Cento poesie di cento poeti

di sof_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 Solo perchè ***
Capitolo 2: *** #2 Tenuto segreto ***
Capitolo 3: *** #3 Nell'angoscia ***



Capitolo 1
*** #1 Solo perchè ***


Cento poesie di cento poeti


Salve a tutte/i
So benissimo che ho tanti e tanti lavori da completare, so anche che da un po' di tempo vi importuno invadendo questo fandom ;)
Ma non posso tirarmi indietro di fronte a questa fantastica possibilità.
Vi spiego subito.
Ho in mano da pochi giorni il libro “Aceri e Amore: cento poesie di cento poeti giapponesi”
Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di Chihayafuru?
E del Karuta?

Bene!

Come sapete (o forse no) l'Uta Karuta("carte delle poesie"), o semplicemente Karuta ("carte"), anche detto in occidente "carte dei 100 poeti", è un gioco tradizionale, non basato sull'azzardo, praticato in tutto il Giappone soprattutto a Capodanno; persino le scuole ne indicono spesso dei tornei.Le duecento carte presenti nella confezione riproducono brevi composizioni giapponesi da un'antologia classica di cento poesie chiamata Hyaku-nin Isshu ("cento autori, una poesia"). Metà delle quali contengono la prima parte di 100 poesie tradizionali chiamate uta, l'altra metà ne contengono la seconda parte. Quest'ultime vengono sparse davanti ai giocatori mentre le altre le raccoglie un lettore che le legge una alla volta, prendendole a caso. Il primo giocatore che prende tra le carte sparse quella che contiene la fine della poesia che il lettore sta leggendo, si aggiudica la carta. Vince naturalmente chi alla fine è riuscito ad accaparrarsi più carte. Le carte sono generalmente in legno in questo tipo di karuta. L'antologia fu compilata nel XIII secolo, da opere preesistenti. Ciascuna delle cento poesie, ispirate all'amore, alle stagioni, e a diversi altri temi, è scritta da un autore differente. Il loro stile tradizionale è chiamato tanka ("breve canzone") o, anticamente, waka ("poesia armoniosa"): ogni poesia è composta da appena cinque versi, per un totale di trentuno sillabe.

Chihayafuru è la protagonista di un anime, nonché grande giocatrice di Karuta.

È grazie a lei che ho conosciuto e amato queste poesie.


Ora torniamo a me, scopo della mia raccolta? Fornirmi di queste poesie per parlare di Zoro e Nami!

Sarà un'impresa ardua (e soprattutto lunga) ma spero di farcela.

Intanto tranquille, continuerò a scrivere le mie vecchie opere, e forse oggi stesso pubblicherò un nuovo capitolo di Sky's still blue.


Ora basta chiacchere, mettiamoci all opera!


#1 Solo perché


Ima kon to

lishi bakari ni

Nagatsuki no

Ariake no tsuky o

Machiidetsuru kana


Solo perché mi aveva detto

vengo subito”

l'ho atteso nella lunga notte,

ed è apparsa la luna

che annuncia l'alba.


Lo aspettava Nami...


I presagi dell'inverno coprivano il mare come un'invisibile membrana.

Ma, in quella fredda e malinconica sera che aveva portato via l'autunno, lei era vestita di un dolce e caldo sorriso, e continuava ad aspettare sul ponte di guardia.


Durante la cena le aveva chiesto se spettasse a lei il turno e poi le si era avvicinato - troppo vicino - sussurrando di aspettarlo.


Non era la prima notte che passavo assieme.

Spesso succedeva che, finiti gli allenamenti, Zoro la sorprendesse con bottiglie di rum e coperte calde. Chiacchieravano poi, per tutte la notte.

I colori scuri e pacifici del paesaggio intorno a loro erano testimoni di quello strano armistizio, tacito, che firmavano inconsciamente in quelle occasioni.

Zoro.

Sempre pronto a proteggere i compagni dai nemici, dal freddo e dalla solitudine.

Lo faceva silenziosamente, senza giri di parole.

Il suo sguardo era imperscrutabile e troppo spesso marmoreo ma i suoi gesti... Quelli arricchivano il cuore!


Ma quella richiesta debolmente sussurrata aveva le sembianze di uno “pseudo” appuntamento.

E tremava Nami, non per il freddo, ma per lo strano volo di una farfalla che, improvvisamente, si era impadronita del suo stomaco.


Le ore correvano, ingiustamente inafferrabili, e l'aria era impregnata di un vago senso di mancanza.

Attesa vana la sua.

D'altronde, è perché si hanno delle aspettative che si resta delusi!

Dopo una notte insonne – e forse non la prima- sotto un pallido raggio solare, la donna si ritrovò sola, anche l'ultima speranza inghiottita dal nuovo giorno che sorgeva.

Un senso inspiegabile di solitudine e malinconia circondavano i sentimenti del suo cuore femminile.

Possibile che...?


Mosse in senso di diniego la testa, allontanando quegli insulsi pensieri, e si diresse veloce verso il suo frutteto. Solo il gusto delicatamente aspro dei suoi mandarini le avrebbero tolto la rabbia, aiutandola poi ad assopirsi almeno per qualche ora.


Lo vide lì, disteso pancia all'aria e mani dietro l'odiosa zazzera verde, dormire rumorosamente.

L'istinto furente di soffocarlo nel sonno, dopo il bidone che le aveva dato, venne fortunatamente sopito dal volto rilassato dello spadaccino, e da quel misero e inaspettato sorriso che albergava sul viso dormiente.

La cartografa, calmatasi grazie a quella preziosa visione, prese un piccolo mandarino tra le mani e lo lanciò, soppesando la forza, sul cranio del principe verde addormentato.

-Ah, ma che diamin... - la voce roca e imperlata dal sonno venne automaticamente fermata dallo sguardo truce di Nami.

Rimase qualche momento fermo e imbambolato, frastornato dal colpo ricevuto.

Poi all'improvviso strabuzzò gli occhi, ricordandosi della promessa non mantenuta e, soprattutto, del luogo “tassativamente proibito” in cui si ritrovava.

-Tu...Tu brutto buzzurro!Questa volta giuro che me la paghi!- la voce era perentoria, con un retrogusto triste.

Poi lei si voltò, lasciandolo solo in quell'agrumeto.


Non rispose Zoro, non sapeva come giustificarsi.


Così come lei non sapeva che il verde quella sera era stato rapito dal forte odore dei suoi mandarini.

Voleva rilassarsi per poco, giusto due minuti,e poi raggiungerla.

Ma nel sogno, che improvvisamente l'aveva catturato, quell'amato odore non veniva dagli alberi, ma da una ragazza rossa e acida che era stretta tra le sue braccia.


E quell'immagine, inaspettata e stramba, felice, aveva vinto su tutto il resto.


Autore della poesia: Sosei Hoshi, il monaco Sosei -al secolo Yoshimine no Harutoshi - (vissuto tra la fine del nono secolo e l'inizio del decimo) ; fu autore di un'antologis poetica privata

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Capitolo 2
*** #2 Tenuto segreto ***


Ok, ci provo.

Mi immergo per la prima volta nel genere comico.

Spero di uscirne sana e salva!

Buona lettura ;)


 

 

 

# 2 Tenuto segreto

 

Shinobureto

Iro ni idenikeri

Waga koi wa

Mono ya omou to

Hito no tou made

 

Tenuto segreto

è trapelato sul volto

il mio amore:

se penso a qualcosa

si arriva a chiedermi.


-Ne siete sicuri? Cioè, voi dite che basterebbe scoprire chi per primo l'ha fatta infuriare?

-Si, non abbiamo scelta! Ecco perché siamo qui. Voglio assolutamente capire perché la mia dolce crostatina è così nervosa oggi.

-Mmm... Sarà mica che avrà le sue cose? Ho letto su alcuni libri di Robin che in quei periodi i nervi sono tesi e l'umore è altalenante. Basta un niente per andare in escandescenza.

-No, non è per quello. Le ho dato delle pastiglie per il mal di pancia appena due settimane fa!

-Bene, bene, bene. Il mistero si infittisce... Però, vi prego, facciamo in fretta! Se scopre che siamo tutti qua, a non fare nulla, sicuramente stavolta scatenerà il putiferio. Guardate! Mi è venuta già la pelle d'oca al solo pensiero. Ma cosa dico? Io non ho la pelle, yohohohoho!

-Si, sbrighiamoci! Io muoio dalla fame. E più siamo rinchiusi qua dentro più tempo ci vorrà a Sanji per cucinare.

 

Cominciò tutto così... Si erano nascosti, lontani dalle fauci della cartografa.

Chi per paura, chi per curiosità, chi per gioco, alla fine si erano ritrovati là. Seduti per terra, in cerchio, ad analizzare per bene il motivo di quell' ira funesta.

 

-Vorrei iniziare col mio racconto… Ero sul ponte a sistemare la pavimentazione in legno. Era stata lei stessa a dirmi che era giunto il momento di una bella manutenzione. Mi sono messo subito al lavoro, dopo la colazione. Di certo volevo evitare di essere malmenato per una disobbedienza. Ma è stato tutto vano! Il pugno micidiale di Nami l'ho incassato comunque e soprattutto senza motivo. Era sul ponte, camminava quasi senza meta e quando si è fatta vicina le ho subito evidenziato il mio splendido lavoro, ma lei...

-Ma lei?- lo incitava un curioso Chopper

-Lei mi ha guardato truce e mi ha tirato un pugno in testa! Mamma, mammina... Fa ancora male.

-Quindi era già arrabbiata!- pronunciò il gruppo.

 

-Continuo io. A me è successo nel primo pomeriggio, dopo pranzo all'incirca. Ero in infermeria a sistemare le ultime provviste di medicinali quando, ad un tratto, è entrata con urgenza Mi ha chiesto delle semplici garze di cotone, aveva rovinato la nuova cartina su cui stava lavorando e forse le servivano per tamponare l'inchiostro. Ma non ha aggiunto altro, le ha prese ed è andata via. Nessun saluto, nessuna frase di circostanza. È stato tutto così... strano! - quasi piagnucolava Chopper all'idea che la sua amica Nami avesse smesso di volergli bene.

 

-Tocca a noi, vero Brook?- Un cenno di assenso dell'amico bastò per far proseguire il racconto della loro avventura. -Eravamo in lavanderia. Volevamo assolutamente rubare le mutandine di Nami e Robin. Sapevamo che erano lì, nel cesto della biancheria pulita ancora da sistemare.

-E le abbiamo trovate, le abbiamo trovate! Yohohohoho!

-Già... Ma l'incommensurabile felicità per il successo ottenuto è durata poco. Nami era proprio di fronte a noi, mani conserte e sguardo di fuoco.

- Siamo pronti a morire per il nostro tesoro!-  ho pensato. Ma, nonostante io non abbia il cuore, sentivo dentro di me pulsare forte il sentimento della paura! Beh...Non è successo nulla... Dietrofront ed è andata via.

-Una reazione non da lei. Ma la cosa importantissima è che abbiamo ancora il nostro tesoro!

-Voi brutti mostri... Voi due maledetti... Vi prego, vi scongiuro, fatemi vedere le mutandine delle mie dee! - Implorava Sanji tra cuoricini che invadevano l'aria e piroette -Cucinerò tutto quello che desiderate, pulirò le vostre camere, farò tutto ciò che mi chiederete. Vi prego, vi prego!

-Ehi! Non è giusto. Sono io quello che vuole mangiare – il capitano, risentito da quelle affermazioni, interruppe questo teatrino d'amore sognante.

-Ora vi racconto cos'è successo a me ma, come regalo, mi prepari dell'ottimo stufato di manzo!

 

-Correvo senza sosta tra i corridoi del sottocoperta. Non avevo visto Nami venire verso di me nel senso opposto. Ho cercato in tutti i modi di fermarmi, o per lo meno evitarla, ma non ci sono riuscito. Le sono piombato addosso e...

Mi ha riempito di botte e poi è andata in camera. Lo sapete? È forte la nostra navigatrice. Ha dei ganci micidiali!

-Tutto qui!? Questa è ordinaria amministrazione Rufy, possibile che non ci sia altro?

-No, no, - continuò il capitano che, per tutto il tempo del racconto, non aveva smesso neppure un secondo di scaccolarsi il naso, - ora andiamo a mangiare? -

 

Erano passate due ore ma l'enigma “Bestia rossa” ancora non aveva soluzione.

-Procediamo per gradi: chi l'ha vista per primo oggi?- pronunciò un orgoglioso Usopp.

Quel suo naso all'insù dava quasi l'idea di una statua fiera.

Il suo era un piano preciso, dettagliato. Parlava con dimestichezza e sicurezza, orgoglioso della sua genialata.

 

-Probabilmente io! - un altro tiro di sigaretta prima di continuare, - Ero in cucina come ogni mattina a preparare la colazione per le mie dolci principesse e per voi animali!

-E che ora era? - La penombra in cui riversava la stanza venne improvvisamente violata dal pungente fascio di luce di una torcia, puntata di scatto su Sanji.

-Diamine Brook! Non siamo mica in un interrogatorio, toglimi quest'affare di dosso.

Dicevo... Saranno state le sei del mattino, comunque era molto presto. Tanto che mi sono sorpreso di trovarla già in cucina. Era seduta sul tavolo, aveva un'aria strana. Era come se un'aura malvagia e misteriosa aleggiasse intorno a lei. Io, lo sapete, odio vedere la mia dolce Nami triste o arrabbiata; quella creatura così magnifica, divina, bell...-

-Sanji! - la voce dei compagni interruppe il suo monologo fuori tema.

-Ok...Ok! Scusate. Ho fatto di tutto per tirarla su. Le ho proposto torte, merendine, tisane, caffè, muffin, ma niente… Lei non ascoltava e nemmeno mi guardava. Forse sono stato un po' troppo invadente, non lo so! So soltanto che improvvisamente si è alzata di scatto e mi ha atterrato con un destro mostruoso. Poi è andata via, imprecando tutti i Kami.

-Ho capito, ho capito. Chopper, depenna anche Sanji dalla lista.

-Si, detective Usopp. Ma adesso non rimane più nessuno! - la piccola renna si mosse verso il nasone, mostrandogli il foglietto che raccoglieva schizzi, frasi senza senso, crocette sui ritratti antropomorfi dei protagonisti di quell'allucinante ritrovo.

-La faccenda è più complicata del previsto. Forse dovremmo chiedere anche a Robin, è l'unica rimasta.

Il silenzio invase la stanza. Erano tutti fermi a rimuginare sul fattaccio.

 

-Oh, diamine! Io mi annoio, fammi scarabocchiare un po', Chopper. Dammi quel foglio.

Il capitano si mise a colorare le facce buffe dei compagni. Colorava e colorava senza sosta, poi all'improvviso si fermò. Guardava e riguardava con perizia il foglietto.

Destra, sinistra, retro.

E a ogni nuovo controllo il suo sguardo era sempre più sorpreso e incredulo.

-Scusate ragazzi, io voglio utilizzare anche la matita verde ma, che strano... Non posso colorare nessuno!

-Zoro! - urlarono tutti.

Che stupidi! Avevano tralasciato proprio il dettaglio più semplice. Come non pensarci prima!?

 

-Ehi tu, marino! Racconta anche la tua versione. Se tu sei qua con noi devi partecipare alla ricerca!

Lo spadaccino non si mosse.

Continuò imperterrito a dare le spalle all'allegra congrega.

Seduto a gambe conserte strofinava minuziosamente col panno le sue katane. Per tutto il tempo era stato in silenzio, forse non aveva neppure ascoltato.

-Monociglio, fino a prova contraria questa è la mia stanza, ed io ci passo tutto il tempo che voglio qua dentro. Siete voi che ci siete entrati senza motivo, disturbando per giunta il mio lavoro, per giocare a questo teatrino senza senso!

-Tu... Tu brutto insensibile, dovresti essere il primo a parlare visto il modo in cui tratti la mia Nami. Avanti, sputa il rospo! Cosa le hai fatto?

Zoro mosse lo sguardo. Fu un movimento sottile, quasi impercettibile, ma capace di far vibrare l'aria. E l'atmosfera era decisamente cupa, lo dimostravano la nocche della mano che non massaggiavano più le katane ma si stringevano in un pugno. Si alzò di scatto, ergendosi con la sua possente mole sul gruppetto che, sotto il suo sguardo truce, era diventato piccolo piccolo.

-Io non ho fatto assolutamente niente a quella vipera, stregaccia dai capelli rossi!Non è colpa mia se è così ottusa e violenta da non lasciarsi mai spiegare come vanno le cose su questa maledetta nave dove le chiavi non si usano mai!- Aveva urlato frettolosamente questa frase che tutto diceva e che in realtà non diceva nulla.

Usopp si avvicinò al volto di Zoro, il suo era uno sguardo furbo e indagatore.

-Signor Roronoa, è possibile conoscere l'origine di quella cinquina in faccia?

-Si, arrota coltelli, avanti! In che circostanza hai visto Nami oggi?

-Maledizione! Io...dovevo andare in bagno.

-Zoro, tranquillo! Puoi trattenerla per un pochino. Giusto il tempo del tuo racconto. Il tuo fisico, credimi, non ne risentirà- il cucciolo Chopper, con occhietti dolci voleva rassicurare il verde.

 

-No...È stato stamattina, all'alba. Io correvo veloce verso il bagno.Avevo resistito per ore, pur di non fermare gli allenamenti, quindi... Diciamo che andavo talmente di fretta da non bussare alla porta. Ci sono entrato direttamente e...- Si fermò di colpo, era visibilmente intimidito da quel racconto, lo si notava dal rossore che improvvisamente illuminò il suo volto.

-Marino, se solo hai toccato o semplicemente osato guardare la mia crostatina mentre si faceva la doccia io ti...-

-Si cuocaccio! Era nuda. Ma non l'ho fatto di proposito! La gente di norma si chiude a chiave prima di lavarsi, o per qualsiasi necessità che implica l'utilizzo del bagno. E poi, diamine. Come facevo a sapere che le docce femminili erano guaste!- Tremava di rabbia e vergogna nel raccontare il fattaccio.

Tra tutti, proprio a lui doveva capitare! Lui che aveva sempre portato rispetto e preservato l'onore del gentil sesso.

Si vergognava terribilmente.

 

Un tonfo sordo.

Sanji, mentalizzata la dolorosa scoperta, era crollato a terra in preda ad esorbitanti fuoriuscite di sangue dal naso. Franky e Brook si congratulavano con Zoro: vedere Nami nuda aveva vinto su tutto, perfino sul loro tesoro formato tanga.

Chopper teneva le zampette sugli occhi, come a voler nascondersi da quella scena imbarazzante che aveva istintivamente immaginato e Usopp lanciava occhiate maliziose mentre annuiva con la testa. Era chiaro il suo messaggio: eh bravo il nostro Zoro!

 

Il mistero era finalmente risorto, ma l'accaduto aveva elettrizzato ancora di più l'atmosfera.

Zoro era irritato, molto molto irritato.

 

-SMETTETELA! Vi siete tutti rincretiniti? Io non voglio imperativamente continuare questo discorso! State esagerando, non ho fatto nulla, NULLA! Non avevo alcuna intenzione di piantare lo sguardo sul... sul...-

-Sul?- L'attenzione era di nuovo tutta per lo spadaccino che, poveretto, non si rendeva conto che erano proprio le sue parole a rincarare la dose.

Come continuare?

Il pensiero poco casto continuava ad abbracciare quelle curve candide e morbide. La schiena perfetta e bianca, le natiche sode e invitanti. E poi… Quello schiaffo sulla guancia che l'aveva riportato alla solita realtà.

Ingoiò con difficoltà la saliva e cercò un modo per uscire da quella situazione.

-Sul suo sedere grasso e flaccido! Tsè, stupidi voi che siete qua a sognare ad occhi aperti sul corpo di Nami. Quella strega, ve lo giuro, non ha niente nel posto giusto. Fortunatamente era di schiena! E, per la cronaca, il suo posteriore assomiglia più a quel formaggio coi buchi... Com'è che si chiama?

-Emmental, brutto troglodita bugiardo. E se provi ancora a parlare in questo modo di Nami ti assicuro che quel formaggio sarà l'ultima cosa che vedrai per cena!

 

Ecco la solita rissa che cominciava.

Sanji e Zoro, eternamente rivali in tutto, se le davano di sana pianta, fomentati dal resto della ciurma.

Eccetto uno...

 

Correva Rufy alla ricerca di Nami.

Il buco nello stomaco lo stava facendo impazzire, la fame era troppa.

La trovò ancora in camera sua, distesa sul letto.

-Nami?

-Che diavolo vuoi Rufy? Va via, non è il momento.

-Volevo solo chiederti una cosa. Ce l'hai ancora quel formaggio?

Nami lo guardò perplessa.

-Formaggio? E perché mai dovrei avere del formaggio?

-Dai, non essere egoista. Ho una fame da lupi e Zoro ci ha appena svelato il tuo segreto.

-Segreto? Formaggio? Rufy! Ti sei bevuto il cervello come tuo solito?!

-Uffa Nami, ti prego! Quel formaggio che hai sul sedere, il nome è Emmental. Insomma...Quello pieno di buchi. Ha detto Zoro che l'ha visto stamattina, sul tuo sedere.

La cartografa inspirò profondamente, poi si alzò di scatto prendendo il suo bastone.

-E dimmi Rufy, dov'è che si trova adesso il nostro caro e gentile spadaccino?

-In camera sua, a raccontare tutto agli altri!

 

 

Quell'urlo disumano echeggiava ancora nella sua testa verde.

-RO-RO-NO-A! - L'unica cosa che la rossa pronunciò a squarciagola prima di stenderlo a terra con uno schiaffo assordante.

Solo questo.

Poi come era arrivata era andata via.

Si palpava con la mano callosa la parte dolorante e poi posava del ghiaccio sull'altra guancia, anche questa duramente provata.

Che diamine! Lui aveva mentito...

Ma era una bugia a fin di bene!

Non poteva mica dire che era stato totalmente rapito da quella visione.

Si era inventato quella menzogna per raffreddare gli animi caldi dei compagni.

E soprattutto per non farsi scoprire interessato alla strega!

 

E poi...parliamo chiaro.

Se anche fosse stato vero. Se realmente, in qualche angolo remoto dell'universo, ci fosse una Nami con il sedere formato Emmental, beh! Dove sarebbe il problema?

Lui amava quel formaggio!

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Capitolo 3
*** #3 Nell'angoscia ***


#3 Nell’angoscia

Nagete tote

Tsuki ya wa mono o

Omowasuru

Kakochigao naru

Waga namida kana

 

Nell’angoscia

è alla luna

che penso:

forse il suo volto incolpo

per le mie lacrime.

 

Le lacrime solcavano silenziose quel volto chino di donna carnefice e vittima.

Scendevano lente lungo il profilo contratto, intrappolandosi acerbe tra le labbra serrate, per poi ricadere, arrendevoli, nella bacinella d’acqua ghiacciata.

Una lacrima, poi un’altra, e un’altra ancora, a disperdersi insieme annullando quella trasparenza, impregnandosi di quel rosso cremisi che con tenacia beffarda non voleva andare via.

Stringeva tra le mani la maglia bianca di Zoro, macchiata di sangue.

E restava immobile Nami, lo sguardo spento e consumato da quella ferita, la mente annebbiata dal sangue che perdeva solo vivacità ma restava ben visibile, si ergeva indisturbato proprio come un giudice severo pronto a dar sfogo alla condanna.

E i raggi di luna, così candidi e schietti, si posavano dolcemente sull’acqua sporca, evidenziando con subdola ferocia il gesto infido che aveva aggiunto un altro inutile solco su quel corpo già provato da infinite battaglie.

Tutta colpa della luna.

Di quella luna ingannevole, spietata e disonesta come una donna.

Ladra di sogni e portatrice di desideri che non possono essere sussurrati.

Luna che mostra il sentiero, ma risparmia consigli sui pericoli della strada che lei stessa ti porta a percorrere.

E la luna si era affrettata quella sera nel mostrare il suo lato oscuro, quello d’incantatore delizioso che sveglia la pazzia, incalza i gesti e i respiri sopiti.

Nami come una bambina, come una stolta egoista ed esigente mocciosa, si era lasciata afferrare da quell’astro celeste.

 

L’aveva osservato per parecchio tempo dalla finestra della cucina, attento e vigile mentre si apprestava alla cura delle sue katane.

Era là, seduto sul ponte della nave immerso tra i raggi silenziosi che propagavano, con infinitesimale accuratezza, ogni singolo suo gesto.

E lo guardava Nami, senza riuscire ad immaginare cosa potesse passare nella testa di un ragazzo come lui. A volte le veniva persino voglia di staccargliela quella testa verde e scuoterla per bene, per sentire che rumore facesse. Ma ormai conosceva Zoro, sapeva benissimo il mondo racchiuso in ogni parola non detta, la risolutezza e la dedizione di ogni suo ghigno mal celato.

E grazie alla luna quella sera si vedeva come in pieno giorno, e in quell’armonia dei suoi gesti c’era una vibrazione che conquistava il cuore. Quella folle danza fatta di carta di riso piegata tra pollice e indice, quel dolce tintinnio di panno imbevuto di olio di garofano passato sulla lama limpida, aveva rapito la cartografa.

Tuttavia, mentre si lasciava cullare in silenzio da quei movimenti, qualcosa in quelle movenze cominciò a procurarle un senso di disagio, rendendole difficile il respiro, come se della polvere andasse a infiltrarsi tra le vie respiratorie. Lentamente ma con regolarità, fino a soffocarla.

Lo sguardo di Zoro era cambiato, era dolce e gentile mentre impugnava la compagna bianca. Sorrideva… Un sorriso semplice e genuino, di quelli caldi e casti. E accarezzava piano quella katana, come un uomo che stringe, che bacia protettivo il suo amore. E quei gesti ardevano negli occhi nocciola della rossa che pregava, affascinata da quell’immagine donatagli dalla luna, implorava per una  -breve ed effimera- carezza, labile e fuggevole come l’ultimo volo di una farfalla.

Tristezza.

Mentre carezzava con le dita il vuoto dai contorni umani che le era rimasto nell’aria si sentiva terribilmente triste. Come se un’ingiustizia le avesse tolto qualcosa di importante e sconosciuto.

Continuava ad osservarlo mentre indossava la sua fedele compagna, facendola roteare con destrezza diverse volte nella mano. Poi all’improvviso l'uomo, come se prendesse mira con una pistola, chiuse un occhio e puntò la spada contro la luna. I raggi lunari, riflettendosi sulla lama, per un attimo illuminarono il suo profilo. Nella luce del plenilunio la lama sembrava un germoglio di ciliegio, capace nella sua semplicità perfetta di spaccare la superficie del suolo. Quel loro rapporto era qualcosa che, con ogni probabilità, connetteva il nulla con il tutto. Si muoveva con lentezza e dava fendenti nell’aria notturna. Non c’era nulla che ostacolasse i loro movimenti, la notte era profonda, il tempo era flessibile. Una profondità e una flessibilità che la luce della luna esaltava. Con lei era diverso! Lei, quella katana bianca era diversa! Quando la maneggiava portava il suo stesso essere con una naturalezza e una grazia particolari. Come un uccello che prende il vento verso un altro mondo. Sembrava quasi che l’uno venisse a colmare una mancanza dell’altro, e viceversa.

 

Rabbia, gelosia, amarezza.

Travolta da quest’imprevedibilità di sentimenti la ragazza si mosse, portando avanti i suoi passi succube di una sensazione strana, mai provata. Come se non fosse neppure lei stessa. Non lo era, era un’altra che aveva trovato comodo prendere il suo aspetto decisa a metter fine a quell’incontro di anime sovrumane. E la sua coscienza no, non s’era accorta e per sbaglio l’aveva seguita.

E sì… Era proprio in un grosso guaio la sua coscienza.

Arrivò dietro lo spadaccino, passi lenti e silenziosi, proprio da abile ladra quale era. Con un gesto istintuale prese in mano la Wadō Ichimonji appena posata dall’uomo.

 

E correva, correva come una vittima che sfugge all’assassino.

Come una mocciosa che giocava a nascondino.

Come un topo che accelera per non essere divorato dal gatto.

Un folle passatempo il suo, reso ancora più illecito dalla consapevolezza che non era la preda. Perché le grida di Zoro che quasi imploravano l’arresto non erano dirette a lei.

Lui non rincorreva le sue ciocche ramate, non voleva afferrarla.

Non la stava rincorrendo, no!

Lui avrebbe per sempre inseguito quella maledetta spada, unica testimone del suo passato da difendere.

Entrò in libreria la rossa, sicura di aver fatto perdere momentaneamente le sue tracce.

Si guardò intorno e prese finalmente la decisione.

Ma mentre, cercando di restare in equilibro sulla sedia, adagiava la katana tra i libri in alto allo scaffale fu sorpresa dalla porta sbattuta con violenza.

Fu un attimo, quell’istante breve ma essenziale per scorgere negli occhi di Zoro una rabbia mai vista. O forse era delusione?

La sedia scricchiolò e la presa salda al manico venne meno.

Non cadde a terra.

Non venne ferita da quell’oggetto tagliente che fino a poco prima cadeva dal ripiano puntando verso il suo viso.

Sentiva un braccio reggerla con forza e, aprendo gli occhi, vide la mano grande e sanguinante dello spadaccino che stringeva la lama senza fodera.

Il sangue scorreva copioso.

Una ferita, un’altra cicatrice.

Ed era stata sua la colpa.

Non c’erano state battaglie, nessun marine ad attaccare la nave. Nessuno scontro con occhi di Falco, nulla di tutto questo.

Lei lo aveva macchiato col suo stupido egoismo.

L’oggetto rubato fu subito accolto dal legittimo proprietario che, con estrema urgenza, lavò via la striscia di sangue che colava dalla lama d’argento. L’aveva pulita con la sua maglia bianca.

Bianca come il suo spirito puro.

Ora rossa di un peccato altrui.

 

Silenzio.

 

Frammenti di parole vagavano nell’aria, quasi le fossero stati strappati. Voleva urlare, chiedere scusa, implorare quegli occhi scuri e fermi su di lei. Ma all’improvviso le frasi erano svanite. Era stata come defraudata da quelle labbra serrate e quello sguardo deluso, quelle iridi tradite che sembravano poter trapassare la membrana opaca.

E quello stesso silenzio fu interrotto dai passi pesanti dell’uomo che andava via, lontano. Portando via con sè la sua unica alleata.

Aveva fatto qualcosa di veramente brutto. Imperdonabile!

 

 

La luna era alta nel cielo.

La sua candida luce beffeggiava la ragazza.

L’aveva illusa, l’aveva manipolata.

E la ragazza era ancora là, a piangere lacrime rosse.

Il suo era un volto spento, tra le mani continuava a stringere quella maglia che proprio non voleva nascondere il suo peccato.

-Mocciosa! Guarda che non si lava da sola. Se continui a stare ferma, imbambolata a contemplare l’acqua del rubinetto, di certo io non avrò la maglia pulita!

Si, era proprio una mocciosa. Gelosa dei giocattoli altrui. Invidiosa di un oggetto.

Mocciosa!

 

Le si affiancò, prendendo il pezzo di stoffa macchiato e immergendolo nell’acqua sporca.

Lei finalmente alzò lo sguardo, dai suoi occhi traboccò un’altra lacrima che in meno di un secondo le scivolò lungo la guancia e cadde con un piccolo tonfo sul pavimento. A quest’ultima ne seguì un’altra, poi un’altra ancora.

All'improvviso il calore di un abbraccio.

Pianse in silenzio, macchiando di mascara la camicia del samurai. Con la mano sinistra lui la sorreggeva, con la destra le accarezzava i capelli e in quella posizione aspettò a lungo che smettesse di piangere.

-Andrà via, buzzurro?

-Certo che andrà via. Scomparirà fino a non vedersi più.

Lei si strinse ancora più forte in quell’abbraccio, cercando il calore e la protezione che fino a qualche ora prima erano destinati alla Wadō Ichimonji.

Poi guardò la luna sorridendole di rimando.

Perché, si sa, la luce della luna ha questa capacità, far vedere a volte l’invisibile.

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