
Sospirò, Kurt, con
l'aria di chi stava già vivendo un profondo conflitto
interiore, ma
entrò e trascinò il suo trolley, il mento
sollevato in un
atteggiamento altezzoso. “Non ho ancora detto che accetto, ma
sei
stato gentile a concedermi un tour”.
Non replicò,
Sebastian, ma scoccò un'occhiata ironica al bagaglio e Kurt
si
strinse nelle spalle: “Se non mi convincerai,
pernotterò in
albergo”, precisò.
Incrociò le braccia
al petto, Sebastian, il sorrisetto sfrontato: “Una settimana
di
prova, questi erano i patti”.
“Sei pur sempre un
estraneo, questa è la realtà”,
rimarcò Kurt con un sorrisetto
soddisfatto.
Sembrò essere
un'obiezione accettabile (ed era divertente vederlo imputarsi con
l'espressione di chi riteneva di potergli resistere).
Indicò il soggiorno
con un braccio: “Se vuoi seguirmi, il tuo giuro turistico sta
per
cominciare”.
Ignorò ogni sua
critica sul colore della moquette, sull'esistenza stessa della
moquette, sulle tende (non aveva cambiato nulla della mobilia e
neppure aveva ancora completato il proprio trasloco per preoccuparsi
di diventare un arredatore d’interni), la disposizione dei
mobili,
lo stato pietoso in cui versavano le piante decorative, i dipinti
d'arte astratta e persino i lampadari (seriamente, chi si soffermava
sullo “stile” dei lampadari se facevano il loro
dovere?).
Non smise di
sorridere, tuttavia, Sebastian e si soffermò sull'attenzione
che
quello sguardo dedicava ad ogni vano nel suo insieme e nei dettagli
che sembravano tanto fare la differenza tra un sì e un no.
“Certo, avrò delle
modifiche da apportare, se questo diventerà il mio
mondo”, esordì
Kurt ed attraversò la soglia della futura camera da letto.
Si strinse nelle
spalle, Sebastian: “Mi casa es tu casa,
letteralmente.
Occorre solo un sì”.
Sospirò, Kurt. Le
mani sui fianchi e lo sguardo azzurro che continuava a vagare tra
quelle pareti, probabilmente immaginandole con tutte le migliorie e
le sciocchezze di cui aveva blaterato fino a quel momento. Ebbe la
sensazione che fosse parte della sua natura, che quel viso elfico dai
lineamenti delicati nascondesse un estro artistico e stravagante, e
si sarebbe potuto ben dire soltanto dall'abbigliamento: era un
bustino quello che indossava?
Chissà come sarebbe
stato arduo ma appagante sfilarglielo.
“Una settimana di
prova”, fu la sua voce a distoglierlo da quelle piacevoli
fantasie,
il tono era ancora formale. Lo stava scrutando come aspettandosi
qualche fregatura, magari un cadavere nascosto nell'intercapedine
della stanza.
Gli porse la mano a
siglare il patto e Sebastian sorrise. Già aveva capito che
non se ne
sarebbe più andato e ciò era esattamente il suo
obiettivo.
-
Non era rientrato a
casa quella notte e ancora stava sorridendo del tempo più
che
piacevole che aveva trascorso nell'appartamento del bellimbusto che
aveva rimorchiato la sera precedente. Era ormai divenuto facile
alzarsi e uscire prima che l'amante occasionale si svegliasse con il
pretesto di offrirgli la colazione. Era divenuto insofferente alle
richieste pietose di chi si era illuso di qualcosa di più di
una
piacevole e distesa SSN (scopata senza noie).
Senza contare, e lo
constatò con uno scintillio malizioso delle iridi, che aveva
un
cuoco più che qualificato che lo avrebbe atteso al suo
ritorno,
soprattutto quando così generoso da
offrirgli un'eccellente
visuale del suo sodo e armonico fondoschiena, stretto in jeans tanto
aderenti e sfacciatamente esposti ad uno sguardo per nulla innocente.
“Buongiorno, o per
te è ancora notte?”, si era voltato, Kurt, la
padella in mano e lo
sguardo di pacato rimprovero che gli rivolgeva ogni volta che lo
vedeva dopo una notte brava o facevano riferimento alla sua «
vita
sregolata ».
“E' sempre un
buongiorno, quando il tuo culo è la prima cosa che vedo al
mio
ritorno”, aveva risposto con voce roca, lo scintillio
voglioso
nello sguardo che indusse Kurt a sollevare gli occhi al cielo, con
l'aria di chi era ormai più che avvezzo a commenti
così sfrontati.
Persino pronunciati come altisonanti parole d’amore.
Sospirò quasi
stancamente, ma appoggiò il piatto di pancakes sul tavolo e
Sebastian notò la ben più selezionata colazione
che si era
riservato a base di tost, marmellata e burro.
Aveva un'espressione
decisa, mentre si accomodava, facendogli cenno di imitarlo:
“Dobbiamo
parlare”, esordì infatti.
Sebastian ignorò lo
sciroppo d'acero – troppo stucchevole per i suoi gusti
– per poi
cominciare a degustare la colazione. A quella premessa,
inarcò le
sopracciglia con aria interrogativa.
Abbassò il suo
bicchiere di caffè decaffeinato, Kurt, ed annuì:
“E' passata una
settimana”, gli ricordò.
Sebastian sorrise con
aria allusiva: “Sapevo che non te ne saresti più
andato”.
“Non hai capito”,
ribatté Kurt, mentre dispiegava un tovagliolo da porsi sulle
gambe,
“non ho ancora detto che accetto”.
Il sorriso non
scomparve dalle labbra di Sebastian che sembrò persino
più
divertito: quasi quel modo di contenere il suo entusiasmo, fosse una
prova evidente di uno stato d'animo opposto a quello ostentato.
“Se
vuoi che ti convinca in natura, non hai che da
chiedere, anche
se potresti non lasciarmi più andare e sarebbe scomodo
cercare di
andarmene da casa mia”.
Scosse il capo, Kurt:
“Mai mescolare amanti e quotidianità”,
sembrò recitare
ironicamente una delle regole del suo quieto vivere.
“Tu l'hai detto”,
commentò l'altro sollevando il proprio bicchiere di
caffè, a mo' di
brindisi, anche se Kurt si premuniva di evitare la correzione con il
cognac di primo mattino. “Allora?”, lo
esortò comunque a
spiegarsi meglio.
Si schiarì la gola,
Kurt, e schiuse il suo blocnotes dai fogli azzurri, inforcò
un paio
d’occhiali da lettura che, stranamente, non avevano alcun
effetto
inibitorio sulle immagini mentali che Sebastian stava proiettando
tuttora. “Ho stilato delle regole per una pacifica convivenza
comune”, lo informò come se gli stesse illustrando
il piano
d’evacuazione in caso d’incendio o
calamità naturale.
Soffocò una risata
nel suo caffè: “Sei serio?”.
“Regola numero 1, ”
lo ignorò Kurt e cominciò a leggere con voce
altisonante, “non si
entra nella camera dell'altro senza permesso o senza aver bussato, se
il proprietario la sta occupando in quello stesso momento”.
Perfetto, avrebbe
continuato a farlo di nascosto: sapeva dove nascondeva la chiave.
Incrociò le braccia
al petto, ma si rilassò maggiormente sullo schienale, con
l'aria di
chi non vedeva l'ora di ascoltare tutto il resto. Sogghignò,
il viso
inclinato di un lato: “Paura che ti rubi le spille o che mi
masturbi con le foto del tuo ragazzo, perché in tal caso
posso
assicurarti-”.
“Il che mi conduce
alla regola numero 2”, Kurt ne sovrastò la voce,
le guance
arrossate per l'indignazione. “Niente più epiteti
sul mio ragazzo
o sulla mia relazione e niente più riferimenti alla mia vita
sessuale, tanto meno tutto ciò che concerne la mia
persona e
le tue perversioni”.
Aggrottò le
sopracciglia, Sebastian.“Sai già che
ignorerò questa regola, ma
se hai bisogno di continuare questa pantomima, non ti
fermerò”,
gli concesse con un cenno distratto della mano.
Lo fissò stizzito,
Kurt, ma tornò a leggere.
“Numero 3: non
spostare i prodotti che si trovano sul mio scaffale,
hanno un
loro ordine ben preciso. Se per qualche strano impulso ti passasse
per la testa di usarli, dovrai chiedermi il permesso”, lo
scrutò
con occhio critico. “Non che una ritoccata alle sopracciglia
non ti
gioverebbe”, aggiunse tra sé e sé.
Rise della
precisazione: “Questo mi ricorda un sogno recente. Il mio
letto, un
tuo foulard, tu sopra di me con una pinza per sopracciglia
e-”.
“Numero 4, ” alzò
la voce ancora una volta, “non portare i tuoi amanti
qua”.
Non parve
impressionato, Sebastian che si strinse nelle spalle. “Non lo
farei
comunque, ma vale anche per il tuo barboncino”.
Quell'obiezione parve
riscuoterlo e abbandonò il taccuino per guardarlo con aria
incredula: “Io e Blaine abbiamo una relazione seria e se
diventerà
anche casa mia-”.
“Non è un valido
motivo per cui dovrei rovinarmi la digestione”,
replicò
prontamente Sebastian, l’aria trionfante ne fece scintillare
le
iridi.
Aggrottò le
sopracciglia, Kurt, ma sospirò. “Giungeremo ad un
compromesso: ne
parleremo quando e se Blaine verrà in città. In
fondo la mia è
soltanto una sistemazione temporanea, finché non si
stabilirà a New
York anche lui”, lo precisò come se ciò
fosse di vitale
importanza.
“Ora sì che mi stai
spezzando il cuore”, sospirò con aria stoica.
“Numero 5: ci
divideremo la gestione domestica. Turni per cucinare, lavare i
piatti, usare la lavatrice, fare la spesa”.
“Ti accontenterai
del take-away e non esiste che io perda ore in un negozio a cercare
il tuo ammorbidente per la seta o quell'intruglio che chiami
latte”.
“Bene”, decantò
l'altro con un sorriso saccente, “allora farai a meno della
mia
cucina che adori tanto”.
“Oh, tesoro”, lo
blandì Sebastian dopo aver spazzolato via anche le briciole
delle
frittelle. “Non è una guerra che puoi vincere:
è meglio che ti
abitui”, gli sorrise con aria affettata.
“Lo vedremo, la
smetterai di sottovalutarmi”, ribatté l'altro con
aria piccata.
Sorrise, Sebastian:
“Oh, no, tu sottovaluti l'impatto che ho già nella
tua vita. Non
ti allontanerai mai, anche se ignorerò le tue stupide
regole”,
dichiarò ed inclinò il viso di un lato ad
osservarlo con aria
suadente, quasi aspettandosi di vederlo capitolare.
“Lo vedremo”,
sibilò in risposta, l'aria di sfida che non stonava affatto
coi
lineamenti tanto delicati da sembrare finti. Riprese la lettura:
“Numero 6: chiudersi a chiave in bagno”.
Rise di gusto,
Sebastian. “Come se ti fosse dispiaciuto trovarmi soltanto
con un
asciugamano addosso”, ricordò con aria gongolante,
prima di
inarcare le sopracciglia. “In realtà stavo
progettando di farlo
cadere, prima che tu urlassi come una donnicciola e scappassi via
come una povera vergine”, ripensò a quel momento
con un sospiro
sognante, lo sguardo perso in un punto indefinito.
Sì, quell’episodio
lo avrebbe ricordato per molto tempo e avrebbe potuto modificarlo a
piacimento, aggiungendo dettagli più interessanti e una
conclusione
opportuna. Sì, decisamente amava il modo in cui Kurt gli
ispirava
simili pensieri e senza neppure provocarlo intenzionalmente. Anche se
non poteva negare che sarebbe stato piacevole conoscerne anche la
sfaccettatura “flirtante”.
“E' stato un
incidente e puoi star certo che non si ripeterà”,
borbottò per
risposta, le guance di un colorito più acceso, evidentemente
ancora
imbarazzato al pensiero.
Seppur
si conoscessero da poco, aveva idea che quel pudore era parte della
sua personalità e che neppure una maggiore e reciproca
conoscenza
platonica avrebbe potuto scalfirlo. Non che ciò lo
disturbasse, in
ogni caso. Anzi.
“Ripensandoci, però,
tu saresti in debito: dovrebbe essere il mio turno di vederti
déshabillé”,
commentò con finta aria casuale, osservando
quel foulard che ne stringeva il collo, immaginando di cominciare a
sfilarlo lentamente, mordicchiando la pelle diafana del collo, fino a
farla arrossare.
“Continua a sognare
Sebastian”, sorrise sferzante. Quasi ne avesse colto i
pensieri,
lisciò il tessuto azzurro.
“Non mancherò”,
lo rassicurò tornando ad incrociarne lo sguardo e
umettandosi le
labbra.
Sospirò, Kurt, ma
scosse il capo. “E numero 7: basta commenti sul mio
abbigliamento o
la mia scrupolosa pulizia del viso”.
“Non potrai mai
controllare la mia mente”, sogghignò Sebastian,
osservandolo con
aria evidentemente eloquente.
“Mi sembra che ci
sia tutto: in caso emergessero altre questioni, ne
riparleremo”, si
sfilò gli occhiali dal naso. “Allora?”.
Si scostò dallo
schienale della sedia, Sebastian, e si drizzò fino ad
appoggiare il
mento sotto le mani intrecciate tra loro, i gomiti a puntellarsi sul
tavolo: “Devo firmare con il sangue o con un altro
liquido?”,
chiese con aria cospiratrice.
Aveva emesso un verso
stridulo, Kurt: “Sei disgustoso”.
Rise, Sebastian,
evidentemente compiaciuto: “Non puoi fare a meno di
me”, decantò
con aria arrogante perché in fondo, checché Kurt
trovasse ancora
pretesti per giustificare quella convivenza (e rimarcare fosse solo
temporanea), non dubitava del fatto che sarebbe riuscito a farsi
spazio nella sua quotidianità. Fino a conquistarsene
l’affetto,
perché Kurt Hummel non era il tipo che si serviva delle
persone o
che si circondava di conoscenze futili. Il che spiegava
perché
avesse clienti abituali, i suoi negozi preferiti (e di ognuno
ricordasse il nome del titolare e dei commessi) e conoscesse il nome
e l’aroma di caffè preferito da tutti i
collaboratori di
Vogue.com.
Lo guardò con aria
critica, la parvenza di considerarlo soltanto un coinquilino e
proprietario scomodo: “Abbiamo un accordo?”.
Finse di rifletterci
sopra, Sebastian, lo sguardo saettò all’uscio
della camera del
ragazzo che sembrava un portale d’accesso ad un mondo fatto
di
tutte quelle piccole cose che lo rendevano Kurt. Dal colore pastello
delle pareti, i busti che si divertiva a vestire (chissà se
le sue
mani erano altrettanto agili nello svestire), gli
oggetti
d’uso quotidiano, fino a quel profumo di lui che sembrava
aleggiare
su ogni cosa.
Tutto sommato, era
stata quella punta di novità e
d’originalità che sembrava dare un
nuovo significato alla sua stessa quotidianità tra quelle
mura.
“E sia, abbiamo un
accordo: benvenuto a casa”, sorrise con aria trionfante.
Parve soddisfatto,
Kurt, ma si concesse di guardarlo con aria sospettosa: “Spero
di
non pentirmene”.
Schioccò la lingua
sul palato con aria saccente: “Oh, succederà: ogni
singolo
giorno”, sancì dondolandosi sulle gambe posteriori
della sedia, “
ma non te ne andrai comunque”.
Difficile dirsi se
volesse minacciarlo o stesse facendogli una promessa.
“E' solo
momentaneo”, ribatté quasi a negargli la
possibilità di una reale
conoscenza.
“Se ti piace
crederlo”, scrollò le spalle ma il sorriso non
sfumò.
Sorrise con aria quasi
ironica, Sebastian: dopotutto era riuscito a far ricredere Kurt, fino
anche a fargli ammettere che fosse divenuto importante e che ne
avrebbe sentito la mancanza.
Ma non era sufficiente.
Si riscosse, quando
l'impiegata dell'agenzia fece ritorno e chiese loro se erano giunti
ad una decisione definitiva.
Kurt lo stava ancora
osservando con un misto di dolcezza e di comprensione che lo fece
soltanto incupire maggiormente.
Scrollò le spalle,
Sebastian, a lasciarlo prendere in maniera autonoma quella decisione.
A quel gesto, Kurt fu lesto a voltarsi verso la ragazza ed annuire.
Il suo sguardo azzurro dardeggiò d’autentico
entusiasmo: “Lo
prendiamo”.
Sebastian sentì qualcosa
rimescolarsi nelle sue viscere: stava lentamente perdendo il
controllo e i suoi tentativi d'ostruzionismo stavano soltanto
incoraggiando Kurt ad essere ancora più risoluto nelle
proprie
decisioni.
Non soltanto. A
differenza sua, sembrava non ricordare tutto ciò che avevano
vissuto
in quell'anno, non quando si trattava di Blaine Mezza SegAnderson.
Quasi fossero due scompartimenti
diversi della
sua vita che non avrebbero potuto convivere.
Non
sembrava più essere il Kurt che aveva incluso nella sua vita
e che,
soprattutto, gli aveva concesso di entrare nella propria. O forse
era lui a non essere lo stesso Sebastian che aveva proposto ad un
perfetto sconosciuto di affittare la camera a disposizione.
~
“Oh, sì, l'alcol ti
renderà sicuramente più capace di ragionare
lucidamente”, lo
accolse Hunter Clarington quando, senza neppure parlare,
indicò un
calice vuoto.
“Versa e sta zitto”,
borbottò per risposta, tutt'altro che propenso ad
incoraggiarne lo
spirito da dottorino/terapeuta di coppia.
“Sta andando così
male?”.
Lo sguardo bieco che gli
lanciò sembrò una risposta più che
adeguata.
Sbuffò e si guardò
attorno, un'espressione di disgusto verso le coppiette che stavano
ballando sulle note di “I will always love you”,
intonata
magistralmente da una donna cannone con la voce di Aretha
Franklin. La vista degli occhi lucidi di alcuni avventori
rimasti
seduti lo fece ulteriore incupire.
Il suo malumore non
migliorò quando il biondo golden umano si
avvicinò al bancone con
aria beata e il sorriso più gigantesco che mai, oltre ad un
bouquet
di rose rosse.
“Ho bisogno di bere
qualcosa”, esordì come se a qualcuno fosse
importato, gettando
persino un'occhiata a Sebastian: “Voglio chiedere a Santana
di
sposarmi”.
Poco mancò che Hunter si
strozzasse con il suo bicchiere d'acqua, gettò un'occhiata
preoccupata a Sebastian, quasi aspettandosi che lo assalisse alla
giugulare, ma si affrettò ad ostentare il suo sorriso
più
accattivante.
“Wow! Congratulazioni,
prendo subito lo champagne, dobbiamo festeggiare”.
Evidentemente non
accortosi dell'occhiata gelida che gli era stata rivolta da
Sebastian, il cui pugno era serrato spasmodicamente e la mascella
serrata, Sam si volse al barista con aria evidentemente agitata:
“Non
ha ancora detto di sì”, rise nervosamente per poi
sgranare gli
occhi nel vuoto. “Oh mio Dio, e se mi dicesse di
no?”, esclamò
rimettendosi in piedi con aria sconvolta, quasi stesse valutando se
fosse il momento giusto per quella proposta.
Se c'era una cosa che il
barista avrebbe dovuto riconoscergli quella sera era un'ottima
capacità d’autocontrollo: Sebastian
brandì il bicchiere (che lui
questa volta riempì senza alcuna obiezione: in fondo era un
momento
d’estrema tensione) e lo ingollò interamente. Lo
appoggiò sul
bancone, lo sguardo schifato ancora rivolto al biondino per poi
commentare tra i denti: “Allora continuerai a scopartela a
cuor
leggero e non avrai obblighi legali nei suoi confronti”.
Allo sguardo contrito del
biondino (somigliava davvero ad un golden retriever sgridato le cui
orecchie si erano afflosciate per il dolore), Hunter si
affrettò a
versare dello champagne in tre calici puliti: “Offre la casa
e
ancora auguri”.
Accettò di buon grado,
Sebastian, ma ignorò il bicchiere proteso del futuro sposo
per un
brindisi. Sam Evans ne bevve il contenuto tutto di un fiato. Le
guance più arrossate, sembrò essere leggermente
più disteso,
quando la latina fece la sua comparsa e le porse le rose, prima di
condurla all'esterno, salutando con un cenno della mano il barista e
il suo abituale cliente.
“Felice divorzio”,
cantilenò Sebastian, levando ironicamente il suo bicchiere,
quando
si furono allontanati per poi appoggiarlo con un sordo tonfo sulla
superficie di legno.
“Perché cazzo la gente
non può scopare, senza che qualcuno la obblighi a cedere un
cazzo di
cognome? Che cazzo di fissazione è quella del
matrimonio?”.
Parve rifletterci sopra
l'interlocutore, probabilmente intenzionato ad arrischiare una
risposta sincera, ma che non suscitasse reazioni spropositate.
Sospirò. “Immagino per che alcuni conti l'intento:
una promessa
per sempre”.
Lo fissò disgustato,
Sebastian: “Perché lo chiedo ad un segaiolo
incallito? Chissà
quante squinzie sarebbero potute diventare Mrs Clarington”.
Serrò la mascella,
Hunter, ma non ribatté alla provocazione e gli rivolse un
sorriso
sarcastico: “Ogni giorno mi ricordi perché adoro
la tua
presenza”.
“Fanculo”, borbottò
in risposta Sebastian, passando il dito sul bordo del bicchiere,
“E'
più probabile che gayzzi te che Kurt riesca a liberarsi di
quella
zavorra al gel di mirtillo”.
L'altro scosse il capo
con aria quasi stoica. “Questa è la parte in cui
solitamente
dissento e ti ricordo che non sono gay, ma puntualmente
m’ignori.
Poi cerco di dirti dove condurranno i tuoi subdoli intenti e tu
m’imprechi contro, perseverando soltanto per non darmi
soddisfazione. Quindi”, abbassò le mani in segno
di resa, “se
non ti dispiace ho un esame tra cinque giorni”.
Si sedette sul suo
sgabello, un tomo aperto di fronte a sé le cui pagine erano
state
sottolineate a matita ed inforcò gli occhiali, cercando di
concentrarsi nonostante il sottofondo tutt'altro che tranquillo.
“Non dovrebbe essere
compito di un barista decente quello di ascoltare? Per non parlare
del tuo cronico bisogno di criticare il mio atteggiamento, per non
ricordarti quanto tu sia vicino all'estinzione dei tuoi stessi
geni”.
Non alzò neppure lo
sguardo, Hunter, che mosse la mano come a scacciare una mosca
molesta: “Sai già come la penso”,
replicò distrattamente e
voltò pagina con le sopracciglia aggrottate per lo sforzo di
memorizzare le nozioni.
“Sai già dove
infilarti il tuo romanticismo da fallito”.
Annuì, Hunter, l'aria
stoica e ricadde il silenzio, interrotto soltanto dagli sbuffi che
Sebastian si lasciava sfuggire di tanto in tanto o il guizzo rapido
con cui il barista allontanava il libro, prima che potesse
chiuderglielo.
“Gliel'ho detto: il mio
gatto ha ingoiato le chiavi e me ne serve un'altra copia”, si
sentì
il trillo di una voce femminile.
Un profumo stucchevole
aveva invaso le narici di Sebastian che, con la coda dell'occhio,
aveva intravisto un paio di lunghe gambe familiari e un guizzo dei
capelli biondi. “No, non l'ho visto, mentre le mangiava, ma
crede
che sia stupida?”.
Suo malgrado, Sebastian,
si era degnato di voltarsi appena per scrutare la ragazza,
riconoscendo con certezza la nuova arrivata al Penguin. Curiosa la
domanda posta al suo interlocutore, considerando che il modo di
parlare cantilenante, il pestare il piede a terra e la smorfia sul
volto la facessero somigliare ad una bambina in un corpo da ballerina
che avrebbe potuto accontentare qualche perversione.
Gettò di sbieco
un'occhiata al barista che, come prevedibile (e qui Sebastian
sollevò
gli occhi al cielo), si era riscosso quasi magicamente e stava
fissando la giovane con espressione stolida. Qualcosa (il fatto fosse
disperatamente senza donne da più di un mese) gli
suggerì che
avrebbe potuto sorvolare su aspetti futili quale il quoziente
intellettivo o le scarne rotondità strette nel corpetto
ricoperto da
strass.
“Oh, certo”, stava
ribattendo la ragazza con aria impaziente, il broncio persino
più
visibile, mentre cercava di apparire sarcastica, somigliando ad una
Barbie in versione mestruata (analogia resa ancora più
palpabile dai
lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri). “E chi altro
avrebbe
preso le chiavi del mio diario segreto?”, chiese
con la stessa baldanza con cui una Sherlock
Holmes al
femminile avrebbe
inchiodato il potenziale assassino.
Sogghignò, Sebastian. Se
normalmente si sarebbe ritenuto dall'infierire su un evidente caso
malato di Madre Natura, la tentazione fu fin troppo seducente. Doveva
pur sempre presentarsi in qualche modo, se doveva evitare che finisse
tra le grinfie del barista (e quindi perdere cinquanta dollari).
“Magari i folletti del bosco?”, chiese con aria
fintamente
shockata, portandosi teatralmente una mano alle labbra.
Si riscosse la biondina
che sbatté le palpebre, allontanò il telefono
dall'orecchio un solo
istante per rivolgergli un'occhiata scettica: “Ma non
esistono, lo
sanno tutti”, sollevò gli occhi al cielo,
“che tonno!”. Scosse
il capo con aria stoica, prima di avvicinare nuovamente il telefono
all’orecchio: “Ehi, no, aspetti, non parlavo a lei!
Non
riattacchi, la prego!”. Si era
allontanata (incespicando sui
tacchi alti) per poter parlare con maggiore tranquillità.
Schioccò ripetutamente
le dita di fronte al barista: l'intento parve funzionare
perché si
schiarì la gola, ma non gli sfuggì il sorrisetto
dei suoi migliori
tempi che si allargava da una mascella all'altra (il che era
piuttosto inquietante).
“Non so cosa pesi meno:
se il suo cervello o le sue tette”, scosse il capo con aria
meditabonda.
Era meglio iniziare
subito la propaganda anti “scervellata bionda”,
senza contare che
in quel momento rappresentava la distrazione più plausibile.
“Shhh”, lo zittì
Hunter, con aria enfaticamente trasognata, sollevando la mano con
l’espressione di un fedele di fronte ad una divina
apparizione. “Ti
ha messo a tacere senza cattiveria e senza schiaffi: questa
è
classe”, sancì con enfasi, annuendo e
continuando a scrutare
la direzione intrapresa dalla ragazza.
Sbatté le palpebre,
Sebastian, aspettandosi che ridesse sarcasticamente, ma di fronte
alla realizzazione che non stesse scherzando (senza contare i
cinquanta dollari in paio), gli chiuse il libro con uno scatto e
glielo gettò sul pavimento.
Boccheggiò, Hunter
Clarington, guardandolo perplesso e fissando poi il libro a terra.
Scosse il capo. “Stronzo”, commentò con
voce scandalizzata, prima di chinarsi a
recuperarlo.
Sebastian si alzò con
aria stoica: “Ho già un coglione di cui
occuparmi”, borbottò
con aria evidentemente rassegnata, rimettendosi in piedi, troppo
infastidito persino per sbronzarsi quella sera.
“Ehi! Non hai pagato!”,
sbottò l'altro, quando lo vide rimettersi il soprabito.
“Non lo
farò di nuovo io per te!”, lo minacciò.
“Così impari ad
ignorarmi”, aveva sorriso con aria trionfante.
Sì sentì subito meglio.
Era rientrato e aveva
assaporato il silenzio della casa addormentata. Si era spogliato del
soprabito, ma aveva indugiato dall'entrare nella propria camera. Con
un sospiro, come gli era ormai naturale anche quando era presente,
entrò nella camera di Kurt.
Lo sguardo cadde sul
piano appeso alla parete e avvertì una ormai familiare
stretta allo
stomaco, quando si avvide che la voce “trova casa”
era stata
cancellata. Una delle tante incombenze che da lì ai prossimi
mesi
avrebbero riempito la sua quotidianità. Una delle tante
occasioni
che se non colte opportunamente, lo avrebbero allontanato sempre
più.
Si volse ad osservare
quell'espressione completamente beata e persa nel suo sogno: di
fronte a quel sorriso sembrava difficile ricordare perché
stesse
cercando mille espedienti che lo avrebbero inevitabilmente
cancellato.
Per quanto si ripetesse
che fosse la cosa giusta da fare, per quanto fosse ancora certo che
stava rischiando di gettare la sua vita, il pensiero di ferirlo era
un'implicazione scomoda. Un dolore temporaneo avrebbe potuto essere
giustificabile per un fine più grande?
Soprattutto, ed era il
pensiero che Sebastian cercava di ignorare spasmodicamente, se anche
Kurt non si fosse sposato, si sarebbe accontentato di mantenere il
loro status quo?
Protese la mano a
sfiorarlo, ma la ritrasse prima che avvenisse il contatto. Scosse il
capo e lasciò bruscamente la camera.
Si lasciò cadere sul
proprio letto e fissò il soffitto, rimpiangendo la mancanza
di una
sbornia che lo avrebbe indotto a potersi perdere nell'oblio.
Tastò
il materasso per dispiegare le coperte, ma aggrottò le
sopracciglia
nel toccare qualcosa di sconosciuto.
Accese la lampada sul
comodino e osservò il foglio azzurro piegato su se stesso:
lo
dispiegò e lesse le parole vergate nell'elegante e
tondeggiante
calligrafia di Kurt.
Regola numero 57. Sì,
ne erano state aggiunte diverse in quell'anno insieme
Anche se un giorno uno
dei due o entrambi abbandoneremo questa casa, non smetteremo di
sentirla nostra. E non dimenticheremo tutto ciò che abbiamo
condiviso.
Un sorriso aveva
increspato le labbra di Sebastian: probabilmente SfinterHunter non
aveva tutti i torti. Forse non stava considerando tutte le possibili
prospettive, forse non stava soppesando quanto Kurt aveva
effettivamente bisogno di lui.
Aveva aggiunto un post
scriptum e sentì una piacevole morsa all'altezza del petto:
Mi manchi già adesso.
In quel momento neppure
il suo orgoglio gli avrebbe fatto notare quanto il suo stato d'animo
potesse essere variabile, quanto persino uno stupido bigliettino
potesse cambiarne l’umore e il modo di guardare al futuro.
Sospirò e si lasciò
cadere sul proprio letto, rimase a lungo a riflettere: piacevole che
proprio Kurt, e a sua insaputa, gli stesse dando lo stimolo a
perseverare.
Non avrebbe dovuto
sentirne la mancanza, non lo avrebbe perso, si era ripetuto
abbracciando il cuscino nel cercare una comoda posizione.
Fu con quella
convinzione, il fogliettino appallottolato tra le dita, che cadde
finalmente nell'oblio, un sorriso impercettibile sulle labbra e la
consapevolezza che avrebbe soltanto dovuto accettare che Kurt gli
stesse vicino. Più che mai.
To
be continued…
Ed
eccoci qua, finalmente
posso considerarmi a mia volta in vacanza.
Spero che
questo racconto
possa essere un buon modo di riempire le vostre, o un piacevole
momento di distensione dal lavoro o dallo studio.
Ringrazio di
cuore tutte
le persone che stanno continuando a seguirmi, soprattutto coloro che
non mancano di lasciarmi una loro recensione. E' sempre un piacere
poter confrontare le mie opinioni con le vostre o esservi fonte di
chiarimento. O, perché no, ricevere le parcelle per la dose
di angst
propinata, a detta di più di una persona, anche se
l'angstwhore è
stato coniato dall'immancabile @therentgirl.
Mi arrogo la
speranza di
esser stata clemente quest'oggi, ma come sempre la parola spetta a
voi :)
Vi lascio
anche i miei
contatti Twitter e Ask (sì,
potrei rispolverarlo, se proprio
insistete :D), se siete amanti dei social network.
Ma adesso
diamo una
sbirciata al prossimo capitolo:
“D'accordo,
Mezza SegAnderson, ti spiego come andranno le cose”.
“Siamo
gli antipodi” “Fino a quando non ti innamorerai di
nuovo” “O
tu deciderai di passare al lato oscuro”.
“Se
ti aspetti una dichiarazione d'amore-”
“Sebastian”.
Bene,
credo di aver stuzzicato abbastanza la vostra curiosità :)
Non
mi resta che ringraziarvi nuovamente della vostra attenzione, vi
auguro buon weekend.
Kiki87
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
3
L’oscurità
si insinua
nella luce del giorno,
te ne stai
andando.
Tesori
nascosti nelle
nostre menti,
i ricordi.
Il tempo che
abbiamo avuto
è stato fugace,
la forza
è solo nel
crederci adesso.
Il mondo che
conosco, potrà
odiarti,
il mondo che
conosco, potrà
spezzarti.
Ma mentre te
ne vai,
ricordati che sono al tuo fianco.
L’amore
che hai dentro
potrà
guarire queste
lacrime che bruciano.
E attraverso
tutto questo
ricorda che sono al tuo fianco,
mentre te ne
vai.
Non ti
lascerò mai andare.
Mentre te ne
vai, non ti
lascerò mai andare.
(As you go
– Red).
Luglio
(meno otto mesi
al
matrimonio).
Capitolo
3.
L’arrivo
dell’estate
non aveva portato alcuna novità eclatante. Tuttavia la
situazione si
sarebbe potuta ulteriormente complicare, tanto da richiedere
interventi estremi e più rapidi.
Sì,
la Mezza SegAnderson, dopotutto, era riuscita a diplomarsi e Kurt
aveva passato un weekend a Lima per quell'occasione. Non
c’era
stato molto di concreto da fare, a parte scarabocchiare alcune
riviste a tema matrimoniale che egli nascondeva inutilmente
sotto il suo letto. Particolarmente soddisfacente quando le figure
(che fossero uomini o donne gli era indifferente) avevano capelli
scuri e riccioli. O quando i modelli maschili esibivano acconciature
ottenute con litri di gel.
Non
era ancora stata stabilita la location (sia mai che Kurt decidesse da
solo persino il colore di una partecipazione che sarebbe stata
dimenticata in un cassetto) e l’arrivo del tappo
“brillantinato”
era un’ulteriore insidia da non sottovalutare.
Specialmente in mancanza
di qualche aggancio per introdursi alla Nyada e corrompere la
commissione per la valutazione dei candidati del semestre che si
sarebbe aperto alla fine dell’estate.
Avrebbe dovuto capirlo
già dal risveglio, mentre Kurt sostava di fronte al bancone
della
cucina, gli occhiali sul naso e la matita sul cartoncino, impegnato a
disegnare uno schizzo del futuro abito da sposo.
Sebastian
avrebbe di gran lunga preferito che non lo facesse di fronte a lui
(ovviamente che non lo facesse proprio: tanto non sarebbero arrivati
a quel punto), perché il suono del tratteggio era
paragonabile al
ticchettare del detonatore di una bomba per i suoi nervi.
“Buongiorno”, lo
salutò Kurt e Sebastian notò che, diversamente
dagli altri giorni,
non sembrava avere alcuna fretta di fare la sua colazione nutriente
ma non ipercalorica. Neppure stava cambiandosi d’abito per
stabilire quale outfit da ufficio avrebbe indossato quel giorno.
Grugnì per risposta (non
che riuscisse a formulare molte parole: aveva urgente bisogno di
prendere un’aspirina e lavarsi i denti, dopo
l’ennesima sbronza
da record) ma aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa
di
commestibile e la cui vista non lo ripugnasse.
“Non pensarci
neppure!”, lo aveva rimproverato Kurt, prima che attaccasse
le
labbra alla bottiglia.
Sbuffò, Sebastian, ma si
costrinse a compiere lo sforzo di camminare verso la credenza e
prenderne un bicchiere. La voce stridula di Kurt non sarebbe stata
l’ideale in quelle condizioni. E non aveva neppure avuto la
premura di preparargli la colazione.
“Porco Anderson”,
borbottò tra sé e sé e si
lasciò cadere sullo sgabello, il viso
pallido e lo stomaco sottosopra, le occhiaie evidenti e i capelli
afflosciati sulla fronte. Forse non aveva del tutto torto, il suo
caro coinquilino, nel suggerirgli che era giunto il momento di
spuntarli.
“Altra notte brava?”.
Gli chiese senza neppure sollevare lo sguardo dal suo disegno e
Sebastian gli lanciò un’occhiata di sbieco per
quel tono tra il
compiaciuto e il saccente che gli riservava ogni volta e che era
estenuante, almeno quanto i « te l’ho detto
» del barista.
Tuttavia gli fu anche
grato perché sembrò aver intuito che non era il
momento ideale per
una predica. Il che
confermò che stesse
rimuginando su qualcosa e che ciò lo avrebbe, suo malgrado,
coinvolto. E ciò, in ultima istanza, spiegava la sua
presenza a
quell'ora e la mancanza di fretta per timore di perdere la metro.
“Blaine sta arrivando”,
annunciò Kurt quasi senza prendere fiato, come se gli stesse
comunicando l’esito negativo di qualche controllo medico.
Quasi il
farlo più rapidamente, lo rendesse più indolore.
“Vuole vedere
l’appartamento e si fermerà per il
weekend”, aggiunse,
guardandolo attentamente.
Il corpo di Sebastian si
era irrigidito ed era riuscito a tenere gli occhi aperti abbastanza a
lungo da inarcare le sopracciglia: “Sto fremendo dalla
gioia”,
aveva commentato in tono sarcastico e Kurt gli aveva rifilato
un’occhiata di rimprovero. Ma non poteva essere finita
lì e
Sebastian ne era più che sicuro.
Inarcò le sopracciglia
con aria interrogativa e Kurt rilasciò un sospiro stoico,
prima di
aggiungere: “Stavo pensando che potrebbe passare la notte
qui:
naturalmente non ti disturberà, ma mi sembrava corretto
parlartene”.
Un ghigno increspò le
labbra di Sebastian e lo sguardo scintillò
d’evidente
soddisfazione, prima di schiarirsi la gola e sollevare il busto. La
stanchezza e il sentore di nausea parvero totalmente dimentichi.
“Cito testualmente la
regola 4 che mi hai costretto a firmare, quando hai deciso di
trasferirti qua, dopo la regolare settimana di prova”, aveva
assunto quel tono da avvocato, specificando anche la data e dando
sfoggio di quella che sarebbe stata la sua futura professione.
«
Non portare i tuoi amanti qua ».
Arrossì con aria
indignata, Kurt: “La regola parlava esplicitamente della tua
vita promiscua, io sono fidanzato”,
sottolineò come se fosse
necessario ricordarglielo. “E avevamo stabilito che ne
avremmo
riparlato qualora si fosse presentata l’occasione, come sta
succedendo proprio in data odierna”.
“Credimi, l’idea di
te e del tuo nano da giardino mi sconvolgerebbe più che
vederti in
un’orgia con estranei. Anzi, in quel caso sarei felice di
farti gli
onori di casa”. Sembrò realmente rifletterci visto
il sorrisetto
allusivo a fior di labbra.
“Sei disgustoso, ” lo
interruppe Kurt con voce stridula, sollevando le mani,
“quindi mi
stai dicendo che se lo facessi entrare, non potremmo sperare in una
benché minima dose d’educazione da parte
tua?”.
Sorrise, Sebastian, con
aria affabile: “Precisamente, ragion per cui, molto
altruisticamente, vorrei evitare a tutti noi situazioni
imbarazzanti”, aveva abbandonato il sorriso affabile e
inclinato il
viso di un lato. “Non lo voglio in casa mia”,
dichiarò in tono
perentorio e inequivocabile.
“Benissimo”, commentò
Kurt in tono stridulo, “anche se immagino che qualsiasi
neo-avvocato sosterebbe, nella sua arringa difensiva, che chi paga
l’affitto dovrebbe almeno avere diritto d’audizione
per
questioni di vita domestica. Ma va benissimo”,
ripeté con tono
evidentemente polemico, alzandosi in piedi. “Vorrà
dire che dopo
il ristorante, dovrò prenotare anche una camera
d'albergo”.
Non parve affatto
rammaricato, Sebastian. “Credi che riuscirà a
slacciarsi i
pantaloni da solo o dovrai fargli vedere un tutorial su
youtube?”,
gli chiese con le sopracciglia inarcate, fingendosi interessato alla
risposta.
Kurt gli lanciò un'altra
occhiata risentita. “Preferisco il tuo post sbornia
triste”.
“Mai avuto”, sorrise
con aria provocatoria.
“Non che tu lo
ricordi”, sibilò
Kurt, con tono altrettanto
serafico che lasciò Sebastian basito.
Oh, cazzo. Doveva
chiedere a Clarington.
Ma c'era ancora
qualcos'altro di cui occuparsi, prima che Kurt si cimentasse nella
sua teatrale uscita di scena.
“Dove andrete a cena?”,
cercò di assumere un tono il più possibile
indifferente e casuale.
“Sai, non vorrei rischiare di bloccarmi le funzioni vitali,
incontrandovi per puro caso, si
intende”.
Si volse soltanto per
lanciargli un'altra occhiata indignata: “Non te lo
dirò mai e
adesso, se vuoi scusarmi, ho una pulizia del viso che non ho
intenzione di rimandare ulteriormente, soprattutto immaginando tutte
le rughe che mi farai venire prematuramente”.
“Come
se qualcuno ti guardasse in faccia con quel culo in pantaloni
stretti”, considerò con voce flautata, quasi gli
stesse facendo un
complimento nel tentativo di rabbonirlo.
Rise al sentirlo sbattere
la porta, ma attese qualche istante, fino a quando non
percepì
l’acqua erogare dal rubinetto del bagno.
Scattò rapidamente in
piedi (cercando di ignorare quel capogiro che gli oscurò la
vista
per qualche secondo) e prese il telefono di casa. Entrò
nella
propria camera e si chiuse la porta alle spalle, prima di premere il
tasto per ripetere l’ultima chiamata effettuata.
A rispondere fu una voce
maschile che, dal tono professionale, decantò il nome di un
rinomato
ristorante di Brooklyn.
Aggrottò le
sopracciglia, Sebastian.
Brutto stronzetto,
quello è il mio ristorante.
“Pronto?”.
“Buongiorno, sto
chiamando per assicurarmi che il mio fidanzato abbia prenotato per
stasera. Può ripetermi cortesemente
l’ora?”,
recitò senza alcuna esitazione nella voce. “Purtroppo
è
già uscito e non sono riuscito a contattarlo prima di
prendere
l’aereo. Dovrebbe esserci una prenotazione a nome
Hummel”.
“Naturalmente, resti in
linea”, lo sentì sfogliare le pagine di un
quaderno, prima che
riprendesse la cornetta: “Alle 19.30, signore”.
“Molto bene, a
stasera”.
A Mezza SegAnderson
estrema, estreme Sebastardate: mai sottovalutare l’effetto
sorpresa.
“Resti per lo
spettacolo?”, gli chiese il barista, avvitando nuovamente il
tappo
della bottiglia di tequila.
“No, grazie: ho
avuto la mia dose indesiderata di tette e di culi per oggi”,
risposte distrattamente. Ma c'era un altro motivo per cui aveva
premura di uscire: sulle labbra comparve un sorriso piuttosto
soddisfatto. “Porto Kurt fuori a cena”,
raccontò distrattamente.
Un fischio prolungato
da parte del barista e l’accenno di un sorrisetto: seppur i
due
avessero cominciato a convivere da poco tempo (esclusa la settimana
di prova), Sebastian non aveva mancato di farne un’esauriente
descrizione, soffermandosi sugli episodi più eclatanti. Ciò
avveniva soprattutto quando l'alcol lo rendeva più loquace o
si
divertiva a confrontare i fondoschiena dei potenziali amanti notturni
con quelli del coinquilino.
“Ti sono cadute le
tonsille in gola?”, gli chiese l’altro, il
sopracciglio inarcato
con aria scettica di fronte a quel verso cameratesco.
“Mi sorprendi:
credevo che la tua tattica fosse separare il sesso dalla vita
domestica”, osservò Hunter con aria incuriosita.
“Infatti,” ribatté
prontamente, le sopracciglia inarcate, “è soltanto
una cena e, a
differenza delle tue squinzia, dubito che si sfili la camicia prima
del dessert o mi faccia piedino da sotto il
tavolo”.
Finse di non aver
sentito il riferimento ironico alla propria ragazza, ma
incrociò le
braccia al petto e lo scrutò nuovamente con aria sardonica.
“Se
non gli offri la cena per portartelo a letto”, finse di
rifletterci
sopra, per poi improvvisare un'espressione meravigliata.
“Oh, questo ti
piace!”, lo additò con aria eloquente, il sorriso
che si allargava
sul volto, facendone scintillare lo sguardo. “O almeno lo
rispetti,
non so cosa sia più straordinario da parte tua”.
“Sai cosa lo
sarebbe?”, sussurrò Sebastian con aria casuale,
“se tu riuscissi
a rimorchiare anche fuori da un obitorio”.
Un vago colorito
rosato sfiorò le gote del barista, la cui mascella si tese.
Ribatté
a denti stretti: “Fa parte dello studio d’anatomia
ed è successo
solo una volta!”.
Il cipiglio scettico
sembrò persino estendersi ulteriormente, ma scosse il capo:
“Fossi
in te punterei sull’omosessualità repressa,
qualcuna potrebbe
impietosirsi, ma se si eccitasse, ti consiglierei di starne alla
larga”.
Un vago cenno di
saluto e si era già voltato per uscire dal locale.
“Ehi!”, aveva
fissato il bancone con sguardo incredulo, prima di richiamarlo:
“Non
hai pagato!”.
“Te l’ho detto”,
allargò le braccia con aria d’ovvietà,
voltandosi con un ghigno:
“Devo pagare il ristorante”.
Strinse i pugni,
Hunter Clarington.
“Tanto lo so che ti
piace!”, gli urlò dietro a mo' di minaccia.
~
Il
locale era esattamente
come Sebastian lo ricordava: un ambiente tranquillo, dalle luci
soffuse che si sarebbero potute definire anche romantiche (e dovette
storcere il naso). Ma non era state quelle caratteristiche a
convincerlo a farlo diventare una delle sue preferenze.
Piuttosto era la vetrata
all’angolo più appartato che offriva la vista del
profilo
scintillante di Manhattan. A quell’ora non sembrava esserci
differenze tra il sobborgo che un tempo era rifugio
d’immigrati e
il cuore sfarzoso e scintillante della città, quasi le ombre
potessero celare tutto. La notte sembrava ricondurre ad una quiete e
ad un nuovo fascino che rendeva tutto migliore. O quasi.
Gettò uno sguardo di
puro disprezzo al giovane con il suo ridicolo papillon: sembrava un
piccolo barboncino scuro e neppure di quelli che ispiravano carezze e
tenerezze.
“Buonasera, signore: ha
prenotato?”, gli chiese il maître.
Sorrise con aria
beffarda, Sebastian, facendo un cenno del capo: “Ho
già trovato il
mio tavolo, la ringrazio”.
Prima ancora che potesse
rispondergli, aveva attraversato rapidamente la sala, le mani
conficcate nelle tasche dei pantaloni, mentre si avvicinava alla
Mezza SegAnderson.
La sedia di Kurt era
vuota, ma il suo cappotto era appoggiato allo schienale:
gettò
un’occhiata rapida verso il bagno, proprio mentre Blaine si
accorgeva della sua presenza ed inarcava le sopracciglia, le labbra
schiuse in un’espressione di pura sorpresa.
Sorrise con aria
fintamente affabile, l’attimo dopo, e si alzò in
piedi per
porgergli la mano: “Sebastian, ” lo
chiamò con tono gioviale,
“che sorpresa vederti qui”.
Non particolarmente
lieta. Non che vi fosse di che stupirsi, soprattutto considerando il
loro precedente ed unico incontro.
“D’accordo, Mezza
SegAnderson”, ne aveva ignorato la mano protesa e si era
accomodato
al posto di Kurt, guardandolo con aria schifata, “ti
spiegherò
come andranno le cose”.
Evidentemente avendone
intuito le intenzioni tutt’altro che pacifiche, dopo un
attimo di
puro smarrimento, Blaine tornò a sedersi, le sopracciglia
aggrottate. “Lieto anche io di rivederti”, fu la
sua ironica
replica, prima di gesticolare in direzione del bagno.
“Se hai bisogno di
parlare con Kurt-”.
“Devi lasciare Kurt”,
dichiarò in tono lapidario.
Sorrise divertito di
fronte all’espressione sbigottita che aveva ostentato, tanto
palese
da renderlo persino più ridicolo e il papillon e le
sopracciglia
triangolari erano già un buon punto di partenza.
Continuò ad osservarlo
ed incrociò le braccia al petto: “Anche in fretta:
prima che
questa follia dilaghi. Ma sarò generoso. Ti
lascerò scegliere il
sottofondo musicale, anche se sarei più che felice di
proporti un
motivetto che mi sembra proprio la tua canzone, a
meno che tu
non abbia già esaurito tutto il repertorio di Katy
Perry”.
Prima che Blaine potesse
replicare, aveva sollevato la mano, estratto il cellulare per fargli
ascoltare la canzone in questione. La
voce
femminile intonò:
« You
change your mind
Like a girl
changes clothes
Yeah
you PMS
Like a
bitch... ».
Mise fine alla
riproduzione, soddisfatto che quei versi si concludessero con un
epiteto.
Gli sorrise affabile,
indicando l’uscita. “Non andiamo oltre: sono certo
che Central
Park ti offrirà un bello scenario per dimenarti ed esprimere
al
meglio i tuoi sentimenti”.
Se la faccia di Blaine
era apparsa dapprima sconvolta ed incredula, a poco a poco il viso
aveva assunto un colorito rossastro, tendente al prugna. La sorpresa
aveva lasciato spazio all’indignazione e al disgusto,
fissandone il
cellulare con espressione stizzita.
Sollevò le mani, le
labbra serrate e la mascella tesa, ma sospirò con aria
stoica.
“Posso comprendere la tua preoccupazione e le naturali remore
che
tutti hanno dimostrato per la nostra età e i miei trascorsi
con
Kurt. So anche che il nostro primo incontro non mi ha affatto messo
in buona luce e che vuoi proteggere Kurt, cosa che apprezzo
molto-”.
“… arriverà la
conclusione di questo monologo intriso di vittimismo, finta cortesia,
accondiscendenza e narcisismo, perché sto facendo uno sforzo
immane
a sopportare la tua vista”, chiese Sebastian, dondolandosi
sulle
gambe posteriori della sedia, fissando il soffitto.
“So di aver fatto
qualcosa d’imperdonabile”, incalzò
Blaine.
Ridacchiò, Sebastian,
lasciandosi nuovamente cadere in avanti, evidentemente essendo giunti
ad una svolta interessante. “Evidentemente no: è
questa la parte
divertente e/o preoccupante”, allungò la mano al
cestino del pane
per prendere un grissino. “Ma forse sono io quello
all’antica che
crede che il sesso con un estraneo sia eccitante solo in assenza di
legami ancora in corso”, gli sorrise con aria eloquente.
Serrò la mascella,
Blaine, lo sguardo torvo e sembrò ringhiare le parole
successive:
“Io amo Kurt”.
“Stronzate”, fu la
pronta replica, mentre si sporgeva in sua direzione, lo sguardo
torvo. “Forse hai creduto di amarlo, ma di certo non
l’ami
adesso”, parlò in tono composto.
“Come puoi dire una
cosa del genere?”, chiese Blaine che parve impallidito.
“Che cosa
credi di sapere di me o di Kurt?”.
Sorrise trionfante,
Sebastian, quasi avesse atteso quella domanda esplicita.
“Tu ami il fatto che
smarrisca la sua personalità, ad eccezione di qualche
sporadico
fuoco di paglia, ami il fatto che non sia mai capace di scegliere se
stesso e sia pronto a sacrificare la sua vita per te,
anziché
rassicurarlo e spronarlo a realizzare i suoi sogni”, prese
fiato,
prima di continuare.
“Ami che si stupri la
mente al pensiero che nessuno potrebbe amarlo quanto te,
perché,
quando gli hai preso la mano la prima volta che lo hai incontrato, il
vostro destino è stato segnato”, recitò
con voce enfaticamente
trasognata, portandosi una mano al petto.
Era parso senza parole,
Blaine. Si sarebbe aspettato che ribattesse con la stessa
indignazione, che sbraitasse, rinunciando a quella falsa
cordialità.
Che difendesse la sua relazione con Kurt, cercando di smontare le sue
argomentazioni, una alla volta.
Nulla di tutto questo.
Sospirò, invece, e lo
osservò come se lo stesse vedendo per la prima volta, come
se
soltanto in quel momento riuscisse realmente a capire chi avesse di
fronte.
Scosse il capo, quasi lui
stesso stentasse a crederci: “Gli hai mai detto che ne sei
innamorato?”.
Era stato il momento di
Sebastian di serrare la mascella.
Per la prima volta,
sembrò cedere alla collera che ne fece scintillare le iridi:
“Stiamo
parlando di Kurt”, ribatté con voce tagliente nel
fissarlo
minacciosamente.
Non certo intenzionato a
lasciare che tra tutti, fosse proprio quell’abominio a
cercare di
psicanalizzarne le emozioni e lo stato d’animo.
Blaine scosse il capo:
“E’ una scelta di Kurt, Sebastian. Anche se potrai
non crederci,
mi dispiace sinceramente che tu ne debba soffrire”.
Il fatto che sembrasse
realmente sincero, non ne stemperò l'irritazione. Se non si
fossero
trovati in luogo pubblico, avrebbe voluto togliergli
quell’espressione dal volto, colpendolo violentemente: non
soltanto
sembrava svicolare dalla propria esamina precisa ed accurata, ma
persino cercando di girare le tavole perché fosse lui
quello
sottoposto a giudizio.
“Puoi infilarti su per
il culo il tuo dispiacere, come hai fatto con il faro
del tuo amico virtuale”, gli sorrise nuovamente con aria
suadente,
prima di scrollare le spalle. “Bene, ti ho dato
l’occasione di
ritirarti con una parvenza d’onore e
rispettabilità, o quello che
ne restava”, gli annunciò, appoggiando le mani sul
tavolo per
alzarsi.
Aveva incrociato le
braccia al petto, Blaine: “Sto tremando di paura”.
“Sebastian”, gli
giunse la voce sorpresa di Kurt. Elegantissimo nello smoking che
aveva indossato per l’occasione, stava guardando
dall’uno
all’altro con aria evidentemente confusa. “Cosa ci
fai qui? Non
dirmi che mi hai seguito”, aveva sospirato con aria quasi
stoica.
Non aveva distolto lo
sguardo da Blaine, Sebastian, ma aveva scrollato le spalle, un vago
sorriso: “Sono venuto a congratularmi di persona per il lieto
evento, naturalmente”.
Si era infine alzato e
aveva fatto cenno a Kurt perché tornasse a sedersi,
spostandogli la
sedia.
Lo aveva osservato a
lungo, Kurt: probabilmente ben intuendo cosa si celasse dietro quella
parola sottolineata in modo non casuale, ma si sedette con un confuso
ringraziamento per il gesto cavalleresco.
Ancora dietro la sedia,
si era chinato al suo orecchio, Sebastian, inspirandone il profumo,
ma continuando ad osservare Blaine con aria di sfida: “Ma
vorrei
anche aggiungere che questi pantaloni ti fasciano perfettamente il
fondoschiena”.
Sorrise nel sentire Kurt
trasalire, le guance accalorate dall'imbarazzo e la cute che sembrava
intirizzirsi al suo respiro.
Ne baciò la gota con
un’innocenza che stonava incredibilmente con quanto aveva
appena
sussurrato, prima di ergersi nuovamente ad osservarne il fidanzato.
“Blaine”, pronunciò il suo nome come
un’ingiuria.
Un ultimo sguardo e si
volse rapidamente per lasciare il locale.
Come aveva immaginato, la
Mezza SegAnderson non avrebbe ceduto facilmente: ciò che era
illuminante era constatare che era talmente pieno di sé da
non poter
neppure ipotizzare d’essere corrosivo alla vista e alla
personalità
del fidanzato. Purché avesse potuto continuare a vincolarlo
a sé,
nel suo narcisismo che celava (sotto strati e sottostrati di gel
ammuffito al mirtillo) la consapevolezza di non valere niente.
Una cosa era certa, tanto
più alla luce di quella domanda che gli era stata posta:
avrebbe
dovuto agire con ancora più cautela ma rapidità,
se il suo
trasferimento a New York era imminente.
~
Il locale era
piacevolmente illuminato e non sembravano esservi molti avventori.
Non aveva mai
amato i
luoghi particolarmente affollati e probabilmente era per quel motivo
che evitava le strade e i quartieri più rinomati della
città.
Sorrise con aria
di
scherno di fronte all’espressione evidentemente sorpresa di
Kurt
che si stava guardando attorno, come se fosse entrato in una diversa
dimensione spazio-temporale.
“Tutto
bene?”, gli
chiese, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni.
“E’ davvero un
bel posto”, commentò Kurt senza celare una reale
sorpresa.
Il sorriso di
Sebastian si ampliò: “Credevi che ti avrei portato
in uno streap
club?”, gli chiese con una nota di malizia nella voce.
Le sue guance si
tinsero di un colorito acceso, ma scosse il capo, Kurt: “Non
ho
detto questo, ma se anche lo avessi pensato”, le mani sui
fianchi e
le sopracciglia inarcate, “mi biasimeresti tenendo conto del
tuo
curriculum?”.
Inarcò
le
sopracciglia, Sebastian: “Fingerò di non notare
che la tua
sorpresa implica anche una previa accettazione all’idea che
ti
portassi in un posto del genere”.
Arrossì
di
indignazione, Kurt, ma incrociò le braccia al petto:
“Fingerò che
tu non ricordi che ho già un ragazzo”.
Lo sfolgorio
nello
sguardo di Sebastian si fece persino più evidente:
“Suona quasi
come una proposta”.
Sollevò
gli occhi al
cielo, Kurt, indicando la sala con un cenno del mento:
“Adesso
possiamo andare a sederci, per favore?”.
Evidentemente
consapevole che fosse una sfida ardua già pareggiare con
Sebastian,
ed impossibile prevalere su di lui, sembrò preoccuparsi di
poter
cenare insieme come due persone normali.
Schioccò
la lingua
sul palato con aria compiaciuta, Sebastian, ma si avvicinò
al maître
e gli ricordò la prenotazione. Lo seguì poi, con
camminata fluida,
verso l’angolo più appartato del locale, di fronte
ad una vetrata.
Spostò
una delle
sedie e osservò Kurt con aria eloquente: sembrò
ancora più
sorpreso ma, con un breve dondolio delle spalle e uno sguardo
più
compiaciuto, prese posto con un ringraziamento.
Lo
imitò e si sedette
davanti a lui.
Quasi
istantaneamente
un cameriere porse loro dei menù e versò
dell’acqua ad entrambi,
attendendo che fossero pronti per l’ordinazione.
“Alla nostra
convivenza: perché sia sempre… interessante”.
Propose il
brindisi,
sollevando il bicchiere e Kurt lo fece cozzare contro il proprio, ma
lo osservò con aria quasi stoica.
“Possibile che ogni
tua frase abbia sempre qualche sottinteso lascivo?”.
Ridacchiò,
Sebastian:
“Oserei sostenere che proietti su di me le tue pulsioni
inconsce
verso il sottoscritto”, lo schernì con tono
sicuro, quasi stesse
pronunciando un’asserzione inconfutabile.
“Illuminante,
Freud”,
sospirò Kurt, scuotendo leggermente il capo e
aprendo finalmente il menù.
Fatta
l’ordinazione,
Sebastian seguì il cameriere con lo sguardo: fondoschiena
davvero
niente male, ma fu di nuovo a Kurt che volse completamente la sua
attenzione.
“Come hai conosciuto
il tuo ragazzo?”, gli chiese a bruciapelo.
Parve sorpreso e
spiazzato, Kurt: fino a quel momento non avevano mai alluso alla sua
relazione, se non quando Sebastian voleva ironizzarvi sopra o fare
commenti (non richiesti) sulle fotografie disseminate nella sua
camera, per non parlare della celebre provocazione di non curarsi
della sua esistenza, se lui avesse fatto altrettanto.
Prese tempo,
Kurt, e
dispiegò il tovagliolo per poi appoggiarselo con cura sulle
ginocchia, prima di tornare ad incrociarne lo sguardo, per rispondere
con sussiego.
“Mi sono trasferito
nella sua scuola privata per un breve periodo e lui è stata
la prima
persona che mi è letteralmente venuta incontro, sulla rampa
delle
scale”, ricordò con quel sorriso più
emozionato.
Dovette compiere
un
notevole sforzo d’autocontrollo, Sebastian, per non roteare
gli
occhi, ma continuò a studiarlo, le sopracciglia inarcate:
“E state
insieme da allora?”.
“Più o
meno”,
rispose prontamente, Kurt, che stava sentendosi più a suo
agio a
mano a mano che la conversazione prendeva forma, evidentemente
compiaciuto di condividere quelle perle di romanticismo che avrebbero
fatto impallidire persino Nicholas Sparks. “Beh,
all’inizio
gli piaceva un altro a dire il vero ed era il mio migliore amico, e
lo è tuttora”.
“Ed è stato
la tua
prima volta”.
Non era sembrata
una
domanda, perché Sebastian avrebbe saputo indovinarne la
risposta,
anche soltanto basandosi su quanto aveva osservato da che si erano
conosciuti.
Arrossì,
Kurt,
restava da capire se fosse per mero pudore o per il fatto che avesse
intuito senza particolare sforzo.
“Non è una
domanda
molto discreta: ancora non ti conosco abbastanza”,
tergiversò,
sorseggiando del vino per evitarne lo sguardo.
Tipico di Kurt.
Avrebbe potuto tediarlo per ore raccontando aneddoti personali sul
primo incontro, sul primo appuntamento e sul primo bacio, ma senza
mai valicare quel confine più intimo.
Scrollò
le spalle,
Sebastian: “Lo prendo come un sì. E scommetto
anche che sei
sinceramente convinto che starete insieme anche a distanza, o almeno
fino a quando non verrà a vivere qui e inizierete la luna di
miele”.
Non risposte,
Kurt, ma
lo guardò di traverso. Non sembrava offeso e neppure
indisposto
dalla sua curiosità, piuttosto c’era un alone di
curiosità nel
modo in cui lo stava studiando, probabilmente lui stesso ponendosi
delle domande.
“Sei mai stato
innamorato?”, gli chiese infatti.
Rise, Sebastian,
un
vago scuotimento del capo piuttosto eloquente: “Ho superato
la
favola del vero amore”.
Lo sguardo di
Kurt
parve persino più concentrato: “Quindi sei stato
ferito e questo
ti ha reso diffidente, preferisci vuote relazioni di piacere, senza
alcun coinvolgimento emotivo”.
Gli concesse un
sorriso, Sebastian, che parve imperturbabile a quella sua esamina
neppure così lontana dalla realtà. Dopotutto,
doveva ammettere tra
sé e sé, l’essere umano sembrava
crogiolarsi nel vivere dei
cliché. E lui non era un’eccezione, ma almeno ne
era consapevole.
“Adesso chi
è che
psicanalizza l’altro?”, chiese con aria provocante,
malgrado si
sentisse compiaciuto di essere oggetto della sua totale attenzione.
“Ti piace sapere
tutto di chi hai attorno, ma non altrettanto sbottonarti”,
gli fece
notare Kurt con aria divertita.
Un guizzo
furbesco
nello sguardo e Sebastian si scostò dallo schienale per
osservarlo
dritto negli occhi, sporgendosi in sua direzione: “E a te
piace…
farti
sbottonare?”,
chiese con un’evidente incrinatura
maliziosa.
Sbuffò,
Kurt. Se era
ormai quasi del tutto avvezzo al suo umorismo ed impertinenza,
sembrava sinceramente poco lieto che quel dialogo fosse interrotto
per la poca partecipazione dell’altro. O per il modo in cui
travisasse appositamente ogni sua parola.
Lasciò
che il
cameriere depositasse gli antipasti di fronte a loro e lo
ringraziò.
Per qualche
istante si
udirono soltanto le posate cozzare contro i piatti.
Sebastian
allungò il
braccio a versare ad entrambi del vino.
“Com’è lui?”.
Inarcò
le
sopracciglia, Kurt.
“Non
ironizzerò
più”, aprì le braccia Sebastian con un
sorriso innocente, “almeno
non ad alta voce”, aggiunse tra sé e
sé.
“Blaine
è…
fantastico”, fu la risposta quasi sospirata da Kurt.
“E’ pieno
di talento (non dirlo neppure, sai cosa intendo!), è un
ottimo
ballerino, ha una voce dal timbro indimenticabile, gli occhi sembrano
leggerti dentro e non smetteresti mai di cercare di coglierne tutte
le sfumature e… che
c’è?”,
interruppe la descrizione e
lo fissò di sbieco per il sorrisetto che
serpeggiò sulle labbra
dell’interlocutore.
“Niente, ho promesso
che non avrei commentato ad alta voce, no?”.
Scrollò le spalle,
Sebastian, facendogli cenno perché continuasse.
“Sebastian”,
lo
incalzò.
Sorrise. A
dispetto
del modo idilliaco con cui soleva descrivere il ragazzo e la loro
relazione, sembrava comunque particolarmente sensibile al suo
giudizio.
“D’accordo”,
si
sforzò di celare il suo autocompiacimento, “si
può rispondere in
molti modi a questa domanda”, esordì e le posate
di Kurt rimasero
ferme, perché completamente assorbito dalle sue parole.
“C’è
chi enfatizza sulle dinamiche di coppia, chi sul modo in cui la
propria vita sia cambiata, o su come era vivere senza di lui o come
non riuscirebbero più a farlo.
Tu ti limiti a
descriverlo come una meraviglia terrena, quasi tu stessi
cercando…
l’approvazione per i tuoi sentimenti nei suoi confronti.
Quasi
ognuno non potesse fare a meno di credere che sia impossibile non
innamorarsene”.
Sembrò
realmente
colpito da quelle parole. Sbatté le palpebre, ma si
irrigidì, il
viso inclinato di un lato: “Lo amo”,
dichiarò come se ciò
spiegasse tutto.
“Tu lo veneri”,
replicò Sebastian, le sopracciglia inarcate. “E
ciò che è ancora
più grave è che chiunque capirebbe che non ti
senti alla sua
altezza. Magari ancora ti domandi come mai qualcuno di così
fantastico abbia scelto proprio te. Eri già rassegnato ad
esserne
l’amico fedele ma rifiutato: non avrai creduto possibile che
lui
ricambiasse i tuoi sentimenti e da allora vivi un idillio in gran
parte creato da te, ancora prima che ti degnasse di sguardo”.
A mano a mano che
sciorinava con voce flautata e composta il suo breve discorso, le
emozioni che guizzarono nello sguardo di Kurt furono le più
disparate: dalla mera sorpresa e l’imbarazzo, fino alla
vergogna e
allo sgomento.
“Non è
affatto
vero”, replicò e la sua voce parve tremare,
malgrado si sforzasse
di apparire altrettanto tranquillo e composto. “Non ci amiamo
e tu
non puoi giudicare: non mi conosci e non sai nulla di noi”,
si era
inevitabilmente messo sulla difensiva.
“Forse”, gli
concesse Sebastian, seppur la sua reazione apparisse fin troppo
eloquente, ma inclinò il viso di un lato.
Quasi in segno di
tacite scuse ne cinse la mano che aveva appoggiato sul tavolo e si
sorprese per quanto fosse fredda. Quasi ne avesse spento le emozioni
con quel suo parlare spesso intriso di cinismo.
“Ma onestamente, ti
sei mai chiesto se lui era degno di
te?”.
Non ritrasse la
mano,
Kurt, ma parve sorpreso da quella domanda. Sbatté le
palpebre, ma
scosse il capo, quasi a dimostrazione che, in quell'ambito, vivevano
in due dimensioni opposte.
“Non si tratta
d’orgoglio ma d’amore”,
replicò in tono più delicato.
Scosse il capo,
Sebastian: “L’amore per un altro essere umano non
dovrebbe
soffocare l’amore per se stessi”,
ribatté con aria d'ovvietà.
“Io ho rispetto di
me stesso!”, fu la strozzata replica, la voce più
alta che attirò
lo sguardo di qualche avventore vicino.
Non si scompose,
Sebastian, ma inarcò le sopracciglia con aria scettica.
“Così tanta
da
venire a New York per vivere con la tua amichetta di liceo e tuo
fratello. Non soltanto lasciandoti sfrattare dal vostro progetto in
comune (senza contare che tu non sembri capace di poter pensare
esclusivamente a te stesso), ma anche se dichiari di cercare la tua
indipendenza, sarai comunque pronto a gettare via tutto per la tua
luna di miele con Blaine”.
Parve colpito da
quelle parole, soprattutto da quell'esamina tanto accurata e persino
pertinente per una persona conosciuta in tempi così recenti.
Scosse il capo,
ma non
sembrava né offeso né indignato. Piuttosto
rassegnato dal fatto
che non potessero giungere ad un compromesso tra due visioni della
vita e dell'amore totalmente diverse e radicate in due modi di vivere
altrettanto differenti.
“Ritieni davvero che
schifare le relazioni attorno e illudersi di stare bene, senza
lasciarsi coinvolgere emotivamente, sia uno stile di vita
migliore?”.
Se anche avesse
voluto
lasciarsi passare per una sorta di cinico che, in virtù del
proprio
disinteresse, amasse guardare gli altri e schematizzarne
comportamenti e attitudini, Kurt sembrava voler credere che in lui vi
fosse qualcosa di più.
“Io scelgo me al
primo posto”, fu la pronta replica che sembrava confermare il
precedente ragionamento.
Scosse il capo,
Kurt e
parve persino dispiaciuto. “E fin quando non sarai disposto a
mettere questo in discussione, non potrai avvicinarti davvero a
qualcuno”.
Sorrise,
Sebastian, un
cenno d’assenso: “Esattamente”. Lo
osservò ancora, la stessa
aria quasi divertita: “Siamo agli antipodi”.
Suo malgrado
anche
Kurt parve rilassarsi e la tensione parve smorzata, ma
continuò ad
osservarlo con un alone di curiosità e…
preoccupazione?
“Fino a quando non
t’innamorerai di nuovo”, commentò e
pareva realmente sperare che
ciò sarebbe accaduto a scuoterlo dal suo modus vivendi.
Inarcò
le
sopracciglia, Sebastian, l’aria scettica: “O tu
deciderai di
passare al
lato oscuro”.
“Non
succederà”,
asserì Kurt con uno scuotimento del capo.
“Potrei dire lo
stesso della tua proiezione idilliaca sul futuro del
sottoscritto”,
replicò con uno scrollo di spalle.
“Lo vedremo”,
fu
il momento di Kurt di assumere un’espressione supponente.
Sebastian non
avrebbe
saputo spiegarsi da cosa nascesse quella sicurezza: se si trattasse
soltanto di un augurio o se avesse intuito qualcosa che persino a lui
era sfuggito.
“Sì, lo
vedremo”,
asserì Sebastian con poca convinzione.
Pensandoci
anche in quel
momento, scosse il capo e maledisse le sue profezie
sull’amore e il
modo in cui soltanto quello sguardo riuscisse a farlo sentire spoglio
di difese e della sua sicurezza.
~
Stava rimirando il
proprio bicchiere con espressione meditabonda, quando Kurt
rientrò
molto prima di quanto si sarebbe immaginato. Levò lo sguardo
giusto
in tempo per vederlo appoggiare le chiavi sul mobile vicino alla
porta d’ingresso e togliersi cappotto e sciarpa.
Aveva gli
occhi
arrossati, come ogni volta che aveva pianto o era in procinto di
farlo.
Non
pronunciò parola,
Sebastian, ma lo guardò avvicinarsi al frigo e prenderne la
cheesecake rimasta dall’ultimo spuntino.
Il fatto che
non lo
sgridasse per non aver comprato il latte o che ignorasse i piatti
sporchi nel lavello (sì, quel giorno sarebbe toccato a lui
lavarli,
ma preferiva lasciarli accumulare fino a quando
l’esasperazione di
Kurt e la sua mania di pulizia, lo inducessero a lavarli con quelli
del giorno successivo) doveva essere il segnale che qualcosa non
andava.
Kurt si
portò una
piccola porzione di dolce alle labbra e Sebastian cercò di
reprimere
il pensiero pornografico su come talvolta si succhiava il dito con
fare maledettamente provocante. E il
fatto che il tutto fosse
involontario, rendeva il gesto persino più sensuale.
“Guai
in paradiso?”,
si sentì chiedere, quando il silenzio divenne
insopportabile.
Dopotutto, se Kurt avesse voluto evitarlo completamente, avrebbe
potuto portarsi il piatto in camera propria.
“Non
abbiamo litigato”,
gli rispose, ma la voce era rauca, nonostante si sforzasse di
apparire tranquillo e di sostenerne lo sguardo.
Avrebbe voluto
percepire
la stessa soddisfazione di quando riusciva a sabotare un appuntamento
del barista, ma non poteva sentirsi compiaciuto di se stesso nello
scorgere quel turbamento, al pensiero che la propria apparizione
avesse messo in luce i tentativi manipolatori della Mezza
SegAnderson.
Sospirò:
forse era
troppo sobrio, ecco il problema.
“Allora
perché non
sei
affatto sull’orlo di una crisi di pianto?”.
Lasciò
cadere il
cucchiaio sul piatto in un tintinnio e scosse il capo:
“Blaine si è
letteralmente innamorato del loft”, esordì.
“…
e questo ti
darebbe la conferma che non sia adatto?”.
“Lui…
vorrebbe che
cominciassimo a viverci fin da subito”.
Sgranò
gli occhi,
Sebastian, e sembrò che gli mancasse il respiro. Troppo
impegnato
nel cercare di stare al passo con i preparativi e anticipare o
coordinarsi alle azioni di Kurt, non aveva minimamente considerato
quella possibilità. L’idea che il sospetto di
Blaine lo avesse
persino indotto ad affrettare le cose, lo fece deglutire a fatica.
Non
riuscì a formulare
una risposta sferzante e il suo viso tradì una reale
preoccupazione.
Si
accigliò nel
tentativo di ragionare
lucidamente. Il
bastardo voleva impedirgli di esercitare la sua influenza su Kurt,
era ovvio. Quanto prima avessero cominciato a comportarsi come una
coppia di sposini, tanto più semplice sarebbe stato
controllare Kurt
e separarli.
Ma se Kurt era
pronto a
sposarlo, dopotutto, perché sembrava così turbato
all'idea?
Inarcò
le sopracciglia,
scrutandolo. Ancora una volta sovvennero le parole di Clarington
circa la sbagliata prospettiva con cui guardava il suo piano.
“Spero
che tu non gli
abbia detto che preferisci vivere con me. In realtà,
sì, lo spero”,
aggiunse con un pallido alone della consueta ironia e il sorriso
sulle labbra che, tuttavia, non si estese alle iridi.
Scosse il
capo, Kurt,
l’aria stanca.
“E’
così
irragionevole?”, sembrò chiedergli una conferma.
“Lui avrà un
letto dove dormire nei prossimi mesi, contribuirò alle
spese,
all’arredo ma… in fondo perché
affrettare le cose? Avremo tutta
una vita per stare insieme”, sembrò annaspare nel
tentativo di
rendere a Sebastian tutto comprensibile. E persino riuscire a
carpirne un'approvazione.
Sebastian
ignorò quelle
parole, come se fossero superflue. “Io ti mancherei troppo e
vuoi
restare con me finché puoi”, cercò di
smorzare la tensione,
simulando l’espressione più mordace e
narcisistica, seppur
sentisse già un nodo in gola al pensiero che la situazione
potesse
tutto sfuggirgli di mano. Da un momento all’altro, mentre ne
discutevano in cucina.
Sorrise, Kurt,
ma lo
guardò intensamente. “Mi mancherà la
mia vita qui, ” disse
semplicemente, “le nostre discussioni, tu che non fai quello
che
ti chiedo o ciò che abbiamo stipulato. Tu che torni a casa
ubriaco e
vaneggi. Tu che mi accogli, quando sono io a rientrare e ti comporti
come se ancora dovessi convincermi che mi sarebbe impossibile
andarmene, dopo la settimana di prova”.
Sorrise,
Sebastian, il
viso inclinato di un lato, nel sentirlo tratteggiare con quella voce
più dolce quegli aspetti della loro vita comune. Sorprendendosi
di come tutto sembrasse più intenso e reale, quando era lui
a
cercare di spiegarlo, quasi riuscisse a dare un tocco del tutto
personale, all'essenza di vaniglia e illuminato dalle sfumature del
suo sguardo.
Sospirò,
infine, ma
sembrò riuscire a soppesare tutto ciò che aveva
detto: seppur fosse
piacevole comprendere quanto la propria presenza fosse importante
nella sua quotidianità, era certo che ci fosse anche
qualcosa di più
personale ad averlo ferito.
“Quindi,
dopo il tuo
rifiuto, ha messo in dubbio la tua volontà di
sposarlo?”.
Il lampo di
dolore nello
sguardo di Kurt fu così evidente ed improvviso che Sebastian
digrignò i denti e desiderò poter occuparsi
personalmente di
Blaine, questa volta senza neppure aprir bocca. Serrò le
labbra, ma
cercò di restare calmo e mantenersi lucido.
Sarebbe stato
perfetto:
avrebbe soltanto dovuto fare pressione perché Kurt
riflettesse e si
concentrasse su se stesso, perché potesse almeno concedersi
il
beneficio del dubbio e potesse scorgere in quella reazione un segno
evidente della sua inconscia insicurezza. E del modo in cui il loro
loft fosse divenuto un surrogato di casa che non riuscisse a
lasciarsi facilmente alle spalle.
Sospirò,
ma allungò il
braccio per prendere la mano dell’altro: “Lui non
ti lascerà
andare così facilmente, o sarebbe persino più
coglione di quanto
credo e ti assicuro che non sono generoso nei suoi
confronti”.
Ironico che quelle parole che per Kurt potevano costituire un
conforto, fossero per Sebastian una vera e propria minaccia.
Lo
guardò intensamente:
“Dipende tutto da te e da quello che senti”.
Lo
osservò, Kurt, se
aveva sbuffato a quella definizione poco lusinghiera del fidanzato,
non allontanò la mano di Sebastian. La cinse con quella
libera e la
trattenne. Quasi avesse reale bisogno di sentirsi ancorato a lui, a
quell'unica certezza in quei cambiamenti repentini nella sua vita.
Abbassò
lo sguardo e
disegnò con il dito sul dorso della mano di Sebastian, un
vezzo così
semplice che sembrava indispensabile per riflettere in quel momento.
Cercò di nuovo i suoi occhi e qualcosa nel petto dell'altro
si
contrasse nuovamente.
“Promettimi
che anche
tu non lo farai”, di fronte al suo sguardo confuso, Kurt
aggiunse:
“Promettimi che non mi lascerai andare, prima delle
nozze”.
Quella morsa
sembrò
persino più intensa: avrebbe voluto sporgersi ed annullare
semplicemente quella distanza per sentirlo realmente vicino, per
interrogarsi su come potesse pretendere di fermare il tempo in
quell’istante e volgere tutto a proprio favore.
Un solo
semplice istante
che avrebbe potuto ridefinire tutto.
Un semplice
istante per
provare a capire cosa significasse davvero pretendere che Kurt fosse
completamente e totalmente suo.
Serrò
le labbra. “Se
ti aspetti una dichiarazione d’amore-”.
“Sebastian”,
sembrò
richiamarlo a sé con voce più intensa. Quasi
volesse scavare oltre
le spesse mura che ne proteggevano l’orgoglio e il riserbo,
quasi
il suo solo sguardo e il suono della sua voce fossero la chiave
d’accesso a quella parte di sé che lui stesso
stentava a
conoscere.
Sebastian si
odiò per
come fu naturale trattenerne la mano, lo guardò negli occhi
e fu
altrettanto spontaneo schiudere le labbra e dargli ciò di
cui
disperava. La sicurezza e la promessa di essere per lui quella
certezza a cui aggrapparsi in ogni istante. Senza timore di
affrontare l’ignoto o il rischio di un cuore spezzato.
“Non
lo farò, Kurt”,
sussurrò intensamente.
Non fu
così difficile.
Bastava ignorare che Kurt non sospettasse che lui potesse alludere ad
un periodo ben più lungo.
Sembrò
ritrovare la
serenità, Kurt, perché sorrise più
apertamente ed annuì.
“Ti
ringrazio”,
sussurrò e Sebastian annuì appena.
Lasciò
che si scostasse,
pur desiderando che la traccia di calore delle dita sul dorso, non
dovesse scomparire altrettanto rapidamente.
“Ho
bisogno di dormire:
è stata una giornata lunga”, sussurrò,
Kurt, e si rimise in piedi
per deporre il piattino nel lavello, un sospiro di disapprovazione
alla vista della pila di piatti sporchi, ma non commentò.
“Buonanotte”,
si era
chinato impercettibilmente a posare le labbra sulla sua gota e
Sebastian si sentì invadere da quella dolce e stucchevole
fragranza.
Un solo istante in cui socchiuse gli occhi e desiderò
cingerne la
vita e trattenerlo, spostare appena il volto e coglierne le labbra.
“Buonanotte”,
si
sentì dire e lo osservò dirigersi verso la
propria camera.
Sapeva che non
si sarebbe
addormentato subito, ma probabilmente avrebbe speso gran parte del
suo tempo a riflettere su tutto ciò che era accaduto.
Sapeva che
promettendogli
di restargli al fianco, lo stava lasciando andare ogni istante di
più.
Infilò
la giacca di
pelle e uscì, quando ormai il respiro di Kurt si era fatto
pesante e
una flebile carezza sulla gota era stato il suo ultimo saluto per
quella notte.
To
be continued…
Buon
Venerdì e buon
Agosto a tutti :)
Spero che le
vostre
vacanze stiano procedendo meravigliosamente (non state troppo nei pub
se non c'è un Hunter a controllarvi :P), che vi siate
divertiti o
che siate in procinto di una meritatissima trasferta in qualche bella
località.
Voglio
ringraziare di
tutto cuore tutti voi che mi dedicate parte del vostro tempo
leggendo, soprattutto coloro che si soffermano anche a lasciarmi una
recensione, intrisa d’entusiasmo, di nefasti presagi e
d’aspettative per momenti Kurtbastian più
idilliaci. Spero sempre
nelle risposte di farvi capire quanto mi delizi questo scambio
d’opinioni e quanto non dia mai per scontato ricevere qualche
feedback. Quindi, ancora, di tutto cuore, grazie infinite <3
Ma
come vorrebbe
Sebastian, non dilunghiamoci troppo nella parte emotiva, e vediamo
qualche spoiler del prossimo capitolo:
“Ti
dispiace? Io e Kurt staremmo discutendo di questioni
private”. “In
casa mia”. “Chiarissimo, dovremmo comunque tornare
al nostro
loft”.
“Non
ti sembra di aver avuto una reazione da non
Sebastian?” “Se
spogli le donne con la stessa abilità con cui parli, mi
domando
quando ti deciderai a fare coming out”.
“Non
ho intenzione di spogliarmi in pubblico”. “Su una
spiaggia” (…)
“Non abbiamo questa confidenza” “Quindi
puoi stare in spiaggia
con perfetti estranei in costume e non con me? Sì, ha molto
senso”.
Trascorrete uno
splendido
Ferragosto, vi aspetterò Sabato 16 per l'aggiornamento.
Un abbraccione
e buon
weekend ;)
Kiki87
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
capitolo 4
Dottoressa Marcia
Fieldstone: "Sam, mi dica in cosa sua moglie era
così
speciale".
Sam Baldwin: "Quanto
dura il suo programma? Lo era. Lo era in milioni di piccole cose
che
messe tutte insieme significavano che eravamo fatti l'uno per
l'altra.
Tutto qui. E io lo capii. Lo capii la prima volta in cui la
toccai.
Toccarla era come entrare in casa, ma in una casa che non
avevo mai conosciuto.
Le presi la mano per aiutarla ad uscire dalla
macchina e lo capii. E' stata come-".
Annie Reed: "Una
magia"
Sam Baldwin: "... una magia".
"Il destino è una
cosa che ci siamo inventati per non affrontare il fatto che
tutto
succede in modo assolutamente casuale".
(Nora Ephron).
(Dal film "Insonnia
D'amore".)
Luglio
(meno otto mesi al
matrimonio).
Capitolo
4
A
Stella,
alle
nanne impossibili,
ai
suoi “Plotto” e al più recente
“Biaccaneve:
stlega, paula!”,
buon
compleanno, cucciola.
La casa era silenziosa
a
quell'ora: tutto sembrava fluire via nell'oscurità,
nascondendo ogni
traccia di consapevolezza, ogni ritorsione e dubbio, ogni rimorso e
dissidio. O così sarebbe stato se l'oblio del sonno lo
avesse
finalmente accolto, se tutto fosse stato facilmente alienabile da
sé.
Schiuse gli
occhi per
l'ennesima volta ed osservò il soffitto, quasi sperando di
trovare
una risposta a tutti quei pensieri che sembravano formicolare e farne
scoppiare le tempie.
Meditò
anche di darsi un pugno, ogni volta che la sua voce interiore assunse
un timbro simile a quella di un promesso (e sfigato) dottorino.
Scostò
le coperte,
quando si stancò persino di provarci e si mise lentamente in
piedi,
dopo aver acceso l'abat-jour.
Sente, aveva
una gran
sete.
Entrò
in cucina, le
sopracciglia contratte, e lasciò scorrere lo sguardo sulla
casa
addormentata: si concentrò sul respiro di Kurt che percepiva
in
sottofondo, grazie alla porta lasciata aperta.
Sembrò
essere l'unica
certezza di quella notte insonne, attraversò il salotto e si
avvicinò alla camera. Osservò come i raggi di
luna si posavano sui
contorni della stanza. La scrivania
di
mogano che aveva scovato in qualche negozio d'antiquariato, i busti
maschili e femminili intorno ai quali drappeggiava delle stoffe per
le sue creazioni che tanto spesso lo inorridivano. E poi quel piano
affisso alla parete e la sua minaccia silenziosa, un pugno nello
stomaco ogni volta che vi posasse sopra lo sguardo e le righe
sbarrate aumentavano con il passare dei giorni, rendendo tutto ancora
più concreto e reale. Ancora più evidente
l'avvicinarsi della fine
di tutto ciò che gli era divenuto familiare e quotidiano.
E necessario.
Kurt,
nonostante il
rientro poco felice, dormiva beatamente ed era una visione
così
dolce e struggente che avrebbe desiderato che restasse impressa nella
sua mente, prima di provare lui stesso ad abbandonarsi al sonno.
Sembrò
indugiare: sulle
labbra sempre fresche per l'idratazione della sua pelle e il burro
cacao, era impresso un sorriso sognante, quasi stesse sfiorando
l'universo di dolcezza e di amore, quale doveva essere il suo
riflesso interiore. Le lunghe ciglia proiettavano un'ombra sul suo
volto e la scia delle efelidi era celata dall'ombra.
Si
avvicinò lentamente,
si appoggiò al materasso che si abbassò sotto il
suo peso. Restò
ad osservarne la figura, un misto d’emozioni e persino la
tentazione di irrompere bruscamente nel suo riposo per aprire una
nuova discussione con lui. Scrutarne gli occhi azzurri, fissi su di
sé, osservarne le espressioni rilucere nei suoi lineamenti
delicati
che tanto spesso aveva reso oggetto di scherno.
“Sei
un idiota”, si
sentì dire nel silenzio della stanza.
Non si mosse,
Kurt, il
suo respiro regolare ne faceva sollevare e abbassare ritmicamente il
petto.
Non era
sembrato neppure
premeditarlo: la mano si era spostata al suo volto e ne aveva appena
tratteggiato la gota, scivolando lungo lo zigomo e disegnando e
tastando la delicata morbidezza, giungendo alle labbra. Si sorprese
di quanto familiare sembrasse quel contatto, quasi le dita avessero
serbato una traccia che non avrebbe potuto imprimersi su un altro
volto.
Si
sollevò bruscamente e
Kurt si mosse, volgendo il capo in sua direzione.
Trattenne il
respiro,
Sebastian: il corpo del ragazzo si era teso come se fosse stato
consapevole di una presenza nella sua stessa stanza. Quasi
come se, persino nel mondo dei sogni, Kurt cercasse sempre quel
qualcosa di più in lui.
“Sei
un idiota”,
ripeté tra sé e sé. Ma non stava
più parlando del giovane
addormentato.
Quando schiuse
gli occhi,
molte ore dopo, desiderò non essere neppure in grado di
alzarsi dal
letto. Un tipico mal di testa post sbornia ma senza sbronza:
probabilmente l'alcol aveva ormai così invaso il suo
organismo da
produrre effetto anche senza una sua assunzione recente. Avrebbe
potuto suggerirlo allo SfigHunter come possibile argomento di tesi di
laurea, se mai fosse riuscito ad ultimare tutti gli esami.
La doccia
attenuò quel
sentore d’apatica insofferenza e ascoltò i suoni
provenienti dalla
cucina: sperava che Kurt fosse impegnato nella preparazione di una
degna colazione (magari indossando i leggendari pantaloni rossi) ma
quando, in accappatoio, lo scorse impegnato in qualche diabetica
conversazione con la Mezza SegAnderson, le sue labbra si
contrassero come se avesse appena ingoiato del cianuro.
Evidentemente
sensibile
all'ondata d’odio cancerogeno diretto ai suoi settanta chili
d’inutilità (settantacinque contando il gel), il
moretto sollevò
lo sguardo e lo scorse. Si raddrizzò sul suo
sgabello ed
improvvisò un sorriso così falso che Sebastian
desiderò
schiacciargli la faccia contro il tavolo. Ripetutamente.
Corrugò
le sopracciglia
al ricordo dello stato pietoso in cui Kurt era rientrato: possibile
che avessero risolto quella crisi mistica prima che avesse il tempo
di vestirsi? E con tutte le ansie e
le paranoie
con cui Kurt alimentava il suo fabbisogno giornaliero di piagnistei,
com'era possibile che tutto fosse tornato alla normalità? Il
sonno,
oltre al riposo, poteva aver fatto luce su ogni dubbio?
“Buongiorno
Sebastian”, lo salutò Blaine, quando ormai anche
Kurt si era
accorto del suo arrivo e gli aveva rivolto un sorriso.
Cercò
di ignorare quella
stretta al petto, Sebastian. Ignorò bellamente il suo rivale
e si
avvicinò al fornello di fronte al quale Kurt stava finendo
di
preparare la colazione. Allungò speranzoso la mano verso la
padella,
ma il cuoco virò l'attacco con la stessa abilità
con cui Han Solo
sarebbe riuscito a sfuggire ad una tempesta d’asteroidi alla
guida
del suo amato Millenium Falcon.
Kurt
depositò qualche
frittella nel piatto di Blaine e il restante in quello vuoto.
Sebastian
allungò la
mano, ma Kurt spostò il piatto:
“Vestiti”, gli intimò.
“Non
sembrava molto
importante ieri mattina, così come tutte le altre mattine
che
abbiamo trascorso insieme”, sussurrò in tono
provocante al suo
orecchio, ma guardando la Mezza SegAnderson, compiacendosi del suo
volto corrucciato.
“Sebastian”,
lo
rimproverò Kurt, sollevando gli occhi al cielo.
“Preferisco
quando lo
urli”, replicò con una scrollata di spalle e si
allontanò, dopo
essersi premunito di rubare una frittella intatta dal piatto
dell'ospite sgradito.
“Sebastian!”,
la voce
di Kurt si era sollevata di una mezza ottava in quel rimprovero.
“Mhm”,
si fermò
sulla soglia della propria camera, degustando con enfasi
quell'anticipazione della sua colazione. Si lambì le labbra:
“Proprio come piace a me”, commentò in
tono così osceno che
Kurt arrossì e Blaine
sgranò gli occhi e non
parve in grado di reagire.
Stava
rientrando nella propria camera, quando Blaine parve riaversi. Ne
sentì la voce mentre, con tono stoico, si rivolgeva al
fidanzato:
“Colazione in caffetteria, domani?”.
Sorrise tra
sé e sé:
adesso poteva anche pensare a vestirsi.
Se avesse osato
sperare
nell'estinzione della Mezza SegAnderson, nel tempo necessario ad
indossare qualcosa, ne sarebbe stato amaramente deluso. Al contrario,
seppur la sua preziosa presenza avrebbe dovuto limitare i momenti di
diabetica dolcezza, i due sembravano nuovamente sostare in una loro
bella (e disgustosa) bolla di sapone che li separava dal resto
dell'umanità. Colse qualche frammento della conversazione:
Kurt
aveva indossato gli occhiali e stava prendendo qualche appunto
nell'agenda che aveva comprato recentemente. L'ingellato pigmeo aveva
già terminato la sua dose di pancakes, ma Sebastian sorrise
compiaciuto nel vedere la pila intatta che lo attendeva.
“Central
Park?”,
chiese Kurt, quasi a volere una conferma.
Il fidanzato
annuì.
“Potremmo scambiarci le promesse di fronte al fiume e avere
persino
lo spazio per allestire un piccolo podio e-”.
Un verso
strozzato di
divertimento e si volsero entrambi verso Sebastian che sorrise
affabile. “Sperando che Katy Perry riesca a far uscire un
altro
singolo vagamente orecchiabile nel frattempo”,
parlò con voce
flautata. “L'idea di vederti con un gonnellino da Tarzan
sarebbe
traumatizzante”,
fu la sua pronta risposta e sorrise soddisfatto d'aver interrotto il
delirio della feccia, la cui espressione rese palese il suo fastidio.
“Ti
dispiace?”, lo
incalzò con tono evidentemente risentito. “Io e
Kurt staremmo
discutendo di questioni private”,
sottolineò le ultime due
parole, non curandosi più di nascondere lo scontento per la
sua
presenza.
“In
casa mia”, fu la
replica sferzante, pur mantenendo un sorriso amabile.
“Chiarissimo”,
aveva
sollevato le mani Blaine. “Dovremmo comunque tornare al nostro
loft”, si era rivolto a Kurt.
Sollevò
la testa di
scatto, Sebastian, memore della discussione con il suo coinquilino:
allora era ufficiale. Blaine aveva effettivamente deciso di
stabilirsi nel loft che avevano visitato insieme, il che implicava
che nei prossimi mesi sarebbe stato maledettamente vicino, tanto
più
se fosse riuscito a farsi ammettere alla Nyada, dandogli ulteriore
possibilità di controllare Kurt.
Se
non altro quest'ultimo si era dimostrato abbastanza risoluto sul non
voler instaurare una convivenza pre-matrimoniale, dovette ricordarsi
per alleviare quella fitta al petto di pura apprensione.
Cercò
di ignorare lo
sguardo evidentemente soddisfatto della mezza cartuccia per osservare
Kurt che sembrava indugiare con lo sguardo sul foglio, ancora
scribacchiando.
“Che
cos'è questa
storia di Central Park?”, chiese Sebastian, cercando di
apparire
incurante e comprendere quanto la situazione stesse
degenerando.
“Io e
Kurt stiamo
scegliendo la location”, rispose prontamente
Blaine con la stessa aria soddisfatta di un tacchino del
Ringraziamento che camminava impettito, ovviamente prima di essere
spennato, strangolato ed infilato nel forno. Un sorriso serafico
sfiorò le labbra di Sebastian nell'immaginare un volatile
con la
faccia del suo rivale, ma parve illuminarsi.
Si
schiarì la voce. “Eppure giurerei che Kurt mi
avesse detto
esplicitamente di aver sempre immaginato un matrimonio
senza
eccessi, perché siano il suo abito e l'anello ad essere i
veri
protagonisti”.
Seppe di aver
colto nel
segno ancora prima di scorgere il rossore sul volto di Kurt o il
boccheggiare incredulo di Blaine: chiunque conoscesse abbastanza il
giovane, infatti, avrebbe potuto comprendere che una simile
asserzione potesse essere frutto dei suoi pensieri.
Si volse verso
il
fidanzato, Blaine, quasi cercandone un'implicita conferma, ma
quest'ultimo stava ancora scrutando Sebastian, lo sguardo che
sembrava velato, quasi stesso richiamando lo stesso ricordo. Quasi
fosse in corso una discussione soltanto loro.
Si strinse
nelle spalle,
Sebastian, ma gli sorrise con aria complice: “Anche se Tom
Hanks lo
preferisco in Salvate il soldato Ryan, non
significa che abbia
dimenticato ciò che hai detto quella sera”.
“Cioè?”,
s’intromise
di nuovo Blaine, per poi scuotere il capo e volgersi a Kurt, l'aria
evidentemente delusa. “Credevo che saresti andato pazzo per
Central
Park: è il cuore di New York”.
“E'
vero”, gli
concesse Kurt quasi con un sorriso di scuse, dopo che parve
riprendersi dalla sua solitaria riflessione. “Ma ho scoperto
che
Brooklyn ha il suo stile e la sua personalità:
più nascosti ma non
meno caratteristici o speciali”, spiegò e
Sebastian sorrise tra
sé.
Ma non ne
ricambiò il
gesto, Kurt. Era parso illuminarsi per un’improvvisa
ispirazione.
“Potremmo
sposarci
sulla spiaggia di Coney Island: sarebbe perfetto al tramonto e...
Sebastian, dove stai andando?”.
Non gli diede
tempo di
richiamarlo nuovamente. Attraversò la stanza in rapide
falcate e
sbatté con violenza la porta alle sue spalle, non prima di
aver
borbottato un: “Come se facesse una cazzo di
differenza”.
~
Stava
riordinando le
bibite sullo scaffale con aria così meditabonda che avrebbe
potuto
sospettare che vi fossero immagini di modelle nude riprodotte sulle
etichette. O quasi ci avrebbe sperato per la sua sanità
mentale.
Quando
lo scorse, Hunter Clarington assunse un'espressione di stoica
insofferenza. Con la fronte corrugata fissò
l’orologio e sgranò
gli occhi.
“Cazzo,
Sebastian, non
è neppure ora di pranzo”, lo accolse con aria
incredula.
“Sta
zitto e versa”,
fu la replica secca, da copione, mentre prendeva posto al suo solito
sgabello.
Scosse il capo,
Hunter, e
si strofinò una mano sul viso con aria rassegnata, prima di
pronunciare le seguenti parole, quasi lui stesso dubitasse che
fossero di reale utilità: “Teoricamente saremmo
chiusi”.
“Teoricamente,
”
replicò l’altro sollevando il primo bicchiere
vuoto che trovò sul
bancone, “non dovresti lasciare la porta aperta”.
“Che
succede?”,
domandò e lo guardò con il viso inclinato di un
lato.
“L’invasione
delle
coppie gay di Katy Perry con un litro di gel ai mirtilli come guest
star e il fantasma del mio coinquilino”, elencò
con uno
scuotimento del capo, la mascella serrata.
“Sei
già sbronzo?”,
gli domandò il barista con le sopracciglia inarcate.
“Potrei quasi
offendermi”.
“No,
ma spero che
adempierai il tuo dovere”.
Sembrò
indeciso e lo
scrutò a lungo, prima di scuotere le spalle: “Uno
in più non
cambierà di certo il tuo quadro clinico, salute”,
si unì
all’improvvisato brindisi.
Fecero cozzare
i
bicchieri e l’alcol rese più semplice rilasciare
le parole, come
sempre. O probabilmente era soltanto l’illusione di indossare
un
paravento che non lo faceva sentire troppo esposto e vulnerabile. Si
ritrovò a raccontargli del risveglio (omettendo la parte
dedicata
alla sua visita notturna) e della conversazione in corso tra i due
fidanzati, nonché il suo provvidenziale intervento che, ben
lungi
dal demolire la Mezza SegAnderson, era persino riuscito a risolvere
uno dei piccoli intoppi di Kurt, anziché sabotarlo.
L’espressione
del
dottorino era indecifrabile (probabilmente faceva parte del
tirocinio: imparare ad informare un paziente del suo cancro in
metastasi ed inoperabile o comunicare cinque decessi ai familiari
prima della pausa pranzo e senza perdere l’appetito), ma
ascoltò
tutto in silenzio e si prese altro tempo per ripulire il bancone,
prima di commentare.
“Scusa
se te lo dico, ”
esordì e Sebastian già intuiva che non avrebbe
affatto gradito le
parole successive, “ma non ti pare ti avere avuto una
reazione da
non Sebastian?”.
Schioccò
la lingua sul
palato, Sebastian, e scosse il capo con aria quasi stoica.
“Se
spogli una donna con la stessa abilità con cui parli, mi
domando
quando ti deciderai a fare coming out”.
Non parve
averlo udito (o
aveva sviluppato un anticorpo specifico a simili allusioni), ma
inclinò il viso di un lato e lo osservò con la
stessa
insopportabile pacatezza: “Intuisco che la sua scelta debba
esserti
sembrata una mancanza di rispetto e tu l’abbia presa sul
personale,
ma non mi aspettavo che compromettessi la tua posizione, rischiando
di farglielo capire”.
Di fronte
all’espressione
circospetta e stizzita dell’altro, aggiunse rapidamente:
“Non
fraintendermi. Penso che sia un bene che inizi ad esternare
emozioni umane, ma tanto valeva cercare di farlo fino in
fondo e
raggiungere il tuo scopo primario”.
“Non
mi ha ferito”,
dovette specificare Sebastian in una sorta di ringhio, ma scosse il
capo. “E’ inutile parlarne in ogni caso,
soprattutto quando il
suo cervello è completamente blainizzato”.
“Perché
è tanto
importante quel posto, se è lecito chiederlo o se posso
illudermi in
una risposta che non sia un insulto?”.
Sospirò,
Sebastian, lo
sguardo perso nel vuoto.
Fu
con un sorriso
compiaciuto che entrò nella camera del coinquilino: le
braccia
incrociate al petto mentre lo scrutava. Kurt era chino sulla sua
scrivania, intorno al busto che usava come modello era drappeggiata
della stoffa di una bella tonalità di blu.
Era assorto nel suo
disegno, teneva tra le dita una matita colorata con cui stava
ripassando l’ennesimo modello di quello che sarebbe stato un
abito
da diversamente gay o checca elegante,
come descriveva
alcuni suoi outfit, soltanto per osservarne l’espressione
risentita.
La temperatura della
giornata stava inficiando la sua pettinatura e i ciuffi che
solitamente erano sollevati, scivolavano sulla fronte, fino alla
punta del naso. La brezza che penetrava dalla finestra schiusa li
sfiorava e dava sollievo al volto pallido per le troppe ore trascorse
al chiuso. Lo stereo stava riproducendo soavi note di pianoforte
dalla playlist rilassante a cui faceva ricorso, quando aveva bisogno
di concentrarsi e creare.
“Se non hai nulla da
dire, ti pregherei di andartene: stai corrompendo il feng
shui
della stanza e la mia ispirazione”.
Emise una risata
divertita e si avvicinò con aria critica al busto inanimato
per poi
tastare la morbidezza della stoffa: “Qualcuno è
fissato con
l’azzurro, pensavo che il rosa shocking fosse il vostro
colore,
principessa”. Si prese del tempo per contemplare (non
furtivamente
una volta tanto) tutti cambiamenti che aveva apportato per rendere
quella stanza il suo habitat ideale.
Sorrise
dell’occhiataccia che gli aveva rivolto per risposta, ma
ciò non
lo fece desistere dall’avvicinarsi e sporgersi in direzione
della
scrivania.
Lesto, Kurt sollevò
il foglio e lo ripose con cura nella cartella in cui raccoglieva
tutte le proprie bozze e progetti: “Che cosa vuoi,
Sebastian?”,
chiese con un sospiro. “A parte infrangere le regole che
prevedono
che tu sia invitato o quanto meno bussi, prima di entrare”.
“Regole di cui ho
preso visione, secondo la firma, ma che non ho mai ratificato
ufficialmente”, recitò come se avesse risposto ad
una domanda del
corso di diritto per matricole del primo anno.
“Allora ogni tanto
ti ricordi di essere iscritto alla Columbia”, lo
punzecchiò
l'altro.
Sorrise, Sebastian:
“Ho un brillante futuro da avvocato”.
“Con pessimo
rispetto della privacy, a meno che non esista una clausola ancora
ignota ai cittadini americani, secondo cui tale emendamento non si
applica al tuo caso”, rimarcò in tono polemico.
“Eserciterò il mio
diritto di proprietario di questo appartamento: devi fare una
pausa”,
disse in tono perentorio. “Hai finito i corsi da una
settimana e
hai passato tutto il tempo chiuso qui dentro o in salotto a guardare
repliche di fiction ad alto contenuto d’estrogeni”.
“Il tuo
interessamento sarebbe quasi commovente, se non fosse offensivo e
potenzialmente omofobo. E poi te l’ho detto: devo lavorare a
questi
bozzetti, se voglio sperare che Isabelle mi dia
un’occasione”,
fece riferimento alla referente del suo tirocinio, nonché
alle sue
ambizioni che sembravano il perfetto cliché del grande sogno
americano.
Scosse il capo,
Sebastian. “Smettila di Kurteggiare: ti
porto fuori”.
Lo vide sillabare
l’utilizzo del proprio nome a mo’ di predicato
verbale, ma scosse
il capo: “Non sono il tuo cane”.
“Somigli più ad un
gattino a dire il vero, ma se scodinzoli in mia presenza-”.
“Chi perderebbe mai
l’occasione di farsi insultare gratuitamente per
un’intera
serata?”, domandò in tono ironico.
“Non puoi
considerarti cittadino di Brooklyn, fino a quando non visiti Coney
Island”, illustrò ancora con un sorrisetto ad
incresparne le
labbra, il volto inclinato di un lato.
“La spiaggia?”,
chiese sgomento. “Ma non ho comprato costumi da bagno, non mi
sono
neppure rifornito di creme abbronzanti e quelle per la protezione
solare e-”.
Sollevò gli occhi al
cielo, Sebastian. “O ci vieni spontaneamente o ti
trascinerò di
persona e sai perfettamente che potrei farlo”.
“Se per colpa tua mi
scottassi-”, iniziò
con aria
minacciosa, quando fu evidente che non sarebbe riuscito a farlo
desistere.
“Ti
farò personalmente impacchi di latte”, lo
sussurrò al suo
orecchio con voce così insolente che Kurt fu scosso da un
brivido e
deglutì a fatica.
Sghignazzò,
Sebastian, con aria soddisfatta prima di voltarsi. “E
sbrigati: i
giochi migliori hanno sempre la fila con i mocciosi in
vacanza”.
-
Stavano
passeggiando sulla piattaforma di legno che si snodava per dare una
bella panoramica del la spiaggia. Era stato soddisfacente osservare
il giovane le cui guance erano colorate o il modo in cui serrava le
palpebre al tocco del vento.
Si
tolse la maglia e scorse il guizzo con cui lo sguardo
dell’altro
saettò su di lui, prima che lo distogliesse rapidamente. Di
riflesso, il rossore si fece persino più intenso.
“Mhm,
qualcuno ha dei complessi da vergine o la mia magnificenza
t’intimidisce?”, domandò con tono
compiaciuto del suo disagio.
“Non ti chiederò di spogliarti: in
realtà non ho mai dovuto
chiedere”, specificò in tono allusivo, ma lo
osservò senza celare
un reale apprezzamento.
Aggrottò
le sopracciglia, Kurt, l’espressione indignata
nell’incrociare le
braccia al petto: “Non ho intenzione di spogliarmi in
pubblico”,
replicò in tono quasi indignato.
“Su
una spiaggia”, ribatté l’altro
prontamente, il sorriso persino
più esteso.
“Non
è questo il punto”, replicò
rapidamente, come a voler svicolare
da quell'argomento.
“Peccato”,
schioccò la lingua sul palato, inducendo l’altro a
tornare ad
osservarlo per poi distogliere rapidamente lo sguardo, quasi soltanto
in quel momento si ricordasse che stava camminando a torso nudo.
“Se pensi che
arrossire ti renda meno accattivante, hai decisamente sbagliato
compagnia”, si era chinato al suo orecchio per sussurrarlo.
Si scostò, Kurt,
esalando un sospiro.
“Non abbiamo questa
confidenza”. Malgrado si fosse sforzato di apparire composto
e
pacato, non poté non notarne la voce incrinata per
l'imbarazzo.
“Quindi puoi stare
in spiaggia con perfetti estranei in costume e non con me?
Sì, ha
molto senso. O hai paura che sia la mia visione prolungata a destarti
altri pensieri?”.
Sbuffò
e si fermò, Kurt, quasi stesse meditando. Si volse e lo
contemplò
volontariamente: lasciò vagare lo sguardo sulla sua figura,
nonostante le guance arrossate. Non batté ciglio e neppure
arrischiò
commenti, nessuno scintillio nelle iridi e nessuna particolare
reazione.
Si
strinse nelle spalle, simulando perfetta compostezza: “Ti
credevo
più muscoloso”.
Un
verso gutturale di divertimento sgorgò dalle labbra di
Sebastian:
“Magari saresti più fortunato al piano
inferiore”.
Arrossì, un verso
stridulo d’indignazione, prima di guardarlo con la stessa
aria
severa di una suora in un convento di clausura. Scosse il capo e si
allontanò rapidamente, senza più guardarsi alle
spalle e camminando
con postura rigida ed evidentemente risentita.
Attese, Sebastian,
concedendogli un equo vantaggio, prima di raggiungerlo e issarlo
sulla propria spalla. Abbandonò lo zainetto sulla sabbia e
corse
verso l'acqua per poi gettarvisi dentro con Kurt, ridendo dei suoi
strilli acuti e dei tentativi di liberarsi.
Attese che Kurt
riemergesse con un ghigno. I capelli bagnati gli incorniciavano il
viso, era completamente fradicio e sembrava persino più
mingherlino
e fragile, una visione innocente e pura, in perfetto contrasto con lo
sguardo furente.
“Hai ragione”,
commentò Sebastian con finta aria pensierosa, “non
abbiamo
abbastanza confidenza per spogliarci”.
Gli scoccò
un’occhiata di puro odio, prima che avanzasse in sua
direzione.
Sebastian ne scrutò la camicia bianca e bagnata che lasciava
intravedere il torso nudo e si umettò le labbra al pensiero
dei
pantaloni dello stesso colore, ma non commentò nulla,
già
pregustando quel momento.
“Avevi ragione tu:
non occorreva di certo un costume”, sentì dire a
Kurt,
sorprendentemente con un timbro più rauco e lo sguardo fisso
sulle
sue labbra.
Seppur avesse un
fondato sospetto sulle sue reali intenzioni, percepì un noto
calore
a contrasto con l’acqua fresca e si prestò
volentieri a quella
provocazione, sporgendosi al suo volto senza alcuna esitazione.
Gli si gettò addosso,
Kurt, spingendogli la testa sott’acqua e Sebastian lo
lasciò fare,
divertito. Si divincolò con non troppa fatica, ma il
coinquilino
sembrò non voler prolungare la sua vendetta, quanto
piuttosto
allontanarsi da lui.
Sorrise, in risposta,
Sebastian. “Sai che prima o poi dovrai uscire…
bell’idea quella
del completo bianco per respingere il sole”.
Sembrò riflettere
sulla medesima questione, Kurt.
“Un peccato che tu
non abbia voluto portare un ricambio o un asciugamano”,
infierì
ulteriormente Sebastian.
“Sei… un maniaco
spregevole”.
Rise del suo tono
stridulo, Sebastian, ma gli si avvicinò nuovamente e si
sforzò di
tornare serio: “Insonnia d’amore
non è uno dei tuoi film
preferiti?”, chiese in finto tono casuale. “Potrei
essermi
informato prima di proporti di uscire: sembra che lo proiettino tra
mezzora”, fece riferimento al tradizionale festival di cinema
all’aperto, una delle attrazioni estive dell'isola.
Una scintilla di
desiderio nello sguardo di Kurt: aveva avuto ben ragione di
sospettare che simili iniziative ne riscontravano
l’approvazione.
Aveva gettato uno
sguardo disperato alla spiaggia per poi osservare la propria mise
inevitabilmente compromessa.
Lo sguardo di
Sebastian seguì quell’esamina: la luce del
tramonto disegnava il
percorso delle gocce d’acqua che sembrarono ipnotizzarlo. La
seta
riluceva, lasciando scorgere il torso magro, ma ben disegnato, la sua
pelle sembrava soffice e delicata. Si domandò quanto fosse
morbida e
calda al suo tocco. Le spalle rotonde e le braccia molto più
toniche
di quanto si sarebbe mai aspettato.
Arrossì, Kurt, alla
sua contemplazione ed incrociò le braccia al petto in un
atteggiamento così femmineo che Sebastian non
poté che riderne.
“Sei spregevole”,
sibilò Kurt la cui voce era divenuta più rauca.
Capì di essersi
spinto troppo oltre: lo scherzo andava oltre il confine instaurato
tra loro di frecciatine complici, ma intaccava quella sfera
più
intima e quel candore che tanto facevano parte di Kurt. Uno degli
aspetti che più lo avevano colpito.
Sentì qualcosa
sussultare in petto nel percepirne l’evidente umiliazione e
il
pensiero di essergli fonte di un simile disagio.
Sollevò gli occhi al
cielo, simulando un’espressione di stoica sopportazione:
“Aspetta
qui”.
Incurante degli
sguardi degli astanti e di un gruppo di ragazzine che lo osservavano
ridendo tra loro e lanciandogli occhiatine d’apprezzamento
(cui si
premunì di rivolgere il suo sorriso migliore, soltanto per
sentirle
schiamazzare più forte), uscì
dall’acqua a petto nudo, i jeans
fradici che sembravano aderirgli addosso come una seconda pelle.
Estrasse dallo zaino un accappatoio che aveva sgraffignato dal bagno,
con le iniziali di Kurt.
“Potreste
cortesemente voltarvi tutti?”, si rivolse ai pochi bagnanti
che
erano rimasti sulla spiaggia e non si erano già disseminati
verso il
proiettore o le giostre. “Il mio amico indossa vesti poco
decorose”, alluse a Kurt con un cenno del capo.
Ignorò il rossore di
quest’ultimo, le occhiate perplesse e/o divertite che la sua
richiesta innescò ed attese che facessero quanto aveva
chiesto.
“Avanti, Kurt”.
Volse il viso di lato
(garantendogli quella privacy di cui tanto avevano discusso) e, con
la coda dell’occhio, lo vide correre in sua direzione.
Sorrise, Sebastian, e
lo avvolse nell’accappatoio, sfregandone la spugna contro i
suoi
vestiti bagnati. Il profumo di vaniglia sembrava quasi soffocante,
quasi l'acqua lo avesse reso persino più intenso, ma non gli
dispiacque.
“Stai tremando”,
constatò con aria incredula.
Si strinse nelle
spalle, Kurt, allacciandosi la cintura in vita: “Sto
bene”.
“C’è un negozio
di abiti”, indicò la direzione degli esercizi
commerciali che
erano attrazione dei turisti, soprattutto alla ricerca di souvenir.
“Ma dovrai sbrigarti: dobbiamo cenare prima di andare a
vedere il
film”, aggiunse con un sorrisetto accattivante.
Boccheggiò, Kurt:
“Avevi detto che sarebbe iniziato tra-”.
Non concluse la frase:
quando lo vide ghignare, lo colpì con un pugno chiuso sul
petto e si
diresse verso il negozio, senza voltarsi, attirando non pochi sguardi
incuriositi. Sebastian aveva il sospetto che non fosse soltanto per
l’asciugamano, a giudicare dal suo viso arrossato e
dall’incedere
rigido.
Si affrettò a
raggiungerlo, dopo essersi asciugato il viso con la maglia che
indossò nuovamente. “Non vorrai entrare in negozio
così?”,
lo canzonò con le braccia incrociate al petto.
“Hai bisogno di me,
lo sai, vero?”.
Strinse la mascella,
Kurt, indicando la vetrina con un cenno del mento. “Quel
completo
andrà bene”.
Storse le labbra,
Sebastian. “Sì, per il Carnevale di Rio: lascia
fare a me”.
“Disse dopo che lo
aveva gettato in acqua a tradimento”. Lo stava fissando di
sbieco,
le braccia incrociate al petto.
“Te ne ho tratto
fuori”, replicò osservandolo e lambendosi le
labbra. “E vestito
decentemente mio malgrado”. Lo sguardo
guizzò ai lembi
aperti dell’accappatoio che Kurt strinse maggiormente,
cercando di
avvicinarli perché gli coprissero anche il collo.
Sbuffò. “Va’
dentro”, gli intimò con aria ancora offesa.
Sorrise, Sebastian, ma
scosse il capo e si chinò al suo orecchio: “Per la
cronaca, il
bianco mette ancora più in risalto il tuo rossore”.
Si scostò, un sorriso
compiaciuto nel vederne l’imbarazzo. Ne spiò il
riflesso dalla
vetrina: lo vide scrutarlo, ma lentamente il suo volto si
trasfigurò
in un reale sorriso.
Fischiò
d’apprezzamento, quando uscì dalla cabina con gli
abiti che gli
aveva comprato: una camicia di un rosso tendente al bordeaux che ne
metteva in risalto il viso pallido. I bottoni slacciati ne lasciavano
intravedere la pelle chiara del petto. Un paio di jeans aderenti al
punto giusto a disegnarne le lunghe gambe magre e il meraviglioso
fondoschiena. Niente fronzoli particolari, nessuna spilla con
improbabili animali o un foulard che ne legasse il collo. Soltanto i
suoi lineamenti elfici e la sua silhouette slanciata in un completo
semplice. Si compiacque di se stesso e del risultato.
Un Kurt Hummel senza
particolari eccessi, ma la cui dolcezza dei lineamenti si combinava
ad un vestiario più sobrio, ma che sembrava conferirgli
un'aria più
virile e, sì... affascinante. Il fascino di chi avrebbe
potuto
entrare al Penguin Pub con la pretesa di attirare l'attenzione e
persino cercarsi una compagnia piacevole.
“Sì, niente male”,
si era stretto nelle spalle, Kurt, lisciando la camicia e
probabilmente dovendo convincersi di poter sopravvivere senza i suoi
preziosi accessori. E senza una cravatta.
“Forse dopotutto
dovrei essere io lo stilista”, sancì con aria
compiaciuta. “Non
c’è di che”, aggiunse con aria ironica.
“Non ti ringrazierò
per avermi umiliato, esserti sentito in colpa e aver rimediato in
modo accettabile”, replicò l'altro distrattamente,
indossando
nuovamente l'orologio.
Aveva già pronta una
sferzante replica, ma l’espressione di Kurt si
addolcì: “Ma
potrei farlo per avermi costretto ad uscire. Avevi ragione: mi stavo
perdendo molto”, abbracciò la spiaggia con un
sorriso rilassato,
il vento che cercava di scompigliarne i capelli che doveva aver
acconciato con l’asciugamano elettrico della cabina e
l’acqua del
rubinetto.
“Andiamo”, si
strinse nelle spalle, “sto morendo di fame". Si era scostato
dalla balaustra con un sorriso.
Annuì, Kurt, ma lo
scrutò di sottecchi: “Mi dovrai pagare la
lavanderia”, precisò
in tono polemico, ripiegando il completo umido che ripose nello zaino
del coinquilino.
“Scordatelo: avrei
potuto farti uscire com’eri ridotto”, parve
rifletterci ed emise
un sospiro. “Sarebbe stata un’immagine perfetta per
una nuova
fantasia sotto la doccia”, aggiunse in tono evidentemente
smanioso.
Arrossì, Kurt, ma lo
fissò schifato. “Sei un pervertito”.
“Un gentiluomo
pervertito”, lo corresse con un sorriso. Ne cinse le spalle
per
condurlo in uno dei ristoranti dell'isola.
Sospirò con aria
stoica, Kurt, ma non si scostò e Sebastian ne
inspirò il profumo di
vaniglia per tutto il tempo di quel breve tragitto.
-
Non riusciva a capire
come una simile e melensa messa in scena potesse
tanto
emozionare Kurt, soprattutto considerando che doveva essere la
milionesima volta che la vedeva, tanto da sapere esattamente a quale
minuto della pellicola fosse opportuno estrarre i fazzoletti o saper
recitare a memoria (col labiale) le battute più celebri.
Soprattutto non
riusciva a credere che una trama così inverosimile non
soltanto
fosse piaciuta all'epoca, ma continuasse a rendere il film una sorta
di cult. La celebrità della pellicola andava oltre la mera
attrazione turistica, incoraggiando gli stranieri a salire
sull'Empire State Building o gli stessi cittadini autoctoni a farvi
un pellegrinaggio. Possibilmente con l'avvicinarsi di San Valentino.
Una giornalista
prossima alle nozze con un tale anonimo e di dubbia utilità,
s’invaghiva di un uomo senza neppure averlo mai incontrato,
ma per
averne ascoltato la stucchevole confessione radiofonica sul dolore
della perdita della moglie (alla menzione del toccarla e sentirsi a
casa, « una casa dove non ero mai stato », Kurt
aveva emesso un
singulto, e asciugato il naso già arrossato). Non contenta,
la
giovane decideva di diventare una sorta di stalker con tanto
d’appostamenti alla casa dello sventurato vedovo e incontri
ravvicinati con conseguente fuga, nel disperato tentativo di fingere
che nulla fosse accaduto. La situazione era salvata (e quello era il
colmo) dal figlio rompiscatole che aveva speso il suo tempo
telefonando ad una sedicente dottoressa (e vendendogli il dolore
familiare come in un talk show moderno), facendo supposizioni sulla
vita sessuale del padre, fino ad elaborare teorie strampalate sulla
reincarnazione.
Ma era alla scena
finale che la commozione di Kurt (e l'assurdità del film)
aveva
raggiunto l'apice: un solo scambio di sguardi e i due sembravano aver
compreso di essere destinati l'uno all'altro (il tutto dopo che la
giornalista aveva ben pensato di lasciare il fidanzato, convinta che
una decorazione puramente commerciale sull'Empire State Building
fosse un segno del destino).
Scosse il capo,
Sebastian: avrebbe avuto bisogno di una sbornia e possibilmente di
una scopata da record per poter smaltire quell'eccesso di estrogeni.
“Sei davvero uno
squallido stereotipo, Lady Hummel: torniamocene a casa”.
Quest'ultimo si scostò
dalla stretta del suo braccio, gli occhi ancora lucidi che, tuttavia,
lo raggelarono sul posto. “Come puoi essere così
insensibile?”,
lo accusò aspramente.
Sorrise, Sebastian,
scrollando le spalle ed insinuando le mani nelle tasche dei jeans:
“Te l'ho già detto. Ho smesso di credere alle
favole, ma almeno
per definizione quelle devono essere illogiche e
senza
fondamento”. Lo aveva guardato con aria incredula.
“Come si può
davvero credere che una persona possa capire o avere una conferma
soltanto da un tocco? E se anche la sua convinzione fosse stata
fondata, quanto sarebbero realisticamente durati, una volta che la
suggestione e l'idillio iniziale fossero finiti? Ti sei mai chiesto
perché nessuno scrive mai i sequel di questi
film?”.
Parve offeso, Kurt.
Quasi, ancora una volta, si fosse sentito criticare per
l'entità
della sua relazione, soprattutto per la sua fondata certezza che lui
e Blaine fossero destinati a vivere insieme per il resto delle loro
vite.
Scosse il capo, il
naso sollevato con aria altezzosa. “Evidentemente non hai mai
provato qualcosa di simile: il vero amore che si
manifesta
anche solo con uno sguardo o un tocco, sì!”.
Dichiarò in tono
pregno di gravità e di convinzione.
Sollevò gli occhi al
cielo, Sebastian: “E adesso mi dirai che è quello
che è successo
con il tuo Tom Hanks”.
Suo malgrado, Kurt,
dondolò le spalle: segno di compiacimento e soddisfazione.
“Se
proprio vuoi saperlo, sì. Quando l'ho visto... qualcosa
stava
succedendo, anche se non avrei saputo subito comprendere che cosa
esattamente. Non subito, ma quando mi ha preso la mano-”.
“Oddio, sto per
vomitare”, simulò un'espressione disperata.
Affrettò il passo,
Kurt, evidentemente desiderando porre fine a quel tragitto al
più
presto, per poter chiudersi nella propria camera. “Non mi
sorprende
che tu non abbia la benché minima nozione di cosa sia il
romanticismo”.
“Ti prego, quella
robaccia è soltanto la fiera dell'irrealtà che ti
fa illudere di
poter vivere qualcosa di simile, offuscandoti la
razionalità. Credi
davvero che se fosse stata una storia reale, quei due sarebbero
ancora una coppia?”.
Sollevò gli occhi al
cielo, Kurt. “Non è questo il punto: non hai
capito il messaggio
del film. Per quanto ci sforziamo di trovare qualcuno che per noi
incarni il nostro ideale, l'amore agisce per sue ragioni,
indipendenti dalla nostra volontà. In modo spontaneo e
semplice,
creando delle opportunità che non avremmo neppure potuto
immaginare:
è destino magia, comunque tu voglia chiamarlo. Il punto
è che ogni
situazione che affrontiamo può apparentemente non avere
significato,
ma è tutto guidato da un filo conduttore che ci
porterà ad un'altra
persona. E soltanto alla fine di questo percorso capiremo che quella
persona è l'altra metà che stavamo cercando,
anche senza rendercene
conto”. Pronunciò quel discorso come se lo avesse
imparato a
memoria, come se fosse parte stessa del continuare a vedere e
rivedere quella pellicola, quasi fosse l'ulteriore conferma della
predestinazione della sua relazione.
“Ne sei davvero
convinto? Credi che in ognuno di questi passaggi la ragione non abbia
il benché minimo controllo? Che noi ci lasciamo davvero
sorprendere
dal destino, o piuttosto agiamo nella speranza che sia così,
giustificando così gesti irrazionali o azioni che non
avremmo mai
immaginato, fino a quando il pensiero di qualcosa che potrebbe
essere, non diventa un tarlo?”, obiettò con aria
scettica che, suo
malgrado, riuscì ad impensierire Kurt.
Ci mise qualche
istante per elaborare una risposta.
“Non sto dicendo che
la ragione sopperisca al sentimento, ma che ci sono questioni che non
possiamo affrontare soltanto con il gelido raziocinio”.
Scosse il capo,
Sebastian: “Posso dire razionalmente che
stai cercando di
procurarmi un coma diabetico”.
Sospirò, Kurt. “Ti
auguro soltanto di provare la stessa cosa, un giorno, con la persona
giusta”, lo guardò negli occhi, il viso inclinato
di un lato e
un'espressione quasi accattivante.
Uno sbuffo divertito e
ironico: “Credevo di piacerti, Lady Hummel”.
Alzò gli occhi al
cielo, Kurt, lieto di essere tornato al loro loft e schiuse l'uscio.
Sebastian lo seguì,
ma prima che potesse raggiungere la cucina per il consueto bicchiere
d'acqua prima, ne artigliò il polso e lo attrasse a
sé.
Sgranò gli occhi,
Kurt, guardandolo con aria confusa.
Sebastian ne sfiorò
la gota lentamente, lo sguardo perso nel suo, ne osservò il
sangue
fluire alle gote, ne ascoltò il respiro farsi più
rapido, percepì
la rigidità del suo corpo, ma continuò a
trattenerlo, come se
null'altro fosse necessario in quel momento.
“Allora?”,
sussurrò sul suo volto, le sopracciglia inarcate e il
sorriso
suadente.
“C-Cosa?”,
balbettò, Kurt, che era rimasto immobile tra le sue braccia,
quasi
tentando di capire che cosa stesse effettivamente accadendo. Senza
tuttavia respingerlo, ma continuando a sondarne le iridi smeraldine,
quasi cercandone una risposta.
Il sorriso di
Sebastian lasciò spazio ad un'espressione più
maliziosa e
divertita: “Non ti senti a casa?”,
domandò in tono
enfatico, lo sguardo che scintillava nell'imitare il tono sospirato e
sofferente di Tom Hanks, durante l'intervista radiofonica.
Fu come se lo avesse
schiaffeggiato. Lo vide trasalire e poi irrigidirsi. Si
scostò,
Kurt, guardandolo con aria quasi sprezzante, sicuramente rimpiangendo
di aver condiviso con lui uno dei suoi film preferiti con annesse
riflessioni sull'amore.
Gli
impedì ancora una volta di allontanarsi e sorrise tra
sé al
pensiero di averlo fatto per l'intera giornata, rincorrendolo e
trattenendolo a sé.
Lo
cinse da dietro, Sebastian, e affondò il mento contro la sua
spalla.
“Dai,” lo esortò in un sussurro contro
il suo orecchio, “non
andartene arrabbiato”. Si sorprese lui stesso di quel tono
meno
scherzoso ed addolcito, quasi di goffe scuse, di quella flessione
particolare delle sue corde vocali che sembrava persino a lui
sconosciuta, nel tentativo di accattivarsene il perdono.
Suo
malgrado, Kurt non oppose resistenza e parve rilassarsi, osservandolo
con la coda dell'occhio: “Perché devi sempre
sminuire tutto?”,
gli chiese, tuttavia. Sembrò che l'offesa avesse lasciato
spazio
alla delusione, al constatare che non riuscissero a trovare un
compromesso e Sebastian non sembrava poter apprendere il suo modo di
vedere le cose, troppo restio e ancorato alla sua
visione
razionale della realtà.
Sorrise.“Magari sto
soltanto aspettando che tu mi faccia sentire a
casa”,
commentò in risposta. Seppur dovesse, ancora una volta,
ironizzare
sul contenuto del film, cercando di apparire scherzoso piuttosto che
sprezzante, non fu certo di esservi riuscito.
Se non altro il
giovane sembrò essersi addolcito, abbastanza da voltarsi per
osservarlo, approntando lui stesso un'espressione più
accattivante,
le mani sui fianchi: “Allora ratificherai le
mie regole?”.
“Non credo proprio”,
si strinse nelle spalle, ma malgrado lo avesse lasciato,
continuò ad
osservarlo. Lo studiò con aria meditabonda, il viso
inclinato di un
lato.
“Sei davvero
convinto che tu e Blaine vi siate trovati per tutta la vita?”.
Pur sorpreso da quel
nuovo argomento di discussione, ma che sembrava ricalcare una
precedente discussone, Kurt sorrise. Gli mostrò l'osceno
anello con
papillon che Sebastian scrutò con aria disgustata.
“E' una
promessa”, gli disse.
Sebastian sollevò gli
occhi al cielo. “Matrimonio in pompa magna, orchestra
sinfonica,
assoli di Blaine, tu che arrivi in carrozza?”,
domandò con le
braccia incrociate al petto, l'aria evidentemente sarcastica.
Sbatté le palpebre a
quella descrizione, Kurt, scuotendo appena il capo.
“Non ci ho mai
pensato, o meglio non ho mai pensato nello specifico a come
sarebbe stato sposare Blaine”
“Ah, quindi stai
dicendo che da bambino non immaginavi il tuo
matrimonio?”,
lo incalzò in tono scettico.
Scosse il capo, Kurt,
ma arrossì con aria colpevole. “Sto dicendo che ho
sempre pensato
che i matrimoni più significativi fossero quelli semplici:
quando si
ama qualcuno così intensamente, il sentimento dovrebbe
essere
esaltato, non il cerimoniale”.
Di fronte allo sguardo
incredulo dell'altro, sbuffò: “Oh, va bene: gli
eccessi sono parte
del matrimonio. Sai quanto amo i vestiti: lì
peccherò di notevole
eccentricità, quando sarà il mio momento e
riguardo l'anello-”.
“Sottogonne di
crinolina? Corpetto stretto, velo?”, lo provocò
Sebastian, di
nuovo un sorriso impertinente a fior di labbra.
“Buonanotte,
Sebastian,” replicò Kurt con aria sdegnata,
voltandosi rapidamente
per dirigersi, con incedere rigido, verso la propria camera.
“Kurt?”.
Suo malgrado si era
voltato, l'espressione ancora esasperata:
“Allora?”, lo incalzò,
battendo con il piede sul parquet e inarcando le sopracciglia, nell'
attesa che parlasse. Perché per quanto potesse offenderlo
con il suo
atteggiamento cinico, per quanto potesse disprezzarne i gusti o le
teorie romantiche, per quanto si allontanasse, non sembrava riuscire
a lasciarlo definitivamente.
Sì, mi sento a casa,
fu il suo fulmineo pensiero.
Scosse il capo,
improntando il suo miglior sorriso ironico: “Buonanotte, Meg
Ryan”.
“Allora?”.
Si riscosse, quando la
voce del barista riuscì a far breccia tra i propri pensieri.
Non rispose subito, lo
sguardo vacuo, il bicchiere mezzo pieno ancora a mezz'aria. Quel
giorno aveva cominciato a capire realmente quanto Kurt fosse
già
parte della sua vita, quanto fosse naturale intrattenere con lui quel
genere di conversazioni, pur consapevole che avrebbero condotto ad un
inevitabile divario tra i loro modus vivendi, tra le loro
personalità. Eppure avevano continuato a vivere l'uno
accanto
all'altro, trovando un loro equilibrio e stabilità, fino a
quando
quel folle fidanzamento non aveva compromesso tutto.
Scrollò le spalle,
tornando ad incrociare lo sguardo dell'altro.
“Sono stato io a fargli
scoprire Coney Island, non l'avrebbe mai visitata senza di
me”.
Parve deluso, Hunter. Ma
lo conosceva abbastanza da immaginare che vi fossero altre ragioni
taciute, o che fosse soltanto uno degli espedienti con i quali
Sebastian volesse intralciare il matrimonio per sentimenti che non
era disposto ad esternare.
“Non sei il
proprietario di quel luogo e se anche l'hai condiviso con Kurt per
primo, ciò non ti dà diritto, a meno che tu non
sia disposto a
parlargliene”, replicò in tono odiosamente
razionale.
Non parve averlo sentito,
Sebastian, che depositò il bicchiere sul bancone,
improvvisamente
nauseato dal contenuto stesso. “E tu sei inutile, come
sempre”,
gli disse a mo' di saluto, scuotendo il capo e rimettendosi in piedi.
Sospirò con aria stoica,
Hunter: “Il consiglio è sempre lo stesso: parla
con Kurt!”.
Le sue parole
echeggiarono nel locale vuoto, seguendo il giovane e il suo percorso
verso la porta.
Sbuffò, Sebastian,
sollevò appena il braccio a mo' di saluto e si chiuse
l'uscio alle
spalle.
~
Aveva osservato a lungo
le onde infrangersi contro la spiaggia, lo sguardo perso nel vuoto e
quelle parole che sembravano ancora riecheggiare nella sua mente.
Avrebbe soltanto desiderato potersi disfare di quel peso all'altezza
del petto, persino lasciare che Kurt rovinasse la sua vita e poter
fingere che ciò non lo
toccasse minimamente.
Poter tornare alla sua vera quotidianità, prima che Kurt ne
diventasse parte. Realizzò fin troppo semplicemente che non
sembrava
possibile neppure immaginarlo.
Quando rientrò, a sera
tardi, si aspettava che tutte le luci fossero già spente e
di
trovarlo già addormentato, seppur non si sarebbe avvicinato
alla sua
camera, non quella notte e probabilmente non più.
Si sbagliava:
probabilmente coricarsi ancora irrequieti doveva compromettere la
salute delle proprie cellule, o qualcosa del genere.
Avrebbe voluto poter
continuare a canzonarlo almeno interiormente, ma vederlo sul divano
con la vestaglia da camera, il volto pallido e le occhiaie evidenti,
gli diede la stupida illusione che tutto sarebbe tornato al suo
posto.
Si drizzò dal divano,
Kurt, mimandone il nome con espressione evidentemente preoccupata e
timorosa, mentre, in tutta calma, si chiudeva la porta alle spalle.
Fece appena in tempo a
voltarsi (stava optando per rivolgergli un cenno del capo e chiudersi
in camera), quando lo sentì slanciarsi contro il suo corpo
e, in un
solo istante, fu invaso dall'essenza di vaniglia, mentre Kurt, il
corpo tremante, si stringeva a lui, come se non potesse fare altro.
Come se gli fosse persino necessario per tornare a respirare.
Sospirò, Sebastian,
chiuse gli occhi e desiderò poterlo scostare freddamente da
sé, ma
era ironico constatare che, alla sua vicinanza, si sentiva realmente
come se fosse tornato in sé, come se tutta la giornata
assumesse un
nuovo significato e dovesse condurlo a quel momento.
Si sentì
adagiare il mento contro i suoi capelli, inspirandone il profumo e lo
avvinse contro di sé con altrettanta foga, socchiudendo gli
occhi
per celare tutto quanto. Persino a se stesso.
Lasciò scivolare il
volto contro l'incavo del suo collo, quasi disperando di scoprire di
star vivendo un lungo incubo e che nessun Blaine avrebbe turbato la
loro vita insieme.
Si scostò l'attimo dopo,
Kurt, gli occhi lucidi ma la mascella serrata e lo colpì con
il
pugno chiuso sul petto.
“Ahia”, pronunciò
più per rompere il silenzio che per un reale dolore, un modo
come un
altro per affrontare quel momento di stallo.
“Sei un idiota”,
borbottò Kurt con tutta la dignità consentitagli
dall'evidente
turbamento che aveva provato per l'intera giornata. “Ho
provato a
chiamarti, ho telefonato persino in quella battola che frequenti:
almeno ti avrei saputo sbronzo ma quasi del tutto in salute. Temevo
che ti fosse successo qualcosa, mi sentivo in colpa, ignoravi le mie
chiamate, i miei messaggi, ho provato a cercarti e-”.
Lo interruppe
prendendogli le spalle e stringendole: “Kurt”, lo
richiamò,
quasi volendo farlo tornare in sé. “Sto
bene”, lo sottolineò,
guardandolo dritto negli occhi. “Non ho risposto al telefono
perché
non lo avevo con me, quando sono uscito di casa , e pensavo avessi
ben altro a cui pensare”.
“Infatti”, borbottò
con aria ancora offesa ed indignata per poi scuotere il capo.
“Ma
non potevo dimenticare a quello che è successo... e mi
dispiace da
morire, credevo che... non mi ero reso conto di quanto quel posto
fosse speciale per te”, cercò di spiegarsi con
voce tremante.
Si strinse nelle spalle,
Sebastian, serrando le labbra. Era proprio quello il punto, sorrise
ironicamente tra sé ed era inutile indugiarvi.
“A me sta bene, se
volete sposarvi lì: la vita va avanti”, si
sentì dire in tono
così formale che ebbe quasi disgusto di se stesso.
“No, non lo faremo”,
fu il sussurro di Kurt i cui occhi sembrarono, ancora una volta,
poter scorgere ciò che si celava dietro quella patina di
compostezza
ed orgoglio. “Quella è stata la nostra prima gita
ed è un nostro
momento. Non pensavo ricordassi tutto così
perfettamente”, ammise
scrutandolo attentamente.
“Oh, andiamo: pantaloni
bianchi e bagnati”, replicò in tono sferzante, suo
malgrado
sentendo che quella stretta al petto sembrava essersi alleviata.
Almeno quel poco in grado di farlo respirare.
Scosse il capo, Kurt, ma
non sembrò indignato al ricordo, soltanto ancora mortalmente
serio e
dispiaciuto. “Sai cosa voglio dire: non volevo ferire i tuoi
sentimenti”, sussurrò con voce tremante, ma lo
sguardo fisso nel
suo, quasi disperasse che riuscisse a credergli.
Il viso di Sebastian si
contrasse in una smorfia. Si strinse nelle spalle a voler sminuire il
tutto. “Ok, da quando sono io il portatore
d’estrogeni qui
dentro?”, chiese con la consueta ironia.
“Sebastian”, sembrò
il suo turno di riscuoterlo e gli si avvicinò.
“Non potrei
dimenticare un solo giorno con te: sei il mio migliore amico e il mio
unico appiglio da quando sono arrivato a New York”,
commentò con
enfasi.
Friendzonato. Ora
sì che si sentiva davvero uno sfigato. Arrivati a quel
punto, tanto
valeva iscriversi a medicina, cominciare ad indossare un paio di
occhiali da nerd, sbavare su qualche ballerina senza tette e/o
cervello. Rabbrividì.
Scosse il capo e lo
guardò intensamente. “Voglio solo che tu decida,
Kurt, che non
ridimensioni i tuoi sogni o i tuoi ideali per colpa di Blaine. Voglio
che tu sia la stessa persona che ho di fronte, anche quando sei con
lui. Non compiacerlo sempre e comunque: dovrebbe amarti per
ciò che
sei”, si concesse un sorriso, il viso inclinato di un lato.
“Una
spina nel fianco troppo umorale, con tutte le sue fantasie da film in
bianco e nero, ossessionato dalla pulizia e da stupide regole per
avere sempre il controllo su tutto. Fiero di sé e pieno di
sogni
sulla sua vita futura. Niente di più e niente di
meno”.
“E' il discorso più
lungo che ti abbia mai sentito pronunciare senza insulti o parolacce.
Sei sicuro di stare bene?”, gli chiese nel pallido tentativo
di
imitarne l'aria ironica e non curante. Non ci riuscì a
giudicare
dallo sguardo più intenso dell'altro.
“Kurt”, lo ammonì,
quasi fosse lui a dover sottolineare che non si trattava del momento
ideale per sminuire i loro reali stati d'animo.
Sospirò, Kurt, e
continuò ad osservarlo con aria incerta del significato di
tali
parole o di quanto potesse ritenere reali i sospetti dell'altro.
“Fallo per me: se devi
essere felice con lui, assicurati di esserlo davvero e che lui ti
renda tale”, sembrò quasi supplicarlo nel modo in
cui gli occhi
smeraldini non sembravano riuscire a distogliere lo sguardo.
A quelle parole, il
giovane deglutì a fatica, ma sembrò voler
temporeggiare. “Da
quando sei così protettivo nei miei confronti?”,
domandò invece,
la voce ancora smorzata.
Si concesse un sorriso
ironico e scrollò di nuovo le spalle, Sebastian.
“Ho i miei
momenti”.
Scosse il capo, Kurt, lo
guardò quasi cercasse le risposte e le parole mai proferite,
quasi
le avesse comunque comprese, ma qualcosa lo trattenesse dal
concretizzarle. Sembrò voler pronunciare motto, ma dovette
cambiare
idea, perché gli si avvicinò. Lo cinse di nuovo e
stavolta
Sebastian fu lesto a stringerne i fianchi e trattenerlo contro di
sé,
scoprendo ancora una volta quanto il suo corpo più esile
sembrasse
nato per essere avvinto dal proprio.
“Mi mancherai,
Sebastian”, sussurrò con voce rauca e non era
necessario
specificasse l'ulteriore riferimento al matrimonio. Ma non parve
volerlo guardare negli occhi perché affondò il
volto contro la sua
spalla, quasi a volersi lui stesso nascondere.
“Io resterò, Kurt”,
avrebbe voluto suonasse come una promessa formale, ma non
poté
celare quella nota più amara, all'idea che sarebbe stato lui
a
subire l'abbandono.
“Lo so”, e la sua
voce parve rompersi, quando dovette averne compreso i reali pensieri.
“Non starai di nuovo
piangendo?”, Sebastian lo scostò da sé
e ne scrutò gli occhi
arrossati. Qualcosa dentro di sé sembrò
spezzarsi. Qualcosa
d’acuminato che gli strinse la gola e ne bloccò il
respiro. Non lo
aveva detto esplicitamente, Kurt, ma sembrava scontato che tutto
sarebbe cambiato, che probabilmente avrebbe soltanto dovuto ritrarsi
da lui, a beneficio di Blaine e della loro vita insieme. Ogni giorno
di più. E il pensiero che potesse farlo volontariamente, era
semplicemente insopportabile.
“No”, scosse il capo,
Kurt, improvvisando un sorriso di scherno e cercando di simulare
tranquillità, mentre asciugava le ultime lacrime.
“Perché mi
guardi così?”, gli chiese in tono quasi timoroso.
Scosse il capo. “Non ti
sto guardando in alcun modo particolare”, si sentì
dire con voce
che a stento riconobbe come la propria.
“A cosa pensi
davvero?”, gli chiese in un sussurro, ma sembrò
supplicarlo. Se di
una risposta sincera o di lasciarlo andare, questo non avrebbe saputo
dirlo.
Quello avrebbe potuto
essere il momento, ma tale consapevolezza
sembrò spezzarlo,
come se improvvisamente sentisse totalmente il peso che portava
silenziosamente con sé. Come se ogni respiro fosse un soffio
rubato
all'eternità, un'occasione persa che non si sarebbe
ripresentata.
Come se ogni nuovo passo per raggiungerlo, fosse l'ulteriore prova
che stesse svanendo. E lui non potesse fermarlo.
Non disse nulla,
Sebastian, sospeso in quel fervore interiore: l'eventualità
che
sembrava fermare il tempo, almeno un istante nel quale tutto sarebbe
stato possibile e soltanto lui avrebbe deciso come
si sarebbe
conclusa quella serata.
Sarebbe stato semplice,
avrebbe potuto cambiare tutto senza piani contorti, senza altro che
se stesso, se Kurt lo avesse altrettanto desiderato. Se avesse potuto
essere proprio, quel tocco di cui disperava.
Sbatté le palpebre e si
ritrasse.
“Sono stanco”, si
sentì dire e gli parve di essersi risvegliato da un lungo
torpore.
Ne ignorò il richiamo,
gli augurò la buonanotte in un sussurro e si chiuse la porta
della
camera alle spalle, prima di lasciarsi cadere sul proprio letto.
Non riuscì a dormire
quella notte: consapevole che quel momento avrebbe potuto cambiare
tutto, ma qualcosa glielo impediva. Lo stesso qualcosa di cui si
sarebbe incolpato, da quel giorno in poi.
To be continued...
Buon
Sabato :)
Spero
che abbiate trascorso un piacevole Ferragosto :)
Spero
anche che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se è stato
più
concentrato sul passato di Kurt e Sebastian ma lo ritengo altrettanto
importante per poter meglio comprenderli nel futuro e poter avere un
quadro più completo :)
Ma
ancora molte cose dovranno affrontare prima che si avvicini il
famigerato matrimonio.
Una sbirciatina al prossimo capitolo:
"Che
cosa hai fatto?" "E dire che volevo proporti un brindisi,
vado in vacanza". "Oh, stai rapendo Kurt?".
"Kurt
e Blaine sono destinati, non illuderti" "Disse colei il cui
primo matrimonio fallì a sedici anni" (…)
"Perché hai
dovuto portarlo con te?!".
"Non
mi considererei mai un superficiale se dovessi innamorarmi di te".
"Conduco
io" "Non calpestarmi le scarpe, sono italiane".
Prima
di congedarvi, come sempre, vorrei ringraziarvi per il tempo che mi
dedicate alla lettura, soprattutto quando mi date l'occasione di
rendermi partecipe delle vostre sensazioni, congetture o volete
semplicemente scambiare due parole con me :) Grazie di dimostrarmi la
vostra stima inserendo questa storia tra le vostre
preferite/ricordate/seguite.
Niente
mi gratifica maggiormente come fanwriter e come persona, di
condividere con voi i miei sentimenti Kurtbastian e scorgere in voi
altrettanto entusiasmo. Grazie infinite, di tutto cuore!
Vi
abbraccio e vi auguro un buon weekend <3
Kiki87
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
6
Sono di nuovo qui.
A migliaia di
chilometri da
te.
Un disordine
interrotto,
solo pezzi sparpagliati
di
ciò che sono.
Ho provato
così tanto.
Ho pensato che
avrei potuto
farcela da solo.
Ho perso
così tanto lungo
la strada.
Sono qui
annullato.
Ma tu dai un
senso a ciò
che sono.
Come pezzi di
puzzle nelle
tue mani.
Quando vedo il
tuo viso,
so che sono
finalmente tuo.
Trovo tutto
ciò che ho
creduto di aver perso.
Pronunci il
mio nome,
vengo da te a
pezzi,
così
puoi completarmi.
(Pieces
– Red).
Settembre
(meno sei mesi al
matrimonio)
Capitolo
6
Schiuse gli occhi con
un
mugugno e si passò una mano tra i capelli. Ci vollero
diversi
istanti perché si potesse abituare alla penombra, abbastanza
da
accorgersi di essere a casa di un perfetto sconosciuto. O almeno lo
conosceva abbastanza da aver stabilito che poteva
rappresentare
una valida compagnia per una notte senza
pensieri.
Si
sfiorò la tempia,
laddove il sangue pulsava ad una maniera quasi violenta. La penombra
sembrava suggerire che il sole non era ancora sorto e fu rapido a
sgusciare fuori dalle coperte per rivestirsi.
Gesti
meccanici e
abituali, un copione comune in quell'ultimo mese: dopotutto la fine
dell'estate era stata più che gradevole.
Si
abbottonò i
pantaloni, insinuò la maglia e raccolse la giacca di pelle.
Il ragazzo
ancora immerso
nel torpore, si volse appena e ne sentì il lieve respiro,
mentre
abbracciava il cuscino su cui era appoggiata la sua testa pochi
istanti prima. L'ennesimo volto che avrebbe dimenticato.
Sgattaiolò
senza alcuna
intenzione di incontrarne di nuovo lo sguardo e leggervi il biasimo o
il giudizio. Dannati
occhi azzurri.
Scosse il
capo, storse il
naso al percepire un profumo estraneo addosso e desiderò
soltanto
poter rientrare presto, lavarselo via ed iniziare l'ennesima giornata
uguale alle altre.
Cercò
di ignorare,
ancora una volta, il pensiero che una notte di piacere non avrebbe
annullato quella sensazione pungente. Anche quando il suo corpo fosse
stato perfettamente lindo, avrebbe continuato a sentirsi sporco. Nel
profondo. Laddove nessuno sguardo umano sarebbe mai riuscito a
coglierne l'essenza.
Insinuò
la chiave nella toppa ed entrò nell'appartamento
addormentato. Lasciò cadere la giacca sul divano, ma lo
sguardo fu attratto
all'uscio chiuso della camera di Kurt, come se fosse qualcosa di
naturale, non appena varcata la soglia di quello che a lungo aveva
considerato il loro mondo.
Coprì
rapidamente la
distanza e indugiò di fronte alla superficie di legno,
attendendo di
percepire il suono ovattato del suo respiro. Con cautela, schiuse la
porta a controllare, ma fu un letto vuoto quello che gli
restituì lo
sguardo.
Restò
immobile per
diversi istanti.
Quasi di
comune accordo,
non avevano più parlato di quella notte a Parigi.
Dopo
molteplici chiamate
ignorate, aveva risposto al telefono e all'angosciata ed esasperata
domanda: “Perché
mi hai ignorato? E' da ieri sera che provo a
chiamarti”, aveva replicato in
modo bieco.
“Non volevo che
fosse il
telefono
a
vibrare, mentre stavo con
uno”.
Kurt aveva
trattenuto il
fiato e quel lungo momento di silenzio, Sebastian lo avrebbe
ricordato probabilmente per tutta la vita. Era stato quello
l'istante che aveva cambiato tutto e aveva innescato quella distanza
tra loro.
Probabilmente,
e il pensiero non era consolatorio, ciò sarebbe comunque
accaduto ed
inevitabilmente, ma non avrebbe mai desiderato potersene dire il
responsabile e tanto meno poter stabilire quale fosse stato l'inizio.
“Scusa
il disturbo”, era stata la seccata replica di
Kurt. “Sono
lieto che tu sia tornato a casa”, era
certo che
si riferisse alla promiscuità che tanto gli era oggetto di
biasimo.
Aveva ignorato
il nodo in
gola, Sebastian. “Non credo
di essermene mai andato”, aveva
detto con estrema formalità, prima che Kurt riagganciasse.
Non aveva
quasi più
visto Mezza SegAnderson da allora, ma Kurt sembrava divenuto un
ospite abituale del suo (loro) appartamento.
Ogni mattina
apriva
quell'uscio e si diceva di essere pronto a scorgere una camera vuota
e tutti i suoi oggetti scomparsi, come se il suo mondo fosse stato
soffiato via. Probabilmente sarebbe stato preferibile alla vuota
cordialità di cui erano pregne le loro parole, in quei
momenti in
cui si sorprendevano a casa contemporaneamente.
Si
guardò attorno e si
lasciò cadere sul letto dell'altro. Rimirò lo
stupido piano affisso
al muro: lesse il numero impresso al countdown dei giorni e lo
attanagliò una sensazione di nausea persino più
intensa di quella
percepita al proprio risveglio.
Si
drizzò quasi
bruscamente.
Non
era più affar suo se Kurt voleva rovinarsi la vita in quel
modo o se
la sua sola missione di vita fosse diventare la mogliettina fedele e
devota di Blaine Anderson.
Avrebbe
soltanto dovuto continuare a ripeterselo, fino a quando non fosse
stato più necessario e avrebbe finalmente tradotto quel
pensiero in
azione.
~
Ci sarebbe
probabilmente
voluta una scopata da record per smaltire la lezione di diritto di
famiglia di quel pomeriggio: il fatto che si parlasse di matrimoni
non ne aveva certamente giovato l'umore, almeno fin quando non si era
introdotto il tema del divorzio.
Controllò
l'orologio:
c'era tempo di cambiarsi e mettere qualcosa sotto i denti, prima di
avviarsi al pub e cercare un intrattenimento piacevole per scrollarsi
di dosso l'ennesima pessima giornata.
Lo
percepì appena varcò
la soglia: il suono attutito dei movimenti dalla camera di Kurt.
Nessuna giacca da hobbit in giro, lo constatò guardandosi
attorno.
Si chiuse
l'uscio alle
spalle e ogni rumore cessò, come se Kurt si fosse congelato
al
sentire quel suono attutito.
Si
fermò a sua volta,
Sebastian, quasi nell'attesa di qualcosa. Qualcosa che facesse
cessare quel silenzio insopportabile.
Sembrarono
istanti
lunghissimi di vana aspettativa, prima
che scuotesse il capo.
Si
avvicinò alla
credenza per prenderne un bicchiere. Schiuse il frigorifero, quando i
passi di Kurt ne attirarono l'attenzione.
Si volse: la
pacata
indifferenza (che Sebastian ostentava in quei casuali incontri
domestici) era stata sostituita dall'inarcata delle sopracciglia,
quando ne scorse il volto.
Sembrava
tremare per
l'agitazione, Kurt, ma gli occhi erano arrossati, come quando era
vicino alle lacrime: che si trattasse di una crisi di nervi o un
litigio col fidanzato, non avrebbe saputo dirlo.
La mascella
era serrata,
gli occhi lucidi, ma le labbra erano strette. Con un gesto secco,
depositò sul bancone le riviste da sposa che nascondeva
sotto il
letto.
La mente di
Sebastian
parve spegnersi: ricordò perfettamente quel giorno di due
mesi
prima, quando si era premunito di pennarello e si era divertito a
sfregiare visi di modelli in abiti nuziali.
Non sembrarono
necessarie
parole: il bicchiere che aveva avvicinato alle labbra, fu presto
depositato sul bancone e Sebastian trattenne il fiato.
Occorsero
diversi istanti
perché riuscisse a stirare le labbra nel suo sorriso
più impudente,
malgrado sentisse la gola secca.
“Abiti
da sposa, Kurt, mi nascondi qualcosa?”, aveva gettato
un'occhiata
alla cinta con espressione allusiva, ignorando quell'improvvisa
incapacità di sostenerne lo sguardo e le lacrime che sapeva
che
l'altro stava trattenendo a stento. Probabilmente per Blaine che
avrebbe avuto l'ennesima prova del fatto che avrebbero dovuto
cominciare a vivere insieme ed attendere non sarebbe servito a nulla.
Soltanto, al contrario, a distruggere ciò che di buono
avevano
vissuto in quell'anno di convivenza, prima che lui ricomparisse nella
vita di Kurt.
Strinse
i pugni, Kurt, quasi a volersi dominare: avrebbe preferito che
urlasse con la sua solita voce stridula o persino che abbandonasse la
sua naturale attitudine per colpirlo fisicamente.
“Come
hai potuto?”, lo sentì dire, la voce gutturale
pregna di collera e
di puro e semplice dolore. Nuovamente non riuscì a
trattenersi dal
rispondere con la medesima arroganza, quasi il suo parlare, per
difendersi e schermirsi dall'esprimere i propri sentimenti, fosse
indipendente dal vorticare confuso dei propri pensieri o da quei
battiti convulsi.
“Semplice,
una penna e un pennarello, trovi il viso che ti ispira e-”.
“Sono
stanco, Sebastian”.
Sembrava
esserlo davvero, al di là dell'indignazione per
quell'episodio
specifico, sembrava celarsi tutto ciò che non era mai stato
detto.
Tutto ciò che Sebastian non credeva di essere in grado di
sopportare.
Si
era stretto nelle spalle: “Devi pagare fino alla fine del
mese, se
vuoi andartene”.
Neppure
sbatté le palpebre, Kurt, quasi quelle parole non fossero
neppure
state pronunciate, quasi non fosse stato interrotto, mentre lo
guardava con viso mortalmente serio.
“Sono
stanco che nonostante tutto, tu non abbia ancora il benché
minimo
rispetto per me e sono stanco di provare a giustificarti o ignorarti,
sperando che tutto si risolva, quando finalmente ti deciderai a
parlare con me”, si era allontanato dopo aver sollevato le
mani in
un gesto di resa.
Lo
vide avvicinarsi all'attaccapanni per insinuare il soprabito, ma le
dita gli tremavano troppo per riuscire ad abbottonarlo.
“Almeno
adesso mi parli ancora”, si sentì dire con voce
sferzante.
Circumnavigò il bancone per avvicinarsi in rapide falcate,
perché
non se ne andasse così facilmente.
Lo
vide irrigidirsi e aggrottare la fronte. “Io non ho mai
smesso”,
replicò con tono accusatorio, voltandosi bruscamente per
osservarlo
con le sopracciglia aggrottate.
Sorrise
amaramente, Sebastian. “E' la prima vera conversazione che
abbiamo
da quella notte”, gli fece presente, il viso inclinato di un
lato,
a voler sondare tutto ciò che il solo ricordo sarebbe
riuscito ad
innescare.
Parve
sbiancare, Kurt, ma ne sostenne lo sguardo. “Non ne hai
diritto,
non dopo che hai rovinato il mio
weekend!”, fu la stridula
risposta, additandolo con il viso arrossato per la rabbia e quel
tremore diffuso.
Boccheggiò,
Sebastian, i cui occhi s’ingrandirono in una frazione di
secondo.
Il suo cuore parve fermarsi e lo guardò incredulo, mentre
cercava di
cogliere il vero significato di quelle parole. Quanto la propria
presenza, allora, fosse stata di troppo e come il ricordo di un
momento tanto intenso fosse stato corrotto. Il solo pensiero era
intollerabile.
Sentì
qualcosa rompersi dentro di sé e se anche quell'epilogo
fosse
inevitabile, non era pronto ad accettarlo.
Cercò
nuovamente di approntare il suo sorriso sarcastico, ma strinse i
pugni lungo i fianchi, fin quando non sentì le unghie
conficcarsi
nel palmo della mano, quasi quel dolore fisico potesse mantenerlo
lucido. “Se cenare e ballare con me-”.
Aveva
scosso il capo, Kurt e parve altrettanto ferito alla sola idea che
fraintendesse il suo pensiero.
“Non
sto parlando di quello!”, fu l'aspra precisazione, prima che
scuotesse il capo, cercando di ripercorrere quella serata.
“Non
rispondevi alle mie chiamate, non ti sei neppure preoccupato del
fatto che abbia passato un'intera notte angosciato per te”,
cominciò con voce tremante, a rivelare quanto fosse stata
terribile
quella sua dipartita e tutto ciò che ne era seguito.
“E poi
sentirmi dire, con tanta arroganza, che te ne eri andato, lasciandomi
tutto addosso”, terminò con pari angoscia ed
incredulità.
Ignorò
quel desiderio di ricoprire le distanze, stringerlo tra le braccia e
lasciare che guardasse dentro di sé e potesse comprendere,
quanto lo
avesse ucciso trarsi indietro nel momento più importante
della
propria vita.
Scosse
il capo. “Senso di colpa?”, lo incalzò
con espressione
trionfante. “Per non essere stato accanto a Blaine a
sollevargli la
fronte, mentre vomitava?”, indagò con le
sopracciglia inarcate
perché, per quanto si stesse odiando in quell'istante, non
poteva
non pensare che da allora si fosse allontanato ancora di più.
“Non
si tratta di Blaine!”, era stato l'ennesimo urlo esasperato,
le
braccia che ricadevano lungo i fianchi.
Un
verso d’incredulità e scosse il capo, additandolo.
“Tutto
riguarda Blaine, da quando hai quell'anello al dito”, si
sentì
dire e a stento riconobbe la sua stessa voce amareggiata e distorta.
Cercò di ignorare quel nodo in gola. Ignorare quel bisogno
di
trattenerlo, ma continuando ad inondarlo della propria rabbia e
risentimento, soltanto in parte destinate proprio a lui.
Che
lo intuisse o meno, Kurt parve più indifeso che mai, ma
scosse il
capo. “N-Non tirarlo in ballo”, pareva una supplica.
“Sia
mai che la coppia felice debba avere contatti con
il mondo
esterno e uscire dal proprio idillio”.
Si
irrigidì, Kurt: sembrava sull'orlo del pianto, ma scosse il
capo
aspramente. “Non hai mai avuto il benché minimo
rispetto per me”,
la voce era ormai roca e quel velo di lacrime era in sospeso sulle
lunghe ciglia, ma nessuna scivolò sul volto diafano.
“E sono
stanco di fingere che questo non mi ferisca”.
Aveva
scosso il capo, aprendo la porta, quasi non riuscisse più a
sostenerne neppure la vista.
Sentì
la mascella contrarsi, Sebastian, ma ne osservò le scapole:
“Quindi
adesso scappi?”.
Si
volse appena, Kurt, un ultimo sguardo colmo di rassegnazione, di
esasperazione e di delusione. Scosse il capo: “Magari ho
imparato
dal migliore”, sussurrò soltanto e la porta si
richiuse con un
lieve tonfo alle sue spalle.
Qualche
attimo di silenzio nel quale cercò di respirare normalmente.
Si
allontanò dall'ingresso e si lasciò cadere sullo
sgabello,
continuando ad osservare un punto indefinito.
Le
ultime parole di Kurt continuarono a riecheggiare nella sua mente ma,
con un gesto pigro, prese la prima rivista dalla pila abbandonata sul
bancone, le sopracciglia aggrottate.
Il
suo cuore sembrò fermarsi, quando lesse la firma in calce
sulla
prima pagina che non aveva mai visto prima.
Elizabeth
Hummel,
Wedding
Planner.
Sentì
il respiro mancargli e dovette sostenersi il viso, ravviandosi i
capelli, mentre la nausea lo assaliva nuovamente.
~
Non
aveva sentito Kurt
rientrare: la musica pulsava ad un volume assordante. Reggeva in mano
l'ennesima bottiglia di birra ed osservava con un ghigno gli invitati
sbronzi, tra i quali spiccava Santana Lopez letteralmente avvinghiata
a Sam Evans, a cui piedi vi era un tipo coi capelli alla Justin
Bieber (chi era a proposito?) che stava facendosi trascinare,
attaccato alla sua caviglia.
Soltanto quando si
sentì picchiettare alla spalla, si volse, già
pronto a respingere
l'ennesima avance di Dave, quando incontrò lo sguardo ricco
di
disappunto di Kurt. Aveva incrociato le braccia al petto in quella
proverbiale attitudine di rimprovero e sarebbe stato comico
l'espediente del vederlo muovere le labbra senza coglierne le parole,
se non fosse stato certo che il melodramma era imminente.
“Non ti ho sentito”,
cercò di sovrastare la musica e le minacce spagnole di
Santana ai
danni del terzo incomodo.
Alzò gli occhi al
cielo, Kurt, e quando gli allungò la bottiglia di birra con
evidente
significato, si allontanò senza più guardarlo.
Sospirò, Sebastian,
che si affrettò a seguirlo, mentre camminava impettito verso
la sua
camera. Si sarebbe sicuramente chiuso tra quelle pareti, se non
avesse trovato la coppietta, più che impegnata sul suo letto.
Scattò all'indietro,
Kurt, con un urletto da donna isterica, che riscosse i due amanti. Le
guance rubiconde, con un gesto imperioso, indicò il salotto:
“Fuori”.
“Come hai detto,
amico?”, fortunatamente lo sconosciuto spaccone indossava
ancora i
boxer, quando gli si avvicinò per torreggiarlo.
“Fuori dal mio
letto”.
Al sorriso sferzante
dell'altro, fu Sebastian a frapporsi tra i due e ripetere l'ordine.
Scosse il capo, il ragazzo, sollevando le mani e facendo un cenno
alla giovane che, le guance in fiamma, si era ricomposta abbastanza
in fretta per uscire.
“Come hai potuto?”,
lo additò Kurt con voce ancora incredula, fissando il
proprio letto
con aria nauseata.
“Non sapevo che
fossero qui”, si giustificò, cercando di non
lasciarsi sfuggire un
sorrisino.
“Dovrò...
disinfettare tutto, anzi, no, sarò costretto a bruciare le
mie
lenzuola di seta e tutto per colpa tua!”, lo
additò con aria
esasperata.
Alzò
gli occhi al cielo, Sebastian, ancora una volta sembrava evidente che
Kurt Hummel non aveva idea di cosa significasse essere giovani e
spensierati. “Te le
comprerò nuove, rilassati”.
Il consiglio parve
stizzirlo persino maggiormente. “Rilassarmi?”,
ripeté con voce
grondante di sarcasmo e di incredulità. “Ho
trovato due a
fornicare sul mio letto!”, gridò con voce stridula.
Inarcò le
sopracciglia, quasi non cogliesse l'implicazione per poi sollevare le
mani, con aria pacata. “Puoi dormire nel mio, senza me
dentro”,
un sorrisino voluttuoso nell'osservarlo. “Anche se il bonus
è
molto a tuo favore”.
Un'occhiata
sprezzante, le braccia incrociate al petto: “E
rischiare un numero maggiore di fluidi corporei?”.
“Molto lusinghiero”,
gli sorrise affettato. “Ma dovresti saperlo che non amo
condividere
il mio materasso”.
Scosse
il capo, Kurt, evidentemente esasperato da quello scambio
d’opinioni
irrilevanti, rispetto alla questione principale. “Come
ti è saltato in testa?”.
“Era una festa,
Kurt”, ripeté, sollevando gli occhi al cielo.
“Ti farebbe bene
rilassarti, sempre che tu ne sia capace”, commentò
ironicamente, pensando alle molteplici attività che gli
riempivano
la giornata, dai corsi alla Nyada, al tirocinio fino al lavoro in
caffetteria.
“Gente ubriaca, che
fa sesso in ogni antro, sporca la casa, fa rumore e rischia di
distruggere le nostre suppellettili ballando, tu lo chiami
relax?”.
Un sorriso
soddisfatto. “Vedo che apprendi rapidamente”.
“Avresti dovuto
chiedermelo!”, fu l'esasperata replica di Kurt, ormai
tremante per
la rabbia.
“Cioè avrei dovuto
chiederti di fare quello che voglio nel mio
appartamento, ho
capito bene?”, gli domandò con la baldanza di un
futuro avvocato
alle prese con un soggetto al banco dei testimoni, incapace di
difendersi.
“Pago l'affitto e ho
diritto di dire la mia, contribuisco alle spese, senza contare che
sono sempre io
che mi
assicuro che sia tutto in ordine e pulito”.
“Se hai manie
ossessivo-compulsivo per la pulizia, non puoi accusarmi di-”.
“Tu non mi rispetti!
E andiamo oltre il non fare la spesa o lasciare lo specchio sporco di
condensa, non asciugare la doccia, lasciare i tuoi abiti sporchi sul
pavimento del bagno e-”.
Sospirò, Sebastian e
sollevò gli occhi al cielo, con aria evidentemente annoiata
per il
prolungarsi della conversazione e con simili toni polemici.
“Non
essere melodrammatico”.
Fremette, Kurt, le cui
labbra tremarono, ma si incupì. “Va'
via”, sussurrò soltanto,
indicando il soggiorno.
Sbatté le palpebre,
Sebastian, sorridendo incredulo. “Kurt”, lo
richiamò, sollevando
le mani.
“Fino a prova
contraria questo è il mio
spazio:
torna alla tua
festa e nel resto della tua casa”,
continuò con voce
ancora più stridula, ma lo sguardo dardeggiante.
Strinse la mascella,
Sebastian. “Bene, chiamami quando il tuo
ciclo sarà finito”,
lasciò cadere le braccia sui
fianchi ed uscì rapidamente.
Non rispose, Kurt, ma
si sedette sulla poltrona di fronte alla scrivania, le braccia
incrociate al petto e lo sguardo accigliato.
Sebastian sbuffò e
si chiuse la porta alle spalle.
Sorseggiò la birra,
più che deciso a riprendere la festa. Anche se tutto il suo
buon
umore si era appena dissolto. Anche se una parte di sé
continuava ad
osservare la stanza da cui era appena uscito.
~
Entrò
nella confusione
generale, ignorando volti noti e qualche sorrisino malizioso.
Scansò,
con un gesto secco, chiunque avesse cercato di cingergli il braccio,
alludendo ad una notte trascorsa insieme nell'ultimo mese.
Si diresse verso il
bancone: la vista del dottorino impegnato a cicalare, munito della
sua migliore (peggiore) espressione flirtante, con la biondina
appollaiata sulla superficie di legno, gli fece stringere le labbra.
Si sedette di malagrazia
sullo sgabello, facendoli sussultare entrambi.
“Dammi un whisky”,
sbottò in direzione del barista a mo' di saluto.
Sbatté le palpebre,
Hunter, sorridendo alla giovane con aria di scuse, prima di
rivolgersi all'altro, dopo che sembrò scendere nuovamente
nella
terra dei comuni mortali. Inarcò le sopracciglia, con aria
stranita,
nell'osservare il proprio orologio: “Sono appena le
20”.
“Non ti ho chiesto
l'ora, SfinterHunter: dammi quel cazzo di whisky”,
scandì ogni
parola con voce secca e lo sguardo truce.
Trasalì, Brittany, che
assunse un cipiglio scandalizzato, le mani appoggiate sui fianchi,
nella pallida imitazione di una mammina o di un'insegnante d'asilo.
“Non si dicono le parolacce: chiedi scusa”, lo
ammonì come
avrebbe fatto con un bambino scapestrato.
Socchiuse gli occhi,
Sebastian, emettendo un sospiro pesante, ma si limitò a
gettarle
un'occhiata sprezzante, le sopracciglia aggrottate: “Non hai
un
costume succinto in cui strizzare quel poco che hai da offrire? E non
sto certo parlando della tua carente materia cerebrale”,
aggiunse
con un sorrisetto perfido.
“Sebastian!”. Fu il
richiamo di Hunter, la mascella serrata e lo sguardo irritato.
Sbatté le palpebre,
Brittany, ma scosse il capo e scese dal bancone con un sorriso
gentile nei confronti del barista. “Non fa nulla”,
ribatté in
tono tranquillo, pur guardando Sebastian con aria mortalmente offesa.
Sospirò e scosse il capo.
“Sembra Lord
Tubbington, quando è stitico da una settimana”,
commentò con
leggerezza, quasi gli stesse facendo una grande confidenza.
Ondeggiò
la mano in segno di saluto e si allontanò.
Attese qualche istante,
Hunter, perché la ragazza raggiungesse l'amica latina, prima
di
rivolgere un'occhiata glaciale al nuovo arrivato. “Passi
prendersela con me, ormai ci sono abituato”, si era stretto
nelle
spalle, ma il cipiglio era più furioso che mai.
“Ma potresti usare
un minimo di tatto almeno con Brittany”.
Lo fissò con aria
persino più schifata, Sebastian. “Risparmiami la
morale: saresti
il primo a deriderla, se non volessi scopartela”, fu la secca
risposta.
Si contrasse
pericolosamente la mascella di Hunter, la carnagione assunse una
tonalità rosata e parve doversi controllare, a giudicare da
come
strinse i pugni e parve voler sbriciolare la bottiglia che teneva
ancora tra le mani. Con un notevole sforzo, l'appoggiò sul
bancone e
trasse un profondo respiro, ma incrociò le braccia al petto
e lo
guardò accigliato.
“Che cosa è
successo?”, domandò con voce più
rigida.
“Le tue psicanalisi
puoi infilartele su per il culo, dammi un bicchiere di whisky e torna
ad amoreggiare con la capoclasse della quarta elementare”.
Era stato un gesto
fulmineo quello con cui Hunter lo aveva preso bruscamente per il
colletto, i lineamenti del suo volto parevano granitici e lo sguardo
era animato di un'inusuale ira che lo rendeva stranamente
inquietante. Improvvisamente la vista dei bicipiti nudi non era
più
soltanto un pretesto per considerarlo omosessuale.
“Cominci a stancarmi,
Sebastian”, lo avvertì in tono glaciale.
“Mi sto quasi
eccitando, vuoi colpirmi?”, lo provocò con un
sorrisetto di
sbieco.
“Sarebbe farti un
favore”, lo lasciò andare con una smorfia, ma
prese una bottiglia
dallo scaffale alle sue spalle e l'appoggiò sul bancone con
un
calice vuoto. “Serviti pure: non ho intenzione di farti da
complice
o tanto meno da psicologo. Buona sbronza”.
“Fottiti”.
Lo ignorò, Hunter, la
mascella ancora serrata.
Il mondo sembrava
diventare molto più piacevole dopo qualche bicchiere:
decisamente
era tutto più divertente e bello. Non sapeva esattamente
quando la
bottiglia fosse finita (e aveva provato più volte a
reclinarla per
farne uscire le ultime gocce), ma era la testa non era mai sembrata
così leggera. Forse di quel passo avrebbe anche cominciato a
galleggiargli in aria. L'idea lo fece sorridere persino più
divertito. Avrebbe potuto persino pensare di unirsi agli altri e
sculettare sulle note di Lady Gaga o qualsiasi altra cosa stesse
facendo a gara con le sue tempie per pulsare qualcosa simile ad un
costante “tunz tunz tunz”.
Almeno fino a quando non
si ritrovò chino sul bancone, la nausea ad attanagliarlo e
il mondo
che cominciava a diventare in 3D a giudicare dalla tripla visione di
ogni oggetto. Cercò di rimettersi eretto, quasi cadendo di
peso
sulla superficie.
Stava ripulendo il
bancone, Hunter Clarington, l'aria placida nel rimuovere il boccale e
gettare la bottiglia vuota nel cestino del vetro. Gli scoccò
appena
un'occhiata in tralice: “Dovresti svenire entro
un'ora”, lo
informò dopo aver controllato l'orologio da polso.
Rise, Sebastian,
sollevando lo sguardo e cercando di capire quale dei tre volti fosse
quello giusto. Allungò il braccio sotto lo sguardo scettico
dell'altro. “Ha a che fare con Kurt, vero?”, gli
chiese,
scostandosi per non essere sfiorato dalla mano protesa.
Rise ancora, Sebastian:
“Lo so che vuoi sbottonarmi... sei un porco”,
aveva
commentato con voce più languida, sporgendosi in sua
direzione.
Sospirò, Hunter,
sollevando gli occhi al cielo con l'aria di chi aveva sentito ben di
peggio e probabilmente non soltanto da lui. “Sei venuto in
auto?”.
L'imitazione del motore
(“Bruuuuum, Bruuummm, Bruuuuuum!”)
parve una risposta
eloquente e il barista allungò la mano vuota.
“Dammi le chiavi”, lo
esortò con lo stesso tono incoraggiante con cui un genitore
avrebbe
convinto il figlio che la vaccinazione fosse qualcosa di positivo e
persino di salutare.
“Cercale da solo”,
rispose con voce ridente. “Lo so che non vedi l'ora di
frugarmi tra
le tasche”, aggiunse con la stessa aria maliziosa, ammiccando
voluttuosamente.
Sembrò a stento
trattenere l'espressione di puro disgusto, Hunter, ma
sospirò e
circumnavigò il bancone, borbottando qualcosa come:
“Se lo fermano
o si schianta, sarai licenziato e dovrai vivere sotto il ponte di
Brooklyn”. Sembrò ripeterselo come un incentivo
per completare la
sua buona azione quotidiana.
Lo studiò come se fosse
un caso clinico, prima di cercare nella giacca che aveva lasciato su
uno sgabello vuoto.
Rise, Sebastian,
scoccandogli un'occhiatina languida: “Acqua”.
Strinse le labbra,
Hunter, ma sospirò e, con l'aria di chi si stava preparando
ad
esaminare la prostata di un perfetto estraneo, allungò la
mano verso
la tasca dei jeans. Sospirò con aria disperata,
probabilmente
invocando qualche divinità, prima di insinuarla all'interno.
“Oh, sì, più a fondo,
così!”, non si curò
neppure di abbassare la voce,
socchiudendo gli occhi ad imitare l'appagamento in ben altro
contesto.
“Smettila, coglione”,
borbottò con voce contraffatta dall'imbarazzo, le guance
visibilmente colorate. “Non ti sto neppure
toccando!”, specificò
come se l'altro fosse in procinto di eccitarsi per qualche film
mentale nel quale non voleva essere una sgradita
comparsa.
Rise più forte,
Sebastian, dimenandosi e costringendolo a cingerne il fianco.
“Sta fermo un
dannato secondo”.
“Mhm... sì, sei
vicino”, aggiunse con voce enfatica.
“Quanto vorrei
spaccarti la faccia”, ringhiò per risposta.
“Ti piace violento, lo
sapevo”, sussurrò al suo orecchio, schivando il
colpo che aveva
mirato al suo viso.
Sorrise, Sebastian,
l'aria voluttuosa, prima di incrociare lo sguardo della biondina che
si era avvicinata alla postazione del bar con aria allegra. Si era
immobilizzata alla visione dei due ragazzi, gli occhi sgranati nel
guardare Sebastian contorcersi, mentre l'altro era ancora chino a
cercare di tastarne l'altra tasca.
“Non credi che quel neo
sia sexy?”, le chiese Sebastian con aria confidenziale,
alludendo
alla macchiolina sulla porzione di collo nudo, sotto la nuca.
“Lo
sai? Ne ha parecchi altri, ma non ti dico dove”,
ammiccò
con aria complice.
“Finalmente!”,
mormorò trionfante, Hunter, un mazzo di chiavi tra le mani e
l'espressione compiaciuta di sé.
Sebastian sogghignò.
“Questo dovrei dirlo io, non credi?”.
Non lo stava ascoltando,
Hunter. Gettò un'occhiata a Brittany, quasi avesse notato
soltanto
in quel momento d’essere oggetto della sua sconcertata e
confusa
espressione. Alternò occhiate da Sebastian a Brittany, da
Brittany a
Sebastian per almeno trenta secondi.
“Cazzo”, commentò,
per poi affrettarsi a scostarsi dal ragazzo. “Non
è come sembra!”,
esclamò per poi inorridire delle sue stesse parole.
“Oddio, è la
frase peggiore che si possa dire in queste situazioni”.
Gli sorrise dolcemente,
Brittany, l'aria candida e serena nel sollevare le mani. “Non
devi
dire nulla: scusami Sebastian, non avevo capito che non sei uno
scorbutico cattivo. Sei solo uno scorbutico innamorato”,
aveva sospirato con aria trasognata. Uno sguardo intenerito
nell'osservarli come se li scorgesse solo in quel momento, battendo
le mani con aria serena.
Dall'altra parte del
salone, sul palco, Santana Lopez imprecò in spagnolo nel bel
mezzo
del suo assolo, suscitando non pochi sguardi interdetti tra gli
astanti.
“Io non sono
innamorato”, sembrò ridestarsi Sebastian,
appoggiandosi a Hunter
nel tentativo di rialzarsi e il viso si contrasse in una smorfia.
“Smettetela di dirlo!”, aggiunse in tono lamentoso.
Si appoggiò
alla spalla dell'amico per non cadere riverso sul pavimento.
“Non lo è”, si era
affrettato ad aggiungere Hunter che cercò di scrollarselo di
dosso
perché si appoggiasse al bancone.
“Cioè, lo è, ma del suo
coinquilino, è una storia lunga”.
“Me la racconterete,
ora devo tornare sul palco”, lo indicò, senza
evidentemente notare
che Santana Lopez era a stento trattenuta alla vita dal fidanzato
(una fortuna che fosse un giocatore di football professionista) e si
stava sbracciando, quasi volesse raggiungere il bancone e intervenire
violentemente.
“Ciao delfini”,
trillò come saluto finale.
Si levò dal bancone,
Sebastian, ridendo con aria sguaiata.
Hunter si volse, il viso
rubicondo ma la mascella serrata. Incrociò le braccia al
petto con
aria impettita che lo rendeva stranamente più infantile.
“Che
cazzo hai da ridere?”, borbottò in sua direzione,
la testa che
sembrava gonfiarsi come un buffo cartone animato, rendendola
sproporzionata rispetto al corpo.
“Ti ho fottuto”,
replicò Sebastian. “Senza fotterti: ti ho fottuto
senza fotterti”,
rise lui stesso del suo gioco di parole di scarsa intelligenza, quasi
inciampando. “L'hai capita, eh?”.
Cadde di nuovo con la
faccia sul bancone e un gemito di dolore per l'impatto della mano del
barista sulla propria nuca.
Si pulì le mani con aria
chirurgica e compiaciuta, Hunter, prima di stringersi nelle spalle.
“Ne valeva la pena”, commentò tra
sé e sé per poi gettare uno
sguardo disperato in direzione della biondina e strofinarsi una mano
sulla fronte.
Avrebbe dovuto rimandare
il proprio dramma personale. Ancora una volta.
“Stillman”, richiamò
il ragazzo impegnato a cicalare con il buttafuori e gli
indicò il
bancone. “Sostituiscimi”.
Sgranò gli occhi il
ragazzo che non si era mai avvicinato, se non per qualche
ordinazione. “Ma-”.
“Fallo e basta”, gli
ringhiò contro e l'altro lo guardò interdetto,
evidentemente non
avvezzo ad una simile espressione truce, ma neppure volenteroso di
sfidarne la pazienza.
Prese il braccio di
Sebastian per appoggiarselo dietro al collo e lo issò con la
mano
sul suo fianco, lieto che fosse ancora privo di sensi.
“Andiamo,
wiskeycomane”.
“Kurt”, mugugnò
Sebastian tra la veglia e il sonno.
“E poi ti stupisci se
vuole sposare Blaine”, borbottò con aria polemica,
sollevando gli
occhi al cielo e facendosi largo tra la persone in pista da ballo.
“Ehi, ti ho sentito”,
mugugnò con tono puerilmente offeso, gli occhi socchiusi.
Si strinse nelle spalle,
un vago sorriso compiaciuto per la piccola soddisfazione. “Mi
hai
fottuto con Brittany”, sussurrò.
Il viso di Sebastian si
contrasse. “Ho avuto threesome migliori”,
borbottò con aria
disgustata. “Ahia!”, piagnucolò di
nuovo.
“Sì, ne valeva ancora
la pena”.
~
Il
vortice della festa
era ormai dimenticato: Sebastian osservò il biondo dalle
labbra di
scorfano (ma pettorali notevoli, come aveva appurato, quando Santana
Lopez aveva cercato di spogliarlo), portare via la fidanzata,
coricandosela in spalla. Soltanto allora lasciò vagare lo
sguardo
sul caos del soggiorno, ma fortunatamente nessuno degli oggetti di
Kurt era stato oggetto di un'improvvisata partita di football tra
ubriachi, organizzata dal buttafuori del locale.
Osservò la camera del
giovane con le sopracciglia aggrottate, impiegò qualche
istante a
trovare la giusta risoluzione ma, finalmente, si avvicinò
all'uscio.
Sollevò la mano per bussare: sai mai che fosse motivo di
un'altra
melodrammatica reazione da donna mestruata.
“Puoi entrare: è
casa tua”, fu la polemica autorizzazione di Kurt.
Sogghignò, Sebastian,
ma fu lesto a mascherare il divertimento ed assumere un'espressione
indifferente.
Non era preparato,
tuttavia, a ciò che vide, appena schiuse l'uscio: Kurt aveva
riordinato tutte le suppellettili in una mezza dozzina di scatole e
stava tuttora piegando degli abiti da riporre nelle valigie.
Sbatté le palpebre,
le sopracciglia inarcate: “Vai in vacanza?”.
Non lo guardò
neppure, Kurt, continuando ad occuparsi dei vestiti, stringendosi
nelle spalle. “Me ne vado, ma tranquillo: pagherò
l'affitto del
mese”.
Un verso di
divertimento e scosse
il capo, con aria
incredula. “Un po' melodrammatico”.
“Voglio
evitare i veri drammi: abbiamo fatto il nostro periodo di prova ed
è
evidente che non siamo compatibili”,
sancì Kurt senza
neppure guardarlo, continuando ad ordinare i propri abiti con aria
evidentemente stanca.
“Torni
a fare il figlioletto prediletto di Rachel?”.
Sollevò
il capo solo per riservargli lo stesso sguardo glaciale del giorno in
cui si erano conosciuti. “Se anche fosse, non sarà
più un tuo
problema”.
Sbuffò,
Sebastian, prima di avvicinarsi e togliergli di mano un pullover. Ne
scrutò i disegni geometrici e gli orli ridefiniti, inarcando
le
sopracciglia come a chiedere: “Sei serio?”.
Incrociò
le braccia al petto, Kurt: “Chi di noi è l'esperto
di moda?”.
Scrollò
le spalle, Sebastian, che gettò il maglione sul letto, prima
di
rovesciare la valigia già colma d’abiti.
“Cosa...
Sebastian!”, strillò con quell'odiosa voce in
falsetto. “Lascia
le mie cose: è evidente che non mi vuoi con te,
perché dovrebbe
importarti?”, gli chiese, recuperando il proprio bagaglio.
Incrociò
le braccia al petto, Sebastian: “Tu non andrai da nessuna
parte”.
“E'
evidente che mi consideri un coinquilino solo quando si tratta di
cucinare, fare la spesa e non far sesso con
me”, l'ultima
istanza l'aggiunse a chiarire che, tuttavia, era dovuto alla propria
imposizione in merito.
Sorrise,
Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Ti sei appena
descritto
come mia moglie”.
Arrossì,
Kurt, ma con uno sbuffo recuperò i propri abiti
già piegati.
Sebastian
lo cinse, attirandolo a sé. Gli occhi azzurri di Kurt erano
sgranati, le labbra schiuse, il ridicolo anello a forma di papillon
al dito
e la fragranza stucchevole alla vaniglia parve inondarlo. Ma non lo
lasciò.
“Non
voglio che tu te ne vada”, sussurrò guardandolo
dritto negli
occhi.
“Perché?”,
domandò Kurt a mo' di sfida, malgrado ancora le sue guance
fossero
di un colorito più acceso a quell'intima vicinanza.
Sapeva
che da quella risposta sarebbe dipeso tutto. Altrettanto bene che non
avrebbe mai pronunciato parola su come tutto di lui fosse divenuto...
familiare. Quanto avesse condiviso con lui in poche settimane, come
mai con nessun altro, da che aveva lasciato Parigi.
Quanto,
pur non avendolo mai sfiorato, conoscesse di lui: i rituali prima di
dormire, il modo in cui si allacciava la cravatta con sguardo perso,
già cercando di fare una lista mentale delle cose da fare.
Il suo
canticchiare sotto la doccia o in cucina, quando era particolarmente
di buon umore. Lo scegliere gli abiti a seconda dello stato d'animo,
il criticare le sue abitudini alimentari, il suo stile di vita e il
suo gusto nel vestire.
I
commenti pungenti di fronte ad un lavello pieno di stoviglie sporche
o i vestiti abbandonati sul pavimento del bagno.
Tutto
ciò che era divenuto casa. Il sapere che avrebbero discusso
sulle
stesse stupide cose, che lo avrebbe trovato a piangere il
Venerdì
sera su qualche film, in attesa che il fidanzato lo contattasse su
skype. O i momenti in cui dormiva e quel sorriso ne sfiorava le
labbra.
“Mi
sono abituato a te”, ribatté in tono sferzante,
stringendosi nelle
spalle. “Sei il peggio che mi potesse capitare”.
Sollevò
gli occhi al cielo, Kurt e strinse le labbra con espressione
risentita. Più per il fatto che non potessero affrontare
seriamente
una discussione, che per la risposta di per sé.
“Lasciami
andare”.
“Ma
non voglio nessun altro”, aggiunse Sebastian con sguardo
più
intenso, quasi volesse fermarlo e farlo desistere dalle sue
intenzioni iniziali.
Lo
guardò sospettoso, Kurt, quasi aspettandosi un'altra frase a
trabocchetto. Parve non trovarla, ma sospirò:
“Organizzerai
un'altra festa a mia insaputa?”.
“Non
potrei comunque scopare nessuno per il tuo udito delicato”,
replicò
in tono incurante, ma il sorriso che già ne increspava il
viso alla
realizzazione che non se ne sarebbe davvero andato.
“Rispetterai
i turni di spesa, lavaggio e-”.
“Non
esageriamo”.
Sbuffò,
Kurt, facendo per scostarsi, ma Sebastian lo trattenne: “Lo
sai che
ti mancherei troppo”. C'era un'incrinatura più
dolce nella piega
delle labbra. Un modo del tutto personale di fargli comprendere che
sarebbe stato lui per primo a non sentirsi più a casa, in
sua
assenza.
E
ciò che era paradossale, era che Kurt sembrava capirlo.
Sospirò,
infatti: “So già che me ne pentirò...
di nuovo”.
“Bene,
disfai tutto: fingerò di riordinare il salotto e poi andremo
a cena
fuori”, sorrise tra sé, per poi chinarsi a
baciarne la guancia. Un
modo più semplice e meno goffo di porgergli delle silenziose
scuse.
Un ottimo pretesto per inspirarne nuovamente il profumo e saggiare
con le labbra la sua pelle soffice e delicata.
“Visto? Abbiamo
appena fatto pace senza sesso: come marito e moglie”,
sussurrò,
indugiando contro il suo orecchio.
Lo spintonò via,
Kurt, ma sostava un sorriso sulle sue labbra, prima che assumesse
un'espressione risentita: “Mi hai stropicciato il
pullover”.
“Credevo fosse una
camicia da notte”.
“Pervertito”, lo
ammonì.
Rise divertito in
risposta, prima di scrollare le spalle:“Travestito”.
Arrossì con aria
sdegnata, Kurt:“Idiota”.
Assunse una finta
espressione esasperata e stoica: “Sì,
amore”.
~
Il
mondo sembrava
moooolto più leggero, anche se aveva una vaga sensazione di
nausea.
Tutta colpa del dopobarba di SfigHunter. Oh, che carino quel nuovo
nomignolo, doveva aggiungerlo alla lista. Rise tra sé,
ignorando
l'occhiata tra lo scettico e lo schifato dell'altro.
Era riuscito ad estrargli
l'indirizzo e stava cercando di orientarsi nella zona residenziale,
per trovare il suo appartamento.
Quello
sembrò rianimare Sebastian che guardò l'edificio
familiare:
“Kuuuuuurt”, cominciò a piagnucolare,
cercando di scostarsi
dall'altro, barcollando in quella direzione come uno zombie sbronzo.
“Le luci sono spente!”, piagnucolò con
voce risentita, tirando
su con il naso, come se si fosse appena profuso in un lungo pianto.
“Deve essere da Sega, Seghetto, Seghobbit”.
Hunter
si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, pur tornando a
sostenerlo, per evitare che si spalmasse contro il muro di una delle
case circostanti. “Ti scarico a letto e torno al pub, sempre
che
non mi abbiano licenziato nel frattempo”, aggiunse tra
sé. In
realtà una parte di sé cominciava seriamente a
sperarlo.
“Solo
le zoccole scappano prima che sia giorno: come me”,
s’indicò e
riprese a ridere.
Sospirò
per l'ennesima volta, Hunter. “Vieni qua,
zoccoletta”.
“Sono
la tua sporcacciona”.
Alzò gli occhi al cielo,
Hunter, ma riuscì ad afferrarlo nuovamente e trascinarlo
fino
all'ingresso. Studiò con aria clinica la serratura e
cominciò a
cercare tra il mazzo di chiavi, imprecando di fronte all'esagerata
quantità: “Sono le chiavi di tutti gli amanti
dell'ultimo mese?”,
gli abbaiò contro.
“Kuuuuurt”, riprese a
lagnare, Sebastian, appoggiando il capo contro l'uscio e bussando.
“Fossi in lui cambierei
serratura”, borbottò l'altro, sistemandosi meglio
gli occhiali e
provando ad inserire la terza chiave.
Fu in quel momento che
l'uscio si schiuse e Kurt apparve in vestaglia: evidentemente
risvegliatosi, aveva gli occhi ancora gonfi di sonno e i capelli
scarmigliati.
“Kurt!”, si rianimò,
Sebastian, che barcollò verso di lui con le braccia tese.
Inarcò le sopracciglia,
Kurt, quando si appiattì contro la porta, continuando ad
invocare il
suo nome.
“Tu devi essere Kurt”,
commentò il barista con aria ironica, osservando Sebastian
che stava
ancora cercando di avvicinarsi all'altro, senza accorgersi che il
proprio piede era d’ostacolo all'apertura totale della porta.
“Hunter Clarington, piacere”, allungò la
mano e gli porse il
mazzo di chiavi.
“Mi inquieta che uno
dei suoi amanti conosca il mio nome”, lo
accolse Kurt con le sopracciglia inarcate e l'aria tacita di
rimprovero per aver tratto vantaggio da un ragazzo sbronzo.
“Ma sei
anche il primo che almeno lo riporta a casa”, aggiunse a mo'
di
concessione.
“Io
non sono gay!”, sbottò Hunter, le guance colorate.
“E
probabilmente da stasera non sarò più neppure un
barista per colpa
sua”, fu la scandalizzata replica,
prima che Sebastian
trovasse il Kurt giusto per affondare contro la sua spalla,
continuando a ripeterne il nome, come fosse indispensabile per
sentirsi nuovamente in pace con se stesso.
Sospirò
quest'ultimo, quasi schiacciato contro il suo peso morto, le labbra
contratte in una smorfia per l'odore che emanava, tutt'altro che
piacevole. Si rivolse all'altro: “Ti
dispiacerebbe
aiutarmi?”.
Lo condussero alla sua
camera e Sebastian si gettò sul proprio letto, abbracciando
il
cuscino e restando immobile, probabilmente dopo aver perso nuovamente
i sensi.
“Posso offrirti un
caffè?”, chiese
Kurt con insolita
dimestichezza, considerando le circostanze tutt'altro che usuali
nelle quali si erano trovati invischiati.
“No, grazie”, ribatté
il barista che pareva ansioso di uscire. “Non vederlo fino a
domani
sarà già una ricompensa”, aggiunse con
un sorriso ironico.
Ne ricambiò il sorriso,
Kurt. “Beh, grazie ancora, Hunter: sei stato molto
gentile”,
l'aveva accompagnato all'ingresso, trattenendo i lembi della
vestaglia con la mano.
“Non ti conosco, ma da
quel poco che so di Sebastian o sei un santo-”.
“Sto rivalutando la mia
immagine”, ribatté Kurt vagamente divertito.
Non ne ricambiò il
sorriso, Hunter, ma lo scrutò con espressione pensierosa, le
sopracciglia inarcate e le braccia incrociate al petto: “O
sai ciò
che prova davvero per te”.
Parve senza parole, Kurt.
Doveva essere particolarmente shockante essere giudicato da una
persona estranea che, tuttavia, sembrava conoscere molto di
sé.
Distolse lo sguardo, le
guance più rosate, ma l'espressione rigida nel fissare la
camera in
cui avevano abbandonato il ragazzo ubriaco.
Hunter si affrettò a
sollevare le mani, con atteggiamento neutrale, dopo aver occhieggiato
una sua foto con Blaine, affissa alla parete. “A proposito,
auguri
per il fidanzamento”, aggiunse in tono gentile.
Si sforzò di sorridere
con la stessa naturalezza, Kurt. “Grazie e...
Hunter?”.
“Sì?”, ancora sulla
soglia, si era voltato ad osservarlo, con aria colma
d’aspettativa.
Probabilmente
sperava in un ulteriore e accorato ringraziamento, magari persino la
proposta di rimborsargli il disturbo, le bibite che Sebastian aveva
bevuto a scrocco (con tanto di mancia per la sua sopportazione
storica), o una confessione con cui avrebbe potuto ricattare
Sebastian a vita.
“Per esperienza
personale: negare di essere gay non aiuta, specie con una canottiera
del genere”, la indicò con un cenno del mento e
scosse il capo. Un
ultimo sorriso di ringraziamento e aveva chiuso l'uscio di fronte ad
uno shockato barista.
“Io
non sono gay!”, sbottò di nuovo contro la porta,
prima di scuotere
il capo e abbandonare le braccia lungo i fianchi.
Per
quella sera aveva decisamente sopportato fin troppo.
~
Non seppe quanto tempo
fosse passato, Sebastian, prima che l'odore di vaniglia lo inducesse
a schiudere gli occhi. Era ancora tutto buio, ma riusciva a scorgere
il volto di Kurt, mentre lo girava per poi rimboccargli le coperte,
dopo avergli tolto le scarpe.
“Kurt”, sussurrò con
voce più rauca e, con un gesto impacciato, lo attrasse a
sé,
trascinandoselo addosso e affondando il viso contro il suo collo.
“Sebastian”, lo sentì
agitarsi, in evidente imbarazzo. “Lasciami”.
Ignorò quei tentativi di
dimenarsi e continuò a stringerlo: “Non
andare”, sussurrò nel
primo barlume di lucidità, sfiorandone la gota e godendo
della sua
pelle fresca e soffice, profumata e pura.
Lo sguardo di smeraldo
era striato di un velo di lacrime che non avrebbe mai versato di
fronte a lui.
“Puzzi e
sono ancora
arrabbiato con te”, lo rimproverò Kurt, ma
evitandone lo sguardo, quasi volesse continuare a crogiolarsi del
proprio risentimento, piuttosto che appurarne il turbamento.
“Odio”,
bofonchiò
Sebastian, “Odio quando ti allontani”.
Lo strinse
più
intensamente, quasi disperato, cercando l'anfratto del suo collo,
dove il suo profumo era persino più intenso e delicato.
Serrò gli
occhi e desiderò nascondersi in quell'angolo di beatitudine,
allontanando il resto del mondo.
“Sebastian”,
c'era
una nota impaziente e seccata nella sua voce.
“Non
andartene, mi
dispiace, non andartene!”. Pareva
quasi rauco
e sentiva le lacrime pungergli gli occhi, ma nascose maggiormente il
viso contro il suo collo, aggrappandosi con le mani alla sua
vestaglia, quasi timoroso che gli sgusciasse dalle braccia.
Sospirò,
Kurt, scostandosi appena per osservarlo e un sorriso intenerito ne
increspò le labbra, malgrado tutto. Come ogni volta che
aveva la
sensazione di poter entrare in contatto con la parte più
sincera di
Sebastian, nascosta sotto strati e strati di sarcasmo.
“Sbronza
triste?”,
domandò in tono quasi divertito, suo malgrado.
“Kurt”, lo richiamò
ancora, quasi fosse vitale pronunciarlo, sentirne la presenza.
E le ultime muraglie di
Kurt parvero infrangersi, tutto ciò che si erano gridati
addosso
quella mattina, il risentimento e la rabbia trattenuti in quelle
settimane, quel silenzio e quella formalità vuota con cui si
erano
rivolti l'un l'altro. Lo rimirò con nuova tenerezza.
Sentì la sua mano
affondare contro i propri capelli, Sebastian, e sorrise.
“Stai qui”, sussurrò
in tono implorante.
Le dita di Kurt ne
sfiorarono il viso, in una lenta carezza, quasi suo malgrado, in quel
momento, non riuscisse a scostarsi da
lui.
Quasi disperando, pur nel delirio della sbronza, di riuscire a
coglierne i reali pensieri e poterlo trattenere a sé.
“Shhhh, ora dormi”.
Lo avrebbe fatto, se
fosse rimasto. Continuò a stringerlo, socchiuse gli occhi al
suo
tocco sul viso, lasciandosi cullare in quell'ondata di vaniglia e nel
soffice calore della sua pelle.
“Sono qui”, lo sentì
dire, con voce melodiosa.
Si rilassò soltanto
quando fu Kurt a cingerlo, affondando il viso contro la sua spalla,
così che potessero perfettamente incastrarsi l'uno contro
l'altro,
come non avessero fatto altro fino a quel momento. Come se, a
dispetto di loro stessi e del mondo esterno, si appartenessero, anche
quando le parole e le loro azioni sembravano convergere in direzioni
opposte.
Quasi fosse quello il
motivo per cui non si sarebbe allontanato da lui, non prima di aver
detto “sì” a Blaine.
“Sono qui”, lo sentì
sussurrare di nuovo.
Sebastian cadde
addormentato, il sorriso finalmente sereno.
To
be continued...
Niente come un
temporale
in corso, ispira meglio l'ultima revisione di questo capitolo. Spero
di essermi fatta perdonare l'angst con i siparietti Huntbastian,
personalmente questi sono stati tra i miei preferiti tra quelli
proposti finora.
Soprattutto
laddove la
presenza di Kurt è così esigua, ma era necessario
che si superasse
lo stallo del precedente capitolo, ma ancora dovranno affrontare
molto altro, quindi spero che continuerete a seguirmi :D
Non mi
stancherò mai di
ringraziare tutti coloro che seguono gli aggiornamenti, soprattutto
chi mi dedica sempre il suo tempo condividendo i propri pensieri,
osservazioni e, perché no?, anche qualche protesta :P
Ma diamo
un'occhiata al
prossimo capitolo:
“Stai
davvero cercando di far passare la tua idea come qualcosa di
normale?”.
“Sembravano
molto diversi i tuoi” “Lo erano: lei elegante e
sognatrice, lui
burbero e grossolano, ma erano anime gemelle”.
“Con
tutto rispetto, signor Anderson, non credo che lei possa definirsi un
esperto”.
“Hai
finito?” “Non so, se mi gettassi dal ponte di
Brooklyn forse
riusciresti ad allontanare Kurt da Blaine per cinque minuti”.
Non mi resta che
augurarvi buon weekend ma anche buona ripresa delle lezioni
scolastiche/universitarie :)
Un abbraccio a
tutti :)
Kiki87
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
7
Il tramonto, chiudo
gli
occhi.
Fingo che vada
tutto bene.
Affogando
nella rabbia per
tutte queste bugie.
Non posso
fingere che vada
tutto bene.
Per favore,
non farmi
cadere per sempre.
Puoi dirmi che
è finita?
Mi affido a
te, non ti
lascerò mai andare.
Ho bisogno di
averti con
me, mentre entro nelle ombre.
Preso
dall’oscurità,
cammino cieco.
Ma puoi
aiutarmi a trovare
un’uscita?
Nessuno mi
sente, il
silenzio mi fa soffrire.
Puoi dirmi
adesso che è
finita ?
(Shadows - Red)
Settembre
(meno sei mesi al
matrimonio)
Capitolo
7
Quando
schiuse gli occhi, molte ore dopo, sentì un dolore
lancinante
trapassargli le tempie. Emise un mugugno e desiderò soltanto
poter
morire o annullare tutto il resto. Ci sarebbe stato tempo per
ricordare (ma forse era meglio di no) tutto ciò che era
accaduto la
sera precedente, ma poté subito appurare che la sensazione
dominante
(a parte la nausea) non era quel vuoto interiore che aveva provato
nell'ultimo mese.
Fu
quando sentì il materasso piegarsi sotto ad un altro peso e
il
profumo di vaniglia espandersi che cercò di fuoriuscire da
quel
torpore. Coraggiosamente, schiuse gli occhi per scorgere il profilo
familiare di Kurt, avvolto nella vestaglia e coi capelli umidi,
evidentemente reduce di una doccia.
Fu
la più dolce conferma che tutto sarebbe andato bene, in un
modo o
nell'altro e a quell'ora del mattino, in cui persino da sobrio
ricordare il suo nome di battesimo era ardua impresa, nulla poteva
essere più auspicabile.
Il
suo coinquilino gli sorrideva con la tipica supponenza di chi
abituato a dire: « Te lo avevo detto », ma si
limitò a porgergli
un vassoio con una buona colazione e un bicchiere d'aspirina. Era
persino più premuroso del solito: sbronzarsi sembrava avere
qualche
effetto benefico nelle sue relazioni sociali (quelle che contavano)
dopotutto.
“Dubito
sia un buongiorno, vero?”, gli chiese Kurt con un sospiro,
premunendosi di mantenere la voce ad un livello di decibel
desiderabile.
Sentì
un sorriso increspargli le labbra, mentre si sollevava con il torso
per osservarlo ad una minore distanza. “Oh, lo è
invece: sei nudo
e seduto sul mio letto con la colazione per me, come una brava moglie
devota”, sussurrò in tono più languido.
Roteò
gli occhi, Kurt. “Che potrebbe cantare Memory
interamente in falsetto ”.
Emise
una smorfia al solo pensiero e socchiuse gli occhi, cercando di
ignorare gli spiacevoli movimenti dello stomaco, appoggiandosi alla
testiera del letto con aria esausta.
“Mi
prometti che ti controllerai maggiormente?”, lo
incalzò Kurt con
tono preoccupato. “O devo chiedere a quel povero barista di
chiamarmi, quando bevi troppo?”.
Allora
non era stato un incubo quello del dottorino che lo riportava a casa
e approfittava del suo pessimo stato fisico per assestargli due
scappellotti. Ovviamente l'avrebbe pagata cara.
“Non
devi preoccuparti”, recuperò la sua aria
più suadente per
osservarlo con una buona dose di malizia che ne fece scintillare le
iridi smeraldine. “Anche se lo trovo eccitante”.
Kurt
sollevò gli occhi al cielo, ma si drizzò, come se
per quel mattino
avesse adempiuto ai suoi doveri del buon coinquilino. “Devo
andare
al lavoro”.
“Kurt”,
lo richiamò, prima che potesse valicare la soglia della
porta.
Si
fermò e si voltò, il viso inclinato di un lato e
l'espressione
interrogativa.
C'erano
tante cose che Sebastian avrebbe potuto dirgli: un « mi
dispiace »
per le riviste e il ricordo della madre, inevitabilmente compromesso,
seppur non fosse mai stata sua intenzione.
Un
« grazie » per tutto ciò che si
prodigava a fare ogni giorno
per lui. O un semplice « non andare » che il giorno
prima, nel
mezzo del delirio, era stato tanto semplice pronunciare. O ribadire
un « non farlo » , come alla prima sbronza dopo la
notizia del
fidanzamento.
Lo
osservò soltanto, il respiro più pesante e le
immagini del loro
anno insieme che si accavallavano a quelle degli ultimi mesi,
alternando i momenti più struggenti a quelli più
speciali.
“Stai
bene?”, chiese Kurt, le sopracciglia inarcate in evidente
attesa.
Scosse
il capo, dopo un lungo istante, cercando un pretesto qualsiasi.
“Rientrerai
a cena, stasera?”.
Parve
sorpreso dalla domanda, ma un sorriso più ironico apparve
sulle
labbra nello scrutarlo come se quell'ultima sbronza avesse effetti
duraturi sulla sua tipica condotta. “Hai intenzione di
cucinare?”.
Emise
un verso d’ironico divertimento. “Potrei ordinare
qualcosa”.
Sorrise,
Kurt, quasi altrettanto divertito prima che un pensiero ne facesse
balenare lo sguardo ed assumere un'aria mortificata: “Oh, io
e
Blaine dovremmo-”.
Si
scurì in volto, ma scrollò le spalle, prima che
potesse terminare
la frase: “Sarà per un'altra volta”, lo
rassicurò con l'aria di
chi voleva soltanto porre fine a quell'imbarazzante momento, a quello
sciocco pretesto che aveva trovato per dissimulare nuovamente le sue
emozioni.
“Ci
sentiamo”, gli sorrise con quella curvatura più
dolce delle
labbra. “Chiamami, se hai bisogno di qualcosa”,
aggiunse con un
cenno della mano.
Ma
Sebastian già lo sentì lontano, prima ancora che
lo vedesse far
capolino nella sua camera per vestirsi. Prima ancora che uscisse dal
loft.
Si
lasciò cadere sul materasso.
Si
era promesso di non ferirlo più e di cercare di proteggerlo
persino
nell'azione più ignobile che avrebbe compiuto alle sue
spalle, con
la presunzione che il fine avrebbe giustificato i mezzi.
Ma
il tempo scorreva fin troppo rapidamente e non stava compiendo alcun
progresso e una parte di sé cominciava a temere di aver
perso la
battaglia fin dall'inizio e per la mancanza di una reale convinzione.
~
Ottobre
(meno cinque mesi
al
matrimonio)
Era
incredibile come un mese tanto anonimo potesse scorrere così
rapidamente: seppur mancassero ancora quattro settimane al
Ringraziamento, già sentiva l'incombenza del Natale, della
fine di
quell'anno disastroso e l'inizio di un altro che avrebbe annunciato
la più grande catastrofe dell'umanità.
I
giorni si susseguivano gli uni agli altri in una lunga fase
d’impasse
che trovava intollerabile: seppur fosse stato lieto che lui e Kurt
fossero riusciti a ristabilire una convivenza pacifica, era come se
il giovane fosse completamente risucchiato nel suo universo, dalla
frequentazione della Nyada, alle ore di tirocinio e di lavoro in
caffetteria. Come ciò non bastasse, il suo “tempo
libero” lo
trascorreva disegnando modelli per Isabelle Wright e/o occupandosi
dell'organizzazione del matrimonio. Si domandava fin troppo spesso
che fine avesse fatto la proverbiale isteria di Kurt, conseguenza
della sua smania di controllo. A parte il fatto che apparisse spesso
con occhiaie visibili e persino più magro, non sembrava
esservi
nulla d’insolito.
Ostentava
persino uno stato di serenità che gettava Sebastian nello
sconforto
più totale nel capire che, di fatto, era come se
già la loro
convivenza fosse finita da che, anche quando presente fisicamente, il
ragazzo sembrava distante. E neppure sembrava rendersene conto.
Gli
aveva persino raccontato entusiasticamente, mentre riordinava
convulsamente la scrivania prima di uscire, del progetto del prossimo
Ringraziamento: una cena a casa Anderson con il clan Hummel-Hudson
per festeggiare i fidanzati.
L'unico
modo in cui quella ricorrenza (assai inutile) avrebbe potuto
giovargli, quell'anno, sarebbe stato quello di ricevere una notizia
d’annullamento, magari proprio in seguito a quella cena
familiare,
sperando che Mr Hummel recuperasse il senno e costringesse il figlio
a realizzare in quale dannato guaio si stesse cacciando.
Ma,
dopotutto, se era il Natale il periodo dei
“miracoli” (e solo con
una sbronza poteva cedere all'illusione), era il momento di aiutare
il fato affinché il suo piano si realizzasse.
Controllò
l'orologio e sorrise alla vista del giovane in tenuta sportiva
(canottiera e pantaloncini corti) malgrado il vento e il gelo che
stava attanagliando New York come promessa di un rigido inverno.
Inarcò
le sopracciglia, Hunter, alla vista del suo abbigliamento che
contemplava un paio di jeans nuovi e un lungo cappotto.
“Non
dovevamo andare a correre?”, chiese con aria evidentemente
perplessa, le mani sui fianchi.
“A
volte sembra quasi che tu non mi conosca”, scosse il capo con
aria
stoica, Sebastian. “Ho mentito al telefono: mi
servi”.
“E
perché non-”. Non finì la domanda: un
lampo di comprensione ne
fece sgranare gli occhi. “Oh,
no!”,
lo
additò con aria sconvolta. “Di
qualunque cosa si tratti, la risposta è no: ti saluto,
andrò a
correre da solo”.
Sollevò
gli occhi al cielo, Sebastian: “Aspetta di sentire il mio
piano
geniale, almeno”, indicò il loft alle loro spalle.
“E'
un covo segreto di disadattati a cui chiederai di occuparsi di
Blaine, in cambio di soldi per le anfetamine? Perché non
posso farmi
espellere per aver rubato dalla farmacia universitaria per i tuoi
intenti”.
Simulò
un'espressione shockata, Sebastian. Però, in ultima istanza,
correggere il caffè di quello schifoso barboncino umano con
un
cocktail di medicinali non era un'idea da scartare a priori.
Scosse
il capo. Troppo banale.
“No,
idiota, è la casa dei due piccioncini, ma al momento ci vive
solo
Mezza SegAnderson”.
Incrociò
le braccia al petto, Hunter Clarington, l'aria di chi già si
stava
pentendo di aver risposto al telefono quel mattino. O di non aver
cambiato numero, domicilio ed identità. “E me lo
stai dicendo
perché...?”.
Lo fissò con aria clinica, già immaginando
nefaste conseguenze.
“Che
ne diresti di dare un'occhiatina in giro?”,
domandò con un sorriso
accattivante. “Scommetto che ha un cassetto di stupidi
papillon”.
Il
cipiglio sulla fronte del barista parve persino più esteso.
“Il
feticismo è un nuovo sintomo della tua dipendenza
dall'alcool?
Preferisco quando vaneggi, la maggior parte delle volte
almeno”, le
sue labbra si contorsero al ricordo dell'ultima storica sbronza che
aveva ridotto ai minimi storici le sue possibilità di
successo con
la nuova ballerina del Penguin Pub.
“Quante
storie, voglio solo controllare che non abbia altri amanti”,
sospirò Sebastian, improvvisando uno sguardo più
contrito e
preoccupato, persino concentrandosi affinché il suo sguardo
apparisse più lucido.
Sollevò
gli occhi al cielo, Hunter: “Stai davvero cercando di far
passare
la tua idea per qualcosa di normale?”,
gli chiese con aria evidentemente esasperata per la sua cinica e
distorta visione del mondo e delle relazioni sociali. Dimostrando,
inoltre, di conoscerlo abbastanza da sapere che non si sarebbe
lasciato andare alla commozione di fronte a lui.
“Bene,
resta qui fuori: Mezza SegAnderson è a lezione, se lo vedi,
fammi
uno squillo”.
“Sebastian”,
si avvicinò all'altro con aria sgomenta, quando
realizzò che stava
davvero
per entrare nel locale. “E'
un'effrazione!”,
sibilò,
guardandosi nervosamente attorno.
“Tecnicamente
no”, mostrò le chiavi con un sorriso soddisfatto.
“L'agente
immobiliare crede che io sia il fidanzato. Davvero una bella idea
quella di accompagnare Kurt a visitare gli appartamenti. Mi
è
bastato inventare uno scippo tragico della mia valigia, mentre il mio
fidanzato è all'estero”.
Sembrò
senza parole, Hunter, suo malgrado colpito dalla lucidità
del piano.
Ma ancora non convinto, le sopracciglia inarcate: “Cosa mi
nascondi? Anzi, no, non voglio saperlo”, sollevò
le mani con aria
pragmatica. “Se ci arresteranno, sembrerò meno
colpevole, se non
so davvero nulla”.
Sollevò
gli occhi al cielo, Sebastian: “Bene, buona guardia. Fai un
po' di
stretching: sarai più credibile”. Si volse,
insinuando la chiave
nella toppa.
Gemette,
il barista, le mani tra i capelli.
“Sebastian!”,
boccheggiò. “Non lo starai facendo seriamente?!”.
Lo
ignorò, un'occhiata casuale in giro e schiuse la porta per
inoltrarsi con aria tranquilla e sinceramente incuriosita all'interno
del loft.
~
Maledettissimo
Sebastian.
Come aveva potuto essere
così incredibilmente stupido e ingenuo? Avrebbe dovuto
capire, fin
dall'intonazione troppo gagliarda di quel mattino, che stava tramando
qualcosa.
Soltanto in caso di
promessa di un rave party con tanto d’orge come premio,
sarebbe
stato capace di proporgli coscientemente qualche ora di jogging.
Fissò la porta chiusa
con la fronte imperlata di sudore, per poi guardarsi nervosamente
attorno: persino i cani che passeggiavano con i loro padroni
sembravano fiutarlo con aria circospetta, evidentemente riconoscendo
un odore estraneo. O forse riuscivano a percepire la paura di essere
colto sul fatto?
Forse dopotutto fare
qualche esercizio di riscaldamento poteva essere una buona idea. Un
modo di apparire perfettamente normale e poter distendere i nervi,
nell'attesa che quell'idiota mostrasse nuovamente la faccia.
Decisamente molto meglio,
constatò tra sé e sé, già
sentendo i benefici di qualche
esercizio.
Nessuno avrebbe
sospettato di un amante dello jogging. Non che ciò
giustificasse
quello stronzo.
Gettò un'occhiata
speranzosa alla porta d'ingresso e si apprestò ad allungarsi
con il
busto verso le punte dei piedi.
Quasi trasalì, quando
scorse un viso femminile a pochi centimetri di distanza, mentre in
ginocchio recuperava il suo mazzo di chiavi, reso incredibilmente
pesante dalle chincaglierie con cui era stato ornato.
“Brittany!”,
esclamò, la voce strozzata prima di prendere un respiro
profondo.
Inclinò il viso di un lato, improvvisando la sua migliore
espressione flirtante, dopo essersi rimesso in posizione eretta. Si
schiarì la gola così che la sua voce apparisse
più profonda e
suadente. “Ciao, che bella sorpresa”.
Aveva creduto che il
tempo gli avrebbe fatto smarrire rapidamente il ricordo di quel bel
paio di gambe, quegli occhioni azzurri e quell'espressione infantile.
Ormai rassegnato alla pessima reputazione che si era costruito per
grazia di Sebastian, aveva accettato quasi con sollievo il
licenziamento del mese precedente, per aver abbandonato il suo posto
di lavoro per riaccompagnare l'ubriacone a casa. Aveva quindi
lasciato l'incarico a Stillman che era stato coinvolto in una rissa
da bar (ancora era da chiarirsi come fosse
accaduto,
considerando la sua esile stazza, rispetto a quella del buttafuori
intervenuto in sua difesa) che aveva causato non pochi danni al
locale e fatto infuriare il proprietario. Non avendolo mai avuto in
particolare simpatia (come non aveva mancato di dirgli
esplicitamente) lo aveva identificato come responsabile principale e
accusato di negligenza.
Fino a quando una buona
parte dello staff (doveva ancora capire che cosa stesse tramando
Santana Lopez le cui espressioni erano diaboliche quanto quelle di
Sebastian) non aveva protestato e preteso la sua riassunzione,
minacciando persino rassegnazioni di dimissioni collettive. Il suo
cuore si era fermato in petto, quando la latina aveva commentato che
anche la biondina si era risentita della sua mancanza e dell'assenza
degli ombrellini rosa che le elargiva generosamente nei suoi frullati
di fragola.
Ancora più soddisfacente
era stato vederla venirgli incontro e saltargli al collo al suo
ritorno dietro il bancone, prima che Sebastian palesasse la sua
presenza, mandando alle ortiche ogni possibilità di nuovo
approccio.
Tanto più che la giovane si premuniva di allontanarsi, alla
vista di
Ciuffo Disney, con aria complice.
Anche Brittany sembrava
lieta di quel fortuito incontro e soltanto in quel momento
notò
l'abnorme felino che teneva sollevato e che socchiudeva pigramente
gli occhi al tocco della sua mano. Aveva un'aria parecchio
imbronciata e si domandò distrattamente come riuscisse a
tenere tra
le braccia qualcosa il cui peso sembrava superare la metà
del
proprio.
“Ciao, Hunter”, ne
ricambiò il sorriso e ne baciò affettuosamente la
guancia (e il
cervello del ragazzo si spense per un lungo istante) per poi sgranare
gli occhi azzurri con aria sorpresa. “Abiti qua?”,
indicò il
loft alle sue spalle.
“Eh? Oh, no, no”, si
affrettò a distogliere lo sguardo dalla porta, quasi
timoroso che il
solo osservarla potesse compromettere il suo alibi. “Sto
aspettando
Sebastian, ci siamo dati appuntamento qui”.
“Oh”, sorrise persino
più allegramente. “Certo, andate a fare una
passeggiata
romantica?”, chiese con tono più complice,
ammiccandogli con aria
confidenziale.
Sbatté le palpebre,
Hunter, sentendo uno sgradevole calore salirgli lungo il volto ed
ebbe la conferma che la giovane era ancora seriamente convinta che
avesse stretto una relazione con l'altro ragazzo.
Scosse il capo e si
grattò la nuca, quasi a stimolare le sue sinapsi per trovare
una
valida giustificazione.
Sorrise con aria
impacciata. “Temo che ci sia stato un equivoco”,
esordì con la
stessa cautela con cui avrebbe illustrato alla professoressa
più
intransigente tutti i meccanismi alla base dell'omeostasi, per
dimostrarle una buona preparazione in merito.
“Siete una bellissima
coppia”, cantilenò ancora, Brittany, senza neppure
ascoltarlo.
“Io
non sono gay!”, si sentì dire con voce strozzata.
“E poi
Sebastian è innamorato di qualcun altro, te lo
assicuro”.
“Oh”, lo scrutò con
aria mortificata e Hunter notò come esprimeva le sue
emozioni con
una semplice sillaba, accompagnandola ad un'espressione di
compiacimento o di rammarico, a seconda del contesto. “Mi
dispiace
molto”, e lo sembrava realmente, elemento che rendeva quella
bizzarra conversazione ancora più esasperante. “Ma
sono sicura che
anche tu troverai qualcuno”.
Difficile capire se si
stesse riferendo ad un uomo o una donna, ma probabilmente non era il
momento consono per indagare. Avrebbe soltanto dovuto evitare
Sebastian nel prossimo secolo, il più possibile in sua
presenza.
Meglio svicolare.
“E tu?”, le domandò
con un sorriso. “Abiti da queste parti?”.
“No, no”, scosse il
capo, facendo ondeggiare i capelli sciolti. “Devo portare il
mio
gatto dal veterinario: saluta Lord Tubbington”.
Aveva allungato la mano
verso il micione per poi ritrarla con uno scatto fulmineo, quando
quest'ultimo soffiò minacciosamente e sguainò gli
artigli dove
pochi secondi prima vi era il suo volto proteso.
Trasalì, Brittany, che
prese a cullarlo come una madre con un bambino in preda ai capricci
dopo il risveglio. “Scusalo”, gli rivolse uno
sguardo contrito.
“E' sempre nervoso, quando inizia la nuova dieta, specie da
quando
ha smesso di fumare”, aggiunse in un sussurro, quasi
preoccupata
che il gatto potesse capire che stavano parlando di lui. E in termini
poco lusinghieri.
Sbatté le palpebre,
Hunter, indeciso se ridere di fronte a quella battuta (?), per poi
optare per una dignitosa accondiscendenza. “Certo, non
è facile
liberarsi dei vizi”, roteò gli occhi pensando a
qualcun altro.
“Non fare
l'antipatico”, si rivolse di nuovo al micio.
“Hunter è sempre
gentile con me, te l'ho detto”.
“Gli hai parlato di
me?”, si vergognò lui stesso di quel tono
speranzoso e dovette
ringraziare che Sebastian e Santana Lopez non fossero a tiro
d'orecchio. Si schiarì la gola, improvvisando nuovamente
quel
sorriso più sicuro di sé. “Sono
lusingato”.
“Oh, io gli parlo
sempre di tutti, specialmente i miei amici”,
sembrò sminuire con
uno scrollo di spalle, neppure rendendosi conto di quanto quella
precisazione potesse risultare offensiva. Con un'ingenuità
che ben
si combinava alla sincerità sfacciata di un bambino e a quei
lineamenti angelici.
Friendzonato. Di nuovo. E
in modo anche pesante.
“Spero non sia geloso,
quando esci con qualcuno”, si sentì dire, cercando
di trarre
vantaggio da quello spirito d’iniziativa. “Magari
potremmo-”.
“Ha già perso due
etti, ti faccio vedere le foto dello scorso mese: secondo il
veterinario sarebbe dovuto morire almeno tre anni fa”,
spiegò in
tono allegro.
“Ti dispiace tenerlo un
attimo?”, gli mise il gatto tra le braccia, prima che potesse
sbattere le palpebre e prese a cercare convulsamente il telefono.
“Ma
dove l'ho messo?”.
Osservò il felino che
aveva gonfiato il pelo e ne schivò per un soffio l'ennesimo
attacco,
tenendolo ad una distanza di sicurezza dal volto, mentre Brittany
continuava a cercare.
Sorrise con aria
trionfante nell'estrarre un mini-album che cominciò a
sfogliare,
compiacendosi di fotografie nel quale il gatto alternava
un'espressione stizzita (somigliava ad una versione tigrata del
famigerato grumphy cat) ad una da suicida, specie
in quella
nella quale sembrava rimirare mestamente il paesaggio, appoggiato
alla finestra della camera.
In pochi istanti, si ritrovò completamente sommerso nel
fiume di
parole che la ragazza lasciò sgorgare nel raccontare
l'ennesimo
aneddoto, il tutto mentre era costretto ad evitare gli artigli e
alternare sorrisi e frequenti cenni con il capo perché
capisse che
la stava ascoltando.
Distolse appena lo
sguardo, quando scorse una figura familiare e le labbra si
contrassero in una smorfia incredula, mentre il suo respiro
rallentava e il puro panico n’annebbiava la mente.
La sagoma che aveva
scorto in lontananza stava assumendo una fisionomia sempre
più
familiare e fu con sgomento che si accorse che si trattava proprio
dell'ultima persona che avrebbe voluto scorgere in quel momento (e
considerando la pessima performance da corteggiatore ancora
miserabilmente in atto, era tutto un dire).
“Oh, no”, gemette con
aria sofferta.
“Infatti!”, annuì
Brittany, sorridendogli con aria compiaciuta. “E' quello che
ho
detto anche io: non potevo credere che il mio Tubby avesse-”.
Il suo cicalare si spense
in un angolo remoto della sua mente, quando i lineamenti di Blaine
Anderson parvero più nitidi. La stessa espressione allegra
che
esibiva nella fotografia che aveva visto nel loft di Sebastian e di
Kurt.
Sebastian che era ancora
chiuso nella casa alle loro spalle a fare chissà
cosa.
Avrebbe voluto estrarre
il cellulare per contattarlo, un peccato che quel gatto malefico gli
avesse appena piantato le unghie nell'avambraccio, cercando di
scorticarlo, probabilmente premunendosi di rintracciare una vena con
accuratezza chirurgica.
“Ed ecco la mia foto
preferita!”, esultò Brittany, allungando l'album
l'ennesima volta
verso il suo volto.
“Brittany”, gemette e
cercò di ricacciare le lacrime di dolore, tendendole il
gatto che si
abbarbicò sulla spalla della padrona con un miagolio
placido.
“Scusami ma adesso non ho davvero tempo”,
sancì con tono deciso.
Friendzonamenti a parte,
Brittany Pierce doveva cominciare a vedere in lui una persona degna
di rispetto e non soltanto un comune conoscente, utile per qualche
drink con ombrellino rosa annesso o un amante dei gatti a cui
raccontare la biografia del proprio adorato piccolo mostro.
Se ne pentì subito dopo.
Sembrò averla schiaffeggiata: la giovane
boccheggiò, gli occhi
azzurri erano sgranati, persino lucidi per la mortificazione e il
viso pallido.
L'attimo dopo serrò le
labbra in un'espressione che fin troppo spesso Hunter aveva colto sul
viso di una donna, seppur, in questo caso, il broncio aveva molto di
teatralmente infantile.
“Scusa se ti ho
disturbato”, pronunciò con voce insolitamente
seria e formale che
tanto stonava con il suo timbro naturale, molto più
tintinnante e
vezzoso.
“Lo capisco, sai, quando non sono gradita”.
Sentì il cuore fermarsi,
Hunter e la mascella rischiò di slogarsi per come schiuse la
bocca
con aria incredula. Deglutì a fatica. “Non
è assolutamente così,
Brittany”, annaspò, cercando di trattenerla.
“Anzi, è da quando
sei venuta a lavorare che-”.
“Credevo fossi
diverso!”, lo additò con aria altrettanto grave,
la voce che
diveniva più stridula e autoritaria.
Un ultimo sguardo tra il
deluso, il risentito e l'offeso e si volse, prendendo a camminare
impettita (malgrado il tacco le si fosse impigliato in un tombino e
avesse dovuto strattonare la gamba per liberarsi), la borsa che le
pendeva di un fianco. E il felino che pareva osservarlo, da sopra la
sua spalla, con aria soddisfatta.
Merda.
~
Aveva lasciato che lo
sguardo verde vagasse sugli arredi e fu facile riconoscere l'orrido
gusto di Kurt: dai colori in tinta unita per le tende, di una
sfumatura pastello non troppo invadente, fino alla proverbiale e
pessima scelta delle suppellettili (dai quadri appesi alle pareti
fino alla lampada dalla forma non ben identificata sulla scrivania).
Era come entrare in un
reparto della mente di Kurt che gli era stato volontariamente
precluso. Un pensiero che gli fece aggrottare le sopracciglia, ma si
costrinse a riscuotersi.
Aveva dedicato
un'occhiata distratta alla cucina e aveva presto abbandonato il
salotto: tutte le foto che lo ritraevano con Blaine (persino
dell'Accademia che avevano frequentato insieme, il luogo dove si
erano conosciuti) gli avevano solo fatto accrescere l'insofferenza.
Nulla di rilevante. Non
vi erano molti oggetti di Kurt e ciò lo fece rilassare:
dopotutto il
centro della sua quotidianità era il loro loft. In
quell'ambiente
sembrava essere solo un ospite arredatore.
Scrutò il letto a
baldacchino con le sopracciglia inarcate: un'altra romantica fantasia
di Kurt, probabilmente indotta dai film in costume per cui aveva una
(non tanto) segreta passione. Tanto per non pensare alle notti in cui
si coricavano insieme in quella stanza, si avvicinò al
comodino
accanto al letto e ne aprì i cassetti.
Emise un verso gutturale
tra il divertito e l'esasperato, quando scorse un intero reparto
dedicato ai papillon. Sollevò gli occhi al cielo,
prendendone alcuni
con aria disgustata, fino a quando non scorse un cofanetto blu che
gli fece fermare il cuore in petto.
Lo sollevò e, con un
gesto brusco, lo schiuse a rivelare l'anello nuziale.
Aggrottò le
sopracciglia, quasi deluso: un banale striscia dorata. Lo
sollevò
per rimirarne l'incisione: courage.
“Bel coraggio a
sposarti, Mezza SegAnderson”, commentò tra
sé e sé.
Studiò ancora l'anello,
le sopracciglia aggrottate di fronte all'ulteriore prova che, pur
avendo avuto una relazione per anni, non lo conoscesse davvero. Non
in ciò che era davvero importante.
La vista del temporale
lo aveva scoraggiato dall'uscire quel Venerdì sera. Aveva
scrutato
la finestra con un cipiglio stizzito, soprattutto quando, per
l'ennesima volta, la corrente saltò.
Sbuffò,
camminando a
tentoni per raggiungere il corridoio: avrebbe dovuto premunirsi di
avere il cellulare in tasca per farsi luce con il display.
“Temo che sia un
blackout”, convenne Kurt con insolito tono tranquillo per chi
era
capace di strillare alla vista di un ragno più grande di un
granello
di polvere.
Al contrario,
sembrava
quasi compiaciuto, alla luce del lume che teneva in mano e soltanto
allora Sebastian notò che si era già preparato il
giaciglio sul
divano e aveva disposto delle candele dall'essenza di vaniglia sul
tavolino di legno. Evidentemente si era organizzato per un'eventuale
serata senza luce elettrica.
Inarcò
le
sopracciglia, Sebastian, un sorriso suadente: “Se stai
pensando di
allestire un set da film porno, potrei lasciarmi tentare”,
commentò
con uno schiocco di lingua sul palato.
Sollevò
gli occhi al
cielo, Kurt: “Ti piacerebbe”.
“Vuoi sentirmelo
dire in modo esplicito?”, gli chiese alle sue spalle.
Sorrise quando lo
sentì trasalire e la pelle della nuca sembrò
intirizzirsi alla
pressione del suo respiro. Era tentato di indugiare su quella
porzione di cute e poi spostarsi sul collo, magari togliendogli quel
foulard con cui si ostinava a coprirsi.
“Io sto organizzando
la mia serata dei ricordi: vino, lasagne, album fotografici e
coperta”, spiegò Kurt con aria compiaciuta di
sé e della propria
organizzazione impeccabile.
“Perché ogni
cosa
che ti riguarda fa tanto cliché gay o donna in sindrome
pre-mestruale?”, chiese con aria divertita.
“Ti sto guardando
male perché tu lo sappia”, fu la polemica
risposta.
Si era diretto in
cucina e Sebastian, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni, si
avvicinò al divano. Aveva pensato di sbirciare tra qualcuno
di
quegli album, prima che tornasse, ma quando ne sentì i
passi, si
affrettò ad accomodarsi, le braccia strette al petto.
“Lasagne e vino:
potrei accontentarmi”, pronunciò
con
l'aria di chi gli stava concedendo l'enorme privilegio della sua
compagnia, persino in modo spontaneo.
Sorrise con aria
soddisfatta, Kurt: “Lo immaginavo”. Si era seduto
al suo fianco,
appoggiando la coperta sulle gambe e aveva aperto il primo album: non
c'era voluto molto perché Sebastian gli si avvicinasse e non
soltanto per godere lui stesso del tepore della coperta.
Tra bocconi,
sorsi di
vino, avevano cominciato a sfogliare i libricini e Sebastian si era
dimostrato non poco divertito alla sua versione più paffuta
e con il
taglio a caschetto e la frangetta sulla fronte.
“Grazie
pubertà”,
sospirò Kurt, ma Sebastian scrutò a lungo la
fotografia.
Un vago sorriso
sul
volto, dopo una lunga contemplazione silenziosa.“Non eri
così
male”.
L'espressione
così
poco sicura di sé e più infantile ne sottolineava
la purezza e la
sincerità dei sentimenti. Appariva più fragile,
inesperto, ma non
per questo meno appetibile ai suoi occhi, nonostante il fondoschiena
non avesse ancora quella fisionomia tanto lodata. E nonostante quel
taglio non ne valorizzasse il viso diafano, tanto meno i lineamenti
elfici ma meno fini e cesellati di come apparissero attualmente.
Nonostante la frangetta ne nascondesse l'incredibile colore delle
iridi. Ma riusciva ancora a scorgere il Kurt con cui aveva iniziato
quella convivenza e una parte di sé non poté non
domandarsi come
sarebbe stato conoscerlo allora, prima di Blaine. Essere il primo ad
entrare nella sua vita.
Sentì
lo sguardo del
giovane addosso, le sopracciglia inarcate: “Tutto qua?
Nessuna
battuta perfida o ricatto?”.
Sogghignò,
ma si
strinse nelle spalle. “Sono di buon umore, anche se il tuo
culo
adesso è molto più sodo”.
Kurt
borbottò
qualcosa, evidentemente cercando di nascondere l'imbarazzo
Fu lieto che
avesse
omesso le fotografie del liceo con Blaine, ma si divertì a
scorgere
il bambino che indossava camicie di seta, foulard e improvvisava un
the all'aperto. Rise dell'espressione del padre di Kurt.
“Doveva
amarti molto”.
“Non voleva che
sentissi troppo la mancanza di mia madre: era lei che giocava con
me”, spiegò e notò come la voce
apparisse attutita. Come se
tuttora soffrisse di quel distacco che ne aveva turbato l'infanzia,
probabilmente costringendolo a maturare anzitempo e dover contare
sulle proprie forze.
Ne
contemplò le foto,
Sebastian, con un sorriso sincero: riusciva a scorgere lo stesso
sguardo del ragazzo che aveva di fronte, il candore della sua pelle,
nonché la delicatezza dei lineamenti. “Era
bellissima”, disse
senza alcuna esitazione.
Sorrise, Kurt,
fiero
di quel commento: “Secondo mio padre ne sono
l'essenza”.
Solitamente non
si
sarebbe lasciato sfuggire quell'occasione per una battuta che ne
rimarcasse il suo lato femmineo. Ma non in quel momento: non credeva
di averlo mai sentito così disposto ad aprirsi a qualche
confidenza
così intima.
“Sembravano molto
diversi i tuoi”, indicò la fotografia del loro
matrimonio.
Annuì,
Kurt, il
sorriso intenerito “Lo erano: lei elegante e sognatrice, lui
burbero e grossolano, ma erano anime gemelle. Mia madre sognava un
incontro da film e di certo non avrebbe mai immaginato di sposare il
meccanico apprendista che le aveva riparato l'auto”.
Sfogliò
le fotografie
della celebrazione, fino al primo piano dell'anello nuziale: una
banda in oro bianco con un delicato bocciolo al centro di un
bell'azzurro intenso.
“Ho sempre amato il
suo anello”, sospirò, Kurt, con aria sognante.
“Mio padre aveva
messo da parte i risparmi per anni perché fosse perfetto:
voleva che
gli ricordasse i suoi occhi. Lo zaffiro rappresenta la purezza e la
fedeltà e sembrava adatto a lei”.
E a te, fu il
pensiero inconscio di Sebastian. Si era sorpreso di quella
spontaneità d'associazione per poi dirsi che fosse naturale,
poiché
tutti scorgevano in lui l'essenza della donna, come aveva detto lui
stesso pochi istanti prima.
Lo
lasciò parlare a
lungo, ma quando finirono di conversare, il temporale sembrava
divenuto un piacevole sottofondo. Lo aveva avvolto nella coperta,
Kurt, e Sebastian aveva sorriso impercettibilmente, alludendo
scherzosamente ad un tentativo di sedurlo.
Ma fu lui ad
osservarlo cadere nel sonno, il capo appoggiato contro la propria
spalla. Lo attirò maggiormente a sé, facendo
meglio scivolare la
coperta su entrambi, cedendo presto al torpore, cullato dal suo
calore e dal profumo di vaniglia.
Si
riscosse alla
vibrazione del proprio cellulare e si affrettò ad estrarlo
dalla
tasca: vi era un messaggio da parte di Hunter.
[SMS] [
(Sfig)Hunter]
Esci subito, sta
tornando!!
Osservò
il cofanetto e
decise in un battito di ciglia.
~
Si era costretto a
mettere da parte il pensiero della biondina (facilitato dal fatto che
fosse completamente scomparsa dalla sua vista, senza mai voltarsi) e
osservò il proprio cellulare con ansia crescente, aspettando
una
qualche risposta e sperando che Sebastian fosse abbastanza abile da
trovare un'uscita secondaria. Era tuttavia evidente che avrebbe
dovuto temporeggiare e cercare di allontanare il proprietario del
loft il più a lungo possibile.
Maledetto
Sebastian,
perché mi trovo sempre nel mezzo? Non vale la pena rischiare
la
galera per scrivere una tesi sperimentale sulla sua dipendenza
dall'alcol.
Cercò
di riflettere
rapidamente e, all'avvicinarsi di Blaine Anderson, gli si
parò di
fronte per evitare che procedesse, assumendo un'aria austera e seria,
facilitato (e compiaciuto) dalla differenza d'altezza.
“Blaine
Anderson,
giusto?”, lo chiamò con aria professionale.
“Sì?”,
rispose il
giovane, guardandolo curiosamente, le sopracciglia inarcate, mentre
giocherellava con il proprio mazzo di chiavi.
“Lei
abita nel loft
alle mie spalle, vero?”.
Aggrottò
le
sopracciglia, Blaine, ma annuì. “Lei chi
è?”.
Si
schiarì la gola,
Hunter, mentre un'idea prendeva forma nella sua mente, sorprendendosi
lui stesso di essere riuscito a restare lucido.
“Sono
un impiegato
della ditta del gas: ho ricevuto l'ordine di far evacuare la zona.
Dovremmo fare un controllo in seguito ad una segnalazione anonima:
molto probabilmente uno scherzo di cattivo gusto”, si
affrettò a
dire con un sorriso accattivante, “ma non possiamo correre
rischi”.
Sbatté
le palpebre,
Blaine, evidentemente incredulo. “La ringrazio della premura,
ma
sono sicuro che non ci sia pericolo, non ho riscontrato nessun
problema nell'impianto, da quando ci vivo e-”.
Non dovette
fingere
un'aria di stoica impazienza. Sospirò, Hunter.
“Con tutto il
rispetto, Signor Anderson, non credo che lei possa definirsi un
esperto”
gettò una rapida occhiata all'ingresso, quasi
aspettandosi che Sebastian uscisse da un momento all'altro.
Ne cinse le
spalle con
fare cameratesco, cercando di allontanarlo, con un sorriso
accattivante: dopotutto se era vero che secondo Sebastian aveva un
fascino equivoco per il proprio sesso, tanto valeva approfittarne in
una situazione d'emergenza come quella presente.
“Mi
rendo conto che si
tratta di un increscioso disturbo e mi dispiace molto: le assicuro
che io e il mio collega saremo molto rapidi. Perché nel
frattempo
non va a fare una passeggiata? Mai fatto il tour in battello fino a
Liberty Island?”,
continuò con un sorriso amichevole.
Sembrava quasi
persuaso,
Blaine (o probabilmente si stava trastullando di quel contatto
ravvicinato: oddio,
lo stava davvero pensando?), ma fu alla
vista della sua vicina, che usciva dalla propria abitazione senza
alcuna evidente preoccupazione, che lo fissò con aria
accigliata.
Si
scostò, le braccia
incrociate al petto, quasi a volerlo fronteggiare con evidente
stizza, malgrado fosse l'altro a torreggiarlo. “Credevo che
l'esperto”,
sottolineò con voce ironica, “dovesse far
evacuare l'intera
zona”.
Continuò
a sorridere,
Hunter, ignorando la dolorosa contrazione della mandibola:
“La
signora sta giusto lasciando l'edificio”, rispose in tono
serafico.
“Le ho concesso di entrare soltanto per prendere-”.
“Quel
ragazzo è appena
entrato!”, additò un'altra casa sulla stessa fila.
“Signor
Anderson”,
assunse un'espressione di stoico rimprovero, senza neppure voltarsi,
ma incrociando le braccia al petto. “Lei sta compromettendo
il mio
lavoro”.
“Quale
impiegato non si
presenta con la sua uniforme?”, indicò i suoi
pantaloncini corti
con espressione sdegnata. “E non vedo alcun furgone della
fantomatica ditta del gas”.
Strinse i
pugni, Hunter,
tentato di imitare la classica reazione di un film d'azione nel
momento in cui l'infiltrato si vede vicino all'essere colto sul
fatto. Sarebbe stato più semplice colpirlo con un pugno per
tramortirlo (dopotutto l'aggressione sarebbe stata una buona aggiunta
all'accusa di complicità nella violazione di domicilio e
qualunque
altro reato si stesse consumando tra quelle mura ad opera di
Sebastian) e poi darsela a gambe e magari cambiare davvero
città e
identità. Dovette trattenersi, seppur il pulsare della vena
sulla
tempia cominciasse a rivelarle l'evidente stizza.
“Le
sto solo chiedendo
di tornare tra cinque minuti”, si schiarì la voce
con tono
mortalmente pacato. “Mi lasci fare il mio lavoro”.
“Bene”,
lasciò
cadere le braccia sui fianchi, Blaine.
“Attenderò”, gli sorrise
con la stessa aria ironica, restando immobile di fronte a lui.
Si
passò una mano tra i
capelli, Hunter, asciugando anche il sudore freddo che ne imperlava
la fronte. “Quale sillaba del verbo « evacuare
» le risulta
incomprensibile?”.
“Per
quale ditta ha
detto di lavorare?”, chiese in risposta, Blaine, estraendo il
cellulare con aria minacciosa.
Per la prima
volta,
Hunter Clarington, sentì l'occhio pulsare per quel tic
nervoso di
cui era affetto nei momenti di particolare stress (che coincidevano
comunemente con la presenza di Sebastian nel locale), ma l'incombenza
di trovare una risposta gli fu risparmiata dalla vibrazione del
cellulare.
[SMS] [Sebastard]
Sono uscito dal
retro.
Smettila di improvvisare, cazzone.
Maledetto
bastardo,
ringhiò
tra sé e sé nel vedere l'epiteto, ma non era mai
stato
così lieto di ricevere una sua notizia. O di saperlo vivo.
“Molto
bene”, lasciò
cadere le braccia lungo i fianchi. “Sa cosa le
dico?”, si rivolse
a Blaine, additandolo con aria di sfida. “Rientri pure nella
sua
bellissima casa: le auguro una splendida giornata e se dovesse
bruciare per una perdita di gas nel vicinato, non chiami la mia
ditta e non dica che non l'avevo avvertita”, concluse con
voce
corrotta dalla rabbia, quasi isterica.
Ignorando lo
sguardo
interdetto e sbigottito del moretto (probabilmente domandandosi se
non dovesse rivolgersi alla polizia) si affrettò ad
allontanarsi,
sollevando il cappuccio della felpa che aveva indossato, nella
speranza che il suo volto non fosse visibile a troppe persone.
Contrasse la
mascella
nello scorgere Sebastian appoggiato ad un albero, la sigaretta accesa
e il sorriso suadente, indicando la strada da cui si era appena
allontanato.
“Impiegato
del gas?”,
lo apostrofò con evidente ironia.
Lo
ignorò, deciso ad
andarsene prima che quel formicolio alle mani diventasse
irresistibile e non si volse neppure quando cominciò a
camminare al
suo fianco.
“Ho
trovato il cassetto
dei papillon”, lo informò con voce intrisa
d’evidente
divertimento e soddisfazione.
“Fantastico”,
ringhiò
in risposta.
“E
non solo quello”,
giocherellò con il cofanetto e fu allora che Hunter ruppe il
suo
dignitoso sciopero della comunicazione.
Sgranò
gli occhi e
boccheggiò. “Sei impazzito?!”,
pronunciò con voce stridula,
premunendosi di abbassare la voce. “Avevi detto che avresti
solo
curiosato”, additò la scatolina come se si fosse
trattato di un
ordigno esplosivo che l'altro stava maneggiando con troppa
superficialità.
“Non
era premeditato”,
gli concesse Sebastian, scrollando le spalle. “Ma sono un
mago
dell'improvvisazione”.
“IO
MI SONO ESPOSTO!”,
gridò Hunter con voce quasi rauca per lo sforzo eccessivo di
parlare
con una tonalità più alta del suo naturale
timbro. “Chi pensi che
sarà il primo sospettato, quando si accorgerà che
è scomparso?!”.
“Rilassati
e prendi un
bel respiro”, gli suggerì con aria clinica,
sollevando le mani.
“Non ci sono segni d’effrazione e non ha motivo di
rimirare il
suo anello ogni sera”, scrollò le spalle.
“E riguardo alla tua
pessima
improvvisazione
avrà pensato che tu fossi un gay
disperato che ha usato una scusa banale per abbordare.
Basterà che
m’inventi qualcosa e lo dica a Kurt: con ogni
probabilità gli
racconta anche il numero di volte in cui è in
bagno”, aggiunse
roteando gli occhi.
“E
se si rivolgesse
all'agenzia immobiliare?!”, lo incalzò l'altro e
Sebastian notò
come la vena sulla fronte stesse pulsando sempre più
rapidamente.
“Quanto ci metterebbero a collegare il furto al tuo scambio
d’identità?”.
“Perché
mai dovrebbe
farlo?”, gli chiese Sebastian con irritante
tranquillità. “Sa
che tutte le pratiche sono state svolte da Kurt e se provasse ad
accusarmi per pregiudizio”, lo sottolineò con aria
beffarda, “gli
dirò che ero a lezione: pagherò qualcuno
perché mi copra,
semplice”.
“L'agente
immobiliare-”.
“Non
ha mai visto la
Mezza SegAnderson, crede che io sia il ragazzo di Kurt dall'inizio:
non c'è nulla di strano nel fatto che le abbia chiesto una
copia
delle chiavi, dopo averle dato una scusa credibile”, concluse
con
aria ancora più soddisfatta della sua proverbiale
abilità di creare
piani controversi ma, in qualche modo, lineari.
Non
sembrò trovare altra replica, Hunter, non in quel momento.
Nessuna
falla evidente, ma non gli concesse di mostrarsi sollevato (e se
Blaine avesse avuto qualche strana abitudine feticista di indossare
la fede ogni sera o avesse voluto mostrarla a Kurt alla fine di una
serata romantica?), ma si limitò a fissarlo con aria
risentita.
“Lieto
che almeno una
persona ci possa credere”, fu la replica asciutta.
Serrò
la mascella,
Sebastian, non tanto per l'impatto di quella frecciatina il cui
livello di perfidia era davvero notevole, quanto la consapevolezza
che doveva esserci un motivo radicato per simile astio. “Qual
è il
tuo problema?”, gli chiese infatti.
Quasi rise
istericamente,
Hunter e si fermò da quella marcia rapida.
“Fammi pensare”, si
portò una mano sul mento con aria fintamente meditabonda.
“Sono in
bolletta, sono stato rimandato per la terza volta ad un esame, devo
lavorare ogni sera per un dittatore che mi sfrutta con la scusa degli
straordinari che ho saltato per il mio licenziamento (ancora grazie a
proposito, già che c'eri potevi cambiare pub,
anziché farmi
riassumere!) e in un locale in rovina la cui clientela e staff
è
convinta che io sia gay e innamorato di te, come se non potessi avere
gusti migliori in quel caso”.
“Hey”,
borbottò
Sebastian in risposta, quasi quel giudizio fosse l'unica parte degna
della sua attenzione.
“E
tra il personale c'è
anche Brittany il cui gatto ha cercato di recidermi l'arteria
branchiale: non solo mi ha friendzonato con tanta grazia, ma adesso
mi crede anche uno stronzo insensibile che l'ha cacciata in
malo modo, giusto per pararti il culo e impedire che Blaine ti
scoprisse, mentre rubavi l'anello nuziale!”,
continuò Hunter,
gesticolando con aria evidentemente agitata e la voce che diveniva
sempre più stridula, in corrispondenza dello sgranare gli
occhi in
maniera folle.
In effetti era
quasi
divertente vederlo lontano dal bancone del bar e con quella stessa
aria da sfigato cronico e disperato di femmine.
Scrollò
le spalle,
Sebastian, per nulla impressionato. “E tu regalale un
pacchetto di
colori a cera: il suo cervello pesa quanto le sue tette, si
dimenticherà tutto in tre minuti”.
Non parve
averlo udito,
Hunter, che sembrava adesso ansioso di rigettare tutta la
frustrazione e la rabbia accumulate da che aveva conosciuto
Sebastian.
“E
come se tutto questo
non bastasse, quando si accorgerà del furto sarò
il primo
sospettato. E ti assicuro che se non ci penserà Kurt a
collegare le
cose, quando mi riconoscerà dalla descrizione, ti
trascinerò io
nel baratro con me”, ringhiò additandolo.
“Hai
finito?”.
“Non
so”, proclamò
con aria ironica, allargando le braccia. “Se mi gettassi dal
ponte
di Brooklyn, forse riusciresti ad allontanare Kurt da Blaine per
cinque minuti”, continuò con voce ancora
più grondante di acidulo
sarcasmo.
Sbatté
le palpebre,
Sebastian, il viso inclinato di un lato e l'espressione vagamente
incuriosita. Di una curiosità clinica e scientifica.
“Da quanto
non fai sesso?”.
Sbatté
le palpebre,
Hunter, e serrò i pugni, ma parve doversi controllare per
non
mettergli le mani addosso.
“Cazzo,
Sebastian!”,
esplose con aria esasperata. “Per una volta nella tua vita, sii
uomo”,
parve supplicarlo. “E ammetti che tutti questi
stratagemmi sono solo una copertura per paura di essere
ferito”.
Sollevò
gli occhi al
cielo, la mascella serrata con aria evidentemente infastidita.
Più
per quelle ultime parole che per tutto lo sfogo a cui aveva
passivamente preso parte.
“Parlerò
con
Tontittany, ma adesso sta'
zitto”, borbottò con voce
stizzita. “Mi stai facendo venire l'emicrania”.
“Non
si tratta di
Brittany o di me o di Blaine”, continuò Hunter che
parve tornato
in sé, dopo la sfuriata e assunse nuovamente quel tono
più
composto. “Come se poi te ne importasse qualcosa in quel
caso”,
aggiunse tra sé e sé con aria polemica, prima di
riprendere il filo
del discorso più serio.
“Si
tratta soltanto di
te e del modo in cui
pretendi di manipolare le persone e i
loro sentimenti. Sai bene che hai una sola possibilità con
Kurt e
che tu riesca o fallisca a fargli capire cosa provi,
dipenderà
soltanto da te”.
Serrò
la mascella,
Sebastian: non era soltanto l'ennesima predica non richiesta, ma il
modo in cui riusciva a far sembrare le sue parole dotate di senso,
fino a ridicolizzare tutto ciò che stava brillantemente
orchestrando. E la cosa peggiore era che una parte di sé,
quella
costantemente soffocata dall'alcol e dall'ironia, gli dava ragione.
“Esattamente
quanto
credi che un tuo consiglio possa essere credibile, dopo che persino
quella ti ha dato il
benservito?”, domandò con un sorriso
beffardo.
Sorrise,
Hunter, l'aria
esasperata e abbassò le mani. Quella risposta ironica fu un
evidente
segnale che sarebbe stato inutile perseverare in quel folle tentativo
di persuaderlo, almeno fino a quando non fosse stato anche solo
disposto a considerare l'idea di star sbagliando approccio. O
ammetterlo soltanto a sé stesso.
“Libero
di continuare
ad insultarmi. Io almeno ci provo a buttarmi”,
scrollò le spalle,
per poi osservare l'orologio e sbuffare. “Devo andare a
cambiarmi,
ho lezione tra un'ora”, un vago cenno del capo e si
allontanò
rapidamente, lasciando Sebastian immobile ad osservare il punto da
cui era scomparso.
Il cofanetto
che teneva
nella tasca del soprabito parve improvvisamente pesare come un
macigno.
~
Stava ancora
imprecando
contro SfinterHunter, quando valicò la soglia di casa, ma fu
sorpreso nel sentire la familiare voce di Kurt, mentre canticchiava
con aria rilassata. Inarcò le sopracciglia, ma si
affrettò a
riporre il cappotto e nascondere l'anello nel cassetto della
biancheria.
Soltanto dopo
aver chiuso
la porta della propria camera, lo raggiunse in cucina, osservandolo
con le mani immerse nell'impasto e il grembiule a coprire la camicia
e il foulard abbinato.
“Ciao”,
lo accolse con aria allegra.
Continuò
ad osservarlo, Sebastian, cercando di non apparire glicemico ai
propri occhi nel costatare che, dopo quella notte a Parigi e
quell'ultimo periodo surreale, sembrava un sogno vederlo di nuovo
cucinare per entrambi. Quasi timoroso che si potesse trattare di
un'allucinazione (ma
non era neppure
ubriaco!)
e persino guardingo per
timore dell'ennesima delusione.
“Non
sapevo che saresti tornato per cena”, commentò con
voce asciutta.
“E'
stata una decisione improvvisa: mi mancava cucinare”,
spiegò Kurt
con la stessa allegria.
Suo
malgrado un sorriso ne sfiorò le labbra, ma si
affrettò a chiedere,
con aria sospettosa: “Tutto bene?”.
Inarcò
le sopracciglia, Kurt, evidentemente sorpreso della domanda.
“Certo”.
Allo
sguardo prolungato di Sebastian, parve arrendersi e capitolare.
“Mi
sono accorto che in questo mese sono stato quasi sempre assente, non
ricordo neppure l'ultima volta che abbiamo cenato insieme”,
ammise
con tale semplicità e sincerità che l'altro non
poté non sorridere
nuovamente.
Se
quello era un segnale dell'universo, allora avrebbe dovuto far
rimangiare al barista tutte le stronzate che gli aveva gettato
addosso. Evidentemente quella era la strada giusta,
considerò tra
sé, mentre uno scintillio compiaciuto ne faceva scintillare
le
iridi.
“Sapevo
di esserti mancato”, sussurrò, quasi stesse
affermando che era
stato lui, Kurt, a percepire quel vuoto interiore.
“Da
morire”, replicò con tono enfatico. “E
ora vieni ad aiutarmi:
vedremo se questa pizza in casa batterà tutte le schifezze
che
compri, quando sei solo”, lo incoraggiò con un
cenno del mento.
“Che
moglie devota”, lo sussurrò al suo orecchio, dopo
essersi mosso
silenziosamente come un predatore notturno. Sorrise nel sentirlo
trasalire, ma si era scostato, Kurt, e dovette simulare indifferenza
a quel gesto.
Ma
non aveva smesso di sorridere, Kurt, e lo esortò con un
cenno del
capo: “Vediamo se hai davvero le mani d'oro, ma conoscendoti
sarà
meglio che tu prima le lavi”.
“Posso
mostrartelo”, sorrise Sebastian, ponendole al di sotto del
lavello
ma senza smettere di osservarlo con aria maliziosa.
“Ora
sì che sono intrigato”, fu la sferzante replica.
Sorrise,
Sebastian, suo malgrado: “Devo davvero...
toccarla?”, indicò
l'ammasso informe che sembrava in attesa di essere maneggiato.
Curioso
come la sola presenza di Kurt e quell'espediente così
insolito gli
avessero completamente estraniato la mente da pensieri ben
più
gravosi.
Roteò
gli occhi, Kurt: “Non ti accuserà di
molestie”.
Sogghignò,
ma aveva assunto un'espressione dubbiosa, prima di allungare le mani
e immergerle nell'impasto: era qualcosa d’umidiccio e
flaccido ma,
superata quella prima sensazione di appiccicaticcio, era quasi
rilassante rigirarvi le dita e cercare di comporre una forma solida.
“Così”,
sentì le mani di Kurt sfiorare le proprie ad aiutarlo, fino
a
guidarlo nel giusto movimento che coinvolgeva anche il torso,
inducendolo a sporgersi verso la propria schiena e sfiorarla. Seppur
fosse qualcosa di assolutamente casuale ed innocente, si
ritrovò a
socchiudere gli occhi, quasi volendo fissare quegli sporadici
istanti.
Si
era voltato ad osservarlo, oltre la propria spalla, un sorriso
beffardo: “Hai una macchia”.
“Dove?!”.
Rise
del modo in cui appariva allarmato, ma levò la mano a
sfiorarne lo
zigomo, lasciandogli una striscia di farina sulla faccia. Ne
osservò
le gote tingersi di un delicato rossore, prima che sbattesse le
palpebre: “Sebastian!”.
“E'
un lifting naturale”, replicò e rise del suo
tentativo di
scostarlo da sé e indietreggiare, fin quando non si
ritrovò premuto
contro il lavello al cui interno vi erano ancora le stoviglie sporche
della colazione e del pranzo.
“Sei
mio”, sussurrò con aria minacciosa.
Cercò
di non pensare che fosse così semplice pronunciare, ad una
maniera
così arrogante, quella frase, quando quotidianamente non
avrebbe
potuto ardire simile pretesa. Cercò di non soffermarsi su
quanto
fosse meraviglioso poter giocare con lui ad una maniera così
sciocca
e infantile, quanto persino quelle schermaglie fossero parte di una
quotidianità la cui mancanza gli aveva spezzato il fiato.
“Non
senza combattere”, precisò l'altro, tastando il
bancone alle
proprie spalle, cercando la salsa di pomodoro.
“Lo
scontro mi eccita sempre”, sussurrò al suo
orecchio, indugiando
nel ricercarne quel profumo intenso e delicato, quasi
desiderò
serbarne una traccia, anche in quel momento, che gli fosse
sufficiente a sentirlo vicino, anche quando sembrava distante come
non mai.
Ma
non pareva ascoltarlo, Kurt: lo stava osservando con aria curiosa e
concentrata, quasi quegli occhi riuscissero a scavare nel suo
inconscio. Più di una volta Sebastian si era domandato se
non
fossero davvero in grado di percepire i suoi pensieri e se di
proposito volesse ignorare le sue reali intenzioni, per restare
aggrappato a Blaine.
“Mi
sei mancato davvero in questi ultimi mesi”,
sussurrò con voce più
flebile e l'aria di chi doveva dirlo senza troppo rifletterci, prima
che le remore glielo impedissero. Consapevole che lui stesso avesse
percepito uno strappo nel loro rapporto e convivenza, da quando gli
aveva dato notizia del fidanzamento. Che non si trattava soltanto
della spaccatura dopo la vacanza parigina, ma di come la loro
quotidianità si fosse trasformata in sporadici incontri nei
quali la
distanza tra loro non faceva che alimentarsi di parole in sospeso,
pensieri segreti e un reciproco lasciare che l'altro si allontanasse.
Ma era sorprendente che lo stesse ammettendo con tanta
semplicità.
La
mano sollevata per disegnare sul suo volto ne ancorò il
fianco a
trattenerlo, quasi volendo sopperire a parole che non avrebbe
pronunciato o non lo avrebbe fatto con la giusta intensità.
Scosse
il capo, Sebastian, un sorriso amaro sulle labbra perché
ciò che
stava per dire, non fosse percepite come un'accusa, ma un mero dato
di fatto.
“Non
sono io
ad essermene andato”.
Parve
volergli ricordare la promessa di vivere quegli ultimi mesi di
convivenza e di non rinunciare al loro rapporto, neppure di fronte ad
un matrimonio che non avrebbe mai accettato.
“Una
parte di te, sì”, replicò Kurt con
medesima tranquillità e una
traccia d’amarezza. “E mi dispiace pensare che sia
a causa mia”.
“Tua?”,
lo incalzò Sebastian, la voce a tradirne quel rimescolio
interiore,
ma aveva distolto lo sguardo. Avrebbe dovuto cogliere quel momento
per cercare di strappare a Kurt altre verità sopite, per
cercare di
comprendere ciò che stava loro accadendo in quel momento.
“E
di Blaine”, sussurrò Kurt.
Si
era irrigidito, Sebastian. “Ti assicuro che Blaine non
è nei miei
pensieri”.
“Non
farlo di nuovo”, sussurrò con aria quasi
angosciata che costrinse
Sebastian a tornare ad osservarlo in viso, malgrado lo ferisse
constatare quanto Blaine fosse presente anche in quel momento,
sospeso tra loro.
“Insultarlo?”.
“Non
chiudermi fuori”, sembrò pregarlo e quella
consapevolezza spezzò
il fiato a Sebastian.
Sarebbe
bastato un solo attimo e probabilmente avrebbe dovuto smettere di
ingannare se stesso e realizzare che qualsiasi istante potesse essere
decisivo. Che quello stupido anello non avrebbe potuto fare la
differenza, non quanto i sentimenti che premevano per uscire.
“Kurt”,
ne cercò il viso, trattenendone lo sguardo e sfiorandone il
volto e
l'altro parve indifferente all'umidità e alla
vischiosità insolite
del contatto.
“Sono
qui, devi solo parlarmi”, sembrava che fosse Kurt, in quel
momento,
a doverlo rassicurare, a cercare di fargli comprendere che poteva
ancora fidarsi di lui ed esserne un sostegno.
Si
domandò se potesse avere la benché minima idea di
come quell'invito
avrebbe potuto effettivamente cambiare le cose, ma in un modo che, a
cinque mesi dal matrimonio, non avrebbe mai contemplato.
Lo
sentì affondare contro il suo petto, aggrappandosi alla sua
camicia,
a dimostrazione di quanto quel bisogno era reciproco e ugualmente
sentito.
“Ho
bisogno di te: ho bisogno della tua ironia, che tu finga di non
ascoltarmi mai, ma sappia esattamente di cosa ho bisogno. Voglio
restare con te in questi ultimi mesi, perché so che mi
mancheranno
da morire”, pronunciò quelle parole con voce
sussurrata e
melodiosa, come una dolce nenia alla quale abbandonarsi. Come una
promessa e una struggente richiesta di perdono. Come un dolce dolore
cui non avrebbe rinunciato, in nome di ciò che avevano
condiviso in
quell'anno.
Sentì
la dolorosa contrazione all'altezza del petto, ma rafforzò
la
pressione del contatto, affondando contro la sua spalla esile,
respirandone il profumo e socchiudendo gli occhi.
A
prescindere da quanto era accaduto e da quanto sarebbe potuto
accadere in futuro, quel momento era soltanto lì per lui e
nessuno
glielo avrebbe strappato. Non fino a quando non avrebbe rovinato
tutto di nuovo.
“Sarai
sempre importante per me”, pareva essere sincero nel modo in
cui ne
sfiorò la gota e lo guardò con gli occhi lucidi e
le labbra
tremanti.
Non
abbastanza,
fu il repentino
pensiero.
“Sebastian”,
sussurrò di nuovo, quasi un silenzioso rimprovero alle
parole che
non aveva pronunciato, quasi un'ulteriore preghiera per indurlo a
lasciarsi andare.
“Mi
sei mancato”, sussurrò in risposta prima che le
sue labbra si
contrassero. “Ma questo non cambia le cose e non lo
farà mai”.
Vi
era pacata rassegnazione nella propria voce, il tentativo di
dissipare le prediche di Hunter, la consapevolezza che non sarebbe
mai stato la ragione per cui Kurt sarebbe rimasto.
Si
era divincolato, la mano di Kurt ancora salda sulla sua. Sembrava la
promessa di ciò che sarebbe accaduto, ciò che non
avrebbe potuto
evitare, anche desiderandolo con tutto se stesso. Perché
provarci
allora?
“Sebastian,
ti prego”.
Si
voltò, un sorriso mesto, ma coprì nuovamente le
distanze,
tracciando una linea di farina lungo lo zigomo dell'altro, seguendo
la scia delle efelidi.
Lo
sentì trattenere il fiato e lo vide teso e febbrile.
Ne
baciò la gota: “Finiamo la nostra pizza”.
Attimi
soltanto loro, si disse, quelli glieli doveva. Almeno quelli
sarebbero rimasti nella propria memoria e probabilmente sarebbero
stati sufficienti, come ogni tentativo possibile perché non
si
allontanasse. Non troppo.
Perché
non avrebbe saputo mai davvero trattenerlo e quella sarebbe sempre e
solo stata una sua colpa.
To
be continued...
Buon
Venerdì a tutti,
è
il primo capitolo che posto dopo la ripresa delle lezioni
universitarie e sono felice, da amante delle buone abitudini, di non
aver dovuto cambiare il giorno della pubblicazione ;)
E'
stato un capitolo un po' sofferto in fase di revisione, soprattutto
per la tempistica che ho cambiata rispetto alla bozza iniziale, ma
sono riuscita a giungere ad un compromesso con me stessa (e non
è
stato facile u_u Fate conto che in me c'è un po' di Kurt, un
po' di
Sebastian e un po' del “dottorino”, quindi potete
immaginare le
lotte interiori).
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, il countdown al matrimonio
è sempre
più esiguo e credo sia ormai evidente che, sabotaggi
più o meno
riusciti, la vera lotta di Sebastian è contro se stesso,
piuttosto
che contro i due piccioncini. Mi rendo conto di quanto può
apparire
contraddittorio nel suo agire, sempre vicino al momento risolutivo,
eppure sempre a ritrarsi. Ma cercherò di delineare nel
miglior modo
possibile il suo inconscio, a poco a poco, per quanto lui lo conceda,
essendo molto meno “kurteggiante” persino con se
stesso :)
Ma
diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:
“Si
prospetta un gran bell'anno di merda”
“Già, almeno lo scorso
Natale non eravamo qui”. “Se stai per rievocare
l'ennesimo
flashback in bianco e nero su di te e Jenna” […].
“Vuoi
smetterla di parlare? Voglio vedere il tuo culo rimbalzare sul
ghiaccio” “Sfortunatamente per te, sono un buon
pattinatore”
“Tanto meglio, mi insegnerai tu”.
“Non
so se dovrei lasciarti partire. A meno che al tuo ritorno tu non
annunci un altro fidanzamento, o non ti sia trasformato in una Kate,
o-”. […]
Come
sempre grazie alle
meravigliose persone che continuano a seguirmi, è sempre una
gioia e
un grande piacere leggere i vostri commenti ed osservazioni. Sono
sempre disponibile anche per chiarire dubbi o perplessità :)
Non mi resta
che
augurarvi un buon weekend,
un abbraccio a
tutti,
Kiki87
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
E
quando ho bisogno di te
tu
sei quasi qui.
E
io
so che
non
è
abbastanza.
E
quando sono con te
sono
vicino alle lacrime
perché
tu sei soltanto “quasi qui”.
Cambierei
il mondo
se
ne
avessi la possibilità.
Non
me lo lasceresti fare?
Trattami
come un bambino,
prendimi
tra le braccia.
Oh,
per favore, proteggimi.
E
quando ti stringo
tu
sei quasi qui.
E
ora
che sono con te,
sono
vicino alle lacrime,
perché
so che sono solo quasi qui.
Solo
quasi qui.
Almost
Here – Brian McFadden
feat
Delta Goodrem
(Dicembre
meno
tre mesi al matrimonio)
Capitolo
8
Sollevò
lo sguardo dal libro di diritto penale: si lasciò sfuggire
un vago
sospiro ai suoni provenienti dal soggiorno e sollevò gli
occhi al
cielo all'udire il volume esagerato dello stereo che stava
riproducendo brani natalizi.
Natale
a New York quell'anno non prometteva nulla di entusiasmante,
constatò
tra sé e sé giocherellando con la matita che
teneva tra le dita. La
cosiddetta magia del Natale per Sebastian si era esaurita
più o meno
all'età in cui si smetteva di credere alle favole, tanto
meno ad un
pittoresco e fantomatico Santa Clause. Con gli anni era decaduta in
una sterile tradizione di riunire i parenti (compresi quelli che
avrebbe volentieri reciso dai rami dell'albero genealogico, fino a un
tentativo di porre maggiore distanza possibile tra lui e la casa
familiare nell'Upper East Side). Probabilmente soltanto l'ultimo
Natale si era potuto definire degno di nota.
Scosse
il capo, più che mai deciso a immergersi nella lettura del
paragrafo, armato di evidenziatore per rimarcare le parole chiave che
avrebbero solleticato la sua memoria fotografica.
Si
riscosse al suono attutito alla porta, ma non ci fu bisogno di
invitare il coinquilino ad entrare.
Si
volse ad osservare Kurt, il sorriso sulle labbra e l'aria
spensierata, mentre entrava nella stanza con una tazza che
depositò
attentamente sulla sua scrivania, attento a non urtarne il libro:
“Ho
preparato lo zabaione”, lo informò in tono beato.
La
sua dose di stress era inevitabilmente diminuita alla sospensione
temporanea delle lezioni alla Nyada, nonché del tirocinio
per Vogue.
Come
se non fossero già stati immersi in un'atmosfera tutta
zucchero e
“Klainestere”,
pensò Sebastian occhieggiando la tazza. Ma era comunque
piacevole
osservarlo in quell'alone di serenità e non gli dispiaceva
(troppo)
che Kurt fosse una di quelle persone che tanto si allineassero
all'atmosfera stucchevole di quel mese. Senza contare quanto fosse
lusinghiera la naturalezza con la quale sembrava volerlo riempire di
premure. Era certo che vederlo sui libri lo stesse condizionando, ma
accettò di buon grado e sorseggiò la bevanda con
gusto, leccandosi
le labbra a rimuoverne le ultime tracce. Kurt era fermo di fronte
alla sua scrivania, le mani sui fianchi e lo sguardo che già
cercava
di immaginare come avrebbe decorato l'intero loft. La sua camera
compresa, se glielo avesse concesso.
“Stavo
pensando di fare l'albero più tardi”,
esordì quando il suo
viaggio mentale parve riportarlo alla realtà. “ E
poi disporre le
decorazioni e le lucine nel loft, partendo dall'ingresso, il
soggiorno-”.
“Se
il fantasma dei Natali passati di Kurt Hummel a Lima?”, lo
rimbeccò
Sebastian, sollevando lo sguardo. Seppur, grazie anche agli album
fotografici, conoscesse alcune delle tradizioni degli Hummel
(soprattutto quando Elizabeth, con il suo estro artistico, era in
vita), non poteva non paragonare il ragazzo che aveva di fronte con
quello che l'anno precedente aveva indossato una coltre di
depressione, in quello stesso periodo.
Sorrise,
l'altro, dondolandosi nelle spalle esili: “Avevi ragione: il
Natale
a New York è davvero magico”, lo
informò e lo sguardo azzurro
parve persino più luminoso.
Superfluo
era chiedere perché quell'anno quel calore e quella
svenevolezza
fossero ancora più sentiti.
Non
era così che lo avevo pensato, fu
lo spontaneo pensiero di Sebastian.
Scoprendosi
infastidito dalla gola secca, ingollò il restante della sua
bevanda,
quasi sperando che quel sapore stucchevole potesse alleviare
quell'amarezza interiore e placarne il sarcasmo che avrebbe solo
guastato la bella bolla in cui Kurt era tuttora immerso.
“Ti
andrebbe di aiutarmi, quando avrai finito?”, fu proprio
l'altro a
riportarlo alla realtà e, dal sorriso entusiasta, sembrava
che lo
desiderasse davvero.
“Se
insisti, piccolo elfo”, ritrovò un vago sorriso
ironico ad
increspargli le labbra e suscitare un certo rossore sulle gote di
Kurt e fu la conferma che stesse sovvenendo in loro lo stesso
ricordo.
“Buono
studio”, gli augurò, aprendo la porta per tornare
in soggiorno.
Appoggiò
la matita sul libro, Sebastian: “Kurt?”.
“Sì?”,
si era voltato sulla soglia.
Sorrise,
Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Sarà il
tuo Natale,
ricordi?”, si sorprese lui stesso a chiederglielo
esplicitamente.
Quasi una conferma che tutto ciò che avevano vissuto, fino a
quel
momento, non fosse scomparso. Sapeva che Kurt stava già
delineando
il suo futuro, ma non avrebbe rinunciato al proprio ruolo, almeno in
passato.
Un
sorriso più dolce parve illuminare il viso di Kurt,
facendone
risplendere gli occhi di zaffiro e lo contemplò per un lungo
istante.
Mortalmente
lungo perché Sebastian, ancora una volta, si maledicesse per
non
compiere quel passo in avanti. Perché ancora una volta si
sentisse
lui stesso trattenere il fiato, quasi timoroso di ciò che
avrebbero
potuto scorgere quegli occhi, di ciò che desiderava vi fosse
in lui,
oltre il sarcasmo e le apparenze.
Restò
ad osservare a lungo la porta ormai chiusa alle sue spalle.
Il
centro commerciale era stipato di gente: uno dei motivi per cui
Sebastian ne avrebbe ignorato permanentemente l'esistenza,
soprattutto nel periodo precedente ad una festività, quando
tutti
sembravano ricordarsi di avere una famiglia, visto l'ingombro di
pacchi con cui rendevano complicato passeggiare senza sentirsi urtare
inevitabilmente.
Ciononostante,
stava sorridendo, mentre osservava il giovane alle prese con una
bambina particolarmente vivace, circondato dalle due colleghe e
sarebbe stato al quanto difficile capire quale delle due fosse
più
insofferente alla situazione. Nonché alla sgradita presenza
dell'altra.
“Miaaaaaa!
Renna mia!”, stava gridando la bambina che, per quanto
minuta,
dimostrava una testardaggine lodevole, quasi stessero cercando di
strapparle un rene, piuttosto che uno stupidissimo elemento scenico
di decorazione.
“Tesoro,
piccolina”, la richiamò Kurt con voce volutamente
gentile. “Devi
scendere: rischi di farti male”, cercò di
convincerla con aria
accattivante.
“Che
ne diresti se Zia
Snix
ti mostrasse cosa si fa nei quartieri diffamati di Brooklyn
alle bambine che non obbediscono?”.
“Non
è il modo di parlare ad una bambina”, gemette
Kurt, guardandola
con aria atterrita, seppur la piccola in questione li stesse
bellamente ignorando, continuando a muoversi sulla renna come
un'amazzone esperta.
“Scusa,
Lady Hummel”, lo apostrofò la latina, il
sorrisetto sardonico.
“Dimentico sempre chi abbia l'utero tra noi due”,
replicò
serafica.
Scosse
il capo, Kurt, ma fu l'altra moretta ad assumere un cipiglio
indignato, le mani piantate sui fianchi, l'atteggiamento arrogante,
nonostante fosse persino più bassa dell'altra.
“Non
parlargli in questo modo!”, l'additò con una
smorfia.
Sollevò
gli occhi al cielo, Santana. “Devi sempre mettere il tuo naso
da
pellicano in faccende che non ti riguardano?”, le chiese con
un
sorriso strafottente. “E' una deformazione fisica, o ti
illudi che
la tua opinione conti qualcosa?”.
“Tesorino,
ti prego, fallo per me”, cercò di sovrastare le
voci delle due
litiganti, Kurt, per risolvere il problema principale.
“No!”,
gridò la bambina, continuando a dondolarsi sul posto,
totalmente
incurante della fila di bambini che avrebbero voluto godere a loro
volta della giostra. “Gli elfi non sono i padroni della
slitta di
Babbo Natale!”, aggiunse in tono ammonitore, guardandoli come
se
avessero abusato delle loro prerogative, interrompendo persino la
discussione tra le due ragazze.
Non
perse il suo sorriso, la latina, che dondolò la testa con
aria
vagamente minacciosa. “Sai cosa sanno fare bene gli elfi che
si
chiamano Santana?”, le domandò, chinandosi verso
di lei con la
stessa aria gradevole, ma in qualche maniera inquietante. “Le
cosas
malas: ti va di provarle?”.
“Non
credo che il mondo sia pronto, zia Snix”, fu la serafica
replica di
Sebastian il cui sguardo ridente era tutto per il giovane, un vago
compiacimento interiore nell'averlo paragonato silenziosamente ad un
elfo, ancora prima che indossasse quella mise. “Ciao Kurt, la
tenuta ti dona molto”, commentò con voce suadente.
Il
suo sguardo indugiò su come quella casacca di quel rosso
acceso e i
pantaloni verdi, come il risvolto del colletto, fossero piacevolmente
attillati in un contrasto davvero interessante tra l'innocenza che
dovevano far trasudare e i suoi licenziosi pensieri.
Sollevò
gli occhi al cielo, Santana, prima che il coinquilino potesse
rispondergli.
“Speravo
che mi mandassi qualcuno con un bel paio di bicipiti, MasturbHunter
è
troppo impegnato a farsi portare le palle a spasso dalla sua
ragazza?”, gli abbaiò contro.
Pareva
shockata, Rachel Berry, che guardò Sebastian come se lo
vedesse
soltanto in quel momento, prima di tornare a fissare la giovane.
“Adesso si spiega tutto: il parlare da ghetto, il dubbio
senso
della moralità e dell'umorismo, la prepotenza e
l'arroganza”,
prese ad elencarne tutti i difetti sulla punta delle dita.
“Avrei
dovuto capirlo che era una tua amica!”, accusò il
nuovo arrivato.
Schioccò
la lingua sul palato con aria soddisfatta, Santana Lopez. “Io
avevo
capito che Lady Hummel è il suo scopagiocattolo perverso e
che tu
dovevi essere la nana coi complessi da Diva e la risata da
iena”,
dondolò il capo con aria innocente al rossore che
infiammò il viso
di Rachel. “Quando ho visto il nasone è stato
tutto chiaro”,
replicò con lo stesso tono, premunendosi di abbassare la
voce ad una
tonalità più leziosa.
“Non
la sopporterò un minuto di più: pretendo la mia
pausa, sto perdendo
la pazienza e le mie ore di riposo”, sancì,
Rachel, appoggiandosi
le mani ai fianchi, prima che il direttore del negozio le scoccasse
un'occhiata ammonitrice.
Tornò
sui suoi passi, sbuffando con aria stoica: “Da questo momento
vi
ignoro!”, sollevò il braccio, quasi a tenere a
distanza gli altri
due che si scambiarono un'occhiata divertita.
“Cercherò
di sopravvivere al dolore”, la informò
distrattamente Sebastian.
Si
chinò di nuovo verso la bambina, Rachel, con un falso
sorriso
radioso. “Allora, tesoro, ti decidi a lasciare quella renna o
vuoi
che te lo canti?”.
“Oppure
potrei staccarti io le dita, una ad una: sarà molto
divertente”,
aggiunse Santana.
“Gli
elfi dovrebbero essere gentili”, si lamentò la
bambina con
cipiglio corrucciato, incrociando le braccia al petto. “E tu
non lo
sei!”, l'additò con aria polemica.
“Ha
ragione”, convenne, Kurt, che fino a quel momento era parso
nascondersi dietro le due ragazze, per evitare di incrociare lo
sguardo del coinquilino.
Si
chinò stoicamente per un ultimo tentativo. “Che ne
diresti se tu
lasciassi la renna e io ti dessi un posto in prima fila per vedere
Babbo Natale?”, le propose con un sorriso luminoso, cercando
di
nascondere la fronte imperlata di sudore.
Lo
studiò con aria quasi meditabonda: “Poi posso
avere la mia
renna?”.
“Stecchita
e imbalsamata”, rispose per lui, Santana.
Sorrise
la bambina, scendendo con aria soddisfatta e porgendole la mano:
“Abbiamo un accordo”.
Ci
volle tutta l'arte persuasiva e la voce petulante di Rachel Berry,
perché Santana Lopez non staccasse le dita della mano che le
veniva
porta.
Con
un sospiro di sollievo, Kurt si diresse verso il tavolo coi viveri,
versandosi un bicchiere d'acqua con la stessa disperazione con cui
molti avventori del Penguin Pub languivano di fronte ad un bicchiere
di whisky.
Lo
aveva seguito, Sebastian, continuando a squadrarlo con espressione
sorniona e si chinò verso il suo viso. “A che ora
stacchi?”,
gli chiese languidamente, rimirando il cappello che indossava.
“Non
ho mai rimorchiato un elfo”, sussurrò con aria
confidenziale.
Sollevò
gli occhi al cielo, Kurt: “La prossima volta che ti chiedo
aiuto
per un lavoretto extra, uccidimi”.
“Scusa,non
ti ho sentito: le tue calze a strisce mi confondono, oppure
è questo
ricciolo”, aveva allungato la mano verso la sua fronte,
laddove
quel ciuffo elaborato ad arte sfuggiva dal copricapo intonato al
completo.
Sospirò,
Kurt, scostandone la mano: “Sono serio”.
“D'accordo,
mi farò perdonare”, suo malgrado si sorprese per
come la sua voce
suonasse sempre più dolce e rauca, parlando con lui.
“Questo
sarà il tuo Natale, promesso”.
Lo
guardò con aria scettica, Kurt: “Mi
basterà togliermi questo
costume: pizzica”, commentò in tono lamentoso,
sfregandosi il
fianco. “E poi le strisce mi fanno le gambe
grasse”, aggiunse con
una sorta di broncio, guadandosi al di sotto della vita.
“Non
lo avevo notato”, convenne Sebastian con lo sguardo rivolto
altrove. “In effetti una parte di te sembra persino
più grande del
solito”, fu il suo spudorato commento, lambendosi le labbra e
ignorandone il rimprovero scandalizzato.
“Si
suppone che io sia un aiutante di Babbo Natale”.
“Vuoi
che ti faccia un inventario di tutti i film porno che implicano Babbo
Natale e i suoi elfi?”, lo provocò Sebastian con
il suo sorriso
più baldanzoso, giocherellando con la frangetta a punte
della
casacca. “Potrei aiutarti a sfilarlo”, soggiunse
con uno sguardo
più languido.
Scosse
il capo, Kurt, depositando il bicchiere con intenzione di andarsene.
“Ci
vediamo dopo”.
Sorrise
tra sé, Sebastian, ma si volse quando ebbe la sensazione che
qualcuno lo stesse fissando intensamente. Non si era sbagliato: alle
sue spalle Santana Lopez lo stava rimirando con aria divertita, a
giudicare dal sorrisetto supponente sulle labbra. “Non te lo
sei
ancora portato a letto, vero?”.
“Nella
mia mente sì, svariate volte e in molteplici posizioni e
ambienti”,
ammise senza alcun pudore, continuando a scrutarne la figurina,
mentre faceva disporre i bambini in una fila ordinata, all'ingresso
di un vecchiaccio obeso, travestito da Babbo Natale.
“Sei
fottuto, Ciuffo Disney, ma non nel modo in cui speri”, fu il
commento della ragazza, rimirando a sua volta il suo coinquilino.
La
guardò di sottecchi: “La strizzata alle tette ti
toglie ossigeno
al cervello?”.
“Zia
Snix ha visto abbastanza e ne è nauseata, adios”,
un vago cenno della mano e, totalmente incurante dei richiami del
datore di lavoro, gettò il cappellino alle sue spalle in
un'evidente
ed implicita rassegnazione delle proprie dimissioni.
Rimase
lì, Sebastian, osservando il suo coinquilino alle prese con
i
bambini, ne osservò i sorrisi più formali, quelli
più sinceri. Lo
sentì intonare stupide canzoncine natalizie, accompagnandole
con una
coreografia del tutto improvvisata, mentre la solita Ciabatta Berry
cercava di catalizzare su di sé riflettori invisibili.
“Non
credevo che saresti rimasto”, convenne Kurt alla fine del suo
lunghissimo e sofferto turno. “Dov'è finita
Santana?”.
“Avrà
infilato il suo «
labbra
di pesce »
sotto una piantagione di vischio”, ribatté con uno
scrollo di
spalle, prima di osservarlo e lambirsi le labbra. “ E poi te
l'ho
detto: non ho mai rimorchiato un elfo, prima d'ora”, ne
baciò la
gota.
Sospirò,
con aria stoica, dirigendosi verso gli spogliatoi: “A tra
poco”.
Inarcò
le sopracciglia, pochi minuti dopo, quando si sentì cingere
il
braccio da Kurt stesso:
“Andiamocene”,
gemette con aria sconvolta che gli fece inarcare le sopracciglia.
“Ho
appena visto un topo, non ho intenzione di spogliarmi lì
dentro o
restare qui un minuto di più”.
Rise,
Sebastian, per poi tornare a squadrarlo: “Oh, ti prego, dimmi
che
lo terrai per tutta la sera”.
“Sebastian,
non sei divertente: dimmi che sei venuto in auto!”, parve
supplicarlo con aria disperata che lo fece persino ridere
più
intensamente.
“Custodirò
questa immagine per sempre”, gli sussurrò
all'orecchio in tono
complice, facendogli strada verso il parcheggio.
“Non
tornerò mai più in questo centro
commerciale”, borbottò l'altro
con tono evidentemente scandalizzato, attendendo che aprisse l'auto
per sedersi al lato passeggero.
Lo
osservò durante la guida e non ci volle molto
perché Kurt sembrasse
nuovamente perdersi nei propri pensieri, abbastanza insidiosi
perché
lo sguardo si adombrasse. Lo osservò sfregarsi il dito che
sembrava
ancora orfano dell'anello che aveva indossato fino a poco tempo
prima.
“Pensi
ancora a lui, vero?”, si sentì chiedere,
Sebastian.
Inarcò
le sopracciglia, Kurt, ma non parve voler negare: ne osservò
il
profilo con aria stanca.
“Lo
scorso Natale mi aveva regalato un anello: lo aveva definito il primo
Natale di molti altri da passare insieme come coppia”,
spiegò e la
sua voce ancora era impressa dell'umiliazione e del dolore sofferto
da quella separazione.
“Natale
non è solo un fidanzato stucchevole”,
commentò in risposta,
inarcando le sopracciglia. Non riusciva a comprendere come si potesse
davvero permettere che qualcuno si insinuasse nella propria vita ad
una maniera così morbosa. Tanto persino da poter ancora
avere presa
a distanza di tempo, persino rovinando l'atmosfera particolare da cui
avrebbe voluto lasciarsi immergere.
“No,
ma non è neppure sentirsi soli”,
replicò Kurt in risposta, il
sorriso amaro. Era stata una coincidenza sfortunata che il padre non
avesse potuto raggiungerlo e non desiderava affatto tornare in Ohio.
Inarcò
le sopracciglia, Sebastian, il viso inclinato di un lato:
“Sono
diventato trasparente per caso?”.
“No”,
sorrise Kurt e parve davvero sollevato per l'implicita conferma che
non lo avrebbe lasciato solo in quel loft e in balia di sé
stesso e
dei propri tormenti. “Dubito potresti mai esserlo, ma
grazie”.
“Potresti
ringraziarmi continuando a tenere questo
costume per tutta la sera”, rimarcò in risposta,
allungando la
mano a sfiorarne il ginocchio, suscitando un'inarcatura di
sopracciglia da parte di Kurt.
“Sei
un maniaco”, ma ne strinse la mano un breve istante.
“Forse”,
ribatté in tono distratto, ma ringraziò che la
flessione della sua
voce non tradisse quell'improvvisa aritmia, dovuta a quella stretta
inaspettata.
Si
drizzò, un sorriso sul volto e schiuse l'uscio per
annunciargli il
suo contributo. Fin quando non lo vide con Blaine di fronte al
camino: quest'ultimo aveva sollevato un ramo di vischio sopra le loro
teste e si era proteso per baciarlo.
Stupido
Natale.
~
Storse
le labbra quando notò che, persino nel suo rifugio dal mondo
esterno, le decorazioni natalizie erano sparse ovunque. Imprecando
tra i denti, si fece largo tra la solita fiumana di frequentatori:
persino le ballerine esibivano costumi di un rosso vivace e con
risvolti bianchi e cappelli da Babbo Natale.
Fu
lieto (quasi) che il look natalizio non fosse stato contemplato anche
per il barista la cui espressione da “disperato
smanettatore”,
lasciava intuire
che il suo umore non fosse esattamente idilliaco. Non che la cosa lo
preoccupasse. Alla sua vista vi fu solo un solco tra le sopracciglia
a mo' di saluto ma, raddrizzando gli occhiali sul naso,
sfogliò il
tomo di medicina con la stessa aria schizzinosa degli studenti di
legge che sedevano in biblioteca e lanciavano occhiate incendiarie al
minimo suono diverso dal grattare di una penna.
Si
accomodò al solito sgabello, premunendosi di servirsi da
solo,
prendendosi una bottiglia di birra.
Il
solco tra le sopracciglia di Hunter si accentuò, ma non
commentò e
si limitò a leggicchiare l'ennesima pagina, mentre Sebastian
faceva
vagare lo sguardo attorno con vaga curiosità.
“Tontittany
in rosso sembra la versione porno soft di Cappuccetto Rosso”,
pronunciò con aria indifferente, tanto per punzecchiarlo.
Notò
un fremito all'altezza della mascella, ma il barista non parve voler
interrompere (ancora) il suo dignitoso silenzio.
Roteò
gli occhi, Sebastian: “Hai le spalle troppo larghe per fare
il
gioco del silenzio”.
“Le
sue sono perfette per guardarmi come se le avessi impiccato il gatto,
cosa che, tra parentesi, non sarebbe poi un'idea tanto
malvagia”,
specificò con tono polemico. “Lo sono anche per
farsi accompagnare
a casa da quel coreano coi suoi addominali scolpiti e il suo perfetto
stile di ballo”, aggiunse sfogliando l'ennesima pagina con
un'energia tale da procurare uno strappo alla stessa, probabilmente
immaginando di poter così eliminare la concorrenza.
Si
concesse un vago sorrisetto, Sebastian: “L'angry
sex è sempre meglio di niente,
dovresti pensarci”.
Alla
sua occhiata gelida, si strinse nelle spalle: “Non ti ho
detto io
di rovinare tutto con lei”, scrollò le spalle.
“O di rovinare
quello che non c'è mai stato al di fuori della tua mente
perversa.
Che poi tu sia visto da tutti come un gay, è ancora
più-”.
“Sei
stato il primo a diffondere la voce!”, fu la scandalizzata
accusa e
la vena sulla fronte parve pulsare soltanto per ricordare la sua
esistenza.
“A
volte dimentico quanto io sia influente”, dichiarò
Sebastian con
aria piuttosto compiaciuta di sé, prima di tracannare
nuovamente un
sorso di birra dalla canna della bottiglia.
“Non
ce l'ho con te”, ammise Hunter che chiuse il libro con aria
stoica.
“Ce l'ho con me stesso perché ancora ti permetto
di rovinarmi
l'esistenza”, precisò con la stessa aria
risentita.
Emise
un fischio fintamente impressionato: “Non è che a
forza di sognare
le tette, ti stanno spuntando, vero?”, domandò con
aria fintamente
preoccupata. “Però potrebbero esserti utili sotto
la doccia”,
aggiunse con espressione provocante.
Lo
fissò con aria disgustata: “Non sono in vena,
Sebastian”.
Scosse
il capo, lo sguardo di nuovo diretto al palco. “Odio il
Natale”,
parve parlare con se stesso e Hunter sorrise con aria ironica.
“Odi
il Natale condito al gel di mirtillo, odi il Natale con Kurt felice e
innamorato, nella sua meravigliosa favola e il miracolo di Natale che
scalda tutti i cuori di quelli che ti stanno attorno”,
recitò
tutto di un fiato, prima di incupirsi. “Che sembrano
sbatterti in
faccia le loro vite perfette, le loro perfette relazioni, le loro
perfette carriere e i loro conti in banca grondanti”.
Prodigioso
come il sorriso ironico con cui aveva iniziato quel soliloquio (con
l'intento di rigirare il dito nella piaga) avesse lasciato spazio ad
un'espressione di puro disgusto e di reale autocommiserazione. Si
versò un bicchiere di tequila che ingollò come
stesse facendo i
gargarismi in bagno.
“Fanculo
al Natale”, borbottò tra sé e
sé, facendo cozzare l'ennesimo
bicchiere contro la bottiglia di birra dell'altro.
“Pranzo
coi tuoi?”, chiese Sebastian, come se fosse stata la risposta
a
quell'improvvisata invettiva autobiografica.
Un
vago cenno d'assenso. “Sto pensando di propormi per il doppio
o
triplo turno”, lo informò distrattamente.
“Sempre che quel
tiranno creda che si presenti qualche accattone per cui valga la pena
aprire”.
“Sapevo
che non avresti resistito una notte senza di me”,
ammiccò
Sebastian.
“Sta
zitto”, borbottò.“E che faranno i tuoi
piccioncini?”.
Una
smorfia schifata. “Partiranno domani: pranzo dai futuri
suoceri che
sono rimasti entusiasti dei progetti di Kurt per il
matrimonio”,
spiegò, sollevando gli occhi al cielo, cercando di non farsi
venire
un'ulcera al ricordo dell'entusiasmo di Kurt mentre glielo riferiva.
“Per l'occasione si presenterà anche il brillante
fratello, un
fallito di Hollywood che si crede Matt
Bomer”.
“E'
anche lui gay?”, chiese vagamente incuriosito l'altro.
“Ci
stai facendo un pensierino?”, lo rimbeccò
automaticamente.
Roteò
gli occhi, Hunter, lo sguardo saettò nuovamente al palco in
occasione del primo assolo a tema natalizio della bionda ballerina. “Si
prospetta un gran bell'anno di merda”, sussurrò
tra sé e sé,
Sebastian.
“Già”,
borbottò l'altro, tornando a fissare il proprio bicchiere,
come se
stesse valutando se fosse il caso o meno di lasciarsi sedurre da
quell'opportunità. Lo ingollò l'attimo dopo,
senza battere ciglio. “Almeno lo scorso Natale non eravamo
qui”, aggiunse quasi a mo'
di consolazione.
“Se
stai per rievocare l'ennesimo flashback in bianco e nero su te e
Jenna-”.
“E
tu?”, lo incalzò con aria ironica.
“Ricordo ancora l'espressione
che avevi il giorno successivo al tuo non-appuntamento
con Kurt”, rimbeccò, incrociando le braccia al
petto, le
sopracciglia inarcate con la stessa espressione di chi attende una
confessione inevitabile.
“Avrei
dovuto scoparmelo quella sera, almeno mi sarei tolto lo
sfizio”,
borbottò in risposta. Ma si sentì persino peggio
per aver
pronunciato quelle parole, quasi una parte di sé volesse
ancora
convincersi che Kurt potesse essere soltanto un corpo su cui lasciar
sfogare fantasie e desiderio. Quasi potesse davvero illudersi di
sminuire in quel modo i suoi sentimenti o, peggio ancora, insozzare
volgarmente tutto ciò che il giovane rappresentava, a
partire da
quel decoro e candore che lo avevano colpito fin dal primo incontro. “Grazie,
Pablo Neruda”,
commentò sarcastico, Hunter. “Ora il sesso
natalizio ha un nuovo
significato”.
Ma
non lo stava più ascoltando, Sebastian.
Bussò
alla porta del ragazzo e schiuse l'uscio, quando ne sentì la
risposta dall'interno: era meglio dimostrare di avere buone
intenzioni, una volta tanto, così da evitare che lo
assordasse con
uno di quegli strilli da donna. Come aveva immaginato, era ancora
perso nel suo melodramma rosato, mentre contemplava un cofanetto. Si
avvicinò al letto sul quale era seduto e scrutò
all'interno della
scatolina: aggrottò le sopracciglia alla vista di
quell'orrido
esemplare di pacchiano romanticismo, ma si sforzò di
mordersi la
lingua e non pronunciò commenti, o meglio non tradusse in
suono i
suoi pensieri.
Si
mise in ginocchio di fronte al giovane, glielo tolse di mano e
appoggiò le mani sulle sue ginocchia: “Se proprio
vuoi
kurteggiare,
non lo farai da solo e senza un bicchiere di whisky”,
proclamò con
tono autorevole.
“Non
sono un alcolizzato”, borbottò con voce indignata,
ma si lasciò
cadere sul proprio letto. “Scusami, ma oggi non sono affatto
di
compagnia”, continuò con l'aria di chi avrebbe
preferito passare
la serata fissando il soffitto e piangendosi addosso.
“Fa
niente”, si strinse nelle spalle e affondò sul
materasso,
sporgendosi pericolosamente verso il suo viso. “Posso fare
tutto
io”, sussurrò al suo orecchio con un luccichio
malizioso nello
sguardo.
Boccheggiò,
Kurt, le guance più rosate che fecero sorridere Sebastian
con
voluttuosa soddisfazione.
“Vedi?
Ora sei anche più natalizio”, ne baciò
la guancia accaldata per
poi ergersi in piedi, tirandolo per il braccio.
“Andiamo”, lo
esortò ad alzarsi.
Sospirò,
Kurt, evidentemente poco propenso ad uscire dalla propria camera,
soprattutto da quella mentale nella quale racchiudeva il suo dramma
broadwayiano personale.
Sorrise
soddisfatto, Sebastian, aspettandosi che la vista del tradizionale
albero natalizio a Rockefeller
Center
lo avrebbe fatto
tornare alla sua tipica espressione sognante.
“Credevo
che vivessi a Brooklyn per evitare tutta New York”,
commentò Kurt
con aria ironica, seppur lo sguardo azzurro non potesse non restare
incantato di fronte alla monumentale visione.
Si
concesse un sorriso ironico, Sebastian. “Di solito
è così, ma sei
fortunato: passerai il tuo primo Natale a New York come da
tradizione”, dichiarò con espressione risoluta.
Inarcò
le sopracciglia, Kurt, il viso inclinato di un lato:“E da
quando tu
seguiresti le tradizioni?”.
“Vuoi
smetterla di parlare?”, lo incalzò, indicando la
pista. “Voglio
vedere il tuo culo rimbalzare sul ghiaccio”.
“Sfortunatamente
per te”, e Sebastian si ritenne già fortunato
perché aveva
recuperato quel brio nello sguardo più complice ed ironico
con cui
si scambiavano battutine all'ordine del giorno, “sono un buon
pattinatore”.
“Tanto
meglio”, si finse per nulla impressionato. “Mi
insegnerai tu”.
Parve
realmente sorpreso dalla proposta, Kurt, evidentemente non
aspettandosi che potesse ammettere, pur indirettamente, una propria
lacuna. Ma sorrise, con quell'alone più fanciullesco e
sereno.
“Potrebbe essere divertente”.
“Sì,
potrebbe”.
Ed
era stato davvero così: non gli era dispiaciuto osservarlo
pavoneggiarsi con qualche giro in tondo o sorridere con aria
accattivante, anche dopo uno scivolone, ma in posa per una fotografia
ricordo. Non gli era dispiaciuto fingere di non saper muoversi per
avere un pretesto ideale per trattenerlo o lanciarsi su di lui,
facendolo ruzzolare a terra, deliziato dalla risata che si era
lasciato sfuggire all'ennesimo impatto contro la pista di ghiaccio.
Ne
aveva contemplato il viso da vicino, Sebastian, quel sorriso a farne
scintillare gli occhi, mentre i fiocchi di neve turbinavano loro
attorno in uno sfondo banalmente natalizio ma piacevole. Era stato
allora che lo sguardo ne aveva sfiorato le labbra, meditando
seriamente di sfruttare quel pretesto per strapparne un bacio
sfiorato, un tocco fuggevole per fissare quel momento nella memoria
di entrambi.
E
sarebbe stato così semplice, se lo sguardo di Kurt non fosse
stato
attratto dal capitombolo di una sagoma gigantesca quanto goffa.
“Ci
sono Rachel e Finn”.
Si
era costretto a drizzarsi in piedi, Sebastian, scuotendo il capo a
volersi liberare di quel momento di insana follia, aiutando il
coinquilino a rimettersi in piedi.
Ma
si premunì di far cadere uno dei due piccioncini, ogni volta
che gli
fosse stato possibile urtarli e farlo passare per un incidente dovuto
alla poca esperienza.
Se
non altro era stato un buon modo per distrarsi e non continuare a
pensare all'occasione mancata.
Gli
aveva procurato uno strano contorcimento guardarlo di fronte ad una
cioccolata calda, mentre immergeva un dito nella panna per poi
portarselo alle labbra con aria golosa, senza neppure realizzare
quanto potesse essere dannatamente provocante. Ancora una volta si
domandò come potesse faticare a capire che non aveva affatto
bisogno
di ostentare un atteggiamento sexy o (come nel caso di qualcuno di
ben più ridicolo) di indossare litri e litri di gel.
Era
semplicemente essendo se stesso, lasciando scorgere quell'anelito
innocente e delicato che Kurt Hummel sapeva essere irresistibile ai
suoi occhi.
Forse
non nell'accezione comune, ma era proprio ciò a
destabilizzarlo e
intrigarlo, come nessun avventore del Penguin Pub sarebbe riuscito,
senza che qualunque seduzione potesse definirsi forzata e
improvvisata, in vista di una possibile notte di passione.
“Cosa
c'è?”, chiese al suo sguardo prolungato.
Sarebbero
state almeno una decina le battute più o meno volgari da
rivolgergli
per risposta.
Si strinse nelle spalle:
“Hai una macchia”.
“Cosa?”.
Rise
della sua faccia sconvolta, ma allungò il dito a cogliere
una
minuscola porzione di panna dalla gota e ne imitò il gesto,
portandosela alle labbra.
Un
vago rossore sfiorò le gote di Kurt, probabilmente
domandandosi se
non lo stesse provocando. Scosse il capo, tuttavia, un sorriso
complice e sbarazzino nel far tintinnare la tazza contro quella del
coinquilino.
“Avevi
ragione”, dichiarò, quando furono rientrati.
“E' stata una
bellissima serata”.
Di
slancio gli gettò le braccia al collo e per Sebastian fu
spontaneo e
naturale avvincerlo a sé. Appoggiò il capo contro
al suo e sorrise.
Si
era scostato dal suo petto, Kurt, ma aveva fatto l'errore di
guardarlo troppo a lungo, alle luci dell'albero, gli occhi ancora
sgargianti di serenità.
Era
stato un attimo incredibilmente lungo, quello in cui entrambi
sembrarono consapevoli di quanto intima fosse quella vicinanza e di
ciò che avrebbe potuto scaturirne.
Sbatté
le palpebre, infine, e Sebastian avrebbe dato qualsiasi cosa per
poterne sondare i pensieri in quel preciso frangente.
“Vado...
vado a farmi la pulizia del viso”, balbettò con le
gote rosate,
quasi timoroso.
Annuì
distrattamente, Sebastian. Mezzora dopo, aveva già
dispiegato le
coperte con un sospiro, domandandosi se non avesse dovuto uscire per
prendersi un drink.
Fu
allora che Kurt bussò timidamente ed entrò,
avvolto nel pigiama di
seta azzurro che, seppur non ne lasciasse intravedere un centimetro
di pelle, riusciva a risultare stranamente intrigante.
Almeno
fino a quando non ne scorse il viso e quello sguardo che scintillava
di un'emozione del tutto nuova: un misto di speranza e di timore. Di
bisogno e di solitudine.
“So
che potrà apparire puerile”, esordì con
una reale esitazione che
ne rese la voce più flebile.
Scosse
il capo, Sebastian, scoprendo che non aveva bisogno di sentirglielo
chiedere esplicitamente.
Scostò
ulteriormente le coperte e il gesto sarebbe valso soltanto per
osservare la gratitudine e l'autentico affetto scintillare in quelle
iridi, in quel sorriso che contava più di un ringraziamento
accorato, mentre copriva rapidamente la distanza. Si insinuò
al di
sotto delle coperte, Kurt, ma si premunì di rannicchiarsi
oltre la
linea immaginaria che avrebbe diviso in due il letto.
“Non
vedevi l'ora”, lo canzonò, Sebastian, ma in tono
poco convincente
perché potesse risultare un invito malizioso.
Sorrise
persino l'altro, ma per qualche motivo quella frase scherzosa
sembrò
essere il pretesto perché abbattesse quelle ultime difese.
Quel velo
di riservatezza e quelle remore più romantiche, prima di
avvicinarsi
al suo corpo per accoccolarsi contro il suo petto, dopo un'implicita
richiesta con lo sguardo. Sembrò trovare la perfetta
collocazione
nell'incavo della sua spalla e Sebastian si sorprese a trattenere il
fiato, come mai era accaduto in un intimo abbraccio con un amante
occasionale.
Restò
ad osservarlo per qualche istante, quasi desiderando che il suo corpo
potesse serbare una traccia del suo calore, quasi potesse lasciarvi
un'impronta per continuare a sentirlo così vicino.
Lo
strinse a sé, Sebastian, con un solo rimpianto quella notte:
non
averlo baciato.
Si
riscosse e tornò ad osservare il palco, prima di schiarirsi
teatralmente la voce, quando si rese conto che il barista era
già
tornato alla sua lettura.
“Che
sta facendo quello?”,
chiese con tono enfaticamente sorpreso.
Sollevò
gli occhi al cielo, quando l'altro non reagì e gli tolse
bruscamente
il tomo di fronte.
Fu
allora che egli, l'espressione scocciata, seguì il suo
sguardo,
mentre un ragazzo dai capelli simili ad un groviglio di fil di ferro
intrecciato e gli occhiali scuri saliva sul palco.
Strappò
il microfono di mano alla biondina e l'avvinse a sé,
protendendo il
viso per baciarla, mentre la musica continuava a risuonare
inascoltata.
Non
ebbe neppure il tempo di chiedersi perché il buttafuori non
fosse
intervenuto, Hunter Clarington: con un guizzo atletico
scavalcò il
bancone per dirigersi verso il palco con un'inaspettata
fluidità di
movimenti. Afferrò il brufoloso ragazzino per il colletto
della
giacca e spintonarlo via dalla ragazza, tra il clamore generale.
Soltanto
dopo qualche minuto, Sebastian, sorseggiando la sua birra con vago
interesse, fece un cenno pigro al buttafuori. Quest'ultimo si fece
avanti per esortare il barista a riprendere il suo lavoro e cacciare
l'avventore, mentre le altre ballerine si riversavano giù
dal palco,
squittendo impaurite. Ad eccezione di Santana Lopez, l'unica che
sembrò capire cosa stesse realmente accadendo e che
guardò Sebastian come se non riuscisse a credere ai propri
occhi.
Pochi
istanti dopo, un fazzoletto a tamponarsi il naso, Jacob Israel si
avvicinò furtivamente a Sebastian nell'angolo appartato
vicino alle
slot machine, l'aria afflitta e risentita.
“Bel
lavoro”, si complimentò, Sebastian, aprendo il
portafoglio e
porgendogli una banconota senza batter ciglio, con la stessa
espressione altezzosa con cui avrebbe chiesto ad un senzatetto di
andare ad elemosinare altrove.
La
prese con la mano libera, lo sventurato, guardandolo risentito:
“Non
mi avevi detto che il tuo amico era il doppio di me”,
borbottò con
voce distorta dal colpo inferto.
Strinse
le labbra, Sebastian, non particolarmente allenato alla vista del
sangue, ma si strinse nelle spalle. “Non ti avevo detto di
infilarle le mani nell'imbottitura, ma apprezzo lo spirito di
iniziativa”, commentò in tono serafico.
Non
ebbe tempo di replicare, perché il buttafuori (dopo aver
preso la
banconota che Sebastian gli aveva porto) lo spintonò via e
gli
intimò, con voce teatralmente alta, di non azzardarsi a
infiltrarsi
di nuovo nel locale.
Il
sopracciglio inarcato, osservò il barista ritrovare la sua
espressione più spavalda (incredibile come adesso fosse
oggetto
d'attenzione di quasi tutte le ballerine, comprese quelle che lo
avevano sempre bellamente ignorato, se non usando una scollatura come
pagamento di una bibita tra un numero e l'altro), mentre la sua
Tontittany si premuniva di appoggiargli il ghiaccio sulla mano che
aveva usato per colpire il maniaco, con espressione da crocerossina
natalizia.
Gli
rivolse un cenno del capo: non aveva dubbi che quella sera non
avrebbe protestato per il pagamento non pervenuto (per così
dire).
“Buon
Natale, Clarington”, sussurrò tra sé e
sé, affondando le mani
nelle tasche dei pantaloni.
In
fondo, come aveva detto lui a suo tempo, non gli augurava una vita
privata catastrofica quanto la propria.
Senza
contare che quell'opera buona avrebbe dovuto compensare un altro anno
di bevute gratis, sopperendo la sua scarsa abilità di
psicologo.
Tanto
ci avrebbe pensato da solo, nel corso del nuovo anno, a mandare tutto
all'aria e fargli riscuotere la scommessa con la Lopez.
~
Quando
schiuse gli occhi quel mattino, non ebbe alcun desiderio di alzarsi
dal letto: sarebbe stata la peggiore vigilia di Natale di tutti i
tempi e dubitava che l'arrivo del nuovo anno avrebbe portato qualche
piacevole novità o un nuovo inizio a lui favorevole.
Dubitava
che quei tre mesi sarebbero stati all'insegna della sua rivalsa:
cominciava a dubitare di molto a quel punto e il fatto che non si
fosse sbronzato la sera prima, non appariva affatto a suo vantaggio.
Restò in ascolto dei suoni provenienti dal soggiorno,
laddove
riusciva ad immaginare Kurt già vestito di tutto punto,
mentre
controllava le ultime cose, cedeva alla paranoia e riapriva ogni
singola valigia a fare un inventario e controllo mentale per
assicurarsi di non aver dimenticato il phon, il beauty-case con le
creme o i suoi foulard a tema natalizio.
Sarebbe
stata una buona occasione per imparare a vivere la sua assenza, si
disse, rigirandosi nel letto e desiderando cadere nuovamente nel
torpore del sonno.
Riusciva
quasi a sentire la voce di ClisterHunter e il suo cipiglio severo a
ricordargli che Kurt era ancora lì e se anche avesse potuto
accusarlo di essersene andato, lui stesso sarebbe stato responsabile
per averlo lasciare andare senza reagire.
Si
sfregò gli occhi e uscì dalla camera: Kurt, come
aveva previsto,
era già vestito per uscire e lo sguardo era perso nel vuoto,
rimuginando chissà su cosa.
Si
volse, quando Sebastian entrò in soggiorno e lo sguardo
scintillò
per il sorriso che ne increspò le labbra, sinceramente lieto
di
vederlo.
“Speravo
che ti alzassi in tempo: stavo già pensando di lasciarti un
biglietto di saluto, ma-”.
Inarcò
il sopracciglio a fermarne il fiume di parole e Kurt sorrise,
comprendendone il significato: “Non sei mai eloquente di
mattina e
neppure completamente vestito”.
Il
sorriso si fece più suadente, non avendo affatto remore ad
uscire
dal letto soltanto con un paio di boxer e una t-shirt. “Non
so se
dovrei lasciarti partire”, incrociò le braccia al
petto. “A meno
che al tuo ritorno tu non annunci un altro fidanzamento o non ti sia
trasformato in una Kate o-”.
Non
aveva finito di formulare la frase che aveva percepito il contatto
con il suo corpo: gli aveva avvolto le braccia al collo, Kurt, e
aveva affondato il viso contro la sua spalla.
“Sei
sicuro di non voler venire?”, gli chiese in tono quasi
supplicante.
Scosse
il capo, Sebastian, pur nascondendo il volto contro i suoi capelli,
inebriato dal loro profumo e dalla morbidezza al tatto, cercando di
ignorare il pensiero che quella separazione aveva già il
sapore di
un addio prematuro.
“Non
sarò il testimone, ma neppure il terzo incomodo”,
mormorò in
risposta, ma Kurt non parve risentirsi. Era come se cogliesse quel
qualcosa oltre il sarcasmo di cui erano intrise le sue parole. Come
se volesse colpirlo e destabilizzarlo in modo meno appariscente ma
più efficace.
“Mi
chiamerai, o meglio, risponderai alle mie chiamate?”.
Si
lasciò sfuggire uno sbuffo ironico, ma lo trattenne contro
di sé:
“Forse, se non sarò troppo ubriaco”.
“Se
dovessi scoprire che resterai solo-”.
Scosse
il capo, Sebastian, scostandolo da sé: “Non devi
preoccuparti per
me, mi troverai qui al tuo ritorno... e ora sparisci, vai”.
Parve
indugiare, Kurt, continuando ad osservarlo con aria indecisa: ne
scorse il movimento con cui si sollevò sulle punte per
sfiorarne la
gota con le labbra fresche e morbide, intinte del suo burro cacao
preferito. Socchiuse gli occhi, Sebastian, suo malgrado rilassato al
contatto, ruotando appena il volto fino a quando i loro sguardi non
si fusero, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Le
guance di Kurt erano rosate, gli occhi parvero sfavillare, gli
tremarono le labbra e sembrò trattenere il respiro.
Un
solo battito e avrebbe potuto carpirne le labbra con le proprie.
Indugiò in quell'attimo di sospensione nel quale si aprivano
infinite possibilità, quello necessario a cambiare davvero
le cose o perderlo per sempre.
Sbatté
le palpebre, Kurt, e fu istintivo per Sebastian trattenerne i
fianchi, osservandone lo sguardo interrogativo. Era parso
irrigidirsi.
“Kurt”,
quasi non riconobbe il suono della propria voce, quasi ne
pronunciasse il nome per la prima volta, quasi ogni volta che lo
facesse, potesse illudersi che fosse quella decisiva.
“Sono
qui”, sussurrò lui in risposta ad un'implicita
domanda e ne
percepì la pressione delle mani sul suo petto.
No,
si disse Sebastian ancora una volta, non era vero. Non
del tutto.
Si
scostò quasi bruscamente, scuotendo il capo:
“Farai tardi”.
“Sebastian”.
“Va'”,
si sforzò di sorridere ma quell'imperativo parve la supplica
di non
dargli ulteriore tempo per poter agire. Per poter realizzare che,
ancora una volta, non ne sarebbe stato in grado e più
tentava di
avvincerlo a sé e più lo spingeva tra le braccia
di Blaine.
Ne
baciò la gota e ne inspirò il profumo quasi
disperasse di poterlo
sentire sulla propria pelle, anche ad ore di distanza.
Sospirò,
Kurt, che si costrinse ad indietreggiare: “Ti
chiamerò appena sarò
arrivato”.
Un
cenno del capo: “Sarò qui”.
Contò
i passi che parvero necessari perché Kurt uscisse dal loft,
quelli
che occorsero a fargli di nuovo percepire l'inevitabile strappo
all'altezza del petto.
~
Il
Natale era solo sopravvalutato in fondo ed era un'opinione diffusa,
seppur in pochissimi fossero disposti ad ammetterlo. Ma non
riuscì a
trovare lo stesso appagamento nel passeggiare e cercare di
confondersi tra la folla, non lo consolava neppure il fatto che
avrebbe evitato inutili convenzioni sociali e il dover essere
sottoposto ad un interrogatorio da parte dei propri familiari.
Più
volte il suo pensiero corse al giovane e all'ultimo Natale, il primo
che ne aveva scosso l'animo dopo così tanto tempo, ma che
sembrava
ormai soltanto vivere nelle proprie reminiscenze, rendendo soltanto
più amaro ed insopportabile il presente.
Avrebbe
soltanto voluto che il tempo scorresse più rapidamente,
superare
quella simbolica data e poter tornare ad una parvenza di
quotidianità, consapevole che quel countdown non avrebbe
smesso di
beffarlo.
Indugiò
in quel momento, osservando la porta d'ingresso del loft, quasi
così
facendo potesse cambiare ciò che lo attendeva. Il silenzio e
quattro
pareti a circondarlo.
Ironico
che fosse il motivo stesso per cui aveva deciso che Brooklyn sarebbe
divenuta la sua casa. Ironico che, ancora una volta, Sebastian Smythe
si scoprisse cambiato e contro la sua stessa volontà.
Sarebbe
stato rapido, si disse a mo' di sprono, sarebbe entrato per prendere
il portafoglio, magari anche premunendosi di lubrificante e
preservativi e avrebbe lasciato che l'alcool e il sesso ne
riempissero il vuoto. Almeno qualche ora. Prima di svegliarsi e
sguazzare nell'odio di se stesso.
“Ciao”.
Sbatté
le palpebre, quasi timoroso che quel suono soffice e ben conosciuto
fosse soltanto una bieca proiezione del suo udito o della sua
speranza.
Osservò
Kurt che, per contrasto, appariva perfettamente a suo agio: come se
fosse stabilito fin dall'inizio che, al suo ritorno, sarebbe stato
lì
a cucinare per entrambi la cena della Vigilia.
Il
piacevole aroma di tacchino sembrò l'ulteriore conferma che
fosse
tutto reale.
Aveva
indossato il grembiule ed era apparso più che concentrato
nella
farcitura e nelle ultime decorazioni del piatto, tanto da non alzare
neppure lo sguardo in sua direzione.
“Spero
che tu sia affamato, credo di essermi superato quest'anno”,
annunciò con tono evidentemente orgoglioso di sé,
a giudicare da
come dondolò le spalle.
Si
guardò attorno, Sebastian, quasi aspettandosi che svanisse o
che
scoprisse Mezza SegAnderson, Rachel e Finn già seduti a
tavola: i
primi due guardandolo con aria schifata per la sua molesta presenza
in un quadro in cui sarebbe stato normalmente escluso. “Allora?”,
lo incalzò il suo coinquilino: le mani sui fianchi e il
sopracciglio
inarcato, quasi fosse Sebastian quello fuori posto.
“Togliti il
cappotto e lavati le mani, è quasi pronto”, lo
esortò.
Scosse
il capo, l'altro, con aria diffidente: “Cosa ci fai
qui?”, gli
chiese esplicitamente.
Non
gli sfuggì come Kurt, fino a quel momento, avesse evitato di
guardarlo in viso, malgrado i gesti e le posture ne denotassero
tranquillità, come se non fosse venuto meno ad impegni
precedentemente stabiliti.
“Stavo
pensando che dopo cena potremmo-”.
“Kurt”,
lo richiamò perché ponesse fine a quella
pantomima, malgrado la sua
parte più egoistica lo stesse ammonendo perché si
limitasse ad
obbedirgli e godersi quell'inaspettata ma piacevolissima sorpresa.
“Non
ha importanza”, rispose frettolosamente Kurt, ancora non
guardandolo, ma con la voce lievemente più insistente.
“Non
adesso”.
Lo
ignorò, Sebastian, si avvicinò a passi rapidi e
ne cinse
delicatamente, ma con aria decisa, il mento perché
finalmente
potesse incrociarne lo sguardo. Sentì il suo cuore
stringersi in una
morsa e un'improvvisa furia attraversarlo: gli occhi apparivano
ancora piuttosto gonfi e la punta del naso arrossata, malgrado avesse
ostentato una reale allegria al suo ritorno.
“Hai
pianto”, cercò di contenere l'ira, la voce soffusa
e l'aria
realmente preoccupata nel trattenerne il viso.
Scostò
delicatamente la sua mano, Kurt, cercando di improvvisare un sorriso,
mentre scuoteva il capo. “Stavo affettando le
cipolle”.
“Cazzo,
Kurt, che cosa ti ha fatto stavolta?”, gli chiese in tono
secco,
senza neppure più crucciarsi di apparire calmo.
Scosse
il capo e le labbra tremarono, ma si appoggiò al suo petto
con lo
stesso slancio con cui lo aveva fatto alla partenza, a mo' di
congedo.
“Non
adesso, ti prego”, parve supplicarlo, quasi ne temesse le
reazioni
o, probabilmente, che una volta dato sfogo a quel dolore, non sarebbe
più riuscito a frenarsi senza rovinare inesorabilmente
quella
parvenza di compostezza. Si strinse più forte al suo petto,
quasi ne
comprendesse, dalla rigidità, l'intenzione contraria.
“Poi
ti racconterò tutto, ma adesso pensiamo soltanto a cenare,
ti
prego”, la voce si era smorzata, ma persino quel gorgoglio
finale
parve una stilettata nel petto di Sebastian.
Serrò
la mascella, Sebastian. “Non credo di poterlo fare senza
prima
avergli disfatto i connotati”, gli fece presente, quando il
tremore
del suo corpo lo indusse, in un gesto istintivo e non meditato, a
cingerne la vita e trattenerlo contro di sé. Malgrado una
parte di
sé volesse scuoterlo con maggiore energia perché
reagisse
all'ennesima prova che non l'avrebbe mai reso realmente felice.
Si
scostò, Kurt, le mani adagiate al suo petto e lo sguardo
tremulo, ma
parve ritrovare il sorriso: più dolce e soffuso
nell'osservarlo.
“Voglio
solo passare con te questa Vigilia di Natale”,
sussurrò e
Sebastian si odiò per come il suo corpo parve letteralmente
afflosciarsi, per come fu quasi lui a necessitare di un sostegno per
il solo modo in cui la flessione della voce di Kurt riusciva a
renderlo così suggestionabile. Ad una maniera che non
avrebbe mai
sopportato, neppure per lui.
Persino
più insidioso quel sorriso più dolce
nell'osservarlo attentamente:
“Lui non ha nulla a che vedere con questo”.
Un
verso di ironico divertimento, appoggiandogli le mani sulle spalle,
guardandolo attentamente negli occhi: “Lui non ha a che fare
con
questo?”, ripeté in tono incredulo, neppure
sforzandosi di
controllare la propria voce e il tono alterato.
“Vi
sposerete tra tre mesi e tu hai rinunciato ai vostri progetti, dopo
che io stesso ti ho visto uscire di casa questa mattina e senza alcun
preavviso”, articolò con voce sempre
più incredula, cercando di
celare l'amarezza all'idea di essere soltanto un ripiego.
“Sei
sicuro di non aver altri
ripensamenti?”, lo incalzò, cercando di celare
l'autentica
speranza che racchiudeva quella provocazione.
Sorrise,
suo malgrado, Kurt, scuotendo il capo. “Sicuro, Sebastian, di
non
essere tu a ritenerti inferiore a Blaine?”, cercò
di sviare la
reale domanda, provocandolo con quel sorrisetto supponente sulle
labbra.
Lo
osservò ancora a lungo, Sebastian, in quel momento
chiedendosi se
fosse più opportuno baciarlo o schiaffeggiarlo
perché smettesse di
fingere. Dopotutto Clarington coi suoi quattro occhi poteva aver
scorto un assioma inconfutabile: entrambi in fuga da qualcosa,
incapaci di parlarsi chiaramente, sembravano perfetti l'uno per
l'altro, quando l'unica cosa che contava, in certi momenti, era
restare insieme. A dispetto del mondo esterno, a dispetto della loro
coscienza e della consapevolezza che tutto fosse ancora in sospeso.
Scosse
il capo, quasi combattuto.
“Ti
prego”, sussurrò nuovamente, Kurt, quasi avesse
mentalmente
seguito il suo stesso percorso, i suoi stessi interrogativi e le sue
stesse considerazioni.
Sospirò,
Sebastian, ma lo trattenne contro di sé e ne
baciò la guancia: “Vado a mettermi i boxer
rossi”, sussurrò a mo' di provocazione,
indugiando con le labbra lungo la sua gota.
Lo
sentì emettere un verso di divertimento e di esasperazione
insieme:
“Idiota”.
Indugiò
in quel momento, Sebastian, sfregando le labbra lungo la sua gota e
ne osservò attentamente il volto, quasi ancora mancasse
qualcosa per
fissare quel momento. Quasi qualcosa dovesse essere detto, malgrado
la loro personale crociata nell'incapacità di affrontare
loro
stessi. “Sono felice che tu sia qui”.
Percepì
il lieve tremito del corpo di Kurt, l'aritmia del suo cuore contro il
proprio petto.
“Anche
io”, sospirò in risposta e non era stato
necessario guardarlo in
viso per capire che era sincero.
La
cena era stata perfetta: era come se, di comune accordo, nulla avesse
inficiato la loro quotidianità negli ultimi mesi e in quello
strano
anno che stava per concludersi. Non era facile scacciare l'idea che
qualcosa doveva realmente averlo turbato, ma continuava ad osservarne
i sorrisi, il dardeggiare del suo sguardo, quell'autentica
serenità
di cui si sentiva contagiato, soprattutto all'idea di esserne l'unico
artefice e beneficiario.
“Ho
qualcosa per te”, commentò Kurt e Sebastian lo
seguì con lo
sguardo mentre trottava verso la sua camera. In realtà non
vi era
nulla che già non conoscesse al suo interno, a meno che Kurt
non
disponesse di ripostigli segreti, ma si era scoperto a fare la stessa
azione, un sorriso ad incresparne le labbra. Persino recuperando un
alone di serenità e di tranquillità che avevano
qualcosa di
fanciullesco.
“Prima
io”, sussurrò Sebastian che gli porse un pacchetto
rivestito di
una carta azzurra che Kurt prese tra le dita con espressione
entusiasta e febbrile. Sgranò gli occhi alla vista della
spilla
dorata per poi studiarne il simpatico uccello rappresentato.
“Ha
a che fare con il tuo pub o qualcuno – Finn – ha
parlato troppo
del mio soprannome al liceo?”, domandò con voce
lievemente
alterata per l'imbarazzo, continuando a rigirare la spilla tra le
dita.
“Rilassati,
baby penguin”, sorrise
con aria piuttosto compiaciuta “Ho già visto le
tue foto del
passato”, ma Kurt non sapeva che una di quelle fotografie gli
era
stata sottratta la sera stessa del blackout e che la custodiva
gelosamente nel portafoglio, nascosta tra le carte di credito.
Prese
la spilla dalle sue dita e l'appuntò al suo petto,
indugiando contro
la camicia di raso di quel rosso acceso che ne metteva deliziosamente
in risalto i lineamenti. Sentì Kurt trattenere il fiato e ne
scrutò
gli occhi.
“E'
un animale sottovalutato, ironizzato per la sua goffaggine, ma pochi
sanno che sa amare come nessun'altra specie e sceglie un compagno per
tutta la vita, a dispetto di tutto e di tutti ed è questo a
renderlo
speciale”,
cercò di controllare la flessione della propria voce,
continuando ad
osservarne le iridi cerulee per poi smorzare la serietà del
paragone
con uno sguardo più ironico. “ Anche se si ritiene
impacciato o
poco attraente”, concluse e non vi erano dubbi su chi fosse
il
destinatario di quelle parole.
Un
lieve rossore aveva colorato il viso di Kurt, ma lo osservò
con
sguardo più lucido e un reale sorriso ad incresparne le
labbra.
Emozionato e colpito per come sembrava averne scorto quell'attitudine
ad amare ad una maniera sincera e pura, pari soltanto al bisogno di
essere toccato da un affetto altrettanto intenso.
“E'
bellissima”, sospirò, “e credo che
nessuno farebbe mai sentire
un pinguino speciale come faresti tu, anche se è una frase
strana da
dire”, cercò a sua volta di smorzare la
serietà di quel momento
con un sorriso più ironico.
Scrollò
le spalle, Sebastian, compiacendosi di quell'alone più
frivolo:
“Sarò l'avvocato dei pinguini”.
Si
era nuovamente fatto serio, Kurt, che gli aveva porto un involucro in
carta verde con un fiocco dorato.
“Spero
non sia un'altra pochette”, sospirò Sebastian con
aria stoica, ma
esaminò la forma dell'involucro e cominciò a
stracciarne la
confezione, impaziente di scorgerne il contenuto.
Ridacchiò,
Kurt, ma lo esortò dolcemente ad aprire: pareva anche lui
incapace
di attendere e Sebastian stesso si ritrovò a sorridere.
Schiuse
il cofanetto e sbatté le palpebre di fronte al bracciale
placcato in
oro bianco e rimirò il ciondolo, inarcando le sopracciglia
quando
realizzò che cosa simboleggiava.
“Una
stella?”.
“La
stella polare”, sussurrò Kurt in risposta e
Sebastian lo guardò
attentamente, mentre cercava di comprenderne il significato.
Sorrise,
Kurt, glielo prese delicatamente di mano per appuntarglielo al
braccio: “So che non stai vivendo un bel periodo e so anche
che sei
restio a parlarne e mi dispiace di cuore che io stia contribuendo a
renderlo poco lieto”, esordì a mo' di spiegazione.
“Kurt”,
ne sussurrò il nome, rimirando il bracciale al proprio polso
con un
misto di timore e di reverenza, prima di incrociarne nuovamente lo
sguardo.
“Voglio
solo che ogni volta che lo guardi, tu possa ricordare che puoi venire
da me: non ti farò domande e non pretenderò
risposte fin quando non
sarai tu a desiderarlo”, sussurrò Kurt, indugiando
a pochi
centimetri da lui, il viso reclinato di un lato ad osservarlo
attentamente.
Sorrise,
un lieve tremito delle labbra e un baluginio commosso nello sguardo:
“Ma sarò sempre con te, anche se non ci
credi”, rivelò con voce
più rauca.
Sebastian
percepì qualcosa di simile ad uno strappo all'altezza del
petto e
indugiò nell'osservarlo, quasi la verità fosse
celata in ogni
parola, quasi tutto fosse proteso perché si avvicinasse a
coglierlo.
Ne aveva ripetuto il nome, quasi a volerlo descrivere con una sola
parola. Trovare un modo di riassumere e simboleggiare quel dolce
dolore che era diventata la sua presenza. Quel molesto ticchettio
interiore a ricordargli che quelli sarebbero stati tra gli ultimi
istanti di cui avrebbe tessuto ricordi che lo avrebbero accompagnato
per tutta la vita, che lo desiderasse o meno.
Ne
sfiorò la gota quasi devotamente e Kurt ne trattenne la mano
dolcemente: “Sono qui”, sussurrò, quasi
a mo' di
incoraggiamento. E
per quella sera parve bastargli: lo trattenne a sé, senza
pensare al
domani o a ciò che sarebbe accaduto nei prossimi tre mesi.
Lo
trattenne a sé, quando si accoccolò contro la sua
spalla per uno di
quei classici film natalizi strappalacrime che avrebbe sempre
detestato. Lo trattenne anche quando si addormentò.
Lo
prese tra le braccia e lo condusse nella propria camera, un sorriso
ironico nel realizzare che era l'unico ad averla valicata.
Chissà
che il dormire insieme non potesse davvero diventare una loro
tradizione, a dispetto della minaccia del tempo che stava scorrendo
troppo rapidamente.
Socchiuse
gli occhi contro il suo capo, nel momento in cui lo sentì
adagiarsi
contro la sua spalla: persino immerso nel torpore, Kurt
riuscì a
trovare quel riparo nel quale accoccolarsi.
Era
tra le sue braccia, in quel momento, seppur fosse già perso
nei suoi
sogni. Probabilmente, almeno in quella realtà onirica,
avrebbe
potuto sentirlo suo.
Per
quelle ore, a discapito del mondo esterno, avrebbe ignorato che fosse
soltanto in parte con sé.
Mai completamente, non del tutto. Soltanto
quasi lì.
To
be continued...
Spero
che abbiate passato una bella settimana, certamente per noi fan di
Grant è finalmente giunto il tanto atteso pilot di
“The Flash”
*-* Assolutamente sublime, se purtroppo con Sebastian non ha potuto
tornare per qualche frangente davvero significativo, non si
può che
essere orgogliosi e felici per il suo nuovo ruolo con il quale
potrà
dimostrare il suo innegabile talento :)
Ma
tornando a noi, è stato bello immergersi in un'atmosfera
natalizia,
il nuovo anno si avvicina e così il famigerato matrimonio,
ma
vediamo come lo inaugureranno i nostri eroi :D.
“Stai
avendo dei dubbi?” “Credo che mi nasconda
qualcosa”.
“Quando
hai capito di amarlo?” “Credo che non ci sia un
momento preciso,
non per tutti. Ma guardarlo la prima volta è stato
speciale...”.
“Cosa
diavolo stai facendo?” “Non dovevi ispezionare
cadaveri oggi?”
“Sei al telefono con Brittany?!”.
“No”. “Ciao Hunter!”.
“Il
che conferma il tuo bisogno patologico di accudire, a discapito di te
stesso”. “Stai sebastianando, è un buon
segno”.
“Sei
passato dal voler sabotare ogni fase del matrimonio a lasciare a
Blaine campo libero... da quando lo chiami per nome, a proposito?
(…)
Ti sei arreso, Sebastian?”.
Credo
di avervi incuriosito abbastanza e ora posso (ahimé) tornare
ai miei
appunti universitari.
Ma
prima ci terrei ancora una volta a ringraziare tutti voi che mi state
seguendo con tanto affetto e dedizione da strapparmi sempre un
sorriso emozionato con le vostre parole e osservazioni.
Anche
solo leggere le cifre di chi segue, gradisce fino a seguire o
segnalarla tra le fanfiction preferite, è un'immensa gioia,
quindi
grazie di cuore :)
Al
prossimo capitolo,
buon
weekend a tutti :)
Kiki87
Per ascoltare la canzone e
vederne il testo originale: qui
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Non
riesco a ricordare come
fosse
la mia vita prima di te, e
non
so neppure come siamo
giunti qui
ma forse questo è
esattamente
ciò di cui avevo bisogno.
Qualcuno che
mi facesse dimenticare
da dove vengo e qualcuno
che
mi potesse far amare senza
sapere
come ci si innamora.
R.M.Drake
Dicembre
(meno tre mesi al
matrimonio)
Capitolo
9
Il
profumo di vaniglia lo
cullò in quello stato tra il sonno e la veglia: Sebastian
non
ricordava di aver mai dormito così bene. O in maniera
così
spensierata, senza che a ciò seguissero i postumi di una
sbornia e
il suo effetto obliante. C'era ancora un sorriso sulle sue labbra,
quasi quella sensazione piacevole non lo stesse abbandonando, neppure
con la consapevolezza che tutto stava finendo.
Allungò il braccio per
avvolgerlo intorno all'esile figura al suo fianco. Non aveva mancato
di notare (e complimentarsi con quel sorriso più lascivo)
che
l'esercizio fisico ne aveva temprato il corpo, rendendolo
più tonico
ma, per qualche motivo, appariva ancora minuto ai suoi occhi. Fragile
e delicato, come doveva averlo conosciuto la Mezza SegAnderson,
nonostante avesse già esperito momenti d’intenso
dolore che
dovevano averlo fatto maturare anzitempo.
Sebastian avrebbe voluto
che il tempo si potesse fermare in quell'istante di completa pace e
serenità. Avrebbe voluto poter sostare in quella bolla di
sospensione nella quale vi era soltanto quel calore e quella pace e
tutto il resto era distante e ridimensionato.
Socchiuse gli occhi,
quando sentì Kurt stringersi al suo petto e strofinare il
viso
contro l'incavo del suo collo e, totalmente rilassato,
sprofondò
nuovamente nel mondo dei sogni.
Depose il vassoio accanto
al letto, mentre Kurt schiudeva gli occhi e lentamente batteva le
palpebre: sembrò impiegare qualche istante per mettere a
fuoco la
camera del coinquilino e ricordare perché si fosse
addormentato lì.
Sebastian gli porse la
tazza di caffè: “Decaffeinato”, lo
informò con un accenno di
sorriso, con ancora indosso i pantaloni del pigiama.
Kurt prese la bevanda con
un sorriso: “Buongiorno e grazie”,
sussurrò con voce ancora
impastata di sonno, ma l'espressione completamente rilassata. Parve
riflettere, mentre sorseggiava, a giudicare dalle sopracciglia
inarcate. “E' la prima volta che lo prepari tu”,
convenne.
“E sarà anche
l'ultima”, replicò Sebastian con un sorrisetto.
“Faceva parte
delle condizioni per affittarti la camera”,
ricordò ancora una
volta il giorno in cui si erano conosciuti. “E poi hai
soltanto
dormito in questo letto”, aggiunse con un'occhiata
più languida.
“Molto comodo”,
ribatté l'altro, ignorandone volutamente l'allusione
sessuale.
Sebastian annuì e ne
osservò i capelli scarmigliati: un alone sbarazzino che,
tutto
sommato, non stonava, ma sembrava persino risaltarne i lineamenti
cesellati del viso.
Sostarono in silenzio per
qualche istante e Sebastian si domandò se fosse quella la
quotidianità di coppia: piccoli momenti di per sé
ripetitivi,
banali e scontati ma che, tutti uniti, creavano quel sapore di
familiarità e di appartenenza reciproca a qualcosa da
considerare
soltanto loro.
Per quanto volesse
sguazzare in quel piacevole stato d'animo, era consapevole di non
poter soffocare il dubbio: la sua parte razionale preferiva una
risposta esplicita (per quanto potesse risultare poi sgradita)
all'ambiguità.
“Cos'è successo con
Blaine?”, si sentì chiedere.
Kurt parve sorpreso per
la tempestività della domanda, ma intuì che era
finito il tempo di
tergiversare e che Sebastian meritava una risposta esplicita.
“Abbiamo discusso”, esordì.
“A causa mia?”,
chiese con altrettanta sfacciataggine, ma Sebastian sapeva che
l'eventuale risposta positiva non gli sarebbe stata di conforto. Non
quanto avrebbe sospettato superficialmente fino a pochi mesi prima.
Il suo coinquilino
sospirò, ma l'osservò a lungo e le labbra si
ammorbidirono in un
sorriso dolce. “Ti assicuro che questo non cambia le cose: a
prescindere dal nostro litigio, non avrei voluto passare altrove la
Vigilia di Natale, devi credermi”.
Malgrado la voce di Kurt
fosse stata un sussurro, quelle parole parvero toccarlo in petto,
laddove il suo cuore sapeva contrarsi ad ogni gesto che andava oltre
l'ordinaria e reciproca ironia. Quella morsa al petto parve
allentarsi, ma seppe che non avrebbe potuto crogiolarsi di
un'effimera soddisfazione. “Non hai risposto”.
Perché sembrava
allontanarlo, anziché profittare di quelle parole per
avvincerlo
maggiormente a sé? Quale strano e masochistico meccanismo
d’autodifesa stava attivandosi nelle sue interazioni con Kurt?
“Anche”, ammise Kurt,
infine. “In realtà questo periodo è
pieno di alti e bassi”,
sorrise con evidente amarezza. “Alcune coppie sembrano
ritrovare
più armonia che mai, mentre si avvicina il giorno delle
nozze, ma
noi sembrano emergere i dissapori o le questioni in sospeso”,
concluse con tono quasi stanco e rassegnato.
“Stai avendo dei
dubbi?”, cercò di celare il modo in cui si fosse
teso sul
materasso e si scoprì a trattenere il fiato.
Contò i battiti del
proprio cuore, prima di riuscire a sentirne la risposta.
“Credo che mi nasconda
qualcosa”, fu la dolorosa ammissione e gli occhi cerulei
parvero
farsi più lucidi: un velo di lacrime trattenuto tra le
ciglia.
“Posso seguirlo o farlo
seguire”, propose istantaneamente.
“Non credo che occorra
nulla di così drastico”. Kurt sorrise, suo
malgrado. “Ma è
spesso nervoso”, continuò a parlare con il
cipiglio corrugato.
“L'altro giorno, quando sono arrivato, ho trovato a soqquadro
la
camera da letto. Mi sono offerto di aiutarlo a rimettere in ordine,
ma si è rifiutato con una certa foga che ho trovato fuori
luogo e
senza darmi una plausibile spiegazione su cosa stava facendo. Mi ha
praticamente buttato fuori dalla camera”. La sua voce
lasciò
trapelare l'indignazione, seppur fosse evidente che ancora si
crucciava nel cercare di comprendere la natura di quell'insolito
comportamento.
Non si rese conto di come
lo sguardo dell'altro, al contrario, dardeggiò alla palese
realizzazione.
L'anello.
Sebastian sentì il
respiro farsi pesante e lo sguardo vagò nell'armadio in cui
lo aveva
riposto, nascosto in una scatola di scarpe. “E sospetti che
questa
sia una prova... di cosa, esattamente?”, s’impose
di apparire
razionale e calmo, una persona alleata con cui confidarsi in un
momento di crescente ansia e confusione.
“Non lo so, mi sento
orribile a pensarci e ti giuro che l'ho davvero perdonato per il
tradimento e ho di nuovo riposto in lui la mia fiducia”,
sembrava
disperare di riuscire a convincerlo, così da sentirsi lui
stesso più
sicuro di sé e del loro rapporto.
Sebastian ancora una
volta si sorprese dell'ascendente che sembrava avere su di lui e
sulle sue certezze. “Ma hai dubbi sulla sua onestà
e ti senti in
colpa per questo”, concluse la frase al suo posto.
Kurt annuì e si avvicinò
per cingerne il braccio: nel suo sguardo vi era una silenziosa
supplica che indusse Sebastian a distogliere il proprio, mentre lo
sgradevole senso di colpa dilagava in sé.
Sarebbe stato fin troppo
semplice approfittare di quel momento, fare pressione e manipolarlo,
affinché riuscisse a disintegrare completamente ogni residuo
di
lealtà e di fiducia nei confronti del fidanzato. Ma la voce
da
“dottorino” gli chiese beffarda se si sarebbe
potuto ritenere
migliore di Blaine o se fondare il suo successo su un raggiro non
fosse poi così dissimile dal tradimento carnale.
“Sei la persona di cui
più mi fido e so che saresti l'unico a parlare in modo
spassionato,
anche se la risposta dovesse ferirmi”.
Sebastian lo guardò e
desiderò riuscire ad essere il solito menefreghista ed
opportunista,
lo stratega egoista che avrebbe alimentato i suoi timori fino a
spingerlo a cadere tra le proprie braccia. Scosse il capo e parve
quasi supplicarlo: “Non posso”.
Difficile capire se
stesse parlando tra sé o al giovane stesso.
“Sebastian, so che non
ti fidi di lui”, lo incalzò Kurt, come a volerlo
spronare ad
essere sincero e diretto, come in qualsiasi altro ambito nel quale
voleva imporre il suo giudizio.
Sebastian scosse il capo
e sollevò la mano a cingerne la gota:
“Kurt”. Indugiò nel suo
sguardo, in quell'attimo di sospensione e rilasciò il
respiro,
mentre cercava di raccogliere quel nugolo di pensieri che premevano
dolorosamente sulle tempie.
Si riscossero entrambi
allo scampanellio quasi irruente: percepirono la voce attutita di
Blaine e il suo richiamo accorato.
Il tempo parve protrarsi
in quel lunghissimo istante nel quale la realtà esterna
sembrò
richiamarli e ammonirli affinché quella breve parentesi
fosse
interrotta.
Kurt si alzò dal
materasso, guardando l'altro come un'implicita richiesta di perdono,
e si mosse verso il soggiorno.
Sebastian lo seguì con
lo sguardo, ma lo raggiunse prima che potesse schiudergli l'uscio e
lo avvinse a sé. Sospirò ed ignorò
l'ennesimo tonfo alla porta, ma
lo guardò dritto negli occhi e la sua mascella parve
contrarsi.
“Qualunque cosa tu decida, ti prego: non sposarlo
perché temi di
restare solo”, fu la semplice ed accorata richiesta. Un
sorriso
consapevole, quasi amaro, nello sfiorarne il viso.
“Sebastian”,
gorgogliò l'altro in risposta, il viso inclinato di un lato
e un
verso di rauca sorpresa: quasi realizzando quanto l'altro lo
conoscesse a fondo.
“Non sarò io ad
andarmene da te”, ne baciò la gota, ma si
scostò rapidamente,
schiuse l'uscio d’ingresso ed uscì, senza guardare
la Mezza
SegAnderson.
Ripose l'anello al suo
posto e uscì rapidamente dal loft: una parte di
sé seppe che non vi
sarebbe più entrato, qualunque cosa fosse accaduta.
Se Kurt si fosse tirato
indietro e avesse sofferto per quella decisione, rifletté
tra sé e
sé, non avrebbe voluto esserne il responsabile.
~
“Il tuo caffè fa
schifo”, ruppe così il silenzio sceso tra loro.
Hunter Clarington gli
lanciò un'occhiata di sbieco. “Dovrò
sopravvivere alla
consapevolezza”, replicò con aria distratta,
carezzando le
orecchie del micio che teneva in grembo. Sembrò voler
aggiungere
altro (e in tono polemico), ma probabilmente il fatto che, durante la
fantomatica sera di Natale, fossero entrambi soli coi loro personali
crucci, lo fece desistere.
Il trillo del telefono
parve riscuoterli e Sebastian osservò l'icona con il nome
del
mittente del messaggio. Non occorreva aprirlo per immaginare cosa
fosse successo in sua assenza. Ma lo fece comunque e il
ringraziamento accorato di Kurt per il suo agire come un «
vero amico » , gli
fece ribaltare lo stomaco.
Sospirò, ma ripose il
telefono in tasca senza commenti.
Il padrone di casa lo
aveva osservato per tutto il tempo e sembrò facilmente
intuire
l'evolversi della situazione. “So che non vuoi sentirtelo
dire”,
esordì con tono cauto, guardandolo di sottecchi.
“Ma hai fatto la
cosa giusta o te ne saresti potuto pentire”,
continuò, scrutandolo
con le sopracciglia inarcate.
“Non mi sembra di star
facendo esattamente i salti di gioia”, fu la replica secca,
senza
neppure incrociarne lo sguardo.
“Se il loro matrimonio
è destinato a fallire, lo farà che tu intervenga
o meno”, ribatté
Hunter con insopportabile raziocinio e lucidità, persino in
quel
frangente. “Se invece Kurt ti guarderà in modo
diverso da qui alla
data stabilita, dipenderà solo da te”.
“Già”, ribatté
l'altro in tono asciutto, fissando il soffitto con le braccia
incrociate al petto. Allungò i piedi verso il tavolo da
caffè
(ignorando lo sguardo di sbieco dell'altro) e sprofondò
maggiormente
nel divano.
“Lo sai perché lo hai
fatto?”, insistette Hunter.
Inutile mandarlo a quel
paese: scoprì di non averne la voglia e l'energia. Ed
inutile
ribadire che non fosse proprio dell'umore adatto ad un dialogo,
quando si metteva in testa di filosofeggiare o si compiaceva del
ruolo di consulente di coppia.
“Lo ami davvero, più
di quanto credessi possibile, anche se questo ti spaventa a
morte”.
“Falla finita,
Clarington, sono venuto per il caffè e per vederti solo e
fallito”.
Hunter scosse il capo, ma
sospirò e riprese a carezzare il persiano, come fosse un
conforto a
cui aggrapparsi. “Sono lusingato”,
borbottò ironicamente, ma non
insistette e Sebastian gliene fu più che grato.
No, l'idea di amarlo così
intensamente non era decisamente una consolazione.
“Ciao
coinquilino”.
Niente di più bello
che giungere alla sua caffetteria ed osservarne l'espressione di
stoica rassegnazione o, come in quel caso, sentirlo trasalire, mentre
era impegnato a servire una tazza di caffè alla sua amica.
“Sebastian, hai già
preso il caffè”, lo rimproverò Kurt.
“E non dovevi andare a
lezione?”, indagò con quell'espressione
più sospettosa.
“Attraversare il
traffico di New York di primo mattino per due ore di diritto di
famiglia, o venire qua a guardarti lavorare”,
sollevò le mani,
come a voler soppesare le due opzioni a confronto, lo sguardo
fintamente pensieroso.
Il cameriere sollevò
gli occhi al cielo e, senza guardarlo, si sedette al tavolo.
“Sono
in pausa, chiedi a Samantha”.
“L'allupata che
vuole portarmi a letto?”, chiese con aria oltraggiata,
ignorando le
occhiate languide che quest'ultima gli stava lanciando, premunendosi
di sistemare meglio la camicetta.
“No, grazie,
attenderò”, lo scrutò con le braccia
incrociate al petto. “Anche
se la tua mancanza di professionalità mi delude non
poco”,
aggiunse per il puro gusto di infastidirlo.
“Cambia
caffetteria”, gli propose con un sorriso affettato,
togliendosi dal
grembiule la targhetta con il nome impresso sopra, a rimarcare la sua
temporanea indisposizione.
“Bene”, scrollò
le spalle. “Oh, Ciao Tracy”, aggiunse a beneficio
della giovane
che aveva seguito il loro battibecco con aria incuriosita.
“Mi chiamo Tiffany”,
ribatté la giovane con le sopracciglia inarcate.
“Come ti pare”, si
lasciò cadere al suo tavolo preferito (ad efficiente
distanza
d'orecchio) e aprì il giornale con aria stoica.
“Scusami”, sospirò
Kurt. Sorrise poi con evidente soddisfazione, come ogni volta che era
in procinto di ascoltare qualche nuovo e succulento pettegolezzo.
“Stavi dicendo?”.
“Joe mi ha detto che
mi ama”, ribatté Tiffany tutto di un fiato, come
se non potesse
resistere ulteriormente dal riportare quella notizia.
“Oh mio Dio”,
esclamò l'altro, portandosi le mani alle labbra, come se
stesse
seguendo una delle sue fiction strappalacrime. “E tu? Come
hai
risposto? Eravate in un posto romantico? Come eri vestita?”.
La ragazza scosse il
capo e parve mortificata, tutt'altro che nell'idilliaco stato d'animo
che ci si sarebbe potuto aspettare in simile situazione. “Era
tutto
perfetto, ma mi ha presa alla sprovvista e... non sono riuscita a
dire nulla”, ammise in tono contrito.
La delusione era ben
visibile sul volto di Kurt che, tuttavia, non esitò a
prenderle
delicatamente le mani con un sorriso più dolce e
rassicurante.
“Capire d’amare
qualcuno è uno dei momenti più dolci e al tempo
stesso difficili,
soprattutto se questo qualcuno non lo sa o non abbiamo il coraggio di
confessarglielo. Ma ti capisco”, le disse con tono quasi
professionale, per poi sporgersi in sua direzione, come stesse per
rivelarle un segreto.
“La prima volta che
Blaine me l'ha detto, mi sono quasi strozzato con il mio
caffè”,
confessò e la ragazza ridacchiò, ma lo
incalzò perché si
spiegasse meglio. Superfluo dire che ciò lo compiacque
particolarmente, visto come ondeggiò le spalle.
“Eravamo alla nostra
caffetteria preferita e gli stavo raccontando di come Rachel e Finn
avevano distrutto la nostra possibilità di vittoria alle
Nazionali
di New York. Ho quasi rischiato di soffocarmi, ma ho capito che era
da molto che lo aveva capito, ma in quel momento non aveva potuto
fare a meno di dirlo. Siamo soliti attendere il cosiddetto momento
perfetto e ci dimentichiamo che qualunque istante potrebbe
diventarlo, purché lo desideriamo davvero”.
Sebastian si sarebbe
normalmente allontanato anni luce da simili e gratuite dosi di
romanticismo soporifero, ma vi era qualcosa nello sguardo di Kurt,
nel suo tono di voce che, suo malgrado, lo indussero a restare
dov'era, fingendo di leggere con cipiglio annoiato. Qualcosa che
andava oltre la mera curiosità su quel suo ostentato
sentimentalismo, le sue teorie sull'amore su cui si erano
già
confrontati in più occasioni. Non seppe spiegarsene il
motivo (non
in quel momento), ma restò immobile, fingendosi concentrato
sulla
lettura e continuò ad ascoltare.
“Prima di pensare a
quando o come dirlo, cerca di capire che cosa provi davvero”,
suggerì Kurt con aria meditabonda.
La ragazza annuì, ma
non ne lasciò la mano: la scintilla di curiosità
ancora non
sembrava aver smesso di dardeggiare nel suo sguardo. “E tu?
Quando
hai capito di amarlo?”.
Kurt sospirò, lo
sguardo perso nel vuoto, ma il sorriso sognante.“Credo che
non ci
sia un momento preciso, non per tutti. Ma guardarlo la prima volta fu
speciale. Imparare a conoscere le sue caratteristiche, i suoi
difetti, come quegli orribili papillon in serie che sembrano rubati
ad un circolo di pensionati e amanti del bingo”.
Sebastian inarcò le
sopracciglia e la ragazza rise al suo tono.
“Alla fine sono
proprio i difetti che si fanno amare di più. Tutte le sue
abitudini
o tutto ciò che è la sua quotidianità,
tutto diventa parte di lui
ed è ciò che conosci più
d’ogni altra cosa, ciò che riesce a
cambiarti la giornata, ciò che sai attenderti dopo ore
passate
lontani l'uno dall'altro. Ciò che sa farti sentire a casa,
qualunque
cosa accada. E in qualche modo, quando sei pronto ad ammetterlo a te
stesso, capisci che è già tuo, che lui lo sappia
o meno”.
Sebastian non avrebbe
mai saputo spiegare la semplicità con cui Kurt
sembrò delineare un
sentimento tanto complesso ed astratto. Soprattutto per come
sembrava accettarlo con una pace interiore che gli sembrava
altrettanto misteriosa.
Si rimise in piedi,
rivolse loro un breve cenno del capo e s’incamminò
verso l'uscita.
“Ma non volevi un
caffè?”, sentì la voce interdetta di
Kurt alle sue spalle.
Sollevò appena la
mano, ma non si volse: affondò le mani nelle tasche ed
accese una
sigaretta, passeggiando per le strade familiari del quartiere.
Ancora non ne capiva
il motivo, ma sapeva che quelle parole lo avrebbero tormentato a
lungo.
Gennaio
(meno due mesi al
matrimonio).
Il suono
del liquido che
scivolava nel bicchiere era quanto di più seducente quella
sera: ne
osservò il colore alle luci al neon e sentì la
gola secca. Desiderò sentirne il sapore sul palato e quel
bruciore all'altezza
dello stomaco, sciogliendo completamente tutti i propri tortuosi
pensieri.
Scosse
il capo e lo porse
al cliente, prima di passarsi una mano tra i capelli. Lo sguardo
torvo saettò ancora una volta in direzione del tavolo della
coppia
più strana ed inverosimile al mondo. E non perché
uno dei
componenti era gay.
Sebastian,
la bottiglia
di birra tra le dita, stava parlando con la sicurezza di sempre. La
giovane indugiava con la cannuccia del suo frappé alla
fragola,
facendola tintinnare contro il calice e osservando il suo
interlocutore come se si stesse completamente bevendo le sue parole.
“Cosa
diavolo
succede?”. Santana Lopez sembrò dare voce ai suoi
stessi dubbi. Usò la pochette che teneva tra le mani, dopo
essersi tolta i costumi
di scena, per indicargli lo stesso punto.
Hunter
serrò le braccia
al petto: “E' da un quarto d'ora che confabulano e lei non se
n'è
ancora andata urlando”, spiegò con altrettanto
sconcerto. “Si
direbbe che Sebastian non la stia
insultando”.
Per
qualche motivo, ciò
sembrò indispettire la ragazza: “Sta giocando
sporco, me lo sento
nelle tette”.
Il
ragazzo sbatté le
palpebre, fissandola incredulo, probabilmente più per la
personalissima diagnostica che per il sospetto di per sé.
Non era la
prima volta che percepiva una certa tensione tra Santana e Sebastian:
aveva il vago sospetto di un complotto di cui era stato tenuto
all'oscuro. Di ciò si era detto grato, per puro spirito di
sopravvivenza.
“Prego?”,
le chiese
con le sopracciglia inarcate.
La
ragazza scacciò la
domanda con un cenno della mano: “E' colpa tua”,
gli abbaiò
contro e ciò non fece che accentuare il cipiglio perplesso
del
barista. “Le ho dato le fragole, la panna, un vestito
succinto, un
reggiseno imbottito: dillo che sei gay e facciamola finita”,
la sua
voce si era alzata in quel tono più aggressivo.
“Ho perso fin
troppo tempo con te”.
Ma
non la stava
ascoltando, Hunter, un rivolo di sudore freddo gli scivolò
lungo le
tempie al ricordo di quel particolare episodio. Si era detto che
fosse illegale che una giovane ostentasse cotanta voluttuosa
provocazione, senza neppure rendersene conto. Bastò
ripensare
all'abitino rosso e striminzito, in perfetto contrasto con il colore
dorato dei capelli. Di una tonalità cremisi, abbinata al
rossetto e
al colore dello smalto mentre con le dita affusolate prendeva le
fragole, una ad una, immergendosele tra le labbra con evidente
soddisfazione, dopo averle spolverate nella panna. E senza neppure
realizzare quanti sguardi si fosse attirata addosso, soprattutto dopo
aver accavallato le lunghe gambe, lasciandone penzolare una.
Mangiucchiava con aria assorta, muovendo la testa a tempo con il
brano musicale, facendo ondeggiare i capelli e mimando le parole
della canzone con le labbra. Una sorta d’innocente e
maldestra
Afrodite: contraddizione fin troppo suggestiva.
Dovette
sbattere le
palpebre per riuscire a sottrarsi a quei ricordi fin troppo nitidi,
deglutendo a fatica.
“Tu...
hai...”, parve
lentamente comprendere. Sgranò gli occhi all'idea che dietro
l'ingenuità puerile della biondina, si fosse celato un
subdolo
raggiro dell'ispanica. Sentì un fastidioso calore fargli
avvampare
il viso solitamente pallido. Sollevò la mano, come ad
invitarla ad
attendere ed ingollò un bicchiere di tequila, come se
ciò fosse
utile a distendere i nervi. Si pulì le labbra con il dorso
della
mano.
“Ti
sarei molto grato
se evitassi di darle altri suggerimenti”, si sentì
dire poco dopo,
cercando di apparire composto, articolando le parole una ad una.
Santana
lo squadrò con
aria evidentemente disgustata e non di meno risentita. “Va'
al
diavolo, un vestito rovinato per nulla”, sollevò
gli occhi al
cielo al ricordo di come la sua distratta protetta fosse riuscita a
sgualcirlo. Tornò ad osservare l'incredibile coppia, una
mano sul
fianco.
“Ora
ci pensa zia
Snix”.
Ma
prima che potesse
avanzare in loro direzione, Sebastian si era alzato. Non rivolse che
un cenno distratto alla ragazza, impegnato a digitare qualcosa al
cellulare.
Ancora
con il suo calice
e la cannuccia con l'ombrellino rosa, Brittany Pierce
continuò a
degustare la sua bevanda, prima di essere agguantata per il braccio
dalla latina che la trascinò con sé con aria
battagliera.
Sebastian,
l'aria calma,
si sedette sullo sgabello che occupava solitamente.
“Allora?”,
lo incalzò
il barista con la mascella serrata.
“Ah,
sì: un'altra
birra”, rispose distrattamente, lo sguardo ancora volto al
display
del proprio telefono.
“Si
può sapere che
cosa sta succedendo?”, trattenne la birra lontana dalla sua
portata, come incentivo a parlare.
Sebastian
scrollò le
spalle, guardandolo con teatrale sorpresa. “Nulla”.
“Cosa
le hai detto?”,
insistette Hunter. “Non mi ha guardato male e non
è fuggita offesa
o piangendo, quindi-”.
Sebastian
sbuffò con
aria evidentemente annoiata: “Clarinton, il mondo non ruota
attorno
a te”.
Il
barista non si prese
la briga di replicare alla provocazione, ma continuò a
studiarlo con
il cipiglio corrugato: “Quindi non le hai raccontato cose
orribili
sul mio conto?”.
“Anche
volendo, sono
sicuro che ci penserai da solo”, gli sorrise Sebastian con
aria
perfida, dopo avergli strappato di mano la bottiglia che si
portò
alle labbra.
“Mi
stai dicendo che
voi due, tu e Brittany, avete avuto una... conversazione
normale?”,
insistette l'altro, ripetendo quelle parole lentamente, come a voler
consentirgli di assimilarle con più semplicità.
“Più
o meno”.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo in un'espressione che
gli era
più consueta.
“Hai
cambiato idea su
di lei?”, il tono di Hunter era persino più
incredulo.
“Al
contrario”,
sbuffò con aria ironica. “Continuo a credere che
sia una bambola
gonfiabile con una vocina insopportabile e che respira”,
ribatté
senza battere ciglio, per poi sorridere suadente. “La tua
donna
ideale, insomma”.
Il
barista si irrigidì
nuovamente, come se finalmente stesse cominciando a farsi largo tra i
suoi processi neuronali. “Hai in mente qualcosa”.
“Come
sempre”, gli
sorrise diabolicamente. “E non sprecare tempo a
chiederglielo:
abbiamo fatto giurin
giurello”,
mosse il mignolo con fare
eloquente.
Quell'informazione
parve
offendere Hunter persino più degli epiteti poco lusinghieri.
“Lo
scoprirò, non so ancora come, ma ti prometto che lo
scoprirò”.
Sebastian
scrollò le
spalle. “Lo so, ma è divertente vederti andare
fuori di testa,
sapendo in anticipo che non ti sarà cosa gradita e vederti
logorare
nelle tue congetture malate”.
“Bastardo”,
borbottò
Hunter in risposta.
Ammiccò
con aria
divertita. “Ci vediamo, Clarington”, lo
salutò con un cenno
militare e scomparve tra la folla, il sorrisetto soddisfatto ad
incresparne ancora le labbra.
~
Un
suono fastidioso, come
una frequenza di una radio mal sintonizzata, ci vollero diversi
minuti, prima di riuscire a percepire la voce della giovane, seppur
distorta dai rumori in sottofondo del traffico newyorchese. O
probabilmente (non era un'ipotesi da escludere) per un mal
assestamento dell'auricolare da parte della sua assistente tutt'altro
che brillante.
“Alice
allo Stregatto,
mi senti?”, Brittany cantilenò a voce
così alta che Sebastian
imprecò e si scostò il telefono dal padiglione
auricolare.
“Stiamo
parlando al
telefono: non c'è bisogno che urli”,
ringhiò in risposta. “E da
quando abbiamo stabilito dei nomi in codice per noi due?”.
“Mi
sembrava un'idea
carina”, ribatté la giovane con tono ridente.
“E poi quando
sorridi, sembri davvero lo Stregatto di Alice nel Paese delle
Meraviglie e io invece-”.
“Non
è il momento:
concentrati”,
dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per
non rimproverarla aspramente, consapevole che così facendo
l'avrebbe
offesa al punto da perderne la complicità. “Dimmi
che sta
succedendo, per favore”,
aggiunse con un notevole sforzo.
“Puffo
Cattivo è
entrato in un negozio di vestiti, Puffo Cattivo è entrato...
non mi
ricordavo che ci fossero puffi cattivi coi capelli
ricciolini”,
ribatté poco dopo, con aria evidentemente confusa.
Sebastian
sollevò gli
occhi al cielo: “Non ti distrarre, leggi il nome del negozio
e fai
in modo che non ti veda”.
“Ok”,
rispose
Brittany con aria allegra e Sebastian si domandò se fosse
una di
quelle persone che sembravano sempre e insopportabilmente di buon
umore. Così tanto da destare istinti omicidi a chiunque
incontrassero. “S-a-i-n-t L-a-u-r-e-n-t”, lo lesse
come scritto e
Sebastian sentì che la sua parte francofona stava premendo
per
gettarsi dal ponte di Brooklyn.
Lo
pronunciò come da
lingua madre.
“No,
non è scritto
così!”, insistette l'altra, pronta a riprendere lo
spelling.
“Vai
avanti”, la
esortò con un ringhio appena celato. “Entra nel
negozio e
comportati normalmente”.
Già
sapeva in partenza
che si sarebbe pentito di essersi rivolto a Tontittany, ma non
voleva essere in debito con la latina ed era l'unica disposta a farlo
gratuitamente. L'unica a bersi una balla colossale con cui attirarne
l'attenzione, facendo leva sui suoi principi morali.
“Oooh!”,
data la
dubbia capacità oratoria della ragazza era difficile
comprendere la
natura di tale esclamazione.
“Che
c'è?”, le
chiese stringendo la balaustra, come a ricordarsi perché non
potesse
perdere la pazienza.
“Quel
vestito è
carinissimo: è
tutto rosa!”,
esclamò con voce grondante di
genuino entusiasmo.
“Non
sei lì per fare
davvero shopping: tieniti a distanza di sicurezza”, la
istruì,
massaggiandosi le tempie per il mal di testa che sarebbe sicuramente
giunto.
“Altrimenti
verrà
davvero a rapire Lord Tubbington?”, gli chiese con voce
evidentemente angosciata.
Ci
volle qualche istante
perché Sebastian collegasse il titolo nobiliare all'obeso
gatto la
cui unica utilità era stata quella di tentare di sfregiare
il
barista. Un sorriso diabolico gli increspò le labbra: quella
se non
altro era la parte divertente. “Oh, sì, scommetto
che ci farà uno
zerbino per la sua nuova casa”, simulò
un'intonazione altrettanto
angosciata.
“Sta
parlando con un
signore grasso e pelato”, lo informò con tono
nuovamente
cospiratore.
“Qualche
segno
particolare?”, le chiese, scribacchiando distrattamente su
uno dei
block notes che aveva sgraffignato dalla camera di Kurt, con tanto di
logo della sua caffetteria.
“E'
grasso?”, ribatté
con aria evidentemente confusa.
Sebastian
sospirò e
parve contare mentalmente fino a dieci, prima di replicare:
“Ha un
metro in mano? Una targhetta su una giacca elegante?”.
“Oh,
sì! Come fai a
saperlo? Mi stai guardando?”, gli chiese in tono sospettoso e
la
immaginò restare immobile nel centro del negozio, facendo un
giro su
se stessa con gli occhi azzurri socchiusi nell'atto di cercarlo.
Evidentemente a metà della sua piroetta, si
fermò: “Si
allontanano! Sono usciti da una porta sul retro!”.
“Ok,
devi seguirli”,
la istruì. “Cerca di intrufolarti, ma se ti
vedono, fingi di star
cercando il bagno e-”.
“Posso
aiutarla?”, fu
la voce professionale di una commessa ad irrompere nella
comunicazione e Sebastian imprecò mentalmente.
“No,
grazie”, sentì
la biondina rispondere con nonchalance davvero lodevole.
“Sono qui
in missione segreta, per cui mi ignori, io fingerò di fare
shopping”, aveva abbassato la voce e probabilmente doveva
persino
aver ammiccato.
Sebastian
si sbatté la
mano sulla fronte.
“Come,
prego?”, sentì
chiedere dalla commessa.
“Non
devi dirlo a
nessuno!”, le gridò Sebastian.
“Scherzavo!
Volevo...
volevo, ecco-”, annaspò.
Sebastian
immaginò la
contrazione dolorosa degli ingranaggi poco oliati di quel cervello
paragonabile ad un uovo. Sospirò, ma si affrettò
a suggerirle: “Dille che sei amica di Blaine”.
“Volevo
fare una
sorpresa al mio amico, quello che è andato da quella parte
con il
signore grasso”, specificò.
“Oh,
quindi è una
parente dello sposo?”.
Sebastian
tirò un
sospiro di sollievo, evidentemente quell'aria angelica riusciva a
supplire la poca materia grigia e la commessa non doveva aver motivo
di sospettare. “Sorridi ed annuisci”.
“Sorrido
e annuisco”,
ripeté prontamente Brittany.
“Non
devi dirlo”,
ringhiò Sebastian tra i denti.
“Cioè...”.
Sebastian
immaginò, dal
silenzio successivo, che stesse effettivamente esibendo il suo
sorriso migliore, dopo aver annuito con foga. Decisamente non
invidiava la donna che l'aveva di fronte in quel momento.
“Allora,
prego, mi
segua: le mostro il reparto di sartoria”, evidentemente la
commessa
era abbastanza ben pagata e il negozio abbastanza di classe da poter
continuare ad assecondare i potenziali clienti, anche quando
evidentemente pazzoidi.
“Non
deve vederti o
tutta la copertura salta e puoi dire addio al tuo gatto”.
“Ma
lui non deve
vedermi!”, balbettò la ragazza in tono
preoccupato, la voce più
stridula. “Cioè sono qui per dare una sbirciatina
e poi gli farò
cucù”.
“Certo”,
rispose la
commessa dopo quello che a Sebastian parve un lungo silenzio
sospettoso. Avrebbe voluto poter coglierne l'espressione del viso:
sarebbe stato tutto piuttosto comico, se non ne fosse andato del suo
piano. “Attenda qui, torno subito”.
“Si
è girata?”, le
chiese.
“Sì”,
ribatté
Brittany in tono sorpreso. “Ma dove sei? Come fai a sapere
cosa sta
succedendo? Hai poteri magici?”, gli chiese ancora
più
meravigliata.
“Dimmi
esattamente che
cosa sta facendo”, ribatté in tono asciutto,
ignorandone le
farneticazioni.
“Parla
con un'altra
ragazza e mi guardano strano: forse avrei dovuto mettere un'altra
gonna”.
“Ascoltami
bene: dille
che hai cambiato idea ed esci dal negozio in fretta, ma fingendo di
farlo tranquillamente. Continua a sorridere come se sapessi
esattamente che cosa stai facendo... o come se avessi un
cervello”,
aggiunse tra sé e sé, ormai rassegnato.
Sapeva
di non poter
pretendere troppo da quella dubbia partner in
crime, ma
l'informazione più importante era stata raccolta, avrebbe
agito da
solo per la seconda parte del piano.
“Ho
cambiato idea!”,
la sentì strillare così forte che dovette
allontanare il telefono
dal proprio orecchio un'altra volta. “Grazie lo
stesso!”.
“Ti
stanno guardando?”,
le chiese in tono vagamente preoccupato. Se si fosse messa nei guai,
avrebbe dovuto affrontare l'ira funesta del barista.
“Hanno
chiuso la porta
e continuano a fissarmi. Oh, ora una delle due ha preso il
telefono”.
“Credo
che stiano
chiamando la sicurezza”, replicò e, suo malgrado,
vi era una nota
di esasperato divertimento nella voce.
“Oh!!”,
esclamò
nuovamente e finalmente parve realmente preoccupata. “Quindi
adesso
sanno anche loro del complotto malvagio di Blaine?”.
“Sì,
certo”, ribatté
in tono sarcastico, sollevando gli occhi al cielo.
“Allora
devo andare a
dire loro quello che so!”.
Sebastian
sgranò gli
occhi. “Non pensarci neppure: trova una panchina nelle
vicinanze,
apri il giornale che ti ho dato e fingi di leggere, ma continua a
guardare il negozio fino a quando lui non-”.
“Ma
è lui!”,
lo interruppe la ragazza, in tono angosciato. “Sta uscendo
adesso
dalla stanza misteriosa: mi sta guardando. Oh, no, adesso
rapirà
anche il mio Lord Tubbington!”.
“Sta
calma e fai
esattamente quello che ti dico: passeggia e non girarti a guardarlo.
Allontanati il più possibile”.
“Ok,
passeggio,
passeggio, passeggio”, ne sentì distintamente i
passi, prima che
uno dei due piedi sembrasse sprofondare in qualcosa di morbido.
“Oh
no,
è una cacca di cane!”, gemette in tono puerile.
“Continua
a
camminare!”, la ridestò in tono perentorio: la
faccenda sarebbe
divenuta ancora più complicata se Mezza SegAnderson avesse
cominciato ad interrogarla: dubitava che sarebbe stata in grado di
improvvisare meglio del suo spasimante.
“Ma
ho la scarpa
sporca!”, fu la sofferta protesta.
“Cammina
o Lord
Tubo
sarà in pericolo!”, si sentì quasi
urlare.
“Ok”,
ribatté con
l'aria di chi si stava facendo coraggio, anche se pareva in procinto
di piangere.
“Cosa
diavolo
stai
facendo?”, sentì una voce alle sue spalle.
Fu
forse la prima volta
in vita sua che Sebastian Smythe trasalì al punto di
rischiare di
far cadere il cellulare nel fiume. Si riscosse alla vista di
MasturbHunter le cui braccia erano incrociate al petto. Evidentemente
la sua corsa mattutina includeva anche il ponte di Brooklyn. Oppure
aveva una sorta d’allarme che si attivava ogni qualvolta
qualcuno
insidiasse il cervello o le tette della biondina (avevano la stessa
consistenza dopotutto).
“Non
dovevi ispezionare
cadaveri oggi?”, lo accolse con tono seccato.
“Sei
al telefono con
Brittany?!”, ringhiò letteralmente la domanda.
“No!”,
ribatté in
tono indignato, scrollando persino le spalle, quasi offeso.
Forse
non avrebbe dovuto
sottovalutare i bicipiti del ragazzo che gli torse il braccio per
mettere il vivavoce alla telefonata ancora in corso.
“Ciao
Hunter!”, la
giovane parve aver ritrovato la sua consueta allegria. “Ho
sentito
la tua voce”.
“Sta
zitta e cammina”,
ribatté Sebastian.
Sbatté
le palpebre,
Hunter, fissando da lui al telefono per qualche istante, prima che il
cipiglio sulla fronte si accentuasse. Ringhiò la domanda
successiva:
“Ha a che fare con Kurt, vero?!”.
“Chi
è Kurt?”,
sentirono la domanda provenire dal cellulare.
“Zitta
e cammina!”,
la istruì nuovamente Sebastian.
Parve
respirare a fatica.
“Si sta avvicinando, mi sta seguendo!”, sentirono i
passi farsi
ancora più rapidi.
Hunter
boccheggiò,
guardando il telefono come se stesse trattenendo un ordigno in
procinto di esplodere sul suo palmo. Fissò Sebastian
incredulo: “Chi
diavolo la sta seguendo?”, chiese in tono mortalmente serio.
“La
Mezza SegAnderson”,
ribatté con uno scrollo di spalle. “ Ma non
è in pericolo!”, si
affrettò ad aggiungere, mentre l'altro assumeva un colorito
sempre
più tendente al violaceo.
“L'hai
coinvolta nei
tuoi casini”, lo additò con aria feroce e soltanto
in quel momento
Sebastian dovette riconoscere che aveva mani enormi. “Come
hai
potuto?”.
“E'
stato semplice: si
beve ogni cosa”, ribatté in tono sferzante.
Hunter
sollevò la mano
come a dirgli di attendere di essere gettato dal ponte, ma trasse un
respiro profondo e si portò il telefono all'orecchio.
“Brittany,
dimmi dove sei, per favore”, si intuì che stesse
cercando di
mantenere il controllo, malgrado le iridi verdi parvero trafiggere
Sebastian sul posto. “Vengo a prenderti subito”.
“Non
lo so”, gemette
la biondina, la voce che sembrava ancora incrinata per la voglia di
piangere. “Non conosco questa strada, ho solo seguito Puffo
Cattivo
e non mi ricordo a quale fermata della metro sono scesa”,
ribatté
in tono evidentemente angosciato.
“D'accordo,
stai
calma”, la incoraggiò Hunter, ancora fissando
Sebastian come se
gli avesse confessato un efferato crimine, malgrado il cipiglio
interdetto al nome in codice.
“Smettila
di fare il
paranoico, mi ha dato l'informazione che mi serviva, è tutto
apposto”, ribatté con uno scrollo di spalle.
“E ora posso
riavere il mio telefono?”.
“Tutto
apposto un
accidenti! Non volevo arrivare a questo punto, ma sono stanco di
tutte le tue... stronzate”.
Sebastian
trovò
incredibilmente patetico che, persino in quel momento di tensione,
abbassasse la voce perché la biondina non lo sentisse
ricorrere a
termini più volgari. Se mai le sue minacce potessero avere
una
qualche fondatezza, il suo essere semplicemente se stesso facevano
scemare l'effetto in pochi secondi.
“O
parli tu con Kurt o
lo farò io!”, aggiunse Hunter in tono perentorio.
“Non
oseresti”,
replicò Sebastian con la consueta arroganza.
“Anche
Kurt rapisce
gatti?”, chiese Brittany, evidentemente ancora ascoltando la
loro
conversazione, un espediente per non lasciarsi andare al panico.
“Ehi, tu,
biondina!”.
I
due contendenti parvero
immobilizzarsi nel riconoscere la voce di Blaine Anderson.
“Chi,
io?”, ribatté, Brittany, in tono di genuina
confusione.
“Non
rispondere”,
ribatté prontamente Sebastian, prendendo di nuovo il proprio
cellulare tra le dita. “Continua a camminare e se lui
continua a
seguirti, comincia a gridare e chiedere aiuto”.
Il
barista parve
imprecare tra i denti e Sebastian sapeva che parte della rabbia era
dovuta al fatto di non poter soccorrerla neppure volendo, rischiando
di esporsi nuovamente alla vista del fidanzato di Kurt, soprattutto
dopo la questione dell'anello momentaneamente scomparso.
“Tu,
ragazzina,
fermati!”, la voce di Blaine ne tradiva la crescente
irritazione e
la prossimità guadagnata.
“Non
posso”, ribatté
la ragazza caparbiamente. “Devo andare e se continui a
seguirmi, mi
metto a chiedere aiuto”. Un netto contrasto tra il tono
puerile e
le implicazioni di una simile minaccia.
“Si
può sapere chi
diavolo sei?”, doveva essersi parato di fronte a lei,
perché non
li sentirono più camminare.
“Jennifer”,
rispose
Sebastian per lei.
“Chi
è Jennifer?”,
chiese evidentemente confusa, mentre Hunter si sfregava una mano
sulla fronte, come ad invocare la pazienza.
“Digli
che ti chiami
Jennifer... Jennifer Brown ”, la istruì
nuovamente, cercando di
trattenersi dall'urlarle contro, con il rischio che la Mezza
SegAnderson riuscisse a sentirlo.
“Cioè,
io sono
Jennifer. Jennifer Brown”, spiegò in tono
fintamente allegro.
“Ciao”.
“Bene,
Jennifer Brown,
posso sapere per quale motivo mi hai seguito fino in negozio? Non
ricordavo che fossimo amici, tanto meno parenti”, fu la
domanda
sferzante di Blaine Anderson con intonazione fortemente sarcastica.
“Digli
che sei una
modella e-”.
“E'
tutta colpa tua,
smettila di creare problemi!”, inveì Hunter, quasi
non fosse più
in grado di contenere la sua rabbia.
La
risposta bieca di
Sebastian non arrivò ed ascoltarono la biondina ripetere
esattamente
la frase del barista, con la stessa intonazione seccata ed irritata.
“Come
hai detto,
scusa?”
le chiese Blaine in tono evidentemente incredulo.
“Stai
rovinando
tutto!”, ringhiò Sebastian e la biondina lo
ripeté, cercando
ancora una volta di riprodurre lo stesso timbro.
“Di
cosa stai
parlando?”, insistette, Blaine che parve persino preoccupato.
“Ci
conosciamo?”.
“Non
avresti neppure
dovuto iniziare!”, ribatté Hunter senza ascoltarlo
e la biondina
parve attuare uno sforzo persino maggiore nel cercare di imitare
nuovamente il barista.
“Sta
zitto, coglione,
sta ripetendo tutto!”, borbottò Sebastian.
“Ehi,
io non dico le
parolacce!”, fu la protesta della biondina che era giunta a
ripetere soltanto la parte che non era necessario censurare.
“Con chi stai
parlando?”, le chiese Blaine Anderson, evidentemente
sconcertato.
Ed evidentemente essendosi accorto soltanto in quel momento
dell'auricolare all'orecchio della ragazza.
Sebastian
ringraziò la
propria mente lucida, persino in situazioni d'emergenza e
improvvisazioni. “Digli « sorpresa! » e
sorridi. Poi ripeti
esattamente tutto quello che dico io, soltanto io”.
Sottolineò nel modo più chiaro ed esplicito
possibile.
“Sorpresa!”,
la sentì
ripetere.
“Sto
cominciando a
stancarmi: o mi dice subito che cosa sta succedendo o andremo insieme
alla polizia”.
“Lei
è su Candid
Camera: un sorriso per la telecamera!”, ripeté
fedelmente le
parole di Sebastian.
“Non
vedo cineprese”,
ribatté il moretto e Sebastian lo immaginò
guardarsi attorno con
aria persino più stolida della sua presunta inseguitrice.
“Bene,
scappo, addio!”,
fu la frettolosa risposta della biondina.
“Aspetti!”,
la
incalzò nuovamente Blaine. “Chi mi ha
fatto lo scherzo? Su
quale canale andrà in onda?”.
Sebastian
sollevò gli
occhi al cielo: quell’overdose di Tontittany e della versione
attention whore di Blaine Anderson era stata decisamente superiore
alla propria capacità di sopportazione.
Non
ebbe neppure il tempo
di compiacersi dello scampato pericolo, perché Hunter
Clarington non
sembrava affatto aver superato la questione. “Non posso
crederci
che tu l'abbia coinvolta! Tra tutte le persone-”.
Sospirò,
con aria
evidentemente stanca. “Un faccino angelico come il suo, chi
la
crederebbe pericolosa?”, roteò gli occhi, come se
la spiegazione
fosse del tutto superflua.
Lo
additò di nuovo con
aria torva. “Sta lontano da lei o racconterò tutto
quanto a Blaine
e Kurt”.
“Le
tue minacce non mi
spaventano”, rimarcò con uno scrollo di spalle.
La
mascella di Hunter si
contrasse pericolosamente: “Non mettermi alla
prova”.
“Sebastian?”,
intervenne la voce di Brittany, in tono mite e preoccupato.
“Che
c'è?”, le
rispose brusco, non immaginando che fosse rimasta in linea.
“Non
so come tornare a
casa”, confessò in tono contrito.
Passò
il telefono al
barista con aria stoica. “Va' a trarla in salvo: non ti
rinfaccerò
l'appuntamento che ti ho appena procurato”, aggiunse con un
sorriso
suadente.
Hunter
prese il telefono,
ma gli riservò un'altra occhiata di sbieco: “Spero
che tu sia
soddisfatto”.
“Ho
l'informazione che
mi occorreva e non coinvolgerò più la tua
adorata, hai la mia
parola”, ribatté con uno scrollo di spalle. E come
avrebbe potuto
sopportare un'altra disastrosa missione come quella?
“Pronto?!”,
insistette la ragazza. “Qualcuno mi vuole aiutare? Per
favore!”.
“Sto
arrivando,
Brittany: cerca il nome dell'incrocio e ti raggiungerò
subito”, le
rispose Hunter in tono conciliante.
La
ragazza gli fornì
l'indirizzo (dopo averlo chiesto ad un passante) e il ragazzo
annuì,
ma ella parve voler aggiungere qualcosa: “Non essere
arrabbiato con
Sebastian, ha solo qualche problema a contenere la rabbia ed essere
gentile, ma non è cattivo-cattivo”.
Nonostante
tutto, sembrò
che sentirne la voce avesse un effetto benefico su Hunter Clarington,
perché la mascella sembrò ammorbidirsi dalla
contrazione assunta
negli ultimi dieci minuti. Abbozzò persino un sorriso e la
sua voce
si fletté in un timbro più vellutato:
“Arrivo subito”.
Porse
di nuovo il
telefono al proprietario.
“Sentito?
Non sono
cattivo-cattivo”, ripeté quest'ultimo in tono
provocatorio.
“Mai
più”, lo
avvisò, sollevando un dito con aria ammonitrice.
“Va'
a fare il
Principe”, ribatté insofferente.
Hunter
sospirò e scrollò
il capo.
“Sebastian,
non so cosa
tu abbia in mente”, si volse dopo pochi secondi.
“Ma ricordati
che la soluzione ce l'hai sempre di fronte e non hai davvero
bisogno di sotterfugi. Sei la ragione per cui Kurt non dovrebbe
sposarlo, lo sei sempre stato, ma non capisco perché fatichi
tanto a
crederlo”.
Sospirò
e lasciò cadere
le mani lungo i fianchi. Non parve, tuttavia, cercarne una risposta:
dopo un'ultima occhiata esasperata, si allontanò
rapidamente.
~
Quando
Sebastian schiuse
gli occhi, quel mattino, ebbe l'impressione di esser stato investito
ripetutamente da un camion in retromarcia. Forse aveva persino
sognato quella scena con tanto di Mezza SegAnderson al volante,
durante una sua pessima imitazione dei Queen, mentre SfinterHunter e
la sua biondina ballavano una sorta di valzer.
No,
non era un buon
segno. La gola secca e la vista appannata, avrebbe voluto alzarsi, ma
ricadde stancamente sul cuscino e si addormentò poco dopo,
malgrado
il martellare doloroso delle tempie.
Schiuse
gli occhi quando,
dopo quelli che parvero pochi minuti, Kurt spalancò le tende
della
sua camera. “Sebastian!”, lo rimproverò,
le mani sui fianchi.
“E' quasi mezzogiorno! Rachel e Finn verranno dopo pranzo,
devo
aerare la casa e-”.
Di
fronte al silenzio
dell'altro, che a stento sembrava riuscire a tenere gli occhi aperti
e mettere a fuoco la sua sagoma, si avvicinò al letto come
se
volesse testarne la sobrietà.
Allungò
la mano verso la
sua fronte e Sebastian emise un sospiro di puro piacere nel
percepirne la temperatura fresca sulla pelle che pareva ardere.
“Ma
hai la febbre!”,
gemette Kurt che parve andare in iperventilazione, dando sfoggio ad
un mix complicato tra moglie devota, inflessibile dottore e sgomento
visitatore.
“Ok,
niente panico”,
parve ammonire se stesso, mentre teneva le mani sollevate, quasi a
voler contenere le proprie paranoie. “Dobbiamo abbassare la
temperatura e devi bere acqua, molta acqua, torno
subito”.
Non
amava sentirsi
vulnerabile, soprattutto se ciò avveniva in presenza di
Kurt. Ma, al
contempo, persino il bruciore era sopportabile, se significava avere
un pretesto valido per sentirne la mano sul viso. O il timbro
più
dolce della sua voce (anche quando continuava a farneticare circa
l'importanza vitale dell'idratazione, soprattutto in quel momento),
percepire il suo profumo o i suoi passi leggeri sulla moquette, quasi
timoroso di disturbarne i brevi momenti di riposo.
La
temperatura si era già
abbassata nel pomeriggio, ma solo a sera si arrischiò a
rimettersi
in piedi, pur percependo la debolezza muscolare e le vertigini che
neppure la migliore delle sue sbronze gli aveva mai procurato. Si era
avvolto in una vestaglia da camera (“Una fortuna che te ne
abbia
comprata una”, era stato il commento compiaciuto di Kurt) e
si era
sgranchito le gambe, prima di lasciarsi cadere sul divano, giunto in
tempo perché il coinquilino potesse assistere alla sua
fiction
serale.
“Non
doveva venire la
Berrysterica?”, gli chiese Sebastian, la voce più
roca del solito
e le sopracciglia inarcate, domandandosi se non avesse sognato anche
quel dettaglio.
“E
rischiare che i tuoi
germi le contaminino il talento?”, non era inverosimile che
quelle
fossero state le testuali parole della ragazza. Sorrise e
scrollò le
spalle: “No, ho disdetto tutto”.
“Se
devi vedere
Blaine-”.
“Te
l'ho detto: ho
disdetto tutto”, ribatté in tono fin troppo
tranquillo.
“Non
era necessario”,
bofonchiò, non riuscendo a celare del tutto un alone
più
compiaciuto.
“Forse”,
gli concesse
Kurt, pur guardandolo con aria dubbiosa. “Ma non sarei andato
comunque”.
“Il
che conferma il tuo
bisogno patologico di accudire il prossimo, a discapito di te
stesso”.
Kurt
sorrise di quelle
parole. “Stai sebastianando:
è un buon segno. Ma se vuoi
che me ne vada-”
“No”,
fu la replica
spontanea.
Kurt
si specchiò nel suo
sguardo, quasi stesse scavando e cercando le motivazioni più
profonde che si celavano dietro quella risposta più
frettolosa.
“Chi
mi passerebbe
l'acqua?” aggiunse Sebastian, quasi a voler correggere il
tiro,
dopo essersi schiarito la gola, l'ombra del suo sorriso più
ironico.
Kurt
scosse il capo, ma
continuò a sorridere e si limitò a sollevare la
coperta su
entrambi.
L'altro
lo guardò con il
sopracciglio inarcato: “E al tuo talento non
pensi?”, alluse alla
vicinanza, cercando di nascondere quella nuova aritmia e il sospiro
con cui avrebbe voluto lasciarsi sommergere dall'essenza di vaniglia.
“Correrò
il rischio”.
“Ecco
che cosa succede,
quando Kurt Hummel corre un rischio”, neppure si
premunì di
cercare di nascondere il ghigno divertito, mentre estraeva il
termometro dalle labbra dell'altro. Inarcò le sopracciglia:
“Mhm,
niente male, potrei cuocerci un pancake sulla tua fronte”.
Kurt
emise un rantolo:
“Non parlare di cibo”, gemette e si
lasciò cadere sul proprio
cuscino.
“Hai
bevuto abbastanza
acqua?”, gli chiese, imitandone il tono vellutato, le mani
sui
fianchi. “Oh, ma è un brufolo quello che
vedo?”, si portò una
mano alle labbra a simulare un'espressione di sgomento.
“Smettila!”,
piagnucolò il malato in tono puerile.
Sebastian
sorrise ma si
sedette sul materasso e scostò i ciuffi dalla sua fronte:
“Prendo
la bacinella d'acqua”, sussurrò con voce
più dolce.
“Non
hai una lezione da
saltare questa mattina?”, gli chiese l'altro con aria
fintamente
offesa.
“Forse”,
gli concesse
Sebastian con un sorriso. “Torno subito”.
Stava
prendendo la stessa
bacinella che Kurt aveva usato con lui, quando sentì bussare
alla
porta d'ingresso. Si irrigidì alla vista di Mezza
SegAnderson.
“Come
sta?”, gli
chiese con la stessa foga con cui si sarebbe informato in seguito ad
un incidente stradale.
Dovette
trattenersi dal
sollevare gli occhi al cielo, immaginando il tono dei messaggi del
suo prezioso fidanzato, conoscendone la proverbiale
drammaticità.
“Ha la febbre”, replicò con voce secca,
ancora la mano sulla
porta, quasi a volergli celare l'interno.
“Posso
entrare?”,
chiese Blaine con aria estremamente formale.
“Chi
è?”, chiese
Kurt dalla sua camera.
Sebastian
serrò la
mascella, ma si costrinse a schiudere la porta e, con un gesto secco,
lasciò tra le mani del nuovo arrivato la bacinella e la
spugnetta.
“Pensaci
tu, ho di
meglio da fare”, fu il commento irritato, prima di sbattersi
la
porta alle spalle.
“Scusa
se te lo
dico, ma certe volte sei davvero un coglione”,
commentò il
barista, dopo aver allineato tutte le bottiglie dello scaffale dei
liquori. Il tutto con un sopracciglio inarcatissimo, mentre ascoltava
il breve resoconto del suo cliente più fedele.
Sebastian
inarcò un
sopracciglio. “Non mi sembra che tu sia così dispiaciuto”.
“Perché
te ne sei
andato?”, lo incalzò con un sospiro, incrociando
le braccia al
petto, il cipiglio persino più corrugato, quasi il torto
fosse stato
fatto a lui.
“Ha
il suo Blaine,
no?”, rimarcò Sebastian con tono enfatico, quasi a
volersene
scollare di dosso la responsabilità. E il senso di colpa.
Hunter
sospirò. “Sei
passato dal voler sabotare ogni fase del matrimonio a lasciare a
Blaine campo libero... da quando lo chiami per nome, a
proposito?”,
lo chiese con la stessa aria con cui un commissario avrebbe posto la
domanda trabocchetto che gli avrebbe fatto accertare la colpevolezza
o meno dell'indagato.
Sebastian
distolse lo
sguardo, un nervo guizzò all'altezza della mascella.
“Ti
sei arreso,
Sebastian?”, gli chiese esplicitamente.
“Da
quanto ti
interessa, a meno che tu o la tua bambola gonfiabile non siate
coinvolti in prima persona?”, ribatté in tono
pungente. Quasi il
suo reale interessamento fosse gravoso da sopportare, quando in prima
persona stava cercando semplicemente di evitare la questione.
Un
modo puerile,
tuttavia, di evitare di rispondere alla domanda che lui stesso si era
posto più volte, soprattutto quando il sonno tardava a
giungere e i
suoi pensieri non erano confusi dall'alcol.
“Solo
perché non
approvo i tuoi metodi, non significa che io non creda che sareste
felici o che siate così stupidi da meritarvi a
vicenda”, malgrado
l'ironia, si poteva intuire quanto Hunter Clarington, suo malgrado,
credesse fermamente in un loro possibile futuro insieme.
“E
la Mezza
SegAnderson?”, ribatté in risposta, a mo' di
provocazione, da che
probabilmente tra i due contendenti, normalmente si sarebbe schierato
da quella del legittimo fidanzato.
“Tra
i due mali
preferisco quello che si sbronza di più e manderà
in fallimento il
locale con il crescere del suo debito”, rispose con la
medesima
semplicità, ma non mancando di sorridere.
Sebastian
scosse il capo,
cercando di non ricambiarne il ghigno. “Versa e sta
zitto”.
“No”,
rifiutò in
tono pacato ed incrociò le braccia al petto. Gli
indicò l'uscita
con un cenno del mento: “Va' da lui o te ne
pentirai”.
“Di
fare il terzo
incomodo? Non credo proprio”, sbuffò senza
tuttavia incrociarne lo
sguardo.
“Kurt
sarebbe felice di
vederti, a prescindere dalle mezze seghe in circolazione. E,
incredibilmente, proprio perché sei tu nelle tue
centinaia di
sfumature di malvagità e di manipolazione”,
spiegò con la stessa
praticità con cui avrebbe risposto ad una domanda di un
esame. “E
Messa Sega non può farci nulla”.
Sebastian
sorrise, quasi
quelle parole lo avessero davvero colpito, o probabilmente era
l'effetto del giocherellare con la piastrina affissa al bracciale che
non si era mai tolto dall'ultimo Natale.
“L'astinenza
dal sesso
ti fa bene ai neuroni”, lo informò a mo' di
apprezzamento.
Il
barista inarcò il
sopracciglio con aria perplessa: “Era un
complimento?”.
“Una
non
offesa
nonché un triste dato di fatto per la tua cosiddetta
mascolinità”,
sollevò le mani come a dire che era stata la sua domanda ad
indurgli
quella precisazione poco lusinghiera. “Ci vediamo”.
Sebastian
non avrebbe
dimenticato il momento in cui aveva realizzato quella verità.
Era
entrato di
soppiatto nella sua camera e lui già dormiva, probabilmente
dopo
aver pianto per l'ennesima volta, pensando a quel coglione.
L'anello
che gli aveva
regalato a Natale era stato lasciato sul comodino e, per quanto
cercasse di spronarlo e farlo reagire, sembrava che quel dolore non
avrebbe trovato presto pace.
Suo
malgrado,
Sebastian non aveva potuto fare a meno di constatare di non aver mai
esperito, neppure per esperienza indiretta, un amore intenso e
totalizzante come quello che Kurt aveva nutrito per molto tempo. E
dalle cui cicatrici, probabilmente, non si sarebbe mai del tutto
ripreso.
Restò
ad osservarlo
dormire, quasi così facendo potesse impedire che quelle
immagini
oniriche gli procurassero altro dolore.
Ricordò
la prima
volta che quel viso d'elfo aveva incrociato il suo sguardo.
Cercò di
pensare obiettivamente a tutti i suoi difetti: l'insicurezza cronica,
l'isteria, la fissazione inutile per gli arredi e lo stare chiuso in
bagno per ore intere per i suoi trattamenti al viso. Il suo essere
permaloso, polemico, il suo ironizzare sulla sua vita promiscua e su
come dovesse perseguire un vero amore che gli riempisse la vita.
E poi
pensò a quanto
di buffo celasse: la paura del vuoto, il sostare di fronte
all'armadio e cambiarsi d'abito almeno due volte al giorno, la
lacrima facile davanti ad un film o durante la lettura di un libro,
il tono stridulo quando era arrabbiato o triste. La paura di non
essere mai abbastanza.
E poi
vi era quel suo
mondo fatto di musical, cheesecake, cartamodelli, nastro da sarta, i
ricordi di sua madre e della vita stretta in Ohio, la vaniglia di cui
era impregnata la sua pelle e la passione per i dolci da cucinare e
con cui accoglierlo di tanto in tanto.
Il
sorriso che ne
increspava le labbra, quando era realmente sereno e le miriadi di
sfumature delle sue iridi di zaffiro, ognuna con una sfaccettatura
diversa, a comporre l'intensità di un suo sguardo con il
quale fin
troppo facilmente sembrava scavare nella sua anima.
Il
tremito interiore
che aveva sorpreso più volte Sebastian, da ragazzino ai
primi
approcci sessuali, quando percepiva la pressione della sua mano o la
foga con cui si era stretto al suo petto, alla ricerca di un
conforto, scoprendosi lui stesso quasi tremante.
Lo
amava. Ed era già
troppo tardi per negarlo.
Entrò
in casa quasi di
soppiatto, avvicinandosi alla camera di Kurt con circospezione,
guardandosi attorno e cercando segni della presenza o assenza del
fidanzato.
Kurt
era steso sul letto
e sembrava assopito, i capelli umidi e le labbra screpolate, le
guance più rosate del solito.
Fu
sorpreso di constatare
che Blaine se ne era davvero andato, ma si sedette sul letto e
allungò la mano verso la fronte del dormiente.
Parve
destarsi al
contatto, gli occhi azzurri erano lucidi e lievemente arrossati, i
suoi lineamenti si contrassero in un'espressione confusa.
“Ehi”,
lo salutò,
cercando di simulare un'espressione tranquilla.
“Dov'è Blaine?”.
“Doveva
andare”,
commentò con voce rauca, prima che un attacco di tosse lo
sopraffacesse. “Avrà un esame importante domani,
non voleva e ho
dovuto insistere parecchio”, spiegò tra un colpo
di tosse e
l'altro.
“E
perché non mi hai
chiamato?”, si sentì chiedere con voce irritata,
più con se
stesso che con il malato in verità. “Non saresti
dovuto restare
solo”, aggiunse con voce più calma.
Kurt
lo osservò
attentamente, prima di rispondere in modo pacato. “Pensavo
che tu
ne avessi bisogno, visto come te ne sei andato”. Curioso
come,
persino in quel momento, fosse lui a guardarlo come riuscisse a
leggergli dentro e strapparne il respiro. Non vi era stata alcuna
traccia di biasimo nella sua voce, la semplice e pura constatazione
che fece sentire Sebastian persino più sporco ed indegno di
stargli
vicino in quell'istante. Ma, come gli aveva promesso in occasione
dello scambio di regali natalizi, non fece domande scomode.
Sebastian
sospirò
pesantemente e scosse il capo. “Hai bevuto?”.
“Ho
la gola secca”,
ammise, alludendo alla brocca ormai vuota sul comodino.
Tornò
pochi istanti dopo
e versò l'acqua nel bicchiere, lo aiutò a
sollevarsi con il torso e
lo osservò bere con evidente foga e sollievo, prima di
stendersi
nuovamente, con aria stanca.
Sebastian
ne scostò il
ciuffo scombinato dalla fronte, percependone la pelle umida, ma il
bruciore si era decisamente attenuato. “Cerca di
dormire”.
Kurt
annuì, ma ne
trattenne la mano: “Puoi restare?”, chiese senza
indugio o senza
imbarazzo, e Sebastian dovette controllarsi perché il suo
viso non
lasciasse trasparire l'emozione di quel contatto improvvisato.
“Non
mi è mai piaciuto dormire da solo, quando ho la
febbre”.
Sentì
il sorriso
sfiorarne le labbra, ma annuì. Si tolse rapidamente le
scarpe per
stendersi a sua volta sul materasso, appollaiandosi di un fianco,
sostenendosi il viso con il gomito. “Ma non provarci con
me”, lo
ammonì, strappandogli uno sbuffo divertito.
“Mi
tratterrò”,
sussurrò Kurt per risposta, ponendosi a sua volta di un
fianco.
Sebastian
seppe che era
soltanto il disagio delle sue condizioni fisiche ad impedirgli di
valicare quella distanza per accoccolarsi contro il suo petto.
Fu
lui a muoversi in sua
direzione e attrarlo a sé, perché potesse trovare
quel piacevole
rifugio, affondando il viso contro la sua spalla esile, strofinandovi
il naso.
Poteva
immaginare il
sorriso sul volto di Kurt, anche se appoggiò debolmente le
mani al
suo petto: “Non profumo di rose”,
protestò con tono
evidentemente mortificato che indusse, tuttavia, Sebastian a
stringerlo più forte e baciarne la guancia.
“E
perché dovresti
cambiare profumo?”, domandò in tono casuale, quasi
fosse quello il
reale significato dell'osservazione. Sorrise nel sentirlo rilassarsi
contro il suo corpo, abbandonandosi docile, facendo pressione sulla
sua camicia, non per scostarlo ma per trattenerlo. “Non me ne
sarei
dovuto andare”, sussurrò dopo qualche istante di
silenzioso
torpore, carezzandone delicatamente i capelli sulla nuca.
“So
che non sopporti di
stare nella stessa stanza con Blaine”, nonostante la voce
rauca,
Kurt parlava con evidente consapevolezza dei fatti e una
tranquillità
che doveva attribuirsi alla stanchezza.
Sebastian
si domandò
quanto effettivamente capisse di quell'inevitabile antagonismo.
“Ma
adesso sei qui e
finalmente posso dormire tranquillo”, sembrò
parlare tra sé e sé
con tono che ne tradì il sollievo, la gratitudine e il
semplice ed
evidente bisogno.
Sebastian
continuò a
sfiorarne i capelli, osservando come il bracciale riluceva al chiaro
di luna: aveva detto che sarebbe stato il simbolo del loro legame e
che lo avrebbe ricondotto a lui. Perse lui stesso la cognizione del
tempo, trattenendolo a sé e realizzando che, malgrado le
circostanze
poco idilliache, quello era uno dei momenti più intensi
della loro
quotidianità.
“Non
farlo”, si sentì
dire e il suo cuore parve fermarsi, mentre quelle parole ne
sfioravano le labbra. “Non sposarlo”.
Sembrò
che il silenzio
circostante lo assordasse. Si scostò quasi timorosamente,
consapevole che non avrebbe potuto fuggire, ma avrebbe dovuto
affrontarlo.
Ne
cercò il viso, ma
soltanto allora si accorse che si era profondamente assopito.
Sospirò
amaramente, ma
quel nodo in gola sembrò placarsi nell'osservarne
l'espressione
beata e pacifica, nello sfiorarne la pelle vellutata.
Vi
era un'amara dolcezza
nel capire che quel sorriso fosse proprio, che erano state sue le
braccia che, finalmente, lo avevano condotto al riposo di cui
disperava.
Si
chinò sulle sue
labbra per un tocco sfiorato, quando non fu più capace di
resistere
a quella vicinanza. Erano screpolate e ruvide per la febbre. Il suo
profumo di vaniglia era soffocato dagli intrugli alla menta che
doveva essersi propinato in sua assenza. Ma sapeva, in cuor suo, che
quello sarebbe stato l'unico bacio che non avrebbe mai dimenticato.
Silenzioso,
segreto ed
egoistico.
Perfetto.
Ma solo
proprio.
To
be continued...
Salve
a tutti :)
Spero che abbiate avuto
una buona settimana: la mia è sembrata particolarmente
lunga, ma
finalmente siamo arrivati al weekend e potrò recuperare
sonno ed
energia.
Una fortuna che ci siano
fiction e fanfiction ad accompagnare le giornate di studio e di
lezioni universitarie.
Il matrimonio è
decisamente alle porte, ma diamo una sbirciatina al prossimo
capitolo:
“Dimmi
che non stai per farlo”. “D'accordo: pensavo alle
rose rosse, ma
considerando quanto ama il rosa”.
“Per
quand'è?” “Il 14”
“San Valentino?” “E' una festa
commerciale, no?” “Blaine è troppo
superiore?” “Non ha un
bel ricordo di quel giorno”.
“Nessuno
ha mai fatto qualcosa di simile per me”. “Non avrai
intenzione di
commuoverti? Non ho ancora cominciato a usare il mio charme: ci
vogliamo sedere?”.
“Che
cosa provi per Sebastian?”.
Come
sempre, un
ringraziamento di tutto cuore a voi che seguite, le cifre sono
davvero molto lusinghiere e non posso che esserne fiera. Come sempre
disponibile per chiarimenti, critiche od osservazioni e grazie di
cuore a tutte le mie splendide
recensitrici, che rendono i
miei weekend Kutbastian ancora più piacevoli.
Un
abbraccione a tutti,
al prossimo capitolo!
Kiki87
Non avendo trovato la
traduzione ufficiale, ne ho fatta una a mia discrezione (come per la
maggior parte delle canzoni che ho usato). Se volete consultare il
testo originale: qui
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
10
Vivi
in un posto che ti sei lasciato alle spalle.
Cammini
in cerchi per tutto il tempo.
Non
riesci a vedere il sentiero che hai di fronte,
è
come se fossi cieco.
Allora
apri gli occhi in tempo.
Il
tempo, ti fa realizzare cosa hai avuto,
cosa
hai quasi avuto e cosa vuoi.
Ti
sei intorpidito e il momento è passato.
Allora
apri gli occhi in tempo.
Non
sprecare tempo.
Non
sprecare tempo, guardandoti indietro.
Sembri
sempre guardare indietro.
E'
come se la tua mente fosse sempre altrove.
Guardi
sempre dietro le tue spalle.
Allora
apri gli occhi in tempo.
(Looking
Back – Keane).
Febbraio
(meno
un mese al matrimonio)
Capitolo
10
Sebastian
si rimirò allo specchio con aria piuttosto soddisfatta: non
che
fosse qualcosa di nuovo gradire il proprio riflesso, ma cominciava
quasi a capire certe manie per i dettagli, da parte di Kurt. Per la
prima volta (da che aveva sempre ritenuto, non a torto, che il
fascino gli fosse cosa perfettamente naturale) apprezzava che fosse
la combinazione di diversi elementi a risaltare l'effetto
complessivo.
Sorrise
tra sé, al pensiero di poter sorprendere il coinquilino in
quelle
vesti, ma tutto a suo tempo, come sempre.
"Molto
bene", commentò il sarto tra sé, appuntando
qualche nuovo
spillo e rimirandolo con espressione gratificata, passando in
rassegna la sua figura. Gli sorrise: "Sembra fatto a pennello
per lei".
Sebastian
si domandò distrattamente se il complimento fosse per lui o
per
l'outfit di sua creazione, ma non era un dettaglio che lo interessava
davvero dopotutto.
"Abbiamo
finito per oggi", lo ringraziò e gli fece cenno al camerino,
prima di volgersi al fotografo per osservare l'anteprima degli scatti
nei quali era stato immortalato.
Sebastian
stava indossando la maglietta, quando sentì l'arrivo di una
delle
commesse che con voce concitata, ma dal tono inequivocabilmente
preoccupato, si rivolgeva al suo superiore. Si mise immediatamente
all'ascolto e si aprì un piccolo varco nella tendina per
osservare i
due interlocutori.
"Si
tratta dello sposo”, pigolò la giovane, con aria
evidentemente
mortificata. “Di
nuovo",
sottolineò con una nota di esasperazione.
Il
proprietario sospirò, togliendosi gli occhiali per pulirne
le lenti
con un fazzoletto: esibiva un'aria d’evidente
disapprovazione,
seppur raramente il suo volto si scomponesse. Scosse il capo: "Certe
persone non hanno il minimo controllo di sé", parve
riflettere
a voce alta.
Sebastian
ghignò.
"Non
si tratta soltanto del peso". La commessa sembrava letteralmente
sgomenta, ma si fece coraggio per spiegarsi meglio, avvicinandosi e
parlando con la stessa aria cospiratoria. "I pantaloni si sono
lacerati sul didietro, mentre cercava di abbottonarli", aggiunse
e, per la prima volta, il proprietario schiuse le labbra per lo
shock, mentre il fazzoletto cadeva a terra.
Sebastian
si morse le nocche per non ridere, ma lo sguardo verde
sembrò
letteralmente sfolgorare: il suo piano stava riuscendo alla
perfezione. In più, la vicinanza e la simpatia che si era
conquistato, lo avevano facilitato in qualche piccolo ritocco poco
professionale allo smoking. Doveva avere qualche talento innato
nell'individuare le cuciture principali ed indebolirle.
"Me
ne occupo io”, commentò l'uomo, appoggiando la
mano sulla spalla
della sua dipendente, quasi ne comprendesse l'esasperazione.
“Congeda tu il signor Smythe, per favore".
Si
prese qualche altro istante, premunendosi di far sentire il suono
della zip dei pantaloni che veniva sollevata. Uscì e non
mancò di
sorridere all'evidente occhiata di approvazione della giovane che lo
aiutò ad indossare nuovamente la sua giacca.
"Non
ha mai pensato di farlo per professione?”, gli chiese con le
guance
infiammate, quasi si fosse trovata di fronte un divo dello
spettacolo. “Sembra nato per le passerelle", lo
lodò con voce
trasognata.
"Mhm",
finse di rifletterci. "Forse. Molto meglio di essere un barista
con clienti narcisisti che non pagano e vogliono persino raccontarmi
delle loro vite, come se avessi conseguito un dottorato in
psicologia", sospirò con aria teatralmente sofferta.
Cercò di
imitare l'espressione frustrata di Clarington. Seppur fosse cosa
assai difficile senza un paio di occhiali da nerd e quella sua
naturale espressione da babbeo con istinti suicidi.
La
giovane rise della battuta, sembrò in procinto di voler
aggiungere
qualcosa, almeno fino a quando non fu richiamata dal suo superiore,
con tono imperativo. Si morsicò il labbro e
osservò Sebastian con
aria rammaricata: "Mi perdoni, uno dei nostri sposi ha di nuovo
un problema con il suo smoking", il tono ne tradì i
sentimenti
poco concilianti.
"Non
solo quello", le rispose il ragazzo con tono consapevole,
sistemandosi il bavero della giacca, senza più degnarla di
uno
sguardo.
"Prego?".
"Arrivederci",
la superò rapidamente e si affrettò ad uscire,
insinuando una
sigaretta tra le labbra.
"Che
cosa hai fatto?", lo accolse Hunter Clarington appena prese
posto, mentre agitava uno shacker con aria quasi clinica.
Immaginò
che ci volesse una certa fermezza per poter impugnare un bisturi e
fare incisioni, esplorazioni interne, cuciture e altre
“cose” al
cui solo pensiero sentiva un conato di vomito.
"Buon
pomeriggio a te", salutò con aria serafica.
"Sei
in anticipo e sorridi”, ribatté il barista con le
sopracciglia
ancora più inarcate, il viso sospettoso. “Che cosa
hai fatto?",
ripeté, quasi ciò fosse sufficiente a strappargli
una risposta
sincera. Si guardò attorno come se si aspettasse l'irruzione
della
polizia o il crollo dell'edificio sopra di loro.
Sebastian
continuò a sorridere, ma si strinse nelle spalle: "Sono
diventato un modello", lo informò, senza neppure cercare di
nascondere il proprio orgoglio al riguardo.
Hunter
emise uno sbuffo ironico. "D'intimo?", domandò come se
fosse l'unica deduzione logica.
Sebastian
ne imitò l'espressione perplessa: "Ora cominci ad
inquietarmi".
"Mai
quanto il tuo sorriso inquieta me", rispose di riflesso,
porgendo la bevanda al cliente e tornando ad osservarlo con le
braccia incrociate al petto.
"Come
sei romantico, potrei arrossire", lo canzonò Sebastian che
seguì con lo sguardo il proprietario del locale e alcuni
inservienti
che stavano appendendo stucchevoli decorazioni in tinta rosa shoking.
La visione gli procurò una smorfia schifata: "E' la serata a
tema Hello Kitty?”.
"Domani
sarà San Valentino", gli ricordò il barista in
tono distratto.
Sebastian
sollevò gli occhi al cielo, prima di ghignare: "Indosserai
una
canottiera rosa con gli strass e un boa coordinato?", la sola
idea parve stemperare la tipica insofferenza nei riguardi dei
sentimentalismi gratuiti.
"No",
replicò l'altro in tono secco, quasi la sola domanda lo
indisponesse. Almeno fino a quando la ballerina bionda, le braccia
piene di decorazioni e il viso punteggiato dai glitter che si era
applicata, come se fossero stati cosmetici, non gli rivolse un
sorriso che parve scioglierne il cipiglio cupo.
Santana
Lopez sembrava persino più gongolante di lui, a giudicare
dallo
sguardo vittorioso che rivolse a Sebastian.
Quest'ultimo
fissò il ragazzo di fronte con aria disgustata: "Dimmi che
non
stai per farlo”. Non sembrò necessario che
completasse la frase,
supplicandolo di non utilizzare la scusa tanto banale e stucchevole
della festività per tentare un qualsivoglia approccio che
potesse
farlo uscire dalla friendzone.
"D'accordo",
sospirò Hunter con aria rassegnata. "Pensavo alle rose
rosse,
ma considerando quanto ama il rosa...".
Una
smorfia schifata, per risposta, quasi sofferente: "Ho bisogno di
bere, sono troppo sobrio per ascoltarti". Allungò il braccio
a
prendere una bottiglia di birra che si portò alle labbra con
un
gesto fluido.
Il
barista scosse il capo, ma un sorriso impertinente ne curvò
le
labbra carnose: "Disse l'ammiratore
segreto", carezzò volutamente
quelle parole.
"Mi
stai davvero sfottendo?”, ridacchiò Sebastian.
“Tu?
Ti ricordo che quella notte ho ottenuto più di quanto tu
riceverei
in dieci anni con quella", alluse alla ragazza con un cenno del
capo.
Brittany,
nella fattispecie, stava mostrandosi più un impiccio che un
reale
aiuto nella decorazione del locale, soprattutto constatando il numero
di tonfi, gemiti dei malcapitati sulla sua traiettoria e dei suoi
pigolati: “Scusa!”.
"Come
direbbe Sam Evans”, recitò Hunter con il viso
inclinato di un
lato, un sorrisetto trionfante. “Se non fai touchdown,
l'azione è
stata inutile".
"E
come ti direbbe chiunque abbia a cuore l'orgoglio maschile: se
neppure Tontittany ti si concede, puoi dichiararti gay senza sentirti
in colpa", rispose in tono serafico, concedendogli un sorriso
adorabile che stonava perfettamente con l'odiosa provocazione.
La
mascella del barista si contrasse, parve in procinto di replicare, ma
Sebastian lo zittì con un cenno della mano, quando il
telefono
squillò.
Sospirò
nell'osservare il mittente, ma fu lesto a rispondere: "Che cosa
c'è?”, abbaiò al suo interlocutore.
“Non mi interessa se li
rifiuta, gli dica che ho minacciato di rubargli il gel e non
presentarmi all'altare, se non accetta il mio cadeau”,
cercò di
imitare il tono stridulo di Kurt.
“Bene,
mi richiami per confermarmi che li ha mangiati tutti".
Se
il barista era parso perplesso all'inizio, sembrò ben presto
collegare gli indizi e un fremito nelle labbra sembrò
annunciare un
sorriso che cercò di nascondere. Si schiarì la
gola, ma scosse il
capo, come ad imporsi di mantenere un certo contegno. E dimostrarsi
contrario a qualsiasi altro sciocco espediente Sebastian avesse
utilizzato. "Non può essere".
"Non
so di cosa tu stia farfugliando”, rispose Sebastian,
appoggiando
distrattamente il telefono sul bancone e tornando a bere un sorso di
birra.
"Fare
il modello significa cambiarsi d'abito, che solitamente avviene in un
negozio... che vende anche vestiti da sposo. Abbiamo uno sposo e cibi
misteriosi che devono essere consegnati e consumati
obbligatoriamente”, sembrò parlottare tra
sé, collegando i vari
indizi, prima di tornare a guardarlo, il viso inclinato di un lato.
“Lo stai... mettendo all'ingrosso”,
commentò in tono incredulo.
Gli
concesse uno sguardo di sorpresa ammirazione per quella brillante
riesamina, prima che un ghigno gli increspasse le labbra, sporgendosi
in sua direzione, con aria complice. "Gli si sono lacerati i
pantaloni, proprio sul culo".
Suo
malgrado, Hunter Clarington si lasciò sfuggire uno sbuffo
divertito,
ma cercò di recuperare rapidamente la sua serietà
e scosse il capo.
Era evidentemente necessario che almeno uno dei due si mantenesse il
più possibile razionale, soprattutto in vista di un
matrimonio alle
porte e di sentimenti che Sebastian s’intestardiva a non
esprimere.
"Che programmi hai per questo San Valentino, piuttosto?”,
domandò con aria guardinga.
Sebastian
abbassò la bottiglia e gli rivolse un'occhiata risentita:
"Non
continuare la frase o dovrò cambiare pub".
Il
barista sollevò gli occhi al cielo: "Sai cosa intendo, il
tempo
stringe!”, gli ricordò con aria ansiosa.
L'altro
scrollò le spalle, a mo' di sfida, simulando perfetta
indifferenza.
"Niente".
Hunter
sgranò gli occhi: "Ma mancano tre settimane!", gli
ricordò
con tono concitato.
"Lo
so", gli rispose, senza neppure guardarlo, ma fissando il
display, evidentemente aspettando l'ennesima telefonata.
"Sebastian,
il tempo dei trucchi sta finendo”, si era sporto in sua
direzione.
“Non puoi rimandare e questa potrebbe essere un'ottima
occasione.
Lo sai benissimo che Kurt è un romantico e considerando che
già
l'anno scorso, tu-".
Sebastian
si alzò, quasi non fosse più in grado di
ascoltarne l'ennesima
predica. "Ti saluto, Clarington”, non lo guardò
neppure e si
volse, dopo aver lasciato una banconota sul bancone.
“Cerca
di non rovinare tutto", alluse alla biondina con un cenno del
capo, ne ignorò i richiami e si diresse rapidamente verso
l'uscita.
Ma
nel farlo, si premunì di passare accanto a Santana Lopez,
per dirle:
"Non è ancora finita".
Parve
non voler riferirsi soltanto al termine della loro scommessa.
~
"Odio
San Valentino", pigolò Tiffany in tono sofferto, guardando
quasi risentita le coppie presenti nel locale.
Kurt,
l'aria altrettanto mesta, sospirò in risposta, ma lo sguardo
azzurro
parve scintillare, animato da un nuovo fervore. Ripose il block notes
delle ordinazioni nel taschino della casacca. "Noi non ci faremo
buttare giù, Tiffany: siamo single e in una grande
città, usciamo e
andiamo a ballare", le propose con una determinazione tale che
parve persino stupire se stesso.
"Il
mio bambino cresce", s’intromise Sebastian, con tono
infervorato, portandosi una mano al petto. Era seduto al suo solito
tavolo, quello che gli consentiva una buona partecipazione indiretta
alle loro conversazioni.
Kurt
trasalì e parve sbigottito: evidentemente neppure si era
accorto
della sua presenza. "Stai pensando di venire a vivere qui?",
gli chiese con un filo d’ironia, cercando di nascondere
l'imbarazzo
all'idea che avesse assistito alla loro conversazione.
"Forse",
Sebastian scrollò le spalle e sollevò il
bicchiere con aria
eloquente.
L'altro
sospirò e vi verso del caffè appena preparato,
prima di sedersi al
tavolo con l'amica: “Allora?”, la
incalzò, sperando
evidentemente in una risposta positiva.
"Posso
invitare anche delle amiche?", chiese Tiffany e Kurt dondolò
le
spalle e batté le mani.
"Sarà
come un pigiama party liceale!", trillò con evidente
entusiasmo.
Sebastian
scosse il capo: non riusciva davvero a capire che cosa ci fosse di
tanto allettante in una festività tanto banale e melensa.
Sollevò
gli occhi al cielo, qualche ora dopo: avrebbe dovuto immaginarlo che
la sicurezza ostentata da Kurt fosse soltanto un'apparenza. Persino
da brillo, quando rientrò e lo vide addormentato sul divano,
con un
album sulle ginocchia, capì che cosa celasse in cuor suo.
Scosse il
capo e si avvicinò per prendere il libricino, premunendosi
di
chiuderlo con un gesto secco alla pagina delle fotografie che lo
ritraevano con Blaine in uniforme scolastica.
Kurt
sussultò e si svegliò di soprassalto.
Sebastian
gli sorrise con aria serafica, conficcando le mani nelle tasche dei
pantaloni: "E' stato un gesto carino aspettare che rientrassi",
sussurrò.
Il
suo coinquilino sbatté le palpebre, guardandosi confusamente
attorno, prima di strofinandosi le palpebre. "Mi sono
addormentato", commentò con voce impastata di sonno.
"Sulle
foto del tuo ex", precisò Sebastian con le sopracciglia
inarcate, indicando l'album con un cenno del mento.
Kurt
arrossì, ma scosse il capo: "Sto bene”,
borbottò.
"Certo",
replicò Sebastian con aria ironica, ma lo spronò
a sollevarsi e lo
scortò verso la sua camera. "Si supponeva che fossi io
quello
che avrebbe avuto bisogno d’aiuto”, gli fece
presente con aria
quasi risentita per quello stato di evidente prostrazione che
sembrava debilitarlo persino fisicamente.
"Si
supponeva che tu non mi vedessi ridotto così”, fu
la lamentosa
risposta.
"Sei
più prevedibile di quanto tu pensi".
"Tu
no e non mi piace", ribatté Kurt in risposta, accettandone
tuttavia l'aiuto e appoggiandosi a lui per camminare più
stabilmente.
"Mhm,
non provocarmi", gli sussurrò all'orecchio, osservandolo
arrossire con un guizzo di soddisfazione a farne scintillare le iridi
smeraldine.
Lo
aiutò a stendersi e Kurt si rannicchiò in
posizione fetale,
abbracciando il cuscino e rilasciando un lungo sospiro.
Fissò un
punto indefinito nella parete di fronte, imbronciandosi e scuotendo
il capo: "Sono patetico, lo so".
"Io
bevo e tu hai la sbornia triste: se non è questa
intimità",
ironizzò Sebastian con aria serafica e un sorriso divertito.
Tuttavia si sedette sul materasso e lo guardò con il volto
inclinato
di un lato. "E' solo una stupida festa commerciale",
aggiunse, cercando di celare il proprio disprezzo perché
quell'intonazione più dolce potesse compensare parole
ciniche per
chi sguazzava nei sentimentalismi.
"Che
mi ricorda, anno dopo anno, quanto io sia stupidamente
romantico”,
borbottò Kurt con aria melodrammatica che gli era tanto
naturale in
quel tipo di giornate. “E' stato a San Valentino che si
è
dichiarato a Jeremiah", aggiunse con un mugugno sofferto, quasi
ancora dovesse smaltire quella delusione, persino prima che gli
facesse dono di un bel paio di corna.
"Oh,
ti prego”, protestò Sebastian, sollevando gli
occhi al cielo. “Non
sono abbastanza sbronzo per le 50
sfumature di una Mezza Sega".
Il
viso di di Kurt si contrasse, ma scosse il capo. "Buonanotte",
lo congedò bruscamente e si accucciò sull'altro
fianco, dandogli le
spalle.
Sebastian
sospirò, ma spense la luce. A quel punto sarebbe stato
semplice
compiere quei pochi passi che lo separavano dal soggiorno e lasciarlo
cuocere nel suo brodo. Ma non avrebbe sopportato di sentirne i
singhiozzi trattenuti a stento. Ne osservò la figura che
appariva
tanto esile, così racchiusa in se stessa. Si stese alle sue
spalle
e allungò le braccia per avvolgerlo contro il proprio petto.
Kurt
parve trasalire, ma non si scostò, quando Sebastian lo
attirò al
proprio petto.
Sebastian
sentì la sua mano appoggiarsi alla propria, laddove ne
cingeva il
ventre. Lo sentì rilassarsi.
"Grazie",
sussurrò Kurt. Dopo pochi istanti, si volse per
rannicchiarsi contro
il suo petto, come aveva fatto la notte di Natale, aggrappandosi alla
sua t-shirt, senza alcuna protesta per l'odore di sigaretta,
mischiato a quello del profumo e del luppolo.
"Di
cosa?”, gli domandò con un sorrisetto provocante.
“Di ricordarti
quanto io sia-".
"Di
essere qui", fu il delicato sussurro.
Sebastian
sentì il cuore fermarsi in petto. Si chinò e gli
scostò il ciuffo
di capelli dalla fronte. Indugiò nel suo sguardo di zaffiro,
ricordando quanto, l'ultima volta che erano stati così
vicini,
avesse desiderato baciarlo. E quanto si fosse pentito di non averlo
mai fatto.
"Cerca
di dormire", sussurrò e si sorprese lui stesso di quel tono
delicato che era sgorgato dalle sue labbra.
Non
occorse molto perché scivolasse nel torpore con un sorriso
sereno
sulle labbra.
~
Inarcò
le sopracciglia quando, al suo ritorno, si trovò di fronte
un
salotto in disordine. Pezzi di tela e bozze di disegni sparsi ovunque
e un Kurt più emaciato che mai che si dimenava attorno ad un
busto
maschile, prendendo nota e tornando a misurare, trattenendo degli
spilli tra le labbra. Il foulard al collo era quasi slacciato dalla
foga e i capelli erano spettinati per la tensione o per i momenti di
profondo stress nei quali v’immergeva le mani. Evidentemente
ciò
faceva parte del lungo e tortuoso “processo
creativo”, ma
dubitava che quella musica strumentale si stesse rivelando molto
utile per il suo umore o per placarne la febbrile agitazione.
"Io
non pulisco", asserì con le braccia incrociate al petto,
guardandosi attorno con un sorriso divertito, prima di ammiccare in
sua direzione.
Kurt
si scostò gli spilli dalle labbra e lo guardò con
aria risentita.
Non l'aria di rimprovero di quando consumava tutta l'acqua calda
sotto la doccia, o quella esasperata quando mancava di lavare i
piatti o fare la spesa. Vi sembrò di cogliere un misto
d’offesa e
d’amarezza. "Ah, sei tornato", lo accolse, i pugni
stretti lungo i fianchi e i suoi occhi azzurri parvero volerlo
trafiggere, come la prima volta che gli aveva rivolto lo sguardo.
Non
cercò neppure di nascondere la propria confusione, di fronte
a quel
trattamento, ma increspò le labbra nel suo sorriso
più provocante,
inclinando il viso di un lato. "Stiamo per fare del buon sesso
riparatore, senza aver litigato?". gli chiese con evidente
ironia, di fronte ad un gelido trattamento che non sapeva di essersi
meritato.
"Quando
avevi intenzione di dirmelo?!”, gli chiese Kurt in tono
aspro, la
voce che diveniva stridula al suo udito, le mani appoggiate sui
fianchi con fare autoritario.“Ho dovuto scoprirlo nel
peggiore dei
modi!", aggiunse e le sue labbra tremarono per l'agitazione che
lo animava, presumibilmente non soltanto causata dal proprio estro
artistico.
Sebastian
sentì il suo cuore fermarsi in petto, ma cercò di
non tradire la
propria sorpresa. Cercò rapidamente di fare mente locale ed
analizzare tutte le possibili opzioni e i possibili colpevoli che
potevano averlo smascherato volontariamente o meno. Continuò
a
sorridere, seppur i battiti del suo cuore sembrarono farsi
più radi,
ma avanzò in sua direzione, quasi istintivamente dovesse
già
premunirsi che Kurt non sarebbe sparito, non prima di averlo esortato
ad ascoltarlo.
"Temo
che dovrai essere più specifico: ad oggi ho compiuto molti
crimini
che ancora non conosci". Era ironico come, in un momento di
simile tensione, potesse azzardarsi a pronunciare quella
verità.
Un
moto di stizza sul viso di Kurt, evidentemente poco propenso a quei
giochi di parole. "Mi hai tradito!”, gli inveì
contro,
portandosi le mani al viso. “Io non
posso crederci!".
Sebastian
boccheggiò, ma fu lesto ad avvicinarsi, allungando le
braccia, ma
Kurt si scostò istintivamente e dovette cercare di celare lo
scintillio improvviso nelle iridi smeraldine.
"Non
posso crederci che tu mi abbia fatto questo".
"Kurt",
riconobbe a malapena il gorgoglio della propria voce: qualcosa
sembrò
spezzarsi lentamente dentro di lui, dilaniandolo dall'interno e
rendendogli quasi impossibile respirare. Ma non si curò del
suo
tentativo di sottrarsi, perché gli si parò di
fronte, disposto
persino a costringerlo a restare con la forza, perché
potesse sapere
tutto, prima di decidere di abbandonare per sempre la loro vita
insieme.
"Come
puoi sfilare per la concorrenza?", gli chiese con voce ancora
più stridula.
Sebastian
sbatté le palpebre a più riprese e
sentì quel peso sul petto
affievolirsi in un solo istante e tutta l'adrenalina disperdersi,
come un palloncino sgonfiato.
Scosse
il caso e lo guardò attentamente, con aria realmente
sconcertata.
"Cosa? La
concorrenza?",
ripeté, come se avesse avuto bisogno di una conferma.
"Credevi
che non l'avrei scoperto?", Kurt accennò un sorriso quasi
sferzante, mentre recuperava qualche foglio sul tavolo da
caffè,
porgendogli delle copie dei suoi scatti. Evidentemente l'anteprima di
una locandina dedicata alla nuova collezione di abiti del prestigioso
marchio.
Sebastian
sospirò di sollievo, ma gli occorse qualche istante
perché potesse
recuperare un naturale respiro. Di fronte all'occhiata incredula
dell'altro, si schiarì la gola ed assunse un'espressione di
finto
stupore, prima che un sorriso ironico gli increspasse le labbra.
Soltanto una predilezione naturale per il melodramma, come quella di
Kurt Hummel, avrebbe potuto giustificare quell'uso improprio della
parola “tradimento”.
"Sono
venuto bene, vero?", lo provocò e desiderò
abbracciarlo
soltanto per assicurarsi che non fosse ben altro il motivo di tanta
rabbia.
Kurt
scosse il capo e lo guardò scandalizzato. "Non è
questo il
punto!", ribatté con voce stridula, lasciando di nuovo
cadere
le fotografie sul pavimento, suscitando in Sebastian uno sguardo
quasi offeso. "Anche se è stato piacevole vederti con uno
smoking decente addosso”, precisò, sollevando le
mani, prima di
additarlo con aria ancora oltraggiata. “Tu lo sai quanto la
moda
sia importante per me!”, gemette. “E' stato come se
tu non
credessi in me”.
“Woah!”,
esclamò Sebastian, con aria ironica. "Ho solo fatto qualche
scatto per rimediare qualcosa, non ho firmato un contratto col
sangue”, gli si avvicinò e gli concesse un sorriso
più dolce.
“Credo in te, credo che tutte quelle tue bizzarre e
stravaganti
creazioni siano uniche, proprio perché sono tue”,
aggiunse con un
buffetto sulla sua guancia, indugiando tuttavia con la mano contro la
pelle vellutata dello zigomo.
Il
gesto parve trasmettere a Kurt un'ondata di serenità.
“Davvero?”,
domandò in un bisbiglio e fu sorprendente come il suo umore
sembrò
repentinamente cambiare e non soltanto per uno sbilanciamento di
estrogeni, a detta di Sebastian nei primi giorni della loro
convivenza.
“Davvero”,
ribatté Sebastian in tutta sincerità. Sorrise
quando l'altro
dondolò le spalle e seppe di essere stato perdonato.
Lo
sguardo di Kurt, tuttavia, sembrò animarsi, mentre lo
guardava con
aria scalpitante. "Nessun contratto, hai detto?”,
sembrò
dover controllare il proprio respiro. “Erano soltanto degli
scatti
per questo servizio, giusto? Non sei una loro icona
ufficiale”.
"Ti
prego”, Sebastian scrollò le spalle con evidente
indifferenza.
“Non ho bisogno di riflettori per avere una conferma su
quanto io
sia fantastico", affermò in tutta sicurezza. Se soltanto
avesse
saputo quale fosse il reale motivo di quell'avventura nel mondo del
fashion.
Lo
sguardo azzurro guizzò, le mani protese, quasi in atto di
preghiera.
"Quindi, tecnicamente e legalmente parlando, sei
libero?".
Sebastian
inarcò le sopracciglia, cercando di comprendere che cosa
stesse
macchinando, ma un guizzo malizioso ne fece dardeggiare lo sguardo di
smeraldo. "Hai paura che qualcun altro mi penetri
con i suoi spilli?", carezzò volutamente quel verbo.
Kurt
non parve neppure aver udito quella battuta squallida, ma gli si
avvicinò e lo guardò con aria quasi
supplichevole: "Sebastian
Smythe, vuoi essere il modello della mia prima sfilata per
Vogue.Com?", domandò in tono così ufficiale e
accorto che
rivelava quanto, nel contesto della moda, ciò fosse
importante
quanto una proposta di matrimonio.
Nonostante
il suo proverbiale egocentrismo e la sua vanità, non
poté non
dimostrarsi sorpreso e spiazzato da una simile richiesta. Anzitutto
per la rivelazione di una sfilata dedicata proprio al suo
coinquilino. Certo, ricordava quanto fosse elettrizzato
dall'occasione più unica che rara offertagli da Isabelle
Wright e si
era spesso stupito di come riuscisse ad occuparsi di così
tante
attività, oltre all'organizzazione del matrimonio. Ebbe la
spiacevole sensazione di essersi perso troppe cose della loro vita
quotidiana, guardando al passato e scongiurando il futuro.
"Lo
so che queste cose non fanno per te”, continuò
Kurt in tono
febbrile, ma cercando di apparire convincente. “Il fatto
è che
mentre disegnavo ed immaginavo gli abiti, avevo bisogno di immaginare
un viso, un'espressione, una camminata e un certo carisma che
avrebbero risaltato gli outfit. Quasi fossero loro stessi a
sprigionare charme e sicurezza”. Dallo sguardo velato
s’intravedeva
quanto spesso si fosse soffermato su simili fantasie e quanto
avessero reso il processo creativo persino più emozionante.
“Mi
sono accorto che quella persona... eri tu, soltanto tu", ammise
e la voce si fece più flebile, mentre le guance si
coloravano.
Sebastian
sorrise, cercando di celare quanto si sentisse scalpitante dalla
prospettiva di esserne stato la fonte d’ispirazione, anche
soltanto
per essere un suo fantoccio a cui dare nuova vita. Emozionato
all'idea di avere un ruolo di prima linea per un momento tanto
importante che sarebbe potuto divenire soltanto l'ouverture della sua
futura carriera. Si chinò al suo volto: "Lo voglio", disse
con tono enfatico che fece arrossire ulteriormente l'altro,
probabilmente notando soltanto in quel momento che la risposta era
parsa ufficiale come quella che avrebbe dovuto pronunciare il giorno
del suo matrimonio.
Superato
l'imbarazzo, Kurt batté le mani con aria evidentemente
entusiasta:
“Grazie, grazie di cuore!”. Cercò di
recuperare i suoi modi più
pragmatici e si volse verso lo stender porta abiti. "Allora devi
provare tutti questi vestiti", li indicò.
Sebastian
si avvicinò alla rassegna d’outifit, le
sopracciglia inarcate e
una smorfia sospettosa:
"Spero
che non ci sia nulla di troppo kurteggiante".
"E'
una linea sportiva”, sospirò, Kurt come se
ciò gli avesse tolto
gran parte del gusto e del divertimento. “Ci sono soltanto un
paio
di smoking", ma dal sorriso si comprendeva quanto ne era fiero.
Fu
forse ciò che insospettì Sebastian, mentre
carezzava i tessuti con
aria clinica. "Foulard compresi?", indagò con un'occhiata
guardinga.
L'altro
si dondolò nelle spalle, con aria accattivante: "Sono il mio
marchio di fabbrica"
Sebastian
sospirò con aria stoica: "Mi devi una cena”, lo
informò e
lasciò andare gli abiti, evidentemente soddisfatto di quella
prima
esamina. “Per quand'è?", domandò,
affondando le mani nelle
tasche dei pantaloni.
"Il
14".
Suo
malgrado, Sebastian sentì un guizzo all'altezza del petto:
"San
Valentino?", chiese con le sopracciglia inarcate.
Kurt
distolse rapidamente lo sguardo, prendendo la sua agenda personale
per scribacchiare qualcosa con il lapis, rispondendo soltanto
distrattamente. "E' una festa commerciale, no?", ripeté
esattamente le parole che gli erano state propinate l'anno
precedente, seppur con intenti completamente diversi.
Sebastian
non parve soddisfatto della risposta: seppur fosse il primo a
denigrare simili smancerie, non occorreva un particolare acume per
capire che si trattava una di quelle occasioni che potevano rendere
Kurt tanto incline a sguazzare nel romanticismo. E che quella replica
sferzante non era nelle sue corde. "Blaine è troppo
superiore?", domandò con voce più fredda del suo
naturale
intento.
"Non
ha un bel ricordo di quel giorno", ammise, Kurt, ma scrollò
le
spalle e sorrise, come a testimonianza che ciò non lo
toccasse
particolarmente.
"Ah,
sì, il ragazzo del centro commerciale", commentò
tra sé e sé
e scosse il capo.
Dopotutto,
ragionò tra sé, ciò avrebbe potuto
costituire un dono del destino
e la sua occasione: una giusta ricompensa dopo essersi sottoposto ad
una tortura immane, indossando abiti scomodi.
Gli
avvicinò, dopo aver preso dal carrello un primo completo.
"Cominciamo? Adoro l'idea che tu mi vesta", sussurrò al
suo orecchio con voce suadente, sorridendo per il rossore che ne
colorò il volto.
“Non
farò niente di simile”, commentò con
aria di stoica rassegnazione
per quelle provocazioni superflue, ma gli sorrise. "Vediamo la
tua miglior espressione da modello".
~
"Non
tenermi sulle spine!", Tiffany parlò con aria cospiratoria,
facendogli cenno perché si accomodasse di fronte a lei, come
in uno
dei loro tête-à-tête,
durante l'orario lavorativo di Kurt.
Evidentemente
il giovane le aveva chiesto di raggiungerla per qualche succulenta
novità, a pochi giorni dalla famigerata data di San
Valentino.
"Mi
ha scritto di nuovo!”, le disse Kurt in tono entusiasta, le
guance
arrossate e gli occhi scintillanti d'emozione. “E ha accluso
un
mazzo di nontiscordardimé!", rivelò, mostrando
quello che si
era messo all'occhiello della giacca.
Tiffany
emise un verso di giubilo. "Ma sono i tuoi fiori preferiti!",
squittì con aria incredula.
"Lo
so!", ribadì Kurt con lo stesso entusiasmo, battendo le
mani.
“Credo che mi conosca, o ha corrotto qualcuno per avere tutte
queste informazioni su di me!”, si guardò attorno,
quasi si
aspettasse che il giovane in questione fosse presente, proprio in
quel momento.
"Nessuna
firma, però”, replicò l'amica.
"No,
ma mi ha invitato in un locale dell'Upper East Side”,
annunciò e
lo sguardo dardeggiò più che mai nel giungere
alla parte più
saliente della confidenza. “E' un posto assolutamente
delizioso,
non ci sono mai entrato, ma sembra molto rinomato da quello che ho
letto su internet e dalle fotografie degli arredi”, lo
sguardo
assunse un'aria trasognata, quasi stesse per immergersi in
un'atmosfera simile alle fiction in costume che tanto adorava.
“Deve
essere anche parecchio costoso", aggiunse e ciò rendeva
l'identikit del misterioso ragazzo persino più colorato.
"E
ci andrai?", chiese la ragazza in tono febbrile.
Soltanto
allora il ragazzo parve rifletterci seriamente sopra e si
passò una
mano tra i capelli: "Non dovrei?", le chiese con aria quasi
intimorita.
"Ma
certo che devi!”, ribatté l'altra, quasi incredula
per il dubbio
che stava manifestando.
Kurt
si agitò sulla sedia: "Insomma, i primi biglietti tipo: «
ti sto guardando »
o «
bel foulard »
sembravano un po' da stalker”. Ammise, come cercasse di fare
una
lista di pro e contro il più possibile oggettiva.
“Ma è evidente
che sia più romantico di quanto non voglia dare a vedere. Ma
se
fosse un serial killer?", domandò con aria più
agitata.
Sebastian
soffocò la risata nel suo caffè, pur continuando
ad ostentare una
studiata indifferenza, persino aprendo con aria svogliata il tomo di
diritto penale, senza mai sollevare lo sguardo in loro direzione, per
non tradire il fatto che stesse ascoltando tutto.
"E'
un luogo pubblico”, ribatté Tiffany in tono
convincente,
stringendogli la mano. “Ma se non ti convince, puoi
liquidarlo con
una scusa e chiedere a Sebastian di venirti a prendere".
Kurt
scosse il capo, mordendosi il labbro: "E' una follia".
"Una
follia romantica”, ribatté
la giovane, come se quel dettaglio fosse particolarmente importante
per giungere alla decisione giusta. “Magari sarete come Tom
Hanks e
Meg Ryan in Insonnia
d'Amore
un solo sguardo e-”, si interruppe, scuotendo la testa.
“Oppure
ancora come loro due, ma in C'è
posta per te, quando lui la
corteggiava sotto false spoglie e-".
"Non
dovrei farlo", commentò il ragazzo, scuotendo il capo, un
guizzo nervoso delle labbra.
"Kurt,
sei a NY da sei mesi”, ribatté la giovane in tono
fermo, ma dolce.
“Non si può sempre vivere sotto una campana di
vetro, per una
volta nella tua vita buttati e basta!”, gli
consigliò con vigore.
Il
ragazzo parve ritrovare il sorriso ed annuì, prima di
portarsi le
mani al viso, con aria sgomenta.
“Cosa
c'è?, gli chiese la ragazza preoccupata.
"Non
so ancora cosa mettermi!", ammise con voce stridula.
Kurt
si stava guardando attorno: l'aria trepidante ma timorosa, come se
una parte di sé volesse imboccare l'uscita e allontanarsi,
prima di
realizzare quanto
stesse
sbagliando.
Arrivò
alle sue spalle con un movimento fluido e sollevò la mano
per
porgergli un altro bouquet di nontiscordardimé.
Lo
sentì trasalire, ma prese i fiori tra le dita e si
voltò,
probabilmente trattenendo il fiato.
Sebastian
gli sorrise, osservandone gli occhi sgranati e le labbra schiuse nel
fissarlo con aria sbigottita. "Ciao Kurt".
"Sebastian”,
ne sussurrò il nome, con aria incredula. “S-Sei tu?".
Non
rispose alla domanda esplicita: non sentiva il bisogno di confermare
che proprio lui, così denigratore di occasioni e
festività tanto
frivole e smancerose, si fosse nascosto dietro misteriose sembianze,
perché potesse vivere qualcosa di nuovo e di diverso
dall'ordinaria
routine. Perché si sentisse apprezzato, anche dopo aver
detto addio
a quello che riteneva l'amore della sua vita.
"Non
dovrei sorprendermi che siano i tuoi preferiti”, alluse ai
fiori e
ricordò le parole della commessa del negozio, fin troppo
desiderosa
di condividere le sue perle di saggezza sul significato e l'origine
delle piante, anche senza invito. “Fedeltà e amore
eterno, non è
ciò che desideri?”.
Kurt
sembrò non ascoltarlo, lo stava contemplando come se
soltanto in
quel momento riuscisse davvero a cogliere qualcosa nel suo sguardo
smeraldino. "Eri tu fin dall'inizio", non c'era più
sorpresa nella sua voce, parve una logica deduzione che fece
sorridere Sebastian.
Si
strinse nelle spalle: "Non puoi continuare a sentirti solo o non
credere di poter avere qualcuno accanto", commentò in
risposta.
Un
guizzo nello sguardo azzurro e seppe che si stava emozionando, ancora
prima di sentirne la voce flebile. Quasi la rivelazione della sua
identità fosse persino più suggestiva dell'idea
di un sedicente
ammiratore segreto che lo osservava, senza esser visto. "Nessuno
ha mai fatto qualcosa di simile per me".
"Non
avrai intenzione di commuoverti? Non ho ancora cominciato ad usare il
mio charme”, commentò in tono gioviale, quasi
volendo stemperare
quell'improvvisa tensione, perché potessero semplicemente
essere
loro due, in un'occasione come un'altra, ma rendendola loro.
“Ci
vogliamo sedere?", gli indicò il tavolo che aveva prenotato,
contraddistinto anch'esso da un fiore azzurro.
Kurt
lo cinse, attento a non schiacciare il bouquet tra loro e
affondò il
viso contro il suo petto, nascondendosi in quel piacevole rifugio.
Sebastian
si sentì invadere dal suo profumo alla vaniglia, ma sorrise
contro
il suo orecchio: "Non ho ancora ordinato e già pensi a
saltarmi
addosso?”, lo incalzò in tono ridente, cercando di
celare
quell'improvvisa aritmia.
Si
sentì stringere persino più forte, quasi Kurt non
volesse lasciar
andare quel momento per le loro schermaglie ironiche.
"Da
quando ti conosco, non sono più solo", ammise con voce
flebile.
Sebastian
sospirò, ma ne baciò la gota e ne
sfiorò il volto, con tocco
vellutato: "Neppure io”, ammise, adagiando la fronte alla
sua.
“ Non che mi importasse, prima di te".
“I
signori vogliono ordinare?”.
“Naturalmente”,
Sebastian si scostò prontamente e spostò la sedia
perché Kurt, gli
occhi ancora lucidi, potesse accomodarsi.
~
Kurt
era nel mezzo di un suo tipico melodramma: sembrava incapace di
formulare un'intera frase di senso compiuto senza strillare di aver
dimenticato qualcosa. Continuava a fare e disfare il nodo al foulard,
ad assicurarsi che fosse ben stretto, forse inconsciamente
premeditando il proprio suicidio o cercare di sfogare (inutilmente)
tutta la tensione accumulata fino a quel fatidico San Valentino.
Sebastian
uscì dal camerino ed osservò il proprio riflesso:
malgrado la fissa
di Kurt per le giacche a doppio petto e quel suggerimento sul porre
all'indietro il ciuffo caratteristico a dargli un'aria più
elegante
e meno sbarazzina, beh... doveva ammetterlo, era proprio uno
schianto. Anche con un vestito pensato da Kurt. Gli altri modelli
messi a disposizione da Vogue.Com sembravano scomparire al confronto.
Non era un caso se Kurt avesse scelto proprio lui
per gli abiti a cui aveva dedicato più tempo e che
sembravano ben
adattarsi ad uno stile senza troppi fronzoli ma sexy, con quella
punta di classico a cui l'aspirante stilista non sapeva rinunciare.
Stava
ancora controllando l'ordine d’ingresso dei suoi vestiti,
dando
indicazioni ai modelli, spazzolando abiti e riassettando colletti e
asole, quando Sebastian si schiarì la gola per attirarne
l'attenzione.
Attese
che si voltasse in sua direzione e fu allora che i loro sguardi si
incrociarono. Non avrebbe dimenticato quel momento: il suo cuore
sembrò essersi fermato, mentre Kurt sgranava gli occhi, le
labbra
schiuse in un'espressione di muta sorpresa e di mero incanto.
Sebastian
esibì il suo miglior sorriso arrogante e allargò
le braccia ad
indicarsi con falsa modestia. Fu come se tutto il mondo loro attorno
fosse scomparso e Kurt deglutì, prima che un sorriso
trasognato ne
sforasse le labbra e ne facesse rilucere gli occhi. Gli si
avvicinò
con quel passo leggero, quasi non sfiorasse neppure il pavimento e le
mani si posarono sulla giacca a lisciarla da pieghe immaginarie,
prima di circumnavigarlo.
"Sei
perfetto", sussurrò come se il coinquilino incarnasse il
sogno
di essere un vero stilista. Come se rappresentasse la sua idea di
moda.
Sebastian
sorrise con aria compiaciuta: "Te ne accorgi solo ora?",
sussurrò suadente, sporgendosi pericolosamente al suo viso.
Forse
fu la suggestione del momento tanto atteso, forse la vicinanza
così
spontanea e la naturalezza di quel tono flirtante.
Kurt
non gli aveva risposto: lo sguardo era perso nel proprio, quasi la
domanda si riferisse a qualcosa di ben più profondo. Quasi
ancora
una volta volesse far emergere ciò che era celato e
seppellito e che
Sebastian non avrebbe pronunciato.
"Cinque
minuti all'inizio", annunciò uno degli organizzatori e Kurt
si
riebbe. Sbatté le palpebre e gli sorrise nuovamente, con
nuova
dolcezza nello stringergli il braccio. "Grazie di tutto".
Farsi
immortalare per Saint Laurent era stato un optional aggiuntivo al suo
piano malefico, ma sfilare per Kurt andava oltre il mero
compiacimento personale. Era la conferma che sarebbe stato partecipe
dei momenti più importanti e che era un desiderio di
entrambi.
Lo
aveva osservato prendersi i meritati applausi, gli occhi velati di
lacrime di commozione e di pura gioia alle lodi di Isabelle Wright e
dei giornalisti in sala.
Blaine
sostava sul fondo della sala, un bouquet di rose in mano, ma l'aria
corrucciata che aveva balenato sul suo viso, fin da quando lo aveva
visto sfilare.
Sebastian
seguì Kurt dietro le tende che coprivano la passerella e ne
osservò
lo sguardo ancora pregno di gioia, prima che gli gettasse le braccia
al collo, ridendo con una spensieratezza che raramente lo aveva
coinvolto così nel profondo.
Si
sentì lui stesso invadere da quell'euforia, prima che lo
scostasse
dolcemente: ne cinse le mani e l'osservò con quel sorriso
più
beffardo. "Dopotutto non sembro una prostituta portoricana",
commentò come se quella fosse stata la sua preoccupazione
principale, da che aveva accettato di sfilare con le sue creazioni.
Kurt
rise suo malgrado, trattenendo le mani del coinquilino tra le
proprie. Scosse il capo: "No, sei il mio Valentino",
sussurrò con voce più flebile, scrutandolo negli
occhi e
sorridendo, come se i loro pensieri fossero lineari. "Come
l'anno scorso", aggiunse in un flebile bisbiglio, quasi stesse
sfiorando quel ricordo con una nuova consapevolezza.
Sebastian
sentì il cuore fermarsi in petto: era come se quell'anno non
fosse
mai davvero trascorso e ci fossero soltanto loro due, così
vicini da
poter cambiare tutto. Si sentì protendere il viso in sua
direzione.
O forse era stato Kurt a farlo per primo. Non avrebbe saputo dirlo.
Fu
il gelido richiamo di Blaine a riportarli alla realtà e Kurt
trasalì: la stessa espressione smarrita e delusa di chi
è stato
interrotto nel mezzo di un sogno.
Sebastian
lo guardò da sopra la sua spalla, nello stesso istante
sentì il
coinquilino sottrarsi alla stretta delle sue mani.
Blaine
si avvicinò, il bouquet tra le mani che porse al fidanzato,
ma il
sorriso forzato che spesso esibiva in presenza di Sebastian.
"Congratulazioni e... buon San Valentino", si era sporto
per baciarlo.
Sebastian
non si curò neppure di riservargli un'occhiata astiosa: non
si era
davvero illuso che quella serata avrebbe potuto concludersi come
avrebbe desiderato. Si voltò per lasciarli soli e chiudersi
nel
camerino. Non ci volle molto per cambiarsi: era desideroso di
cancellare quella serata al più presto, magari con una bella
sbronza.
Kurt
e Blaine si erano allontanati ed immaginò che fossero
già usciti.
Sospirò, pronto a scendere dal palco innalzato per la
sfilata,
quando percepì il suono attutito delle loro voci. Si
avvicinò al
sipario e sollevò gli occhi al cielo: sia mai che la Mezza
SegAnderson perdesse l'occasione di stare su un palco, anche se coi
riflettori spenti.
"Era
la mia serata, non riesco a credere che tu sia così
egoista!",
la voce di Kurt era fastidiosamente alta e stridula. Conoscendolo
doveva essere vicino a lacrime rabbiose, evidentemente
perché Blaine
stava cercando di metterlo sotto pressione.
"E
sono davvero orgoglioso di te, come tuo amico e come fidanzato. Ma
non posso credere che tu abbia chiesto a Sebastian di sfilare per te
e che, soprattutto, tu me lo abbia tenuto nascosto!", fu la
risposta del ragazzo, la cui voce era più altisonante e
rivelava
tutta l'esasperazione accumulata, oltre quel singolo episodio.
Kurt
s’irrigidì in uno di quei rari moti di orgoglio
che lo facevano
impuntare sulla propria posizione. "Vorresti per caso dirmi che,
in quanto fidanzato, hai diretto di veto su chi possa indossare o
meno le mie
creazioni?".
Blaine
scosse il capo, contrariato. "No, ma in quanto tuo
fidanzato, a tre settimane dal nostro
matrimonio, ho diritto di sapere perché lui ha avuto un
simile ruolo
nel tuo primo ingaggio e perché, malgrado non abbiamo
parlato
d'altro negli ultimi tempi, tu non abbia mai pronunciato il suo nome
e io abbia dovuto scoprirlo così!". Indicò la
passerella a
rimarcare quanto l'omissione di quell'informazione fosse persino
più
grave della richiesta in sé.
Kurt
scosse il capo, con aria incredula, a testimonianza di quanto fosse
stato naturale reclamarne la presenza, anche nelle vesti di modello.
"Lui c'è sempre stato nella mia vita, da quando lo conosco".
"A
differenza mia, è questo
che vuoi dire", Blaine aveva incrociato le braccia al petto,
mettendosi sulla difensiva.
Kurt
sospirò, esasperato all'idea che l'altro cogliesse sempre un
confronto implicito con il proprio coinquilino. "E' un dato di
fatto e mi dispiace che tu pensi che in un momento tanto importante
per me, io abbia voluto ferirti volontariamente", la sua voce
s’incrinò per la mortificazione.
"No,
Kurt”. Blaine lasciò cadere le mani lungo i
fianchi, scuotendo il
capo con vigore. “E' diverso: tu non hai proprio pensato a
me!".
Le
sue parole parvero soltanto far irrigidire ulteriormente il
fidanzato. "Dovrei scusarmi se per una volta nella mia vita, ho
pensato soprattutto a me e ciò che ritenevo meglio per la
mia
carriera, sfilata di Sebastian inclusa?”.
Blaine
sorrise con aria amara, scuotendo il capo. "Tra tre settimane
non ci sarà più un «
me », saremo solo un «
noi »,
sempre che tu abbia ancora intenzione di sposarmi”.
Kurt
indietreggiò come se lo avesse appena schiaffeggiato. "Credi
che mettere in dubbio i miei sentimenti con continue allusioni, non
ferisca me, a tre settimane dal matrimonio?”.
"No.
Non quanto dovrebbe almeno". Blaine non abbandonò quel
sorriso
più amaro e le sue labbra furono percosse da un tremito, ma
lo
guardò con aria determinata. "Che cosa provi per Sebastian?".
Kurt
arrossì e boccheggiò, prima di scuotere il capo.
"Non posso
credere che tu me lo stia
davvero
chiedendo”, mormorò con voce flebile e rauca.
"Non
posso credere che tu non lo capisca", fu la replica di Blaine in
un sussurro altrettanto amaro.
Sebastian
arretrò istintivamente.
"Allora,
Kurt ?”. Blaine avanzò di un passo come a volergli
impedire
qualsiasi possibile fuga. “Che cosa è Sebastian
per te?".
Una
parte di Sebastian era consapevole che quella risposta avrebbe
segnato la sua vita, da quel momento in poi. Ma era tutt'altro che
pronto a conoscerla, tutt'altro che sicuro di ciò che Kurt
avrebbe
risposto e di come avrebbe potuto affrontare gli istanti successivi.
Sembrò
un momento mortalmente lungo quello in cui Kurt non riuscì a
guardare il fidanzato negli occhi e lo sguardo diafano si perse in un
punto indefinito, mordendosi il labbro, le braccia strette al suo
corpo, quasi a proteggersi.
L'attesa
sembrava rendere tutto persino più surreale, evidentemente
non era
una risposta scontata quella che avrebbe fornito.
"Lo
sai”, mormorò Kurt con voce rauca, quasi vicino
alle lacrime. “E'
mio amico, il più caro che abbia mai avuto qui a New York".
Ogni parola sembrò pesare come un macigno e assestargli una
coltellata in petto.
Sebastian
non volle sentire altro: si allontanò come se quella
definizione
fosse il suo punto di arrivo. La dimostrazione ultima del fallimento
in una battaglia persa dall'inizio.
"E?",
lo incalzò Blaine.
"E'
parte di me”, sussurrò Kurt, mentre Sebastian
lasciava l'edificio
senza guardarsi alle spalle. “L'unica di cui sono certo".
Sebastian
non era avvezzo agli appuntamenti, ma neppure riusciva ad immaginarsi
in quel tipo di situazione o nell'atto di corteggiare qualcuno.
Passarci del tempo insieme per appurare che vi potesse essere una
buona compatibilità o che si sarebbe stancato nell'arco di
due
settimane al massimo.
In
realtà non poteva davvero figurarsi che qualcuno, ad
eccezione di
Kurt, potesse tirare fuori qualcosa di nuovo da lui. Di nascosto e
poco scontato.
Erano
due mondi diversi, due diverse concezioni dell'amore e del sesso,
della vita e delle relazioni. Probabilmente era la premessa di tale
divario a ridurre la pressione. O la sicurezza che, qualunque cosa
fosse accaduta, sarebbero tornati a casa insieme. Proprio in nome di
quella familiarità con un'altra persona che aveva voluto
evitare da
sempre.
Sorrise
tra sé al pensiero, osservando il modo in cui Kurt
contemplava i
ballerini.
Si
sorprese a sollevarsi in piedi: "Non abituarti, perché non
sono
solito chiederlo, ma ti va di ballare?".
Kurt
sorrise, una reale emozione ad illuminarne lo sguardo: stranamente
quella premessa non aveva sminuito l'importanza di quel gesto. Al
contrario, sembrò renderlo persino più prezioso.
Allungò la mano
che Sebastian strinse, come fosse qualcosa di perfettamente naturale.
Ne
cinse la vita esile, ebbe la sensazione che le proprie braccia
fossero perfette per incastonarlo contro di sé e
trattenerlo. E che
il corpo esile dell'altro fosse destinato a cercare un rifugio contro
di sé: quasi ne avesse intuito i pensieri, Kurt
affondò il viso
contro la sua spalla.
Sebastian
lo sentì appoggiare la gota contro il suo petto, quasi a
tastarne i
battiti. Si scostò per osservarlo, inclinando il viso di un
lato e
rimirandone gli occhi che sembravano rilucere come un cielo
scintillante: "A cosa pensi?".
Kurt
sorrise. "Ancora non riesco a credere che tu abbia architettato
tutto questo per me".
Si
strinse nelle spalle, quasi a sminuire. "So quanto ti piacciono
queste cose",
sollevò gli occhi al cielo. "Ancora ho incubi su Tom Hanks",
aggiunse come se il ricordo di quella trasferta a Coney Island fosse
incancellabile.
Kurt
rise, ma si strinse più forte contro di lui e Sebastian
rinsaldò la
pressione delle braccia attorno alla sua vita, tenendolo ancora
più
vicino. Scoprendo che non soltanto era piacevole sentirselo accanto,
ma che non avrebbe mai desiderato allontanarlo da sé.
"Sei
il mio Valentino", sussurrò Kurt con un misto di
divertimento e
di tenerezza.
"Credo
di essermi appena sgonfiato", gli rivelò Sebastian con un
sorrisetto divertito.
Kurt
assunse un'aria scandalizzata. Gli diede una pacca sul braccio, a mo'
di ammonimento, ma affondò nuovamente contro la sua spalla.
"Non
roviniamo questo momento", parve una supplica.
Sebastian
si scoprì a trattenere il fiato, ma si sporse al suo
orecchio: "Non
ne ho intenzione", sussurrò in risposta. Appoggiò
la gota alla
sua, socchiudendo gli occhi, neppure curandosi di volteggiare a
tempo, limitandosi a dondolare con lui sul posto.
"Rachel",
bisbigliò Kurt poco dopo, l'aria confusa.
Sebastian
aggrottò le sopracciglia. "Non è il momento
adatto per dirmi
che credi di essere bisessuale e poi, Rachel, davvero?",
domandò con aria incredula.
"No,
intendevo dire che Rachel è qui", replicò il
ragazzo,
indicando con il mento la giovane moretta che si stava slanciando in
loro direzione, dopo averli individuati con occhi simili ad un radar.
Sebastian
imprecò tra i denti, prima che la ragazza li raggiungesse,
gettandosi su Kurt con un piagnucolio da mestruata isterica: "Io
e Finn abbiamo litigato!”, singhiozzò sulla sua
spalla,
evidentemente non resasi conto di aver interrotto un momento
piacevole. Ma il suo dolore non era abbastanza forte, da toglierle
la tempra polemica: “Non sai quanto ci ho messo a farmi dire
da
quella Tiffany dove ti eri cacciato, neppure fosse un segreto di
stato!”,
"Mi
dispiace", mimò Kurt da sopra la spalla dell'amica,
guardandolo
con aria mortificata.
"Anche
a me".
Gli
rivolse un cenno del capo e si allontanò, prendendo nota
mentale di
sferrare un calcio nei “paesi bassi” di Hudson alla
prima
occasione utile.
Sorrise
ironico tra sé: non aveva mai creduto nel destino, ma
cominciavano
ad esserci troppe nefaste coincidenze nel loro cammino. Ed era stanco
di coltivare la speranza che veniva puntualmente delusa.
~
Hunter
Clarington si drizzò, dopo aver passato l'ultima mezzora a
scrutare
sotto il bancone e sotto tutti i mobili, con aria alquanto perplessa.
Si ripulì le lenti degli occhiali con l'orlo della t-shirt
che
indossava.
"Niente
chiavi", annunciò ad un'affranta Brittany Pierce che, con il
vestito rosa guarnito di strass e persino finte alucce decorative
sulle spalle, somigliava ad un'adolescente Trilli in versione molto
poco Disney.
La
ragazza si prese il viso tra le mani e scosse il capo in un moto di
puerile disappunto, facendo ciondolare le lunghe gambe dal bancone
sul quale era appollaiata.
"Ancora
qui, Clarington?", gli abbaiò contro il proprietario che
sembrava non desiderare di meglio che licenziarlo di nuovo. "Non
pensare di passarci la notte con la fatina",
alluse alla biondina e scosse il capo, come se anche il vederli
insieme fosse fonte di reale fastidio. "E chiudi, quando esci".
"Come
sempre, Signor Murphy", replicò tra i denti, sorridendo con
aria accondiscendente.
La
ragazza sospirò e, con una lieve spintarella, scese dalla
superficie
per scivolare sui tacchi a spillo. Gli rivolse un sorriso,
stringendosi le braccia al corpo. "Grazie dell'aiuto: dovrò
cercare un albergo", si guardò attorno e parve sbiancare.
"Oh
no,
dov'è la borsa?".
Hunter
la sollevò con un vago sorriso, porgendogliela.
Arcuò le
sopracciglia, come se stesse riflettendo su qualcosa: "Potresti
chiamare il proprietario dell'appartamento per fartene dare una
copia".
La
ragazza scosse il capo con aria ancora più mortificata.
"Sarebbe
la terza volta in un mese”, gemette, assumendo di nuovo quel
broncio più puerile. “Se scopre che le ho perse di
nuovo, mi
butterà fuori".
"Oppure",
il ragazzo si avvicinò, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni, con aria casuale. "Potresti dormire da me:
naturalmente ti cederò la mia camera", si
affrettò a
precisare, perché le sue intenzioni non fossero fraintese.
Lo
sguardo azzurro lo contemplò con aria incredula e scosse il
capo,
quasi con aria imbarazzata, di fronte ad una così spontanea
disponibilità. "Sei troppo buono con me".
Hunter
scrollò le spalle, quasi a sminuire il tutto, ma non
mancando di
sorriderle con fare rassicurante: "Non è un disturbo,
davvero:
prendo le mie cose e possiamo andare".
Si
volse, ma la ragazza ne cinse il braccio frettolosamente. "Aspetta!".
La
guardò con aria incuriosita, il viso inclinato di un lato.
"Sì?".
"Non
puoi andare subito a casa”, asserì lei con aria di
puerile
divertimento, lasciandone il braccio, ma inclinando il viso di un
lato e osservandolo con aria eloquente. “Sei l'unico che
stasera
non ha ancora avuto il suo ballo", gli fece notare con uno
scintillio vivace nello sguardo.
Si
stava infatti riferendo alla strampalata idea del proprietario per
ribaltare le sorti di un pub prossimo al fallimento: cercare di
attirare nuovi avventori e far tornare i clienti abituali, offrendo
loro un ballo con uno dei ballerini del suo staff. Ciò aveva
causato
non poche proteste nei fidanzati gelosi come Evans, nonché
il doppio
del lavoro per il buttafuori che era intervenuto più volte,
quando i
pochi presenti si erano dimostrati fin troppo entusiasti.
Hunter
sbatté le palpebre e la osservò come a voler
appurare di non aver
frainteso in alcun modo, ma di fronte allo sguardo di incoraggiamento
della giovane (la cui mano era già protesa verso di
sé), scosse
rapidamente il capo: "Io non ballo”, cercò
evidentemente di
trarsi d'impaccio, passandosi una mano sulla nuca. “Mi limito
a
riempire i bicchieri".
"Non
più", obiettò la giovane e, senza dargli tempo di
ulteriore
replica o protesta, si avvicinò al juke box per inserire una
moneta
e scegliere una traccia musicale.
"Adoro
questa canzone", lo informò ma, di fronte all'ulteriore
obiezione del ragazzo, gli cinse la mano con aria risoluta e Hunter
non poté che seguirla, colpito dalla sicurezza e
dall'autorità
giocosa con cui riusciva ad abbindolarlo senza alcuno sforzo.
Brittany
lo condusse verso il centro della pista da ballo, tenendogli il
braccio sollevato, così da piroettare su se stessa, prima di
voltarsi per assumere la giusta posizione. Con gesti esperti, ne
guidò le mani affinché le sostenesse il fianco.
Adagiò una mano
sulla spalla di lui ed intrecciò l'altra a quella del
giovane,
sorridendo con evidente aspettativa, attendendo che le prime note
echeggiassero.
"Non
sono granché come ballerino", tentò di protestare
l'ennesima
volta ed apparve realmente a disagio nel tenerla così
vicino, quasi
timoroso che, ancora una volta, potesse rovinare tutto
inavvertitamente.
Brittany
sorrise con aria complice: "Un frullato gratis, se mi calpesti
il piede?", gli propose, quasi volendo stemperarne la tensione e
farlo rilassare.
Uno
sbuffo divertito da parte del barista: "Non batterai facilmente
il record di bevute gratis di Sebastian".
Lei
rise con quel tintinnio gradevole al suo udito e, cercando di
vincerne la rigidità, ne cinse il collo, inducendolo a
circondarle
la vita con le braccia, così da essergli più
vicino, quasi la
prossimità fisica potesse lenirne le remore
anziché aumentarle.
Hunter
parve lentamente rilassarsi: probabilmente fu inspirandone lo
stucchevole profumo di fragola di cui era impregnata la sua pelle,
misto al calore scaturito da quel piacevole contatto. O forse era
contemplarne lo sguardo azzurro che mancava della malizia femminile,
di arroganza o di falsità. Era la consapevolezza ch'ella non
si
sarebbe fatta remore ad esprimergli i suoi reali pensieri, senza
alcun imbarazzo. La pressione delle sue braccia si fece più
risoluta, pur attento a non stringerla troppo. Prese poi abbastanza
confidenza e slancio per indurla a piroettare nuovamente su se stessa
e persino farla reclinare in un casquet, suscitandone un'espressione
sorpresa, ma non di meno compiaciuta.
"Credevo
che non sapessi ballare", commentò, infatti, la giovane con
voce flebile, quando tornò in posizione eretta.
Hunter
si strinse nelle spalle e parve recuperare quel sorriso più
accattivante: "Non è la mia
specialità”, ammise senza
imbarazzo. “Ma ho partecipato a troppe cerimonie familiari
per non
essere costretto a farlo", le confidò.
Brittany
annuì distrattamente: sembrava molto più
interessata ad osservarlo
attentamente.
Hunter
intuì, dal lieve corrugamento della fronte, che qualche
pensiero le
stava martellando la mente.
"Davvero
non c'era nessuna ragazza da cui tornare, stasera, anziché
cercare
un paio di chiavi?", gli chiese con quella tipica schiettezza,
unita ad una reale curiosità nello scrutarlo negli occhi,
quasi
cercando una risposta che andasse oltre quel frangente.
Il
ragazzo sospirò, ma increspò le labbra in un
sorriso ironico. "In
realtà ce ne sarebbe stata una," ammise e Brittany lo
guardò
con persino più attenzione. Parve persino fermarsi al centro
della
pista, prima che fosse lui a condurla nuovamente con dolce
risoluzione, intrecciando le dita alle sue, quasi quel contatto fosse
la chiave di tutto.
"Ma
non credo che abbia colto il significato delle mie
attenzioni”,
ammise con un sorriso quasi mesto. “Non nel modo in cui
speravo".
La
ragazza sbatté le palpebre, scuotendo il capo quasi
mortificata alla
sola idea, soprattutto alla consapevolezza che quella situazione
doveva averlo turbato. "Chi
potrebbe essere tanto stupida?", domandò con tono
così
sinceramente scandalizzato ed incredulo da strappargli un verso di
ilarità e uno scuotimento del capo.
La
strinse più forte, quasi dovesse in qualche modo
rassicurarla e gli
occhi azzurri furono percorsi da uno scintillio del tutto nuovo. "Non
mi importa se gli altri la ritengono...". Corrugò le
sopracciglia, cercando il termine giusto. "Persa nel suo mondo,
chimicamente sbilanciata o... Diversamente intelligente",
asserì
e lo sguardo verde scintillò di tutta la devozione e la
sincera
ammirazione che ne aveva animato le serate in quegli ultimi mesi. "So
che è molto di più", sussurrò con voce
più profonda.
Quelle
parole e quel tono sommesso sembrarono intaccare qualcosa nella
ragazza che, per la prima volta, non trovò una repentina e
pronta
risposta. Non parve neppure accorgersi della fine della canzone:
sostò immobile nell'osservarlo con il volto lievemente
reclinato
all'indietro, mentre le mani scivolavano lentamente dalle spalle del
suo improvvisato cavaliere. Lo sguardo azzurro sembrò
scintillare di
una nuova consapevolezza: se una rivelazione alle parole del giovane
o ai propri segreti pensieri, difficile a dirsi.
"Brittany”,
la richiamò, quasi cercando di indovinare l'origine di
quell'insolito silenzio.
Un
nuovo scintillio nello sguardo azzurro.
"Shh",
sussurrò con quel sorriso più giocoso, ma Hunter
ne scorse il
cambiamento in un battito di ciglia. Sembrò che quell'alone
più
fanciullesco e ingenuo lasciasse spazio a quello più
femmineo e
deciso, quasi la donna che era in lei riuscisse finalmente ad
emergere e con un fascino del tutto nuovo. Allungò
delicatamente la
mano al volto del giovane, sfiorandone appena lo zigomo e si
sollevò
sulle punte.
"Di
chi sono queste chiavi?", giunse limpida la voce di Sebastian
dall'ingresso.
Quest'ultimo
fece saettare lo sguardo ad osservare i due sulla pista da ballo. Non
si scompose, quasi fosse perfettamente "naturale"
scorgerli a quella vicinanza intima e coi volti protesi. Soltanto la
lieve inarcatura delle sopracciglia ne rivelò la sorpresa.
"Ah,
Tontittany", la salutò, sventolandole e facendole
tintinnare.
"Vanno così male gli affari?", domandò poi,
guardandosi
attorno, quasi soltanto in quel momento si rendesse conto che non era
rimasto nessuno.
"Le
mie chiavi!", squittì Brittany che corse verso Sebastian
quasi
saltellando.
Hunter
Clarington restò nella stessa posizione, passandosi una mano
tra i
capelli, letteralmente shockato. Se per il bacio mancato o per
l'arrivo inaspettato del ragazzo, era difficile a dirsi.
"Grazie,
grazie, grazie! Non dovrò dormire sotto un ponte!",
commentò
Brittany stringendole tra le mani e portandosele al petto, di fronte
al cipiglio ironico del suo salvatore.
"Yeah!",
Sebastian ne imitò il saltello con aria enfatica mentre,
sullo
sfondo, Hunter Clarington sembrava star facendosi un replay mentale
della scena per sincerarsi di non essersi sognato tutto.
"Come
posso ringraziarti?", squittì la biondina.
"Ci
sarebbe una cosa", rispose Sebastian, ancora con quel falso
sorriso allegro.
"Che
cosa, che cosa?", gli chiese evidentemente ansiosa di
sdebitarsi.
"Levati
dai piedi", le indicò l'uscita con un cenno del capo e
sollevò
gli occhi al cielo.
Brittany
sgranò gli occhi, con aria offesa, prima di affrettarsi a
percorrere
la pista da ballo e recuperare la borsetta, camminando impettita.
Tornò dal barista soltanto per sollevarsi sulle punte e
baciarne
rumorosamente la guancia: "Grazie di tutto", ne sfiorò la
mascella, laddove aveva lasciato un bel sogno rosato.
"Allora?",
la incalzò nuovamente, Sebastian, sbuffando. "Serve a me,
adesso", indicò il barista con un cenno del mento.
“Sto
andando, sto andando!”, brontolò la ragazza, con
aria
evidentemente risentita, agitando la mano verso l'altro.
"Buonanotte",
riuscì a balbettare Hunter e parve che un sorriso stolido
gli si
fosse bloccato sulla faccia, a giudicare dalla mascella tesa e i
pugni ancora serrati lungo i fianchi. "Spero sia morto qualcuno,
Sebastian", si rivolse all'altro, lo sguardo ancora puntato alla
porta che la ragazza si era appena chiusa alle spalle, evidentemente
incapace di sbloccare quell'espressione che stonava incredibilmente
con il tono stizzito con cui gli si era rivolto.
Sebastian
inarcò le sopracciglia: "Oh”,
imitò il tono confuso della giovane. “Ho
interrotto qualcosa?",
chiese con aria fintamente innocente.
La
mascella del barista vibrò: evidentemente stava valutando se
fosse
il caso di colpirlo subito o attendere. Scosse il capo,
tornò alla
sua postazione quotidiana e riempì un bicchiere di tequila:
il
sorriso si era dissolto dal volto.
"Mi
leggi il pensiero", convenne Sebastian, lasciandosi cadere sullo
sgabello, ma il barista lo precedette e ingollò l'intero
contenuto
in un solo sorso.
"Stai
cercando di impressionarmi?".
Hunter
se ne versò un altro, l'aria composta. "No, se cedessi alla
voglia di prenderti a pugni, sarebbe meglio avere una sola
possibilità su tre di colpire il bastardo giusto",
spiegò con
aria pragmatica.
"Dammi
qua", Sebastian gli strappò rudemente di mano la bottiglia e
la
tracannò dalla canna. "Molto meglio: se la bevo per intero,
magari ti scopo", aggiunse.
Hunter
non si degnò neppure di guardarlo: "Vaffanculo",
borbottò
mentre recuperava i propri effetti personali, sfregandosi appena la
guancia macchiata.
"Potrebbe
piacerti".
"Sto
davvero per darti un pugno", rispose distrattamente.
Cincischiò
con il cellulare, probabilmente domandandosi se non potesse cogliere
l'occasione per scrivere un galante messaggio di buonanotte o se
dovesse attendere il giorno dopo per non apparire tanto disperato.
"E'
finita", commentò Sebastian, dopo un lungo silenzio nel
quale
parve ripercorrere quella lunga giornata.
"Tecnicamente
non era ancora iniziata", commentò, Hunter guardandolo di
sottecchi, le sopracciglia inarcate, neppure prendendosi la briga di
chiedergli di cosa stesse parlando.
Sebastian
non parve neppure risentirsi della precisazione poco lusinghiera, lo
sguardo perso nel vuoto. "La Mezza SegAnderson ha vinto: io ci
rinuncio", annunciò, ma sembrava che avesse bisogno di
pronunciarlo a voce alta per convincere soprattutto se stesso.
"Aspetta",
Hunter sollevò la mano e appoggiò di nuovo sul
bancone il cellulare
e lo zainetto, appoggiando i palmi sulla superficie, quasi stesse
cercando di raccogliere le forze. "Per mesi interi ho sopportato
le tue sbronze, mi sono spacciato per un tizio del gas, sono stato
complice di un furto di un anello di valore, ho ridotto le mie
possibilità di una sana vita privata, ripetuto tre volte lo
stesso
esame di anatomia... per cosa? Tu che ti arrendi? A tre settimane dal
matrimonio?!”, sulle note finali la voce si era alzata, a far
intendere l'assurdità della situazione e di quella
conversazione.
"La
tua vena”, Sebastian la indicò con un cenno
distratto del mento.
“Credo che stia per esplodere".
Lo
ignorò ma la mascella si tese e parve davvero irritato: "Sai
qual è la verità? Sei soltanto un
vigliacco”, pronunciò con voce
dura, prima di scuotere il capo. “E' ora che questa storia
finisca.
Se non hai intenzione di parlare a Kurt, lo farò io".
Sebastian
si irrigidì e lo sguardo di smeraldo dardeggiò
infastidito. "Non
sono venuto a chiederti l'approvazione, Clarington: anzi, ti sto
dando la benedizione a tornare alla tua vita da SfigHunter", lo
disse come se ciò dovesse essere risolutivo,
affinché l'altro non
interferisse nuovamente. Perché non spronasse quella parte
di sé
che stava inveendogli contro e che, nell'ultimo anno, aveva messo a
tacere più volte.
"Sei
un idiota", gli abbaiò contro il barista, ma
cercò di
calmarsi. "Si può sapere cosa è successo questa
sera? E non
provare a negare”, sollevò la mano prima che
potesse attaccare
discorso. “Prima è meglio che beva qualcosa di
più forte",
armeggiò tra le bottiglie.
Suo
malgrado, Sebastian accennò un sorriso: "Siamo sicuri che
non
sarai tu a saltarmi addosso?".
Hunter
roteò gli occhi, ma versò due bicchieri di whisky
con una scrollata
di spalle. "Lo scopriremo".
"Forse
dovrei andare a richiamare la tua-”.
"Parla".
La
reazione di Hunter, al termine del resoconto, fu uno scuotimento del
capo, un sollevare gli occhi al cielo e uno strofinarsi la fronte,
con aria di melodrammatica incredulità.
"Siete
due idioti, ma mi sorprende che ancora non vi siate strappati i
vestiti di dosso”, asserì dopo un lungo silenzio.
Sebastian
neppure si prese la briga di apparire compiaciuto o vagamente
smanioso all'idea. "E' finita, fattene una ragione”, scosse
il
capo e ingollò un altro bicchiere. “Non posso
credere di essere
io a dirlo a te”.
Hunter
lo fissò persino più disgustato: "Sei un
coglione: fattela tu
una ragione".
In
circostanze normali, Sebastian si sarebbe avveduto di quanti epiteti
gli fossero stati sferrati contro e senza che opponesse alcuna
reazione. "
Ti
ho detto che non devi più fare nulla e ti lascerò
in pace”, lo
fissò con aria stizzita.
Il
barista roteò gli occhi. "Sei un coglione",
ripeté. "Ma
un coglione fottutamente innamorato: il tuo cinismo è andato
a farsi
fottere, dopotutto", parve ritrovare un sorriso di consolazione
a quella constatazione. Un sorriso che si espanse ad un successivo
pensiero, divenendo quasi un ghigno.
"E
questo ti diverte?", gli domandò Sebastian con aria piccata
e
vagamente sospettosa di fronte a quella esternazione di gioia quasi
inquietante.
"Contrappasso”,
ribatté il barista con fare filosofico. “Dopotutto
il karma
esiste: quindi se la tua vita sentimentale va' a puttane e tu hai
fatto del tuo meglio perché così fosse, forse
allora...", non
finì la frase, ma dal sorriso voluttuoso si intuì
che credeva che
fosse giunto il proprio
momento.
Ma
Sebastian non lo stava più ascoltando: un pensiero
continuava a
pungolarlo, il tono di voce di Kurt quando Blaine lo aveva incalzato
a più riprese perché parlasse dei sentimenti che
nutriva nei propri
confronti. Se anche lo aveva definito “il più caro
amico” nella
sua vita newyorchese, non gli era sfuggito quanto avesse esitato e
quanto dolorose fossero state quelle parole. Un dolore che,
probabilmente, non riguardava soltanto l'ennesimo litigio col
fidanzato.
"Forse
no", sussurrò tra sé e sé.
L'altro
son si scompose neppure: sembrò intuire che, malgrado i fumi
dell'alcol, la mente di Sebastian fosse fissa su qualcos'altro.
Sospirò ma, quasi con aria di supplica, domandò
un semplice:
"Glielo dirai?".
Sebastian
sorrise con aria divertita. "Certo che no".
Hunter
sbatté le palpebre e fissò il proprio calice:
"Credo che berrò
di nuovo".
"Buona
idea", Sebastian allungò il proprio perché glielo
riempisse
nuovamente.
"Hai
un nuovo piano, vero?", fu la rassegnata domanda.
"Forse",
gli sorrise con aria complice.
Il
barista sospirò con aria sconfitta. "Apro un'altra bottiglia
di
whisky: saranno le tre settimane più lunghe della nostra
vita”.
Non
ci fu bisogno di rispondere, era certo che la sua deduzione fosse
più
che legittima.
To
be continued...
Non
vi nascondo di essere stata la prima a sbarrare gli occhi nel
realizzare a quale punto della narrazione siamo ormai giunti :)
Questo
aggiornamento, poi, giunge in una settimana davvero speciale per la
sottoscritta: malgrado il mancato appuntamento con Barry (quanto mi
è
mancato T.T), non ho potuto che sorridere nel rivedere finalmente
Nolan, anche soltanto come guest star nella 3x05 di Arrow. Devo
ancora riprendermi da un paio di scene in cui credo sia stato di una
dolcezza unica e l'altra metà in cui non è
mancato un fascino
decisamente più sensuale :D
Ma
veniamo ai nostri pupilli e diamo una sbirciatina al prossimo
capitolo:
[…]
“Ma continui ad evitare la questione”.
“Sarebbe più facile se
Kurt non evitasse me”.
[…]
“Fanculo, dov'è il whisky?”
“Non dovresti essere tu il custode
del mio fegato?” “Infatti è per me:
finirò in terapia di questo
passo”.
“Sebastian”
“Kurt” “Sono qui”.
“Non
è di lui che non mi fido” “Cosa... cosa
c'è che ancora non mi
hai detto?”.
Prima
di salutarvi, ancora una volta sentiti ringraziamenti a tutti coloro
che stanno continuando a seguirmi, anche silenziosamente. E' davvero
una grande soddisfazione potermi sentire parte delle vostre giornate,
un paio di Venerdì al mese. Ma in modo particolare a chi mi
dedica
un pensiero, condividendo le proprie emozioni e il proprio stato
d'animo sugli eventi di ogni capitolo o sul corso stesso della
fanfiction. E' soltanto per voi che la pubblicazione è
motivo di
tanta soddisfazione :)
Non
mi resta che augurarvi un buon weekend :)
Kiki87
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
11
Queste
quattro mura si chiudono ogni giorno di più.
Sto
morendo dentro,
ma
nessuno lo sa, a parte me.
Perché
non ho detto,
le
cose che avrei dovuto.
Come
ho potuto lasciare
che
il mio angelo se ne andasse.
Mantengo
un sorriso, anche quando sono spezzato.
Non
sono nessuno senza qualcuno come te.
Sto
tremando dentro.
E
nessuno lo sa, a parte me.
Un
miliardo di parole non potrebbero esprimere
come
mi sento.
Tra
un milione di anni da adesso, lo sai,
ti
amerò ancora.
Le
notti sono così solitarie, i giorni così tristi.
Continuo
a pensare all'amore
che
avevamo.
Adesso
mi manchi,
ma
nessuno lo sa, a parte me.
(Nobody
Knows – Boyzone).
A
volte odiamo noi stessi
per i
sentimenti che ignoriamo.
Forse
è questo il problema,
non
ascoltiamo noi stessi,
finché
non è troppo tardi.
RM
Drake.
Marzo
(Meno
due settimane al matrimonio)
Capitolo
11.
A
due settimane dal matrimonio, la situazione era più critica
che mai:
se all'inizio era sembrato tutto un gioco, una partita a scacchi a
lunga durata che avrebbe potuto manovrare senza difficoltà,
il
countdown dimostrava che ad averlo sconfitto era l'unico giocatore in
gara. La casa stessa ormai gli pareva estranea: mano a mano che il
soggiorno era diventato il luogo di raccolta dei regali che erano
giunti dall'Ohio e dalle nuove conoscenze di New York (inclusi
colleghi di Vogue, della caffetteria e altri studenti della Nyada),
le tracce della sua convivenza con Kurt sembravano rilegate ai
margini, anch'esse soffocate.
Ma
era anche l'atmosfera ad essere cambiata: era come se, da quel San
Valentino, Kurt avesse fatto una decina di passi indietro.
Probabilmente quelli che si era prefissato dal fidanzamento, ma era
avvenuto in modo così repentino e brusco che era stato come
ritrovarsi a convivere con un estraneo. Un estraneo che ormai passava
quasi tutte le notti dal fidanzato e sembrava più che
avvezzo
all'intimità domestica che avrebbero vissuto da
lì a poco. Un
estraneo che non sembrava aver più alcun desiderio di
aprirgli il
proprio mondo.
Se
quel loft era stato, da che si era trasferito a Brooklyn, il suo
rifugio dal mondo esterno e dalla sua vita notturna, adesso sembrava
soffocarlo, lentamente e senza pietà.
Non
era pronto e non lo sarebbe mai stato.
Il
giovane di fronte a lui aveva decisamente una bella presenza, doveva
concederglielo. Non era solo frutto dei suoi tratti somatici, ma quel
sorrisetto beffardo e felino che spesso, durante la conversazione, ne
sfiorava le labbra, conferendo alle sue parole un sottinteso
eloquente. Sebastian ben sapeva che talvolta il fascino era scaturito
dal lasciar intendere, piuttosto che nell'affermare ad una maniera
esplicita. Ne aveva studiato a lungo lo scintillio delle iridi e
quell'aria di chi aveva la presunzione di poter conquistate il mondo
soltanto con il proprio charme.
Sì,
gli ricordava quella facciata che si era costruito nel tempo e
ciò
non poté che fargli volgere il giudizio a suo favore. In
verità il
suo istinto lo aveva compreso da quando gli si era seduto di fronte,
intrecciando il suo sguardo azzurro. Un azzurro diverso da quello di
Kurt: laddove le iridi di quest'ultimo erano lo specchio di un'anima
pura e delle emozioni che le attraversavano, quelle davanti a lui
nascondevano i reali sentimenti del giovane e sapevano lusingare ed
allettare, in vista di un doppio fine.
Gli
strinse la mano alla fine del colloquio.
"Aspetto
una tua chiamata", gli disse l'altro con il suo fine accento
anglosassone, un breve ammiccamento a mo' di saluto ed uscì
dal pub.
Sebastian
si sedette al solito sgabello e il barista si avvicinò
subito
(aveva, infatti, ignorato per tutto il tempo le sue occhiate
sospettose, ma non aveva dubbio che lo avrebbe sottoposto ad un terzo
grado). Esibiva ancora uno sguardo perplesso, facendo saettare gli
occhi nella direzione in cui lo sconosciuto si era allontanato.
"Sebastian,
ti prego”, esordì con aria realmente esasperata e
rilasciando un
sospiro profondo, quasi ad invocare la calma. “Dimmi che non
usi
il mio posto di lavoro per prendere accordi con un prostituto".
Sebastian
si accigliò, quasi si sentisse offeso da quella strampalata
supposizione. "Certo che no”, attese che Hunter si sgonfiasse
il torace per il sollievo, prima di sorridere con quell'incrinatura
più maliziosa. "E' uno spogliarellista", gli
spiegò in
tono pacato.
Sarebbe
valsa la pena di tenerlo ulteriormente sulle spine soltanto per
osservarne il repentino cambiamento d'espressione, reso più
che
evidente dal modo in cui le sue sopracciglia sembravano convergere al
centro della fronte o schizzare verso l'attaccatura dei capelli,
accompagnate da una buona flessibilità della mascella
prominente.
Il
barista quasi si lasciò sfuggire di mano un boccale di
vetro, ma
l'appoggiò sul bancone quasi a fatica.
"Cosa?!",
domandò, infine, in tono sconvolto.
Sebastian
si gustò quella visione vagamente comica, prima di
stringersi nelle
spalle e allungargli il biglietto da visita che quel tale Kyle
Larris gli aveva lasciato, con tanto di marchio del locale in
cui
solitamente si esibiva.
"Si
dà il caso che quel bietolone di Finn sia stato
così gentile da
dirmi dove si sarebbe tenuto l'addio al celibato della Mezza
SegAnderson”, spiegò con voce vellutata.
Ma
dallo sguardo era evidente la sua soddisfazione nel ricordare quanto
fosse stato semplice abbindolarlo, una volta assicuratosi che la
Berrysterica fosse distratta dai suoi sedicenti fan (una delle sue
idee migliori pagare qualche studente incontrato in metropolitana
perché la fermassero con una richiesta di autografi e
selfie), fino
a fargli sganciare ogni informazione utile. Si era persino pentito di
non essersi giocato in anticipo la carta del fratellastro poco
sveglio.
“Un
mio personale regalo per lo sposo", continuò con aria
casuale,
per poi inarcare le sopracciglia. "E non è neppure costato
poco", aggiunse vagamente stizzito dal dettaglio.
Hunter
aveva scosso la testa a più riprese, con aria evidentemente
disgustata da un simile espediente, ma sembrò volersi
risparmiare la
morale e cercare di minarne le intenzioni con un approccio razionale,
mettendone in dubbio la realizzabilità. "Non ti aspetterai
davvero che dopo averlo già tradito, sarebbe così
idiota da-".
Sebastian
sorrise e neppure gli diede il tempo di finire la domanda: "Kurt
ha detto che non regge l'alcol", lo informò con voce
flautata.
"Oh”.
Hunter imitò un'espressione di deliziata sorpresa ed
incrociò le
braccia al petto, prima di gettargli un'occhiata di traverso.
“Neppure lui?".
Sebastian
lo fissò con aria schifata e risentita per l'implicito
paragone, ma
continuò a parlare, come se non fosse stato interrotto, come
se la
sua opinione (non che fosse qualcosa di nuovo o di sorprendente) non
avesse alcun peso. "L'ho pagato perché si assicuri che il
suo
bicchiere sia sempre pieno, poi lo sedurrà e quando faranno
sesso,
filmerà tutto con la telecamera nascosta nel suo
appartamento e io
farò in modo che Kurt lo venga a sapere”.
Il
barista parve persino più scettico, senza contare
l'espressione
palesemente nauseata. Scosse il capo e strofinò il bancone
con uno
straccio umido, quasi neppure volesse guardare in faccia il proprio
interlocutore. "Questo è davvero spregevole,
persino per
te”, gli fece presente, scoccandogli un'occhiata eloquente
per poi
aggiungere: “Soprattutto considerando che stai ancora
evitando di
affrontare la vera questione".
Ne
ignorò l'osservazione pungente e si strinse nelle spalle,
difendendo
l'ennesimo dei suoi piani con quella punta di orgoglio e di
raziocinio che rendeva il tutto persino più paradossale. "E'
una prova: se davvero lo ama, non lo
tradirà di nuovo, alcol
o non alcol".
Hunter
sospirò, osservandolo come se stesse cercando un nuovo punto
punto
di contatto, consapevole che fosse ormai troppo tardi per dissuaderlo
a cose fatte. Se non facendo leva sull'unica persona il cui stato
d'animo era davvero capace di sconvolgerlo. "Stai giocando coi
sentimenti di Kurt. Supponiamo che Blaine cada in trappola: non ti
sentiresti complice del
tradimento? Riusciresti ad andare avanti con un simile
senso
di colpa?".
Sebastian
non parve, infatti, trovare un'immediata replica: probabilmente era
più difficile ignorare quel tarlo quando era qualcun altro
ad
esplicitarlo e dargli voce. Ingollò un sorso di birra, quasi
a
tergiversare, prima di stringersi nelle spalle.
Avrebbe
desiderato poter avere una risposta arrogante anche di fronte a
quell'ipotesi che bastò a strappargli il respiro, quasi
tentato di
contattare subito il giovane per disdire tutto. Persino il ciondolo
del bracciale parve divenire più pesante.
Fissò
risentito il barista, quasi fosse una sua colpa, prima di rispondere
in tono stizzito: “Nessuno obbligherà Mezza
SegAnderson a fare
qualcosa”.
Ben
lungi dall'essere soddisfatto, Hunter lo guardò senza
intenti
polemici, ma una reale preoccupazione: "Mancano due settimane,
Sebastian".
"Lo
so", rispose in una sorta di ringhio, già pentitosi di non
aver
scelto un altro luogo per quella trattativa.
"Ma
continui ad evitare la questione", aggiunse l'altro in tono
più
gentile, quasi si sentisse in colpa per l'ingrato compito di dovergli
far affrontare la realtà.
Sebastian
rilasciò un sospiro, ma gli angoli delle labbra si
contorsero in un
sorriso amaro, quasi vulnerabile. Scollò le spalle, a
sminuire il
reale stato d'animo e quell'ansia crescente che gli divorava il
petto, rendendolo persino incapace di respirare, soprattutto nelle
notti passate a passeggiare per il loft, chiedendosi se il
coinquilino sarebbe rientrato.
"Sarebbe
più facile, se Kurt non evitasse me".
Il
barista si passò una mano sulla fronte, quasi quelle parole
fossero
mortalmente definitive, ma sorrise quasi con la stessa rassegnazione:
“Onestamente non so chi tra voi due sia più
disfattista”.
Sebastian
non rispose, un vago sorriso ironico, prima di osservarlo di
sottecchi e schiarirsi la gola:
"Mi
stavo chiedendo”, recuperò in fretta un tono
casuale. “Per caso
conosci il barista del-".
Hunter
roteò gli occhi e lo interruppe, di nuovo con voce vibrante
di
autentico rimprovero: "Se anche lo conoscessi, non lo
corromperei per te".
"Io
lo farei e anche con un certo divertimento, se Barbie si trovasse un
altro Ken”.
"Certo”,
convenne l'altro con un sorriso sferzante. “Dopo averle
indicato,
con tanto di segnaletica, illuminata da neon e da glitter, la strada
più rapida per raggiungerlo e aver filmato un loro video
hard
magari”, precisò con aria ironica.
“Il
fine giustifica i mezzi”, gli fece presente e
sembrò evidente che
non si riferisse soltanto all'eventualità di un suo
intervento in
altrui questioni sentimentali.
“Parla
con Kurt, Machiavelli”,
gli strappò di mano la bottiglia con un gesto eloquente.
Sebastian
si rimise in piedi, quasi con aria risentita, affondando le mani
nelle tasche dei pantaloni:
"Continuerai
a ripeterlo per tutta la tua fallimentare vita?", gli chiese in
tono risentito.
Hunter
inclinò il viso di un lato, un sorriso quasi sadico ad
incresparne
le labbra e renderne i lineamenti assai meno rassicuranti, rispetto
alla tipica espressione perplessa. "Fino a quando lui e Blaine
non saranno dichiarati marito e marito. Da allora si
trasformerà in
un « te lo avevo detto
»", gli disse a mo'
di velata minaccia.
"Un
altro motivo per sabotare il tutto", borbottò tra
sé e sé,
per poi indietreggiare, le mani sollevate e un sorrisetto sferzante.
“Niente approvazione, niente pagamento”.
“Sebastian!”.
“Ti
saluto, Clarington”.
~
(Vigilia
delle Nozze)
Quando
rientrò e si guardò attorno, sentì un
brivido lungo la spina
dorsale: il portachiavi di Kurt era appoggiato al suo solito posto.
Quelle
ultime due settimane sembravano essere scorte fin troppo rapidamente
e le uniche occasioni in cui aveva scorto il giovane, era quasi
sempre accompagnato dal fidanzato, dalla Berrysterica o dalla sua
amichetta della caffetteria. Aveva sempre avuto la sgradevole
sensazione che, anche quando presente (soprattutto quando riceveva
visite o doveva occuparsi di questo o dell'altro stupido dettaglio
relativo alle nozze), cercasse ogni espediente per scoraggiarlo ad
avvicinarsi ed avere una reale conversazione con lui. A concedersi un
po' di quella quotidianità a due che era stata la loro vita
fino a
quell'insensato fidanzamento. Aveva persino evitato di recarsi al
pub, girovagando nel locale del provetto spogliarellista, ignorando
tutte le chiamate e i messaggi in segreteria di Clarington.
Tutte
le sue speranze sembravano ormai riposte in un perfetto sconosciuto e
nella libidine di Mezza SegAnderson.
Ma
quella piccola iniziale cosparsa di brillantini e strass
sembrò
essere una sorta di “segno”, anche se gli incuteva
non poca
preoccupazione il cominciare ad invocare teorie degne di “Insonnia
d'amore”.
Prese
un profondo respiro e si concentrò sulla presenza di Kurt:
ascoltò
i suoni attutiti che provenivano dalla sua stanza. Guardò
quella
porta come se fosse un portale verso il suo mondo
da cui non
si era mai sentito tanto lontano come nelle ultime settimane. Una
forza attrattiva sembrava volerlo condurre a compiere quei brevi
passi che li separavano, mentre il suo gelido raziocinio avrebbe
voluto persino allontanarsi, senza che l'altro fosse consapevole di
quell'esitazione.
Trattenne
il fiato, avanzò in quella direzione, quasi bruscamente e
sollevò
la mano per bussare, ma non fu necessario.
L'uscio
era soltanto socchiuso e ne intravide la sagoma di fronte allo
specchio: fu lieto che non potesse sentire l'alterazione brusca dei
battiti del suo cuore e quel brivido lungo la spina dorsale.
Kurt
lo scorse dal riflesso: seppur non potesse vederlo direttamente in
volto, non ebbe alcuna difficoltà ad immaginarne lo
scintillio delle
iridi e la commozione che si rese evidente dal gorgoglio rauco della
sua voce. "Entra pure", lo invitò con un timido sorriso.
Sebastian
non riuscì a farlo: non era pronto a vederlo in abito da
sposo.
~
Emise
un mugugno, quando il fracasso insopportabile a quell'ora del
mattino, lo indusse a schiudere gli occhi, dopo una notte fin troppo
breve di riposo. Si portò una mano alla fronte, a liberarla
dalle
ciocche di capelli che vi ricadevano scompostamente sopra e occorse
qualche istante per diradare l'ombra del sonno e comprendere chi
fosse l'artefice di tale scompiglio.
Si
rimise in piedi, passandosi una mano sugli occhi e
sbadigliò, prima
di lasciare la propria camera e aprire l'uscio di quella del
coinquilino, senza neppure curarsi di bussare o chiedere il permesso
di entrare.
La
vista che lo attese gli fece sgranare gli occhi e il sonno
sembrò
dimentico. Se non era, infatti, insolito che Kurt si muovesse da un
angolo all'altro della stanza, in preda all'agitazione, con almeno
una decina di post-it colorati (a mo' di promemoria) appoggiati allo
specchio in un ordine soltanto da lui comprensibile, non riusciva a
spiegarsi la valigia aperta sul materasso.
“Che
stai-?”.
“Oh,
ciao”, lo salutò distrattamente Kurt, ancora
intento a prendere
degli abiti dalle grucce e appoggiarseli sul braccio piegato.
“Non
hai una bella cera”, gli concesse un'occhiata prolungata,
indugiando sulle occhiaie con aria di pacato rimprovero.
“Che
sta succedendo?”, gli chiese e incrociò le braccia
al petto,
attendendo una spiegazione.
Il
pensiero corse a quel San Valentino che lo aveva visto compiere gesti
inediti: da quella stessa notte, non lo aveva abbandonato l'idea che,
senza alcuna interruzione, avrebbe potuto tentare di dare una svolta
a quella serata. Non poteva fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe
potuto accadere, se si fosse concesso di immaginare una vita diversa.
Kurt
piegò gli abiti con aria esperta per poi riporli nella
valigia.
“Scusami, non volevo svegliarti. Il corriere mi ha portato un
regalo di mio padre: mi ha invitato a passare il weekend in Ohio e ho
il volo prenotato tra...”, guardò l'orologio con
aria incredula.
“Due ore, dannazione. Credo che mio padre abbia un pessimo
senso
dell'umorismo o una strana idea di sorpresa”,
commentò con aria
sospirata. “Ma è il suo anniversario con Carole e
non posso
mancare”.
Un
vago sorriso increspò le labbra di Sebastian. “Tra
due ore, hai
detto? Ok, allora sarà meglio che mi sbrighi”.
Quelle
parole fecero breccia nella mente del suo coinquilino, che assunse
un'aria mortificata e si fermò.“Mio padre ha preso
i biglietti
soltanto per me”.
“E
allora?”, domandò con un sorriso sferzante.
“Qualcosa mi dice
che non sarà difficile trovare un posto libero”.
“Mi
sarebbe piaciuto che tu venissi con me, davvero: avevo anche pensato
di telefonare io stesso e buttarti giù dal letto con questa
sorpresa”, iniziò Kurt con un rammarico.
Evidentemente qualcosa
gli aveva fatto cambiare idea.
Cercò
di celare la delusione che lo fece irrigidire. “Ma non
piaccio a
tuo padre”, ne interpretò le parole sottintese.
“Non
essere sciocco: a mio padre non piace nessuno
dei miei nuovi
incontri,
almeno finché non li approva lui stesso”,
precisò con aria
vagamente ironica. Sospirò e inclinò il viso di
un lato: “So che
hai un esame importante lunedì”.
“E
allora?”, chiese con aria incredula, ma un reale sollievo
all'idea
che fosse soltanto quella la sua obiezione. “Sai che non sono
un
topo di biblioteca”, asserì con uno scrollo di
spalle. “Posso
sempre rimandarlo al mese prossimo”.
“Sebastian,
non asseconderò il tuo perenne procrastinare: ci saranno
altre
occasioni per venire in Ohio”. Inclinò il viso di
un lato, un
sorriso soddisfatto nell'aggiungere: “Anche se comincio a
sospettare che ti sia piaciuto, più di quanto saresti mai
disposto
ad ammettere”.
Corrugò
le sopracciglia: “Kurt, non ho bisogno di una balia, ma se
non mi
vuoi con te, non hai che da dirlo esplicitamente”.
Se
ne pentì quasi subito: così impegnato a cercare
di non palesargli
la delusione che gli aveva appesantito il cuore in petto
(sorprendendosi lui stesso di quanto fosse intensa), non
sembrò
realizzare di poter lui stesso ferirne i sentimenti, come parve
palese dallo scintillio minaccioso delle sue iridi.
“Scusami”,
scosse il capo e sollevò le mani, come a voler ritrattare.
“Hai
ragione, sarà per la prossima volta”, distolse lo
sguardo e si
volse per uscire dalla camera.
Fu
la mano di Kurt, tuttavia, gentile ma ferma nel tocco, a bloccarne il
braccio.
Gli
stava sorridendo con quel misto di rimprovero e di dolce
comprensione: “Avrei voluto davvero averti con me, anche se
avresti
passato il tempo a ironizzare su tutto, rovinando l'atmosfera
romantica. Ma saranno solo tre giorni, neppure ti accorgerai che me
ne sono andato”.
Avrebbe
voluto crederci, ma si limitò a trattenerlo. “Mi
devi un viaggio,
ma la meta la sceglierò io”.
“Se
supererai l'esame con il massimo dei voti”, si finse severo
nell'imporre quella condizione, ma parve altrettanto impaziente.
“Fin
troppo semplice”, replicò con la consueta
sicurezza. Tuttavia,
prima di lasciarlo, lo trattenne:“Rivedrai anche lui?”,
si sentì chiedere al suo orecchio, cercando di controllare
l'inflessione della voce.
Kurt
parve sorpreso della domanda, ma il suo volto si irrigidì:
“Niente
affatto: ormai l'ho perdonato, ma le nostre strade sono separate per
sempre”, dichiarò con aria sicura.
Quella
lieve tensione, tuttavia, non pareva voler scemare.
“Sarà meglio
che mi vesta, dovrò assicurarmi tu prenda il volo
giusto”,
commentò con uno scrollo di spalle.
“Non
è necessario”, sorrise Kurt. “Posso
prendere un taxi”.
Scosse
il capo, un sorriso sincero: “Voglio farlo”.
Kurt
ne ricambiò il sorriso e Sebastian cercò di
ignorare
quell'improvvisa aritmia.
“Bene,
allora sarà meglio che mi sbrighi”. Fece il fatale
errore di
controllare l'ora e parve impallidire: “Oddio,
è tardissimo!”, la sua voce
si alzò di un'ottava.
~
Kurt
sembrò incapace di esprimere il suo reale stato d'animo:
quasi si
rendesse conto dell'imminente evento, soltanto indossando l'abito a
cui aveva lavorato duramente negli ultimi mesi. Sembrò quasi
voler
cercare nell'altro una conferma, scorgendone l'espressione
altrettanto emozionata, seppur per motivi ben diversi.
"Lo
so che l'abito bianco potrebbe sembrare un cliché gay ma-",
iniziò con un velo di rossore sulle gote.
Sebastian
sollevò le mani, come a volerne fermare sul nascere
qualsiasi
possibile argomentazione, quasi – a dispetto della situazione
che
tanto aveva temuto – non riuscisse a sopportare che le sue
naturali
insicurezze si palesassero, rovinando un momento tanto personale e
tanto importante. Perché, a prescindere da se stesso, era la
sua
felicità la cosa più importante e la sua unica
priorità era
continuare ad osservarlo e bearsi di un'immagine tanto pura e
perfetta.
La
giacca, il panciotto e i pantaloni dello smoking erano di un bianco
così lucido da assumere un riflesso perlato, mettendone in
risalto
il colore delle iridi e il candore della sua pelle. Creavano un
piacevole contrasto con la camicia di un candore innevato e un
ulteriore punto di luce era la cravatta argentata, decorata con pois
scuri, a conferire quel tocco più personale, così
“kurteggiante”,
in assenza di un foulard. Il completo prevedeva persino un cappello
intonato che aveva lasciato sul letto.
Si
avvicinò per coprire quella distanza e il suo cuore parve
fermarsi
di fronte a qualcosa di così irreale e, al contempo,
tangibile e
inequivocabile. Lo sentì immobile, dolorosamente contratto,
sprofondando nelle viscere, alla ricerca di quella falsa sicurezza
della quale si era forgiato negli ultimi tempi e che aveva soltanto
rischiato di compromettere tutto.
Lo
sguardo di smeraldo scivolava sull'esile figura e, seppur
abbracciasse ogni tratto del suo corpo, la mente sembrò
isolarsi e
il tempo parve dilatarsi. Scandito da un battito flebile, mentre
anche il respiro sembrava venir meno.
Lo
rivide quel primo giorno alla caffetteria, le loro prime giornate
insieme, l'elenco delle sue stupide regole, la loro prima gita a
Coney Island, il primo Natale e quel San Valentino, prima del ritorno
in Ohio.
Quell'ultimo
anno parve una lunga parentesi, quasi un sogno, che avrebbe dovuto
condurlo tra le proprie braccia, ma che sembrava aver vissuto
soltanto in parte, quasi come uno spettatore neutrale, incapace di
rendere propria la scena. Quell'unica notte a Parigi, quando tutto
sembrava ancora definibile, il loro Natale solitario, tra quelle
quattro mura che sembravano risplendere di una nuova vita,
quell'abbraccio grato dopo la sfilata e quell'unico momento in cui
aveva creduto che anche Kurt desiderasse baciarlo.
Gli
mancò il fiato e strinse i pugni lungo i fianchi.
"Allora?",
gli chiese Kurt con aria febbrile, l'emozione di chi sta per vivere
il momento tanto atteso e, al contempo, sembra rifugiarsi in quella
preziosa quiete.
Sebastian
contrasse le labbra, si avvicinò ulteriormente, ma scosse il
capo e
cercò di ignorare quel nodo in gola.
"Kurt",
sussurrò soltanto e parve sperare, ancora una volta, che il
suo
nome potesse racchiudere tutto quello che non aveva mai pronunciato a
voce alta. Quelle verità rimaste sopite così a
lungo, ma rese ogni
giorno con lui ancora più labili ed effimere, mentre la
speranza
moriva a poco a poco.
L'altro
sembrò averne compreso l'incapacità di esprimere,
perché sorrise
ma lo sguardo si fece più lucido e sembrò
leggervi una nota di
tristezza, persino nel momento in cui la sua gioia avrebbe dovuto
essere totalizzante.
Sebastian
si costrinse a distogliere lo sguardo che appuntò alle
pareti su cui
i quadri decorativi erano già stati tolti, come nefasto
presagio
dello spettro della sua camera, con cui avrebbe dovuto convivere,
dopo la cerimonia. Restava solo il panello che aveva odiato
così
tanto negli ultimi mesi. Lo sguardo guizzò alle scatole
lasciate sul
pavimento, già in parte riempite, e l'aria parve diradarsi
dai suoi
polmoni, costringendolo a schiudere le labbra nel tentativo di
inspirare.
Kurt
ne seguì lo sguardo e quell'ombra di mestizia, parve
scurirne lo
sguardo. Le labbra tremarono, nel cercare di esprimere il suo stato
d'animo, pur con voce flebile: "Non riesco a credere che
sarà
l'ultima notte che passerò qui".
"Kurt",
sussurrò nuovamente Sebastian, con una nuova urgenza, come
se la
propria voce dovesse infrangere quella barriera tra loro, quel
continuo gioco di avvicinarsi ma non spingersi oltre un confine
labile.
A
stento sembrò riuscire ad osservare il giovane di fronte a
sé,
senza che un dolore lancinante gli trafiggesse il petto, con la
prospettiva di uno persino peggiore, quando tutto sarebbe finito e i
rimpianti e il biasimo per me stesso sarebbero stati implacabili.
Fu
come se i suoi fallimentari tentativi di sabotaggio, degli ultimi
pesi, pesassero improvvisamente sul suo animo come un macigno, come
se lo avessero allontanato, anziché avvicinarlo, come
avrebbe
dovuto. Fin dall'inizio.
Si
fermò di fronte al giovane sposo, lo sguardo di smeraldo
striato
parve incatenare quello di zaffiro e desiderò che il tempo
si
cristallizzasse in quell'istante.
Ne
cinse la gota, come se fosse naturale che le sue dita ne tracciassero
la pelle, anche quando l'altro avrebbe potuto percepirlo, almeno
quanto per i suoi polpastrelli vezzeggiarne la morbidezza fresca,
dall'aroma di crema.
Ne
toccò la pelle vellutata, percorse la scia di efelidi sotto
il mento
che così scrupolosamente voleva nascondere al mondo, con
movimento
appena percepibile, delicato e soffuso. Come il sentimento che era
cresciuto silenziosamente, nei meandri della sua mente e del suo
girovagare a vuoto, senza dare una svolta decisiva alla propria vita.
Lo
vide deglutire a fatica, lo sentì sussurrare il suo nome con
la
stessa emozione: un misto di timore e di aspettativa, quasi quel
tocco fosse stato in grado di esprimere le parole taciute, ponendo le
loro menti in una connessione intima e profonda. La conferma che,
seppur silenzioso, anche Kurt fosse stato partecipe di quel
cambiamento.
Sebastian
contò i propri battiti per non estraniarsi a quell'anelito
di
realtà, trattenendolo in quell'istante che sembrava
trasportarli
altrove, dove spazio e tempo non fossero loro avversi. Dove non
sarebbero fuggiti per non vivere un istante come quello.
"Non
farlo", si sentì dire e il suo cuore riprese a scalpitare
intensamente, un brivido lungo la spina dorsale nel sentirsi
realmente vivere quel momento, il più
importante della
propria vita. La voce ridotta ad un respiro inframmezzato dal dolore
taciuto per mesi.
Kurt
parve impallidire, la pelle tremò sotto le dita di
Sebastian, ma non
si sottrasse e neppure distolse lo sguardo. Schiuse le labbra e gli
occhi si spalancarono.
"Sebastian",
sussurrò con voce altrettanto flebile. La sorpresa
sembrò intrisa
di una supplica. Del giusto motivo o del bisogno di una certezza a
cui aggrapparsi più che mai in quell'istante. Dell'essere
uniti
anche nel momento che avrebbe potuto decretare un cambiamento
irreversibile nella sua vita.
"Non
farlo", sussurrò di nuovo Sebastian e la sua voce parve
acquisire una nuova sicurezza.
Ma
non stava riferendosi al matrimonio, mentre ne cingeva il mento:
parve supplicarlo di fidarsi di lui e di non allontanarlo.
Il
pollice ne sfiorò le labbra, percependone il respiro caldo e
affannato. Anche quando la mano ne libera ne cinse il fianco per
sentirlo contro di sé e convincersi che non stesse sognando.
Sembrò
fluttuare tra il sogno e l'incanto, mentre, con un movimento fluido e
quasi frettoloso, si sporgeva al suo viso, osservandone gli occhi
sgranati fino all'ultimo istante.
Appoggiò
le labbra alle sue, trattenendo il fiato.
Lo
baciò come se il mondo stesse crollando sotto i loro piedi e
come se
stesse per esalare l'ultimo respiro e Kurt fosse il suo unico approdo
e rifugio, prima di lasciarsi annientare.
Sentì
il verso soffuso di sollievo erompere dalla propria gola, mentre
tastava ancora la morbida freschezza della sua pelle con devozione e
un tremore quasi incerto. La mano sul fianco lo trattenne a saggiare
quel calore e la solidità del suo corpo, quasi a sincerarsi
che
fosse tutto reale.
Inclinò
il capo a cercare di imprimere un'impronta sulle sue labbra che
potesse rendere quel momento immortale. Percepì il gemito
dell'altro
che si infranse contro il suo bacio, ma non lo scostò.
Lo
strinse più intensamente in quella silenziosa supplica a non
allontanarlo, non in quel momento.
Sentì
il suo stesso cuore contrarsi dolorosamente, quando la mano di Kurt
si adagiò al suo volto e contò quei secondi di
interminabili,
attendendo che lo scostasse da sé con decisione e le iridi
azzurre
lo trafiggessero con la loro sincera purezza.
La
mano di Kurt, gentile ma ferma, lo avvinse maggiormente contro di
sé
e lo sentì premersi contro il suo respiro, quasi volendo lui
stesso
perdersi in quel bacio, a dispetto di tutto il resto. Un battito di
ciglia e le sue braccia esili ne cinsero il collo, come se non avesse
desiderato altro.
Un
mugugno soffuso e provocante e percepì il suo palmo contro
la
propria nuca, a trattenerlo in un silenzioso monito.
Sebastian
sorrise sulle sue labbra, premendolo possessivamente contro il
proprio corpo, a contrasto con la delicatezza con cui le sue dita
cercavano ancora di imprimere il proprio tocco sul suo viso.
Baciarlo
era come tornare a respirare realmente, era come ritrovarsi senza mai
aver ammesso di essersi persi e cercati così a lungo. Come
se non ci
fossero mai stati altri baci nella propria vita.
Si
costrinse a scostarsi, quando si sentì senza fiato,
adagiando la
fronte alla sua, mantenendo gli occhi socchiusi, a crogiolarsi di
quell'istante e del calore che ne infiammò il corpo.
Il
respiro affannato di Kurt gli sfiorò le labbra come un
suadente
invito e Sebastian lo baciò di nuovo, soltanto per sentirlo
emettere
quel verso gutturale di languida resa e bisogno.
Scivolò
con le labbra al suo viso, tracciandone la gota in una scia che lo
stava conducendo verso il suo collo, sentendo il respiro tremulo
dell'altro contro il proprio orecchio, senza mai scostarsi da
quell'anfratto di vaniglia e di crema.
"Kurt",
sussurrò di nuovo, indugiando contro la spalla esile,
affondandovi
docile e arrendevole per un solo istante, quasi quel fluire improviso
di emozioni richiedesse un istante di successiva stasi nel realizzare
che fosse tutto reale.
Kurt
ne baciò la gota punteggiata di nei, quasi li stesse
sfiorando uno
ad uno, sembrò lui stesso sorreggerlo, rafforzando la
pressione
dell'abbraccio e affondò una mano tra i suoi capelli, in una
devota
e delicata carezza.
Sebastian
sospirò di beatitudine, lo strinse più
intensamente e percorse con
le labbra la dolce curva del suo collo, laddove solitamente un
foulard lo copriva.
Non
mi sta allontanando, fu il suo tremulo pensiero.
Ebbe
quasi la sensazione che Kurt potesse sentirne i pensieri, a giudicare
da come ne strinse le spalle per scostarlo. Soltanto quel minimo
necessario a poter incatenarne lo sguardo.
Sebastian
era certo di non aver mai visto così tanta luce in
quell'azzurro,
reso persino più intenso, a contrasto con la pupilla scura.
Sembrava
ancora lievemente affannato, mentre gli sfiorava la pelle del viso,
percorrendola con lentezza estenuante, a contrasto con il battito
convulso del suo cuore.
“Sebastian”,
bisbigliò con voce rauca, prima di sollevarsi rapidamente
sulle
punte per pressare le labbra alla proprie, strappandogli il respiro
con un verso di soffuso desiderio.
Ebbe
soltanto il tempo di scrutarne il volto un ultimo istante: le pupille
dilatate ma frementi, le gote arrossante, le labbra ancora gonfie dei
suoi baci rubati al mondo e a loro stessi.
Si
costrinse a scostarlo, per riprendere controllo dei propri pensieri.
"Kurt",
sussurrò di nuovo.
"Sono
qui", fu la mormorata risposta, quasi distratta, nel tentativo
di carpirne nuovamente le labbra.
Pensò
che la sua vita avrebbe potuto concludersi in quell'istante e tutto
sarebbe stato perfetto, che un solo attimo sarebbe bastato ad
avvincerlo ulteriormente a sé, a sentirlo desiderare con
altrettanta
intensità che lo facesse suo.
Tremò
quando le dita di Kurt, con una dimestichezza sorprendente, cercarono
l'orlo della t-shirt ad insinuarsi al di sotto per sfiorarne la pelle
nuda e fu naturale mordicchiarne il collo, osservando la pelle
arrossarsi e sentendone il verso di approvazione.
Sarebbe
stato così dannatamente semplice socchiudere gli occhi ed
isolare la
propria mente, lasciarsi naufragare in quelle emozioni conosciute,
eppure nuove, perché forgiate di un'intensità
diversa che lo fecero
sentire quasi timoroso.
Trasse
un respiro e la trepidazione e il sollievo dei primi istanti,
lasciarono spazio alla razionalità che sembrò
ammonirlo di star
soltanto illudendosi. Sottoponendo l'altro ad un pericolo persino
più
grande dello sposare colui che aveva ritenuto l'amore della sua vita.
Lasciò
nuovamente scivolare lo sguardo sull'abito da sposo, quella candida
purezza che, da sempre, aveva amato in quello sguardo e nelle sue
svenevoli romanticherie. E il pensiero di starlo contaminando, alla
vigilia delle nozze da sempre attese, parve farlo irrigidire.
Kurt
parve percepirlo, quando ne cinse la gota, ancora prima che potesse
incrociarne lo sguardo e scorgere il mutamento nelle sue iridi.
“Non
posso”, si sentì dire con voce angosciata e il
nodo in gola parve
persino più ferreo.
Le
iridi azzurre si spalancarono, ma la pressione sulla sua guancia
parve farsi più salda, a mo' di dolce rassicurazione e di
monito.
"Sebastian", lo richiamò, quasi desiderando estraniarlo da
quei solitari pensieri.
Ne
baciò con devozione i palmi delle mani, ma scosse il capo e
si
costrinse ad allontanarlo, quasi lui stesso fosse la fonte della
propria perdizione, quasi assecondandone il bisogno, stesse iniziando
a distruggerlo. Poco alla volta. Come era inevitabile.
"Non
avrei dovuto...". Si sentì dire con voce sconnessa e si
sentì
soffocare, cercando di ignorare frammenti di immagini e di fantasmi
che sembravano più intensi che mai, persino nel suo rifugio
dal
passato.
“Sebastian”,
ripeté Kurt, con voce tremula, ma lo sguardo determinando
nell'avvicinarsi nuovamente. “Va tutto bene, è
quello che
desideravamo entrambi”, disse con voce limpida e Sebastian si
odiò
per come quelle parole ne resero nuovamente il respiro fremente,
desiderando soltanto trattenerlo ancora a sé e abbandonarsi
a quel
bisogno doloroso.
“No”,
sussurrò e parve lui stesso supplicarlo di non pronunciare
altre
parole che lo facessero desistere. Si costrinse a voltarsi, il
respiro infranto quando si chiuse la porta alle spalle, ignorandone i
richiami concitati.
~
Come
se il tasso d'irrealtà della situazione non fosse stato
già
sufficiente, al bancone del Penguin Pub non trovò
SfinterHunter. E
quel microbo di Jason Stillman non seppe neppure fornirgli una valida
giustificazione, a parte la formale telefonata al proprietario del
locale. Si domandò se ciò non fosse collegato
all'abilità in cui,
nelle ultime due settimane, ne aveva ignorato l'esistenza.
Anche
se sarebbe stato semplice sgraffignare una fiaschetta di tequila, si
era costretto a lasciare il locale, per raggiungerne il loft. Di
certo non si sarebbe mai aspettato che, dopo aver bussato alla porta,
sarebbe stata la bionda svampita a schiudere l'uscio.
"Ciao
Ciuffo Disney", trillò con aria allegra e si
scostò dalla
soglia, come se fosse stata perfettamente a suo agio in
quell'ambiente e, con ancora più grande sconcerto di
Sebastian,
indossando una camicia del ragazzo, a giudicare da quanto le fosse
larga di spalle e come la coprisse fino al ginocchio.
"Ho
sistemato la mia camera e-".
Hunter
Clarington, che stava appunto uscendo dalla camera da letto, si
interruppe alla vista del giovane alla porta, le sopracciglia
inarcate con evidente sorpresa. Evidentemente domandandosi quale
catastrofe lo avesse spinto a eludere il muro di silenzio che aveva
eretto nelle ultime settimane.
"Sebastian”,
lo chiamò con aria circospetta.
Gli
rivolse un breve cenno del capo, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni, simulando una perfetta compostezza. "Clarington",
ribatté in risposta, come se non fosse affatto passato del
tempo da
una delle loro ultime schermaglie.
"Brittany!",
esclamò la biondina con aria giocosa, prima di assumere
un'espressione mortificata allo sguardo gelido di Sebastian.
Sospirò,
ma si strinse nelle spalle brevemente, allontanandosi: "Vi
lascio soli", pigolò, attraversando rapidamente il soggiorno
(non che fosse difficile considerate le ristrette dimensioni).
"Grazie,
Brittany", le sorrise il padrone di casa, quasi a mo' di scuse
per l'insolenza del nuovo arrivato.
Tutt'altro
che infastidita, sembrò ritrovare il sorriso e lo scintillio
vivace
nello sguardo: "Di nulla". Agitò la mano e si chiuse nella
camera da letto.
Ci
vollero diversi secondi, perché Sebastian osservasse quello
scambio
di sguardi, le sopracciglia così inarcate che quasi
scomparvero
sotto i ciuffi di capelli che ricadevano sulla fronte.
Rilasciò un
sospiro stoico e scosse il capo: "Ho davvero toccato il fondo,
se persino tu sei riuscito a-".
"Shhhhh!",
Hunter lo interruppe e si guardò alle spalle, come a
sincerarsi che
la giovane non fosse a portata d'orecchio. Allora continuò,
con voce
più bassa, facendogli cenno di accomodarsi e richiudendosi
la porta
alle spalle. "E' una lunga storia, ma lo stronzo del suo
affittuario l'ha buttata fuori di casa perché ha dimenticato
di
pagare l'affitto e le more... degli ultimi cinque mesi", lo
informò, camuffando l'ultima informazione con un colpo di
tosse.
Gli
rivolse un sorrisetto sferzante, incrociando le braccia al petto e
inclinando il viso di un lato: "E per consolarla hai organizzato
un gioco di ruolo in cui le hai proposto l'affitto della tua baracca,
in cambio di un pagamento in natura?".
La
mascella del barista sembrò abbassarsi, ma scosse il capo
rapidamente. "No, certo che no. Le ha confiscato tutto, gatto
selvatico compreso, non aveva un posto dove andare, a quanto pare
Santana ha dei parenti in visita o qualcosa del genere",
spiegò
con uno scrollo di spalle.
Un
guizzo di soddisfazione ne fece dardeggiare lo sguardo di smeraldo,
ma si premunì di fargli una domanda esplicita. "Quindi non
avete...?".
L'altro
scosse rapidamente il capo: "Non sono quel tipo".
Rilasciò
un enfatico sospiro di sollievo: "Oh, grazie al cielo: cinquanta
dollari risparmiati".
Il
barista sgranò gli occhi, consapevole che ciò
facesse parte di
qualche frode di cui non gli era dato sapere, ma scosse nuovamente il
capo, borbottando un “Non voglio saperlo”. Si
schiarì la gola e
assunse un'espressione più consona a quella che solitamente
esibiva,
stando dietro al bancone. “Se cerchi una sbronza da Vigilia,
Jason
sa già quali sono i tuoi dosaggi, ma non esagerare: Jackson
è più
manesco di me se gli tocchi il fidanzato. Se vuoi una predica,
allora-", gli fece cenno al divano, con un sorriso quasi
soddisfatto.
Sebastian
lo ignorò, ma scrollò le spalle: "Ho baciato
Kurt", lo
informò distrattamente.
Hunter
sgranò gli occhi e schiuse le labbra: "Oh, cazzo", fu solo
capace di dire.
Gli
concesse un vago sorriso. "E lui non mi ha respinto",
precisò.
Sembrò
quasi che l'altro volesse levare un ringraziamento al cielo, in
verità non lo vedeva così esaltato da... l'ultima
notte in
femminile compagnia (il che, sì, era abbastanza patetico e
inquietante insieme), ma un sorriso ne increspò le labbra e
rilasciò
una risata di puro sollievo, guardandosi attorno. "Dove ho messo
lo champagne?".
Sospirò
e tutto il vago divertimento, parve dissolversi: "E poi me ne
sono andato".
Il
barista si bloccò a metà strada tra il soggiorno
e il frigorifero e
si accigliò, stringendo i pugni lungo i fianchi.
"Fanculo”,
borbottò e si avvicinò alla credenza dei liquori
con nuovo vigore:
“Dov'è il whisky?".
Sebastian
gli fu quasi lieto perché gli consentì di
concentrarsi su qualcosa
di così futile, cercando di ignorare quel peso all'altezza
del petto
e quel nodo in gola. "Non dovresti essere tu il custode del mio
fegato?", chiese con la sua tipica intonazione sarcastica.
L'altro
gli rivolse un'occhiata risentita e si sgolò mezzo bicchiere
in un
fiato: "Infatti è per me: finirò in terapia di
questo passo".
Scosse il capo, si strofinò una mano sulla fronte e si
sedette sul
divano, attendendo che lo raggiungesse e depositò la
bottiglia e due
bicchiere sul tavolino da caffè.
Gli
occorsero diversi istanti perché sembrasse recuperare le sue
facoltà
oratorie o trovare lo spunto per imbastire una conversazione.
"Ok,
il fatto che tu l'abbia baciato è già qualcosa...
e il fatto che
non ti abbia respinto è altrettanto eloquente”,
esordì a voce
alta, quasi necessitasse di convincersi lui stesso. Lo
guardò con
un'occhiata di sbieco. “Ma che cosa diavolo ci fai qui? Gli
stai
dando tempo di pentirsi, tempo che potresti usare per convincerlo che
non è stato un errore così che possa disdire
tutto, prima di
domani!”.
Sebastian
si lasciò cadere sul divano, dopo essersi tolgo la giacca,
ma non ne
incrociò lo sguardo: "Magari è stato davvero uno
sbaglio",
sembrò dire a se stesso.
Hunter
aggrottò le sopracciglia e serrò la mascella,
come se quelle parole
gli fossero state fonte di un torto personale. Scosse il capo. "Se
in quest'ultimo anno c'è stata una sola certezza che mi ha
impedito
di impazzire, è stata la consapevolezza che tu ami davvero
quel
ragazzo, malgrado tu sia un recidivo e cinico manipolatore
bastardo”.
Lo trafisse con lo sguardo: “Se adesso mi dici il contrario,
giuro
che ti spacco la faccia".
Si
concesse di rivolgergli un'occhiata di ironico divertimento: "Sei
sempre così brutale coi tuoi ospiti, a meno che non
indossino le tue
camice?".
"A-ha,
non provare a sviare il discorso: sei venuto qua, quindi è
evidente
che il tuo inconscio vuole che ti prenda a calci in culo
finché non
torni da Kurt”, replicò con aria realmente
convinta. “A costo di
chiudervi in quello stupido loft, finché non vi sarete
uccisi o
siate morti di sesso: a voi la scelta", aprì le mani in
segno
di resa.
Si
versò un po' di whisky e mosse il bicchiere, prima di
ingollarlo:
"Devo ammettere che l'alcol non ha lo stesso sapere senza le tue
prediche", lo informò con aria distratta.
"Commovente”,
ribatté l'altro, roteando gli occhi, prima di sospirare.
“Ma tu
glielo hai detto?", gli chiese in tono realmente esasperato.
Inarcò
le sopracciglia: "Cosa?"
Hunter
sospirò con aria stoica, quasi fosse sull'orlo
dell'esaurimento. "Ti
amo", lo sottolineò come se stesse parlando con un bambino.
"Brutto
momento", pigolò Brittany mortificata, guardando dall'uno
all'altro con gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Non si erano
infatti accorti che, con aria furtiva, era uscita dalla camera e si
era immobilizzata al sentire quelle parole. "E' meglio che vi
lasci soli", cercò di approntare un sorriso.
“NO!”,
esclamò Clarington la cui mascella sembrò
raggiungere livelli
storici di slogatura. Si sporse verso di lei, cingendone il braccio
con una risoluzione che solo il whisky poteva aver causato: "Ferma!".
Impagabile
osservare l'espressione realmente perplessa della biondina, scrutando
la mano che l'aveva trattenuta con una certa urgenza, ma gli sorrise
nuovamente, quasi con aria comprensiva: "Non preoccuparti: posso
aspettare".
"Tu
resta dove sei!”, attirò la giovane verso il
divano. “E anche
tu!", si volse a Sebastian e gli rivolse uno sguardo omicida di
fronte alla contrazione delle sue labbra a testimoniarne i tentativi
di non ridere. "Ora stiamo tutti qui seduti, fino a quando non
chiariamo le cose una volta per tutte!".
“Oh,
ok”, commentò la giovane con aria pacata.
“Ma posso prendere un
bicchiere di latte?".
Le
indicò il frigorifero e soltanto allora si accorse di averla
trattenuta oltre il lecito e si schiarì la gola: "Prego".
"Grazie",
gli sorrise l'altra, pur continuando a guardarlo con aria ancora
circospetta.
"Quindi
non glielo hai detto?", si rivolse di nuovo all'amico e alzò
la
voce, così che la giovane potesse seguire il filo logico
della
conversazione. "Tu, Sebastian Smythe, non hai detto a Kurt
Hummel, l'unico ragazzo gay della nostra storia, che lo ami? Ho ben
capito?". Formulò lentamente la domanda, specificando ogni
singola parola.
Sebastian
sbatté le palpebre e sospirò: "Mi fai
così pena che sono
disposto a pagarla”, si volse verso la giovane.
“Ehi, Brittany".
"Sì?".
Si era affrettata a raggiungerli, appollaiandosi sul bracciolo del
divano, accanto al barista, coccolando il persiano che le si era
acciambellato in grembo con tanto di fusa.
“Giuro
che telefono a Kurt!”, sibilò il barista in tono
minaccioso.
Sebastian
non ebbe tempo di rispondere perché fu sorpreso dalla
propria
suoneria: lui e Hunter si volsero in simultanea ad osservare il
cellulare.
"E'
Kurt!", lo additò Hunter con aria trionfante, leggendo il
chiamante e affrettandosi a porgerglielo. "Avanti, rispondi".
Il
sorriso sulle labbra di Sebastian si dissolse e il suo sguardo si
scurì, come se quel nome avesse fatto crollare tutte le
proprie
certezze. Le sue labbra si contorsero, ma scosse il capo.
"No".
Hunter
digrignò i denti: “Non te lo sto chiedendo".
"Mi
stai minacciando?"
La
tempia del barista parve pulsare, quasi a voler rendere nota la
propria presenza: "Rispondi!", ruggì letteralmente.
"Non
capisco il senso di questo gioco", commentò Brittany
guardando
dall'uno all'altro con aria interdetta, ma si strinse nelle spalle e
prese il cellulare. Sotto lo sguardo incredulo degli altri due,
premette il tasto di risposta
"Pronto?",
rispose con la sua intonazione più infantile.
Si
alzò e giocherellò pigramente coi propri capelli,
mentre sorrideva,
come se il suo interlocutore potesse vederla.
"Ciao
Kurt!”, lo salutò come se fosse un amico di
vecchia data. “Io mi
chiamo Brittany. Sì, Sebastian è qui con me,
siamo a casa di
Hunter. Lui non voleva rispondere al telefono, allora l'ho fatto
io”,
raccontò con aria vivace.
"Io
l'ammazzo!".
Sebastian
si alzò, avvicinandosi rapidamente alla ragazza, ma Hunter,
gettandosi con un balzo dal divano, lo placcò come un
giocatore di
football professionista.
"Oh,
grazie!”, esclamò Brittany con aria deliziata.
“Anche tu hai una
bella voce", cantilenò, mentre i due ruzzolavano sul
pavimento,
cercando di avere la meglio sull'altro.
Si
voltò nel mezzo della sua passeggiata, ma parve sbigottita
nel
coglierli in quella situazione. "Vi sembra il momento di
mettervi a giocare?", chiese con tono spazientito.
Sebastian
cercò di scrollarsi di dosso il padrone di casa, le
sopracciglia
aggrottate: "Se pensi che tra i due, saresti tu quello attivo,
allora-".
"Co-?”,
sbarrò gli occhi con aria disgustata. “Che
schifo!".
"Non
so se io e Sebastian siamo amici", continuò Brittany con
aria
confusa. "Ma se vuoi che gli dica qualcosa, lo farò e
ricorderò
tutto-tutto, però non essere triste, ti
prego". La sua
voce assunse un'intonazione evidentemente preoccupata e tutta l'aria
ilare parve scomparsa, rimpiazzata da una più seria e
compunta, a
giudicare dalla formalità di quella promessa.
Sebastian
parve tendersi al sentirla parlare in quel modo e, con una gomitata a
tradimento che tolse il respiro a Hunter, riuscì a
rimettersi in
piedi, e raggiungere la giovane che stava annuendo con vigore.
"Va
bene”, annuì Brittany dopo esser stata silenziosa
negli ultimi due
minuti. “Glielo dirò: buonanotte, Kurt”.
Sembrò recuperare il
sorriso: “Oh, anche tu sei tanto-tanto-tanto
dolce! E' stato
un piacere parlare con te!". Sospese la telefonata per poi
porgere il telefono a Sebastian. "Sembra tanto carino
e
gentile: perché non hai voluto rispondere? Era tanto
triste
ed è tutta colpa tua!", lo aveva additato con la stessa
serietà
con cui una madre avrebbe sgridato un bambino indisciplinato,
puntellandosi le mani sui fianchi.
"Che
cosa ti ha detto?", le chiese in un ringhio, contraendo le mani
come non desiderasse niente di meglio che strangolarla, una volta
ottenuta l'informazione desiderata.
Hunter
si rimise in piedi, le mani sui fianchi e l'aria sofferente, ma gli
riservò comunque un'occhiata di puro odio.
"Allora",
la giovane si concentrò, lo sguardo perso nel vuoto mentre
Sebastian
doveva trattenersi dallo scrollarla energeticamente. "Oh,
sì:
ha detto che ha tanto bisogno di parlarti di tu-sai-cosa,
anche se io non ho capito, ma era tanto triste”,
ripeté con
gravità, per poi guardarlo con aria arrabbiata.
“Che cosa gli hai
fatto?!", curioso come la voce stridula la rendesse ancora
più
simile ad un buffo cartone animato.
"Concentrati,
Beautiful Mind”, la esortò
Sebastian, additandola. “Che
altro ha detto su di me?".
"Che
ti aspetterà a casa, ma che se non arriverai",
ripeté molto
meccanicamente, gesticolando come un'attrice dilettante che cerchi di
ricordare le battute e dare loro una giusta intonazione. "Allora
capirà che è stato un errore e domani... lui si
sposerà",
concluse con aria ancora piuttosto confusa.
"Nient'altro?",
insistette Sebastian il cui sguardo si era ulteriormente offuscato.
"Oh,
sì", parve illuminarsi. "Ha detto che sei sempre
maleducato con tutti e quindi non è colpa mia se mi tratti
male",
conclude con un sorriso raggiante.
Le
scoccò un'occhiata di puro disgusto, ma si sforzò
di mantenersi
calmo: "Su di me, ha detto altro su di me?", le
chiese sillabando le parole.
"No,
ma io credo che lui voglia che tu vada da lui", gli disse con
aria evidentemente empatica e partecipe, quasi la propria opinione
potesse effettivamente essergli di stimolo.
Sebastian
scosse il capo e si sedette sul divano.
Hunter
sospirò, lasciandosi cadere sull'altra estremità:
"Che diavolo
stai aspettando?", lo incalzò. Evidentemente la situazione
era
abbastanza delicata da fargli rimandare i propositi di vendetta per
quell'ultimo scontro.
"Non
iniziare con le tue prediche”, sbottò in tono
impaziente.
Hunter
dovette prendere un profondo respiro, serrando la mascella: "Hai
passato l'intero anno a sabotare tutto, ma non hai mai voluto dirgli
che cosa provi. Si può sapere che cos'è che ti
frena, anche quando
è evidente che per lui sei qualcosa di più di un
affittuario?".
Quelle
parole parvero persino farlo ritrarre maggiormente, mentre incrociava
le braccia al petto. "Non adesso", gli chiese stancamente.
"E
quando, Sebastian?”, chiese Hunter con aria frustrata.
“Si
sposerà domani: non c'è più
tempo!", alzò la voce,
facendo sussultare la sua ospite.
"Lo
so! Cazzo, lo so!”, ribatté Sebastian con voce
altrettanto
alterata, fissandolo con sguardo furente. “E' da un anno che
ho
quel maledetto countdown in testa!".
"E
allora perché sei ancora qui?!”, chiese l'altro,
cercando di
sovrastarne la voce. “Ma non lo capisci: è
disposto a gettare
all'aria il suo matrimonio per te. Che altro stai aspettando?!".
Sebastian
distolse lo sguardo, ma parve afflosciarsi e perdere ogni
convinzione: "Non è di lui che non mi fido", ammise con un
sospiro.
Fu
forse quell'espressione impotente a lasciare il barista senza fiato:
lo guardò come se improvvisamente fosse difficile
riconoscere
Sebastian nel giovane che aveva di fronte, così sfiduciato e
così
incapace di affrontare i propri sentimenti.
“Cosa?”,
domandò in tono confuso.
La
sua stessa ira sembrò placarsi e sospirò,
sforzandosi di recuperare
una parvenza di calma: “Cosa c'è che ancora non mi
hai detto?".
Sebastian
non rispose, lo sguardo era fisso di fronte a sé, in un
punto
indefinito e restò immobile per pochi istanti, fino a quando
non si
sentì soffocare, anche in presenza dell'altro. Raccolse il
cellulare
e camminò verso la porta senza voltarsi. Sbatté
la porta alle
proprie spalle.
Hunter
e Brittany sussultarono e il persiano soffiò con aria
infastidita.
La
giovane sospirò e lo prese tra le braccia, quasi a volerlo
consolare, prima di osservare il ragazzo con aria mortificata. Era
rimasta silenziosa in quegli ultimi istanti, ma aveva risposto tutta
la propria attenzione al loro ultimo dialogo.
"Forse
non avrei dovuto alzare la voce con lui", sussurrò quasi a
volersi scusare.
Hunter
la guardò incredulo, ma scosse il capo. Suo malgrado, un
sorriso ne
increspò le labbra. "Sei stata perfetta”, la
lodò
sinceramente, prima di rabbuiarsi. “Ma io ho la sensazione di
non
aver capito davvero molto di lui”, confessò con
aria grave. “Non
sono stato granché d'aiuto per un intero anno e stasera mi
sento più
inutile che mai”.
"Non
è vero!", protestò la giovane, stringendogli il
braccio e
sorridendogli con aria comprensiva e accorata. "Non sarebbe
venuto qui, se non avesse voluto che tu gli dicessi cosa
fare”,
parlò con una certa sicurezza. “A meno che non
volesse ruzzolarsi
insieme a te sul pavimento”, aggiunse con una scrollata di
spalle.
Se
aveva sorriso con aria compiaciuta nel sentirsi tessere le lodi, a
quella precisazione si schiarì la gola rumorosamente. "Una
cioccolata calda, prima di andare a dormire?".
"Sì!”,
esultò, battendo le mani.
~
Sorprendentemente,
Kurt sembrò riuscire a finire i bagagli con grande
tempestività e
persino a premunirsi di compiere un rapido controllo per assicurarsi
che nulla fosse stato dimenticato: dal filo interdentale fino al
libro da lettura durante il volo.
Non
parlarono molto durante il viaggio in auto: non aveva dubbio che lo
sguardo azzurro stesse già vagliando l'idea di dare un tocco
personale alla cena d'anniversario del clan Hummel-Hudson, ma non
riusciva a spiegarsi quella sorta di inquietudine interiore che lo
aveva attanagliato, da quando aveva annunciato quell'improvvisa
partenza.
Un
senso di insoddisfazione lo aveva sorpreso in più istanze in
quegli
ultimi mesi: era come se alla sua “vita tipica” tra
sbronze,
incontri notturni e lezioni universitarie non frequentate, si
contrapponesse quella quotidianità scandita da quel sorriso,
dalle
sue prediche, dalla sua particolare concezione della moda, della
dieta culinaria, fino anche all'arredo degli spazi comuni. Se prima
quelle due entità della sua personalità potevano
convivere e Kurt
rappresentava, con il loft, una sorta di rifugio dal mondo esterno;
era come se una parte di sé stesse metabolizzando, sempre
più
intensamente, che non era più sufficiente.
Malgrado
in quelle notti ci fosse stato un tocco fuggevole ed estraneo a
sfiorargli la pelle, nella ricerca di un mero piacere carnale, era
come se tutto fosse sbagliato.
Se erano superficiali e arroganti i baci cui talvolta si prestava; le
sue labbra sembravano ancora tremare del ricordo di un bacio mancato,
ma il cui pensiero era capace di riscuoterne il torpore e
costringerlo a girarsi tra le lenzuola, cercando di tornare in
sé.
Cercando di costringersi a restare nel proprio letto e non vagare in
quel loft, ricercando il profumo di vaniglia o rubando al suo sonno
una carezza delicata e segreta.
“Sebastian?”,
lo richiamò l'altro con aria confusa, già uscito
dal lato
passeggero. “Non mi accompagni dentro?”, chiese con
un sorriso.
Si
riscosse ed annuì distrattamente: fu lesto ad uscire
dall'auto e
prendere la valigia dal bagagliaio per portarla dentro, notandone lo
sguardo di compiaciuta meraviglia a simile cavalleria.
Lo
seguì fino alla fila dei passeggeri che, dopo l'annuncio,
stavano
consegnando le carte d'imbarco ad una sorridente impiegata, di fronte
al gate del suo volo.
Kurt
si volse in sua direzione e lo guardò con un
sospiro:“Mi prometti
che non mangerai soltanto robaccia da fast-food, in questi
giorni?”.
Sebastian
sbuffò, un vago sorrisetto. “Sì,
mamma”, rispose con le mani
conficcate nelle tasche, dopo avergli porto la sua sacca da viaggio.
“Mi
dispiace davvero che tu non possa venire con me”,
sussurrò con
voce più dolce e Sebastian sospirò.
Anche
a me, pensò intensamente, quasi
volendo trasmettergli quel
messaggio telepaticamente.
Si
strinse nelle spalle: “Mi scorterai in posti più
interessanti”,
gli fece presente con aria arrogante, ripristinando quella tipica
interazione più giocosa.
“E'
una promessa”, commentò Kurt in risposta.
“Quindi puoi già
cominciare a pensare alle nostre prossime mete”, aggiunse con
un
sorriso.
“Lo
farò”, commentò in risposta.
Mancavano
pochi passeggeri, prima del turno di Kurt, ma non riusciva a
distogliere lo sguardo dal suo volto, indugiando sulle sue labbra.
Aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto fermare il tempo, in
quell'istante, attrarlo a sé e cercare di esprimergli quella
nube di
pensieri che lo stavano tormentando negli ultimi mesi.
“Prego”,
l'impiegata si volse a Kurt che le porse il documento. “Si
accomodi
pure e buon viaggio”.
“Allora
ci vediamo Lunedì”, sussurrò Kurt e si
sporse per cingerne il
collo in un breve abbraccio.
Sebastian
affondò il volto contro la sua spalla, inspirandone l'aroma
di
vaniglia e sospirò.
Kurt
ne pronunciò il nome con intonazione interrogativa e si
scostò per
osservarlo. “Va tutto bene?”.
Indugiò
in quella contemplazione, smuovendo le labbra e inclinando il viso di
un lato. Parve rapidamente riflettere, ma si strinse nelle spalle.
“Fai
buon viaggio”, ne baciò delicatamente la guancia,
ma indugiò
vicino al suo viso.
Gli
sorrise con quella dolcezza che ne fece scintillare le iridi:
“Ciao
Sebastian”.
Lo
osservò allontanarsi, insieme agli altri passeggeri, ma si
volse per
un ultimo saluto, sollevando il braccio.
Fu
allora che qualcosa sembrò scattare dentro di lui.
“Kurt!”,
lo richiamò, prima che l'impiegata potesse chiudersi l'uscio
alle
spalle.
“Sì?”,
gli chiese, quasi incurante del fatto che stessero intralciando
l'imbarco.
“Quanto
tornerai, dovremo parlare”, gli disse a mo' di promessa.
O
un monito perché lui stesso non dovesse cambiare idea in
quei giorni
di distacco.
Kurt
parve sorpreso, le sopracciglia inarcate, ma un nuovo rossore ne
sfiorò le gote, quando sembrò comprendere.
“Lo faremo”,
commentò in risposta. Come una rassicurante promessa, o la
conferma
che avesse compreso più di quanto avrebbe mai pronunciato.
Gli
rivolse un ultimo sorriso e si allontanò all'ulteriore
invito
dell'impiegata.
Sebastian
sospirò, rimase di fronte alle vetrate, fino a quando il suo
volo
non decollò. Doveva soltanto attendere un weekend, si disse
con un
sorriso.
~
Hunter
osservò la giovane con le sopracciglia inarcate: la tazza
ormai
vuota tra le mani, Brittany Pierce osservava un punto indefinito di
fronte a sé e l'espressione ne tradiva una ferrea
concentrazione.
"Tutto
bene?", le chiese colpito da quell'insolita tranquillità.
Stava
disegnando con le dita in aria, come se questo le facilitasse la
riflessione, ma si volse in sua direzione con un sospiro. "Quindi
Ciuffo Disney
ama Voce di Fata,
ma anche Voce di Fata ama Ciuffo
Disney”, sembrò voler riassumere ciò
che aveva appreso da
quell'ultima visita e dalla telefonata. “Nonostante questo
sta per
sposare Puffo Cattivo",
la sua espressione ne tradì la reale
perplessità.
Hunter
sorrise: avvezzo alle interazioni con Sebastian che scorgeva aspetti
lascivi in ogni singola cosa (anche laddove non era minimamente
intenzione dell'interlocutore alludere a qualcosa di volgare),
parlare con chi conservava una visione così infantile e
giocosa del
mondo, era come un balsamo benefico.
Annuì
e sospirò con aria quasi esasperata: "Benvenuta nel mio
mondo".
"Perché
è così difficile?”, domandò
con reale curiosità. “Non si
potrebbe semplicemente andare dalla nostra persona speciale e dirle
«
io ti amo: decidi tu. Vuoi stare con me: sì o no?
»
Come all'asilo", spiegò con un sorriso più
giocoso.
Inarcò
le sopracciglia, ma il sorriso non scemò dalle sue labbra,
quasi
riuscisse comunque a trovarvi qualcosa di davvero divertente. Come
con quei discorsi potesse smussare la serietà di una
questione
tutt'altro che risolta. “Forse hai ragione, sarebbe tutto
più
semplice".
"Neppure
tu lo faresti?", lo incalzò, osservandolo così
attentamente
che Hunter ebbe l'impressione che avrebbe potuto sondare nel profondo
di stesso, se solo lo avesse voluto. Se avesse avuto un motivo
preciso per farlo, almeno.
"Non
lo so", sussurrò in risposta. "Ma se non lo facessi,
probabilmente sarebbe per il bene della persona speciale,
come
la definisci tu", sussurrò. Fu il suo momento di inclinare
il
viso di un lato ed osservarla più attentamente. Quasi
cercando di
capire se quello scambio di parole avesse dei messaggi sublimali e
non stesse rischiando di illudersi o fraintendere tutto.
Ne
ricambiò lo sguardo, ma fu colta dalla stanchezza e si
portò una
mano alle labbra per coprire lo sbadiglio. "Scusami, sono
stanca", pigolò con aria infantile.
"Certo",
si drizzò e le indicò la camera da letto.
La
giovane gli sorrise e si alzò sulle punte per baciarne la
guancia:
"Ti avrei chiesto di dormire con me”, gli disse con la stessa
intonazione allegra e solare, quella punta di schiettezza che era
persino più imbarazzante di una lusinga volutamente
provocante. “Ma
so che non sei come gli altri e mi rispetti. Ed è una cosa
che
adoro".
Non
seppe cosa fosse stato più letale: la tipica
semplicità con cui
pronunciò quelle parole o il fatto che sembrasse davvero sollevata
all'idea
che il loro
rapporto fosse assolutamente platonico.
"Non
c'è problema", bofonchiò, per poi volgersi al
divano, con la
scusa di preparare il proprio giaciglio con coperta e cuscino.
"Allora fai sogni d'oro", le augurò.
"Anche
tu", trillò con voce allegra, stiracchiandosi.
Hunter
ne seguì l'esile figura, fino a quando non scomparve dietro
la porta
della propria camera. Solo allora rilasciò un sospiro
profondo e si
sedette. Persino il suo gatto, seduto sul tavolino da caffè,
sembrava guardarlo con aria di profondo compatimento.
Gli
fece cenno di raggiungerlo: "Siamo soli io e te, come sempre",
sussurrò.
"Micio,
micio?", la voce della giovane irruppe nel silenzio del
soggiorno e fece capolino con il capo dalla camera.
Il
felino, quasi fosse preda di qualche arcano incantesimo, emise un
miagolio e, le fusa udibili a distanza, scese con un balzo dalla
postazione e si affrettò a raggiungerla.
La
porta fu chiusa con un lieve tonfo.
Hunter
fissò in quella direzione con aria shockata, prima di
sprimacciare
il cuscino: un ottimo espediente per prendere a pugni un oggetto
inanimato.
"Se
ci sarà un'altra vita, spero di rinascere gay e con uno
stormo di
donne da illudere", borbottò tra sé e
sé, cercando una comoda
posizione che non gli facesse troppo rimpiangere la cavalleria
dimostrata.
~
Sebastian
lo percepì appena schiuse l'uscio di casa e la temperatura
parve
calare bruscamente. Aveva vagabondato per le strade della
città,
quasi perdendo la cognizione del tempo, la mente che continuava a
percorrere dedali di ricordi, mescolando il passato al presente, con
l'ombra inquietante di un futuro che si sarebbe realizzato da
lì a
poche ore. Senza trovare pace: consapevole che, giunto a quel punto,
nessuna opzione fosse quella vincente e ne sarebbe comunque uscito
sconfitto.
Osservò
il soggiorno immerso nel buio e sembrò che quelle quattro
mura
avessero perso la loro ragion d'essere.
Riuscì
ad intuirlo, il cuore in gola e l'eco dei suoi passi a risuonare nei
suoi timpani, ma una parte di sé sembrava voler serbare la
speranza.
L'altra probabilmente aveva bisogno dell'impatto nudo e crudo per
poter desistere.
Si
sentì soffocare, ma era consapevole di dover affrontare quel
momento. Schiuse l'uscio e l'immagine che, negli ultimi mesi aveva
perseguitato i suoi sogni più agitati, gli apparve innanzi
nella sua
crudele realtà.
Una
camera spoglia sembrava pronta ad accogliere una nuova persona, una
nuova anima. Ogni oggetto di Kurt era scomparso, lasciando un
ambiente nudo e senza più vita.
Un
solo biglietto, strappato dal block notes dai fogli azzurri, ad
attenderlo sul materasso.
I
passi per raggiungerlo parvero farne sprofondare il cuore sempre
più
nella cavità della gabbia toracica.
Gli
tremarono le dita, mentre lo dispiegava per scorgerne di nuovo la
familiare grafia.
Dormirò
in albergo con mio padre: credo sia meglio così.
Non
ti biasimerò, se domani non sarai con me.
Mi
dispiace,
Kurt.
Mi
dispiace, indugiò
su quelle due
parole: a cosa si stesse realmente riferendo, non avrebbe saputo
dirlo. Se al bacio e allo scivolone che aveva compromesso la loro
amicizia, o al fatto che lo avesse abbandonato, perché
tornasse alla
sua vita con Blaine.
Sebastian
lo ripiegò, la mascella si contrasse e le labbra tremarono.
Il
silenzio parve soffocarlo e premere sulle tempie e su ogni centimetro
del suo corpo, facendolo sentire esposto e vulnerabile come non mai.
Faccia a faccia con un dolore a cui aveva cercato di sfuggire, senza
mai giungere ad una reale risoluzione.
Fuggendo
da se stesso e dal passato incapace di perdonarlo.
Perse
la cognizione del tempo e lasciò fluire il dolore in versi
strozzati
che non si prese la briga di nascondere neppure a se stesso.
Si
lasciò scivolare lungo la parete, abbracciando con lo
sguardo il
mondo di Kurt che ormai era soltanto un'immagine scolpita nella
propria mente.
To
be continued...
Non
penso che ci sia un modo corretto di potervi i miei saluti, dopo aver
concluso una delle scene più malinconiche che abbia mai
dovuto
scrivere.
So
che saranno molti i vostri dubbi e perplessità circa il
comportamento di entrambi che potrà apparire anche
incoerente e poco
comprensibile. Ma se finora non avete formulato teorie al riguardo, o
i riferimenti non sono stati abbastanza chiari, vi invito ad
attendere il prossimo capitolo.
Ringrazio
di cuore tutti voi che continuate a seguirmi con tanta dolcezza e
passione, anche con lo sfogo di un momento più angst,
purché sia
riuscito a coinvolgervi. Sappiate che cercherò di farmi
perdonare e
che apprezzo sempre le vostre osservazioni e, perché no?,
anche le
lamentele. Direi che ve ne siete guadagnati un serio motivo (!).
Un'occhiatina
al prossimo capitolo:
“E'
la cosa migliore e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io
sparirò
dalla sua vita”.
“Sai
cosa è davvero triste, più di ogni altra cosa?
Non credo che tu
sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque
sia, senza distruggerlo.
Ti
manca qualcosa, Sebastian: tu porti solo dolore in chiunque ti
ami”.
“Ho
il furgone di mio padre parcheggiato poco lontano da qui: puoi ancora
rapirlo”.
Non
mi resta che ribadire i miei più sentiti ringraziamenti,
spero di
non avervi troppo intristito, ma sarà un piacere cercare di
rimediare, quanto prima possibile :)
Non mandatemi troppe maledizioni, mi raccomando, ho una
contrattura alla schiena che mi sta già facendo abbastanza
soffrire :P
Un
abbraccione a tutti e buon weekend,
Kiki87
Se la canzone non fosse un
ammonimento sufficiente, allora immagino questa sia una buona occasione
per informarvi che il capitolo che state per leggere sarà
piuttosto malinconico in alcune parti.
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Non sono una persona
perfetta.
Ci sono molte
cose che
vorrei non aver fatto.
Ma continuo ad
imparare.
Non avrei mai
voluto farti
questo.
E
quindi devo dirti
qualcosa prima di andare via:
Quello che
voglio che tu
sappia è che
ho trovato una
ragione,
per cambiare
quello che ero
solito essere.
Una ragione
per
ricominciare di nuovo,
e la ragione
sei tu.
Mi dispiace
di averti
ferito,
è
qualcosa con cui dovrò
convivere ogni giorno.
E tutto quel
dolore che ti
ho inflitto,
vorrei poterlo
portare via
tutto,
ed essere
quello che caccia
via tutte le tue lacrime.
E' per questo
che ho
bisogno che tu senta:
ho trovato una
ragione,
per cambiare
tutto quello
che ero solito essere.
Una ragione
per
ricominciare di nuovo.
La ragione sei
tu.
Ho trovato una
ragione per
mostrare
una parte di
me che non
conoscevi.
Una ragione
per tutto
quello che faccio.
E la ragione
sei tu.
Reason – Hoobastank
(Marzo).
Giorno del
matrimonio.
Capitolo
12
Le
stelle si riflettevano
sul fiume esattamente come quella notte, seppur sembrasse passata
un'intera vita, quella passata nascondendosi da se stesso. Eppure, al
contempo, era come se nulla fosse cambiato nel frattempo. Una crudele
illusione che il mondo esterno non avrebbe intaccato quei momenti.
Che avrebbero potuto crogiolarsi in quel rifugio e lasciar andare
tutto il resto.
O forse bastava
osservarlo negli occhi per avere la netta certezza che, ormai, tutta
la propria serenità ruotasse attorno a quel viso e che la
propria
quotidianità fosse ormai forgiata di quel bisogno
innegabile. Ma
non loro realmente concesso.
Sebastian aveva, infatti,
la segreta intuizione che non avrebbe dovuto trovarsi lì con
lui,
non in quel momento. Che tutto sarebbe finito, lasciandolo nell'amaro
disincanto di una perdita irreparabile.
Ed era quello
l'istante risolutivo: doveva lasciare che le parole
fluissero per
dare voce e suono a quel rimescolio di stati d'animo e di pensieri.
Era il momento di sentirsi suo e, soprattutto, scongiurare che Kurt
diventasse proprio.
"Non puoi sposare
Blaine, non te lo permetterò", si sentì dire e
mai la sua voce
parve più sicura, i suoi pensieri formulati con simile
lucidità,
mai la sua speranza più sincera.
"Sebastian", fu
la stentata replica di Kurt che, in confronto, sembrava divenire
più
evanescente, il fantasma di sé stesso e il ritratto
dell'angoscia. Parve dolorosamente ritrarsi, come se quelle parole lo
avessero
ferito nel profondo, penetrando e squarciando le sue sicurezze,
insozzando una favola dalla quale ancora si lasciava sedurre.
"So che non ti fidi
di Blaine e-".
Sebastian gli appoggiò
le dita sulle labbra a frenare le parole che già era pronto
a
pronunciare in difesa del fidanzato. O in difesa di quell'amore che
avrebbe voluto fosse proprio.
Scosse il capo e lo
osservò con la tranquillità che non aveva mai
sentito così
intensamente, riflesso di quella nuova linfa di certezza a cui
aggrapparsi. Era tale che persino Kurt parve percepirne un'impronta,
a giudicare da come sgranò gli occhi in un'espressione di
muta
sorpresa.
"Non si tratta di
Blaine, non ha mai riguardato lui”, ammise con un sospiro e
inclinò
il viso di un lato e gli occhi di smeraldo parvero scintillare
nell'abbracciarne la figura con sincera devozione. “Siamo
soltanto
io e te", aggiunse in un sussurro più tremulo.
"Sebastian",
sussurrò con voce pregna della supplica di lasciarlo andare.
Premette con più
decisione le dita sulle sue labbra. "Non puoi sposarlo
perché
io ti amo”, pronunciò con aria decisa,
perché quelle parole
potessero fare breccia nell'ultima muraglia frapposta tra loro. A
costo di spezzare dolorosamente quel giogo che ancora legava Kurt
alla speranza di un amore che non era più quello di cui
aveva reale
bisogno.
“Non permetterò che tu
esca facilmente dalla mia vita”, continuò, ma la
sua voce si
affievolì e la certezza lasciò spazio ad un
margine di comprensiva
amarezza nell'osservarlo nuovamente. “A meno che tu non mi
dica
espressamente che è ciò che desideri per la tua
felicità”.
Kurt sembrava vicino alle
lacrime, consapevole che, nonostante tutto, sarebbe stata la sua
decisione a forgiare le loro vite. Sua l'ultima parola. Se era stato
l'amore di Sebastian a compromettere la loro amicizia, soltanto sua
la scelta di accettarlo o di perdere tutto.
Il respiro di Sebastian
si spezzò: in qualche modo era certo che quella commozione
non
avesse origine nella gioia, ma dal dubbio e dall'incertezza di
affidarsi completamente a lui.
"Ti amo",
pronunciò Kurt con voce rauca, come se quella
verità lo stesse
dilaniando nel profondo, facendo nuovamente sanguinare una ferita
aperta.
Sentì il cuore
implodere: qual era, allora, la ragione che ancora
si
frapponeva tra loro? Qual era il reale ostacolo?
"Ma non credo che tu
possa davvero amarmi ogni giorno e per sempre", continuò
Kurt
con il viso lucido delle lacrime che scivolavano sulla pelle diafana,
rilucendo alla luce argentea della luna. Eteree gocce di un dolore da
cui non avrebbe potuto proteggerlo, se non gli avesse concesso il suo
cuore.
Si sentì trafiggere
lentamente, nel profondo, squarciare sempre più in
profondità.
Completamente abbandonato a se stesso, ad un amore non desiderato e
non accettato.
"Kurt", lo
supplicò con voce strozzata, ma si mosse in avanti, sfidando
quella
pressione esterna che parve inchiodarlo al pavimento. Cercò
di
cingerne i fianchi e trattenerlo, ma l'esile figura parve divenire
evanescente, perdere consistenza e spessore, mentre i suoi sentimenti
divenivano più limpidi.
"Kurt", ripeté
con angoscia e lo trasse a sé con cieca disperazione, fin
quando,
con un sordo frastuono di cocci infranti, si spezzò in mille
frammenti.
Annaspò, senza fiato, il
cuore in gola e il viso esangue in quel silenzio, infranto soltanto
da un sommesso motivetto nella sua lingua madre.
Soltanto allora la vide:
la splendida giovane dai fluenti capelli rossi, una spruzzata di
lentiggini sugli zigomi, gli occhi di un verde intenso che sembravano
ammiccare, da sotto le lunghe ciglia ricurve. Sorrideva. Malignamente
divertita. Fu quel gesto a dargli la certezza che avesse assistito
all'intera scena con crudele appagamento.
Ne pronunciò il nome con
voce incredula e sgomenta, come se non riuscisse realmente a credere
che lei fosse davvero innanzi a lui. Come se la sua
paura più
grande si fosse incarnata in quel volto che aveva riposto in un
angolo remoto della sua mente, desiderando soltanto che sbiadisse. E
così la sua vita precedente.
Lei si drizzò soltanto a
quel richiamo, come se non avesse atteso altro. Piroettò con
grazia
su se stessa, come la ballerina di un carillon e gli sorrise. Sarebbe
apparsa eterea, se il suo sguardo non fosse sembrato bramoso di
vederlo soffrire. Si avvicinò con le mani dietro la schiena
e
un'aria infantile che stonava con quella femminea sicurezza.
"Mon petit
Sébastien", sussurrò con voce
stucchevole che, tuttavia,
fece formicolare la pelle di Sebastian sulla nuca. Quasi come se il
suono lo costringesse a guardarsi dentro e sentire l'antico disprezzo
di se stesso.
La gola si contrasse
dolorosamente, ma strinse i pugni lungo i fianchi e scosse il capo:
"Tu non sei reale".
Non parve udirlo,
sorrideva con quel malsano appagamento di fronte alla sua angoscia.
"Te lo avevo detto", lo ammonì e il sorriso scomparse
dalle sue labbra che assunsero una piega dura che rese spaventoso
quel viso da bambola. "Tu n'a pas oublié, n'est-ce
pas?”,
domandò con finta stucchevolezza.
“Che cosa non ho
dimenticato?”, le chiese in risposta, aggrottando le
sopracciglia e
simulando una compostezza che la sua visione aveva infranto.
Lo sguardo verde parve
trafiggerlo, ma sorrise nuovamente, quasi soddisfatta nell'aver
occasione di rispondere, il viso inclinato di un lato. “Chi
non sa
amare, non ha diritto di farsi amare”, scandì
lentamente, con voce
melliflua.
Sebastian si sentì
trafiggere nuovamente da una spada invisibile che parve risucchiare
tutto il sollievo che aveva provato nell'illusione di forgiarsi una
nuova esistenza, lontano da quel fantasma passato.
“Forse potrai di nuovo
essere amato”, gli concesse, ma dal sorriso sembrava
schernirlo o
comprendere che ciò non avrebbe fatto la differenza.
Indicò il
punto in cui il giovane che aveva stretto tra le braccia, era
scomparso. “ Ma tu non porterai che distruzione e dolore",
spiegò con una scrollata di spalle.
E rise, uno scampanellio
gradevole al suono che parve echeggiare in quel silenzio circostante.
Schiuse gli occhi e si
drizzò con il busto, il respiro affannato e gli occhi lucidi
mentre
le immagini del sogno svanivano lentamente di fronte a lui. Si
aggrappò alle lenzuola con forza spasmodica, il capo chinato
e il
respiro affannato, come se fosse reduce di una corsa folle e
insensata.
Si lasciò nuovamente
cadere sul materasso, quasi tremante, gli occhi sbarrati nel
contemplare le prime luci dell'alba, come un beffardo monito che il
mondo esterno non si sarebbe mai fermato, per quanto lo avesse
desiderato.
Persino quell'alone di
vaniglia sembrava soltanto prodotto del suo ricordo, una traccia di
Kurt che era più distante che mai. Il giorno del suo
matrimonio.
~
Riusciva a percepire
il suo sorriso, anche se ancora non aveva schiuso gli occhi: era come
se quella sua serenità emanasse delle vibrazioni impossibili
da
ignorare. Erano avvolti in un piacevole torpore, persino il
picchiettare della pioggia contro i vetri appariva un elemento
scenico voluto. Il silenzio era interrotto soltanto dai loro respiri
rilassati.
Sentiva la
carezza dei
suoi lunghi capelli sulla pelle nuda mentre, la risatina soffusa e
complice, prendeva a baciarne la gota con tocco umido e vezzoso,
scivolando languidamente verso il collo. Sebastian sospirò,
senza
neppure schiudere gli occhi, le sopracciglia inarcate e il sorriso
beffardo ad increspargli le labbra.
"Che stai
facendo?", le chiese senza scomporsi.
"Lo sai",
sussurrò in risposta.
Si costrinse ad
aprire
gli occhi, e ne intrecciò lo sguardo suadente ed allusivo,
mentre
simulava un'espressione innocente che stonava incredibilmente con
quella sicurezza femminea che traboccava anche da un sorriso di
saluto.
Ma qualcosa nel
suo
sguardo mutò repentinamente e un piccolo cipiglio apparve
sulla
fronte liscia.
Séline
restò in
attesa, osservandolo dritto negli occhi, come se ancora qualcosa
mancasse a suggellare quei momenti. A dare loro una fisionomia ben
precisa e desiderata.
Era in quelle
occasioni che Sebastian era solito drizzarsi e rivestirsi per
allontanarsi e tornare alla propria abitazione. Porre nuovamente le
distanze, per non sentirsi più compresso e imprigionato. Era
nella
consapevolezza che tutti già immaginavano la sua vita futura
con la
giovane, che si sentiva opprimere da un peso indicibile all'altezza
del petto. Una vita già scritta, alla quale credeva di aver
aderito,
ma che non sembrava essere realmente propria.
La sua amica
d'infanzia, il suo primo bacio, il suo primo approdo all'amore.
Bellissima, sensuale e provocante, intelligente e scaltra, non c'era
bisogno che lei parlasse per capire ciò che provava. O come
aveva
vissuto l'evolversi del loro rapporto, fino ad approdare
all'intimità
di coppia.
Ma, nel profondo
di se
stesso, vi era quella verità sopita che Sebastian non
riusciva a
confutare, tanto meno accettare. Seppur la giovane ne intuisse la
distanza, non sembrava realmente mettere in dubbio che le loro
aspettative future potessero non convergere.
Più
volte Sebastian
si sorprendeva a domandarsi che cosa ci fosse di sbagliato:
perché a quel calore corporeo non corrispondesse un
turbamento
interiore che andasse oltre lo spasmo di piacere.
Lo percepiva
ancora
più intensamente, quando la giovane lo guardava in quel
modo,
consapevole che quelle parole non gli avrebbero mai sfiorato le
labbra per darle la certezza di cui disperava. Ciononostante lei non
demordeva dall'esplicitare il suo stato d'animo, guardandolo dritto
negli occhi. Quasi sperando che la sua dichiarazione potesse
scalfirlo e cambiare le cose. Quasi arrogandosi la pretesa di poter
esercitare una terapeutica pressione che rinsaldasse il loro
rapporto.
Una vana speranza
a
cui lo stesso Sebastian si era aggrappato, quasi con bisogno
spasmodico di assicurarsi di non essere manchevole in qualcosa.
Séline
si era
scostata dal suo petto, inclinando il viso di un lato e parve volerlo
nuovamente legare a sé, evidentemente incapace di fare
breccia tra i
suoi pensieri.
"Sébastien",
lo richiamò a mo' di monito.
Scosse il capo,
ma lei
non si arrese: parve volerlo trafiggere con lo sguardo,
anziché
vezzeggiarlo. "Je t'aime", sussurrò con un impeto di
orgoglio nel volere che quel sentimento potesse realmente intaccarlo
ed essere sufficiente ad entrambi.
"Lo so",
sussurrò in risposta, ma si drizzò come se quelle
parole, anziché
avvicinarli, creassero un ulteriore divario tra loro. Come se quel
desiderio, che ben intuiva, di legarlo a sé, fosse la
prigione da
cui liberarsi.
Raccolse
frettolosamente i jeans e cominciò a rivestirsi, sentendone
lo
sguardo sulla pelle nuda, ma la ignorò. Si voltò
soltanto quando fu
completamente vestito.
Séline
non aveva
smesso di guardarlo, giocherellando coi capelli lasciati sciolti
sulle spalle. "Oui, tu le sais", ripeté tra sé e
sé.
Non vi era
sorpresa,
né recriminazione, soltanto quieta consapevolezza, ma
Sebastian la
conosceva abbastanza da sapere che non avrebbe mai pianto in sua
presenza. E che avrebbe lottato con tutta se stessa perché
quel
dolore restasse taciuto e seppellito, come quell'insoddisfazione che
lui custodiva gelosamente, cercando un modo di colmare un vuoto di
origine incomprensibile.
"Devo
andare”,
disse in tono spiccio, indossando la giacca e cercando le chiavi
dell'auto. Schiuse l'uscio della camera, ma le concesse un ultimo
sguardo, il viso inclinato di un lato.
“Ti chiamerò
dopo".
"Oui",
rispose senza guardarlo e soltanto in quel momento, con placida
lentezza, si rivestì.
Ma sapevano
entrambi
che non lo avrebbe fatto, che sarebbero tornati ad una
quotidianità
che talvolta avrebbe incluso risvolti più sensuali. Ma nulla
di più.
Il pensiero non
gli
risparmiò il senso di colpa, mentre scendeva rapidamente le
scale,
pur certo che la giovane non si sarebbe scostata da lui, non fin
quando non fosse stata pronta a farlo.
"Salut,
Sébastien".
Nonostante non lo
stesse guardando, perché era seduto di spalle sulla poltrona
del
soggiorno, Sebastian riuscì facilmente ad immaginarne il
sorriso
all'averne riconosciuto i passi. O all'aver intuito facilmente che
Séline non fosse sola in casa.
Sebastian si
fermò,
le mani conficcate nelle tasche dei jeans, in attesa che Pierre si
voltasse per incrociarne lo sguardo. Soltanto allora gli rivolge un
breve cenno del mento.
I capelli biondi,
lievemente ondulati, lo stesso sorriso suadente della sorella, ma lo
scintillio quasi ipnotico degli occhi grigi. Giacca e cravatta,
l'aria da viziato figlio di papà e tracotante e futuro
magnate
dell'industria. Sorrideva mellifluo, mentre allacciava l'ultimo
bottone della giacca.
Inclinò
il viso di un
lato, dopo aver gettato un'occhiata ironica alla rampa di scale che
conduceva alle camere da letto.
“Posso offrirti un
drink?”, indicò il mobile bar lussuoso.
“Me ne stavo
andando”, rispose con una scrollata di spalle.
Pierre
annuì, ma
indicò l'uscio con il bicchiere che si era appena riempito.
"Puoi uscire
dall'ingresso", gli disse con aria composta, ma una piega
beffarda delle labbra.
Sebastian ne
ricambiò
il sorriso, per nulla intimidito. Scrollò le spalle: "L'auto
è
più vicina", alluse all'altra uscita.
Pierre
ridacchiò, ma
si avvicinò abbastanza per osservarlo in viso, umettandosi
le labbra
dopo aver sorseggiato dal proprio bicchiere. Inarcò le
sopracciglia
ed indicò con il mento uno sbafo sulla sua guancia.
"Hai una macchia
di rossetto", lo informò come se la constatazione lo
divertisse. In un modo che Sebastian non riusciva a comprendere, ma
che gli parve insopportabile.
Esibiva una
sicurezza,
guardandolo, che lo irritava enormemente: quasi si dilettasse nel
cogliere la sua confusione e ciò gli fosse fonte
d’indicibile
piacere. Quasi avesse compreso qualcosa sul suo conto, ma non
ritenesse opportuno renderglielo noto.
"Lo so",
rispose secco, come a voler ribadire la propria indifferenza
all'alone di superiorità con cui lo scrutava.
Pierre
sollevò le
mani, profondendosi in una breve risatina compiaciuta. Si strinse
nelle spalle, ma lo studiò attentamente, da sopra il proprio
drink.
"Come
preferisci", gli concesse con sussiego. Un'ultima occhiate
beffarda e si voltò, come se la sua presenza gli fosse
divenuta
indifferente.
Sebastian
s’impose
di ignorarlo e superò rapidamente il soggiorno, imboccando
la
portafinestra.
Sentì
il suo sguardo
addosso fin quando non uscì dal cancello e fu certo di
essere
scomparso dalla sua vista. Si lasciò affondare sul sellino
della
propria auto e richiuse la portiera con un gesto secco, affrettandosi
a girare le chiavi nel motore.
Soltanto quando
fu
fermo di fronte al semaforo, con un gesto secco, si sfregò
via la
macchia colorata.
Avrebbe voluto
poter
estinguere altrettanto facilmente la sensazione di essere stato
marchiato ben più in profondità. E non da
Séline .
~
Si strofinò
il viso con
energia, quasi sperando che con l'acqua potesse far scivolare via
anche i residui di stanchezza e i pensieri che gli martellavano le
tempie. O, meglio ancora, annullare del tutto le sue
capacità di
formulare pensieri e rievocare il volto del giovane o quell'unico
bacio la cui impronta sulle proprie labbra sembrava indelebile.
Aggrottò
le
sopracciglia, quando percepì i tonfi energici alla porta
d'ingresso
e si affrettò a percorrere il corridoio, il cuore in gola,
malgrado
fosse certo che non avrebbe incontrato lo sguardo di Kurt, quando
avrebbe schiuso l'uscio. Se si fosse trattato di Clarington (e
sperava che la bionda scervellata lo tenesse impegnato, anche se
platonicamente) si sarebbe limitato a sbattergli la porta in faccia,
magari dopo avergli gettato addosso un vaso.
Inarcò
le sopracciglia e
schiuse le labbra in una smorfia di autentica sorpresa, alla vista
dell'uomo.
Seppur fosse
la prima
volta che Burt Hummel si trovava di fronte a quell'appartamento, non
si sembrava affatto a disagio: le mani conficcate nelle tasche del
panciotto (immaginò che fosse la "divisa" da meccanico,
nonostante il suo recente impiego al Congresso), lo guardò
con aria
grave. Borbottò un secco: "Allora, mi fai entrare?".
Si
scostò, ancora con
espressione palesemente sorpresa: il fatto che non fosse munito di
fucile e che non lo avesse già attaccato al muro, sembrava
promettere una conversazione civile. Ma qualcosa gli diceva che
quell'unico bacio non sarebbe rimasto un segreto tra lui e Kurt.
"Gradirei
qualcosa
di forte da bere", gli fece presente Burt che, senza attendere
invito, si sedette sulla poltrona e Sebastian osservò come
vi fosse
sprofondato con naturalezza, quasi vi fosse stata persino una sua
impronta ad attenderne l'arrivo.
Inarcò
le sopracciglia,
un vago sorriso divertito, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni: "Sono le nove del mattino", commentò in
risposta.
Burt si
accigliò,
distendendo le braccia sui braccioli, occhieggiandolo con aria
spazientita: "Sarà una giornata lunga e sarò
costretto
infilarmi in uno smoking”. Aggiunse, come se quel dettaglio
fosse
una giustificazione più che plausibile a quel bisogno di
distendersi.
Il sorriso di
Sebastian
si estese: malgrado la circostanza, doveva constatare di apprezzare
il carattere dell'uomo. Il modo in cui non si slanciava in parole
accorate o formule di cortesia, ma senza troppi fronzoli esprimeva la
sua opinione, anche quando essa fosse stata poco gradita al proprio
interlocutore. Dall'aspetto rude, come un orso selvatico, ma dal
cuore tenero, pur con degli ideali saldi per i quali era
irremovibile, ma non per questo cieco alle esigenze del figlio e al
suo bisogno di essere protetto.
"Il mio
barista di
fiducia ha la giornata libera", rispose con un lieve accenno di
ironia.
"Dammi il
whisky che
cerchi inutilmente di nascondere a mio figlio e siediti,
ragazzo”,
lo apostrofò con una nota di impazienza al suo indugiare,
indicandogli il divano con un gesto eloquente, malgrado lui fosse
l'ospite a sorpresa. “Il tempo stringe e non sono venuto qui
per
niente".
Sebastian
sospirò, ma si
affrettò a riempirgli un bicchiere pulito (si era irrigidito
alla
menzione a Kurt e ad una quotidianità così
vissuta da conoscere i
suoi nascondigli) tuttavia storse il naso all'aroma familiare e si
limitò a porgerlo all'uomo, prima di sedersi e incrociare le
braccia
al petto.
Burt
sorseggiò il
liquido tutto di un sorso e si sporse verso di lui, affondando i
gomiti sulle ginocchia e sostenendosi il mento con le mani. "Ho
delle domande da farti e voglio che tu mi risponda sinceramente",
inchiodò il suo sguardo al proprio, somigliando vagamente ad
un
mastino.
Sebastian
sbatté le
palpebre, ma si strinse nelle spalle. "Non deve preoccuparsi:
non ho intenzione a venire al matrimonio e tanto meno di creare
caos", commentò come se ciò fosse sufficiente a
porre fine a
quella visita.
Burt parve
ignorarlo e
iniziò la sua esamina: “Eri contrario alle nozze,
da quando Kurt
ti ha annunciato il fidanzamento”, esordì, ma non
parve essere
una domanda.
Sebastian
inarcò le
sopracciglia, ma non si scompose: "Sì", rispose e, suo
malgrado, dovette ammettere che sembrava qualcosa di liberatorio
poter parlare senza doversi censurare. Senza alcun bisogno di cercare
di compiacere il padre del ragazzo amato, consapevole che non avrebbe
fatto la differenza.
"Non ti piace
Blaine", continuò l'adulto con la stessa intonazione
indagatrice, ma niente affatto oltraggiata.
Increspò
le labbra in un
sorriso quasi ironico: "No, mai piaciuto", asserì con la
medesima tranquillità.
L'uomo si
tolse il
cappello, quasi cominciasse a sentire la tensione di quel dialogo e
il crescendo della gravità della situazione.
Sospirò, ma ne
sostenne lo sguardo e parve persino sporgersi in sua direzione: "Tu
non credi che lui sia l'uomo adatto a mio figlio".
Sebastian
storse le
labbra: suo malgrado, quel pensiero non era consolatorio.
“Per
niente”, ammise per poi scuotere il capo. “Ma la
cosa più grave
è che non credo che Kurt lo sposi per il motivo giusto e, in
fondo,
credo che lo sappia anche lui".
Burt mosse
bruscamente il
capo, una parte di Sebastian ebbe persino l'impressione che
condividesse il suo stesso dubbio, ma non ritenesse opportuno
esprimere un'opinione personale.
Si ritrasse
sulla
poltrona, quasi avesse necessità di rilassarsi un breve
istante,
prima di continuare a sondare il suo stato d'animo con quelle domande
dirette. Si puntellò con un gomito sulla poltrona,
guardandolo di
traverso.
"Hai baciato
mio
figlio la vigilia del suo matrimonio".
Per la prima
volta da che
il dialogo era iniziato, Sebastian distolse lo sguardo e
deglutì a
fatica. Non riuscì a guadarlo negli occhi, nel rispondere,
con voce
più flebile: "Me ne pento".
Ancora una
volta Burt
parve ignorare le implicazioni personali, ma lo guardò con
aria più
seria che mai, nel pronunciare l'ennesima domanda: "L'hai fatto
per mandarlo in confusione?".
Era evidente
dal suo tono
e, dal modo in cui lo stava guardando, che non avrebbe ammesso una
risposta diversa dalla verità, tanto meno un accenno
d’ironia o un
tentativo di sminuire l'importanza del gesto o i sentimenti che lo
avevano animato.
"No”,
asserì
Sebastian con decisione, guardandolo con le sopracciglia aggrottate.
“L'ho fatto perché lo desideravo”,
ammise e la sua voce ne tradì
il tremore al ricordo di quel contatto appassionato e quel bisogno di
cui era intriso. Una parte di sé ancora desiderava poter
essere
morto in quell'istante. “E da molto più tempo di
quanto penso che
suo figlio abbia mai sospettato”, parve aggiungere,
più a
beneficio di se stesso che dell'uomo che aveva di fronte.
Il cipiglio di
Burt parve
attenuarsi, ma sembrava confuso. "Ma ti sei tirato indietro".
Di fronte al sopracciglio inarcato di Sebastian, annuì.
"Kurt
mi ha raccontato tutto", disse senza palesare un personale
giudizio su tutta la questione.
Sebastian
sospirò, con
la stessa esasperazione a cui era giunto nelle conversazioni
più
sfibranti con Clarington. Eppure non riusciva a cacciare l'uomo o
sfuggire al suo evidente bisogno di risposte sincere. Ciò
che li
univa era l'amore per la stessa persona e la preoccupazione per la
sua felicità. “Sì”, rispose
storcendo le labbra.
Per la prima
volta,
l'espressione di Burt Hummel palesò una sorta di rimprovero:
"Non
avevi le palle di andare fino in fondo?”, parve volerlo
provocare
in tono spiccio e senza particolare remora a ricorrere ad un
linguaggio più colorito.
Sebastian lo
guardo quasi
irritato dall'accusa: "Perché lo deluderei prima o
poi”,
commentò in tono secco, a testimonianza che la scelta fosse
soprattutto per il bene di Kurt. “E so che allora
rimpiangerebbe
di non aver sposato il cosiddetto amore della sua vita”,
sottolineò
ironicamente quelle parole. “ E io non potrei vivere con
questo suo
rimpianto”.
Burt lo
guardò a lungo,
prima di esporre l'ennesima domanda, quasi si ritenesse abbastanza
soddisfatto dalla prima parte di quell'interrogatorio. Ma c'erano
evidentemente ancora dei punti chiave da affrontare per capire la
complessità di quel rapporto.
"Non credi che
mio
figlio potrebbe amarti come desideri?”.
Sebastian
cercò di
scacciare quel molesto il pensiero, quella segreta domanda che
talvolta si era posto, in quelle rare occasioni in cui si era
permesso di crogiolarsi dell'idea che Kurt potesse sceglierlo.
"Non credo che
possa
neppure pensare d’amare qualcuno diverso da Blaine", ammise
con un sorriso amaro. “Non come ha creduto di amare lui
almeno”.
“Stronzate”,
borbottò
Burt in risposta, questa volta probabilmente ritenendo opportuno
condividere la sua impressione al riguardo. Si sporse di nuovo in sua
direzione: "Non ti avrebbe permesso di baciarlo, se così
fosse
e non avrebbe pianto su questa spalla”, la indicò
con un cenno del
mento. “Parlando di te, solo e soltanto di te. Si sentirebbe
molto
più in colpa e credo che ne sarebbe pentito".
Suo malgrado,
Sebastian
non poté controllare quel brivido lungo la spina dorsale e
quell'aritmia improvvisa. Seppur non avessero mai parlato
così
intensamente come in quel frangente, non esitava affatto a fidarsi
del giudizio di Burt che non aveva alcun motivo per mentire, ma tutte
le ragioni per desiderare il meglio per Kurt. Persino più di
lui. In
modo meno egoistico e più puro.
E per un
istante,
distolse lo sguardo e cercò di ignorare quel prurito al
bordo degli
occhi, ma riuscì a sorridere al ricordo di come il giovane
stesso si
fosse aggrappato a quel bacio, con altrettanto slancio e bisogno, con
la stessa disperazione.
Ma non poteva
ignorare
quella verità sopita nel profondo di se stesso.
Scosse il
capo, come a
voler cacciare le parole di Burt, di certo l'ultimo da cui si sarebbe
mai potuto aspettare di essere spronato ad un intervento in extremis
nella vita sentimentale del figlio.
"E' la cosa
migliore
e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io sparirò
dalla sua vita".
Burt
continuò a
scrutarlo e Sebastian riconobbe nel suo sguardo la stessa arsura di
Kurt, la stessa testardaggine nel voler sondare nella
profondità dei
suoi pensieri, la stessa decisione nel voler conoscere la
verità,
piuttosto che continuare a cozzare nell'incertezza e nel dubbio.
L'uomo
sospirò, ma parve
giungere a qualche silenziosa conclusione.
"Ho un'ultima
domanda e poi me ne andrò e tu potrai decidere di fingere
che questo
dialogo non sia mai avvenuto”, gli annunciò e
Sebastian annuì,
come a prestare il proprio consenso a quelle condizioni pattuite.
“Ami
mio figlio? Più
di ogni altra cosa al mondo? Più di te stesso e delle tue
certezze?".
Non
esitò: si era
aspettato quella domanda e la risposta che gli avrebbe fornito era
l'unica ragione valida per quella conversazione. Perché a
poche ore
dal matrimonio, quando soltanto gli ultimi dettagli dovessero essere
definiti, tutto sembrava tutt'altro che certo.
L'unica
verità che non
avrebbe disconosciuto, a discapito di se stesso. L'unica capace di
distruggerlo nel profondo e nel disprezzo di se stesso.
"Sì".
Burt non parve
dubitare
di quella risposta, ma lo sguardo non gli risparmiò il
rimprovero
che ci si sarebbe potuti attendere da una persona avvezza ad
esprimere i propri pensieri, senza troppi giri di parole. "Se lo
ami come dici, dovresti cominciare ad agire come un uomo",
sottolineò.
Sebastian si
concesse un
sorriso amaro, per nulla irritato da quell'osservazione pungente,
quasi una rea confessione. "Non ho mai detto di essere l'uomo
adatto a lui”, confessò e la voce ne
tradì il suo reale
sconforto. “Non credo di essere l'uomo adatto a nessuno".
"Qualcuno non
sarebbe d'accordo", fu la secca risposta.
Burt Hummel si
alzò,
dopo aver appoggiato il bicchiere vuoto sul tavolino: evidentemente
avendo raccolto le informazioni che riteneva necessarie, parve in
procinto di allontanarsi e, come aveva annunciato, con la risoluzione
a fingere che quell'incontro non fosse mai avvenuto.
Tuttavia si
volse di
nuovo a guardarlo, come il padre dello sposo, evidentemente
preoccupato della sua futura serenità. "Se credi di poterlo
rendere felice come merita, o almeno provarci, mi aspetto che tu
agisca di conseguenza, tanto più se credi che questo
matrimonio gli
causerà dei rimpianti”.
Sospirò
e scosse il capo
e, mentre indossava di nuovo il suo berretto, parve realmente
spossato da quella conversazione e da tutte le sue implicazioni.
“Diavolo, non ho mai visto un matrimonio con così
tanti problemi,
ancora prima di essere celebrato".
Sebastian si
alzò, il
viso inclinato di un lato e l'aria genuinamente sorpresa per lo
sprono indiretto che era riuscito a cogliere nelle domande che si
erano succedute e nel tentativo di palesargli i sentimenti di Kurt.
"Non pensa a suo figlio?".
Burt lo
guardò quasi
risentito della domanda e, al contempo, con quell'implicito
incoraggiamento che non avrebbe pronunciato a voce alta:
"Perché
sarei venuto fin qui, altrimenti?", domandò in tono secco.
Sebastian
scosse il capo:
"Lei non mi conosce", parve voler protestare perché non
dovesse deludere le aspettative di qualcun altro. Perché non
dovesse, ancora una volta, smentire il suo stato d'animo ed essere
punito da un altro sguardo di biasimo.
"Conosco mio
figlio
e conosco la paura di non essere abbastanza per chi si ama”,
la sua
mano sfiorò impercettibilmente l'anulare su cui ancora
spiccava il
segno di una fede che aveva indossato per molto tempo. E Sebastian
ricordò le parole di Kurt e quanto lui stesso si fosse
sorpreso per
l'abbinamento così apparentemente insolito tra Elizabeth e
Burt
Hummel.
L'uomo si
schiarì la
gola e si volse bruscamente, camminando verso l'uscita.
“Sto
uscendo,
Sebastian: questa conversazione non c'è mai
stata”.
Soltanto
quando si chiuse
la porta alle spalle, Sebastian si lasciò nuovamente cadere
sul
divano e socchiuse gli occhi, portandosi le mani al viso.
~
Riuscì
abbastanza
abilmente ad ignorare il senso di colpa per aver mentito a
Séline :
una parte di sé aveva sperato che, continuando a disdire gli
appuntamenti con sempre maggiore frequenza, avrebbe potuto indurla a
prendere le distanze o suggerire una pausa di riflessione. Ma
più
intensamente cercava di sfuggirle e più lei sembrava
avvincerlo a
sé.
Scosse il capo ed
entrò nel pub con la sola intenzione di non pensare
più a nulla e
lasciarsi andare.
Non erano mancate
occhiate languide in sua direzione, qualche flirt senza significato
che non si era spinto oltre un ballo su note più sensuali.
Non era
Séline il problema ed era una verità che
continuava a macerare in
sordina, ma che non riusciva completamente ad accettare.
Si sedette al
bancone
del bar, rimirando la sua birra con sguardo assorto; era fin troppo
consapevole che divenire un habitué dei pub avrebbe soltanto
alleviato temporaneamente quel fremito interiore. Ma reso, poi, il
senso di colpa persino più gravoso, soprattutto se, sotto
l'influenza dell'alcol, non fosse riuscito a trattenersi.
"Credevo che
fossi indisposto", gli giunse il fiotto caldo del suo respiro
sulla pelle sensibile del collo e fremette involontariamente.
Si volse per
scorgere
Pierre che, l'ennesimo completo elegante, sembrava quasi fuori posto,
ma rivolse alla barista un ammiccamento e le disse soltanto
“Il
solito”, prima di sedere al proprio fianco. Soltanto allora
gli
rivolse il suo sorriso più mordace e lo sguardo parve
scintillare in
un modo che costrinse Sebastian a distogliere lo sguardo e ingollare
la bibita fresca, pulendosi poi le labbra con il dorso della mano.
Non vi era stata
un'incrinatura di biasimo nella voce, neppure di sospetto. Non che si
fosse mai dimostrato particolarmente protettivo nei confronti della
sorella e della sua vita sentimentale.
Sentendone ancora
lo
sguardo addosso, e non volendo dargli alcuna soddisfazione di saperlo
a disagio, si strinse nelle spalle. "Ora non più", fu la
sfacciata risposta.
Lo sguardo
dell'altro
parve persino dardeggiare più intensamente e, sorseggiando
il suo
drink, gli sfiorò il gomito con il proprio, in una maniera
che a
Sebastian parve davvero poco casuale, mentre emetteva la sua risatina
roca. Lo stava ancora guardando, mentre assaporava lentamente il suo
drink, prima di umettarsi le labbra. Le pupille parvero ingrandirsi
in quella penombra aromatizzata al luppolo.
"Mi piaci,
Sebastian", commentò dopo un lungo istante di silenzio, le
labbra presto increspate in un sorriso beffardo, ma lo sguardo che
non ne lasciava il profilo, quasi potesse sfiorare ogni singolo neo
che ne punteggiava la gota. Quasi potesse sondare in
profondità,
dandogli la netta sensazione di essere denudato.
Sebastian
cercò di
ignorare quel piacevole brivido all'idea d’essere oggetto di
simile
contemplazione (qualcosa che andava oltre il mero narcisismo), e la
gola parve seccarsi, ma il suo viso parve una maschera a dissimulare
il reale nervosismo.
Era come se
quelle sue
provocazioni non fossero più soltanto inferte con lo scopo
di
metterlo a disagio, come se lo stendardo potesse essere tolto. Era
certo che quelle parole avessero quel significato. Ma, a
differenza dell'altro, non riuscì a sorriderne o sentirne un
sollievo.
Al contrario,
parvero
accrescere quell'inquietudine e, se non fosse stato il proprio
orgoglio a rimetterci, avrebbe desiderato allontanarsi e il
più
rapidamente possibile.
Il sorriso non
scemò
neppure di fronte al prolungato silenzio di Sebastian, ma Pierre non
parve dispiacersene o biasimarlo per ciò. Distolse lo
sguardo, finì
di bere e restò silenzioso per un lungo istante, soltanto il
lieve
cipiglio sulla fronte parve tradirne la concentrazione. Volse,
infine, uno sguardo annoiato al locale, come a studiarne gli
avventori. Sorrise nuovamente a Sebastian, come se lo scorgesse
soltanto in quel momento, il viso inclinato di un lato: "Trovato
quello che cercavi?", gli chiese con intonazione più
vellutata,
realmente incuriosita.
Chiunque avrebbe
potuto pensare che si riferisse alle giovani che stavano ancora
ballando in pista, ma non Sebastian. Se una parte di sé
avrebbe
voluto ancora allontanarsi dal giovane e dal suo sguardo pressante,
l'altra parve incapace di realizzare quel proposito. Una parte di
sé,
per quanto gli fosse difficile ammetterlo, desiderava comprendere
dove quel gioco di provocazioni li avrebbe condotti. Che cosa
desiderasse davvero e se ciò, soprattutto, potesse confutare
i suoi
dubbi.
Vi era inoltre lo
scintillio suadente nello sguardo dell'altro, la cocente umiliazione
all'idea che Pierre avesse capito, persino prima di lui e non si
facesse alcuna remora a riguardo. Ma non vi era neppure giudizio o
ironia. Mera e semplice curiosità e un'intesa che Sebastian
avrebbe
voluto ignorare.
Scrollò
il capo, si
rimise in piedi ed indossò la giacca di pelle.
L’altro
lo imitò,
lasciando sul bancone una banconota sufficiente a pagare le bibite di
entrambi.
Si
lasciò il lungo
cappotto elegante, giocherellando con le chiavi e inclinando il viso
di un lato nello scrutarlo. Indugiò un solo istante, prima
di
parlare nuovamente: "Ti accompagno a casa", gli propose.
Un brusco cenno
d'assenso da parte di Sebastian: non gli avrebbe mostrato quanto
fosse insicuro di sé, quanto sentisse quel rimescolio
interiore, non
gli avrebbe dato la soddisfazione di percepirne il celato timore.
Neppure quel brivido del tutto nuovo a cui si stava spasmodicamente
aggrappando alla ricerca di quel qualcosa che sembrava sempre mancare
nella sua vita.
Non avrebbe
chinato il
capo di fronte a lui e forse, dopotutto, era pronto ad affrontare
l'eventualità ignorata a fatica per troppo tempo.
~
Era una visione
dolorosamente meravigliosa a cui, suo malgrado, non avrebbe voluto
apporre alcuna resistenza mentre, ancora ignaro della sua presenza,
Kurt si rimirava nell'ampio specchio della suite del Plaza Hotel.
Il cuore si
era contratto
dolorosamente alla visione del magistrale allestimento che aveva
trasformato Central Park in una location da cerimonia.
Poteva
soltanto
immaginare quanto l'altro potesse dirsi orgoglioso del vedere
realizzato il frutto della sua creatività, dei suoi sogni
romantici
e di un progetto in cui aveva fantasticato fin da quando era soltanto
un bambino.
Rachel Berry
appariva
raggiante, quasi fosse stata lei la protagonista del giorno (e non
dubitava che avrebbe dominato il palco, contendendoselo solo con la
Mezza SegAnderson), mentre gli svolazzava attorno, apparentemente
incapace di contenere la sua gioia. Sembrava che Kurt Hummel,
dopotutto, non sarebbe stato l'unico a coronare le sue idilliache
fantasie.
"Dieci
minuti",
le sentì dire con uno squittio eccitato, mentre lisciava la
camicia
dell'amico che sembrava vittima di un mutismo e di una calma davvero
irreali per il momento che stava vivendo.
Sebastian
sentì il
respiro venir meno. Fu allora che Rachel catturò il suo
sguardo: se
anche dubitava che qualcuno al di fuori di Burt Hummel fosse a
conoscenza degli ultimi avvenimenti, lesse biasimo e sospetto nella
sua espressione risentita.
La
ignorò, si volse per
uscire, nello stesso momento in cui i genitori dello sposo apparvero,
evidentemente per gli ultimi accorgimenti. L'uomo non disse nulla, ma
con voce eloquente si rivolse a Rachel per informarla che il
celebrante avrebbe gradito rivolgerle qualche parola, prima
dell'inizio della funzione. Rivolse un cenno a Sebastian e si chiuse
la porta alle spalle, quasi in ulteriore ed implicito invito a non
perdere l'occasione.
Kurt non parve
accorgersi
di nulla, ancora impegnato a rassettare la cravatta e le maniche
della giacca, probabilmente espedienti quotidiani per non farsi
(troppo) sopraffare dal panico. Ma sembrava a malapena consapevole di
ciò che lo circondava e Sebastian strinse i pugni e
avanzò in sua
direzione. Arrivò alle sue spalle e ne osservò la
figura
lentamente, quasi a voler fermare quel momento.
"Sei
bellissimo",
sussurrò al suo orecchio e non provò neppure a
controllare il lieve
tremore della sua voce. Lo sentì sussultare e Sebastian si
prese un
lungo istante ad inspirarne il profumo alla vaniglia e dirsi che Kurt
era realmente lì, ancora vicino e che avrebbe potuto ancora
cambiare
le cose.
"Sebastian!",
esclamò Kurt che si voltò, gli occhi sgranati
come se non riuscisse
a credere di trovarselo davvero di fronte. La sorpresa non sembrava
averlo turbato, ma continuava ad osservarlo, quasi fosse timoroso che
potesse scomparire da un momento all'altro: aveva allungato le
braccia, come se avesse desiderato cingerlo. Anche se non
compì quel
gesto, la consapevolezza che non lo odiasse davvero, fu più
di
quanto Sebastian potesse sperare. "Non credevo che-".
"Neppure io",
ribatté, sforzandosi di mantenere la calma. "Ancora non so
davvero perché sono qui", ammise e la sua voce ancora una
volta
ne tradì l'esitazione e il bisogno di trovare proprio in
Kurt quella
sicurezza di cui sembrava disperatamente mancare.
Kurt scosse il
capo e
ricoprì la distanza: lo sguardo azzurro parve volerlo
inchiodare sul
posto, nonostante la sua voce apparve come un flebile sussurro: "Ho
bisogno che tu lo dica".
Sebastian lo
guardò con
un misto d’amore e di puro e semplice terrore: di confutare
quanto
ormai le loro vite fossero intrecciate l'una all'altra, quanto
sarebbe stato semplice pretendere egoisticamente di farlo proprio ed
impedirgli di vivere la vita che aveva sognato fino a quel momento.
"Non posso",
ma
pareva lui stesso supplicarlo di non indurlo a cedere, ma
permettergli di lasciarlo andare.
"Sebastian, si
suppone che tra dieci minuti io sia all'altare”, gli fece
presente
con un fremito nello sguardo. Di impazienza e di esasperazione.
“Non
c'è più tempo".
Sebastian
distolse lo
sguardo, un sorriso amaro, mentre scuoteva il capo, cercando di
liberarsi da quelle parole che continuavano a vorticare nella sua
mente, come una condanna senza fine.
"Dirtelo non
cambierebbe le cose".
Lo sguardo
azzurro
lampeggiò e si fece più lucido, le sue labbra
tremarono, ma scosse
il capo: "No, non se non lo vuoi davvero", parve
supplicarlo di dare voce a quelle parole per il bene di entrambi, di
marchiare quella realtà in modo indelebile.
Con devozione
ed amore,
lo carezzò con lo sguardo, indugiando sulla pelle diafana,
quelle
efelidi nascoste al mondo, come fossero difetti estetici. Ogni
sfumatura di quello sguardo limpido in cui era tanto semplice
scorgere lo stato d'animo ed inclinò il viso di un lato.
"L'hai
sempre saputo", sussurrò Sebastian senza fiato.
Kurt distolse
lo sguardo,
come se ciò gli fosse fonte di indicibile dolore, ma lo
guardò con
quell'aria di rimprovero che gli aveva rivolto il primo giorno:
"Dimmelo, Sebastian, dimmi perché non dovrei andare avanti
con
tutto questo”, si tolse il cappello con un gesto quasi
irritato.
Ma Sebastian
lo prese
delicatamente, lo carezzò tra le dita con un sorriso insieme
tenero
ed accorato, prima di apporlo nuovamente sul suo capo, ben attento a
non sfiorarne la pelle, probabilmente timoroso che allora non sarebbe
più stato in grado di lasciarlo andare.
"Dovresti
sposarlo”,
sussurrò, tuttavia incapace di guardarlo in viso.
“ Potrà non
essere perfetto, ma ti resterà accanto e questa volta non ti
ferirà".
Kurt scosse il
capo, con
evidente stizza, ma si voltò, come se non ne sopportasse
più la
vista, guardandolo attraverso il riflesso mentre, con dita tremanti,
si fingeva concentrato nel lisciare la giacca da pieghe invisibili.
Un gesto così quotidiano che ironicamente gli avrebbe
ricordato
l'inizio della fine.
"Perché
sei qui?”,
gli chiese con voce stizzita. “A ripetere cose che chiunque
direbbe
contro di te?”.
Sebastian
sospirò, ma si
avvicinò abbastanza per inspirarne il profumo, pur timoroso
di
allungare le braccia e cingerlo un'ultima volta.
"Voglio che mi
prometti che sarai felice".
Una lacrima
scivolò
lungo la gota di Kurt, ma si voltò bruscamente, senza
guardarlo,
muovendosi verso l'uscita, come se non riuscisse neppure più
a
respirare in sua presenza.
"Questo
eroismo è
francamente fuori luogo”, commentò freddamente.
“E ora, se vuoi
scusarmi, devo andare a sposarmi”.
Sebastian
deglutì a
fatica, incapace persino di sussurrarne il nome, contò i
passi
necessari perché uscisse da quella porta. Perché
le parole mai
pronunciate riecheggiassero nel profondo di se stesso.
~
Non era stato
romantico, nulla di lontanamente simile a ciò che si sarebbe
potuto
definire tale. Ma aveva da tempo superato l'illusione delle favole e
delle farfalle nello stomaco.
Ma non aveva mai
provato nulla di simile per la giovane che gli era stata accanto da
che era nato. Era come se quella parte di sé più
latente fosse
finalmente sgorgata in superficie, come se finalmente Sebastian
Smythe si fosse sentito totalmente se stesso. Ma a quella
constatazione, non era seguito un senso d’appagamento che
andasse
oltre il mero piacere carnale.
Aveva cominciato,
quindi, a dubitare di essere capace di sentirsi intimamente coinvolto
con qualcuno, incapace di giungere ad una sintonia emotiva e mentale.
Si era detto che
una
volta fosse solo un esperimento, una ragazzata da fine liceo, la
seconda una mera verifica, ma la terza non poteva più dirsi
coincidenza.
Aveva evitato
Séline
, trincerandosi nel silenzio che lei aveva imparato a sopportare,
anche quando aveva sperato di poterla allontanare con uno strappo che
non fosse troppo brusco e doloroso. Una decisione che lei avrebbe
dovuto trovare in se stessa, perché non potesse lasciarsi
illudere o
dissuadere, perché sapesse che non avrebbe mai fatto ritorno
e che
non avrebbe potuto darle ciò di cui disperava.
"Non c'era
bisogno che mi accompagnassi", disse al ragazzo alla guida della
Porsche.
Lo infastidiva
con la
sua tracotante sicurezza, con il suo apparire dannatamente composto e
pacato, apparentemente egoistico al punto da preservare il proprio
benessere a quello della sorella.
Ciò
non faceva che
rendere tutto ancora più squallido, ma era parsa l'unica
situazione
che potesse proteggerlo perché tutto restasse celato. E, nel
profondo di se stesso, invidiava quell'abilità nel
dissimulare i
suoi reali sentimenti, la mancanza di una qualsivoglia remora o
sprezzo di se stesso. Quasi totalmente incapace di provare empatia e,
tanto meno, di salvaguardare un interesse diverso dal proprio.
Pierre sorrise:
"No
c'è bisogno che tu lo ripeta ogni volta", rispose con la
solita
baldanza, dopo aver spento il motore di fronte a casa Smythe.
Sebastian
sollevò gli
occhi al cielo ed uscì dall'auto, senza guardarlo: stare in
sua
compagnia, oltre alla mera attività fisica, gli procurava un
senso
innato di nausea e il desiderio di trincerarsi in se stesso e nei
propri dubbi.
Lo
sentì chiudere la
portiera e si rese conto che lo stava seguendo verso il portico: le
luci del piano terra erano ancora accese, probabilmente l'ultimo
drink della serata, prima che i genitori andassero a coricarsi.
Estrasse le chiavi di casa, ma fu ai passi alle sue spalle che si
irrigidì.
"Che stai
facendo?", gli domandò tra i denti, quando si accorse che lo
stava seguendo con la stessa aria divertita, quasi fosse
perfettamente naturale per lui accompagnarlo fino alla porta. Come
fossero reduci di qualcosa di vagamente ufficiale.
Pierre non si
scompose
alla sua espressione interdetta, sfoderò il migliore dei
suoi
sorrisi, ammiccò in sua direzione.
"Non mi saluti?",
sussurrò con intonazione più rauca ed
osservandolo in evidente
attesa.
Sebastian strinse
i
pugni lungo i fianchi e, per l'ennesima volta, si disse che avrebbe
cominciato a mantenere le distanze da quell'essere presuntuoso,
viscido e privo di qualsivoglia moralità che non faceva che
acuire
quel malessere interiore, dopo un fugace sollievo nel far tacere il
proprio senso di colpa.
"E'
finita”,
gli disse guardandolo dritto negli occhi. “Qualunque cosa
fosse, è
finita!", lo ripeté come se avesse bisogno di sentirlo lui
stesso, per confutare la possibilità di cadere nuovamente in
quel
malsano tira e molla.
L’altro
non
abbandonò il sorriso, inarcò l'elegante
sopracciglio con aria di
educata confusione, ma la sua voce restò un sussurro quasi
lascivo:
"E' perché ho cambiato dopobarba?", domandò.
Era un altro
degli
aspetti per i quali Sebastian non poteva che biasimarsi: era evidente
che Pierre non lo prendesse sul serio, che fosse soltanto un
giocattolo abilmente manipolato tra le sue mani. Che avesse tratto
giovamento dalla sua debolezza e dalla difficoltà di
accettare la
sua vera natura.
L'altro gli cinse
il
braccio e fu naturale cercare di allontanarlo, uno sguardo di puro
odio: "Non sono la tua puttana".
Pierre non smise
di
sorridergli con una certa superiorità, ma non
scostò la presa e gli
sfiorò il braccio con un movimento lento, piacevole,
guardandolo
dritto negli occhi con sguardo famelico quasi. Lo sguardo grigio
scintillò in un modo che fece scorrere un brivido lungo la
spina
dorsale di Sebastian.
Avrebbe voluto
poter
controllare
quelle
scariche elettriche, avrebbe voluto
illudersi di poter essere più forte del suo corpo e di quel
sentore
di vita, mai forte come in quel momento. Avrebbe voluto che la
repulsione non fosse pari soltanto all'attrazione malsana che
esercitava su di lui.
Sapeva che
l'altro lo
intuiva: si entusiasmava di quella lotta interiore, all'idea di
disporre di lui a proprio piacimento. "Lo sai che non puoi
combattermi", sussurrò al suo orecchio con la stessa
compostezza.
Sebastian non
parlò,
consapevole che la sua voce avrebbe tremato, ma gli rivolse uno
sguardo di puro disgusto, solo in parte destinato davvero al ragazzo
che aveva di fronte.
Il bacio di
Pierre fu
arrogante, deciso, quasi un pugno nello stomaco e Sebastian si
odiò
per quel tremore che lo attraversò.
La porta alle
loro
spalle si schiuse improvvisamente e Sebastian lo scostò con
tutta la
forza che aveva in corpo, consapevole di essere stato colto sul
fatto, mentre un rivolo di sudore freddo scivolava lungo la tempia.
Attimi quasi
infiniti
in cui attese la voce del padre o della madre, in cui gli parve che
il suo cuore rimbalzasse in petto e la sua mente si svuotasse, troppo
spaventato per agire.
Pierre sorrise
disinvolto, passandosi una mano tra i capelli, come nulla fosse
accaduto: "Ciao sorellina”, persino quel nomignolo
confidenziale e vezzoso sembrava veleno se pronunciato dalle sue
labbra e con quel sorriso crudelmente divertito.
Sebastian
boccheggiò:
non dovette voltarsi per capire che non si trattava di uno scherzo,
ma non riuscì neppure a muoversi.
Il tempo parve
protrarsi e contò i battiti del suo cuore: quelli che
scandirono
l'esatto momento in cui la sua vita parve fermarsi.
Si riscosse da
quel
torpore soltanto quando sentì i passi della ragazza,
l'andatura
decisa, malgrado i tacchi alti.
"Séline
",
la sua voce era un sussurro strozzato e ne artigliò il
braccio,
costringendola a voltarsi.
Si impose di
fissarne
gli occhi intrisi di lacrime e le labbra tremanti: si costrinse a
realizzare quanto dolore le stesse arrecando e quanto la sua colpa
fosse imperdonabile e profondo l'odio per se stesso.
Ma lo sguardo
della
giovane dardeggiò d'orgoglio quasi felino: si
scostò da lui, quasi
disgustata, le mani sollevate nel guardare dall'uno all'altro con il
medesimo odio.
"State lontani da
me... tutti e due", pronunciò quelle parole con notevole
sforzo. Seppur fosse evidente che stesse trattenendo a stento le
lacrime, dimostrò una risoluzione e una forza che Sebastian
non le
aveva mai visto fino a quel momento.
Non attese
risposta e
si allontanò.
“Bel
caratterino”,
fu il commento quasi divertito di Pierre, l'unico a non essersi
scomposto.
Avrebbe voluto
che il
pugno che gli aveva inferto avesse scaturito una minima
soddisfazione.
-
Era certo,
dall'accoglienza imbarazzata ma gentile dei genitori, che la giovane
non avesse fatto parola delle circostanze della loro separazione. Le
due famiglie erano state entrambe scosse dalla notizia (il che
confermava quante speranze avessero riposto in un loro romantico
matrimonio, all'indomani dell'università) ma nessuno era a
conoscenza del reale motivo. Non erano mancati i tentativi persino
dei vegliardi nonni di intervenire per l'amicizia antica e preziosa
che legava i due clan. Nulla che Sebastian volesse anche solo
considerare, nulla che lo avesse mai sfiorato nel profondo.
La sua shockante
rivelazione personale, invece, aveva lasciato i genitori in uno stato
di incredula sorpresa, ma, oltre ogni sua più rosea
previsione, non
tardiva fu la loro accettazione. Ma ciò non fece che
accrescere
l'idea di non meritare le persone che gli erano state poste accanto,
da che era venuto al mondo.
Non avrebbe
sofferto,
tuttavia, della lontananza e del ripudio schifato dei nonni.
Seppur suo padre
non
lo avrebbe mai ammesso, sapeva che l'imminente partenza per gli Stati
Uniti non fosse soltanto una fortunata coincidenza lavorativa.
Poco male, si era
detto: avrebbe accettato le gentili concessioni, ma giunto in
America, avrebbe vissuto alle proprie condizioni, a partire dalla
vendita della propria auto e dal racimolare denaro e risparmi per
vivere da solo.
Aveva accettato
con
sollievo l'idea di cambiare città e nazione: Parigi era
ormai
divenuta il simbolo della colpa più grande di cui non si
sarebbe mai
liberato. A quell'oppressione al petto, sperava di poter presto
sostituire una nuova libertà e una nuova consapevolezza di
sé.
Ma non se ne
sarebbe
mai andato, senza avere occasione di rivederla un'ultima volta, se
glielo avesse concesso.
"Avanti", lo
invitò ad entrare, dopo che ebbe bussato. Con un sorriso
amaro
constatò che era forse la prima volta che quell'uscio gli
era
precluso o che non facesse ingresso in quella camera in compagnia
della giovane stessa, se non dalla finestra.
Un solo attimo di
esitazione, cercò di placare il tremore delle dita e
abbassò la
maniglia per entrare nella camera da letto.
Seduta sulla
cassapanca sotto la finestra, Séline gli rivolse una breve
occhiata
e tornò alla sua lettura con il cipiglio corrugato, appena
più
pallida.
Sebastian
sospirò e
la osservò a lungo, ma seppe che non ci sarebbero state
parole
sufficienti, forse per tutta una vita. Non attese un ulteriore invito
e si chiuse l'uscio alle spalle, prima di avanzare in sua direzione.
Prese un profondo
respiro, abbracciando con lo sguardo quegli oggetti e quell'ambiente
che avrebbero dovuto costituire per lui una seconda casa, prima di
riuscire a pronunciare motto.
"Mi dispiace",
sussurrò e la voce ne tradì il tremore e
l'angoscia della propria
colpa.
Séline
inarcò le
sopracciglia, ancora guardando il proprio libro, con evidente
insofferenza, prima di chiuderlo e fissare un punto nel vuoto.
“Volevo lo sapessi,
prima della mia partenza”, aggiunse dopo un lungo istante di
silenzio.
Non aggiunse
altro,
domandandosi se non fosse il caso di allontanarsi, consapevole che
non avrebbe mai potuto placarne il dolore e l'umiliazione con parole
di circostanza. Ma avrebbe dovuto, almeno, concederle l'occasione di
scagliarsi contro di lui. Una parte di sé quasi
sperò che lo
facesse: che esplodesse con tanto di grida, lacrime rabbiose e
persino percuotendolo.
Séline
si alzò, le
braccia serrate al petto e lo osservò per un lungo istante,
quasi a
voler appurare se le sue parole fossero sincere. Non sembrò
dubitarlo, ma ciò non avrebbe giovato a nessuno dei due.
Appariva
stanca, quasi svuotata di tutto, persino di una legittima rabbia.
"Almeno adesso so
che il muro che avevi posto tra noi, non era una mia
responsabilità".
La sua voce era composta, ma lo sguardo ne lasciò
intravedere il
dolore intenso e tutt'altro che liberato.
Sospirò,
ma si impose
di continuare ad osservarla: "No, è stata una mia
responsabilità", confermò con voce afona.
"Mi hai mai
davvero amato?", gli chiese e, suo malgrado la voce ne tradì
un
tremore e una segreta speranza che, probabilmente, avrebbe potuto
minimamente compensare il dolore che stava vivendo a causa propria.
Sebastian
serrò la
mascella e distolse lo sguardo: trasse un lungo respiro, ma si impose
di affrontarla fino alla fine. Con la sincerità che le era
dovuta,
per quanto l'ammissione l'avrebbe ulteriormente mortificata e reso il
suo atto persino più spregevole.
"No", ammise
con reale angoscia nel ricordare quanto spesso avesse disperato che
la sua vita e i suoi sentimenti fossero limpidi. "Avrei voluto".
La giovane
sorrise
amaramente, ma annuì con aria consapevole. Il fatto che non
gliene
facesse una colpa, che non fosse disgustata alla rivelazione
più
intima della sua personalità, rese tutto persino
più struggente.
"Sei innamorato
di mio fratello?", gli chiese e sembrò disperare in una
risposta affermativa che desse un nuovo significato a quella
separazione, dandole una forma di legittimazione.
Il silenzio parve
persino più intenso, prima che Sebastian ritrovasse parola.
Ma non
ci fu esitazione, seppur mai più grande fu il disgusto di se
stesso.
"No".
Sapeva che una
risposta affermativa non avrebbe cancellato le sue colpe, ma
ciò non
parve che sminuire in modo persino più impietoso
ciò che era
accaduto e il modo in cui la loro relazione era giunta ad una brusca
fine.
Lasciò
che il
silenzio si prolungasse e che gli occhi della giovane continuassero
ad osservarlo, come se non riuscisse a credere che egli era davvero
la persona che aveva così a lungo amato e creduto di
conoscere fino
in fondo.
"Non sono delusa
per aver capito chi sei davvero", gli disse con una
sincerità
tale che Sebastian pregò quasi che non continuasse,
consapevole che
sarebbe stato persino più difficile accettarne le parole
successive.
"Ma non credevo che avresti mai potuto-". La voce si ruppe
e si lasciò sfuggire un singhiozzo. Scosse il capo e
cercò di
asciugarsi il viso il più rapidamente possibile, come ad
ammonirsi a
mantenere un certo riserbo.
Il cuore stretto
in
una morsa e il respiro flebile, Sebastian avrebbe accorciato le
distanze per cingerla un'ultima volta, ma sapeva che sarebbe stato un
gesto egoistico, così come chiederle di non versare altre
lacrime.
Vide di nuovo
scintillare la fermezza nel suo sguardo, osservandolo ancora una
volta, come se volesse cogliere i suoi pensieri celati.
"Sai cosa
è
davvero triste, più di ogni altra cosa?”, gli
chiese con un
sorriso amaro, ma la ferma intenzione di pronunciare quelle ultime
parole, come la giusta conclusione di quell'amaro epilogo.
“Non
credo che tu sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque
sia, senza
distruggerlo”.
Sebastian
sgranò gli
occhi: stava dando voce alla sua paura più grande. Non era
questione
di sessualità, soltanto della sua incapacità di
provare un reale
sentimento.
Se ne avesse
anche
colto la supplica silenziosa di non proseguire oltre, Séline
continuò con la stessa calma quasi glaciale: “Ti
manca qualcosa,
Sebastian, tu porti solo dolore in chi ti ama".
Si
voltò bruscamente,
come se non sopportasse più la sua vista o il pensiero della
farsa
che avevano vissuto fino a quel momento.
Sebastian non
rispose,
se anche lo avesse voluto, non avrebbe trovato parole per difendersi
o confutare i suoi stessi dubbi. Ignorò quel prurito al
bordo degli
occhi.
Si
voltò, percorrendo
la camera in ampie falcate, gettandole un'ultima occhiata, prima di
valicare la soglia. "Non avrei mai voluto ferirti”,
sussurrò
con voce più rauca. “Non mi perdonerò
mai per questo".
La vide
stringersi le
braccia al petto e mai come allora gli parve così esile e
tremante,
mai come allora si sentì incapace di proteggerla.
Continuò,
tuttavia, a guardare caparbiamente la finestra di fronte a
sé.
Le ultime parole
che
Sebastian le sentì dire, lo avrebbero tormentato ancora a
lungo, ne
era consapevole.
"Chi non sa
amare, non ha diritto di farsi amare”.
~
Era
come assistere ad un
sogno del quale aveva conoscenza, ma la beffarda consapevolezza rese
persino più insopportabili quelle immagini e
quell'incapacità di
muoversi.
Aveva volutamente evitato
di incrociare lo sguardo di Burt Hummel e l'immagine di Blaine
all'altare già in trepidante attesa, mentre scambiava
sorrisi e
saluti coi parenti, gli fece stringere lo stomaco.
I loro sguardi si
incrociarono, ma Sebastian si limitò ad un cenno del capo e
distogliere rapidamente il proprio, consapevole di non avere neppure
la forza di fingersi baldanzoso o di raggiungerlo per guastargli
l'umore con qualche frecciatina ironica, per dissimulare il suo reale
stato d'animo. Paradossalmente il suo acerrimo rivale aveva saputo
fin dall'inizio che cosa ne motivasse l'agire, che cosa lo scuotesse
nel profondo.
Sentì il suo stesso
respiro farsi più pesante, la dolorosa contrazione del
cuore, ma
affondò le mani nelle tasche per nascondere il tremore da
cui erano
percosse.
Un centinaio di invitati,
tutti in attesa che una sola persona facesse la sua apparizione, ma
Sebastian si sentì più solo che mai ed isolato
dal resto del mondo.
"Allora?",
quasi sussultò, quando scorse Hunter Clarington al suo
fianco.
Guardava dritto innanzi a sé, come un agente segreto che
debba
confondersi tra la folla con abilità da ventriloquo nel
muovere a
malapena le labbra, quasi timoroso che qualcuno ne carpisse il
labiale.
"Ho il furgone di
mio padre parcheggiato poco lontano da qui, puoi ancora rapirlo",
gli fece presente.
Sebastian serrò le
labbra che quasi si distesero in un sorriso, malgrado tutto, ma
scosse il capo, senza guardarlo. "Non hai paura che ti
riconosca?", alluse allo sposo che stava abbracciando Rachel
Berry la quale, con premura degna di una moglie devota, gli stava
acconciando il papillon. Doveva avergli rivolto un complimento, a
giudicare dal biancheggiare dei denti per il sorriso che le rivolse.
"Credo di essere
l'ultimo dei suoi pensieri", replicò distrattamente,
guardandolo con le sopracciglia inarcate. "Allora?",
lo incalzò.
"Va' a sederti con
la tua ballerina", e per la prima volta la sua parve una
supplica, più che un ordine.
Hunter scosse il capo, ma
lo guardò incredulo ed esasperato, appoggiandogli una mano
sulla
spalla, come a volerlo riscuotere dal suo turbamento.
"Non è il momento
di auto-punirsi, Sebastian, un « lo voglio »
è per sempre o fino
al divorzio”, continuò con voce strozzata per
l'agitazione.
“Certo, se sei fortunato magari per allora sarai laureato e
potrai
difenderlo", aggiunse ironicamente.
"Hunter", lo
richiamò senza guardarlo.
Forse fu il tono o il
fatto che, per la prima volta a memoria d'uomo, ne avesse pronunciato
il nome di battesimo, ma il barista parve capire che sarebbe stato
inutile continuare ad insistere. Sospirò ma raggiunse la
biondina,
cercando di nascondersi tra gli altri invitati.
Sebastian indugiò in
piedi, ignorando i posti vuoti e i saluti dei conoscenti, l'aria
compiaciuta della Ciabatta di Broadway nell'angolo dei testimoni e il
cenno educato dell'amica caffeinomane di Kurt.
Fu il primo a sussultare
al risuonare della marcia nuziale, altro elemento spettacolare cui
Kurt non avrebbe mai potuto rinunciare, e si voltò
lentamente.
Avrebbe voluto
trattenerlo in quello sguardo, nelle scuse che morivano in gola,
nelle parole d'amore mai pronunciate, nei baci sospirati.
Lo sposo sembrava a
stento capace di camminare, era piuttosto pallido in verità,
ma si
premunì di evitare il suo sguardo, sorridendo radioso alla
matrigna
che lo accompagnava, da tradizione, e rivolgendosi agli invitati e
alle loro esclamazioni di sorpresa. Camminò con incedere
fluido,
prima di incontrare lo sguardo di Blaine. E Sebastian seppe di averlo
già perso.
"Siamo qui riuniti
quest'oggi per unire questi due giovani al sacro vincolo del
matrimonio",
iniziò il celebrante con voce cadenzata e tutto parve ancora
incredibilmente surreale e distante.
"Se c'è qualcuno
contrario a queste nozze, parli ora o taccia per sempre".
Sentì
gli sguardi su di sé e sorrise ironicamente, affondando le
mani
nelle tasche, simulando tranquillità ed indifferenza, mentre
uno
sconfortato Hunter Clarington affondava nella sua poltrona,
passandosi una mano sul viso, come chi sta per assistere ad un
disastro epocale, ma non ha la possibilità di fermarlo.
"Vuoi tu, Blaine
Anderson, prendere il qui presente, Kurt Hummel, per amarlo,
onorarlo, rispettarlo, sostenerlo e confortarlo per tutti i giorni
della tua vita?”
La risposta fu concisa e
certa, dopo che Blaine lo ebbe guardato e gli ebbe rivolto un sorriso
emozionato: “Lo voglio”.
"Vuoi tu, Kurt
Hummel-".
Sebastian non riuscì a
sentire il celebrante ripetere la stessa formula, tutto il suo corpo
sembrava schiacciato da una pressione quasi soffocante.
Fin troppo presto la
domanda fu posta e tutto il suo corpo si tese nell'attesa della
seconda risposta che avrebbe sancito la fine di tutto.
Serrò la mascella,
strinse i pugni: una parte di sé attese di sentirlo
pronunciare
quelle due parole fatidiche.
Più pallido che mai,
Kurt Hummel si agitò sul posto.
“Signor Hummel?”, lo
incalzò l'ufficiante, in evidente attesa.
Dal silenzio assoluto e
partecipe, sorse un nuovo brusio agitato che percosse gli invitati
degli sposi e Rachel Berry boccheggiò, trattenendo a stento
il
cofanetto con la fede nuziale.
“Mi scusi”, sussurrò
Kurt, con aria mortificata, ma senza guardarlo: gli occhi azzurri
cercarono Sebastian e ne colsero il movimento con cui, più
pallido
che mai, si era fatto avanti.
Parve ritrovare coraggio,
malgrado gli occhi lucidi e il nervo a farne vibrare la guancia.
Così si volse verso
Blaine, lo sguardo mortificato, ma dardeggiante di una nuova
risoluzione.
“Non posso”.
To
be continued...
Spero
proprio che non
assisterò, domani, ad una simile scena ma, altrettanto
intensamente,
che questo finale abbia potuto compensare tutto l'angst di questo
capitolo :)
Mi auguro
inoltre che non
siate rimasti troppo shockati/sconvolti/delusi del leggere i
flashback di questo capitolo, mi rendo conto che posti agli sgoccioli
della fanfiction siano stati tra i più intensi, ma confido
che siano
stati in grado di rispondere alle domande in sospeso circa il
comportamento di Sebastian. La contraddizione nel porsi come ostacolo
ad ogni fase del matrimonio, ma non giungere mai ad una risoluzione
finale, proprio in virtù di quel fantasma del passato e
della sua
paura di portare solo dolore in chiunque lo ami. Un ricordo che ha
cercato lui stesso di rimuovere e mettere a tacere e che, attraverso
il sogno, si è nuovamente manifestato a livello consapevole.
In ogni caso,
per
qualsiasi dubbio o curiosità, sono a vostra disposizione :)
Un’occhiatina
al
prossimo capitolo:
“Anche
se ti sto ferendo, non posso iniziare una vita con te, sapendo che
non mi sento più tuo”.
“Mi
avresti lasciato dire di sì?” “Non mi
fido di me stesso, l’idea
di farti soffrire-” “Sebastian, mi ami?”.
“Mi
piaci, vuoi stare con me: sì o no?”.
Come
sempre, vi ringrazio
di cuore per avermi accompagnato in questo lungo percorso che sta
giungendo alle battute finali. In modo particolare chiunque mi
dedichi qualche pensiero o mi renda note le sue emozioni, dubbi, o
frustrazione :)
Buon weekend a
tutti,
un abbracciane,
Kiki87
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
13
Guardando
le pagine della mia vita,
ricordi
sbiaditi di me e di te.
Errori,
lo sai, ne ho fatti diversi.
Mi
sono ammacccato e sono caduto qualche volta.
Chiedimi
come siamo arrivati così lontano,
la
risposta è nei miei occhi.
Ogni
volta che ti guardo,
vedo
qualcosa di nuovo.
Qualcosa
di nuovo che
mi
conduce ancora più in alto
e
mi fa volerti di più.
Per
tutte le parole che non ho detto
e
tutte le cose che non ho fatto.
Stanotte
troverò un modo.
Non
voglio dormire stanotte,
sognare
è solo una perdita di tempo.
Quando
guardo cosa è successo
nella
mia vita,
capisco che
sono
ciò che sono, amandoti.
All
about loving you – Bon Jovi.
Capitolo
13
“Non
posso”.
Riuscì
quasi a percepire il fremito dei pensieri e degli interrogativi che
scorrevano nelle menti di tutti coloro che, increduli e sgomenti,
stavano assistendo a quel momento. Si sentiva esattamente come uno
degli altri astanti: semplice spettatore che non avrebbe avuto alcun
diritto di commentare o di intervenire, ma soltanto lasciare che Kurt
prendesse le redini della sua vita.
Blaine,
più di chiunque altro, parve impallidire e vacillare: le
labbra
tremanti e il fiato corto, non poté che osservare il
fidanzato con
aria impotente e semplicemente shockata.
Quest'ultimo
aveva gli occhi lucidi, ma non distolse lo sguardo, quasi non vi
fosse nessun altro presente, attorno a loro. Come se tutto
ciò non
stesse coinvolgendo anche gli invitati che erano confluiti dall'Ohio
o da altri stati americani per essere partecipi della loro giornata
più importante. Come se, dopotutto, a prescindere dallo
sfarzo e dal
suo estro artistico, quel matrimonio non fosse che
un'ufficializzazione di un rapporto che avrebbero dovuto difendere e
proclamare in pubblico.
"Non
posso sposarti", disse Kurt con voce flebile, malgrado l'enorme
macigno di cui si stava liberando, come una verità macerata
nel
profondo di se stesso ed incapace di essere trattenuta ancora a
lungo. Osservò l'altro con aria mortificata per non esser
riuscito
a giungere a quella conclusione prima che si trovassero l'uno di
fronte all'altro per dei voti che non avrebbe potuto stringere.
Parve
incassare il colpo con più dignità di quanta
Sebastian gli avrebbe
attribuito normalmente, non sembrava neppure arrabbiato. La sorpresa
lasciò, infatti, presto spazio ad una placida rassegnazione,
come
dimostrò il sospiro che si lasciò sfuggire, prima
di annuire.
Fu
forse ciò a dare a Kurt l'ulteriore slancio.
"Ho
baciato Sebastian", proclamò, guardandolo dritto negli
occhi,
perché in quel momento l'unica cosa che poteva ancora
concedergli
era onestà. Nient'altro che onestà.
Se
non fosse stato in quello strano stato d'animo di tensione e febbrile
attesa, Sebastian avrebbe notato, con una certa ironia, di essere
diventato protagonista della scena: come da copione, un centinaio di
facce si volsero in sua direzione. Uno stato d'animo opposto rispetto
a quello precedente, quando si erano girati per accogliere, con
sorrisi commossi e parole d’augurio, la passeggiata di Kurt
verso
il fidanzato.
"E
anche se ti sto ferendo e non troverò mai le parole per
scusarmi”,
continuò Kurt in un sussurro delicato. “Non posso
iniziare una
vita con te, sapendo che non mi sento più tuo".
La
voce era flebile e accorata, intrisa di reale pentimento per avergli
celato quel mutamento nei propri sentimenti. Soltanto allora
cercò
Sebastian con lo sguardo, quasi avesse bisogno di aggrapparsi a lui,
quasi disperasse della conferma di non aver perso tutto con una
semplice frase. Quest'ultimo dovette ricorrere a tutto il proprio
autocontrollo per non percorrere tutto il corridoio tra le due file
di sedie e avvincerlo a sé con foga. Tutta la propria forza
di
volontà per resistere ancora qualche istante, prima di
potersi
convincere che fosse tutto reale e non vi sarebbe stato alcun altro
ostacolo per loro, perché era stato Kurt stesso a concedere
loro
un'occasione.
"Lo
sapevo", furono le parole di Blaine, proferite con altrettanta
tranquillità, nonostante tutto.
Non
sembrava essersi indignato alla rivelazione del bacio, a differenza
della Signora Anderson che si era agitata sulla propria sedia e che
il marito stava a stento trattenendo perché non
intervenisse.
Parve
lui stesso dispiaciuto. “E' stata anche colpa mia”,
commentò con
grande sorpresa di Kurt. “Sapevo di starti facendo pressione,
ma
volevo egoisticamente trattenerti”, si passò una
mano tra i
riccioli e sospirò, come se lui stesso si stesse liberando
di un
peso indicibile. “Avrei dovuto avere il coraggio di lasciarti
andare per la tua felicità".
Sebastian
dovette constatare, suo malgrado, che non vi era traccia
d’ipocrita
condiscendenza o di vittimismo, ma sembrò persino sollevato.
Fu
la volta di Kurt di rivolgergli un'occhiata sconcertata, quasi
vacillando: "Non sei arrabbiato?", gli chiese, quasi
stentasse a credergli. Scosse nuovamente il capo.
“Ciò non toglie
che avrei dovuto essere sincero con entrambi e non saremmo arrivati a
questo”, continuò, quasi il contrappasso
richiedesse che si
accollasse ogni responsabilità. “Non avrei mai
voluto ferirti e-”.
Blaine
sollevò la mano e, incredibilmente, parve lui a volerlo
rassicurare,
visto il sorriso più dolce che gli rivolse.
"Non
ho il diritto di essere arrabbiato con te, perché lo
sapevo”, gli
strinse la spalla, quasi a sincerarsi che lo ascoltasse sinceramente.
“Lo sapevo da quando sono venuto a farti visita e ti ho
proposto di
convivere da subito perché le cose tra voi stavano cambiando
ed era
già troppo tardi. Ma ho cercato di negarlo fino a
convincermi che
non fosse davvero così”, scosse il capo, quasi con
ironica
consapevolezza.
Trasse
un profondo respiro e il suo sguardo, per la prima volta,
rivelò un
reale dispiacere.
“La
verità, Kurt, è che anche volendo, non avrei
diritto di biasimarti:
sono andato a letto con uno spogliarellista".
Il
brusio sconvolto degli astanti parve divenire assordante e
così le
esclamazioni di sorpresa e di sconcerto, mentre il celebrante, con un
gesto oltraggiato, lasciava cadere gli atti da firmare e scendeva
dalla pedana con aria scandalizzata.
Rachel
Berry, che alle parole di Kurt era parsa la vera vittima del
tradimento e i cui occhi si erano riempiti di lacrime in pochi
secondi (ma ciò non le aveva impedito di trafiggere
Sebastian con
uno sguardo di mero odio e disgusto, quasi si fosse fatto baciare per
il puro gusto di rovinare tutto con la sua folle
mente terroristica
), all'udire la
risposta di Blaine, emise un rantolo e svenne tra le braccia di Finn
Hudson.
Brittany
sbatté le palpebre con aria altrettanto sconcertata,
volgendosi al
suo cavaliere, con il volto inclinato di un lato e gli occhi azzurri
che esprimevano una reale curiosità, mista a divertimento.
"Quindi
siamo gli unici che ieri sera non si sono saltati addosso?".
Il
sorriso diabolico che Hunter Clarington aveva ostentato al vedere il
matrimonio andare in pezzi, vacillò. Boccheggiò
nel sentirne le
parole. Le labbra si contorsero in una smorfia e incrociò le
braccia
al petto. "Non per mia scelta", borbottò quasi offeso.
La
giovane sbatté le palpebre, ancora più
sconcertata: "Cosa?".
Si
affrettò a sorridere con aria serafica: "Ma che bel
vestito!”.
Santana
Lopez, seduta davanti ai due, sollevò gli occhi al cielo, e
si voltò
con aria stizzita, gettando una banconota ai piedi del barista con
aria di profondo disprezzo. "Non vali cinquanta dollari,
MasturbHunter", gli inveì contro.
Non
si era accorto di nulla Sebastian: lui stesso, malgrado fosse stato
l'artefice di quel tentativo di sabotaggio, sbatté le
palpebre con
aria sconcertata. Ma non era il momento (e neppure ne aveva un reale
interesse, a dirla tutta) di interrogarsi sul perché lo
spogliarellista avesse mentito al riguardo, coprendo le azioni di
Mezza SegAnderson.
"Tecnicamente
ero talmente ubriaco che mi sono addormentato”,
confessò Blaine
con aria estremamente imbarazzata, passandosi una mano tra i capelli
scarmigliati, prima di scuotere il capo, come a volersi rimproverare.
“Ma non nego che sarebbe potuto accadere e la parte di me che
non
ti sapeva più mio, voleva che accadesse",
continuò con un
sospiro, come se quella rivelazione gli procurasse una mortificazione
persino più grande.
Kurt
lo guardò con un misto d’incredulità e
di confusione, dopo aver
superato a sua volta lo shock. Parve impiegarci diversi istanti per
metabolizzare, ma scosse il capo, un sorriso quasi divertito. "Che
cosa stiamo facendo? Cosa... cosa stavamo facendo?", gli chiese
con le sopracciglia inarcate.
Blaine
emise uno sbuffo divertito e slacciò il papillon, come se
finalmente
avesse ritrovato a sua volta il respiro. "Quello che credevamo
fosse inevitabile per noi, immagino”, rispose con uno scrollo
di
spalle. “Ma abbiamo preso strade diverse e dobbiamo abituarci
a
quest’idea e ricominciare come amici", propose con un reale
sorriso.
Porse
la mano che Kurt strinse senza esitazione e inclinò il viso
di un
lato nell'osservarlo a lungo, come se stesse meditando sulle ultime
parole per concludere quella lunga parentesi della loro vita e del
loro amore liceale. "Ti auguro ogni bene, di tutto cuore".
L'altro
ricambiò il sorriso, trattenendone la mano, come una
sicurezza, in
nome di quell'amicizia che tanto aveva inciso sulla sua vita e sul
periodo più buio della sua vita. “Anche io, Blaine
Anderson: non
accontentarti di meno di quanto meriti”.
Si
lasciò abbracciare, mentre gli Anderson si alzavano per
andarsene: i
genitori con aria compunta e stizzita, al contrario di Cooper che
trotterellava alle loro spalle allegramente.
"Matrimonio
con sorpresa: hashtag SorpresAnderson", pronunciò con
l'enfasi
di un testimonial pubblicitario, digitando rapidamente un tweet e
allegando una fotografia del suo selfie con i due (ex) fidanzati
sullo sfondo.
Blaine
lasciò andare Kurt, gli rivolse un ultimo cenno di saluto e
si
allontanò, le mani conficcate nelle tasche della giacca. Nel
mezzo
della sua camminata lo sguardo guizzò verso un flash
accecante alla
sua destra. Si voltò in quella direzione, le sopracciglia
inarcate,
scorgendo Brittany che agitò la mano in sua direzione con
aria
festosa. Si pose di nuovo dietro l'obiettivo della macchina
fotografica usa e getta: "Sorridi, sei bellissimo!", lo
incoraggio con un trillo allegro.
Hunter
Clarington, ancora al suo fianco, parve tentare la mirabolante
impresa di sprofondare nella propria sedia, mentre il moretto
guardava dall'uno all'altra, con aria ancora più sconvolta.
Sussurrò
tra sé qualcosa come: "Stalker e impiegato del gas?!".
Sollevò
le mani e scosse il capo, l'attimo dopo. Decisamente era meglio non
sapere.
Sebastian
lo guardò avvicinarsi, senza muoversi: non avrebbe potuto
affermare
ipocritamente di sentirsi in colpa nei suoi confronti, ma doveva
ammettere che la sincerità e la dignità con cui
aveva digerito
l'abbandono sull'altare, gli erano valsi il suo rispetto. Forse.
Non
si scostò e neppure gli cedette il passo e Blaine si
fermò di
fronte a lui. “Che cosa aspetti?”, gli chiese senza
risentimento
e Sebastian seppe che, in qualche modo, stava loro concedendo una
benedizione che non gli avrebbe mai richiesto, ma che avrebbe giovato
a Kurt.
“Abbi
cura di lui”, parve chiedergli onestamente, come unica
condizione.
Annuì,
guardandolo dritto negli occhi, il viso inclinato di un lato:
“Lo
farò”. Soltanto allora si pose di lato per
lasciarlo passare.
"Chiedo
scusa a tutti”, Kurt sembrava quasi essersi abituato a
ricevere
l'attenzione generale, visto come salì nuovamente sulla
pedana per
rivolgersi con un sorriso accattivante ai suoi ospiti. “Il
banchetto è già pronto nella hall del Plaza, vi
prego di non
esitare a restare con me, se lo desiderate”.
"E
farete meglio a mangiare tutto”, incalzò Burt
Hummel, alzandosi e
togliendosi la giacca dello smoking, con evidente sollievo.
“Viste
le nevrosi e i soldi che ci è costato", aggiunse, suscitando
qualche sporadico verso di divertimento. Strinse la spalla del
figlio e scortò la moglie e gli invitati.
Sebastian
quasi neppure si accorse dello sciamare della folla attorno a lui: i
loro sguardi si erano nuovamente incrociati, ma attese che fossero
soli.
~
Non
amava quel silenzio: era come se la casa non fosse la stessa, come se
mancasse della sua stessa anima. Checché si era detto che un
paio di
giorni sarebbero scorsi in modo indolore e che, una volta tanto,
avrebbe avuto un ottimo diversivo per concentrarsi sullo studio,
l'attesa sembrava mortalmente lunga.
Non
avrebbe mai immaginato di poter sentire qualcosa di simile, non da
quando era sfuggito a Parigi e quella sensazione di soffocamento, per
costruire una vita solitaria, senza alcun coinvolgimento emotivo o
mancanza di esso.
Non
da quando vivere a Brooklyn era diventato sinonimo di convivere con
Kurt e far scorrere le loro vite in modo parallelo, fino ad attendere
di sentirne nuovamente la voce e avere il sentore di sentirsi a
casa.
Sospirò
nel rimirare il bancone dietro al quale era solito preparare la
colazione, sgridandolo perché era rientrato tardi e, come al
solito,
non aveva provveduto alla spesa in sua assenza, ma accumulato pile di
piatti sporchi.
Si
avvicinò al frigorifero, alla ricerca del post-it azzurro
sul quale
aveva appuntato l'ora e il numero del suo volo di ritorno.
Durante
l'esame di diritto penale, constatò con il cipiglio
corrugato. Non
che avesse in mente chissà quale accoglienza da film
sentimentale
che lui tanto apprezzava. Non che importasse essere lì al
momento
per osservarlo trascinare la sua valigia con un sorriso stanco, ma
soddisfatto. Sarebbe tornato al loft in taxi e avrebbe avuto l'intera
serata per raccontargli tutto.
Bevve
l'acqua dalla bottiglia, un vago sorrisetto al pensiero di come lo
avrebbe ammonito e compose il suo numero.
"Già
in piedi?La mia assenza ti fa bene", fu il saluto di Kurt e, suo
malgrado, Sebastian sorrise, come se lo avesse avuto di fronte, in
quel momento.
"A
te non fa sicuramente bene la mia”, rispose con la stessa
intonazione sardonica, accompagnandola ad un'espressione maliziosa,
certo che l'avrebbe colta dal timbro. “Quanto ti manco?".
"Mi
sto struggendo dal dolore", rispose con la tipica ironia che era
alla base della loro comunicazione.
"Bene”.
Sentenziò con aria soddisfatta. “Così
impari a partire con la
Berrysterica e lasciarmi qui".
"Sebastian”,
sospirò, come se ancora si sentisse in colpa. “Lo
sai che non
potevo rimandare. E poi avrai un esame importante che non avresti
dovuto saltare. In bocca al lupo, a proposito".
Non
lo consolava quel pensiero: ad essere onesto con se stesso, fin da
quando lo aveva accompagnato all'aeroporto, o meglio da quando gli
aveva detto che non avrebbe potuto portarlo con sé, aveva
sentito
quella contrazione al petto. Impossibile da ignorare.
"Mi
preparerai la cena per la mia prossima promozione con il massimo dei
voti?", gli chiese, tuttavia, con la stessa aria più
flirtante.
"Mi
farai trovare il frigo pieno al mio ritorno?", lo incalzò
l'altro, per risposta.
"Certo
che no”, rispose con aria indifferente. “Ma
ritroverai il
sottoscritto questa sera e sarà molto più
piacevole", atteggiò
la voce in un sussurro più provocante.
"Riesci
a sostenere una conversazione senza flirtare?", si finse
esasperato, ma aveva notato come la sua voce si era abbassata, quasi
timoroso che qualcuno li sentisse.
"No”,
replicò di slancio. “Non con te”, si
sentì aggiungere e si
sorprese lui stesso di come la sua intonazione fosse divenuta
soffusa, quasi lo stesse realmente vezzeggiando e non più
schernendo. Come se desiderasse davvero che l'altro si ponesse un
dubbio al riguardo.
Un
solo istante di silenzio, ma parve quasi percepire la sorpresa
dell'altro, quasi avesse realmente immaginato quell'intenzione.
Sembrò
voler ripristinare i soliti toni:"E' molto lusinghiero".
"Lo
so", rispose, ma scoprì che, persino comunicando
telefonicamente, gli era difficile, in quel momento, tornare a
quell'attitudine più arrogante.
Lo
sentì sospirare, ma evidentemente lo stesso Kurt provava
qualcosa di
simile. "Mi sei mancato", gli rivelò.
Sebastian
non poté ignorare quell'improvvisa aritmia o il sorriso che
si era
allargato prepotentemente sul proprio viso.
"Lo
so", rispose, ma non riuscì del tutto ad imitare la sua
tipica
baldanza e si schiarì la gola, tornando all'aspetto
pragmatico della
conversazione: "Quindi tornerai stasera?", finse di
chiedergli conferma.
"Stasera,
sì”, replicò Kurt che sembrava quasi
sollevato per quella sua
risoluzione. “Ho già finito di preparare i bagagli
e ho preso del
caffè per te dal Lima Bean", lo informò con aria
piuttosto
compiaciuta di sé.
"Mhm,
mi ami più di quanto credessi possibile", lo
canzonò, ma con
la stessa aria strafottente di sempre.
Kurt
non ebbe modo di rispondere: Sebastian sentì un borbottio in
sottofondo e immaginò che si trattasse di Burt Hummel.
"Devo
lasciarti, mio padre ha un'ultima gita a sorpresa da propormi, prima
di pranzo", notò che il suo tono era divenuto più
formale.
Immaginò che l'uomo stesse attendendo sulla soglia
dell'uscio e
stesse ascoltando le sue risposte, evidentemente immaginando chi
fosse il suo interlocutore. Non era certo di avergli fatto una buona
impressione: probabilmente il fatto che lo avesse colto in fragrante
nella contemplazione del fondoschiena del figlio non era stato
proprio un buon biglietto da visita.
"A
stasera e... Kurt?", si sentì richiamarlo, come aveva fatto
in
aeroporto. Con la stessa consapevolezza che avrebbe dovuto fermare il
tempo in quel momento, o avrebbe cambiato idea.
"Sì?".
"Spero
che il tuo culo sappia quanto mi è mancato”,
sussurrò e lasciò
che intuisse facilmente la trasposizione perversa del suo reale
stato d'animo.
Sentì
di nuovo del disagio dal suo silenzio, ma la sua voce ne
tradì il
sorriso: "Sì. Credo che ne abbia una vaga idea".
Lo
immaginò con le guance arrossate, ma la voce era soffusa,
quasi
tremula, prima che si schiarisse la gola, evidentemente il padre
mastino non si era allontanato. "Ciao Sebastian, ancora in bocca
al lupo per l'esame, a stasera".
"A
stasera".
Sorrideva
ancora, quando uscì dalla casa e incrociò uno
SfinterHunter intento
a correre verso il Ponte di Brooklyn. Chissà che un giorno
la sua
vita fallimentare non gli facesse prendere la saggia decisione di
gettarsi nel fiume. Possibilmente con una pietra enorme legata al
collo.
"Hai
una paresi alla faccia?", lo canzonò, restando a correre sul
posto per osservarlo con aria clinica. Chissà se era una
cosa che
insegnavano alla facoltà di medicina o se l'abitudine di
aguzzare
gli occhi dietro un paio di lenti, come una talpa, fosse divenuta
incontrollabile.
Neppure
lo degnò di uno sguardo e si mise le chiavi in tasca: "Hai
un
palo ficcato su per il-".
"Ah,
hai telefonato a Kurt”, lo incalzò l'altro, come
se bastasse
guardarlo per capirlo. “Tornerà stasera, giusto?".
Gli
lanciò uno sguardo di puro disgusto: "Non hai una ragazza
strabica da cui correre?".
"Stasera
mi racconterai tutto", gli rivolse un cenno del mento a mo' di
saluto, prima di rimettersi a correre.
"No,
stasera farai a meno di me”, gridò alla sua
schiena. “Goditi la
tua Jessica, se possibile".
"Jenna!",
urlò in risposta, prima di svoltare all'angolo.
Si
accorse vagamente, specchiandosi al finestrino dell'auto, che stava
davvero continuando a sorridere.
Quella
sera Kurt Hummel avrebbe avuto il ritorno in cui non avrebbe mai
sperato.
~
Fu
come se il tempo si fosse dilatato e cristallizzato in quel momento
d’autentica perfezione nel quale l'unica cosa importante era
continuare ad osservarlo e sapere che, ancora prima di avvicinarsi,
era suo. Indelebilmente suo e se anche avesse continuato a diffidare
di se stesso, Kurt non gli avrebbe permesso di lasciarlo andare,
senza concedergli di amarlo. Perché se era stato lui,
Sebastian, a
mettere in bilico tutto con quel bacio rubato; era stato Kurt a
concedere loro realmente un'occasione.
Si
avvicinò lentamente, come se stesse gustando ogni passo, il
sorriso
che si allargava sul viso, insieme allo scintillio più
brillante
dello sguardo. Quasi lo stesse contemplando per la prima volta e,
dopotutto, quello non avrebbe potuto considerarsi un nuovo inizio?
"Deve
essere stato il bacio migliore della tua vita, se ti ha fatto
cambiare idea", lo canzonò con il viso inclinato di un lato.
Cercò di controllare l'emozione nella propria voce e
quell'aritmia
fastidiosa, divenuta così tipica di quei momenti in sua
presenza.
Kurt
ne ricambiò il sorriso: il suo sguardo, come sempre, era
specchio
del suo stato d'animo, ma forse in quegli ultimi mesi aveva perso la
reale capacità di leggerlo, troppo concentrato su se stesso
e
sull'incapacità di superare i propri limiti. Si
beò per un istante
di cogliere la sua stessa aspettativa e lo stesso bisogno di
ricominciare da un nuovo approdo.
Solo
quando lo raggiunse sulla pedana, Kurt inclinò il viso di un
lato e
lo osservò: "Mi avresti lasciato dire di sì?",
chiese
come se la risposta potesse essere un'altra conferma. L'ennesima
prova del suo amore o, al contrario, la mancanza di fiducia in un
loro futuro insieme.
Deglutì
a fatica, ma non distolse lo sguardo e lasciò che potesse
indugiarvi
a cercare tutto ciò che aveva voluto seppellire
così a lungo.
"Non
mi fido di me stesso", disse sincero. “L'idea di farti
soffrire-".
Trattenne
il fiato, quando Kurt gli posò la mano sulle labbra, quasi a
fermarne le parole, prima di porre la domanda più
importante:
"Sebastian,
mi ami?".
Non
rispose. Lo guardò negli occhi con un misto di tenerezza, di
bisogno, di consapevolezza e di timore di rovinare ogni cosa.
Quasi
avesse la sensazione che potesse davvero spezzarsi, come nel suo
sogno, ne cinse i fianchi e lo attrasse a sé. Per un istante
lasciò
che il suo solo calore, mischiato a quel profumo fresco e inebriante,
lo avvolgesse. Appoggiò la fronte alla sua, perdendosi in
quella
sfumatura di un azzurro striato e ne carezzò il viso con
devozione,
sfiorandone ogni tratto quasi con reverenza.
"E'
l'unica certezza che ho", malgrado il sussurro appena
percepibile, il suo sguardo non era mai apparso più limpido.
Kurt
sorrise, gli occhi lucidi d'emozione e di pura gioia
nell'abbandonarsi al suo abbraccio, appoggiando le mani al suo petto.
"Mi basta: mi fido di te”, sussurrò per risposta e
Sebastian
assaggiò quel tremito doloroso eppure piacevole.
“E
ho bisogno di te, in un modo che mi spaventa, che non ho potuto
controllare, neppure quando credevo di aver già capito quale
sarebbe
stata la mia vita o chi sarebbe stato l'uomo da amare ogni
giorno”,
terminò con voce più flebile dell'emozione che
sembrava intingerne
ogni singola parola, togliendogli fiato.
Sebastian
sorrise, cercando di celare la propria, rafforzando la pressione del
contatto e chinandosi al suo volto, come se nient'altro fosse
necessario. "E comunque sono stato io a baciarti", sussurrò
con aria provocante, fremendo nel sentire il respiro di Kurt contro
le proprie labbra, prima ancora di sfiorarle.
"Oh
sì, e poi sei scappato", lo schermì in risposta,
sollevandosi
sulle punte per sopperire a quella minima distanza tra loro.
Non
seppe chi avesse compiuto quel movimento decisivo, ma neppure parve
necessario scoprirlo: si stavano aggrappando l'un l'altro, come se
fosse necessario riscoprirsi, ancora una volta, con la dolce certezza
che non si sarebbero più persi. Con la dolce promessa di
continuare
a conoscersi, ogni giorno di più, senza mai trovare reale
appagamento.
Ne
sfiorò la gota con devozione, baciandone il sorriso
sognante,
strappandogli quel verso soffuso, slanciandosi al tocco esigente
sulla sua nuca e pressandolo maggiormente contro il proprio petto.
Il
celebrante si schiarì la gola: seduto in prima fila,
guardò
dall'uno all'altro, inducendoli a scostarsi un breve istante. "Per
caso uno dei due avrebbe una vaga intenzione di sposare l'altro,
così, giusto per sapere?", chiese con un misto
d’incredulità
e di stoica rassegnazione, osservando lo scenario di una celebrazione
mai consumata. E divenuta scenario di un amore clandestino e
potenzialmente adulterino.
Kurt,
le guance arrossate, affondò il viso contro la sua spalla e
Sebastian rise, con aria realmente spensierata, riservando all'uomo
un'occhiata sfacciata.
"Non
qui e non ora, ma si ritenga già prenotato per quel
giorno”.
~
Sentiva
una strana euforia in petto, mentre osservava la porta del loft: era
simile a quell'aspettativa che aveva sentito scorrergli nelle vene,
prima di lasciare che si imbarcasse. Quel senso di forte
responsabilità e protagonismo: sarebbe bastata la giusta
risoluzione, un solo attimo e tutto sarebbe potuto cambiare per
proprio merito, senza subire passivamente gli eventi e senza sentirsi
come semplice spettatore impotente e incapace di controllare quel
tumulto interiore.
Il
sorriso si affievolì, mentre si avvicinava e la tensione gli
procurò
un'improvvisa aritmia.
Cercò
di ripetersi che non ci sarebbe stato affatto bisogno di cerimonie o
di gesti eclatanti. Kurt, in ogni caso, lo conosceva abbastanza da
non aspettarseli. La sola idea che lui potesse essere artefice di
qualcosa di simile era assurda.
L'unica
cosa che Sebastian sapeva con certezza era che desiderava valicare
quella soglia, prendere l'iniziativa con un gesto eloquente (e al
pensiero si umettò le labbra) e lasciare che fosse lui a
decidere
che cosa ne sarebbe derivato.
Voleva
che sapesse che non l'avrebbe più lasciato tornare in Ohio
senza di
sé e che era pronto a rimettere tutto in discussione, per la
prima
volta da quando aveva lasciato Parigi.
Se
solo Kurt lo avesse altrettanto desiderato, se solo avesse potuto
continuare a cercare in lui il meglio, ciò che avrebbe
voluto celare
allo sguardo altrui.
Se
soltanto Sebastian si fosse fidato abbastanza di se stesso da
cacciare definitivamente le ombre del passato e vivere appieno la
loro convivenza, perché assumesse un significato nuovo ed
entrambi
ne fossero consapevoli.
Persino
il trovarlo davanti ai fornelli, sembrò una conferma che
quella
fosse la loro realtà e che dovessero soltanto decidersi a
concretizzarla. Kurt canticchiava ed era tutto già
così pregno di
familiarità e quotidianità che Sebastian quasi si
sentì uno
sciocco per tutti quei dubbi e dilemmi interiori.
Scosse
il capo tra sé, ma si avvicinò fino a cingerlo da
dietro,
sorridendo per come riusciva sempre a sorprenderlo, anche con gesti
che apparivano intrisi di un'aria più giocosa.
Affondò
il volto nell'incavo della sua spalla, quando lo sentì
rilassarsi:
quasi ne avesse riconosciuto il tocco, prima ancora di realizzarne la
presenza.
“Sebastian”,
lo richiamò con intonazione sorpresa e assieme divertita.
Sorrise
e ne baciò la guancia, desiderando discendere lungo la linea
del
collo, seguendone il profumo e sorridendo del brivido che gli avrebbe
scaturito.
"Bentornato",
sussurrò con voce ovattata.
Lo
sentì sospirare per risposta, ma lasciò che si
voltasse: sembrava
un buon momento per prenderlo nuovamente tra le braccia, prima che
una parte di sé potesse cambiare idea.
Ne
osservò il sorriso sognante, le labbra morbide, cosparse di
burro
cacao e sentì quella piacevole contrazione al petto. Si
mosse in
avanti, ma fu uno scintillio improvviso a carpirne lo sguardo ed
indurlo ad abbassarlo verso la mano abbandonata al fianco.
Il
suo cuore sembrò fermarsi in una gelida morsa:
scrutò il suo
sorriso emozionato, lo sguardo lucido nell'indicare l'anello e
osservarlo con aria divertita, di fronte all'evidente shock. Ancora
prima che pronunciasse quelle parole che avrebbero cambiato
inevitabilmente la sua vita, comprese che quelle emozioni,
così
evidenti nel suo aspetto, non erano per lui.
"Io
e Blaine ci sposiamo".
Sebastian
sbatté le palpebre, gli occorsero diversi istanti per
assimilare
quella notizia.
Ma
il suo cuore, stretto in una morsa di ghiaccio, parve aver
già
compreso che era tutto finito, prima ancora di avere occasione di
iniziare.
~
La
festa tutto sommato, Sebastian doveva ammetterlo, sarebbe stata
piuttosto gradevole per la circostanza. Ma non riusciva a
concentrarsi su altro che non fosse Kurt: tutto il resto appariva
superfluo o privo di importanza.
Non
ne aveva più lasciato la mano: talvolta si sorprendeva a
sorridere
ogni volta che l'altro faceva strusciare il pollice contro il suo
dorso, procurandogli quel brivido che era ormai collaterale al loro
rapporto.
Sentiva
su di sé gli sguardi di Burt Hummel e di Clarington, ma non
avrebbe
saputo dire chi dei due apparisse più sospettoso e
soddisfatto
insieme.
Non
ci fu neppure bisogno di parlare: Kurt, all'ennesima canzone
romantica che avrebbe dovuto festeggiarlo con Blaine, gli rivolse uno
sguardo supplichevole.
Si
finse sospirante: quell'euforia tanto smielata non era qualcosa di
abituale, ma fu con una risoluzione quasi arrogante che lo attrasse a
sé. Adagiò la gota alla sua e socchiuse gli
occhi, ciondolando
pigramente a tempo, fino a quando non fu l'altro ad appoggiargli una
mano sul petto.
Si
scostò della misura necessaria ad osservarlo in viso: Kurt
lo stava
scrutando con aria così concentrata che temette in un
possibile
ripensamento.
"Quel
giorno all'aeroporto, prima che partissi per Lima", esordì e
Sebastian notò le sopracciglia aggrottate. Se da un lato era
lusinghiero che stesse rivalutando la loro convivenza (quasi a
cercare il fondamento di quel loro amore), dall'altro non era poi
così sicuro di essere disposto a condividere quella parte di
sé.
Persino con lui.
Si
strinse nelle spalle, un sorriso vagamente ironico: "Non
ricordo".
Kurt
lo colpì con una lieve pacca sul braccio, quasi avesse
intuito, al
contrario, ciò intorno a cui stava rimuginando nell'ultimo
anno.
Sembrava che ciò lo aiutasse a proiettarsi meglio in quel
presente,
nelle aspettative del futuro e, al contempo, gli consentisse di
guardare al giovane uomo che aveva di fronte con persino più
dedizione e dolcezza.
"E
quando ci siamo rivisti, prima che ti dicessi di me e di Blaine,
tu... volevi dirmi qualcosa", affermò con voce quasi
supplichevole. Di avere la conferma che non si trattasse soltanto di
una speranza segreta, che davvero il loro rapporto potesse avere
radici salde.
Sebastian
sospirò, ma gli sorrise con quel misto di divertimento e di
esasperazione, prima di scuotere il capo. Non avrebbe cominciato in
quel momento a fargli pesare quell'ultimo anno e tutto ciò
che aveva
dovuto nascondere. Non quando finalmente il futuro si apriva loro
innanzi e appariva tanto luminoso e reale.
"Non
ha più importanza", cercò di sminuire. "Ora siamo
qui,
no?", aggiunse con una nota più dolce. Si sporse per
baciarlo,
ma Kurt ne virò il contatto e lo guardò con
quell'ostinazione che
aveva imparato ad associargli dal primo incontro/scontro.
"Ne
ha per me”, insistette con voce flebile, già
intaccata dal senso
di colpa all'idea di essergli stato fonte di simile dolore.
“Per
tutto questo tempo, mi hai guadato organizzare il matrimonio
sbagliato e hai sofferto in silenzio".
Sebastian
si strinse nelle spalle, con un sorrisetto arrogante: "Potrei
aver fatto qualcosa di più che osservare".
Lo
ignorò, come se quell'ironia non fosse che un espediente per
non
apparire tanto vulnerabile ai suoi occhi. “Quel giorno,
quando sono
tornato e all'aeroporto: volevi dirmi che mi amavi?". Tale era
l'intensità della domanda che si dovettero fermare sulla
pista da
ballo.
Sebastian
distolse lo sguardo per un breve istante, prima di scuotere il capo.
"Non
lo so", ammise in tutta sincerità, carezzandone la gota con
devozione, senza più intenzione di dissimulare le proprie
emozioni.
"Era la prima volta che mi ponevo il semplice dubbio di poter
desiderare una vita diversa, ma ero certo che sarebbe stato con
te”,
aggiunse e non poté controllare la flessione più
rauca della
propria voce, realmente intaccato da quell'emozione.
Quelle
parole sembrarono proprio ciò di cui Kurt disperava,
malgrado
proclamassero l'incertezza di un bivio che era iniziato un anno
prima. Ne strinse la mano e se la portò alle labbra per
baciarla.
"Non
avrei mai creduto di poter essere io a scatenarlo”, ammise
con un
sorriso. “Anche se te lo avevo augurato a mo' di
minaccia”,
continuò in tono scherzoso, ricordando una delle loro prime
vere
conversazioni.
Sebastian
ghignò, altrettanto ironico: "Sono tuttora sorpreso quanto
te",
rispose sfacciatamente.
Rise
della sua pacca, ma si chinò a baciarne le labbra, come se
non
riuscisse più ad esprimere in altro modo i propri pensieri,
come se
quello fosse il più legittimo.
"Ero
disposto a mettermi in gioco”, continuò quando si
fu scostato, gli
occhi ancora chiusi, la fronte adagiata alla sua. “Avrei
tanto
voluto baciarti quella sera, avrei voluto farlo quello stesso Natale,
quel San Valentino e quest'anno”, raccontò con un
sospiro.
Ricordò, ancora una volta, la trepidazione di quei momenti e
quel
senso di insoddisfazione quando, ogni volta, era stato incapace di
soddisfare quel desiderio.
Schiuse
gli occhi soltanto quando Kurt ne sfiorò la gota, indugiando
sulla
scia dei nei, inducendolo a specchiarsi in quell'azzurro sconfinato e
puro.
Gli
sorrise con sguardo quasi lucido:"Avrei voluto che lo facessi,
in ognuna di quelle occasioni e quest'anno ho desiderato che tu mi
dessi quel motivo che non osavo cercare in me stesso”,
confessò
con altrettanta intensità.
Dopotutto,
ragionò Sebastian tra sé, era vero che certe
emozioni non potevano
nascere senza che l'altro ne sortisse l'effetto, per quanto
desiderasse celarlo o fingere il contrario. Dopotutto, non era mai
stato un amore soltanto proprio.
Si
strinse nelle spalle, sorridendo di nuovo come a canzonarlo: "Potrei
aver indugiato un po'".
Kurt
non ne ricambiò il sorriso, sembrava ancora osservarlo come
se
temesse che, una volta chiarito il suo stato d'animo e confessato
ogni cosa, lui potesse scomparire: "Non avrei mai voluto
ferirti", sussurrò con voce intrisa di reale pentimento.
Scosse
il capo e gli cinse la vita, tornando a muoversi e condurlo con
sé,
mentre adagiava il viso contro il suo collo, schiudendo delicatamente
le labbra, come a rassicurarlo con quel tocco vellutato. "Non mi
pento di nulla e non cambierei nulla, sapendo che questo è
il
risultato".
Sembrò
riuscire nel suo intento: Kurt si rilassò e gli cinse il
collo,
affondando il viso contro la sua spalla per poi percorrere la scia di
nei con le labbra, strappandogli un piacevole brivido.
"Per
essere un anti-sentimentale, sei stato capace di un amore da film",
sussurrò al suo orecchio e Sebastian immaginò il
suo sorriso dalla
flessione della voce.
"E
la cosa ti diverte", commentò con intonazione vagamente
più
stizzita.
"Al
quanto”, lo informò, per poi addolcirsi.
“E mi commuove e mi fa
capire che ho solo iniziato a capire quanto potrò amarti col
tempo".
"Suona
molto promettente”, si scostò per osservarlo in
viso, fermandosi
un'altra volta, un sorriso che si estendeva sul volto, facendone
scintillare gli occhi di smeraldo all'ennesima idea. “Non
pensi che
dovremmo partire?".
L'altro
sbatté le palpebre, con aria confusa e vagamente interdetta.
"Il
viaggio di nozze è già pagato, no?", lo
incalzò con aria
particolarmente divertita da quell'espediente.
Lo
vide impallidire, evidentemente a disagio all'idea dell'ex fidanzato:
conoscendolo probabilmente si sarebbe crogiolato nel senso di colpa
per molto tempo, malgrado tutto.
"Ma
non mi sembra molto opportuno, e poi era la mia scelta con Blaine
e-".
"Basta
kurteggiare”,
lo canzonò come agli esordi della loro convivenza, ma ne
strinse la
mano. “Cogli l'attimo".
Rafforzò
la pressione sulla sua mano e sorrise, a dispetto di se stesso: "In
fondo ho già le valigie pronte".
"Farò
le mie in un lampo, se non mi distrarrai”, lo
rassicurò e si
volse, trascinandolo con sé, prima che potesse realmente
cambiare
idea.
"Sebastian,
aspetta", insistette, inducendolo a fermarsi.
Si
volse, le sopracciglia inarcate, ma Kurt lo attrasse a sé
per un
altro bacio, trattenendolo un lungo istante, quasi ancora non
riuscisse a credere che fossero insieme e quella fosse l'unica prova
indelebile.
Sebastian
sorrise, trattenendolo fin quando sembrò desiderarlo, ma si
costrinse a scostarsi, sussurrando nuovamente sulle sue labbra. "Non
tentarmi, Hummel: abbiamo una luna di miele senza matrimonio per
questo".
~
Voce
di Fata era davvero una persona dolce e gentile come se l'era
immaginata dalla comunicazione telefonica. Il suo aspetto,
così
simile a quello di un elfo di Natale!, era solo sembrato una
conferma, soprattutto gli occhi di quella bellissima sfumatura
d'azzurro. Ma non si sarebbe mai aspettata che lui e Ciuffo Disney
(allora era proprio
innamorato ed era evidente che Voce di Fata avesse un bell'effetto su
di lui) le avrebbero permesso di fermarsi nel loro loft, nell'attesa
che si trovasse un nuovo appartamento.
Certo,
era anche una bella responsabilità e avrebbe dovuto stare
attenta a
non distruggere qualche oggetto di valore. Probabilmente avrebbe
anche fatto meglio a non uscire di casa e dire al Signor Murphy che
era malata, tanto per non rischiare di perdere anche le loro chiavi.
Si
riscosse alla vista di Hunter che, il viso appena più
colorato per
lo sforzo, stava trasportando le ultime valigie con un braccio e la
gabbia da viaggio di Lord Tubbington dall'altro. Quest'ultimo aveva
il muso schiacciato contro le grate della porticina e le unghie
sguainate nel tentativo di assalirlo durante il trasporto.
"Ed
ecco la best- il tuo gatto”.
Gli
sorrise con aria riconoscente, si mise in ginocchio per liberare il
felino e lo prese tra le braccia, senza sforzo, ignorandone gli
sbuffi risentiti e il pelo gonfio a tradirne l'inquietudine per
quello sgradevole viaggio. Ne baciò il musetto e si
guardò attorno,
tenendolo come un neonato.
"Guarda,
Tubby, questa sarà la nostra casa per qualche giorno".
Lo
sguardo azzurro parve perdersi in un punto indefinito, mentre Hunter
Clarington si guardava a sua volta attorno: era la seconda volta che
entrava tra quelle quattro mura, ma persino lui si avvide che
sembrava già sentirsi un'atmosfera diversa. E non aveva
dubbi che
tale impressione sarebbe stata confermata, se vi avesse fatto ritorno
dopo una convivenza di coppia tra i due innamorati.
Scosse
il capo tra sé, ancora vagamente sconcertato dagli eventi
della
giornata, ma si rivolse di nuovo alla giovane con un sorriso
impacciato: "Allora, se hai bisogno di qualcosa, chiamami
pure”,
le disse, prima di stringersi nelle spalle. “Io credo che-".
"Per
tutto questo tempo l'ha amato”, commentò Brittany
tra sé e sé,
evidentemente non avendone ascoltato alcuna parola. E neppure
essendosi accorta di come il gatto stesse cercando di attaccare il
ragazzo da sopra la sua spalla, costringendolo a schivare le unghiate
come un abile imitatore di Neo.
“Ma
era disposto a lasciargli sposare un altro perché non
credeva di
essere abbastanza o di poterlo amare come meritava. Lo ha quasi perso
oggi", continuò tra sé con un sospiro, come se
quella
riflessione le procurasse un personale motivo di cruccio e di
amarezza.
Hunter
annuì, seppur incuriosito dal modo in cui, più di
una volta, lo
avesse sorpreso con riflessioni così profonde e personali,
celate da
quella tipica espressione confusa e/o sognante. "Credeva di
proteggere entrambi, in qualche contorto modo”, aggiunse con
un
sorriso ironico.
"Io
non voglio continuare così", dichiarò Brittany
che, ancora una
volta, sembrava seguire un filo logico proprio e che era sconosciuto
persino a lui.
Depositò
il gatto a terra, ignorandone il soffio indignato e si
avvicinò al
giovane con una nuova risoluzione a sfiorarne lo sguardo azzurro.
Strinse i pugni esili lungo i fianchi, dovendo leggermente reclinare
il viso per osservarlo negli occhi.
"Non
voglio più nasconderlo", aggiunse con una nuova sicurezza a
renderne lo sguardo più fermo.
L'altro
assunse un'espressione comicamente perplessa: non quella che esibiva
di fronte ai suoi nomignoli d'eccezione (sembrava ormai più
che
avvezzo) o alle caratteristiche antropomorfe che attribuiva all'obeso
felino. In realtà non era mai apparso così
confuso o incapace di
prevederne le reazioni o gli intenti. Si sarebbe sistemato meglio gli
occhiali sul naso se li avesse indossati in quel momento.
"Eh?",
domandò con genuino stupore.
La
ballerina sorrise con genuina spensieratezza, come se fosse stato
divertente vederlo basito, probabilmente ciò era l'ennesima
prova di
quel suo affetto particolare. O di come ne avesse intuito la vera
essenza, malgrado spesso avesse cercato di sorprenderla con modi
più
cavallereschi, misti ad una maldestra aria seducente.
Allungò
le mani e con la stessa spontaneità di un commento a cuor
leggero,
ne cinse le gote e si sollevò sulle punte per appoggiare le
labbra
alle sue in un bacio sfiorato, appena accennato. Una carezza timida,
una sorta di richiesta di permesso, o un modo di appurare un pensiero
e renderlo reale.
Non
lo aveva sentito muoversi: era come se si fosse pietrificato,
malgrado la pressione appena percepibile. Si scostò dopo
quella
lievissima impronta, come se avesse trovato la certezza: le guance
più rosate, lo sguardo scintillante e un sorriso
più femmineo,
prima di portarsi le mani ai fianchi con infantile intenzione di
apparire sicura nella domanda che formulò, dopo essersi
schiarita la
voce.
"Mi
piaci, vuoi stare con me: sì
o no?".
Hunter
parve incapace di proferire motto: la mascella abbassata e le labbra
schiuse in un'espressione di stolida sorpresa. Vittima dello stesso
sconvolto stupore che gli aveva impedito di ricambiarne il bacio.
"Oh
no”, pigolò Brittany con voce mortificata.
“Tu non volevi!",
gemette e si tappò le labbra con aria umiliata, le gote
arrossate e
gli occhi lucidi. "Scusa, scusa tanto, sono una pasticciona e-".
Soltanto
allora il ragazzo parve riaversi perché fu repentino a
cingerne i
fianchi ed attrarla a sé: "Oddio, sì,
sì che lo voglio!",
commentò in risposta, con incredibile foga.
Lo
sguardo verde guizzò e un sorriso più suadente ne
curvò le labbra:
non le diede adito ad una risposta perché si sporse a
baciarla
intensamente, come aveva immaginato per tanto e troppo tempo,
lasciando più di un'impronta sulle labbra rosate.
La
sentì abbandonarsi docilmente con un morbido verso soffuso,
simile
ad un miagolio.
Al
sentirla sorridere del suo bacio, dopo avergli cinto il collo e aver
preso a sfiorarne la nuca con sorprendente naturalezza e decisione,
indietreggiò con lei. Fino a quando il verso strozzato del
gatto non
fu la prova lampante di averne appena calpestato la coda.
Ora
sì che era tutto perfetto.
~
"Ma
se capiscono che è un trucco e non siamo gli sposi in luna
di
miele?", bisbigliò Kurt, non appena valicarono la soglia del
sontuoso hotel, trascinando la propria valigia e guardando l'altro
con espressione evidentemente preoccupata.
Sebastian
si strinse nelle spalle, divertito per quella futile paranoia: dopo
l'ultimo anno trascorso, quello non poteva davvero considerarsi un
vero cruccio.
"Rilassati,
hai pagato, no?”, domandò con aria pragmatica.
“Per loro è
indifferente, ma se preferisci potremo sempre improvvisare, sono un
ottimo attore: dovresti saperlo ormai”, aggiunse con aria
compiaciuta di se stesso.
"Ma
non abbiamo neppure gli anelli!".
Sebastian
sorrise, come se avesse previsto quella sua protesta ed estrasse due
involucri, trovati nel sacchetto delle patatine comprate durante il
volo. Lo aprì, dopo essersi fermato al centro della hall e
gli
porse uno dei due anelli di plastica: "Azzurro per te,
marito",
commentò
insinuandoglielo all'anulare con aria esperta ed indossandone uno
verde.
L'altro
sospirò con aria divertita ed esasperata insieme, ma non
poté che
rimirare il proprio dito con mera adorazione. "E' la cosa
più
pacchiana, ma deliziosa che abbia mai visto", sussurrò in
tono
stucchevole, lievemente velato di ironia che strappò un
sorriso a
Sebastian.
“Bene,
se abbiamo finito con le paranoie del giorno”, non gli diede
tempo
di replicare perché, intrecciata nuovamente la mano alla
sua, lo
condusse alla reception, rivolgendosi con un sorriso al concierge.
“Buonasera, abbiamo una prenotazione per la luna di
miele”,
esordì senza alcuna esitazione nella voce.
"I
Signori Anderson, immagino”, sorrise con aria affabile l'uomo
nella
sua lucente divisa.
“Benvenuti".
Sentì
Kurt ridacchiare di fronte alla sua espressione stizzita, ma non
perse tempo nell'esibire la sua migliore espressione di educata
perplessità, con un sorriso a fior di labbra.
"Mio
marito ama prendersi gioco di me e ha prenotato con le credenziali
del suo ex fidanzato”, rivelò con un sospiro,
osservando
l'espressione confusa dell'uomo, intento a digitare qualcosa al
proprio computer. “Ha un senso dell'humour molto discutibile,
lo
perdoni".
"Ehi!”,
soffiò Kurt con aria indignata, ma Sebastian lo
ignorò e si
affrettò a prendere il portafoglio dalla tasca interna del
soprabito.
"Siamo
i signori Smythe, prego", porse una banconota con un sorriso
eloquente.
"Vi
farò subito accompagnare dal fattorino, signor Smythe",
replicò
l'uomo con un sorriso affettato.
“So
che non ti faceva impazzire l'idea di tornare a Parigi”,
esordì Kurt guardandosi attorno con espressione
evidentemente
soddisfatta. “Ma devi ammettere che questo hotel è
davvero
meraviglioso: siamo davanti agli Champs Elysées!”,
convenne con
espressione raggiante, lasciandosi cadere sul materasso e sollevando
le gambe per poi lasciarsi cadere all'indietro con aria giocosa.
Si
accorse dopo un lungo istante che Sebastian non lo stava realmente
ascoltando: lo aveva seguito con lo sguardo, sin da quando si era
tolto il soprabito. Non sembrava neppure provare un particolare
rammarico o disagio al vederlo ancora in abito da sposo: ne
seguì i
movimenti, appoggiò il proprio soprabito sul divano, con
aria
distratta, e gli si avvicinò.
Si
adagiò sul materasso e, senza proferire parola, si sporse
alle sue
labbra, come se improvvisamente si fosse reso conto di non poter
più
farne a meno, che tutto il proprio mondo, da quel momento in poi,
sarebbe stato in quel contatto. A ricordargli che erano finalmente
un'unica cosa e che non avrebbe più dovuto aver timore di
perderlo.
Sentì
Kurt rilassarsi sul materasso e le braccia esili lo cinsero con la
stessa naturalezza, mentre scivolava su di lui, assaggiando quel
bacio e sentendo quel piacevole brivido di pura vita. Scostò
le
labbra per vezzeggiare la pelle delicata e fresca del collo,
sorridendo nel percepirne l'intirizzimento. Mugugnò quando
Kurt
incastonò le dita tra i suoi capelli.
“Forse
dovremmo aspettare”, sussurrò quest'ultimo con
voce incerta,
inducendolo ad inarcare le sopracciglia. “Poche ore fa stavo
per
sposare un altro, non vorrei che tu-”.
Gli
sorrise con aria rassicurante e dolce insieme: “Ventiquattro
ore fa
stavi baciando me”, gli ricordò con uno scintillio
suadente dello
sguardo.
“...pensi
che sia un prostituto”, continuò Kurt.
Scosse
il capo, sorridendo con aria quasi divertita all'idea che nulla
potesse essere più lontano da quella purezza incontaminata
che lo
aveva colpito dalla prima volta, nonché dalla sua
riservatezza e
timore nel mostrare qualcosa di meramente personale. Dai propri
sentimenti ad una porzione di pelle nuda.
"Sei
un idiota, paranoico e incredibilmente incapace di sentirti degno di
qualcuno, persino di me, anche se hai sempre criticato la mia
squallida vita promiscua”,
ne
imitò il tono pomposo e sdegnato, arricciando il naso.
"E
tu un egocentrico narcisista, finto cinico, ma capace di un amore
unico come te”, sussurrò, sfiorandone
delicatamente la guancia e
Sebastian, ancora una volta, rabbrividì all'idea che un
tocco così
innocente fosse capace di farlo fremere nel profondo.
Sospirò,
continuando ad osservarlo. “Disposto persino al silenzio, pur
di
farmi decidere della mia vita", continuò sulle sue labbra,
cingendogli la nuca per avvincerlo a sé.
"Nell'albergo
della tua luna di miele”, rimarcò in tono
distratto, socchiudendo
gli occhi. “Con me".
"Con
te", sussurrò sulle sue labbra, sorridendo su di esse.
Non
aveva mai provato nulla di vagamente simile: era come perdere
totalmente coscienza di se stesso e, al contempo, riuscire a trovare
nuovamente un baluardo di sé nei suoi baci, nelle carezze
lasciate
sulla propria pelle, nell'incavo del suo collo, in cui rifugiarsi
quando l'emozione sembrava prendere il sopravvento. Quando si
costringeva a restare cosciente e ricordarsi chi stesse stringendo
tra le proprie braccia perché la realtà non si
spezzasse in un
sogno solitario.
Quell'essenza
di vaniglia parve avvolgerlo in un caldo abbraccio, annullando tutto
il resto, abbandonandosi con la stessa devozione fervente e il timore
quasi reverenziale di poter persino spezzarlo con un tocco troppo
appassionato.
"Kurt",
sussurrò l'ennesima volta sulle sue labbra: persino in quel
momento
sembrò cercare la conferma che non fosse soltanto un sogno,
ma che
fosse realmente suo. Anima e corpo.
"Sono
qui".
Quasi
riconobbe a stento la sua stessa voce, ma ne accolse il bacio, con lo
stesso spasmodico bisogno, mentre tutto il resto si annullava,
inducendolo a stringerne maggiormente la mano e trattenere il fiato.
Ancora un altro istante. Per sentirlo completamente.
"No,
siamo qui", riuscì a dire in un ultimo sospiro.
~
"Sono
un disastro nelle relazioni", esordì Hunter, infrangendo
quel
silenzio piacevole, con il sottofondo dello sfrigolio della legna,
mentre incastonava le dita tra i lunghi capelli della ragazza che
aveva adagiato il capo contro il suo petto e sembrava lì
lì per
addormentarsi sul divano.
Al
sentirlo parlare, schiuse gli occhi e si scostò appena per
guardarlo
in viso con un vago sorriso divertito, reclinando il capo. "Parli
con chi perde le chiavi, dimentica di pagare l'affitto, le bollette e
le more”, gli ricordò con semplicità.
Quasi incredula che fosse
lui l'elemento della coppia a poter avere dubbi sulla propria
rispettabilità.
Sorrise
in risposta, sfregando il naso a quello della giovane: "Ci
penserò io a farti da consulente finanziario”, la
rassicurò. “
E ti farò confezionare un bracciale con le chiavi di casa
come
ciondolo".
Seppur
emozionata alla prospettiva, a giudicare dal luccichio dello sguardo,
rise con la stessa aria spensierata: "Finché non
perderò anche
quello?", gli domandò con aria provocatoria, quasi a
testarne
la pazienza.
"Vorrà
dire che avrai un centinaio di chiavi di scorta e le
disseminerò nei
dintorni”, continuò l'altro come se, ad ogni
piccola obiezione
posta, trovasse persino più piacere nello sciogliere i
dubbi,
sentendosi lui stesso più forte e in grado di sostenere una
relazione, senza rovinare tutto. “Magari cambiando serratura
ogni
mese, giusto per sicurezza", aggiunse tra sé e sé.
La
giovane rise, ma ne baciò le labbra con lo stesso schiocco
più
infantile e devoto insieme, prima di tornare ad accoccolarsi alla sua
spalla.
"Hai
detto che non volevi più aspettare”,
commentò il ragazzo dopo
qualche istante, quasi stesse ancora riflettendo sugli ultimi eventi
e il loro rapido evolversi. “Da quanto?",
chiese con le sopracciglia inarcate, quasi incredulo di non essere
riuscito a cogliere quei sentimenti che tanto aveva disperato di
poter carpire nel loro rapporto.
"Non
lo so di preciso”, ammise la giovane, ma lo sguardo parve
ammantarsi di quella stessa concentrazione che spesso lo rendeva
vacuo e distante. Sorrise ad un particolare ricordo, prima di
continuare. “La prima volta che ti ho visto, ho sentito un
mal di
pancia incredibile, ma credevo fosse colpa delle fragole”,
raccontò
con quella tipica genuinità. “Ma con il tempo e
gli strani
monologhi in spagnolo di Santana, ho cominciato a capire che non era
casuale ed era tutta colpa tua”, soggiunse con aria vezzosa,
puntandogli il dito al petto.
Hunter
corrugò le sopracciglia con aria perplessa: "Ma è
da quando ti
conosco che provo a invitarti fuori e non sembravi mai interessata".
"E
allora, tu?”, ribatté l'altra con un broncio
infantile. “Pensano
tutti che tu e Sebastian siate una coppia di delfini!”.
Gli fece presente con altrettanto sconcerto.
La
conosceva ormai troppo bene per poter restare sconvolto a quella
metafora, ma serrò la mascella, fissando la parente innanzi
a loro
con uno scuotimento del capo. "Io l'ammazzo", borbottò tra
sé e sé.
"E
quando mi convincevo a parlarti”, riprese la giovane con un
vago
sospiro. “Ti comportavi in modo davvero strano
con Sebastian”. Si strinse nelle spalle e sorrise: quel lieve
cruccio era scomparso, con la stessa rapidità con cui era
apparso.
“Certo, poi ho capito che lui ama Kurt, ma avete un rapporto
un po'
equivoco”, commentò con la sua tipica schiettezza.
Il
ragazzo sospirò con aria stoica, ma parve decidere che,
dopotutto,
non aveva bisogno di sapere altro, perché
l'attirò nuovamente a sé
e ne baciò la gota: "Questo non posso negarlo",
bisbigliò
al suo orecchio.
"Allora
io non negherò che faccia parte del tuo fascino, anche se
continua
ad essere strano”, lo informò. Lo scintillio
vivace dello sguardo,
lasciò spazio ad una consapevolezza più femminea
nel sederglisi in
grembo per cingerne il collo e sporgersi alle sue labbra.
“...
forse, dopotutto, non lo ucciderò”, parve
riflettere, reclinando
lievemente il collo e cingendone la nuca.
“Mhm,
basta parlare di Sebastian”, mugugnò in risposta.
~
Non
ricordava di aver mai dormito così piacevolmente: era come
essersi
perso in un torpore del tutto nuovo, come se non avesse mai compreso
quanto avesse bisogno di un simile e piacevole abbandono. Strinse
istintivamente il corpo caldo di Kurt, laddove quell'essenza
più
dolciastra si era fusa alla propria, con la stessa naturalezza con
cui il giovane era diventato parte della sua stessa vita.
Sorrise,
gli occhi ancora serrati, quando lo sentì acciambellarsi
maggiormente contro il suo petto, quasi ne avesse percepito il
risveglio. Ne ebbe conferma quando prese a tempestarne il viso di
morbidi baci, seguendo la linea curva dei nei, inducendolo a
stringerlo più intensamente.
"Mhm,
ingordo", lo vezzeggiò a mo' di buongiorno, schiudendo
appena
un occhio e cercando di abituare la vista alla luce e ignorare i
postumi del jet lag, simili ad una sbronza. Eppure nulla sembrava
realmente intaccare quella serenità interiore.
Ne
osservò il sorriso che sembrava farne scintillare gli occhi
azzurri
persino più intensamente, ancora intenti a contemplarlo,
come se lo
stesse scorgendo per la prima volta.
"Avevo
bisogno di una prova che non fosse solo un sogno", sussurrò.
Sebastian
si sentì più che partecipe di quello stato
d'animo. Se già dormire
con lui era stato più volte il vessillo di quel bisogno,
averlo
amato così intimamente era stato come toccare quel
sentimento in
profondità e sentirsene completamente riempito. Eppure
consapevole
che il tempo lo avrebbe reso persino più intenso.
"Sai
come lo renderemo ancora più reale?”, gli
domandò con un'occhiata
puramente lasciva che riuscì, malgrado tutto, a farlo
arrossire. Uno
sguardo più dolce compensò quella provocazione
implicita. “Al
ritorno cambieremo tutto: un'unica camera da letto".
L'altro
sorrise, evidentemente più che entusiasta (e con le sue
manie per il
design non era certo qualcosa di sorprendente) all'idea di progettare
anche materialmente l'evolversi della loro vita insieme.
"Potremmo
comprarci un letto matrimoniale", continuò con lo stesso
tono
sognante, che gli valse un'occhiata più maliziosa.
"Potrei
avere la stanza da biliardo che ho sempre desiderato", aggiunse
imitandone il tono trasognato.
"O
potremmo farne uno studio”, fu l'entusiastica reazione di
Kurt,
evidentemente troppo emozionato per coglierne la complice presa in
giro. “Zona diritto e zona moda, poi zone neutre come diritto
nella
moda o moda nel diritto".
Doveva
essere più ebbro di qualcosa di più forte
dell'alcol per ridere di
una simile battuta. Ma non era una risata divertita, piuttosto
spensierata e serena, realizzò nel carezzarne la schiena,
inducendo
Kurt a rilassarsi contro la sua spalla, come se fosse perfettamente
naturale.
"Mi
piace l'idea di essere l'unico ad essere mai entrato nella tua
camera”, gli confidò dopo qualche istante di
piacevole silenzio.
“La nostra camera", soggiunse, come se avesse avuto il reale
bisogno di dirlo a voce alta.
“Purché
tu non la riempia troppo di cianfrusaglie inutili”, finse di
ammonirlo con aria polemica, ma neppure ciò
sembrò minare il buon
umore dell'altro.
"Avrai
finalmente un pigiama abbinato anche tu", sussurrò in tono
sognante, disegnando forme astratte sul suo petto con un dito.
Sebastian
rise, scuotendo il capo: "Dubito che lo userò
molto”,
precisò. “Ma il tuo profumo sarà
ovunque", continuò con
voce più velata, quasi realmente intaccata dall'emozione del
momento.
"Mischiato
al tuo", sussurrò l'altro.
"E
riscriveremo quelle stupide regole: entra dove vuoi, senza bussare,
soprattutto se l'altro è nudo", esordì,
appoggiandosi un
braccio piegato sotto il capo, quasi a mettersi più comodo,
lo
sguardo perso in un punto indefinito.
Era
tutto meravigliosamente reale, per quanto ancora stentasse a
crederlo.
"Torna
da me", sussurrò Kurt, chinandosi al suo volto per sfiorarne
le
labbra.
"Sempre",
lo rassicurò.
~
Avvolto
nell'asciugamano di spugna, si stiracchiò pigramente ed
uscì dal
bagno, inarcando le sopracciglia al suono insistente del telefono, ma
fu lesto ad individuare il cordless e premere il tasto di risposta.
"Pronto?".
"Clarington?”,
lo richiamò Sebastian con voce interdetta, fissando per un
istante
il telefono, quasi ad appurare di non aver selezionato il numero
sbagliato. Aggrottò le sopracciglia. “Che diavolo
ci fai a casa
nostra?".
Sebastian
si sarebbe dovuto ritenere fortunato: la telefonata gli stava
risparmiando la vista del sorriso più che compiaciuto che
era
apparso sulle labbra del suo interlocutore.
Quest'ultimo
si schiarì la gola. "Diciamo che ho”, sorrise,
come a voler
assaggiare le parole seguenti. “Non
dormito qua".
L'attimo
di silenzio che accompagnò quella frase fu eloquente segno
dell'incredulità dell'altro che, tuttavia,
recuperò la solita
compostezza e il senso pragmatico della situazione.
"Nel
mio letto?!”, domandò in tono scandalizzato.
"Certo
che no”, ribatté l'altro con le sopracciglia
inarcate. Un poco
perplesso, probabilmente, dal fatto che quella fosse la prima domanda
che gli era stata posta, dopo una simile confidenza. “ Come
se non
ti conoscessi. In quello di Kurt", aggiunse dopo aver
tossicchiato e premunendosi di controllare che la ragazza non fosse a
portata di orecchio.
"Il
letto di Kurt?", ripeté e non sembrò riuscire a
trattenere un
verso di divertimento all'idea di come il ragazzo avrebbe reagito.
Alla
sola menzione, infatti, Kurt sollevò lo sguardo dalla
propria
cartolina e lo guardò con aria sconvolta: "Oddio, dimmi che
quella bestia del suo gatto non ha dormito tra le mie lenzuola!",
parve supplicarlo.
Sebastian
represse a malapena la risata.
Se
sapessi che “bestia” ci ha dormito.
"Oh, no. Dice che è come dormire su una nuvola
morbida”, lo
informò, imitando la voce infantile della ragazza.
Kurt
sorrise, dondolando le spalle. “Che ragazza deliziosa:
manderò una
cartolina anche a lei”.
Sebastian
aprì la portafinestra e soltanto quando fu sul bancone, si
rivolse
all'altro con tono evidentemente risentito: "Spero che
l'astinenza forzata sia valsa la pena".
Il
sorriso di Hunter parve persino più esteso, ma mantenne un
tono
pacato.
"Sono
un signore”, replicò, cercando di nascondere il
reale
compiacimento. “Quindi non farò commenti
inopportuni".
"Eww,
ti prego”, ribatté l'altro con aria realmente
disgustata. “Non
alludevo alle tue dubbie prestazioni: mi devi cinquanta dollari,
schifoso-depravato-bastardo", gli disse in tono perentorio.
"Eh?!",
chiese l'altro in tono sconcertato: probabilmente più per la
mitragliata di insulti che per la reazione tutt'altro che solidale.
"Devo
desumere che la casa non sia crollata”, continuò
Sebastian
rientrando nella suite. “Ho raggiunto il mio scopo, ti
saluto".
"Perché
cinquanta dollari?!”.
L'unica
risposta fu il segnale della linea libera.
“Sai?”,
Kurt sollevò lo sguardo dalla cartolina che stava ancora
compilando,
rimirando l'anello azzurro. “Mi ci sto abituando”.
L'altro
sorrise, stringendolo da dietro e baciandone la gota.
“Tienilo
stretto. Non ne avrai presto un altro: non voglio sentir parlare di
matrimoni per almeno dieci anni”.
Kurt
non parve affatto offeso, reclinò il collo per osservarlo e
sorrise
con sguardo adorante: “Quindi stai davvero
contemplando l'idea di sposarmi, un giorno”.
“Sta
zitto e baciami”.
To
be continued...
Connessione
permettendo, eccoci per un altro Venerdì Kurtbastian. Non
avrei
davvero voluto posticipare l'appuntamento, specialmente una volta
giunti ad un simile punto di svolta :)
Confesso
che mi mancherà non poco aggiornare questa fanfiction, ma
sono
davvero molto entusiasta dell'intero progetto e di come sia stato
accolto in questi mesi trascorsi insieme, quindi colgo ancora una
volta l'occasione per ringraziarvi di tutto cuore.
Come
avrete intuito, siamo ormai in dirittura d'arrivo, ma abbiamo ancora
un appuntamento per l'epilogo.
Quindi vi attenderò
Venerdì 9
Gennaio
(guarda caso il giorno in cui inizierà l'ultima stagione di
Glee :D)
e, nel frattempo, vi auguro di trascorrere delle bellissime feste con
le vostre famiglie, amici e fidanzati. Ma non organizzate matrimoni
che uno Smythe non potrebbe approvare e diffidate di baristi che non
siano aspiranti dottori! :P.
Gli
ultimi spoiler di questo 2014:
“Quanto
avete parlato tu e Kurt?” “Abbastanza da sapere che
finalmente
sei felice”.
“Oddio,
si è innamorato di me”.
“Sebastian!” […] “Non
dovremmo lasciarli soli troppo a lungo” “No,
decisamente no”.
“Per qualche strano motivo non mi
sono già stufato di te e ogni giorno è la
conferma...[...]”.
A
presto e ancora tanti auguri a tutti!
:)
Kiki87
|
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Capitolo 15 *** Epilogo ***
epilogo
Spaventato
all’idea di andare avanti,
desiderando
tornare indietro, quando
tutto
era molto più semplice per me.
Cercando
tutto ciò che ci siamo lasciati alle spalle,
come
fosse una risposta.
Una
clessidra che non possiamo riavvolgere.
Trattenendo
una vita che ho negato così a lungo.
Posso
trovare in te la mia strada?
E
dopo tutto ciò che abbiamo passato,
e
dopo tutto ciò che abbiamo lasciato in pezzi,
credo
ancora che le nostre vite stiano appena iniziando.
Perché
adesso il passato può essere superato.
E
adesso so che tu sei la ragione
per
cui credo che il meglio debba ancora iniziare.
The
best is yet to come – Red
Epilogo
"Spiegami
di nuovo come è successo".
Sebastian,
malgrado fosse imbacuccato per ripararsi dal freddo, il cui respiro
lievitava in una nuvola, si volse verso il giovane che lo
accompagnava. Doveva evidentemente avergli raccontato qualcosa di
particolarmente buffo, a giudicare da come il sorrisetto sferzante ne
faceva scintillare lo sguardo smeraldino, persino alla luce fioca dei
lampioni in strada.
L'altro
parve particolarmente risentirsi della richiesta, visto come
aggrottò
le sopracciglia (spesso più eloquenti del suo mutismo
difensivo) e
la mascella sembrò contrarsi.
Osservò
il loft illuminato dall'interno, con aria di evidente attesa.
"Ti
dispiace?”. Indicò la precipitazione di fiocchi di
neve che
stavano martoriando New York per le rigide temperature di
quell'inverno apparentemente infinito. “Forse non te ne sei
accorto, ma c'è una bufera in corso", aggiunse con
intonazione
ironica e polemica assieme.
Sebastian
si fermò con aria serafica, le braccia incrociate al petto,
con
evidente aria di sfida: non gli avrebbe concesso di entrare, fino a
quando non avrebbe adempiuto alla sua tirannica richiesta.
Hunter
sospirò con aria afflitta: lo conosceva fin troppo bene per
illudersi che si sarebbe lasciato dissuadere da qualche intento
caritatevole.
"Te
l'ho già raccontato tre volte", parve quasi supplicarlo.
Il
ghigno del proprietario del loft parve persino estendersi,
sbarrandogli l'ingresso: "Non smetterei mai di ascoltarlo".
L'amico
parve persino più stizzito, ma affondò le mani
nelle tasche della
giacca, quasi stesse cercando di ignorare il gelo e il disagio per
quella prolungata attesa. Si strinse nelle spalle, ma fu il suo turno
di sorridere con aria di sfida: "Solo perché credi che Kurt
ti
nasconda qualcosa e cerchi di svicolare su di me i tuoi problemi di
coppia".
Il
cipiglio di Sebastian non si scompose, ma gli rivolse un sorriso
persino più suadente, mentre, con flemmatica lentezza,
insinuava le
chiavi nella toppa e schiudeva l'uscio di pochissimi millimetri.
"Non
provocarmi: sai che non mi farei remore a lasciarti fuori".
Non
ci fu neppure bisogno di rispondere a quella constatazione fin troppo
realistica. Hunter fece un cenno d’assenso e
d’inequivocabile
resa, prima di sospirare e borbottare una rapida sequela di parole
che dovevano essere riassuntive del misfatto.
"Brittany,
chiavi, tombino, torcia, recupero chiavi, gatto malefico, sabbia per
gatti ed attesa”, recitò con la stessa passione
con cui avrebbe
enunciato i sintomi di un tumore in metastasi. “Contento?".
"Estasiato”,
ribatté l'altro che gli concesse un cenno con il capo,
perché si
avvicinasse. Parve tuttavia indugiare, prima di schiudere del tutto
l'uscio. Gli gettò un'occhiata sospettosa. “Per
quanto vorresti
fermarti
esattamente?".
Hunter
sollevò gli occhi al cielo: "Solo stanotte, per mia fortuna
e-".
Non
terminò la frase e le sue labbra s’incresparono di
un sorriso
piuttosto compiaciuto della propria mirabolante performance.
Nell'esatto
istante in cui aveva schiuso completamente l'uscio, un Sebastian
sorpreso aveva lasciato vagare lo sguardo sul soggiorno completamente
trasformato del proprio loft. Lo sguardo guizzò alla folla
sotto lo
striscione di congratulazioni per il conseguimento della sua laurea.
In
prima fila, con raggiante e un bicchiere di champagne tra le dita, vi
era il proprio ragazzo, ma lo sguardo guizzò da Burt Hummel,
Santana
Lopez, qualche collega della Columbia, fino a chi non si sarebbe mai
aspettato di vedere nel proprio appartamento.
"Mamma?".
La
donna gli sorrise, seguita dal padre, e gli si avvicinò per
cingerne
il collo e baciarne la guancia: "Congratulazioni tesoro,
sappiamo che hai voluto far tutto da solo e non potremmo essere
più
fieri di te”, lo lodò con un sorriso sincero.
Sebastian
stentava a ricordare l'ultima volta che l'aveva vista così
orgogliosa, persino quando la loro vita era a Parigi e il suo destino
sembrava già evidente. Ne ricambiò il bacio e si
lasciò stringere
brevemente dal padre.
“Non
lasciartelo scappare: adoro quel ragazzo", aggiunse la donna in
un sussurro più complice, alludendo a Kurt che si era
nuovamente
calato nel suo ruolo d’organizzatore. Lo osservò
stringere mani,
ringraziare ospiti e, al contempo, seguire con sguardo attento
l'operato dei camerieri che aveva ingaggiato per quella riunione
informale ma elegante.
“Per
tua informazione, ” ascoltò soltanto
distrattamente la voce di
Clarington, “era tutta una messa in scena”.
Agitò le chiavi di
casa e si allontanò per raggiungere il tavolo del buffet e
la
biondina che già stava cimentandosi nell'assaggio dei dolci.
Sebastian
lo ignorò, ma si mosse rapidamente, fino a raggiungere Kurt
che gli
rivolse un sorriso raggiante e, com’era prevedibile,
sfoggiava uno
smoking nuovo con tanto di cravatta e foulard abbinato.
"Tu",
commentò con aria accusatoria e scosse il capo, pur
osservandosi
attorno con reale curiosità, sorridendo distrattamente agli
ospiti
che sollevavano il bicchiere in sua direzione.
Non
sembrava esserci bisogno di esprimergli il proprio disappunto, o
comunque il suo ragazzo non sembrava farci particolarmente caso. Non
in quel momento. Reclinò il capo e si sollevò
sulle punte a
baciarne la guancia, gesto che gli fece ulteriormente aggrottare le
sopracciglia.
"Non
si consegue una laurea con il massimo dei voti tutti i giorni",
si strinse nelle spalle, ma nello sguardo era palese, ancora una
volta, quanto ne fosse fiero.
Fu
forse ciò a farne attenuare il cipiglio di Sebastian, ma
affondò le
mani nelle tasche: “Lo sai che odio le feste”, gli
ricordò, ma
gli concesse quel sorriso più suadente, coronato dallo
scintillio
più malizioso dello sguardo, chinandosi al suo orecchio.
“Me la
pagherai e sto già immaginando come”.
Sorrise
nell'osservare il colorito rosato che sfiorò le gote di Kurt
(in
segreto sperava che non avrebbe mai perso quella sfaccettatura di
riservatezza), ma quest'ultimo sospirò e gli
appoggiò la mano sulla
spalla.
"Ne
riparleremo, ma non con gli ospiti che vogliono
congratularsi”,
alluse alla camera da letto con un cenno del capo. “Vatti a
cambiare, ti ho lasciato uno smoking sul letto".
Ma
Sebastian indugiò di fronte a lui, cingendone il fianco con
una
certa decisione, chinandosi nuovamente verso il suo viso, sussurrando
a fior di labbra: "Vuoi venire ad aiutarmi?".
Scrutò
quegli occhi di zaffiro e si compiacque dello scintillio e
dell'aspettativa che vi lesse, ma Kurt si scostò
gentilmente, come a
volersi sottrarre dalla sua abilità nel soggiogarlo.
"Citando
qualcuno di nostra conoscenza”, si schiarì la voce
per riprendere
un po' di contegno e dondolò le spalle, malgrado si
preparasse a
ripeterne una citazione piuttosto esplicita. “E'
più gratificante
toglierli i vestiti".
Sebastian
corrugò le sopracciglia, ma gli rubò un lieve
bacio e si scansò
rapidamente, prima di raggiungere la camera da letto.
Lasciò
correre lo sguardo sulla stanza: un vago sorriso nell'occhieggiare il
letto matrimoniale al centro della stessa, la cabina armadio che
avevano installato per consentire a Kurt di collezionare tutti i suoi
outfit (compresi quelli di discutibile gusto) e quell'aroma che
sembrava aleggiare come un dolce presagio. Un misto di vaniglia e
della propria eau de toilette preferita.
Seppur
per molti versi non si sentisse cambiato, era suggestivo come anche
la semplice disposizione dei mobili (secondo il feng- qualcosa di
inutile – shui da cui Kurt era ossessionato) poteva essere
testimone di una nuova fase della sua vita.
"Come
si presume che io possa studiare, se continui a folleggiare?".
Sollevò
appena lo sguardo dal proprio manuale, abbandonando l'evidenziatore
con cui avrebbe tratteggiato le parole salienti per la comprensione
del paragrafo e per facilitare la propria memoria fotografica.
Seguì
con lo sguardo i movimenti di Kurt che, in preda al suo frenetico
borbottio (brutta abitudine quella di parlare tra sé e
sé)
continuava ad estrarre scatoloni dall'armadio, riversandone il
contenuto sul letto e prendendo nota su una delle sue infinite liste,
tratte dai block notes che erano sparsi un po' ovunque.
"Forza
di volontà”, gli rispose distrattamente,
valutando, una per una,
le palle decorative, scartandone alcune. Gli volse appena lo sguardo,
il cipiglio più polemico: “ E poi sapevi che oggi
avremmo dovuto
preparare l'albero: avresti dovuto studiare questa mattina,
così da
potermi aiutare".
Sebastian
non parve prendersela. Indugiò con lo sguardo a studiarne la
silhouette, un vago sorriso e il volto inclinato di un lato. Si
dondolò sulle gambe posteriori della sedia per guardarlo
meglio.
"Eppure
non mi sembra che ti sia dispiaciuto restare sotto le coperte fino
all'ora di pranzo”, sussurrò con intonazione
volutamente lasciva.
“Al calduccio, vicini vicini”, soggiunse senza
distogliere lo
sguardo.
"Touché",
sospirò in risposta, abbandonando per un attimo la propria
lista.
Con un vago sospiro, gli si avvicinò: "Come va?", lo cinse
da dietro, baciandone la guancia.
Sebastian
sorrise con aria soddisfatta, reclinando appena il capo per
scrutarlo, sollevando una mano ad adagiarla sulla sua nuca, come ad
incoraggiarlo a serbare a quella piacevole vicinanza.
"Mhm,
stai per propormi una pausa?", gli domandò.
"Affatto”,
rispose l'altro in tono limpido e, con disappunto del suo ragazzo, si
scostò per appoggiarsi alla scrivania e guardarlo in viso.
Sospirò.
“Non voglio finire senza di te: sarà il nostro
primo Natale”.
Persino lo sguardo, in quel momento, sembrò volerlo
impietosire e
farlo sentire in colpa.
"Il
terzo vorrai dire", rispose distrattamente, suo malgrado
sorridendo per come l'altro sembrasse già in procinto di
creare una
loro nuova tradizione. Dimostrazione di quanto le festività
stessero
divenendo persino più importanti, in virtù della
loro unione.
"Come
coppia”, specificò Kurt. “Sai cosa
intendo", parve
supplicarlo.
Sebastian
allungò il braccio a sfiorarne distrattamente il ginocchio,
osservandolo di sotto in su, un nuovo sorriso a serpeggiare sulle sue
labbra: "Metterai il tuo costume da elfo?”, lo
incalzò,
lambendosi le labbra.
L'altro
sbuffò, scuotendo il capo: "L'ho gettato, due anni fa".
Il
sorriso parve persino estendersi, mentre continuava a sfiorare quella
porzione di gamba: "Potrei averlo recuperato".
Kurt
sgranò gli occhi, evidentemente sorpreso, ma, grazie al suo
spirito
da inguaribile romantico, parve trovare particolarmente eloquente
persino quella confessione, tanto da sporgersi al suo viso.
"Sei
romanticamente depravato", finse di rimproverarlo.
"Sono
unico nel mio genere", rimarcò con aria compiaciuta.
"Vorrà
dire che dovrò aiutarti per concludere prima", si
scostò a
pochi centimetri dal suo viso, per prendere un'altra sedia.
Sebastian
lo scrutò di sottecchi, un guizzo più dolce nello
sguardo, ma
commentò con l'usuale malizia: "Mhm, non riesci davvero a
starmi lontano".
Kurt
lo ignorò, prese il suo manuale e girò qualche
pagina all'indietro,
prima di illuminarsi:
"La
sentenza Marbury
contro Madison,
inizia".
Osservò
il proprio riflesso con aria soddisfatta, lisciando la cravatta,
prima di sollevare il bavero della camicia per poterla allacciare.
Fu
in quel momento che sentì la porta della camera schiudersi e
sorrise
piuttosto soddisfatto: aveva volutamente indugiato più del
dovuto,
consapevole che la mania di controllo di Kurt lo avrebbe indotto a
raggiungerlo.
"Sapevo
che non avresti resistito", commentò senza neppure voltarsi.
"Non
sembri affatto cambiato".
Sebastian
s’irrigidì istintivamente, come se fosse stato
colpito alle
spalle: un'improvvisa aritmia ne tradì la sorpresa e la
confusione,
mentre abbassava le mani dalla propria camicia.
Molto
lentamente, malgrado ne avesse riconosciuto la voce, si
voltò per
incontrarne lo sguardo, quasi avesse bisogno dell'ulteriore
sollecitazione della propria vista per dirsi che non stesse realmente
sognando.
"O
meglio”, commentò la giovane, avvicinandosi con un
sorriso
incerto. “E' bello vedere chi sei davvero, Sébastien".
"Séline”,
sussurrò senza fiato.
Indugiò
nell'osservarne l'esile figurina che, per molto tempo, aveva cercato
di isolare in un angolo della propria mente, vittima di un oblio che
sembrava tuttavia incapace di permettergli di perdonarsi. Ebbe quasi
l'impressione che la sua stessa vita, in quel momento, fosse
sdoppiata tra gli anni trascorsi a Parigi e l'arrivo a New York,
l'inizio di una nuova vita con Kurt.
La
stessa bellezza evidente, gli stessi lineamenti delicati e lo sguardo
limpido il cui giudizio era ancora capace di farlo sentire sporco.
Ma, al contempo, sembrava avere trovato una nuova serenità,
a
giudicare dal modo affettuoso con cui il suo sguardo indugiava sulla
propria figura, come se effettivamente ne avesse sentito la mancanza
e fosse felice di trovarselo di fronte.
“Cosa...
cosa ci fai qui?”, si sentì chiedere con voce che
a stento
riconobbe come la propria.
Gli
sorrise, quasi a mo' di silenziosa rassicurazione, prima di fare un
cenno del capo verso il soggiorno: "Il tuo fiancé
è un tipo
piuttosto testardo”, gli disse in tono scherzoso, prima di
farsi
nuovamente seria. Sospirò e lo osservò a lungo,
con la sua stessa
curiosità e, al contempo, il rimpianto per le circostanze
dolorose
della loro separazione.
“So
che gli hai raccontato tutto di noi e quanto tu ti sia
pentito”,
sussurrò quasi a mo' di scuse, all'idea di essergli stata
fonte di
tormento. “Ma so anche che hai iniziato una nuova vita con
successo”, continuò con un sorriso di reale
comprensione.
Sebastian
affondò le mani nelle tasche, continuando ad osservarla e
cercando
di cacciare le immagini del loro ultimo colloquio. Aggrottò
le
sopracciglia, quasi a volersi nuovamente difendere da una sua
intrusione nei propri pensieri e in quella nuova fase della propria
vita. Dopo di lei.
"E
sei venuta fin qui per dirmelo?".
Ma
la giovane lo aveva conosciuto abbastanza da non indignarsi per
quell'apparente formalità e il modo in cui sembrò
voler dissimulare
le sue emozioni. Inclinò il viso di un lato e scosse il capo.
"Sono
venuta a vedere il mio amico: il bambino che ho visto diventare un
adolescente confuso, in cerca di risposte e che io non sono stata in
grado di aiutare, né come amica, né come
fidanzata”, sussurrò e
la sua voce parve incrinarsi per la prima volta. Si scostò
una
ciocca di capelli dal viso, con un gesto nervoso, ma gli sorrise.
“Ma
sono felice di vedere un giovane uomo che ha trovato quello che
cercava e non si nasconde più da se stesso".
Quasi
a mo' di richiesta, allungò una mano in sua direzione: una
promessa
e, al contempo, una richiesta di rappacificazione.
Sebastian
rilasciò il respiro e, quasi con nuovo slancio, si mosse in
sua
direzione a stringerne la mano, quasi quel contatto riuscisse
nuovamente a stabilire quella sintonia che per tanto tempo li aveva
uniti. Quasi riuscisse, finalmente, a lasciare andare quella parte di
sé e concedersi tardivamente un perdono disperato.
"Vorrei
non averti mai fatto quello che ho fatto”,
sussurrò, guardandola
dritto negli occhi.
"Lo
so", gli sorrise dolcemente ed annuì con fermezza,
stringendone
la mano con più energia. "Ma non volevamo capire che non
potevi
esser mio", aggiunse e Sebastian annuì.
Soltanto
in quel momento, un vago sorriso ironico, realizzò quanto
lui stesso
avesse vissuto un'illusione, simile e al contempo diversa, da quella
che aveva esasperato il rapporto tra Kurt e Blaine. Un modo
spasmodico di aggrapparsi a qualcosa che si riteneva (o si era
ritenuto) reale, pur di non affrontare l'idea di un'inevitabile
solitudine.
"Vorrei
non averlo capito in quel modo”.
Séline
annuì, ma assunse la stessa espressione dispiaciuta. "E io
vorrei non aver mai pronunciato quelle parole: non mi sarei mai
perdonata se ti avessi fatto perdere l'amore della tua vita”,
commentò in tono contrito ed eloquente del proprio
pentimento e del
proprio senso di colpa.
Sebastian
aggrottò le sopracciglia e si schiarì la gola,
vagamente a disagio:
"Quanto avete parlato tu e Kurt?".
La
giovane ridacchiò: "Abbastanza da sapere che finalmente sei
felice".
Lui
annuì, ricambiandone il sorriso: "Lo sono”,
ammise, prima di
continuare a scrutarla, come a voler memorizzare quel momento, per
riuscire a dare un nuovo significato ai tormenti del suo passato.
“Perdonami", sussurrò dopo un lungo istante di
silenzio.
"L'ho
già fatto”, sussurrò e Sebastian le
credette senza esitazioni e
non per il mero bisogno di sentirsi sgravare la coscienza da quella
colpa. “Ma la cosa più importante è che
tu abbia perdonato te
stesso e che tu possa vivere la tua vita con Kurt", parve
ammonirlo dolcemente.
Il
sorriso di Sebastian parve persino estendersi e lo scintillio dello
sguardo fu più limpido che mai nell'osservarla, per la prima
volta
senza timore che ella potesse realmente comprenderne i sentimenti.
"Lo
farò".
Si
riscossero entrambi, quando la porta si schiuse e Kurt apparve sulla
soglia: guardò dall'uno all'altro con aria evidentemente
ansiosa, ma
parve rilassarsi nel notare il sorriso ironico sulle labbra di
Sebastian.
“Scusate
se vi interrompo”, sussurrò. “Ma gli
invitati stanno reclamando
il festeggiato: Séline, saremmo lieti di intrattenerti
ancora un
po'”.
“Merci”,
gli sorrise la giovane che, dopo un ultimo sguardo all'amico di
infanzia, si allontanò discretamente.
“Andiamo?”,
lo incalzò nuovamente Kurt che sembrò osservarlo
con persino più
attenzione del solito.
Sebastian
sorrise ed annuì ma, prima che potesse allontanarsi, lo
cinse da
dietro e ne baciò languidamente il collo, inspirandone il
profumo.
Indugiò vicino al suo orecchio:"Puoi ammetterlo che ti
preoccupava sapermi con la mia ex, nella nostra camera da
letto”,
sussurrò in tono provocante. “Ed io,
più sexy che mai".
"Certo
che no”, ribatté in tono indignato, suo malgrado
indugiando nella
sua morsa. Ma allo sguardo eloquente del proprio ragazzo,
sospirò e
scosse il capo. “D'accordo, devo ammettere che se fosse stata
una
racchia, allora la mia autostima sarebbe-".
Non
finì la frase perché Sebastian lo avvinse a
sé e ne rubò un altro
rapido bacio.
"Andiamo”,
ne cinse la mano con decisione e un sorriso diabolico gli
curvò le
labbra.
“Devo
criticare la festa a sorpresa che mi hai organizzato e assicurarmi
che SfinterHunter perda davvero
le sue chiavi di casa".
~
"Kurt?".
Controllò
l'orologio: il giovane stava impiegando persino più tempo
del
solito, il che poteva essere indice di un'imminente crisi di panico.
Accostò l'orecchio alla superficie dell'uscio e
batté le nocche per
attirarne l'attenzione, sorridendo vagamente divertito al sentire il
trambusto all'interno. Immaginò che, per il tremolio alle
dita o per
il suo richiamo, avesse appena rovesciato le confezioni di prodotti
per la pelle che usava quotidianamente.
“Faremo
tardi”, rincarò la dose con un vago sospiro,
lisciandosi la
camicia.
"Credo
di star per vomitare", gli giunse la sua voce sofferente ed
immaginò un colorito cinereo sul volto.
Sollevò
appena gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto e fissando
il soffitto: se era vero che stava per dare di stomaco, quello
sarebbe stato un buon esempio di infrazione del codice di assistenza
di coppia. "Se fossi stata una Kate, sarebbe stato
preoccupante", commentò in tono leggero.
"Dico
sul serio", mugugnò l'altro con voce effettivamente rauca.
"Anche
io”, rispose con un vago verso di divertimento.
“Non sono pronto
per una mini-te".
Fu
lieto che la porta gli celasse il sorriso che gli aveva increspato il
viso al pensiero di una sua miniatura, coi capelli boccolati, gli
occhioni blu e quelle sue buffe maniere più teatrali.
"Io
non esco!”, ripeté Kurt con voce incrinata, come
se stesse
realmente per mettersi a piangere, tanto da indurlo a scostarsi dalla
porta e abbassare inutilmente la maniglia, appurando che si chiuso
dentro.
"Kurt",
lo richiamò a mo' di avvertimento.
"Sarà
un disastro, già lo so!”, la
sua voce si fece
fastidiosamente stridula.
“Deluderò
tutti: Isabelle e tutto il suo staff, mio padre, Santana (e lei mi
ucciderà! Le avevo promesso abiti prémaman
ispirati a lei), Rachel,
Tiffany, forse anche Brittany perché non ho creato una
sezione per
le ballerine, e poi te!”,
terminò l'elenco con una nota persino più acuta
della voce.
Aggrottò
le sopracciglia, come se potesse vederlo, malgrado la porta a
dividerli: "E' così bello sapere di essere l'ultimo della
tua
lista, tesoro”.
"Non
posso", gemette l'altro, senza neppure ascoltarlo.
"Kurt,
apri la porta o giuro che la sfondo”.
“Ma
è di massello!”, gemette con voce persino
più indignata. Curioso
come riuscisse a concentrarsi su certi dettagli persino in un momento
di profonda crisi mistica.
“3...2...”.
Ne
sentì lo scalpiccio dei passi e la chiave girò
nella toppa e,
finalmente, schiuse l'uscio.
Nonostante
il pallore evidente, era perfettamente vestito e più
elegante che
mai, come ben si conveniva ad un'occasione così importante.
"Credevo
avessimo detto di non usare più le chiavi", gli fece
presente,
ma si affrettò a cingerlo, così da attirarlo a
sé e assicurarsi
che non si chiudesse di nuovo dentro, con quel fare da diva isterica.
"Non
mi lasci mai finire una pulizia”, fu la debole protesta, ma
parve
trovare conforto in quell'abbraccio: quasi soltanto la sua presenza
fosse in grado di calmarne l'agitazione e porre in secondo piano i
suoi dubbi e timori.
Sorrise
in risposta, l'aria maliziosa, mentre si chinava a baciarne la
guancia, per poi sussurrare all'orecchio: "Ho di meglio da fare
con te, in un bagno".
Lo
scrutò con evidente soddisfazione, prima di stringerne le
spalle,
inducendolo ad osservarlo dritto negli occhi: "E' la tua
giornata, Kurt, e non ti permetterò di rovinare tutto per le
tue
inutili paranoie", pronunciò con voce determinata,
osservandolo
attentamente.
Kurt
sbuffò, scuotendo il capo con un vago cenno, a simulare
indifferenza: "Oh, non occorre: di sicuro nessuno comprerà
nulla e andrò in bancarotta ancora prima di concludere il
primo
mese".
Sebastian
sorrise, quasi divertito da quell'atteggiamento disfattista, ma si
strinse nelle spalle: "Comprerò tutto sotto falsi pseudonimi
e
tu mi rimborserai in
natura,
se necessario", lo rassicurò, ma, a dispetto di quelle
parole,
ne carezzò la schiena, quasi a tranquillizzarlo.
L'altro
sospirò, ma scosse il capo: "Sono serio".
"Anche
io", sorrise in risposta. Ne cinse poi il viso, per osservarlo
attentamente, cercando di imprimergli i propri pensieri.
"Andrà
tutto bene: so quanto impegno ci hai messo", commentò con
voce
rassicurante che parve, finalmente, affievolirne l'agitazione.
"E
se dovesse andar male?".
“Non
sarà così”.
Ma
prima che potesse protestare, aggiunse: “Troveremo qualcosa
di
nuovo per te. Io, ad esempio, ho sempre sognato di avere un autista
personale”. Rise della pacca indignata con cui lo
colpì, ma parve
aver stuzzicato abbastanza il suo orgoglio per fargli assumere una
postura più tronfia.
"Ora
firma qui, qui e qui". Isabelle gli indicò i punti con
l'unghia
smaltata e un sorriso orgoglioso, porgendogli la penna. Aveva
l'espressione di chi era già consapevole che il giovane di
fronte a
lei fosse destinato ad un futuro brillante, almeno quanto le sue idee
innovative ed originali.
Kurt
era visibilmente emozionato: rimirò le pagine compilate
fitte fitte,
stappando la penna stilografica con la mano tremante.
"Un
attimo", lo interruppe Sebastian, seduto al suo fianco, prima
che potesse apporre una firma. Posò una mano sul fogli,
quasi a
coprirgli la visuale, suscitandogli uno sguardo spazientito.
"Hai
già mostrato il contratto al tuo tutor del tirocinio,
comprese le
clausole", gli fece presente, evidentemente in attesa febbrile
di stilare quella
firma che avrebbe cambiato la sua vita e dato realizzazione ad uno
dei suoi sogni più ambiziosi. Si volse a Isabelle con un
sorriso
accattivante. "Scusalo, deformazione quasi professionale".
"Non
è questo, idiota".
Inarcò
le sopracciglia e si volse ad osservarlo:"Allora?".
Il
sorriso divertito lasciò spazio ad uno più dolce
e si sporse al suo
volto, cingendone il volto e osservandolo dritto negli occhi. "Sono
fiero di te", sussurrò sulle sue labbra, prima di sfiorarle
con
un bacio, quasi a voler marchiare quel momento fondamentale della sua
carriera.
Isabelle
si schiarì la gola e Kurt, le guance più rosate,
firmò con un
sorriso raggiante, la mano libera intrecciata a quella di Sebastian.
"Mi
sembra che nessuno sia ancora scappato", lo canzonò,
guardandosi attorno.
Erano
circondati dal brusio animato e da una colorata folla di potenziali
clienti che stava aggirandosi nell'atelier, con una foga simile a
quella del Black
Friday.
Porse a lui e Isabelle due calici di champagne, facendo cozzare il
proprio con il loro e alludendo all'amico barista con uno scuotimento
del capo.
“Qualcuno
è in vacanza”, sottolineò in tono
sprezzante, quasi quella
qualifica lo identificasse anche fuori dal Penguin Pub.
"Lasciagli
tregua”, lo rimproverò Kurt dolcemente, per poi
sporgere il collo,
per spiare il reparto in cui si trovava. “Spero che scelga il
cappotto a doppio petto, sarebbe perfetto per lui", aggiunse in
tono trepidante.
Sebastian
gli lanciò un'occhiata di sbieco: "Lo stai davvero
guardando?".
"Deformazione
professionale", si affrettò a rispondere, guardandolo con
aria
quasi oltraggiata dal solo dubbio.
"Congratulazioni,
Kurt”, Isabelle lo abbracciò per l'ennesima volta.
“Sono sicura
che la Dream
Dress sarà
presto la boutique più famosa di New York e farò
in modo che
Vogue.Com ti dedichi sempre un servizio", aggiunse con una
strizzatina d'occhi.
Il
giovane stilista parve persino più commosso nello stringerne
le
mani: "Grazie di aver creduto in me", la congedò con un
sorriso, per poi guardarsi nuovamente attorno, probabilmente ancora
cercando di convincersi che fosse tutto reale.
Ben
lungi dallo scegliere un cappotto per sé e di essere oggetto
della
loro attenzione, Hunter Clarington osservò la biondina
avventurarsi
tra i vestiti con espressione entusiasta. “Rosa, azzurro,
giallo,
non so quale scegliere: sono tutti troppo belli. Li prendo tutti e
tre!”, sentenziò infine.
Il
ragazzo distolse lo sguardo dal maglione che stava osservando,
sorridendole: “Diventerai la sua cliente preferita”.
“Questo
piacerebbe tanto a Santana”, commentò
improvvisamente, alludendo
ad un bel vestito rosso che n’avrebbe messo in risalto la
fisicità
formosa. Fece poi una smorfia. “Certo, se non fosse così
ingrassata,
da quando lavora al suo
album”, aggiunse a bassa voce.
Hunter
inarcò le sopracciglia osservando la neosignora Evans il cui
ventre
ricurvo era sintomo di ben altro tipo di rotondità. Scosse
il capo e
si chinò verso la giovane per baciarne la tempia, come se
soltanto
in quel momento realizzasse quanto intenso fosse il sentimento che lo
legava a lei.
"Allora,
hai qualcosa da consigliarmi e che tu possa sfilarmi facilmente?",
lo incalzò Sebastian, appena ebbe finito di bere il proprio
drink,
riscuotendolo dalle sue riflessioni.
Prima
che potesse rispondere, tuttavia, sentì un tocco leggero
sulla
spalla e si volse: sgranò gli occhi alla vista del giovane e
del suo
sorriso radioso a farne scintillare gli occhi ambrati.
"Blaine!".
"Ciao
Kurt”, lo salutò con un sorriso caloroso.
“ Spero tu abbia
disegnato una collezione di papillon”, commentò in
tono scherzoso.
Sebastian
li scrutò con la coda dell'occhio, storcendo appena il naso
all'allusione: "Nei miei incubi peggiori", rispose, senza
neppure curarsi di abbassare la voce.
Blaine
sorrise quasi con aria stoica, rivolgendogli un cenno del capo:
“Sebastian”.
"E'
un piacere rivederti, Blaine", commentò Kurt con un sorriso
altrettanto sincero che sembrò ulteriormente far dardeggiare
lo
sguardo dell'altro, quasi una rassicurazione che non vi fosse alcun
rancore o biasimo in sospeso tra loro.
"Abbiamo
pensato di venire a dare un'occhiata", si schermì.
"Oh”,
l'espressione di Kurt si fece più curiosa. “Tu
e...?".
Sebastian
inarcò le sopracciglia con aria realmente sorpresa nel
riconoscere
lo spogliarellista che aveva ingaggiato tre anni prima: questo
sì
che era un colpo di scena davvero non da poco, dovette ammettere. Un
certo Kyle.... qualcosa.
Quasi
avesse percepito i loro pensieri, si era avvicinato con quel
sorrisetto cordiale, ma lo scintillio suadente negli occhi azzurri,
premunendosi di fermarsi al fianco di Blaine.
"Kurt,
ti presento Kyle", lo introdusse Blaine.
Sebastian
notò come lo spogliarellista stesse scrutando il proprio
ragazzo,
almeno con la stessa attenzione che lui aveva riservato alla Mezza
SegAnderson la prima volta che si erano incontrati. La stessa
curiosità di conoscere l'altro.
Kurt
allungò la mano con un sorriso: "E' un piacere, Kyle, grazie
di
essere venuto".
Kyle
ne ricambiò la stretta, un sorriso obliquo, ma
lasciò vagare lo
sguardo su qualche scaffale: "Belle quelle camicie",
commentò a mo' di apprezzamento.
“Ti
ringrazio”, squittì Kurt che dondolò le
spalle con un sorriso
lusingato, prima di indicare il giovane al proprio fianco.
“Questo
è Sebastian”, aggiunse senza conoscere i trascorsi
tra i due.
Sebastian
dovette riconoscere al ragazzo delle ottime doti teatrali: il suo
viso non lasciò affatto trasparire la sorpresa, ma
riuscì
perfettamente a fingere di incontrarlo per la prima volta. Gli porse
la mano che Sebastian strinse con non chalance. “Sei inglese,
vero?”, gli domandò in tono provocante.
“Ottimo
orecchio”, gli rispose distrattamente.
"E
come vi siete conosciuti?", domandò con aria sorniona, come
fosse realmente interessato, ignorando l'occhiata sospettosa di Kurt.
Blaine,
come prevedibile, tradì una lieve agitazione, ma si
limitò a
scrollare le spalle e sorridere con aria accattivante: "Oh,
è
una lunga storia"
"Sembrate
molto affiatati, tu e la Mezza SegAnderson", Sebastian si
rivolse direttamente al nuovo arrivato, incrociando le braccia al
petto e torreggiandolo con aria arrogante.
"Mezza?",
domandò Kyle con aria sorniona, sollevando le sopracciglia e
rivelando un sorriso altrettanto sicuro di sé e sfrontato.
Per nulla
intimorito da quel tentativo di metterlo in difficoltà. Al
contrario, gettò un'occhiata d’evidente
apprezzamento al proprio
ragazzo e si lambì le labbra: "Si vede che non ti conosce
quanto me",
gli disse con voce abbastanza alta perché gli altri due
potessero
udirlo.
Quest'ultimo
parve doversi sforzare di nascondere un sorriso, scuotendo appena il
capo, mentre Sebastian li guardava tra l'incredulo e lo sgomento.
“Oddio,
si è innamorato di me”,
convenne guardando dall'uno all'altro, riconoscendo nello
spogliarellista una sfacciataggine simile alla propria.
Kurt
gli lanciò un'altra occhiata incredula, ma scosse il capo e
si
rivolse nuovamente alla coppia: “Sì, sono curioso
anche io. Come
vi siete incontrati?”.
Kyle
parve doversi sforzare di rivolgere nuovamente attenzione al ragazzo
che aveva di fronte: un sorriso felino gli increspò le
labbra e
Sebastian si finse particolarmente interessato dall'aneddoto.
"Me
lo sono ritrovato in camerino, dopo un mio spettacolo”, si
schermì
con aria piuttosto compiaciuta di sé, sorridendo al ricordo.
“Come
un fan stalker”, precisò con voce più
maliziosa.
"Aspetta,
ecco dove ti
ho visto!”, parve illuminarsi Kurt, sotto lo sguardo
sconcertato
degli altri tre. “Ho subito pensato che avessi un viso
familiare".
Sebastian
lo guardò quasi con aria oltraggiata: "Sei andato in cerca
di
uno spogl-"
"Hai
lavorato con Rachel in Funny
Girl!",
lo interruppe Kurt.
Se
fosse o meno sollevato, Kyle non lo diede a vedere ma, al nome della
collega, sorrise ed annuì, passandosi una mano tra i capelli
scombinati, come se il ricordo destasse qualche tragico aneddoto di
una difficile collaborazione. "Rachel Berry, sì, chi
potrebbe
dimenticarla?”.
“Ero
andato per fare una sorpresa a Rachel”, aggiunse Blaine che
sembrò
aver recuperato colore ed uso della parola. “E mi sono
ritrovato
nel suo camerino per fargli i complimenti”.
“Lo
dice sempre come se fosse stato un errore”, lo
canzonò Kyle con
uno scintillio malizioso nello sguardo azzurro, ma prima che l'altro
potesse rispondere, Sebastian fece un cenno del capo allo
spogliarellista. (O ex spogliarellista).
“Vieni,
ti mostro qualcosa”, lo indusse a seguirlo, evidentemente
curioso
di scoprire che cosa n’era stato, dopotutto, del loro accordo.
I
due ex fidanzati li seguirono con lo sguardo: sembravano condividere
la stessa curiosità, ma Kurt si volse all'altro con un
sincero
sorriso, l'aria evidentemente soddisfatta da ciò che aveva
potuto
osservare di persona.
"Mi
sembrate molto affiatati".
Blaine
ne ricambiò il sorriso, comprendendo quanto quelle parole
celassero
un mero sollievo per il modo in cui si erano lasciati sull'altare. Un
modo di rassicurarlo che, dopotutto, era stata la cosa giusta e
ognuno aveva trovato la propria strada.
"Lo
siamo”, convenne scrutando il giovane. “Ma anche
voi e mi fa
davvero piacere”.
Il
sorriso di Kurt si spense nell'osservare i due parlottare fitto
fitto: “Blaine, non credo che dovremmo lasciarli soli troppo
a
lungo”, commentò con aria pensierosa.
“Mi
hai letto nel pensiero”, fu l'istantanea risposta, mentre si
affrettavano a raggiungerli.
~
"Perché
tutta questa fretta?”, gli chiese Kurt con aria confusa,
vedendosi
letteralmente trascinare verso la zona dedicata alla proiezione dei
film all'aperto. Anche quell'anno il suo ragazzo sembrava esser stato
particolarmente ansioso di non mancare al loro tradizionale
appuntamento a Coney Island.
“Siamo
in anticipo e non mi sembra che ti sia mancato Tom Hanks, visto come
ti sei comportato l'ultima volta", aggiunse con un vago sospiro
e l'aria fintamente corrucciata.
Il
ghigno che gli rivolse Sebastian parve eloquente di come condividesse
il medesimo ricordo:
"Devo
ammettere che hai resistito più del previsto, prima di farti
strappare i vestiti di dosso", la sua voce parve modulata sulle
note finali, mentre sospirava nel suo orecchio, facendolo irrigidire
e costringendolo ad accelerare il passo.
"Siamo
sicuri che aprano stasera?", si guardò attorno con aria
incuriosita e un po' interdetta nel notare che non vi erano altri
spettatori, a parte loro. In realtà sembrava che tutti i
turisti si
fossero allontanati furtivamente verso le attrazioni o i ristoranti.
Si
strinse nelle spalle, simulando indifferenza: "Potrei aver
prenotato l'intera platea".
"Sebastian,
non devi sprecare così il tuo denaro, lo sai", lo
ammonì
dolcemente, pur nascondendo quanto lo emozionassero certe attenzioni.
Soprattutto quando inaspettate e mai anticipate da qualche
manifestazione smielata di sentimenti.
"Fossi
in te non mi lamenterei di qualche raro gesto diversamente
romantico
da parte del
sottoscritto".
Lo
baciò sulla guancia a mo' di silenzioso ringraziamento e si
lasciò
condurre verso l'unica tovaglia disposta sul prato, sgranando gli
occhi alla vista delle candele dall'aroma di vaniglia che sembravano
voler ulteriormente definire l'atmosfera. "Ti sei davvero
superato".
"Se
adesso hai finito di pensare al meraviglioso uomo che hai scelto,
possiamo iniziare".
"Non
mi hai detto il titolo", gli fece notare Kurt con le
sopracciglia inarcate, accoccolandosi contro la sua spalla.
"Non
ce ne sarà bisogno", rispose distrattamente, un vago
sorriso,
appoggiando indolentemente il braccio contro la sua vita.
Kurt
attese, dopo avergli rifilato un'altra occhiata sospettosa, prima che
lo schermo si illuminasse: occorsero diversi istanti perché
realizzasse che non si trattava davvero della proiezione di un film,
ma di una sequenza di fotografie molto familiari. Si rivede da
bambino, da adolescente, nell'uniforme dell'Accademia che aveva
frequentato con Blaine e durante gli anni del liceo.
"Sebastian?".
Gli
fece cenno di tacere e di continuare la visione.
Alle
fotografie di Kurt, subentrarono le fotografie di Sebastian e quelle
della loro convivenza, mentre, nel sottofondo, come l'annunciatore di
un trailer, si udì schiarirsi una voce familiare.
"Non
è una storia banale, non una classica storia d'amore. In
realtà per
certi versi è la storia di due cocciuti e aggiungerei
autodistruttivi-".
"Clarigton,
non iniziare", udirono l'aspro rimprovero di Sebastian e Kurt
ridacchiò in risposta, cogliendo persino in un'iniziativa
così
romantica, il suo alone più ironico e del tutto
caratteristico,
quasi a smussare l'importanza e la solennità del momento.
Uno
schiarimento di voce e la narrazione riprese: "Come stavo
dicendo, due cocciuti nemici dell'amore”. Ancora una volta il
narratore si era fermato durante la registrazione e Kurt ne
immaginò
l'espressione perplessa nello scrutare Sebastian.
“Seriamente: eri
sbronzo, quando hai scritto questa robaccia?".
"Sta
zitto e leggi, idiota".
“Lo
farò per Kurt, sia chiaro”, si schiarì
la gola, prima di assumere
un tono più professionale. “Il primo
s’illudeva di un amore che
non era più adatto a lui, per quanto si crogiolasse di
essere un
discutibile (sto leggendo, non ho scritto io il copione, ben inteso!)
guru della moda, capace di cogliere i pregi altrui e cercare il
meglio negli altri, ma incapace di vederne in se stesso ed esserne
fiero”.
Accompagnate dalle parole di Hunter, l'ennesima carrellata di
fotografie di Kurt negli scatti più recenti: dalla Nyada e
il lavoro
in caffetteria fino all'apertura dell'atelier. Queste ultime
sembravano scatti segreti, ma intenti a coglierlo nella sua
quotidianità, persino – e lì
arrossì e diede una pacca sul
braccio del ragazzo, malgrado il sorriso sognante – quando di
spalle, con uno zoom al fondoschiena, davanti ai fornelli.
“L'altro,
era un affascinante, carismatico, aitante... aspetta, ci sono dieci
righe di elogi?!".
"Ho
dovuto trattenermi", giunse la voce di Sebastian e Kurt lo
immaginò in un'espressione compiaciuta, almeno quanto quella
che
esibiva in quel momento al suo fianco.
"Certo”,
fu l'asciutto commento di Hunter che si schiarì la gola
un'ennesima
volta.
“In
breve, concedendomi licenza poetica, un megalomane compulsivo con
tendenze alcoliste che all'amore non aveva mai creduto. Almeno fino a
quando non era arrivato a New York City e aveva adocchiato un
fondoschiena degno di nota. Aveva fatto del suo meglio (e non c'era
voluto troppo tempo a dirla tutta!)
per indurne il proprietario a diventare il suo inquilino. Sorrideva
delle sue smielate e gratuite panzane romantiche, miste ad una
cronica insicurezza, ma riuscirono, dopo diversi accorgimenti, regole
superflue e battibecchi quotidiani, a trovare un loro equilibrio.
Fino
a quando una Mezza Sega non aveva turbato la loro
quotidianità.
L'affascinante alcolista-”, si era di nuovo interrotto e si
era
sentito un fruscio di fogli. “Aspetta ma non sono neppure
citato!".
"Stai
leggendo”, ribatté Sebastian, in tono
indifferente. “E neppure
troppo bene".
"Avevo
scelta? Non mi lasci neppure terminare la mia tesi!"
"Continua!"
"L'idiota
alcolista non voleva ammettere che, nel tentativo di
mostrare
all'illuso dell'amore che stava gettandosi nell'infelicità,
si era
condannato ad una lunga e sofferta guerra interiore contro se stesso,
il suo passato e il sentimento di cui era un fiero
oppositore”,
Hunter si era interrotto un'ennesima volta, probabilmente per gettare
un'occhiata ironica all'altro.
“Sapeva
che il suo rimpianto più grande sarebbe stato non essersi
concesso
l'occasione di tentare di avvincerlo a sé, cieco del fatto
che il di
lui affetto... ti credi Dante
Alighieri
o Yoda?".
"Mi
stai seriamente seccando, Clarington!”, fu l'ennesimo aspro
commento che strappò a Kurt una risatina. “Se non
vuoi che vada
dalla tua donna a dirle che-".
"Dicevo,
era cieco del fatto che il di lui affetto era altrettanto palese al
mondo esterno. Fino al matrimonio mai consacrato con un rivale, che
al vero amore condusse entrambi, ma ben lungi dal lieto fine
scontato...".
La
voce di Hunter sfumò e Kurt, ancora confuso ma con gli occhi
lucidi,
si voltò: le labbra schiuse in un sorriso emozionato e
divertito, si
volse a Sebastian che si era levato in piedi.
Per
la prima volta quest'ultimo sembrò aver abbandonato
quell'espressione più ironica e sicura di sé:
malgrado dalla
concentrazione si potesse dedurre che quel momento fosse
particolarmente vissuto, incontrò il suo sguardo e parve
ritrovare
risoluzione.
"Non
ho mai creduto nel destino già scritto”, alluse
con un cenno del
capo allo stesso proiettore che aveva loro concesso una discussione
analoga, dopo la visione di un film. “Sono fuggito da chi
volevano
che io fossi e volevo fuggire dalla possibilità che tu mi
costringessi di nuovo a ricominciare da capo”.
Inclinò
il viso di un lato, guardandolo quasi corrucciato: “Avrei
voluto
odiarti per quello che mi avevi fatto. Ma ho odiato soprattutto me
stesso, per non essere stato disposto a chiederti di essere mio,
anche di fronte alla possibilità di un rifiuto”.
Mentre
Kurt tratteneva il fiato, gli occhi lucidi e il cuore in gola,
Sebastian tastò nella tasca interna della giacca che
indossava.
“Per
qualche strano motivo non mi sono già stancato di te e ogni
giorno è
la conferma che se il destino davvero esiste, allora il mio
sarà con
te”.
Soltanto
allora estrasse un cofanetto che dischiuse per lasciargli osservare
il minuscolo oggetto che avrebbe dovuto simboleggiare la promessa
più
importante di tutte.
“Kurt,
vuoi-”.
"Sì,
sì, sì!”, squittì Kurt che
si rimise in piedi, avvicinandosi e
rimirando l'oggetto. Ne studiò la fattura che
sembrò essere
l'ulteriore prova che l'uomo che aveva di fronte fosse l'unico che
avrebbe mai potuto avere al proprio fianco.
Indubbiamente
lo splendore dell'anello era nella sua semplicità: una
singola banda
in oro bianco e con una pietra di zaffiro al centro, simbolo della
purezza e della fedeltà. Simile a quello che era appartenuto
alla
madre e che il giovane aveva sempre amato.
Gli
rivolse uno sguardo luminoso: “Mettimelo, ti prego, non
voglio
aspettare!”, lo implorò.
Sebastian,
che aveva inarcato il sopracciglio perché neppure in grado
di
pronunciare adeguatamente la domanda di rito, scosse il capo, ma ne
sollevò la mano.
"Che
foga", lo canzonò, malgrado lo sguardo di smeraldo tradisse
un'analoga emozione. Un lieve tremore lo sorprese, dandogli qualche
piccola difficoltà nell'insinuare l'anello al dito del
fidanzato.
"Lo
sapevo che me lo avresti chiesto prima o poi", sussurrò Kurt
e,
nonostante dovesse suonare ironico, non vi era altro che devozione
nel suo sguardo.
Sebastian
affondò le mani nelle tasche: "Sono quasi tentato di
ritrattare".
Kurt
rise, ma ne cinse il collo, inducendolo a chinarsi al suo volto:
“Sta
zitto e baciami”, sussurrò ad imitarne il tono
burbero.
~
Entrò
nel pub con il consueto incedere quasi trascinato, sospirando e
gettando appena un'occhiata in direzione del palco e degli avventori
sulla pista da ballo. Rilasciò un sospiro pesante,
puntò verso il
bancone e si lasciò cadere sullo sgabello, sollevando lo
sguardo al
barista. Quest'ultimo gli concesse appena un cenno del capo,
guardandolo di sfuggita, il cipiglio corrugato, mentre tornava a
leggere dei fogli stampati dal computer, apportando qualche modifica
a penna. Chissà se una volta discussa la sua tesi e iniziato
il
lavoro su campo, si sarebbe tolto quell'aria da topo di biblioteca ad
un passo dal suicidio.
Si
sporse a prendere una bottiglia di birra che stappò e si
portò alle
labbra per berne un sorso. Se le pulì con il dorso della
mano,
scuotendo il capo.
"Kurt
mi sta facendo impazzire", lo informò.
Hunter
neppure sollevò lo sguardo dal plico di fogli, annuendo con
un
distratto: "Mhm, mhm".
"Sapevo
di aver chiesto la mano ad uno schizzato perfezionista con manie
assurde per il design, irrealizzabili standard romantici e isteria
gratuita”, scosse il capo e si corrucciò.
“Ma quando è troppo,
è troppo”.
"Mhm,
mhm”.
Sebastian
lo fissò quasi risentito, allungando pericolosamente la
bottiglia
verso i fogli che Hunter si affrettò ad allontanare, prima
che li
potesse bagnare. "Mi stai ascoltando?", gli chiese in tono
indignato.
Il
barista neppure parve preoccuparsi di fingere il contrario. Scosse il
capo e scrollò le spalle: "Fingo educatamente", lo
informò
con un sorriso ironico che fece persino più incupire
Sebastian.
Da
un certo periodo a quella parte era diventato persino più
inutile
del solito. Se c'era qualcosa di più fastidioso del vederlo
patteggiare con Kurt pur di fargli dispetto, il fatto che non
prendesse posizione era un mero insulto. Sembrava persino
infastidito, ma aveva appurato (dai suoi sguardi beoti verso il
palco) che stranamente non aveva ancora compromesso la sua storia con
Tontittany. Quindi non aveva alcun motivo legittimo per risentirsi
del proprio fidanzamento. A parte la sua omosessualità
repressa,
ovviamente.
"Si
può sapere, a proposito, perché cazzo
non sei venuto alla prova di
oggi?”,
gli domandò in tono accusatorio. “Anzi, chiama
Kurt e spiegaglielo
tu direttamente: non dormirò sul divano perché tu
sei un coglione e
ti dimentichi di fare il tuo dovere”, aggiunse in tono
evidentemente infastidito dalla sua totale mancanza di
partecipazione. Sembrava che si stesse persino divertendo a sabotarlo
e creare ulteriori tensioni, laddove ce n'erano a sufficienza.
"E
perché diavolo avrei dovuto esserci?”, gli rispose
l'altro a tono,
le braccia incrociate al petto e fissandolo dall'alto al basso.
“Non
mi risulta che ci si possa presentare sbronzi all'altare”,
sottolineò con forte vena ironica.
Sebastian
scrollò il capo, fissandolo come se stesse dubitando della
sua
sanità mentale: "Forse perché sei il mio
testimone, razza
d’imbecille", gli fece presente in tono seccato.
Avrebbe
giurato che quella sarebbe stata la volta buona in cui la mascella
del giovane si sarebbe slogata, ma repentino fu il modo in cui i suoi
lineamenti sembrarono ammorbidirsi e l'espressione incredula prese il
posto di quella risentita. “Io? Dici sul serio?”,
lo chiese come
se stentasse a crederci. “Io sarò il
tuo-”.
"Il
testimone, sì”, lo rimproverò ancora
aspramente. “Che cazzo ti
è preso, si può sapere?”, lo
indicò con la bottiglia di birra,
quasi stesse soppesando se scagliargliela contro. E poi decidere di
optare per qualcun altro.
La
lusinga dovette cedere presto il posto ad un'espressione indignata ed
offesa: "Tu non me lo hai mai chiesto!", gli rispose
piccato.
Sebastian
sorrise con aria ironica, realizzando finalmente perché
fosse
apparso così scontroso e poco partecipe di quel momento,
malgrado
avesse rischiato la sua sanità mentale perché si
confessasse a
Kurt. Scrollò le spalle, tuttavia, simulando indifferenza:
"Avrei
dovuto?".
Ma
Hunter non lo stava più ascoltando, osservò la
ballerina che, alla
fine del suo numero, si era affrettata ad avvicinarsi al bancone per
sedersi sullo stesso.
"Hai
sentito, Britt?”, le si rivolse in tono entusiasta.
“Sarò il suo
testimone!".
La
biondina gli sorrise, punzecchiandogli la guancia come se si fosse
trovata davanti ad un bambino particolarmente entusiasta, dopo
un'impresa di particolare concentrazione.
"Ma
certo, amore”, lo vezzeggiò, baciandone quella
porzione di pelle,
per poi sorridere con aria d'ovvietà. “Chi altro
credi che
sopporterebbe Ciuffo Disney Brontolone?".
"Ehi!",
borbottò Sebastian quasi risentito.
"Aspetta”,
il barista parve nuovamente perso nei propri pensieri e schiuse le
labbra, un'espressione improvvisamente sconvolta. “Ti sposi
tra
due giorni e si aspettano che io pronunci un discorso per il
brindisi!", parlò letteralmente tra sé.
"Kurt
ci terrebbe particolarmente”, lo informò Sebastian
con voce
dolciastra. “Un promesso brillante chirurgo:
chissà quanti
paroloni difficili”.
"Oddio,
non sono bravo coi discorsi e non ho neppure tempo”,
balbettò,
affrettandosi a recuperare una penna e qualche foglio bianco,
fissandolo con aria terrorizzata.
Un
sorriso perfido increspò le labbra di Sebastian che
sollevò la
bottiglia di birra, quasi a dedicargli un brindisi. "Dilungati
quanto vuoi sui miei pregi, Kurt non si stancherebbe mai di
ascoltarli. Auguri!",
“Buon
lavoro”, gli sorrise la biondina che ne baciò la
guancia. “Sono
sicura che scriverai qualcosa di bellissimo”, lo
vezzeggiò, prima
di tornare sul palco al richiamo dei colleghi.
Sollevò
lo sguardo sullo sposo e parve folgorato dalla realizzazione.
"Brutto
bastardo”, borbottò perché la sua
ragazza non lo sentisse usare
un linguaggio volgare. “L'hai fatto di proposito!".
Il
sorriso di Sebastian fu una risposta sufficiente.
"Ci
vediamo, Clarington e vestiti decentemente”. Si rimise in
piedi e
si allontanò rapidamente, prima che si ricordasse di
chiedergli
(inutilmente) di pagare la sua consumazione.
"Credevo
che ti fossi già vendicato!", gli urlò dietro.
"Ora
siamo pari!”, lo informò, sollevando il braccio in
segno di
saluto, senza neppure voltarsi.
"Sono
tornato!", si annunciò, non appena valicò la
soglia
dell'uscio.
Si
diresse a grandi passi verso la cucina, laddove proveniva un
piacevole profumo che gli lasciò facilmente intuire che Kurt
stesse
già pensando alla cena.
Dopo
aver controllato la cottura nel forno, quest'ultimo si volse in sua
direzione: le braccia incrociate al petto e l'espressione stizzita
che lasciò intuire a Sebastian che qualcosa lo aveva
indispettito.
Lo scrutò, l'espressione severa che non si sciolse neppure
di fronte
al suo sorriso più affascinante (ed era tutto un dire).
"Non
vedo la spesa".
Gli
sorrise con aria sferzante, circumnavigando il piano di lavoro per
avvicinarsi e chinarsi al suo orecchio: "Anche io sono contento
di rivederti, tesoro",
sottolineò con voce ironica. Non era un caso che usasse
quell'appellativo quando doveva chiedergli qualcosa o sapeva di
averne suscitato il disappunto.
Kurt
sollevò gli occhi al cielo: “Non chiamarmi-".
"Salve
a tutti!", furono interrotti dall'arrivo del giovane che aveva
approfittato dell'uscio lasciato mezzo schiuso.
Hunter
Clarington rivolse ad entrambi un sorriso e Sebastian si costrinse a
scostarsi da Kurt, l'espressione risentita nello scrutarlo: "Ancora
qui?".
Il
fatto che non si scompose era evidente sintomo di quanto lo
conoscesse e non si aspettasse nulla di più. Gli rivolse
persino un
mezzo sorriso, mentre si toglieva la giacca: “Tranquillo, me
ne
andrò domattina... presto, molto presto”, aggiunse
a mo' di
rassicurazione.
"Ciao
Hunter", gli sorrise in compenso, Kurt, prima di rivolgersi
nuovamente al proprio ragazzo, recuperando la sua espressione
più
severa. "Il fatto è che comincio davvero ad essere stanco-".
Si
interruppe, quando Hunter si mosse verso il frigorifero e Sebastian
gli lanciò un'occhiata al vetriolo.
Il
barista sollevò le mani con un sorriso di scuse. "Vi lascio
subito soli: giusto il tempo di sistemare la spesa. Ho pensato di
fare un passo al supermercato, visto che il frigorifero è quasi
vuoto”, fece notare con quello che
sembrava un tono
casuale ma che, Sebastian lo sapeva bene!, era un modo di metterlo
nei guai e screditarlo di fronte al proprio ragazzo. Quasi fosse il
padrone di casa, cominciò a disporre i prodotti nei ripiani
con
ordine quasi chirurgico. “Tu prendi il latte di soia, vero,
Kurt?
Un'ottima scelta".
Quest'ultimo
lo guardò con gli occhi sgranati, ma lo sguardo ne
tradì la
sorpresa e una nota di evidente compiacimento:"L'hai preso per
me?".
Hunter
si strinse nelle spalle, come a sminuire il gesto: "Era il
minimo che potessi fare, vista la gentilissima
ospitalità”, chiuse il frigorifero ed estrasse un
flacone azzurro
dall'altro sacchetto. “Ti consiglio di provare questo
ammorbidente:
è l'ideale per i delicati", glielo porse e Kurt lo prese
come
se si fosse trattato di un oggetto di intenso valore, neppure
curandosi di nascondere quanto fosse deliziato della cortesia.
"Gay,
gay, gay, gay", commentò Sebastian che parve volerlo
trafiggere
con una pugnalata al cuore ad ogni ripetizione.
"Visto?”,
lo incalzò Kurt quasi spalmandogli in faccia l'etichetta del
flacone. “Perché non puoi cercare di
somigliargli?".
La
situazione sarebbe già stata abbastanza irritante, senza che
il suo
occhio fin troppo allenato non avesse scorto il ghignetto malefico
che Hunter Clarington riuscì a celare troppo tardi, fingendo
di
tossicchiare e distogliendo discretamente lo sguardo.
"Perché
ho una dignità!", sbottò in risposta.
"Chiedo
scusa”, si intromise ancora l'ospite, allontanandosi.
“Ho un
appuntamento con Brittany e non vorrei ritardare".
Evidentemente
incapace di resistere, Kurt lasciò tra le mani di Sebastian
l'ammorbidente e si rivolse ad Hunter, sporgendosi dal tavolo per
osservarlo: "Hai intenzione di indossare quello smoking blu che
ho visto involontariamente tra i tuoi effetti personali?”.
Con
teatrale lentezza, Hunter si volse, non nascondendo una certa
soddisfazione: "Vuoi dire quello coi risvolti azzurri?".
Kurt
annuì con enfasi e il suo sorriso si estese: "Dovresti
abbinarci una giacca a doppio petto, con le tue spalle larghe e-".
"Quando
hai detto esattamente che te ne vai?", ripeté Sebastian in
tono
sprezzante.
"Sebastian!",
lo rimproverò Kurt con voce stridula.
Hunter
sospirò con aria melodrammatica: “Non crucciarti,
Kurt, ci sono
più che abituato, ma grazie infinite dei brillanti consigli
che
seguirò pedissequamente”,
lo rassicurò.
"Aspetta”,
lo incalzò Kurt, che parve totalmente dimentico del proprio
ragazzo,
scrutandolo con aria quasi preoccupata. “Le hai comprato i
fiori,
vero?".
"Certo",
ribatté Hunter fin troppo rapidamente.
Sebastian
lo conosceva ormai troppo bene per non accorgersi del lieve spasmo
all'altezza della mascella. “Che no”,
completò per lui con
espressione compiaciuta.
Evidentemente
cogliendo la sfida implicita, Hunter si volse direttamente a Kurt:
“In realtà pensavo di acquistarli, prima di
andarla a prendere,
così che siano appena colti”.
Doveva
aver passato l'esame, visto come Kurt applaudì ed
annuì con enfasi:
“Eccellente: non ti trattengo, un cavaliere deve sempre
concedere
discretamente cinque minuti alla sua dama, non di
più”.
Stava
ancora sorridendo, quando si voltò di nuovo e non parve
accorgersi
di come il proprio ragazzo lo stesse guardando evidentemente
risentito. "E' davvero un gran bravo ragazzo", pronunciò
come una vecchia comare che stesse elogiando il figlio dei vicini.
Sebastian
sollevò gli occhi al cielo: "Ricordarmi perché
sta da noi".
"Perché
ti sei gentilmente offerto di dargli asilo, mentre gli ristrutturano
casa”, rispose Kurt. Aggiunse poi in tono ironico:
“Ma soltanto
dopo
che lui ti ha dimostrato che davvero
non poteva farsi ospitare da Brittany. Una sfortuna che il padre di
lei lo detesti (e non c'era bisogno che tu lo aiutassi in questo). E dopo
che tu stesso non gli hai trovato un'altra sistemazione alternativa
con i pochi soldi rimasti e-".
"Giacca
a doppio petto?", lo interruppe Sebastian.
Kurt
si strinse nelle spalle, ma non fu abile a nascondergli un sorrisetto
civettuolo: era certo che quei complimenti fossero anche un modo per
infastidirlo. "Non è un mistero che abbia le spalle
più larghe
delle tue, mi
sembra",
commentò in tono distratto.
"E
le palle più flosce", soggiunse con evidente sarcasmo che
stonava con il sorriso affabile.
"Siamo
forse gelosi?", lo incalzò Kurt che, per una volta, non
parve
volerlo sgridare per la volgarità appena pronunciata.
"Credo
che tu debba pagare per tutte le stupidaggini che hai appena detto",
commentò Sebastian, ma abbandonò l'espressione
truce per
avvicinarsi, fino a inchiodarlo contro il lavello.
"E
tu per non aver fatto la spesa... di nuovo", fu la pronta
replica di Kurt che stava evidentemente cercando di aggrapparsi al
motivo della sua stizza iniziale e non cedere di fronte alla sua
seduzione. “Ci sposiamo tra tre settimane, le cose dovranno
cambiare e-”.
Si
sporse al suo viso, nello stesso istante in cui sentirono i passi del
terzo incomodo.
"Io
vado”, annunciò Hunter e Sebastian
sollevò gli occhi al cielo,
desiderando lanciargli un coltello tra le scapole, per essere certo
che finalmente si togliesse dai piedi.
"Salutami
Brittany!", gli sorrise Kurt, agitando la mano.
"Senz'altro”,
ne ricambiò il gesto, prima di giungere all'uscio.
“Sebastian",
gli rivolse un cenno del mento.
"Clarington".
"Penso
che andrò a rilassarmi con un bagno, mentre le lasagne
cuociono",
gli fece presente Kurt che, approfittando della sua distrazione, si
era già allontanato.
"Ti
raggiungo subito", gli disse con voce flautata.
L'altro
si volse sulla soglia del bagno, guardandolo con aria ancora
stizzita: "Non ti ho invitato".
"Lo
so", rispose con un sorriso suadente.
Attese
che l'uscio del bagno fosse chiuso alle sue spalle, ed entrò
rapidamente nella ex camera di Kurt in cui Clarington aveva sistemato
provvisoriamente il suo giaciglio. Prese tutti i suoi bagagli il
più
silenziosamente possibile e li lasciò cadere sul
pianerottolo
davanti alla porta.
Con
un po' di fortuna qualche barbone avrebbe depredato il tutto, prima
che l'imbecille tornasse dal suo appuntamento.
Sorrise
con aria soddisfatta, conficcando le mani nelle tasche.
"Tesoro, sto arrivando!", si annunciò nuovamente
con un
ghigno.
~
Una
lieve gomitata, ben assestata, lo fece sussultare e lo
riportò al
presente: fu così che Sebastian finalmente si concesse di
lasciare
andare i ricordi degli ultimi quattro anni.
Reclinò
il capo per osservare Kurt che lo stava scrutando con disappunto ed
incredula indignazione
Parlando
quasi senza muovere le labbra (sia mai che il fotografo immortalasse
proprio quel
frangente e fosse costretto in futuro a serbare quel ricordo), lo
rimproverò: "Non riesco a credere che tu stia pensando ad
altro, mentre ci stiamo sposando".
Sebastian
non si scompose e neppure cercò di celare il sorrisetto
sferzante e
divertito: si strinse nelle spalle. Non era certo una propria colpa
se il celebrante non aveva particolari doti oratorie.
"Giusto
in tempo per la parte più interessante", rispose con un
guizzo
malizioso nello sguardo, prima che l'officiante gli rivolgesse la
domanda ufficiale.
Percepì
la pressione degli sguardi dei presenti, in primis il modo in cui le
iridi azzurre di Kurt stessero indugiando su di lui e sembrasse in
procinto di andare in iperventilazione. Ignorò volutamente
la
gomitata di Clarington alle sue spalle, dicendosi che si sarebbe
premunito di vendicarsi a suo tempo.
Sorrise,
stringendo la mano del fidanzato, uno scintillio malizioso nello
sguardo smeraldino.
"Lo
voglio", pronunciò con voce sicura di sé.
Lo
scintillio parve persino più sfolgorante, quando fu Kurt a
pronunciare la propria volontà con voce più
tremula a tradirne una
reale commozione, lasciando che gli apponesse la fede al dito.
Senza
attendere l'autorizzazione del celebrante, si chinò al suo
volto,
cingendone strettamente la vita e chinandosi a soffiare
maliziosamente sulle sue labbra: "Avevi paura che non
rispondessi?", lo canzonò, osservandone lo sguardo ancora
lucido.
Gli
rivolse quel sorriso più ironico, quello che adottava sempre
per
reagire alle sue provocazioni e simulò una perfetta
compostezza:
"No, considerando che sei stato tu a chiedermi di sposarti".
Sebastian
sorrise maggiormente, le sopracciglia inarcate con aria vagamente
sorpresa: "Ti ho reso un po' troppo sicuro di te, Hummel".
“Credo
che sia Hummel Smythe, adesso”, soffiò in risposta
in tono
impudico.
Resistette
alla tentazione di ironizzare sulla dubbia virilità della
risposta e
ne baciò le labbra, trattenendolo contro di sé un
lungo istante.
Quello necessario ad imprimere una propria impronta nel suo sorriso
più sognante.
"Un
matrimonio perfetto”, commentò Kurt che
studiò il padiglione
sotto cui erano disposti i tavoli degli invitati al banchetto. Si
volse al marito con un sorrisetto supponente:
“Così impari a
dubitare delle mie doti organizzative".
Sebastian
si strinse nelle spalle, prima che lo sguardo si posasse sul giovane
che si era appena alzato con il suo calice in mano. Lo
indicò con un
cenno del mento: “Aspetta a confermarlo,
tesoro: lui
è sempre capace di
rovinare tutto”.
Kurt
non sembrava dello stesso avviso, a giudicare dal cenno distratto con
cui lo invitò a tacere:
“Mi
commuoverò, ne sono certo. Spero di commuovermi", aggiunse
tra
sé e sé e Sebastian sollevò gli occhi
al cielo, osservando il
barista con le braccia incrociate al petto e l'aria serafica.
Quest'ultimo
si schiarì la gola per attirare l'attenzione generale:
"Spero
che scuserete la mia scarsa abilità oratoria, sono sempre
stato un
tipo più manuale".
Aveva
appena terminato la prima frase che risuonarono diversi versi
strozzati di puro divertimento e Sebastian gettò un'occhiata
all'ispanica: "Lopez, vorresti averlo tu l'onore?".
"Sebastian!",
lo richiamò aspramente Kurt che fece un cenno di scuse al
testimone,
pregandolo con lo sguardo di continuare.
Quest'ultimo
scosse il capo in direzione dell'amico, l'espressione di stoica
sopportazione (malgrado il lieve colorito rosato sulle guance e
probabilmente una buona dose di imprecazioni interiori, per essersi
scavato la fossa da solo) e riprese. “Purtroppo lo sposo ha
ben
pensato di informarmi tardivamente di avermi scelto".
"Non
lo avevi avvisato?", sentì la voce indignata del marito, ma
gli
rivolse un sorriso beffardo in risposta.
"Di
certo non dimenticherò il disgraziato giorno in cui quel
ragazzo",
sollevò il bicchiere
nell'atto di indicarlo, "è entrato al Penguin Pub per la
prima
volta".
"Penguin
Pub".
Sebastian
Smythe aveva scrutato l'insegna con aria indolente, portandosi la
sigaretta alle labbra per inalare un'ultima volta. La spense con aria
distratta contro la parete, lasciò cadere la cicca a terra e
si
strinse nelle spalle.
Deve
essere un locale gay, sentenziò
tra
sé e sé, prima di farvi ingresso. Un locale
valeva l'altro per una
sbornia di benvenuto.
"Se
avessi potuto sapere ciò che ne sarebbe derivato,
sicuramente mi
sarei licenziato, prima che potesse avvicinarsi al bancone”,
continuò Hunter, suscitando qualche risata tra gli astanti.
Parve
tornare serio nello scrutarlo con il viso inclinato di un lato. Tutto
sommato, nonostante la sua professione futura lo avrebbe
rilegato in una sala operatoria, non sembrava troppo intimidito dallo
stare sotto i riflettori in quel momento.
“Ma
ciò che ancora mi sorprende è l'evoluzione di
Sebastian: da uomo
narcisista, insopportabile, egocentrico, egoista e
manipolatore”,
elencò senza battere ciglio, prima di prendersi un'enfatica
pausa e
corrugare le sopracciglia. “In realtà non sei
affatto cambiato",
aggiunse per il puro gusto di suscitare altre risate divertite,
compresa quella di Kurt.
Sebastian
si limitò ad affondare maggiormente nella sedia, le braccia
incrociate al petto e le sopracciglia corrugate, domandandosi dove
sarebbe andato a parare. E già escogitando molteplici
vendette.
"Ma
è innegabile che il suo approccio all'amore non sia
più lo stesso",
commentò Hunter dopo che l'ilarità ebbe lasciato
spazio all'attesa
e lasciò che quelle parole gravitassero nel silenzio dei
suoi
attenti spettatori.
Non
aveva una vocazione da barista, sicuramente, ma con l'allenamento
poteva quasi dirsi capace di riuscire a riconoscere la clientela che
si avvicinava al suo bancone. Scrutò il nuovo arrivato con
le
sopracciglia inarcate:
"Hai
l'aria di uno che ha bisogno di un bel drink per rifarsi una vita".
Un
sorriso sghembo increspò le labbra del ragazzo che si
sedette, le
sopracciglia inarcate nello scrutarlo con la medesima attenzione,
prima di far cenno alla bottiglia di tequila che stava ripulendo.
"Versa
e sta zitto”, gli intimò in tono arrogante, l'aria
di chi era più
che avvezzo a impartire ordini e aveva la presunzione di ottenere
sempre ciò che lo aggradava. “Ti sembro uno di
quegli sfigati che
ha bisogno di una spalla gay su cui piangere?", lo incalzò,
dopo aver tracannato il drink.
"Io
non sono-".
"Fammene
un altro", lo interruppe, totalmente disinteressato alla sua
replica.
“Come
vuoi”, rispose in tono conciliante.
Niente
di meglio di un cliente poco eloquente, per poter trascorrere
rapidamente quelle ore e sperare di sopravvivere ad un altro turno.
Se
ne pentì, diverse ore dopo, quando il giovane
affondò il capo
contro il bancone. Non sembrava essersi accorto del fatto che fosse
l'unico ancora presente e che lui stesse affrettandosi a riordinare
la propria postazione, per poter tornare a casa. Stava blaterando
qualcosa di incomprensibile sulla sua famiglia, la Francia e il
coming out.
“Davvero
commovente”, si sforzò di celare la propria
ironia, per poi
pungolarlo alla spalla, attendendo che sollevasse il volto. Non aveva
una bella cera, e lo sguardo era decisamente vacuo. Sperò
che non
svenisse, prima di raggiungere l'uscita.
“Noi
dovremmo chiudere”.
Era
piuttosto resistente, dovette riconoscerglielo: lo vide rimettersi in
piedi quasi senza problemi, seppur dovette litigare diverse volte coi
bottoni, prima che il soprabito fosse allacciato.
Il
barista sospirò, consapevole di non poterlo lasciare andare
senza
essersi assicurato che non si sarebbe ammazzato: "Non sei venuto
in auto, vero?".
La
domanda parve divertirlo, gli scoccò un'occhiata maliziosa:
"Vuoi
frugarmi nelle tasche?”, gli chiese beffardo. Fu lieto del
fatto
che non attendesse una sua risposta e lo guardò scuotere il
capo.
“Vado a piedi: è stato beeeeello”, gli
fece presente e allungò
una banconota, ma quando non riuscì a capire quale fosse la
mano
tesa in sua direzione, la lasciò cadere sul bancone.
“Tieni pure
il resto”.
Sgranò
gli occhi nel fare un rapido calcolo:“Quindici dollari di
mancia?!”, gli chiese in tono incredulo, fissando la
banconota, in
preda ad un evidente battaglia interiore.
“Ci
vediaaaaamo”, lo salutò l'altro con un cenno del
braccio e, pur
camminando con incedere goffo, raggiunse presto l'uscita.
Hunter
sorrise tra sé e sé, stiracchiando la banconota:
“Speriamo che
torni”.
"L'ho
guardato struggersi per più di un anno in attesa di un
matrimonio
che non avrebbe mai dovuto vedere la luce. L'ho supplicato, spronato,
gli ho urlato contro di rivelare i suoi sentimenti, ovviamente senza
alcun effetto se non ritardare i miei esami, stressarmi e farmi
diventare quasi whisky-dipendente".
Il
viso di Hunter si era incupito al ricordo, evidentemente l'esperienza
lo aveva segnato, seppur indirettamente.
"L'hai
detto tu: fai schifo", gli ricordò Sebastian, ma il barista
lo
ignorò e riprese il suo discorso.
"E
malgrado fosse tanto preso dal suo disastro sentimentale, non mancava
mai di sabotare la mia vita privata, con la stessa premura di sempre
e le alleanze storiche”, fece cenno all'ispanica che rivolse
agli
altri invitati il suo sorriso più impertinente, sollevando
la mano
ad imitare il regale saluto di una regina.
“Per
quanto io abbia spesso dubitato della mia
salute mentale nel considerarlo ancora un amico, almeno quanto della
resistenza del suo fegato alle sbronze settimanali, di una cosa era
certo e questo, a dire il vero, ha reso tutto persino più
frustrante, ma incredibilmente Sebastian”.
Per
la prima volta distolse lo sguardo dall'amico per volgerlo al giovane
il cui sguardo azzurro si era già fatto lucido nei passaggi
più
intensi di quel discorso.
“Il
suo amore per Kurt, l'unico essere umano per la cui felicità
sarebbe
stato disposto a convivere una vita intera coi suoi rimpianti, un
orgoglio scalfito e la consapevolezza di non essere abbastanza in
qualcosa”.
E
fu con voce più vellutata, a voler dare maggiore enfasi al
tutto
(probabilmente anche per il puro gusto di metterlo a disagio), che
aggiunse: “A dispetto di se stesso, Sebastian Smythe ha
dovuto
ammettere di saper amare e più di quanto molti dei qui
presenti
potrebbero anche solo immaginare".
"Hai
finito, Clarington?", berciò Sebastian, evidentemente giunto
al
culmine della propria sopportazione.
"In
realtà ci sarebbe anche l'aneddoto sull'acquisto dell'anello
di
fidanzamento".
"Ok,
hai finito".
“Allora,
entriamo e facciamolo”, commentò Sebastian tra
sé e sé,
guardando la gioielleria con la stessa espressione corrucciata con
cui avrebbe guardato un patibolo.
“Non
stai per sottoporti ad una colonscopia”, commentò
l'altro con un
sorrisetto sferzante, ma il non ottenere una replica tempestiva era
evidente segno di una reale agitazione.
Si
rivolse alla titolare del negozio con la stessa flemma con cui
avrebbe ordinato dei salumi, infastidito non poco da come la donna
sembrò letteralmente illuminarsi.
“Perché
non comincia parlandomi di come vi siete conosciuti?”.
"Non
perdiamo tempo”, fu la replica di Sebastian. “Non
sono un tipo
qualunque, quindi prenda appunti: so esattamente come sarà
l'anello".
E
procedette ad una descrizione precisa ed accurata, con tanto di
schizzo che lui stesso aveva elaborato, spiegando esattamente la
fattura e specificando la scelta della pietra. La donna non
mancò di
annotare ogni cosa e, con suo grande fastidio, sembrava persino in
procinto di commuoversi. Soltanto alla fine della sua descrizione,
parve rivolgere loro uno sguardo perplesso.
"Zaffiro?
Ma ne è sicuro?”, gli domandò per poi
sporgersi maggiormente in
loro direzione. “Eppure avete entrambi gli occhi verdi".
Hunter
Clarington si affrettò a scostarsi, una smorfia sul volto:
"Non
sono io!", commentò in tono incredulo, ignorando l'occhiata
ironica di Sebastian che sembrava tanto un “te l'avevo
detto”. Ma
quando si rivolse alla donna, il sorriso era scomparso: "Segua
esattamente queste istruzioni".
"D'accordo,
Signor Smythe”, lo rassicurò la donna, seppur poco
soddisfatta
dalla sua totale mancanza di coinvolgimento emotivo. Poco ci
mancò
che la poveretta svenisse alla richiesta dell'incisione sul lato
interno della banda in oro bianco: Bootylicious.
Si
affrettò, tuttavia, a prendere nota e informarlo sui tempi
necessari
alla creazione.
"Che
stai guardando?".
La
voce di Sebastian parve colpire Hunter come un pugnale tra le
scapole, ma si affrettò a raddrizzarsi e si strinse nelle
spalle. "Niente”, si affrettò a rispondere.
“Fatto tutto?”.
Sebastian
inarcò le sopracciglia: "Non starai davvero pensando a...?".
"Andiamo
via", si affrettò a replicare l'altro.
La
commessa scosse il capo tra sé e sé: raramente il
suo giudizio era
errato. E decisamente qualcuno avrebbe dovuto ammettere di essere
daltonico. E magari un po' pervertito.
"A
Kurt”. Sollevò il calice in sua direzione.
“Perché sappia
sopportarti giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno... e amarti
come meriti", aggiunse in tono più accorato.
Kurt
sorrise, stringendone la mano e asciugandosi per l'ennesima volta gli
occhi umidi.
"E
a me?", lo incalzò Sebastian, quando ebbero tutti bevuto in
onore del marito.
Si
strinse nelle spalle, prima di sollevare nuovamente il calice: "Che
tu diventi sempre meno simile a te stesso”, fu l'augurio
scherzoso.
“A
Kurt e Sebastian!".
~
Dopo
la frenesia di quella lunga giornata, c'era qualcosa di distensivo e
rilassante nell'osservare lo skylight di New York che si rifletteva
nelle acque e i fuochi d'artificio che sembravano suggellare la loro
unione. Sebastian sospirò contro i capelli di Kurt,
trattenendolo
contro il proprio petto.
Quest'ultimo
reclinò il collo per osservarlo: “Non ci posso
credere che siamo
arrivati fin qui”, gli fece presente. La voce flebile, eppure
Sebastian riuscì ad intuire l'intensità di quelle
parole e la
meraviglia stessa di cui erano intrise.
Rafforzò
la pressione intorno ai suoi fianchi: “Ed è solo
l'inizio: non hai
idea di tutto quello che ti aspetta, Hummel”.
“E'
anche il tuo cognome adesso, non dirlo con quel tono
superiore”, lo
canzonò con un sorrisetto, per poi osservarlo con un
sospiro. “Sei
molto più romantico di quanto tu voglia ammettere,
nonostante
tutto”.
Ne
mordicchiò il collo, quasi a mo' di minaccia:
“Sbrigati con quel
bouquet, voglio partire”.
Kurt
annuì e si scostò dolcemente per rivolgersi agli
invitati: “Allora,
signorine? Siete pronte al lancio?”, si guardò
attorno con aria
spaesata, cercando un volto in particolare.
“Bigné
alla fragola!”, gioì Brittany che evidentemente,
malgrado il lungo
buffet, aveva ancora nel suo stomaco un posto speciale riservato ai
dolci.
Santana
Lopez, dopo aver incrociato per sua somma sfortuna lo sguardo di
Sebastian, sollevò gli occhi al cielo, prese la biondina per
il
braccio e la trascinò verso la calca di giovani ragazze. Si
fece
strada tra loro, senza particolari cerimonie o risparmiare spintoni,
collocando la biondina in prima fila e gettando occhiate minacciose
tutto attorno.
Brittany
la guardò confusa, mentre si allontanava:
“Perché mi hai
trascinata?”, chiese nello stesso istante in cui, dopo un
finto
countdown, Kurt lanciò il bouquet in sua direzione.
La
ballerina sgranò gli occhi nel prenderlo per puro istinto:
“Ho
vinto!”, dichiarò in tono genuinamente
soddisfatto, prima di
sgranare gli occhi azzurri alla vista del cofanetto incastonato tra i
nontiscordardimé.
“Un
piccolo scrigno del tesoro?”, commentò tra
sé e sé, schiudendolo
e boccheggiando alla vista dell'anello. Non si era accorta di come
Hunter Clarington avesse seguito l'intera scena con lo sguardo e le
si fosse avvicinato.
“E'
così rosa!”, commentò la giovane
rimirando il piccolo tesoro in
quarzo rosa. Incrociò lo sguardo del giovane e soltanto in
quel
momento parve realizzarne il significato. Il viso assunse una
sfumatura più colorata e sembrò incapace di
proferire parola.
Hunter
annuì, come se la sua osservazione fosse stata basilare:
“Una
farfalla: leggera, spensierata, aggraziata come sei tu, quando sei
sulla pista da ballo”, precisò con voce modulata,
ignorando gli
sguardi incuriositi degli astanti, come se nessun altro fosse
presente a quell'istante.
“So
che ci conosciamo da poco, ma so anche di non aver mai provato
qualcosa di simile finora. E se sei tu la più spontanea tra
noi,
cercherò di assorbire un po' di te e farti sentire una
principessa,
ogni singolo giorno. Vuoi sposarmi?”.
La
giovane sbatté le palpebre a più riprese,
boccheggiando e
portandosi una mano alle labbra: “Credo di star per
piangere”,
pigolò con voce strozzata.
“Spero
sia un sì”, sorrise il ragazzo con aria vagamente
impacciata, il
viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate con aria
divertita.
“Sì,
sì, sì,sì, certo che
sì!”, rispose con impeto, gettandogli le
braccia al collo, spalmandogli per errore il bouquet in faccia, prima
di poterlo baciare.
Sebastian
sollevò gli occhi al cielo e porse a Kurt il fazzoletto che
estrasse
dal taschino (sperò che non se ne accorgesse prima che
arrivassero
in albergo) e fissò la coppietta con le sopracciglia
inarcate, prima
di stringersi nelle spalle.
"Non
vedo il senso di commuoversi”, sottolineò con aria
fintamente
stizzita, celando il sorriso nell'osservare il barista nell'atto di
insinuare l'anello al dito della biondina. “Ci hanno appena
rubato
la scena”.
"Adorabili”,
pigolò Kurt, asciugandosi le lacrime. Inquietante come il
viso
sembrò subito dopo sfolgorare di nuovo entusiasmo.
“Non vedo l'ora
di organizzare il loro
matrimonio!”.
Sebastian
sorrise, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, e si
chinò
al suo orecchio: "Forse questa
volta
non mi intrometterò",
sussurrò in tono sardonico.
Quelle
parole parvero far breccia nella mente di Kurt che si volse ad
osservarlo con gli occhi sgranati: "Cosa?".
"Andiamo,
marito", lo canzonò, ma ne strinse la mano, conducendolo
verso
il traghetto.
L'altro
non parve particolarmente incline a desistere, a giudicare da come
aggrottò le sopracciglia: "Devi spiegarmi che cosa intendevi
dire con quella
frase!", lo rimproverò.
Sebastian
sorrise persino più suadente, salendo sulla barca loro
riservata,
aiutandolo a fare altrettanto. Abbracciò con lo sguardo la
spiaggia
di Coney Island per un'ultima volta, certo che avrebbe fissato quei
ricordi senza difficoltà.
"E
farti chiedere il divorzio, prima di aver consumato
la nostra unione?", gli chiese in tono beffardo.
"Sebastian,
voglio sapere-”.
Ne
cinse la vita e lo attirò a sé, incurante del suo
sguardo
corrucciato, indugiando a lungo nel suo sguardo di zaffiro, cogliendo
il modo in cui la luna stava facendo scintillare la pietra
all'anello.
"Zitto
e baciamani", sussurrò sulle sue labbra.
Si
beò, ancora una volta, di come sembrasse dimenticare ogni
motivo di
stizza e di rimprovero e di come si cinse al suo collo.
"Sempre",
sussurrò come se la fosse soltanto la prima di molte altre
volte.
The
End
E'
sempre un dolce dolore siglare la fine di un progetto, soprattutto
quando gli si è dedicato del tempo tra la stesura dei
capitoli, la
loro revisione, le modifiche alla trama e la pubblicazione. Non
è la
prima volta che mi costringo a lasciarli andare, ma non credo che ci
si possa abituare a quella sensazione di vuoto che scaturisce
nell'istante successivo.
In
fondo una fanfiction è anche uno scorcio della vita
parallela di chi
la scrive, giorno dopo giorno, e in quest'ultimo anno non sono
mancati momenti difficili, ma la scrittura è sempre stata un
balsamo
lenitivo e un modo di evadere dalla realtà esterna.
E'
difficile separarsene ma, al contempo, so che non avrei davvero
potuto aggiungere altro (anzi, ehm, spero che la lettura non vi sia
sembrata eccessivamente lunga!) nella speranza di aver soddisfatto
tutti i possibili dubbi o curiosità sul destino dei
personaggi che
ci hanno accompagnato in questi mesi.
Mi
permetto, pur a torto, di far mie le parole di Dickens, all'indomani
della fine della sua stesura di David Copperfield (ovviamente non sto
paragonando la mia fanfiction ad uno dei miei romanzi preferiti. Ma
quando l'ho letta, mi sono sentita davvero emozionata e mi ero
ripromessa di condividerla con voi, perché ho saggiato
emozioni
simili) e vi prego di supportare con pazienza l'ultimissima citazione
:)
(Londra, Ottobre, 1850).
« Non
mi riesce facile nelle prime sensazioni che provo avendo terminato
questo libro, di staccarmene quanto basta per parlarne (…)
Il mio
interesse per esso è tanto forte e recente, e il mio animo
è
talmente divido tra la soddisfazione e il rammarico –
soddisfazione
per il compimento di un antico disegno, rammarico nel separarmi da
tanti compagni – che corro il rischio di infastidire i
lettori, cui
voglio bene, con personali confidenze e private commozioni.
Oltre
al fatto che tutto ciò che potevo dire di questa Storia, a
qualunque
fine, mi sono ingegnato di dirlo raccontandola
»
Credetemi,
è una casualità che io abbia deciso di
posticipare l'aggiornamento
al Venerdì successivo alle feste e che questo coincida con
la messa
in onda dell'ultima stagione di Glee.
Come
ben sa chi mi conosce o ha compreso chi mi ha letta, non
vedrò
realizzate le mie coppie ideali e, seppur abbia espresso più
volte
critiche alla sceneggiatura, non potrò che sentire un vuoto
alla
fine di questa grande avventura. Ma almeno avrò la
consolazione di
aver pitturato un mio piccolo grande mondo ideale :)
Grazie
a tutti voi che mi avete fatto compagnia in questi ultimi mesi: la
vostra lettura silenziosa, l’incoraggiamento, la richiesta di
delucidazioni, le accurate osservazioni sullo stile, le speranze nel
proseguo della narrazione, l'emozione e persino la rabbia, hanno reso
questa idea una meravigliosa realtà che non posso che
guardare con
orgoglio e soddisfazione.
Un
forte abbraccio e l'augurio di un meraviglioso 2015 a tutti voi,
Kiki87
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